DE.IT.PRESS
Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso 16-30 settembre 2023
La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato viene
celebrata ogni anno all’ultima domenica di settembre. Quest’anno quindi
il 24 settembre. Il titolo scelto dal Santo Padre per il suo messaggio
è “Liberi di scegliere se migrare o restare”, messaggio già diffuso in
maggio e che qui riprendiamo integralmente
Cari fratelli e sorelle!
I flussi migratori dei nostri giorni sono espressione di
un fenomeno complesso e articolato, la cui comprensione esige l’analisi attenta
di tutti gli aspetti che caratterizzano le diverse tappe dell’esperienza
migratoria, dalla partenza all’arrivo, incluso un eventuale ritorno. Con
l’intenzione di contribuire a tale sforzo di lettura della realtà, ho deciso di
dedicare il Messaggio per la 109a Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato
alla libertà che dovrebbe sempre contraddistinguere la scelta di lasciare la
propria terra.
“Liberi di partire, liberi di restare”, recitava il
titolo di un’iniziativa di solidarietà promossa qualche anno fa dalla
Conferenza Episcopale Italiana come risposta concreta alle sfide delle
migrazioni contemporanee. E dal mio ascolto costante delle Chiese particolari
ho potuto comprovare che la garanzia di tale libertà costituisce una
preoccupazione pastorale diffusa e condivisa.
«Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli
disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta
là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per
ucciderlo”» (Mt 2,13). La fuga della Santa Famiglia in Egitto non è frutto di
una scelta libera, come del resto non lo furono molte delle migrazioni che
hanno segnato la storia del popolo d’Israele. Migrare dovrebbe essere sempre
una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è.
Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una
vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di
persone a partire. Già nel 2003 San Giovanni Paolo II affermava che «costruire
condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati,
significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non
emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria» (Messaggio per
la 90a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 3).
«Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano
acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti
i suoi discendenti» (Gen 46,6). È a causa di una grave carestia che Giacobbe
con tutta la sua famiglia fu costretto a rifugiarsi in Egitto, dove suo figlio
Giuseppe aveva assicurato loro la sopravvivenza. Persecuzioni, guerre, fenomeni
atmosferici e miseria sono tra le cause più visibili delle migrazioni forzate
contemporanee. I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al
fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è
necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità.
Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa
dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli
armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la
devastazione della nostra casa comune.
«Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in
comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti,
secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). L’ideale della prima comunità
cristiana pare così distante dalla realtà odierna! Per fare della migrazione
una scelta davvero libera, bisogna sforzarsi di garantire a tutti un’equa
partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso
allo sviluppo umano integrale. Solo così si potrà offrire ad ognuno la
possibilità di vivere dignitosamente e realizzarsi personalmente e come
famiglia. È chiaro che il compito principale spetta ai Paesi di origine e ai
loro governanti, chiamati ad esercitare la buona politica, trasparente, onesta,
lungimirante e al servizio di tutti, specialmente dei più vulnerabili. Essi
però devono essere messi in condizione di fare questo, senza trovarsi depredati
delle proprie risorse naturali e umane e senza ingerenze esterne tese a
favorire gli interessi di pochi. E lì dove le circostanze permettano di
scegliere se migrare o restare, si dovrà comunque garantire che tale scelta sia
informata e ponderata, onde evitare che tanti uomini, donne e bambini cadano
vittime di rischiose illusioni o di trafficanti senza scrupoli.
«In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua
proprietà» (Lv 25,13). La celebrazione del giubileo per il popolo d’Israele
rappresentava un atto di giustizia collettivo: tutti potevano «tornare nella
situazione originaria, con la cancellazione di ogni debito, la restituzione
della terra, e la possibilità di godere di nuovo della libertà propria dei
membri del popolo di Dio» (Catechesi, 10 febbraio 2016). Mentre ci avviciniamo
al Giubileo del 2025, è bene ricordare questo aspetto delle celebrazioni
giubilari. È necessario uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità
internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la
possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra. Si tratta di
un diritto non ancora codificato, ma di fondamentale importanza, la cui
garanzia è da comprendersi come corresponsabilità di tutti gli Stati nei
confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali. Infatti, poiché
le risorse mondiali non sono illimitate, lo sviluppo dei Paesi economicamente
più poveri dipende dalla capacità di condivisione che si riesce a generare tra
tutti i Paesi. Fino a quando questo diritto non sarà garantito – e si tratta di
un cammino lungo – saranno ancora in molti a dover partire per cercare una vita
migliore.
«Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho
avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi
avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a
trovarmi» (Mt 25,35-36). Queste parole suonano come monito costante a
riconoscere nel migrante non solo un fratello o una sorella in difficoltà, ma
Cristo stesso che bussa alla nostra porta. Perciò, mentre lavoriamo perché ogni
migrazione possa essere frutto di una scelta libera, siamo chiamati ad avere il
massimo rispetto della dignità di ogni migrante; e ciò significa accompagnare e
governare nel miglior modo possibile i flussi, costruendo ponti e non muri,
ampliando i canali per una migrazione sicura e regolare. Ovunque decidiamo di
costruire il nostro futuro, nel Paese dove siamo nati o altrove, l’importante è
che lì ci sia sempre una comunità pronta ad accogliere, proteggere, promuovere
e integrare tutti, senza distinzione e senza lasciare fuori nessuno.
Il percorso sinodale che, come Chiesa, abbiamo
intrapreso, ci porta a vedere nelle persone più vulnerabili – e tra questi
molti migranti e rifugiati – dei compagni di viaggio speciali, da amare e
curare come fratelli e sorelle. Solo camminando insieme potremo andare lontano
e raggiungere la meta comune del nostro viaggio. Papa Francesco
Senza Preghiera non ci sarà Sinodo. Lettera del Cardinal Grech ai vescovi
di tutto il mondo
Con una lettera indirizzata ai vescovi ed eparchi di
tutto il mondo, il cardinale Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria
Generale del Sinodo, invita i fedeli di tutto il mondo a partecipare con la
preghiera alla XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si
aprirà in Vaticano il prossimo 4 ottobre.
Con questa lettera il Segretario Generale intende
ricordare che l’Assemblea sinodale è innanzitutto un evento spirituale, di
preghiera e di ascolto dello Spirito Santo, vero protagonista dell’evento. Per
facilitare la partecipazione e sollecitare il sostegno con la preghiera dei
membri dell’assemblea da parte delle comunità locali, la Segreteria Generale
del Sinodo ha preparato una “Benedizione Solenne” da recitare, in particolare,
al termine delle Messe domenicali insieme a delle preghiere di intercezioni.
L’originale latino è allegato (le traduzioni sono solo documenti di lavoro per
facilitare le Chiese locali).
Nel rispetto della ricchezza della tradizione liturgica
delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, la lettera è stata spedita anche
ai responsabili di quelle Chiese con la richiesta di realizzare una simile
benedizione e intercessioni nelle Divine Liturgie.
L’appello del cardinale Grech si inserisce in una serie
di iniziative volte a ricordare il carattere eminentemente spirituale
dell’assise sinodale e a promuovere la partecipazione di tutto il Popolo di Dio
attraverso la preghiera, tra le quali ricordiamo:
* la realizzazione già nel 2021 di un sito
(www.prayforthesynod.va) realizzato in collaborazione con la Rete Mondiale di
Preghiera del Papa e l’UISG (Unione Internazionale delle Superiore Generali)
che propone ogni primo lunedì del mese un tempo di preghiera specifico per il
Sinodo;
* la Veglia Ecumenica di Preghiera (www.together2023.net)
del prossimo 30 settembre alla Vigilia del Sinodo trasmessa in Live streaming a
partire dalle ore 16.30 sui canali di vaticannews (vaticannews.va);
* un ritiro spirituale per i membri dell’assemblea previo
all’apertura dei lavori (1-3 ottobre 2023).
Uff.St.Sinodo 15
In Germania la Marcia per la Vita raddoppia: a Berlino e a Colonia
La Marcia per la Vita raddoppia. L’ormai tradizionale
appuntamento con la più importante manifestazione tedesca in difesa della vita,
dal suo concepimento alla sua fine naturale, si svolgerà quest’anno per la
prima volta dalla sua istituzione nel 2002 in due città contemporaneamente. Per
manifestare contro aborto, utero in affitto e suicidio assistito, il popolo pro-life
si incontrerà infatti alle ore 13 di oggi sabato 16 settembre alla Porta di
Brandeburgo a Berlino, città che tradizionalmente ospita l’evento, e alla
stessa ora a Colonia nella piazza del mercato Heumarkt. Quest’anno il motto
della Marcia sarà «Einzigartig. Leben wagen» (“Unico. Osa vivere”).
Dal 2020 il numero di partecipanti è in costante
crescita, nonostante le restrizioni legate alla prevenzione del corona virus.
Ben 4.800 persone hanno partecipato all’edizione 2022, e già almeno 4.000 se ne
prevedono per questa diciannovesima edizione. A Berlino la giornata della vita
sarà aperta da due messe. La celebrazione cattolica sarà presieduta alle ore 10
nella chiesa di St. Marien Am Behnitz dal vescovo ausiliare di Augusta,
monsignor Florian Wörner. Quella cristiana evangelica si svolgerà nella chiesa
luterana di Annenstraße 53.
Il vescovo di Ratisbona, monsignor Rudolf Voderholzer, un
convinto partecipante alle edizioni precedenti, ha già annunciato la sua
adesione alla Marcia e ha criticato la scarsa copertura mediatica che questi
eventi in favore della vita ricevono solitamente. In un’intervista
all’emittente televisiva cattolica K-TV il presule ha detto che «se 20 persone
manifestano da qualche parte per il clima, allora questo finisce subito sui
media. Se 7.000 persone si battono per il diritto alla vita dei non-nati, e non
manifestano contro qualcosa, ma per la vita, allora bisogna essere contenti se
appare in qualche nota a margine». Il vescovo Voderholzer ha invitato a non
dipendere dalle percezioni esterne, ma a fare ciò che si ritiene giusto
"qui e ora": «Non sta a noi raccogliere, ma dobbiamo seminare.
Dobbiamo testimoniare ciò che è buono e poi vedremo cosa porterà alla fine».
Il vescovo di Ratisbona è intervenuto poi anche sulle
dinamiche parlamentari dello scorso luglio, quando il Bundestag di Berlino ha
bocciato due proposte di legge per regolamentare il suicidio assistito. Il
presule si è rallegrato del fatto che i parlamentari tedeschi non abbiano
approvato una legge che avrebbe fatto “normalizzato” il suicidio assistito.
Voderholzer ha sostenuto che i tabù dovrebbero continuare a essere mantenuti:
«Dio il Creatore è il Signore della vita e della morte, non noi umani. C'è
bisogno di una grande riverenza e di una cultura della vita, che dobbiamo opporre
a una cultura della morte».
Parole di incoraggiamento e di augurio vengono anche da
altre diocesi tedesche. Il vescovo di Speyer, Karl-Heinz Wiesemann, e
l'arcivescovo di Friburgo, Stephan Burger, esprimono per iscritto il loro
sostegno alla Marcia per la Vita. Il vescovo Wiesemann ha ringraziato per
l'impegno pubblico e le cure amorevoli date ogni anno a tante persone malate.
L'arcivescovo Burger scrive invece che «schierarsi a favore della vita
significa vedere la vita di ogni essere umano, prendere in considerazione le
paure e le difficoltà, accompagnare e non condannare».
Anche il parlamentare dell’unione Cristiano Democratica
Volkmar Klein ha mandato una lettera di auguri a tutti i partecipanti alla
Marcia. «È bello che quest'anno siate contemporaneamente in due grandi città,
Berlino e Colonia, per schierarvi con coraggio a favore della tutela della
vita. In questo modo le voci saranno più forti e più numerose, parlando per
coloro che non possono ancora parlare da soli».
La Marcia per la Vita è organizzata dall’Associazione
federale per il Diritto alla vita (Bundesverband Lebensrecht), un'associazione
di organizzazioni tedesche per il diritto alla vita il cui obiettivo è
proteggere il diritto alla vita di ogni essere umano, dal concepimento alla morte
naturale.
La Marcia per la Vita sarà seguita in diretta
dall’emittente televisiva EWTN a partire dalle ore 12.30. Giacomo König,
aci/dip
Il giornalista, autore di alcune pubblicazioni sul
sacerdote ucciso dalla mafia, lo racconta al Sir anche alla luce della propria
esperienza personale, dai tempi del liceo fino al giorno della morte: "Era
consapevole anche di rischiare la vita, però non volle andarsene. Rimase a
Brancaccio con la sua missione" – di Filippo Passantino
“A 30 anni dalla
sua uccisione penso che sia il momento di superare gli stereotipi e vedere
concretamente cosa don Puglisi faceva. Perché si è detto tante volte che,
andando incontro ai ragazzini per strada, toglieva manovalanza alla mafia. Ma
ci sono anche tanti gesti concreti che vorrei ricordare e che, in qualche modo,
sono anche profetici. Uno di questi è diventato anche di grandissima attualità
e riguarda il percorso delle processioni, che in passato a volte erano
occasioni di omaggio ai boss”. Così Francesco Deliziosi, giornalista,
caporedattore del Giornale di Sicilia, ricorda al Sir don Pino Puglisi, a 30
anni dal martirio. Un legame stretto lo unisce al sacerdote ucciso dalla mafia.
Ne è stato allievo al liceo e poi lo ha seguito nel periodo di servizio
sacerdotale a Brancaccio. Don Puglisi ha anche celebrato il suo matrimonio.
Negli ultimi anni, Deliziosi ha scritto la biografia di 3P (“Il prete che fece
tremare la mafia con un sorriso”) e ne ha raccolto i testi in un’altra
pubblicazione, dal titolo “Se ognuno fa qualcosa si può fare molto”.
Chi era don Pino Puglisi per il quartiere di Brancaccio?
A Brancaccio lui era nato, in un cortiletto nella zona più
povera del quartiere. Quindi, non era uno sconosciuto. Nell’ottobre del ’90
accetta la nomina a parroco, lasciando a malincuore il lavoro che aveva fatto
negli anni ’80 per il Centro diocesano vocazioni, dove era responsabile a
Palermo. Il cardinale Pappalardo l’aveva nominato lì ed era molto contento del
suo lavoro. Lo stesso cardinale però lo deve indirizzare al nuovo incarico
perché ben sei sacerdoti erano stati contattati dalla Curia dell’epoca e
avevano rifiutato di andare a Brancaccio. Puglisi quindi capisce anche il
problema del suo vescovo e per obbedienza e per amore del suo quartiere
accetta.
Cosa ricordi di quel momento?
Un giorno mi disse che era diventato parroco di
Brancaccio ‘a modo suo’, con una battuta. In quell’occasione, ci incontrammo
nella portineria del Giornale di Sicilia e mi riferì di essere diventato il
‘parroco del papa’. Lì per lì lo guardai interdetto come a volergli chiedere
‘Che vuoi dire?’. E poi lui mi spiegò con un sorriso dei suoi che, controllando
i registri parrocchiali, aveva visto che Michele Greco, il boss dell’epoca, era
tra i suoi parrocchiani. Michele Greco amava anche definirsi il ‘papa della
mafia’. Quindi, lui sapeva benissimo chi era Michele Greco, chi erano i
fratelli Graviano. Ma va a Brancaccio consapevole di una missione difficile. E
lui nel quartiere è conosciuto e ha già un suo background. Non era certo
un don Chisciotte, che non aveva capito a cosa andava incontro.
C’è un evento in cui ciò diventa ancora più chiaro?
A un certo punto Puglisi diventa anche consapevole di
rischiare la vita. Non c’è dubbio. Perché subì tante minacce a partire dal
maggio ’93. Proprio il giorno dopo che aveva organizzato una manifestazione per
ricordare Giovani Falcone, venne bruciato il portone della chiesa di cui era
parroco. Da lì a poco tempo ricevette anche lettere con minacce di morte e
telefonate anonime. Io e mia moglie, Maria, gli avevamo regalato una segreteria
telefonica per il compleanno, che era il 15 settembre. Purtroppo però non gli
hanno dato il tempo di utilizzarla. Il regalo era finalizzato proprio a poter
filtrare le chiamate ed evitare queste telefonate in piena notte con minacce di
morte. Quindi, era consapevole anche di rischiare la vita, però non volle
andarsene. Rimase a Brancaccio con la sua missione.
Papa Francesco in prossimità dell’anniversario ha inviato
una lettera alla diocesi…
Nella lettera il Papa riprende alcuni temi della sua
visita del 2018, che è stata importantissima. Mi piace anche ricordare che
comunque c’è la firma di Francesco sul decreto di beatificazione che è avvenuta
nel 2013. Fu proprio uno dei suoi primissimi atti. La causa naturalmente era
stata istituita sotto il pontificato di Benedetto XVI. Poi il nuovo Papa si è
trovato anche a firmare il decreto. Lui di questa figura si è in qualche modo
innamorato e ne ha parlato molte volte. In questa lettera, traspare tra le
righe la corrispondenza del comportamento di Puglisi con quelle che sono le sue
linee pastorali che ha voluto esprimere subito dopo l’elezione. Per esempio,
ricordiamo la frase ‘Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri’. Ecco, nella
lettera ci sono dei riferimenti. E anche in altre prese di posizione il Papa
esprime il suo apprezzamento per Puglisi, per questo ‘prete di strada’. Anzi,
dice ‘la strada era la sua chiesa da campo’. Ecco, Puglisi non stava chiuso
dentro la sua chiesa ma è proprio un rappresentante, se vogliamo, di quella
Chiesa in uscita di cui il Papa ci ha parlato tante volte. Stava per le strade,
andava a trovare le persone nei vicoli del quartiere Brancaccio. Portava il
Vangelo, la parola di Cristo fuori dalla chiesa, direttamente nelle case delle
persone.
Come portò avanti questo impegno pastorale?
Un aspetto poco conosciuto è che Puglisi, per due anni,
organizzò le missioni popolari a Brancaccio: due volontari andavano in ogni
condominio a visitare le persone. Le letture del Vangelo erano quelle dettate
da Puglisi, in cui – nel libro lo ricostruisco – ci sono parecchi richiami alla
conversione, al pentimento, ad abbandonare la vecchia vita. Cioè Puglisi aveva
scelto dal Vangelo e dagli Atti degli Apostoli proprio dei brani che dovevano
servire a scuotere le coscienze delle persone che partecipavano a questi
incontri. Ecco quindi, non solo la Chiesa in uscita, non solo la Chiesa povera,
ma il Papa vede in Puglisi anche il prototipo del prete che consuma la suole
delle scarpe. E, infatti, quando viene ucciso Puglisi ha le scarpe rotte,
perché per sé non spendeva neanche un soldo. E non solo. Non aveva neanche il
tempo per ripararsele. Lui, lo ricordo benissimo, a casa aveva gli attrezzi del
padre, che era calzolaio. Li aveva conservati ed era in grado di risuolare un
paio di scarpe. Poteva ripararsele. Ma non aveva avuto neanche il tempo. Aveva
consumato le sue scarpe proprio nei vicoli di Brancaccio. Era anche un pastore
che conosceva l’odore delle pecore, per usare un’altra espressione del Papa.
Era andato nei vicoli, conosceva le situazioni drammatiche di tante persone,
famiglie intere con sei o sette bambini che vivevano in un’unica stanza, anche
in condizioni promiscue, senza servizi.
Don Puglisi fu precursore di diverse posizioni poi
assunte ufficialmente dalla Chiesa. In particolare, quali furono molto
rilevanti?
Puglisi proprio nella prima Pasqua da parroco a Brancaccio,
nel ’91, cambia il percorso della processione, senza dirlo a nessuno, perché da
uomo del quartiere sa benissimo che, passando per la via Brancaccio sotto il
balcone della famiglia dei boss del quartiere, vi fosse il rischio che la
processione con una sosta inopportuna servisse a rendere omaggio ai boss, a
fare il famoso inchino di cui abbiamo visto e letto tanti esempi. Io avevo
partecipato a quella processione. E ricordo che lui era in testa al corteo con
una semplice croce di legno. In genere, quella processione percorre tutta via
Brancaccio e lì tuttora abita la famiglia Graviano. Lui, invece, a un certo
punto girò a sinistra e portò la processione nei vicoli del quartiere. La gente
un po’ spaesata lo seguì. Poi si capì che davvero qualcosa stava cambiando. Da
quel momento la processione fece questo nuovo giro. L’argomento è rimasto un
po’ abbandonato, ma negli ultimi anni invece la Chiesa siciliana lo ha messo
all’ordine del giorno. E, da alcuni anni a Palermo, ma anche in altre diocesi,
i percorsi delle processioni vengono esaminati con attenzione e concordati, in
qualche modo sottoposti all’attenzione anche delle forze dell’ordine e della
Questura. Di recente abbiamo scritto, e lo diceva il Questore in persona, che
in alcuni casi il percorso delle processioni è stato cambiato per evitare
rischi di passare sotto certi balconi. Quindi, in qualche modo, quello di
Puglisi fu un gesto profetico.
E non fu il solo…
Mentre Puglisi era parroco, un gruppo di fedeli –
chiamiamoli così – chiese di formare una confraternita. Conosceva molti di
questi presunti fedeli, capì che in realtà dietro c’erano altri interessi.
Quindi, fece una serie di riunioni e spiegò benissimo che cosa fosse una
confraternita, a cosa servisse e che si trattava di un percorso di crescita
spirituale. Tanto che a un certo punto i partecipanti, coloro che avevano fatto
la richiesta, capirono la situazione e non si fecero più vedere. Quindi la
confraternita non si formò più. Anche qui l’arcivescovo Lorefice ha ripreso in
qualche modo questa sollecitazione. Negli ultimi anni, c’è stata anche per le
confraternite di Palermo una maggiore attenzione ai componenti, al fatto che ci
fossero anche partecipanti con precedenti penali e per mafia. Quindi, le
confraternite sono state in qualche modo passate al setaccio per evitare il
rischio di infiltrazioni. Naturalmente senza voler criminalizzare tutto il
mondo delle confraternite, però alcuni casi sono emersi e la diocesi è
intervenuta. Quindi anche questo è un altro gesto profetico di Puglisi. Stiamo
vivendo un momento di grande riflessione alla luce dell’eredità di Puglisi, per
cercare di depurare la vita delle parrocchie da tutti questi rischi. Sir 15
Domenica 17 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il
sostentamento dei sacerdoti
I nostri preti sono affidati alla generosità dei fedeli
per poter compiere la propria missione “I sacerdoti, donando sé stessi, ci
insegnano che Dio è la realtà più bella dell’esistenza umana”.
Sono circa 32 mila in Italia i sacerdoti che - come
evidenziato da Papa Francesco - si dedicano agli altri. Non solo ai più
abbandonati ma ad ognuno di noi. Quotidianamente ci fanno spazio, ci offrono il
loro tempo, dividono volentieri un pezzo di strada e ascoltano le nostre
difficoltà.
Per richiamare l’attenzione sulla loro missione, torna
domenica 17 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento
del clero diocesano, celebrata nelle parrocchie italiane.
La Giornata – giunta alla XXXV edizione – permette di
dire “grazie” ai sacerdoti, annunciatori del Vangelo in parole ed opere
nell’Italia di oggi, promotori di progetti anticrisi per famiglie, anziani e giovani
in cerca di occupazione, punto di riferimento per le comunità parrocchiali. Ma
rappresenta anche il tradizionale appuntamento annuale di sensibilizzazione
sulle offerte deducibili. Uno
strumento di grande valore come spiega il responsabile
del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa, Massimo
Monzio Compagnoni: “La Giornata è un appuntamento importante per dire ancora una
volta ai fedeli quanto conti il loro contributo. Non è solo una domenica di
gratitudine nei confronti dei sacerdoti, ma un’opportunità per ricordare che
fin dalle origini le comunità si sono fatte carico di sostenere la Chiesa e
questo dovrebbe, ancora oggi, essere il principio di base che spinge a farsi
carico del sostentamento dei sacerdoti. Come allora l’impegno dei membri della
comunità nel provvedere alle loro necessità è vitale. Le offerte da sempre,
quindi, costituiscono un mezzo per sostenere tutti i sacerdoti, dal proprio
parroco al più lontano. Basta anche una piccola somma ma donata in tanti”.
Nonostante siano state istituite nel 1984, a seguito
della revisione concordataria, le offerte deducibili sono ancora poco comprese
e utilizzate dai fedeli che ritengono sufficiente l’obolo domenicale; in molte
parrocchie, però, questo non basta a garantire al parroco il necessario per il proprio
fabbisogno. Da qui l’importanza di un sistema che permette a ogni persona di
contribuire,
secondo un principio di corresponsabilità, al
sostentamento di tutti i sacerdoti diocesani.
“La Chiesa – aggiunge Monzio Compagnoni – grazie anche
all’impegno dei nostri preti, è sempre al fianco dei più fragili e in prima
linea per offrire risposte a chi ha bisogno”.
Nate come strumento per dare alle comunità più piccole
gli stessi mezzi di quelle più popolose, le offerte per i sacerdoti sono
diverse da tutte le altre forme di contributo a favore della Chiesa cattolica,
in quanto espressamente destinate al sostentamento dei preti al servizio delle
227 diocesi italiane; tra questi figurano anche 300 preti diocesani impegnati
in missioni nei Paesi più poveri del mondo e 2.500 sacerdoti ormai anziani o
malati, dopo una vita spesa al servizio degli altri e del Vangelo. L’importo
complessivo delle offerte nel 2022 si è attestato appena sopra gli 8,4 milioni
di euro in linea con il 2021. È una cifra ancora lontana dal fabbisogno
complessivo annuo, che ammonta a 514,7 milioni di euro lordi, necessario a
garantire a tutti i sacerdoti una remunerazione pari a circa mille euro mensili
per 12 mesi.
In occasione della Giornata del 17 settembre in ogni
parrocchia i fedeli troveranno locandine e materiale informativo per le
donazioni ed avranno la possibilità di ricevere un “dono speciale”: le riflessioni
di Papa Francesco. Basterà inquadrare il Qr code, presente sulla locandina con l’immagine
del Santo Padre e lasciare i propri dati per ricevere via e-mail ogni settimana
i commenti del Papa al Vangelo.
Nel sito www.unitineldono.it è possibile effettuare una
donazione ed iscriversi alla newsletter mensile per essere sempre informati
sulle numerose storie di sacerdoti e comunità che, da nord a sud, fanno la
differenza per tanti.
Per maggiori informazioni:
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Cei 15
Preghiera per la pace: “Cadano presto i muri per i migranti che fuggono
dalle guerre”
Berlino – “Cadano presto i muri, visibili e invisibili,
che dividono i popoli in Europa, Asia, Africa, nelle Americhe, in mezzo al mare
Mediterraneo per i migranti che fuggono dalle guerre! Cadano i muri del cuore
che accecano e non fanno vedere che l’altro è mia sorella e mio fratello!”. E’
quanto si legge nell’Appello per la Pace firmato ieri setra a Berlini dai
rappresentanti delle Religioni mondiali che per tre giorni – su iniziativa
della Comunità di Sant’Egidio, hanno pregato per la pace e “lo hanno fatto in
questo luogo in cui parla la storia: memoria della guerra e del muro che
divideva l’Europa. Proprio qui – scrivono – abbiamo capito che nessun muro è
per sempre”. “Sentiamo oggi con più forza – prosegue l’appello al termine di
tre giorni di incontri e preghuera sul tema “L’audacia della pace ” – la nostra
responsabilità e insieme ci facciamo mendicanti di pace. Non basta la prudenza,
è il tempo dell’audacia! Per questo, a nome di chi non ha voce, diciamo forte:
‘Nessuna guerra è per sempre!’ Pace non significa arrendersi all’ingiustizia:
significa uscire dall’ingranaggio del conflitto che rischia di ripetersi
all’infinito e che nessuno sembra più riuscire a controllare”. “Siamo
consapevoli che o riusciremo a porre fine alle guerre o le guerre porranno fine
all’umanità”, dicono ancora i rappresentanti delle religioni mondiali che il
prossimo anno si sono dati appuntamento a Parigi: “il mondo, la nostra casa
comune, è uno solo: ci è stato dato in eredità e tale lo dobbiamo lasciare alle
future generazioni. Liberiamolo dall’incubo nucleare! Ripartiamo con la
politica del disarmo, fermiamo subito il rumore delle armi”. Per questo occorre
“l’audacia della pace, il coraggio di cominciare a parlarsi mentre c’è ancora
la guerra”. “Abbiamo l’urgenza di ascoltare il grido soffocato della pace.
Dialogare oggi, mentre parlano le armi, non indebolisce la giustizia ma crea le
condizioni di una nuova architettura di sicurezza per tutti. Ripartiamo insieme
dal dialogo che è la medicina più efficace per la riconciliazione dei popoli.
La pace è sempre possibile!”. Ai partecipanti all’incontro anche un messaggio
di papa Francesco. “Continuiamo – scrive il Pontefice – a pregare per la pace
senza stancarci, a bussare, con spirito umile e insistente alla porta sempre
aperta del cuore di Dio e alle porte degli uomini. Chiediamo che si aprano vie
di pace, soprattutto per la cara e martoriata Ucraina”. “Non abbiamo paura di
diventare ‘mendicanti di pace’, unendoci alle sorelle e ai fratelli delle altre
religioni, e a tutti coloro che non si rassegnano all’ineluttabilità dei
conflitti”, esorta papa Francesco. “Occorre infatti andare avanti per valicare
il muro dell’impossibile, eretto su ragionamenti che appaiono inconfutabili,
sulla memoria di tanti dolori passati e di grandi ferite subite”, aggiunge: “È
difficile, ma non è impossibile. Non è impossibile per i credenti, che vivono
l’audacia di una preghiera speranzosa. Ma non dev’essere impossibile nemmeno
per i politici, per i responsabili, per i diplomatici”. Raffaele Iaria, mig.on
13
Vangelo Migrante: XXIV Domenica del tempo Ordinario (Vangelo Mt 18,21-35)
La giustizia non può non essere invasa e pervasa dalla
misericordia. Dio giudica giustificando, gli uomini giudicano giustiziando. Il
Signore ci esorta e ci incoraggia ad aprirci alla forza del perdono, perché
nella vita non tutto si risolve con la giustizia. C’e? bisogno dell’amore
viscerale e materno di Dio che è insieme giustizia e misericordia.
È interessante chiederci, alla luce dell’invito di Gesù a
non quantificare la misura del perdono, su quale versante giocare la
connessione tra giustizia e misericordia: su quello dell’intelligenza che
spesso risulta essere aridità di sentimenti, difficoltà di rapporti,
astrattezza di vissuto, opinabilità di giudizio, o su quello dell’amore che è
grande nel perdono, sensibile nei rapporti, delicato nei giudizi, profondo nei
sentimenti, duraturo nell’espressione?
Non creiamoci, dunque, un tribunale nel cuore in cui gli
altri sono gli accusati ed i colpevoli e noi gli innocenti perseguitati: non
condanniamo, non giudichiamo, scopriamo la via della misericordia e del
perdono, non pretendiamo che valga soltanto il nostro giudizio, facciamo luce
sulle situazioni, pronti a cambiare e a fare strada alla verità che non
possediamo ma ci possiede.
Il Vangelo di questa domenica e? un’esortazione forte e
chiara a spezzare la spirale della vendetta e la catena dell’odio, disarmando
la prigione del rancore e dell’ira, un invito accorato a pronunciare con
prudenza, accortezza e cautela la quinta delle sette domande sulle quali è
costruita la preghiera del “Padre Nostro”, di cui questa parabola sembra quasi
una parafrasi: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai
nostri debitori”.
La parola centrale è il “come” (kàtos), non solamente nel
suo significato di complemento di paragone, ma soprattutto nella sua accezione
“causale”: perdonarci vicendevolmente “siccome” lui ci ha perdonati e continua
a perdonarci mediante il suo Spirito, appunto, per il fatto, che anche noi siamo
messi in grado, siamo messi nelle condizioni di perdonarci gli uni gli altri
come il Signore ha fatto e continua a fare con noi, facendoci incamminare verso
quella felicità che prova il “Dio in ginocchio” nel servire le sue amate
creature.
Noi non siamo in grado di cambiare gli altri, possiamo
solo, e con fatica, cambiare noi stessi. È attraverso questo
cambiamento-trasformazione che possiamo avvicinarci a qualsiasi “altro”, che
saprà, forse, cogliere l’amore ri-conquistato nella libertà. È l’arte di ricominciare
che richiede coraggio, resilienza e adattabilità. Il coraggio che ci spinge a
intraprendere nuove strade, a metterci in gioco e a superare le resistenze
interiori che possono ostacolarci; la resilienza come capacità di affrontare le
avversità, le sfide e le delusioni senza soccombere; l’adattabilità come spinta
a modificare i nostri comportamenti, le nostre abitudini e le nostre
aspettative in risposta alle nuove circostanze.
Insomma, un viaggio che richiede impegno, pazienza e un
profondo lavoro interiore, un’opportunità straordinaria per la crescita
personale, un cambiamento positivo e il raggiungimento di nuovi obiettivi e
realizzazioni. Chi blocca questo circolo virtuoso della misericordia condanna
se stesso al fallimento. Il risentimento ci fa coniare la moneta falsa del
giudizio e della calunnia. Il perdono, invece, ci aiuta a far splendere sul
nostro volto il sole della giustizia e lo splendore della bontà. (Doriano
Vincenzo De Luca) Mig.on 14
Una comunità da ascoltare. “I mass media sanno ascoltare la Chiesa?”
L’interrogativo, in apertura dell’ultimo Portaparola di
Avvenire (12 settembre 2023), rilancia la riflessione avviata dopo la Gmg di
Lisbona circa il racconto mediatico dei “fatti religiosi”. Una questione,
certamente non nuova, passata nel tempo da letture ideologiche a una sorta di
disinteresse informativo. Nelle diverse opinioni raccolte dal quotidiano
emergono alcune parole chiave che possono offrire elementi per invertire la
tendenza: riscoprire il valore della prossimità nell’informazione; cogliere il
digitale come opportunità; contrastare l’indifferenza con una nuova passione…
Tre sollecitazioni che chiamano a un piano di lavoro condiviso e condivisibile.
Un’occasione concreta per il mondo ecclesiale di uscire dalla paura dell’isolamento
e rompere il processo di adattamento all’opinione generale. La Chiesa non è una
potenziale outsider ma una comunità viva.
Vincenzo (Ucs 13)
La regola di San Francesco compie 800 anni
Fra Giulio Cesareo la racconta la "sfida" dell'
"essere in regola" secondo lo slogan del Cortile dei Gentili - Di
Simone Baroncia
Assisi. Ad Assisi dal 14 al 16 settembre si celebra
ancora una volta il "Cortile dei Gentili". 30 appuntamenti con
incontri, spettacoli, esperienze guidate e attività per i più piccoli nel
consueto appuntamento del ‘Cortile dei bambini’, conclusa dalla compagnia delle
‘Donne del Muro Alto’ (composta da ex detenute del carcere di Rebibbia di Roma)
con la rappresentazione teatrale di ‘Medea in sartoria’ nella piazza Inferiore
di san Francesco alle ore 21.00 di sabato 16 settembre.
I temi di quest’edizione sono stati illustrati da fra
Giulio Cesareo, direttore dell’Ufficio Comunicazione del Sacro Convento di San
Francesco. L’evento culturale si inserisce nel cammino del grande centenario
francescano articolato in cinque anniversari su quattro anni (2023-2026), come
ci racconta fra Giulio Cesareo: “Il primo di questi anniversari (l’ottavo
centenario dell’approvazione della ‘Regola’ di san Francesco, custodita
nell’omonima basilica, da parte di papa Onorio III) ha offerto l’ispirazione
per il tema di questa edizione del Cortile di Francesco: le regole per la vita
bella e buona a cui tutti aneliamo a livello individuale e comunitario. Al
contempo, questa sarà l’occasione per riflettere insieme agli ospiti di questa
edizione dell’evento, e vivere un’esperienza di arricchimento reciproco a
partire dai vari significati che questo tema può assumere dal punto di vista
politico e scientifico, religioso e filosofico, psicologico e sociale”.
Quale è l’importanza delle regole?
“Parlare di regole oggi è davvero una sfida, perché esse
possono essere percepite o possono porsi come ostacolo alla libertà personale;
di per sé, esse dovrebbero essere, al contrario, la misura di ciò che ci fa
bene. In questo senso le regole possono essere intese come una condizione dello
sviluppo autentico della socialità dal punto di vista del bene comune, della
pace e della solidarietà, una sorta di ‘letto del fiume della libertà
individuale’, che le permette di raggiungere i suoi obiettivi, senza che la
persona si ritrovi schiava di desideri e progetti autodistruttivi”.
Cosa significa ‘Essere in regola’?
“Questa espressione in italiano corrente sta a indicare
la situazione di chi ha adempiuto ai suoi doveri o a delle condizioni
richieste: proprio per questo non può essere sanzionato. Infatti, se io sono in
regola con il pagamento delle bollette, sono tranquillo perché non mi possono
staccare l’acqua. Nel contesto del nostro Cortile di Francesco 2023 abbiamo
fatto ricorso a questa espressione, però, per forzarla un po’: concepiamo
l’ ‘essere in regola’ come sinonimo di ‘lasciarsi regolare’ o meglio nel
senso di ‘scoprire che la vita è regolata e che viceversa quando è sregolata si
ammala’. Da questo punto di vista ‘essere in regola’ è un modo in fondo per
riflettere sulla nostra libertà, sulla nostra responsabilità che sono alla base
della felicità, sia a livello singolare che comunitario”.
Per quale motivo san Francesco diede una regola?
“In realtà la regola nasce nella mente di Francesco non
per regolamentare/organizzare (forse perfino imbrigliare) la vita sua e dei
frati. Al contrario egli decide di scrivere la regola (che era in qualche modo
il manifesto, la visione della vita sua e dei suoi fratelli alla sequela di
Gesù) per chiedere al papa se il loro stile di vita fosse di fatto conforme al
Vangelo stesso. E, sappiamo, solo la Chiesa (nonostante errori e povertà) è in
grado di riconoscere ciò che appartiene a Cristo e al suo Vangelo. Quindi
Francesco va dal papa non per dirgli: ‘Ci approvi questo stile di vita, che è
quello che abbiamo scelto io e i miei fratelli?’ Piuttosto va dal papa con la
regola per chiedergli: Questa è la vita che conduciamo: ti sembra che sia
conforme al Vangelo? O ci siamo sbagliati?“
A cosa servono le regole?
“Io paragonerei le regole a delle ringhiere di un grande
e bel terrazzo, che proteggono lo spazio del terrazzo vero e proprio dal
pericolo di cadere nel vuoto. Se ci sono le ringhiere, sul terrazzo si può
ballare, si può correre, si può stare spensierati… se non ci sono le ringhiere,
il terrazzo è pericoloso e non si vive sereni e liberi, ma paradossalmente si è
vittima della paura di cadere. Così le regole che l’umanità si è data nel corso
della sua storia - regole diverse a seconda dei contesti culturali, storici,
religiosi, sociali - sono sempre migliorabili (come ogni ringhiera), ma sono
nate essenzialmente come un sostegno alla nostra libertà, per non cadere nel
rischio dell’autoaffermazione egoista, che fa sempre male, a sé e agli altri.
Come tutte le cose, anche le regole possono e devono talora essere
riviste, corrette… ma ciò non toglie che senza ringhiere, in terrazzo non si
sta bene!”
Esiste un nesso tra regola e fraternità?
“La fraternità è uno stile di vita in cui il centro non
sono le esigenze individuali, ma la scoperta che il vero bene dell’io è la
relazione con l’altro. E questo chiede a chiunque si sente chiamato ad assumere
la fraternità come propria dimensione esistenziale una vigilanza continua,
perché i ‘rigurgiti’ del nostro egoismo individuale sono sempre in agguato: in
questo senso la regola di Francesco (che è, secondo le parole stesse del Santo,
‘midollo del Vangelo’) è una roadmap che mostra costantemente il cammino della
fraternità e permette così di smascherare le tentazioni di intraprendere
sentieri che conducono all’esagerata affermazione di sé e in definitiva
all’isolamento. Da questo punto di vista la regola è un sostegno (come
accennavo prima) alla vita di fraternità che scegliamo nel cuore ma che va
riscelta ogni giorno, proprio quando con fiducia in sé e negli altri preferiamo
lottare per il ‘noi’, piuttosto che scadere in un battere i pugni sul tavolo
per affermare il nostro ‘io’”.
La regola è ostacolo alla libertà personale?
“Di per sé la regola è un sostegno alla libertà
personale, così come le regole del calcio ci permettono di giocare, divertirci
e competere in maniera onesta e rispettosa. In maniera analoga la regola di
vita è garanzia di equità e giustizia nelle relazioni. Altresì, la regola può
diventare certamente un ostacolo ala libertà personale, se le persone che sono
coinvolte nella relazione rinunciano a con creatività e rispetto e ‘si
accontentano’ dello status quo. Quando le persone non sognano più di crescere
comunitariamente, trasformano la regola/le regole in un idolo che, anziché
essere una ringhiera per proteggere la nostra autonomia, assume la forma della
grata di un carcere… La regola dunque è utile, indispensabile, ma non è tutto:
prima e sopra di essa ci sono sempre le persone, con le loro relazioni fatte di
amore, creatività e rispetto”.
Dopo 800 anni quale è l’attualità della Regola di san
Francesco?
“La sua attualità, sopratutto per i credenti, è proprio
il fatto che essa sia una sintesi esistenziale del Vangelo. Ed il Vangelo non è
un codice etico o procedurale, ma la bella notizia di Dio amico degli uomini,
che opera incessantemente affinché l'umanità viva come una sola famiglia, nella
solidarietà. E questo è inseparabile da un impegno concreto per la giustizia e
le pari opportunità per tutti, soprattutto per chi è ai margini ed a vario
titolo ‘non ce la fa’. A partire dalla bella notizia del Vangelo siamo chiamati
a elaborare il nostro cammino e a fare le nostre scelte (individuali e
comunitarie) affinché il nostro mondo sia sempre più la nostra ‘Casa comune’
(come dice papa Francesco), la casa della fraternità e della giustizia per
tutti”. Aci 12
La Bibbia di Gutenberg in Orbita nello spazio con Ax- 3
Roma - "Con la Missione AX- 3 programmata per il 10
gennaio 2024 arriva nello spazio la Bibbia di Gutenberg. Il primo foglio
galleggiante nello spazio". E' la notizia del giorno, quella che non ti
aspetti di trovare nello spazio dell'alta tecnologia e dell'hi tech quando
parli di cultura, di antichi libri, di opere simbolo della storia moderna. Lo
ha annunciato stamane alla Camera dei Deputati, durante la conferenza stampa di
presentazione della riedizione della Bibbia di Gutenberg, Roberto Giurano,
presidente della Fondazione Scriptorium Foroiulense che ha ideato e curato il
prestigioso progetto culturale. Un lavoro durato un anno, che ha coinvolto
"40 persone" e raggiungerà cinque nazioni. Una copia "andrà al
museo della Bibbia di Washington, un'altra a Kiev in questo luogo
martoriato" ha anticipato Giurano che con emozione ha dato l'annuncio di
questo 'viaggio' speciale per l'opera che più di altre racchiude in sè i valori
dell'Europa e un messaggio di pace. Ma non è tutto. Le attività culturali della
Scuola Italiana Amanuensi, hanno anche una forte attenzione al sociale, tanto
da includere nei lavori anche ragazzi con disabilità e di raggiungere terre
'difficili'. E proprio su proposta del deputato Walter Rizzetto, presidente
della Commissione Lavoro alla Camera e presente oggi, la Bibbia dalle grandi
capitali arriverà anche a Caivano. Ed è una nuova sfida.
"Il 2 ottobre una copia della Bibbia- ha aggiunto
sempre Giurano- sara' consegnata al Palazzo dell'Aeronautica", dove
rimarrà esposta.
Alla conferenza stampa hanno partecipato, tra gli altri,
Barbara Zilli assessora al Bilancio della Regione Friuli Venezia Giulia; Pietro
Valent, sindaco di San Daniele del Friuli; Leticia Casati, ambasciatrice del
Paraguay; il deputato Graziano Pizzimenti; il Generale dell'Aeronautica
Militare Urbano Floreani, mentre il direttore del Museo della Bibbia di
Washington da remoto ha rivolto il suo invito alla scuola Amanuensi di andare
presto al Museo per la presentazione.
Anche il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica
militare, Generale Luca Goretti e il ministro per i rapporti con il Parlamento
Luca Ciriani hanno mandato un videomessaggio di gratitudine e vicinanza
per l'importante progetto culturale.
"E' stato facile innamorarsi del progetto- ha detto
il Generale Urbano Floreani dell'Aeronautica militare- un foglio di questo
libro soggiornerà nello spazio e questo è un bellissimo regalo che possiamo
fare alla Fondazione".
Vicinanza e orgoglio dalle Istituzioni del territorio
regionale che hanno partecipato. "Ci saremo e vi sosterremo sempre",
ha assicurato l'assessora al Bilancio della Regione Friuli Barbara Zilli. E il
sindaco di San Daniele Friuli, dove la Scuola italiana Amanuensi ha sede,
Pietro Valent, ha ribadito tutto il suo orgoglio: "E' la copia di un testo
molto importante che unisce i popoli e persone che hanno fragilità e
disabilità".
Ad Enio Agnola, consigliere della Scuola Italiana
Amanuensi nata nel 2012 e ora Fondazione di Promozione Sociale, il compito di
ripercorrere la storia di questi "11 anni di attività culturale.
Dall'opificio librorum, al 'Dante guarderiano' dato al Presidente della Repubblica,
o ancora il Vangelo secondo Marco donato al Papa", e i tanti rapporti
internazionali: "Dagli USA al Kazakistan e ora il Paraguay"
all'insegna di una storia volta a insegnare, questa l'attività principale,
l'arte Calligrafica Antica.
"Superare tutti i confini è il messaggio che
vogliamo dare", ha concluso Giurano e tra confini extraterresti e capitali
del mondo non resta che augurare 'buon viaggio' alla Bibbia di Gutenberg, primo
libro stampato in Europa con la tecnica dei caratteri mobili che oggi, dopo secoli,
torna a splendere. Dip 13
Papa Francesco: "Non possiamo abituarci agli incidenti sul
lavoro"
Il Papa riceve i Membri dell’Associazione Nazionale fra
Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. "Grazie per quello che
continuate a fare per la tutela e la rappresentanza delle vittime di infortuni
sul lavoro, delle vedove e degli orfani dei caduti. Ancora ho in mente i cinque
fratelli ammazzati da un treno mentre stavano lavorando. Grazie perché tenete alta
l’attenzione sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove accadono
ancora troppe morti e disgrazie". Con parole di ringraziamento Papa
Francesco ha accolto questa mattina in Vaticano i Membri dell’Associazione
Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro in occasione dell’80.mo
anniversario della fondazione.
"Grazie per le iniziative che promuovete per
migliorare la legislazione civile in materia di infortuni sul lavoro e di
reinserimento professionale delle persone che si trovano in condizione di
invalidità. Si tratta, infatti, non solo di garantire la giusta cura
assistenziale e previdenziale verso chi soffre forme di disabilità, ma anche di
dare nuove opportunità a persone che possono essere reinserite e la cui dignità
chiede di essere riconosciuta in pienezza. Grazie, infine, per la vostra opera
di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla prevenzione degli infortuni e
sulle politiche della sicurezza, in particolare in favore delle donne e dei
giovani", continuano i grazie del Papa nel suo discorso.
L’ANMIL assiste e tutela la categoria da 80 anni,
esattamente dal 1943, promuovendo iniziative tese a migliorare la legislazione
in materia di infortuni sul lavoro e di reinserimento lavorativo e offrendo
numerosi servizi di sostegno personalizzati in campo previdenziale ed
assistenziale.
Per Francesco "le tragedie iniziano quando il fine
non è più l’uomo, ma la produttività, e l’uomo diventa una macchina di
produzione. La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo
della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre
troppo tardi!".
"Ma non possiamo abituarci agli incidenti sul
lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni. Non possiamo
accettare lo scarto della vita umana. Le morti e gli infortuni sono un tragico
impoverimento sociale che riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie
coinvolte", dice il Pontefice.
"La sicurezza sul lavoro è parte integrante della
cura della persona. Anzi, per un datore di lavoro, è il primo dovere e la prima
forma di bene. Sono invece diffuse forme che vanno in senso opposto e che in
una parola si possono chiamare di carewashing. Accade quando imprenditori o
legislatori, invece di investire sulla sicurezza, preferiscono lavarsi la
coscienza con qualche opera benefica. È brutto. Questo è il primo lavoro:
prendersi cura dei fratelli e delle sorelle, del corpo dei fratelli e delle
sorelle. La responsabilità verso i lavoratori è prioritaria: la vita non si
smercia per alcuna ragione, tanto più se è povera, precaria e fragile. Siamo
esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio. E tante
volte alcuni operatori sono trattati come pezzi di ricambio", conclude
infine Papa Francesco. Aci 11
Beatificazione della famiglia Ulma. “Una famiglia unita a Cristo nella
testimonianza”
Il legame della famiglia Ulma è tale che non può essere
spezzato. Così, Jozef, Wiktoria, i loro sei bambini e un settimo senza nome
sono beati. È la prima volta di una famiglia - Di Andrea Gagliarducci
Markowa. Il matrimonio come sacramento che unisce tutta
la famiglia, anche nel martirio. Un bambino che vede la luce forse per un solo
secondo (non lo sappiamo) e che per questo riceve il Battesimo del sangue ed è
oggi un beato senza nome. Una famiglia martire perché ha vissuto l’esperienza
del Buon Samaritano. Gli Ulma, Jozef, Wiktoria e i loro figli Stanistawa di 8
anni, Barbara di 7 anni, Wladystaw di 6, Franciszek di 4, Antoni di 3, Maria di
2, e il bimbo senza nome che vedeva la luce forse nel momento del martirio
della madre, sono beati.
È una beatificazione eccezionale. È la prima volta che
una famiglia viene beatificata insieme. Ed è una beatificazione che rinsalda
anche il dialogo tra cattolici ed ebrei. Perché gli Ulma sono martiri per aver
ospitato il popolo dell’Alleanza. Sapevano sarebbero potuti morire. Non hanno
esitato a comportarsi come il Buon Samaritano. E il fatto che la beatificazione
ricordi anche le famiglie ebree uccise con loro rappresenta, forse più di ogni
cosa, il legame profondo tra il Popolo dell’Alleanza e i cristiani.
Infatti, ci sono anche i rappresentanti della comunità
ebraica alla beatificazione, incluso il Rabbino Capo di Polonia. Sono arrivate
circa 30 mila persone, da Polonia, Germania, Ucraina, anche Bielorussia, a
piedi da ogni dove, con i bambini, nella grande spianata dietro il cimitero di
Markowa, che a sua volta si trova a pochi passi dalla parrocchia di Santa
Dorotea. Costruita negli anni Dieci del secolo scorso, la parrocchia è stata
testimone della vita degli Ulma, attivi in parrocchia, vicini ai poveri. Una
famiglia normale, cattolica, a suo modo brillante – Jozéf aveva sviluppato un
particolare sistema di arnie, che vinse un premio e che ancora viene usato;
Wiktoria insegnava, conosceva il tedesco – forgiata nella fede cristiana, che
in quella chiesa a pochi passi dall’altare dove si celebra la beatificazione si
è sposata, ha battezzato i bambini, ha preso parte ogni domenica alla Messa.
Nel cimitero c’è la tomba degli Ulma. C’erano quattro
bare, i bambini messi a due a due, i genitori in una ciascuno, quando i corpi
furono recuperati di nascosto e in fretta dopo che, quella terribile notte tra
il 23 e il 24 marzo 1944, erano stati uccisi da un commando tedesco insieme
alle due famiglie ebree che nascondevano. “Uccidete anche i bambini”, era stato
l’ordine, tremendo, arrivato dai tedeschi. Uccisero anche il bambino che
Wiktoria portava in grembo, in stato avanzato di gravidanza, la cui testa si
trovò parzialmente uscita dal corpo della madre quando questo fu recuperato.
Non sappiamo per quanto abbia visto la luce. Ma anche lui è beato.
Il Cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero
per le Cause dei Santi, celebra sull’altare. Se si sporgesse, vedrebbe le case
con il tetto di paglia del vecchio villaggio di Markowa, conservate per non
dimenticare. In quelle case, altri ebrei venivano nascosti, in locali segreti
dietro la paglia in attici caldissimi di estate e freddissimi di inverno.
Tutti, a Markowa, sapevano. Eppure, c’era solidarietà, nonostante il pericolo
della guerra e dell’occupazione nazista. Dei 120 ebrei di Markowa sopravvissuti
dopo la guerra, ben 21 erano stati salvati dalle famiglie del posto. Viene da
chiedersi perché gli Ulma siano stati traditi.
Il Cardinale Semeraro sottolinea: “Sarebbe fuorviante se
il giorno della beatificazione della famiglia Ulma servisse solo a riportare
alla memoria il terrore per le atrocità perpetrate dai loro carnefici, sui
quali per altro già pesa il giudizio della storia. Vogliamo invece che oggi sia
un giorno di gioia, perché la pagina del Vangelo scritta sulla carta è divenuta
per noi una realtà vissuta, che luminosamente risplende nella testimonianza
cristiana dei coniugi Ulma e nel martirio dei nuovi Beati”.
Ricostruisce il Cardinale: “Nel 1942 Józef e Wiktoria
Ulma aprirono le porte della loro casa e diedero accoglienza a otto ebrei,
perseguitati dal regime del nazismo tedesco. Oggi, insieme ai nuovi Beati,
vogliamo ricordare anche i loro nomi. Si è trattato di Saul Goldman con i loro
figli Baruch, Mechel, Joachim e Moj?esz nonché di Go?da Grünfeld e Lea Didner
insieme con la piccola figlia Reszla”.
Ma perché avevano deciso di ospitare queste famiglie?
Perché Jozéf era “onesto, laborioso e desideroso di mettersi a disposizione
degli altri”, l’altra “cordiale, mite, sensibile alle necessità altrui”,
cresciuti in un amore di Dio che trasmettevano ai figli, unendo la famiglia non
solo “per i legami di sangue”, ma anche dalla “comune testimonianza data a
Cristo fino al dono della propria vita”.
Il cardinale Semeraro spiega che il tema dell’accoglienza
spiega la beatificazione degli Ulma. La famiglia Ulma, sottolinea, ci insegna
ad accogliere la parola di Dio, che leggevano ogni giorno sulla loro Bibbia
consumata, e che vivevano nella liturgia domenicale. Una vita cristiana, di
“santità della porta accanto”, come direbbe Papa Francesco.
Era una famiglia aperta alla vita, e non si può non
ricordare “la piccola creatura che Wiktoria portava in grembo e che veniva alla
luce nel travaglio della carneficina della madre”, un beato senza nome, la cui
“voce innocente che vuole scuotere le coscienze di una società dove dilaga
l’aborto, l’eutanasia e il disprezzo della vita vista come un peso e non come
un dono”.
Quindi, il tema dell’accoglienza dell’altro, specie chi è
più bisognoso, perché “l’accoglienza è espressione di fraternità”. Il Cardinale
Semeraro nota che “questa riunione di famiglie ebree e una famiglia cattolica
nello stesso martirio ha un significato molto profondo e offre la luce più
bella sull’amicizia ebraico-cristiana, a livello sia umano, sia religioso”,
perché “l’odio dei persecutori per gli ebrei era, al suo livello più
profondo, l’odio per il Dio dell’Alleanza, l’Antica e la Nuova nel sangue di
Cristo”. Aci 10
Centenario della nascita. La lezione di don Milani
L’errore più grande che potremmo fare, nel centenario
della nascita di don Lorenzo Milani, è quello di considerare la sua vita, la
sua testimonianza, la sua profezia scomode soltanto per la Chiesa e la società
italiane degli anni cinquanta e degli anni sessanta.
Non c’è molto di consueto nel giovane prete che, fino a
vent’anni, ha goduto i privilegi di una famiglia benestante e cosmopolita e
dopo “l’indigestione di Gesù Cristo”, nell’estate del 1943, cambia vita e da
ricco si fa povero per condividere con i più poveri la ricchezza del suo sapere
e la sua fede. La radicalità delle sue scelte, le prese di posizione in favore
del diritto di sciopero e contro il lavoro minorile, l’appoggio agli obiettori
di coscienza, la convinzione che per comunicare il Vangelo è necessario
risvegliare l’umano nei giovani operai sfruttati di Calenzano e nei figli
analfabeti dei contadini del Mugello, appaiono provocazioni imperdonabili ai
conservatori, sia negli ambienti ecclesiastici che in quelli politici del suo
tempo. Da qui le incomprensioni, l’esilio a Barbiana, la solitudine, ma anche
il riscatto e la profezia che ha superato i confini di una vita troppo breve e
di una Chiesa e di una società troppo anguste e ha raggiunto, nel tempo e nello
spazio, le coscienze libere di tanti cristiani e di tanti cittadini.
In questo centenario vorremmo restituire don Lorenzo a sé
stesso, farlo parlare senza filtri, superare le caricature che gli hanno cucito
addosso e, soprattutto, farci scomodare dall’attualità della sua testimonianza
ecclesiale e civile. L’aveva già fatto papa Francesco a Barbiana nel 2017,
riconoscendo in lui «un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la
Chiesa stessa», e l’ha fatto il presidente Mattarella aprendo, sempre a
Barbiana, il Centenario di «un grande italiano che ci ha invitato all’esercizio
di una responsabilità attiva». Don Milani è stato, prima di tutto, un
innamorato di Dio e dei poveri. Lo è stato da prete, sempre con l’abito talare,
scomodissimo e obbedientissimo alla sua Chiesa dalla quale non si sentiva
accolto e compreso, ma verso la quale ha sempre mendicato amore e spirito di
comunione.
Non è scontato richiamare l’attualità del priore di
Barbiana a partire dalla radicalità del suo amore verso Gesù e dall’ansia di
giustizia per gli scarti della società, al centro della sua cura pastorale e
del significato del suo stesso sacerdozio. Eppure, dovremmo interrogarci come
battezzati e come comunità ecclesiale sulla nostra fedeltà al Vangelo. Chi sono
oggi i giovani operai di Calenzano o i figli dei contadini del Mugello ai quali
don Lorenzo voleva restituire la parola, quella sacra del Vangelo e quella
laica dei giornali e dei contratti di lavoro, per riscattare la loro dignità?
Don Milani è stato un precursore del concilio Vaticano
II. E il volto della Chiesa in uscita che ci consegna il magistero di Francesco
potrebbe riconoscersi nella sua testimonianza di prete e di educatore. La
scuola è il suo “ottavo sacramento”, perché amare i poveri significa colmare
“l’abisso dell’ignoranza” prima causa di emarginazione. «Il mondo», diceva, «si
divide in due categorie. Un uomo ha mille parole. Un uomo ha cento parole».
Fare scuola agli ultimi, prima a Calenzano e poi a Barbiana, è la via per
superare diseguaglianze e «risvegliare l’umano per aprirlo al divino». La sua
era una pedagogia esigente ma accogliente. Nella Lettera a una professoressa ci
ricorda che la scuola che respinge i ragazzi difficili è come un ospedale che
cura i sani e respinge i malati.
Sono passati più di sessant’anni, eppure l’Italia è tra i
Paesi europei con il più alto tasso di abbandono scolastico. Come negli anni
’50 e ’60 è una dispersione classista: colpisce i figli delle famiglie più
povere, le zone più periferiche del Paese, è più alta negli istituti professionali
che nei licei. Troppi giovani completano il ciclo scolastico senza il grado di
cultura che dovrebbe essere loro assicurato. Per numero di laureati non
competiamo con la Germania o con la Francia, ma con l’Ungheria e la Romania.
Migliaia di figli di immigrati o minori non accompagnati che arrivano in Italia
non hanno accesso a studi regolari. Quanti italiani e italiane possiedono la
quantità e la qualità di parole necessarie per stare al mondo, nel mondo
globalizzato di oggi?
Non renderemmo tuttavia ragione a quel giovane e
irrequieto prete se non ricordassimo che lo scopo principale della sua scuola
era quello di formare cittadini e cittadine sovrane. Don Milani insegna ai suoi
ragazzi e alle sue ragazze ad avere cura gli uni degli altri. Il motto I care ancora
appeso nella piccola aula di Barbiana non ammette cedimenti sentimentali. È un
messaggio esigente: è il contenuto stesso della politica come costruzione del
bene comune, impegno per la giustizia e la pace. È il contrario
dell’individualismo, del “me ne frego” fascista, dell’avarizia. La funzione
della scuola, dirà nella Lettera ai giudici, non è solo quella di insegnare a
rispettare la legge, ma anche quella di cercare leggi più giuste e cambiare
quelle che non difendono i deboli e gli oppressi ma i privilegi dei più forti.
Di fronte all’assenteismo elettorale crescente,
all’antipolitica dilagante, alla delegittimazione della partecipazione
politica, alla disaffezione verso i beni comuni, alla corsa alle soluzioni
individualiste, ma soprattutto di fronte all’umiliazione dell’esercizio della
rappresentanza da parte di classi dirigenti sempre meno formate ed eticamente
attrezzate, l’insegnamento di don Lorenzo appare d’una attualità sconvolgente.
Ci inchioda don Milani anche sul tema della pace. Morì da
imputato, sotto processo, per aver difeso gli obiettori di coscienza al
servizio militare. Oggi, in Italia non esiste più la leva obbligatoria anche
grazie a un ministro che oggi è presidente della Repubblica, ma il mondo è
sempre in guerra e si ostina ad applicare l’antico principio: “Se vuoi la pace
prepara la guerra”. La corsa agli armamenti non si ferma e nel cuore
dell’Europa si combatte un conflitto con evidenti ricadute mondiali. Non
sappiamo cosa direbbe oggi il priore di Barbiana, ma forse potremmo riprendere
la Lettera ai cappellani militari nella quale affermava che rileggendo la
storia d’Italia alla luce della art. 11 della Costituzione non aveva trovato
neanche una guerra giusta. Forse faceva eccezione per la Resistenza al
nazifascismo. Rosy Bindi, Vita Past. sett.
Papa Francesco: "Il chiacchiericcio è una peste"
Al termine dell'Angelus il Papa ha pregato per il Marocco
e l'Ucraina, ricordando la beatificazione della famiglia Ulma in Polonia - Di
Marco Mancini
Città del Vaticano. La correzione fraterna “è una delle
espressioni più alte dell’amore, e anche delle più impegnative. Quando un
fratello nella fede commette una colpa contro di te, tu, senza rancore, aiutalo
correggendolo. Purtroppo, invece, la prima cosa che spesso si crea attorno a
chi sbaglia è il pettegolezzo, in cui tutti vengono a conoscere lo sbaglio, con
tanto di particolari, tranne l’interessato! Questo non è giusto e non piace a
Dio”. Lo ha detto il Papa, stamane, introducendo l’Angelus domenicale.
“Il chiacchiericcio – ha ribadito nuovamente Papa
Francesco - è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché
porta divisione, sofferenza e scandalo, e mai aiuta a migliorare e a crescere”.
Gesù ci insegna come correggere il fratello che sbaglia.
“Parlaci a tu per tu, lealmente, per aiutarlo a capire dove sbaglia.
Fallo per il suo bene, vincendo la vergogna e trovando il coraggio vero, che
non è quello di sparlare, ma di dire le cose in faccia con mitezza e
gentilezza”.
Non bisogna “mettere una persona alla gogna,
svergognandola pubblicamente, bensì unire gli sforzi di tutti per aiutarla a cambiare.
Puntare il dito contro non va bene, anzi spesso rende più difficile per chi ha
sbagliato riconoscere il proprio errore. Piuttosto, la comunità deve far
sentire a lui o a lei che, mentre condanna l’errore, è vicina con la preghiera
e con l’affetto alla persona, sempre pronta a offrire il perdono e a
ricominciare”.
“Desidero esprimere – ha detto il Papa al termine della
recita dell’Angelus - la mia vicinanza al caro popolo del Marocco colpito da un
devastante terremoto; prego per i feriti, per coloro che hanno perso la vita e
per i loro familiari ringrazio i soccorritori e quanto si stanno adoperando per
alleviare le sofferenze della gente. Il concreto aiuto di tutti possa sostenere
la popolazione in questo tragico momento: siamo vicini al popolo del Marocco”.
“Oggi in Polonia – ha aggiunto - sono stati beatificati i
martiri Giuseppe e vittoria Ulma e i loro 7 figli sterminati dai nazisti il 24
Marzo 1944 per aver dato un rifugio ad alcuni ebrei. Essi rappresentano un
raggio di luce, siano per noi un modello da imitare. Sentiamoci chiamati a
opporre alle armi, la carità, la tenacia della preghiera, facciamolo per i
paesi che soffrono per la guerra e intensifichiamo la preghiera per l’Ucraina
che soffre tanto”.
Il 12 settembre – ha concluso il Papa – “il caro popolo
etiope celebra il suo tradizionale Capodanno: desidero porre i più cordiali
auguri all'intera popolazione auspicando che sia benedetta con i doni della
riconciliazione fraterna e della pace”. Aci 10
Il no delle religioni alla guerra: a Berlino l’incontro internazionale per
la pace
Roma – In un tempo in cui nuovi muri si innalzano e
aumenta la rassegnazione di fronte a guerre che si eternizzano, come quella in
Siria, e al drammatico conflitto che si combatte ancora, dopo un anno e mezzo,
in Ucraina, il popolo della pace si darà appuntamento a Berlino, dal 10 al 12
settembre, per l’Incontro internazionale “L’audacia della pace”, il
trentasettesimo nello “spirito di Assisi”, dopo la prima preghiera delle
religioni mondiali voluta da Giovanni Paolo II.
Promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione
con la Chiesa cattolica e quella evangelica di Berlino, l’evento prevede
un’assemblea inaugurale, 20 forum tematici e una cerimonia finale. Come ha
spiegato il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, la scelta di Berlino
è altamente simbolica: “In una stagione che vede risorgere tanti muri e
crescere polarizzazioni preoccupanti, l’esempio di una città, grande capitale
europea, dove un muro è caduto per la forza delle democrazie, del dialogo e
della pazienza di costruire canali di pace, è fondamentale e dà speranza per il
futuro”.
Numerosi i leader religiosi e le personalità delle
istituzioni e del mondo della cultura che interverranno, provenienti da 33
paesi di tutti i continenti. Tra loro il presidente e il cancelliere tedeschi,
Frank-Walter Steinmeier (all’inaugurazione) e Olaf Scholz (in dialogo, in un
forum, con Andrea Riccardi), il presidente della Guinea Bissau Umaro Sissoco
Embalò, il Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb, il presidente della
Conferenza dei rabbini europei, Pinchas Goldschmidt, il cardinale Matteo Zuppi
e il patriarca assiro Mar Awa Royel dall’Iraq, insieme a delegazioni di diverse
Chiese cristiane, dell’islam, dell’ebraismo e delle altre religioni mondiali, con
delegazioni dal Giappone e dall’India per il buddismo e l’induismo.
Il programma prevede l’inaugurazione nel pomeriggio
di domenica 10 settembre e, a seguire, 20 forum nella giornata di lunedì 11 e
nella mattina di martedì 12 su temi come la crisi ambientale, i migranti, il
dialogo interreligioso, la democrazia nell’età contemporanea, la
globalizzazione, il disarmo e l’intelligenza artificiale. La cerimonia finale
si svolgerà davanti alla Porta di Brandeburgo il pomeriggio del 12 settembre
dove è atteso un messaggio di Papa Francesco e verrà letto l’appello di pace
delle religioni mondiali. Previste anche testimonianze da paesi in guerra, come
l’Ucraina e l’Afghanistan. Dip 10
Apostolato del mare: la fraternità per sovvertire una cultura che condanna alla
solitudine
La fatica e la solitudine dei marittimi, le migrazioni e
l’incontro tra culture, la cura del creato e la biodiversità, il primato
dell’economia a scapito della dignità delle persone: sono "le sfide"
a cui la Chiesa è chiamata a dare una risposta. Se ne è parlato durante il
secondo convegno dell’Apostolato del mare in Italia a Civitavecchia -
Alberto Colaiacomo
“Una terapia di fraternità per sovvertire una cultura che
condanna i marittimi alla solitudine e isola; genera freddezza ed esaurisce;
conduce a stanchezza e depressione”. È la strada che don Bruno Bignami,
direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’Apostolato del mare, indica ai
referenti diocesani, ai cappellani e ai volontari delle associazioni Stella
Maris riuniti a Civitavecchia per il secondo convegno dell’Apostolato del mare
in Italia. L’incontro, dal titolo “I marittimi: dalla solitudine alla
fraternità”, ha visto la partecipazione di oltre sessanta delegati.
La fatica e la solitudine dei marittimi, le migrazioni e
l’incontro tra culture, la cura del creato e la biodiversità, il primato
dell’economia a scapito della dignità delle persone: sono “le sfide” a cui la
Chiesa è chiamata a dare una risposta.
Ad indicarle è stato mons. Gianrico Ruzza, vescovo delle
diocesi di Civitavecchia-Tarquinia e Porto-Santa Rufina ed anche promotore
dell’Apostolato del mare in Italia, che ha aperto il convegno insieme al
sindaco della città, Ernesto Tedesco, presso la sala conferenze del Forte
Michelangelo. La rassegna si è svolta in tre sessioni che hanno messo al centro
i temi che interpellano la “gente di mare”. Filo conduttore è stata l’enciclica
Fratelli Tutti con la frase “Rimane sempre uno spazio per il dialogo”. Il sabato
mattina è stato invece dedicato all’apporto dei marittimi al cammino sinodale
della Chiesa italiana. “Abbiamo scelto il tema della solitudine – ha detto il
presule – perché come Chiesa abbiamo imparato molto dal cammino sinodale”. “In
questi due anni – ha aggiunto – ho ascoltato il grido di dolore di coloro che
sono rimasti imbarcati lunghi mesi a causa del Covid, dei pescatori vittime
delle eccessive restrizioni, dei lavoratori sfruttati. Siamo qui – ha aggiunto
mons. Ruzza – con la voglia di una ricerca autentica della verità, alla luce
della tradizione del mare, della vita di chi lo ama e della Dottrina sociale
della Chiesa”.
Don Bignami ha tracciato alcune “attenzioni” che
cappellani e volontari sono chiamati a coltivare: “Occorre aiutare la comunità
cristiana ad aprire gli occhi sulle persone invisibili e che, invece, sono una
colonna del mondo economico odierno. Senza marittimi non ci sarebbe commercio.
Tuttavia, non possiamo accettare che tale economia sia sostenuta
sistematicamente sullo sfruttamento dei lavoratori”.
Il sacerdote suggerisce di allargare lo sguardo sui
problemi umani e psichici, ma anche di non lasciarsi intrappolare dalla
tentazione di “essere dei superman che risolvono tutto”: l’invito a seguire
l’esempio del Samaritano “imparare a fare la propria parte, senza dimenticare
di far affidamento su chi ha maggiori competenze”.
Don Bignami ha poi sottolineato l’importanza del
dialogo:“L’ambiente marittimo si caratterizza per la presenza di persone
provenienti da mondi culturali, religiosi, sociali molto differenti tra loro.
La cassetta degli attrezzi di una pastorale d’ambiente non deve mancare della
capacità di dialogo”. Si tratta di un dialogo paziente che si alimenta con la
ricerca di punti di contatto e l’ascolto umile.
Su questi temi si è svolta la tavola rotonda coordinata
da don Gabriele Quinzi, sacerdote salesiano e figlio di un marittimo. A mettere
l’accento sulla formazione per i lavoratori del mare è stata Paola Vidotto,
direttrice dell’Accademia della Marina Mercantile di Genova, parlando
dell’impegno ad educare i giovani marinai per “reagire alle avversità imparando
ad attivare le proprie risorse”; “superare l’analfabetismo emotivo abituandosi
a socializzare”; “saper leggere e interpretare i diversi contesti di
vita”. Francesco Buscema, psicologo dell’Università di Torino, ha
illustrato i risultati della ricerca “Ma come fanno i marittimi?” realizzata
nell’ambito del progetto “Psicologia del mare”. Da 880 interviste a lavoratori
imbarcati è emersa “la richiesta costante di tempo da dedicare al riposo” e di
“ambienti di qualità dove si faccia fraternità”. “Non basta fornire ai
lavoratori una postazione internet – ha detto – ma anche spazi e tempi di
socialità, di riposo e di momenti di confronto con chi comanda l’equipaggio”. Enrica
Mammuccari, segretaria generale della Uila Pesca, si è soffermata sulla grave
crisi del comparto e sulle difficoltà del ricambio generazionale in un settore
che ha perso 35mila addetti dal 2005. Oltre a un essere “difficile, rischioso e
pagato male”, quello del pescatore è anche un lavoro che “ha una cattiva
narrazione”. “È passata l’idea, non solo per la pesca, che tutti i lavori
faticosi siano poveri e vengano disconosciuti socialmente. I giovani hanno
paura di sentirsi umilianti e marginalizzati. Spesso – ha aggiunto la
sindacalista – si imputa ai pescatori anche la responsabilità della distruzione
delle risorse marine. È innegabile che la pesca abbia un impatto sull’ambiente,
ma ritengo che sia come tutte le attività antropiche”. Sir 9
Sisma in Marocco, l’aiuto della Chiesa. Si mobilita la Caritas Italiana
Marrakech. E' di oltre 600 morti e più di 300 feriti il
bilancio del tragico sisma che ieri sera ha colpito il Marocco.
Caritas Rabat si è attivata con la sua Equipe e sta
contattando le parrocchie colpite e si sta organizzando per l’assistenza alle
persone sfollate. Caritas Italiana, in contatto con l’Equipe Caritas locale,
segue con apprensione le notizie che giungono dal Paese nordafricano. E' quanto
si legge sul sito della Caritas Italiana.
“In questo momento possiamo solo esprimere a parole
tutta la nostra solidarietà, assicurando il sostegno delle nostre comunità che
sapranno dare, nei prossimi giorni, segni concreti di vicinanza e
condivisione”, commenta il direttore don Marco Pagniello.
La Conferenza Episcopale Italiana esprime solidarietà
alla popolazione del Marocco, colpita nella notte da un violento terremoto.
Devastata in particolare la regione di Marrakech; centinaia i morti e i feriti;
migliaia le persone senza alloggio e ingenti i danni materiali. Come forma di
aiuto immediata, la CEI ha deciso lo stanziamento di 300mila euro dai fondi
8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.
“Alle sorelle e ai fratelli del Marocco giunga il nostro
profondo cordoglio e la nostra vicinanza. Facendoci prossimi alla popolazione
provata da questo tragico evento, preghiamo per le vittime e i loro familiari.
Assicuriamo inoltre il sostegno delle nostre Chiese, stringendoci a tutti
coloro che sono stati colpiti da questa calamità e alla comunità marocchina in
Italia ferita negli affetti”, afferma il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo
di Bologna e Presidente della CEI.
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È possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana
per questa emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o
donazione on-line, o bonifico bancario specificando nella causale “Terremoto
Marocco” tramite:
* Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 24
C 05018 03200 00001 3331 111
* Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma –
Iban: IT 66 W 03069 09606 100000012474
* Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT 91 P 07601
03200 000000347013
* UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008
05206 000011063 119 aci 9
Papa Francesco: "Lo Spirito Santo ci fa protagonisti del sogno di
Dio"
Il Papa ha ricevuto in udienza i Membri dell’Associazione
di Promozione della Famiglia “Incontro Matrimoniale” - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “Matrimonio e Ordine sacro, benché in
modo diverso e secondo il carisma proprio di ciascuno, sono intimamente legati
perché entrambi manifestano l’amore di Dio, edificando il Corpo mistico della
Chiesa. Questi due sacramenti, infatti, per strade diverse ma complementari,
parlano di sponsalità”. Lo ha detto il Papa, stamane, ricevendo in udienza i
Membri dell’Associazione di Promozione della Famiglia “Incontro Matrimoniale”.
Il sogno di Dio – ha spiegato il Pontefice – è “unirci
nel suo amore, nella sua comunione, per farci scoprire la bellezza della
figliolanza divina e della fraternità tra di noi. Per questo Gesù ha pregato
accoratamente. E ci manda sulle strade del mondo ad annunciare che la via per
generare una nuova umanità si fonda sulla fraternità, frutto della carità, non
sulla prevaricazione e sull’egoismo”.
“Il vostro carisma – ha aggiunto - ricorda che la fede è
anzitutto un’esperienza di relazione e di incontro. È una storia d’amore con
Dio, con i fratelli, con le sorelle. Voi guardate da vicino il dialogo a volte
non facile tra i coniugi e le situazioni talvolta complesse a cui sono chiamati
a far fronte i sacerdoti, favorendo uno scambio fecondo, per apprendere insieme
l’arte della relazione, l’arte della comunione. Così portate avanti il sogno di
Dio, sogno di comunione sponsale, in un tempo che a volte preferisce battere i
sentieri paludosi dell’individualismo invece di avventurarsi verso le splendide
vette dell’amore”.
La Chiesa – ha proseguito ancora Papa Francesco – “è
chiamata a percorrere la strada di una sempre maggiore reciprocità tra i doni,
i carismi e i ministeri. Lo scambio tra i coniugi e i pastori favorisce
l’azione evangelizzatrice di cui oggi abbiamo urgente bisogno. Infatti, è
attraverso le relazioni, anzitutto testimoniando la bellezza delle relazioni,
che riusciamo ad annunciare la ricchezza del Vangelo e a mostrare l’amore che Dio
nutre per ogni creatura”.
Lasciatevi guidare dallo Spirito Santo – ha concluso –
“che è l’amore di Dio, senza il quale le nostre attività sono sterili e vane. È
lo Spirito che apre i cuori e le menti e che ci fa protagonisti, tutti noi, del
sogno di Dio”. Aci 9
Invasione russa. Papa Francesco ai vescovi greco-cattolici (Ugcc): “Sono
con il popolo ucraino”
Nella mattinata di oggi, 6 settembre, si è tenuta in
Vaticano l’udienza privata di Papa Francesco ai Vescovi del Sinodo della Chiesa
greco-cattolica ucraina (Ugcc). A darne notizia è un comunicato del
Segretariato a Roma dell’Arcivescovo maggiore di Kyiv che parla di “una
conversazione franca” in cui i vescovi ucraini hanno espresso “il dolore, la
sofferenza e una certa delusione del popolo ucraino”. L’incontro è iniziato
un’ora prima del previsto “per avere l’opportunità di dialogare più a lungo con
i vescovi ucraini”. Secondo Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo
dell’Ugcc, “questo incontro è stato un momento di ascolto reciproco e
un’opportunità di dialogo franco e sincero”. I vescovi dell’Ugcc hanno chiesto
a papa Francesco di aprire l’incontro con una preghiera comune per “una pace
giusta in Ucraina” e per tutti coloro “che stanno morendo in questo momento nel
nostro Paese per mano dell’aggressore russo”. Il Santo Padre ha ringraziato per
l’iniziativa e, insieme ai vescovi ucraini, ha recitato la preghiera del “Padre
nostro” per l’Ucraina e il suo “popolo sofferente”. “Nel colloquio con il Santo
Padre – racconta Shevchuk nel comunicato – abbiamo espresso al Papa tutto ciò
che i nostri fedeli in Ucraina e nel mondo ci hanno affidato di trasmettere a
Sua Santità. I nostri vescovi hanno parlato in ucraino, inglese, portoghese e
italiano”, ed hanno confidato che alcune dichiarazioni e gesti “della Santa
Sede e di Sua Santità sono dolorosi e difficili per il popolo ucraino, che
attualmente sanguina nella lotta per la propria dignità e indipendenza”. Le
incomprensioni sorte tra Ucraina e Vaticano dall’inizio della guerra su vasta
scala, spiegano i vescovi, vengono utilizzate dalla propaganda russa per
giustificare e sostenere l’ideologia assassina del “Mondo russo”, quindi “i
fedeli della nostra Chiesa sono sensibili ad ogni parola di Sua Santità come
voce universale di verità e di giustizia”. Riferendosi alle proprie parole e ai
paragoni che aveva rivolto, in particolare, ai giovani russi, il Santo Padre ha
spiegato: “Di ritorno dalla Mongolia, ho affermato che il vero dolore è quando
il patrimonio culturale di un popolo subisce una “diluizione” ed è sottoposto
alle manipolazioni da parte di un certo potere statale, a seguito delle quali
esso si trasforma in un’ideologia che distrugge e uccide. È una grande tragedia
quando tale ideologia si intromette nella Chiesa e sostituisce il Vangelo di
Cristo”. Secondo quanto riportato dalla Chiesa greco-cattolica ucraina, il
Santo Padre ha anche ammesso che “il fatto che abbiate dubitato con chi sia il
Papa è stato particolarmente doloroso per il popolo ucraino. Voglio assicurarvi
della mia solidarietà con voi e di una costante vicinanza orante. Io sono con
il popolo ucraino”.
I vescovi hanno ringraziato Papa Francesco per il suo
costante sostegno all’Ucraina a livello internazionale, le sue azioni
umanitarie, i suoi sforzi personali per liberare i prigionieri, per la missione
di pace dell’inviato speciale papale, il cardinale Matteo Zuppi. Hanno chiesto
al Santo Padre di continuare i suoi sforzi per la liberazione dei prigionieri
di guerra, in particolare hanno menzionato i sacerdoti redentoristi, p. Ivan
Levytskyi e p. Bohdan Haleta, che sono ancora prigionieri in Russia. Al termine
dell’udienza, S.B. Shevchuk ha donato al Papa alcuni effetti personali dei due
padri Redentoristi prigionieri: una croce missionaria, un libro di preghiere e
un rosario. “Questi oggetti, Santità, testimoniano la sofferenza della nostra
Chiesa e del nostro popolo di fronte agli orrori della guerra causata
dall’aggressione russa. Come tesoro inestimabile, ve li consegniamo con la
speranza che presto giunga una pace giusta in Ucraina”.
(M.C.B.) sir 6
Papa in Mongolia: un Paese che può svolgere “un ruolo importante per la
pace”.
Città del Vaticano – Papa Francesco ha concluso il suo
43° viaggio apostolico internazionale che lo ha visto pellegrino nella capitale
della Mongolia, Ulaanbaatar. Il viaggio, il primo di un Pontefice in Mongolia,
è iniziato venerdì 1° settembre (la partenza da Roma era stata la sera del 31
agosto): in quattro giorni Francesco ha incontrato le autorità del Paese nella
capitale Ulaanbaatar e la piccola comunità cristiana locale presso la
cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, come pure i leader religiosi locali e gli
operatori della “Casa della Misericordia”. Un abbraccio globale ad un Paese,
stretto tra Russia e Cina, che – come ha detto il Papa stesso nel suo primo discorso
all’autorità – può avere un “ruolo” fondamentale nello scenario internazionale,
soprattutto per la pace globale. La visita ha avuto anche l’obiettivo di
rivolgere alla piccola, ma vivace comunità cattolica parole di incoraggiamento
e di speranza anche per il suo importante contributo nel campo della convivenza
e dello sviluppo umano.
Nell’incontro con le autorità e il corpo diplomatico nel
Palazzo di Stato, il 2 settembre, Papa Francesco, nel suo primo discorso in
Mongolia, presentandosi come “pellegrino di amicizia”, ha auspicato: “Voglia il
Cielo che sulla terra, devastata da troppi conflitti, si ricreino anche oggi,
nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo
fu la pax mongolica, cioè l’assenza di conflitti. Come dice un vostro
proverbio, ‘le nuvole passano, il cielo resta’: passino le nuvole oscure della
guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale
in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a
tutti vengano garantiti i diritti fondamentali!”. Poi l’appello: “Qui, nel
vostro Paese ricco di storia e di cielo, imploriamo questo dono dall’Alto e
diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”.
E ha rimarcato che “la Mongolia non è solo una nazione democratica
che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo
importante per la pace mondiale”.
Nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, sempre il 2
settembre, il Pontefice ha incontrato vescovi, sacerdoti, missionari,
consacrati e consacrate e operatori pastorali presenti nella Chiesa in
Mongolia. Un incoraggiamento alla piccola comunità nelle sue parole: “Fratelli,
sorelle, non abbiate paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della
rilevanza che non appare. Non è questa la strada di Dio”. Il Santo Padre ha
anche elogiato l’impegno in oltre trent’anni in una svariata quantità di
iniziative di carità: “Vi incoraggio a proseguire su questa strada feconda e
vantaggiosa per l’amato popolo mongolo. Al tempo stesso vi invito a gustare e
vedere il Signore, a tornare sempre e di nuovo a quello sguardo originario da
cui tutto è nato. Senza di esso, infatti, le forze vengono meno e l’impegno
pastorale rischia di diventare sterile erogazione di servizi, in un susseguirsi
di azioni dovute, che finiscono per non trasmettere più nulla se non stanchezza
e frustrazione”. Una rassicurazione poi alle autorità: “I governi e le
istituzioni secolari non hanno nulla da temere dall’azione evangelizzatrice
della Chiesa, perché essa non ha un’agenda politica da portare avanti, ma
conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia
e di verità, capace di promuovere il bene di tutti”.
Due i momenti salienti di domenica 3 settembre.
L’Incontro ecumenico e interreligioso all’Hun Theatre e la messa celebrata
nella “Steppe Arena”. L’impegno che il Papa ha chiesto alle diverse fedi,
pronte ad offrire la bellezza rappresentata dagli insegnamenti dei “rispettivi
maestri spirituali”, è questo: “In società pluralistiche e che credono nei
valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente
riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di
offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e
avendo come fine il maggior bene di tutti”. Non solo: “La nostra responsabilità
è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro
comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che
professiamo – ha osservato -; non può contraddirli, diventando motivo di
scandalo. Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e
imposizione, tra percorso religioso e settarismo. La memoria delle sofferenze
patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di
trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in
saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce”. E ancora un
appello per la pace: “Le tradizioni religiose, nella loro originalità e
diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della
società. Se chi ha la responsabilità delle nazioni scegliesse la strada
dell’incontro e del dialogo con gli altri, contribuirebbe in maniera
determinante alla fine dei conflitti che continuano ad arrecare sofferenza a
tanti popoli”.
Nella messa Francesco ha sottolineato che “tutti, tutti
noi siamo ‘nomadi di Dio’, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti
assetati d’amore” e che “la fede cristiana risponde a questa sete; la prende
sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati:
no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio
vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e
sorelle tra di noi”. Alla fine della celebrazione il Pontefice, con un gesto a
sorpresa, facendo avvicinare a sé, John Tong Hon e Stephen Chow, l’emerito e
l’attuale vescovo di Hong Kong, quest’ultimo cardinale designato che riceverà
la porpora nel Concistoro del prossimo 30 settembre, ha rivolto “un caloroso
saluto al nobile popolo cinese”.
E ha continuato: “A tutto il popolo auguro il meglio, e
andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni
cristiani e buoni cittadini”. Nel saluto al termine della messa, anche un
ringraziamento alla Mongolia, un popolo particolarmente caro al Papa, come lui
stesso ha detto commentando l’indirizzo di omaggio del card. Giorgio Marengo,
prefetto apostolico di Ulaanbaatar: “Fratelli e sorelle della Mongolia, grazie
per la vostra testimonianza, bayarlalaa! [grazie!]. Dio vi benedica. Siete nel
mio cuore e nel mio cuore rimarrete”. E, rivolgendosi ai membri delle altre
confessioni cristiane e religioni, ha consegnato questo compito: “Continuiamo a
crescere insieme nella fraternità, come semi di pace in un mondo tristemente
funestato da troppe guerre e conflitti”.
Nell’ultimo giorno del viaggio apostolico, 4 settembre,
il Pontefice ha incontrato gli operatori della carità e ha benedetto e
inaugurato la Casa della Misericordia, che “si propone come punto di
riferimento per una molteplicità di interventi caritativi, mani tese verso i
fratelli e le sorelle che faticano a navigare tra i problemi della vita. È una
sorta di porto dove attraccare, dove poter trovare ascolto e comprensione.
Questa nuova iniziativa, però – ha evidenziato il Santo Padre -, mentre si
aggiunge alle numerose altre sostenute dalle varie istituzioni cattoliche, ne
rappresenta una versione inedita: qui, infatti, è la Chiesa particolare a
portare avanti l’opera, nella sinergia di tutte le componenti missionarie ma
con una chiara identità locale, come genuina espressione della Prefettura
apostolica nel suo insieme”. E, ha aggiunto, mi piace molto il nome che avete
voluto darle: Casa della Misericordia. In queste due parole c’è la definizione
della Chiesa, chiamata a essere dimora accogliente dove tutti possono
sperimentare un amore superiore, che smuove e commuove il cuore: l’amore tenero
e provvidente del Padre, che ci vuole fratelli, ci vuole sorelle nella sua
casa”. Francesco ha anche ricordato: “Il vero progresso delle nazioni non si
misura sulla ricchezza economica e tanto meno su quanto investono
nell’illusoria potenza degli armamenti, ma sulla capacità di provvedere alla
salute, all’educazione e alla crescita integrale della gente”.
Dopo la cerimonia di congedo in aeroporto, il Papa è
partito e, dopo il decollo, ha fatto pervenire al presidente della Mongolia,
Khürel Sükh Ukhnaa, un telegramma in cui ha espresso “ancora una volta, il
senso di gratitudine” alle autorità e al popolo mongolo “per la calorosa
accoglienza e la generosa ospitalità riservatami in questi giorni”. Infine, ha
assicurato le sue “continue preghiere per la pace, l’unità e la prosperità
della nazione”. (Gigliola Alfaro – Sir 5)
Tenuto il Convegno Nazionale dei Laici. Per essere Chiesa sinodale
Ho trascorso il primo fine settimana di luglio a
Stoccarda nella Christkönigshaus al Convegno dei Laici. organizzato
dall’ufficio UDEP della Delegazione MCI Germania.
Non conoscevo i relatori ed ero curiosa di sentire le
loro relazioni sul tema sinodalità, declinata in comunione, partecipazione e
missione. Erano: don Jean Bonane della comunità Santissimi Cuori di Gesù e di
Maria di Leonberg, Samuel Benedetto Alba dalla comunità Maria SS. delle Grazie
di Calw e Sonia Cussigh dalla comunità San Martino di Stoccarda-Bad Cannstatt.
Paola Colombo, responsabile dell’UDEP, ha introdotto i temi del Convegno e ha
moderato l’evento. Dopo aver ascoltato i relatori, ci siamo divisi in tre
gruppi ed abbiamo trattato i tre temi “comunione”, “partecipazione” e
“missione” individualmente, scegliendo a nostra volta un portavoce per la
presentazione dei nostri pensieri all’assemblea.
Il Convegno si è concluso la domenica con la relazione
finale, affidata ad Antonio Autiero, professore emerito di teologia morale,
Università di Münster, che ha tirato le fila dei tanti pensieri confluiti nel
dibattito durante tutto il sabato. Lui ha fatto notare che la lettura delle tre
figure (comunione, partecipazione e missione) in termini di mera
rappresentazione del profilo religioso spirituale e di condotta di vita dei
fedeli è una lettura parziale che non basta per comprendere queste tre
categorie alla luce della sinodalità. “In realtà, proprio in riferimento alla
categoria di Sinodo (non come evento ma come processo) esse assumono la
funzione di esprimere le linee portanti di un disegno ecclesiologico
originario”, ha detto il prof. Autiero.
In effetti il Convegno dei Laici è un incontro di
formazione per approfondire il senso di appartenenza alla comunità cristiana e
rendere concreto e vivo quel principio di corresponsabilità tra laici e
presbiteri per la crescita del popolo di Dio che è la Chiesa.
Il Convegno aveva come titolo: Allarga lo spazio della
tua tenda e non è uno slogan per attirare l’attenzione. Il versetto fa parte
del libro di Isaia dell’Antico Testamento e dice: “Amplia lo spazio della tua
tenda, stendi le tende di tua dimora, non trattenerti, allunga le tue funi e
rafforza i tuoi picchetti.” È la metafora che invita il popolo di Dio a
espandere i propri orizzonti, ad allargare le prospettive e ad accogliere nuove
possibilità e opportunità. Nella metafora della tenda, si suggerisce di
aumentare lo spazio disponibile, rendendo la dimora più grande e, allo stesso tempo,
di assicurarsi che sia ben ancorata e solida, pronta ad affrontare le sfide che
possono presentarsi. Questo Convegno mi ha stimolato a seguire un invito
antichissimo e sono grata agli organizzatori per averci chiamato a riflettere
su di esso. L’invito è un richiamo alla fede e alla speranza, incoraggiando il
popolo di Dio a credere nella provvidenza e nella guida di Dio nelle loro vite.
Il passaggio esorta a non avere paura di abbracciare il nuovo, a essere aperti
al cambiamento e alla crescita, sapendo che Dio è con noi e ci sostiene nel
nostro cammino. Personalmente ho vissuto questa atmosfera durante i due giorni
del Convegno.
Invito tutti i lettori/le lettrici del Corriere d’Italia
a non perdere le occasioni di confronto e scambio che la Delegazione MCI ci
offre. Concludo ricordando che papa Francesco ha spesso sottolineato
l’importanza della sinodalità all’interno della Chiesa cattolica durante il suo
pontificato. Ha cercato di promuovere un modo di governare e di prendere
decisioni che coinvolgano tutti i membri della Chiesa, valorizzando il ruolo
dei fedeli laici e ascoltando le loro voci. Questo approccio è in linea con la
sua visione di una Chiesa più aperta, inclusiva e attenta alle esigenze delle
persone.
Papa Francesco ha avuto occasione di parlare di
sinodalità in varie occasioni, sia durante i sinodi che si sono svolti durante
il suo pontificato, sia in altre dichiarazioni e discorsi.
Un esempio significativo è il Sinodo dei Vescovi sulla
Famiglia, svoltosi nel 2014 e 2015, che ha promosso un’ampia consultazione
all’interno della Chiesa su questioni riguardanti la famiglia e i temi
connessi. L’altro esempio è il sinodo sulla sinodalità in corso. Il Papa ha
anche sottolineato l’importanza di ascoltare il popolo di Dio, includendo la
voce dei fedeli, dei sacerdoti e delle comunità locali nelle decisioni
ecclesiali. Incoraggia una cultura del dialogo e del discernimento, auspicando
che questo possa aiutare la Chiesa a rispondere meglio alle sfide del mondo
contemporaneo.
La sinodalità, natura stessa della Chiesa, è al centro
del suo pontificato e, di conseguenza, per renderla più attenta, vicina e
attiva alle esigenze dei fedeli, papa Francesco invita tutti i membri della
comunità ecclesiale a lavorare insieme in uno spirito di ascolto e discernimento
condiviso.
Mary Condotta, presidente del consiglio pastorale della
comunità di Francoforte Centro e collaboratrice Corriere d’Italia. CdI
settembre
ROMA - Nell’archivio del Pontificio Istituto Biblico di
Roma è stata rinvenuta una documentazione inedita che elenca le persone, in
maggioranza ebree, protette dalle persecuzioni nazifasciste della Capitale
grazie al rifugio loro offerto presso istituzioni ecclesiali della città.
L’elenco delle congregazioni religiose ospitanti (100 congregazioni femminili e
55 maschili), insieme ai rispettivi numeri delle persone da loro ospitate, era
già stato pubblicato dallo storico Renzo De Felice nel 1961, tuttavia la
documentazione integrale era stata considerata perduta.
Gli elenchi ora ritrovati si riferiscono a oltre 4.300
persone, delle quali 3.600 sono identificate per nome. Dal confronto con i
documenti conservati nell’archivio della Comunità Ebraica di Roma, circa 3.200
risultano con certezza ebrei. Di questi ultimi sappiamo dove sono stati
nascosti e, in talune circostanze, i luoghi di residenza prima della
persecuzione. La documentazione incrementa così significativamente le
informazioni sulla storia del salvataggio di ebrei nel contesto degli istituti
religiosi di Roma.
Per motivi di tutela della privacy, l’accesso al
documento è al momento riservato.
Il documento è stato presentato durante il workshop
“Salvati. Gli ebrei nascosti negli istituti religiosi di Roma (1943-1944)” che
si è tenuto oggi, 7 settembre, presso il Museo della Shoah di Roma.
La documentazione rinvenuta è stata compilata dal gesuita
italiano p. Gozzolino Birolo tra il giugno 1944 e la primavera del 1945, subito
dopo la liberazione di Roma.
Birolo è stato economo del Pontificio Istituto Biblico
dal 1930 fino alla sua morte per cancro nel giugno 1945. Rettore dell’Istituto
in questo periodo è stato il gesuita p. Augustin Bea, che fu creato cardinale
nel 1959 e divenne noto per il suo impegno per il dialogo ebraico-cattolico,
soprattutto per il documento del Vaticano II Nostra Aetate.
Gli storici coinvolti nello studio dei nuovi documenti
sono Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Cultura della Comunità
Ebraica di Roma, Grazia Loparco della Pontificia Facoltà di Scienze
dell’Educazione Auxilium, Paul Oberholzer dell’Università Gregoriana e Iael
Nidam-Orvieto, Direttore dell’Istituto Internazionale per la Ricerca
sull’Olocausto dello Yad Vashem.
La ricerca è stata coordinata da Dominik Markl
(Pontificio Istituto Biblico e Università di Innsbruck) insieme al Rettore del
Pontificio Istituto Biblico, il gesuita canadese Michael Kolarcik.
Roma fu occupata dai nazisti per nove mesi, a partire dal
10 settembre 1943 fino a quando le forze alleate liberarono la città il 4
giugno 1944. In quell’arco di tempo la persecuzione degli ebrei determinò, tra
l’altro, la deportazione e l’uccisione di quasi 2.000 persone, compresi
centinaia di bambini e adolescenti, su una comunità di circa 10.000 - 15.000.
(aise/dip 7)
Recensione. Un inno alla teologia
Bettazzi, l’ultimo dei padri conciliari europei,
recentemente scomparso, sul libro Guardare alla teologia del
futuro. Conversazione coi teologi Marinella Perroni* e Brunetto
Salvarani*, curatori del volume Guardare alla teologia del futuro. Dalle spalle
dei nostri giganti (Claudiana 2022) – di Paola Colombo, Udep
“Un libro da leggere con fiducia” aveva scritto mons.
Luigi Bettazzi, l’ultimo dei padri conciliari europei, recentemente scomparso,
sul libro Guardare alla teologia del futuro. Dalle spalle dei nostri giganti
(Claudiana, 2022), a cura di Marinella Perroni e Brunetto Salvarani. Il volume
raccoglie i contributi di teologhe e teologi italiani su 26 “giganti” della
teologia del dopo Vaticano II. Giganti, uomini e donne dei cinque continenti,
che si sono interrogati su “che cosa vuol dire essere cristiani”, lasciando
semi che possono ancora germogliare. Lo si vede negli autori dei saggi
contenuti, teologhe e teologi italiani, che mostrano quanto la ricerca
teologica in Italia sia ricca e vivace. Il punto di snodo da cui parte Guardare
alla teologia del futuro è il Concilio Vaticano II. Due sono le direttrici,
oltre alla tradizione, affinché la ricerca teologica possa essere feconda e
parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo: l’approccio storico-critico
alle sacre scritture e il dialogo della teologia con le scienze umane. Si
capisce allora che si tratta di un libro da leggere con fiducia perché “da
sempre la vita delle chiese dipende anche dalla qualità della riflessione
teologica e, soprattutto, dalla capacità di guardare in avanti, di preparare il
futuro” (p. 6). La parola “anche” rimanda ad altro, innanzitutto al vangelo, e
la Chiesa tramanda la fede e “la testimonianza di Cristo (che) è la ragione
dell’esistenza della Chiesa” (Delgado). La Chiesa vive la buona novella,
tramanda la Parola, la quale si incarna nella storia di uomini e donne che
vivono il loro tempo. Tutto questo in una dinamica di tradizione e innovazione
affidata alla ricerca teologia che oggi più che mai deve essere coraggiosa
perché ha il compito fondamentale che “assicura alla chiesa la sua fedeltà al
vangelo e un’apertura alle ragioni del futuro”. Ne parliamo con i curatori,
Marinella Perroni e Brunetto Salvarani.
*Marinella Perroni, docente em. di Nuovo Testamento al
pontificio Ateneo Sant’Anselmo, ha fondato il Coordinamento Teologhe Italiane
(CTI).
**Brunetto Salvarani, teologo esperto di dialogo
interreligioso ed ecumenismo, è docente . di Missiologia e Teologia del dialogo
a Bologna, Modena e Rimini.
Come è nato questo libro che non è né un’antologia né un
manuale di teologia contemporanea?
Marinella Perroni: Non avevamo nessuna intenzionalità e
non pensavamo a nessun target di lettori. La cosa è nata dentro di me quando è
morto Hans Küng, perché per me era la cifra della teologia post conciliare del
Novecento, certamente non solo lui, ma lui era particolarmente rappresentativo.
Ne ho parlato con Brunetto, trovando una rispondenza totale e abbiamo
cominciato a pensare insieme. Abbiamo voluto limitare a teologi e teologhe
scomparsi negli ultimi vent’anni per offrire un tracciato, perché abbiamo avuto
dei padri/madri straordinari nella fede teologica già in tutta la seconda metà
del Novecento. Non volevamo fare un’operazione-ricordo ma dire che questi
teologi lasciano dei semi nella ricerca teologica, nella vita ecclesiale. Tutti
coloro che hanno partecipato alla stesura del libro hanno detto subito sì,
hanno quasi tutti scelto un nome della lista che abbiamo presentato. Poi è
venuto il problema della casa editrice, Dopo tentativi presso diverse case
editrici, Claudiana, ha accettato e il volume ha avuto il via, immediato.
Brunetto Salvarani: La dedica di Bettazzi è una
testimonianza, un punto di riferimento. Ha ragione Marinella, non avevamo idea
di che cosa sarebbe venuto fuori. Ci fidavamo del nostro fiuto e del valore dei
teologi che abbiamo coinvolto, perché alcuni di loro sono decisamente i
migliori che abbiamo in Italia oggi. Ne è emerso un inno alla teologia, al
valore della teologia, alla sua bellezza e ricchezza, al suo carattere
interdisciplinare, plurale, al fatto che la teologia, nonostante tanta
sofferenza nella biografia di molti dei teologi (in parte anche di quelli che
hanno scritto, ma soprattutto di quelli su cui hanno scritto), sono riusciti a
vivere delle vite meravigliose, seppur faticose e dolorosissime. Faccio solo un
nome, Jacques Dupuis, un martire della teologia. Ha finito la sua vita per il
dolore che aveva accumulato, per gli attacchi che aveva ricevuto non dalla
stampa ma dalla Congregazione per la dottrina della fede sul suo libro Verso
una teologia cristiana del pluralismo religioso che oggi è riconosciuto come il
libro più importante, su scala europea, sul tema del dialogo interreligioso, in
particolare della teologia del dialogo. Purtroppo, la teologia in Italia, a
differenza di quanto accade in Germania, è ancora considerata una “roba da preti”;
la teologia invece è laica e su di essa si può lavorare liberamente.
Il mandato conferito da papa Francesco all’arcivescovo
Victor Manuel Fernández, a prefetto del Dicastero per la dottrina della fede,
può intendersi come segnale di incoraggiamento al libero lavoro della teologia?
Gli ha scritto: “È bene che il vostro compito esprima che la Chiesa incoraggia
il carisma dei teologi e il loro sforzo di ricerca teologica”. Questo è
successo poco dopo che il suo predecessore al dicastero, il cardinale Ladaria,
aveva negato il nulla osta a Martin Lintner a diventare preside dell’Istituto
di Scienze religiose di Bressannone.
Brunetto Salvarani: La mancanza di accettazione del voto
libero del collegio docenti per Martin Lintner a preside è un segnale molto
allarmante. Ma il fatto che quel gesto in Italia, e non solo in Italia, non sia
passato sotto silenzio, che ci sia stata una levata di scudi della teologia e
di tanti teologi confermano l’assunto del nostro libro, che la teologia è viva
e ringraziamo tutti quelli che hanno collaborato ad attestarlo.
Al vostro libro è stato assegnato a Napoli, lo scorso
luglio, il premio Nazionale Amerigo delle Quattro Libertà, un riconoscimento
morale a opere letterarie che, anche indirettamente, si rifanno alle quattro
libertà citate dal presidente americano Roosevelt (1941): libertà di
espressione, religiosa, dal bisogno e libertà dalla paura.
Marinella Perroni: Di questo premio, per il quale non ci
siamo segnalati né lo ha fatto la casa editrice, mi ha impressionato che il libro
sia stato recepito come meritevole rispetto alla seconda delle libertà
proclamate da Roosevelt e cioè la libertà di religione, perché molti hanno
pagato un prezzo alla libertà di religione ma non con un nemico esterno, ma
“dentro casa”, nella religione cristiana, Nel momento in cui mettono il nostro
libro in relazione alla libertà di religione, non si tratta di una
testimonianza martiriale di fronte ai regimi atei ma è in riferimento alla
libertà di pensiero all’interno del sistema religioso. Questa dovrebbe essere
la teologia, che all’interno del sistema veicola, spinge alla libertà di
pensiero, il che significa andare avanti.
Che cosa significa “andare avanti”, “guardare avanti”?
Come divulgare la teologia senza scadere in una forma di marketing comunicativo
a sfondo teologico?
Marinella Perroni: La grande svolta è stata l’impatto
della teologia con le scienze umane, che erano un esito della modernità, quindi
si è trattato dell’impatto della teologia con la modernità e di un’ibridazione
reciproca. Un’ibridazione che continua ed è secondo me fondamentale. Oggi
abbiamo in Italia alcuni chierici o teologi, che ritengono che il ruolo della
teologia sia quello dell’influencer. Ma i teologi veri quelli che abbiamo alle
spalle e che non potremmo mai replicare perché i tempi sono cambiati, perché le
modalità sono cambiate, perché il tempo e lo spazio non sono più gli stessi,
non volevano fare gli influencer, ma si sentivano chiamati in causa per
elaborare orizzonti di pensiero sui quali capire cosa significa essere
cristiani in un tempo in cui sono cambiate le coordinate del vivere e del
pensare? Ognuno di loro poi l’ha fatto nel suo campo di specializzazione. Si
sono sobbarcati di una fatica, ma era la fatica di voler interagire con le
scienze, il pensiero, le mutazioni perché gli esseri umani vivono lì, e la
teologia può dare un cibo che nessun altro dà. Questi personaggi ci
interpellano perché non è questione di marketing comunicativo a sfondo
teologico né di paternalistica pastorale. In prima istanza come credente, poi
come pensatore, come intellettuale organico dentro una chiesa, la storia del
mondo ci interpella a saper ripensare la fede in funzione degli uomini e delle
donne di questo tempo. È una sfida grandiosa.
Brunetto Salvarani: Credo che una delle motivazioni di
questo libro sia la consapevolezza del fatto che, come dice papa Francesco,
siamo in un cambio d’epoca. Sulla ricezione di una cosa così enorme come il
Concilio pesa, negli anni successivi e nei decenni successivi, tutta una serie
di ipoteche negative, banalizzanti, sottovalutanti per cui, dal momento che io
mi occupo di ecumenismo e di dialogo interreligioso oltre che di missione, mi
domando quanto tutto questo sia penetrato nelle nostre chiese e nelle nostre
comunità; quanto il rapporto fra cristiani ed ebrei, come sosteneva Carlo Maria
Martini, è diventato un rapporto strategico attraverso il quale rivedere il
nostro modo di essere Chiesa, il nostro modo di fare liturgia, il nostro modo
di guardare le Scritture. Sull’ecumenismo siamo sempre arrancanti e
faticosamente in attesa di quel segnale che lo faccia diventare la
quotidianità. “Non possiamo non dirci ecumenici”, e poi invece purtroppo come
Chiesa continuiamo a ragionare in termini monocratici e soprattutto a non
guardare la storia della Chiesa con un’ottica ecumenica come il decreto
Unitatis redintegratio (1964) ci inviterebbe a fare. Sulla missione, Ad gentes
invita chiunque a essere missionario e sostiene che la missione è un dato
teologico. Oggi ce ne rendiamo conto ancora di più perché in un tempo di
esculturazione del cristianesimo in Europa – come affermano Danièle Hervieu
Léger, sociologa delle religioni e Christof Theobald, teologo cattolico – ci
rendiamo conto di come si tratti di ricominciare da capo. Ecco questo
ricominciare daccapo trova nel libro due o tre direttrici importanti che vorrei
segnalare: una è che dobbiamo abituarci ad abitare il confine, fecondo per la
conoscenza, ed è l’alterità che ci abita. La seconda è che la teologia, per
essere efficace, deve guardare al futuro. Pensare oggi la Chiesa di domani è il
nostro compito. Non abbiamo voluto fare dei medaglioni: abbiamo chiesto ai
teologi amici italiani quello che secondo loro a partire dal lavoro dei teologi
defunti ci poteva servire per guardare in avanti e per pensare il cristianesimo
del futuro.
Qui le sottolineature sono tante: per esempio tutto il
discorso di genere, che emerge continuamente, evidenzia che in Italia oggi la
teologia fresca, più intelligente venga dalle donne. Ma c’è anche la dimensione
planetaria della teologia, quella interreligiosa. Sono tutti aspetti che
emergono bene dal libro e il libro dice anche che, volendo, c’è un grande
spazio di azione davanti a noi.
E sulla divulgazione della teologia?
Marinella Perroni: La teologia è un cibo solido, anzi è
una pluralità di cibi. Chi li assume deve essere, come dire, allattato,
svezzato e poi deve sapere elaborare quello che riceve, che legge. Questa è
un’operazione molto seria e io continuo a pensare a un laicato cattolico,
precedente alla mia generazione, che ho stimato moltissimo perché sapeva fare
divulgazione, pur non avendo i titoli accademici. Lo sapeva fare leggendo le
riviste, i libri, approfondendo i temi. Insomma era un laicato, penso al MEIC
(Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), alla FUCI (Federazione
Universitaria Cattolica Italiana), all’Azione cattolica. Il dramma è quando un
approccio alla teologia, in modo tutto particolare nel tempo della formazione,
postula un abbassamento del tono, un azzeramento della problematica, della
complessità e soprattutto diventa il diversivo dalla vita, dal pensiero, dai
problemi. CdI settembre
Entrare nella logica di Dio. XXII Domenica del Tempo Ordinario
In questa domenica Cristo parla della sofferenza e della
morte che lo attendono a Gerusalemme. Pietro, lo abbiamo meditato nel Vangelo
di domenica scorsa, che ha riconosciuto Gesù come il Messia, ora davanti
all’annuncio che ascolta rimane scandalizzato e si oppone ad una simile
eventualità. Accettare Gesù come Figlio di Dio è ammissibile, ma è
inammissibile che il Figlio di Dio debba terminare la sua vita con una
morte orrenda. Anche a noi con l’apostolo viene da dire che il mondo non sarà
salvato da un crocifisso in più.
Siamo, dunque, chiamati a chiederci: “Che valore ha la
croce di Cristo, che è divenuta il centro di tutta la storia umana?”.
Attraverso la croce noi comprendiamo che Gesù ci ha amato più della sua stessa
vita. La morte di Cristo in croce è il grande segnale che Dio ha lanciato
all’umanità nel tentativo di convincerla che “Lui è amore”. Dio ama l’uomo fino
al punto di desiderare di elevarlo, in Cristo, alla dignità di figlio di Dio.
Per realizzare questo meraviglioso progetto d’amore ha accettato di condividere
la nostra fragilità umana e di assumere su di sé il male del mondo, fino a
renderlo visibile nel crimine della crocifissione. Dio non era obbligato a fare
ciò che ha fatto, ma l’esperienza insegna che ciò che non è obbligante lo diviene
nel cuore di chi ama. La croce è da prendere, da scegliere come riassunto di un
destino di amore.
La domanda che Cristo, poi, rivolge ai discepoli e a noi
- “quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la
propria anima?” - è un invito a cercare la vera sapienza della vita. E non c’è
vera sapienza se io mi dimentico che ho un’anima la quale, come insegna la
Scrittura, è il respiro di Dio. Questo respiro vale più di tutto il mondo.
Senza questo respiro di Dio potrei guadagnare il mondo, ma perderei me stesso.
Per comprendere le parole di Gesù è necessario entrare in una logica nuova, la
logica di Dio, perché possiamo essere vittime di un terribile abbaglio: pensare
di avere guadagnato tutto se possediamo tanti beni a scapito dell’unico vero
bene che è la salvezza eterna. Se i beni della terra possono essere perduti e
riguadagnati, la vita perduta non può essere riacquistata.
Il vangelo di questa domenica, dunque, è una denuncia di
tutti i deliri di onnipotenza dell’uomo, sempre finalizzati a dominare sugli
altri e che nel nostro mondo contemporaneo prendono il nome di legalizzazione
dell’aborto, manipolazione della vita umana, sfruttamento degli esseri umani,
appropriazione della natura che è dono di Dio per tutti.
Gesù, invece, ci dice che il senso della vita sta
nell’amore, proprio come ha fatto Lui. La scelta di amare deve partire da una
motivazione assolutamente precisa: Gesù. Commenta San Giovanni Crisostomo: Può
avvenire che uno soffra, ma non segua Cristo, quando soffre per se stesso. I
ladri sopportano molte e gravi sofferenze: ma non credere che questa sofferenza
abbia valore. Nella tua passione è lui che devi seguire, per lui devi
sopportare ogni cosa. Quello che importa, dunque, è la ragione: “per causa
mia”, dice Gesù. Mons. Francesco Cavina, Aci 3
Rabat. Una strana, immensa compassione
Rabat. Una strana, immensa compassione: ecco quanto
provo.
Di sera uscendo di casa dove vivo, chiuso il portone,
getto un occhio automaticamente al muretto accanto... Nascosto dalle auto in
sosta, sul marciapiede, accovacciato come un cane c'è Ibrahim. Oppure Mohammed
insieme a un amico oppure Abdesalam... insomma, giovani migranti subsahariani,
forse appena maggiorenni. Hanno in testa un sogno, un idea fissa, inchiodata
alla mente: arrivare in Europa. Leccano una scatoletta di sardine o succhiano
un yogourt strizzato tra le mani: una miserabilissima cena.
Hanno invece fame e sete di dignità.
"La dignità umana ha la caratteristica di essere
assente proprio là dove si presume sia presente, e di comparire sempre dove non
c'è" annota Karl Kraus. Pare una vera scommessa fatta a sè stessi, alla
famiglia, alla loro gente: riuscire a passare in Spagna, vivi o morti,
inchallah! Assaltano dieci, venti volte le tre barriere spinate di 7m e un sistema
di sicurezza a tutta prova come quello di Ceuta. Raramente con successo.
Non hanno niente da perdere.
Hanno solo un immenso coraggio incosciente, una
giovinezza da barattare con la libertà. Mentre ti parlano tirano gli occhi a
destra e sinistra, sospettosi di tutto. Possono cadere d'improvviso in una
retata e venire trasportati all'istante ai confini con l' Algeria o verso il
deserto. Anche se il Marocco ha la grande "noblesse" di permettere di
vivere nel suo territorio anche senza documenti...
Vite giovani che fanno solo compassione.
Sapendo che questo Paese è solo un corridoio (dove
possono rimanere bloccati mesi o anni), ma vengono da lontano attraversando
Niger, Mali, Algeria, deserti e frontiere. Vivono sotto un sole che brucia la
testa e le spalle, stendendo la mano per strada per un dirham. Vi si
avvicinano, senza parole, con un'espressione umile, supplichevole, stampata in
faccia. "Per avere la dignità bisogna passare per tante indegnità"
scriveva qualcuno. A fine giornata si ritrovano in tasca il valore di due,
tre euro, a volte nulla.
Una vita raminga che fa solo compassione.
"Père, il n'y a pas de choix!" (Padre, non c'è
scelta!) mi dicono convinti e rassegnati. Riuscire a convincerli a tornare a
casa si rivela missione quasi impossibile.Tanto laggiù nessuno li aspetta.
Anzi, nessuno li vuole rivedere. Giovani maledetti. Costretti ad andare avanti
contro tutto e tutti. Vivono, dormono, mangiucchiano e si muovono come animali,
avvistati già da lontano perchè di pelle nera.
Sono i combattenti di oggi per la dignità!
Per una vita degna di essere vissuta. Ed è
paradossalmente la loro colpa. Sanno di essere loro, - giovani in fuga per anni
- la speranza delle loro stesse famiglie! Non possono permettersi cedimenti.
Perfino i vescovi di laggiù alzano la voce contro questa emorragia giovanile,
che screma ancor più i loro Paesi e li impoverisce. "Fate delle proposte,
dateci delle alternative!" incalzano loro, senza però avere risposta. Come
missionario, nomade e migrante io stesso per oltre quarant'anni in Paesi
diversi dove si parla francese o inglese o anche arabo in Europa e in
Africa il cuore mi si stringe.
Questi giovani combattenti mi tormentano l'anima: lottano
contro i mulini a vento della nostra indifferenza, per la vita e per la morte.
Mi faccio in quattro per spiegare loro che l'Europa non è
il Paese di Bengodi. Racconto ciò che sento da giovani senegalesi, togolesi...
arrivati al di là, proprio nel mio stesso paese, in territorio veneziano.
Arrivati via mare, tra mille peripezie, mi chiamano e mi raccontano.
Al telefono l'altro giorno Mamadou mi urlava:"Père,
qui si vive da schiavi!" Sono, accatastati in un 'campo", una grande
vecchia casa, una settantina di giovani, varie nazionalità, in stanze da 9
materassi con una sola toilette, il breve permesso di soggiorno quasi scaduto.
La cooperativa dà loro da mangiare, scaricando il cibo una volta al mese, che
loro stessi dovranno preparare. Mi inviano la foto di una dose mensile a testa:
5 patate, 3 cipolle, 1 vasetto sugo pomodoro, 1 litro olio, 1 scatola di
piselli, qualche biscotto... niente riso che loro adorano, niente frutta,
niente carne.
"Per giovani che mangerebbero il mondo!" come
si dice dalle mie parti. Ricordo che il nonno paterno era ben più sollecito per
il nutrimento dei suoi animali! La logica del controllo e della verifica dello
Stato, che trovo all'estero, da noi pare utopia. Ma neanche questo convince a
demordere i giovani migranti di qui.
Anzi l'altro giorno erano in tanti, durante la loro
preghiera, a gridare hurrààà! perchè uno di loro era riuscito a saltare
in Spagna. Domenica prossima invece faranno "il sacrificio" per
Abdullah, 18 anni, scomparso l'altra notte in mare. La notizia è corsa qui
subito come un fulmine. Ognuno porterà qualcosa per un grande pasto insieme con
delle preghiere musulmane. Emigrare è un fenomeno individuale, ma anche un
fatto collettivo: qui lo si tocca con mano.
E come missionario mi viene spesso in mente la storia dei
Re magi. Dopo aver camminato infinitamente per monti e per valli, inseguendo
una stella, hanno condiviso con gioia i loro tesori.
La stella per questi giovani è l'Europa... "Perchè è
il Paese dove ci si rispetta!" mi fa uno di loro. Lo guardo negli occhi.
Occhi belli e randagi, di una giovinezza calpestata nella sua stessa terra:
senza opportunità, senza lavoro, senza prospettive, senza avvenire. E i loro
tesori? Sì, la loro gioventù, la voglia di fare, il desiderio immenso di ogni
migrante di riuscire, di prendersi in mano la vita, il senso di responsabilità
per una famiglia rimasta indietro e da aiutare... Sì, perchè il miracolo è
compiuto: sono arrivati finalmente in Europa! Arrivati da noi i loro doni li si
getta a terra, li si butta tra le immondizie. Diventano giovani di scarto.
Perfino la lingua italiana, per una recente ordinanza, se
ne scoraggia l'insegnamento. Facendo rivoltare nella tomba quel famoso
scrittore portoghese che scriveva "La lingua è la terra dove ci si
incontra". Sì preferisce forse non l'incontro, ma lo scontro? Si opta per
lo scarto? Si prepara forse una società selvaggia, ai margini dell'umanità...
Questa compassione che mi prende, in fondo, si chiama vergogna. Provo vergogna.
Si dice: "L'uomo è l’unico animale che arrossisce, ma è l’unico ad
averne bisogno."
In fondo, mi torna in mente l'enorme emozione e la
sorpresa di Rachid Benzine, marocchino, caduto, per caso, un giorno nella
lettura del Vangelo. Lo scrive nel suo libro pubblicato in Francia. Cadde su
Matteo, 25 e non riusciva assolutamente a capacitarsi. "E il Re della
gloria dirà: "Ero straniero e mi avete accolto..." Maccome è
possibile! Ma che grande uomo! Un re che sì identifica con i miserabili, i bisognosi,
gli ultimi della terra!"
Sì, forse questa pagina del vangelo ci è ancora
sconosciuta. Ma il tempo del giudizio di Dio sull'amore verrà. Parola del
Signore. Renato Zilio, De.it.press 31
È morto don Milella, fondatore della ex-Missione di Remscheid
Belluno – A Pedavena (BL) il 21 agosto scorso,
presso la Casa P. Kolbe dove abitava in questi ultimi anni, è deceduto, all’età
di 93 anni, don Giuseppe Minella. Il “Gazzettino” nella cronaca di Feltre
ne descrive, a firma di Eleonora Scarton, la lunga attività sacerdotale
definendolo “sacerdote amico dei ragazzi e studenti”. Effettivamente don
Minella, sacerdote nella diocesi di Belluno-Feltre dal 1954, di formazione
intellettuale con la laurea in lettere nel 1974, si è
particolarmente dedicato ai giovani con diversi incarichi: vice-direttore nel
Collegio vescovile di Feltre (1954-1955), vicario cooperatore nella
parrocchia del Duomo di Feltre ( 1955-1957), poi nuovamente
vice-direttore del Collegio vescovile (1957-1958), risiedendo in
Seminario (1958-1959), direttore della Casa dello Studente (1971-1974) e
cappellano della Colonia “Stella maris” di Feltre (1972- 1977), assistente
diocesano di Azione Cattolica (1955-1960) e presso la Comunità “Opus
Mariae reginae” di Santa Giustina, parroco a Mugnai (1959-1965) e
poi Porcen (1974-2006), insegnante di lettere presso l’Istituto Geometri
di Feltre. Nella fitta serie dei suoi impegni diocesani quello di
“missionario per gli emigrati italiani a Colonia (1965-1968). Ed effettivamente
per don Minella l’attività in Germania è stata una parentesi ristretta
nella sua vita. Ma, come poi mi disse, “tonificante e significativa,
indimenticabile”. Non più con giovani e studenti ma per infaticati operai o
giovani intraprendenti con una famiglia da sostenere o da formare. Don Minella
aveva chiesto al suo Vescovo, Mons. Muccin, di fare una esperienza missionaria
ed il Vescovo gli aveva proposto gli operai italiani in Germania. Qui l’allora
direttore dei missionari italiani d’intesa con il coordinatore diocesano dei
sacerdoti stranieri della grande arcidiocesi di Colonia, Mons Schlafke, gli
affida l’apertura di una nuova sede a Remscheid, con una popolazione di
ca. 4.500 anime, scorporandola dalla troppo vasta Missione di Solingen.
Bisognava innanzi tutto impegnarsi ad imparare la lingua tedesca
e poi a conoscere il territorio della Missione, trovare collaboratori, creare
nuclei di presenza nelle diverse località della sua zona ed avere una sede.
Davvero un brusco cambiamento nella esperienza precedente. Già la sistemazione,
detta provvisoria, ma rimasta definitiva, presso una anziana signora
protestante, la Frau Lehmann, lo aveva un po’ impensierito. Ma poi ne è
maturato un buon rapporto ed è stata una grande opportunità per apprendere la
lingua tedesca. Con la sua cultura e le doti di canto e suono, con la sua
attenzione alle persone e tenace impegno ben presto don Giuseppe organizza
luoghi e tempi di incontro e raduno della popolazione italiana della zona. Così
è nata la nuova Missione italiana di Remscheid. Per la Chiesa Cattolica sono
anche gli anni del provvidenziale Concilio Ecumenico Vaticano II (1963-68). E
don Minella sente l’esigenza di un periodo di aggiornamento culturale. D’intesa
con i superiori il 10 ottobre 1968 lascia definitivamente la Missione di
Remscheid. Una esperienza “breve ed intensa, talvolta faticosa, ma anche
gratificante”, come ha scritto, e “avanti verso la nuova esperienza
di studio in Roma”. Qui ottiene la licenza in Teologia Universale presso
l’Università Lateranense nel 1969 e nel 1970 la laurea in Teologia.
Avrebbe voluto ritornare in Germania ma il Vescovo lo nomina direttore
della Casa dello Studente di Feltre. Riprende allora gli studi con
la laurea in Filosofia (1974). Il Vescovo lo nomina parroco di Santa
Giustina e ed insegnante di Storia al Liceo del Seminario di
Belluno (1975). Il Signore, pastore eterno delle nostre anime ha certamente
accolto questo suo zelante sacerdote. Al vescovo di Belluno-Feltre e alla
famiglia la vicinanza della Fondazione Migrantes. Silvano Ridolfi, migr.on,
24.8.
Mantova: sarà intitolata a papa Pio X la stazione ferroviaria da dove
partivano i migranti italiani
Mantova – Sarà intitolata a Giuseppe Sarto, vescovo di
Mantova dal 1884 al 1893 – successivamente Papa Pio X – la stazione
ferroviaria di Mantova. L’inaugurazione avverrà nel prossimo mese di
ottobre. Papa Pio X fu tra i primi ad interessarsi alle sorti dei tanti
mantovani, e poi italiani, che all’epoca emigravano in cerca di fortuna. Questa
sua attenzione ebbe origine dall’incontro personale con le centinaia di persone
che transitavano dalla città di Mantova per recarsi alla stazione ferroviaria,
in direzione del porto di Genova, da cui si sarebbero successivamente imbarcate
per l’America.
Il primo atto concreto del vescovo Sarto fu l’invio a
tutti i sacerdoti della sua diocesi di una lettera pastorale – il 19
agosto 1887 – in cui manifestava la preoccupazione per la sorte di “tanti suoi
figli” nei Paesi di destinazione, e invitava i sacerdoti ad avere numerose
attenzioni nei loro confronti, di tipo spirituale ma anche di aiuto concreto,
sia prima che dopo la partenza. Da papa, fondò il primo ufficio della
Curia Romana dedicato all’emigrazione, invitando al contempo tutti i vescovi a
proteggere i fedeli in partenza, anche costituendo in ogni diocesi un patronato
per i migranti. La sua azione pastorale si intrecciò con quella di mons.
Giovanni Battista Scalabrini, oggi santo, di Santa Francesca Saverio Cabrini e
di mons. Geremia Bonomelli, fondatori di opere dedicate all’assistenza degli
italiani emigrati all’estero.
La memoria di questa attenzione e sollecitudine – quanto
mai attuale in un tempo di grandi migrazioni, com’è quello che stiamo vivendo –
ha indotto il vescovo Marco ad appoggiare la richiesta dell’associazione
“Mantovani nel mondo”, condivisa anche dalla Fondazione Migrantes della
CEI, di intitolare la stazione ferroviaria di Mantova al vescovo Giuseppe
Sarto, poi papa Pio X, in quanto ricordare la sua azione “ci fa riflettere
sull’esteso fenomeno dell’emigrazione dei nostri giorni, sui sentimenti comuni
di carità e umanità nei confronti dei migranti in un impegno rivolto
all’integrazione e alla comprensione reciproca”. Quest’anno ricorre tra l’altro
anche il 120° anniversario dell’elezione a pontefice di San Pio X, per cui
l’evento si inserirà in un calendario di eventi a lui dedicati. (R.Iaria
migr.on 22.9.)
Festival Torino Spiritualità 2023. Un viaggio nel mistero del Dopo che dà
senso al Presente
A fine settembre a Torino Spiritualità 2023, il festival
della Fondazione Circolo dei Lettori e per l’occasione Marco Pozza e Luca
Peyron si preparano ad aiutare il pubblico a indagare l’ipotesi dell’Oltre e
quindi del significato del presente.
Sarà una vera e propria esperienza: i due incontri con
gli autori del Gruppo Editoriale San Paolo, Marco Pozza e Luca Peyron,
all’interno di Torino Spiritualità (27 – 30 settembre) si preannunciano essere
un viaggio alla scoperta del senso della vita, a partire dall’enigma del “Dopo”
esplorando l’idea di finitudine.
Anche Cristo ha sperimentato l’angoscia del morire, ma
c’è anche un’altra esperienza che lacera l’anima, ed è quella dell’uccidere.
«Uccidere è sempre uccidersi», scriveva Simone Weil, e Marco Pozza, scrittore e
cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, lo sa bene: a partire dal suo
ultimo romanzo fresco di ristampa “Alla fine è sempre all’improvviso” (2023)
giovedì 27 settembre, rifletterà proprio sull’esperienza dell’uccidere, dal
titolo “La mia anima è triste fino alla morte”.
Ed è proprio dalla morte di una stella, dal collasso, che
in cielo nasce una galassia. Dalla morte si passa alla vita, e questo accade
nello spazio come sul Golgota, dove la morte e la resurrezione di Cristo
inaugurano il futuro: Luca Peyron, sabato 30 settembre, inviterà il pubblico ad
alzare gli occhi verso “Cieli sereni” (2023) – la sua ultima novità che
presenterà in questa occasione - in un viaggio tra astronomia, stelle, luce dal
nero, luci di stelle che offrono colore a chi voglia guardare oltre il nero, luci
di stelle a ricordarci che la vita non finisce mai.
La suggestiva e storica cornice del Circolo dei lettori,
insieme ai tanti teatri, cinema e spazi culturali ospiterà numerosi scrittori,
pensatori e filosofi, tra cui molte firme ormai affezionate alla San Paolo
Edizioni: nel corso della cinque giorni vedremo intervenire fratel Enzo
Bianchi, proveniente dall’inaugurazione della sua nuova casa della Madia ad
Albano d’Ivrea e ancora oggi voce influente nel mondo della formazione e
spiritualità cristiana; il teologo Maria Luigi Epicoco; Derio Oliverio, vescovo
di Pinerolo e la prof. ssa Antonia Chiara Scardicchio, docente universitaria
attiva nel campo dell’educazione.
Gli interventi, con immagini e parole dei protagonisti,
di Marco Pozza e Luca Peyron potranno essere seguiti e riletti sui social di
Edizioni San Paolo e Gruppo Editoriale San Paolo. Per rielaborare,
riflettere, scoprire. Dip 12
Mit
rund 673 Millionen Euro haben die katholischen Bistümer, Orden und
internationalen Hilfswerke im Jahr 2022 pastorale, soziale und
Entwicklungsprojekte weltweit gefördert. Diese Zahl geht aus dem Jahresbericht
Weltkirche 2022 hervor, der heute (15. September 2023) veröffentlicht wurde. Er
wird von der Konferenz Weltkirche herausgegeben, in der die wichtigsten
international tätigen Akteure der katholischen Kirche vertreten sind.
Mit
Berichten über Hilfsprojekte in Afrika, Asien, Lateinamerika und Osteuropa
bietet der Jahresbericht einen lebendigen Einblick in die weltkirchliche
Arbeit. Der inhaltliche Schwerpunkt des aktuellen Heftes liegt auf Situationen
von Krieg und Gewalt und der Frage, wie Leben und Glauben unter solchen
Bedingungen möglich sind. Neben Zeugnissen von Betroffenen finden sich hier
Beispiele für die Versöhnungs- und Erinnerungsarbeit der Kirche, die Begleitung
Geflüchteter und eine Reflektion über die Vereinbarkeit von gewaltförmiger
Verteidigung mit der christlichen Friedensbotschaft.
Die
Finanzstatistik legt Rechenschaft ab über die Herkunft und Verwendung der für
die weltkirchliche Arbeit eingesetzten Mittel. Dieses Geld stammt weit überwiegend
aus Spenden, Kollekten und Kirchensteuermitteln. Die Spenden an die
katholischen Hilfswerke und Orden beliefen sich 2022 auf fast 425 Millionen
Euro. Hinzu kamen 29 Millionen Euro aus Kollekten für weltkirchliche Anliegen.
Mit Kirchensteuermitteln in Höhe von fast 47,8 Millionen Euro unterstützten die
Deutsche Bischofskonferenz (Verband der Diözesen Deutschlands) sowie einzelne
Bistümer die Arbeit der Hilfswerke. Für kirchliche Entwicklungsprojekte, Not-
und Katastrophenhilfe gab es außerdem öffentliche Zuschüsse.
Der
Vorsitzende der Konferenz Weltkirche, Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg),
zeigte sich beeindruckt vom Umfang des weltkirchlichen Engagements. „Diese
grenzüberschreitende Solidarität gehört zu unserem Auftrag als Kirche unbedingt
dazu. Wir wollen sie auch in Zukunft leisten“, sagte Bischof Meier. Er würdigte
besonders die insgesamt zugenommene Spendenbereitschaft der Gläubigen: „Ich bin
allen dankbar, die mit großen und kleinen Gaben dazu beigetragen haben,
Solidarität mit den Notleidenden weltweit zu üben.“ Bischof Meier dankte
darüber hinaus auch den staatlichen Stellen für das Vertrauen in die
Professionalität der kirchlichen Arbeit, das in den Zuwendungen an die Werke
zum Ausdruck komme. Außerdem verwies er auf den Einsatz der vielen
ehrenamtlichen Helferinnen und Helfer in Pfarrgemeinden, Verbänden und Schulen.
Deren Engagement ermögliche erst den großen Umfang der weltkirchlichen Arbeit.
Bischof Meier lenkte den Blick auch auf die regelmäßigen direkten
Überweisungen, mit denen viele Pfarrgemeinden, Schulen und Verbände ihre
Partner im Globalen Süden und in Osteuropa unterstützen. Da sie statistisch
nicht erfasst würden, sei das tatsächliche Ausmaß der Hilfsmaßnahmen noch
umfassender als im Jahresbericht dargestellt.
Hintergrund.
Der Konferenz Weltkirche gehören Vertreter der Deutschen Bischofskonferenz, der
(Erz-) Bistümer, der Deutschen Ordensobernkonferenz, der weltkirchlichen
Hilfswerke (Adveniat, Caritas international, Kindermissionswerk „Die
Sternsinger“, Misereor, Missio Aachen und München, Renovabis, Bonifatiuswerk
der deutschen Katholiken), der Verbände und anderer weltkirchlich tätiger
Einrichtungen in Deutschland an. Der Jahresbericht bietet neben einem
Themenschwerpunkt und einem Statistikteil einen inhaltlichen Überblick über die
vielfältige internationale Arbeit der beteiligten Organisationen.
Hinweise:
Der Jahresbericht Weltkirche 2022 kann unter www.dbk.de
in der Rubrik Publikationen als
Broschüre bestellt oder als PDF-Datei heruntergeladen werden. Weitere
Informationen bietet das Internetportal der Konferenz Weltkirche unter
weltkirche.katholisch.de. dbk 15
30 Jahre Renovabis: Hilfswerk im
Angesicht des Ukraine-Kriegs
Das
katholische Hilfswerk Renovabis mit Sitz in Freising unterstützt seit 30 Jahren
die Länder Osteuropas – auch die Ukraine. Beim Festakt in München ging es auch
um den Krieg Russlands und die Rolle der Kirche mit Papst Franziskus an der
Spitze. Von Astrid Uhr
Nach
dem Mauerfall starteten Katholiken Solidaritätsaktionen in Osteuropa. Daraus
entstand das in Freising ansässige Hilfswerk Renovabis, das nun sein 30.
Jubiläum feiert. Beim Festakt in München mit Alt-Bundespräsident Joachim Gauck
wurde auch die Rolle der katholischen Kirche im Ukraine-Krieg diskutiert. Erst
kürzlich sorgte Papst Franziskus mit Aussagen, die von ukrainischer Seite als
prorussisch gewertet wurden, für Unmut.
Ukrainerin:
"Verletzt durch Äußerungen anderer"
"Manchmal
fühlen wir Ukrainer uns verletzt durch Äußerungen anderer", sagt Tetiana
Stawnychy, Präsidentin der Caritas Ukraine. Das ist ihre Antwort auf die Frage,
wie sie die Rolle von Papst Franziskus im Konflikt zwischen Russland und der
Ukraine wahrnimmt. Sie ringt um die richtigen Worte, wirkt niedergeschlagen.
Die
Friedensbemühungen des Vatikans um einen Dialog zwischen den Kriegsparteien
haben letzte Woche einen Dämpfer bekommen. Der ukrainische Präsidentenberater
Mychajlo Podoljak lehnte eine Vermittlung der katholischen Kirche am Freitag im
Nachrichtensender 24 mit der Begründung ab, Papst Franziskus sei
"prorussisch". Aus Sicht der ukrainischen Regierung würde der Papst
Russland nicht eindeutig als Aggressor bezeichnen.
Hilfswerk
Renovabis: Projekte in 29 Ländern Osteuropas
Die
Ukrainerin Tetiana Stawnychy ist anlässlich des 30-jährigen Jubiläums von
Renovabis nach München gereist. Mit Hilfe des Osteuropa-Hilfswerks der
katholischen Kirche in Deutschland organisiert die 56-Jährige vor Ort
humanitäre Hilfe: Trinkwasser, Nahrungsmittel, Medikamente, vor allem
Unterkünfte für geflüchtete Menschen. Und auch Freizeiten für Kinder und
Jugendliche werden angeboten, denn diese würden, ihrer Beobachtung nach, am
meisten unter dem Krieg leiden.
Renovabis
hat allein im Jahr 2022 die Ukraine mit über 15 Millionen Euro an Spenden
unterstützt. Von Albanien über Tadschikistan bis zur Ukraine fördert das
Hilfswerk Projekte in 29 Ländern. "Renovabis nimmt uns als Projektpartner
auf Augenhöhe wahr", betont Tetiana Stawnychy. Vor Ort entscheiden die jeweiligen
Diözesen und Pfarreien selbst, was sie brauchen und wie sie gemeinsam
nachhaltige Hilfe ermöglichen.
Bischof
aus Odessa: Aufgabe des Papstes ist Gebet, nicht Politik
Zum
Jubiläum sind 300 Festgäste gekommen, darunter auch viele Projektpartner aus
Osteuropa. Für Bischof Stanislaw Szyrokoradiuk aus Odessa hat die katholische
Kirche ganz konkret eine Hauptaufgabe, nämlich die seelsorgerische Begleitung
der Menschen vor Ort. "Der Papst hat mit seinen Friedensgebeten schon viel
für uns getan", sagt der Bischof. Politik sei nicht seine erste Aufgabe.
Gerade in diesen Kriegszeiten sei es wichtig, dass Kirche den Menschen einen
Raum der Hoffnung und des Gebetes biete.
Darüber
hinaus sei natürlich auch die humanitäre Hilfe entscheidend. Aktuell würden in den
Kirchengebäuden seiner Diözese auch viele Kriegsflüchtlinge versorgt, vor allem
alte Menschen und von Armut Betroffene.
Renovabis-Geschäftsführer:
Papst nicht prorussisch
"Der
Vatikan bietet beiden Konfliktparteien immer wieder Gespräche an", sagt
Renovabis-Hauptgeschäftsführer Thomas Schwartz. Der Vorwurf, Papst Franziskus
sei "prorussisch" eingestellt, sei nicht haltbar. Als Mahner des
Friedens müsse der Papst immer beide Seiten im Blick haben, um Gespräche
überhaupt erst zu ermöglichen.
Offene
Gespräche und Dialogbereitschaft – darauf setze auch das Hilfswerk Renovabis im
Kontakt mit den Partnerländern in Osteuropa. Was die Rolle des Patriarchen der
russischen orthodoxen Kirche, Kyrill I., angehe, so würde dieser seine
Möglichkeiten zu wenig nutzen. "Er hat sich seine Hände so schmutzig
gemacht mit Blut, dass er als Gesprächspartner für die Menschen in der Ukraine
nicht mehr in Frage kommt", sagt Schwartz.
Alt-Bundespräsident
Gauck: Waffenlieferungen gerechtfertigt
"Wir
müssen die Ukraine so unterstützen, dass sie sich verteidigen kann", sagte
Alt-Bundespräsident Joachim Gauck bei seiner Festrede. Er sehe es als Akt
tätiger Solidarität, dem angegriffen Land auch finanziell zu helfen.
Friedensliebe dürfe nicht in romantischen Träumen enden, sondern müsse sich
auch materiell zeigen.
Kirche
habe also auch einen politischen Auftrag, so stehe es schon in der Bibel:
"Widersteht dem Bösen!" Tätige Nächstenliebe, das sei die Aufgabe von
Kirche in diesen Zeiten. Gauck dankte Renovabis dafür, dass das Hilfswerk "ein
Netzwerk des Guten und der Guten geschaffen habe", die Basis für eine
menschliche Gesellschaft. BR.de 15
Synodenberaterin: Eine hörende
Kirche geht einer lehrenden Kirche voraus
Die
in Linz lehrende Pastoraltheologin Klara-Antonia Csiszar rät zum vorurteilslosen
Zuhören anderer Gläubiger, auch wenn deren Sensibilitäten sich mit den eigenen
nicht decken. Csiszar, die selbst der ungarischen katholischen Minderheit in
Rumänien angehört, wird als Beraterin an der Weltbischofssynode teilnehmen.
Am
Dienstag hielt sie ein Referat beim Internationalen Kongress Renovabis an der
Hochschule für Philosophie in München, Gudrun Sailer sprach mit ihr.
Frei
sein vom westlichen Liberalismus
Frau
Professor Csiszar, Sie nehmen in drei Wochen an der Weltbischofssynode in Rom
teil und hier dieser Tage in München am 27. Internationalen Kongress Renovabis.
Es geht um Freiheit, Demokratie, Menschenrechte in Ostmitteleuropa fast 35
Jahre nach dem großen Umbruch. Wenn Sie heute einen Blick werfen auf die
kirchliche Situation, welchen Zugang hat die katholische Ortskirche in diesem
Land oder überhaupt in Ost- und Mitteleuropa zu Freiheit, Demokratie,
Menschenrechten?
Csiszar:
Ja, wir wollen nach wie vor frei sein, heißt es immer wieder im Bereich der
Kirche, aber auch der Politik in Ungarn. Und momentan heißt frei sein: frei
sein vom westlichen Liberalismus. Dahinter könnte auch eine Angst stehen, dass
einfach die Ortskirchen, die Gesellschaft eher verunsichert ist. Was passiert,
wenn Menschen plötzlich selber entscheiden dürfen, welche Lebensentwürfe sie
für sich gestalten wollen und das nicht mehr mit unseren traditionalistischen
Bildern und Vorstellungen über Familie übereinstimmt? Wie gehen wir damit um?
Momentan gibt es eine Ablehnung von solchen Lebensentwürfen, und man bezieht
sich auf die Lehre, auf die Moral der Kirche, der zu gehorchen ist. In dieser
Situation ist die große Herausforderung, wie eine Kirche bei den Menschen
bleiben kann, unabhängig davon, welches Geschlecht man ist, welcher
Nationalität man angehört, welcher Religion.
Es
nicht immer besser wissen wollen. Wie herausfordernd ist das?
Csiszar:
Das ist momentan sehr schwierig. Aber es gibt wichtige Hotspots auch in Ungarn,
für die das ganz wesentlich ist, und die nicht sagen, meine Vorstellungen
müssen stimmen, und dann höre ich den Menschen zu, oder dass ich die Menschen
korrigieren will, bevor sie überhaupt einen Platz in der Kirche haben. Wir
wollen das Zuhören beginnen, bevor wir lehren. Eine hörende Kirche geht einer
lehrenden Kirche voraus! Und bei der Synode muss genau das passieren, dass wir
einander zuhören, schweigen und nicht immer besser wissen, was der andere zu
tun hat.
Sie
selbst verstehen sich ja als Brückenbauerin zwischen Kirchen aus Mitteleuropa
einerseits und dem Westen andererseits und haben in Ihrem Vortrag hier beim
Renovabis Kongress auch konkrete Vorschläge gemacht. Einer davon war, dass
Gläubige im Osten heute, die seit 30 Jahren ebenfalls in Demokratien leben, den
Gläubigen im Westen Solidarität zurückschenken können, und zwar eine gewandelte
Form von Solidarität, nicht die eher materiell orientierte Solidarität, die
zuvor aus dem Westen in die Kirchen des Ostens kam, sondern umgekehrt eine
gewandelte Form von Solidarität. Was genau meinen Sie damit?
Keine
Schuldzuweisung, sondern zuhören
Csiszar:
Ich meine damit, wir sehen ..., dass es der Kirche in Deutschland - übrigens
auch anderen Kirchen, aber manche wollen es nicht wahrhaben - nicht gut geht.
Die Kirche in Deutschland leidet, allem voran an der Missbrauchskrise. Mein
Vorschlag ist an diesem Punkt, einfach mal solidarisch zu sein, in dieses
Leiden hineinzuhören, wir aus Osteuropa. Das könnte doch ein Zeichen der
Solidarität sein, wo wir dieser leidenden Kirche nicht sagen: Das ist eure
eigene Schuld und das habt ihr selbst verursacht, weil ihr das und das falsch
gemacht habt, und dann haben wir die Antworten: Nein! Bitte nicht wegschauen
und wissen, dass die Kirche in Deutschland nicht mehr katholisch ist, sondern
einfach im Zeichen dieser Solidarität zuhören, fragen: Wie geht's dir, liebe
Kirche in Deutschland? Was denkst du, liebe Kirche in Deutschland, wo tut's
weh? Nicht Geld ist hier in Frage, sondern ein Ohr und ein Auge zu haben und
vor allem ein Herz für die Kirche in Deutschland.
„Bitte
nicht wegschauen und wissen, dass die Kirche in Deutschland nicht mehr
katholisch ist, sondern einfach im Zeichen dieser Solidarität zuhören, fragen:
Wie geht's dir, liebe Kirche in Deutschland?“ (vn 14)
Am
kommenden Freitag (15. September 2023) beginnt das jüdische Neujahresfest Rosch
haSchana. Bischof Dr. Georg Bätzing, Vorsitzender der Deutschen
Bischofskonferenz, übermittelt den jüdischen Mitbürgerinnen und Mitbürgern in
einem Brief an den Präsidenten des Zentralrats der Juden in Deutschland, Dr.
Josef Schuster, herzliche Glück- und Segenswünsche.
In
seiner Grußbotschaft betont Bischof Bätzing die positive Entwicklung im
christlich-jüdischen Dialog, insbesondere die Studienreise der Unterkommission
der Deutschen Bischofskonferenz für die religiösen Beziehungen zum Judentum
nach Israel im Januar dieses Jahres. Daran hatten auch drei Rabbiner
teilgenommen. Bischof Bätzing sieht in diesem Engagement einen wichtigen
Schritt für den interreligiösen Dialog: „Gerade in der gegenwärtigen
angespannten politischen Situation ist es wichtig, dass der Dialog mit
jüdischen und christlichen Einrichtungen und Gruppen in Israel fortgesetzt
wird.“
Bischof
Bätzing äußert sich zudem besorgt über die schwierige Lage der Christen in
Israel und den besetzen Gebieten. Er dankt Rabbiner Pinchas Goldschmidt, dem
Präsidenten der Europäischen Rabbinerkonferenz, für seine klaren Worte, die er
in der Jüdischen Allgemeinen gefunden hat. Rabbiner Goldschmidt hatte darin die
Übergriffe auf Christen in Israel verurteilt und von einem „klaren Trend“
gesprochen, der auf eine schärfer werdende Rhetorik gegenüber Vertretern
anderer Religionen zurückzuführen sei.
Zum
Abschluss seiner Grußbotschaft wünscht Bischof Bätzing allen jüdischen
Mitbürgerinnen und Mitbürgern, dass die kommenden Feiertage „Mut und Hoffnung
für das neue Jahr geben“ und das „Vertrauen auf Gottes Treue und Gerechtigkeit
stärken“.
Hinweis:
Das Grußwort von Bischof Dr. Georg Bätzing zum jüdischen Neujahrsfest ist als
PDF-Datei im Anhang sowie unter www.dbk.de verfügbar. Dbk 14
Friedenstreffen in Berlin: „Schritt
für Schritt“ für Dialog
Die
katholische Kirche in Berlin bemüht sich angesichts des Ukraine-Krieges um
Dialog unter kirchlichen Gemeinschaften in der deutschen Hauptstadt und um
gemeinsame Friedensarbeit. Am Rande des Sant’Egidio-Friedenstreffens in Berlin
sprach Vatican News mit Erzbischof Heiner Koch.
„Wir
leiden sehr unter diesem Krieg“, sagte der Erzbischof gegenüber Radio
Vatikan-Korrespondentin Francesca Sabatinelli in Berlin. „Ich hätte nicht
geglaubt, dass mitten in Europa solch ein Krieg Wirklichkeit wird“, so Heiner
Koch.
Kleiner
Beitrag für Dialog
In
Berlin seien viele Flüchtlinge aus der Ukraine untergekommen, darunter seien
russisch-orthodoxe, ukrainisch-orthodoxe und katholisch-orthodoxe Gläubige. In
der deutschen Hauptstadt gebe es zwei große ukrainische Gemeinden, und im Zuge
des Ukraine-Krieges seien viele Kriegsflüchtlinge in Berlin untergekommen,
berichtet Koch. Damit seien das Leid und die Verzweiflung, die dieser Krieg
verursacht, spürbar.
„Das
ist oftmals sehr schwierig, aber es geht Schritt für Schritt. Wir leisten
unseren kleinen Beitrag“
„Wir
wissen um die Not und die Angst vor dem Tod und dem Terror des Krieges. Wir
beten um den Frieden, aber wir sprechen auch mit den Bischöfen, den
ukrainischen Bischöfen, die hier in Berlin sind, auch mit dem
russisch-orthodoxen. Das ist oftmals sehr schwierig, aber es geht Schritt für Schritt.
Wir leisten unseren kleinen Beitrag.”
Die
Theologin Angelika Wagner von der Gemeinschaft Sant’Egidio Deutschland
interpretiert das Motto des Friedenstreffens so:
„Den
Frieden zu wagen bedeutet in unserer heutigen Zeit, gemeinsam Schritte zu tun,
die den Dialog suchen, die die Komplexität der Fragen nicht ausschließen, aber
die wirklich unsere gemeinsame Verantwortung sehen, immer Wege zu suchen, die
eben nicht einen Sieg im Krieg sehen, sondern einen Sieg über den Krieg finden,
wie Kardinal Kasper das hier (auf dem Friedenstreffen, Anm.) gesagt hat. Weil
wir den Krieg nur durch Diplomatie und gegenseitige Unterstützung überhaupt
überwinden können.“
Brücken
nicht einbrechen lassen
Der
Angriffskrieg auf die Ukraine habe die Gemeinschaft Sant’Egidio vor die Frage
gestellt, welche Wege des Friedens und der Solidarität in dieser Lage möglich
seien, so die Pfarrerin der Evangelisch-Lutherischen Kirche in Bayern weiter.
„Eine
wichtige Antwort ist für uns auch von Sant‘Edigio, dass in der Ukraine selbst
Menschen der Gemeinschaft Sant'Egidio leben, die von Anfang an begonnen haben,
Flüchtlingen innerhalb der Ukraine zu helfen mit Unterstützung durch viele
westliche Gemeinschaften, die aber auch nie die Verbindung zu den
Gemeinschaften von Sant'Egidio in Russland beendet haben. Weil uns klar ist,
dass dieser Krieg zwar die Nationen trennt und zu absolut verwerflicher Gewalt
und Tod führt, dass er aber die Herzen der Menschen, die den Frieden suchen,
nicht trennen kann.
Auch
heute Morgen hat eine Vertreterin der Ukraine bei einem Forum gesagt: Sie hat
gelernt, in ihrem Herzen den Hass zu überwinden vor allem in der Sorge für die
Flüchtlinge in ihrem eigenen Land, aber auch in der Sorge für die, die vor
vielen Kriegen fliehen müssen. Und ich glaube, wir müssen, wir können als
Sant'Egidio da auch unseren Beitrag leisten, indem wir die Menschen einfach
zusammenbringen, indem wir miteinander sprechen.“
Die
Frage nach Gott
Der
Berliner Erzbischof Heiner Koch sieht es neben dieser Dialogarbeit als Auftrag
der katholischen Kirche an, im glaubensfernen Berlin „die Frage nach Gott“ am
Leben zu erhalten und gemeinsam mit anderen Kirchen ein Zeichen des Friedens
und des gemeinsamen Engagements zu setzen.
„In
Berlin sind, das muss man wissen, nur 25 Prozent der Bevölkerung Christen, der
größte Teil der Bevölkerung der Stadt glaubt nicht an einen Gott. Deshalb
stehen wir in der gemeinsamen Verantwortung, als Christen die Botschaft von
Gott und die Frage nach Gott in diese Stadt hinein lebendig zu bringen. Wir
müssen zusammenstehen, damit wir das Evangelium überhaupt in dieser Stadt
anklingen lassen können. Das ist die besondere Situation. Da ist es ganz
wichtig, dass wir im gemeinsamen Einsatz für die Verkündigung, aber auch für
den Einsatz für den Frieden und das Engagement in der Gesellschaft
zusammenstehen. Katholiken, Protestanten, aber auch Orthodoxe.“
Friedenstreffen
endet am Dienstag
Das
internationale Sant’Egidio-Friedenstreffen „Den Frieden wagen“ in Berlin geht
an diesem Dienstag mit einer Friedenskundgebung am Brandenburger Tor zu
Ende. Zahlreiche hochrangige Religionsvertreter und Gäste aus 30 Ländern
nahmen teil und tauschten sich über Themen wie die Umweltkrise, Migration,
interreligiösen Dialog, Demokratie, Globalisierung, Abrüstung und Künstliche
Intelligenz aus. (vn 12)
Papst an Friedenstreffen: „Mauer
des Unmöglichen überwinden"
Zu
mehr Anstrengungen für Frieden in der Welt und in der Ukraine hat Franziskus in
einer Botschaft an das Sant’Egidio-Gebetstreffen „Den Frieden wagen“ in Berlin
aufgerufen. Nach Ende des Kalten Krieges seien „neue Mauern“ errichtet worden
statt die „Hoffnung auf einen neuen Weltfrieden“ zu konsolidieren, kritisierte
das Oberhaupt der katholischen Kirche.
Nach
dem Berliner Mauerfall und dem Ende des Kalten Krieges hätten sich in Europa
„neue Perspektiven“ eröffnet: „die Freiheit der Völker, die Wiedervereinigung
der Familien, aber auch die Hoffnung auf einen neuen Weltfrieden nach dem
Kalten Krieg“, ging Papst Franziskus in seiner Botschaft an die Teilnehmer des
Friedenstreffens vom Standort Berlin aus. Statt im Laufe der Jahre auf dieser
gemeinsamen Hoffnung aufzubauen, hätten sich „Sonderinteressen und Misstrauen
gegenüber anderen“ verstärkt, klagte der Papst.
Hoffnung
auf einen Weltfrieden?
„So
wurden, anstatt Mauern einzureißen, weitere Mauern errichtet. Und von der Mauer
zum Graben ist es leider oft nur ein kleiner Schritt. Ich denke an so viele
Gebiete in Afrika und im Nahen Osten, aber auch in vielen anderen Regionen der
Erde; und an Europa, das den Krieg in der Ukraine kennt, einen schrecklichen
Konflikt, der kein Ende kennt und der Tote, Verletzte, Schmerz, Vertreibung und
Zerstörung verursacht hat.“
Krieg
bringe „Schmerz und Grauen“ mit sich, sei „Mutter aller Armut“, „Wahnsinn“ und
„sinnlos“, so Franziskus, der Kriegsopfer wie trauernde Mütter, Flüchtlinge,
Gefallene, Verwundete und Sterbende aufzählte. Ausgehend vom Motto des
Friedens-Gebetstreffens in Berlin „Den Frieden wagen“ rief der Papst dazu auf,
den Mut zur Umkehr zu finden und warb für eine „Kühnheit des Friedens“: „Man
muss den Mut haben, trotz der Hindernisse und objektiven Schwierigkeiten zu
wissen, wie man umkehrt.“
Frieden
suchen, oder: die Mauer des Unmöglichen überwinden
Erste
Form der Kühnheit sei „die Beharrlichkeit des Gebets“, so der Papst weiter. Bei
der Suche nach Frieden gelte es, „die Mauer des Unmöglichen zu überwinden, die
auf scheinbar unwiderlegbaren Argumenten, auf der Erinnerung an so viele
vergangene Leiden und große erlittene Wunden errichtet wurde“, so der der
Papst. Er rief Gläubige, Politiker, Führungskräfte und Diplomaten zu
Hartnäckigkeit bei der Suche nach Frieden auf. Es gelte „demütig und beharrlich
an die immer offene Tür des Herzens Gottes und an die Türen der Menschen zu
klopfen“, formulierte Franziskus, der die Ukraine hier ausdrücklich einschloss:
„Wir
bitten darum, dass Wege des Friedens geöffnet werden, besonders für die liebe
und gequälte Ukraine. Wir vertrauen darauf, dass der Herr den verzweifelten Schrei
seiner Kinder immer erhört. Erhöre uns, Herr!“
Für
den Frieden sollten sich alle Gläubigen und Religionsvertreter gemeinsam
einsetzen, wandte sich Franziskus an die Teilnehmer des internationalen
Gebetstreffens in Berlin: „Scheuen wir uns nicht, zu Bettlern des Friedens zu
werden und uns unseren Schwestern und Brüdern anderer Religionen und all jenen
anzuschließen, die sich nicht mit der Unvermeidbarkeit von Konflikten abfinden.
Ich schließe mich Ihrem Gebet für ein Ende der Kriege an.“
Friedenskundgebung
am Brandenburger Tor
Zu
dem am Sonntag im Beisein von Bundespräsident Frank Walter Steinmeier
eröffneten Friedenstreffen waren zahlreiche hochrangige Religionsvertreter und
Gäste aus 30 Ländern in die Hauptstadt gekommen. In 20 Foren ging es um Themen
wie die Umweltkrise, Migration, interreligiösen Dialog, Demokratie,
Globalisierung, Abrüstung und Künstliche Intelligenz. Das Treffen endete am
Dienstag mit einer großen Friedenskundgebung am Brandenburger Tor.
(vn
12)
Schweiz: Kein Zusammenhang zwischen
Pilotstudie und Vorwürfen gegen Bischöfe
Kurz
vor der Veröffentlichung der Missbrauchsstudie in der Schweiz ist es zu
Vorwürfen gegen Bischöfe und Mitglieder der Bischofskonferenz gekommen. Es
bestehe aber kein Zusammenhang zwischen der Pilotstudie und den
Anschuldigungen, präzisiert der Leiter der Geschäftsstelle des Fachgremiums
„Sexuelle Übergriffe im kirchlichen Umfeld“ der Schweizer Bischofskonferenz,
Stefan Loppacher, im Interview mit Radio Vatikan. Mario Galgano
Vatikanstadt.
Loppacher ist auch Präventionsbeauftragter in Zürich für das Bistum Chur. Ein
Priester erhob vor Kurzem schwere Vorwürfe gegen sechs Bischöfe, wie der
„SonntagsBlick“ am Wochenende berichtete. Ihnen allen wird vorgeworfen, Fälle
von sexuellem Missbrauch vertuscht zu haben; einem der Bischöfe wird gar
vorgeworfen, er habe sich selbst an einem Jugendlichen vergriffen.
Diese
Anschuldigungen kamen just kurz vor der Veröffentlichung der Pilotstudie der
Universität Zürich, die im Auftrag der katholischen Kirche in der Schweiz eine
historisch-wissenschaftliche Untersuchung der Missbrauchsfälle in den
vergangenen 70 Jahren durchgeführt hat. Der Priester Loppacher erläutert den
Sinn und Zweck der Studie:
„Die
Idee dieser Pilotstudie ist es, Klarheit über die Vergangenheit zu schaffen.
Betroffene haben in der Schweiz schon lange eine unabhängige Aufarbeitung der
gesamten Missbrauchsthematik gefordert. Und auch zu Recht. Ich bin der
Überzeugung, dass die Kirche das nicht aus eigenem Antrieb und selber tun kann.
Es geht darum, unabhängig aufzuklären, aufzuarbeiten und Licht ins Dunkel der
Vergangenheit bringen. Das Ziel dieser Studie ist, genau das zu tun.“
Rolle
der Medien
Parallel
dazu hätten Journalisten und Reporter das Recht, Fälle aufzudecken und darüber
zu berichten, fügt der kirchliche Beauftragte an:
„Die
Vorarbeiten für diese Studie haben bereits 2019 begonnen. Die Kirche in der
Schweiz hat drei großen Institutionen: die Bischofskonferenz, die
Römisch-Katholische Zentralkonferenz von der staatskirchenrechtlichen Seite und
den Zusammenschluss der Ordensgemeinschaften, die KOVOS. Sie haben dieses
gemeinsame Projekt gewollt und der Uni Zürich den Auftrag erteilt, historische
Forschung über die letzten 70 Jahre kirchliche Geschichte und Geschichte des Missbrauchs
zu erforschen. Hauptschwerpunkte sind nicht nur, Einzelfälle ans Licht zu
bringen, sondern die systemischen Ursachen zu erforschen, die Missbrauch in
diesem Ausmaß ermöglicht und begünstigt haben und auch die Zusammenhänge, die
zu systematischer Vertuschung geführt haben, ans Licht zu bringen.“
Zu
den jüngsten Vorwürfen hat auch der Vatikan eine interne Untersuchung
angeordnet. Da die Vorwürfe des Priesters so massiv sind, wurde der Bischof von
Chur, Joseph Bonnemain, mit einer internen Voruntersuchung betraut. Dazu sagt
Loppacher:
„Die
Veröffentlichung des Schlussberichts zur Pilotstudie zu diesem ersten
Forschungsjahr am 12. September und die Berichterstattung im Vorfeld sind zwei
verschiedene Geschichten. Das eine sind die Recherchen, die Medienschaffende
und Journalisten gemacht haben und jetzt berichten. Das andere ist die
Forschungsarbeit, die das ganze vergangene Jahr bis in diesen Frühling gelaufen
ist und der Bericht darüber, der jetzt eben veröffentlicht wurde. Das heißt, es
gibt ja keinen Zusammenhang zwischen der Pilotstudie und den Vorwürfen, die
jetzt in den Medien im Raum stehen. Selbstverständlich hat der Anstieg der
Berichterstattung damit zu tun, dass jetzt dieses Thema virulent ist und auch
die Kirche sich dieser Thematik stellt.“
Es
sei damit zu rechnen gewesen, dass auch neue Fälle aufgedeckt und neue Vorwürfe
erhoben würden, so Loppacher weiter:
„Die
Medienarbeit ist enorm wichtig, auch die unabhängige journalistische Arbeit zu
diesem Thema. Und es gilt eigentlich für die ganze Weltkirche und auch für
andere Institutionen, nicht nur für die Kirche, dass Bewegung in dieses Thema
erst kommt, wenn Druck aufgesetzt wird. Es ist für keine Institution leicht,
sich diesem Thema aus eigenem Antrieb zu stellen, weil es zu schmerzhaft ist, weil
es zu düster ist und man das lieber nicht hätte.“
Licht
in den letzten Winkel der Kirchengeschichte bringen
Es
führe aber für die Kirche kein Weg vorbei, sich diesem Thema und der ganzen
ungeschönten Wahrheit zu stellen und auch eben mithilfe von unabhängiger
journalistischer Arbeit und unabhängiger Forschung von unabhängigen Fachleuten
Licht in den letzten Winkel der Kirchengeschichte zu bringen, so Loppacher:
„Es
geht darum, etwas daraus zu lernen und auch darum, den Opfern Gerechtigkeit
widerfahren zu lassen. Denn die Gesellschaft und die Betroffenen haben ein
Recht, dass die Kirche nicht mit einer kriminellen Vergangenheit weiter in die
Zukunft geht.“
Weshalb
aber der Vatikan einen amtierenden Schweizer Bischof die Voruntersuchung
anvertraut habe und ob das nicht problematisch sei, bewertet Loppacher
folgendermaßen:
„Die
genauen Überlegungen, die zu dieser Entscheidung auf Ebene der römischen Kurie
geführt haben, kenne ich nicht und kann sie deswegen auch nicht beurteilen oder
bewerten. Das will ich auch nicht. Es läuft auf die gültige Gesetzesgrundlage
für diese Ermittlungen hinaus, die jetzt angeordnet worden ist. Das
Kirchengesetz richtet sich an ,Vox estis Lux mundi´ von Papst Franziskus aus
dem Jahr 2019. Und dort ist festgelegt, sobald das zuständige Dikasterium
solche Meldungen bekommt, dieses dann den zuständigen Metropolitan-Bischof
beauftragt, um diese Voruntersuchung durchzuführen.“
Da
die Schweiz hat keine Metropolitanstruktur habe, sei wohl aus römischer Sicht
diese Lösung in Betracht gezogen worden. Alle Schweizer Bischöfe sind direkt
dem Heiligen Stuhl unterstellt und nicht einem anderen Metropolitanbischof, der
über ihnen steht. (vatican news 12)
Steinmeier: „Religion darf niemals
die Rechtfertigung von Hass und Gewalt sein
Zum
Internationalen Friedenstreffen von Sant'Egidio in Berlin verurteilten
Bundespräsident Steinmeier sowie Vertreter christlicher Kirchen die
Unterstützung des Ukrainekriegs durch die russisch-orthodoxe Kirche.
Man
verstoße „fundamental gegen das Friedensgebot des Glaubens“, wenn man als
Führung einer christlichen Kirche Gräueltaten gegen die eigenen Schwestern und
Brüdern im Glauben unterstütze, so Steinmeier in seiner Eröffnungsrede auf dem
internationalen Friedenstreffen der christlichen Gemeinschaft Sant'Egidio. Für
den Limburger Bischof sei die Unterstützung der russisch-orthodoxen Kirche für
den Ukrainekrieg ein Beispiel dafür, dass „alle Religionen zu unterschiedlichen
Zeiten ihrer Geschichte den Dämonen der Friedlosigkeit und Gewalt nachgegeben.“
Auch die Vertreter anderer Religionsgemeinschaften betonten die Notwendigkeit
des Einsatzes von Glaubensgemeinschaften für friedliche Konfliktlösungen.
Hintergrund
Hochrangige
Vertreter der Weltreligionen und Tausende Gläubige treffen sich seit Sonntag in
Berlin, um für Frieden zu beten und über gewaltfreie Konfliktlösungen zu reden.
Zur Eröffnung sprach Bundespräsident Steinmeier. Ausgerichtet wird dieses
Treffen von der katholischen Bewegung Sant'Egidio. Diese, im Mai 1968 in Rom
entstandene Bewegung, widmet sich der karitativen Arbeit, der Diplomatie in
Bürgerkriegsgebieten sowie dem Dialog der Religionen.
(domradio
11)
Mit
einem Gottesdienst ist heute (12. September 2023) Pfarrer Werner Demmel, seit
2013 Leiter der deutschsprachigen Pilgerseelsorge in Rom, aus seinem Amt
verabschiedet worden. Ihm folgt der aus dem Bistum Passau stammende Priester
Christian Böck, der 1998 zum Priester geweiht wurde. Seitdem hatte er mehrere
Kaplans- und Pfarrstellen im Bistum inne und war seit 2018 Prodekan des
Dekanats Pocking.
Pfarrer
Demmel, der zum Erzbistum München und Freising gehört, hat das Pilgerzentrum in
Rom in seiner Amtszeit weiterentwickelt. Für Pilgergruppen bei kirchlichen
Großveranstaltungen wie zum Beispiel Ministrantenwallfahrten war er ein
kundiger und gewinnender Ansprechpartner. Viele Gruppen und Einzelpilger
erlebten ihn aber vor allem als passionierten Seelsorger. Im Pilgerzentrum nahe
der Engelsbrücke hat Pfarrer Demmel mehrere Ausstellungen organisiert; der Ort
wurde unter seiner Leitung zu einem beliebten Begegnungszentrum. Auch in der
Pandemiezeit gelang es ihm trotz schwieriger Umstände, die Seelsorge vor Ort
aufrechtzuerhalten. In den Mittelpunkt seines Tuns stellte Pfarrer Demmel stets
die pastoralen und praktischen Bedürfnisse der Pilger.
Weihbischof
Matthias König (Paderborn), der in der Deutschen Bischofskonferenz Beauftragter
für die deutschsprachige Seelsorge im Ausland ist, würdigte in seiner Predigt
das Wirken des Pilgerzentrums und seines bisherigen Leiters: „Hier ist ein Ort,
der Anlaufstelle geworden ist für Pilger und Touristen, aber auch für Studenten
und Freiwillige, die hier Kontakt knüpfen und durch Mitarbeit Lebenserfahrung
sammeln konnten.“ Pfarrer Demmel habe viel geleistet, geordnet und angeschoben:
„Ganze Generationen junger Leute hast Du hier in guter Weise angebunden, die
Rom als einen besonderen Ort im Herzen behalten werden – und immer wieder
hierher zurückkommen.“ Dafür, so Weihbischof König, gelte es, Dank zu sagen. An
Pfarrer Böck gerichtet, sagte er: „Sie kennen und lieben Rom seit Ihrem
Studium. Sie lieben die italienische Sprache. Sie sind vertraut mit den
Schönheiten und den Schattenseiten dieses Ortes. Somit können Sie in guter
Weise fortsetzen, was in den Jahrzehnten vor Ihnen hier an Gutem geschehen ist.
Sie werden es auf Ihre Weise tun – anders geht es nicht.“
In
seinem Dankwort betonte Pfarrer Demmel: „Mit Dank denke ich an all die
Begegnungen in den zehn Jahren. Die große Wertschätzung für die Pilgerinnen und
Pilger haben uns immer wieder beflügelt, unsere Dienste und Hilfestellungen
anzupassen und zu verbessern. So wünsche ich den Pilgerinnen und Pilgern, dass
ihr Weg nach Rom dazu dient, ihr Leben neu zu ordnen und ihren Glauben an den
Gräbern der Apostel zu stärken.“ Zu seiner neuen Aufgabe sagte Pfarrer
Christian Böck, dass er als neuer Leiter der Pilgerstelle ein gut bestelltes
Haus vorfinde. „Besonders wichtig ist mir – neben den täglichen Verwaltungs-
und Organisationsarbeiten im Pilgerbüro –, die Pilgerinnen und Pilger in Rom
auf ihren Wegen zu den Heiligen Stätten geistlich zu begleiten und mit Rat und
Tat zur Seite zu stehen. Ich möchte mit meinem Tun dazu beitragen, den Glauben
an Gott in Herz und Verstand der Pilger zu vertiefen“, so Pfarrer Böck.
Informationen
zum deutschsprachigen Pilgerzentrum in Rom sind unter www.pilgerzentrum.org
verfügbar. Dbk 12
Papst: Leben darf nicht für Profit
gehandelt werden
Franziskus
hat sich am Montagmorgen mit einer Delegation von ANMIL, dem Verband der
amputierten und invaliden Arbeitnehmer, getroffen und sprach erneut über die
Notwendigkeit, Sicherheit am Arbeitsplatz zu gewährleisten. Er warnte zudem vor
dem Phänomen des „Carewashings“. Sein Appell: „Wir sind Menschen und keine
Maschinen.“ Mario Galgano - Vatikanstadt
„Sicherheit
am Arbeitsplatz ist wie die Luft zum Atmen: Wir erkennen ihre Bedeutung erst,
wenn sie auf tragische Weise fehlt, und dann ist es immer zu spät“, erinnerte
der Papst bei der Privataudienz. Er hatte das Thema des „Todes am Arbeitsplatz“
vor Kurzem angesprochen, als Papst Franziskus auf die Frage eines Journalisten
an Bord des Fluges aus der Mongolei antwortete. Wenige Stunden zuvor hatten bei
einem Unfall in Brandizzo bei Turin fünf Arbeiter ihr Leben verloren, als sie
von einem Zug überrollt wurden. Bei jener Gelegenheit wiederholte der Papst,
dass der Arbeiter heilig sei und dass solche Tragödien, Unglücke und
Ungerechtigkeiten immer auf mangelnde Sorgfalt zurückzuführen seien.
An
diesem Montag kehrte er im Clementinensaal des Apostolischen Palastes vor etwa
300 Mitgliedern der Nationalen Vereinigung der Arbeitnehmer mit Behinderungen
am Arbeitsplatz (ANMIL), die ihr achtzigjähriges Bestehen feiert, zu diesem
Thema zurück und erinnerte ausdrücklich an die Arbeiter, „die der Zug getötet
hat, als sie arbeiteten“.
In
seiner Rede, in der er sich mit der zugrundeliegenden Dynamik der Dramen am
Arbeitsplatz befasste, rief Franziskus dazu auf, die Regeln zu respektieren und
die Verantwortung gegenüber den Arbeitnehmern als Priorität zu betrachten.
Jeder
bewaffnete Konflikt bringt Legionen von Amputierten mit sich
Die
Rede von Papst Franziskus nahm ihren Ausgangspunkt in der Erinnerung an die
Zeit des Zweiten Weltkriegs - 1943 wurde die Vereinigung ANMIL gegründet -, was
ihn sofort dazu veranlasste, seine Überlegungen zu aktualisieren, indem er sie
auf die „dramatischen Folgen des Wahnsinns, der der Krieg ist“, zurückführte.
Heute erlebten wir die Folgen, die aber vor allem die Zivilbevölkerung
betreffen würden. „Jeder bewaffnete Konflikt bringt Legionen von Amputierten
mit sich, auch heute noch“, sagte der Papst. Dies dürfe man nicht vergessen.
Die
volle Würde der Verstümmelten anerkennen
Die
Worte des Papstes gingen über in ein wiederholtes Dankeschön, verbunden mit der
Bitte, die Rechte der Behinderten, insbesondere der Frauen und Jugendlichen,
nicht zu vergessen.
Indem
er den heiligen Josef, den Schutzpatron der Arbeiter, Amputierten und
Invaliden, anvertraute, erinnerte der Papst abschließend daran, dass „jeder
Mensch ein Geschenk für die Gemeinschaft ist und dass die Verstümmelung oder
Invalidisierung eines einzigen Menschen das gesamte soziale Gefüge verletzt“.
Italien
war in den zehn Jahren von 1996 bis 2005 das Land mit der höchsten Zahl
arbeitsbedingter Todesfälle in Europa, mit Ausnahme der ersten beiden Jahre. In
Italien sterben jedes Jahr etwa eintausend Menschen bei der Arbeit. (vn 11)
Begegnung zwischen dem Vorsitzenden
der DBK und dem Großimam der ägyptischen al-Azhar
Am
Rande des Internationalen Friedenstreffens von Sant’Egidio hat heute
(11. September 2023) in Berlin eine Begegnung zwischen dem Vorsitzenden
der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, und dem Scheich der
ägyptischen Al-Azhar-Universität, Großimam Dr. Ahmad al-Tayyeb, stattgefunden.
Im Fokus des Gesprächs standen die gemeinsame Friedensverantwortung von
Christen und Muslimen sowie die Bedeutung des interreligiösen Dialogs.
„Das
Christentum und der Islam sind die beiden größten Religionsgemeinschaften auf
unserer Erde. Nur wenn Christen und Muslime miteinander in Frieden leben, hat
der Weltfrieden eine Chance“, betonte der Vorsitzende der Deutschen
Bischofskonferenz. „Mit dem Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen
haben Papst Franziskus und Großimam Ahmad al-Tayyeb vor vier Jahren in Abu
Dhabi einen eindringlichen Friedensappell formuliert: Weil Christen und Muslime
an den gerechten und barmherzigen Gott glauben, widersagen sie jeder Form von
Hass und Gewalt im Namen Gottes; ‚denn Gott, der Allmächtige, hat es nicht
nötig, von jemandem verteidigt zu werden; und er will auch nicht, dass sein
Name benutzt wird, um die Menschen zu terrorisieren‘. Bei unserer heutigen
Begegnung habe ich Großimam Ahmad al-Tayyeb für diese wegweisenden Worte
gedankt. Gleichzeitig haben wir über die Hürden gesprochen, die es auf dem Weg
zum Frieden zu überwinden gilt. Wir waren uns einig: Der Frieden ist für
Christen und Muslime die große Aufgabe unserer Zeit. Packen wir es an und
wirken wir gemeinsam als Friedensstifter!“, so Bischof Bätzing.
Großimam
al-Tayyeb traf sich außerdem heute mit dem Vorsitzenden der Unterkommission für
den Interreligiösen Dialog der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Bertram
Meier (Augsburg), zu einem Gespräch, an dem auch der Generalsekretär des
Muslimischen Ältestenrats, Richter Mohamed Mahmoud Abdelsalam, teilnahm. Dabei
stellte Bischof Meier fest: „Mit Wertschätzung und Hochachtung – so sollen
Christen und Muslime einander begegnen. Bei allen Unterschieden verbindet uns
der Glaube an den einen Gott und die Verantwortung für unser gemeinsames Haus.
Letztlich geht es darum, im Anderen einen Bruder und eine Schwester zu
erkennen. Wie gut, dass Papst Franziskus und Großimam Ahmad al-Tayyeb da am
gleichen Strang ziehen! Im Februar dieses Jahres konnte ich bei meiner
Abu-Dhabi-Reise feststellen, dass das Dokument über die Brüderlichkeit aller
Menschen weltweit seine Wirkung entfaltet. Durch ihr Vorbild stärken der Papst
und der Großimam auch die vielfältige Dialog-Landschaft in Deutschland.“
Eine
erste Begegnung zwischen Großimam al-Tayyeb und einem Vertreter der Deutschen
Bischofskonferenz hatte im März 2016 stattgefunden, als der damalige
Vorsitzende der Unterkommission für den Interreligiösen Dialog, Weihbischof Dr.
Hans-Jochen Jaschke (Hamburg), den Scheich der Al-Azhar-Universität in Berlin
empfing. Bei den heutigen Gesprächen wurde auch an die großen Verdienste des
mittlerweile verstorbenen Weihbischofs im interreligiösen Dialog
erinnert.
Hintergrund
Professor
Dr. Ahmad al-Tayyeb ist seit 2010 Großimam und Scheich Al-Azhar. Als oberster
ägyptischer Imam steht er sowohl der traditionsreichen Azhar-Moschee als auch
der Gesamtkörperschaft der Azhar vor, darunter die Akademie für Islamische
Untersuchungen und die Azhar-Universität. Der Großimam der Azhar gilt vielen
Muslimen als höchste theologische Autorität des sunnitischen Islam.
Während
seiner Apostolischen Reise in die Vereinigten Arabischen Emirate ist Papst
Franziskus am 4. Februar 2019 mit Großimam Ahmad al-Tayyeb zusammengetroffen.
Bei ihrer Begegnung unterzeichneten sie das Dokument über die Brüderlichkeit
aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt, das auch unter
dem Namen Abu-Dhabi-Dokument bekannt geworden ist. Dieses Dokument bildete
wiederum eine wichtige Grundlage für die 2020 veröffentlichte Enzyklika
Fratelli tutti von Papst Franziskus. Dbk 11
Italien: Bekannter Mönch gründet
neue Gemeinschaft
Der
italienische Mönch Enzo Bianchi hat im Piemont eine neue Klostergemeinschaft
gegründet. Sie befindet sich in der Ortschaft Albiano d'Ivrea und heißt „Casa
Madia“.
Wie
die katholische Tageszeitung „Avvenire“ am Wochenende berichtete, besteht die
neue Kommunität aus zunächst fünf Männern und zwei Frauen. Der 80-jährige
Bianchi selbst will laut dem Bericht nicht Prior der neuen Gemeinschaft werden.
Der
für seine Bibelauslegungen und ökumenischen Initiativen bekannte Mönch und
Autor hatte 1965 die ökumenische Klostergemeinschaft von Bose im Piemont
gegründet. Ihr gehören Männer und Frauen unterschiedlicher christlicher Kirchen
und Traditionen an, heute zählt sie etwa 80 Mitglieder. Die Klosterregel von
Bose wurde 1973 vom zuständigen Bischof von Biella kirchlich genehmigt. Die
Gemeinschaft pflegt insbesondere Kontakte in die Welt der östlichen Kirchen.
Konflikte
im Kloster Bose
„Bruder
Enzo“ war über Jahrzehnte einer der bekanntesten christlichen Autoren in
Italien, er nahm an Weltbischofssynoden als Berater teil. 2017 wurde er als
Prior der Gemeinschaft abgelöst. Nach Konflikten mit seinem Nachfolger ordnete
der Vatikan eine Visitation an.
2020
wurde der Gründer gemeinsam mit drei weiteren Brüdern durch ein von
Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin unterzeichnetes Dekret aufgefordert, das
Kloster Bose zu verlassen. Die neue, deutlich kleinere Niederlassung mit
Gästehaus und eigener Landwirtschaft liegt etwa 15 Autominuten entfernt von der
älteren Klostergemeinschaft Bose. (kap 10)
Sant’Egidio-Friedenstreffen in
Berlin
In
Berlin hat am Sonntag ein internationales Friedenstreffen der Religionen
begonnen, ausgerichtet von der römischen Basisgemeinschaft Sant'Egidio.
Drei
Tage lang werden Vertreter der großen Weltreligionen aus über 40 Ländern der
Welt in der deutschen Hauptstadt zusammentreffen. Das Treffen hat zum Motto
„Die Kühnheit des Friedens“ und wird von der katholischen und der evangelischen
Kirche Berlins mitveranstaltet.
Eröffnet
wird die neue Ausgabe des Friedenstreffens, wie Sant’Egidio sie seit
Jahrzehnten in vielen Teilen der Welt organisiert, von Bundespräsident
Frank-Walter Steinmeier. Auch Zohra Sarabi, ein afghanischer Flüchtling, der
dank der humanitären Korridore nach Italien gekommen ist, wird bei der
Eröffnungsveranstaltung das Wort ergreifen.
Auftritte
von Steinmeier und Scholz
Auf
den 20 Foren, die für den 11. und 12. September geplant sind, werden viele
wichtige Persönlichkeiten sprechen. Am Vormittag des 12. September werden
Bundeskanzler Olaf Scholz und der Präsident von Sant'Egidio, Marco Impagliazzo,
über das Thema Frieden diskutieren, bevor es am Nachmittag desselben Tages zu
einer Demonstration am Brandenburger Tor kommt, bei der eine Botschaft von
Papst Franziskus verlesen und ein Friedensappell verkündet wird.
Aus
verschiedenen europäischen Ländern liegen zahlreiche Anmeldungen für die
persönliche Teilnahme vor, darunter tausend Schülerinnen und Schüler von
Berliner Gymnasien. Die Veranstaltungen werden live auf der Website der
Gemeinschaft Sant'Egidio übertragen. (sant’egidio 10)
Internationales Friedenstreffen in
Berlin eröffnet
Bischof
Bätzing: Religionen sind zur selbstkritischen Betrachtung aufgerufen
Das
37. Internationale Friedenstreffen der Gemeinschaft Sant’Egidio ist am heutigen
Sonntag (10. September 2023) in Berlin eröffnet worden. Unter dem Leitwort Den
Frieden wagen werden sich bis zum Dienstag (12. September 2023) rund 1.000
Teilnehmerinnen und Teilnehmer aus der ganzen Welt und von vielen
Weltreligionen mit der Frage nach dem Friedenspotenzial der Religionen
befassen.
Bei
der Eröffnungsveranstaltung rief der Vorsitzende der Deutschen
Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zu einem starken und sichtbaren
Zeichen des Friedens auf. Mit dem Motto des Friedenstreffens zeige sich eine
der großen Fragen der Zeit: „Wir selbst, die Vertreter der Religionen, haben
üblicherweise eine hohe Meinung von der friedensstiftenden Kraft unseres
Glaubens, vielleicht auch aller Religion. Hier in Europa, aber auch in anderen
Teilen der Welt sind viele diesbezüglich deutlich skeptischer. Sie sehen die
Religionen eher als Hindernis auf dem Weg in eine friedlichere Zukunft. Ich bin
überzeugt: Wir dürfen diese kritischen Stimmen nicht vorschnell abtun. Vielmehr
sind wir zu einer selbstkritischen Betrachtung aufgerufen, die nicht nur ein
taktisches Manöver sein darf, sondern eine Pflicht des Glaubens darstellt“,
sagte Bischof Bätzing. Eine solche Selbstkritik komme nicht umhin
festzustellen, dass alle Religionen zu unterschiedlichen Zeiten ihrer
Geschichte den Dämonen der Friedlosigkeit und Gewalt nachgegeben hätten.
Deshalb sei Selbstkritik der Religionen unabdingbar, „nicht nur der Ehrlichkeit
halber, nicht nur um unser Gewissen zu reinigen (so wichtig auch das ist),
sondern vor allem, damit die Religionen glaubwürdige Akteure des Friedens sind.
Denn wir können tatsächlich in den Irrungen und Wirrungen einer Menschheit, die
sich immer wieder in Ungerechtigkeit und Gewalt verstrickt, eine tragende Rolle
für eine bessere Zukunft spielen“, betonte Bischof Bätzing.
In
seiner Ansprache fügte er hinzu, dass wahrscheinlich kaum etwas so sehr die
Identität von Menschen, Gemeinschaften und Gesellschaften berühre wie die
Religion: „Sie schult – im besten Fall – das Gewissen und lehrt jeden Menschen
seine Verantwortung gegenüber Gott, unter welchem Namen auch immer das große
Geheimnis unseres Daseins angesprochen wird. Religion bezeugt die Werte der
Bescheidenheit, der Demut und der Friedfertigkeit, deren Pflege fundamental ist
für das Gedeihen des Friedens.“ Die Religion wecke deshalb einen Sinn für die
gleiche Würde aller, „gleichgültig, welche Hautfarbe sie haben; gleichgültig,
wieviel Macht und Vermögen sie besitzen; gleichgültig auch, welchem Glauben sie
anhängen. In christlicher Sprache gesagt: Alle Menschen sind geliebte Kinder
des einen Vaters. Diese Haltung miteinander zu teilen ist der entscheidende
erste Schritt, der die Gläubigen zu Mitarbeitern des Friedens macht“.
Bischof
Bätzing dankte der Gemeinschaft von Sant’Egidio für das jahrzehntelange
Engagement. Er freue sich, ihr verbunden zu sein, weil Sant’Egidio der Welt auf
so überzeugende Weise ein Zeugnis der universalen Friedenshoffnung vor Augen
stelle.
Hintergrund
- Die Teilnehmerinnen und Teilnehmer des Internationalen Friedenstreffens
kommen von allen Kontinenten und aus 33 Ländern. Bei der Eröffnung am 10.
September 2023 waren unter anderem Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier; der
Gründer von Sant’Egidio, Andrea Riccardi; der Staatspräsident von
Guinea-Bissau, Umaro Sissoco Embalò; der Großimam der Al-Azhar-Universität
Kairo, Ahmed Al-Tayyeb; der Präsident der Europäischen Rabbinerkonferenz,
Pinchas Goldschmidt; der Sondergesandte des Papstes für die Ukraine und
Russland, Kardinal Matteo Zuppi; und der assyrische Patriarch Mar Awa Royel aus
dem Irak anwesend. Die evangelische Kirche wurde unter anderem durch Jerry
Pillay, Generalsekretär des Weltkirchenrates, Landesbischof Dr. Heinrich
Bedford-Strohm, Vorsitzender des Zentralausschusses des Ökumenischen Rats der
Kirchen, und Annette Kurschus, Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in
Deutschland (EKD), vertreten.
Neben
Bischof Bätzing nehmen vonseiten der Deutschen Bischofskonferenz Kardinal
Reinhard Marx (München und Freising), Bischof Dr. Heiner Koch (Erzbistum
Berlin), Bischof Dr. Franz Jung (Würzburg) und Bischof Dr. Bertram Meier
(Augsburg) an dem Friedenstreffen teil.
Das
Programm besteht neben der Eröffnungsveranstaltung aus 20 Foren, die ganztägig
am 11. September 2023 und am Vormittag des 12. September 2023 zu Themen
wie Umweltkrise, Migration, Interreligiöser Dialog, Demokratie heute,
Globalisierung, Abrüstung und künstliche Intelligenz stattfinden. Die
Schlusskundgebung wird am 12. September 2023 um 17.00 Uhr vor dem Brandenburger
Tor stattfinden.
Hinweise:
Weitere Informationen zum Friedenstreffen sind auf der Internetseite von
Sant‘Egidio www.santegidio.org verfügbar. Dbk 10
Herzlichen Glückwunsch,
„Tagespost“!
Die
katholische Wochenzeitung „Die Tagespost“ hat am Samstag in Würzburg mit Lesern
und Förderern ihren 75. Geburtstag gefeiert.
Der
Kölner Kardinal Rainer Maria Woelki würdigte das Blatt als „Symbol für
Freiheit“, für Frieden und Gerechtigkeit „und vor allem auch für den Schutz des
Lebens in all seinen Phasen“. Bis heute habe sich die „Tagespost“ den Blick des
katholischen Glaubens auf die Dinge bewahrt. Die Freiheit dazu gewähre die
Demokratie, nicht aber immer „der sogenannte Zeitgeist“.
Erzbischof
Georg Gänswein rief katholische Journalisten dazu auf, vor allem bei den „immer
bedrängenderen bioethischen Herausforderungen“ Farbe zu bekennen. „Der Mensch
ist kein Experimentierfeld, sondern Geschöpf Gottes.“
„Im
vorgerückten Alter noch einmal neu aufbrechen“
Der
Würzburger Bischof Franz Jung wünschte in einem verlesenen Grußwort der
„Tagespost“ den „Mut, im vorgerückten Alter noch einmal neu aufzubrechen“.
Kirche wie Medien litten unter dem Verlust von Bindungskraft. Dieser Verlust
werde „nicht überwunden durch die Vermeidung von Konflikten, aber auch nicht,
indem man sich von ihnen beherrschen lässt“. Mit einem „ehrlichen Blick“ und
einem „weiten Horizont“ könnten „neue Wege gefunden werden, um konstruktiv am
Aufbau und an der Weiterentwicklung der Kirche mitzuarbeiten“.
Älteste
unabhängige katholische Zeitung
Glückwünsche
zum Jubiläum gab es auch von Bayerns Ministerpräsident Markus Söder (CSU),
Kurienkardinal Kurt Koch und dem Vorsitzenden der Österreichischen
Bischofskonferenz, Erzbischof Franz Lackner.
„Die
Tagespost“ berichtet seit 1948 über Politik, Kultur, Gesellschaft und Kirche.
Das konservative Wochenblatt ist nach eigenen Angaben die älteste unabhängige
katholische Zeitung im deutschen Sprachraum. Das Blatt hat derzeit rund 10.000
Abonnenten. (kna 10)
Synode: Erste Generalversammlung
wird live übertragen
Der
Vatikan hat den Stand der Planungen für die Vollversammlung der Weltsynode vom
Oktober in Rom skizziert.
Der
Präfekt des Kommunikations-Dikasteriums, Paolo Ruffini, teilte vor Journalisten
mit, dass die erste Generalversammlung der Synode vom 4. Oktober live im
Internet übertragen wird. Ansonsten finden die Debatten im Plenum und in
Sprachgruppen wie schon bei früheren Synoden hinter verschlossenen Türen statt.
Offizielle
Sprachen der Vollversammlung werden Italienisch, Englisch, Französisch,
Spanisch und Portugiesisch sein; Deutsch zählt diesmal, wie schon bei der
Amazonas-Sondersynode von 2019, nicht dazu. Bei den Plenarsitzungen wird es
aber auch eine deutsche Simultan-Übersetzung geben.
Schlusstext
vom Oktober wird veröffentlicht
An
der Vollversammlung in der vatikanischen Audienzhalle nehmen bis Ende Oktober
etwa 370 Personen teil. In Kleingruppen von ungefähr zehn Personen sollen Texte
erstellt und dann dem Plenum vorgetragen werden. Der Schlusstext dieser
Vollversammlung soll nach Ruffinis Angaben veröffentlicht werden; unklar ist
noch, ob im Plenum wie bei früheren Synoden über diesen Text abgestimmt wird
oder ob die Zustimmung auf andere Weise abgefragt wird.
Die
Berichterstattung zur Synode will der Vatikan diesmal restriktiver handhaben
als bei früheren Gelegenheiten. Das machte Papst Franziskus bei der Rückkehr
von seiner Mongolei-Reise gegenüber Journalisten deutlich. Es gehe um einen
geschützten Raum, in dem die Teilnehmenden sich möglichst ohne äußeren Druck
austauschen könnten, heißt es im Vatikan.
Restriktivere
Berichterstattung
Eine
zweite Vollversammlung der Weltsynode ist für den Oktober des kommenden Jahres
angesetzt. Dabei soll über endgültige Vorschläge abgestimmt und diese dann dem
Papst vorgelegt werden. Der Papst ist frei, sich an solche „propositiones“ zu
halten oder nicht.
Franziskus
hat die Weltsynode vor zwei Jahren auf den Weg gebracht. Ihr Thema lautet
„Synodalität – Gemeinschaft, Teilhabe, Sendung“. Dabei geht es vor allem um die
Art und Weise, in der Entscheidungen in der Kirche zustande kommen sollen. Bei
der Vollversammlung von diesem Oktober haben erstmals auch Frauen ein
Stimmrecht. (vn 9)
Vom
25. bis 28. September 2023 findet in Wiesbaden-Naurod die
Herbst-Vollversammlung der Deutschen Bischofskonferenz statt. Aufgrund von
Renovierungsarbeiten im Priesterseminar in Fulda, dem üblichen Ort für die
Herbst-Vollversammlungen, ist diesmal das Bistum Limburg Gastgeber. An der
Vollversammlung nehmen 65 Mitglieder der Deutschen Bischofskonferenz unter
Leitung des Vorsitzenden, Bischof Dr. Georg Bätzing, teil. Tagungsort wird
das Wilhelm-Kempf-Haus (Wilhelm-Kempf-Haus 1, 65207 Wiesbaden-Naurod) sein.
Schwerpunkte
der Beratungen sind ein Reflexionsprozess zum Synodalen Weg der Kirche in
Deutschland und Fragen für die anstehende Weltsynode in Rom, die ab Oktober
2023 stattfindet. Erneut werden während der Vollversammlung die Themenbereiche
der Aufarbeitung sexuellen Missbrauchs sowie der aktuelle Stand der im
vergangenen Jahr vorgenommenen Neustrukturierung dieses Arbeitsfeldes
diskutiert. Das bereits beschlossene Dokument zum Thema Geistlicher Missbrauch
wird der Öffentlichkeit während der Vollversammlung vorgestellt. Weitere Themen
sind die Planungen für das Heilige Jahr 2025 in Rom, ein Rückblick auf den
Weltjugendtag, der im August 2023 in Lissabon stattfand, und aktuelle
politische Fragen wie u. a. die Problematik um den assistierten Suizid. Die
Bischöfe werden sich angesichts internationaler Kriege und Konflikte auch mit
der Lage in der Ukraine, in Nicaragua und dem Niger befassen.
An
der Eröffnungssitzung der Vollversammlung am Montag, 25. September 2023, wird
der Apostolische Nuntius, Erzbischof Dr. Nikola Eterovi?, teilnehmen. Als Gäste
anderer Bischofskonferenzen werden Bischof Didier Berthet (Frankreich/Saint-Dié)
und Erzbischof Stanis?aw Budzik (Polen/ Lublin) anwesend sein. dbk
Ukrainischer Weihbischof: „Papst
hat uns gut zugehört“
„Wir
gehen vorwärts“, sagt im Gespräch mit Radio Vatikan der Lemberger Weihbischof
Wolodymyr Hruza. Er gehört der griechisch-katholischen Kirche der Ukraine an,
die derzeit ihre Synode in Rom abhält. Am Mittwoch war Hruza auch beim Treffen
mit dem Papst dabei und erläutert uns, wie „offen“ das Gespräch gewesen sei.
Mario Galgano – Vatikanstadt
Es
waren und sind intensive Tage für die Mitglieder der Synode der ukrainisch
griechisch-katholischen Kirche in Rom. Das Treffen der 45 Bischöfe mit dem
Papst dauerte am Mittwoch fast zwei Stunden und fand in einem Nebenraum der
vatikanischen Audienzhalle statt. Weihbischof Hruza:
„Ich
habe so ein Gefühl bekommen, dass wir uns auch wirklich zugehört haben, denn es
ist ein Unterschied, aufeinander zu hören und wirklich zuzuhören, um jemanden
zu verstehen. Man muss mit dem Gesprächspartner kommunizieren, man muss mit ihm
sprechen. Und wir waren sehr ehrlich, auch zum Papst, was uns betrifft. Wir
hatten den Auftrag, ihm auch die Meinungen, die Sorgen unseres Volkes zu
übermitteln.“
„Und
dann sind wir immer auf dem richtigen Weg, wenn wir uns an Evangelium halten.“
Damit
bezieht sich der Weihbischof aus dem westukrainischen Lviv auf die jüngste
Kritik in der Ukraine an den Worten, die der Papst bei einer Live-Schalte an
russische Jugendliche gerichtet hatte. Bei dem Treffen in Rom am Mittwochmorgen
hätten die Bischöfe formuliert, dass einige Gesten und Äußerungen von Papst
Franziskus „schmerzhaft und schwierig für das ukrainische Volk“ gewesen seien.
Dazu Weihbischof Hruza:
„Ich
bewundere Papst Franziskus, so einen Menschen mit einer wichtigen Funktion,
dass er auch eigene Fehler zugeben kann. Schon auf dem Rückweg von seiner
letzten Reise aus der Mongolei hat er das gesagt und auch uns wiederholt, was
er genau meinte. Aber das ist immer so, wenn man mit Politik zu tun hat: Da
findet man immer Dinge, die nicht in Ordnung sind. Und ich glaube, unsere
Aufgabe ist vor allem, das Evangelium zu verkündigen - dann sind wir immer auf
dem richtigen Weg, wenn wir uns an Evangelium halten.“
„...denn
die Wunde ist offen, und wenn eine Wunde offen ist, dann wird sie sofort
gereizt.“
Der
Papst habe ihren Zeugnissen und Anmerkungen „gut zugehört“, so der Weihbischof
weiter.
„Man
muss unterscheiden: Es gibt eine diplomatische Neutralität, die auch einen
Spielraum zu Gesprächen, zu Dialog mit anderen beinhaltet. Und es gibt eine
moralische Neutralität, die jedoch nicht ganz gut ist, denn man kann nicht
moralisch neutral sein, wenn es um moralische Werte geht und vor allem, wenn
Opfer leiden. Und natürlich ist es so, dass man in einer Zeit des Krieges sehr
sensibel für alles ist, denn die Wunde ist offen, und wenn eine Wunde offen
ist, dann wird sie sofort gereizt.“
Parolin
verteidigt Einsatz des Papstes
Auch
Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin hatte diese Woche vor den ukrainischen
Bischöfen in Rom den Einsatz des Papstes und des Vatikans für die Ukraine
hervorgehoben. Dabei erinnerte der vatikanische Chefdiplomat an die konstanten
Appelle des Papstes für die Ukraine seit Ausbruch des Krieges im Februar 2022
und an die zahlreichen Hilfslieferungen aus dem Vatikan. Angesichts dessen
„wäre es ungerecht, an der Zuneigung des Papstes für das ukrainische Volk zu
zweifeln“. Weiter erklärte Parolin, die Bemühungen des Pontifex, die Tragödie
des Krieges zu beenden, würden „nicht immer verstanden und geschätzt“. Es gehe
Franziskus aber darum, durch Verhandlungen einen gerechten und dauerhaften
Frieden zu sichern.
Die
Begegnungen im Vatikan waren und sind Teil der jährlichen Synode der Bischöfe
der ukrainisch griechisch-katholischen Kirche, die vom 3. bis zum 13. September
in Rom stattfindet. (va+n 8)
Die Generation Z will kein
Christentum mehr
Es
scheint einen Konsens in der Altersgruppe der nach 2.000 Geborenen zu geben:
Das Christentum war gut für die früheren Generationen. Aber wir gehen in eine
ganz andere Zeit, da hilft uns diese Religion nicht mehr. Also keine
neomarxistische Ablehnung der Religion als zukunfts-feindlich, sondern als
zukunfts-untauglich. Dafür hat die Generation Z gute Gründe.
Die
Kirchen sind ineffektiv bei der ökologischen Wende
Diese
Generation ist sich der Umwelthypothek bewusst und rechnet damit, dass sich die
Klimaproblematik noch weiter zuspitzt. Nicht nur dieses Erbe überlässt ihnen
die Erwachsenenwelt und deren Religion, sondern auch eine Wirtschaft, die völlig
überdimensioniert ist. An ihren Eltern konnten sie beobachten, wie dieses
Wirtschaftssystem das Zusammenleben unter Stress und Zeitdruck setzte. Denn die
ältere und mittlere Generation musste für die Aufrechterhaltung dieses Systems
so viel arbeiten, dass sie kaum die Zeit hatten und immer noch nicht haben, das
Erarbeitete in Beziehungsqualität umzusetzen. Für Familie und Freundeskreis,
die das Wichtigste sind, lässt die überdimensionierte Wirtschaft nicht die
notwendige Zeit. Auch das Finanzsystem, das die Lebensbedingungen inzwischen
maßgeblich bestimmt, wird als ebenso überdimensioniert eingeschätzt. Es sei
viel mehr Geld im Umlauf als die Wirtschaft brauche.
Wenn
man neueste Forschungsergebnisse in die Praxis umsetzen würde, müssten die
Kirchen langfristige Beziehungen fördern. Denn unabhängig von Religion und
Konfession, überhaupt von einer religiösen Orientierung sehen Menschen, die im
Alter angekommen sind, stabile Beziehungen als das Wichtigste an. Das ist für
die Generation Z selbstverständlich.
Nicht
mehr als guter Wille
Den
Kirchen in Deutschland wird für die Lösung der Herausforderungen zwar der gute
Wille zugestanden, aber nicht die Kompetenz und die Kraft, zu ihrer Lösung
beizutragen. Würden die Kirchen sich anders orientieren, wäre das mit
dieser Generation durchaus möglich. Diese erwartet nicht wie noch der
Neomarxismus den humanen Fortschritt aus der Versorgung mit materiellen Gütern.
Sie setzen "Beziehung" an die oberste Stelle. Anders als der Synodale
Weg in Nacharbeit der sexuellen Revolution erwarten sie Entscheidendes nicht
von einer befreiten Sexualität. Sie leben eine aktive Solidarität. Sie haben
ein anderes Verhältnis zu Nahrungsmitteln. Für Viele bemisst sich
der Nährwert einer Mahlzeit nicht mehr an der Fleischportion. Im Blick
nicht nur auf die Katholische Kirche wären vorhandene Ressourcen zu aktivieren.
Dem hat sich allerdings ihr Synodaler Weg verweigert
Die
Ökologie in die Spiritualität hineinholen
Atomkraft,
Windräder, Elektroantrieb gelten als Notwendigkeit. Sie entsprechen aber noch
der Lebensform einer technisierten Gesellschaft. Nach deren Spiritualität wäre
es deshalb weiterhin bequemer, bei dem zu bleiben, was die Ingenieurskunst
zustande gebracht hat. Warum sind SUV's etwas Schlechtes! Die Alternative
sind nicht die Kirchen, sondern die Grünen, diese fordern jedoch von einer
Konsumgesellschaft asketische Umstellung. Damit entbinden sie die Kirchen von
Moralpredigten, mit denen diese ja wenig erfolgreich war, sondern Viele vom
Christentum weggetrieben haben. Mit ihrer Moralfixierung eröffnen die Gründen
ein breites Feld, nämlich aktiv auf die Inhalte der Ökologie theologisch und
spirituell zuzugehen, weil das die Zukunft viel freundlicher erscheinen lässt.
Statt in Blechbüchsen eingezwängt durch die duftende Natur zu rasen, kann man
diese Natur auch einatmen. Selbst gezogene Kräuter und selbst angebaute
Zucchini oder Kohlrabi vermitteln eine andere Lebensqualität, ebenso auf dem
Markt beim Erzeuger selbst einzukaufen. Das entspricht der von Ignatius von
Loyola entwickelten. "Anwendung der Sinne". Ökologie nicht mehr als
grün verpackte moralische Forderung, sondern ins Erleben gebrachte Schöpfung.
Nicht die mit dem Auto "gemachten" Kilometer, sondern die auf dem
Fahrrad oder beim Walken gespürte Natur als das Eigentliche erfahren. Abstand
von dem Gefühl zu gewinnen, wie effektiv sich das Leben anfühlt, wenn man mit
160 km/h auf der Autobahn seinem Ziel entgegeneilt. Müssen Christen das
Effektivitätsgefühl haben, das mit dem Druck auf das Gaspedal den Körper
überzeugt, Kraft zu haben. Oder brauchen wir das Schweben im Flugzeug, um uns
getragen zu fühlen, reicht dafür nicht Schwimmen oder ein E-Bike? Ökologie
verspricht ein neues Körpergefühl, wir sollten es erspüren.
Was
ist die Alternative:
Die
Jungen sind mit den Erfolgen der Wissenschaft ausgewachsen. Diese bringt
ständig Nachrichten, während die der Kirchen eher Altes zutage führt. Wenn es
Problemlösungen gibt, dann kommen diese wie noch für die Achtundsechziger nicht
aus den Kulturinstitutionen, sondern von den Naturwissenschaften. Corona ist ja
auch eine sehr positive Erfahrung mit der Wissenschaft. Diese Erfahrungen sind
an der Theologie wie auch an der Spiritualität vorbeigegangen. Man muss nicht
auf die Plattheit der Naturalisten verfallen, die Philosophie durch Physik
ersetzen, aber die Welten, in die die Naturwissenschaften vorgedrungen sind,
sind ja der Lebensraum, in den der Mensch hineingestellt ist. Diese sollte mit
der Jungen Generation, die eine völlig andere Kultur erwartet, mitgehen.
Vorwärts-denkende
Theologie
Schöpfung
wäre eine sehr gangbare Brücke zur Theologie. Diese lebt noch aus dem Impuls
des Konzils, als durch Bibelwissenschaft und die Wiederentdeckung der Theologen
aus den ersten Jahrhunderten die Neuscholastik abgelöst wurde. Die Geschichte
der Theologie versprach noch viele interessante Funde. Die sind inzwischen
weitgehend gemacht. Könnte jetzt nicht wieder ein Paradigmenwechsel anstehen?
Ist die Reaktion der Zwanzigjährigen auf die kirchliche Verkündigung tatsächlich
durch den Säkularismus bewirkt oder vom Geist Gottes. Können die
Herausforderungen allein mit Rückgriff auf frühere theologische Konzepte
bewältigt werden. Sind nicht die theologischen Konzepte, die die
Bibelwissenschaft aus den verschiedenen Büchern des Neuen Testaments den
späteren Epochen herausgearbeitet hat, nicht jeweils Antworten auf neue
Herausforderungen gewesen? Zwei der Herausforderungen seien genannt, die heute
nicht mit dem Rückgriff auf frühere theologische Lösungen bewältigt werden können:
1.
Wie verändern die Algorithmen, vor allem die Chatbots, die Relevanz der Worte
bis hin zu den Sakramenten? Oder:
2.
Was heißt Menschwerdung, wenn der Mensch in die Genetik eingreifen kann.
Der
junge Mensch muss in einer völlig anderen Welt seinen Platz neu definieren. Die
Herausforderungen sind bei der Moraltheologie angekommen
Cyberspace:
ein religiös zu besetzender Raum
Die
digitale Technik hat in wenigen Jahrzehnten eine eigene Welt hervorgebracht, in
der sich die Jungen über Stunden täglich aufhalten. Was im Cyberspace nicht
vorkommt, ist für die Bewohner dieser Welt nicht „wirklich“. Eine Homepage ist
inzwischen einem abgelegenen Bergdorf vergleichbar. Die Katholische Kirche
sollte aus der Reformation lernen. Die Wirkung Luthers lag nicht in einem neuen
theologischen Ansatz, der war schon seit 200 Jahren durch den Nominalismus des
14. Jahrhunderts in Gang gebracht. Luther nutze das neue Medium Flugblatt und
brachte mit seiner so gewonnenen Bekanntheit seine Bibelübersetzung unter die
Leute.
Die
große Chance: Das Ende des Naturalismus
Die
Chance einer metaphysisch-biblischen Interpretation des Menschen sind nicht
durch die Philosophie, sondern durch die Physik neu eröffnet. Wenn der Mensch
atheistisch allein aus der Materie erklärt wird, kann die Frage, die die
meisten Menschen mit in diese Welt bringen, nicht mehr beantworten: Denn die
Materie ist nicht der letzte Ursprung. Aber den will der Mensch kennen. Diese
Materie ist nämlich selbst nicht ursprungslos, sie ist 13,8 Milliarden Jahre
alt. eine weitere Erkenntnis der Physik: Die Materie, die dem Menschen
zugänglich ist, besteht wie er selbst aus Atomen und bildet die Galaxien. Diese
machen jedoch nur 5% dieses Weltalls aus. Diese Dunkle Materie und die Dunkle
Energie sind den physikalischen Instrumenten nicht zugänglich, denn diese
bestehen aus Atomen, also nicht aus dem, was die Grundsubstanz der Dunklen
Materie sein könnte. Diese scheint es zu geben, denn sie macht sich durch ihre
Schwerkraft als Einwirkung auf die helle Materie, die Atome bemerkbar. Neben
diesen Welten, die die Physik erst erschlossen hat und die frühere Theologen
nicht erschließen konnten, gibt es die vom Menschen geschaffene Cyberwelt.
Diese muss auch religiös bewohnbar gemacht werden. Anfang des Jahrhunderts war
„Second Life“ nur ein Abbild der atomaren Welt, das Metaverse ist ein neuer
Anlauf, den Cyberspace bewohnbar zu machen. Dort muss Religion neu entfaltet
werden. Warum soll das nicht gehen, der Glaspalast einer gotischen Kathedrale
war schon ein solches Metaverse. Eckhard Bieger Kath.de 8
Emirate: Gastgeber eines globalen
Gipfels für Glaubensführer
Vom
6. bis 7. November findet in Abu Dhabi ein Gipfel für Glaubensführer aus der
ganzen Welt statt, um die wichtige Rolle von Glaubensgemeinschaften bei der
Bewältigung des Klimawandels hervorzuheben. Der Gipfel findet im Vorfeld des
28. internationalen Klimagipfels (COP28) statt, der vom 30. November bis 12.
Dezember in den Vereinigten Arabischen Emiraten (VAE) ausgerichtet wird.
Zu
der zweitägigen Veranstaltung werden Glaubensführer, die die wichtigsten
Religionen der Welt vertreten, Wissenschaftler und Umweltexperten erwartet,.
Das Treffen wird sich auch mit dem Zusammenspiel von Glauben und Wissenschaft
befassen, um die Lücke zwischen empirischen Beweisen und spirituellen Lehren zu
schließen. Gesucht wird nach Strategien zur Stärkung der Stimmen religiöser
Führer zur Verbesserung der Klimagerechtigkeit und nach Wegen, wie
Basisgemeinschaften in die Erreichung einer nachhaltigen Entwicklung einbezogen
werden können.
Unter
der Schirmherrschaft von Scheich Mohamed bin Zayed Al Nahyan, Präsident der
Vereinigten Arabischen Emirate, wird die Veranstaltung vom Muslim Council of Elders
(MCE) unter dem Vorsitzenden, dem Großimam von al-Azhar Ahmed Al-Tayeb,
organisiert. Der Gipfel wird in Zusammenarbeit mit der COP28-Präsidentschaft,
dem Umweltprogramm der Vereinten Nationen (UNEP) und der katholischen Kirche
ausgerichtet.
Glaubenspavillon
auf dem Klimagipfel geplant
Der
Generalsekretär des Muslim Council of Elders, Mohamed Abdelsalam, sagte:
„Während unsere Welt einem irreversiblen Klimaschaden immer näher kommt, der
nur durch gemeinsame Anstrengungen bekämpft werden kann, kommt das
Gipfeltreffen religiöser Führer für die COP28 zu einem kritischen Zeitpunkt, an
dem es um die Klimaverstärkung geht.“ Maßnahmen in allen Bereichen der
Gesellschaft, die Beseitigung der Unwissenheit über den Klimawandel und die
Sensibilisierung für Umweltprobleme seien unerlässlich geworden.
Während
des Klimagipfels in Abu Dhabi werden das MCE und das UNEP gemeinsam mit einem
sogenannten Glaubenspavillon auf der COP28 vertreten sein; es ist der erste
Pavillon dieser Art bei einer COP-Veranstaltung.
Die
COP28 findet vom 30. November bis 12. Dezember in der Expo City Dubai statt und
wird voraussichtlich über 70.000 Teilnehmer zusammenbringen. Gemäß dem Pariser
Klimaabkommen wird die COP28 die erste globale Bestandsaufnahme überhaupt
liefern – eine umfassende Bewertung der Fortschritte bei der Verwirklichung der
Klimaziele. Die Vereinigten Arabischen Emirate werden einen Prozess leiten, bei
dem sich alle Parteien auf einen klaren Fahrplan einigen sollen. (vn 8)
Kardinal Reinhard Marx zum Welttag
der sozialen Kommunikationsmittel
„Medien
existieren nicht für sich selbst, sondern Medien sind für den Menschen
da.“
Am
10. September 2023 begeht die katholische Kirche in Deutschland den
57. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel. Wie in den vergangenen
Jahren hat Papst Franziskus eine Botschaft veröffentlicht. Sie trägt den Titel:
„Mit dem Herzen sprechen. ‚Von der Liebe geleitet, die Wahrheit bezeugen‘ (Eph
4,15)“. Zum Welttag der sozialen Kommunikationsmittel erklärt der Vorsitzende
der Publizistischen Kommission der Deutschen Bischofskonferenz, Kardinal
Reinhard Marx (München und Freising):
Es
ist eine große Qualität von Medien, dass sie dabei helfen, uns ein Bild der
Wirklichkeit zu machen. Sie ermöglichen in Information und Orientierung,
Austausch und Diskurs echte Kommunikation. Und Medien bestimmen wesentlich den
Stil des Miteinanders in einer Gesellschaft.
Kommunikation
ist ein Ausdruck des Menschseins. Sie gründet in unserer Beziehung zu anderen
Menschen und ist die Grundlage von Gesellschaft. In unserer Gesellschaft tragen
die Medien entscheidend zu einer gelingenden öffentlichen Kommunikation bei,
wie sie auch Jürgen Habermas 2022 in seinem Buch Ein neuer Strukturwandel der
Öffentlichkeit und die deliberative Politik beschrieben hat mit den Aspekten
von „Reichweite“ und „deliberativer Qualität“: Denn sofern alle Beteiligen
gleichberechtigt am Austausch von Argumenten teilhaben können, können wir zu
einer Verständigung und Entscheidungsfindungen darüber gelangen, wie wir
miteinander leben wollen.
Die
Verwirklichung dieses Ideals von Kommunikation trägt dazu bei, in einer
Gesellschaft wieder zusammenzufinden und zusammenzuhalten. Deshalb schätzt die
Kirche die Bedeutung von gutem, freiem und pluralem Journalismus. Wir treten
für Teilhabegerechtigkeit in der digitalen Medienwelt ein. Wir stärken die
Fragen nach Sinn, Solidarität und Verantwortung als Bewertungs- und
Deutungskriterien von Bewegtbild- und Audioformaten. Und es ist für die Kirche
ein wichtiges Anliegen, sich für Medienkompetenz und Medienbildung zu
engagieren.
Für
Nutzerinnen und Nutzer können Medien auch die Chance bieten, ein
Kommunikationsweg zu anderen Menschen zu sein. Medien existieren nicht für sich
selbst, sondern Medien sind für den Menschen da. Sie können denen eine Stimme
geben, die keine Stimme haben; durch Medien können wir andere Menschen und
Perspektiven wahrnehmen und sie weiten im Idealfall den eigenen Horizont.
Menschlicher Fortschritt geschieht auch durch Medien und Kommunikation.
Das
ist das Idealbild, und wir sehen zugleich, dass dieser Anspruch nicht immer
erreicht wird, sondern öffentliche Kommunikation auch zur Spaltung, zur
Isolation und zu Konflikten beitragen und die Segmentierung der Gesellschaft
verstärken kann. Gerade deshalb ist es wichtig, die Gestaltung und Nutzung von
Medien zu reflektieren und sozialethische Kriterien und Werte als
Orientierungsrahmen zu haben. Entscheidende Faktoren sind Transparenz und
Teilhabe.
Das
Wesen des Menschen liegt in der Freiheit begründet. Es gehört dazu, die Frage
nach Wahrheit zu stellen, sich einbringen zu können, zu handeln und
Gesellschaft mitzugestalten. Die Fähigkeit zur Reflexion, ethische Folgerungen
ziehen zu können und darüber in Austausch zu treten, zu kommunizieren,
unterscheidet uns wesentlich von Künstlicher Intelligenz (KI). Durch die
faszinierenden Entwicklungen der KI erleben wir derzeit epochale Veränderungen
auch in der medialen Kommunikation; Chatbots und Übersetzungs-Tools sind nur
zwei Beispiele dafür. Die Chancen dieser Transformation liegen darin, dass sich
durch KI neue Wege des Verstehens und der Kommunikationsassistenz eröffnen
können.
Doch
auch die Herausforderungen sind gegeben: die Simulation von menschlicher
Intelligenz und Kommunikation kritisch zu reflektieren, den Beitrag zur
menschlichen Freiheit als Kriterium aufrechtzuerhalten und die Frage nach der
Authentizität von Kommunikation zu stellen. Aus der Veränderung der
Kommunikationswege und -instrumente folgen ethische Fragen, weil auch hier alle
Beteiligten, Menschen und Schöpfung, in den Blick zu nehmen sind: Welche Folgen
hat der zunehmende Energiebedarf digitaler Kommunikation für den Klimaschutz?
Wie gehen wir damit um, dass durch KI bestimmte Arbeitsplätze und Berufsfelder
verloren gehen? Welche Gerechtigkeit erfahren z. B. die Clickworker im
Globalen Süden? Wie schützen wir Daten und Rechte und letztlich die Würde des
Menschen? Wie steht es um die Wahrheit inmitten neuer
Manipulationsmöglichkeiten, Diskriminierungsgefahren und simuliert-menschlicher
Kommunikation?
Die
Botschaft von Papst Franziskus zum 57. Welttag der sozialen
Kommunikationsmittel trägt den Titel Mit dem Herzen sprechen. Sie stellt die
Aufforderung in den Mittelpunkt, die jedem übertragen ist und für die besonders
diejenigen in der Verantwortung stehen, die in der Kommunikation und
Medienarbeit tätig sind: die „Wahrheit in Liebe zu sagen“, um uns gegenseitig
zu behüten. Franz von Sales, der vor 100 Jahren zum Patron der Journalisten
erklärt wurde, verkörpert diese Haltung in seinem Leitsatz, dass „das Herz zum
Herzen spricht“. Es liegt in unserer Verantwortung, unserer Haltung in der
heutigen Welt Ausdruck zu geben und menschlich zu kommunizieren – im
wesentlichen Sinne. Davon hängt auch das Gelingen unserer Demokratie ab.
Hinweise:
Die Botschaft von Papst Franziskus zum 57. Welttag der sozialen
Kommunikationsmittel ist unter www.dbk.de
auf der Themenseite Welttag der sozialen
Kommunikationsmittel (Mediensonntag) verfügbar. Dbk
Liste aufgetaucht: Kirche
versteckte tausende Verfolgte in Rom
Man
wusste schon bisher, dass kirchliche Häuser in Rom während der deutschen
Besatzung Tausende von Menschen – vor allem Juden – vor den Nazis versteckt
haben. Doch die entsprechende Dokumentation war bislang verschollen. Jetzt ist
sie wieder aufgetaucht.
Im
Archiv des Päpstlichen Bibelinstituts in Rom wurde eine bislang unpublizierte
Dokumentation entdeckt. In ihr sind die Personen aufgeführt, die in kirchlichen
Einrichtungen in der Ewigen Stadt vor der nationalsozialistischen Verfolgung
Zuflucht suchten. Eine kleine Sensation für die Historiker.
Zwar
ist eine Liste der Schutz gewährenden Ordensgemeinschaften – 100 Frauen- und 55
Männerorden – zusammen mit der Anzahl der jeweils beherbergten Personen schon
1961 vom Historiker Renzo de Felice publiziert worden. Doch die komplette
Dokumentation fehlte bislang. Daran hat auch die Öffnung der Vatikan-Archive,
die sich auf das Pontifikat von Pius XII. beziehen, durch Papst Franziskus
nichts geändert.
Nun
wurden Forscher also im Archiv des „Biblicum“ fündig, das damals wie heute von
Jesuiten geleitet wird. Die nun wieder entdeckten Listen beziehen sich auf über
4.300 Personen, von denen 3.600 namentlich genannt sind. Aus dem Vergleich mit
den im Archiv der Jüdischen Gemeinde von Rom aufbewahrten Dokumente geht
hervor, dass ca. 3.200 dieser Menschen mit Sicherheit Juden waren. Von
letzteren ist bekannt, wo sie versteckt waren, teils auch, wo sie vor der
Verfolgung wohnten.
Mehr
als 3.000 Versteckte waren Juden
Damit
vergrößert die Dokumentation die Informationsdichte über die Rettung von Juden
durch katholische Einrichtungen in Rom erheblich. Allerdings kann jetzt nicht
jeder durch die Listen blättern: Zum Schutz der Privatsphäre der Nachfahren der
aufgeführten Personen ist der Zugriff auf die Dokumentation derzeit
eingeschränkt.
Das
Dokument wurde an diesem Donnerstag im Shoah-Museum der jüdischen Gemeinde Roms
vorgestellt. Erstellt wurde die jetzt wiederentdeckte Dokumentation durch den
italienischen Jesuiten Gozzolino Birolo, zwischen Juni 1944 und Frühjahr 1945 –
also unmittelbar nach der Befreiung Roms durch die Alliierten. Birolo war von
1930 bis 1945 Ökonom des Bibelinstituts; Rektor des „Biblicum“ in der Zeit der
deutschen Besatzung war übrigens der deutsche Jesuit Augustin Bea, der spätere
Kardinal und Vorreiter im jüdisch-katholischen Dialog.
Neun
dunkle Monate der Besatzung
Zu
den Historikern, die mit der Untersuchung der aufgefundenen Dokumente betraut
sind, gehört der Schweizer Jesuit Paul Oberholzer von der Päpstlichen
Universität Gregoriana. Die Forschungsarbeiten wurden unter anderem vom
österreichischen Jesuiten Dominik Markl koordiniert, der am „Biblicum“ und an
der Uni Innsbruck lehrt.
Rom
war neun Monate lang durch Nazi-Deutschland besetzt – vom 10. September 1943
bis zur Befreiung der Stadt durch die Alliierten am 4. Juni 1944. Während
dieser Zeit führte die Verfolgung der Juden unter anderem zur Deportation und
Ermordung von ca. 2.000 Menschen, darunter Hunderte von Kindern und
Jugendlichen, von insgesamt ca. 10.000 - 15.000 Juden in Rom.
(vn
7)
Papst nach Mongolei-Reise: Gut, mit
Asien in Dialog zu treten
Warum
reist der Papst eigentlich bis in die Mongolei, um eine derart kleine Schar von
Gläubigen zu besuchen? Auf diese Frage hat Papst Franziskus bei seiner
Generalaudienz an diesem Mittwoch erneut die Antwort geliefert: „Ich war im
Herzen Asiens und es hat mir gutgetan!“, so die erfrischende Rückschau des
Kirchenoberhauptes auf seine viertägige Reise.
Er
denke „voller Freude“ zurück an die Kirche und das Volk in der Mongolei,
leitete Franziskus seine Gedanken mit einem Dank an das „edle und weise“ Volk
ein, das ihm „so viel Herzlichkeit und Zuneigung“ entgegengebracht habe. Er sei
so weit gereist, weil „man gerade dort, abseits des Rampenlichts, oft die
Zeichen der Gegenwart Gottes findet, der nicht auf Äußerlichkeiten schaut“,
betonte Franziskus, der auch die „bewegende“ Geschichte der kleinen
Gemeinschaft von 1500 Gläubigen resümierte, die spürbar erfreut darüber war,
„einige Tage im Zentrum der Kirche zu stehen“:
„Sie
ist durch die Gnade Gottes aus dem apostolischen Eifer einiger Missionare
entstanden, die sich vor etwa dreißig Jahren aus Leidenschaft für das
Evangelium in dieses Land begaben, das sie nicht kannten. Sie lernten die
Landessprache und riefen – obwohl sie aus verschiedenen Nationen kamen – eine
geeinte und wahrhaft katholische Gemeinschaft ins Leben. Denn das ist ja die
eigentliche Bedeutung des Wortes ,katholisch', das ,universal' bedeutet: aber
keine Universalität, die homologiert, sondern eine Universalität, die sich
inkulturiert.“
Auf
den Spuren der Nächstenliebe
Die
Missionare hätten es auf sich genommen, die nicht einfache Landessprache zu
lernen und die Werte und Kultur der Mongolen aufzugreifen, um ihnen das
Evangelium auf wahrhaft mongolische Weise zu verkünden.
„So
ist diese junge Kirche entstanden: auf den Spuren der Nächstenliebe, die das
beste Zeugnis des Glaubens ist“, so der Papst, der in diesem Zusammenhang auch
das von ihm eingeweihte „Haus der Barmherzigkeit“ als Beispiel für die
fruchtbare Zusammenarbeit der verschiedenen kirchlichen Komponenten im Land
anführte.
„Ein
Haus, das die ,Visitenkarte‘ dieser Christen (in der Mongolei, Anm.) ist, aber
auch jede unserer Gemeinschaften aufruft, ein Haus der Barmherzigkeit zu sein:
also ein offener und einladender Ort, an dem die Nöte eines jeden Menschen –
ohne sich dafür schämen zu müssen – mit der Barmherzigkeit Gottes in Berührung
kommen können, die aufrichtet und heilt. Das ist das Zeugnis der
mongolischen Kirche, mit Missionaren aus verschiedenen Ländern, die sich eins
fühlen mit dem Volk und sich freuen, ihm dienen und die Schönheit entdecken zu
können, die dieses Volk bereits besitzt.“
Ein
Volk, das Religiösität in der Stille lebt
Auch
er selbst habe etwas von dieser Schönheit entdecken dürfen, so Franziskus, der
in diesem Zusammenhang insbesondere auf die interreligiöse ökumenische
Begegnung am Sonntag zurückblickte. Er würdigte zudem die große buddhistische
Tradition in der Mongolei, die von vielen Menschen „in der Stille aufrichtig
und konsequent“ gelebt werde: „Denken wir nur daran, wie viele Samen des Guten
den Garten der Welt im Verborgenen zum Blühen bringen, während wir
normalerweise nur den Lärm von umgestürzten Bäumen hören! Und den Menschen,
auch uns, gefällt der Skandal.“
Entscheidend
aber sei es, das Gute zu sehen und als solches zu erkennen, mahnte Franziskus.
„Deshalb
ist es wichtig, es dem mongolischen Volk gleichzutun und den Blick nach oben zu
richten: auf das Licht des Guten. Nur so, ausgehend von der Anerkennung des
Guten, können wir die gemeinsame Zukunft aufbauen; nur indem wir den anderen
wertschätzen, können wir ihm helfen, besser zu werden. Und das geschieht mit
einzelnen Menschen und auch mit Völkern.“
„Ich
war im Herzen Asiens und es hat mir gutgetan! Es ist gut, mit diesem großen
Kontinent in Dialog zu treten, seine Botschaften anzunehmen, seine Weisheit und
seine Art, die Dinge zu betrachten, kennenzulernen“
Dies
sei schließlich ja auch „genau das“, was Gott mit uns tue, so der Papst,
der betonte:
„Ich
war im Herzen Asiens und es hat mir gutgetan! Es ist gut, mit diesem großen
Kontinent in Dialog zu treten, seine Botschaften anzunehmen, seine Weisheit und
seine Art, die Dinge zu betrachten, kennenzulernen; Zeit und Raum zu erfassen.
Es hat mir gutgetan, das mongolische Volk kennenzulernen, das seine Wurzeln und
Traditionen pflegt, die älteren Menschen respektiert und in Harmonie mit der
Umwelt lebt: Es ist ein Volk, das auf den Himmel blickt und den Atem der
Schöpfung spürt.“
Auch
wir sollten uns – angesichts des Beispiels der Mongolei - von der Notwendigkeit
leiten lassen, die „Grenzen unseres Blicks zu überschreiten“, um das Gute im
anderen zu sehen und unseren Horizont erweitern zu können, schloss Franziskus
seine Katechese, in der er Rückschau auf seine Reise hielt, die das an China
und Russland grenzende Land für vier Tage ins Zentrum der internationalen
Berichterstattung gehoben hat. (vn 6)
Vatikan/Ukraine: Fruchtbarer
Austausch
Die
katholischen Bischöfe der ukrainischen Ostkirche haben mit dem Papst an diesem
Mittwoch über die Lage in dem Kriegsland gesprochen. „In unserem Gespräch mit
dem Heiligen Vater haben wir all das zum Ausdruck gebracht, was unsere
Gläubigen in der Ukraine und in der ganzen Welt uns anvertraut haben, um es ihm
zu übermitteln.“ Das teilte das Oberhaupt der mit Rom unierten Kirche, der
Kyiver Großerzbischof Swjatoslaw Schewtschuk, im Anschluss mit.
Angesichts
der „wiederholten und bedeutsamen Gesten“ des Papstes sei es unfair, „an seiner
Zuneigung zum ukrainischen Volk und an seinen nicht immer verstandenen und
geschätzten Bemühungen zu zweifeln, der anhaltenden Tragödie ein Ende zu setzen
und durch Verhandlungen einen gerechten und stabilen Frieden zu sichern“. Das
hatte am Dienstag Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin den ukrainischen
Bischöfen gesagt. Damit ging er auf die jüngste Kritik gegen Papst ein, die ihm
eine zu „Russland-freundliche Haltung“ im Aggressionskrieg vorwarf.
Papst
bekräftigt Solidarität mit Ukraine
Die
ukrainischen Bischöfe haben dem Papst beim Gespräch an diesem Mittwoch gesagt,
dass bestimmte Äußerungen und Gesten „des Heiligen Stuhls und Eurer Heiligkeit“
für das ukrainische Volk, „das im Kampf um seine Würde und Unabhängigkeit
blutet, schmerzhaft und schwer zu verstehen sind“. Die Missverständnisse, die
seit Beginn des Krieges zwischen der Ukraine und dem Vatikan entstanden seien,
so die ukrainischen Bischöfe, würden von der russischen Propaganda benutzt, „um
die mörderische Ideologie der Russischen Welt (Russki Mir) zu rechtfertigen und
zu unterstützen, so dass die Gläubigen unserer Kirche bei jedem Wort Eurer
Heiligkeit als universelle Stimme der Wahrheit und Gerechtigkeit empfindlich
sind“.
Papst
Franziskus hörte den an ihn gerichteten Worten aufmerksam zu und drückte mit
einigen kurzen Interventionen sein Gefühl der Verbundenheit und Teilhabe an der
Tragödie aus, die die Ukraine erlebe, mit einer „Dimension des Märtyrertums“,
über die nicht genug gesprochen werde und die Grausamkeiten ausgesetzt sei,
teilte der vatikanische Pressesaal am Mittwochnachmittag mit. Der Papst
drücke seinen Schmerz über das Gefühl der Hilflosigkeit angesichts des Krieges
aus, „eine Sache des Teufels, der zerstören will“, mit einem besonderen
Gedanken an die ukrainischen Kinder. Wie der Vatikan mitteilte, habe der Papst
immer wieder ukrainische Kinder getroffen, die vom Krieg geflohen seien: „Sie
schauen dich an und haben das Lächeln vergessen“, und fügte hinzu: „Dies ist
eine der schrecklichen Resultate des Krieges: Kindern das Lächeln zu nehmen.“
Der
Papst habe anerkannt, dass es „ein besonderer Schmerz des ukrainischen Volkes“
sei, wenn sie nicht wüssten, was der Papst genau denke. Er habe deshalb
explizit seine Solidarität mit den ukrainischen Gläubigen und seine ständige
Nähe im Gebet versichert. Er sei an der Seite des ukrainischen Volkes. „Als
besondere Geste und Symbol der Verbundenheit mit dem ukrainischen Volk brachte
Papst Franziskus eine Marienikone mit, die er den Bischöfen der Ukraine
zeigte“, teilte Schewtschuk im Anschluss mit. Es handelt sich um eine von
Schwetschuk geschenkte Ikone, als dieser ein junger Bischof in Argentinien und
der heutige Papst Erzbischof von Buenos Aires war. Der Papst bete jeden Tag vor
dieser Ikone für die Ukraine. (pm/vn 6)
Papst Franziskus: „Synode ist kein
TV-Programm“
Auf
dem Rückflug aus der Mongolei nach Rom hat sich Papst Franziskus, wie üblich,
den Fragen mitreisender Journalisten gestellt. Dabei ging es unter anderem um
die Beziehungen des Vatikan zu China, um seine Haltung zu Russland und um die
Weltsynode. Stefan von Kempis – Vatikanstadt
Wie
schon in Ulaanbaatar warb der Papst auf der „fliegenden Pressekonferenz“
deutlich um die Gunst Pekings. „Die Beziehungen zu China sind sehr respektvoll.
Ich bewundere das chinesische Volk sehr, die Kanäle sind sehr offen, für die
Ernennung von Bischöfen gibt es seit einiger Zeit eine Kommission, die mit der
chinesischen Regierung und dem Vatikan zusammenarbeitet…“
„Ich
bewundere das chinesische Volk“
Er
glaube, dass man auf dem „freundschaftlichen Weg“ jetzt vor allem „im
religiösen Bereich vorankommen“ müsse, fuhr Franziskus fort: „Damit wir uns
gegenseitig besser verstehen. Und damit die chinesischen Bürger nicht denken,
dass die Kirche ihre Kultur und ihre Werte nicht akzeptieren würde, oder dass
die Kirche von einer ausländischen Macht abhängig wäre.“
Der
Papst äußerte sich auch zur Mission seines Sondergesandten, des italienischen
Kardinals Matteo Zuppi, der Verständigungsmöglichkeiten im Ukraine-Krieg
ausloten soll. Franziskus lobte Zuppi als „großen Mann des Dialogs“ und
bestätigte, dass der Kardinal auch in Peking vorsprechen wolle. Genauer wurde
Franziskus bei diesem Punkt aber nicht.
Zu
Russland-Äußerung: „So etwas sage ich überall“
Dafür
ging er sehr ausführlich auf den Unmut ein, den seine Video-Schalte mit jungen
russischen Katholiken unlängst in der Ukraine hervorgerufen hat. Der Papst
hatte bei dieser Gelegenheit am 25. August wertschätzend vom „Erbe der großen
Mutter Russland“ gesprochen. „Sagen wir es so, wie es war: ein Dialog mit
jungen Russen. Und am Ende des Dialogs habe ich ihnen eine Botschaft mit auf
den Weg gegeben, eine Botschaft, die ich immer wiederhole: Sie sollen ihr Erbe
in die Hand nehmen. Erster Punkt: Kümmert euch um euer Erbe. Das Gleiche sage
ich überall!“
„Äußerung
vielleicht nicht glücklich“
Wenn
er vom „großen Russland“ gesprochen habe, dann beziehe sich das vor allem auf
Kunst, Literatur, Musik; er meine es „vielleicht nicht so sehr geografisch,
sondern kulturell“. Einmal mehr bekräftigte der Papst seine Bewunderung für
Dostojewskij, der für einen „reifen Humanismus“ stehe. Aber womöglich sei seine
Äußerung „nicht glücklich“ gewesen. „Ich habe mich an das erinnert, was wir in
der Schule gelernt haben: Peter I., Katharina II. Dieses Element ist vielleicht
nicht ganz richtig; ich weiß es nicht. Das sollen uns die Historiker sagen.
Aber es war ein Zusatz, der mir in den Sinn kam, weil ich es in der Schule
gelernt hatte.“
Jedenfalls
sei es ihm in erster Linie darum gegangen, den jungen russischen Katholiken zu
sagen: „Nehmt euer Erbe selbst in die Hand, nehmt euer eigenes Erbe, das heißt,
kauft es nicht woanders. Das eigene Erbe annehmen.“ Die russische Kultur sei
„von einer sehr großen Tiefe“ und „sollte nicht wegen politischer Probleme
ausgelöscht werden“. Ukrainische Politiker und Kirchenleute hatten die
Papst-Bemerkungen mit dem Hinweis kritisiert, dass Wladimir Putin seinen
Angriffskrieg gegen die Ukraine mit dem Begriff eines großrussischen Imperiums
begründe.
„Habe
nicht an Imperialismus gedacht“
„Und
ich habe nicht an Imperialismus gedacht, als ich das sagte, ich habe von Kultur
gesprochen. Die Weitergabe von Kultur ist nie imperial, nie; sie ist immer ein
Dialog...“ Wenn Kultur allerdings in imperialer Absicht instrumentalisiert
werde, dann werde sie zu Ideologie. Leider würden übrigens Ideologien auch „in
die Kirche hineingetragen, die die Kirche von dem Leben, das aus der Wurzel
kommt, abtrennen“, so der Papst.
„Wir
müssen auch in der Kirche zwischen Lehre und Ideologie unterscheiden: Die wahre
Lehre ist niemals ideologisch, niemals; sie ist im heiligen, gläubigen Volk
Gottes verwurzelt, während die Ideologie von der Realität, vom Volk losgelöst
ist...“
„Bei
der Synode ist kein Platz für Ideologie“
Damit
landete Franziskus bei einem weiteren Thema, auf das sich mehrere
Journalistenfragen bezogen, nämlich der von ihm auf den Weg gebrachten
Weltsynode. Im Oktober findet im Vatikan eine erste Synoden-Vollversammlung
statt, genau ein Jahr darauf soll es eine zweite geben. Bei der Synode dürfe
für Ideologie kein Platz sein, verlangte der Papst; wer „einen ideologischen
Weg“ einschlage, der steige aus dem synodalen Dialoggeschehen aus.
„Zum
Ablauf der Versammlung: Es gibt eine Sache, die wir hüten müssen, nämlich die
synodale Atmosphäre. Dies ist keine Fernsehsendung, in der wir über alles
reden, nein. Es gibt auch einen religiösen Moment... Bedenken Sie, dass es bei
der Synode jedes Mal nach drei Redebeiträgen drei bis vier Minuten Stille für
das Gebet geben wird. Dann wieder drei Ansprachen, und wieder Gebet. Ohne
diesen Geist des Gebets gibt es keine Synodalität – das ist Politik, das ist
Parlamentarismus. Die Synode ist kein Parlament!“
Die
Sorgen der Priorin
Die
Priorin eines Karmelitinnen-Klosters habe ihm kürzlich anvertraut, ihre
Schwestern hätten „Angst vor der Synode“ – Angst nämlich, „dass da die Lehre
geändert wird“. Hinter solchen Vorstellungen stecken nach dem Dafürhalten von
Papst Franziskus „Ideologien“. „Wenn Menschen sich in der Kirche vom Weg der
Gemeinschaft abwenden wollen, dann liegt das letztlich immer an Ideologie...
Sie verteidigen eine Lehre in Anführungszeichen – eine Lehre wie destilliertes
Wasser, das nach nichts schmeckt. Das ist nicht die wahre katholische Lehre,
die im Glaubensbekenntnis steht!“
Natürlich
fand der Papst den Journalisten gegenüber auch noch einige Worte für das Land,
das er in den letzten Tagen besucht hat. Franziskus‘ Visite in der Mongolei war
die erste eines Papstes überhaupt. Seine Absicht habe darin bestanden, nicht
nur die kleine katholische Herde in der Steppe zu besuchen, sondern auch „in
ein Gespräch mit der Geschichte und der Kultur“ des mongolischen Volkes
einzutreten. Er bewundere speziell die Art und Weise, wie die Mongolei sich um
Dialog und gute Kontakte zu seinen Nachbarn China und Russland bemühe: Das sei
ein „Reichtum“.
„Für
mich ist das Reisen nicht mehr so einfach wie früher“
Wohin
ihn seine nächsten Reisen führen werden? Auch auf diese Frage, vorgebracht von
einem US-Journalisten, ging Franziskus ein. Nach Marseille – die Visite ist für
Ende September angesetzt – sei womöglich ein „kleines europäisches Land“ an der
Reihe. „Aber um die Wahrheit zu sagen: Für mich ist das Reisen jetzt nicht mehr
so einfach wie früher; ich habe Schwierigkeiten beim Gehen, und das stellt eine
Einschränkung dar. Wir werden sehen.“
Ein
Blick in die Zukunft: Papst Johannes XXIV. in Vietnam
Dass
der Papst von einer Reise nach Kyiv und Moskau träumt, oder von einem Besuch in
Peking, ist bekannt; er wiederholte es diesmal nicht. Stattdessen rückte ein
anderes asiatisches Land in den Fokus, nämlich Vietnam. Franziskus lobte die
immer besseren Kontakte des Vatikan zu Hanoi; der Dialog sei „offen und komme
allmählich voran“. Seit Jahren arbeitet ein gemeinsames Komitee an der
Wiederaufnahme voller diplomatischer Beziehungen zwischen beiden Staaten. „Über
eine Reise nach Vietnam – wenn ich nicht dort hinreisen werde, dann wird es mit
Sicherheit Papst Johannes XXIV. tun! Es wird sicher dazu kommen, denn es ist
ein Land, das es verdient, voranzukommen…“
(vatican news 4)
Europas Bischöfe erinnern an einen
der Gründerväter der EU
Mit
einem Gottesdienst erinnert die katholische EU-Bischofskommission COMECE an
Politiker Robert Schuman. Die Messe findet am Montagabend in der Chapel for
Europe im Brüsseler Europaviertel statt. Der 4. September ist der 60. Todestag
Schumans, der als einer der Gründervater der EU gilt. Seit längerem läuft in
der katholischen Kirche ein Seligsprechungsverfahren für den überzeugten
Katholiken Schuman.
Mit
der 1950 präsentierten Idee einer Montanunion zwischen Deutschland und
Frankreich legte der gebürtige Luxemburger den Grundstein für die
deutsch-französische Aussöhnung und die europäische Einigung.
Schumans
Heimat lag auf der Grenze zwischen Luxemburg und Lothringen - das 1871 an das
Deutsche Reich fiel. Im Ersten Weltkrieg diente er noch als Reservist im
deutschen Heer. Nach der Abtrennung Elsass-Lothringens war er dann in Metz als
Rechtsanwalt tätig und wurde 1919 Abgeordneter der Pariser Nationalversammlung.
Nach
dem frühen Tod seiner Eltern hatte Schuman eigentlich Priester werden wollen.
Doch Freunde überzeugten ihn, dass die Welt tüchtige Laien brauche; „Heilige im
Straßenanzug“. So schlug der Vielbegabte eine Karriere als Jurist und
Laienkatholik ein.
Viele
Talente
Bereits
in den 20er Jahren knüpfte Schuman ein dichtes Netz von Kontakten mit
christlich-demokratischen Politikern aus ganz Europa, etwa Konrad Adenauer oder
dem Italiener Alcide de Gasperi. Diese Beziehungen trugen nach 1945 Früchte.
Doch zunächst geriet Schuman als Unterstaatssekretär für das Flüchtlingswesen
in Gegensatz zu Petains Vichy-Regierung; im Herbst 1940 wurde er als erster
prominenter französischer Politiker verhaftet. Nach seiner Flucht aus
Gestapo-Haft im August 1942 versteckte sich Schuman bei Benediktinern. Er
arbeitete nun im Widerstand; 1945 gründete er die Christlich-Demokratische
Partei.
Zwischen
1947 und 1953 gehörte Schuman allen schnell wechselnden französischen
Regierungen an - zunächst als Finanzminister, dann als Premier- und
Außenminister. Gegen die Anfeindung der Gaullisten betrieb er mit Energie seine
Idee der europäischen Einigung und einer deutsch-französischen Annäherung. Auch
die Straßburger Konvention für die Menschenrechte und Grundfreiheiten von 1950
gilt als sein Werk.
Grundidee
der Montanunion
Im
Mai 1950 wurde der sogenannte Schuman-Plan vorgestellt. Der damalige
Außenminister sah darin eine „Montanunion“ zwischen Frankreich und Deutschland
vor, also eine behördliche Aufsicht über die Stahl- und Kohleproduktion beider
Länder. Die gemeinsame Bewirtschaftung der zentralen Stoffe der
Rüstungsindustrie durch die einstigen Erbfeinde war für Schuman aktive
Friedenspolitik.
Dieses
Instrument, das auch dem Beitritt anderer Länder offenstand, sollte zur
Keimzelle der europäischen Einigung werden - die heute weit über den einst
Eisernen Vorhang ausgreift. Die Stadt Aachen verlieh Schuman dafür 1958 den
Karlspreis. Noch weiter reichende Elemente der Integration, etwa eine
Europäische Verteidigungsgemeinschaft, scheiterten damals an nationalen
Widerständen.
Nach
seinem Ausscheiden als Parlamentspräsident 1960 erlitt der Junggeselle Schuman
im Winter 1961 bei einem Abendspaziergang einen Herzinfarkt. Eine ganze Nacht
blieb er in der Kälte liegen und erholte sich nie mehr vollständig. Am 4.
September 1963 starb er mit 77 Jahren in seinem Landhaus in Scy-Chazelle bei
Metz. Papst Johannes Paul II. nannte Schuman 1988 vor dem EU-Parlament ein
„ewiges Vorbild für alle Verantwortlichen am Aufbau Europas“.
(kna
3)
D: Fusion von Kirchengemeinden kann
teuer werden
„Entsteht
durch die Zusammenlegung von mehreren Kirchengemeinden eine neue
Kirchengemeinde, wird hierdurch Grunderwerbsteuer ausgelöst", entschied
der Bundesfinanzhof in einem bereits am Donnerstag in München veröffentlichten
Urteil (II R 24/21). Er bestätigte damit ein Urteil des Finanzgerichts Münster
von 2021.
Die
Steuerpflichtigkeit trete ein, wenn die ursprünglichen Kirchengemeinden Anteile
an grundbesitzenden GmbHs hielten und diese GmbH-Beteiligungen nach der
Zusammenlegung sich alle - zumindest 90 Prozent - in der Hand der neu
errichteten Kirchengemeinde befänden, so das Gericht. Das gelte auch dann, wenn
die grundbesitzenden GmbHs caritative Einrichtungen wie Krankenhäuser oder
Altenheime betreiben.
Kirchengenmeinde
aus NRW hatte geklagt
Die
Klägerin, eine Kirchengemeinde aus NRW mit dem Status einer Körperschaft des
öffentlichen Rechts, wurde aufgrund Dekrets des zuständigen Bischofs durch die
Vereinigung verschiedener Kirchengemeinden errichtet, wie der Bundesfinanzhof
erläuterte. Das gesamte Vermögen der ursprünglichen Kirchengemeinden
einschließlich der Beteiligungen an den grundbesitzenden GmbHs sei der neuen
Gemeinde zugeführt worden. Das Finanzamt hielt diesen Vorgang für
grunderwerbsteuerbar und erließ einen entsprechenden Feststellungsbescheid über
die Besteuerungsgrundlagen. Der Bundesfinanzhof führte aus, dass die
Neuerrichtung der Kirchengemeinde durch Zusammenlegung verschiedener
Kirchengemeinden in dem Augenblick der Grunderwerbsteuer unterliege, in dem die
Zusammenlegung für den staatlichen Bereich wirksam werde. Dem stehe nicht
entgegen, dass die Umstrukturierung der Kirchengemeinden zunächst nach rein
innerkirchlichem Recht – sozusagen kirchenintern – erfolgt sei.
Staatliche
Anerkennung innerkirchlichen Rechts
Ab
dem Zeitpunkt, in dem die Zusammenlegung für den staatlichen Bereich anerkannt
werde, habe die Kirchengemeinde den Status einer Körperschaft des öffentlichen
Rechts mit der Folge erlangt, dass sie grunderwerbsteuerpflichtig werde. Dem
stehe weder das kirchliche Selbstbestimmungsrecht noch die sogenannte
Kirchengutsgarantie im Hinblick auf das für Wohltätigkeitszwecke bestimmte
Vermögen entgegen. Der Bundesfinanzhof entschied darüber hinaus, dass auch kein
grunderwerbsteuerrechtlicher Befreiungstatbestand bei einer Zusammenlegung von
Kirchengemeinden greift. So könne ein Vorgang zwar von der Grunderwerbsteuer
befreit sein, wenn er gleichzeitig eine Schenkung darstelle, wodurch eine
Doppelbelastung mit Grunderwerbsteuer und Schenkungsteuer vermieden werden
solle. Dies sei aber bei der Neuerrichtung einer Kirchengemeinde durch
Zusammenlegung von Kirchengemeinden nicht der Fall, weil die aufgelösten
Kirchengemeinden der Klägerin nichts geschenkt hätten. (kna 2)
D: Mehr Taufen, Erstkommunionen und
Hochzeiten in der Kirche
Mehr
als eine halbe Million Personen sind 2022 in Deutschland aus der katholischen
Kirche ausgetreten: ein Rekordwert. Dafür wurde mehr getauft und kirchlich
geheiratet. Fakten der katholischen Deutschen Bischofskonferenz, die in der
neuen Broschüre „Zahlen und Fakten 2022/23“ stehen.
Mitgliederzahl
Im
vergangenen Jahr gehörten 20.937.950 Menschen der katholischen Kirche an, 2021
waren es noch 21.645.875. Bei den Protestanten sank die Zahl von 19.725.000 auf
19.150.000. Das entspricht einem Anteil von rund 24,8 beziehungsweise 22,7
Prozent an der Gesamtbevölkerung. 2021 war der Gesamtanteil (26,0 + 23,5)
erstmals unter 50 Prozent gefallen.
Kirchenaustritte
2022
traten in Deutschland 522.652 (2021: 359.338) Menschen aus der katholischen und
rund 380.000 (2021: 280.000) aus der evangelischen Kirche aus. In beiden Fällen
ist das ein neuer Rekordwert.
Eintritte
und Wiederaufnahmen
Die
katholische Kirche verzeichnete im vergangenen Jahr 5.200 Aufnahmen, nämlich
1.447 Eintritte und 3.753 Wiederaufnahmen. Die evangelische Kirche spricht für
den gleichen Zeitraum von rund 19.000 Aufnahmen, ohne dies näher
aufzuschlüsseln.
Taufen
Bei
den Taufen verzeichneten beide Kirchen für 2022 Zuwächse gegenüber dem Jahr
davor: In der katholischen Kirche waren es 155.173 (2021: 141.992), in der
evangelischen Kirche 165.000 (2021: 115.000). Fachleute führen dies – wie bei
den Hochzeiten – zum Teil auf Nachholeffekte nach der Corona-Pandemie zurück.
Trauungen
Die
katholische Kirche meldet für 2022 deutlich mehr Trauungen (35.467 im Vergleich
zu 20.140 im Jahr 2021). Auf evangelischer Seite stammt die aktuellste Zahl –
17.869 – aus dem Jahr 2021.
Erstkommunionen
Die
Zahl der Erstkommunionen in der katholischen Kirche stieg auf 162.506 (2021:
156.574).
Bestattungen
Die
Zahl der katholischen Bestattungen blieb mit 240.144 nahezu konstant (2021:
240.040). Auf evangelischer Seite stammt die aktuellste Zahl – 253.688 – aus
dem Jahr 2021.
Pfarreien
und Priester
Durch
die laufenden Strukturmaßnahmen in den katholischen Bistümern hat sich die Zahl
der Pfarreien weiter verringert auf 9.624 (2021: 9.790). Bundesweit gab es
11.987 Priester (2021: 12.280), darunter waren 1.956 Ordenspriester. Insgesamt
waren 7.720 dieser Priester im aktiven pastoralen Dienst, der Großteil davon (6.069)
als Pfarrseelsorger in Gemeinden.
Gottesdienstbesuche
Im
Durchschnitt besuchten 1,19 Millionen katholische Gläubige am Wochenende
Gottesdienste, das waren rund 5,7 Prozent aller Mitglieder. Dabei wurde die
digitale Teilnahme nicht mitgezählt. 2021 lagen die Zahlen – sicher auch durch
Corona bedingt – bei 923.000, also rund 4,3 Prozent. Die evangelische Kirche
gab zuletzt 2021 an, dass im Schnitt knapp 314.000 Mitglieder (1,6 Prozent) am
Wochenende Gottesdienste besuchten. (kna 1)
Ordensfrau Philippa Rath erhält
Edith-Stein-Preis
Die
Ordensschwester Philippa Rath erhält den diesjährigen Edith-Stein-Preis. Damit
wird ihr Engagement für die Rechte der Frauen in der katholischen Kirche und in
der Gesellschaft gewürdigt, wie der Göttinger Edith-Stein-Kreis am Donnerstag
mitteilte.
Dies
habe sie als Delegierte im katholischen Reformprojekt Synodaler Weg sowie in
zwei Publikationen bundesweit unter Beweis gestellt. Rath stehe damit in einer
Linie mit Edith Stein, die sich ebenfalls als Kämpferin für die Rechte der
Frauen - innerhalb und außerhalb der Kirche - verdient gemacht habe, so die
Jury.
Stein,
die vom Judentum zum Christentum konvertierte und 1942 im Konzentrationslager
ermordet wurde, habe bereits 1928 in einem Artikel über das Diakonat und
Priestertum der Frau geschrieben: „Dogmatisch scheint mir nichts im Wege zu
stehen, was es der Kirche verbieten könnte, eine solche bislang unerhörte
Neuerung durchzuführen.“
Benediktinerin
in der Abtei Sankt Hildegard in Rüdesheim-Eibingen
Fast
100 Jahre später, so die Jury, arbeite Schwester Philippa Rath mit daran, diese
„unerhörte Neuerung“ in der Kirche Wirklichkeit werden zu lassen. Die 1955 in
Düsseldorf geborene Politikwissenschaftlerin, Theologin und Historikerin Rath
lebt als Benediktinerin in der Abtei Sankt Hildegard in Rüdesheim-Eibingen.
Der
alle zwei Jahre verliehene und mit 5.000 Euro dotierte Edith-Stein-Preis
würdigt laut Mitteilung über nationale, konfessionelle und religiöse Grenzen
hinweg Personen, Gruppen und Institutionen, die sich durch
Grenzüberschreitungen in ihrem sozialen, politischen und gesellschaftlichen
Engagement in hervorragender Weise ausgezeichnet und bewährt haben. (kna 31)