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Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso 25 aprile - 8 maggio 2022
Divina Misericordia. La domanda del Papa: “Dove vivo sono tessitore di
riconciliazione?"
La Santa Messa nella Domenica della Divina Misericordia.
Ecco l'omelia del Papa. Di Veronica Giacometti
CITTÀ DEL VATICANO. Si celebra per la prima volta a San
Pietro la Messa della Divina Misericordia. “Pace a voi! È il saluto del
Risorto, che viene incontro a ogni debolezza e sbaglio umano. Seguiamo allora i
tre pace a voi! di Gesù: vi scopriremo tre azioni della divina misericordia in
noi. Essa anzitutto dà gioia; poi suscita il perdono; infine consola nella
fatica.”, dice Francesco nell’omelia. Il Papa è presente alla celebrazione
nella Basilica di San Pietro, legge e pronuncia la sua omelia, ma non celebra
la Santa Messa. A farlo è Monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio
Consiglio per la nuova evangelizzazione.
La celebrazione della Divina Misericordia fu istituita da
Giovanni Paolo II. Il luogo di culto è dedicato a Santa Suor Faustina Kowalska
che ebbe il mandato di Gesù di istituire questa festa.
La misericordia di Dio dà gioia. “Una gioia speciale –
commenta il Papa nell’omelia letta durante la Messa - la gioia di
sentirsi perdonati gratuitamente. Quando la sera di Pasqua i discepoli vedono
Gesù e si sentono dire per la prima volta pace a voi, gioiscono. I discepoli
avrebbero dovuto provare vergogna, e invece gioiscono. Perché? Perché quel
volto, quel saluto, quelle parole spostano la loro attenzione da sé stessi a
Gesù. Questa è la gioia di Gesù, la gioia che abbiamo provato anche noi
sperimentando il suo perdono. Ci è capitato di assomigliare ai discepoli della
sera di Pasqua: dopo una caduta, un peccato, un fallimento. In quei momenti
sembra che non ci sia più nulla da fare. Ma proprio lì il Signore fa di tutto
per donarci la sua pace: attraverso una Confessione, le parole di una persona che
si fa vicina, una consolazione interiore dello Spirito, un avvenimento
inaspettato e sorprendente... In vari modi Dio si premura di farci sentire
l’abbraccio della sua misericordia”.
La misericordia di Dio suscita il perdono. Per il Papa i
discepoli “non solo ricevono misericordia, ma diventano dispensatori di quella
stessa misericordia che hanno ricevuto. Ricevono questo potere, ma non in base
ai loro meriti, no: è un puro dono di grazia, che poggia però sulla loro
esperienza di uomini perdonati. Tutta la Chiesa è stata resa da Gesù una
comunità dispensatrice di misericordia, un segno e uno strumento di
riconciliazione per l’umanità. E chiediamoci: io, qui dove vivo, in famiglia,
al lavoro, nella mia comunità, promuovo la comunione, sono tessitore di riconciliazione?”.
Il Papa si rivolge anche ai Missionari della Misericordia
presenti alla Messa. "Se ognuno di voi non si sente perdonato, si fermi.
Non faccia il missionario della misericordia. Da quella misericordia ricevuta
sarete capaci di donarla. Non torturare i fedeli che vengono con i peccati, Dio
perdona tutto, non chiudere quella porta", dice a braccio il Pontefice.
La misericordia infine consola nella fatica. “In Tommaso
c’è la storia di ogni credente: ci sono momenti difficili, in cui sembra che la
vita smentisca la fede, in cui siamo in crisi e abbiamo bisogno di toccare e di
vedere – sottolinea il Pontefice durante l’omelia in Basilica - Ma, come
Tommaso, è proprio qui che riscopriamo il cuore del Signore, la sua
misericordia. Ci consola con lo stesso stile del Vangelo odierno: offrendoci le
sue piaghe. E ci fa scoprire anche le piaghe dei fratelli e delle sorelle. Sì,
la misericordia di Dio, nelle nostre crisi e nelle nostre fatiche, ci mette
spesso in contatto con le sofferenze del prossimo”.
"A me piace pensare alla presenza della Madonna tra
gli apostoli lì, è come dopo Pentecoste, l'abbiamo pensata come Madre della
Chiesa, a me piace tanto pensarla come Madre della Misericordia, che lei ci
aiuti ad andare avanti nel nostro ministero così bello", conclude a
braccio Papa Francesco facendo continuare la celebrazione della Messa a
Monsignor Fisichella. Aci
24
Lourdes, dopo la pandemia il santuario riprende a vivere
L’11 febbraio di quest’anno, il santuario è stato
restituito ai malati. È l’inizio della ripresa, caratterizzata anche dal
musical su Bernadette. Di Andrea Gagliarducci
LOURDES. L’11 febbraio di quest’anno, festa della Madonna
di Lourdes e anniversario della prima apparizione, il santuario di Lourdes è
stato ufficialmente riaperto e restituito ai malati. La grotta dell’apparizione
è ridiventata meta di pellegrinaggio, aperta alle visite, e sebbene le vasche
siano ancora chiuse, è ripreso il via vai dei malati che vanno nella piccola
cittadina francese sui Pirenei a cercare guarigione, ma anche supporto
spirituale. Ed è ripartito anche un grande progetto che coinvolge la cittadina:
il musical “Bernadette de Lourdes”, tutto centrato sulla giovane veggente, una
ragazzina di 14 anni al tempo dei fatti, che vide Aquerò, quella cosa lì, e che
rese una testimonianza così straordinaria, così precisa e allo stesso tempo
così ingenua che, alla fine, tutti dovettero crederle.
Il musical era stato prodotto nel 2019, i protagonisti
erano stati anche in udienza da Papa Francesco, e si stava già lavorando
all’edizione italiana. Edizione il cui adattamento è ora pronto, e che dovrebbe
arrivare in Italia nel 2023. Perlomeno, dovrà essere definito il cast. È stata
scelta però la protagonista, Elena Manuele, giovanissima e già molto conosciuta
nell’ambiente musicale, che ha colpito soprattutto per la sua personalità,
oltre che per le innegabili doti canore.
Una personalità che dimostrò di avere anche Bernadette
Soubirous, che a 14 anni, mentre andava con delle amiche alla grotta di
Massabielle, incontrò per la prima volta Aquerò, quella cosa là, una signora
bellissima che le parla nel suo dialetto e “come si parla ad una persona”, dato
non di poco conto per Bernadette.
Perché è vero che la sua famiglia aveva una armonia
fortissima, data da una fede incrollabile in Dio. Ma è anche vero che era una
famiglia poverissima, andata a vivere in locali insalubri che erano parte una
volta di un carcere, relegati in periferia di una cittadina che non era proprio
quel villaggio che si pensa oggi, ma era piuttosto una piccola città con delle
attività di tutto rispetto, come una fabbrica di cioccolato. Nessuno parlava
come persona a Bernadette, il cui padre era stato anche incarcerato perché
ingiustamente accusato di furto.
Il musical "Bernadette de Lourdes" racconta proprio
del carattere di questa ragazzina. La sceneggiatura, spiega il regista Serge
Denoncourt, “non è altro che la trasposizione fedele dei verbali
dell’interrogatorio”, in cui viene fuori la “personalità di Bernadette, che mai
abbassa la testa di fronte ai gendarmi, ma risponde, con precisione”.
Bernadette non dirà mai di aver visto la Madonna, perché questa non le si è mai
presentata. Ma descriverà sempre, e senza contraddizioni, quello che ha visto e
sentito, cosa che ha convinto anche il regista, agnostico. “Non è che il mio
rapporto con la fede sia cambiato dopo aver lavorato sull’opera – dice – ma di
certo Bernadette ha visto qualcosa”.
Il musical, rappresentato di nuovo proprio a Lourdes e
destinazione di diversi gruppi che arrivano nella cittadina, pone l’accento su
quella che è la personalità reale di Bernadette, da cui forse oggi è giusto
ripartire. Anche padre Nicola Ventriglia, Oblato di Maria, coordinatore dei
cappellani italiani a Lourdes, ci tiene a ricordare che Bernadette non era
nemmeno contenta di tutto quello che era nato intorno all’apparizione, e che in
fondo nasce intorno ad ogni santuario. Bernadette – spiega – “non aveva mai
chiesto di portare ceri. Lei aveva preso l’abitudine di andare con un cero”.
C’è un passaggio che va dalla casa dove sono i
cappellani, in cima alla collina, fino alla grotta di Massabielle. Ed era da lì
che i cappellani passavano per andare alla grotta, durante il lockdown, così
“non violavamo nessuna legge. Eravamo diventati cappellani, sacrestani,
giardinieri della grotta”. Il rosario, trasmesso ogni giorno da Lourdes in un
clima surreale, era comunque diventato un punto di riferimento.
Oggi il santuario si sta di nuovo riempiendo. In
generale, spiega padre Ventriglia , “i pellegrini italiani sono la maggioranza.
Direi che dei pellegrini, il 35 per cento sono francesi, un altro 35 per cento
sono italiani e il resto vengono da varie altre nazioni”.
Forte la presenza ucraina nel territorio, anche perché a
Lourdes c’è anche una parrocchia greco-cattolica ucraina. Sono circa 900 gli
ucraini accolti nella cittadina di Lourdes, alcuni anche in alberghi che,
rimasti semivuoti per l’assenza di pellegrini, hanno messo a disposizione i
loro locali. Altri ne arriveranno.
Il sindaco di Lourdes, Thierry Lavit, è molto orgoglioso
dell’accoglienza che la sua città sta mettendo in campo. Proveniente dal
proletariato cittadino, particolarmente dinamico, è stato in udienza da Papa Francesco
lo scorso 18 marzo. “Ho reiterato l’invito a Papa Francesco a venire a Lourdes,
perché è il luogo dove si tocca la sofferenza umana, ma anche la speranza. Gli
ho detto che tutti i Papi sono venuti a Lourdes, dunque anche lui dovrebbe
venire”, racconta.
E certo, c’è la speranza di un viaggio del Papa a marcare
la fine della pandemia, a segnare il nuovo inizio di Lourdes. Nel giugno 2019,
era stato nominato anche un delegato del Papa per meglio definire
l’organizzazione interna, soprattutto a livello finanziario. Ed un vero
miracolo è che, dopo la pandemia e la chiusura del santuario – che non era
stato stato interdetto ai pellegrini nemmeno durante la terribile epidemia
della spagnola dopo la fine della Prima Guerra Mondiale – nessuno dei 330 dipendenti
del santuario sia stato licenziato.
Quella che è passata, dunque, è stata la prima Pasqua con
i pellegrini dallo scoppio della pandemia. È una nuova vita per il santuario,
che vive comunque di un afflusso ridotto. Almeno per ora. Spetterà al nuovo
vescovo della diocesi di Tarbes-Lourdes, Jean Marc Micas, nominato il 30 marzo,
portare avanti la rinascita del santuario dopo la pandemia. Aci 22
Vangelo Migrante: II domenica di Pasqua | Vangelo
La Resurrezione per essere compresa ha bisogno di spazi.
È necessario farle posto come fanno le donne al mattino presto al sepolcro:
ricordano le parole che Lui aveva detto e credono. Gli fa posto il discepolo
più giovane che corre con Pietro al sepolcro: non vede ciò che manca ma vede
ciò che è dato, ovverosia una morte sconfitta e privata del suo trofeo più
prezioso, e crede mentre Pietro non ha posto: è pieno di preoccupazioni e
rimpianti; è agitato. Un posto glielo fanno anche i discepoli di Emmaus,
lasciando che un forestiero si inserisca nei loro discorsi e dica la sua a
riguardo: Gesù risorto è migrante! Mentre conversano con lui sono contenti e lo
riconoscono allo spezzare del pane.
Ma la Resurrezione non è solo per l’intuizione di alcuni
o un lampo momentaneo. Gesù è risorto per tutti e per sempre. E trova il modo
di farsi spazio nella vita di tutti.
Ce lo racconta il Vangelo di questa domenica: la sera di
quello stesso giorno, nel Cenacolo dove si trovavano i discepoli a porte
chiuse, per timore dei giudei, “venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace
a voi! (…) E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
Quella sera manca Tommaso. Otto giorni dopo accade la
stessissima cosa: “venne Gesù, stette in mezzo e disse: Pace a voi!”
La presenza di Gesù lascia il segno. È pacifica come
cosa, nel senso che è evidente. Nessuno dei presenti contesta nulla. Nemmeno
Pietro. Gioisce pure lui: Gesù è lì!
Ma manca Tommaso e, allora, Gesù ripete l’operazione
anche in sua presenza. Perchè? Non certo per dimostrare la Sua forza e umiliare
il discepolo o per dire la sua sulla disputa ‘fede e ragione’. No. Gesù
conferma che Lui è vivo e vive nel cuore di chi lo comprende (gli fa posto) e
crede; ma se uno non ha posto, Lui l’appuntamento ‘pacifico’ per farsi vedere
lo dà nel Cenacolo.
Quel luogo non è casuale o accessorio: è decisivo! È là
che risiede un dono che è per tutti. Ed è da lì che può esser portato ovunque:
“soffiò e disse: ricevete lo Spirito Santo …”.
Questa è detta anche domenica della Misericordia: perché
all’indescrivibile prodigio della Resurrezione e agli inesprimibili effetti
derivanti dalla vittoria sul male e sulla morte, Dio ha aggiunto quello della
Sua presenza risorta, accessibile alle creature e liberatrice dalle paure e dai
turbamenti.
Ogni Cenacolo è casa Sua e, in Lui, diventa casa di
tutti e per tutti! P. Gaetano Saracino, Mig.on.21
Wiesbaden. Deceduto don Fausto Urgu
Nella mattinata del 13
aprile è deceduto nella sua abitazione a Wiesbaden don Fausto Urgu, per un
improvviso malore mentre si preparava per essere accompagnato ad un controllo.
Ma già da alcuni giorni non stava bene, e non solo a causa del diabete.
Nato il 9 agosto del 1946
a Montecatini (Pistoia), don Fausto è stato ordinato sacerdote il 3.12.1972 ad
Alessandria. In diocesi ha svolto il suo primo lavoro pastorale, come vice
parroco a Felizzano (1972-1977).
In Germania viene nel
1977, alla Missione di Wiesbaden, come collaboratore di p. Mario Salon dal 15
settembre fino al primo aprile del 1980, quando la diocesi di Limburg lo nomina
rettore. Oltre alla pastorale ordinaria, ha curato molto quella negli ospedali
con le visite ai malati e nelle carceri a tanti giovani.
La sua venuta in Germania
non è stata per caso o per altri problemi, ma una scelta vocazionale. In una
sua lettera del 1973 al Delegato di allora mons. Giuseppe Clara scriveva: “Sono
un giovane sacerdote, di origine sarda, molto interessato ai problemi
dell’emigrazione. Già da chierico più volte mi recai in Svizzera e Germania per
rendermi conto personalmente della situazione in cui si trovano gli emigrati.
Ora sto pensando seriamente, direi di più, sto quasi per decidermi a vivere il
mio impegno sacerdotale a servizio degli emigrati”. E più avanti, dopo alcune
domande per chiarimenti, scrive: “Vede, io vorrei partire con lo stesso stato
d’animo del missionario che parte in Africa e desidera spendere tutta la sua
vita nella terra dove va ad evangelizzare. Vorrei cioè che la mia missione
eventuale tra gli emigrati fosse lunga finché le forze me lo permetteranno”.
E così è stato. Anche
dopo il suo pensionamento, avvenuto nel 2014, è rimasto come “Subsidiar” a
Wiesbaden, aiutando i sacerdoti (Pfr. Stephan, P. Vincenzo e don Giuseppe) che
nel frattempo si sono succeduti.
Un duro colpo per lui era
stata la perdita della madre Maria nel febbraio del 1999. Una perdita che lo ha
segnato per parecchi anni. La mamma lo aveva raggiunto da subito in Germania,
abitava con lui, lo sosteneva e accompagnava nel suo generoso impegno
sacerdotale.
Nonostante i problemi di
salute, don Fausto ha continuato a garantire la vicinanza ai parrocchiani,
l’aiuto pastorale. Ha sempre avuto una ottima collaborazione con la parrocchia
locale, curando personalmente i contatti con i colleghi non italiani ed
entrando a far parte della Priestergemeinschaft locale.
Il funerale, presieduto
da don Giuseppe Cagnazzo in una chiesa (St. Andreas) affollatissima, ha avuto luogo
venerdì 22 aprile. Don Fausto verrà sepolto nei prossimi giorni nel cimitero di
Wiesbaden, dove riposano anche altri sacerdoti della diocesi di Limburg.
(T.B.), dip 24
Papa all’udienza: “Scartare i vecchi è un peccato grave”
Papa Francesco ha dedicato l'udienza di oggi, tornata in
piazza San Pietro, alla vecchiaia, e in particolare al quarto comandamento.
"Se disonoro gli anziani, disonoro me stesso". M.Michela Nicolais
“Onore è una buona
parola per inquadrare questo ambito di restituzione dell’amore che riguarda
l’età anziana”. Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi,
pronunciata in piazza San Pietro e infarcita di interventi a braccio, si è
soffermato sul quarto comandamento – “Onora il padre e la madre” –
sintetizzandolo così: “Noi abbiamo ricevuto l’amore dei genitori, dei nonni e
adesso noi restituiamo questo amore a loro, agli anziani, ai nonni”. “Quante
volte abbiamo sentito o pensato: ‘i vecchi danno fastidio!”, ha denunciato
Francesco: “Non si tratta soltanto del proprio padre e della propria madre”, ha
precisato: “Si tratta della generazione e delle generazioni che precedono, il
cui congedo può anche essere lento e prolungato, creando un tempo e uno spazio
di convivenza di lunga durata con le altre età della vita. In altre parole, si
tratta della vecchiaia della vita”. “Noi oggi abbiamo riscoperto il termine
dignità, per indicare il valore del rispetto e della cura della vita di
chiunque”, ha sottolineato il Papa: “Dignità equivale sostanzialmente
all’onore”.
“Onorare il padre e la madre, onorare gli anziani è
riconoscere la dignità che hanno”, ha proseguito: “Pensiamo bene a questa bella
declinazione dell’amore che è l’onore. La cura stessa del malato, il sostegno
di chi non è autosufficiente, la garanzia del sostentamento, possono mancare di
onore. L’onore viene a mancare quando l’eccesso di confidenza, invece di
declinarsi come delicatezza e affetto, tenerezza e rispetto, si trasforma in
ruvidezza e prevaricazione. Quando la debolezza è rimproverata, e addirittura
punita, come fosse una colpa. Quando lo smarrimento e la confusione diventano
un varco per l’irrisione e l’aggressività. Può accadere persino fra le pareti
domestiche, nelle case di cura, come anche negli uffici o negli spazi aperti della
città”.
“Incoraggiare nei giovani, anche indirettamente, un
atteggiamento di sufficienza – e persino di disprezzo – nei confronti dell’età
anziana, delle sue debolezze e della sua precarietà”, per Francesco, “produce
cose orribili, apre la strada a eccessi inimmaginabili”.
“I ragazzi che danno fuoco alla coperta di un ‘barbone’ –
lo abbiamo visto – perché lo vedono come uno scarto umano – l’esempio citato –
sono la punta di un iceberg, cioè del disprezzo per una vita che, lontana dalle
attrazioni e dalle pulsioni della giovinezza, appare già come una vita di
scarto”. “Disprezzare i vescovi e scartarli dalla vita, metterli da parte:
questo disprezzo, che disonora l’anziano, in realtà disonora tutti noi”, il
monito:
“Se io disonoro l’anziano, disonoro me stesso”.
“Esiste un passo, nella storia di Noè, molto espressivo a
questo riguardo, non so se voi l’avete in mente”, ha raccontato il Papa: “Il
vecchio Noè, eroe del diluvio e ancora gran lavoratore, giace scomposto dopo
aver bevuto qualche bicchiere di troppo. I figli, per non farlo svegliare
nell’imbarazzo, lo coprono delicatamente, con lo sguardo abbassato, con grande
rispetto. Questo testo è molto bello e dice tutto dell’onore dovuto
all’anziano”.
“Mi permetto di consigliare ai genitori”, l’appello
finale: “per favore, avvicinare i figli, i bambini agli anziani, avvicinarli
sempre! Per favore, non allontanare gli anziani, e dove non c’è un’altra
possibilità che una casa di riposo andarli a trovare e portare i bambini a
trovarli: sono l’onore della nostra civiltà, i vecchi, che hanno aperto le
porte, e tante volte i figli si dimenticano di questo”.
“A me piaceva a Buenos Aires – ha raccontato ancora una
volta Francesco – andare a visitare le case di riposo. E una volta ho chiesto a
una signora: ‘Quanti figli ha?’. ‘Ne ho quattro, tutti sposati, con i
nipotini’. ‘Loro vengono?’. ‘Sì, vengono sempre’. Quando sono uscito dalla
camera l’infermiera mi ha detto che aveva detto una bugia per coprire i figli:
‘Non vengono da sei mesi’”. “Questo è scartare i vecchi e pensare che sono
materiale di scarto”, il monito di Francesco: “Per favore, è un peccato grave!
Il quarto comandamento è l’unico che dice il premio: ‘Onora il padre e la madre
e avrai lunga vita sulla terra’. Questo comandamento di onorare i vecchi ci dà una
benedizione”. “Per favore, custodire i vecchi, e se perdono la testa custodire
i vecchi, perché sono la presenza della storia, la presenza della mia famiglia,
e grazie a loro io sono qui”, l’altro appello del Papa: “Per favore, non
lasciarli da soli!”.
“Non è una questione di cosmetici e di chirurgia
plastica”, ha puntualizzato Francesco: “Piuttosto, è una questione di onore,
che deve trasformare l’educazione dei giovani riguardo alla vita e alle sue
fasi. L’amore per l’umano che ci è comune, inclusivo dell’onore per la vita
vissuta, non è una faccenda per vecchi. Piuttosto è un’ambizione che renderà
splendente la giovinezza che ne eredita le qualità migliori”. Sir 20
Papa Francesco, “onoriamo chi ci ha preceduto, restituiamo amore con onore”
Continua il ciclo di catechesi del Papa dedicato alla
vecchiaia. Il Papa ribadisce il suo no alla cultura dello scarto. Di Andrea
Gagliarducci
CITTÀ DEL VATICANO. Dare amore agli anziani è questione
di onore, perché ci porta a restituire loro l’amore che ci hanno donato, senza
considerarli uno scarto. Perché questo del considerare le persone uno scarto è
un male della società, che comincia con la sufficienza e che porta al fenomeno
di dare fuoco alla coperta di un barbone e arriva al disprezzo di ogni vita
umana. Nella udienza generale del mercoledì, Papa Francesco punta di nuovo il
dito contro la cultura dello scarto, e definisce la restituzione dell’amore
agli anziani come una questione di onore.
Piazza San Pietro gremita, tornata alla vita con la fine
dello stato di emergenza. I fiori olandesi che hanno decorato la piazza nel
giorno di Pasqua non ci sono più, ma resta questo clima pasquale, in una
giornata sembra avere un clima abbastanza mite, e Papa Francesco fa persino un
breve passaggio in Papamobile a salutare la folla.
Nella catechesi, il Papa ricorda che l’età anziana è
“segnata in modo speciale dalle esperienze dello smarrimento e
dell’avvilimento, della perdita e dell’abbandona, della disillusione e del
dubbio”. È vero, dice Papa Francesco, che questo può succedere in ogni fase
nella vita, ma è altrettanto vero che questo “può suscitare meno impressione”
nell’età anziana, portando negli altri “una sorta di assuefazione e persino di
fastidio”. "Quante volte abbiamo detto che i vecchi danno fastidio?",
chiosa il Papa
Papa Francesco nota che “le ferite più gravi
dell’infanzia e della giovinezza provocano, giustamente, un senso di
ingiustizia e di ribellione, una forza di reazione e di lotta”, ma questo non
succede quando succede nell’età anziana, e così "i vecchi sono
allontanati".
Succede perché l’amore “è discendente: non ritorna sulla
vita che sta dietro le spalle con la stessa forza con la quale si riversa sulla
vita che ci sta ancora davanti”.
È questa la “gratuità dell’amore”, cui però la
rivelazione apre un’altra via: quella – dice Papa Francesco di “onorare chi ci
ha preceduto”. Si trova già nel comandamento “onora il padre e la madre”, primo
comandamento della seconda tavola e invito a onorare “non solo il padre e la
madre”, ma anche “la generazioni e le generazioni che precedono”, il cui
congedo “può anche essere lento e prolungato, creando un tempo e uno spazio di
convivenza di lunga durata con le altre età della vita”.
Papa Francesco spiega: "Noi abbiamo ricevuto l'amore
dai genitori e i nonni, e ora restituiamo quell'amore ai genitori e ai
nonni".
Onore equivale alla dignità, che indica “il valore del
rispetto e della cura della vita di chiunque”. E non possono mancare di onore
“la cura stessa del malato, il sostegno di chi non è autosufficiente, la
garanzia del sostentamento”.
Manca invece l’onore quando “l’eccesso di confidenza,
invece di declinarsi come delicatezza e affetto, tenerezza e rispetto, si
trasforma in ruvidezza e prevaricazione”, oppure quando “la debolezza è
rimproverata, e addirittura punita, come fosse una colpa”, e “lo smarrimento e
la confusione diventano un varco per l’irrisione e l’aggressività”.
Può accadere, Papa Francesco ammonisce, ovunque, persino
tra le pareti domestiche. Il Papa denuncia in particolare il fatto che
“incoraggiare nei giovani, anche indirettamente, un atteggiamento di
sufficienza – e persino di disprezzo – nei confronti dell’età anziana, delle
sue debolezze e della sua precarietà, produce cose orribili. Apre la strada a
eccessi inimmaginabili”.
Il Papa sottolinea che “i ragazzi che danno fuoco alla
coperta di un ‘barbone’, perché lo vedono come uno scarto umano (e tante volte
pensiamo che i vecchi sono uno scarto), sono la punta di un iceberg, cioè del
disprezzo per una vita che, lontana dalle attrazioni e dalle pulsioni della
giovinezza, appare già come una vita di scarto”. Aggiunge Papa
Francesco: "Disprezzare i vecchi è scartarli dalla vita".
È un disprezzo che “non solo disonora l’anziano, ma
disonora tutti noi”. Papa Francesco ricorda che invece la Bibbia ha esempi di
onore, come quando Noè giace scomposto perché ubriaco e i figli, “per non farlo
svegliare nell’imbarazzo, lo coprono delicatamente, con lo sguardo abbassato,
con grande rispetto”.
Secondo Papa Francesco, questo testo “dice tutto
dell’onore dovuto all’anziano”. E nota: “Nonostante tutte le provvidenze
materiali che le società più ricche e organizzate mettono a disposizione della
vecchiaia – delle quali possiamo certamente essere orgogliosi –, la lotta per
la restituzione di quella speciale forma dell’amore che è l’onore, mi pare
ancora fragile e acerba”.
Papa Francesco esorta a offrire “migliore sostegno
sociale e culturale a coloro che sono sensibili a questa decisiva forma di ‘civiltà
dell’amore’." Il Papa consiglia ai genitori di "avvicinare i figli
giovani, i bambini agli anziani... avvicinarli sempre... che sappiano che
questa è la nostra carne, che sappiano che è la possibilità che siamo noi... e
se non c'è un'altra possibilità che mandarli in una cosa di riposo, andateli a
trovare, e mandate i bambini a trovarli... sono l'onore della nostra civiltà, i
vecchi che hanno aperto le porte".
Papa Francesco ricora che "a Buenos Aires, mi
piaceva visitare le case di riposo. E domandai ad una signora: quanti figli ha
lei? E lei disse: ne ho quattro, tutti sposati, con nipotini. E disse che
venivano sempre. Ma quando sono uscito, l'infermiera mi ha detto: padre, ha
detto una bugia per coprire i figli. Da sei mesi non viene nessuno".
Non visitare i vecchi "è un peccato grave",
mentre il comandamento di onorare i vecchi "è l'unico con il premio",
perché dice che si "vivrà a lungo". I vecchi - aggiunge Papa
Francesco - "sono la presenza della storia, la presenza della mia figlia,
e possiamo dire tutti noi: grazie a te, nonno e nonna, sono vivo. Per favore,
non lasciateli da soli".
Continua Papa Francesco che custodire i vecchi “non
è una questione di cosmetici e di chirurgia plastica. Piuttosto, è una
questione di onore, che deve trasformare l’educazione dei giovani riguardo alla
vita e alle sue fasi”.
Insomma, “l’amore per l’umano che ci è comune, inclusivo
dell’onore per la vita vissuta, non è una faccenda per vecchi. Piuttosto è
un’ambizione che renderà splendente la giovinezza che ne eredita le qualità
maggiori”. Aci 20
Papa Francesco, Urbi et Orbi di Pasqua: “Oggi più che mai abbiamo bisogno
del Risorto”
Dall’Ucraina alla situazione in Medio Oriente, senza
dimenticare il Myanmar e l’Afghanistan. Papa Francesco guarda alla “Quaresima
che sembra non avere fine” del mondo. Di Andrea Gagliarducci
CITTÀ DEL VATICANO. È una “Quaresima che sembra non avere
fine” quella che ha colpito il mondo, dalla pandemia alla guerra scoppiata nel
cuore dell’Europa, che si aggiunge ai conflitti in Medio Oriente, in Asia, in
situazioni del mondo dove la Santa Sede è presene anche quando non c’è nessuno.
E proprio per questo, oggi più che mai “abbiamo bisogno del Crocifisso
Risorto”, sottolinea Papa Francesco nel tradizionale messaggio Urbi et Orbi di
Pasqua. Una “Pasqua di guerra”, dice il Papa, di fronte alla quale “anche i
nostri occhi sono increduli”.
Come sempre, il messaggio Urbi et Orbi del Papa – alla
città e al mondo – è una occasione anche per guardare agli scenari difficili
del mondo. Per la prima volta dall’inizio della pandemia, il Papa torna sulla
loggia delle Benedizioni, con il corpo diplomatico sul sagrato e 50 mila
persone in piazza (dati della Segreteria di Stato vaticana), le bande della
Guardia Palatina e quella del Corpo dei Carabinieri che suonano l’inno
pontificio e quello italiano, i fiori olandesi che hanno decorato la piazza.
Non c’è stata, come di consueto, l’omelia del Papa alla Messa del mattino, ma
c’è stato il passaggio in papamobile in piazza alla fine della celebrazione,
fino a via della Conciliazione – Papamobile in cui è stata posta una sedia per
permettere al Papa di non rimanere in piedi. Così, tutta l’attenzione è proprio
sul messaggio. Anche questo il Papa lo proclama da seduto, per i ben noti
problemi di gonalgia che gli hanno anche impedito di celebrare la Messa
della Veglia Pasquale ieri.
È una Pasqua che vediamo “con gli occhi increduli” come i
discepoli di fronte al sudario, perché “è una Pasqua di guerra” – dice Papa
Francesco – e abbiamo visto “troppo sangue, troppa violenza”, mentre i nostri
cuori “si sono riempiti di paura e angoscia” e “tanti nostri fratelli e sorelle
si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe”.
Una situazione in cui “facciamo fatica a credere che Gesù
sia veramente risorto”. Eppure, sottolinea con forza Papa Francesco, la
Resurrezione “non è una illusione”. E allora “oggi più che mai abbiamo bisogno
di Lui, al termine di una Quaresima che sembra non voler finire”, perché dopo
due anni di pandemia “stiamo dimostrando che in noi c’è ancora lo spirito di
Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa come
eliminarlo”.
Papa Francesco afferma, allora che “abbiamo bisogno del
Crocifisso Risorto per credere nella vittoria dell’amore, per sperare nella
riconciliazione”, perché solo Gesù può “venire in mezzo a noi” a dire “pace a
lui”, come solo lui ha il diritto di fare perché “porta le piaghe, le nostre
piaghe”, ovvero “nostre perché procurate a Lui da noi, dai nostri peccati,
dalla nostra durezza di cuore, dall’odio fratricida” e “perché Lui le porta per
noi, non le ha cancellate dal suo Corpo glorioso, ha voluto tenerle, portarle
in sé per sempre”.
Queste piaghe “sono un sigillo incancellabile del suo
amore per noi”, e sono “il segno della lotta che Lui ha combattuto e vinto per
noi, con le armi dell’amore, perché noi possiamo avere pace, essere in pace,
vivere in pace”.
Papa Francesco chiede di “lasciare entrare la pace di
Cristo nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri Paesi”. E per la prima
volta dopo tanti anni, non è più la Siria a cominciare la lista degli scenari
di conflitto, ma “la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza
e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata
trascinata”.
Papa Francesco esclama: “Su questa terribile notte di
sofferenza e di morte sorga presto una nuova alba di speranza! Si scelga la
pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre”.
Il Papa chiede di “non abituarsi alla guerra”, esorta ad
impegnarsi “a chiedere a gran voce la pace, dai balconi, per le strade”, invita
“chi ha la responsabilità delle Nazioni” ad ascoltare “il grido di pace della
gente,” e in particolare alla domanda scritta nel manifesto “Russel Einstein”
del 9 luglio 1955”: “Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà
rinunciare alla guerra?”.
Papa Francesco dice di portare nel cuore “tutte le
numerose vittime ucraine, i milioni di rifugiati e di sfollati interni, le
famiglie divise, gli anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città rase al
suolo”, afferma di avere “negli occhi lo sguardo dei bambini rimasti
orfani e che fuggono dalla guerra”, e dice che in quei bambini c’è il grido di
dolore di tanti bambini che soffrono nel mondo, per fame, assenze di cure,
perché sono vittime di abusi o violenze o anche quelli cui è stato negato il
diritto di nascere”.
Papa Francesco guarda però anche ai “segni incoraggianti,
come le porte aperte di tante famiglie e comunità che in tutta Europa accolgono
migranti e rifugiati”, atti di carità che devono diventare “una benedizione per
le nostre società, talvolta degradate da tanto egoismo e individualismo” e
contribuire “a renderle accoglienti per tutti”.
Se gli occhi sono al conflitto prossimo, per Papa
Francesco non si devono dimenticare anche altre situazioni conflitto. Anzi,
questo conflitto ci deve rendere “più solleciti anche davanti ad altre
situazioni di tensione, sofferenza e dolore, che interessano troppe regioni del
mondo e non possiamo né vogliamo dimenticare”.
Papa Francesco chiede “pace per il Medio Oriente,
lacerato da anni di divisioni e conflitti”, auspicando che “israeliani,
palestinesi e tutti gli abitanti della Città Santa, insieme con i pellegrini,
sperimentare la bellezza della pace, vivere in fraternità e accedere con
libertà ai Luoghi Santi nel rispetto reciproco dei diritti di ciascuno”.
E poi, il Papa chiede pace per Libano, Siria, Iraq e in
particolare le comunità cristiane che vivono in Medio Oriente. Lo sguardo va
alla Libia e allo Yemen, da sempre oggetto di appelli del Papa
nell’indifferenza della comunità internazionale per una guerra che va avanti da
troppo tempo. Un conflitto, quello nello Yemen, “ da tutti dimenticato, con
continue vittime”, ma ora con una tregua siglata nei giorni scorsi che si spera
“possa restituire speranza alla popolazione”.
Quindi, il continente asiatico. C’era molta speranza per
il Myanmar, dopo il viaggio del Papa nel 2017, ma il colpo di Stato militare di
due anni fa ha riportato il Paese nel caos, e anche recentemente sono state
attaccate chiese. Il Papa parla di un perdurante e drammatico “scenario di odio
e di violenza”.
C’è quindi l’Afghanistan, dove, dopo il ritorno dei
talebani, non è rimasta nemmeno una chiesa. Lì – nota Papa Francesco – “non si
allentano le pericolose tensioni sociali”, mentre “una drammatica crisi
umanitaria sta martoriando la popolazione”.
Papa Francesco chiede anche pace per il continente
africano (sarà in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan il prossimo
luglio), e fa appello affinché “cessino lo sfruttamento di cui è vittima e
l’emorragia portata dagli attacchi terroristici – in particolare nella zona del
Sahel – e incontri sostegno concreto nella fraternità dei popoli”.
Sia l’Etiopia, dove c’è ora una tregua, che la Repubblica
Democratica del Congo sono menzionate dal Papa, così come le popolazioni del
Sudafrica orientale, colpite da devastanti alluvioni.
Capitolo America Latina: Papa Francesco nota che nel
subcontinente in alcuni casi sono persino peggiorate le condizioni sociali a
causa della pandemia. Quindi, lo sguardo al Canada, anche questa destinazione
di un viaggio di Papa Francesco – annunciato, non ufficializzato – a fine
luglio: Papa Francesco prega perché il Signore accompagni “il cammino di
riconciliazione che la Chiesa Cattolica canadese sta percorrendo con i popoli
autoctoni”, affinché “lo Spirito di Cristo Risorto sani le ferite del passato e
disponga i cuori alla ricerca della verità e della fraternità”.
Ma il pensiero finale non può che essere per la guerra,
perché – dice Papa Francesco – “ogni guerra porta con sé strascichi che
coinvolgono tutta l’umanità: dai lutti al dramma dei profughi, alla crisi
economica e alimentare di cui si vedono già le avvisaglie”.
Ma – conclude il Papa – “davanti ai segni perduranti
della guerra, come alle tante e dolorose sconfitte della vita, Cristo,
vincitore del peccato, della paura e della morte, esorta a non arrendersi al
male e alla violenza. Lasciamoci vincere dalla pace di Cristo! La pace è
possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di tutti!” aci
17
Ucraina, il Papa a Pasqua: basta mostrare muscoli, si scelga la pace
Francesco all’Urbi et Orbi: sia riconciliazione per Kiev,
«così duramente provata dalla distruzione della guerra crudele e insensata in
cui è stata trascinata». La fine delle violenze è «possibile e doverosa,
responsabilità di tutti» - Domenico Agasso
CITTÀ DEL VATICANO. «Ho negli occhi lo sguardo dei
bambini rimasti orfani e che fuggono dalla guerra. Guardandoli non possiamo non
avvertire il loro grido di dolore, insieme a quello dei tanti altri bambini che
soffrono in tutto il mondo. Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente
provata dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata
trascinata. Si scelga la pace», che è «possibile e doverosa,
responsabilità di tutti. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente
soffre». È l’appello che papa Francesco, prima di impartire la Benedizione Urbi
et Orbi, lancia nel giorno di Pasqua dalla loggia centrale
della basilica di San Pietro. Chi ha la responsabilità «delle Nazioni
ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi
settant'anni fa: “Metteremo fine al genere umano, o l'umanità saprà rinunciare
alla guerra?”», dice citando il «Manifesto Russell-Einstein» del 1955.
Alle 10 il Pontefice presiede, sul sagrato
della Basilica vaticana, la Solenne Celebrazione della Messa del giorno di
Pasqua. Alla Celebrazione, che inizia con il rito del Resurrexit, prendono
parte fedeli romani e pellegrini provenienti da ogni parte del mondo in
occasione delle feste pasquali: sono circa 50mila i presenti,
come riferiscono fonti vaticane. Nelle preghiere dei fedeli c'è anche
un’invocazione in ucraino: Dio «conceda ai nostri fratelli e sorelle defunti di
partecipare alla Pasqua eterna». Le preghiere sono state pronunciate anche in
arabo, cinese, tedesco e inglese.
Al termine della Messa il Papa compie il giro tra i
fedeli e i pellegrini con l'auto scoperta; piazza San Pietro è gremita
dopo tanto tempo, come pure via della Conciliazione.
E poi alle ore 12 Francesco rivolge il «Messaggio
Pasquale», davanti a 100mila persone.
Esordisce con gli auguri: «Cari fratelli e sorelle, buona
Pasqua! Gesù, il Crocifisso, è risorto! Viene in mezzo a coloro che lo
piangono, rinchiusi in casa, pieni di paura e di angoscia». Cristo
giunge in mezzo «a loro e dice: “Pace a voi!”». Mostra le «piaghe nelle
mani e nei piedi, la ferita nel costato: non è un fantasma, è proprio Lui, lo
stesso Gesù che è morto sulla croce ed è stato nel sepolcro. Davanti agli
sguardi increduli dei discepoli Egli ripete: “Pace a voi!”».
Anche i «nostri sguardi sono increduli, in questa Pasqua
di guerra. Troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza. Anche i nostri cuori
si sono riempiti di paura e di angoscia, mentre tanti nostri fratelli e sorelle
si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe. Facciamo fatica a
credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la
morte. Che sia forse un’illusione? Un frutto della nostra
immaginazione?». Esclama il Vescovo di Roma: «No, non è un’illusione! Oggi
più che mai risuona l’annuncio pasquale tanto caro all’Oriente cristiano:
“Cristo è risorto! È veramente risorto!” Oggi più che mai abbiamo
bisogno di Lui, al termine di una Quaresima che sembra non voler finire».
Bergoglio ricorda e sottolinea: «Abbiamo alle spalle due anni di pandemia, che
hanno lasciato segni pesanti. Era il momento di uscire insieme dal tunnel, mano
nella mano, mettendo insieme le forze e le risorse...». E invece «stiamo
dimostrando che in noi c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele
non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo. Abbiamo
bisogno del Crocifisso Risorto per credere nella vittoria dell’amore, per
sperare nella riconciliazione. Oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, che
venga in mezzo a noi e ci dica ancora: “Pace a voi!”».
Solo il Figlio Dio «può farlo. Solo Lui ha il
diritto oggi di annunciarci la pace. Solo Gesù, perchè porta le piaghe, le
nostre piaghe. Quelle sue piaghe sono nostre due volte: nostre
perché procurate a Lui da noi, dai nostri peccati, dalla nostra durezza di
cuore, dall’odio fratricida; e nostre perché Lui le porta per noi, non le
ha cancellate dal suo Corpo glorioso, ha voluto tenerle, portarle in se? per
sempre». Sono un «sigillo incancellabile del suo amore per noi,
un’intercessione perenne perché il Padre celeste le veda e abbia
misericordia di noi e del mondo intero. Le piaghe nel Corpo di Gesù risorto
sono il segno della lotta che Lui ha combattuto e vinto per noi, con le armi
dell’amore, perché noi possiamo avere pace, essere in pace, vivere in
pace».
Guardando quelle «piaghe gloriose, i nostri occhi increduli
si aprono, i nostri cuori induriti si schiudono e lasciano entrare l’annuncio
pasquale: “Pace a voi!”».
Francesco esorta a lasciare «entrare la pace di
Cristo nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri Paesi!».
E poi invoca: «Sia pace per la martoriata Ucraina, cosi?
duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e
insensata in cui e? stata trascinata. Su questa terribile notte di sofferenza e
di morte sorga presto una nuova alba di speranza! Si scelga la pace. Si smetta
di mostrare i muscoli mentre la gente soffre». E incoraggia: «Per favore,
per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a
gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace! Chi ha la responsabilità
delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante
domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: “Metteremo fine al genere
umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?” (Manifesto Russell-
Einstein, 9 luglio 1955, ndr)».
Il Papa porta nel cuore tutte le «numerose vittime
ucraine, i milioni di rifugiati e di sfollati interni, le famiglie divise, gli
anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città rase al suolo. Ho negli
occhi lo sguardo dei bambini rimasti orfani e che fuggono dalla guerra. Guardandoli
non possiamo non avvertire il loro grido di dolore, insieme a quello dei tanti
altri bambini che soffrono in tutto il mondo: quelli che muoiono di fame o per
assenze di cure, quelli che sono vittime di abusi e violenze e quelli a cui è
stato negato il diritto di nascere».
Nel dolore della «guerra non mancano anche segni
incoraggianti, come le porte aperte di tante famiglie e comunità che in tutta
Europa accolgono migranti e rifugiati. Questi numerosi atti di carità diventino
una benedizione per le nostre società, talvolta degradate da tanto egoismo e
individualismo, e contribuiscano a renderle accoglienti per tutti».
Il conflitto in Europa «ci renda piu? solleciti anche
davanti ad altre situazioni di tensione, sofferenza e dolore, che interessano
troppe regioni del mondo e non possiamo né vogliamo dimenticare».
E così «sia pace per il Medio Oriente, lacerato da anni
di divisioni e conflitti. In questo giorno glorioso domandiamo pace per
Gerusalemme e pace per coloro che la amano, cristiani, ebrei e musulmani.
Possano israeliani, palestinesi e tutti gli abitanti della Città Santa,
insieme con i pellegrini, sperimentare la bellezza della pace, vivere in
fraternità e accedere con libertà ai Luoghi Santi nel rispetto
reciproco dei diritti di ciascuno».
E avvenga la riconciliazione «per i popoli del Libano,
della Siria e dell’Iraq, e in particolare per tutte le comunità cristiane che
vivono in Medio Oriente». E così «anche per la Libia, perché trovi
stabilità dopo anni di tensioni, e per lo Yemen, che soffre per un conflitto da
tutti dimenticato con continue vittime: la tregua siglata nei giorni scorsi
possa restituire speranza alla popolazione».
Al Signore «risorto chiediamo il dono della
riconciliazione per il Myanmar, dove perdura un drammatico scenario di odio e
di violenza, e per l’Afghanistan, dove non si allentano le pericolose tensioni
sociali e dove una drammatica crisi umanitaria sta martoriando la popolazione».
Papa Bergoglio domanda «pace per tutto il continente
africano, affinchè cessino lo sfruttamento di cui è vittima e l’emorragia
portata dagli attacchi terroristici – in particolare nella zona del Sahel – e
incontri sostegno concreto nella fraternita? dei popoli». Ritrovi l’Etiopia,
«afflitta da un grave crisi umanitaria, la via del dialogo e della
riconciliazione, e cessino le violenze nella Repubblica Democratica del Congo.
Non manchi la preghiera e la solidarietà per le popolazioni del Sudafrica
orientale, colpite da devastanti alluvioni».
Francesco auspica che «Cristo risorto accompagni e assista
le popolazioni dell’America Latina, che in alcuni casi hanno visto peggiorare,
in questi tempi difficili di pandemia, le loro condizioni sociali, esacerbate
anche da casi di criminalità, violenza, corruzione e narcotraffico».
E al «Signore Risorto domandiamo di accompagnare il
cammino di riconciliazione che la Chiesa Cattolica canadese sta percorrendo con
i popoli autoctoni. Lo Spirito di Cristo Risorto sani le ferite del passato e
disponga i cuori alla ricerca della verità e della fraternita?».
Ogni guerra porta «con sé strascichi che coinvolgono
tutta l’umanità – evidenzia - dai lutti al dramma dei profughi, alla crisi
economica e alimentare di cui si vedono già le avvisaglie». Davanti ai
segni «perduranti della guerra, come alle tante e dolorose sconfitte della
vita, Cristo, vincitore del peccato, della paura e della morte, esorta a non
arrendersi al male e alla violenza. Lasciamoci vincere dalla pace di Cristo! La
pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di
tutti!».
Dopo l’annuncio della concessione dell’indulgenza dato
dal cardinale protodiacono Renato Raffaele Martino, il Papa ha impartito la
Benedizione Urbi et Orbi. LS 17
Riproposta a Wuppertal la Passione Vivente
Wuppertal – Dopo due anni la Missione Cattolica Italiana
di Wuppertal, in Germania, ha riproposto la rappresentazione della Passione
Vivente. Una rievocazione della Passione e Morte di Gesù nata 40 anni fa su
iniziativa dei tanti emigrati italiani che hanno voluto portare anche qui una
tradizione molto sentita nei loro luoghi di origine.
Nata in sordina oggi la Passione Vivente di Wuppertal
vede il coinvolgimento degli emigrati italiani ed è seguita da tanti cittadini
di varie nazionalità in questo territorio di oltre 300mila abitanti nella
Renania Settentrionale dove vivono oltre 11mila italiani.
Purtroppo in occasione dell’anniversario del quarantesimo
– lo scorso anno – a causa della pandemia, la rappresentazione non si è svolta
ma la Mci, guidata da don Angelo Ragosta, insieme con la comunità, ha deciso di
farla «rivivere» ripubblicando, sui canali social, video delle edizioni
trascorse. Quest’anno dal vivo anche se in forma ridotta – ci dice il sacerdote
italiano – evidenziando come la comunità italiana sente molto questo
momento che «non è uno spettacolo, non è una recita» ma narra la fede di una
comunità e ne è il «cuore pulsante». Raffaele Iaria, Mig.on. 20
Il 15 Aprile scorso, dopo una forzata pausa
biennale, dovuta alla terribile pandemia, che, peraltro, non accenna a
fermarsi, la Missione Cattolica Italiana di Ulm e Neu-Ulm ha ripreso la
tradizionale Commemorazione della Passione del Signore.
A questa sempre commovente e coinvolgente Via Crucis,
svoltasi con un tempo piuttosto primaverile, animato da una leggera
brezza, hanno partecipato numerosi fedeli italiani, tedeschi e
di altre etnie, provenienti da diverse città – anche
distanti – della Baviera e del Baden-Württemberg.
Alcune decine i devoti, provenienti da Kempten e
Memmingen, coordinati dal Dr. Padre Bruno Zuchowski, Rettore delle Missioni di
Augsburg e Kempten, dalla Segretaria, Signora Pina Baiano-Polverino e da altri
Membri del Consiglio Pastorale.
Veramente meraviglioso il nuovo Stendardo con l'effige
della Vergine, Regina della Pace, fatto allestire in Polonia e portato dal
Signor Sabino Scarvaglieri e da qualche altro volontario durante il lungo
tragitto della Rievocazione. Immagine della Madonna, Regina della Pace,
impressa anche nei foulard di molti partecipanti.
Particolarmente calorosa l'accoglienza da parte del
padrone di casa, Don Giampiero Fantastico, Rettore delle Missioni di Neu-Ulm e
di Ulm, che ha presentato e introdotto la cerimonia, facendo gli onori di casa
anche all’illustre ospite Dr. Bertram Meier, Vescovo di Augsburg.
Sul palco, allestito davanti al municipio di Neu-Ulm: Don
Fantastico, Padre Zuchowski, altri sacerdoti, tra i quali un sacerdote
ucraino, i Borgomastri di Neu-Ulm e Ulm, – e quest’anno – anche Mons.
Meier. Don Giampiero ha salutato anche una Pastora presente tra il pubblico,
che è stata applaudita dai presenti.
Dopo il saluto e l'introduzione alla Rievocazione da
parte di Don Fantastico, e dopo il saluto in tedesco della Borgomastra di
Neu-Ulm, e di un breve intervento del sacerdote ucraino nella sua lingua,
c'è stato il molto apprezzato saluto del Vescovo in lingua italiana.
Tra l'altro Mons. Meier ha anche ringraziato il parroco
ospitante, e si è dichiarato lieto di avere nella sua Diocesi un sacerdote così
fantastico, non solo di nome,
Durante il percorso e alle varie stazioni, si sono
recitate preghiere e intonati canti, in italiano, in tedesco... e quest’anno
anche alcuni in ucraino, croato, polacco... e pure un bel canto alla
Madonna, in spagnolo.
Sempre molta suggestiva soprattutto l’ultima
stazione: la Crocifissione nel piazzale del Duomo di Ulm. Al termine del Rito
Padre Fantastico, ringraziando gli organizzatori e i protagonisti della Rievocazione,
ha invitato i presenti a concludere l'incontro con l’invocazione a Maria,
Regina della Pace con le parole in latino: Maria, dona nobis pacem!
Invocazione che Mons. Meier ha tradotto anche per i
tedeschi, chiedendo ai presenti di recitare, e intonare tre volte a voce alta
l'invocazione.
Al termine della Commemorazione, la brezza primaverile,
salita nel frattempo d'intensità, faceva sventolare i teli che pendevano dalla
croce... e una luna piena, particolarmente luminosa, dall'alto... sembrava
che guardasse la scena... e annuisse. Fernando A. Grasso
Via Crucis al Colosseo con Papa Francesco. Sono le famiglie a portare la
croce
Venerdì della Settimana Santa. Le 14 stazioni della Via
Crucis al Colosseo affidate alle famiglie. La preghiera del Papa: "Disarma
la mano alzata del fratello contro il fratello". Di Veronica Giacometti
CITTÀ DEL VATICANO. Papa Francesco torna al Colosseo per
la Via Crucis. Dopo due anni di stop, a causa della pandemia da coronavirus, il
Pontefice presiede la tradizionale processione del Venerdì Santo nel posto più
suggestivo dell'antica Roma, l'Anfiteatro Flavio. Nell’Anno della Famiglia, che
porta all’Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà a Roma il prossimo
giugno, il Papa ha deciso che a scrivere le meditazioni sono le famiglie.
Papa Francesco affida in particolare la preparazione dei
testi delle meditazioni e delle preghiere ad alcune famiglie legate a comunità
ed associazioni cattoliche di volontariato ed assistenza. La Sala Stampa della
Santa Sede conta 10.000 persone presenti al Colosseo.
Quello di oggi è senza dubbio un mondo provato. Come Gesù
che soffre sulla croce. Provato dalla croce della guerra e della pandemia. E le
famiglie ne portano il peso maggiore.
I testi in particolare delle 14 stazioni sono stati
scritti da una coppia di giovani sposi , una famiglia in missione , da sposi
anziani senza figli, una famiglia numerosa, una famiglia con un figlio con
disabilità, una famiglia che gestisce una casa famiglia, una famiglia con un
genitore malato , una coppia di nonni, una famiglia adottiva, una vedova con
figli, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che ha perso una
figlia, una famiglia ucraina e una famiglia russa ( che ha suscitato qualche
critica da parte dell'ambasciatore ucraino presso la Santa Sede e non solo ) e
infine una famiglia di migranti. Tutte le tipologie di famiglie che
caratterizzano il mondo intero.
In mondovisione vengono quindi rappresentate "le
croci" di cui ogni giorno le famiglie sono costrette a farsi carico:
malattie, scelte difficili, licenziamenti, disabilità, precarietà, lutti.
"Eravamo in cinque in casa: io, mio marito e i nostri tre figli. Cinque
anni fa la vita si è complicata. Una diagnosi difficile da accettare, una
malattia oncologica scritta ogni istante sul volto della figlia più piccola.
Una malattia che, pur non avendo mai spento il suo sorriso, ha reso lo stridore
dell’ingiustizia che vivevamo ancora più doloroso. Malgrado le beffe di cui il
dolore sembrava averci già ricoperto, dopo solo sei anni di matrimonio mio
marito ci ha lasciato per una morte improvvisa, mettendoci su una strada di
solitudine straziante, durante la quale in due anni abbiamo accompagnato la
piccola di casa al suo ultimo saluto. Sono passati cinque anni dall’inizio di
questa avventura che non abbiamo assolutamente compreso razionalmente, ma la
certezza è che questa grande croce è stata abitata dal Signore e lo è ancora
oggi. Dio non chiama chi è capace ma rende capace chi chiama: questo ci disse
un giorno una suora, e queste parole ci hanno cambiato la prospettiva di vita
negli ultimi anni", questo il racconto di una mamma nella XII stazione
"Gesù dona la Madre al discepolo amato".
La XIII stazione è stata affidata ad una rappresentanza
ucraina e una russa, insieme. Sono lì a portare tutte e due la stessa croce,
due donne, due infermiere, durante il momento preciso nel quale Gesù spirò.
"Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo
in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel
mondo", questa la meditazione scelta per la tredicesima stazione. "Si
tratta di un cambiamento previsto, che limita il testo al minimo per affidarsi al
silenzio e alla preghiera", spiega la Sala Stampa della Santa Sede.
La Via Crucis in questi giorni è anche e soprattutto
dell'Ucraina. "Ecco, con il nunzio stiamo tornando adesso a Kiev, da
questi posti difficili per ogni persona del mondo, dove abbiamo trovato ancora
tanti morti e una tomba di almeno 80 persone, sepolte senza nome e senza
cognome. E mancano le lacrime, mancano le parole. (Mica) Menomale che c’è la
fede, e che siamo nella Settimana Santa, Venerdì Santo, quando ci possiamo
unire con la persona di Gesù e salire con Lui sulla Croce, perché dopo Venerdì
Santo … lo so, lo so: ci sarà la Domenica di Resurrezione. E forse Lui ci
spiegherà tutto con il Suo amore e cambierà tutto anche dentro di noi, questa
amarezza e questa sofferenza che portiamo da alcuni giorni, ma particolarmente
dalla giornata di oggi." Questo pomeriggio, di ritorno da Borodianka, a
nord di Kiev, dove si è fermato a pregare di fronte alle fosse e ai corpi
ritrovati, come in una Via Crucis, il Cardinale elemosiniere Konrad Krajewski
ha affidato il suo dolore a questo messaggio.
I testi della Via Crucis 2022 sono illustrati da
riproduzioni di miniature tratte da due manoscritti della Biblioteca Apostolica
Vaticana: un libro di meditazioni sulla Passione e un libro d’Ore del sec. XV.
"Tieni accesa nelle nostre famiglie la lampada del
Vangelo, che rischiara gioie e dolori, fatiche e speranze: ogni casa rifletta
il volto della Chiesa, la cui legge suprema è l’amore. Per l’effusione del tuo
Spirito, aiutaci a spogliarci dell’uomo vecchio, corrotto dalle passioni
ingannatrici, e rivestici dell’uomo nuovo, creato secondo la giustizia e la
santità. Tienici per mano, come un Padre, perché non ci allontaniamo da Te;
converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti
di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono
reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove
c’è l’odio fiorisca la concordia.Fa’ che non ci comportiamo da nemici della
croce di Cristo, per partecipare alla gloria della sua risurrezione.",
questa la preghiera finale del Papa davanti a Gesù crocifisso. Aci 15
Un po’ di Vangelo, per favore!
Putin ha avuto la spudoratezza, e il papa ha il coraggio,
di citare il Vangelo. Coraggio, perché tale è il clima che si è creato a
proposito della guerra in Ucraina, promosso intenzionalmente dalla propaganda
di ambedue le parti, che ci vuole del coraggio per citare il Vangelo. Sono rare
le voci degli stessi cristiani, che osino portarlo in campo.
A voler giustificare, in qualche modo, la costante
censura delle parole di Gesù sull’amore, si potrebbe dire che, effettivamente,
non è corretto schiacciare su un detto evangelico privo di sfumature, come è in
genere il linguaggio di Gesù e degli evangelisti, la complessità delle
situazioni e dei valori in gioco. Le circostanze, inoltre, nelle quali quei
detti sono stati proclamati, non sono le stesse sulle quali la coscienza
cristiana è chiamata, oggi, a interrogarsi.
Non sull’aggressione all’Ucraina, decisa dal governo e
dal parlamento della Russia, di cui è palese l’iniquità e doverosa la condanna,
ma sì sulla risposta armata dell’Ucraina, sostenuta dalla fornitura di
armamenti da parte dei paesi della NATO, sulla quale è doveroso tornare ad
interrogarsi, ogni giorno di nuovo, man mano che la guerra continua. Sarebbe
questione, infatti, di ordinaria politica, se non fosse che ne conseguono
migliaia e diecine di migliaia di morti e che non c’è ancora nessuna
prospettiva concreta (al di là delle menzogne ufficiali) sulla fine di questa
tragedia.
«Perché fate così?»
In questa situazione non c’è una persona onesta, sia di
fede cristiana, sia di altre o di nessuna fede, che sia esonerata dal porre la
sua coscienza di fronte al comandamento «Non uccidere!», per domandarsi se le
ragioni addotte per dispensarsi da questa fondamentale obbedienza siano valide
in sé stesse e siano così robuste da resistere all’assalto delle lacrime delle
vittime, dei morti e dei vivi, che ci interrogano: «Perché fate così?». Chi poi
professa e vive la fede cristiana non può tralasciare di prendersi in mano i
vangeli e gli scritti degli Apostoli e porre la propria coscienza di fede a
confronto con quanto vi sta scritto.
Se di ogni singolo detto si può pensare che non sia
applicabile alla situazione presente, sulla linea di fondo di Gesù, del suo
insegnamento e della sua vita vissuta, non ci sono dubbi. San Paolo la
sintetizza in pochissime parole: «Non rendete a nessuno male per male (…). Non
lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
Gesù non è affatto un rassegnato di fronte alle immani
ingiustizie che si perpetrano nel mondo: «Non crediate che io sia venuto a
portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada». È la spada
della verità, dalla quale aveva cercato di mettere in guardia Pilato nel suo
estremo dialogo con il governatore, e che secondo la fantastica visione
dell’Apocalisse, esce dalla sua bocca a tagliare di netto la menzogna dalla
verità: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto
a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo
padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici
dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10,34-35).
Saper distinguere
Mentre stavo scrivendo queste righe, ecco scoppiare la
polemica sul progetto di papa Francesco di far portare la croce, insieme, a una
famiglia ucraina e a una russa, durante la Via Crucis al Colosseo. A questo
punto, veramente, non restano più vie alternative: Vangelo sì o Vangelo no!
Come sarebbe possibile, mettendosi davanti agli occhi la
scena della cattura di Gesù, del processo, della condanna e del suo mettersi in
cammino verso il Calvario, ciò che si fa nella Via Crucis, e distogliere la
propria meditazione da quel suo: «Rimetti la tua spada al suo posto» (Mt
26,52), imposto da Gesù, mentre gli stavano legando le mani, a chi intendeva
difenderlo. La spada dell’odio non dovrebbe essere riposta nel fodero neanche
meditando la Via Crucis e pregando!?
Non giudico i cristiani ucraini schiacciati sotto le
bombe dei russi, di cui capisco perfettamente il turbamento di fronte al
precetto evangelico dell’amore, da sostituire al precetto antico: «Amerai il
tuo prossimo e odierai il tuo nemico» (Mt 5,43). Ma pretendere che a
Roma alcuni cristiani russi e alcuni cristiani ucraini, incolpevoli gli uni e
gli altri, non debbano pregare insieme è un’ulteriore follia, che si aggiunge
alla follia della guerra.
Ricordo il buon senso della gente che, durante la guerra
mondiale, mentre si subivano le efferatezze dei tedeschi fanatici delle SS,
educati alla violenza fin da bambini, che sapeva ben distinguere da loro i
soldati regolari dell’esercito, costretti a combattere loro malgrado. Ricordo,
a guerra finita, la mia meraviglia di ragazzino dodicenne quando vedevo la
gente porgere, di soppiatto, la fetta di pane o una mela ai prigionieri
tedeschi messi ai lavori forzati, a Fiume, nello sgombero delle strade dalle
macerie dei bombardamenti. Anche allora, però, chi lo faceva correva il rischio
di essere odiato come nazista.
La guerra, vista nel suo ripetersi, è anche noiosa:
sempre le stesse cose! Ma la maggioranza della gente aveva sempre saputo ben
distinguere fra nazisti e tedeschi. Evidentemente non lo sanno fare, oggi a Pisa,
i compagni di una liceale russa, che i lunedì torna a scuola piena d’angoscia,
perché teme di essere presa di mira, odiata e insultata.
Uno degli effetti più distruttivi di questa guerra insana
è il montare dell’odio cieco, incapace di quel rispetto e compassione che anche
i russi dissidenti e i soldatini mandati da Putin al massacro in Ucraina si
meritano. L’odio, si sa, sfonda ogni logica ed è così che si pretenderebbe che
il papa facesse il papa, ma non da cristiano e che i cristiani pregassero il loro
Cristo, ma rinnegando il suo Vangelo. Severino Dianich, Sett.news 14
Il 21 aprile la Chiesa universale celebra il 55esimo
anniversario della Fidei donum, Lettera enciclica di Pio XII. I doni e le sfide
della missio ad gentes nella riflessione di sr. Maria Rosa Venturelli*,
missionaria Comboniana.
Il 21 aprile 1957, giorno di Pasqua, veniva pubblicata
l’enciclica Fidei donum che attirava l’attenzione della Chiesa cattolica sulle
missioni. Il titolo di questa Enciclica è rimasto legato ai sacerdoti
diocesani, chiamati appunto Fidei Donum, inviati dai loro vescovi in altre
Chiese sorelle e che dopo un tempo più o meno lungo ritornano nelle diocesi
“per contagiare” le loro chiese di origine con l’esperienza missionaria vissuta.
L’enciclica Fidei donum nasce dalla preoccupazione di Pio
XII per lo stato del cattolicesimo in Africa. Senza trascurare «le regioni
scristianizzate d’Europa», «le vaste contrade dell’America del Sud» e le
«missioni di Asia e di Oceania», egli intendeva orientare lo sguardo «verso
l’Africa, nell’ora in cui essa si apriva alla vita del mondo moderno ed
attraversava gli anni forse più gravi del suo destino millenario». Di
conseguenza, il documento indica come terra di missione soprattutto l’Africa,
investita in quegli anni dalla ventata di indipendenza che portò, con
sanguinose rivolte e guerre, alla fine del colonialismo e alla nascita di molti
nuovi Stati africani in cerca della loro autonomia e libertà. E numerosi
cristiani, religiosi e religiose divennero martiri.
Pio XII nel suo documento accennava ad un nuovo tipo di
cooperazione missionaria, diverso da quelli tradizionali. Egli scriveva così:
“Un’altra modalità di aiuto, certo più onerosa, è adottata da alcuni Vescovi, i
quali, benché ne sentano il peso, autorizzano l’uno o l’altro dei loro
sacerdoti a partire dalla diocesi e per un tempo determinato a collaborare con
gli Ordinari del luogo in Africa. Questo infatti contribuisce moltissimo
affinché là si stabiliscano, con saggezza e ponderazione, nuove e specifiche
forme di esercizio del ministero sacerdotale, come pure a supplire al clero di
dette diocesi nelle mansioni dell’insegnamento ecclesiastico e profano, cui
esso non può far fronte” (AAS, cit., 245-6).
Questo documento ha gettato un seme che pochi anni dopo
trovò terreno fertile e si sviluppò, grazie alla profonda riflessione
ecclesiologica e missiologica del Concilio Vaticano II e del magistero
missionario post-conciliare. Lo scambio vicendevole di persone, mezzi e
metodologie apostoliche, i percorsi formativi per i missionari, la necessità di
istituire a livello nazionale centri di formazione missionaria per i partenti e
di coordinamento per rispondere adeguatamente alle richieste di personale e di
mezzi. Ulteriore obiettivo era quello di mettere in condizione le giovani
Chiese, che contavano sugli aiuti fino allora affidati solamente agli Istituti
missionari esclusivamente ad gentes, sia maschili che femminili, di ricevere i
sacerdoti Fidei Donum, formando così le antiche Chiese a vivere la missionarietà
di tutta una diocesi, di tutto un popolo di Dio che inviava per l’annuncio ad
extra. Quella missionarietà, che con il Concilio Vaticano II, diventerà la
prerogativa prima che ogni diocesi del mondo dovrà vivere.
Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata missionaria
mondiale 2007, ricordando i 50 anni di questa enciclica, sottolineava che: «Da
questa cooperazione sono scaturiti abbondanti frutti apostolici sia per le
giovani Chiese in terra di missione, che per le realtà ecclesiali da cui provenivano
i missionari/e… e tra loro ci furono non pochi martiri che, alla testimonianza
della parola e alla dedizione apostolica, hanno unito il sacrificio della vita.
Né possiamo dimenticare i molti religiosi, religiose, laici volontari, famiglie
che, insieme ai presbiteri, si sono prodigati per diffondere il Vangelo sino
agli estremi confini del mondo».
Tale sottolineatura riguardante i laici e i martiri è
molto attuale nell’oggi. Questo non esclude il contributo prezioso degli
Istituti esclusivamente ad gentes, che vivono tale missione ad vitam, dando
solidità e continuità alla collaborazione, allo scambio di persone tra le
diocesi, alla formazione profonda della realtà ecclesiale locale.
Per il fatto che la nostra Enciclica sottolineava il
valore dei laici, era anche perché potevano offrire alle nuove Chiese il
contributo prezioso di una lunga esperienza formativa nelle diocesi di origine,
nei vari Movimenti – esempio l’Azione Cattolica, la Legio Mariae, l’azione
sociale, la lotta per la giustizia e la pace.
Alla fine il Papa sottolineava però che l’attenzione
all’Africa non doveva far dimenticare gli altri campi della missione,
soprattutto l’Estremo Oriente, di grande attualità nell’oggi.
Noi possiamo sicuramente affermare che, se la situazione
ecclesiale in Africa è molto maturata, lo si deve anche all’enciclica di Pio
XII, che ha risvegliato l’attenzione verso quel continente sconvolto dai
fremiti dell’indipendenza e della libertà dei popoli africani, suscitando di
conseguenza nelle diocesi del mondo, soprattutto in quelle europee e
nordamericane, una nuova vitalità missionaria.
Il grido del Papa raccolto nell’enciclica, allargava
davvero lo sguardo e invitava esplicitamente alla missione ad gentes: “La
Chiesa in Africa, come negli altri territori di Missione, manca di apostoli”. E
così nacquero o si fortificarono le mitiche zelatrici missionarie, che curarono
con zelo veramente grande, gli abbonamenti alle riviste missionarie, la
raccolta di offerte, lo stimolo alla preghiera, e anche l’offerta spirituale della
sofferenza e della malattia, per il bene spirituale delle giovani Chiese.
Tutto questo movimento ecclesiale missionario, diocesano
e intercontinentale, aiutò molto nell’approfondire la radice dell’ad gentes: la
riscoperta della persona di Gesù di Nazaret per la vita personale del
cristiano, dei sacerdoti e religiosi/e, cioè di tutto il popolo di Dio. Tale
enciclica poneva l’attenzione sulla dimensione missionaria propria della
Chiesa. E così la vita di fede diventa un dono per tutti, non solo interiorizzato,
ma condiviso. Come aveva detto Benedetto XVI: “La Chiesa cresce nel mondo non
per proselitismo per attrazione”. Terraemissione.it
Questi nostri tempi dolciastri e ipocriti rifuggono da
tutto ciò che è profondo e veramente impegnativo: va bene l’albero, va ancora
bene il presepe, va bene il nordico Babbo Natale e la più mediterranea Befana
che portano i doni, ma una gioia con le radici a forma di croce, quella che il
vecchio Simeone annuncia a Maria già il giorno della presentazione al tempio
del bimbo appena nato, quella proprio no, quella è scandalosa, in fondo non è
stata mai di moda. Anzi il dolore e la morte dovranno essere banditi per
sempre, non fanno parte della coreografia a reti unificate in onda da mattina a
sera.
Per poco che ci fermiamo a riflettere sulle accattivanti
iconografie di certe chiese, così compatibili con le luminarie e gli addobbi
delle nostre città, sentiamo, per reazione, crescere dentro di noi il bisogno
di un Cristo che si possa toccare con mano, che ci possa parlare ogni giorno,
nel luogo di lavoro, in famiglia, e persino con gli amici: un Cristo virile,
fuori delle rappresentazioni zuccherose e liriche che ci portiamo dietro
dall’infanzia. Un Cristo non astratto, ma in carne e nervi, più fisico che
metafisico, un Cristo integrale per uomini che lo vogliano prendere sul serio
in ogni momento della loro vita.
Gesù di Nazareth, il figlio di Maria, non l’icona
sdolcinata che ammiriamo nelle chiese, è il più grandioso paradosso della
storia. Anche il non credente dovrà convenirne. Vive fino a trent’anni, cioè
per quasi tutta la vita, in un oscuro villaggio di una remota regione dell’Impero
romano, alieno da ogni contatto con il mondo e la società che conta, privo di
ricchezze, di cultura accademica, di legami politici, forse anche di carisma
estetico. Si circonda di povera gente: pescatori e contadini tra i quali
sceglie i suoi seguaci. Va alla ricerca non di potenti che lo possano aiutare,
ma dei reietti della società: odiati esattori delle tasse e donne di malaffare.
Nei suoi tre anni di vita pubblica predica una dottrina
che non ha nulla a che fare né con la politica, né con la filosofia: armi
dialettiche potenti per chiunque avesse voluto instaurare un nuovo ordine
sociale. Parla solo di religione e di morale, fa appello ad un cambiamento
interiore.
Tutta la storia, quella che conta, quella scritta nei
libri di scuola, è la glorificazione della forza bruta, è la cronaca della
sopraffazione dei forti contro i deboli, è volontà di potenza che si ammanta
col vestito ipocrita della “missione da compiere”, “il prestigio da difendere”,
“la minaccia da sventare”, come le tristi cronache di questi nostri giorni ci ripropongono.
Che cosa è stato l’impero romano se non l’epopea della forza? Che cosa è
L’Iliade se non il poema della forza? “Una feroce forza il mondo possiede, e fa
nomarsi dritto”, ammonisce Alessandro Manzoni nell’Adelchi.
Al di là di ogni pur inevitabile gerarchia e forma
terrena, sono gli ultimi, in senso sociale e in senso spirituale, i veri
depositari della dottrina di Cristo. Il Vangelo è un guanto rigirato, una
verità nascosta ai grandi e rivelata ai piccoli, una rivoluzione permanente, di
quelle che attraversano i sotterranei della storia, e così sarà fino alla fine
del mondo. È la dottrina dell’amore gratuito (la più grande rivoluzione che
l’umanità abbia conosciuto, come riconosceva il “laico” Benedetto Croce). E’
“la follia della croce”, sapienza superiore ad ogni sapienza, come scriveva
quell’uomo folgorato sulla via di Damasco.
La predicazione di Gesù è un’opposizione permanente allo spirito del
mondo che nessun aggiornamento linguistico potrà mai cancellare: il nemico va
amato, l’operaio dell’ultima ora riceve la stessa paga di quello della prima, e
il padre accoglie con gioia, uccidendo in suo onore il vitello più grasso, il
figlio ingrato che fa ritorno a casa pentito dopo aver sperperato con le
prostitute la sua parte di eredità. Perché l’amore di Dio non conosce limite e
misura umana: all’infinito non si può togliere o aggiungere nulla.
A partire da quella stalla di Betlemme e da quella croce
di Gerusalemme, saranno i piccoli, i rifiutati, i reietti, i diseredati, i
tribolati di ogni epoca, gli autentici maestri, i titolari della più alta
cattedra di filosofia. I sapienti del mondo ne potranno essere tuttalpiù i
portavoce. I santi, quando non erano piccoli in senso anagrafico, erano adulti
che si sono fatti bambini. Bernadette, che al tempo delle apparizioni una era
una ragazzina analfabeta che sapeva esprimersi solo nel dialetto del suo paese,
a chi le chiedeva perché mai la Madonna fosse apparsa proprio a lei,
rispondeva, con disarmante semplicità ma con evangelica saggezza, che se la Vergine
avesse trovato una più ignorante di lei l’avrebbe scelta al posto suo.
Un cristiano del nostro tempo, Don Tonino Bello, soleva
ripetere che l’unico paramento sacro che Gesù ha usato è il grembiule (“la
parnanza”, come si dice in Abruzzo) indossato la sera del Giovedì Santo,
nell’Ultima Cena, per lavare i piedi dei suoi discepoli, cioè per servire i
fratelli.
La dottrina di Gesù è il rovesciamento della logica
umana, la pietra dello scandalo. C’è mistero più grande di quello di un Dio che
si fa uomo? E più incomprensibile in questo nostro tempo in cui ciascun uomo
vuol sembrare Dio per l’altro? E c’è favola più bella di quella per cui una
sola creatura, fosse anche l’ultima della terra, possa valere tutto il sangue
di Dio? Il Dio di Gesù Cristo, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, sa
contare fino ad uno.
Ma per farci amici del mistero dobbiamo camminare con lo
sguardo rivolto in alto, come quegli strani personaggi, metà re metà filosofi,
che, venuti dall’Oriente sulla scia di una stella più lucente delle altre,
credevano di trovare un re e videro un bambino deposto in una mangiatoia.
Per quel bimbo, una volta fatto adulto, una sola vita di
un appestato, come per quel figlio di un ricco mercante di Assisi, sarebbe
valsa tutto il sangue versato sulla croce. La vera anima cristiana, dietro quel
bambinello in fasce dalle guancette rosee che si bacia la sera del 6 gennaio
(che non a caso il popolo chiamava “Pasquetta”) ha sempre visto l’ombra della
croce.
Quella croce che preferiamo rimuovere ma che, paradossalmente,
rimane, anche alle sole viste umane, la chiave di lettura più convincente della
vicenda umana, collettiva e individuale: la sola luce in grado di fendere il
buio fitto del dolore di cui, prima o poi, facciamo tutti esperienza. Per
comprendere la lezione della Pasqua cristiana bisogna tornare al presepe, e
farsi bambini come quel Bambino. Il Vangelo è la bella notizia, il programma
della gioia, ma essa, finché camminiamo sui sentieri della vita terrena, avrà
sempre le radici a forma di croce. Giuseppe Lalli, De.it.press 14
Il Papa. "La pace di Gesù non sovrasta gli altri, non è mai una pace
armata"
Alla vigilia del Triduo Pasquale, il Papa incentra la sua
riflessione sul tema: “La pace di Pasqua”. Il Pontefice spiega che "la
pace che Gesù ci dà a Pasqua non è la pace che segue le strategie del
mondo". Di Veronica Giacometti
CITTÀ DEL VATICANO. Alla vigilia del Triduo Pasquale, il
Papa incentra la sua riflessione sul tema: “La pace di Pasqua”. Nell'Udienza
generale odierna, dall'Aula Paolo VI, il Pontefice spiega che "la pace che
Gesù ci dà a Pasqua non è la pace che segue le strategie del mondo".
Per Francesco "la pace del Signore segue la via
della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri. Cristo, infatti, ha
preso su di sé il nostro male, il nostro peccato e la nostra morte. Così ci ha
liberati. La sua pace non è frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di
sé. Questa pace mite e coraggiosa, però, è difficile da accogliere. Infatti, la
folla che osannava Gesù è la stessa che dopo pochi giorni grida Crocifiggilo e,
impaurita e delusa, non muove un dito per Lui".
Il Papa poi racconta una storia di Dostoevskij, la
cosiddetta Leggenda del Grande Inquisitore. "Si narra di Gesù che, dopo
vari secoli, torna sulla Terra. Subito è accolto dalla folla festante, che lo
riconosce e lo acclama. Ma poi viene arrestato dall’Inquisitore, che rappresenta
la logica mondana. Questi lo interroga e lo critica ferocemente. Il motivo
finale del rimprovero è che Cristo, pur potendo, non ha mai voluto diventare
Cesare, il più grande re di questo mondo, preferendo lasciare libero l’uomo
anziché soggiogarlo e risolverne i problemi con la forza. Avrebbe potuto
stabilire la pace nel mondo, piegando il cuore libero ma precario dell’uomo in
forza di un potere superiore, ma non ha voluto", dice Francesco.
"Alla fine, l’Inquisitore vorrebbe che Gesù gli
dicesse qualche cosa, magari anche qualche cosa di amaro, di terribile -
continua il racconto il Papa - Ma Cristo reagisce con un gesto dolce e
concreto: gli si avvicina in silenzio, e lo bacia dolcemente sulle vecchie
labbra esangui. La pace di Gesù non sovrasta gli altri, non è mai una pace
armata. Le armi del Vangelo sono la preghiera, la tenerezza, il perdono e
l’amore gratuito al prossimo, a ogni prossimo. È così che si porta la pace di
Dio nel mondo. Ecco perché l’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra,
rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della
Pasqua, un preferire al suo volto mite quello del falso dio di questo
mondo".
"Sempre la guerra è un'azione umana per portare
all'idolatria del potere", dice a braccio il Papa.
"Perché mentre il potere mondano lascia solo
distruzione e morte, lo abbiamo visto in questi giorni, la sua pace edifica la
storia, a partire dal cuore di ogni uomo che la accoglie. Pasqua è allora la
vera festa di Dio e dell’uomo, perché la pace, che Cristo ha conquistato sulla
croce nel dono di sé, viene distribuita a noi", conclude il Pontefice la
catechesi di oggi. Aci 13
Papa all’udienza: “L’aggressione armata di questi giorni è un oltraggio a
Dio”
Nella catechesi dell'udienza di oggi, dedicata alla
Pasqua, Papa Francesco si è riferito a più riprese alla guerra in Ucraina, e ha
citato una leggenda "sempre attuale": quella del Grande Inquisitore,
inserita da Dostoevskij alla fine de "I fratelli Karamazov". M. Michela
Nicolais
“La pace di Gesù
non sovrasta gli altri, non è mai una pace armata, mai!”. Lo ha esclamato il
Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI e
dedicata alla Pasqua, si è riferito ancora una volta, a più riprese, alla
guerra in Ucraina. “L’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra,
rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della
Pasqua, un preferire al suo volto mite quello del falso dio di questo mondo”,
il monito per il conflitto in atto: “Sempre la guerra è un’azione umana per
portare all’idolatria del potere”, l’aggiunta a braccio. “Gesù, prima della sua
ultima Pasqua, disse ai suoi: ‘Non sia turbato il vostro cuore e non abbia
timore’”, ha ricordato il Papa: “Sì, perché mentre il potere mondano lascia
solo distruzione e morte – lo abbiamo visto in questi giorni – la sua pace
edifica la storia, a partire dal cuore di ogni uomo che la accoglie”.
“Ecco l’inganno che si ripete nella storia, la tentazione
di una pace falsa, basata sul potere, che poi conduce all’odio e al tradimento
di Dio”, il commento ad “un grande racconto di Dostoevskij”, la Leggenda del
Grande Inquisitore, definita “sempre attuale”. “La pace che Gesù ci dà a Pasqua
– ha spiegato Francesco – non è la pace che segue le strategie del mondo, il
quale crede di ottenerla attraverso la forza, con le conquiste e con varie
forme di imposizione”.
“Questa pace, in realtà, è solo un intervallo tra le
guerre: lo sappiamo bene”, il riferimento all’oggi: “La pace del Signore segue
la via della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri”.
“Cristo, infatti, ha preso su di sé il nostro male, il
nostro peccato e la nostra morte”, ha ricordato il Papa: “Così ci ha liberati.
Lui ha pagato per noi. La sua pace non è frutto di qualche compromesso, ma
nasce dal dono di sé. Questa pace mite e coraggiosa, però, è difficile da
accogliere. La folla che osannava Gesù è la stessa che dopo pochi giorni grida
‘Crocifiggilo’ e, impaurita e delusa, non muove un dito per lui”. “Le armi del
Vangelo sono la preghiera, la tenerezza, il perdono e l’amore gratuito al
prossimo, l’amore a ogni prossimo”, ha sottolineato Francesco: “È così che si
porta la pace di Dio nel mondo”.
“Mentre il potere mondano lascia solo distruzione e morte
– lo abbiamo visto in questi giorni – la sua pace edifica la storia, a partire
dal cuore di ogni uomo che la accoglie”.
“C’è un modo come il mondo ci dà la pace e un modo come
Dio ci dà la pace, sono due modalità diverse”, ha spiegato il Papa a braccio: quella
di Gesù non è “una Pasqua trionfale. L’unica cosa a cui tiene per preparare il
suo ingresso a Gerusalemme è cavalcare ‘un puledro legato, sul quale non è mai
salito nessuno’. Ecco come Cristo porta la pace nel mondo: attraverso la
mansuetudine e la mitezza, simboleggiate da quel puledro legato, su cui nessuno
era salito. Nessuno, perché il modo di fare di Dio è diverso da quello del
mondo”. Pasqua, allora, è “la vera festa di Dio e dell’uomo, perché la pace,
che Cristo ha conquistato sulla croce nel dono di sé, viene distribuita a noi”,
ha affermato Francesco: “Perciò il Risorto, il giorno di Pasqua, appare ai
discepoli e ripete: ‘Pace a voi!’: questo è il saluto di Cristo vincitore, di
Cristo risorto”. “Pasqua significa passaggio”, ha concluso: “È, soprattutto
quest’anno, l’occasione benedetta per passare dal dio mondano al Dio cristiano,
dall’avidità che ci portiamo dentro alla carità che ci fa liberi, dall’attesa
di una pace portata con la forza all’impegno di testimoniare concretamente la
pace di Gesù. Mettiamoci davanti al Crocifisso, sorgente della nostra pace, e
chiediamogli la pace del cuore e la pace nel mondo”. Sir 13
I vescovi del mondo ai confratelli tedeschi, non finite in un vicolo cieco
Ancora una lettera - appello perché il Cammino sinodale
della Chiesa in Germania non porti allo scisma. Di Angela Ambrogetti
CITTÀ DEL VATICANO. Ancora una lettera- appello ai vescovi
della Germania perché il “Cammino sinodale” in corso nella Chiesa cattolica di
quel paese non porti lontano dalla dottrina.
La lettera è stata già firmata da quattro cardinali
Francis Arinze, Raymond Burke Wilfred Napier e George Pell, e da moltissimi
vescovi soprattutto statunitensi e africani. Tra gli italiani Massimo
Camisasca.
La questione centrale è nell’avvertimento di San Paolo di
“non conformarsi alla mentalità di questo mondo”.
E da questo il testo prende l’avvio. Si parla di
“confusione che il “Cammino Sinodale” ha già causato e continua a causare, e
dal potenziale per uno scisma che inevitabilmente ne deriverebbe nella vita
della Chiesa”.
La necessità di una “riforma” si spiega nella lettera,
non deve allontanare dal radicamento nella parola di Gesù. E non di deve
ignorare, dicono i firmatari, “l’unità, l’esperienza e la sapienza accumulate
dal Vangelo e dalla Chiesa”. Il rischio è di finire in un “vicolo cieco”.
Ecco allora le riflessioni dei vescovi spiegate in 7
punti.
Particolarmente significativo il terso punto: “Mentre
mostrano una patina di idee religiose ed un vocabolario religioso, i documenti
del Cammino Sinodale tedesco sembrano in gran parte ispirati non dalla
Scrittura e dalla Tradizione – che, per il Concilio Vaticano II, costituiscono
“un unico sacro deposito della Parola di Dio” – ma dall’analisi sociologica e
dalle ideologie politiche contemporanee, incluse quelle del “gender”. Essi
guardano alla Chiesa e alla sua missione attraverso la lente del mondo
piuttosto che attraverso la lente delle verità rivelate nella Scrittura e
nell’autorevole Tradizione della Chiesa”.
Ma si parla anche di libertà, e di obbedienza al mondo,
di pesantezza della struttura del Cammino che porta ad una “ sclerosi
ecclesiale” che mette in modo del tutto ironico con “il suo esempio
distruttivo, esso può portare alcuni vescovi, e porterà molti laici altrimenti
fedeli, a diffidare della stessa idea di “Sinodalità”, così da ostacolare
ulteriormente il necessario dialogo in seno alla Chiesa sul compimento della
sua missione di convertire e di santificare il mondo”.
Il Presidente dei vescovi tedeschi, ha risposto alle
altre lettere, come quella dei vescovi polacchi e quella dei vescovi
scandinavi. senza entrare nel dettaglio ma sostenendo solo che non c’è intenzione
di creare uno “scisma” ma solo riformare e rispondere alle necessità dei
fedeli.
Papa Francesco aveva già mandato una lettera chiara
all’inizio del “Cammino Sinodale”, ma senza grande successo per ora. I temi
discussi del resto sono quelli che da decenni alcuni vescovi in Germania hanno
usato come bandiera anti romana.
Per chi volesse unirsi nella firma alla lettera basta una
mail episcopimundi2022@gmail.com
Ecco il testo integrale della lettera, e le firme
raccolte fino ad oggi.
UNA LETTERA APERTA E FRATERNA AI NOSTRI CONFRATELLI
VESCOVI IN GERMANIA 11 Aprile 2022
In un’epoca di rapida comunicazione globale, gli eventi
che accadono in una nazione hanno un impatto inevitabile sulla vita ecclesiale
altrove. Così il processo del “Cammino Sinodale”, come attualmente intrapreso
dai cattolici in Germania, comporta conseguenze per la Chiesa nel mondo. Ciò
include le Chiese locali di cui noi siamo pastori e i tanti fedeli cattolici di
cui siamo responsabili. Alla luce di ciò, gli eventi in Germania ci costringono
ad esprimere la nostra crescente preoccupazione per la natura dell’intero
processo del “Cammino Sinodale” tedesco e il contenuto dei suoi vari documenti.
I nostri commenti qui presenti sono volutamente brevi. Essi richiedono, e noi
lo incoraggiamo fortemente, maggiori riflessioni (come, ad esempio, An Open
Letter to the Catholic Bishops of the World dell’Arcivescovo Samuel Aquila) da
parte dei singoli vescovi. Tuttavia, l’urgenza delle nostre osservazioni qui
contenute trovano il loro fondamento nella lettera ai Romani, capitolo 12, ed
in particolare nell’avvertimento di San Paolo di «non conformarsi alla
mentalità di questo mondo». La serietà di queste osservazioni scaturisce dalla
confusione che il “Cammino Sinodale” ha già causato e continua a causare, e dal
potenziale per uno scisma che inevitabilmente ne deriverebbe nella vita della
Chiesa. La necessità di riforma e di rinnovamento è antica quanto la Chiesa
stessa. Alla sua radice, questo impulso è lodevole e non dovrebbe mai essere
temuto. Molti di coloro coinvolti nel processo del Cammino Sinodale sono senza
dubbio persone dotate di un carattere eccezionale. Eppure, la storia cristiana
è disseminata da sforzi animati da buone intenzioni che hanno però perso il
loro radicamento nella Parola di Dio, in un incontro fedele con Gesù Cristo, in
un vero ascolto dello Spirito Santo e nella sottomissione della nostra volontà
alla volontà del Padre. Questi sforzi sono falliti perché hanno ignorato
l’unità, l’esperienza e la sapienza accumulate dal Vangelo e dalla Chiesa. Dal
momento che non hanno dato ascolto alle parole di Gesù: «senza di me non potete
far nulla» (Gv 15,5), tali sforzi sono rimasti infruttuosi e hanno danneggiato
sia l’unità che la vitalità evangelica della Chiesa. Il cammino sinodale della
Germania rischia di condurre ad un tale vicolo cieco.
Come vostri confratelli vescovi, le nostre preoccupazioni
includono, ma non si limitano a quanto segue: 1. Non ascoltando lo Spirito
Santo ed il Vangelo, le azioni del Cammino Sinodale minano: la credibilità
dell’autorità della Chiesa, compresa quella di Papa Francesco; l’antropologia
cristiana e la morale sessuale; e l’attendibilità delle Scritture. 2. Mentre
mostrano una patina di idee religiose ed un vocabolario religioso, i documenti
del Cammino Sinodale tedesco sembrano in gran parte ispirati non dalla
Scrittura e dalla Tradizione – che, per il Concilio Vaticano II, costituiscono
“un unico sacro deposito della Parola di Dio” – ma dall’analisi sociologica e
dalle ideologie politiche contemporanee, incluse quelle del “gender”. Essi
guardano alla Chiesa e alla sua missione attraverso la lente del mondo
piuttosto che attraverso la lente delle verità rivelate nella Scrittura e
nell’autorevole Tradizione della Chiesa. 3. Il contenuto del Cammino Sinodale
sembra anche reinterpretare, e quindi sminuire, il significato della libertà
cristiana. Per il cristiano, la libertà consiste nella conoscenza, nella
volontà e nella libera capacità di fare ciò che è giusto. La libertà non è
“autonomia”. La libertà autentica, come insegna la Chiesa, è legata alla verità
ed è ordinata al bene e, in definitiva, alla beatitudine. La coscienza non crea
la verità, né la coscienza è una questione di preferenze personali o di
autoaffermazione. Una coscienza cristiana adeguatamente formata rimane soggetta
alla verità sulla natura umana e alle norme di una vita retta rivelate da Dio e
insegnate dalla Chiesa di Cristo. Gesù è la verità che ci rende liberi (Gv. 8).
4. La gioia del Vangelo – essenziale per la vita cristiana, come spesso
sottolinea Papa Francesco – sembra essere del tutto assente dalle discussioni e
dai testi del Cammino Sinodale. Come tale, questo è un difetto eloquente per
uno sforzo che mira ad un rinnovamento personale ed ecclesiale. 5. Il processo
del Cammino Sinodale, in quasi ogni sua fase, è opera di esperti e comitati,
così da essere burocraticamente pesante, ossessivamente critico, e con lo
sguardo volto all’interno. Esso quindi in sé stesso riflette una forma
ampiamente diffusa di sclerosi ecclesiale e, ironicamente, assume un tono
antievangelico. Nei suoi effetti, il Cammino Sinodale mostra più una
sottomissione ed obbedienza al mondo e alle sue ideologie che a Gesù Cristo
come Signore e Salvatore. 6. L’attenzione del Cammino Sinodale al “potere”
nella Chiesa suggerisce uno spirito fondamentalmente in contrasto con la vera
natura della vita cristiana. In fondo la Chiesa non è solo un’“istituzione” ma
una comunità organica; non un sistema egualitario, ma familiare, complementare
e gerarchico - un popolo sigillato nell’unità dall’amore di Gesù Cristo e
dall’amore reciproco nel suo Nome. La riforma delle strutture non è affatto la
stessa cosa che la conversione dei cuori. L’incontro con Gesù, come si vede nel
Vangelo e nella vita dei santi nel corso della storia, cambia i cuori e le
menti, porta guarigione, allontana da una vita di peccato e di infelicità e
dimostra la forza del Vangelo. 7. L’ultimo e più immediato e angosciante
problema del Cammino Sinodale in Germania risulta essere anche terribilmente
ironico. Con il suo esempio distruttivo, esso può portare alcuni vescovi, e
porterà molti laici altrimenti fedeli, a diffidare della stessa idea di
“Sinodalità”, così da ostacolare ulteriormente il necessario dialogo in seno
alla Chiesa sul compimento della sua missione di convertire e di santificare il
mondo.
In questo tempo l’ultima cosa di cui la nostra comunità
di fede ha bisogno è ricevere più confusione. Nel discernere la volontà del
Signore per la Chiesa in Germania, siate certi delle nostre preghiere per voi.
Francis Cardinale Arinze (Onitsha, Nigeria) Raymond
Cardinale Burke (Saint Louis, USA) Wilfred Cardinale Napier (Durban, Sudafrica)
George Cardinale Pell (Sydney, Australia) Arcivescovo Samuel Aquila (Denver,
USA) Arcivescovo Emerito Charles Chaput (Philadelphia, USA) Arcivescovo Paul
Coakley (Oklahoma City, USA) Arcivescovo Salvatore Cordileone (San Francisco,
USA) Arcivescovo Damian Dallu (Songea, Tanzania) Arcivescovo Emerito Joseph
Kurtz (Louisville, USA) Arcivescovo J. Michael Miller (Vancouver, British
Columbia, Canada) Arcivescovo Joseph Naumann (Kansas City in Kansas, USA)
Arcivescovo Andrew Nkea (Bamenda, Cameroon) Arcivescovo Renatus Nkwande
(Mwanza, Tanzania) Arcivescovo Gervas Nyaisonga (Mbeya, Tanzania) Arcivescovo
Gabriel Palmer-Buckle (Cape Coast, Ghana) Arcivescovo Emerito Terrence
Prendergast (Ottawa-Cornwall, Ontario, Canada) Arcivescovo Jude Thaddaeus
Ruwaichi (Dar-es-Salaam, Tanzania) Arcivescovo Alexander Sample (Portland in
Oregon, USA) Vescovo Joseph Afrifah-Agyekum (Koforidua, Ghana) Vescovo Michael
Barber (Oakland, USA) Vescovo Emerito Herbert Bevard (Saint Thomas, Isole
Vergini Americane) Vescovo Earl Boyea (Lansing, USA) Vescovo Neal Buckon
(Ausiliare, Servizi Militari, USA) Vescovo William Callahan (La Crosse, USA)
Vescovo Emerito Massimo Camisasca (Reggio Emilia-Guastalla, Italia) Vescovo
Liam Cary (Baker, USA) Vescovo Peter Christensen (Boise City, USA) Vescovo
Joseph Coffey (Ausiliare, Servizi Militari, USA) Vescovo James Conley (Lincoln,
USA) Vescovo Thomas Daly (Spokane, USA) Vescovo John Doerfler (Marquette, USA)
Vescovo Timothy Freyer (Ausiliare, Orange, USA) Vescovo Donald Hying (Madison,
USA) Vescovo Emerito Daniel Jenky (Peoria, USA) Vescovo Stephen Jensen (Prince
George, British Columbia, Canada) Vescovo William Joensen (Des Moines, USA)
Vescovo James Johnston (Kansas City-St. Joseph, USA) Vescovo David Kagan
(Bismarck, USA) Vescovo Flavian Kassala (Geita, Tanzania) Vescovo Carl Kemme
(Wichita, USA) Vescovo Rogatus Kimaryo (Same, Tanzania) Vescovo Anthony Lagwen
(Mbulu, Tanzania) Vescovo David Malloy (Rockford, USA) Vescovo Gregory Mansour
(Eparchia di San Marone di Brooklyn, USA) Vescovo Simon Masondole (Bunda,
Tanzania) Vescovo Robert McManus (Worcester, USA) Vescovo Bernadin Mfumbusa
(Kondoa, Tanzania) Vescovo Filbert Mhasi (Tunduru-Masasi, Tanzania) Vescovo
Lazarus Msimbe (Morogoro, Tanzania) Vescovo Daniel Mueggenborg (Reno, USA)
Vescovo William Muhm (Ausiliare, Servizi Militari, USA) Vescovo Thanh Thai
Nguyen (Ausiliare, Orange, USA) Vescovo Walker Nickless (Sioux City, USA)
Vescovo Eusebius Nzigilwa (Mpanda, Tanzania) Vescovo Thomas Olmsted (Phoenix,
USA) Vescovo Thomas Paprocki (Springfield, Illinois, USA) Vescovo Kevin Rhoades
(Fort Wayne-South Bend, USA) Vescovo David Ricken (Green Bay, USA) Vescovo
Almachius Rweyongeza (Kayanga, Tanzania) Vescovo James Scheuerman (Ausiliare,
Milwaukee, USA) Vescovo Augustine Shao (Zanzibar, Tanzania) Vescovo Joseph
Siegel (Evansville, USA) Vescovo Frank Spencer (Ausiliare, Servizi Militari,
USA) Vescovo Joseph Strickland (Tyler, USA) Vescovo Paul Terrio (Saint Paul in
Alberta, Canada) Vescovo Thomas Tobin (Providence, USA) Vescovo Kevin Vann
(Orange, USA) Vescovo Robert Vasa (Santa Rosa, USA) Vescovo David Walkowiak
(Grand Rapids, USA) Vescovo James Wall (Gallup, USA) Vescovo William Waltersheid
(Ausiliare, Pittsburgh, USA) Vescovo Michael Warfel (Great Falls-Billings, USA)
Vescovo Chad Zielinski (Fairbanks, USA) aci 12
Palme. Il Papa torna sul sagrato della Basilica: "Si ripongano le
armi, inizi la tregua pasquale"
Dopo lo stop per Covid, la messa in piazza San Pietro per
la Domenica delle Palme con 50mila fedeli
CITTA' DEL VATICANO - Papa Francesco è uscito in Piazza
San Pietro, sul sagrato della Basilica, da dove presiede la messa per la folla
dei fedeli in occasione della Domenica delle Palme: una scena che non si vedeva
più nell'ovale berniniano dall'inizio della pandemia. La solenne celebrazione liturgica
della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, in una mattinata
romana assolata ma molto ventosa, è stata concelebrata col Papa da 35
cardinali, 30 vescovi e 280 sacerdoti.
Francesco ha benedetto le palme e gli ulivi poi ha dato
il via alla messa che apre la Settimana Santa. Come da tradizione, la piazza è
colorata da composizioni floreali. Distribuiti ramoscelli di ulivo forniti
dall'Associazione nazionale Città dell'Olio italiane, dai sindaci delle Città
dell'Olio del Lazio e della Puglia, a cura della famiglia tarantina Caputo. La
fornitura di palme fenix è curata dall'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche
del Sommo Pontefice.
Non mancano neanche i "palmureli", foglie di
palma intrecciate in modo artistico e benedette, provenienti da Sanremo.
Inoltre l'azienda vivaistica Flora Olanda di Roma ha reso possibile la
sistemazione di grandi piante di ulivo in prossimità delle statue dei Santi
Pietro e Paolo, sotto il sagrato.
Al termine della cerimonia - ed anche questo è un segno
del post-Covid - il Papa ha fatto un giro della piazza tra i fedeli a bordo
della 'papamobile'.
"Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio,
che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si
sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo oggi nella
follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo". Così il Papa
nella Domenica delle Palme. "Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla
croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso
nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso
negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei
soldati mandati a uccidere i loro fratelli"
"Ci rivolgiamo alla Madonna nella preghiera dell'Angelus
- ha detto papa Francesco dal sagrato di San Pietro al termine della messa
della Domenica delle Palme -. Fu proprio l'Angelo del Signore che
nell'Annunciazione disse a Maria: 'Nulla è impossibile a Dio'. Nulla è
impossibile a Dio, anche far cessare una guerra di cui non si vede la fine, una
guerra che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci
crudeltà compiute contro civili inermi. Preghiamo su questo".
"Siamo nei giorni che precedono la Pasqua, ci stiamo
preparando a celebrare la vittoria del Signore Gesù Cristo sul peccato e sulla
morte, sul peccato e sulla morte, non su qualcuno e contro qualcun altro, ma
oggi c'è la guerra perché si vuole vincere così, alla maniera del mondo perché
così si perde soltanto - ha aggiunto il Pontefice -. Perché non lasciare che
vinca Lui? Cristo ha portato la croce per liberarci dal dominio del male, è
morto perché regnino la vita, l'amore, la pace".
"Si ripongano le armi, si inizi una tregua pasquale
- ha detto il Pontefice - Ma non per ricaricare le armi e riprendere a
combattere. No. Una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero
negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente.
Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di
macerie?". LR 10
Le parole del Pontefice nell’omelia e all’Angelus della
Domenica delle Palme. «Che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un
cumulo di macerie?» domenico agasso
CITTÀ DEL VATICANO. «Quando si usa violenza non si sa più
nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si
dimentica perchè si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo
vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo». Lo
afferma papa Francesco durante l'omelia della messa della Domenica delle
Palme e della Passione del Signore in San Pietro. «Sì - incalza il
Pontefice - Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle
madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. è crocifisso nei
profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli
anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati
mandati a uccidere i loro fratelli». E poi, all’Angelus il Vescovo di Roma
invoca «una tregua pasquale, ma non per ricaricare le armi. Che
vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?».
Ucraina, il Papa: "Tregua pasquale non per
ricaricare le armi ma per la pace"
Sul Calvario «si scontrano due mentalità – esordisce
il Papa nella predica - Nel Vangelo, infatti, le parole di Gesù crocifisso
si contrappongono a quelle dei suoi crocifissori. Questi ripetono un ritornello:
“Salva te stesso”. Lo dicono i capi: “Salvi se stesso, se è lui il Cristo di
Dio, l’eletto” (Lc 23,35). Lo ribadiscono i soldati: “Se tu sei il re dei
Giudei, salva te stesso” (v. 37). E infine, anche uno dei malfattori, che
ha ascoltato, ripete il concetto: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso!”».
Salvare sé stessi, «badare a se stessi, pensare a se stessi; non ad altri, ma
solo alla propria salute, al proprio successo, ai propri interessi; all’avere,
al potere, all’apparire. Salva te stesso: e? il ritornello dell’umanità che ha
crocifisso il Signore. Pensiamoci», esorta Francesco.
Ma alla «mentalita? dell’io si oppone quella di Dio; il
salva te stesso si scontra con il Salvatore che offre se stesso». Nel Vangelo
odierno sul Calvario anche Gesu? «prende la parola tre volte, come i suoi
oppositori. Ma in nessun caso rivendica qualcosa per sé; anzi, nemmeno difende
o giustifica se stesso. Prega il Padre e offre misericordia al buon ladrone.
Una sua espressione, in particolare, marca la differenza rispetto al salva te
stesso: “Padre, perdona loro”».
Il Pontefice invita a soffermarsi su queste
parole: «Quando le dice il Signore? In un momento specifico: durante la
crocifissione, quando sente i chiodi trafiggergli i polsi e i piedi. Proviamo a
immaginare il dolore lancinante che ciò provocava. Lì, nel dolore fisico più
acuto della passione, Cristo chiede perdono per chi lo sta trapassando». In
quei momenti verrebbe «solo da gridare tutta la propria rabbia e sofferenza;
invece Gesù dice: Padre, perdona loro. Diversamente da altri martiri, di cui
racconta la Bibbia, non rimprovera i carnefici e non minaccia castighi in nome
di Dio, ma prega per i malvagi. Affisso al patibolo dell’umiliazione, aumenta
l’intensità del dono, che diventa per-dono».
Bergoglio richiede di pensare «che Dio fa
cosi? anche con noi: quando gli provochiamo dolore con le nostre azioni, Egli
soffre e ha un solo desiderio: poterci perdonare. Per renderci conto di questo,
guardiamo il Crocifisso. E? dalle sue piaghe, da quei fori di dolore provocati
dai nostri chiodi che scaturisce il perdono. Guardiamo Gesù in croce e pensiamo
che non abbiamo mai ricevuto parole più buone: Padre, perdona. Guardiamo Gesù
in croce e vediamo che non abbiamo mai ricevuto uno sguardo più tenero e
compassionevole. Guardiamo Gesù in croce e capiamo che non abbiamo mai ricevuto
un abbraccio più amorevole. Guardiamo il Crocifisso e diciamo: “Grazie Gesù: mi
ami e mi perdoni sempre, anche quando faccio fatica ad amarmi e perdonarmi”».
Mentre viene crocifisso, nel momento «più difficile, Gesù
vive il suo comandamento più difficile: l’amore per i nemici. Pensiamo a
qualcuno che ci ha ferito, offeso, deluso; a qualcuno che ci ha fatto
arrabbiare, che non ci ha compresi o non è stato di buon esempio. Quanto tempo
ci soffermiamo a ripensare a chi ci ha fatto del male!». Cosi? come a
«guardarci dentro e a leccarci le ferite che ci hanno inferto gli altri, la
vita o la storia. Gesù oggi ci insegna a non restare lì, ma a reagire. A
spezzare il circolo vizioso del male e del rimpianto». A reagire ai «chiodi
della vita con l’amore, ai colpi dell’odio con la carezza del perdono». Si
chiede Francesco: «Ma noi, discepoli di Gesù, seguiamo il Maestro o il
nostro istinto rancoroso? È una domanda che dobbiamo farci: seguiamo il Maestro
o seguiamo il nostro istinto rancoroso? Se vogliamo verificare la nostra
appartenenza a Cristo, guardiamo a come ci comportiamo con chi ci ha feriti».
Il Signore «ci chiede di rispondere non come ci viene o come fanno tutti, ma
come fa Lui con noi. Ci chiede di spezzare la catena del “ti voglio bene se mi
vuoi bene; ti sono amico se sei mio amico; ti aiuto se tu mi aiuti”. No,
compassione e misericordia per tutti, perchè Dio vede in ciascuno un figlio».
Cristo non divide in buoni e cattivi, in amici e nemici: «Siamo noi che lo
facciamo, facendolo soffrire. Per Lui siamo tutti figli amati, che desidera
abbracciare e perdonare. Ed è cosi? anche in quell’invito al banchetto di nozze
del figlio, quel signore invia i suoi servi all’incrocio delle strade e dice:
“Portate tutti, bianchi, neri, buoni e cattivi, tutti, sani, ammalati,
tutti...”». L’amore del Figlio di Dio? è per tutti, «non ci sono privilegi in
questo. Tutti. Il privilegio di ognuno di noi è essere amato, perdonato».
Evidenzia il Papa: «Padre, perdona loro perchè non sanno
quello che fanno. Il Vangelo sottolinea che Gesù “diceva” questo: non lo
disse una volta per tutte al momento della crocifissione, ma trascorse le ore
sulla croce con queste parole sulle labbra e nel cuore. Dio non si stanca di
perdonare. Dobbiamo capire questo, ma capirlo non solo con la mente, capirlo
con il cuore: Dio non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di
chiedergli perdono, ma Lui mai si stanca di perdonare. Lui non sopporta fino a
un certo punto per poi cambiare idea, come siamo tentati di fare noi. Gesù –
insegna il Vangelo di Luca – è venuto nel mondo a portarci il perdono dei
nostri peccati e alla fine ci ha dato un’istruzione precisa: predicare a
tutti, nel suo nome, il perdono dei peccati». Perciò, indica Jorge Mario
Bergoglio, «fratelli e sorelle, non stanchiamoci del perdono di Dio: noi
preti di amministrarlo, ogni cristiano di riceverlo e di testimoniarlo. Non
stanchiamoci del perdono di Dio. Padre, perdona loro perchè non sanno quello
che fanno. Notiamo ancora una cosa. Gesù non solo implora il perdono, ma dice
anche il motivo: perdonali perchè non sanno quello che fanno. Ma come? I suoi
crocifissori avevano premeditato la sua uccisione, organizzato la sua cattura,
i processi, e ora sono sul Calvario per assistere alla sua fine». Eppure Cristo
giustifica «quei violenti perchè non sanno. Ecco come si comporta Gesù con noi:
si fa nostro avvocato. Non si mette contro di noi, ma per noi contro il nostro
peccato. Ed e? interessante l’argomento che utilizza: perchè non sanno,
quell’ignoranza del cuore che abbiamo tutti noi peccatori». Quando si usa
violenza «non si sa più nulla su Dio, che e? Padre, e nemmeno sugli altri, che
sono fratelli. Si dimentica perchè si sta al mondo e si arriva a compiere
crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a
crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle
madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei
profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli
anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati
mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi».
Ribadisce il Pontefice argentino: «Padre, perdona loro
perchè non sanno quello che fanno. Molti ascoltano questa frase inaudita; ma
uno solo la accoglie. È un malfattore, crocifisso accanto a Gesù. Possiamo
pensare che la misericordia di Cristo abbia suscitato in lui un’ultima speranza
e l’abbia portato a pronunciare quelle parole: “Gesù, ricordati di me”. Come a
dire: “Tutti si sono dimenticati di me, ma tu pensi pure a chi ti crocifigge.
Con te, allora, c’è posto anche per me”. Il buon ladrone accoglie Dio mentre la
vita sta per finire e così la sua vita inizia di nuovo; nell’inferno del mondo
vede aprirsi il paradiso: “Oggi con me sarai nel paradiso”». Ecco il «prodigio
del perdono di Dio, che trasforma l’ultima richiesta di un condannato a morte
nella prima canonizzazione della storia».
Francesco consiglia, in questa Settimana Santa, di
accogliere «la certezza che Dio puo? perdonare ogni peccato. Dio perdona
tutti, può perdonare ogni distanza, mutare ogni pianto in danza; la certezza
che con Cristo c’è sempre posto per ognuno; che con Gesù non è mai finita, non è
mai troppo tardi. Con Dio si può sempre tornare a vivere. Coraggio, camminiamo
verso la Pasqua con il suo perdono». Perchè Cristo continuamente intercede
«presso il Padre per noi e, guardando il nostro mondo violento, il nostro
mondo ferito, non si stanca di ripetere – e noi lo facciamo adesso con il
nostro cuore, in silenzio – di ripetere: Padre, perdonali, perchè non sanno
quello che fanno».
Al termine della Celebrazione della Domenica delle Palme
e della Passione del Signore – secondo la Gendarmeria vaticana erano
presenti in piazza San Pietro circa 65 mila fedeli - prima della
benedizione apostolica, Francesco guidato la recita della Preghiera
mariana. E introducendo l’Angelus dice: «Tra poco ci rivolgeremo alla Madonna
nella preghiera dell’Angelus. Fu proprio l’Angelo del Signore che,
nell’Annunciazione, disse a Maria: “Nulla è impossibile a Dio”. Nulla è
impossibile a Dio. Anche far cessare una guerra di cui non si vede la fine. Una
guerra che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci
crudeltà compiute contro civili inermi. Preghiamo su questo. Siamo nei giorni
che precedono la Pasqua. Ci stiamo preparando a celebrare la vittoria del
Signore Gesù Cristo sul peccato e sulla morte. Sul peccato e sulla morte, non
su qualcuno e contro qualcun altro». Ma oggi c’è «la guerra. Perchè si vuole
vincere così, alla maniera del mondo? Così si perde soltanto. Perchè non
lasciare che vinca Lui? Cristo ha portato la croce per liberarci dal dominio
del male. È morto perchè regnino la vita, l’amore, la pace». Perciò «si
depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi
e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso
un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della
gente». Infatti, che vittoria sarà «quella che pianterà una bandiera su un
cumulo di macerie? Nulla è impossibile a Dio. A Lui ci affidiamo, per
intercessione della Vergine Maria». LS 10
Lavoro, CEI: "Serve un’assunzione di responsabilità collettiva"
Il messaggio dei Vescovi Italiani in vista del 1° maggio,
Festa del Lavoro. Di Marco Mancini
ROMA. “Viviamo una stagione complessa, segnata ancora
dagli effetti della pandemia e dalla guerra in Ucraina, in cui il lavoro
continua a preoccupare la società civile e le famiglie, e impegna ad un
discernimento che si traduca in proposte di solidarietà e di tutela delle
situazioni di maggiore precarietà. Le conseguenze della crisi economica gravano
sulle spalle dei giovani, delle donne, dei disoccupati, dei precari, in un
contesto in cui alle difficoltà strutturali si aggiunge un peggioramento della
qualità del lavoro. La Chiesa che è in Italia non può distogliere lo sguardo
dai contesti di elevato rischio per la salute e per la stessa vita alle quali
sono esposti tanti lavoratori. I tanti, troppi, morti sul lavoro ce lo
ricordano ogni giorno. È in discussione il valore dell’umano, l’unico capitale
che sia vera ricchezza”. Lo scrivono i Vescovi italiani nel messaggio in
occasione del prossimo 1° maggio, festa del lavoro.
“Il nostro primo pensiero va, in particolare – si legge
nel messaggio - a chi ha perso la vita nel compimento di una professione che
costituiva il suo impegno quotidiano, l’espressione della sua dignità e della
sua creatività, e anche alle famiglie che non hanno visto far ritorno a casa
chi, con il proprio lavoro, le sosteneva amorevolmente. Così come non possono
essere dimenticati tutti coloro che sono rimasti all’improvviso disoccupati e,
schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la
vita. La nostra preghiera, la fiducia nel Signore amante della vita e la nostra
solidarietà siano il segno di una comunità che sa piangere con chi piange e di
una società che sa prendersi cura di chi, all’improvviso, è stato privato di
affetti e di sicurezza economica”.
I Vescovi ricordano i 1221 morti sul lavoro nel 2021 e i
lavoratori che hanno subito infortuni. Inoltre – scrive la CEI – “la nostra
coscienza è interpellata anche da quanti sono impegnati in lavori irregolari o
svolti in condizioni non dignitose, a causa di sfruttamento, discriminazioni,
caporalato, mancati diritti, ineguaglianze. Il grido di questi nuovi poveri
sale da un ampio scenario di umanità dove sussiste una violenza di natura
economica, psicologica e fisica in cui le vittime sono soprattutto gli
immigrati, lavoratori invisibili e privi di tutele, e le donne, ostaggi di un
sistema che disincentiva la maternità e punisce la gravidanza col
licenziamento. È ancora insufficiente e inadeguata la promozione della donna
nell’ambito professionale”.
Occorre – prosegue il messaggio – “una cultura della
cura, nutrita dalla Parola di Dio, che invita ad aprire il nostro cuore a
chi nel lavoro vede messa a rischio la dignità e la propria vita”. E’ richiesto
“un approccio integrale da parte di tutti i soggetti in campo: vanno realizzati
interventi di sistema sia a carattere statale, sia a livello aziendale.”
“Solo se ogni attore della prevenzione, a diverso titolo
– conclude la CEI - contribuisce al contrasto degli eventi infortunistici, si
avrà una vera svolta. Per questo è necessario risvegliare le coscienze. Grazie
a un’assunzione di responsabilità collettiva si può attuare quel cambiamento
capace di riportare al centro del lavoro la persona, in ogni contesto
produttivo”. Aci 9
Vangelo Migrante: Domenica delle Palme e della Passione del Signore |
Vangelo (Lc 22, 14-23,56)
Con la Domenica delle Palme e della Passione del Signore,
ha inizio la Settimana Santa. In questi giorni che chiamiamo ‘santi’ è nato il
cristianesimo: dallo scandalo e dalla follia della croce. Lì si concentra e da
lì emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani. Per questo dalle Palme a
Pasqua, improvvisamente, il tempo cambia ritmo: la liturgia rallenta e
moltiplica i momenti nei quali accompagnare, quasi ora per ora, gli ultimi
giorni di vita di Gesù dall’entrata in Gerusalemme alla lavanda dei piedi,
dalle fasi del processo alla via dolorosa fino alle croce, per poi correre al
sepolcro la mattina di Pasqua.
Questa domenica, in una liturgia articolata, che ha
inizio con la benedizione delle Palme, vengono proclamati due brani dal Vangelo
secondo Luca: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e il racconto della Passione.
Ci soffermiamo su quello della Passione. Come per gli altri evangelisti, anche
nel racconto di Luca ci sono alcune peculiarità. Proviamo a fare nostre quelle
del momento più drammatico: la crocifissione. Luca la racconta mettendo in
evidenza tre aspetti esclusivi a partire dalle parole di Gesù.
La prima. Siamo sul luogo del Cranio (Golgota). È un
momento che dura tre ore, dalla crocifissione alla morte. Si legge, che mentre
Gesù veniva crocifisso, “diceva: Padre perdona loro perché non sanno quello che
fanno”. Lo stanno crocifiggendo e Gesù “diceva …”. Non “disse” ma “diceva”. Non
è un dettaglio per gli addetti. La forma verbale, non è casuale. Il verbo
all’imperfetto mette in risalto la ripetitività delle parole, la continuità del
gesto, la sua reiterazione. Come a dire che in tutto quello che stava
accadendo, Gesù continuava a ripetere quelle parole come una litania… È la
preghiera incessante che Gesù rivolge al Padre per l’uomo di ogni tempo:
“perdonalo, Signore pietà!”. Satana ci accusa (cfr. Apocalisse) Gesù chiede
perdono per noi!
Nulla a che vedere con il “non si rendono conto di chi
sono io!” No! È una frase-gesto che meglio di altre rivela che noi uomini in
fondo non abbiamo coscienza delle nostre azioni. Noi, che proprio per le
convinzioni delle nostre ragioni, commettiamo i crimini più violenti. Quelle
parole-gesto, denunciano che della stragrande maggioranza delle cose che
facciamo, noi non ne conosciamo i motivi. E, quindi, ci salviamo solo se
rientriamo in noi stessi (come il figliol prodigo) e imploriamo quel perdono
che Gesù ci ottiene da Dio, incessantemente.
La seconda. C’è solo un personaggio che ammette di aver
bisogno del perdono di Dio: il ladrone accanto a Gesù. È l’unico uomo che sa
parlare con Lui: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù:
“In verità io ti dico, oggi con me sarai nel Paradiso”. Entra dalla porta
giusta: ammette l’errore e chiede la salvezza. Nel dramma di quella condizione,
svela il segreto del paradiso che non è un luogo ma una condizione: essere
ricordato da Gesù. Il ladrone muore, forse rubando anche il paradiso; ma
finalmente, partendo dalla sua sincerità e dalla sua preghiera, ha rubato la
cosa giusta: un paradiso che non è dell’uomo ma si riceve da Dio che lo dà
perché ci vuole bene e si ricorda di noi.
La terza. “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”.
È l’abbandono al Padre che rivela innanzitutto come Gesù gli sia Figlio. Gesù
emette questo grido dopo lo squarcio del velo del tempio. Il velo del tempio
era la tenda che copriva la parte invisibile e del luogo santo. Lì abitava il
nome di Dio che veniva proclamato dal sommo sacerdote solo un giorno all’anno.
Era lì che aveva sede l’inaccessibile di Dio. Il velo squarciato dà l’accesso a
quello che è nascosto. L’abbandono di Gesù rivela la vita interna di Dio:
l’amore, la fiducia, l’abbandono, il donarsi di un Figlio che si fida del Padre
anche nel momento in cui avrebbe motivi per non farlo. E il Padre si ricorda di
Lui: risorgendolo, non lo abbandona.
In queste parole risiede l’atteggiamento per entrare e
vivere con frutto la Settimana Santa: attingere ad un perdono donato per
sempre, prendere parte ad un paradiso possibile per sempre, vivere un abbandono
totale al Padre, anche quando avremmo motivi per non farlo, che ci fa Figli di
Quel Padre.
È la via per la Resurrezione e la Vita eterna. (p.
Gaetano Saracino) Mig.on.8
All’udienza generale Francesco denuncia «la logica
dominante» imposta dagli «Stati più potenti» - Iacopo Scaramuzzi
CITTÀ DEL VATICANO. Il Papa ha mostrato una bandiera
proveniente dalla «città martoriata» di Bucha, in Ucraina, all’udienza
generale, denunciando le «crudeltà sempre più orrende» compiute dall’esercito
russo in Ucraina, e facendo appello affinché «si smetta di seminare morte e
distruzione». Sempre all’udienza, Francesco ha denunciato la «impotenza»
dell’Onu.
«Le recenti notizie sulla guerra in Ucraina anziché
portare sollievo e speranza attestano invece nuove atrocità come il massacro a
Bucha», ha detto Jorge Mario Bergoglio al termine dell’udienza: «Crudeltà
sempre più orrende, compiute anche contro civili, donne e bambini inermi. Sono
vittime il cui sangue innocente grida fino al cielo e implora che si metta fine
a questa guerra, si facciano tacere le armi, si smetta di seminare morte e
distruzione. Preghiamo insieme su questo», ha proseguito il Pontefice
argentino. «Ieri proprio da Bucha – ha proseguito – mi hanno portato questa
bandiera: questa bandiera viene dalla guerra, proprio dalla città martoriata di
Bucha e anche ci sono qui alcuni bambini ucraini che ci accompagnano:
salutiamoli e preghiamo insieme con loro», ha proseguito il Papa, che si è
alzato in piedi mostrando dapprima la bandiera con i colori giallo e blu
dell'Ucraina, e poi ha invitato i bambini ucraini a raggiungerlo sul palco:
«Questi bambini – ha spiegato Francesco ai fedeli presenti in aula Paolo VI –
sono dovuti fuggire e arrivare a una terra strana: questa è uno dei frutti
della guerra: non dimentichiamoli e non dimentichiamo il popolo ucraino. È duro
– ha concluso Bergoglio – essere sradicato dalla propria terra per una guerra».
Papa Francesco mostra bandiera ucraina proveniente da
Bucha
Sul volo di ritorno da Malta, domenica sera, un
giornalista ha chiesto al Papa un giudizio sulla situazione attuale, dicendo
tra l'altro che «oggi ci hanno colpito le immagini proveniente da Bucha, un
paese vicino a Kiev, abbandonato dall'esercito russo dove gli ucraini hanno
trovato decine di cadaveri buttati per strada, alcuni con le mani legate, come
se fossero stati “giustiziati”». «Grazie per avermi detto questa notizia di
oggi che non conoscevo ancora», aveva risposto il pPapa 85enne, al termine di
un viaggio di due giorni a Malta dal programma molto intenso. «Sempre la guerra
è una crudeltà, una cosa inumana, che va contro lo spirito umano, non dico
cristiano, umano. È lo spirito di Caino, lo spirito “cainista”». Già lunedì,
L'Osservatore Romano ha riportato la notizia di un «video diffuso dal ministero
della Difesa ucraino» che «mostra mezzi militari nazionali che avanzano per le
strade deserte ma disseminate di cadaveri. Cadaveri di civili. Alcuni hanno le
mani legate dietro la schiena, segno di una vera e propria esecuzione da parte
delle forze armate russe». Sulla prima pagina del quotidiano vaticano, poi,
ieri è stata pubblicata una foto di Bucha.
Nel corso della catechesi, dedicata proprio al viaggio a
Malta, il Papa ha parlato più volte dell’Ucraina: «Oggi – ha detto – si parla
spesso di “geopolitica”, ma purtroppo la logica dominante è quella delle
strategie degli Stati più potenti per affermare i propri interessi estendendo
l’area di influenza economica, ideologica e militare: lo stiamo vedendo con la
guerra», ha detto Jorge Mario Bergoglio all’udienza generale del mercoledì,
incentrata sul recente viaggio a Malta lo scorso fine settimana. L’isola
mediterranea, ha detto il Papa, rappresenta, in questo quadro, il diritto e la
forza dei “piccoli”, delle Nazioni piccole ma ricche di storia e di civiltà,
che dovrebbero portare avanti un’altra logica: quella del rispetto e della
logica della libertà, della convivialità delle differenze, opposta alla
colonizzazione dei più potenti: lo stiamo vedendo adesso e – ha puntualizzato
il Pontefice argentino – non solo da una parte, anche da altre. Dopo la seconda
guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, ma
purtroppo non impariamo è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze
concorrenti. E, nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo – ha detto il Papa –
all’impotenza delle Organizzazioni delle Nazioni Unite».
Francesco ha ripercorso alcuni momenti salienti del suo
viaggio a Malta, «luogo-chiave», tra l’altro, «per quanto riguarda il fenomeno
delle migrazioni. Nel Centro di accoglienza Giovanni XXIII – ha ricordato il
Papa – ho incontrato numerosi migranti, che sono approdati sull’Isola dopo
viaggi terribili. Non bisogna stancarsi di ascoltare le loro testimonianze,
perché solo così si esce dalla visione distorta che spesso circola nei
mass-media e si possono riconoscere i volti, le storie, le ferite, i sogni e le
speranze. Ogni migrante è unico, come ognuno di noi, è una persona con la sua
dignità, le sue radici, la sua cultura. Ognuno di essi è portatore di una
ricchezza infinitamente più grande dei problemi che pure può comportare la sua
accoglienza. Non dimentichiamo che l’Europa è stata fatta dalle migrazioni.
Certo, l’accoglienza va organizzata, va governata, e prima, molto prima, va
progettata insieme, a livello internazionale. Perché il fenomeno migratorio non
può essere ridotto a un’emergenza, è un segno dei nostri tempi. Come tale va
letto e interpretato. Può diventare un segno di conflitto, oppure un segno di
pace. Dipende da noi. Chi a Malta ha dato vita al Centro Giovanni XXIII ha
fatto la scelta cristiana e per questo lo ha chiamato “Peace Lab”: laboratorio
di pace. Ma io – ha detto Francesco – vorrei dire che Malta nel suo insieme è
un laboratorio di pace! Tutta la nazione col proprio atteggiamento è un
laboratorio di pace. E può realizzare questa sua missione se, dalle sue radici,
attinge la linfa della fraternità, della compassione, della solidarietà. Il
popolo maltese ha ricevuto questi valori insieme con il Vangelo, e grazie al
Vangelo potrà mantenerli vivi. Per questo, come Vescovo di Roma, sono andato a
confermare quel popolo nella fede e nella comunione». Il frate francescano che
porta avanti il centro per i migranti, ha sottolineato il Papa, «ha 91 anni e
continua a lavorare così, con i collaboratori della diocesi: un esempio di zelo
apostolico e amore ai migranti che oggi ci vuole tanto».
A fine catechesi, il Papa ha rivolto un pensiero
particolare ai fedeli polacchi presenti: «Durante questo tempo di Quaresima,
che ci prepara alla celebrazione della Resurrezione del Signore, avete
dimostrato una generosità straordinaria ed esemplare verso i nostri fratelli
ucraini, per i quali avete aperto i cuori e le porte delle vostre case. Grazie,
grazie tanto per questo che avete fatto con gli ucraini. Il Signore benedica la
vostra patria per questa vostra solidarietà e vi mostri il suo volto». LS 6
Il Papa ricorda il suo viaggio a Malta, "laboratorio di pace"
Nell'Udienza Generale del 6 aprile il Papa incentra la
sua meditazione sul suo recente viaggio apostolico a Malta
CITTÀ DEL VATICANO. Nell'Udienza Generale di oggi il Papa
incentra la sua meditazione sul suo recente viaggio apostolico a Malta.
"Sabato e domenica scorsi mi sono recato a Malta: un Viaggio apostolico
che era in programma da tempo. Non molti sanno che Malta, pur essendo un’isola
in mezzo al Mediterraneo, ha ricevuto prestissimo il Vangelo, perché l’Apostolo
Paolo fece naufragio vicino alle sue coste e prodigiosamente si salvò con tutti
quelli che stavano sulla nave, più di duecentosettanta persone", dice il
Pontefice.
Per il Papa Malta è "un luogo-chiave". "Lo
è anzitutto geograficamente, per la sua posizione al centro del Mare che sta
tra Europa e Africa, ma che bagna anche l’Asia. Malta è una specie di “rosa dei
venti”, dove si incrociano popoli e culture; è un punto privilegiato per
osservare a 360 gradi l’area mediterranea - commenta Papa Francesco - Malta
rappresenta, in questo quadro, il diritto e la forza dei “piccoli”, delle
Nazioni piccole ma ricche di storia e di civiltà, che dovrebbero portare avanti
un’altra logica: quella del rispetto e della libertà, della convivialità delle
differenze, opposta alla colonizzazione dei più potenti".
Francesco ricorda: "Nell’attuale guerra in Ucraina,
assistiamo all’impotenza delle Nazioni Unite".
Secondo aspetto: "Malta è un luogo-chiave per quanto
riguarda il fenomeno delle migrazioni. Nel Centro di accoglienza Giovanni XXIII
ho incontrato numerosi migranti, che sono approdati sull’Isola dopo viaggi
terribili. Non bisogna stancarsi di ascoltare le loro testimonianze, perché
solo così si esce dalla visione distorta che spesso circola nei mass-media e si
possono riconoscere i volti, le storie, le ferite, i sogni e le speranze. Ogni
migrante è unico, è una persona con la sua dignità, le sue radici, la sua
cultura. Ognuno di essi è portatore di una ricchezza infinitamente più grande
dei problemi che pure può comportare la sua accoglienza", commenta ancora il
Papa.
Per Francesco "Malta nel suo insieme è un
laboratorio di pace! E può realizzare questa sua missione se, dalle sue radici,
attinge la linfa della fraternità, della compassione, della solidarietà. Il
popolo maltese ha ricevuto questi valori insieme con il Vangelo, e grazie al
Vangelo potrà mantenerli vivi".
Terzo ed ultimo aspetto, "Malta è un luogo-chiave
anche dal punto di vista dell’evangelizzazione. Da Malta e da Gozo, le due
Diocesi del Paese, sono partiti tanti sacerdoti e religiosi, ma anche fedeli
laici, che hanno portato in tutto il mondo la testimonianza cristiana, come se
il passaggio di San Paolo avesse lasciato la missione nel DNA dei maltesi! Per
questo la mia visita è stata anzitutto un atto di riconoscenza, riconoscenza a
Dio e al suo santo popolo fedele che è a Malta e a Gozo".
Francesco conclude la catechesi ricordando il frate
francescano di 91 anni che lavora al centro migranti di Malta, "un esempio
di zelo apostolico e amore ai migranti che oggi ci vuole tanto. Noi con queste
visite seminiamo, ma il Signore fa crescere".
Ucraina: vittime il cui sangue innocente grida fino al
cielo
"Le recenti notizie sulla guerra in Ucraina anzichè
portare sollievo e speranza attestano nuove atrocità, come il massacro di
Bucha, crudeltà sempre più orrende compiute anche contro civili, donne e
bambini inermi. Sono vittime il cui sangue innocente grida fino al cielo e
implora, si metta fine a questa guerra, si facciano tacere le armi, si smetta
di seminare morte e distruzione, preghiamo insieme su questo...".
Papa Francesco lancia l'ennesimo appello per dire basta
alla guerra in Ucraina; continuano infatti nel paese massacri e atrocità, come
quello di Bucha, regione di Kiev. I media locali riportano notizie di corpi di
persone con le mani legate, uccise a colpi di arma da fuoco da soldati russi,
questi corpi di donne e bambini giacciono per le strade.
Il Papa, nell'Aula Paolo VI durante i saluti in lingua
italiana si alza e fa vedere a tutti una bandiera proveniente proprio da Bucha,
Ucraina. "Ieri proprio da Bucha mi hanno portato questa bandiera, questa
bandiera viene dalla guerra, ci sono qui bambini ucraini che ci accompagnano,
salutiamoli e preghiamo insieme con loro", ripete con forza il Papa. I
bambini consegnano al Papa dei disegni. Sono bimbi giunti proprio ieri
dall'Ucraina.
"Questi bambini sono dovuti fuggire, questo è uno
dei frutti della guerra, non dimentichiamo il popolo ucraino", ribadisce
il Pontefice regalando loro anche delle uova di cioccolata. I bambini sono
visibilmente emozionati.
Durante i saluti in lingua italiana il Papa fa anche un
altro appello. "Ricorre oggi la Giornata Mondiale dello Sport e dello
Sviluppo indetta dalle Nazioni Unite, con la loro attività siano testimoni
operosi di fraternità e pace, lo sport con i suoi valori può svolgere un ruolo
importante nel mondo aprendo strade di concordia tra i popoli, a patto che mai
perda la sua capacità di gratuità, non deve essere commerciale", dice il
Papa.
Infine il Pontefice saluta l’Associazione “Promozione
relazione e famiglia”. "E' importante il catecumenato matrimoniale, per
aiutare a sviluppare bellezza del matrimonio", conclude Francesco.
Veronica Giacometti, Aci 6
Renovabis, dalla Germania una mano tesa all’Ucraina
L'impegno della organizzazione di soccorso per l’Europa
orientale della Chiesa cattolica in Germania
ROMA. Tra tutte le organizzazioni caritative di
ispirazione cristiana presenti in Germania, l’inizio della guerra in Ucraina,
lo scorso 24 febbraio 2022 e l’emergenza umanitaria che ne è conseguita, hanno
sollecitato in modo particolare l’intervento di Renovabis, che da quasi
trent’anni fa dell’aiuto nell’Europa dell’Est, statutariamente, la sua
missione.
In che modo l’organizzazione è intervenuta nella crisi
ucraina lo spiega ad Acistampa, Thomas Schumann, addetto stampa e direttore
della Comunicazione di Renovabis.
Signor, Schumann, Rovabis è "l’organizzazione di
soccorso per l’Europa orientale della Chiesa cattolica in Germania". Per
favore, spieghi storicamente questo riferimento all’Europa dell’Est? Come è
nato Renovabis e a quale scopo?
«Renovabis è stata fondata nel 1993 dalla Conferenza
episcopale tedesca su suggerimento del Comitato centrale dei cattolici tedeschi
(ZdK). Da allora, ogni anno, si svolge una campagna di Pentecoste a livello
nazionale che dura diverse settimane. La campagna termina la domenica di
Pentecoste con una colletta nelle parrocchie cattoliche in Germania.
L’organizzazione, con sede a Frisinga, vicino a Monaco di Baviera, sostiene
progetti per rinnovare la vita ecclesiale e sociale in 29 paesi ex comunisti
dell’Europa orientale. Renovabis promuove partenariati e lavora affinché
"le persone dell’Est e dell’Ovest imparino le une dalle altre, coltivino
la loro fede insieme e creino così un vicinato di fiducia". Dalla sua fondazione
Renovabis ha sostenuto circa 25.400 progetti partner con ben 820 milioni di
euro».
Dunque avete sicuramente già una lunga esperienza di
intervento anche in Ucraina…
«Solo in Ucraina, più di 4.000 progetti sono stati
sostenuti dai partner già a partire dal 1993, con un finanziamento totale di
più di 125 milioni di euro. Lo spettro degli interventi spazia dalla Chiesa e
dalla cura pastorale, ai progetti sociali e caritatevoli, all’educazione e ai
progetti di comunicazione. Il principio di aiutare le persone ad aiutarsi è
sempre quello che ci ispira».
Come sta organizzando Renovabis l’aiuto all’Ucraina e ai
rifugiati ucraini?
«Più di sette milioni di euro sono già stati stanziati
per progetti di aiuto in Ucraina e un altro milione a favore dei paesi
ospitanti dell’Europa orientale. La Chiesa cattolica ha raggiunto accordi per
assicurare che i fondi di aiuto di Caritas International, Misereor e Renovabis
siano coordinati e implementati sul terreno in Ucraina e nei vicini paesi
dell’Europa orientale, che vengono raggiunti per primi dalle persone che
fuggono dalla guerra. Questi rifugiati devono ricevere aiuto in modo
pianificato ed efficiente per ciò che riguarda l’alloggio, il cibo,
l’assistenza medica e sostegno. Da alcuni giorni, sotto la direzione congiunta
di Caritas International e Renovabis, tutte le donazioni e i finanziamenti dei
progetti sono stati registrati e coordinati dalle diocesi tedesche, dalle
organizzazioni umanitarie e dalle grandi associazioni».
In che modo vengono spesi concretamente i fondi di queste
donazioni?
«Solo Renovabis ha investito più di 500.000 euro in 15
progetti gestiti dai suoi partner locali, che hanno usato il denaro per dare
alle donne con bambini, in particolare, un tetto sicuro sulla testa e per
fornire loro un sostegno psicologico dopo le loro esperienze traumatiche».
E poi ci sono i paesi vicini, direttamente coinvolti nel
soccorso a chi scappa dalla guerra…
«Infatti Caritas International e Renovabis sostengono
anche i paesi riceventi. Qui, la solidarietà di tutti i paesi dell’Unione
europea deve distribuire il peso su molte spalle. In Polonia, Repubblica di
Moldavia, Romania e Slovacchia, per esempio, il partner di cooperazione Caritas
International ha collocato per il momento altri 800.000 euro nei centri di
assistenza. Il direttore di Renovabis Schwartz ha detto che quello che serve è
una vera cultura dell’accoglienza e della carità in tutti i paesi europei».
State già ricevendo feedback sull’efficacia dei vostri
aiuti?
«Sì, certo. Un partner di lunga data del progetto Renovabis,
Andrij Waskowycz, che attualmente dirige un nuovo ufficio per il coordinamento
delle iniziative umanitarie del Congresso Mondiale degli Ucraini a Lviv e
Varsavia con l’aiuto di Renovabis, ha confermato che l’aiuto iniziato dalla
Chiesa tedesca nel suo paese natale sta arrivando a destinazione e allevierà
molti bisogni».
Un’ultima domanda. In che modo si potrebbe dire che la
fede cattolica ispiri le azioni di Renovabis?
«Il nome latino dell’organizzazione umanitaria risale al
Salmo 104 e significa "Tu rinnoverai". Questo è ciò che significa
letteralmente "renovabis". Più in dettaglio il Salmo recita: "Tu
mandi il tuo spirito: Essi sono creati e tu rinnovi la faccia della
terra". Quando l’azione di solidarietà dei cattolici tedeschi fu fondata
al momento del declino dei sistemi di governo comunisti, alla fine degli anni
ottanta e durante i primi anni novanta del XX secolo, fu vista l’opportunità di
sostenere le Chiese e le società dell’Europa orientale nel loro rinnovamento.
Si trattava di maggiori e nuove possibilità di cura pastorale e anche di
portare l’immagine cristiana dell’uomo nella società civile e nelle sue forme
di governo. Si trattava della partecipazione di tutti i gruppi di popolazione
alla vita della comunità sociale». Aci 5
Il cardinale Zuppi: credere nella Pasqua non ci fa arrendere al male
La festa dei Panini di San Nicola celebrata dal cardinale
a Tolentino - Di Simone Baroncia
TOLENTINO. Il santo non esitò a mangiare il pane ricevuto
in carità da una donna di Tolentino, riacquistando così la salute. Da quel
giorno san Nicola prese a distribuire il pane benedetto ai malati che visitava,
esortandoli a confidare nella protezione della Vergine Maria per ottenere la
guarigione dalla malattia e la liberazione dal peccato.
Quindi nella ‘domenica laetare’, che racconta la parabola
del ‘Figlio prodigo’, facendo pregustare la gioia della Pasqua di Resurrezione,
nella basilica di san Nicola da Tolentino si è celebrata la festa del pane con
i sindaci della Comunità montana dei ‘Monti Azzurri’, che hanno preso parte
alla messa officiata dall’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Maria Zuppi:
“Ecco, oggi è la festa della resurrezione di un figlio che era perduto ed è
tornato in vita. E’ questo il senso della Quaresima: non meno vita, ma
finalmente vita vera, incontro con sé, rientrare in sé, non uscire da sé!”
Al termine della concelebrazione eucaristica ho chiesto
al card. Zuppi di spiegare il motivo per cui Pasqua non può esistere senza
Resurrezione: “Pasqua è la Resurrezione. La bella notizia non consiste nelle
parole importanti dette da Gesù; ma la notizia di Pasqua è la più incredibile
di tutte: quell’uomo, morto in croce, è risorto e la vita non finisce. Ci aiuta
a guardare con forza l’inevitabile scontro con il limite della vita attraverso
la croce, perché ci aiuta a vedere la luce della vittoria dell’amore sulla
morte”.
In quale modo Gesù riaccende la speranza?
“Amando fino alla fine, abbassandosi fino all’umiliazione
per innalzarsi sino alla gloria di Dio. Gesù vive fino in fondo quello che in
realtà gli uomini e le donne vivono, cioè lo scontro con la propria fragilità,
quando il male mette in croce i nostri sogni e le nostre attese. Il male mette
in croce, l’amore vince la croce”.
Allora la Pasqua può essere un invito a superare la
difficoltà del vivere?
“La Pasqua non rimuove tutte le nostre difficoltà. La
vittoria di Gesù non è quella che ci permette di non avere più problemi,
secondo una certa nostra idea di benessere. La Pasqua, per di più, non si
afferma nemmeno immediatamente nel cuore dei discepoli. Essi devono combattere
con la loro incredulità. La Pasqua è la vittoria, perché libera la morte
dall’essere definitiva e rende definitivo l’amore di Gesù e la sua presenza
viva”.
Per quale motivo nella Pasqua esplode la gioia?
“La Pasqua stessa è gioia, perché ci permette di
combattere il male; ci affranca da esso e dalle sue intimidazioni, dal
turbamento davanti alla sua forza e dalla sua capacità di seminare il dubbio
sull’amore di Dio. Dobbiamo rafforzare l’uomo interiore per trasformare le
esperienze in consapevolezza e non lasciarle solo emozioni da consumare”.
E’ possibile credere nella Pasqua in tempi difficili?
“A maggior ragione! Credere nella Pasqua non ci fa
arrendere al male. Qualche volta il male sembra definitivo e vincente; in
realtà è la forza di Gesù che vince il male; la forza del perdono e della
misericordia vince il male. Proprio nel buio della sofferenza crediamo nella
luce della Resurrezione”.
Venerdì 25 marzo Papa Francesco ha consacrato al cuore
immacolato di Maria la Russia, l’Ucraina e tutto il mondo. Quale forza ha la
preghiera?
“La preghiera è la forza più grande per due motivi; la
prima ragione è che la preghiera è la forza di Dio, che arriva dove noi non
arriviamo; è una forza che non si vede, eppure è così efficace. Il secondo
motivo è che la preghiera chiede a chi prega anche l’impegno. Non si accontenta
della delega a Dio ‘pensaci tu’, ma Dio chiede di coinvolgerci nella lotta
affinché il male venga sconfitto. La preghiera per la pace ci chiede di essere
uomini di pace”. Aci 5
Kempten. Riunione del Consiglio Pastorale
Particolarmente significativa l'omelia di Sabato, 2
Aprile 2022, del Rettore delle MCI di Augsburg e Kempten, Padre Bruno
Zuchowski, a commento del brano evangelico sull'adultera, durante la S.
Messa celebrata nella chiesa di St. Anton a Kempten, Immenstädter Str. 50. Un
passo veramente adatto proprio in questi momenti in cui, oltre alla pandemia
che non accenna a finire, ci troviamo sull'orlo di una terza guerra mondiale.
Un conflitto che potrebbe venir provocato da chi pensa di essere esclusivamente
dalla parte della ragione, dimenticando che, non essendo nessuna persona,
nessuna autorità senza peccato, nessuna di esse potrà mai essere autorizzata a
lanciare la prima pietra.
Subito dopo la Celebrazione Eucaristica, durante la quale
sono stati ricordati alcuni defunti della nostra Comunità, nei locali dello
stesso Centro Parrocchiale, si è svolta una riunione del Consiglio Pastorale
della Missione, alla quale hanno preso parte diversi Consiglieri.
I lavori hanno avuto inizio alle 18:30, subito dopo il
saluto ai convenuti da parte di Padre Bruno Zuchowski, la recita di una breve
preghiera d'introduzione e il commento di alcune letture sui Vangeli Sinottici.
Poi Padre Bruno, dopo aver comunicato le giustificazioni dei consiglieri
assenti, pervenute o riferite da alcuni dei presenti, ha ricordato i punti
all'ordine del giorno:
* Elezione / Conferma del Consiglio Pastorale per gli
anni 2022/2026;
* Partecipazione alla Via Crucis Vivente a Neu-Ulm,
Venerdì 15 Aprile 2022;
* Programmazioni delle prossime attività della Missione;
* Allestimento nel mese di Maggio di un Altare dedicato
alla Madonna nei locali della Missione, dove, recentemente, sono state
sistemate le rappresentazioni della Via Crucis per la devozione quaresimale;
* Varie ed eventuali.
Spedite e senza intoppi le operazioni di elezione /
riconferma dell'attuale Presidenza, dirette dal Rettore della Missione. È
stato riconfermato come Presidente del Consiglio Parrocchiale il Signor
Giampiero Trovato ed eletto come Vicepresidente il Rag. Paolo Franco.
Passando al secondo punto sono state prospettate e
commentate dai presenti varie opzioni per raggiungere Neu-Ulm, allo scopo di
partecipare alla Via Crucis Vivente del prossimo 15 Aprile. Alcuni dei
presenti, tra cui il Signor Sabino Scarvaglieri, il Comm. Antonino Tortorici e
l'insegnante Federica Franzin, si informeranno su possibili collegamenti.
A questo proposito la Signora Gisella Trovato ha comunicato che il Membro del
Consigllio - assente per motivi di salute - Signor Vincenzo Mattina, (Socio
Onorario del Circolo ACLI di Kempten, come precisato dal suo Presidente Dr.
Fernando A. Grasso), è disposto a finanziare il viaggio di chi non potesse
permetterselo, essendo questa esperienza per lui e per tutti coloro che vi
hanno partecipato un momento fondamentale nella vita di un cristiano.
Per ciò che riguarda eventuali altre attività si è
pensato a particolari devozioni nel mese dedicato alla Vergine, tenendo conto,
s'intende, dell'attuale situazione pandemica, che tarpa le ali un po' tutti,
come commentato da alcuni presenti, tra i quali: Grasso, Tortorici e il nuovo
Vicepresidente Franco.
La seduta si è sciolta poco prima delle 21:00. Fernando
A. Grasso
Aperte le iscrizioni per CANTACIELO Festival della Canzone dell’Anima
Sono aperte le iscrizioni per partecipare a CANTACIELO,
un nuovo festival musicale totalmente dedicato all’espressione spirituale
interiore, che premierà la più bella “canzone dell’anima”. A concepirlo è stato
uno staff di professionisti di lunga esperienza nel settore della discografia,
della scrittura autoriale e dei concerti dal vivo, composto da Gianni Marsili,
Romano Musumarra, Giorgio Flavio Pintus e Carlo Principini. L’iniziativa, in
collaborazione con il Gruppo Editoriale San Paolo e il patrocinio della SIAE –
Società Italiana degli Autori ed Editori, e con la partnership di Maria Vision
Italia e Christian Music, è stata ideata col proposito di far comunicare,
attraverso una suggestiva combinazione di suoni, musica e parole, una
dimensione interiore in grado di trasmettere un profondo coinvolgimento
emotivo. Alla base, visto il periodo
storico segnato da tragedie umane legate al virus e alla guerra, c’è il
desiderio di riportare lo sguardo verso atmosfere di serenità, pace,
solidarietà, positività nei confronti della vita e degli altri esseri umani,
aldilà di ogni ideologia o credo socio-politico, oltre ogni soggettivismo e
verso un dialogo propositivo.
Per concorrere al festival si avrà tempo fino al 31
luglio; il regolamento è scaricabile sul sito
https://cantacielo.it/regolamento/. Le candidature sono aperte a qualsiasi
fascia di età, a singoli e a gruppi; le canzoni possono appartenere a qualsiasi
genere musicale ma devono essere brani inediti, editorialmente liberi e in
lingua italiana, con al massimo un 20% testuale di locuzioni o frasi in lingua
straniera.
La composizione della Giuria e il calendario delle
iniziative inerenti al Festival (semifinali e serata finale), saranno
comunicati nelle settimane a seguire.
Sito ufficiale: https://cantacielo.it.
Infoline:
info@cantacielo.it.
De.it.press
Franziskus: Alle sind gerufen,
Versöhnung zu fördern
Nicht
nur Priester im Beichtstuhl, sondern die ganze Kirche, alle Getauften, sind
dazu berufen, Werkzeuge der Versöhnung zu sein. Das hat Papst Franziskus an
diesem Sonntag der Barmherzigkeit bei einer Heiligen Messe im Petersdom
unterstrichen. Gudrun Sailer -
Vatikanstadt
Hauptzelebrant
war anstelle des Papstes Erzbischof Rino Fisichella, der Präsident des
Päpstlichen Rates zur Förderung der Neuevangelisierung. Dieses Dikasterium ist
für das derzeit in Rom tagende Welttreffen der „Missionare der Barmherzigkeit“
zuständig, das sind katholische Priester mit speziellen Vollmachten bei der
Beichte, ein Dienst, den Papst Franziskus 2016 im Heiligen Jahr der Barmherzigkeit
eingerichtet hatte. Die Priester feierten den Gottesdienst im Vatikan mit,
unter den Konzelebranten am Altar war der deutsche Kurienbischof Franz-Peter
Tebartz-van Elst, der im Neuevangelisierungsrat für Fragen der Katechese
zuständig ist.
Der
Sonntag der Barmherzigkeit, genannt auch „Weißer Sonntag“, ist der Sonntag nach
Ostern, in vielen Gemeinden deutscher Sprache finden an diesem Tag
Erstkommunion-Feiern statt. Das Evangelium (Joh 20, 19-31) spricht über den
auferstandenen Herrn, der sich bei seinen verschreckten Jüngern mit dem
dreifachen Gruß „Friede sei mit euch!” zurückmeldet. Dreifach ist das Wirken
der göttlichen Barmherzigkeit, legte Franziskus bei der Predigt dieses
Evangelium aus. Die Barmherzigkeit schenke Freude, führe zur Versöhnung und spende
Trost in allen Mühen.
„Für
diejenigen, die die Freude Gottes erfahren, wird nichts mehr so sein wie
vorher!“
Die
Freude der Jünger darüber, den Herrn zu sehen, befreit sie zunächst aus ihrem
Gefühl des Versagens. „Christus macht ihnen keine Vorwürfe wegen der
Vergangenheit, sondern begegnet ihnen wie immer mit Güte“, so der Papst. „Und
das belebt sie neu, es erfüllt ihre Herzen mit dem Frieden, der ihnen
abhandengekommen war, und macht sie zu neuen Menschen, welche von seiner
Vergebung gereinigt sind.“ In der Tat sei die Freude Gottes eine Freude, „die
aus der Vergebung stammt und Frieden hinterlässt, eine Freude, die
wiederaufrichtet und nicht erniedrigt.“ Franziskus riet den Gläubigen, immer
„an Gottes Umarmung und Zärtlichkeit und erst dann an unsere Fehler und
Niederlagen“ zu denken. „Denn für diejenigen, die die Freude Gottes erfahren,
wird nichts mehr so sein wie vorher!“
„Brüder
und Schwestern, jeder von uns hat in der Taufe den Heiligen Geist empfangen, um
ein Mann und eine Frau der Versöhnung zu sein“
Franziskus
lenkte dann den Blick auf die Beichte, das Sakrament der Versöhnung, denn
Christus schenkte nach seinem zweiten Friedensgruß den Jüngern den Heiligen
Geist, um sie zu Werkzeugen der Versöhnung zu machen: „Denen ihr die Sünden
erlasst, denen sind sie erlassen“. Diese Worte seien der Ursprung der Beichte –
und mehr als das, sagte Franziskus: „Jesus machte die ganze Kirche zu einer
Gemeinschaft im Dienst der Barmherzigkeit, zu einem Zeichen und Werkzeug der
Versöhnung für die Menschheit. Brüder und Schwestern, jeder von uns hat in der
Taufe den Heiligen Geist empfangen, um ein Mann und eine Frau der Versöhnung zu
sein.“
Dazu
sollten sich alle Getauften berufen fühlen, fuhr der Papst fort. „Fragen wir
uns: Fördere ich dort, wo ich lebe, in meiner Familie, am Arbeitsplatz, in
meiner Gemeinschaft, die Einheit, bin ich einer, der Bande der Versöhnung
knüpft? Bemühe ich mich, Konflikte zu entschärfen, Vergebung zu bringen, wo man
hasst, Frieden zu stiften, wo man Groll hegt? Jesus wünscht sich von uns, dass
wir vor der Welt Zeugnis ablegen für diese seine Worte: Friede sei mit euch!“
Franziskus
ging dann auf den sprichwörtlich gewordenen „ungläubigen Thomas“ ein, der
seinen Finger in die Wunden Christi legen musste, um zu glauben, dass dieser
wirklich lebte. In Thomas, so sagte der Papst, „begegnen wir der Geschichte
aller Gläubigen: Es gibt schwierige Momente, wo das Leben den Glauben zu
widerlegen scheint, wo wir in einer Krise stecken und etwas brauchen, das wir
anfassen und sehen können.“ Und dafür hat Jesus Verständnis. Nicht mit
triumphierenden Gesten versucht er zu überzeugen, nein, „er tröstet uns ganz im
Stile des heutigen Evangeliums: indem er uns seine Wunden zeigt.“
Damit
ist aber auch eine Öffnung für das Leid der anderen verbunden, hob der Papst
hervor. „Wir denken, wir würden das Schlimmste erleiden und befänden uns
in einer besonders schwierigen Situation, und dann entdecken wir, dass andere
in aller Stille noch schlimmere Zeiten durchmachen.“ Wer sich um Leidende
kümmert, erfahre selbst Trost. „Fragen wir uns also, ob wir in letzter Zeit die
Wunden eines physisch oder psychisch leidenden Menschen berührt haben; ob wir
einem verwundeten Körper oder einem ermatteten Geist Frieden gebracht haben; ob
wir uns die Zeit genommen haben, zuzuhören, zu begleiten oder zu trösten. Wenn
wir dies tun, begegnen wir Jesus, der uns durch die Augen aller vom Leben
Geprüften voller Barmherzigkeit ansieht und zu uns auch heute sagt: Friede sei
mit euch!“
In
den beiden vergangenen Jahren der Pandemie hatte Papst Franziskus am Sonntag
der Barmherzigkeit jeweils privat in der römischen Kirche Santo Spirito in
Sassia unweit des Vatikans gefeiert. Dieses Jahr fand die Messe zum ersten Mal
im Petersdom statt. (vn 24)
Papst hält Kiew-Besuch für nicht
friedensdienlich
Einen
Papstbesuch in Kiew hält dieser selbst für aktuell nicht friedensdienlich. Das
erklärte Franziskus in einem Interview mit der argentinischen Zeitung „La
Nación“, das am Donnerstagabend veröffentlicht wurde. Anne Preckel –
Vatikanstadt
Auf
die Frage des argentinischen Journalisten Joaquín Morales Sol, warum er nicht
nach Kiew reise, wo „die einfachen Leute sicher auf Sie warten“, antwortete
Franziskus: „Ich kann nichts tun, was die höheren Ziele gefährden würde,
nämlich ein Ende des Krieges, einen Waffenstillstand oder zumindest einen
humanitären Korridor. Welchen Sinn hätte es, wenn der Papst nach Kiew reist und
der Krieg am nächsten Tag weitergeht?“ Der Vatikan hatte zuletzt zu verstehen
gegeben, dass Möglichkeiten eines Papstbesuches in Kiew ausgelotet würden.
„Es
ist für jeden, der es genau sehen will, klar, dass ich der Regierung
signalisiert habe, dass sie den Krieg im nächsten Augenblick beenden kann.“
Zugleich
machte der Papst deutlich, dass er bereit sei, alles in seiner Macht Stehende
zu tun, um den Krieg zu beenden: „Es ist für jeden, der es genau sehen will,
klar, dass ich der Regierung signalisiert habe, dass sie den Krieg im nächsten
Augenblick beenden kann“, so Franziskus mit Verweis auf sein selbst initiiertes
Gespräch mit dem russischen Botschafter beim Heiligen Stuhl. „Um ehrlich zu
sein, würde ich gerne etwas dafür tun, dass es in der Ukraine keinen einzigen
Toten mehr gibt. Nicht eine mehr. Und ich bin bereit, alles zu tun“,
versicherte der Papst.
Papst
suchte Botschafter auf
Franziskus
hatte am 25. Februar überraschend die russische Botschaft beim Heiligen Stuhl
aufgesucht und dort eine halbe Stunde mit Botschafter Alexander Avdeev
gesprochen. Franziskus‘ Aufsuchen des Botschafters kann als sehr ungewöhnlich
eingestuft werden. Im Interview mit „La Nación“ erklärte dazu der Papst: „Ich
war allein. Ich wollte nicht, dass mich jemand begleitet. Das war meine
persönliche Verantwortung. Diese Entscheidung habe ich in einer Nacht des
Nachdenkens über die Ukraine getroffen.“
„Ein
Papst benennt niemals ein Staatsoberhaupt, geschweige denn ein Land, das seinem
Staatsoberhaupt überlegen ist.“
Mit
Blick auf Vermittlungsbemühungen des Vatikans für ein Ende des Krieges in der
Ukraine sagte der Papst: „Es gibt immer Bemühungen. Der Vatikan ruht nie.“
Einzelheiten könne er aber nicht nennen, da es sich „dann nicht mehr um
diplomatische Bemühungen handeln“ würde. „Aber die Versuche werden nie
aufhören“, so Franziskus. Auf die Frage, warum er denn bei seinen Friedensappellen
nie Putin oder Russland namentlich nenne, erklärte das katholische
Kirchenoberhaupt: „Ein Papst benennt niemals ein Staatsoberhaupt, geschweige
denn ein Land, das seinem Staatsoberhaupt überlegen ist.“
Sein
Verhältnis zum russisch-orthodoxen Patriarchen Kyrill I., der den Ukraine-Krieg
rechtfertigt, bezeichnete der Papst in dem Interview als „sehr gut“, ohne auf
dessen Haltung zu Putins Krieg einzugehen. Er bedauere, dass der Vatikan ein
zweites Treffen mit dem Patriarchen, das für Juni angesetzt war, habe absagen
müssen: „Aber unsere Diplomatie war sich darüber im Klaren, dass ein Treffen
zwischen den beiden zu diesem Zeitpunkt zu viel Verwirrung führen könnte.“
Verhältnis
zur Orthodoxie: Papst setzt auf Dialog
Allgemeiner
ergänzte dann Franziskus: „Ich habe mich immer für den interreligiösen Dialog
eingesetzt. Als ich Erzbischof von Buenos Aires war, habe ich Christen, Juden
und Muslime zu einem fruchtbaren Dialog zusammengebracht. Dies war eine der
Initiativen, auf die ich besonders stolz bin. Es ist dieselbe Politik, die ich
im Vatikan verfolge. Wie Sie schon oft von mir gehört haben, ist für mich
Einigkeit besser als Konflikt.“ Der argentinische Papst war als erster
Papst mit Patriarch Kyrill I. zusammengetroffen. Eine Begegnung mit Papst Johannes
Paul II. und auch Benedikt XVI. hatte der Moskauer Patriarch noch abgelehnt.
Jeder
Krieg sei „in dieser Welt und auf dieser Stufe der Zivilisation
anachronistisch“, unterstrich Franziskus. Dass er bei einer seiner letzten
Generalaudienzen öffentlich die ukrainische Flagge geküsst habe, sei „eine
Geste der Solidarität mit ihren Toten, mit ihren Familien und mit denen, die
unter der Emigration leiden“, gewesen, erklärte er weiter.
Journalismus
und Argentinien
Weiter
drehte sich das Interview um die Themen Journalismus und einen möglichen
Argentinien-Besuch des Papstes. Unter den „Versuchungen des Journalismus“ sei
Desinformation „die schwerwiegendste“, so Franziskus: „Journalismus ist ein
edler Beruf, wenn er seine Aufgabe, zu informieren, erfüllt. Desinformation ist
das Gegenteil von Information.“
Seine
alte Heimat würde er gerne wiedersehen, denn er habe Argentinien „nie
vergessen“, so der Papst. Für einen Besuch müssten allerdings „mehrere Umstände
zusammenkommen“, fügte er an ohne konkreter zu werden.
(la nacion/vn 22)
Franziskus: Alte Menschen
respektvoll behandeln
Franziskus
hat bei der Generalaudienz an diesem Mittwoch dazu aufgerufen, ältere Menschen
zu respektieren. Gerade Kinder und Jugendliche sollten dazu erzogen werden,
ihre Großeltern zu ehren. Das sagte der Papst bei der ersten Generalaudienz
seit Beginn der Covid-Pandemie, die wieder öffentlich auf dem Petersplatz
stattfand. Mario Galgano – Vatikanstadt
Das
katholische Kirchenoberhaupt ging in seiner Katechese auf die Zerbrechlichkeit
des Alters ein. Besonders auf die Verlassenheit der älteren Menschen lenkte der
Papst den Blick. In der heutigen Gesellschaft würden ältere Menschen
„weggeschoben“, so Franziskus in seiner Katechese.
Der
Papst verurteilte deutlich Gewalt und Aggressionen gegen ältere Menschen. Das
könne zu Hause passieren, im Pflegeheim, im Berufsleben oder gar auf offener
Straße, klagte der 85-Jährige. Als Beispiel nannte Franziskus hier Jugendliche,
die die Decke eines älteren Obdachlosen angezündet hatten. Grundsätzlich sei es
schlimm, wenn einer Person ihre Schwäche vorgeworfen und sie dafür bestraft
werde - so als sei Schwäche ein Fehler, kritisierte der Papst.
Es
geht um alle Generationen
Franziskus
mahnte, dass ältere Menschen niemals als störend oder lästig betrachtet werden
dürften. Dabei gehe es nicht nur um den eigenen Vater und die eigene Mutter, es
gehe um alle Generationen. Der Papst ermunterte Eltern dazu, den Kontakt und
Austausch der Generationen zu pflegen.
„Die
Alten sind die Ehre unserer Gesellschaft, das vergessen ihre Kinder oft.“
„Und
hier möchte ich mich an alle Eltern wenden und ihnen raten: Bitte, bringt eure
Kinder zu den Großeltern, bringt sie zusammen! Die Alten mögen ein wenig
verrückt sein, doch das ist unser Fleisch, bitte, entfernt die Alten nicht. Und
wenn es keine andere Möglichkeit als das Altenheim gibt, bringt bitte die
Kinder hin! Die Alten sind die Ehre unserer Gesellschaft, das vergessen ihre
Kinder oft.“
Damals
in Buenos Aires
In
Buenos Aires habe er gerne Altenheime besucht, oft sei er da hingegangen, fügte
er abweichend vom Redemanuskript an:
„Eine
alte Frau sagte mir dort einmal: ,Ich habe vier Kinder, alle verheiratet, und
sie kommen mich immer besuchen.‘ Die Pflegerin sagte mir danach: ,Das stimmt
gar nicht. Sie sagt das nur, um ihre Kinder in Schutz zu nehmen. Denn in
Wirklichkeit war schon seit sechs Monaten niemand mehr von ihnen da!‘ – Genau
das bedeutet, die Alten wegzuwerfen. Das ist eine große Sünde, denn das Gebot
,Ehre die Alten‘ bedeutet einen Segen für uns. Bitte, umsorgt die Alten, denn
sie sind die Gegenwart der Geschichte, sie bedeuten doch unsere Familie, denn
dank ihnen gibt es uns überhaupt! Bitte, lasst die älteren Menschen nicht
allein.“
Generalaudienz
wieder auf dem Petersplatz
Es
war die erste Generalaudienz auf dem Petersplatz seit mehr als zwei Jahren.
Etwa 20.000 Gläubige versammelten sich laut Vatikanangaben auf der Piazza vor
der Petersbasilika - fast wie vor Beginn der Pandemie. Franziskus begrüßte die
Teilnehmer der wöchentlichen Pilgeraudienz zu Beginn auch wieder von seinem
Papamobil aus, mit dem er über den Petersplatz gefahren wurde.
Zuletzt
hatte es Ende Februar 2020 eine Generalaudienz mit Papst Franziskus auf dem
Petersplatz gegeben. In der Folge fand monatelang nur eine wöchentliche
Videoansprache von Franziskus ohne Gläubige vor Ort statt. Später wurde die
wöchentliche Pilgeraudienz zunächst in kleinerem Rahmen im Damasushof des
Apostolischen Palastes und seit August 2021 wieder in der großen Audienzhalle
im Vatikan abgehalten.
Papst
bittet um Gebet für Frieden
In
seinen Grüßen an die deutschsprachigen Pilger bat der Papst um das Gebet für
den Frieden „und um Trost für die Familien, die wegen der Kriege in der Welt
viel Leid erfahren”. An die Audienz-Teilnehmer aus Polen gerichtet sagte er:
„Ich bin Ihnen besonders dankbar für Ihre Barmherzigkeit gegenüber so vielen
Flüchtlingen aus der Ukraine, die in Polen offene Türen und großzügige Herzen
gefunden haben. Möge Gott Sie für Ihre Güte belohnen.” vn/kna 20
Vatikan aktualisiert Standardwerk
zur katholischen Soziallehre
Im
Vatikan ist eine aktualisierte Fassung der katholischen Soziallehre in
Vorbereitung. Es geht darum, päpstliche Lehrinhalte der vergangenen 20 Jahre
einzuarbeiten, also aus den Pontifikaten Benedikt XVI. und Franziskus.
Eingebunden ist der deutsche Moraltheologe Peter Schallenberg. Gudrun Sailer –
Vatikanstadt
Der
Päpstliche Rat für Gerechtigkeit und Frieden hat 2004 das Kompendium der
Soziallehre der Kirche herausgebracht. Das von Johannes Paul II. in Auftrag
gegebene Werk ist die erste und einzige systematische Übersicht über die
katholische Sozialethik, also über Antworten der Kirche auf die Grundsatzfragen
menschlichen Zusammenlebens. Doch hat sich die Welt und infolgedessen auch die
katholische Soziallehre seither fortentwickelt, namentlich mit den beiden
Sozialenzykliken von Papst Franziskus „Laudato Si“ und „Fratelli tutti“.
Digitalisierung,
Biotechnologie, Ökologie und Arbeitswelt, Lieferketten...
Seit
gut einem Jahr ist deshalb im Auftrag des Staatssekretariats und der
Glaubenskongregation eine Arbeitsgruppe am Dikasterium für die ganzheitliche
Entwicklung des Menschen damit beschäftigt, das Kompendium zu überarbeiten. „Es
ist eine doppelte Aufgabe: die Weiterführung und Ergänzung des Kompendiums seit
2004, und zweitens festzustellen, wo neue Themen sind“, erklärt der Paderborner
Sozialethiker Peter Schallenberg, der als Konsultor des Dikasteriums mit der
Arbeit betraut ist. Als Beispiele für neue Themen, die in das Kompendium
einfließen werden, nannte er Digitalisierung, Biotechnologie, Ökologie und
Entwicklungen der Arbeitswelt, hier etwa die Vereinbarkeit von Beruf und
Familie, die Rentenansprüche aus Care-Arbeit, die Frage der Lieferketten oder
der Zulässigkeit von Kinderarbeit.
Quellen:
Ansprachen ja, Interviews nein
Zu
diesen sozialen Themen haben Päpste einiges gesagt und geschrieben. Die
Hauptquellen für die Ergänzung des Kompendiums der Soziallehre sind
Schallenberg zufolge die Enzykliken sowie auch andere Dokumente und Ansprachen
der Päpste, aber keine Interviews, wie Papst Franziskus sie zahlreich gibt.
Stellungnahmen von Bischöfen oder Bischofskonferenzen fließen nicht in die
Neufassung ein, es sei denn, Päpste haben sie in schriftlicher Form übernommen
und sie sich damit zu eigen gemacht.
Das
Kompendium der Soziallehre besteht aus drei Teilen. Der erste verortet die
katholischen Soziallehre in der Theologie insgesamt, der zweite Teil fasst die
Prinzipien und Grundlagen zusammen. Der dritte Teil geht der Frage nach, wie
die Soziallehre das Handeln der Gläubigen bestimmen soll. Von der Aktualisierung
betroffen ist besonders der zweite Teil, sagte Schallenberg. „Der einführende
Teil kann bis auf einige ergänzende Sätze bleiben. Der Schlussteil ist wichtig,
aber auch da ist daran gedacht, dass man nicht zu zentralistisch vorgeht.
Entscheidend ist, den mittleren Teil, die Materie, fortzuführen und zu
ergänzen, was dort an Neuem ist.“
Soziallehre
in Bewegung
Einige
Fragen der katholischen Soziallehre sind in Bewegung und haben sich deshalb
noch kaum im päpstlichen Lehramt oder einzelnen Vatikandokumenten
niedergeschlagen, sagte Schallenberg. „Etwa bei der Frage von Ehe und Familie:
neue Formen des Zusammenlebens, staatlich geförderte Formen des Zusammenlebens,
die nicht der sakramentalen Form des Zusammenlebens entsprechen, aber trotzdem
in einer säkularen Gesellschaft ja legitim sein können. Oder die
Frage der Transsexualität, der Biomedizin. Es ist, glaube ich, gut, dass man da
einfach die Materie an die Hand gibt und sagt, jetzt kann sich jeder damit ein
Bild machen und daran weiterarbeiten.“
„Wenn
noch nichts gesagt worden ist zu einer Fragestellung, dann hat man Spielraum“
Keine
Aufgabe des erweiterten Kompendiums ist es, im Fall solcher Lücken eigene neue
Inhalte vorzulegen, also gleichsam ein weiteres lehramtliches Dokument zu
erstellen. „Wenn der Befund ist, dazu gibt es bisher keine päpstliche oder
vatikanische Äußerung, also päpstliches Lehramtes im weiteren Sinn, dann
ist auch das ein Befund“, so Schallenberg. „Wenn noch nichts gesagt worden ist
zu einer Fragestellung, dann hat man Spielraum, um selber eine Anregung zu
geben oder weiterzudenken.“
Franziskus
hob Soziallehre auf neue Ebene
„Mut
zur Konkretion und auch der Mut zur Korrektur.“
Während
Papst Benedikt XVI. viel für die Begründungszusammenhänge der Soziallehre
leistete, hat sein Nachfolger Franziskus die kirchliche Soziallehre in einem
mehr praktischen Sinn auf eine neue Ebene gehoben, findet Schallenberg.
Franziskus scheue sich nicht, mitunter auch vermintes Feld zu betreten und auf
brandaktuelle gesellschaftliche Fragen einzugehen. „Ganz konkret: Ist die
zivile Nutzung von Atomkraft unethisch oder nicht? Ja, das kann sein, dass
das auf einmal in Zusammenhang der Fragen von Energie-Unabhängigkeit in einem
anderen Licht erscheint.“ Die Kirche brauche dann auch den Mut, zuzugeben, dass
sie sich geirrt habe oder die Wissenschaft zu neuen Erkenntnissen gelangt sei,
was zu anderen Güterabwägungen führen könne. „Möglicherweise sagt man: Wir
wollen Menschenrechtsverletzungen auf internationaler Ebene, etwa durch
Russland, vermeiden - dafür stellen wir etwas von unseren Klimaforderungen
hinten an. Es kann sein, dass die Güterabwägungen sich verändern. Das,
würde ich sagen, ist durch das päpstliche Lehramt von Papst Franziskus sehr
stark vorangetrieben worden, dieser Mut zur Konkretion und auch der Mut zur
Korrektur.“
Parallel-Katechismus
für Sozialfragen?
Als
Johannes Paul II. das Kompendium der Soziallehre in Auftrag gab, stellte er
sich etwas wie einen zweiten Katechismus vor: eine Zusammenfassung nicht der
Glaubensinhalte, sondern der Antworten der Kirche auf die sozialen Fragen der
Jetzt-Zeit. Hat das Standardwerk zur Soziallehre heute in der Weltkirche
wirklich einen ähnlichen Stellenwert wie der Katechismus? Schallenberg will
nicht „einer autosuggestiven Binnenbegeisterung“ erliegen, aber er bejaht die
Frage klar. „Das Kompendium ist eine Fundgrube, insbesondere auch mit dem
Stichwortverzeichnis, wenn man wissen will zum gerechten Krieg, zu
Waffenlieferungen und zu allen relevanten Themen der Ethik – ich glaube
schon: Die Rechnung ist aufgegangen.“
Die
überarbeitete Fassung des Kompendiums der Soziallehre der Kirche soll
spätestens 2024 erscheinen. (vn 20)
Sechster Katholischer
Flüchtlingsgipfel am 3. Mai 2022 in Erfurt
Der
sechste Katholische Flüchtlingsgipfel findet am Dienstag, 3. Mai 2022, in
Erfurt statt. Erwartet werden rund 100 Praktiker, Experten und Ehrenamtliche
aus ganz Deutschland. Das Leitthema des diesjährigen Flüchtlingsgipfels ist
„Integration gemeinsam gestalten“ und er wird vom Arbeitsstab des
Sonderbeauftragten der Deutschen Bischofskonferenz für Flüchtlingsfragen,
Erzbischof Dr. Stefan Heße (Hamburg), vorbereitet.
Aus
aktuellem Anlass beginnt der Flüchtlingsgipfel mit einem Gespräch zur Situation
der Geflüchteten aus der Ukraine. Daran nehmen Weihbischof Krzysztof Zadarko
(Bistum Köslin-Kolberg, Polen), Vorsitzender des Migrationsrats der Polnischen
Bischofskonferenz, Andrij Waskowycz, Leiter des Büros für die Koordinierung
humanitärer Initiativen des Weltkongresses der Ukrainer und von 2001 bis 2021
Präsident der Caritas Ukraine, sowie Dr. Andrea Schlenker, Leiterin des
Referats Migration beim Deutschen Caritasverband e. V., teil.
Im
zweiten Teil des Flüchtlingsgipfels wird die neue Arbeitshilfe der Deutschen
Bischofskonferenz Anerkennung und Teilhabe – 16 Thesen zur Integration
vorgestellt und diskutiert. Die Arbeitshilfe fasst Erfahrungen der kirchlichen
Flüchtlingshilfe und Migrationsarbeit im Handlungsfeld Integration zusammen und
stellt Überlegungen zur gesellschaftlichen Teilhabe und zum Zusammenleben in
einem pluralen Umfeld an. Daran anknüpfend soll beim Katholischen
Flüchtlingsgipfel eine Diskussion über Grundhaltungen der Integration
angestoßen werden und mehrere Arbeitsgruppen widmen sich wichtigen
Praxisfeldern der katholischen Integrationsarbeit. Zum Abschluss diskutieren
unter dem Leitthema „Integration gemeinsam gestalten – Wo stehen wir in der
Flüchtlingsarbeit heute und wo wollen wir hin?“ Reem Alabali-Radovan
(Staatsministerin beim Bundeskanzler und Beauftragte der Bundesregierung für
Migration, Flüchtlinge und Integration), Prof. Dr. Petra Bendel (Vorsitzende
des Sachverständigenrats für Integration und Migration), Faisal Hamdo
(flüchtete 2014 von Syrien über die Türkei nach Deutschland und veröffentlichte
2018 sein Buch Fern von Aleppo) und Erzbischof Dr. Stefan Heße.
Informationen
rund um den Flüchtlingsgipfel und die Flüchtlingshilfe der katholischen Kirche
sind auf der Internetseite www.fluechtlingshilfe-katholische-kirche.de
verfügbar. Dbk 20
Papst empfängt 100.000 italienische
Jugendliche
Es
war ein Fest, wie der Vatikan es seit mindestens zwei Jahren nicht gesehen hat:
Am Ostermontagabend, bei lauem römischen Frühlingswetter, traf Papst Franziskus
auf dem Petersplatz 100.000 aufgekratzte italienische Jugendliche.
Wiederholt
mit Maria, die im selben Alter wie ihr, als Jugendliche, ihr Ja zu Gott sagte,
ihr „Hier bin ich": Darum bat der Papst die 100.000 jungen Menschen, die
an dem Treffen auf dem Petersplatz teilnahmen. Er hörte sich ihre Erfahrungen
an, betete mit ihnen, vertraute die Zukunft der Jungfrau Maria an und ermutigte
sie, keine Angst vor dem Leben zu haben, sondern es anderen zu schenken und
ihre Ängste mit Hilfe der Menschen in ihrer Umgebung zu erhellen.
Die
Begegnung war von der italienischen Bischofskonferenz organisiert worden. Mehr
als eine Stunde Dialog und Gebet mit dem Papst, Lieder, Erfahrungen und
Zeugnisse des gelebten Lebens im Licht des Johannes-Evangeliums 21, 1-19. Wie
die Jünger um Jesus in jener Nacht am See Tiberias, so waren die Jugendlichen
an diesem Ostermontag um den Papst versammelt, um ihr „Ja" zu Gott zu
erneuern – sogar mit einem eigenen Hashtag, #Follow Me. Die Wallfahrt junger
Menschen aus allen italienischen Diözesen auf dem Petersplatz war von einer
Begeisterung erfüllt, die seit über zwei Jahren mit Pandemie, Schließungen,
Einsamkeit und mit den Schrecken des Krieges in der Ukraine abwesend gewesen
war.
Der
Papst erinnerte daran in seiner Ansprache: „Zwei Jahre sind vergangen mit einem
leeren Platz", einem „Platz, der eine Fastenzeit durchgemacht hat"
und nun voller Freude ist, auch wenn leider „dicke Wolken" nach wie vor
„unsere Zeit" verdunkeln. Es ist die "Dunkelheit, die alle
erschreckt", der "schreckliche Krieg", für den "viele eurer
Altersgenossen" den höchsten Preis zahlen". Viele warten noch immer
auf das Osterlicht, sagte der Papst.
„Wer
hätte sich das vorstellen können?“
Der
scheidende Vorsitzende der Italienischen Bischofskonferenz, Kardinal Gualtiero
Bassetti, gab vor dem Papst und den Jugendlichen Einblicke in das
Zustandekommen des Treffens. Nach den zwei Jahren der Corona-Pandemie sei
keineswegs garantiert gewesen, ob diese Begegnung überhaupt würde stattfinden
können, ob sich genug junge Menschen dafür begeistern würden oder ob die Kirche
sie etwa verloren habe. „Und dieser Platz voller junger Menschen und voller
Begeisterung, Heiliger Vater, ist ihre Antwort“, sagte Bassetti nicht ohne
Rührung. „Wer hätte sich das vorstellen können? In den letzten Wochen haben uns
ihre Priester und Lehrkräfte immer wieder gesagt, dass sie von der Begeisterung
dieser Jugendlichen überwältigt waren. So viele Anrufe, um uns mitzuteilen,
dass sie die Teilnehmerzahlen schon wieder nach oben korrigieren mussten!“
Kardinal
Bassetti besucht Papst Franziskus
Bassetti
dankte den Jugendlichen öffentlich. „Ein alter Mann von 80 Jahren wie ich
murmelt vor einer Begegnung dieser Art mit Tränen in den Augen:
„Nun lässt du, Herr, deinen Knecht, wie du gesagt
hast, in Frieden scheiden“, zitierte der Kardinal den greisen Propheten Simeon.
Bassetti wurde vor wenigen Tagen 80 Jahre alt. Im Mai tritt er als Vorsitzender
der Bischofskonferenz ab, aus dem Kreis der Papstwähler ist er aufgrund des
Alters ausgeschieden. Zweimal in diesen beiden Jahren infizierte Bassetti sich
mit dem Corona-Virus und kam dem Tod nahe. Doch er genas. Papst Franziskus rief
ihn an und scherzte: „In der Hölle war noch kein Platz für dich!“, wie Bassetti
später in einem Interview zum Besten gab. Der Kardinal gilt als Vertrauter des
Papstes. (vn 18)
Deutsche Bischöfe zu Ostern:
Hoffnung ist ein Lebensmittel
Der
Krieg in der Ukraine hat die Osterfeiern der Christen in Deutschland geprägt.
Die katholischen Bischöfe riefen in ihren Predigten zum Einsatz für den Frieden
auf; das könne auch persönlichen Verzicht bedeuten. Erstmals seit zwei Jahren
konnten die Ostergottesdienste wieder fast ohne Corona-Einschränkungen
stattfinden.
Nach
Einschätzung des Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz, Georg Bätzing,
ist Hoffnung ein „Lebensmittel". Nur wer hoffe, könne sein Leben gut
führen. Wer die Hoffnung verlerne, verlerne das Zutrauen zum Leben. Die Welt
sei wahrhaftig kein Paradies, fügte Bätzing hinzu. Die Hoffnung, dass sich
demokratische Bewegungen gegenüber autokratischen Systemen durchsetzen könnten,
dass internationale Konflikte eher durch Dialog und diplomatisches Geschick zu
lösen wären als durch Wettrüsten und Krieg, sei erneut ins Wanken geraten. Die
Pandemie und der Klimawandel träfen viele Menschen hart, an der ökologischen
Krise hätten die Deutschen mit ihrem Lebensstil Anteil. Doch dürfe man die
Hoffnung nicht aufgeben, dass sich die Welt zum Guten verändern könne – „ja,
dass wir alles daran setzen müssen, weil wir sonst keine Zukunft haben",
so der Bischofskonferenz-Vorsitzende.
München-Freising
Der
Münchner Kardinal Reinhard Marx sieht durch den Krieg in der Ukraine die
Gefahr, in „alte Feindbilder" zurückzufallen. Damit würde einer „Logik des
Kriegs" gefolgt, wodurch „menschliche Herzen, Köpfe und Seelen über
Generationen durch Hass vergiftet" würden, sagte Marx im Münchner
Liebfrauendom. Die Menschen hätten das Recht, ihr eigenes Leben und das ihrer
Mitmenschen, der vielen Unschuldigen zu verteidigen und zu schützen. Dennoch
stelle sich die Frage, wie das weiter gehe. Auch wenn es derzeit schwerfalle,
die Osterbotschaft zu verkünden, sei dies „doch nötiger als je zuvor".
Köln
Der
Kölner Kardinal Rainer Maria Woelki erinnerte an die Rolle der Frauen in der
Geschichte der Auferstehung Jesu. Es seien die Frauen gewesen, „die voll
glaubenden Vertrauens in Worte fassen, was ihnen widerfährt", sagte er im
Kölner Dom. „Auch von Unverständnis, Ablehnung und Spott lassen sie sich nicht
irritieren." Wer für sich behalte, was ihm im Innersten wichtig sei, dem
begegne weder Unverständnis noch Spott. „Aber ich kann dann auch nicht
erfahren, was die Frauen am Ostermorgen erfahren: Dass es nicht beim Spott und
der Ablehnung bleibt."
Osnabrück
Der
Osnabrücker Bischof Franz-Josef Bode rief dazu auf, sich von der
Corona-Pandemie und vom Krieg in der Ukraine nicht entmutigen zu lassen. Die
Christen sollten sich für Leben und Frieden einsetzen. Dies könne sich etwa in
der Zuwendung für die vielen Tausend Geflüchteten ausdrücken. Vom derzeitigen
Engagement in der Migrations- und Flüchtlingshilfe zeigte sich der Bischof
„erstaunt und berührt". Mit Blick auf die russisch-orthodoxe Kirche sagte
Bode, er sei sicher, „dass auch in Russland ganz viele Menschen zutiefst diese
Sehnsucht nach Leben und Frieden teilen, wenn sie in diesem Jahr das Halleluja
anstimmen".
Bamberg
Der
Bamberger Erzbischof Ludwig Schick rief die Menschen auf, für Sanktionen gegen
Russland Einschränkungen zu akzeptieren, etwa Abstriche bei der Versorgung mit
Lebensmitteln und Gebrauchsgütern sowie steigende Energiepreise. Außerdem müsse
die Selbstverteidigung der Ukraine unterstützt werden. An die russisch-orthodoxe
Kirche appellierte Schick, mit der Verkündung von Christi Friedensgruß dazu
beizutragen, dass die russische Aggression gegen die Glaubensgeschwister in der
Ukraine beendet werde.
Berlin
Der
Berliner Erzbischof Heiner Koch erklärte, zur Osterbotschaft dieses Jahres
gehöre auch, „die Ungerechtigkeit klar zu benennen, Verbrecher anzuklagen und
zu verurteilen. Wir müssen unsere Botschaft des Lebens, des Friedens
unüberhörbar machen, auch wenn uns gar nicht danach zumute ist." Koch rief
dazu auf, „dass wir anerkennen, dass zu einem gerechten Frieden auch das Recht
auf Verteidigung gehört, dass zu einem menschenwürdigen Leben auch das
Verurteilen von Unrecht gehört."
Erfurt
Der
Erfurter Bischof Ulrich Neymeyr sagte, es erschüttere ihn, dass „Christen auf
Christen schießen und dass die Mächtigen dies in der Absicht tun, damit
christliche Traditionen und Werte zu verteidigen". Der Bischof betonte:
„In einem erschreckenden Ausmaß wird Gott vor den Karren menschlicher
Machtinteressen gespannt. Das ist mit dem Gott und Vater Jesu Christi aber
nicht zu machen."
Dresden
Der
Dresdner Bischof Heinrich Timmerevers erklärte, der Friedenswunsch Jesu am
Ostermorgen sei „keine Floskel, sondern ein drängender Maßstab". Er
mahnte: „Wenn wir Sanktionen gegen Russland mittragen, dann nur, damit auf den
Frieden gedrängt wird. Wenn der Abwehrkrieg unterstützt wird, dann nur, damit
langfristig Frieden einziehen kann." In dem Krieg sei es wichtig, „dass
wir als Menschen, die Frieden suchen, beieinander bleiben - mit den Menschen in
der Ukraine, aber auch mit den Menschen in Russland". Timmerevers rief
dazu auf: „Lassen wir uns nicht hinreißen, aus Empörung über das Verbrechen
Russlands selbst zu Hassenden zu werden."
Görlitz
Der
Görlitzer Bischof Wolfgang Ipolt wandte sich direkt an den russischen
Präsidenten Wladimir Putin: „Wenn Sie am nächsten Sonntag, dem orthodoxen
Osterfest, zu einem Gottesdienst gehen, dann hoffe ich, dann hoffen die
Menschen in Europa und der ganzen Welt, dass der Gruß des Auferstandenen
'Friede sei mit euch' auch Ihr Herz verwandelt und Ihnen Gedanken des Friedens
schenkt. Darum bete ich auch für Sie".
Magedburg
Der
Magdeburger Bischof Gerhard Feige sagte mit Blick auf die Ukraine, es sei wohl
zu keiner Zeit leicht gewesen, die Freude und Hoffnung, die die Botschaft des
leeren Grabes bringen wolle, anzunehmen. Feige verwies zugleich auf die
Flüchtlingstragödien auf dem Mittelmeer, die Zehntausenden Corona-Toten und die
zahllosen Menschen, die tagtäglich Opfer der dramatischen Klimaveränderungen
werden. Sie dürften nicht vergessen werden.
Hamburg
Der
Hamburger Erzbischof Stefan Heße sieht Ostern auch als Fest der Bereitschaft zu
Veränderungen. In der Begegnung mit Jesu Botschaft könnten sich Menschen
weiterentwickeln und verändern. Auch in der Ukraine werde es ein Ende von
Gewalt und Kriegsverbrechen nur geben, wenn alle Beteiligten sich veränderten -
am besten in der Begegnung mit dem auferstandenen Herrn, „der vor uns hintritt
und uns begrüßt mit den Worten: Der Friede sei mit dir!".
Hildesheim
Der
Hildesheimer Bischof Heiner Wilmer rief zu Frieden und Versöhnung auf. „Ostern
heißt: Bei Gott ist das Leben stärker als der Tod, Versöhnung stärker als
Krieg, Liebe stärker als Hass." Die Auferstehung Jesu verändere die Kirche
und die Welt grundlegend. „An Ostern siegt die Gerechtigkeit."
Freiburg
Das
unsägliche Leiden von Menschen weltweit ist für den Freiburger Erzbischof
Stephan Burger nur in der christlichen Hoffnung auf Gott auszuhalten. „Wenn das
Leben mit all seinen Grausamkeiten einen Sinn haben soll, wenn der geschundene
Mensch überhaupt jemals eine Chance gehabt hat, dann nur deshalb, weil wir an
Ostern in das außergewöhnlichste Geheimnis des Lebens eintauchen dürfen",
sagte Burger im Freiburger Münster. Er rief dazu auf, nicht die Freude am
Glauben und an den biblischen Botschaften zu verlieren.
Rottenburg-Stuttgart
Der
Rottenburg-Stuttgarter Bischof Gebhard Fürst sagte, Jesus habe für sich keine
andere Macht als die der Liebe beansprucht. Damit „rüttelt er an den
Grundfesten der Despoten, Kriegstreiber und aller, die ihre Macht
missbrauchen". Der Bischof betonte, Gott bleibe Sieger über die Geschichte
allen menschlichen Leids: „Er verlässt uns nicht, sondern ist vor allem denen
nahe, die unendlich Leid und Schmerz ertragen müssen."
Speyr
Der
Speyerer Bischof Karl-Heinz Wiesemann sagte mit Blick auf die Ukraine: „Wir
können nicht tatenlos zusehen, wenn ein Volk brutal überfallen, wehrlose
Zivilisten gezielt hingerichtet, Familien ermordet, Krankenhäuser zerstört
werden - wenn bewusst alle Humanität mit Füßen getreten wird."
Auferstehung könne vor diesem Hintergrund wie eine Utopie erscheinen. Doch die
Osterbotschaft sei letztlich „der einzige Anker, um die fatalen Spiralen
unserer Welt zu durchbrechen".
Mainz
Der
Mainzer Bischof Peter Kohlgraf sieht Ostern als Anlass, zu „hoffen gegen jede
Hoffnung". Er sagte im Mainzer Dom: „Ängste überwinden, Zweifel nicht
verschweigen - das ist Ostern." Christen sollten Menschen sein, „die so
leben, dass andere sie nach ihrer Hoffnung fragen". In den biblischen Texten
der Kar- und Ostertage seien die Jüngerinnen und Jünger Jesu ebenfalls
"keine strahlenden Helden". Kohlgraf ergänzte: „Es macht die
Evangelien umso glaubwürdiger, als sie kein Heldenepos erzählen, sondern die
nackte Angst der Menschen damals benennen."
Fulda
Der
Fuldaer Bischof Michael Gerber rief zu Solidarität mit Geflüchteten aus der
Ukraine auf. Zugleich forderte er, aufmerksam dafür zu sein, wie die
ankommenden Menschen „uns bereichern können, mit ihren Erfahrungen, mit ihrer
Leidensgeschichte, aber auch mit ihrem beeindruckenden Durchhaltewillen und
Zusammenhalt", sagte er im Fuldaer Dom. „Das Leben, das von Ostern
ausgeht, ist stärker als alle Dynamik der Vernichtung."
Trier
Der
Trierer Bischof Stephan Ackermann sieht in der Osterbotschaft ein großes
Versprechen. „Gott bewahrt dich nicht vor allem, aber er rettet dich durch
alles hindurch: Durch deine Niederlagen, deine Enttäuschungen, deine Schmerzen,
ja selbst durch den Tod." Die biblischen Erzählungen der Osternacht täten
den „aufgerauten Herzen" gut und seien dennoch „keine naiven
Gutenachtgeschichten". Vielmehr halte man zwischendurch den Atem an, weil
spürbar sei, wie gefährdet und zerbrechlich die Schöpfung und das menschliche
Leben seien.
Aachen
Der
Aachener Bischof Helmut Dieser rief dazu auf, auf die Ergebnisse aktueller
kirchlicher Reformprozesse zu vertrauen. „Ich habe keine Angst vor Reformen,
die aus geistlicher Haltung, Übung und Gemeinschaft miteinander erbetet und
errungen werden", sagte er. „Viel schädlicher im Laufe der
Kirchengeschichte war es, wenn Reformen aus Angst und Kleinglaube unterdrückt
wurden." Die Auferstehung Jesu Christi zeige, dass seine Geschichte
weitergehe. „Sie hört mit keiner Gestalt der Kirche auf, die sie in ihrer langen
Geschichte immer wieder abstreifen musste wie eine Haut, die zu eng geworden
war."
Paderborn
Der
Paderborner Erzbischof Hans-Josef Becker wandte sich gegen Hass und Fanatismus.
Dem "fanatischen Hass rücksichtsloser Menschenverächter" setze Ostern
„ein entschiedenes Signal des uns von Gott erschlossenen Lebens entgegen".
Nationalismus und Fanatismus auch in Europa schürten die Ängste vieler Menschen
vor „unmenschlichen Zerstörern des Lebens und des Friedens". Becker
äußerte die Hoffnung, dass die Osterbotschaft sich durchsetzen möge.
Essen
Für
Ruhrbischof Franz-Josef Overbeck hat die katholische Kirche eine Zukunft, wenn
sie am Rand der Gesellschaft Präsenz zeigt. „Wo wir Flüchtlingen helfen, wo wir
ein Wort sprechen für die Rechte der Menschen, die sich um des Guten und des
Friedens willen verteidigen müssen, da stehen wir oft am Rand." Die Kirche
stehe immer weniger im Zentrum der Gesellschaft - auch, weil der
Missbrauchsskandal sie an den Rand geschoben habe.
Münster
Der
Münsteraner Bischof Felix Genn forderte, die Situation der Kirche nicht zu
beschönigen. In Gesellschaft, Politik und Kirche gebe es „viel Lüge und
Unaufrichtigkeit und vieles, was böse" sei. „Wir müssen uns dieser
Wahrheit stellen, dass Menschen der Kirche den Rücken kehren, dass wir weniger
werden, dass wir ratlos sind, weil wir nicht wissen, wie es weitergeht."
Die Botschaft von Ostern könne hier Trost spenden - weil Christus den Menschen
da begegnen wolle, wo sie weinten.
Passau
Der
Passauer Bischof Stefan Oster griff das Bild der „Neugeburt" auf. Die
Jünger Jesu hätten diese durch die Erfahrung erlebt, dass der Auferstandene
wirklich lebe. Deshalb sage Ostern den Menschen gleichfalls heute: „Mitten in
einer Welt, die von Krieg und Krisen bedroht ist - und in der auch so viele von
uns persönliche Leiderfahrungen machen müssen, mitten darin gibt es die
Möglichkeit eines Vertrauens, das tiefer ist und stärker als alles andere. Die
Hoffnung lebt, die Liebe lebt - der Himmel ist offen und sein Licht strahlt
auch in mein Leben hinein."
Würzburg
Der
Würzburger Bischof Franz Jung rief die Menschen dazu auf, Wunden als Teil der
Lebensgeschichte anzunehmen. „Wir sind verwundbar. Aber diese Verwundbarkeit
macht den Kern unserer Menschlichkeit aus." Dadurch "werden wir zu
mitfühlenden Menschen".
Eichstätt
Der
Eichstätter Bischof Gregor Maria Hanke appellierte an die Christen, die
österliche Botschaft auch zu den Menschen in die Ukraine und nach Russland zu
tragen. Das könne durch Gebete und konkrete Solidarität erfolgen.
Regensburg
Der
Regensburger Bischof Rudolf Voderholzer taufte vier Erwachsene im Dom mit neuem
Osterwasser und betonte: „Es ist eine große Freude und eine unglaubliche
Ermutigung, dass Sie sich als Erwachsene für den Weg mit Christus in der
Gemeinschaft der Kirche entschieden haben."
Augsburg
Der
Augsburger Bischof Bertram Meier erwartet deutliche Veränderungen im Leben
vieler Menschen. „Ich wage die Prognose: Um des Lebens willen werden wir wohl
den Gürtel enger schnallen müssen, wir werden ärmer. Wir müssen die Schöpfung
schützen", sagte er. „Wir können die Krisen von heute nicht lösen mit
unseren alten Schablonen." Der Bischof erinnerte daran, dass derzeit von
einer Zeitenwende oder Transformationen im Lebensstil gesprochen werde. „Ich
plädiere für eine 'Osterwende'. Bevor wir die Energiewende umsetzen, eine
Verkehrswende und anderes mehr, brauchen wir eine Wende im Herzen."
(kna
18)
Papst zu Ostern: Frieden ist die
vorrangige Verantwortung aller!
Nach
zwei Jahren Corona-Zwangspause hat Papst Franziskus am Sonntagvormittag erstmals
wieder die Ostermesse mit tausenden Gläubigen aus aller Welt auf dem
Petersplatz gefeiert. In seiner anschließenden Osterbotschaft vor dem Segen
„Urbi et Orbi" rief das Kirchenoberhaupt eindringlich zu Frieden auf. An
erster Stelle nannte Franziskus die „leidgeprüfte Ukraine", bevor er auf
weitere Kriege und Konflikte einging. Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt
Feierliche
Gesänge, tausende Gläubige, der Papst im Papamobil und der Petersplatz in
Blütenpracht: Die festliche Ostermesse mit Papst Franziskus war fast wie vor
Corona-Zeiten. Fast, denn auch der strahlend blaue Himmel konnte an diesem
Sonntagvormittag doch nicht vergessen lassen, dass es ein „Osterfest in
Kriegszeiten" war. In seiner Osteransprache vor dem „Urbi et Orbi"
ging Papst Franziskus dann auch als erstes auf den Krieg in der Ukraine ein. Er
sprach von einem „grausamen und sinnlosen Krieg, in den sie hineingezogen
wurde". Das Wort Russland kam dem Kirchenoberhaupt auch diesmal nicht über
die Lippen. Dafür mahnte der Papst erneut:
„Möge
man sich für den Frieden entscheiden. Man höre auf, die Muskeln spielen zu
lassen, während die Menschen leiden. Bitte, bitte, gewöhnen wir uns nicht an
den Krieg, setzen wir uns alle dafür ein, von unseren Balkonen und auf den
Straßen mit lauter Stimme den Frieden zu verlangen! Frieden! Diejenigen, die
für die Nationen Verantwortung tragen, mögen auf den Schrei der Menschen nach
Frieden hören. (...) In meinem Herzen trage ich all die vielen ukrainischen
Opfer, die Millionen von Flüchtlingen und Binnenvertriebenen, die
auseinandergerissenen Familien, die allein gelassenen alten Menschen, die
zerstörten Leben und die dem Erdboden gleichgemachten Städte. "
„Möge
man sich für den Frieden entscheiden. Man höre auf, die Muskeln spielen zu
lassen, während die Menschen leiden. Bitte, bitte, gewöhnen wir uns nicht an
den Krieg“
Im
Unterschied zur Osternacht stand der 85-jährige Papst diesmal der Messe auch
wieder persönlich vor. Eine Predigt hielt er jedoch nicht. Eindringlich
erinnerte das Kirchenoberhaupt in seiner anschließenden Osterbotschaft an die
weiteren Folgen von Kriegen:
„Liebe
Brüder und Schwestern, jeder Krieg hat Auswirkungen, welche die ganze
Menschheit betreffen: von den Todesfällen über das Flüchtlingsdrama bis hin zur
Wirtschafts- und Ernährungskrise, deren Vorboten bereits erkennbar sind.
Angesichts der anhaltenden Zeichen des Krieges wie auch der vielen
schmerzhaften Niederlagen des Lebens ermutigt uns Christus, der Sieger über
Sünde, Angst und Tod, nicht dem Bösen und der Gewalt nachzugeben. Brüder und
Schwestern, lassen wir uns vom Frieden Christi überwältigen! Friede ist
möglich, Friede ist eine Pflicht, der Friede ist die vorrangige Verantwortung
aller!“
„Brüder
und Schwestern, lassen wir uns vom Frieden Christi überwältigen! Der Frieden
ist möglich, der Frieden ist eine Pflicht, der Frieden ist die vorrangige
Verantwortung aller!“
Osterfest
in Kriegszeiten
Das
sagte Papst Franziskus nicht nur in Gedanken an die Ukraine. Das Leid des
Krieges in Europa erinnere zugleich an „andere Situationen der Spannung, des
Leids und des Schmerzes", die „allzu viele Regionen der Welt betreffen und
die wir nicht vergessen können und wollen", hatte er gleich zu Beginn
seiner Osterbotschaft klar gemacht. Konkret nannte das Kirchenoberhaupt zum
Beispiel den Nahen Osten. Als Zeichen der Hoffnung erwähnte er hier den jüngst
unterzeichneten Waffenstillstand in Libyen. Zugleich bat Franziskus auch um
Versöhnung für Myanmar und erinnerte an die Lage in Afghanistan. Auch für
Afrika wünschte sich der Papst Frieden. Konkret verwies er auf terroristische
Anschläge, die das Land „ausbluten" ließen. Auch an die Not der Opfer der
Überschwemmungen im Osten Südafrikas erinnerte Franziskus. Nachem er über
Probleme der Völker Lateinamerikas gesprochen hatte, ging Franziskus explizit
auf die Versöhnung der katholischen Kirche mit den „First Nations ein":
„Wir
bitten den auferstandenen Herrn, den Weg der Versöhnung zu begleiten, den die
katholische Kirche in Kanada mit den autochthonen Völkern eingeschlagen hat.
Der Geist des auferstandenen Christus heile die Wunden der Vergangenheit und
mache die Herzen bereit, die Wahrheit und die Geschwisterlichkeit zu
suchen."
Versöhnung
mit First Nations in Kanada
„Wir
bitten den auferstandenen Herrn, den Weg der Versöhnung zu begleiten, den die
katholische Kirche in Kanada mit den autochthonen Völkern eingeschlagen hat“
Papst
Franziskus hatte erst Anfang des Monats einige Delegationen von Indigenen,
Inuit, Métis und weitere Vertreter der autochthonen Völker im Vatikan
Empfangen. Der Vatikan und die katholische Kirche arbeiten mit ihnen gerade
gemeinsam eine erschütternde Vergangenheit auf: In so genannten „residential
schools“ , die in Kanada auch unter krichlicher Trägerschaft betrieben worden waren,
standen Umerziehung, Unterdrückung, Diskriminierung und Missachtung auf der
Tagesordnung. Nicht selten kam es zu Gewalt und Missbrauch. Papst Franziskus
kündigte auch eine Kanada-Reise an.
Franziskus
erinnerte in seiner Osterbotschaft, ausgehend von der Not der Flüchtlinge,
Migranten und Vertiebener, auch besonders an das Leid vieler Kinder weltweit:
„Ich
habe den Blick der Waisenkinder, die vor dem Krieg fliehen, vor meinen Augen.
Wenn wir sie betrachten, können wir nicht umhin, ihren Schmerzensschrei zu
hören, ebenso wie den der vielen anderen Kinder, die überall auf der Welt
leiden: derjenigen, die an Hunger oder mangelnder Versorgung sterben,
derjenigen, die Opfer von Missbrauch und Gewalt sind, und derjenigen, denen das
Recht verweigert wurde, geboren zu werden."
Glaube
und Hoffnung in Kriegszeiten
Angesichts
von so viel Schmerz und Leid auf aller Welt, falle es schwer, zu glauben, dass
Jesus wirklich auferstanden sei, gestand das Kirchenoberhaupt:
„Unsere
Blicke haben an diesem Osterfest in Kriegszeiten einen ungläubigen Ausdruck.
Wir haben zu viel Blutvergießen, zu viel Gewalt gesehen. (...) Es fällt uns
schwer zu glauben, dass Jesus wirklich auferstanden ist, dass er den Tod
wirklich besiegt hat. Ist es vielleicht eine Illusion? Das Ergebnis unserer
Einbildungskraft? (...) Wir brauchen den auferstandenen Gekreuzigten, um an den
Sieg der Liebe zu glauben, um auf Versöhnung zu hoffen. Heute brauchen wir ihn
mehr denn je, der zu uns kommt und uns erneut sagt: „Friede sei mit euch!“,
stellte der Papst fest.
Positiv
erwähnte Franziskus hingegen, Aufnahmebereitschaft und Solidarität mit
Flüchtlingen:
„Inmitten
des Schmerzes des Krieges fehlt es auch nicht an ermutigenden Zeichen, wie die
offenen Türen so vieler Familien und Gemeinschaften, die in ganz Europa
Migranten und Flüchtlinge aufnehmen. Seien diese vielen Taten der Nächstenliebe
ein Segen für unsere Gesellschaft, die durch so viel Egoismus und
Individualismus zuweilen verkommen ist. Mögen diese Taten dazu beitragen, die
Gesellschaft für alle aufnahmebereit zu machen."
„Inmitten
des Schmerzes des Krieges fehlt es auch nicht an ermutigenden Zeichen, wie die
offenen Türen so vieler Familien und Gemeinschaften, die in ganz Europa
Migranten und Flüchtlinge aufnehmen“
Zwei
Jahre Pandemie hätten „ihre Spuren hinterlassen" und die Menschen
eigentlich lehren sollen, dass es nur gemeinsam, Hand in Hand, aus
diesem „Tunnel" herausgehe, so Franziskus weiter. Stattdessen
herrsche jedoch vielerorts immer noch „Herzenshärte" und „brüdermörerischer
Hass" vor.
Besondere
Begleitung auf der Mittelloggia
Nach
der Messe und dem Verlesen seiner Osterbotschaft stand Papst Franziskus dann
wie vor Corona-Zeiten auf der Mittelloggia des Petersdoms um den
Segen „Urbi et Orbi" (der Stadt und dem Erdkreis) zu spenden. Neben
ihm stand jedoch nicht nur wie üblich der so genannte Kardinalprotodiakon
Renato Martino, sondern auch der vatikanische Flüchtlingsbeauftragte, Kardinal
Michael Czerny. Der Jesuit hatte im Auftrag des Papstes auch mehrere Male die
Ukraine und angrenzende Länder besucht. Bei der Ostersonntagsmesse auf dem
Petersplatz war zudem eine der Fürbitten - die zum Gedenken an die Verstorbenen
- auf Ukrainisch vorgetragen worden. (vatican news 17)
Papstinterview: „Welt hat Schema
Kains gewählt“
Der
Krieg in der Ukraine und die Kriege, die seit Jahren fast unbeachtet weltweit
toben, die Rolle der Frauen und die Flüchtlingsfrage, die Pandemie und die
Einsamkeit, aber auch die Weltlichkeit in der Kirche und die Einflüsterungen
des Bösen: In einem langen Interview für das italienische Staatsfernsehen RAI
hat Papst Franziskus seine Gedanken zu zahlreichen Themen mit den Zuschauern
der religiösen Sendung „A Sua immagine“ („Nach seinem Bild“) geteilt.
Die
Sondersendung wurde zu einer symbolträchtigen Zeit ausgestrahlt: Am Karfreitagnachmittag
gegen 15 Uhr, der Todesstunde Jesu. „Die Hoffnung im Belagerungszustand“ war
der Titel der Sondersendung, die im ersten Kanal des italienischen
Staatsfernsehens lief. Im Gespräch mit der Moderatorin Lorena Bianchetti wies
Franziskus deutlich darauf hin, dass nicht nur die Ukraine derzeit die Tragödie
einer bewaffneten Auseinandersetzung erlebt – auch wenn sich die Welt von
Tragödien in entwickelten Ländern stärker beeindrucken lasse.
Das
Schema Kains
„Aber
schauen wir doch einmal ein bisschen weiter weg. Die Welt ist im Krieg, die
Welt ist im Krieg!“ Syrien, Jemen, die vertriebenen Rohingya, aber auch der
Völkermord in Ruanda vor 25 Jahren sind nur einige der Konfliktherde, die
Franziskus in diesem Zusammenhang nannte. Die Botschaft war klar: „Die Welt hat
– es ist hart, das zu sagen – das Schema Kains gewählt, und der Krieg bedeutet,
den Kainismus ins Werk zu setzen, das heißt, den Bruder zu töten.“
Mit
dem Dämonen, dem absolut Bösen, dürfe man nicht in Dialog treten, das hat Papst
Franziskus bereits des Öfteren angemahnt. Doch dies bedeute nicht, dass man
nicht mit den Menschen sprechen solle, die vom Bösen infiziert seien, räumte
der Papst ein. Dies habe auch Jesus getan, der mit vielen Sündern sprach,
ebenso wie Gott stets bis zum Schluss versuche, uns zu retten, „denn in jedem
von uns hat er das Gute gesät“.
Franziskus
verwahrte sich in diesem Zusammenhang auch gegen den Vorwurf, zu viel vom Bösen
zu sprechen, denn dieses sei „Realität“, keine „Legende“, davon sei er
überzeugt. Gleichzeitig erscheine das Böse in seinen weltlichen Ausprägungen
den Menschen auf den ersten Blick attraktiver als das Gute: „Das Böse ist
verführerischer. (…) Wenn die Sünden hässlich wären, nicht etwas Schönes
hätten, dann würde niemand sündigen“, bringt es Franziskus auf den Punkt.
Alltägliche
Sünden
Sünden
seien nicht nur die Kriegstreiberei, mit der Leben zerstört wird, sondern auch
die alltäglichen, kleineren und größeren Vorteile, die man sich zu Lasten
anderer ergaunere, gab der Papst mit Blick auf sklavenähnliche Verhältnisse in
der Arbeitswelt zu bedenken. „Auch das ist ein Krieg, auch das heißt zerstören.
Nicht nur die Panzer.. auch das ist eine Zerstörung.“
Doch
warum versucht das Böse, uns zu zerstören? „Weil wir das Abbild Gottes sind.“
Doch ebenso habe jeder Mensch die Fähigkeit in sich, Zerstörung zu säen, so der
Papst mit Blick auf das von der Interviewerin vorgeschlagene Dostojewski-Zitat,
nach dem der Kampf zwischen Gott und dem Teufel im Herzen des Menschen stattfinde
(vg. Die Brüder Karamasow): „Deshalb braucht des diese Sanftmut, diese Demut,
zu Gott zu sagen: Ich bin ein Sünder, aber du rette mich, helfe mir!“ betont
Franziskus.
Gnade
des Weinens
„Schweige!
Angesichts des Schmerzes: Schweigen. Und Weinen.“
Eines
der Dinge, die er in seinem Leben gelernt habe, so der Papst im Verlauf des
Gesprächs weiter, sei es, dass man angesichts des Leidens anderer, sei es wegen
einer Krankheit oder anderer Tragödien, besser schweige. „Schweige!
Angesichts des Schmerzes: Schweigen. Und Weinen.“ Denn Weinen sei eine
„Gnade Gottes, angesichts unserer Schwächen, angesichts der Schwächen und der
Tragödien der Welt“. Es gelte, Gott um diese Gnade zu bitten.
Das
Interview wandte sich anschließend den Frauen zu, die, so Papst Franziskus,
„stark“ seien. „Die Frauen sind in der Lage, auch einem Toten das Leben
einzuhauchen“, zitierte der Papst ein ihm bekanntes Sprichwort, mit dem er
ausdrücken wollte, dass die Frauen die innere Stärke besitzen, die es ihnen
ermöglichte, auch unter dem Kreuz auszuharren.
Starke
Mütter
Er
selbst sei während seiner Zeit in Buenos Aires immer wieder mit dem Bus in ein
Armenviertel gefahren und dabei an einem Gefängnis vorbeigekommen, vor dem die
Frauen ungeachtet der verachtungsvollen Blicke der Passanten darauf warteten,
ihre inhaftierten Söhne zu besuchen: „Und sie hielten die demütigsten
Kontrollen aus, aber um ihre Söhne zu sehen. Die Kraft einer Frau, einer
Mutter, die in der Lage ist, ihre Kinder bis zum Ende zu begleiten.“ Es seien
die Frauen, die wüssten, was es bedeute, „Leben zu bereiten und was der Tod
ist. (…) Sie sprechen diese Sprache.“
Zugleich
seien es nur allzu oft die Frauen, die aus Rücksicht gegenüber ihrer Familie
schlimmes Leid stumm ertrügen, erinnerte der Papst. „Die Ausbeutung von Frauen
ist unser tägliches Brot. Die Gewalt gegen Frauen ist unser tägliches Brot.“
Doch
aus das Schicksal der Menschen, die sich durch Kriege und Armut zur Flucht aus
ihrer Heimat gezwungen sehen, wurde in dem Gespräch thematisiert. Es sei wahr,
dass man die Flüchtlinge in zwei Kategorien teile, eine „erste Klasse“ und eine
„zweite Klasse“ und auch nach Hauptfarben, klagte Franziskus ein. „Wir sind
Rassisten. Und das ist hässlich“. Auch Jesus sei ein Flüchtling gewesen, gab
der Papst zu bedenken, lenkte seine Gedanken dann aber auf den „Dritten
Weltkrieg in Stücken“, der viele dieser Fluchtbewegungen erst verursache.
Selbstverteidigung
„Ich
verstehe die Regierenden, die Waffen einkaufen“
„Der
Krieg ist eine Scheußlichkeit!“, so der Papst, dem beim Gedanken an die vielen
jungen Soldaten, die jungen Leben, die durch die Kriege ausgelöscht werden, nur
„zum Weinen“ zumute sei. Er verstehe allerdings die Regierenden, die Waffen
einkauften, räumte der Papst ein. „Ich rechtfertige sie nicht, aber ich
verstehe sie. Denn wir müssen uns verteidigen, denn das ist das kainische
Schema des Krieges. Wenn es ein Friedensschema wäre, wäre dies nicht nötig.“
Viele der Kriege fänden überhaupt weit weg von der Aufmerksamkeit der
Weltgemeinschaft statt. Auch wenn die Anstrengungen für Frieden nicht fehlten,
so hätten wir doch „die Sprache des Friedens“ vergessen, klagt Franziskus: „Man
spricht von Frieden. Die Vereinten Nationen haben alles versucht, aber sie
hatten keinen Erfolg.“
Vielleicht
brauche es gerade die Frauen, die in dieser Logik des Krieges auf die
Einflüsterungen der Macht nicht hereinfielen, so der Papst mit Blick auf eine
der verborgenen Frauen der Bibel, in diesem Fall die Frau des Pilatus, die ihm
rät, sich nicht mit Jesus anzulegen. „Aber Pilatus hört nicht auf sie.“ „Es
braucht die Frauen, die Alarm schlagen.“
Einsamkeit,
nicht nur in der Corona-Pandemie
In
der Corona-Pandemie, und nicht nur während dieser Zeit, seien es vor allem die
Alten, die unter Einsamkeit litten, sowie die jungen Leute, denen die Hoffnungen
beschnitten würden, nahm das Gespräch eine weitere Wende. „Aber es sind die
Jungen und die älteren Menschen, die in der Hand und im Herz die Möglichkeit
haben, zu reagieren: deshalb dränge ich so sehr darauf, dass die Jungen und die
Alten miteinander in Dialog treten.“ Auch einen der wohl eindrücklichsten
Momente der Pandemie, das einsame Gebet auf dem Petersplatz am 27. März 2020,
ließ der Papst in dem Interview Revue passieren: „Ich wusste nicht, dass der
Platz leer sein würde. Ich bin dort angekommen und keiner war da. Ich wusste,
dass mit dem Regen wenige Leute da sein würden, aber keiner… Es war eine
Botschaft des Herrn, um die Einsamkeit recht zu verstehen. Die Einsamkeit der
Alten, die Einsamkeit der Jungen, die wir alleine lassen…“ Jeder habe seine
„kleinen Einsamkeiten“, in denen man die „Einsamkeit Jesu“, die „Einsamkeit des
Kreuzes“ nachempfinden könne.
Weltlichkeit
als Gefahr für die Kirche
Doch
er selbst habe sich während der Ausübung seines Papstamtes nie wirklich allein
gefühlt. Gott sei „sehr großzügig“ mit ihm gewesen, so ein sichtlich
aufgeräumter Papst zu seiner Interviewerin. Immer, wenn er sich etwas
„Häßlichem“ gegenübergesehen habe, habe er ihm Hilfe geschickt. „Vielleicht,
weil er weiß, dass ich es allein nicht schaffe“, so Franziskus mit einem
Lachen.
Die
größte Gefahr für die Kirche heute sei die „Weltlichkeit“, so Franziskus. Auch
am Gründonnerstag hatte er in der Chrisammesse die mitfeiernden Priester vor
Verweltlichung gewarnt. Weltlichkeit, so bemerkte Franziskus, gehe immer mit Geld
einher: „Denn die Weltlichkeit ist anziehend, und wenn die Kirche dem Geist der
Weltlichkeit verfällt, ist sie besiegt.“ Es sei allerdings in Ordnung, Geld zu
benutzen, um „Gutes zu tun“ oder die Familie dank der eigenen Arbeit zu
ernähren. Jeden Morgen bete er zum Erzengel Michael, auf dass er ihm helfe, den
Teufel zu überwinden. „Ich habe Angst vor ihm, deshalb muss ich mich sehr
verteidigen. Der Teufel, der alles getan hat, damit Jesus am Kreuz endet.“
Kiew?
„Nur Gebet und Weinen“
Anschließend
kehrte das Gespräch wieder zum Krieg in der Ukraine zurück. Kiew sei nicht mehr
nur ein geographischer Ort, sondern viel mehr, so die Journalistin, die
gleichzeitig fragte, was die Stadt für Franziskus bedeute. „Einen Schmerz“, so
die Antwort des Kirchenoberhauptes. Körperliche Schmerzen könne man betäuben,
aber für moralische Schmerzen gebe es keine Schmerzmittel: „Nur das Gebet und
das Weinen“. Man müsse Gott um die Gnade bitten, weinen zu können, nahm
Franziskus einen Gedankengang von Beginn des Gesprächs wieder auf. „Wir haben
vergessen zu weinen.“ Wie viele Menschen haben angesichts der Kriegsgräuel,
nicht nur des aktuell in der Ukraine tobenden Krieges, Tränen vergossen?,
fragte der Papst: „Einige ja, da bin ich sicher, aber vielen ist es nicht
gelungen.“
An
diesem Karfreitag wandte sich Franziskus an das Herz eines jeden Menschen:
„Angesichts des Gekreuzigten, lass dein Herz berühren, lass zu, dass er mit
seinem Schweigen und seinem Schmerz zu dir spricht.“
Doch
wie könne man all den Menschen vergeben, die Böses tun, die Unschuldige töten
und die nicht nur physisch, sondern auch psychisch Schmerzen zufügen? Die
Vergebung entspringe einer göttlichen Wurzel, so die Antwort des Papstes. „Wenn
ich nicht dieses Böse getan habe, dann nur, weil er mich mit seiner Hand, mit
seiner Barmherzigkeit davon abgehalten hat. Deshalb kann ich niemanden
verurteilen, der um Vergebung bittet. Ich muss immer vergeben. Das kann jeder
von uns von sich selbst sagen.“
Die
Hoffnung nicht verlieren
„Die
Hoffnung enttäuscht nie, sondern sie lässt dich warten.“
Diejenigen,
die im Zug der Pandemie ihre Arbeit verloren hätten, sollten nicht verzweifeln,
so der Papst auf eine entsprechende Frage: „Das Schlüsselwort ist Hoffnung. Die
Hoffnung enttäuscht nie, sondern sie lässt dich warten.“ Das Interview schließt
mit den Osterwünschen des Papstes: „Mein Wunsch ist es, die Hoffnung nicht zu
verlieren“. Die wahre Hoffnung, die nicht enttäusche, sei es, „um die Gnade zu
bitten, zu weinen“, aber „Tränen der Freude, des Trostes, Tränen der Hoffnung“,
so das Kirchenoberhaupt. Das Interview endete gegen 15 Uhr, mit der
abschließenden Frage der Journalistin, wie diese Stunde zu leben sei. Die
Antwort des Papstes: Beredtes Schweigen. (vn 15)
Via Crucis: Unter dem Kreuz der
heutigen Tage und aller Zeiten
Papst
Franziskus hat an diesem Karfreitagabend wieder die traditionelle
Kreuzweg-Andacht am Kolosseum in Rom geleitet. Die Meditationen für die 14
Stationen stammten von Familien, die jeweils auch als Kreuzträger fungierten.
Kurzfristig änderte der Vatikan den Text zur 13. Station, der von einer
ukrainischen und einer russischen Familie stammte. Gudrun Sailer - Vatikanstadt
Fackeln,
Kerzen, Passionsgesänge und an die 10.000 Mitbetende: Es war eine „Via Crucis“
fast wie vor der Corona-Pandemie, die an diesem Karfreitagabend am Kolosseum
unter Vorsitz von Papst Franziskus gebetet wurde. Die erste in dieser Form seit
2019: In den vergangenen beiden Jahren fand die „Via Crucis“ wegen der
Gegebenheiten der Corona-Pandemie auf dem Petersplatz und fast ohne Volk statt.
Im
Jahr der Familie, das Franziskus für die Weltkirche ausgerufen hat, lud der
Papst 15 Familien dazu ein, die 14 Kreuzwegmeditationen zu verfassen. Die Texte
bildeten ein breites Spektrum ab. Zum Zug kamen – eine Station nach der anderen
- ein junges Ehepaar, eine Familie in Mission, ein älteres Ehepaar ohne Kinder,
eine Großfamilie, eine Familie mit einem behinderten Kind, eine andere, die
eine Wohngruppe leitet, eine Familie mit einem kranken Elternteil, ein
Großelternpaar, eine Familie mit adoptierten Kindern, eine Witwe mit Kindern,
eine Familie mit einem Sohn, der Priester ist und eine andere, die eine Tochter
verloren hat. Die 13. Station – Jesus stirbt am Kreuz – war zwei Familien
anvertraut: einer aus der Ukraine und einer aus Russland. Die letzte Station
schließlich übernahm eine Migrantenfamilie. Sie alle stellten ihre Ängste und
ihre Hoffnungen unter das Kreuz der heutigen Tage und aller Zeiten.
Vatikan
ersetzt Meditationstext der 13. Station
„Im
Angesicht des Todes sagt Stille mehr als Worte. Halten wir also in betender
Stille inne und beten wir alle in unserem Herzen für den Frieden in der
Welt", hieß es kurz und bündig an der 13. Station, jener, die auf den
Krieg gegen die Ukraine verweist. Der Vatikan hatte die ursprünglich hier
vorgesehene Meditation kurz vor Beginn des Kreuzwegs durch den letztendlich
verlesenen Kurztext ersetzt. Wie vorgesehen, trugen aber die beiden Frauen aus
Russland und der Ukraine gemeinsam das Kreuz.
Dieser
Sachverhalt sowie auch die ursprünglich vorgesehene Meditation waren in der
Ukraine teils auf Unverständnis gestoßen, was wiederum im Vatikan für
Bestürzung sorgte. Im Christentum steht das Kreuz für die Überwindung von
Spaltung und Hass und für die gemeinsame Erlösung. Kiews Großerzbischof
Swjatoslaw Schewtschuk hatte den Meditationstext als wenig religiös kritisiert,
einige Stellen darin könnten für Menschen in der Ukraine sogar beleidigend
klingen, so der griechisch-katholische Großerzbischof.
Von
Kindersitzen und Kreidetafeln
Hoffnung
sprach aus allen 14 Kreuzweg-Meditationen. „Die Liebe wird real, weil wir in
unseren Abgründen und unseren Schwierigkeiten nicht allein gelassen werden“,
hieß es in der Meditation einer Familienmutter, die erst den Ehemann und dann
die jüngste Tochter verloren hat. Das Großelternpaar, das vor zwei Jahren in
den Ruhestand ging, den Schwiegersohn in die Corona-Arbeitslosigkeit und die
Tochter in die Scheidung gehen sah und auf einmal fünf Enkelkinder im Haus
hatte, schrieb in seiner Meditation auch ganz konkret vom neuen Kindersitz und
der Kreidetafel, die angeschafft wurde, damit Oma und Opa keinen Termin
vergessen. „Unser Schritt wird oft langsam und nachts, nach all dem Lächeln,
weinen wir vor Mitleid. Aber ,Sauerstoff‘ für die Familien unserer Kinder zu
sein, ist ein Geschenk, das uns an die Gefühle erinnert, die wir empfanden, als
sie noch klein waren. Man hört nie auf, Mama und Papa zu sein.“
„Wir
sind ein Funke und Du bist das Feuer“
Die
Eltern mit dem Sohn, der Priester wurde, führten an der elften Station „Jesus
verspricht dem guten Schächer das Himmelreich“ auf den Golgota. Sie waren
anfangs nicht glücklich über die Berufung ihres Sohnes. „Wir waren gegen ihn.
Wir haben ihn im Stich gelassen. Wir dachten, dass unsere Kälte ihn dazu
bringen würde, seinen Schritt zu überdenken.“ Sie seien sich irgendwann
vorgekommen wie die beiden Verbrecher auf den Kreuzen links und rechts von
Jesus. „Aber wir haben verstanden, dass man nicht gegen Dich kämpfen kann“,
hieß es in der Meditation weiter. „Wir sind ein Krug und Du bist das Meer. Wir
sind ein Funke und Du bist das Feuer. Und so bitten wir dich, wie der gute
Schächer, dass du an uns denkst, wenn du in dein Reich kommst.“
„Unterwegs
haben wir Frauen und Kinder, Freunde, Brüder und Schwestern sterben gesehen.
Wir sind hier als Überlebende“, hieß es in der Meditation der Migrantenfamilie
für die letzte Station, die der Grablege Jesu. „Wir werden als Belastung
empfunden. Doch wir sind Menschen", so das aus dem Kongo stammende Ehepaar,
das zwei kleine Söhne hat. „Wir sind wegen unserer Kinder hier. Wir sterben
jeden Tag für sie, damit sie hier versuchen können, ein normales Leben zu
führen, ohne Bomben, ohne Blut, ohne Verfolgung… Wenn wir nicht resignieren,
dann deshalb, weil wir wissen, dass der große Stein vor der Tür des Grabes
eines Tages weggerollt werden wird."
„Wir
werden als Belastung empfunden. Doch wir sind Menschen“
In
der Weltkirche läuft derzeit das Jahr der Familie. Franziskus hat vergangenes
Jahr auch den Welttag der Senioren und Großeltern in den kirchlichen Kalender
eingefügt. Das nächste Weltfamilientreffen findet in Rom am von 22. bis 26.
Juni statt, der zweite Welttag der Großeltern wird jeweils am vierten
Sonntag im Juli gefeiert.
Der
Kreuzweg als Andachtsform entstand in Jerusalem. Bereits die frühen Christen
suchten die Orte der Passion Christi auf, um dort zu beten, sich das Leiden und
Sterben des Herrn zu vergegenwärtigen und die Hoffnung auf die Auferstehung zu
bezeugen. Die Andachtsform der „Via Crucis“ wurde von Franziskanern den ab dem
14. Jahrhundert nach und nach in der ganzen Welt verbreitet. Besonders in den
Kartagen beten Gläubige auf aller Welt den Kreuzweg. (vn15)
Offener Brief von Skeptikern des
„Synodalen Wegs“
74
Bischöfe aus mehreren Teilen der Welt kritisieren den Reformprozess der
katholischen Kirche in Deutschland. In einem „brüderlichen Brief“, der in der
„Neuen Zürcher Zeitung“ veröffentlicht wurde, äußern sie die Befürchtung, der
„Synodale Weg“ könnte eine Spaltung der Kirche zur Folge haben.
Die
meisten der Unterzeichner stammen aus den USA; unter ihnen sind der frühere
Kurienkardinal Raymond Burke und Erzbischof Charles Chaput von Philadelphia.
Aus Australien hat der frühere Kurienkardinal George Pell den Offenen Brief
unterzeichnet; ein Gleiches taten auch viele Bischöfe aus afrikanischen
Ländern, darunter der frühere Kurienkardinal Francis Arinze aus Nigeria und
Kardinal Wilfried Napier aus Südafrika.
Die
Autoren räumen ein, dass es „die Notwendigkeit von Reform und Erneuerung“ in
der Kirche gebe: „Das Verlangen danach ist prinzipiell lobenswert und kein
Grund zur Angst.“ Viele der am deutschen Reformprozess Beteiligten seien
„zweifellos von den besten Absichten geleitet“. Doch drohe der „Synodale Weg“
in eine „Sackgasse zu führen“.
Sieben
Kritikpunkte
Der
Brief nennt sieben Kritikpunkte. Erstens überhöre der deutsche Reformprozess
„die Stimme des Heiligen Geistes und des Evangeliums“. Zweitens seien seine
Texte weniger „vom Wort Gottes und der Tradition“ und mehr „von soziologischen
Analysen und zeitgenössischen politischen Ideologien, einschließlich der
Genderideologie, inspiriert“. Drittens trete auf dem „Synodalen Weg“ ein
fehlgedeutetes Verständnis christlicher Freiheit zutage; viertens fehle „die
Freude des Evangeliums“, fünftens sei der Prozess zu „bürokratielastig“, „nach
innen gerichtet“, sechstens gehe es zu sehr um „Macht“. Und siebtens drohe der
Prozess die Idee der „Synodalität“ bei den Gläubigen in Misskredit zu bringen.
Die
genannten Kritikpunkte decken sich teilweise mit den Vorbehalten der
Bischofskonferenzen Polens und Nordeuropas, die schon zuvor den „Synodalen Weg“
kritisiert hatten. Die Reform führe „unweigerlich“ zu einem „drohenden Schisma
im Leben der Kirche“.
Bätzing
warnt vor „Weiter so“
Im
„Synodalen Weg“ beraten deutsche Bischöfe und Laienvertreter seit 2019 über die
Zukunft der katholischen Kirche. Ausgangspunkt ist eine jahrelange
Kirchenkrise, die der Missbrauchsskandal verschärft hat. In der Debatte geht es
vor allem um die Themen Macht, Priestertum und Sexualmoral sowie um die Rolle
der Frauen in der Kirche. Für September ist die vierte Synodalversammlung
geplant, die fünfte und letzte für März 2023.
Der
Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, hat den
Reformprozess in den vergangenen Monaten immer wieder auch gegen Kritik aus der
Weltkirche verteidigt. Nach dem Missbrauchsskandal würde ein einfaches „Weiter
so“ die katholische Kirche zerstören, schrieb er zuletzt in einem Antwortbrief
auf ein Schreiben der Nordischen Bischofskonferenz. Zugleich wies der Limburger
Bischof Sorgen vor einer Anpassung an den Zeitgeist und einem Ausscheren der
deutschen Katholiken aus der Weltkirche zurück.
(nzz 13)
Papst: „Friede Jesu überwältigt
andere nicht“
Jesu
Friede überwältigt nicht und ist schon gar nicht bewaffnet. Darüber hat der
Papst am Mittwoch bei der Generalaudienz gesprochen. Dabei geißelte er den
Krieg als „Frevel an Gott“. Anne Preckel – Vatikanstadt
Jesus,
der auf einem Esel-Fohlen feierlich in Jerusalem einreitet: Von diesem Bild
ging Papst Franziskus in seiner Katechese aus, um über die Sanftmut und Milde
dieses „Königs“ zu sprechen, an den große Erwartungen geknüpft wurden: Er möge
Jerusalem vor der römischen Besatzung befreien, den sozialen Frieden
wiederherstellen, die Massen mit Brot speisen und große Wunder vollbringen und
mehr Gerechtigkeit in die Welt bringen, zählte der Papst auf. Allein in der
vatikanischen Audienzhalle hörten ihm etwa 7000 Menschen zu.
„Aber
Jesus spricht nie von so etwas. Er hat ein anderes Ostern vor sich“, entgegnete
er dann. „Das Einzige, was ihn bei der Vorbereitung seines Einzugs in Jerusalem
interessiert, ist ,ein Fohlen, auf dem noch nie ein Mensch gesessen hat‘ (V.
30). So bringt Christus den Frieden in die Welt: durch Sanftmut und Milde,
symbolisiert durch das angebundene Fohlen, auf dem noch nie jemand geritten
ist.“
Nicht
allein eine Pause zwischen den Kriegen
„„Frieden
hinterlasse ich euch, meinen Frieden gebe ich euch; nicht, wie die Welt ihn
gibt, gebe ich ihn euch“ (Joh 14,27).“
Gottes
Art, die Dinge zu tun, sei „anders als die der Welt“, machte Franziskus
deutlich. Das habe Jesus seinen Jüngern versucht klarzumachen. „Der Friede, den
Jesus uns an Ostern schenkt, ist nicht der Friede, der den Strategien der Welt
folgt, die glaubt, ihn durch Gewalt, Eroberung und verschiedene Formen des
Zwangs erreichen zu können“, führte der Papst aus: „Dieser Frieden ist in
Wirklichkeit nur eine Pause zwischen den Kriegen. Der Friede des Herrn folgt
dem Weg der Sanftmut und des Kreuzes.“
Dieser
Friede sei nicht „Frucht irgendeines Kompromisses“, sondern entstehe aus
Hingabe und Selbstopfer, so Franziskus. Es sei ein „sanfter und mutiger
Friede“, den die Welt nicht verstand – denn die Menge, die Jesus erst feierte
und lobte, rief ein paar Tage später schon zur Kreuzigung auf.
Mit
einer weiteren Szene, diesmal aus dem Werk „Die Brüder Karamasow“ des
russischen Schriftstellers Dostojewski, machte der Papst dann noch deutlicher,
um was es hier geht: Frieden nicht aus Macht, sondern aus Hingabe.
Dostojewskis
Legende vom Großinquisitor erzählte von der Rückkehr Jesu auf die Erde. Wieder
wird er bejubelt, doch dann vom Inquisitor verhaftet, der die weltliche Logik
vertritt. Er tadelt und verurteilt Jesus dafür, dass dieser „den Menschen
lieber in Freiheit ließ, als ihn zu unterjochen und seine Probleme mit Gewalt
zu lösen“, so Franziskus.
Friede
Jesu ist niemals ein bewaffneter Friede
„Das
ist die Täuschung, die sich in der Geschichte wiederholt: Die Versuchung eines
falschen, auf Macht basierenden Friedens, der dann zu Hass und Verrat an Gott
führt.“
Jesus
hätte den Frieden in der Welt herstellen können, „indem er das freie, aber
unsichere Herz des Menschen mit der Kraft einer höheren Macht beugt. - Aber er
wollte es nicht“, so der Papst. Er sei gerade nicht der „Versuchung eines
falschen, auf Macht basierenden Friedens, der dann zu Hass und Verrat an Gott
führt“, verfallen.
Auch
ließ sich Jesus vom Inquisitor nicht zu bitteren Worten verleiten, sondern
küsste ihn sogar sanft auf seine Lippen. Dazu Franziskus:
„Der
Friede Jesu überwältigt andere nicht, er ist niemals ein bewaffneter Friede.
Die Waffen des Evangeliums sind das Gebet, die Zärtlichkeit, die Vergebung und
die unentgeltliche Liebe zum Nächsten, zu jedem Nächsten. So bringen wir den
Frieden Gottes in die Welt. Deshalb ist die bewaffnete Aggression dieser Tage,
wie jeder Krieg, ein Frevel an Gott, ein gotteslästerlicher Verrat am Herrn von
Ostern, der sein sanftmütiges Gesicht dem des falschen Gottes dieser Welt
vorzieht.“
Mit
Blick auf das Osterfest rief der Papst dann alle Christen dazu auf, „vom
weltlichen Gott zum christlichen Gott überzugehen, von der Gier, die wir in uns
tragen, zur Liebe, die uns befreit, von der Erwartung eines gewaltsam
herbeigeführten Friedens zur Verpflichtung, den Frieden Jesu konkret zu
bezeugen“:
„Stellen
wir uns vor den Gekreuzigten, die Quelle unseres Friedens, und bitten wir ihn
um Frieden im Herzen und Frieden in der Welt.“ (vn 13)
Mainzer Bischof begründet
umfassende Pfarreienreform
Bischof
Peter Kohlgraf hat die bevorstehende tiefgreifende Pfarreienreform im Bistum
Mainz gerechtfertigt. Die nach Ostern beginnende Errichtung von 46
Pastoralräumen sei notwendig, „weil wir das in dieser Kleinteiligkeit, wie das
Bistum Mainz derzeit unterwegs ist, auf Dauer nicht hätten bewältigen können“,
sagte Kohlgraf am Dienstag im Interview der Katholischen Nachrichten-Agentur
(KNA) in Mainz.
Bisher
existieren 134 „Pfarrgruppen“ und „Pfarreiräume“ im Bistum Mainz. Die Gründung
der 46 Pastoralräume dient als Vorstufe zur Gründung von 46 größeren Pfarreien,
die jeweils aus Netzwerken von Gemeinden und Kirchorten wie Caritas oder
Kindertagesstätten gebildet werden sollen.
Am
28. April würden die 46 Pastoralräume offiziell errichtet, das werde der
„Startschuss“, so der Bischof. Bis 2030 sollen die neuen Pfarreien gegründet
sein. „In manchen Regionen ist der Prozess schon fortgeschritten, andere werden
- auch emotional - länger brauchen“, so Kohlgraf. Die erste Neugründung einer
solchen großen Pfarrei sei für das Jahr 2024 vorgesehen.
Die
46 Pastoralräume würden jeweils durch Teams geleitet - mit je einem Pfarrer an
der Spitze. Bei einer „professionalisierten Form von Seelsorge“ könne man sich
nur als Team aufstellen, sagte Kohlgraf. „Das Bild des Pfarrers als
Einzelkämpfer ist passé.“
Künftig
solle auch nicht jede Gemeinde alles machen müssen, sondern Schwerpunkte bilden
können. „Man sollte immer fragen: Wie kann man den Geist jedes Kirchortes am
besten nutzen?“, so Kohlgraf. Der Mainzer Dom könne zum Beispiel ein
musikalischer Schwerpunkt und zentrale Beichtkirche mit seelsorglicher
Begleitung werden. Andere Kirchen könnten einen Predigtschwerpunkt bekommen,
wieder andere einen spirituellen oder liturgischen Fokus. (kna 12)
Generalaudienz: Papst beklagt Ohnmacht
der UNO im Ukraine-Krieg
Bei
der Generalaudienz an diesem Mittwoch, die eigentlich einer Bilanz seiner Reise
nach Malta gewidmet war, hat Franziskus erneut ein flammendes Plädoyer für den
Frieden in der Ukraine gehalten. „Heute wird zwar oft von „Geopolitik“
gesprochen, doch dabei geht es leider meist nur um die Behauptung und
Ausweitung des jeweils eigenen wirtschaftlichen, ideologischen und
militärischen Einflussbereichs.“ Silvia Kritzenberger - Vatikanstadt
„Malta
steht für das Recht und die Stärke der 'Kleinen': jene Nationen, die zwar klein
sind, aber reich an Geschichte und Kultur; Nationen, die für Respekt und
Freiheit, das Miteinander der Unterschiede eintreten sollten, im Gegensatz zur
Kolonisierung durch die Mächtigen. Und genau das sehen wir jetzt,“ warnte
Franziskus mit Blick auf den Krieg in der Ukraine. „Nach dem Zweiten Weltkrieg
hat man zwar versucht, die Grundlagen für eine neue Geschichte des Friedens zu
legen, doch wir lernen ja leider ja nie dazu, und dann hat sich leider doch die
alte Geschichte der konkurrierenden Großmächte fortgesetzt. Und auch jetzt
erleben wir mit, wie ohnmächtig die Organisation der Vereinten Nationen im
aktuellen Krieg in der Ukraine ist.“
Eigentlich
geht es bei seiner aktuellen Katechesenreihe ja um den Sinn und Wert des
Alters, an diesem Mittwoch hielt der Papst aber - wie nach seinen
Auslandsreisen üblich – einen Rückblick auf seinen zweitägigen Besuch in
Malta am vergangenen Wochenende. Der Besuch des Papstes war besonders dem
Thema Migration gewidmet. Der Inselstaat Malta ist ja wie Italien und
Griechenland ein Hauptziel von Migranten, die über das Mittelmeer nach Europa
wollen.
Der
90jährige Leiter des Migrantenzentrums...
Migranten
seien keine Zahlen, sondern Menschen, Träger „eines Reichtums, der unendlich
größer ist als die Probleme, die ihre Aufnahme mit sich bringen kann“, betonte
Franziskus mit Verweis darauf, dass schließlich auch Europa aus Migration
entstanden sei. Einen nachdrücklichen Eindruck hat bei Franziskus das Treffen
mit Migranten im Migrantenzentrum „Johannes XXIII.“ hinterlassen, das von einem
90-jährigen Franziskanermönch geleitet wird. Den Ordensmann lobte der Papst als
Beispiel für apostolischen Eifer und Liebe zu den Migranten. Auf Malta hatte
der Papst erneut für eine solidarische Aufnahme von Mittelmeerflüchtlingen und
eine geteilte Verantwortung Europas bei dieser Herausforderung geworben.
„Natürlich
muss diese Aufnahme organisiert und geregelt werden - doch zuvor, als erster
Schritt, muss sie auf internationaler Ebene gemeinsam geplant werden,“
präzisierte das Kirchenoberhaupt bei seiner Generalaudienz. „Da das
Migrationsphänomen nicht auf einen Notfall reduziert werden kann, ist es ein
Zeichen unserer Zeit, und als solches muss es auch betrachtet und interpretiert
werden. Es kann ein Zeichen des Konflikts oder ein Zeichen des Friedens sein.
Das hängt von uns ab. Jene Menschen, die das Zentrum Johannes XXIII. in Malta
ins Leben gerufen haben, haben sich für das Christentum entschieden und es
deshalb Peace Lab – Friedenslabor – genannt,“ so Franziskus.
Evangelisierung
und christliche Freude
Ein
weiteres wichtiges Thema des Papstbesuchs auf Malta war die Evangelisierung und
die damit verbundene christliche Freude. An dieser Stelle erinnerte der Papst
an seinen Besuch im Nationalheiligtum Ta' Pinu auf der Insel Gozo, an dem er
„den Herzschlag des maltesischen Volkes“ gespürt habe, das so viel Vertrauen in
seine heilige Mutter setze.
„Maria
bringt uns immer wieder zum Wesentlichen zurück, zu Christus, der für uns - für
uns! - gekreuzigt wurde und auferstanden ist, zu seiner barmherzigen Liebe.
Maria hilft uns, die Flamme des Glaubens neu zu entfachen, indem sie aus dem
Feuer des Heiligen Geistes schöpft, der von Generation zu Generation die
freudige Verkündigung des Evangeliums belebt, weil es die Freude der Kirche
ist, zu evangelisieren! Vergessen wir den Satz des hl. Papstes Pauls VI. nicht:
Die Freude der Kirche ist die Evangelisierung. Das dürfen wir nicht vergessen,“
so der Wunsch des Heiligen Vaters.
Abschließend
dankte Franziskus noch allen, die die Reise vorbereitet und zu ihrem Gelingen
beigetragen haben: „Wir säen, der Herr aber lässt die Saat aufgehen. In seiner
unendlichen Güte schenke er dem maltesischen Volk reiche Früchte des Friedens!“
(vaticannews 6)
Papst Franziskus auf Malta: Eine
Umarmung für Migranten
„Ihr
seid keine Zahlen, ihr seid Menschen aus Fleisch und Blut.“ Das sagte Papst
Franziskus am Sonntagabend bei einem Treffen mit Migranten und Flüchtlingen auf
Malta. „Hier müssen wir wieder ansetzen: bei den Menschen und ihrer Würde.“ Stefan
von Kempis – Vatikanstadt
Der
letzte Termin des Papstes auf der Insel Malta war wohl auch der emotionalste:
Franziskus, der selbst Nachfahre italienischer Auswanderer nach Argentinien
ist, traf in einem Aufnahmezentrum Migranten und Flüchtlinge – die meisten von
ihnen aus Somalia, Eritrea und dem Sudan. Dutzende von auf Malta Gestrandeten
nahmen an der Begegnung unter freiem Himmel teil, viele schossen Fotos vom
hohen Gast aus Rom.
Der
mittlerweile 90-jährige Franziskaner, der das Zentrum in den Siebzigern
gegründet hat (heute wird es von Freiwilligen betrieben), ließ sich vom Papst
in aller Seelenruhe Zeitungen und ein weißes Käppchen signieren. Als Franziskus
dann trotz deutlicher Schwierigkeiten beim Gehen, wie sie schon am Samstag
offenkundig geworden waren, einzelne Migranten begrüßte, war im Gedränge nicht
viel von Corona-Schutzmasken zu sehen - die Menschen hier haben schon ganz
anderes durchgemacht.
„Ich
habe meine Heimatstadt vor 5 Jahren verlassen“, erzählte dem Papst ein
Nigerianer namens Daniel, mit Rastafrisur und gelbem Stirnband. „Nach
13 Tagen kamen wir in der Wüste an. Als wir die Wüste durchquerten, kamen wir
an toten Menschen und Tieren, ausgebrannten Autos und leeren Wasserkanistern
vorbei. Nach 8 traumatischen Tagen in der Wüste erreichten wir Libyen.“ Aber
das Gelobte Land war das nicht – eher im Gegenteil. „Wer den Schlepperbanden
noch Geld schuldete, wurde solange eingesperrt und gefoltert, bis sie ihre
Schulden bezahlten. Einige verloren ihr Leben, andere ihren Verstand. Ich hatte
das Glück, das mir das nicht passiert ist.“
Daniels
Geschichte
Mehrmals
versuchte Daniel vergeblich, Platz auf einem Schiff nach Europa zu bekommen.
Dann gelang es ihm schließlich: „Ich stieg in ein 2x10 m breites Gummiboot; wir
waren über 100 Personen. Wir segelten über 17 Stunden lang übers Meer, bis wir
von einem italienischen Schiff gerettet wurden. Unsere Freude war groß! Die
Menschen knieten nieder, um Gott zu danken - nur um zu erfahren, dass das
Schiff wieder zurück nach Libyen fuhr. Wir wurden der libyschen Küstenwache
übergeben und in das Gefangenenlager von Ain Zara gebracht. Der schlimmste Ort,
den man sich vorstellen kann.“
Neun
Monate später: ein neuer Anlauf. Bei der Überfahrt werden zwei Personen über
Bord gespült und ertrinken. „Wir waren alle zu Tode erschrocken“, berichtet
Daniel. „Damals hatte ich fast jede Hoffnung verloren. Ich schlief ein und
wollte nur noch sterben.“ Diesmal landete er mit seinen Gefährten in Tunesien.
Dort habe er mit Zahnpasta „Gib nicht auf“ an die Wand seines Zimmers
geschrieben. Ein weiterer Versuch der Überfahrt gelang schließlich: Nach drei
Tagen auf See sei er in Malta angekommen. „Es war das sechste Mal, dass ich
Schlepper bezahlt hatte.“
„Ich
bin fast verrückt geworden. ‚Warum?!‘, habe ich Gott in diesen Nächten immer
wieder gefragt“
„Als
uns die maltesische Küstenwache rettete, war meine Freude groß. Ich konnte es
nicht glauben! Freudentränen flossen mir übers Gesicht. Mein Traum war endlich
wahr geworden! Aber die Freude war nur von kurzer Dauer, denn noch in der
Nacht, in der wir ankamen, wurden wir für 6 Monate in ein Internierungslager
gesteckt. Ich bin fast verrückt geworden. ‚Warum?!‘, habe ich Gott in diesen
Nächten immer wieder gefragt.“ Er denke heute noch oft an seine Brüder und
Schwestern, die noch im Internierungslager seien, ganz hier in der Nähe.
„Leider haben auch heute noch viele Menschen, die vor Krieg und Hunger fliehen,
eine ähnliche Geschichte wie ich.“
Papst
Franziskus hörte Daniels Schilderungen sichtlich bewegt zu. In seiner Rede
wiederholte er dann Worte, die er im Dezember 2021 auf der griechischen
Flüchtlingsinsel Lesbos gesagt hat: „Ich bin hier, um euch zu sagen, dass ich
euch nahe bin… Ich bin hier, um eure Gesichter zu sehen und euch in die Augen
zu schauen.“ Er hoffe, dass Malta für alle, die an seinen Küsten landen,
wirklich „ein sicherer Hafen“ sei und dass die Ankömmlinge dort – wie vor 2.000
Jahren der hl. Paulus – mit „ungewöhnlicher Menschenfreundlichkeit“ behandelt
würden.
„Wie
können wir uns vor diesem Schiffbruch retten, der das Schiff unserer
Zivilisation zu versenken droht?“
„Tausende
von Männern, Frauen und Kindern haben in den letzten Jahren im Mittelmeer
Schiffbruch erlitten. Und leider war es für viele von ihnen eine tragische
Erfahrung... Aber es gibt noch einen anderen Schiffbruch, während diese
Ereignisse stattfinden: Es ist der Schiffbruch der Zivilisation, der nicht nur
die Flüchtlinge, sondern uns alle bedroht. Wie können wir uns vor diesem
Schiffbruch retten, der das Schiff unserer Zivilisation zu versenken droht?
Indem wir uns menschenfreundlich verhalten. Indem wir die Menschen nicht als
Zahlen betrachten, sondern als das, was sie sind, nämlich Gesichter,
Geschichten, einfach Männer und Frauen, Brüder und Schwestern. Und daran zu
denken, dass an der Stelle der Person, die ich im Fernsehen oder auf einem Foto
auf einem Boot oder im Meer sehe, ich sein könnte, oder mein Sohn oder meine
Tochter...“
Der
Traum des Papstes
Franziskus
erinnerte „an die Abertausenden von Menschen, die in den letzten Tagen
gezwungen waren, wegen dieses ungerechten und brutalen Krieges aus der Ukraine
zu fliehen“, und an so viele andere Migranten in vielen Teilen der Welt. Und er
sprach von seinem „Traum“, dass Migranten, die eine gute Aufnahme in ihrem
Gastland erlebt hätten, ihrerseits „zu Zeugen und Förderern der Aufnahme und
der Geschwisterlichkeit werden“. „Das ist der Traum, den ich mit euch teilen
möchte und den ich in Gottes Hände lege.“
„Lasst
uns auf die Herausforderung der Migranten und Flüchtlinge im Stil der
Menschenfreundlichkeit antworten, lasst uns Feuer der Geschwisterlichkeit
entzünden, an denen sich die Menschen wärmen, aufrichten und neue Hoffnung
schöpfen können. Lasst uns die Netze der sozialen Freundschaft und die Kultur der
Begegnung stärken, ausgehend von Orten wie diesem, die zwar nicht perfekt sind,
aber ‚Laboratorien des Friedens‘ darstellen.“ (vn 3)