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    Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania  - redazione: T. Bassanelli    - Webmaster: A. Caponegro  IMPRESSUM

 

Notiziario religioso 21 giugno – 15 settembre 2024

 

Inhaltsverzeichnis

1.     La gioia del Vangelo e le sfide da affrontare. 1

2.     Card. Zuppi (Cei): “Il nuovo Parlamento europeo riconosca il diritto d’asilo”. 1

3.     Papa Francesco: “Preghiamo tutti i giorni per la pace”. 1

4.     L'importanza di pregare con i Salmi 1

5.     Finanze Vaticane: meno dipendenti e meno clienti, ma più raccolta. 1

6.     Come annunciare il Kerygma? La risposta da 150 catechisti di Marche ed Umbria. 1

7.     Informazione religiosa: tre sfide. 1

8.     Il Card. Zuppi sulla Terra Santa: “Due Popoli, Due Stati”. 1

9.     Il Teatro del Cielo si interroga sulla fede con la "Sfida di Gerusalemme". 1

10.  Fiducia e perseveranza. XI Domenica del Tempo Ordinario. 1

11.  La festa di Sant'Antonio a Padova. Il pellegrinaggio, la storia. 1

12.  Identità cristiana e Islam.. 1

13.  Perché la Chiesa si interessa di intelligenza artificiale?. 1

14.  Papa al G7: la tecnologia, traccia della nostra ulteriorità. 1

15.  "Ridere ma senza offendere i sentimenti religiosi dei credenti". 1

16.  Chiesa senza confini, chiesa sconfinata. Sfide e opportunità per le comunità di altre lingue e riti 1

17.  "I movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali". 1

18.  Monaco di Baviera. Deceduta suor Zaira. L’amore che non finisce qui 1

19.  “La preghiera del povero sale verso Dio”: il tema della VIII Giornata Mondiale dei poveri 1

20.  Setta, come esperienza estrema di comunità. 1

21.  Patriarca d’Occidente: perché è stato riutilizzato questo titolo?. 1

22.  Islam, prospettive. Intervista a p. Körner, noto islamologo. 1

23.  Celebrazione della Solennità del Corpus Domini a Kempten. 1

24.  La "lectio divina" e un Vangelo tascabile a portata di mano. 1

25.  "Durante le omelie la gente si addormenta". 1

26.  IOR, il lavoro per la trasparenza finanziaria e le sfide del presente. 1

27.  Papa Francesco in Campidoglio: "Roma riscopra il suo carattere universale". 1

28.  Vescovi, Zdk e Caritas preoccupati. “Aumento populisti segno di crisi”. 1

29.  Commento alla X Domenica del Tempo Ordinario. 1

30.  Papa Francesco: "Gesù era un uomo libero". 1

31.  "Nella musica e nella Chiesa ognuno è chiamato a fare bene la sua parte”. 1

32.  Che progetto portano le nuove Famiglie Ecclesiali?. 1

33.  Quando il sacerdote va in pensione. Voltare pagina, che difficile! 1

34.  A settembre un documento sul Sacro Cuore. 1

35.  Il nome con cui lo Spirito Santo è chiamato nella Bibbia. 1

36.  Nuovo documento ad un mondo che sembra aver perso il cuore. 1

37.  Lasciare che il debito soffochi i paesi è un peccato. 1

38.  Le strutture economiche della Santa Sede. 1

39.  Perché la Chiesa celebra il Sacro Cuore di Gesù nel mese di giugno?. 1

40.  “L’incontro con il migrante è incontro con Cristo”. 1

41.  Il Papa ai Focolarini: "Lo Spirito apre sentieri di dialogo e incontro, a volte sorprendenti". 1

42.  Papa Francesco, “sentiamoci in cammino con i migranti”. 1

43.  “L’Eucaristia è l’unico vero farmaco capace di guarire le ferite dell’uomo”. 1

 

 

1.     Papst: Augsburger Ökumene-Erklärung „Zeichen der Hoffnung“. 1

2.     Spenden für „Kirche in Not" rückläufig. 1

3.     Engelbert Kolland und Carlo Acutis werden bald heiliggesprochen. 1

4.     Papst ruft zum Gebet für Flüchtlinge, China und Frieden auf 1

5.     Jahrestagung Weltkirche und Mission zum Umgang mit kolonialem Erbe. 1

6.     Interview. ZdK-Vize Söding: „Modell, das auch weltkirchlich akzeptiert ist“. 1

7.     Papst: Hassrede raubt Menschenwürde. 1

8.     Cusanuswerk hat den Ludwig-Erhard-Preis 2024 in Bronze erhalten. 1

9.     Experte: Papst hat ethische Dimension von KI ins Zentrum gerückt 1

10.  Kirchengebäude in Deutschland. Positionierung von EKD und Deutscher Bischofskonferenz. 1

11.  Das Evangelium mit Geduld und Zuversicht aussäen. 1

12.  „Wir gehen voran auf dem Synodalen Weg“. Synodaler Ausschuss richtet Kommissionen ein. 1

13.  Zuppi beim Caritas Baby Hospital in Bethlehem: „Inakzeptables Leid“. 1

14.  Nächste Schritte in kirchlicher Reformdebatte gesetzt. 1

15.  Papst Franziskus: „Einbeziehung der Armen in Unternehmen nötig“. 1

16.  Theologin Sattler sieht Vatikan-Papier zum Papstamt positiv. 1

17.  Synodal Kirche sein. Zweite Sitzung des Synodalen Ausschusses hat begonnen. 1

18.  Kein Witz: Papst gewährt 105 Comedians Audienz. 1

19.  Papst mahnt beim G7-Gipfel: Künstliche Intelligenz braucht mehr Ethik. 1

20.  Ökumenischer Gottesdienst zur Eröffnung der UEFA Euro 2024. „Erleben von Gemeinschaft“. 1

21.  Neues Ökumene-Dokument: Bischof von Rom als Diener der Einheit 1

22.  Vatikanisches Dokument „Der Bischof von Rom“. Bischof Feige: Arbeitsaufträge an Kirche und Theologie. 1

23.  Koch: „Primat des Papstes ist Dienst und wird synodal ausgeübt“. 1

24.  Papstbotschaft zum 8. Welttag der Armen: Wortlaut. 1

25.  Leitartikel: Überdenken des Primats im ökumenischen Sinn. 1

26.  Österreich: Bischöfe wünschen sich synodale Gesprächskultur überall 1

27.  Papst: Krieg ist immer eine Niederlage, vom ersten Tag an. 1

28.  Papst zu Besuch auf dem römischen Kapitol 1

29.  Deutscher EU-Bischof zur Wahl: Kirche hat klaren Auftrag. 1

30.  EU-Wahl: Bischofskommission COMECE ordnet die Ergebnisse ein. 1

31.  Anfangskapitel der Bibel in Leichter Sprache online. 1

32.  „Demokratie braucht die Kirchen“. 1

33.  Vatikan: Kritische Anfragen an israelische Regierung. 1

34.  Erzbischof Heße in Kenia. „Verschließen wir nicht die Augen vor der Not der Schutzsuchenden in Ostafrika!“. 1

35.  Kirche ist wie ein Chor, in dem man alle Stimmen braucht. 1

36.  „Wir widersprechen, weil wir glauben“. 1

37.  Kardinal Woelki fordert ethische Standards beim Einsatz von KI 1

38.  Herz-Verehrung hat eine lange spirituelle Tradition. 1

39.  Bischof Feige, der Heilige Geist und die Kosaken. 1

40.  Kardinal Woelki zum Digitaltag. „Einsatz von KI in Wissenschaft und Kultur an ethischen Standards ausrichten“. 1

41.  Für die Schwächsten der Gesellschaft: Sr. Rosa Roccuzzo und die Ursulinen. 1

42.  DBK: Bischöfe wollen Theologie an staatlichen Unis erhalten. 1

43.  Papst: „Strukturen sind nicht die Substanz“. 1

44.  Bedeutung der Theologie in der Gesellschaft. 1

45.  Papst erinnert an Ende der Nazi-Besetzung Roms vor 80 Jahren. 1

46.  Papst kündigt Schreiben zum Heiligsten Herzen Jesu an. 1

47.  Generalaudienz: Der Heilige Geist macht wirklich frei 1

48.  Papst an Fokolar-Präsidentin: „Ich bete viel für Ihr Heimatland”. 1

49.  "Zukunft hat der Mensch des Friedens". 1

50.  Papst: Begegnung mit Migranten ist Begegnung mit Christus. 1

51.  „Solidarisch an der Seite der Schutzsuchenden in Ostafrika“. 1

52.  Erfurter Katholikentag endet mit Aufruf: „Dem Hass widerstehen!". 1

53.  Eucharistische Lebenshaltung im Alltag entwickeln. 1

54.  „Zukunft hat der Mensch des Friedens“. 103. Deutscher Katholikentag in Erfurt beendet. 1

55.  Bischof Jung: „Katholikentag darf keine Blase sein“. 1

56.  Papst an die Acli: Treue zur Demokratie und Friedenstiftung sind notwendig. 1

57.  Anselm Grün: Ein Signal der Hoffnung. 1

 

 

 

La gioia del Vangelo e le sfide da affrontare

 

Sono trascorsi dieci anni dal primo documento di papa Francesco, Evangelii gaudium. L’esortazione apostolica, che in verità si presenta innovativa anche nel genere letterario e nello stile, ha il suo primo guadagno teologico-pastorale nel ricentrare l’identità e la missione della Chiesa sull’essenziale, che è l’annuncio del Vangelo.

Il messaggio è chiaro sin dal suo incipit:

«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù… In questa esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni» (EG 1).

Siamo allora invitati a chiederci se davvero, nella Chiesa italiana, è stata innescata quella trasformazione necessaria per rimettere il Vangelo al centro, ritrovare la gioia della fede e affrontare le sfide presenti e future del cristianesimo.

Un inizio di conversione pastorale

Evangelii gaudium ha il merito di accendere i riflettori su una necessaria conversione pastorale della Chiesa, in chiave evangelizzatrice e missionaria. Sin dal primo capitolo, il papa ci esorta al cambiamento della mentalità pastorale, perché la Chiesa diventi «in uscita» (cf. EG 20).

Si tratta di passare da una semplice pastorale della conservazione a una pastorale missionaria che non deve essere ossessionata dalla trasmissione disarticolata di dottrine, ma concentrarsi «sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario» (EG 35). E ciò richiede di abbandonare i criteri pastorali che mirano solo a conservare l’esistenza, per «ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (EG 33).

In diverse diocesi e territori italiani si incontrano piccole e grandi comunità che da Evangelii gaudium sono state messe in moto e si intravedono alcuni segnali incoraggianti: una rinnovata vivacità del Popolo di Dio, il desiderio di approfondire la fede oltre le sue forme convenzionali e devozionali, qualche coraggioso tentativo di innovazione nei linguaggi e nelle prassi pastorali; allo stesso tempo, però, sembra che l’ampio respiro in cui il documento voglia far entrare la Chiesa intera sia rallentato da una certa timidezza nella sua ricezione e da un certo affanno nell’individuare percorsi e strumenti utili al cambiamento.

Potremmo dire che c’è un inizio di conversione pastorale, ma permangono alcune questioni su cui sarebbe utile riflettere proprio alla luce della novità che emerge da Evangelii gaudium.

Sguardo

Una prima questione è la lettura parziale della realtà, che talvolta impedisce all’esortazione di papa Francesco di innescare trasformazioni reali. Si tratta di una lettura del contesto socio-culturale che, di fatto, afferma l’esistenza di un substrato tutto sommato cattolico e cristiano, tanto da non rendersi necessario nessun cambiamento davvero radicale.

Il passaggio che forse Evangelii gaudium ci chiede di fare è proprio questo: convincerci della necessità di un’evangelizzazione essenziale partendo dalla consapevolezza che il tempo della cristianità è finito ed è tramontato l’humus cristiano delle famiglie e della società che, in passato, garantiva una certa trasmissione della fede.

Ciò metterebbe in moto soprattutto i pastori e gli operatori pastorali nella direzione di un rinnovamento del «modello parrocchia», che invece generalmente procede con la sua pastorale classica e tradizionale, trovandosi con scarse energie e poco spazio per l’annuncio del Vangelo a chi è lontano o ha bisogno di riscoprire in modo nuovo la fede.

Presenza

In questa prospettiva, la seconda questione riguarda la crisi della trasmissione della fede, che invoca un nuovo modello di comunità non più centrata sul ministero del prete, ma capace di un effettivo coinvolgimento responsabile del laicato, cosicché il rinnovamento pastorale possa generare nuovi spazi di annuncio del Vangelo e proposte innovative per coloro che sono lontani e indifferenti alla fede.

Papa Francesco scrive, tra le altre cose, «sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato perl’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (EG 27).

Questo sogno, tuttavia, invoca una nuova modalità di presenza ecclesiale sul territorio e, soprattutto, una nuova centralità della Parola di Dio e un’evangelizzazione capace di favorire un incontro vivo con Gesù.

Linguaggi

Nondimeno, un tale cambiamento invoca – terza questione – un rinnovamento dei linguaggi della spiritualità e della pastorale, che non riguarda banalmente le sole tecniche di comunicazione, ma tutto ciò che riguarda stili, le posture, i gesti, le parole dell’annuncio, il quale, a volte, può risultare moralistico, noioso, opprimente, imprigionato nella tentazione di ridurre la potenza liberante del Vangelo a una serie di norme da osservare o a forme di pietà sentimentaliste e devozionali.

Dunque, quale Parola annuncia davvero il Vangelo? Quale parola riesce davvero a comunicare la bellezza della buona notizia, il cui centro è «il Dio che ha manifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto» (EG 11)?

Il Dio che Gesù ci ha rivelato è – come ha scritto splendidamente Bonhoeffer – Colui che

«dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”… Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia»[1].

Questo è il Dio che viene annunciato e predicato nelle nostre Chiese e il cui Volto benedetto e benedicente emerge dalle nostre prassi pastorali? Non bisogna forse ammettere che

«forse è giunto il tempo di abbandonare molte di quelle parole pie che abbiamo continuamente sulle nostre bocche e sui nostri stendardi. Queste parole, a causa di un uso continuo, spesso troppo superficiale, sono consumate, usurate, hanno perso il loro significato e il loro peso, si sono svuotate, diventando leggere e facili. Altre, invece, sono sovraccariche, rigide e arrugginite; sono diventate troppo pesanti per riuscire a esprimere il messaggio del Vangelo, la buona novella»[2].

Conclusione

Si tratta di questioni, sfide e domande aperte, che certamente non intendono oscurare quanto di buono e di bello, sulla scorta di Evangelii gaudium, in questi anni è nato anche in Italia.

Esse vogliono però incalzarci, secondo le stesse parole che papa Francesco ha rivolto ai suoi confratelli gesuiti il 24 ottobre del 2016:

«Credo che l’Evangelii gaudium vada approfondita, che ci si debba lavorare nei gruppi di laici, di sacerdoti, nei seminari, perché è l’aria evangelizzatrice che oggi la Chiesa vuole avere. Su questo bisogna andare avanti… Vi raccomando l’Evangelii gaudium, che è una cornice… L’Evangelii gaudium è la cornice apostolica della Chiesa di oggi».

Per la Chiesa italiana, allora, è ancora tempo di riflettere, di approfondire e, seguendo l’impulso dello Spirito, di cambiare.  Francesco Cosentino

[1] D. Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita, Queriniana, Brescia 2004, 12s.

[2] T. Halík, Pazienza con Dio, Vita e Pensiero, Milano 2020, 23.

Vita pastorale 6/2024. Sett.News 20

 

 

 

Card. Zuppi (Cei): “Il nuovo Parlamento europeo riconosca il diritto d’asilo”

 

“Mi auguro che il nuovo Parlamento europeo riconosca davvero il diritto d’asilo”. A esprimere l’auspicio è stato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, intervenendo all’evento “La forza dell’esclusione”, organizzato dall’Unhcr, presso la sede romana della Luiss, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. “Ogni volta che si mette in discussione un diritto è un pericolo per tutti”, il monitoraggio del cardinale: “Se non siamo capaci di accogliere la fragilità, diventiamo stranieri in casa nostra”. “Combattere l’illegalità con la legalità”, la proposta del presidente della Cei, che ha citato anche la campagna della Chiesa italiana “Liberi di partire, liberi di restare”. “Il che significa – ha proseguito – fare sistema, chiarezza nelle regole e nella loro applicazione, consapevolezza che l’umanitario non è una concessione ma un diritto”.

“Il nostro è un mondo dove i rifugiati non sono i benvenuti”. Zuppi ha fatto riferimento a quel “grande cimitero che è diventato il Mar Mediterraneo, diventato da ‘mare nostro’ a ‘mare morto’, di cui sembra che nessuno si prenda cura”. I rifugiati, ha fatto notare il cardinale, “vengono spesso dipinti come nemici: non darò mai il benvenuto a una persona di cui ho paura, lo guarderò sempre con diffidenza”. In questo modo, l’analisi di Zuppi, “sembra che il rifugiato perda di umanità, divenendo vittima del pregiudizio e di caricature”. Tra le buone pratiche da incrementare, il presidente della Cei ha citato “i corridoi umanitari, i corridoi lavorativi e i corridoi universitari”. “Ne abbiano un estremo bisogno”, ha commentato: “Vengo da una Regione dove il 30 per cento dei prodotti agricoli non viene raccolto per mancanza di manodopera. Un mondo dove i rifugiati sono i benvenuti è un mondo più bello per tutti: cominciamo da noi”. M. Michela Nicolais, sir 19

 

 

 

Papa Francesco: “Preghiamo tutti i giorni per la pace”

 

Papa Francesco ha concluso l'udienza di oggi, dedicata ai Salmi, con un ennesimo appello per la pace. Nella Giornata mondiale del Rifugiato, l'invito "ad accogliere, promuovere, accompagnare e integrare quanti bussano alle nostre porte". Infine, l'esortazione a pregare per il "caro popolo cinese" - M. Michela Nicolais

“Continuiamo a pregare per la pace. La guerra sempre è una sconfitta sin dall’inizio. Preghiamo per la pace nella martoriata Ucraina, in Terra Santa, in Sudan, Myanmar e dovunque si soffre per la guerra. Preghiamo tutti i giorni per la pace”. È appello di Papa Francesco al termine dell’udienza di oggi in piazza San Pietro, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana. Poi il riferimento alla Giornata mondiale del rifugiato, che si celebra oggi: “Siamo tutti chiamati ad accogliere, promuovere, accompagnare e integrare quanti bussano alle nostre porte. Gli Stati si adoperino per assicurare condizioni umane e facilitare progetti di integrazione”. Infine l’invito a pregare per il “caro popolo cinese, questo popolo nobile e così coraggioso, che ha una cultura così bella”.

“Io sulla mia scrivania ho un’edizione in ucraino del Nuovo Testamento e dei Salmi, da un soldato morto in guerra, che mi è stato inviato. E lui pregava, nel fronte, con questo libro”, ha rivelato a braccio il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, dedicata ai salmi, “una grande sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo”.

“Tutti i Libri della Bibbia sono ispirati dallo Spirito Santo, ma il Libro dei Salmi lo è anche nel senso che è pieno di afflato poetico”, ha spiegato Francesco: “I salmi hanno avuto un posto privilegiato nel Nuovo Testamento. Infatti, vi sono state e vi sono ancora edizioni che contengono insieme il Nuovo Testamento e i Salmi”. “Non tutti i salmi – e non tutto di ogni salmo – può essere ripetuto e fatto proprio dai cristiani e ancor meno dall’uomo moderno”, ha precisato il Papa, poiché “riflettono, a volte, una situazione storica e una mentalità religiosa che non sono più le nostre”, ma “questo non significa che non sono ispirati. Ciò che più raccomanda i salmi alla nostra accoglienza è che essi sono stati la preghiera di Gesù, di Maria, degli apostoli e di tutte le generazioni cristiane che ci hanno preceduto”.

“Io mi domando: voi pregate con i Salmi, qualche volta?

Prendete la Bibbia, il Nuovo Testamento, e pregate un salmo? Per esempio, quando siete tristi per aver peccato pregate il Salmo 50?”, ha chiesto a braccio il Papa alla folla di pellegrini riunita in piazza San Pietro: “Ci sono tanti salmi che ci aiutano ad andare avanti”, ha assicurato ancora fuori testo: “Prendete l’abitudine di pregare con i salmi. Io vi assicuro che sarete felici!”. “Non possiamo solo vivere dell’eredità del passato: è necessario fare dei salmi la nostra preghiera”, il monito: “È stato scritto che, in un certo senso, dobbiamo diventare noi stessi autori dei salmi, facendoli nostri e pregando con essi . Se ci sono dei salmi, o solo dei versetti, che ci parlano al cuore, è bello ripeterseli e pregarli durante il giorno.

I salmi sono preghiere per tutte le stagioni: non c’è stato d’animo o bisogno che non trovi in essi le parole migliori per trasformarli in preghiera”. Secondo Francesco, infatti, “i salmi ci aiutano ad aprirci a una preghiera meno centrata su noi stessi: una preghiera di lode, di benedizione, di ringraziamento; e ci aiutano anche a farci voce di tutto il creato, coinvolgendolo nella nostra lode”.

I salmi, in sintesi, “ci permettono di non impoverire la nostra preghiera riducendola solo a richieste, a un continuo ‘dammi, dacci..’”. “Impariamo dal Padre nostro, che prima di chiedere il pane quotidiano dice: ‘Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà’””, l’invito: “Lo Spirito Santo, che ha regalato alla Chiesa Sposa le parole per pregare il suo Sposo divino, ci aiuti a farle risuonare nella Chiesa di oggi, e a fare di questo anno preparatorio al Giubileo una vera sinfonia di preghiera”. Sir 19

 

 

 

L'importanza di pregare con i Salmi

 

Città del Vaticano. Il Papa continua il nuovo ciclo di catechesi “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”, incentrando la sua riflessione sul tema "Lo Spirito insegna alla Sposa a pregare. I Salmi, sinfonia di preghiera nella Bibbia". "Con la catechesi di oggi vorrei ricordare che la Chiesa possiede già una sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo, ed è il Libro del Salmi", commenta il Papa in Piazza San Pietro.

"Come in ogni sinfonia vi sono in esso vari “movimenti”, cioè vari generi di preghiera: lode, ringraziamento, supplica, lamento, narrazione, riflessione sapienziale, e altri, sia nella forma personale sia in quella corale di tutto il popolo", spiega subito il Pontefice.

"I salmi hanno avuto un posto privilegiato nel Nuovo Testamento. Io ho un’edizione in ucraino di un soldato morto in guerra, lui pregava al fronte con questo libro", spiega Francesco. "Ciò che più raccomanda i salmi alla nostra accoglienza è che essi sono stati la preghiera di Gesù, di Maria, degli Apostoli e di tutte le generazioni cristiane che ci hanno preceduto. All’uso dei salmi nel Nuovo Testamento fa seguito quello dei Padri e di tutta la Chiesa, che ne fa un elemento fisso nella celebrazione della Messa e nella Liturgia delle ore", aggiunge ancora Papa Francesco.

"Voi pregate con i Salmi? Per esempio quando siete tristi per aver peccato? Ci sono tanti Salmi che ci aiutano ad andare avanti, io vi assicuro che sareste felici", il consiglio del Papa.

"Ma non possiamo solo vivere dell’eredità del passato: è necessario fare dei salmi la nostra preghiera", questa la raccomandazione del Pontefice.

"Se ci sono dei salmi, o solo dei versetti, che ci parlano al cuore, è bello ripeterseli e pregarli durante il giorno. I salmi sono preghiere per tutte le stagioni. I salmi ci permettono di non impoverire la nostra preghiera riducendola solo a richieste, a un continuo “dammi, dacci...”. I salmi ci aiutano ad aprirci a una preghiera meno centrata su noi stessi: una preghiera di lode, di benedizione, di ringraziamento; e ci aiutano anche a farci voce di tutto il creato, coinvolgendolo nella nostra lode", conclude il Pontefice.

Nell'Udienza generale di oggi, durante i saluti in lingua italiana, il primo pensiero del Papa è per la Giornata Mondiale del Rifugiato che si celebra domani. E come sempre un pensiero per la pace.

"Domani ricorre la Giornata Mondiale Rifugiato promossa dalle Nazioni Unite, possa essere un'occasione per rivolgere uno sguardo attento e fraterno a tutti coloro che sono costretti a fuggire dalle loro case in cerca di pace e sicurezza, siamo tutti chiamati ad accogliere, promuovere, accompagnare e integrare quanti bussano alle nostre porte, prego affinchè gli Stati si adoperino a facilitare i processi di integrazione", dice il Papa.

Poi il "saluto all’Associazione “Amici del Cardinale Celso Costantini”, accompagnati dal Vescovo della Diocesi di Concordia-Pordenone Giuseppe Pellegrini, in occasione dei 100 anni dal Concilium Sinense di Shangai". "Preghiamo sempre per il popolo cinese, popolo nobile e coraggioso che ha una cultura così bella, preghiamo per il popolo cinese", commenta a braccio il Pontefice.

"E continuiamo a pregare per la pace, la guerra sempre è una sconfitta dall'inizio, in Ucraina, in Terra Santa, in Sudan, Myanmar e dovunque si soffre per la guerra. Preghiamo tutti i giorni per la pace", continua ancora il Pontefice.

"Saluto cordialmente i polacchi. Ringraziando il Signore per il nuovo beato, martire del comunismo, don Micha Rapacz, preghiamo affinché la sua testimonianza diventi un segno di consolazione da parte di Dio, in questi tempi segnati dalle guerre. Il suo esempio ci insegni ad essere fedeli a Dio, a rispondere al male con il bene, a contribuire nell’edificazione di un mondo fraterno e pacifico. Beato don Micha?, intercedi per la Polonia e per ottenere la pace nel mondo!", questo invece il saluto del Papa in lingua polacca.  Veronica Giacometti, Aci 19

 

 

 

Finanze Vaticane: meno dipendenti e meno clienti, ma più raccolta

 

La cosiddetta “banca vaticana” presenta il rapporto 2023. Si contano meno dipendenti e meno clienti e un utile netto che sale a 30,6 milioni. Cresce il TIER 1, la componente primaria del patrimonio di una banca - Di Andrea Gagliarducci

Città del Vaticano. Più utili netti (30,6 milioni), una donazione alla Santa Sede di poco più di 13 milioni di euro, 3,2 milioni di euro destinati a opere di beneficenza. L’Istituto delle Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, continua la sua opera di assestamento, e presenta un rapporto annuale che vuole mostrare come l’Istituto sia all’avanguardia sul fronte della finanza cattolica e solido finanziariamente.

Nessuna presentazione, nessun annuncio per il rapporto dell’Istituto delle Opere di Religione 2023. Sono passati dieci anni da quando la cosiddetta “banca vaticana” lanciava il suo primo rapporto, con grande enfasi e pubblicità, mentre oggi, dopo una fluttuazione degli utili al ribasso (non si è più raggiunta la cifra record degli 86,6 milioni di utili del 2012) e dopo tre processi che hanno coinvolto l’Istituto – con una condanna per mala gestio di ex dirigenti apicali che è ora in appello e che ha sollevato alcuni dubbi negli osservatori indipendenti, un sequestro a due altri dirigenti apicali condannati per peculato e autoriciclaggio e anche la costituzione come parte civile al processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato – la parola d’ordine sembra essere quella di essere meno visibili possibili, continuare attività regolare, e cercare di dimostrare, come dice il titolo del comunicato stampa pubblicato ma non inviato alle redazioni, che “lo IOR è tra le istituzioni finanziarie più solide al mondo in termini di patrimonializzazione e liquidità ed è un punto di riferimento per gli investimenti coerenti con l’etica cattolica”.

Sulla questione degli investimenti coerenti con l’etica cattolica ci sarebbe da fare un discorso a parte. Da una parte, sappiamo che il presidente de Franssu ha detto che lo IOR non rispetta i parametri ESG proprio per evitare di andare contro l’etica cattolica, dall’altra non si può dire che gli investimenti dell’Istituto fossero contrari all’etica prima. Al di là dei nuovi protocolli, dettati anche da varie esigenze internazionali e dagli investimenti di responsabilità sociale, il periodo in cui lo IOR ha adottato investimenti di tipo più aggressivo va fatto risalire al periodo 2013 – 2016, mentre la regolamentazione per gli investimenti di tipo cattolico sono stati definiti dal documento Mensuram Bonam pubblicato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Ma ci sono diversi enti che si dicono cattolici e dimostrano una sensibilità per investimenti consistenti con la dottrina (basti pensare, ad esempio, all’Aquinas Project negli Stati Uniti).

Le cifre, tuttavia, possono aiutare. Il rapporto IOR 2023 parla di 107 dipendenti e 12.361 clienti, ma anche un aumento della raccolta dai clienti: +4% a 5,4 miliardi di Euro. I clienti continuano a scendere (erano 12.759 nel 2022, addirittura 14.519 nel 2021), ma questa volta diminuiscono anche i dipendenti: erano 117 nel 2022, sono 107 nel 2023. Continua dunque il trend negativo della clientela, che deve far riflettere, se si considera che da tempo è terminato lo screening dei conti considerati non compatibili con la missione dello IOR.

Quest’anno gli utili netti si contano in 30,6 milioni di euro, e di questi 13,6 milioni sono stati distribuiti per opere di religione e di carità. 3,2 milioni di euro sono stati invece devoluti per diverse opere benefiche.

I profitti rappresentano un sensibile miglioramento rispetto ai 29,6 milioni di euro di utili del 2022. Tuttavia, una comparazione di cifre è necessaria: si va, infatti, dall’utile di 86,6 milioni dichiarato per il 2012 – che quadruplicava gli utili dell’anno precedente – ai 66,9 milioni del rapporto 2013, ai 69,3 milioni del rapporto 2014, ai 16,1 milioni del rapporto 2015, ai 33 milioni del rapporto 2016 e ai 31,9 milioni del rapporto 2017, per arrivare ai 17,5 milioni di euro del 2018.

Il rapporto 2019 invece quantificava gli utili in 38 milioni, attribuiti anche al mercato favorevole. Nel 2020, anno della crisi del COVID, l’utile era stato leggermente inferiore, di 36,4 milioni di euro. Ma nel primo anno post-pandemia, un 2021 ancora non colpito dalla guerra in Ucraina, si torna a un trend negativo, con un profitto di soli 18,1 milioni di euro, e solo nel 2022 si tornava alla soglia dei 30 milioni, sebbene probabilmente con un impatto dato dai 17,2 milioni sequestrati all’ex presidente Angelo Caloia e Gabriele Liuzzo, che dovevano rispondere per peculato ed autoriciclaggio commessi in relazione al processo di smobilizzazione dell’ingente patrimonio immobiliare posseduto dall’Istituto e dalle sue società controllate, SGIR e LE PALME. le cui condanne per erano diventate definitive nel luglio 2022.

Gli utili effettivi potrebbero essere molto inferiori, come lo erano all’inizio del decennio, quando in alcune circostanze lo IOR pescò 50 milioni da un suo fondo da donare al Papa.

Tra i risultati di quest’anno si contano anche un +23 per cento di margine di interesse, un + 49 per cento di margine di intermediazione, + 31 per cento di margine commissionale.

Infine, un dato tecnico, ovvero il TIER 1, che è la componente primaria del patrimonio di una banca: nel 2023 è stato pari al 60 per cento, un sostanziale aumento rispetto al 46,14 per cento del 2022, che già marcava una crescita dal 38 per cento del 2021. Tuttavia, va notato che nel 2019 il TIER 1 era dell’82,40 per cento, e che dunque solo ora si rivede la luce dopo che il patrimonio dello IOR si era praticamente dimezzato.

Va notato che per la prima volta il Cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna, firma la presentazione del rapporto come presidente della Commissione Cardinalizia. Questa è composta anche dai Cardinali Krajewski, Petrocchi, Tagle e Tscherrig. È uscito il Cardinale Santos y Avril, che è stato presidente dalla prima nuova composizione della commissione voluta da Papa Francesco e che aveva abbondantemente superato gli 80 anni.

Schoenborn, entrato nella commissione nel 2014, ne loda i passi avanti dell’ultimo decennio e sottolinea che “il merito di questo andamento di successo dello IOR si deve alla riforma iniziata già da papa Benedetto XVI e portata poi avanti coerentemente da papa Francesco. la nostra Commissione è grata in modo particolare al Consiglio di Sovrintendenza per la sua competente attività, non solo per la rettifica sostenibile degli errori del passato ma anche per la fermezza nell’applicazione pratica dei principi etici”.

Monsignor Giovanbattista Ricca, prelato dello IOR (la figura di raccordo tra Consiglio di Sovrintendenza e Commissione Cardinalizia), addirittura parla di “disastri trascorsi” dello IOR, citando la lettera a Timoteo in cui si scrive che “l’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali”. “Alcune volte – scrive Ricca - si sente dire che l’Istituto non sarebbe del tutto a pareggio con il compito che ha e che molti riducono al far soldi. Certo che si potrebbero far più soldi. ma questo sarebbe giusto?”

Jean-Baptiste de Franssu, presidente del Consiglio di Sovrintendenza, nella sua lettera sulla gestione mette in luce i molti riconoscimenti avuti dallo IOR per il suo lavoro di trasparenza nell’ultimo decennio, e annuncia: “L’Istituto, sotto la supervisione dell’autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF), è quindi pronto a svolgere il proprio ruolo nel processo di centralizzazione di tutti gli assets Vaticani, secondo le istruzioni del Santo padre e considerando gli ultimi sviluppi normativi. Il team IOR è desideroso di collaborare con tutti i dicasteri Vaticani, con l’amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (APSA) e di lavorare con il Comitato per gli Investimenti per sviluppare ulteriormente i principi etici FCI (Faith Consistent Investment) in accordo con la dottrina sociale della Chiesa. È fondamentale che il Vaticano sia considerato un punto di riferimento”.

Il direttore generale Gianfranco Mammì mette in luce che la cosiddetta Gestione Caratteristica (cioè il margine di Intermediazione) è in crescita rispetto al 2022 (+49%) grazie alle migliori performance delle attività Finanziarie di proprietà (+75%) e dal maggiore contributo delle Commissioni nette (+30%).

Mammì nota che le spese sono state di 22,9 milioni di euro, con una sensibile crescita rispetto al 2022, mentre il patrimonio netto ammonta a 667,6 milioni di euro, con un aumento del 15,4 per cento rispetto all’anno precedente. Aci 19

 

 

 

Come annunciare il Kerygma? La risposta da 150 catechisti di Marche ed Umbria

 

Il convegno di fine maggio sul tema ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma - Di Simone Baroncia

Perugia. Nello scorso maggio circa 150 catechisti dell’Umbria e delle Marche hanno partecipato al convegno, che si è tenuto alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli di Assisi, sul tema ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma’, le cui riflessioni saranno consegnate alla CEI che, dopo aver ricevuto tutte le proposte delle altre regioni d’Italia, avvierà una nuova progettazione per la catechesi a livello nazionale, come ha affermato mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, delegato della Conferenza Episcopale Umbra per la catechesi.

A don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Perugia-Città della Pieve, coordinatore della commissione per la catechesi della Conferenza episcopale umbra, abbiamo chiesto in quale modo è possibile celebrare la bontà del Signore?

Per celebrazione non intendiamo soltanto il culto liturgico sacramentale, che ha nella Eucarestia domenicale il suo punto di ‘fons’ e ‘culmen’, secondo la costituzione sulla sacra liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’; occorre anche riscoprire il culto nel suo significato paolino, ‘offrire i vostri corpi in sacrificio soave a Dio, questo è il vostro culto spirituale’. Non ci dimentichiamo che i gesti liturgici sacramentali provengono da parole, riti e materiali presi in prestito dalla vita quotidiana: il mangiare, il bere, il lavarsi, lo stare a tavola, il riposo, la festa, il pane, il vino, l’olio…

In quale modo essere Chiesa in un tempo che cambia repentinamente?

“Oggi viviamo in un cambiamento d’epoca come ci ricorda Papa Francesco. Il segno evidente di questo cambiamento è che siamo arrivati all’apice di quel processo iniziato dopo il Medioevo, con il Rinascimento, l’Umanesimo e soprattutto l’illuminismo, di separazione tra vita e fede. Questo fenomeno, che ha generato il relativismo e la scristianizzazione, ha portato al collasso quel tipo di società in cui siamo nati e cresciuti e che si riconosceva nei valori cristiani; in poche parole non viviamo più in un regime di società cristiana. Come scriveva lo scrittore francese Charles Peguy nella sua opera ‘Veronique’: ‘Noi siamo la prima generazione di una società dopo Gesù, senza Gesù’, l’affermazione finale fa tremare i polsi, perché dice ‘la verità è che ci sono riusciti’.

Dentro questo panorama, la questione della ‘Comunità’ oggi è la questione per eccellenza, al punto tale che uno dei relatori (il vescovo di Gubbio – Città di Castello, mons Luciano Paolucci Bedini), ha affermato che: ‘Occorre non tanto puntellare quelle esistenti mettendo una toppa qua e là, ma generane di nuove’. Infatti dice Gesù, che non si può mettere una stoffa nuova su un vestito vecchio. Questo è il grande problema che come Chiesa occidentale stiamo vivendo. Occorre partire da una domanda: Quale modello di comunità oggi ci aiuta meglio a rendere sperimentabile il volto di Gesù?

Quindi comunità capaci di essere ‘generative’?

“Io credo fermamente che il volto di Chiesa verso la quale stiamo andando, non per una convinta scelta pastorale ma per una realtà che si sta imponendo, è quello profetizzato dall’allora card. Joseph Ratzinger in un ciclo di trasmissioni radiofoniche in Germania nel lontano 1969, quando affermava che il futuro della Chiesa sarà nell’essere un ‘piccolo gregge’. Affermazione che poi da papa ha chiarito definendo questo piccolo gregge una ‘minoranza creativa’. Penso che come Chiesa italiana dovremmo approfondire questa modalità di Chiesa del futuro. Infatti in varie parti d’Europa è già una realtà, anche in quei paesi di antica tradizione cristiana. Interessante è l’esperienza vissuta in questi anni in Olanda e contenuta in un libro intervista al card. Willem Jacobus Eijk, ‘Dio vive in Olanda’”.

Come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social?

Non dimentichiamoci che il cuore del cristianesimo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi ‘carne’ in una località ben precisa della geografia mondiale ‘Nazareth’. I padri della Chiesa affermavano ‘Caro Cardo Salus’, cioè la salvezza viene dalla carne. Non possiamo delegare in toto l’annuncio del Vangelo e la bellezza della vita cristiana al mezzo tecnico. In questo senso tutti abbiamo sperimentato il disastro ottenuto durante il periodo della pandemia Covid, quando abbiamo ‘abituato’ la gente a ‘vedere’ in televisione la santa Messa, ed ora facciamo fatica a farla tornare in chiesa. Certamente le nuove tecnologie sono una opportunità, ma anche una sfida nel diventare nuove frontiere di evangelizzazione”. Aci 18

 

 

 

Informazione religiosa: tre sfide

 

Abbiamo già scritto che il nostro “proprio” nel fare informazione religiosa è esattamene quello di non averlo. Vi è un primato delle cose concrete, delle sfide di tutti, dentro cui trovare le suggestioni per una fedeltà creativa, carismatica ed ecclesiale.

Fra le cose concrete e le sfide di tutti vi sono elementi di non facile inquadramento o di ancora difficile discernimento. Mi limito ad accennarne tre:

* L’opinione pubblica nella Chiesa.

* Il supporto materiale (silicio) e la logica binaria giustificheranno una nuova religione?

* Una Chiesa di dogmi nella società fluida.

Necessaria e assente

Opinione pubblica nella Chiesa. I documenti conciliari e applicativi l’hanno richiesta e legittimata. La prassi civile l’ha ulteriormente sollecitata. L’incapacità di parola delle comunità cristiane nel contesto mediale sembra invocarla. Ma la sua realizzazione sembra ancora assai lontana. Posso indicare due figure impertinenti e un possibile esito.

La prima figura impertinente è quella mutuata dal dibattito civile. L’opinione pubblica dei media come massa critica di fronte e contro i partiti. È una figura forte, che appartiene alla genesi della stampa e al dibattito civile circa la sua libertà sviluppatosi negli ultimi secoli. Nel sistema democratico – cioè di un potere che viene dal basso e di una verità che non solo non si impone, ma che si determina dal libero confronto e dal consenso – i media rappresentano, nell’equilibrio dei poteri, un elemento rilevante in ordine al funzionamento della collettività.

Non dovrebbe stupire che l’opinione pubblica nella Chiesa sia stata mutuata da questa tradizione, ma con esiti insufficienti.

Vi sono certo stati elementi positivi, il maggiore dei quali è la capacità di includere molte voci e molte competenze nell’ambito degli avvenimenti ecclesiali e di non rimuovere le istanze critiche e scomode.

Ma vi sono anche elementi spuri, come l’assimilazione dell’istituzione come controparte, del ministero ecclesiale come potere da condizionare, dell’operatore dell’informazione come contro-potere. Una simile figura di opinione pubblica è prigioniera della modalità civile esperita dalla modernità e si presta a farsi interprete di un’immagine insufficiente della Chiesa. Una interpretazione inadeguata.

Sensus fidei

La seconda figura impertinente è quella speculare: l’opinione pubblica ecclesiale come puro riflesso dell’istituzione. In un contesto in cui la Chiesa non è più in grado di gestire la sua immagine e in cui il milieu cattolico si sfarina in appartenenze molteplici, vi è una comprensibile tendenza a piegare l’opinione pubblica ecclesiale a cassa di risonanza della voce della Chiesa gerarchica nel contesto delle infinite voci del mercato culturale. Un ripiegamento identitario in un contesto culturale privo di riferimenti.

Il vantaggio dell’uniformità è, però, soggetto ad un ricatto di grande rilievo: quello cioè di perdere il rapporto reale con il laico comune e di arenarsi nell’autoreferenzialità. Di raccontare una Chiesa che non c’è più o non c’è ancora. Semplificare le identità e piegare le molteplicità significa, infatti, rafforzare gli elementi settari e, alla fine, diventare funzionali al mercato informativo attuale e alle sue logiche.

La terza figura sposta l’attenzione dai media per fissarsi sull’identità ecclesiale e sulla sua struttura di popolo di Dio. Al centro è la comunione, non lo spazio dell’informazione; la testimonianza, non il pur necessario equilibrio dei ministeri e carismi.

Il settore e le competenze informative mantengono la loro identità e il loro ruolo, ma sono finalizzati a raccontare il farsi della tradizione (sempre plurale), il convergere nel discernimento dello Spirito (da posizioni diverse), il decidere comune in obbedienza al Vangelo. La gerarchia e le sue istituzioni non sono sopra ma dentro il processo di fedeltà alla Parola che la tradizione indica come il sensus fidei del popolo santo di Dio. È quello che sta succedendo, in forma incerta e iniziale nel sinodo, sia universale che nazionale.

La ricerca di una nuova “era” del cristianesimo sta avvenendo, ma potrebbe conoscere fallimenti, involuzioni e divisioni. L’informazione serve per dare forma al futuro. Unire fedeltà, professionalità. libertà critica e discernimento spirituale nonimplode nell’assenso cieco. È anzi garanzia di una Chiesa semper reformanda.

Domande retoriche e fatti evidenti

Dal silicio una nuova religione universale? Senza la scrittura (su pietra, papiri, pelli di animali), non ci sarebbero i monoteismi. Senza i processi di stampa su carta, non ci sarebbero le Chiese della Riforma.

Con il silicio e la logica numerica arriverà una nuova religione universale? Termini secchi e largamente discutibili che indicano un’area ignota più che una soluzione.

I primi codici delle civiltà occidentali datano nel secondo millennio a.C. La Torah, le legge scritta di Israele, i Vangeli cristiani e il Corano hanno avuto bisogno di una lingua e di un supporto. Senza Gutenberg quale sarebbe stato il futuro del Luteranesimo? Dobbiamo attenderci qualcosa di simile per l’oggi: una nuova grande religione coerente con la logica numerica universale?

È una domanda retorica, perché non si vede alcun segnale significativo che vada in questa direzione. Ma per molti aspetti la domanda è importante.

Il primo dato è la moltiplicazione delle fedi, delle confessioni e delle religioni. La molteplicità delle fedi e delle religioni non è un’attesa, è una realtà. Soprattutto negli spazi urbani si sono moltiplicati i luoghi di culto appannaggio di minoranze etniche e delle confessioni cristiane di varie appartenenze nazionali. Le comunità neopentecostali si moltiplicano vistosamente e si ingrossa, in forma silenziosa, l’assenso al buddhismo e alle religioni orientali. Un tempo si parlava di “sette”, ora, in termini più rispettosi, di “nuovi movimenti religiosi”, per poi distinguere questi dalle “nuove religioni”.

Sono stati gli storici, ma soprattutto i sociologi, a stimolare la nostra attenzione. La sigla dell’istituto che in Italia ha più lavorato in merito è il Cesnur (Centro studi per le nuove religioni), ma sul mercato internazionale vi sono diverse riviste dedicate a questo tema. Le più note sono in inglese: Nova Religio, International Journal for the Study of New Religions, Alternative spirituality and Religion Review. Due in tedesco: Materialdienst der Evangelischen Zentralstelle fur Welthanschauungen, Referat fur Weltanschauungen. Sono attivi in diverse università centri specializzati in merito. Più in generale, dalla pluralità delle fedi e dal confronto con la laicità sono nati i religious studies che sono oramai parte di molti percorsi accademici.

Parlamento e Weltethos

Nel contesto dei nuovi movimenti religiosi va segnalata un’iniziativa collettiva di un certo peso: il Parlamento mondiale delle religioni. Avviato una prima volta a Chicago nel 1893 è stato ripreso un secolo dopo (1993) e più volte ripetuto. Ha costituito un passaggio importante, offrendo una tribuna ai rappresentanti dei movimenti religiosi, in particolare filo-orientali.

Il Parlamento raduna figure religiose che partecipano di ideali comuni. Non si tratta di una rappresentanza proporzionale quanto il convergere di correnti di varie religioni – gli ultimi appuntamenti hanno raccolto fino a 10.000 persone –, che si ritrovano, per affinità, su idee sostanzialmente liberali. In maniera autonoma, ma compatibile con il Parlamento, si è sviluppato il Weltehtos, l’ipotesi di una base etica comune tra le fedi, propugnata da Hans Küng.

A partire dalla condivisa consonanza della regola d’oro («Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te») si connettono alcune convinzioni di base: nessuna sopravvivenza della specie senza un ethos, nessuna pace senza la pace fra le religioni, nessuna pace fra religioni senza dialogo, nessun dialogo tra le fedi senza ricerca di base, nessun ethos mondiale senza un mutamento di coscienza di credenti e non.

Vale la pena accennare ad alcuni elementi più contraddittori e drammatici. È il caso dei fondamentalismi che costituiscono forme settarie e socialmente pericolose dentro le fedi: in particolare il fondamentalismo islamico, ma anche vari fondamentalismi religiosi. Questo ha modificato in maniera significativa la nostra vita sociale e pubblica.

È anche il caso delle manipolazioni abusanti da parte dei leader che ha segnato in maniera drammatica alcuni di questi nuovi gruppi religiosi.

L’ultima frontiera sono le religioni e l’intelligenza artificiale che, quando diventa sfrenato entusiasmo, nasconde un malriposto impulso religioso da parte di persone cresciute in una cultura secolare. È nata anche una Chiesa della intelligenza artificiale, da parte dell’imprenditore Anthony Lewandowaski, ma con scarsi effetti.

Senza radici

Chiesa dei dogmi nella società fluida. Tramontata la pretesa di una società teocratica come anche quella della cristianità (legittimità del potere delegato dall’autorità ecclesiale), è in via di estinzione anche il modello della neo-cristianità dove la legittimità del potere viene dal popolo ma la Chiesa si riserva l’autorità della moralità personale e pubblica in nome dell’etica naturale da lei conosciuta: i cosiddetti “principi non negoziabili”.

Da molti decenni si è sviluppato un processo di autonomia dei vari settori della vita civile: dalla scienza alla tecnica, dalla politica al mercato, dalla società civile al singolo. In genere viene chiamato secolarizzazione. Sulla scorta di uno scritto di mons. Mariano Crociata si possono identificare alcuni modelli interpretativi.

Verso l’irrilevanza?

«La teoria di Niklas Luhmann rileva tale separazione dalla religione non solo della politica, ma anche di tutte le altre attività umane, quali l’economia, la giustizia, la scienza. La religione non ha più alcuna influenza sugli altri settori, ognuno dei quali agisce in piena autonomia, in qualche modo trovando in sé stesso la propria ragion d’essere e i criteri di valutazione e di azione. A sua volta, Charles Taylor osserva, tra altro, il cambiamento radicale intervenuto con il passaggio da un mondo in cui la religione, e quindi l’avere una fede, era un’evidenza data per scontata da tutti, così che era naturale credere, a un mondo in cui è naturale non credere, in cui il fatto ovvio, non pensato, è il non avere una fede, il non avere una religione, o averne una sola per effetto di una scelta che si presenta come una tra altre possibili.

Non manca poi chi, come Marcel Gauchet e altri con lui, considera la secolarizzazione l’estrema conseguenza e il frutto maturo delle religioni, particolarmente del cristianesimo. Al di là di questa maniera necessariamente sommaria di trattare teorie e autori dal pensiero molto articolato, ciò che va considerato acquisito, e non da ora, è che la secolarizzazione, comunque interpretata, non significa la fine della religione, ma il suo profondo cambiamento nel contesto di un mondo a sua volta profondamente mutato».

Le Chiese non possono permettersi di salutare tutti e uscire di scena, e non possono neppure replicare percorsi e modelli già esperiti. Quale potrà essere il loro compito? Oltre, ben s’intende, la testimonianza del Vangelo e l’annuncio della salvezza in Cristo che è il loro dovere ineludibile. Ma come collocarsi per renderlo comprensibile e percorribile? Ricorro a una suggestione di un sociologo tedesco, Hartmut Rosa.

Un cuore saggio

L’Europa sembra destinata, come tutto l’Occidente, ad un “immobilismo frenetico”, ad una corsa senza fine al consumo dell’energia, dell’ambiente, del tempo, delle forze politiche e personali per rimanere in stallo, bloccata in un equilibrio precario in cui nessuno crede più nel futuro.

La questione non è che «la società cresca, per esempio in termini di popolazione o di produzione economica o che essa acceleri su molti aspetti, ma che essa sia obbligata a farlo per mantenere lo status quo». Tutte le nostre istituzioni sociali hanno un rapporto aggressivo al mondo che si riflette nell’angoscia crescente degli abitanti.

Anche la forma democratica scivola verso una sistematica contrapposizione che non lascia più spazio al dissidente, negando sé stessa.

La democrazia «ha bisogno di un cuore che ascolta», come chiesto da Salomone (1Re 3,9). Una capacità di ascolto che Harmut Rosa chiama «risonanza». «La mia tesi è che sono in particolare le Chiese che dispongono di racconti, della riserva cognitiva, di riti e pratiche di spazi in cui un cuore capace di ascolto può entrare in esercizio ed essere vissuto… Conosciamo una crisi della capacità di lasciarci chiamare e questo si manifesta sia nella crisi di fede, come nella crisi della democrazia». «La religione ha la forza, la riserva di idee, un arsenale rituale pieno di canti, di gesti appropriati, di spazi adatti, di tradizioni e di pratiche che aprono un senso a ciò che significa lasciarsi chiamare, trasformare, entrare in risonanza. Se la società perde tutto questo, se dimentica la possibilità della relazione, essa è condannata. Alla domanda se la società attuale abbia ancora bisogno della Chiesa o della religione, la risposta non può essere che: sì».

Se la sinodalità può essere utile alla democrazia e la moltiplicazione delle fedi spinge all’approfondimento, la collocazione fluida dell’esperienza religiosa confessionale, cioè ecclesiale, può contribuire a rendere vivo nella società “liquida” il racconto delle parole e delle opere di Gesù di Nazaret.

Lorenzo Prezzi, SettNews 17

 

 

 

Il Card. Zuppi sulla Terra Santa: “Due Popoli, Due Stati”

 

Intervista al card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che al Sir traccia un bilancio del pellegrinaggio di “pace e solidarietà” a Gerusalemme e Betlemme, che si è chiuso ieri, cui hanno partecipato 160 fedeli provenienti anche da diverse città italiane. “Un pellegrinaggio alle pietre vive che custodiscono i luoghi santi" lo definisce il cardinale che si sofferma anche sulla situazione attuale in Terra Santa dopo il 7 ottobre 2023, sull'esodo dei cristiani, sulle prospettive di pace legate alla soluzione Due Popoli Due Stati -dall'inviato Daniele Rocchi

 

 “Due Popoli Due Stati è la soluzione che la comunità internazionale non può abbandonare. Il vero problema è la determinazione di quest’ultima nel perseguirla e sul come raggiungerla. La pace non la fanno solo gli attori belligeranti ma anche la comunità internazionale che deve impegnarsi nella ricerca di vie di negoziato”.

Lo dichiara al Sir il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, tracciando un bilancio del pellegrinaggio di “pace e solidarietà” in Terra Santa (Gerusalemme e Betlemme) cui hanno partecipato 160 fedeli provenienti anche da diverse città italiane, organizzato con la “Petroniana viaggi” (13-16 giugno). Tra loro anche rappresentanti di Acli, Agesci, Associazione Papa Giovanni XXIII, Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Focolari, Pax Christi, quest’ultima rappresentata dal suo presidente, l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti. “Con questo pellegrinaggio – spiega il card. Zuppi – abbiamo voluto condividere la sofferenza ed essere vicini ai cristiani locali in un periodo così tragicamente segnato dal dolore. Abbiamo portato vicinanza, sostegno insieme alla preghiera, alla condivisione e all’intercessione perché questa sofferenza finisca presto per tutti”.

“Il momento giusto”. “Un pellegrinaggio alle pietre vive che custodiscono i luoghi santi di Gesù” lo definisce l’arcivescovo di Bologna ricordando la fitta serie di incontri che hanno visto i pellegrini ascoltare le testimonianze di esponenti della società civile israeliana come Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, uno degli ostaggi ancora in mano ad Hamas dal 7 ottobre 2023, Ysca Harani, ebrea osservante, docente di storia delle religioni e del Cristianesimo, di visitare, a Betlemme, luoghi di assistenza e formazione come il Charitas Baby Hospital, l’istituto Effetà per audiolesi, l’orfanotrofio la Crèche, la casa per bambini disabili Hogar de ninos, e visitare le piccole comunità cristiane dei villaggi (Ain Arik, Beit Sahour, Taybeh, Birzeit) della Cisgiordania, “di cui poco si parla dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso le cui conseguenze pesano ulteriormente sulla vita della popolazione locale”. “Da loro abbiamo ascoltato e capito la sofferenza che patiscono, le attese, le delusioni che stanno provando in questi mesi e non solo. Abbiamo ascoltato, condiviso e manifestato attenzione, interesse e vicinanza ai cristiani locali – rimarca Zuppi -. Questo era il momento giusto per farlo come ha riconosciuto il patriarca latino di Gerusalemme, il card. Pierbattista Pizzaballa, che ha definito questo pellegrinaggio ‘un gesto coraggioso’. Sono felice dell’ampia partecipazione di pellegrini che sono il volto della Chiesa italiana che si è fatta presente in questa terra martoriata”.

Come si sconfigge l’odio. Particolarmente toccanti, per il cardinale, le testimonianze di Rachel Goldberg-Poline e di Dani Miran madre e padre, rispettivamente di Hersh e di Omri Miran, due ostaggi ancora nelle mani di Hamas. “Questa madre che rifiuta di fare una classifica della sofferenza ci ha dato una grande lezione su come si sconfigge l’odio – ricorda Zuppi -. È l’esperienza di un amore che guarisce, consola e asciuga tutte le lacrime. Miran, il padre dell’altro ostaggio, ha voluto mostrare una foto del suo incontro con Papa Francesco confidandoci di aver visto negli occhi del Pontefice quelli di suo padre. Questo mi ha molto toccato perché sta ad indicare che tutti possono vedere nella nostra vicinanza, attenzione e supporto, gli occhi di un padre, di una madre e di un fratello che condividono un dolore così grande”.

“Ecco, io credo che la Chiesa debba avere i sentimenti di una madre, di un padre, di un fratello e farsi sempre più prossima a chi soffre”.

Certamente, aggiunge l’arcivescovo di Bologna, “abbiamo avuto modo di ascoltare anche la descrizione di una società israeliana polarizzata dove in molti pensano al proprio dolore. Questo rende necessario ritrovare motivi di speranza e spiragli di luce. Le parole insistenti di papa Francesco sul coraggio di un cessate il fuoco e di un negoziato le abbiamo fatte nostre, in questo pellegrinaggio, sentendone tutta l’importanza”.

La voce dei cristiani. La visita ad alcuni villaggi della Cisgiordania è stata l’occasione, per i pellegrini, di conoscere la realtà dell’occupazione militare israeliana attraverso la viva voce degli abitanti cristiani locali.

“Questo dell’occupazione – dichiara Zuppi – è un punto da cui partire. Purtroppo se non c’è una prospettiva, una soluzione da perseguire, sarà difficile che si possa ritrovare la via della convivenza”.

In questo contesto “i cristiani di Terra Santa hanno un ruolo straordinario perché la loro presenza favorisce l’incontro proprio per la natura stessa del Cristianesimo che riconosce nell’altro sempre il prossimo. Il cammino da fare è lungo, va percorso con molta attenzione e fedeltà”. Tuttavia, l’occupazione militare, la penuria di lavoro, la mancanza di un futuro stabile, “non fanno che alimentare l’esodo dei cristiani. L’emigrazione dei fedeli e il conseguente svuotamento della Terra Santa dei suoi abitanti originari – conclude il cardinale – è un rischio che non possiamo permetterci. Esprimere vicinanza spirituale e concreta alle comunità di Terra Santa è, dunque, ancora più necessaria per aiutarli a non partire. È un nostro dovere e impegno da perseguire nel tempo”. Sir 17

 

 

 

Il Teatro del Cielo si interroga sulla fede con la "Sfida di Gerusalemme"

 

Un colloquio con il presidente della fondazione ‘Istituto Dramma Popolare’ di San Miniato - Di Simone Baroncia

San Miniato. E’ nel Dna del Teatro dei Cielo quella ricerca complessa degli interrogativi che scuotono le coscienze. Succede così, dal 1947 ad oggi per mano della Fondazione Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, oggi guidato da Marzio Gabbanini. E quest’anno, per la scena sacra di piazza Duomo, è tempo di ‘Chi sei Tu? La Sfida di Gerusalemme’, versione teatrale del diario del viaggio in Terra Santa di Éric-Emmanuel Schmitt.

Per questo tutti gli spettacoli della Festa del Teatro hanno un unico comune denominatore che, quest’anno, mette sotto la lente la fede al centro di una dura prova in un mondo di dubbi e conflitti, come ha sottolineato il direttore artistico, Masolino D’Amico: “Fra tradizione ed innovazione, questa la linea guida che ogni anno il Festival propone alternando sul palcoscenico autori registi e attori della nuova scena emergente a nomi di spicco della scena teatrale italiana. Il comune denominatore degli spettacoli del Festival di quest’anno, ‘La fede messa alla prova: una forza di pace interiore, individuale e collettiva, in un mondo di dubbi e conflitti’, trova, negli spettacoli proposti, modalità attuali di essere affrontato dando particolare spazio e rilievo alla promozione di una drammaturgia sia di autori affermati che giovani drammaturghi, di cui valorizzare creatività, capacità multidisciplinari ed espressive, volontà di innovazione”.

Quindi dal presidente della fondazione ‘Istituto Dramma Popolare’ di San Miniato, Marzio Gabbanini, ci siamo fatti raccontare il motivo per cui il teatro si interroga sulla fede: “Il Dramma Popolare, nato nel 1947 dalle macerie fisiche e psicologiche del secondo conflitto mondiale, ha inteso essere, fino dagli esordi, un teatro popolare di ispirazione cristiana alla maniera delle sacre rappresentazioni medievali, ma con l’intento di affrontare tematiche di forte attualità, legate all’evolversi dei tempi, dei bisogni interiori, dei problemi vissuti nella contemporaneità; dunque un teatro moderno, vivo e vitale, in grado di parlare all’uomo di oggi anche attraverso personaggi legati a un passato storico-letterario significativo, potenzialmente proiettati in orizzonti senza tempo, quindi anche i nostri.

Negli anni il Teatro dello Spirito ha inteso rimanere fedele a questi intenti e principi, che costituiscono valori imprescindibili, per essere voce delle aspettative più profonde, spirituali, sociali, culturali di un mondo come il nostro, bello da una parte per le tante conquiste realizzate, ma anche carico di conflitti, di angosce, di problemi irrisolti. Da qui il valore assunto dalla fede come forza individuale e collettiva che spinge ad affrontare ogni genere di difficoltà, ad aprirsi alla speranza, alla solidarietà, alla comprensione umana, alla trascendenza”.

Quali sono gli interrogativi che il ‘Teatro del Cielo’ pone in questa rassegna?

 “Nella Rassegna di quest’anno ci si interroga in quali modi la fede possa essere conseguita o mantenuta; spesso si tratta di una conquista faticosa e non semplice in un mondo quale quello attuale in cui l’umanità sembra essere alle prese con problemi di tale portata da sentirsi come sopraffatta da una sorta di impotenza, quasi di rinuncia fatalistica a cercare soluzioni, che possono talvolta apparire irraggiungibili. La fede ci chiama invece a reagire, a lottare, a confidare in Dio e negli uomini di buona volontà anche quando sembrano prevalere un acceso individualismo, la chiusura nel privato, il rifiuto dell’altro da sé”.

Per quale motivo il comune denominatore è la fede?

“Il comune denominatore degli spettacoli è la fede, sempre più spesso messa a dura prova, perché vogliamo testimoniare la sua capacità di renderci caparbi nel bene, tenaci nell’aprirci al dialogo, al confronto costruttivo, decisi nell’abbattere muri e nel creare ponti, come sostiene instancabilmente papa Francesco, soprattutto quando essa sia stata il punto di arrivo di un viaggio interiore teso a dare risposte ai tanti dubbi, agli interrogativi, alle confutazioni della ragione, costretta infine a capitolare senza per questo configgere con la fede stessa”.

La rassegna si apre, giovedì 20 giugno, con ‘Poveri noi - Storia di una famiglia nella tragedia della guerra’ di e con Silvia Frasson: perché la scelta di raccontare una storia ai tempi di guerra?

“La scelta di aprire la rassegna con lo spettacolo di Silvia Frasson ‘Poveri noi’ si lega ad un duplice intento: da una parte, quello di dimostrare come avere fede significhi nutrire ideali nei quali credere fermamente anche a prezzo della vita; dall’altra, quello di richiamarsi al secondo conflitto mondiale come specchio del modo in cui qualsiasi guerra sconvolga, rompa dal profondo la civile convivenza e distrugga con violenza quanto gli uomini hanno faticosamente costruito nella concordia. La storia di Gabriella degli Esposti, Medaglia d’oro al valor militare, eroina e martire partigiana, uccisa insieme al figlio che portava in grembo, rimanda l’immagine di una fede incrollabile negli ideali di libertà, di fratellanza, di giustizia sociale”.

Invece ‘Giobbe, storia di un uomo semplice’, in programma lunedì 1 luglio, racconta il rapporto con Dio nel dramma del dolore: quale è il filo che permette di vivere?

“La scelta del personaggio di Giobbe diventa un ulteriore tassello nella riflessione del Dramma Popolare sul tema della fede, in questo caso messa davvero a dura prova. Giobbe è la figura biblica la cui fede in Dio rimane solida, impossibile da scalfire anche di fronte alle richieste più dure sul piano umano e affettivo. Giobbe ha tutto, a partire dal benessere economico fino a una bella famiglia, ma Dio gli chiede un sacrificio, ai nostri occhi, disumano, quello di perdere tutto, soprattutto i figli. La sua fede in Dio è dunque più forte di qualsiasi prova. Quale migliore testimonianza del potere della fede, che permette a Giobbe di superare condizioni umanamente tragiche e, in particolare, di continuare a vivere? La fede richiede dunque un totale abbandono a Dio, una fiducia smisurata in Lui”.

Dal 20 al 24 luglio la ‘Festa del Teatro’ chiude con la pièce tratta dal libro ‘La sfida di Gerusalemme’ di Eric-Emmanuel Schmitt, con la regia di Otello Cenci: quale provocazione pone l’autore?

“Il testo di Eric Emmanuel Schmitt, ‘La sfida di Gerusalemme’, rappresenta il momento culminante del viaggio del Dramma Popolare lungo il cammino della Fede. L’autore, su suggerimento della Santa Sede, compie un viaggio in Palestina, nei luoghi in cui Gesù è nato, vissuto e morto crocifisso; prima incerto, poi sempre più colpito da un richiamo, un desiderio sempre più forte di fare esperienza con tutto se stesso, anche in ascolto dei suoni, delle sensazioni, delle percezioni legate a quei luoghi, Schmitt, prima privo di fede in Dio, poi credente, si fa convinto cristiano nella scoperta di quello ‘Sconosciuto’ di cui, in maniera inaspettata, egli ‘sente’ l’odore del corpo, il suo calore; avverte uno sguardo attento, una persona invisibile di cui Schmitt percepisce la vita organica, un Dio fatto uomo che, per amore, rende capaci di amare tutti senza alcuna distinzione, in quanto tutti Suoi figli e quindi tra loro fratelli”.

Perché è sorto l’Istituto del Dramma Popolare?

“Ora si può meglio comprendere perché, nel 1947, nacque il Dramma Popolare: ridare speranza ad un intero popolo dopo il dramma della Seconda guerra mondiale, ma soprattutto aiutare a cercare risposte ai tanti interrogativi di senso che l’individuo si pone sul significato da dare alla propria vita, sul perché di tante distruzioni, esclusioni, rifiuti, sofferenze, ma anche sul valore da attribuire alla fede in mondo contemporaneo sempre più legato al consumismo, al ‘mordi e fuggi’, all’iperconnessione, ad un individualismo esasperato che sembra negare il principio della relazionalità e dell’apertura al dialogo, ma anche alla trascendenza”. Aci 17

 

 

 

Fiducia e perseveranza. XI Domenica del Tempo Ordinario

 

Carpi. In questa domenica Gesù ci parla del Regno di Dio e di come esso di sviluppi nel mondo. Si serve di due eventi che tutti possiamo osservare nella vita di ogni giorno: la storia del seme che cresce da solo e la storia del piccolo seme di senape che diventa un albero.

Con queste due parabole Cristo rivela che il regno di Dio è già presente e operante in mezzo a noi e che, nonostante le opposizioni del mondo e i fallimenti dovuti al peccato dei suoi membri, si sviluppa e si diffonde con modalità che sfuggono al controllo dell’uomo. Il regno di Dio, infatti, cresce per virtù propria, per energia propria e, pertanto il suo successo non è legato all’impegno e all’affanno dell’uomo, ma all’azione della Grazia, la quale opera silenziosamente, ma in maniera efficace, nell’intimità dei cuori.

Ne abbiamo una prova negli inizi della Chiesa. Il Signore per instaurare il suo regno nel mondo ha scelto un pugno di uomini quasi tutti di scarsa cultura, pieni di difetti, privi di mezzi materiali e con visioni alquanto ristrette. Appare, dunque, umanamente incomprensibile capire come i dodici apostoli abbiano potuto fare giungere l’annuncio del Vangelo fino ai confini della terra, superando innumerevoli contrasti ed ostacoli. Attraverso la parabola del granellino di senape Gesù ci aiuta innanzitutto a comprendere che la predicazione del Vangelo si diffonde nonostante tutto. L’unica condizione è un terreno disponibile ad essere seminato. Innanzitutto il nostro cuore. Scrive, al riguardo, sant’Ambrogio: “Semina Cristo nel tuo orto…Tu semina il Signore Gesù: egli è un granello quando viene arrestato, un albero quando risuscita, un albero che fa ombra a tutto il mondo. E’ un granello quando viene sepolto in terra, ma è un albero quando si eleva al cielo” (Exp. In Luc. 7,176-180).

Insieme a questo insegnamento Gesù ci svela che l’annuncio del Vangelo non può essere fonte o causa di agitazione, irrequietezza, ansia, paura. E’ vero, viviamo in un contesto di rifiuto e di indifferenza nei confronti del messaggio cristiano, tuttavia, il Signore ci dice che il lavoro apostolico, per quanto faticoso e apparentemente inutile, da qualche parte certamente porterà frutto abbondante. Nel regno di Dio non vi è lavoro inutile, non vi è spreco.

A noi è chiesto di annunciare la Parola di Dio con fiducia, coraggio e perseveranza. Poi essa prosegue la sua corsa e nel rispetto dei tempi di Dio, che sono diversi dai nostri, porterà frutti imprevisti e insperati. Il cristiano, dunque, si presenta al mondo come un discepolo che ripone la sua fiducia e la sua speranza in Gesù, Signore della Chiesa e della storia. Mons. Francesco Cavina, aci 16

 

 

 

 

La festa di Sant'Antonio a Padova. Il pellegrinaggio, la storia

 

Padova. Dopo la notte in processione, funestata da un tempo inclemente, con le luci delle torce “sostituite” da lampi e fulmini, per rievocare, come accade per tradizione da molto tempo, quell’ultimo viaggio di Antonio verso la città d’elezione, quella in cui vuole morire, Padova si sveglia sotto un cielo cupo, che minaccia ancora pioggia. Ma la città è già sveglia e gremita. Sarà così per tutta la lunga giornata di festa, questo 13 giugno nel segno di sant’Antonio, il patrono di Padova, il Santo amato in tutto ill mondo. Il cuore della festa, il luogo in cui arrivano tutti i pellegrini, i fedeli, è la Basilica del Santo, dove dalle prime ore del mattino si snodano lunghe code per accedere alla tomba, poi alla Cappella delle Reliquie, davanti alla statua che poi sarà portata in processione, partecipando alle messe che si celebrano a tutte le ore…

Un appuntamento con la devozione popolare che richiama pellegrini da tutto il mondo. Il tempo minaccioso, con il passare delle ore, ha lasciato il posto ad una giornata di sole, con un motivo di gioia in più. Quarantamila i passaggi calcolati, dall'inizio della tredicina, nella cappella delle requie di Antonio. Sono tanti quelli  arrivati a piedi, camminando nella notte per arrivare in Basilica alle 6, ora della prima celebrazione della giornata. I racconti dei pellegrini si intrecciano, all’ombra della Basilica. C’è sempre da chiedere una grazia, o da ringraziare, perché quella grazia è stata ottenuta. C’è chi arriva da un paese della provincia, chi dal Piemonte, dalle Marche, dalla Sicilia, dalla Polonia, dal Colorado… "Antonio è vicino alla gente perché il suo richiamo non ha barriere né differenze. Ascolta e dialoga con tutti mediante la sua Parola, così come nell'intimo della meditazione e del silenzio", spiega il rettore della Basilica, padre Antonio Ramina.

 Si prega, molto, in piedi, in ginocchio, mentre si cammina ammirando le meraviglie artistiche di cui è disseminato questo che è uno dei luoghi santi più visitati al mondo. E proprio in mezzo a questo popolo di pellegrini, così uniti nella preghiera, così commoventi nella loro fiducia in Antonio ( quanto volte sentiamo ripetere che “lui ci penserà, lui è buono e ascolta le suppliche di tutti, lui può veramente intercedere per me presso Dio”), tornano in mente le parole di monsignor Claudio Cipolla, vescovo di Padova, nel messaggio inviato insieme al rettore, in cui, tra le molte ispirazioni e suggestioni, emerge il concetto di umiltà, oggi così poco usuale nella nostra cultura. Concetto invece essenziale, "anche se è fuori moda e non ci attira per nulla. Noi, d’istinto, ci sentiamo tutti più frizzanti quando possiamo dimostrare d’aver ragione noi, quando siamo noi a poter primeggiare, quando siamo in grado di vantare noi il seguito più ampio: di 'amici', di 'followers', di ammiratori… E così finiamo inevitabilmente affogati nei miasmi di una realtà inesistente che, alla fine, ci deluderà di sicuro. Umiltà è lo stile realistico di chi sa domandarsi che cosa conta davvero, che cosa rimane davvero. Sa cercare che cosa merita, davvero il nostro impegno. E forse qui ci ritroveremo tutti d’accordo: ci renderemo conto che solo la qualità buona, forte e concreta delle nostre relazioni merita la nostra dedizione più grande".

Momento clou, come sempre, è stata la tradizionale processione, con l'esposizione delle reliquie e la statua del Santo portata sul baldacchino lungo le strade del centro di Padova, con al seguito le autorità civili, militare e religiose, e la partecipazione di migliaia di persone, grazie anche ad uno scorcio di giornata luminoso e tiepido, regalato dopo molte ore di tempo incerto e poco incline al bello.

Un calendario fitto di incontri e di momenti di riflessione e di “pausa nel bello” ha accompagnato la preparazione della festa, e si estenderanno per tutto il mese. Da ricordare la conferenza tenuta da don Luigi Epicoco su santa Chiara, molto partecipata, e l’appuntamento di oggi, di grande rilevanza, sulla “Pratica liturgica dal medioevo a oggi, un seminario in inglese con tavola rotonda finale, organizzato da Università di Padova - Dipartimento dei Beni culturali e Monash University dell’Australia, sul culto dei santi nel Medioevo e le pratiche di devozione dall’Età di mezzo a oggi attraverso approcci multidisciplinari. Presenta Giovanna Valenzano (Veneranda Arca di S. Antonio), con diversi interventi a cura di esperti a livello internazionale.

Naturalmente sono molte anche le proposte di lettura sulla figura del Santo, sulla sua vita, sulla sua immensa eredità spirituale, insieme alla vasta e profonda devozione popolare che non si attenua nel tempo, anzi sembra rafforzarsi e diffondersi. Tra questa ponderosa bibliografia scegliamo di segnalare la “Vita del Santo. Raccontata dai contemporanei” a cura di Virgilio Gambuoso, che presenta le due più importanti fra le vite di sant’Antonio scritte da contemporanei: Vita prima o Assidua, opera di un anonimo francescano che vi pose mano per ordine dei superiori e la presentò nel 1232, in concomitanza con la canonizzazione di Antonio e Legenda rigaldina, scritta verso la fine del secolo XIII dal minorita Jean de Rigaud o de Rigault.

Testimonianze vivide, ben incastonate nel tempo in cui ha vissuto Antonio, un medioevo tempestoso, ricco di eventi e di vitalità, popolato da figure gigantesche, con una forte vita di popolo e di comunità. Il tutto ritratto con precisione e insieme, a tratti, un’inesauribile vena poetica. Caterina Maniaci, Aci 14

 

 

 

Identità cristiana e Islam

 

Il clamore e le numerose polemiche suscitate dalla decisione dell’Istituto comprensivo “Iqbal Masih” di Pioltello (Milano) di sospendere le lezioni lo scorso 10 aprile, in occasione della festa per la chiusura del Ramadan (per non obbligare molti alunni – che per oltre il 40% sono di religione islamica – a scegliere tra la partecipazione ai riti religiosi e la presenza alle lezioni) non soltanto si sono placati ma anche dimenticati. Sommersi – com’è ormai abitudine – dal flusso ininterrotto della comunicazione mediatica che copre con la novità delle ultime notizie le precedenti.

Dimenticare in questo caso è però un’operazione rischiosa, che ci fa disperdere quanto abbiamo imparato da tutta la vicenda. Soprattutto, dimenticare significa coprire la sfida culturale che abbiamo davanti agli occhi, come cittadini e come credenti. La Chiesa ambrosiana ha scelto di schierarsi, appoggiando la decisione presa dalla scuola, perché il dibattito da subito ha spostato la questione sul terreno dell’identità cristiana o cattolica del nostro Paese, e del rapporto tra le religioni. L’intenzione era aiutare le persone coinvolte a orientarsi, e sostenere i ragazzi della scuola, per aiutarli a rimanere uniti ed evitare “l’importazione” tra di loro di divisioni e polarizzazioni tipiche del mondo degli adulti.

Di fronte a coloro che avevano ravvisato nella vicenda i segni di una volontà di cambiare l’identità cattolica della nazione, la diocesi di Milano ha ribadito in modo sereno ma fermo che la fede cristiana non cambia affatto nel suo nucleo fondamentale. Essendo la nostra una fede incarnata, e trovandoci in una società che sta vivendo forti cambiamenti, non possiamo non interrogarci sulle conseguenze che queste trasformazioni hanno sulle espressioni della nostra fede. Essere cattolici, nel senso tecnico ed etimologico del termine, significa far vedere che siamo aperti a tutto e capaci di dialogare anche con chi non si riconosce nella fede che professiamo. Per questo non vogliamo che il confronto e il dialogo tra le religioni diventi uno scontro.

Un dialogo che, tra l’altro, è condiviso da numerose comunità espressione della fede islamica. Durante il mese del Ramadan ho partecipato più volte a un Iftar (rito della rottura del digiuno) in moschee diverse. Non ho incontrato nessuna volontà di scontro diretto o di sopraffazione del cattolicesimo, ma piuttosto la ricerca di un’alleanza per confrontarsi insieme con una società che vuole espellere Dio. Noi siamo per la libertà religiosa, non per una laicità che espelle la religione dalla vita civile e sociale. Al contrario, siamo per una vita civile e sociale capace di contenere al proprio interno la pluralità delle religioni.

Le reazioni alla scelta attuata dalla scuola di Pioltello hanno confermato una sensazione di scarsa preparazione a vivere nel quotidiano, a livello locale, il confronto con un mondo come quello islamico, che ormai è tra noi ed è arrivato non per una spinta di proselitismo o di conquista religiosa, ma per motivi sostanzialmente economici. Arrivata alla ricerca di lavoro e di una vita più dignitosa, la gente s’è portata dietro la propria cultura e la propria fede. Ci ha stupito vedere il disorientamento che questo provoca, innanzitutto tra noi cattolici. Al nostro interno mi sembra d’aver notato tre atteggiamenti diversi. Il primo, tutto sommato minoritario, è la condivisione piena della posizione della diocesi, accogliendone anche la profondità della prospettiva di fede da cui nasce e la ricchezza del lavoro compiuto dalla teologia delle religioni.

Un secondo atteggiamento, ancor più minoritario, è il dissenso aperto, motivato dalla paura di uno smarrimento dell’identità cristiana che conduce a leggere il confronto nella chiave dello scontro. In realtà, questa posizione non s’accorge che la perdita dell’identità cristiana non è legata alla presenza di altre religioni. A qualcuno che mi diceva che quelli che vengono a vivere qui dovrebbero assumere i nostri valori, m’è capitato di chiedere: «Ma lei a Pasqua è stato a messa?». Mi ha stupito sentirmi rispondere, con fastidio, «Che c’entra?». Ecco, la perdita dell’identità cristiana e dei suoi valori dipende dal fatto che non li custodiamo e non li coltiviamo, non dal fatto che gli immigrati musulmani non partecipano alla messa o che ci impegniamo nel dialogo con loro.

Il terzo atteggiamento, il più diffuso, è quello di un silenzio pieno di apprensione verso la prospettiva del dialogo e del confronto. Per questo abbiamo bisogno di strumenti con cui dare ragione di quanto facciamo come credenti. Non si può più semplicemente vivere una fede di comodo, accontentandosi di rimanere nel solco di quello che ci è stato tramandato, senza una rielaborazione che sia all’altezza dei tempi che stiamo vivendo e quindi della sfida del pluralismo con cui siamo chiamati a confrontarci.

«Gareggiate nello stimarvi a vicenda», dice san Paolo ai Romani (12,10). Ma anche il Corano dice: «Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi» (Sura 5,48). Il monaco cristiano e martire Christian De Chergé commenta questo inedito parallelismo affermando che da cristiani siamo invitati a «cercare un senso divino alle differenze». Non si dialoga tra le religioni per costruire la pace: questo è il livello zero del dialogo. Si dialoga perché Dio ci attende per rivelarsi a noi nel crogiuolo della differenza. Luca Bressan, Vita Pastorale, giugno

 

 

 

Perché la Chiesa si interessa di intelligenza artificiale?

 

Non è da oggi che la Chiesa guarda al tema dell’intelligenza artificiale. Dai primi studi negli anni Novanta fino alla Fondazione RenAIssance di oggi. Sono tanti i temi di cui il Papa può parlare al G7 - Di Andrea Gagliarducci

Città del Vaticano. Forse il punto di vista più innovativo sul tema dell’intelligenza artificiale lo ha dato un teologo quarantenne, Rocco Malatacca, che ha interpretato tutta la Scrittura come se fosse una grande opera di intelligenza artificiale, di uomini e storie connesse, di default e di eventi che evengono. Lo ha fatto in un libro, “Tu parli come me” (Città Nuova) che ha il merito non tanto di riportare la questione dell’intelligenza artificiale all’uomo, ma di portare il logos umano ad essere letto come intelligenza artificiale. Il futuro, in fondo, è nell’essere umano, nel suo essere storia di carne e sangue ed evento. Ed il futuro, alla fine, è nella Parola, nel senso più profondo.

Questa interpretazione particolarmente ardita è solo l’ultima di una serie di opere, lavori, studi degli ambienti cattolici in generale e vaticani in particolare tutti collegati al tema dell’intelligenza artificiale, che ha visto anche l’allora Pontificio Consiglio della Cultura impegnarsi in una plenaria sulla questione già nel 2017. Perché la domanda di fondo è: se tutto è relazione, e relazione elettronica, quale spazio c’è per la componente umana?

Papa Francesco, insomma, ha molto su cui pescare per il suo discorso di oggi al G7. La sessione “outreach”, dedicata agli ospiti invitati, parlerà proprio di intelligenza artificiale, ed è facile cadere nel tranello di vederne solo le applicazioni tecnologiche e pratiche, che nel caso della diplomazia riguardano anche temi come le deep fake o le fake news, perché in fondo tutte le guerre sono ibride. Papa Francesco sarà chiamato, insomma, a riportare lo sguardo sull’uomo, superando la visione di Henry Kissinger, che aveva guardato allo sviluppo dell’AI come una sfida senza però guardare ai suoi risvolti etici.

Che sono enormi. Padre Paolo Benanti, TOR, probabilmente uno dei massimi esperti di Intelligenza Artificiale oggi al mondo (è nel comitato ONU per l’intelligenza artificiale, presiede la Commissione di Palazzo Chigi sul tema) relazionò lo scorso anno alla conferenza dei portavoce del CCEE come anche l’uso delle notizie fosse materiale di conflitto, citando uno studio che dimostrava come una serie di siti No-Vax si convertirono immediatamente in siti pro-Russia nel momento dell’aggressione militare sull’Ucraina, portando da un tema all’altro consensi e connessioni.

È la guerra ibrida, in fondo, e Papa Francesco ha il merito di essere stato tra i primi a parlarne riferendosi al conflitto in Ucraina, durante l’incontro interdicasteriale con il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica del luglio 2019.

Come ci si pone di fronte a una tale offensiva di informazione? E, soprattutto, a quale uomo si possono imputare gli automatismi?

Il problema diventa ancora più grande quando non si parla più di manipolazioni di notizie, ma di uso di armi. Basta scorrere gli interventi nemmeno troppo recenti della Santa Sede alle Nazioni Unite per notare come da sempre la Santa Sede si impegni sul tema, con pronunciamenti anche molto forti sulle LAWS (Lethal Autonomous Weapon System). Ne ha parlato anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher all’assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre, mettendo in luce i grandi problemi etici e morali che queste armi portano con sé. In fondo, un drone annulla l’esperienza diretta, fa dell’omicidio una esperienza mediata e dunque si può tranquillamente uccidere senza sentire nemmeno le conseguenze morali del gesto rimanendo comodamente seduti in casa mentre un drone da noi comandato opera dall’altra parte del mondo.

L’uomo mediato dal drone sarà allora considerato uomo? Come detto, se ne parla da tempo. Nel 2017, il Cortile dei Gentili ha ospitato un dibattito su “Intelligenza artificiale: una sfida etica”, mentre la Pontificia Accademia per la Vita, nella prima plenaria con i nuovi membri aveva scelto in quello stesso anno come tema “Accompagnare la vita: nuove responsabilità nell’era tecnologica”.

E se il secondo tema faceva subito pensare alla drammatica vicenda di Charlie Gard, allora molto attuale, e il primo faceva pensare al futuro degli uomini cyborg, è chiaro che la domanda resta sempre quella originaria sull’uomo. Una domanda che si ripropone sia quando la vita degli esseri umani dipende a volte dalle macchine, sia quando sono le nuove tecnologie a prendere sempre più piede nella vita.

Tutto è connesso, l’intelligenza artificiale ha un enorme impatto sull’uomo, e porta in maniera veloce al rischio di transumanesimo in cui l’umano non è più il risultato dell’espressione dell’uomo bensì il risultato dell’ibridazione dell’uomo con alterità non umane.

In quel periodo, furono centinaia, i ricercatori di tutto il mondo – incluso Stephen Hawking – a firmare la dichiarazione promossa dal Future of Life Institute che metteva in guardia dai rischi di un utilizzo incontrollato dell’Intelligenza Artificiale.

Non solo. Il passaggio verso il mondo transumano viene fatto movimenti lievi. Ad esempio, propagandando con favore – è successo qualche anno fa – la sostituzione del cartellino dei dipendenti con un microchip sottocutaneo. Furono pubblicati, nell’occasione, articoli densi di vago ottimismo, che si accompagnavano anche all’uscita nelle sale cinematografiche del film The Circle, che aveva con oggetto proprio il controllo di una azienda sui dipendenti.

Non va dimenticato che il verichip, ora applicato principalmente sugli animali, nasce per scopi umani, così come i tanti progetti di uomini cyborg, che nascono soprattutto per scopi bellici e poi vengono portati in campo civile.

Sono, insomma, tantissimi i temi in gioco. Se l’intelligenza Artificiale può arrivare, un giorno, a ricostruire un occhio danneggiato, quali sono le ricadute etiche se questa viene usata per implementare per scopi di guerra le funzionalità di un occhio sano?

I temi sono antropologici, ma sconfinano anche in altri ambiti, come quello del disarmo e in generale della giustizia e della pace, e non sorprende che tra i primi ad occuparsi del legame tra informatica e diritto sia stato proprio un officiale vaticano, Giorgio Filibeck, per decenni in forze al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Per questo, il discorso di Papa Francesco al G7 dovrebbe toccare anche le implicazioni etiche dell’intelligenza artificiale, seguendo i principi della Rome Call for AI Ethics lanciata dalla Santa Sede che è stata già firmata dai colossi dell’informatica e da diverse confessioni religiose, siglata da importanti corporation informatiche (Microsoft, IBM, Cisco tra le altre), ma anche da diverse altre confessioni religiose – recentemente si è unita anche la Comunione Anglicana.

Il manifesto, approvato da Papa Francesco, chiede un impegno per lo sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale trasparenti, inclusive, socialmente vantaggiose e responsabili. L’intento della Call è dar vita a un movimento che si allarghi e coinvolga altri soggetti: istituzioni pubbliche, ONG, industrie e gruppi per produrre un indirizzo nello sviluppo e nell’utilizzo delle tecnologie derivate dall’Intelligenza Artificiale. Aci 14

 

 

 

Papa al G7: la tecnologia, traccia della nostra ulteriorità

 

Dopo i due Messaggi per la Pace e le Comunicazioni Sociali, Papa Francesco torna sul tema dell'Intelligenza Artificiale incontrando a Borgo Egnazia i rappresentanti del G7 nella Sessione comune – Giovanni Tridente

 

  “Siamo esseri sbilanciati verso il fuori-di-noi, anzi radicalmente aperti all’oltre. Da qui prende origine la nostra apertura agli altri e a Dio; da qui nasce il potenziale creativo della nostra intelligenza in termini di cultura e di bellezza; da qui, da ultimo, si origina la nostra capacità tecnica. La tecnologia è così una traccia di questa nostra ulteriorità”.

Lo afferma Papa Francesco nel Discorso preparato per la partecipazione alla Sessione comune dei lavori del G7 a Borgo Egnazia, in Puglia, dedicata al tema dell’Intelligenza Artificiale e svoltasi venerdì 14 giugno, di cui ha letto una sintesi.

Una riflessione, quella svolta dal Pontefice, “sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità” e un appello all’intera classe politica mondiale a svolgere un “sano” servizio che sia a beneficio per tutti i popoli.

Strumento affascinante e tremendo

Nell’esordio del Discorso, il Papa ha evidenziato alcuni elementi centrali che caratterizzano l’evoluzione tecnologica in atto, riconoscendo innanzitutto che siamo comunque di fronte a “prodotti straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani”.

Di fatti, l’Intelligenza artificiale:

* è uno strumento estremamente potente, impiegato in tantissime aree dell’agire umano (medicina, lavoro, cultura, comunicazione, educazione, politica) » Vedi a questo proposito la nostra serie di podcast “Anime digitiali”

* rappresenta una vera e propria rivoluzione cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali (accesso al sapere, progresso scientifico, superamento dei lavori usuranti)

* apre però al rischio di portare con sé una più grande ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi (cultura dell’incontro vs. cultura dello scarto)

Da qui l’osservazione che si tratta di uno strumento senz’altro affascinante ma al tempo stesso tremendo, che richiede un’accurata riflessione proprio perché “i benefici o i danni che essa [l’IA] porterà dipenderanno dal suo impiego”, visto che “non è possibile separare la storia dell’uomo e della civilizzazione dalla storia di tali strumenti”.

Libertà, responsabilità ed etica

Nel riconoscere che pur godendo di una radicale libertà l’uomo può benissimo “pervertire i fini del suo essere”, bisogna fare in modo - spiega Papa Francesco - che nello sviluppo delle tecnologie avanzate venga “garantita la loro vocazione al servizio dell’umano”, cosicché ne rivelino “la grandezza e la dignità unica”.

“Parlare di tecnologia è parlare di cosa significi essere umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità, cioè vuol dire parlare di etica”, ha aggiunto Francesco.

Dopo aver spiegato la differenza tra uomo e macchina, ossia che il primo “non solo sceglie, ma in cuor suo è capace di decidere” con saggezza (phronesis nella filosofia greca; sapienza nella Sacra Scrittura), mentre la macchina si ferma a “una scelta tecnica tra più possibilità” basandosi “su criteri ben definiti o su inferenze statistiche”, il Pontefice sottolinea che occorre “garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana”.

Politica, giustizia, vita sociale ed educazione

A questo riguardo il Papa accenna ad almeno quattro ambiti su cui la politica è chiamata a intervenire più direttamente, ma che influiscono nella vita di qualunque società, visto il modo in cui l’intelligenza artificiale può essere “istruita” e il meccanismo complesso con cui opera (che il Papa pure spiega):

1. Bandire l’uso di “armi letali autonome”: “nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita a un essere umano”

2. Limitarne l’uso nell’ambito della giustizia predittiva (il Papa fa l’esempio di quei programmi che aiutano i magistrati nelle decisioni relativa alla concessione dei domiciliari a detenuti in regime carcerario e che non sono esenti da pregiudizi): “l’essere umano è sempre in evoluzione ed è capace di sorprendere con le sue azioni, cosa di cui la macchina non può tenere conto”

3. Stimolare il pensiero critico nell’ordinarietà della vita sociale (Francesco avverte del rischio che si corre interagendo con chatbots che simulano comportamenti e atteggiamenti umani, dimenticando che l’IA “non è un altro essere umano e che essa non può proporre principi generali”): “sofisticate o meno che siano, la qualità delle risposte che i programmi di IA forniscono dipendono in ultima istanza dai dati che essi usano e come da questi ultimi vengono strutturati”

4. Incidere in campo educativo avvertendo sui limiti dell’Intelligenza Artificiale Generativa (Il Pontefice fa riferimento agli alunni, spesso più preparati e abituati all’uso dell’IA rispetto ai loro professori, ai quali va spiegato che l’IAgen non sviluppa concetti o analisi nuove): “più che ‘generativa’, essa è quindi ‘rafforzativa’, nel senso che riordina i contenuti esistenti, contribuendo a consolidarli, spesso senza controllare se contengano errori o preconcetti”.

La dignità al centro

L’appello finale del Pontefice ai leader del G7 riuniti per la Sessione comune è rivolto sostanzialmente a “rimettere al centro la dignità della persona”, soprattutto tenendo conto della “particolare e inedita congiuntura sociale” che il mondo sta attraversando: “sembra che si stia perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie fondamentali dell’Occidente: la categoria della persona umana”. Un vulnus davvero rischioso per il futuro dell’uomo.

L’alternativa è ritornare all’etica, puntando su quei “principi condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o conflitti del vivere”, inclusa lo sviluppo di strumenti “sempre ordinati al bene di ogni essere umano”.

Questa proposta del Pontefice è declinata nella Rome Call for AI Ethics (di cui ci siamo occupati almeno QUI, QUI e QUI) e intende superare il pericoloso “paradigma tecnocratico” di cui aveva già parlato nella Laudato si’ e nella Fratelli Tutti.

Infine la chiamata diretta alla politica, anzi, alla “sana politica”, che ha tra le mani il grande compito di reimpostare il sistema economico, sociale, culturale e popolare per incanalare la creatività umana verso progresso profittevole per tutti (cfr. Laudato si’, 191).

Dell’intelligenza artificiale, dunque, “spetta ad ognuno farne buon uso e spetta alla politica creare le condizioni perché un tale buon uso sia possibile e fruttuoso”. Anima digitale 14

 

 

 

"Ridere ma senza offendere i sentimenti religiosi dei credenti"

 

Il Papa oggi in Vaticano ha incontrato una rappresentanza degli artisti del mondo dell’umorismo provenienti da diversi Paesi - Di Marco Mancini

Città del Vaticano. “In Italia si dice che il sorriso fa buon sangue, allora invece del discorso ridiamo tutti.  Guardo con stima a voi artisti che vi esprimete con il linguaggio della comicità, dell’umorismo, dell’ironia, quanta saggezza c’è lì”. Lo ha detto il Papa, stamane, ricevendo in udienza una rappresentanza degli artisti del mondo dell’umorismo provenienti da diversi Paesi.

“Voi avete e coltivate il dono di far ridere. In mezzo a tante notizie cupe, immersi come siamo in tante emergenze sociali e anche personali, voi – ha aggiunto - avete il potere di diffondere la serenità e il sorriso. Siete tra i pochi ad avere la capacità di parlare a persone molto differenti tra loro, di generazioni e provenienze culturali diverse.

“A modo vostro – ha detto ancora il Papa - voi unite la gente, perché il riso è contagioso. È più facile ridere insieme che da soli: la gioia apre alla condivisione ed è il miglior antidoto all’egoismo e all’individualismo. Ridere aiuta anche a rompere le barriere sociali, a creare connessioni tra le persone. Il divertimento giocoso e il riso sono centrali nella vita umana, per esprimersi, per imparare, per dare significato alle situazioni. Il vostro talento è un dono prezioso. Insieme al sorriso diffonde pace, nei cuori, tra le persone, aiutandoci a superare le difficoltà e a sopportare lo stress quotidiano. Ci aiuta a trovare sollievo nell’ironia e a prendere la vita con umorismo”.

“Quando riuscite a far sgorgare sorrisi intelligenti dalle labbra anche di un solo spettatore – ha concluso il Pontefice - fate sorridere anche Dio. La risata dell’umorismo non è mai contro qualcuno, ma è sempre inclusiva, propositiva, suscita apertura, simpatia, empatia. Si può ridere anche di Dio? Certo, come si gioca e si scherza con le persone che amiamo. Si può fare ma senza offendere i sentimenti religiosi dei credenti, soprattutto dei poveri”. Aci 14

 

 

 

Chiesa senza confini, chiesa sconfinata. Sfide e opportunità per le comunità di altre lingue e riti

 

Sebastian Schwertfeger è vice capo del settore Pastorale dell’arcidiocesi di Berlino. Ha partecipato come relatore al Convegno Nazionale della Delegazione a Palermo, lo scorso ottobre. È uno degli organizzatori e relatori del corso base su cura pastorale per credenti di altre lingue e riti che si è tenuto a Fulda lo scorso gennaio. Questo articolo è stato tradotto dal tedesco da Paola Colombo.

 

Gli anni ‘10 e ‘20 sono stati e sono inequivocabilmente anni impegnativi per la Chiesa cattolica in Germania. Quasi nessun altro periodo, a partire dal Concilio Vaticano II è stato e continua a essere caratterizzato da processi di trasformazione come questo. Se si associa il termine “Chiesa cattolica” a questi anni, vengono in mente parole come studi sugli abusi, cambio di papa, percorso sinodale, diminuzione del numero di cattolici e così via. Il cambiamento di peso della Chiesa cattolica in Germania è chiaramente evidente. Contemporaneamente in molte (arci)diocesi sono in corso processi pastorali che stanno cambiando strutture che sono care e apprezzate. Tuttavia anche questi processi sono espressione inequivocabile di questa Chiesa in trasformazione, perché a prescindere da come vengono chiamati, hanno un comune denominatore: sono una reazione al calo del numero di fedeli, a una flessibilizzazione del legame con la Chiesa, e sono una risposta anche alla carenza di personale qualificato (preti, laiche e laici, personale amministrativo), riguardano lo sviluppo immobiliare e nuove (più grandi) strutture parrocchiali.

Tuttavia, se si crede alle statistiche, un gruppo di cattolici in Germania sembra sfidare questi sviluppi. Si tratta delle cosiddette comunità di altre lingue e riti, che comprendono anche le comunità italiane. Per decenni si è usato il termine “comunità di altra madrelingua” per descriverle. Il termine è culturalmente insensibile. Non tutti i parrocchiani hanno come lingua madre l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese, l’italiano, ecc.

In queste parrocchie, il “vecchio” mondo cattolico sembra essere ancora “in ordine”, senza alcun dubbio: Le funzioni domenicali sono ben frequentate e le offerte culturali vengono accolte in gran numero. Ma è proprio così e quali effetti si possono osservare?

La migrazione fa parte della Germania. La grave carenza di manodopera era stata compensata con il reclutamento di personale dall’estero, iniziata a metà degli anni Cinquanta. Diversi accordi bilaterali portarono a un aumento del movimento migratorio. Sebbene nei contratti fosse stato concordato un principio di rotazione, molti lavoratori migranti sono rimasti. Perché non si dovrebbe rimanere nel Paese che si è contribuito a costruire? Se le prospettive sono un soggiorno permanente, si è restii a rimanere da soli. Così negli anni ‘70 c’è stato un forte ricongiungimento familiare.

Quando le persone migrano, portano con sé un intero pacchetto di “arredi interiori”.

Oltre alla propria personalità, plasmata dalle esperienze biografiche, le persone portano con sé anche la lingua, le tradizioni/abitudini nazionali e gli stili di vita religiosi.

Poiché la ricerca di manodopera si è inizialmente concentrata in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, l’essere cattolici faceva parte di quel bagaglio. Il numero particolarmente elevato di persone, trasferite dall’estero, ha impattato anche sulla struttura delle parrocchie. Questo afflusso ha comportato (e continua a comportare) una responsabilità pastorale per le diocesi. Il Sinodo congiunto delle diocesi della Repubblica federale di Germania – il cosiddetto Sinodo di Würzburg – ha aperto la strada a un approccio sensibile alle migrazioni. Già nel 1976 si scriveva: “Per i lavoratori stranieri e le loro famiglie che avevano stretti contatti con la Chiesa nel loro Paese d’origine, le nuove condizioni di vita e le diverse forme di vita ecclesiale presentano molti ostacoli che rendono difficile vivere la loro fede nella nuova situazione. La chiesa locale deve quindi offrire loro tutto l’aiuto di cui hanno bisogno per poter far fronte alle esigenze poste alla loro fede qui”.

Dopo quasi cinquant’anni non è cambiata la missione di offrire una casa nella Chiesa alle persone provenienti da altre nazioni.

In Germania ci sono circa 450 comunità di altre lingue e riti, per un totale di oltre 3,5 milioni di fedeli. Si tratta di quasi il 16% dei cattolici in Germania. Negli ultimi dieci anni il loro numero è rimasto relativamente stabile, in controtendenza rispetto all’andamento nella Chiesa in Germania. Se, ipotizziamo, la tendenza a uscire dalla Chiesa continuerà nei prossimi anni, ma i numeri dei fedeli di altre lingue e riti rimarranno stabili, crescerà la loro percentuale sul numero totale dei cattolici. Si può ipotizzare che questo effetto sarà tuttavia solo temporaneo, a meno che non si verifichi un nuovo movimento migratorio dai Paesi a maggioranza cattolica romana.

E le comunità di altri riti e nazioni devono affrontare ulteriori sfide: anche nelle comunità di altre lingue si avverte un problema generazionale. Mentre per i nonni e i genitori le comunità erano ancora una parte importante del sentirsi a casa in un Paese straniero, i giovani stanno perdendo il loro legame sia con il paese di origine della famiglia che con la chiesa. In molte comunità si sentono le voci rassegnate perché la generazione più giovane non parla quasi più la lingua d’origine dei genitori. È inoltre evidente che alcune comunità stanno invecchiando, una tendenza, che si accentuerà nei prossimi anni. L’incertezza nell’offerta di sacerdoti dal Paese d’origine e l’assottigliamento della generazione più giovane porteranno alla contrazione di comunità, un tempo forti.

Queste sfide sono comuni alla “classica parrocchia di lingua tedesca”. Pertanto, è ancora più necessario avvicinarsi e organizzare insieme il lavoro pastorale. Le parrocchie di altre lingue e riti non sono solo luoghi di vita ecclesiale, ma luoghi di organizzazione pastorale nelle parrocchie e nelle diocesi.

Questo sviluppo, che richiede il coraggio di aprirsi, non deve bloccarsi davanti alla preparazione comune per ricevere i sacramenti. Battesimo, prima comunione e cresima non sono sacramenti di una sola nazione, ma portano alla comunione nella Chiesa universale. Questo, tuttavia, non significa ignorare le rispettive tradizioni religiose. Si tratta piuttosto di capire come le tradizioni religiose possano arricchirsi reciprocamente e addirittura possano contribuire a una maggiore comprensione religiosa. E poiché, come sappiamo, l’amore non conosce confini, la cooperazione tra comunità di altre lingue e riti con le parrocchie locali può arricchire la preparazione al matrimonio.

Lo stesso vale per i carismi. Non sono esclusivi di una comunità ecclesiale, di una nazione o di un gruppo linguistico. Servono a costruire la Chiesa nel suo insieme. Prendersi cura dei poveri, dei malati e delle persone sole è un compito di tutti.

Si dovrebbero promuovere punti di contatto tra le comunità di altre lingue e riti e le parrocchie per permettere di organizzare insieme il lavoro pastorale. Ad esempio, attraverso viaggi comuni per i giovani, cori internazionali o la celebrazione congiunta di feste nell’anno ecclesiastico.

Le (arci)diocesi e le associazioni possono dare il buon esempio promuovendo la visibilità e la partecipazione delle comunità di altre lingue e riti. Finora non esiste un’associazione giovanile che rappresenti le comunità di altre lingue e riti, né i giovani di queste comunità sono significativamente rappresentati nelle organizzazioni giovanili. Oppure esiste un’associazione di giovani cattolici italiani in Germania?

La diversità culturale fa parte della natura della Chiesa. Questa diversità culturale deve riflettersi anche nel personale dei ministeri pastorali stessi, il che non riguarda solo i sacerdoti, ma anche altre professioni.

La sfida del cambiamento nella Chiesa cattolica in Germania, descritta all’inizio, offre l’opportunità di una comunione interculturale contemporanea attraverso la partecipazione attiva di comunità di altre lingue e riti, che rende la Chiesa universale una realtà. Tuttavia, ciò richiede coraggio e la consapevolezza della necessità di uscire dalla nicchia pastorale a cui ci siamo abituati. È come alzarsi al mattino: Chi, per comodità, usa ripetutamente la funzione snooze della sveglia, per alzarsi più tardi, non deve poi sorprendersi se finisce per correre dietro all’autobus. Le parrocchie hanno bisogno di questo coraggio di mettersi in cammino proprio come le comunità di altre lingue e riti. Quando si tratta di partire e di arrivare in un mondo nuovo, i membri di altre lingue e riti hanno un vantaggio in termini di esperienza, che può essere utile.

Sebastian Schwertfeger, CdI giugno/luglio

 

 

 

"I movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali"

 

Udienza ai partecipanti all’Incontro annuale con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. Riflettere sulla sinodalità e sulla chiusura dei movimenti. Questo è l'invito che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti all’Incontro annuale con i Moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita sul tema “La sfida della sinodalità per la missione”.

"Sono contento di incontrarvi, e colgo l’occasione per riflettere con voi sulla sinodalità, che avete scelto come tema della vostra giornata di incontro. Più volte ho ripetuto che il cammino sinodale richiede una conversione spirituale, perché senza un cambiamento interiore non si raggiungono risultati duraturi. Il mio desiderio, infatti, è che, dopo questo Sinodo, la sinodalità rimanga come modo di agire permanente nella Chiesa, a tutti i livelli, entrando nel cuore di tutti, pastori e fedeli, fino a diventare uno stile ecclesiale condiviso. Tutto ciò, però, richiede un cambiamento che deve avvenire in ognuno di noi, una vera e propria conversione”, commenta il Pontefice ai presenti in Udienza.

"È stato un cammino lungo. Pensate che il primo che ha visto che c’era bisogno della sinodalità nella Chiesa latina è stato San Paolo VI, quando dopo il Concilio ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi. La Chiesa orientale aveva conservato la sinodalità, invece la Chiesa latina l’aveva persa. È stato San Paolo VI ad aprire questa via. E oggi, a quasi 60 anni, possiamo dire che la sinodalità è entrata nel modo di agire della Chiesa. La cosa più importante di questo Sinodo sulla sinodalità non è tanto trattare questo problema o quell’altro. La cosa più importante è il cammino parrocchiale, diocesano e universale nella sinodalità", dice Francesco.

Pensare secondo Dio, superare ogni chiusura e coltivare l’umiltà. Questi i tre consigli del Papa.

Pensare secondo Dio. "Ecco il primo grande cambiamento interiore che ci viene chiesto: passare da un pensiero solo umano al pensiero di Dio”, dice Francesco. "Quello che io ho in mente, quello che noi come gruppo abbiamo in mente, è veramente il “pensiero di Dio”?, questa la domanda del Papa.

"Dio è sempre più grande delle nostre idee, è più grande della mentalità dominante, delle “mode ecclesiali” del momento, anche del carisma del nostro particolare gruppo o movimento. Perciò, non diamo mai per scontato di essere “sintonizzati” con Dio: cerchiamo piuttosto sempre di elevarci al di sopra di noi stessi per convertirci a pensare secondo Dio e non secondo gli uomini", sottolinea Papa Francesco.

Secondo: "superare ogni chiusura". "Stiamo attenti per favore alla tentazione del “cerchio chiuso”. I Dodici erano stati scelti per essere il fondamento del nuovo popolo di Dio, aperto a tutte le nazioni della terra, ma gli Apostoli non colgono questo orizzonte grande: si ripiegano su sé stessi e sembrano voler difendere i doni ricevuti dal Maestro – guarire i malati, cacciare i demoni, annunciare il Regno – come se fossero dei privilegi", dice Francesco.

"La sinodalità ci chiede invece di guardare oltre gli steccati con grandezza d’animo, per vedere la presenza di Dio e la sua azione anche in persone che non conosciamo, in modalità pastorali nuove, in ambiti di missione in cui non ci eravamo mai impegnati prima; ci chiede di lasciarci colpire, anche “ferire” dalla voce, dall’esperienza e dalla sofferenza degli altri: dei fratelli nella fede e di tutte le persone che ci stanno accanto", commenta Papa Francesco.

Coltivare l’umiltà. "Comprendiamo qui che la conversione spirituale deve partire dall’umiltà, che è la porta d’ingresso di tutte le virtù. A me fa tristezza quando trovo cristiani che si vantano: perché io sono prete da qui, o perché sono laici da là, perché io sono di questa istituzione... Questa è una cosa brutta. L’umiltà è la porta, è l’inizio. E anche questo ci spinge a interrogarci: ma io cosa cerco davvero nei rapporti con i miei fratelli di fede? Perché porto avanti certe iniziative nella Chiesa?", sottolinea il Papa.

Francesco mette in evidenza che "i movimenti ecclesiali sono per il servizio, non per noi stessi. È triste quando si sente che “io appartengo a questo, all’altro, all’altro”, come se fosse una cosa superiore. I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire".

Il Papa conclude dicendo che "i movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali". Aci 13

 

 

 

Monaco di Baviera. Deceduta suor Zaira. L’amore che non finisce qui

 

“Fate festa perché sono con Gesù” ha detto suor Zaira Dovico del Bell’Amore. Il fratello ripercorre le tappe della sua vita. La suora del Bell’Amore è scomparsa il 26 maggio scorso, dove operava da 12 anni.

Ricordiamo suor Zaira con il racconto del fratello Ermes, pubblicato per gentile concessione dell’autore. Moltissime le manifestazioni di affetto e preghiera da parte della comunità cattolica di Monaco di Baviera, dove operano le suore del Bell’Amore; la ricordano i giovani che ha accompagnato lo scorso anno al meeting di Friburgo, la ricordano tutti coloro che l’hanno conosciuta poco tempo fa, a Palermo lo scorso ottobre, al Convegno Nazionale della Delegazione. (Udep)

“Comunque sarà, cado nelle mani del Dio vivente. Noi non sappiamo il disegno d’amore che Lui ha su ciascuno di noi. Non ti mancherà niente perché, se vado in Paradiso prima di te, hai voglia di grazie che potrò ottenere». Queste sono solo alcune delle parole che suor Zaira Dovico (25 novembre 1974 – 26 maggio 2024), mia sorella, ha pronunciato lo scorso 26 aprile, un mese prima di morire, rivolgendosi direttamente – in mia presenza – a nostra madre, giunta il giorno precedente a Monaco di Baviera per stare al suo capezzale. Quelle parole racchiudono i capisaldi che suor Zaira, come già quando era in salute, ha trasmesso durante tutta la sua malattia: la fede nella risurrezione, la certezza di un Dio che ci ama, la comunione dei santi. Se non credessimo a questa realtà, «saremmo pagani», come ricordava ancora lei, anche in siciliano, per rendere il concetto più efficace. I primi sintomi della malattia li aveva avvertiti tra gennaio e febbraio di quest’anno, tra un’attività e l’altra nella “sua” Monaco. Qui c’è una piccola comunità di Suore del Bell’Amore, istituto fondato nel 1994 a Palermo da suor Nunziella Scopelliti e di cui Zaira è stata una delle prime figlie, dato che proprio in quel periodo iniziava il suo cammino di preparazione ai voti religiosi. In Baviera si era trasferita stabilmente nell’aprile 2012, portandovi la gioia e il sorriso – uniti a un carattere determinato – che chi l’ha incontrata conosce benissimo. «Ci hai unito non solo ai nostri figli ma anche ad altre famiglie», recita una delle varie lettere a lei dedicate, che noi familiari abbiamo ricevuto in questi giorni da amici italiani a Monaco e che riflette quanto ci è stato raccontato, per iscritto o a voce, da altri testimoni sia in Germania che in Italia.

«Con parole semplici ci trasmettevi il tuo amore per Gesù e Maria e ci indicavi la strada della fede. Ci hai insegnato ad unirci nella preghiera per gli altri. E pregando abbiamo visto grandi cose, abbiamo visto la presenza di Gesù tra noi». Questa presenza, che il Signore stesso ci ha promesso (Mt 18,19-20), si è manifestata in tutta una serie di grazie, molte “invisibili” e più spirituali, altre ancora più tangibili, che rispondono ognuna a un nome preciso. Si è manifestata in mezzo ai bambini, verso i quali mia sorella nutriva, anzi, nutre un amore particolare. Si è manifestata tra gli ammalati, l’altro suo grande campo di apostolato a Monaco. Andava di ospedale in ospedale per portare conforto.

Nel settembre scorso suor Zaira aveva celebrato il 25° anniversario dei suoi voti. Era stata una festa indimenticabile, con una partecipazione ben al di là delle attese. Alla rivista della comunità di Monaco Contatto mia sorella aveva raccontato com’era nata la sua vocazione, di come l’incontro con la persona viva di Gesù era diventato per lei «un’esperienza di felicità», ciò che più di tutto dava senso alla sua vita, che pure le ha sorriso fin dall’infanzia, ricca com’era di amici, «monellerie», come le chiamava lei stessa, capacità nello studio e interessi vari, come la danza classica, in cui primeggiava. «Più andavo avanti – raccontava – più la mia gioia (…) si rivelava dono e frutto della relazione con Dio per la quale aderivo profondamente a tutti gli aspetti della vita, incluso il dolore. Infatti, anche quando soffrivo o quando i miei sbagli svegliavano nella coscienza il dolore di aver offeso Gesù, più forte era la fiducia nel suo Amore, rimettevo la mia mano nella sua e continuavo il cammino». Questo percorso sarebbe poi culminato nell’adesione al carisma del Bell’Amore, tra quelle suore che, «non vogliono lasciare solo Gesù nella Chiesa, piagata in ogni tempo da vari mali, e vogliono vivere in comunione con Maria senza scandalizzarsi della croce» e proponendosi di essere segno, nei vari rapporti interpersonali, della «bellezza della comunione trinitaria». Questo è il primo punto del carisma del Bell’Amore, che suor Zaira richiamava ancora a settembre, tanto alla fine del racconto della sua vocazione quanto alla fine di un breve discorso a braccio sul senso della nostra vita quaggiù («un pellegrinaggio verso il Cielo»).

Della croce non si è scandalizzata, neanche quando l’ha toccata direttamente. A marzo di quest’anno ha avuto la diagnosi di un tumore in metastasi in varie parti del corpo, diagnosi che è stata definita completamente solo durante il ricovero, protrattosi per tutti gli ultimi 73 giorni della sua vita terrena. Ho avuto la grazia di poter stare a lungo accanto a lei e posso testimoniare – come altri cari, le suore e gli amici che hanno potuto farle compagnia, chi quotidianamente, chi solo per qualche manciata di minuti – la serenità che ha avuto lungo tutto il corso della malattia, insieme all’indole gioiosa e le risate di sempre. Certo, ci sono stati giorni e momenti più difficili di altri, ma questa serenità è andata perfino crescendo, grazie al sostegno della sua fede e alle innumerevoli preghiere che sono state elevate per lei, anche da perfetti estranei, coinvolti da noi familiari, da amici, e amici degli amici… Abbiamo chiesto, in special modo attraverso una novena, la grazia della guarigione, se questa fosse tornata a maggior gloria di Dio. Ma nei santi disegni di Dio questa maggior gloria doveva passare non da una guarigione fisica, bensì da una morte santa, come mia sorella ha intuito benissimo: aveva capito – e perciò mi aveva citato santa Bernadette – di dover essere, attraverso l’accettazione di questa croce, strumento per gli altri. La Madre celeste l’ha accompagnata, con san Giuseppe e gli altri santi, lungo tutto questo cammino. «Sarebbe bello andare in Paradiso a maggio, nel mese della Madonna», aveva detto il 29 aprile. Sentiva di essere una sposa prediletta del Signore, sostenuta dalla salda speranza della vita eterna. Perciò, sapendo vicino l’estremo momento, aveva lasciato questo “testamento” a suor Nunziella: «Fate festa, perché sono con Gesù!». CdI giugno/luglio

 

 

 

“La preghiera del povero sale verso Dio”: il tema della VIII Giornata Mondiale dei poveri

 

Città del Vaticano. “La preghiera del povero sale verso Dio”. Questa esortazione del libro del Siracide, dell’antico autore sacro Ben Sira, è stata scelta da Papa Francesco come tema per la VIII Giornata Modiale dei Poveri, che si terrà il prossimo 17 novembre 2024. E nel messaggio Papa Francesco si scaglia contro l’arroganza che provoca guerre, affermando: “Quanti nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti!” In fondo, aggiunge, “siamo poveri di pace e tendiamo le mani per accoglierla come dono prezioso e nello stesso tempo ci impegniamo a ricucirla nel quotidiano”.

Nata a seguito dell’Anno Santo Straordinario della Divina Misericordia, la Giornata Mondiale dei Poveri si celebra ogni anno nella XXXIII domenica del Tempo Ordinario, che cade quest’anno il 17 novembre. Sarà il giorno in cui Papa Francesco presiederà la celebrazione eucaristica e poi pranzerà con alcuni poveri in Aula Paolo VI su iniziativa del Dicastero per la Carità, mentre il Dicastero per la Evangelizzazione si renderà protagonista di diverse iniziative benefiche per i bisognosi.  

La giornata era organizzata inizialmente dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, ora confluito nel Dicastero dell’Evangelizzazione, negli scorsi anni si è distinta anche per lo stabilimento di un presidio medico – sanitario per i poveri in piazza San Pietro.

Tema di quest’anno è dunque l’esortazione del Siracide. Secondo un comunicato del Dicastero per l’Evangelizzazione, con questo motto “il Papa ribadisce che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, che è attento e vicino a ognuno di loro. Dio ascolta la preghiera dei poveri e, davanti alla sofferenza, diventa ‘impaziente’ fino a quando non ha reso loro giustizia”.

Come tradizione, la settimana precedente alla Giornata tutte le comunità parrocchiali e diocesane saranno chiamate a porre al centro delle loro attività pastorali l'attenzione per le esigenze dei poveri del proprio quartiere attraverso dei segni concreti.

Nel messaggio, Papa Francesco si sofferma sulla figura di Ben Sira, che “intende trasmettere a tutti la via da seguire per una vita saggia e degna di essere vissuta davanti a Dio e ai fratelli”, e che dedica molto spazio alla preghiera, che dichiara di aver cercato la Sapienza sin dalla giovinezza fino a scoprire “una delle realtà fondamentali della rivelazione, cioè il fatto che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, a tal punto che, davanti alla loro sofferenza, Dio è ‘impaziente’ fino a quando non ha reso loro giustizia”.

Nessuno – nota Papa Francesco – è escluso dal cuore di Dio, e “tutti siamo mendicanti, perché senza Dio non saremmo nulla”, e, sì, “la mentalità mondana chiede di diventare qualcuno, di farsi un nome a dispetto di tutto e di tutti, infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare ricchezza”, ma questa è una “triste illusione” e “la violenza provocata dalle guerre mostra con evidenza quanta arroganza muove chi si ritiene potente davanti agli uomini, mentre è miserabile agli occhi di Dio”.

Denuncia Papa Francesco: “Quanti nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti! Eppure, non possiamo indietreggiare”.

Papa Francesco sottolinea che nell’anno della preghiera, c’è bisogno della preghiera del povero e di pregare per loro, afferma che “l’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede”.

C’è bisogno di coraggio per diventare mendicante, pronto a riconoscerci come “povero e bisognoso”, anche perché il vero povero è l’umile il quale “non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di Dio, davanti al quale sta come il figlio prodigo che torna a casa pentito per ricevere l’abbraccio del padre”.

Il povero, insomma, non ha altro che Dio, ed è vero – scrive il Papa – che “a volte chiediamo di essere liberati da una miseria che ci fa soffrire e ci umilia e Dio sembra non ascoltare la nostra invocazione”, ma “il silenzio di Dio non è distrazione dalle nostre sofferenze; piuttosto, custodisce una parola che chiede di essere accolta con fiducia, abbandonandoci in Lui e alla sua volontà”.

Papa Francesco ricorda che la Giornata Mondiale dei Poveri è diventata “un appuntamento per ogni comunità ecclesiale”, una “occasione propizia per realizzare iniziative che aiutano concretamente i poveri, e anche per riconoscere e dare sostegno ai tanti volontari che si dedicano con passione ai più bisognosi”, ma allo stesso tempo va ricordato che “la carità senza preghiera rischia di diventare filantropia che presto si esaurisce”, e allora siamo chiamati a “evitare questa tentazione ed essere sempre vigili con la forza e la perseveranza che proviene dallo Spirito Santo che è datore di vita”.

Il Papa ricorda che Madre Teresa di Calcutta “ripeteva continuamente che era la preghiera il luogo da cui attingeva forza e fede per la sua missione di servizio agli ultimi”, tanto che “quando, il 26 ottobre 1985, parlò nell’Assemblea Generale dell’ONU, mostrando a tutti la corona del Rosario che teneva sempre in mano”.

Altro esempio è quelo di San Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783), il quale “trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo”, dormendo in un angolo delle rovine del Colosseo.

Guardando al prossimo Giubileo, Papa Francesco esorta “ognuno a farsi pellegrini di speranza”, custodendo “piccoli particolari dell’amore”.

“In questo tempo – conclude Papa Francesco - in cui il canto di speranza sembra cedere il posto al frastuono delle armi, al grido di tanti innocenti feriti e al silenzio delle innumerevoli vittime delle guerre, rivolgiamo a Dio la nostra invocazione di pace”. Perché – aggiunge – “siamo poveri di pace e tendiamo le mani per accoglierla come dono prezioso e nello stesso tempo ci impegniamo a ricucirla nel quotidiano”.  Andrea Gagliarducci, Aci 13

 

 

 

Setta, come esperienza estrema di comunità

 

Leggiamo la Bibbia con il teologo Simone Paganini – Tema 2024: Le sette religiose

Quando Gesù iniziò la sua attività pubblica come predicatore itinerante sulle strade della Galilea da subito formò intorno a sé un gruppo di persone che non solo condividessero il suo pensiero, ma anche che lo aiutassero nel suo ministero. Alcune persone le ha scelte lui direttamente, molte altre invece si sono aggregate al gruppo di loro spontanea volontà.

I vangeli sono unanimi nel descrivere lo sviluppo di questo gruppo che nei momenti di massima espansione può essere nutrito solo mediante miracolose moltiplicazioni di pani e pesci, ma che, nei momenti di crisi, si riduce a poche donne che da lontano guardano Gesù e la processione dei condannati verso il luogo della crocifissione.

Le fonti antiche sono tuttavia concordi nel descrivere il successo di predicatori carismatici misurandolo nel numero dei discepoli che si radunano intorno al predicatore. La cosa non è cambiata fino ad oggi.

Il Nuovo Testamento descrive come Gesù o – storicamente più plausibile – i suoi discepoli abbiano dato a questo gruppo una chiara struttura organizzativa ed amministrativa. Il nome che scelsero per definirlo non era molto fantasioso, lo chiamarono semplicemente “comunità”. Naturalmente lo fecero in greco, la lingua franca del mondo di allora, e utilizzarono quindi il termine “ekklesia”, vocabolo che poi latinizzato divenne il nostro “chiesa”.

La chiesa è quindi originariamente niente altro che la denominazione di questa prima comunità che fa da modello a tutte le forme di comunità religiose che si sono sviluppate in seguito.

Il processo sociologico che ha fatto nascere la prima chiesa intorno al primo gruppo di seguaci di Gesù è riconoscibile durante tutto il corso della storia, in gruppi che si formano quasi automaticamente intorno alla figura carismatica di un fondatore. Questo vale sia all’interno della chiesa stessa sia nel caso della formazione di ordini religiosi – san Francesco fonda la comunità dei Francescani, san Giovanni Bosco quella dei salesiani ecc. –, che sono quasi comunità particolari all’interno di una comunità universale, ma vale anche per la nascita di “chiese alternative” a quella cattolica, come ad esempio quella protestante, venutasi a formare attorno alla figura di Lutero, o quella calvinista, creatasi intorno a Calvino ecc.

La nascita di queste comunità è causata da un momento di crisi o dalla capacità carismatica dei fondatori. La nascita di una setta e ancor di più l’acquisizione di nuovi adepti è ancora oggi decisamente collegata a questo aspetto dell’essere e sentirsi comunità.

Una comunità infatti è prima di tutto un luogo protetto, dove si possono esprimere senza timore tra persone che hanno un pensiero simile le proprie convinzioni, quindi è anche un luogo che dà sicurezza, perché il modo di concepire il mondo da parte dei membri è condiviso. Una comunità è anche il luogo fisico dove ci si ritrova, si celebrano rituali, si fanno esperienze insieme.

Non è un caso che molte sette presenti nella società contemporanea facciano dell’aspetto comunitario un elemento centrale della loro costituzione. Se sette e movimenti religiosi attivi già nel secolo scorso – Mormoni, Testimoni di Geova, diverse chiese evangelicali libere ecc. – cercavano di riproporre strutture tipiche della chiesa cattolica, sia per la gerarchia che per la struttura, numerosi movimenti religiosi e sette moderne hanno piuttosto la tendenza a sottolineare l’aspetto comunitario come modo per fuggire all’anonimità della società moderna, trovare supporto e sostegno.

Il sentimento di comunità svolge un ruolo importante in quanto contribuisce a rafforzare il legame tra i membri e a creare un senso di appartenenza. Il senso di comunità e di appartenenza sono quindi fondamentali per rafforzare l’impegno dei membri e legarli al gruppo. Attraverso rituali, attività e credenze condivise, che si esprimono anche in un vocabolario e una gestualità comune, si crea un’atmosfera in cui i membri si sentono parte di un’esperienza speciale.

L’altra faccia della medaglia implica però anche il fatto che il senso di comunità può essere utilizzato anche per consolidare il controllo sui membri. Creando una forte identità di gruppo e promuovendo l’interdipendenza tra le persone e nei confronti dei leader, i gruppi settari possono limitare l’autonomia e le scelte individuali dei loro membri. Questo fa sì che i membri siano meno critici nei confronti degli insegnamenti e delle pratiche del gruppo e più disposti a seguire le istruzioni dei leader, senza riconoscere che queste possono essere nocive o manipolative.

Un esempio limite è quello della setta americana Heaven’s Gate (porta del cielo). I membri di questo gruppo credevano nella possibilità di liberarsi dal proprio corpo fisico per raggiungere l’illuminazione finale. Nonostante la natura estrema di queste credenze, i membri della setta sentivano un forte legame tra loro basato sulla condivisione della loro missione e sulle loro credenze spirituali. Questo forte legame comunitario ha contribuito a far sì che i membri fossero disposti a prendere misure estreme per seguire le loro credenze, anche se ciò significava la loro stessa morte in un suicidio collettivo al fine di liberarsi dalle catene corporee.

Il senso di comunità non è negativo di per sé, ma all’interno di gruppi settari può essere estremamente radicalizzato e quindi utilizzato per manipolare ed esercitare un controllo sui membri. Simone Paganini, CdI giugno/luglio

 

 

 

Patriarca d’Occidente: perché è stato riutilizzato questo titolo?

 

Primato e Sinodalità nei Dialoghi ecumenici è una panoramica su tutto il dibattito ecumenico, e include una proposta concreta su come trovare le nuove forme dell’esercizio petrino - Di Andrea Gagliarducci

Città del Vaticano. Era tornato in sordina, senza alcun annuncio né spiegazione, il titolo di Patriarca di Occidente associato al Papa. E la spiegazione della scelta si trova nell’ultimo documento licenziato dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Primato e Sinodalità nei Dialoghi Ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut Unum Sint.

Si tratta di un documento dalla lunga gestazione, una sorta di sommario ragionato di tutti i dibattiti ecumenici e delle varie commissioni e sottocommissioni di dialogo che si sono stabilite e delineate in questi ultimi anni di ecumenismo, e di come il dibattito abbia avuto nuova linfa dall’idea di una forma rinnovata dell’esercizio del Ministero Petrino contenuta nell’enciclica Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II. Ma il documento prevede anche una parte finale, che ne è poi il vero cuore: 30 punti per definire le proposte concrete del dicastero per andare davvero verso questa nuova forma di esercizio del ministero petrino, e quattro raccomandazioni, che vanno dalla ricomprensione ed eventuale riformulazione di alcuni insegnamenti del Concilio Vaticano I

Senza chiedere al lettore di arrivare in fondo all’articolo per conoscere i dettagli di un documento molto lungo (151 pagine, con la prima parte suddivisa i 181 punti e la seconda in ulteriori 30, con una vasta appendice bibliografica che rimanda ai documenti),  basti sapere che le proposte concrete riguardano prima di tutto il fatto che primato e sinodalità vanno di pari passo; che il vocabolario ecumenico va chiarito e va chiarita anche l’espressione Chiesa universale; che si guardi anche ad un nuovo esercizio del primato strutturato sulla diakonia, ovvero sul servizio, guardando agli sviluppi dei cosiddetti “dialoghi della carità” o “dialoghi della vita” portati avanti attraverso la preghiera e la testimonianza comune negli ultimi anni.

Ma soprattutto, si chiede di fare una distinzione più chiara tra le diverse responsabilità del Papa, ovvero di capo della Chiesa cattolica e del suo ministero patriarcale nella Chiesa latina e il suo ministero primaziale delle Chiese alla distinzione dei vari ruoli del Papa – includendo la distinzione tra patriarca di occidente e primate della Chiesa universale -, e da un maggiore sviluppo della sinodalità nella Chiesa Cattolica alla necessità di avere più comunione conciliare tra le Chiese, come successo nell’incontro di Bari del 2018.

Patriarca di Occidente

Ed è qui che si trova la risposta alla domanda del perché è tornato il titolo di Patriarca d’Occidente riferito al Papa. Benedetto XVI aveva fatto accompagnare la scomparsa del titolo con una riflessione del dicastero ecumenico in cui si notava che proprio il termine “occidente” ormai riguardava un fatto culturale, non più geografico, e non si riferiva solo alla Chiesa di rito latino, mentre il ministero del Papa era comunque universale. C’erano state preoccupazioni che l’eliminazione del titolo portasse poi alla considerazione di una più ampia giurisdizione papale. Ora si dà risposta a quelle preoccupazioni, in pratica ricreando una divisione tra Oriente e Occidente che forse è di difficile comprensione al mondo moderno – e basti pensare alle Chiese sui iuris di rito bizantino come la Chiesa Greco Cattolica Ucraina che ha comunque un impatto globale ed eparchie in tutto il mondo cosiddetto occidentale.

Nel suo intervento nella conferenza stampa di presentazione, il Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sottolinea che “quando Benedetto XVI ha cancellato questo titolo e quando Papa Francesco ha reinserito questo titolo non hanno commentato”, ma che comunque il Cardinale è convinto che entrambi lo hanno fatto “in rispetto ecumenico. Mi sembra importante distinguere tra dimensione patriarcale e il titolo patriarca dell’Occidente. Abbiamo la visione di dover rivedere le funzioni del primato del vescovo di Roma. Ma il titolo di Patriarca dell’Occidente è oggi un po’ difficile, perché la maggioranza della Chiesa cattolica non è più in occidente – è in America Latina, in altri continenti – e in questo senso è difficile parlare di Papa Patriarca dell’Occidente”

La preoccupazione ecumenica di Papa Francesco

Ecco, allora, che vengono connotati di nuova luce diversi gesti di Papa Francesco, perché è essenziale – si legge nel documento – evidenziare che il vescovo di Roma, che “presiede nella carità tutte le Chiese”. Per questo, il documento ritiene “è notevole che Papa Francesco abbia sottolineato il suo titolo di Vescovo di Roma fin dalle sue prime parole pubbliche dopo l’elezione”, e poi “più recentemente, l’elencazione degli altri suoi titoli pontificali come ‘storici’ (cfr. Annuario Pontificio 2020), può contribuire a una nuova immagine del papato”, mentre “allo stesso modo, alla cattedrale della diocesi di Roma è stato dato un maggiore risalto da quando i recenti documenti e la corrispondenza papale sono stati firmati da San Giovanni in Laterano, una chiesa che potrebbe giocare un ruolo più significativo anche all’inaugurazione di un nuovo pontificato”.

Il documento lamenta comunque che “tuttavia, la terminologia utilizzata nei documenti ufficiali cattolici e nelle dichiarazioni riguardanti il ministero del Papa spesso non riflette questi sviluppi e manca di sensibilità ecumenica”.

E certo che questa preoccupazione ecumenica si è vista anche in occasione della dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede Fiducia Supplicans sulla benedizione delle persone in situazioni irregolari, che ha visto anche una reazione molto dura della Chiesa Ortodossa Copta, la quale ha sospeso il dialogo ecumenico.  Il cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede, è poi stato al Cairo per spiegare il documento.

Racconta il cardinale Koch: “Fiducia Supplicans ha creato molti problemi, pensiamo all’Africa: è la prima volta che un continente quasi intero si oppone ad un documento. Personalmente, ho ricevuto già prima di Natale una lettera del co-presidente della commissione per il dialogo Cattolico – Ortodosso Orientale, che è copto ortodosso, il quale chiedeva di discutere del tema nella plenaria e si era chiesto al Cardinale Fernandez di spiegare il documento. Non è stato possibile perché il Cardinale Fernandez era impegnato nella plenaria del suo dicastero. Si è mandata una nota scritta, ma gli orientali hanno ritenuto che la risposta non fosse sufficiente. Abbiamo parlato con il Papa, e poi si è deciso di fare passo di andare in Egitto e speriamo si possano superare questi problemi”

 Le questioni teologiche fondamentali

Il documento serve anche a fare un po’ di storia, considerando che il lavoro sul rapporto tra primato e sinodalità è stato il focus della Commissione Internazionale Mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa dal 2006, e che è stato affrontato nel famoso documento di Ravenna del 2007 – in cui si accettò una forma di primato del vescovo di Roma, anche se poi non c’era accordo sulla definizione stessa di primato – ma anche nel documento di Chieti 2016 e poi di Alessandria 2023, in cui si cerca una lettura comune su sinodalità e primato rispettivamente nel primo e nel secondo millennio.

Tuttavia, si nota che ci sono quattro questioni teologiche fondamentali che riemergono costantemente: i fondamenti scritturistici del ministero petrino, lo jus divinum, il primato di giurisdizione, l’infallibilità. Non è un caso che il prossimo documento della commissione mista cattolico-ortodossa affronterà prooprio il tema dell’infallibilità. Aci 13

 

 

 

Islam, prospettive. Intervista a p. Körner, noto islamologo

 

Nei mesi scorsi abbiamo pubblicato una serie di articoli per conoscere un po’ il Corano e per vedere alcune differenze sostanziali dal cristianesimo sul modo di concepire per esempio Gesù e Maria di Nazareth. L’approccio è quello rispettoso della conoscenza verso un’altra religione. Concludiamo questo ciclo con una conversazione con padre Felix Körner, della compagnia del Gesù, profondo conoscitore dell’Islam.

Padre Felix Körner, entrato nell’ordine dei gesuiti nel 1985, ha conseguito due dottorati, uno in Studi islamici e uno in teologia cattolica. Ha trascorso sei anni in Turchia nella comunità cattolica locale e in dialogo con teologhe e teologi islamici. A Roma per 11 anni, è stato professore alla Pontificia Università Gregoriana. È titolare della “Cattedra Nikolaus Cusanus di teologia delle religioni” presso l’Istituto centrale di teologia cattolica della Humboldt-Universität di Berlino. Recente è la pubblicazione anche in italiano del suo “Religione politica. Come cristianesimo e Islam configurano il mondo” (Queriniana Edizioni).

Padre Körner, Lei è un islamologo di fama internazionale, impegnato nel dialogo interreligioso. Si è occupato di esegesi del Corano, ha vissuto diversi anni ad Ankara, vorrei rivolgerle alcune domande, raccogliendo una palpabile diffidenza nei confronti dell’Islam, un serpeggiante timore nei confronti dei musulmani perché ci sono stati attacchi terroristici in Europa negli anni scorsi da parte dell’Isis e di loro “lupi solitari”, perché vediamo la posizione di inferiorità e subordinazione delle donne (Iran e Afghanistan sono feroci nella repressione delle libertà delle donne), perché giovani musulmani nelle strade del centro delle nostre città cercano proseliti. Siamo confrontati con questa immagine aggressiva dell’Islam. Guardiamo con preoccupazione a casi di conversione all’Islam da parte di giovani uomini e donne delle nostre comunità italiane in Germania per motivi di amore. D’altro canto ci sono esempi di tutt’altro tenore: una giovane mia conoscente di origine marocchina, cresciuta in Europa con una educazione laica, riscopre il Ramadan, festeggia la fine del Ramadan, riscopre le sue tradizioni religiose, ritrova una parte delle sue origini, una parte della sua identità e nello stesso tempo partecipa a una funzione religiosa cristiana con un suo amico, con il rispetto e la curiosità di vedere come altri pregano e lodano Dio.

Detto questo, padre Körner, sappiamo dalla storia, come l’Islam nell’epoca che noi chiamiamo Medioevo, era una grande civilizzazione di riflessione, ricerca e apertura e pluralità di opinioni. Come mai non vediamo oggi molte manifestazioni di una tale cultura tra i musulmani?

Dobbiamo cominciare in modo generico. Si può osare a dire che una cultura è aperta alle nuove idee ed è tollerante nei confronti della pluralità quando si considera vincente.

Questa è un’osservazione, mi vien da dire, applicabile in molti altri contesti. Ma non mi allargo. Che cosa intende per cultura vincente? Vincente in modo militare?

Certamente, no. Quando dico vincente voglio dire che una civilizzazione è abbastanza rilassata e serena nella propria diversità e specificità quando non si vede esistenzialmente minacciata da nemici – nemici interni ed esterni. Ma dobbiamo parlare adesso in modo specifico dell’Islam.

Sì. Cosa è successo nell’Islam? Come mai la civilizzazione musulmana ha perso questa, diciamo, generosa apertura?

Per l’Islam del Medio Oriente c’è stato un momento traumatico all’inizio dell’Ottocento. Ma già questa formula è importante, l’Islam del Medio Oriente? A quell’epoca, l’Islam, in questa regione ha cominciato a percepirsi quasi come una nazione, un “noi” in contrapposizione con altre culture religiose. Ora, questo Islam quasi-nazionale vede il successo dell’idea di nazione in Francia e poi anche di altre nazioni europee. La valutazione da parte dei leader religiosi era fondata sulla contrapposizione al cristianesimo. E da quel momento l’Islam dice che il territorio, la cultura e la religione del cristianesimo ha vinto sul “noi” musulmano. Comincia così un vero e proprio complesso di inferiorità di tutta una civilizzazione; ovviamente questa non è una buona base per un atteggiamento dialogico.

Questo è un passaggio importante. Ci dica qualcosa di più a riguardo. Per esempio, i musulmani che pensavano in termini di questa inferiorità, che motivi adducevano per questa gerarchia tra le civilizzazioni? Perché, secondo loro, l’Islam aveva perso la sua grandezza?

Ecco, la domanda chiave! Tanti opinionisti dicevano in modo ideologico cose come: abbiamo perso il vero Islam. Ma cos’è il vero Islam? Loro usavano ora delle costruzioni mentali artificiali, richiamandosi all’idea di un passato ideale dell’Islam. Ovviamente questo è il gesto tipico di ciò che si chiama, per qualsiasi religione, fondamentalismo.

Questo richiamo al passato ideale, fondante, che genera posizioni fondamentaliste trovava la sua motivazione in ambito di riscatto politico dal colonialismo occidentale?

Colonialismo reale, anzi brutale, ma qualche volta anche colonialismo immaginato.

Quindi questa era la loro interpretazione della storia. Ma cosa proponevano come soluzione del problema?

Finora, qualche volta, si è proposto una sorta di formula magica; in verità, una formula pericolosa. Questa dice più o meno così: dobbiamo ristabilire la nostra religione come fattore primario per fondare la nostra cultura, per ricreare l’atmosfera della società e soprattutto per riformare la costituzione dello Stato. E questo è nient’altro che Islamismo, il fondamentalismo dell’islamismo.

È una idea opposta a quella della concezione laica dello Stato che abbiamo in Occidente, in Europa, della separazione fra stato e religione.

Attenzione. Conosciamo anche un laicismo esagerato. C’è l’idea di una separazione così radicale che la religione non ha più visibilità nello spazio pubblico. Le comunità religiose devono avere anche la libertà di presentarsi, anzi, di essere interlocutrici dello Stato.

Ma allora, padre Körner, la pretesa che la perdita del vero Islam sia la ragione per la perdita del ruolo da leader culturale è un’ideologia, non è un’analisi che ha un qualche fondamento scientifico, storico, sociologico?

Esatto!

Quindi come si potrebbe rispondere in modo storico e razionale alla domanda: perché questo calo culturale dell’Islam?

Le vere ragioni della nuova preminenza dell’Europa sul Medio Oriente a livello economico, scientifico e militare non sono religiose. Possiamo piuttosto identificare tre fattori contestuali, tre costellazioni. Il primo è stata l’interruzione delle comunicazioni causate dalle guerre. Pensiamo alle Crociate, all’invasione mongola e poi anche alla “Reconquista” nella Penisola iberica. Tutto questo ha bloccato lo scambio di informazioni nelle regioni dominate dall’Islam. La cultura di scambio delle idee non funzionava più. Il secondo fattore è stato, come già accennato, il colonialismo europeo. L’Europa ha guadagnato dalle sue colonie un’enorme ricchezza; ma come colonizzatrici le nazioni europee hanno anche provocato processi di costruzione di Stati artificiali e poco stabili. Terzo fattore, guardando alla situazione dentro l’Europa, l’ordine politico del Continente e, specialmente, il suo “disordine” alla fine del Medioevo, ha permesso la formazione di nazioni concorrenti ma anche di una nuova classe sociale: il cittadino indipendente. La concorrenza nazionale e l’individuo critico-creativo – ecco due nuove sorgenti di energia.

E quale sarebbe una prospettiva per il futuro, dove sono degli strumenti per una riscoperta dell’Islam nella sua ampiezza culturale?

Un’enorme opportunità è la crescita di una genuina teologia islamica nelle università europee. Non parliamo solo dei musulmani che velocemente dicono delle cose che sembrano moderne ma sono mal fondate nella tradizione. Questo sarebbe un aggiornamento superficiale. Parlo piuttosto della teologia accademica che diventa uno spazio per la continuazione dell’erudizione islamica classica. Una volta l’Islam aveva questa fruttuosa pluralità, era una cultura del dibattito argomentativo. E vediamo oggi, anche qui a Berlino, una rinascita di una tale interazione produttiva. Ma questa crescita non è solo un fermento limitato e chiuso al mondo accademico. Questa conoscenza profonda dell’Islam viene comunicata alla società e alle comunità tramite mediatori teologicamente formati. Pensiamo agli insegnanti nelle scuole, ai predicatori e leader nelle moschee e anche ai giornalisti ampiamente informati grazie alla ricerca e riscoperta della propria tradizione.

Lei, padre Körner, accenna all’erudizione islamica classica. Ma come è possibile un approccio esegetico al Corano, analogo a quello che c’è stato per le Sacre scritture a partire dalla teoria dell’interpretazione novecentesca in Europa e in Occidente? Non è il Corano direttamente dettato da Dio a Maometto?

Anche i musulmani che vedono il processo di rivelazione in questo modo diretto hanno sempre voluto comprendere ciò che viene detto. È una cosa recitarlo, bello! Ma è un altra cosa chiedere: cosa dice Dio a noi con queste parole? Dobbiamo ricordare che i modi odierni di interpretazione hanno una vecchia tradizione nell’Islam. C’era già un inizio di ciò che oggi chiamiamo critica testuale e constestualizzazione storica. Paola Colombo, CdI giugno/luglio

 

 

 

 

Celebrazione della Solennità del Corpus Domini a Kempten

 

Kempten. Giovedì, 30 maggio 2024, la Missione Cattolica Italiana di Kempten ha celebrato la Solennità del Corpus Domini insieme alla Comunità Tedesca della Parrocchia di St. Anton.

La solenne Processione doveva essere svolta all'aperto con l'allestimento di 5 altari, uno dei quali preparato dalla Missione.

Purtroppo, però, a causa del maltempo, la Celebrazione si è svolta all'interno della chiesa.

Il brano evangelico e i commenti della seconda stazione sono stati letti in italiano; e così pure la preghiera dei fedeli, che è stata recitata dalle Signore Gisella Trovato e Carmela Leanza.

Molto gentilmente il Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato, e la Signora Gisella hanno portato un pane preparato per l`occasione e lo hanno posto sull'altare.                       

Alla processione, celebrata dal Decano, Don Bernhard Hesse, hanno partecipato anche due altri sacerdoti, uno dei quali ha letto un brano in italiano.

Tra i nostri connazionali presenti alla Cerimonia – oltre ai già nominati Coniugi Trovato e alla Signora Carmela Leanza – ricordiamo la Segretaria della Missione, signora Pina Baiano e i signori Paolo Franco e Ignazio Romano.

La Processione si è conclusa verso le 11:45, tra la gioia e la fraternità delle due Comunità. Pina Baiano, dip

 

 

 

La "lectio divina" e un Vangelo tascabile a portata di mano

 

Città del Vaticano. Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continua il nuovo ciclo di catechesi, iniziato da qualche mercoledì, sullo "Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”. La riflessione di oggi parte dal tema "Tutta la Scrittura è ispirata da Dio". In particolare il consiglio è quello di "Conoscere l’amore di Dio dalle parole di Dio".

Dunque oggi vediamo lo Spirito "nella rivelazione, di cui la Sacra Scrittura è testimonianza ispirata da Dio e autorevole", dice Papa Francesco.

"Lo Spirito Santo, che ha ispirato le Scritture, è anche Colui che le spiega e le rende perennemente vive e attive. Da ispirate, le rende ispiratrici", spiega il Pontefice.

"Può capitare, infatti, che un certo passo della Scrittura, che abbiamo letto tante volte senza particolare emozione, un giorno lo leggiamo in un clima di fede e di preghiera, e allora quel testo improvvisamente si illumina, ci parla, proietta luce su un problema che stiamo vivendo, rende chiara la volontà di Dio per noi in una certa situazione. A che cosa è dovuto questo cambiamento, se non a una illuminazione dello Spirito Santo?", sottolinea il Papa nella sua catechesi.

Per il Pontefice "la Chiesa si nutre della lettura spirituale della Sacra Scrittura, cioè della lettura fatta sotto la guida dello Spirito Santo che l’ha ispirata. Al suo centro, come un faro che illumina tutto, c’è l’evento della morte e risurrezione di Cristo, che compie il disegno di salvezza, realizza tutte le figure e le profezie, svela tutti i misteri nascosti e offre la vera chiave di lettura dell’intera Bibbia".

Poi Francesco "dispensa alcuni consigli". "Un modo di fare la lettura spirituale della Parola di Dio è la lectio divina. Consiste nel dedicare un tempo della giornata alla lettura personale e meditativa di un brano della Scrittura. Questo è molto importante. Meditare leggere un passo della Scrittura. Mi raccomando, sempre un Vangelo tascabile, così quando siete in viaggio lo prendi e leggi qualcosa. L’omelia poi deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Ma l'omelia per questo deve essere breve, un immagine di un pensiero e sentimento, non deve essere più di 8 minuti perchè la gente si addormenta e ha ragione. Questo voglio dire a quei preti che parlano tanto, omelia breve, un pensiero, un sentimento e come fare, l'azione".

"Concludiamo con un pensiero che può aiutare a farci innamorare della Parola di Dio. Come certi brani musicali, la Sacra Scrittura ha anch’essa una nota di fondo che l’accompagna dall’inizio alla fine, e questa nota è l’amore di Dio", conclude così Papa Francesco. Veronica Giacometti, Aci 12

 

 

 

"Durante le omelie la gente si addormenta"

 

Il Papa, all’udienza generale in piazza San Pietro, sferza di nuovo i parroci sulla durata dell’omelia: non più di otto minuti, dice, o la gente si addormenta “e ha ragione”. Bergoglio, in occasione della catechesi, staccandosi dal testo ha osservato: “L’omelia deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Per questo deve essere breve. Non deve andare oltre gli otto minuti perché dopo si perde attenzione e la gente si addormenta e ha ragione”. Da qui il monito ai parroci: “Questo voglio dire ai preti che parlano tanto e non si capisce di cosa parlano. Non più di otto minuti! Perché l’omelia deve aiutare a trasferire la parola di Dio dal libro alla vita”.

“Tra le tante parole di Dio che ogni giorno ascoltiamo nella Messa o nella Liturgia delle ore, ce n’è sempre una destinata in particolare a noi. Accolta nel cuore, - ha osservato - essa può illuminare la nostra giornata e animare la nostra preghiera. Si tratta di non lasciarla cadere nel vuoto! Concludiamo con un pensiero che può aiutare a farci innamorare della Parola di Dio. Come certi brani musicali, la Sacra Scrittura ha anch’essa una nota di fondo che l’accompagna dall’inizio alla fine, e questa nota è l’amore di Dio”.

Il Pontefice ha quindi esortato i fedeli a portare con sé una piccola Bibbia tascabile per leggerla nei momenti liberi: “Fratelli, sorelle, avanti con la lettura della Bibbia, non dimenticate il Vangelo tascabile. Portatelo In borsa, in viaggio. Lo Spirito Santo, che ha ispirato le Scritture e ora spira dalle Scritture, ci aiuti a cogliere questo amore di Dio nelle situazioni concrete della nostra vita”.

In incontro a porte chiuse con i parroci torna su "frociaggine"

Ieri, nell'incontro a porte chiuse avuto oggi coi parroci di mezza età, il Papa è tornato sul concetto di "frociaggine". Lo hanno riferito all'Adnkronos fonti che erano presenti all'incontro. Bergoglio ci è tornato sopra di sua spontanea volontà, utilizzando lo stesso termine colorito, usato nel discorso a porte chiuse coi vescovi italiani, che aveva suscitato una bufera e che lo aveva portato poi a scusarsi tramite il Vaticano. Nel dettaglio, chi era con presente all'incontro, racconta che il Papa è tornato sull'argomento "con grande equilibrio" dicendo che un giovane omosessuale "non è prudente che entri in seminario".  Adnkronos 12

 

 

 

IOR, il lavoro per la trasparenza finanziaria e le sfide del presente

 

Il presidente del Consiglio di Sovrintendenza IOR De Franssu parla ad un forum sulla trasparenza finanziaria organizzato dalla rivista Omnes - Di Andrea Gagliarducci

Roma. Il Consiglio di Sovrintendenza dello IOR cambierà presto composizione, allo scadere dei cinque anni dei suoi membri, ma di certo sarà di nuovo una composizione internazionale, rappresentativa anche dei luoghi dove la Chiesa ha una realtà finanziaria più sviluppata. Perché l’Istituto delle Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, vuole portare avanti la sua missione al servizio della Chiesa, mantenendo il principio della “totale trasparenza finanziaria” che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Lo sottolinea Jean-Baptiste de Franssu, presidente del Consiglio di Sovrintendenza dello IOR dal 2014 (quindi, da due mandati di cinque anni) in un incontro su Trasparenza e corresponsabilità nel servizio alla Chiesa, che ha avuto luogo a Roma il 4 giugno, presso la Pontificia Università della Santa Croce, sotto gli auspici della rivista OMNES e del Gruppo CASE (Corresponsabilità, Amministrazione e Sostegno Economico alla Chiesa), con la partecipazione di diversi professionisti della finanza e dei media.

De Franssu parla ad un pubblico selezionato, e la sua intenzione è quella di non pubblicizzare troppo quello che dice. Parla secondo quelle che si chiamano Chatham House Rules, e sono regole che preservano la confidenzialità dell’incontro. Si può citare ciò che si è detto ma non attribuirle a qualcuno in particolare. Tuttavia, possiamo sapere ciò che si è detto all’incontro della Santa Croce attraverso una nota della rivista OMNES, pubblicata in accordo proprio con il presidente del Consiglio di Sovrintendenza.

De Franssu, che è presidente del Consiglio di Sovrintendenza IOR dal 2014, ha rivendicato i risultati positivi della sua gestione, una rinnovata credibilità internazionale che vede lo IOR avere rapporti con 40 banche, e l’indirizzo degli investimenti verso una “dimensione di etica cristiana”, tanto che oggi “non c’è nessun investimento del Vaticano che non rispetta l’insegnamento della Chiesa”.

Inoltre, in relazione ai criteri di inversione etica più conosciuti, i cosiddetti ESG (ambientali, sociali e governance), de Franssu ha sottolineato che “in realtà si convertiti in un mezzo politico per la trasformazione della società in questioni come il gender o altre relazioni. Da questo punto di vista, non sono coerenti con i principi cristiani, e lo IOR si distanzia da loro”.

Il documento di riferimento è Mensuram Bonam, licenziato dalla Pontificia Accademia per le Scienze Sociali nel 2022 dopo una lunga gestazione – inizialmente doveva essere un documento del Dicastero per il Servzio dello Sviluppo Umano Integrale. Si tratta di una sorta di vademecum per gli investimenti che siano conformi alla dottrina cattolica, una nuova frontiera affrontata da diversi gestori e investitori negli Stati Uniti e in altri importanti ambienti finanziari.

Se ora gli investimenti sono tutti conformi a queste linee guida, c’è da dire che i profitti dello IOR si sono particolarmente ridotti negli ultimi dodici anni, passando dagli 86,6 milioni di profitti del 2012 ai 30 milioni di profitto del 2022 (su cui però non si conosce l’impatto delle compensazioni nate dai processi giudiziari), con picchi negativi nel corso degli anni di appena 16,1 milioni di utili. Dimezzato anche il TIER 1, componente primaria del capitale di una banca, che passa dall’82,40 per cento del 2019 al 46,14 per cento del 2022.

Sono tutti dati che si possono spiegare con i presunti danni provocati dalle passate gestioni? Ci sono vari processi intentati dallo IOR, che è anche stato all’origine di una segnalazione che ha portato al famoso processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Ma sarà da vedere se poi tutte queste mala gestiones dei precedenti amministratori vadano lette come parte di un atteggiamento di corruzione o incompetenza oppure come l’esecuzione di ordini superiori, considerando che poi lo IOR ha una gerarchia ben strutturata, che è non solo burocratica, ma anche ecclesiale. E, chissà, forse ci sarà in futuro anche una riforma generale sulla gestione degli investimenti da parte di tutti gli organisfmi finanziari vaticani, IOR incluso.

Di certo, de Franssu fa bene a notare i risultati positivi delle ispezioni di MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza agli standard internazionali dei Paesi che si sottopongono alla sua mutua valutazione. Questi risultati, tuttavia, riguardano lo IOR soprattutto per le migliorie di tipo tecnico, perché la valutazione è più in generale sull’intero sistema finanziario vaticano, sulle leggi e su come queste leggi vengono sviluppate. Lo IOR, insomma, siede su un sistema ben solido, già nel 2012 veniva lodata da MONEYVAL la sua attività di screening dei conti (e questo ben prima che entrassero i costosi consulenti esterni) e ha bisogno soprattutto di lavorare sull’adeguatezza tecnica di alcune strutture.

Nel suo incontro – si legge nella nota di OMNES - De Franssu ha sottolineato che l’Istituto è di proprietà del Papa, e dunque ogni profitto va al Papa, e in questo modo lo IOR contribuisce alle finanze della Santa Sede.  

Per quanto riguarda l’operatività dello IOR, il presidente ha sottolineato che ormai l’istituto può fare prestiti solo in determinate circostanze, e per ragioni istituzionali. Parole importanti, se si considera che il processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato nasce dal rifiuto dello IOR a concedere una anticipazione di denaro alla Segreteria di Stato vaticana, con l’idea che l’operazione avesse una natura opaca e che comunque lo IOR non fosse autorizzato a concedere prestiti.

De Franssu ha anche sottolineato l’importanza di gestire sempre meglio gli asset, notando che “l’istituto è stato abusato in molte occasioni e ha perso molti soldi a causa di un alto grado di incompetenza”.

In questo modo, si pone una netta discontinuità tra la gestione de Franssu e le gestioni precedenti, ma che in realtà non tengono conto nemmeno del grande lavoro della Santa Sede, a partire dagli anni Ottanta, per migliorare il suo sistema finanziario, renderlo aderente ai parametri internazionali e renderlo credibile a livello finanziario. È stato un lungo lavoro, che voleva anche dotare lo Stato di Città del Vaticano di una indipendenza gestionale e una personalità internazionale, lontana dall’ingombrante vicino italiano – e in effetti diversi problemi ci sono stati con la Banca d’Italia, più che con altre istituzioni.

Di certo, è un percorso verso la trasparenza che continua, e quella che stiamo vivendo ora è solo una tappa. Aci 12

 

 

 

Papa Francesco in Campidoglio: "Roma riscopra il suo carattere universale"

 

Il Papa: "Il Giubileo ha un carattere religioso, un pellegrinaggio orante e penitente per ottenere dalla misericordia divina una più completa riconciliazione con il Signore" - Di Marco Mancini

Città del Vaticano. “Nel ritornare a farvi visita, provo sentimenti di gratitudine e di letizia. Vengo a incontrare l’intera città, che pressoché dalla sua nascita ha avuto una chiara e costante vocazione di universalità. Per i fedeli cristiani questo ruolo non è stato frutto del caso, ma è corrisposto a un disegno provvidenziale”. Con queste parole Papa Francesco ha aperto il suo discorso per la visita in Campidoglio, la seconda dall’inizio del suo pontificato.

L’arrivo del Cristianesimo a Roma – ha ricordato il Pontefice - ha “permeato e trasformato la vita delle persone e delle stesse istituzioni. Alle persone avrebbe offerto una speranza ben più radicale e inaudita; alle istituzioni la possibilità di evolvere a uno stadio più elevato, abbandonando a poco a poco un istituto come quello della schiavitù, che anche a tante menti colte e a cuori sensibili era parso come un dato naturale e scontato, per nulla suscettibile di essere abolito. Questo della schiavitù è un esempio molto significativo del fatto che anche raffinate civiltà possono presentare elementi culturali così radicati nella mentalità delle persone e dell’intera società da non essere più avvertiti come contrari alla dignità dell’essere umano”.

Ciò – ha puntualizzato il Papa – “si verifica anche ai nostri giorni, quando, quasi inconsapevolmente, si rischia a volte di essere selettivi e parziali nella difesa della dignità umana, emarginando o scartando alcune categorie di persone, che finiscono per ritrovarsi senza adeguata protezione”.

Dopo aver ricordato le varie tappe della storia di Roma, dai Cesari ai Papi “alcune volte con comportamenti non felici”, da Porta Pia alla conciliazione, Francesco ha sottolineato come la Città si sia “sempre confermata, anche in queste fasi storiche più recenti, nella sua vocazione universale. Ora Roma si appresta a ospitare il Giubileo del 2025. Tale evento è di carattere religioso, un pellegrinaggio orante e penitente per ottenere dalla misericordia divina una più completa riconciliazione con il Signore”.

Il Giubileo – ha aggiunto - “non può non coinvolgere anche la città sotto il profilo delle attenzioni e delle opere necessarie ad accogliere i tanti pellegrini che la visiteranno, aggiungendosi ai turisti. Roma è unica. Perciò anche il prossimo Giubileo potrà avere una ricaduta positiva sul volto stesso della città, migliorandone il decoro e rendendo più efficienti i servizi pubblici, non solamente nel centro ma favorendo l’avvicinamento tra centro e periferie. E a me piace visitare le parrocchie di periferia, è la presenza del Vescovo lì”.

Dopo aver ringraziato per la collaborazione il Comune e il Governo italiano – “tante volte – ha detto a braccio - la meschinità porta a pensare che siano i soldi. No, sono rapporti umani” - il Papa ha parlato dello “spirito universale” di Roma. “Questo spirito vuole essere al servizio della carità, al servizio dell’accoglienza e dell’ospitalità. Pellegrini, turisti, migranti, quanti si trovano in gravi difficoltà, i più poveri, le persone sole, quelle malate, i carcerati, gli esclusi siano i più veritieri testimoni di questo spirito, per questo ho deciso di aprire una porta santa in un carcere. Possano testimoniare che l’autorità è pienamente tale quando si pone al servizio di tutti, quando usa il suo legittimo potere per venire incontro alle esigenze della cittadinanza e, in modo particolare, dei più deboli, degli ultimi. Continui Roma a manifestare il suo volto accogliente, ospitale, generoso, nobile. L’enorme afflusso di pellegrini, turisti e migranti, con tutto ciò che significa in termini di organizzazione, potrebbe essere visto come un aggravio, un peso che frena e intralcia lo scorrere normale delle cose”.

“Tutto questo – ha concluso Papa Francesco invocando Maria Salus Populi Romani - è Roma, la sua specificità, unica al mondo, il suo onore, la sua grande attrattiva e la sua responsabilità verso l’Italia, verso la Chiesa, verso la famiglia umana. Ogni suo problema è il rovescio della sua grandezza e, da fattore di crisi, può diventare opportunità di sviluppo. L’immenso tesoro di cultura e di storia è l’onore e l’onere della sua cittadinanza e dei suoi governanti, e attende di essere adeguatamente valorizzato e rispettato. Rinasca in ciascuno la consapevolezza del valore di Roma, del simbolo che essa rappresenta in tutti i continenti; e si confermi, anzi cresca la reciproca fattiva collaborazione tra tutti i poteri che vi risiedono, per un’azione corale e costante, che la renda ancora più degna del ruolo che la Provvidenza, le ha riservato”.

“Grazie per questa accoglienza fraterna, calorosa, arrivederci al Giubileo. Ci vediamo tutti lì”, il saluto del Papa, a braccio, lasciando l’Aula Giulio Cesare per fare rientro in Vaticano. Aci 11

 

 

 

Vescovi, Zdk e Caritas preoccupati. “Aumento populisti segno di crisi”

 

Mons. Franz-Josef Overbeck, responsabile per le questioni europee della Conferenza episcopale tedesca, ritiene che i risultati delle elezioni europee in Germania rafforzeranno l’Unione europea nel suo insieme. “Le elezioni europee mostrano – se guardiamo al risultato in Germania – che le forze democratiche e affidabili per l’Europa nel loro insieme sono state rafforzate”, ha detto il vescovo di Essen analizzando il voto, e ha sottolineato la “stabile affluenza alle urne”. In Germania si è attestata sul 64,8%, 3,4 punti percentuali in più rispetto al 2019. Ma Overbeck ha avvertito che “l’ascesa delle forze populiste di destra deve ricordarci: dobbiamo difendere la nostra democrazia con tutte le nostre forze”.

Secondo l’arcivescovo di Amburgo Stefan Heße il risultato elettorale è un invito all’azione. “Siamo sfidati più che mai a impegnarci a favore della cultura democratica e dell’Europa”. “Al di là del giorno delle elezioni, il compito resta quello di promuovere giorno dopo giorno l’idea europea e renderla tangibile”.

Il vescovo di Treviri Stephan Ackermann è rimasto scioccato dal sostegno dei giovani alla politica populista del partito Alternativa per la Germania – AfD: “Non credo che questo partito dia una risposta reale alle preoccupazioni dei giovani riguardo al nostro pianeta o alle loro prospettive di formazione, studio, lavoro e vita familiare”. Secondo Ackermann “non dobbiamo smettere di difendere la nostra democrazia e i nostri valori fondamentali, basati sulla dignità inalienabile di tutte le persone, e di alzare continuamente la nostra voce”. Il vescovo ha invitato a chiedersi cosa abbia portato alla decisione di votare per l’AfD e come si potrebbe contrastarla.

Per la presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), Irme Stetter-Karp, l’affluenza alle urne è “un segno di forza democratica”. Allo stesso tempo, la presidente dell’organizzazione laica è molto preoccupata per le conquiste ottenute dai partiti di estrema destra in molti Paesi dell’Ue. “Il fatto che l’AfD sia emersa dalle elezioni europee come la seconda forza più forte in Germania, e anche come la più forte nella parte orientale della repubblica, è un segno di crisi per la democrazia liberale”, ha detto Stetter-Karp. La presidentessa dello ZdK si è detta costernata dal fatto che in Germania il 17 per cento degli elettori che hanno votato per la prima volta hanno votato per l’AfD. “Dobbiamo rafforzare l’educazione democratica nelle scuole e fare tutto il possibile per creare una rete duratura per il coraggio civile e contro l’estremismo di destra”.

Anche la presidente della Caritas tedesca, Eva Maria Welskop-Deffaa, ha espresso sollievo. “I nemici dell’Unione europea sono rimasti una minoranza nel nostro Paese, nonostante tutti gli spaventosi aumenti di voti per i populisti”. “Ci interessa un’Europa delle frontiere aperte e dei cuori aperti, un’Europa che facilita gli incontri e sostiene l’equilibrio sociale, un’Europa che garantisce in modo sicuro la partecipazione digitale per tutti e protegge i confini del pianeta con responsabilità internazionale”, ha affermato Welskop-Deffaa. Il modello sociale europeo offre spazio per una convivenza a misura d’uomo. “L’Europa ha bisogno di un accordo rapido su un presidente della Commissione che porti questa eredità nel futuro”. M. Chiara Biagioni, Sir 10

 

 

 

Commento alla X Domenica del Tempo Ordinario

 

Carpi, domenica. Oggi Gesù ci ricorda una verità, seppur scomoda: tutti siamo peccatori e per essere liberati dal nostro peccato abbiamo necessità di accogliere il perdono di Dio, che ci viene offerto da Cristo. Grazie a Lui ritroviamo la nostra dignità di figli di Dio.

Tuttavia, dice Gesù, c’è un peccato che non potrà ottenere misericordia: la bestemmia contro lo Spirito Santo. Come si manifesta questo peccato imperdonabile? Le parole di Gesù riportate nei Vangeli di Matteo (12, 31-33), Marco (3,28-30) e Luca (12,8-12) hanno suscitato svariate controversie all’interno della Chiesa, in quanto sembrano delimitare la misericordia infinita di Dio, il suo desiderio di salvare tutti gli uomini (cfr. 1Tm 2.4). Nei primi secoli del cristianesimo, sant’Ambrogio considerava peccato contro lo Spirito la negazione della divinità della terza Persona della Santissima Trinità, ossia dello Spirito Santo. Nei secoli a seguire si sono interrogati sulla questione studiosi della Sacra Scrittura, moralisti, mistici, maestri di vita spirituale. Le conclusioni delle loro ricerche sono state sintetizzate nel Catechismo di san Pio X, il quale insegna che è peccato contro lo Spirito Santo disperare della salvezza, presumere di salvarsi senza meriti, combattere le verità di fede conosciute, invidiare la grazia altrui, ostinarsi nel peccato, restare impenitenti fino alla fine. Ognuno di questi atteggiamenti costituisce una chiara chiusura all’azione della Grazia di Dio

Per comprendere la situazione della persona che pecca contro lo Spirito Santo possiamo prendere come esempio il malato che si rifiuta di prendere la medicina che può guarirlo. Nel nostro caso, il malato è il peccatore mentre la medicina, ossia il rimedio per guarire, è la Grazia, che il peccatore non solo rifiuta, ma addirittura combatte perché l’odio verso Dio lo acceca, lo fa diventare come un demonio. Il peccato contro lo Spirito, dunque, non è un peccato dovuto alla fragilità umana come, ad esempio, il tradimento dell’apostolo Pietro che una volta pentito è stato perdonato da Cristo. Ma, al contrario, è una sfida cosciente scagliata contro Dio, una avversione volontaria a Lui. È rifiuto di qualunque relazione positiva e costruttiva con Lui, tramite il Suo Santo Spirito. Le conseguenze sono devastanti: anziché opere sante fatte in Dio, si compiono opere malvagie frutto di una sostanziale sequela del Maligno.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “la misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo”. (CCC §1864). Un tale indurimento può portare alla impenitenza, ossia al radicale rifiuto di convertirsi e di conseguenza alla rovina eterna. In altre parole, chi non riconosce il proprio peccato rivendica un presunto diritto di perseverare nel male. 

Gesù perdona tutti i peccati nell’infinita misericordia che sgorga dal suo Divin Cuore, ma per ottenere il perdono bisogna riconoscere la propria condizione di peccatore, una disposizione interiore assente in coloro che chiudono la porta al pentimento perché si considerano nella verità e non comprendono la gravità delle loro parole e delle loro opere. Chi non cambia certi comportamenti interni ed esterni  ostinati e pieni di cattiveria, si sottrae da sé al perdono di Dio. Tuttavia come afferma san Tommaso d’Aquino: «questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa» (S. Tommaso, Somma Teologica, II-II, 14, 3). Mons. Francesco Cavina, Aci 9

 

 

 

Papa Francesco: "Gesù era un uomo libero"

 

Appello del Papa per Gaza: "Soccorrere la popolazione stremata dalla guerra: gli aiuti devono arrivare a chi ne ha bisogno e nessuno lo può impedire"- Di Marco Mancini

Città del Vaticano. “Gesù predicava e guariva i malati con la forza dello Spirito Santo. E proprio lo Spirito lo rendeva divinamente libero, cioè capace di amare e di servire senza misura e senza condizionamenti”. Lo ha detto Papa Francesco, stamane, introducendo la preghiera mariana dell’Angelus.

“Gesù – ha spiegato il Papa - era libero di fronte alle ricchezze, la gratuità del ministero di Gesù; era libero di fronte al potere, si è sempre messo dalla parte degli ultimi, insegnando ai suoi discepoli a fare altrettanto. Era libero di fronte alla ricerca della fama e dell’approvazione, e per questo non ha mai rinunciato a dire la verità, anche a costo di non essere compreso, di diventare impopolare, fino a morire in croce, non lasciandosi intimidire, né comprare, né corrompere da niente e da nessuno”.

“Gesù – ha sottolineato il Pontefice - era un uomo libero. E questo è importante anche per noi. Infatti, se ci facciamo condizionare dalla ricerca del piacere, del potere, dei soldi o dei consensi, diventiamo schiavi di queste cose. Se invece permettiamo all’amore gratuito di Dio di riempirci e dilatarci il cuore, e se lo lasciamo traboccare spontaneamente ridonandolo agli altri, con tutto noi stessi, senza paure, calcoli e condizionamenti, allora cresciamo nella libertà, e diffondiamo il suo buon profumo anche attorno a noi”.

“Dopo domani in Giordania si terrà una conferenza su Gaza. Incoraggio – ha detto il Papa al termine dell’Angelus – la comunità internazionale ad agire urgentemente con ogni mezzo per soccorrere la popolazione stremata dalla guerra: gli aiuti devono arrivare a chi ne ha bisogno e nessuno lo può impedire. Ieri era il decimo anniversario dell’invocazione della pace in Vaticano. Un incontro che testimonia che stringersi la mano è possibile, per fare la pace ci vuole coraggio, più che per fare la guerra. Incoraggio i negoziati in corso e auspico che la proposta di pace per il  cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi sia accettata. Non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino che più soffre e più anela la pace”. aci 9

 

 

 

"Nella musica e nella Chiesa ognuno è chiamato a fare bene la sua parte”

 

Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti al IV Incontro Internazionale delle Corali in occasione del 40/mo di fondazione del Coro della Diocesi di Roma - Di Marco Mancini

Città del Vaticano. “La musica genera armonia raggiungendo tutti, consolando chi soffre, ridonando entusiasmo a chi è scoraggiato e facendo fiorire in ciascuno valori meravigliosi come la bellezza e la poesia, riflesso della luce armoniosa di Dio. L’arte musicale ha infatti un linguaggio universale e immediato, che non necessita di traduzioni, né di tante spiegazioni concettuali”. La musica può essere apprezzata da “semplici e  dotti, cogliendone chi un aspetto chi un altro, con più o meno profondità, ma attingendo tutti dalla stessa ricchezza. Inoltre la musica educa all’ascolto, all’attenzione e allo studio, elevando le emozioni, i sentimenti e i pensieri, portando le persone oltre il vortice della fretta, del rumore e di una visione solo materiale della vita, e aiutandole a contemplare meglio sé stesse e la realtà che le circonda. Dona così, a chi la coltiva, uno sguardo saggio e pacato, con cui più facilmente si superano divisioni e antagonismi, per essere in accordo, per vigilare sulle stonature e correggere le dissonanze, che sono pure utili per la dinamica delle composizioni, purché integrate in un sapiente tessuto armonico”. Lo ha detto Papa Francesco, ricevendo in Aula Paolo VI i partecipanti al IV Incontro Internazionale delle Corali in occasione del 40/mo di fondazione del Coro della Diocesi di Roma.

“In un coro e in un’orchestra la riuscita dell’esecuzione di tutti è condizionata dall’impegno di ciascuno, dal fatto che ognuno contribuisca al meglio nel suo ruolo, rispettando e ascoltando chi gli sta accanto, senza protagonismi, in sintonia. Proprio come nella Chiesa e nella vita – ha puntualizzato Francesco - dove ciascuno è chiamato a fare bene la sua parte a vantaggio dell’intera comunità, perché da tutto il mondo si alzi un canto di lode a Dio”.

Infine il Papa ha invitato i presenti a “tenere alto il tenore spirituale della vostra vocazione: con la preghiera e la meditazione della Parola di Dio, partecipando, oltre che con la voce, anche con la mente e con il cuore delle liturgie che animate, e vivendone con entusiasmo i contenuti giorno per giorno, perché la vostra musica sia sempre più elevazione felice del cuore a Dio, che con il suo amore attrae, illumina e trasforma tutto”. Aci 8

 

 

 

Che progetto portano le nuove Famiglie Ecclesiali?

 

Il Forum delle Famiglie Ecclesiali di Vita consacrata riflette sulla identità delle nuove forme di vita consacrata - Di Angela Ambrogetti

Città del Vaticano. In attesa della prossima sessione del Sinodo sulla sinodalità che si svolgerà ad ottobre in Vaticano, molte famiglie religiose fanno il punto. Saranno presenti all' Assemblea con i loro rappresentanti, ma la loro "giovinezza" ecclesiale le porta a ragionare sul futuro in modo diverso dal solito.

Sto parlando delle "Famiglie ecclesiali di Vita Consacrata". Realtà molto diverse dalle più storiche congregazioni religiose. A fine maggio si è svolto a Roma un colloquio tra esperti dedicato proprio all'idea di un "propria categoria consolidata di vita consacrata". Insomma passata la fase pionieristica ora come si consolidano queste realtà?

In due giornate si è parlato di molto e in particolare basandosi su un documento di lavoro per poter affrontare tutti gli argomenti.

Dopo il 1996 con la Vita Consacrata di Giovanni Paolo II, molte cose sono cambiate con il riconoscimento e l’approvazione di “altre forme di vita consacrata”. E questi nuovi istituti di vita consacrata, si distinguono dagli Istituti religiosi e secolari nonché dalle Società di vita apostolica e alcuni di loro sono stati chiamati e canonicamente approvati come Famiglie Ecclesiali (di vita consacrata).

Da quasi cinque anni, otto comunità ecclesiali che si configurano come una struttura unica e unificata e come un unico soggetto giuridico, e che hanno al loro interno membri di diversi stati di vita, legati con voti e/o altri vincoli, hanno costituito un “Foro di studio” su alcune tematiche di loro interesse.

Ecco, da qui parte il lavoro del colloquio di fine maggio nel quale si è cercato di approfondire ciò che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa tramite i carismi di queste Famiglie. Ma c'è stato anche un metodo di lavoro e un confronto con i Dicasteri competenti per capire quale sia il futuro delle Famiglie Ecclesiali e di tanti altri che potrebbero annoverarsi alla medesima “nuova categoria” di Istituti di vita consacrata.

Le comunità che hanno già ricevuto da tempo un riconoscimento Pontificio e sono elencati nell’Annuario Pontificio sotto la categoria “altri Istituti di Vita Consacrata” (la Società di Cristo Signore – S.C.S.; la Fraternità Missionaria “Verbum Dei” – F.M.V.D.; la Famiglia Spirituale “L’Opera” – F.S.O.; l’Istituto “ID” di Cristo Redentore, Missionarie e Missionari “Identes” – M. Id.). Gli altri sono approvati in forma analoga a livello diocesano oppure stanno nel processo di approvazione Pontificia o diocesana (Famiglia Ecclesiale Missione Chiesa-Mondo; Comunità delle Beatitudini, Comunità Mariana – Oasi della Pace; comunità Missionaria di Villaregia).

E' stato nel 2019 che il Forum ha prodotto un Documento: “Comunione e corresponsabilità” che, partendo dall’esperienza comune di alcuni nuovi carismi che riassume e descrive elementi comuni delle Famiglie Ecclesiali.

Uno dei temi ricorrenti, oltre le questioni canonistiche, è il rapporto tra laici, consacrati e sacerdoti in queste famiglie. Nessuna "gerarchia", quanto piuttosto una parità effettiva pur nella differenza di ruoli e stati di vita. Così nelle Famiglie Ecclesiali, un consacrato non è più "importante " di un laico. La vita consacrata più tradizionale sembra mettere una certa distanza tra membri della congregazione religiosa e laici "collaboratori", ma le Famiglie Ecclesiali vanno oltre.

Interessante sfida per l'evangelizzazione del futuro e anche per imparare quella "sinodalità" di cui si parla tanto, anche nelle parrocchie e nelle diocesi.

Sarebbe bello avere gli atti del Colloquio a corredo del Sinodo in Vaticano. Utile per poter portare il progetto "familiare" a tutto il Popolo di Dio. Aci 6

 

 

 

Quando il sacerdote va in pensione. Voltare pagina, che difficile!

 

“Voilà, ecco la tua parrocchia, ormai ho fatto i miei 75 anni!” Con fare deciso, père Robert si presenta così al vescovo, per rinunciare alla conduzione del suo gregge. E ne spiega anche il motivo: “Ormai, in pensione, voglio camminare, contemplare, passeggiare… allenarmi per i prati del paradiso!” Bella questa libertà, ancor di più il suo programma. E, se volete, pure questo spirito deciso, nel saper voltar pagina del libro della vita. Dicendosi, tuttavia, sempre disponibile a dare una mano se serve, ma una sola…  È vero, continuare a essere leader non è sano per sé, né per gli altri. Tempi nuovi avanzano al galoppo. Restare sulla cresta dell’onda, allora, non si rivela salutare. Necessitano, a volte, in una comunità, una sensibilità differente, delle energie nuove o uno sguardo diverso. E sarà sempre – non bisogna preoccuparsene – un arricchimento, un completamento di quello che si è fatto fino allora… Sarà pure seguire la “regola d’oro dell’alternanza”, come recita un bel passaggio della Bibbia, in quel procedere a due tempi: C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli. E si potrebbe aggiungere al testo sacro: un tempo per essere leader e un tempo solamente per consigliare…”  Perché il consiglio serve spesso ad anticipare le cose. Sì, si è così presi dal presente, o fissati al passato che non si ha il tempo di scrutare sufficientemente il futuro, i segni dei tempi. Come si scruta il cielo, per vedere che tempo farà, come ricorda il Vangelo. Inoltre, ”i tuoi figli e figlie profetizzeranno, i tuoi vecchi sogneranno e i tuoi giovani avranno visioni” (cfr Gl 3,1). Dare, così, spazio al sogno, oltre al fare.  Ricordo il vescovo di Ginevra di anni fa, città dove mi trovavo in missione. “Le unità pastorali sono il futuro della nostra diocesi?  – si interrogava, rivolgendosi ai suoi collaboratori – Sì, allora lo anticipiamo!”. E ne fissava subito l’entrata in vigore per decreto, cioè l’accorpamento di tutte le parrocchie di città o di campagna tre a tre. Per imparare da subito a condividere ricchezze e fragilità, sfide e difficoltà. Questo quando si preferisce anticipare i tempi. E si comprende teologicamente come il Regno di Dio avanza con i suoi passi verso di voi, più che l’inverso. Preferendo, così, non vedere sfilacciarsi le situazioni, logorarsi gli animi o irrigidirsi le dinamiche, presi da quell’ansia di trattenere nelle nostre mani il passato. Aprirle per accogliere i segni del Regno, il clima di tempi nuovi, sa sempre di miracolo.

Penso ancora all’enorme sorpresa che provavo, quando tempo fa, recandomi per l’ennesima volta al monastero benedettino di St Benoit s/Loire, in Francia, dove apprezzare un abate dallo stile paterno, dolce ed equilibrato, di un’autorevolezza naturale, che traspariva dai pori della pelle.

Lo ritrovavo, invece quella volta, in piedi alle mie spalle, alla mensa degli ospiti, con due bottiglie in mano, una di acqua e una di vino, per servire durante il pranzo e versare quando necessario ai commensali. Un giovane abate, invece, troneggiava al centro del grande refettorio… Plastica immagine, allora, per me delle parole del Cristo, venuto per servire, non per essere servito e che Benedetto identificava nel forestiero stesso, che bussa alla porta.  Così ricordo le raccomandazioni del nostro vescovo di Versailles, quando rivolgendosi al presbyterium, a tutti i preti riuniti, suggeriva di coltivare degli interessi, degli hobbies, delle passioni, come il giardinaggio, uno strumento musicale, la lettura di un libro, un collezionismo…  “Quando vi toglierò la parrocchia - concludeva così – non vi sentirete perduti o in depressione…”

Voltare pagina per un leader è spesso una sfida, un gesto di coraggio e un grande atto di fiducia in Dio, che accompagna il nostro cammino in tutte le stagioni dell’esistenza. Allora sì che si avrà il tempo di seguire il consiglio di un vicario episcopale francese, che raccomandava ai preti di coltivare sempre tra i tanti impegni e programmi anche degli incontri liberi, spontanei e casuali. Dio è, per davvero, sorpresa! Renato Zilio, Inform/dip 6

 

 

 

A settembre un documento sul Sacro Cuore

 

Il Papa ha concluso l'udienza di oggi - dedicata al vento dello Spirito Santo - annunciando a sorpresa un documento sul Sacro Cuore, nel 350° anniversario della prima manifestazione a Santa Margherita Maria Alacoque. Al termine, l'ennesimo appello per la pace: “Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che il mondo non soffra tanto per le guerre” – di M. Michela Nicolais

Si è conclusa con un annuncio a sorpresa l’udienza di oggi, pronunciata in piazza San Pietro e dedicata al vento dello Spirito Santo: Papa Francesco ha infatti rivelato ai fedeli che a settembre prossimo pubblicherà un documento sul Sacro Cuore, nel 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, a Santa Margherita Maria Alacoque. “Riproporre a tutta la Chiesa questo culto, carico di bellezza spirituale, in un mondo che sembra aver perso il cuore”, l’obiettivo del documento, in cui verranno raccolte le riflessioni magisteriali precedenti e tutta la lunga storia che è stata oggetto di devozione popolare, dalle Scritture ad oggi. Al termine dell’udienza, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana, l’ennesimo appello per la pace: “Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che il mondo non soffra tanto per le guerre”.

“Il vento è l’unica cosa che non si può assolutamente imbrigliare, non si può imbottigliare o inscatolare”, ha detto il Papa nella catechesi. “Cerchiamo di imbottigliare o inscatolare lo Spirito: non è possibile, è libero”, ha spiegato poi a braccio.  “Pretendere di rinchiudere lo Spirito Santo in concetti, definizioni, tesi o trattati, come ha tentato di fare a volte il razionalismo moderno, significa perderlo, vanificarlo, o ridurlo allo spirito puramente umano puro e semplice”, il monito di Francesco, secondo il quale “esiste una tentazione analoga anche in campo ecclesiastico, ed è quella di voler racchiudere lo Spirito Santo in canoni, istituzioni, definizioni”.

“Lo Spirito crea e anima le istituzioni, ma non può essere Lui stesso istituzionalizzato, cosificato”, ha precisato il Papa: “Il vento soffia dove vuole, così lo Spirito distribuisce i suoi doni come vuole. San Paolo farà di tutto ciò la legge fondamentale dell’agire cristiano: ‘Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà’”.

“Un cristiano libero è quello che ha lo Spirito del Signore”, ha ribadito a braccio. “Questa è una libertà tutta speciale, assai diversa da ciò che comunemente si intende”, ha puntualizzato Francesco: “Non è libertà di fare quello che si vuole, ma libertà di fare liberamente quello che Dio vuole! Non libertà di fare il bene o il male, ma libertà di fare il bene e farlo liberamente, cioè per attrazione, non per costrizione. In altre parole, libertà dei figli, non di schiavi”. La libertà dello Spirito, come insegna San Paolo, può essere soggetta ad “abuso” e “fraintendimento”, se diventa “un pretesto per la carne”. “Questa libertà è una libertà che si esprime in ciò che sembra il suo opposto: si esprime nel servizio, e nel servizio c’è la vera libertà”. Il Papa ha fatto un elenco “sempre attuale”, contenuto nella Lettera ai Galati, dei casi in cui la libertà diventa un “pretesto per la carne”: “Fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”. “Ma lo è anche la libertà che permette ai ricchi di sfruttare i poveri  – è una libertà brutta -,  ai forti di sfruttare i deboli, e a tutti di sfruttare impunemente l’ambiente”, ha proseguito Francesco, che ha commentato ancora braccio: “Questa è una libertà brutta, non è la libertà dello Spirito”. Per attingere la libertà dello Spirito, “così contraria alla libertà dell’egoismo”, bisogna vivere “la libertà che ci dà Gesù”, ha concluso il Papa: “Chiediamo a Gesù di fare di noi, mediante il suo Santo Spirito, degli uomini e delle donne veramente liberi. Liberi per servire, nell’amore e nella gioia”.

“Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che il mondo non soffra tanto per le guerre”, l’appello finale. “Chiediamo il Signore, per intercessione di sua madre, la pace la pace”, l’invito: “La pace nella martoriata Ucraina, la pace in Palestina, in Israele, la pace nel Myanmar.  Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che il mondo non soffra tanto per le guerre”. Sir 5

 

 

 

Il nome con cui lo Spirito Santo è chiamato nella Bibbia

 

Città del Vaticano. Il Papa, continuando il nuovo ciclo di catechesi “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza”, incentra la sua riflessione sul tema “Il vento soffia dove vuole”. Dove c’è lo Spirito di Dio c’è libertà”. "Nella catechesi odierna vorrei riflettere con voi sul nome con cui lo Spirito Santo è chiamato nella Bibbia", spiega subito Papa Francesco.

"La prima cosa che noi conosciamo di una persona è il nome. È con esso che la chiamiamo, che la distinguiamo e la ricordiamo. Anche la terza persona della Trinità ha un nome:si chiama Spirito Santo. Ma “Spirito” è la versione latinizzata. Il nome dello Spirito, quello con cui lo hanno conosciuto i primi destinatari della rivelazione, con cui lo hanno invocato i profeti, i salmisti, Maria, Gesù e gli Apostoli, è Ruach, che significa soffio, vento, respiro", commenta il Pontefice da Piazza San Pietro.

"Fu proprio osservando il vento e le sue manifestazioni, che gli scrittori biblici furono guidati da Dio a scoprire un “vento” di natura diversa", dice il Pontefice durante questa Udienza Generale. "Cosa ci dice, dunque, dello Spirito Santo, il suo nome Ruach? L’immagine del vento serve anzitutto a esprimere la potenza dello Spirito. “Spirito e potenza”, o “potenza dello Spirito” è un binomio ricorrente in tutta la Bibbia. Il vento infatti è una forza travolgente e indomabile.", specifica il Papa.

"Gesù metterà in luce un’altra caratteristica del vento, quella della sua libertà", dice il Papa.

"Il vento è l’unica cosa che non si può assolutamente imbrigliare, non si può “imbottigliare” o inscatolare. E' libero. Pretendere di rinchiudere lo Spirito Santo in concetti, definizioni, tesi o trattati, come ha tentato di fare a volte il razionalismo moderno, significa perderlo, vanificarlo, o ridurlo allo spirito umano semplice. Esiste però una tentazione analoga anche in campo ecclesiastico, ed è quella di voler racchiudere lo Spirito Santo in canoni, istituzioni, definizioni. Lo Spirito crea e anima le istituzioni, ma non può essere Lui stesso “istituzionalizzato", continua Papa Francesco.

"Una persona libera è quello che ha lo Spirito del Signore. Questa è una libertà tutta speciale, assai diversa da ciò che comunemente si intende. Non è libertà di fare quello che si vuole, ma libertà di fare liberamente quello che Dio vuole! Non libertà di fare il bene o il male, ma libertà di fare il bene e farlo liberamente, cioè per attrazione, non per costrizione. In altre parole, libertà dei figli, non degli schiavi", sottolinea il Pontefice.

"Chiediamo a Gesù di fare di noi, mediante il suo Santo Spirito, degli uomini e delle donne veramente liberi. Liberi per servire, nell’amore e nella gioia", conclude così Papa Francesco. Veronica Giacometti, Aci 5

 

 

 

Nuovo documento ad un mondo che sembra aver perso il cuore

 

Città del Vaticano. Ad un "mondo che sembra aver perso il cuore" il Papa decide di donare un documento dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Questo l'annuncio durante i saluti in lingua italiana di oggi. E "lancia" anche altri appelli e preghiere.

"Stiamo percorrendo questo mese dedicato al Sacro Cuore, il 27 dicembre dello scorso anno ricorreva il 350esimo anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, in quell'occasione si è aperto un periodo di celebrazioni che si concluderà il 27 giugno del prossimo anno, per questo sono lieto di preparare un documento che raccolga le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture per riproporre oggi a tutta la Chiesa questo culto, carico di bellezza spirituale. Credo che ci farà molto bene meditare su vari aspetti dell'amore del Signore che possano illuminare il cammino del rinnovamento ecclesiale, che dicano qualcosa di significativo ad un mondo che sembra aver perso il cuore. Vi chiedo di accompagnarmi con la preghiera in questo tempo di preparazione con l'intenzione di rendere pubblico questo documento il prossimo settembre", queste le parole del Papa che annunciano un nuovo documento.

Poi anche un pensiero speciale nei saluti in lingua tedesca. "Cari fratelli e sorelle, oggi la Chiesa celebra la festa di San Bonifacio, l’apostolo della Germania. Grati per la lunga e feconda storia di fede nelle vostre terre, invochiamo lo Spirito Santo affinché mantenga sempre viva in voi la fede, la speranza e la carità", questo il pensiero del Papa.

Poi nei saluti in lingua polacca. "In questi giorni state commemorando l’anniversario del primo Viaggio Apostolico di Giovanni Paolo II in Patria e la sua preghiera allo Spirito Santo di scendere e rinnovare la faccia della terra, della vostra terra – ed essa è stata rinnovata. Avete riacquistato la libertà. Non dimenticate, però, che la libertà che viene dallo Spirito non è un “pretesto per la carne”, come dice san Paolo, ma è un impegno a crescere nella verità rivelata da Cristo ed a difenderla dinanzi al mondo. Vi benedico di cuore", il ricordo del Pontefice.

"Chiediamo al Signore la pace, la pace per la martoriata Ucraina, Palestina, Israele, la pace nel Myanmar e che il mondo non soffra tanto per le guerre", conclude così il suo appello Papa Francesco. Veronica Giacometti, Aci 5

 

 

 

Lasciare che il debito soffochi i paesi è un peccato

 

Città del Vaticano. "Dopo una globalizzazione mal gestita, dopo pandemie e guerre, ci troviamo di fronte a una crisi del debito che colpisce soprattutto i Paesi del Sud del mondo, generando miseria e angoscia e privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso. Di conseguenza, nessun governo può pretendere moralmente che il proprio popolo subisca privazioni incompatibili con la dignità umana". Papa Francesco lo ha detto ai partecipanti all’Incontro promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze sul tema “Debt Crisis in the Global South”.

La questione del debito si risolve per il Papa creando "un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull'armonia tra i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali".

Francesco ripercorre il magistero pontificio e la richiesta di San Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000 e spiega:"l'Anno Santo del 2025 verso il quale ci stiamo dirigendo ci chiama ad aprire la mente e il cuore per poter sciogliere i nodi di quei legami che strangolano il presente, senza dimenticare che siamo solo custodi e amministratori, non padroni".

Infine il Papa ha ricordato che la Casa Comune va abitata "con coscienza serena quando sa che intorno a sé ci sono tanti fratelli e sorelle affamati e anche sommersi dall'esclusione sociale e dalla vulnerabilità. Lasciare che questo passi è un peccato, un peccato umano, anche se non si ha fede, è un peccato sociale". Angela Ambrogetti, Aci 5

 

 

Le strutture economiche della Santa Sede

 

Città del Vaticano. Dai tribunali all' Economia. Iniziamo con la istituzione più recente nelle nostre note storiche come si leggono nell' Annuario Pontificio 2014.

Poco più di 10 anni fa Papa Francesco ha istituito il Consiglio per l'Economia. Con il Motu Proprio Fidelis dispensator et prudens, e poi nel 2022 "gli è stato attribuito il compito di vigilare sulle strutture e le attività amministrative e finanziarie delle Istituzioni curiali e degli Uffici, e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede. Il Consiglio per l'Economia «esercita le sue funzioni luce della dottrina sociale della Chiesa attenendosi alle migliori prassi riconosciute a livello internazionale in materia di pubblica amministrazione, con il fine di una gestione amministrativa e finanziaria etica ed efficiente»".

Ne fanno parte 15 membri di cui 8 "sono scelti tra Cardinali e Vescovi in modo da rispecchiare l'universalità della Chiesa e sette sono esperti di varie nazionalità, con competenze finanziarie e riconosciuta professionalità. Il Consiglio ha un proprio ufficio per il coordinamento delle attività. Gli Statuti del Consiglio per l'Economia sono stati approvati il 22 febb. 2015".

Immediatamente collegata è la Segretaria per l'Economia, nata nel 2014 e il Papa vi ha trasferito "la Sezione Ordinaria dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Successivamente all'approvazione degli Statuti, avvenuta col Motu Proprio I Beni Temporali il 9 lu. 2016, sono state trasferite alla stessa Segreteria le competenze circa il Centro Elaborazione Dati e l'Obolo di San Pietro. Con Motu Proprio Una migliore organizzazione del 26 dic. 2020, il Romano Pontefice le ha affidato la funzione di Segreteria Papale per le materie economiche e finanziarie. Il Santo Padre, con la Costituzione Apostolica Predicate-Evangelium del 19 mar. 2022, ha costituito presso il medesimo Organismo economico la Direzione per le Risorse Umane della Santa Sede".

Due le sezioni, una per "la regolazione, il controllo e la vigilanza in materia economica e finanziaria, l'altra per la regolazione, il controllo e la vigilanza in materia amministrativa".

Una attività per "le Istituzioni curiali, gli Uffici e le Istituzioni collegate con la Santa Sede o che fanno riferimento ad essa come pure sull'Obolo di San Pietro e sugli altri Fondi Papali".

Il compito della Segreteria è quello di sottoporre al Consiglio per l'Economia proposte di maggiore importanza, emanare indirizzi in materia economica e finanziaria per la Santa Sede, controllare il rispetto dei piani operativi e dei programmi approvati, monitorare l'operato, predisporre il bilancio preventivo annuale, realizzare la valutazione annuale del rischio della situazione patrimoniale e finanziaria, formulare linee guida, modelli e procedure per gli appalti, predisporre appositi strumenti informatici".

Il lavoro sulle "Risorse umane" serve per provvedere a tutto quanto riguarda la posizione e gestione lavorativa del personale, ad autorizzare le assunzioni, verificandone i requisiti, e ad approvare le tabelle organiche. Angela Ambrogetti, Aci 4

 

 

 

Perché la Chiesa celebra il Sacro Cuore di Gesù nel mese di giugno?

 

Roma. Nella Chiesa cattolica, il mese di giugno è dedicato in modo particolare al Sacro Cuore di Gesù, per ricordare l'amore fedele e incondizionato di Cristo per l'umanità. Una devozione che affonda le sue radici nelle origini del cristianesimo.

Un articolo di ACI Prensa raccoglie la risposta alla domanda sul perchè si celebra proprio il mese di giugno. La devozione al Cuore di Gesù esiste da quando i primi cristiani meditavano dalla parte del Signore e dal cuore aperto. D'altra parte, il 16 giugno 1675, Gesù chiese a un santo di incoraggiare la devozione al suo Sacro Cuore.

In quel giorno, il Figlio di Dio apparve in Francia a Santa Margherita Maria d'Alacoque, una monaca francese dell'Ordine della Visitazione di Santa Maria, e le mostrò il suo Cuore.

Come ha sottolineato Santa Margherita, il Cuore di Gesù era circondato da fiamme d'amore, coronato di spine, e aveva una ferita aperta da cui sgorgava sangue; ne uscì anche una croce.

"Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini, eppure dalla maggior parte degli uomini ricevo ingratitudine, irriverenza e disprezzo", disse Gesù al santo.

Papa Benedetto XVI ha affermato che "nel vedere il Cuore del Signore, dobbiamo guardare al fianco trafitto dalla lancia, dove risplende l'inesauribile volontà di salvezza di Dio".

Ha anche sottolineato che "non può essere considerato un culto o una devozione passeggera: l'adorazione dell'amore di Dio, che ha trovato la sua espressione storico-devozionale nel simbolo del 'cuore trafitto', rimane indispensabile per un rapporto vivo con Dio".

Ecco perché in questo mese noi cattolici siamo chiamati a manifestare con le nostre opere la devozione al suo Cuore amorevole, come modo di rispondere al grande amore di Gesù, che è morto per la nostra salvezza ed è rimasto nell'Eucaristia per mostrarci la via della vita eterna.

Principali promesse fatte dal Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita d'Alacoque:

1. Alle anime consacrate al mio Cuore darò le grazie necessarie al loro stato.

2. Darò pace alle famiglie.

3. Li consolerò in tutte le loro afflizioni

4. Sarò il loro rifugio e rifugio sicuro durante la vita, e specialmente nell'ora della morte

5. Riverserò abbondanti benedizioni sulle vostre imprese

6. I peccatori troveranno nel Mio Cuore la sorgente e l'oceano infinito della misericordia

7. Le anime tiepide diventeranno ferventi

8. Le anime ferventi si innalzeranno rapidamente a una grande perfezione

9. Benedirò le case in cui l'immagine del mio Sacro Cuore è esposta e onorata.

10. Darò ai sacerdoti la grazia di commuovere i cuori induriti

11. Le persone che propagano questa devozione avranno il loro nome scritto nel mio cuore e non sarà mai cancellato da esso.

12. A tutti coloro che ricevono la Comunione in nove primi venerdì consecutivi del mese, l'amore onnipotente del Mio Cuore concederà loro la grazia della perseveranza finale. Aci 3

 

 

 

“L’incontro con il migrante è incontro con Cristo”

 

“Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati –, come prolungando il mistero dell’Incarnazione”. Lo scrive il Papa, nel messaggio per la 110ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata il 29 settembre, sul tema: “Dio cammina con il suo popolo”. “Per questo, l’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel bisogno, è anche incontro con Cristo”, spiega Francesco: “Ce l’ha detto lui stesso. È lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito”. “In questo senso, i poveri ci salvano, perché ci permettono di incontrare il volto del Signore”, commenta il Papa, che conclude il suo messaggio con una preghiera “per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca di condizioni di vita degne”: “Dio, Padre onnipotente, noi siamo la tua Chiesa pellegrina in cammino verso il Regno dei Cieli. Abitiamo ognuno nella sua patria, ma come fossimo stranieri. Ogni regione straniera è la nostra patria, eppure ogni patria per noi è terra straniera. Viviamo sulla terra, ma abbiamo la nostra cittadinanza in cielo. Non permettere che diventiamo padroni di quella porzione del mondo che ci hai donato come dimora temporanea. Aiutaci a non smettere mai di camminare, assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti, verso la dimora eterna che tu ci hai preparato. Apri i nostri occhi e il nostro cuore affinché ogni incontro con chi è nel bisogno, diventi un incontro con Gesù, tuo Figlio e nostro Signore”. M. Michela Nicolais, sir 3

 

 

 

Il Papa ai Focolarini: "Lo Spirito apre sentieri di dialogo e incontro, a volte sorprendenti"

 

Il Papa ai Focolarini: "Saluto la Presidente del Movimento dei Focolari, alla quale vorrei dire: prego per la tua Patria: prego tanto per la tua Patria, che soffre in questo momento" - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. "Saluto la Presidente del Movimento dei Focolari, alla quale vorrei dire: prego per la tua Patria: prego tanto per la tua Patria, che soffre in questo momento; e saluto tutti voi che partecipate a questo Convegno interreligioso. Ringrazio per la perseveranza con cui l’Opera di Maria porta avanti il cammino iniziato da Chiara Lubich con persone di religioni non cristiane che condividono la spiritualità dell’unità. È stato un cammino rivoluzionario, questo, che fa tanto bene alla Chiesa". Papa Francesco accoglie con affetto in Udienza i partecipanti al Convegno Interreligioso promosso dal Movimento dei Focolari.

Il Papa si riferisce a Margaret Karram, che accompagna il Movimento. Margaret è una teologa palestinese di nazionalità israeliana, attuale presidente del Movimento dei Focolari diffuso in 182 Paesi. I focolari hanno come obiettivo l'unità tra i popoli e la fraternità universale.

"Lo Spirito apre sentieri di dialogo e di incontro, a volte sorprendenti", dice Papa Francesco. Il Papa ricorda la fondatrice, Chiara Lubich, la quale ha sempre dialogato "con i leader di varie religioni: buddhisti, musulmani, indù, ebrei, sikh, e altri. Un dialogo che si è sviluppato fino ad ora, come dimostra la vostra presenza oggi".

"Il fondamento su cui poggia questa esperienza è l’Amore di Dio che si attua nell’amore reciproco, nell’ascolto, nella fiducia, nell’accoglienza e nella conoscenza gli uni degli altri, nel pieno rispetto delle rispettive identità. Con il tempo, è cresciuta l’amicizia e la collaborazione nel cercare di rispondere insieme al grido dei poveri, nel prendersi cura del creato, nel lavorare per la pace. Attraverso questo cammino alcuni fratelli e sorelle non cristiani hanno condiviso la spiritualità dell’Opera di Maria o alcuni suoi tratti caratteristici e li vivono in mezzo alla loro gente. Con queste persone si va oltre il dialogo, ci si sente fratelli e sorelle, si condivide il sogno di un mondo più unito, nell’armonia delle diversità", commenta il Pontefice nel suo discorso.

"La vostra testimonianza è motivo di gioia, è motivo di consolazione, specialmente in questo tempo di conflitti, nei quali la religione viene spesso strumentalizzata per alimentare lo scontro", conclude il Papa con la benedizione finale. Aci 3

 

 

 

Papa Francesco, “sentiamoci in cammino con i migranti”

 

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante, Papa Francesco invita a pregare con e per i migranti e a vedere in loro il volto di Cristo - Di Andrea Gagliarducci

Città del Vaticano. L’analogia è quella con il Sinodo, un popolo itinerante. E così sono i migranti vanno visti come un popolo itinerante, da pregare con e pregare per. Papa Francesco verga un Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato senza appelli politici, con una richiesta di riconoscere nel migrante il volto di Gesù, e dunque da accogliere. È un messaggio breve, che si inserisce nel cammino sinodale, e che forse un po’ risente del fatto che ormai il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale non ha più una sezione dedicata solo al tema dei Migranti e Rifugiati. Come se il grande tema di inizio pontificato di Francesco, pur essendo rimasto, abbia in realtà preso sfumature e strade diverse.

La 110° Giornata Mondiale del Migrante e il Rifugiato sarà celebrata il 29 settembre, e il tema della Giornata è “Dio cammina con il suo popolo”.

Nel messaggio, intitolato “Sinodo come popolo itinerante”, Papa Francesco sottolinea che “è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna”.

Papa Francesco fa un paragone tra il viaggio dell’Esodo biblico e quella dei migranti. “Come il popolo d’Israele al tempo di Mosè – scrive Papa Francesco -  i migranti spesso fuggono da situazioni di oppressione e sopruso, di insicurezza e discriminazione, di mancanza di prospettive di sviluppo”.

E ancora, “come gli ebrei nel deserto, i migranti trovano molti ostacoli nel loro cammino: sono provati dalla sete e dalla fame; sono sfiniti dalle fatiche e dalle malattie; sono tentati dalla disperazione. Ma la realtà fondamentale dell’esodo, di ogni esodo, è che Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo”.

Il Papa ricorda che molti migranti “fanno esperienza del Dio compagno di viaggio, guida e ancora di salvezza”, e proprio grazie a Dio “ci sono buoni samaritani lungo la via”.

Nota Papa Francesco: “Quante bibbie, vangeli, libri di preghiere e rosari accompagnano i migranti nei loro viaggi attraverso i deserti, i fiumi e i mari e i confini di ogni continente!”

Questo significa che “Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati –, come prolungando il mistero dell’Incarnazione”.

Ed è per questo che “l’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel bisogno, “è anche incontro con Cristo”.

In conclusione, Papa Francesco invita ad “universi in preghiera per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca di condizioni di vita degne”, sentendosi “in cammino insieme a loro” e facendo “sinodo insieme”.

Commentando il messaggio, il Cardinale Michael Czerny, sj, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale, sottolinea che “oggi, piuttosto che rifiutare e reprimere quanti migrano, dovremmo prestare attenzione ai fattori dietro la migrazione forzata”, perché “se sperimentassimo pressioni simili, anche noi partiremmo”, e dunque siamo chiamati a vedere “i migranti come fratelli e sorelle, che siano forzati a lasciare, oppure bloccati dall’entrare, oppure entrambi”.

Il cardinale sottolinea che “le persone in movimento, gli esiliati e gli sfollati, i rifugiati e le vittime di tratta e molti migranti sono messi crudelmente alla prova da avversità e possono essere tentati dalla perdita di speranza”.

Blessing Okoedion ha raccontato la sua storia do donna “nata e cresciuta nello Stato di Edo, che oggi è generalmente considerato il centro della tratta di esseri umani in Nigeria”, che è stata vittima di tratta anche lei, “ingannata e fatta venire in Europa nel 2013, dove sono stata portata su una strada e messa in vendita”, con la richiesta di restituire un debito di 65 mila euro.

“Per gli sfruttatori – ha affermato - sei una merce in vendita su cui speculare e guadagnare; per i compratori di sesso sei una merce in vendita da comprare e usare per il loro piacere, imponendoti una violenza che viene ‘giustificata’ dall’uso del denaro”.

Blessing è riuscita a “scappare e denunciare”, e poi portata in un centro anti-tratta, dove, grazie a suor Rita Giaretta, ha avviato “un percorso di rinascita che mi ha permesso di ritrovare me stessa”.

Emanuele Selleri è direttore esecutivo l’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS), una organizzazione di volontariato nata venti anni fa come braccio sociale, operativo e culturale della Regione Europa-Africa dei Missionari di San Carlo – Scalabriniani.  È una delle tante emanazioni nata dal carisma di San Giovanni Battista Scalabrini, che a fine 1800 cominciò la sua missione con gli emigrati italiani.

“Attualmente – sottolinea Selleri -  i tre ambiti principali di intervento della nostra organizzazione sono: l’accoglienza integrale, l’animazione interculturale soprattutto con i giovani e la cooperazione allo sviluppo”. Per questo, considera “incoraggiante” il messaggio di Papa Francesco, perché le due certezze che Papa Francesco ci indica, cioè che Dio cammina con il suo popolo migrante e che Dio è presente nel suo popolo, ci confermano e ci incoraggiano a perseverare nella nostra azione con. Ci dicono che continuando ad essere ed operare con, siamo sulla buona strada, cioè quella percorsa da Dio stesso che nonostante le difficoltà e le nostre ritrosie insiste nel chiederci di incontrare i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati per fare un pezzo di strada con loro, condividere la nostra vita con loro”. Aci 3

 

 

 

“L’Eucaristia è l’unico vero farmaco capace di guarire le ferite dell’uomo”

 

“L’uomo non si può dare da sé stesso questa guarigione, ha bisogno di essere guarito”, spiega al Sir il teologo che prenderà parte al Congresso eucaristico internazionale di Quito, a settembre: “Nell’affermazione di Matteo, ‘fraternità per guarire il mondo’, da cui è nato il documento base tradotto in diverse lingue e promulgato dalla Conferenza episcopale dell’Ecuador, è espressa questa necessità di riconoscersi malati. Se non si parte da questo e si parte dall’autosufficienza non arriveremo mai a una fraternità vera, capace di rispondere alle

Nell’Eucaristia Gesù non ci dà solamente la sua Parola, il suo Vangelo, ci dà anche il suo “corpo” per farci comprendere che è insieme a noi in modo reale, abitando la nostra storia. Del Corpus Domini che ci apprestiamo a celebrare e del Congresso eucaristico che si svolgerà quest’anno a Quito, in Ecuador, dall’8 al 15 settembre, parliamo con don Paolo Morocutti, unico teologo italiano che vi parteciperà.

Don Paolo, si comprende appieno il dono grande che il Signore ci fa con l’Eucaristia?

C’è e c’è sempre stata una fatica nel comprendere realmente l’Eucaristia nella sua realtà più profonda. La fatica più grande è quella che ci impedisce di superare l’aspetto devozionale, a cui tutti siamo profondamenti legati, per entrare nella dimensione più reale, che è quella di accogliere un Dio che è presente, s’incarna in Gesù Cristo ed è capace di dare risposte concrete alle ferite dell’uomo. Il Corpus Domini dovrebbe essere per tutti questa affermazione gioiosa, forte, di un Dio che è presente realmente nel pane e nel vino, ma che è anche capace realmente di venire incontro a questo bisogno dell’uomo. In fondo, l’Eucaristia dovremmo rileggerla come questa realtà capace di dare una risposta alle realtà che stiamo vivendo e ci smarriscono: la guerra, la violenza, l’inquietudine, l’incertezza del domani. In questo panorama di grande incertezza noi cristiani dobbiamo ridirci sempre di più che c’è una certezza: questo Dio che è insieme a noi, non in modo spirituale o devozionale, è insieme a noi in modo reale, talmente vicino e talmente presente tanto che è capace di configurarsi e abitare la nostra storia, anche quella più contraddittoria.

Come si passa dalla devozione alla comprensione più profonda dell’Eucaristia?

La devozione e la devozionalità sono un punto di partenza importante perché – grazie a Dio – il nostro popolo ancora riconosce nell’Eucaristia una presenza. Il problema è che questo punto di partenza va declinato in una maniera meno superficiale, ma più profonda. Bisogna portare a capire le persone non solo che nell’Eucaristia è presente Dio, ma quali sono le conseguenze di questa presenza, quella che gli orientali chiamano ancora la “divinizzazione dell’uomo”. In questa relazione cresciamo e diventiamo veramente simili a Cristo, quindi è un passaggio dal riconoscere una presenza al farla, poi, fruttare. Una presenza che ci deve trasformare. Dunque, il passaggio è quello dal riconoscere la presenza di Dio a far sì che questa presenza, abitando in noi, ci responsabilizzi e consenta una trasformazione integrale della nostra persona e, ancora, a far sì che questa presenza poi sia anche foriera di trasformazioni globali, nell’antropologia, nell’economia, nella società, nella famiglia. A questo deve rispondere una vera devozione all’Eucaristia.

I Congressi eucaristici aiutano a far vivere questo passaggio? Dall’8 al 15 settembre vivremo un nuovo appuntamento internazionale…

I Congressi eucaristici certamente hanno un ruolo fondamentale. A Quito in Ecuador vivremo il 53° Congresso eucaristico internazionale. Questo significa che la Santa Sede, che ha un Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici, ha sempre dato una grandissima rilevanza a questi incontri, che hanno come finalità non solo di riportarci all’Eucaristia come devozione: il centro di questi Congressi eucaristici è definire che il culto dell’Eucaristia non deve e non può essere solo declinato in modo devozionale, ma essere compreso nella sua realtà più viva e profonda. È la consapevolezza che l’amore di Dio incarnato in Cristo è realmente presente nell’Eucaristia ed è la vera fonte di salvezza e di guarigione dell’uomo.

Il tema scelto per il Congresso eucaristico internazionale di Quito è “Fraternità per sanare il mondo – Voi siete tutti fratelli (Mt 23, 8)”.

Il tema è scelto dal Vangelo di Matteo al capitolo 23, ma è anche molto chiaro, schietto. “Fraternità per guarire il mondo”: c’è un’affermazione che la guarigione del mondo passa, secondo la visione evangelica, attraverso questa fraternità, questa realtà in cui gli uomini diventano fratelli, ma questa realtà, da un punto di vista cristiano, non è solamente in qualche modo possibile attraverso la buona educazione, la socialità, la pedagogia, ma ha bisogno di una guarigione profonda, che non può venire dall’uomo. L’uomo non si può dare da se stesso questa guarigione, l’uomo ha bisogno di essere guarito. In questa affermazione di Matteo, “fraternità per guarire il mondo”, da cui è nato il documento base tradotto in diverse lingue e promulgato dalla Conferenza episcopale dell’Ecuador, è espressa questa necessità di riconoscersi malati. Se non si parte da questo e si parte dall’autosufficienza non arriveremo mai a una fraternità vera, capace di rispondere alle tante ferite che stiamo vivendo.

Lei sarà l’unico teologo italiano a Quito: che responsabilità sente e che contributo porterà da parte dell’Italia?

Ho accolto questo invito con estremo stupore, sono stato contattato dal Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici e ciò mi ha lasciato senza parole. Il contributo che darò proviene da un sentire italiano. È vero che la fraternità guarisce il mondo, ma poi la fraternità s’incarna in contesti sociali e culturali. Nella nostra Italia viviamo ancora il nostro rapporto con l’Eucaristia in modo controverso: c’è ancora tanta devozione ma c’è anche tanto bisogno di riscoprirla nel suo senso più profondo e reale. Sento una grande responsabilità di interpretare una teologia che nel nostro contesto italiano sull’Eucaristia ha avuto grandi nomi e grandi spunti. Spero che sia un contributo di comunione, una piccola goccia che vada ad aggiungersi a un oceano di riflessioni in tutto il mondo in cui l’Eucaristia è definita l’unico vero farmaco capace di guarire queste ferite dell’uomo. Il mio contributo verterà sul rapporto tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia. L’Ecuador celebra i 150 anni della consacrazione al Sacro Cuore ed è il primo Paese al mondo che si è consacrato al Sacro Cuore, questo rapporto tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia è lo specifico per cui sono stato chiamato e dimostra che l’Eucaristia è un cuore vivo, è un cuore che pulsa, è un cuore capace di dare amore e di sentire anche dolore, perché il cuore di Cristo, come insegna la Tradizione, è un cuore che palpita d’amore ma che sente sofferenza dell’indifferenza e freddezza con cui noi spesso ci relazioniamo con la persona di Gesù presente nell’Eucaristia. Quindi il rapporto che c’è tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia è il superamento di ogni devozione per riaffermare che nell’Eucaristia è presente un cuore che pulsa, che batte, che dà amore ma che deve anche ricevere amore.

Dal Congresso eucaristico di Quito verrà l’invito a diventare “missionari eucaristici della fraternità”?

Diventare “missionari eucaristici della fraternità” non è una chiamata per qualche battezzato, è un dovere per tutti i battezzati perché essere “missionari eucaristici della fraternità” significa essere missionari dell’amore di Gesù Cristo, come Gesù Cristo ce lo consegna e ce lo dà.

Per cui il dovere di una fraternità missionaria che ha al centro l’Eucaristia non è declinabile per qualche battezzato o per qualche realtà ecclesiale, ma è il modo proprio con cui la Chiesa celebra la vera fraternità.

Quali frutti si aspetta dal Congresso eucaristico 2024?

Il frutto è che i cristiani di tutto il mondo, ancora una volta tutti insieme e verso l’unica direzione, indichino quel cuore che batte nell’Eucaristia come l’unica possibile fonte di vera guarigione, ristabilire la guarigione dell’uomo come qualcosa che non viene dall’uomo, ma viene da Dio. Noi siamo molto attenti a trovare soluzioni giustamente alle grandi domande di oggi – la guerra, la violenza, la crisi economica, la crisi che abbraccia le nostre famiglie, la crisi globale anche climatica – ma ricordiamoci che anche il Santo Padre quando parla di crisi ecologica indica come prima realtà alla base di questa crisi il peccato originale, non è solo una crisi economica, di egoismi dell’uomo, ma la fonte più profonda di ogni vera discrasia a livello antropologico, economico risiede nel peccato originale e l’unico capace di sanare profondamente alla radice questo peccato è il Dio incarnato che incarnandosi rendendosi presente nell’Eucaristia va a guarire le nostre relazioni e ci consente, se scegliamo di seguirlo, di sanare. Mi aspetto che ancora una volta la Chiesa in tutto il mondo indichi come unico Signore e Salvatore Gesù Cristo da cui parte una vera e integrale guarigione per tutti gli uomini. Sir 2

 

 

 

 

Papst: Augsburger Ökumene-Erklärung „Zeichen der Hoffnung“

 

Wir sind alle „Pilger der Hoffnung“, die beim gemeinsamen Weg den Blick stets auf Christus als Herzstück der Ökumene richten müssen. Das unterstrich Papst Franziskus an diesem Donnerstag bei einem Treffen mit der Führungsspitze des Lutherischen Weltbundes. Dabei ging er auch auf den anstehenden Jahrestag des Konzils von Nizäa ein und erinnerte an den 2023 verstorbenen orthodoxen Theologen Ioannis Zizioulas. Christine Seuss – Vatikanstadt

 

Hoffnung war der rote Faden in der Ansprache, die Papst Franziskus an diesem Donnerstagmorgen an die Delegation des Lutherischen Weltbundes (LWB) richtete, die er im Apostolischen Palast in Audienz empfing. Geleitet wurde die Gruppe durch den neuen, 2023 gewählten Präsidenten, den dänischen Bischof Henrik Stubkjær, und die estnische Generalsekretärin Anne Burghardt.

Die Führungsspitze kam erst vor wenigen Tagen, vom 13. bis zum 18. Juni, zu ihrer Ratstagung in Chavannes, am Stadtrand von Genf in der Schweiz, zusammen. Das Thema lautete: „Seid reich an Hoffnung“, angelehnt an einen Abschnitt des Apostels Paulus (Röm 15,13). Dieses Treffen erwähnte Franziskus, ebenso wie er gleich zu Beginn seiner Ansprache aus der gleichen Passage zitierte („Der Gott der Hoffnung aber erfülle euch mit aller Freude und mit allem Frieden im Glauben, damit ihr reich werdet an Hoffnung in der Kraft des Heiligen Geistes“, Röm 15,13) und die aktuelle Begegnung im Vatikan als „eine wichtige Geste der Geschwisterlichkeit“ würdigte.

Zeichen der Hoffnung

In diesem Zusammenhang verwies er auf die vielen „Zeichen der Hoffnung“, die sich für das kommende Jahr 2025 abzeichneten, darunter das bevorstehende Heilige Jahr, dessen Motto „Pilger der Hoffnung“ lautet. „In der Tat sind wir alle Pilger der Hoffnung“, betonte Franziskus vor seinen Gästen. Als zweites Hoffnungszeichen verwies Franziskus auf den 1700. Jahrestag des ersten Konzils von Nizäa, das 325 von Kaiser Konstantin einberufen worden war und die Göttlichkeit Christi, der mit dem Vater wesensgleich ist, definierte.

Wie der Papst erinnerte, hatten bereits im vergangenen Jahr der Lutherische Weltbund und der Vatikan in einer gemeinsamen Erklärung betont, dass „das altchristliche Glaubensbekenntnis von Nizäa, dessen 1700. Jahrestag wir 2025 feiern werden, ein ökumenisches Band schafft, das sein Zentrum in Christus hat“ (19. September 2023):  

„Jesus Christus ist das Herzstück der Ökumene. Er ist die fleischgewordene göttliche Barmherzigkeit, und unser ökumenischer Auftrag besteht darin, dies zu bezeugen“, unterstrich der Papst in diesem Zusammenhang.

„Jesus Christus ist das Herzstück der Ökumene“

Anschließend verwies er auch auf die „Gemeinsame Erklärung zur Rechtfertigungslehre“, die am 31. Oktober 1999 in Augsburg unterzeichnet wurde. Darin finde sich eine Formulierung von großem ökumenischem Wert:

„In der ,Gemeinsamen Erklärung zur Rechtfertigungslehre‘ haben Lutheraner und Katholiken als gemeinsames Ziel formuliert, ,in allem Christus zu bekennen, dem allein über alles zu vertrauen ist als dem einen Mittler (1 Tim 2.5f.), durch den Gott im Heiligen Geist sich selbst gibt und seine erneuernden Gaben schenkt (Nr. 18).“

25 Jahre seien nun seit der Unterzeichnung dieser offiziellen Gemeinsamen Erklärung vergangen, was ein „weiteres Zeichen der Hoffnung in unserer Geschichte der Versöhnung“ gewesen sei, so Franziskus. „Lassen Sie es uns als etwas immer Lebendiges in Erinnerung behalten. Lassen Sie uns den 25. Jahrestag in unseren Gemeinschaften als ein Fest der Hoffnung feiern.“

Das Gedenken an Ioannis Zizioulas

Auf diesem Weg, fügte das katholische Kirchenoberhaupt hinzu, sei es gut, sich an die Worte des orthodoxen Theologen und Bischofs Ioannis Zizioulas zu erinnern. Der damalige Metropolit von Pergamon (Patriarchat von Konstantinopel) hatte an der Abfassung des Papstschreibens „Laudato si' " mitgewirkt; im Jahr 2023 ist er verstorben. Dieser „Pionier der Ökumene“ habe einen gesunden Sinn für Humor bewiesen, wenn er immer wieder darauf verwiesen habe, dass der eigentliche Tag der Einheit der Christen der Tag des Jüngsten Gerichts sein würde. „Aber bis dahin, so sagte er, müssen wir gemeinsam gehen: gemeinsam gehen, gemeinsam beten und gemeinsam Nächstenliebe üben“.

Am Ende der Audienz lud Papst Franziskus die Anwesenden ein, gemeinsam das Vaterunser zu beten, jeder in seiner eigenen Sprache. (vn 20)

 

 

 

Spenden für „Kirche in Not" rückläufig

 

Das katholische Hilfswerk „Kirche in Not" hat 2023 weltweit Spenden in Höhe von 143,7 Millionen Euro gesammelt. Im Vorjahr waren es rund 146 Millionen Euro, wie die Organisation am Donnerstag in München mitteilte.

„Von jedem gespendeten Euro flossen durchschnittlich mehr als 81 Cent in Projektarbeit sowie Glaubensverkündung und Interessensvertretung für bedrängte Christen", hieß es. Etwa sieben Cent seien in die Verwaltungskosten gegangen und elf Cent in die Spendenwerbung. Mit den Spenden wurden laut Mitteilung 5.573 Projekte in 138 Ländern unterstützt.

Projekte in mehr als 135 Ländern

An der Spitze stand demnach die Ukraine; dorthin flossen rund 7,5 Millionen Euro. Fast ein Drittel der Projektausgaben sei nach Afrika gegangen, hieß es weiter. „Auf dem Kontinent lebt fast jeder fünfte Katholik, jeder achte Priester, jede siebte Ordensfrau und ein Drittel der Priesterseminaristen weltweit."

Schwerpunkt Bauhilfe

Größter Posten der Hilfsprojekte waren den Angaben zufolge die Bauhilfen, vor allem der Wiederaufbau und die Renovierung von Kirchen, Klöstern und Gemeindezentren. „Es folgen Transportprojekte, also der Kauf von Autos, Motor- und Fahrrädern, Bussen und Booten, damit kirchliche Mitarbeiter auf oft schwer zugänglichen Straßen zu den ihnen anvertrauten Menschen gelangen können." Elf Prozent der Spendengelder seien in Nothilfen geflossen. Statistisch gesehen erhielt 2023 jeder zehnte Priesterseminarist weltweit Unterstützung von „Kirche in Not", wie das Hilfswerk ergänzte. Ebenfalls jeder zehnte Priester wurde demzufolge durch Mess-Stipendien unterstützt. „Insgesamt konnten fast zwei Millionen Mess-Stipendien weitergegeben werden." (kna 20)

 

 

 

Engelbert Kolland und Carlo Acutis werden bald heiliggesprochen

 

Der Tiroler Ordensmann Engelbert Kolland und der italienische Jugendliche Carlo Acutis sind unter den Seligen, über deren Heiligsprechung der Papst und die Kardinäle am kommenden 1. Juli beraten werden. Das geht aus der Ankündigung des so genannten Ordentlichen Konsistoriums für die Abstimmung über einige Heiligsprechungsverfahren hervor, die an diesem Mittwoch veröffentlicht wurde.

Demnach sind unter den Kandidaten für die Heiligsprechung der Franziskaner Manuel Ruiz López und sieben Gefährten, darunter Engelbert Kolland, sowie die Laien Francesco, Mooti und Raffaele Massabki. Sie aller erlitten 1860 im syrischen Damaskus das Martyrium.

Neben dem auch außerhalt Italiens bekannten Carlo Acutis, dem ersten angekündigten Heiligen der Internetgeneration, stehen auch noch der Priester und Ordensgründer Giuseppe Allamano sowie die Ordensgründerinnen Marie-Léonie Paradis und Elena Guerra auf der Liste der Heiligsprechungskandidaten.

Die Kardinäle, die sich am 1. Juli in Rom aufhalten, sind eingeladen, an den Beratungen teilzunehmen. Dazu sollen sie sich bis 8.30 Uhr im Konsistoriensaal im Apostolischen Palast einfinden, wo die Versammlung unter Vorsitz des Papstes um 9 Uhr beginnen soll. Bei einem Ordentlichen Konsistorium für Heiligsprechungen wird vom Papst und den Kardiälen über allfällige Heiligsprechungen entschieden und üblicherweise auch ein Datum für die Zeremonie bestimmt. (vn 19)

 

 

 

Papst ruft zum Gebet für Flüchtlinge, China und Frieden auf

 

Papst Franziskus hat einen besseren Umgang mit Flüchtlingen gefordert: „Wir sind alle aufgerufen, all jene, die an unsere Türen klopfen, aufzunehmen, zu fördern, zu begleiten und sie zu integrieren. Ich bete dafür, dass die Staaten tätig werden, damit Flüchtlinge menschliche Konditionen bekommen und Integrations-Prozesse erleichtert werden", sagte er diesen Mittwoch zum Ende seiner Generalaudienz auf dem Petersplatz. Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt

Das katholische Kirchenoberhaupt äußerte sich anlässlich des Weltflüchtlingstags der Vereinten Nationen, der am 20. Juni begangen wird: „Möge dies eine Gelegenheit sein, einen aufmerksamen und geschwisterlichen Blick auf all jene zu richten, die gezwungen sind, auf der Suche nach Frieden und Sicherheit aus ihren Häusern zu fliehen", mahnte Franziskus.

Der Papst sprach auch erneut einen eindringlichen Appell für Frieden: „Brüder und Schwestern, lasst uns weiter für den Frieden beten. Krieg ist immer eine Niederlage, von Beginn an. Beten wir für Frieden in der gemarterten Ukraine, im Heiligen Land, im Sudan, in Myanmar und überall dort, wo man aufgrund von Krieg leidet. Lasst uns täglich für Frieden beten!"

„Lasst uns täglich für Frieden beten!“

Gebet für alle Chinesen

Papst Franziskus erinnerte zum Ende seiner Generalaudienz zudem daran, dass 2024 das 100-Jahr Jubiläum des ersten chinesischen Konzils (Primum Concilium Sinense) von 1924 in der Kathedrale von Shanghai begangen wird: „Das lässt mich auch an das geliebte chinesische Volk denken. Beten wir immer für dieses so edle und mutige Volk, das eine so schöne Kultur hat. Lasst uns für das chinesische Volk beten", sagte der Papst.

Im Mai fand an der Päpstlichen Universität Urbaniana ein internationaler Kongress mit dem Titel „100 Jahre Concilium Sinense: zwischen Geschichte und Gegenwart" statt, der an den hundertsten Jahrestag des ersten Konzils der katholischen Kirche in China erinnerte. Der Heilige Stuhl und China haben im Jahr 2018 ein vorläufiges Abkommen zur gemeinsamen Ernennung von Bischöfen geschlossen, das bereits zwei Mal verlängert wurde. Bei dem Kongress bekräftigte Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin seine Hoffnung auf eine dritte Verlängerung.  (vn 19) 

 

 

 

 

Jahrestagung Weltkirche und Mission zum Umgang mit kolonialem Erbe

 

Heute (19. Juni 2024) ist die Jahrestagung Weltkirche und Mission in Würzburg zu Ende gegangen. Seit Montag, 17. Juni 2024, widmete sie sich unter dem Titel „Gestörte Beziehungen. Kirche und Gesellschaft im Umgang mit dem kolonialen Erbe“ den Herausforderungen, die aus den Folgen des Kolonialismus erwachsen. Der Kolonialismus und in besonderer Weise der transatlantische Sklavenhandel wirken bis zur Gegenwart fort und beschädigen die gesellschaftlichen sowie internationalen Beziehungen erheblich.

 

Die Jahrestagung wurde von der Konferenz Weltkirche organisiert. Sie versammelt die wichtigsten weltkirchlichen Akteure der katholischen Kirche in Deutschland, darunter internationale kirchliche Hilfswerke, Missionsorden und Bistümer. Unter der Leitung von Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), Vorsitzender der Kommission Weltkirche der Deutschen Bischofskonferenz, diskutierten die Teilnehmerinnen und Teilnehmer die Herausforderungen und insbesondere die Aufgaben der Kirche beim Umgang mit dem kolonialen Erbe.

 

Bischof Meier hob in seiner Predigt im Gottesdienst hervor: „Auch die Kirche ist durch ihre Verstrickung in den Kolonialismus tief gezeichnet und verletzt. Nicht umsonst hat Papst Johannes Paul II. in seinem Schuldbekenntnis im Jahr 2000 auch den Kolonialismus angesprochen. In unserer weltkirchlichen Gemeinschaft sind diese Schuld und ihre Folgen immer wieder spürbar. Aber der gemeinsame Horizont des Glaubens stärkt uns, die Wunden der Geschichte anzugehen, und somit der Welt ein ermutigendes Zeugnis zu geben, dass die Gewalt nicht das letzte Wort haben wird.“ In den Diskussionen fügte Bischof Meier hinzu: „Kolonialismus, Postkolonialismus, Dekolonialisierung, Rückgabe von ‚Artefakten‘, Aufarbeitung gewaltbelasteter Vergangenheit und Versöhnung sind einige der Stichworte, die in den vergangenen Jahren rasant an Bedeutung gewonnen haben. Die Prägungen aus der Zeit des Kolonialismus wirken bis heute fort. Das gilt auch für die Kirche. Der Zusammenhang von Mission und Kolonialismus ist ernst. Nicht selten sind in unseren weltkirchlichen Begegnungen die toxischen Spuren der Geschichte spürbar. Wir sind daher gut beraten, uns dieser Fragen anzunehmen und miteinander unserer Verstrickung als auch Verantwortung nachzuspüren.“ Auch Bischof Dr. Joseph Ndi-Okalla aus Balmayo (Kamerun) betonte, wie wichtig der weltkirchliche Austausch und die selbstkritische Reflexion der kirchlichen Arbeit seien. Er plädierte für einen differenzierten Blick auf die Missionsgeschichte.

 

Dr. Jörg Lüer, Geschäftsführer der Deutschen Kommission Justitia et Pax, erinnerte daran, wie wichtig es sei, die historischen Prägungen der Beziehungen ernst zu nehmen. Die Folgen des Kolonialismus seien oftmals der sogenannte „Elefant im Raum“, den man nur gemeinsam bändigen könne. Das schließe die Bereitschaft zur Rückgabe von angeeignetem Kulturgut sowie zur Anerkennung der Verbrechen in der Kolonialzeit mit ein.

 

Im Gespräch über den Umgang mit den missionsgeschichtlichen Sammlungen, das Jun.-Prof. Dr. Julia Binter (Universität Bonn), Pater Dr. Markus Luber SJ (Institut für Weltkirche und Mission, Frankfurt am Main) und Bruder Bakanja Mkenda OSB (Dar es Salaam, Tansania) führten, wurden die Schwierigkeiten und Potenziale postkolonialer Auseinandersetzungen konkretisiert. Die Auseinandersetzung mit den Folgen von Sklavenhandel und Sklaverei, in die Alexander Scott (The Transatlantic Slavery and Legacies in Museums Forum, Liverpool) einführte, machte deutlich, dass man es mit einem Menschheitsthema zu tun habe, das in Deutschland noch keineswegs in seinen Ausmaßen erfasst sei.

 

In der abschließenden Diskussion, an der unter anderem Karin Kortmann (Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit – GIZ, Bonn) und Prof. Dr. Michelle Becka (Universität Würzburg) teilnahmen, war man sich einig, dass die Kirche sowohl ihre eigene Verstrickung aufarbeiten, als auch ein Beispiel der konstruktiven Auseinandersetzung geben müsse. Dem Gefühl der Entmutigung angesichts der Größe der Aufgabe sollte man konkrete Erfahrungen und Vorhaben eines angemessenen Umgangs mit dem kolonialen Erbe entgegensetzen. Nur so würden die Gewalt und ihre Folgen am Ende nicht das letzte Wort haben.

 

Hintergrund. Veranstalter der Jahrestagung Weltkirche und Mission ist die Konferenz Weltkirche, in der die Deutsche Bischofskonferenz, die deutschen (Erz-)Bistümer, die Hilfswerke, die Deutsche Ordensobernkonferenz (DOK), die katholischen Verbände, das Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZdK) und andere weltkirchlich tätige Einrichtungen zusammenarbeiten. Dbk 19

 

 

 

Interview. ZdK-Vize Söding: „Modell, das auch weltkirchlich akzeptiert ist“

 

In Mainz hat der Synodale Ausschuss am Wochenende seine inhaltliche Arbeit aufgenommen. Das Gremium hatte im März unter Auflagen vorläufig grünes Licht aus Rom erhalten. ZdK-Vize Thomas Söding berichtet im Interview mit dem Kölner Domradio über die Arbeiten.

Der Synodale Ausschuss soll einen Synodalen Rat vorbereiten, der im Vatikan jedoch bislang auf große Vorbehalte stößt. Bei einem Treffen im März 2024 hatten sich Vertreter der deutschen Bischofskonferenz und des Vatikans darauf verständigt, dass Rom die im Synodalen Ausschuss gefassten Beschlüsse approbiert. 

Skepsis gegenüber den Synodalen Ausschuss äußerte in diesen Tagen erneut die Initiative „Neuer Anfang“. Sie teilte mit, sie habe sich offiziell an den Heiligen Stuhl gewandt, „um feststellen zu lassen, ob die Konstituierung eines Synodalen Ausschusses durch das Zentralkomitee der deutschen Katholiken und Teile der Deutschen Bischofskonferenz – insbesondere die Übernahme einer Mit-Trägerschaft der DBK für den Synodalen Ausschuss – der kirchlichen Rechtsordnung entspricht oder diese verletzt“.

Interview mit Thomas Söding

Auf die nach wie vor spannungsreiche Lage, in der die Sitzung des Synodalen Ausschusses stattfand, ging auch das Domradio im Gespräch mit Thomas Söding ein. 

DOMRADIO.DE: Herr Söding, Sie haben unter anderem am Wochenende die Kommissionen besetzt, die die Umsetzung der Zukunftspläne des Synodalen Wegs sicherstellen wollen. Das aber in einer Lage, wo der Vatikan nach einer Einigung im Frühjahr sagt, dass jeder weitere Reformschritt von Rom approbiert werden muss. Hängt Ihnen jetzt so ein bisschen das Damoklesschwert über dem Kopf?

Prof. Dr. Thomas Söding (Vizepräsident des Zentralkomitees der deutschen Katholiken und Mitglied im Synodalen Ausschuss): Wir können in der katholischen Kirche nicht 1.000 Wege in unterschiedliche Richtungen gehen, sondern müssen das, was Synodalität heißt, gegenwärtig auf vielfältige Weise neu entdecken, um es zu einer lebendigen Einheit zu führen.

Es war notwendig, dass wir in Deutschland einen innovativen Weg gegangen sind, der überhaupt erst ein Beraten und Entscheiden auf Augenhöhe ermöglicht hat. Aber jetzt sind wir in der Phase, noch einmal reflektieren zu können, was in Deutschland wichtig ist und was in der Weltkirche läuft. Am Ende brauchen wir ein Modell für Deutschland, das auch weltkirchlich und in Rom akzeptiert ist.

Erneutes Treffen

DOMRADIO.DE: Ende des Monats ist ein Treffen der Deutschen Bischofskonferenz mit dem Heiligen Stuhl geplant. Nehmen die dann die Protokolle vom Wochenende aus Mainz mit und fragen, ob das so in Ordnung ist?

Söding: Das Wichtigere ist, dass wir jetzt erst einmal grünes Licht in Rom bekommen haben für die nächste Phase des Synodalen Wegs. Wir zielen 2026 an. Wir können die Impulse aus dem zweiten Teil der Weltsynode im Oktober 2024 aufnehmen und werden das tun. Gleichzeitig werden wir die Zeit nutzen, um vorbereitet zu sein, einen großen Synodalen Rat auf die Beine zu stellen. Wenn er dann nicht Synodaler Rat heißt, ist das nicht tragisch.

Das Thema ist, dass auf der einen Seite die in Deutschland stark entwickelten Partizipationsstrukturen nachhaltig weiterentwickelt werden und dass auf der anderen Seite auch die Autorität der Bischöfe und der Bischofskonferenz auf eine gute Weise mit den bislang vernachlässigten Rechten der Partizipation aus dem Kirchenvolk verschaltet wird.

DOMRADIO.DE: Es gibt augenblicklich einige Spannungen zwischen dem Zentralkomitee und der Bischofskonferenz, gerade nach dem Veto der Bischöfe zur Berufung der Bundeskuratin der Pfadfinder. Ist die Situation auch beim Synodalen Weg belastet oder ziehen Sie problemlos mit den Bischöfen weiter an einem Strang?

Söding: Die Rollen vom ZdK und der Bischofskonferenz sind unterschiedlich. Sie sind aber auch klar markiert. Dadurch entsteht erst die Möglichkeit der verbindlichen Zusammenarbeit. Dieses synodale Gremium, auf das wir zusteuern, wird ja nach wie vor zwei Trägerorganisationen haben, die Bischofskonferenz und das Zentralkomitee. Jetzt gilt es zu entwickeln, dass beide Organisationen, die kirchenrechtlich unterschiedliches Gewicht haben, sich darüber verständigen, wie sie sich wechselseitig stärken können: für die katholische Kirche in Deutschland, für die Rechte der vom systemischen Missbrauch Betroffenen, für die Sprachfähigkeit des katholischen Glaubens in unserer Gesellschaft. Da bietet dieses synodale Gremium eine gute Möglichkeit. Im Synodalen Ausschuss haben wir jetzt zwei Jahre Zeit, um ein gutes Modell auf die Beine zu stellen.

Partizipation von Betroffenen entwickeln

DOMRADIO.DE: Johannes Norpoth hat vor der Sitzung in Mainz im DOMRADIO.DE-Interview kritisiert, dass es bis heute für Missbrauchsopfer keine etablierte Rolle in diesem Prozess gibt, auch nicht im Synodalen Ausschuss. Können Sie diese Kritik verstehen, wenn das große Ziel der Kampf gegen sexualisierte Gewalt sein soll?

Söding: Johannes Norpoth spielt als ZdK-Mitglied und als Ausschuss-Mitglied eine wichtige Rolle. Sie darf nicht auf seine Rolle als Sprecher des Betroffenenbeirats reduziert werden. Wir brauchen neue Möglichkeiten, um zum Beispiel über einen Gaststatus eine vernünftige Partizipation der Betroffenen zu entwickeln.

Ich sage aber zugleich, dass systemische Ursachen systemische Lösungen brauchen. Wir müssen deshalb die Trägerorganisationen stark machen. Deswegen ist es wichtig, dass DBK auf der einen Seite und ZdK auf der anderen Seite die Verantwortung übernehmen.

Wir haben allerdings von Anfang an gesagt, dass wir den Synodalen Weg nicht monopolisieren wollen. Deswegen gibt es auch 20 weitere Ausschussmitglieder, die aus der Synodalversammlung selbst heraus gewählt worden sind. Das ist keine eigene Säule, aber es ist ein wichtiges Zeichen dafür, dass durch die DBK und das ZdK Freiräume für die breite Partizipation von katholischen Gläubigen in dem Synodalen Weg geschaffen werden.

Vier Stühle bleiben leer

DOMRADIO.DE: Auf der anderen Seite gibt es noch die Säule der Diözesanbischöfe, von denen vier gesagt haben, dass sie an diesem Prozess nicht teilnehmen werden. Die Frage der Finanzierung ist geklärt. Hat das denn weitere Konsequenzen, dass diese vier Stühle jetzt leer bleiben?

Söding: Ich möchte zunächst sagen, dass ich dieses Fernbleiben sehr bedauere und dass ich diese Stimmen der vier engagierten Bischöfe, die ja von Anfang an gesagt haben, sie würden eine Minderheitenposition im Synodalen Prozess darstellen, für wichtig halte. Diese Bischöfe können sicher sein, dass wir uns mit ihren Positionen auseinandersetzen. Wir versuchen es mitzudenken. Die Tür ist nach wie vor offen, sie müssen allerdings hindurchgehen.

Aber es ist auch wichtig zu zeigen, dass die Diözesen vertreten sind, selbst wenn ihre Bischöfe jetzt die Mitarbeit verweigern. Das haben wir gemacht, indem wir aus den betroffenen Diözesen Gäste eingeladen haben. Die haben Rederecht. Dieses Rederecht haben sie auch wahrgenommen, aber sie haben kein Stimmrecht. Wir wollen sicherstellen, dass wir für die Breite der katholischen Bistümer sprechen können.

Das Wegbleiben der vier Bischöfe schafft eine ungute Situation. Ich hoffe, dass durch die weitere konstruktive Arbeit des Synodalen Ausschusses und durch die Abstimmung mit der Weltsynode am Ende auch diese Kluft in der Bischofskonferenz überbrückt werden kann.

Söding bei zweiter Runde der Weltsynode in Rom

DOMRADIO.DE: Bevor der Synodale Ausschuss im Dezember wieder zusammentritt, trifft sich die zweite Runde der Weltsynode in Rom, bei der Sie auch einer der Delegierten aus Deutschland sind. Was erwarten Sie davon?

Söding: Ich bin theologischer Experte in dieser Weltsynode. Es ist ein wechselseitiger Austausch. Auf der einen Seite hat sich im bisherigen weltsynodalen Prozess gezeigt, dass die Themen, die in Deutschland diskutiert werden, nicht nur in Deutschland diskutiert werden, sondern die katholische Kirche weltweit umtreiben.

Auf der anderen Seite zeigt sich auch, dass wir offensichtlich aufgrund der unterschiedlichen kirchlichen und politischen Kulturen unterschiedliche Modelle brauchen, um diesen Partizipationsgedanken, um den es ja bei der Synodalität geht, auch zu realisieren. Dabei habe ich aus dem ersten Teil der Weltsynode schon sehr wichtige Impulse aufgenommen, die ich auch auf jeden Fall in die Beratungen des Synodalen Ausschusses einbringen werde. Das ist zum Beispiel der Ansatz, die pastorale Gesamtbetrachtung noch einmal stärker in den Blick zu nehmen als die prozeduralen Strukturen, auf die wir uns in Deutschland geeinigt haben.

Ich bin sicher, dass das, was wir in Deutschland unter besonderen Bedingungen entwickelt haben, nicht aus dem katholischen Spektrum herausbricht, sondern eine markante Form von katholischer Synodalität realisiert.

Das Interview führte Renardo Schlegelmilch.  (domradio/vn 18)

 

 

 

Papst: Hassrede raubt Menschenwürde

 

Fake News und Hassreden zu verbreiten beraubt Menschen ihrer Würde. Das hat der Papst anlässlich des 3. Internationalen Tages zur Bekämpfung von Hassrede der UNO hervorgehoben. Er äußerte sich auf X.

 „Wir weben nicht an der Geschichte der Menschheit, indem wir ungeprüfte Informationen in einen Topf werfen, banale Reden und in die Irre führende Reden wiederholen und andere Menschen mit Hassbekundungen schockieren. Diese Handlungen berauben Menschen ihrer Würde“, heißt es in einem am Nachmittag verbreiteten Tweet des Papstes auf der Social Media Plattform X. Er wurde in mehreren Sprachen verbreitet.

„We do not weave the fabric of human history by lumping together unverified information, repeating banal and falsely persuasive speeches, and shocking others with declarations of hatred. These actions strip people of their dignity. #NoToHate“

Aktionsplan gegen Hate Speech weltweit

Mit dem Hashtag #NoToHate erinnert die Kurzbotschaft an den Internationalen Tag zur Bekämpfung von Hassrede, der an diesem Dienstag begangen wird. Im Rahmen eines Aktionsplanes bemühen sich die Vereinten Nationen seit einigen Jahren, global gegen Hassreden vorzugehen. An diesem Dienstag findet dazu eine Veranstaltung bei der UNO in New York statt, bei der es speziell um die Mobilisierung der Jugend gegen das oftmals mit den Sozialen Medien verknüpfte Phänomen geht.

„Hassreden - auch im Internet - sind zu einem der gängigsten Mittel geworden, um spaltende Rhetorik auf globaler Ebene zu verbreiten und den Frieden in der Welt zu bedrohen“, heißt es dazu von Seiten der UNO. Die Auswirkungen von Hassreden beträfen zahlreiche UN-Schwerpunktbereiche, heißt es weiter, „vom Schutz der Menschenrechte und der Verhinderung von Gräueltaten bis hin zur Erhaltung des Friedens, der Gleichstellung der Geschlechter und der Unterstützung von Kindern und Jugendlichen“. Die Bekämpfung von Hass, Diskriminierung, Rassismus und Ungleichheit gehöre zu den Kernprinzipien der Vereinten Nationen, wird weiter erinnert. (vn/uno 18)

 

 

 

Cusanuswerk hat den Ludwig-Erhard-Preis 2024 in Bronze erhalten

 

Die Bischöfliche Studienförderung Cusanuswerk ist am vergangenen Wochenende mit dem deutschen Excellence-Preis der Initiative Ludwig-Erhard-Preis e. V. (ILEP) ausgezeichnet worden. Diesen Preis erhalten seit 1997 Organisationen und Unternehmen in der Bundesrepublik Deutschland, die auf der Grundlage eines ausgereiften Qualitätsmanagements nachhaltig Spitzenleistungen erbringen.

 

„Unsere Strategie und unsere Prozesse sollen sich an ihren Ergebnissen und langfristigen Wirkungen messen lassen. Wir wollen der Kirche und der Welt dienen, wie es in unserem noch jungen Leitbild heißt. Alle, die im Cusanuswerk mitarbeiten, tun das mit hohem persönlichem Einsatz – nicht für hohe Auszeichnungen, sondern um der Sache willen“, erklärte Dr. Thomas Scheidtweiler, Generalsekretär des Cusanuswerks, anlässlich der Preisverleihung. „Für eine gemeinnützige Organisation mittlerer Größe ist es nicht leicht, Qualitätsstandards zu etablieren und v. a. zu halten, welche denen großer Unternehmen entsprechen, die so einen Preis erhalten haben. Wir wollen damit auch unseren Zuwendungsgebern zeigen, dass wir alles dafür tun, ihre Mittel gut und wirksam für unsere gemeinsame Zukunft einzusetzen.“

 

Prof. Dr. Georg Braungart, Leiter des Cusanuswerks, hob hervor: „Das Cusanuswerk hat sich innerhalb vergleichsweise kurzer Zeit beträchtlich weiterentwickelt und prägt die Landschaft der Begabtenförderung in Deutschland entscheidend mit: Auch in Zukunft soll es eine ‚erste Adresse‘ sein für begabte junge Menschen katholischer Konfession. Hervorragend sind dabei die hohe Qualität der Auswahl geeigneter Stipendiatinnen und Stipendiaten, das Niveau der Bildungsarbeit sowie die in den letzten Jahren stark ausgebaute Alumni- und Netzwerkförderung.“

 

Vergeben wird der Ludwig-Erhard-Preis in Kooperation mit der Standortinitiative „Deutschland – Land der Ideen“, einer gemeinsamen Initiative der Bundesregierung und des Bundesverbands der Deutschen Industrie (BDI). „Deutschland – Land der Ideen“ hat 30 nationale Partner, zu denen – neben der Initiative Ludwig-Erhard-Preis – mehrere Bundesministerien gehören.

 

Das Cusanuswerk wurde 2015 erstmals von der Initiative Ludwig-Erhard-Preis e. V. nach den Grundsätzen der European Foundation for Quality Management (EFQM) ausgezeichnet. Für die herausragende Qualität der Prozesse und Leistungen sowie für die zukunftsweisende Weiterentwicklung der Organisationsstruktur wurde das Cusanuswerk im Mai 2019 auf dem Level „Recognised for Excellence – 4 Stars“ zertifiziert. Zu Beginn des Jahres 2024 hat sich das Cusanuswerk einer erneuten Prüfung unterzogen und wurde erfolgreich rezertifiziert. Die Prüfer attestierten dem Cusanuswerk jetzt ein so hohes Leistungsniveau, dass eine Beteiligung am diesjährigen Wettbewerb um den renommierten Ludwig-Erhard-Preis möglich wurde.

 

„Die Initiative Ludwig-Erhard-Preis zeichnet Unternehmen und Institutionen aus, die sich um Exzellenz made in Germany verdient machen“, so Dr. André Moll, Geschäftsführer der Initiative. „Auf dem Top-Niveau des Ludwig-Erhard-Preises sind das nur wenige. Die Leistungen des Cusanuswerks haben unsere Jury überzeugt. Die Auszeichnung ist hochverdient und prämiert eine Institution, die im Bildungs- und Wissenschaftsmanagement sehr hohe Maßstäbe setzt.“

 

Frühere Preisträger des Ludwig-Erhard-Preises sind neben Werken von Bosch, Siemens und Automobilherstellern auch beispielsweise Hochschulen und Forschungseinrichtungen, Regionaldirektionen der Bundesagentur für Arbeit oder Träger der Deutschen Rentenversicherung. In diesem Jahr wurden neun Preise verliehen, siebenmal Bronze, einmal Silber und ein Nachhaltigkeitspreis.

Dbk 17

 

 

 

Experte: Papst hat ethische Dimension von KI ins Zentrum gerückt

 

Die Teilnahme des Papstes beim G7-Gipfel zum Thema Künstliche Intelligenz zeigt die Anerkennung, die dem Kirchenoberhaupt als „Träger der Weisheit“ gezollt wird. Davon ist P. Paolo Benanti überzeugt. Der Ordensmann gilt als Experte auf dem Gebiet der Künstlichen Intelligenz und sitzt auch im AI-Komitee der Vereinten Nationen. Große Innovationen, so der Franziskaner, müssten in der Tat auch „eine ethische Verwaltung“ erfahren, um wirklich nützlich zu sein. Das habe der Papst deutlich gemacht. Federico Piana und Christine Seuss - Vatikanstadt

 

Für den franziskanischen Theologen und Philosophen war die Teilnahme des Papstes an dem Gipfel ein „bedeutender Moment“. Im Gespräch mit Radio Vatikan erläutert Benanti:

„Zunächst einmal wurde der Heilige Vater als maßgebliche Stimme angerufen und eingeladen, um über ein so zukunftsweisendes Thema wie künstliche Intelligenz zu sprechen. Und das eröffnet neue Wege, in dem Sinne, dass wir die Weisheit anerkennen, deren Träger der Papst ist.“

Stärkere Präsenz des Glaubens im öffentlichen Diskurs

Diese Neuheit könne, so Benanti, vielleicht auch „eine neue Zeit“ eröffnen, gerade was eine stärkere Präsenz und Gewichtung des Glaubens „im pluralistischen und öffentlichen Raum der westlichen Demokratien“ angehe. Und es gehe um ein Thema, das der Experte ohne Umschweife als „zukunftsweisend“ bezeichnet und welches der Papst schon sehr früh auf dem Radar hatte. Benanti selbst ist nicht nur Berater des Papstes und der italienischen Regierung, sondern auch Mitglied des einflussreichen UN-Komitees zu Artificial Intelligence:

„Was den Inhalt der Ansprache des Papstes betrifft, denke ich, dass es sich um einen sehr ausgewogenen und in gewisser Weise sehr optimistischen Diskurs über die Technologien handelt. Er hat daran erinnert, dass Technologie und Menschheit verbunden sind. Die conditio humana, sagt der Papst an einer Stelle, wird eine conditio tecno-umana, das heißt, wir haben die Welt mit der Technologie verändert, und da sehen wir auch die ganze Größe der Berufung des Menschen durch seinen Schöpfer, an dieser Fähigkeit zur Veränderung teilzuhaben.“

Große Innovationen brauchen ethische Überwachung

Allerdings, so räumt Benanti ein, seien diese Fähigkeit und Größe nicht immer in den Dienst des Guten gestellt worden. Dies konfrontiere uns mit der Tatsache, „dass die großen Innovationen, die wir machen können“, nicht immer zum Guten der Menschen garantiert seien, wenn es „keine sorgfältige Abwicklung, eine ethische Verwaltung gibt.“

Dass sich mit dem Voranschreiten der Künstlichen Intelligenz in allen Lebensbereichen auch ein völlig neues soziales Gefüge bilden wird – geboren aus komplexen und epochalen Transformationsprozessen – ist für den Franziskaner ein Fakt, den man besser zur Kenntnis nehmen sollte. So werden beispielsweise herkömmliche Arbeitsplätze aussterben, während andere neu dazukommen.

„Aber das ist nur ein weiteres Glied in der Transformationskette, die durch die industrielle Revolution ausgelöst wird, und deren jüngster Ring der Automatisierung die künstliche Intelligenz ist. Was wird also von einer organisierten Gesellschaft, wie wir sie heute kennen, übrigbleiben? Eine organisierte produktive Welt, wie wir sie heute kennen, ist etwas Schönes, aber die Dinge ändern sich bereits. Wir müssen uns also bewusst werden, dass es einen sehr schnellen Wandel gibt, das ist der erste Punkt.“

„Das Ergebnis wird davon abhängen, wie wir diesen Wandel bewältigen wollen“

Auf der anderen Seite werde sich auch das menschliche Wissen durch diesen Transformationsprozess tiefgreifend verändern, sei es doch dank der KI möglich, in Sekundenschnelle auf enorme Datenbanken zurückzugreifen: „Diese beiden Herausforderungen sind kein Schicksal, sondern zwei offene Grenzen, und der Papst hat sich dazu sehr präzise geäußert. Das Ergebnis wird davon abhängen, wie wir diesen Wandel bewältigen wollen“, meint P. Benanti.

Papst beim G7: Menschenwürde im Blick behalten

Eine Tatsache, die man sich dringend bewusst machen sollte – werde doch die Zeit der „technologischen Innovation“, die wir erlebten, von einer „besonderen, noch nie dagewesenen sozialen Situation“ begleitet, hatte Papst Franziskus in seiner Rede auf dem G7-Gipfel analysiert: „Es gibt einen Verlust oder zumindest eine Verfinsterung des Sinns für das Menschliche und eine scheinbare Bedeutungslosigkeit des Konzepts der Menschenwürde. Und so kommt es, dass Programme der künstlichen Intelligenz den Menschen und sein Handeln in Frage stellen“, so der Papst, der in seiner Ansprache die „Schwäche des Ethos“, die sich in der zunehmenden Relativierung der Menschenwürde zeige, als das „größte Risiko bei der Einführung und Entwicklung dieser Systeme“ identifizierte.  

Rome Call for Ethics vereint Mehrheit der Menschen

Es sei seit jeher die Aufgabe und Berufung der Kirche, sich in ethisch relevante Debatten einzubringen, mal mit mehr, mal mit weniger Erfolg, gibt P. Benanti in diesem Zusammenhang zu bedenken. Dies sei auch mit Blick auf die aufkommende Künstliche Intelligenz und ethische Prinzipien, auf denen vor allem die generative KI basieren müsste, geschehen, erinnert er:

„Im Februar 2020 wurde der Rome Call for Ethics unterzeichnet, den die Päpstliche Akademie für das Leben gefördert hat, mit sechs Grundsätzen, die auch vom Papst zitiert wurden: Und es sind Grundsätze, die vor allem von den großen Technologieunternehmen übernommen wurden.“ Unter den ersten Unterzeichnern, so erinnert P. Benanti, waren Technologieriesen wie Microsoft, IBM und CISCO, ebenso wie Universitäten, die Welternährungsorganisation FAO, Regierungsvertreter und andere. Doch dabei blieb es nicht:

„Haben auch Muslime und Juden unterzeichnet, und diesen Sommer, im Juli, werden sich die orientalischen Religionen in Hiroshima treffen und unterzeichnen“

„Das Interessante ist, dass es sich nicht nur um eine katholische Sache handelt, denn im Jahr 2023 haben auch Muslime und Juden unterzeichnet, und diesen Sommer, im Juli, werden sich die orientalischen Religionen in Hiroshima treffen und es unterzeichnen. Bis dahin wird diese Plattform der ethischen Werte praktisch die meisten Menschen auf dem Planeten versammelt haben, denn die meisten Menschen auf dem Planeten sind durch die Religionen vertreten, die sie unterzeichnet haben. Hier scheint diese globale Anstrengung, diese ethischen Leitplanken zu verbreiten, plötzlich in der Lage zu sein, Grenzen zu überschreiten, Unterschiede zu überwinden“, zeigt sich der Franziskaner überzeugt.

Diese Bewegung nehme mittlerweile deutlich Gestalt an, und neu dabei sei nicht nur das Thema, sondern auch die Haltung, mit der an die Herausforderung herangegangen werde: „Nämlich eine Haltung der Nicht-Spaltung, sondern der Einheit und der Zusammenarbeit für ein Gut, das verstanden und gewünscht wird. Ich denke, wir werden einige interessante Szenarien erleben.“ (vn 17)

 

 

 

 

Kirchengebäude in Deutschland. Positionierung von EKD und Deutscher Bischofskonferenz

 

Das Manifest „Kirchen sind Gemeingüter!“ der Initiative „kirchenmanifest.de“, das am 11. Mai 2024 veröffentlicht wurde, nimmt sich einer Thematik an, welche die evangelische und die katholische Kirche seit geraumer Zeit umfassend diskutieren und konzeptionell bearbeiten, die aber auch an einzelnen Orten und in einzelnen Regionen für teils emotionale öffentliche Diskussionen sorgt.

 

Die sinkende Kirchenmitgliedschaft, der Rückgang des Gottesdienstbesuchs und abnehmende personelle Ressourcen führen dazu, dass die kirchengemeindlichen Strukturen vielerorts mittels Zusammenlegung und Reduktion angepasst werden. Weitere Wirkfaktoren sind der dauerhafte Rückgang kirchlicher Finanzmittel sowie städteplanerische Veränderungen im Zuge des soziodemografischen Wandels. Etliche Gottesdiensträume werden gegenwärtig nicht mehr in vollem Umfang für die Feier des Gottesdienstes benötigt. Das stellt für beide Kirchen eine große Herausforderung dar.

 

Insofern ist die Veröffentlichung des Manifests „Kirchen sind Gemeingüter!“ durch Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler und andere Akteure begrüßenswert. Es nimmt eine gemeinsame Verantwortung für die Nutzung, die Pflege und den Erhalt von Kirchengebäuden in den Blick. Die beiden großen Kirchen und die Initiatoren des Manifests eint die Sorge um das baukulturelle und kunsthistorische Erbe, das in den Kirchen und Kapellen in unseren Ortschaften und Städten über Jahrhunderte zum Ausdruck kommt.

 

Insgesamt setzt das Manifest einen wichtigen Impuls. Wie dessen Initiatorinnen und Initiatoren sehen auch die beiden Kirchen einen Gewinn in einer Beteiligung weiterer gesellschaftlicher Akteure an den Fragen des Erhalts und der Pflege dieser besonderen Bauten, deren rein kirchliche Nutzung vielfach und zunehmend infrage steht.

 

Dauerhafter Erhalt und Pflege dieser zur Diskussion stehenden Kirchengebäude sind jetzt und in Zukunft die Grundlage für jedwede Nutzung – liturgisch, kulturell, sozial, vielfältig. Ziel sollte die Entwicklung von – auch finanziell – tragfähigen Konzepten für den Umgang mit diesen kirchlichen Gebäuden und Baudenkmalen sein. Dbk 17

 

 

 

 

Das Evangelium mit Geduld und Zuversicht aussäen

 

Beim Angelus forderte Franziskus die Gläubigen auf, die Saat des Wortes Gottes auszustreuen und diese in zuversichtlicher Erwartung zu pflegen, auch wenn die Ergebnisse nicht sofort sichtbar sind. Dies sei ein Prozess, der „Zeit und Geduld“ brauche, so Franziskus am Fenster des Apostolischen Palastes.

Bei seinen Überlegungen ging der Papst vom Tagesevangelium nach Markus aus, in dem der Evangelist vom Reich Gottes mit dem Bild des Samens spricht (Mk 4, 26-34).

„Es braucht Zeit, es braucht Geduld“, so Franziskus, „damit die Saat zur rechten Zeit aufgeht und die Sprossen aus dem Boden sprießen und wachsen, stark genug, um am Ende eine reiche Ernte zu garantieren“. Daran ändere auch die Tatsache nichts, das der Bauer gutes und reichliches Saatgut ausgestreut, den Boden gut vorbereitet und seine Arbeit gut gemacht habe, erteilte Franziskus der hastigen Ungeduld auf rasche Ergebnisse eine Absage.

„Unter der Erde vollzieht sich das Wunder bereits“

„Unter der Erde vollzieht sich das Wunder bereits (vgl. Mk 4, 27), es gibt eine enorme Entwicklung, aber sie ist unsichtbar, man braucht Geduld, und in der Zwischenzeit muss man die Schollen weiter pflegen, sie bewässern und sauber halten, auch wenn an der Oberfläche nichts zu geschehen scheint“, so die Mahnung des Papstes.

Auch wir sollen wachsen können

Das gleiche geschehe auch im Hinblick auf das Reich Gottes und das Unterfangen der Evangelisierung, schlug Franziskus den Bogen. Denn der Herr lege die reichhaltige und gute Saat seines Wortes in uns und warte dann geduldig darauf, dass die Saat Früchte der guten Werke trage, ohne je aufzuhören, uns zu begleiten:

„Denn er will, dass auf seinem Feld nichts verloren geht, dass alles zur vollen Reife gelangt; er will, dass wir alle wie reiche Ähren wachsen können.“

Doch auch wir seien nach dem Beispiel des Herrn gerufen, das Evangelium in allen unseren Lebenslagen geduldig zu verkündigen, ohne den Mut zu verlieren und mit der gegenseitigen Unterstützung aufzuhören, selbst wenn wir „trotz unserer Bemühungen keine unmittelbaren Ergebnisse zu sehen“ schienen: „In der Tat ist oft sogar unter uns, dem Anschein zum Trotz, das Wunder bereits im Gange, und zu gegebener Zeit wird es reiche Frucht tragen! (…) Möge die Jungfrau Maria, die den Samen des Wortes in sich aufnahm und wachsen ließ, uns helfen, großzügige und zuversichtliche Säer des Evangeliums zu sein.”

Gedenken an Michael Rapacz

In seinen anschließenden Grüßen erinnerte Franziskus auch an das Beispiel des polnischen Priesters und Märtyrers Michael Rapacz, der am Samstag in Krakau in einer Zeremonie unter dem Vorsitz von Kardinal Marcello Semeraro, Präfekt des Dikasteriums für die Selig- und Heiligsprechungsprozesse, in der Wallfahrtskirche der Göttlichen Barmherzigkeit in ?agiewniki seliggesprochen wurde. Er wurde 1946 während der Sowjet-Besatzung in Polen ermordet. Der Papst beschrieb ihn vor den Gläubigen als 

„Seelsorger nach dem Herzen Christi, ein treuer und großzügiger Zeuge des Evangeliums, der sowohl die Verfolgung durch die Nazis als auch durch die Sowjets erlebte und darauf mit der Gabe seines Lebens antwortete." (vn 16)

 

 

 

 

„Wir gehen voran auf dem Synodalen Weg“. Synodaler Ausschuss richtet Kommissionen ein

 

Mit der Einrichtung von drei Kommissionen ist heute Mittag (15. Juni 2024) die zweite Plenarversammlung des Synodalen Ausschusses in Mainz zu Ende gegangen. Die Kommissionen werden Aufgaben und Fragen behandeln, die auf dem Synodalen Weg der Kirche in Deutschland fortgesetzt beraten werden sollen. Zuvor hatte der Ausschuss sich engagiert damit auseinandergesetzt, was es heißt, Synodalität als Strukturprinzip der Kirche zu verstehen.

Der Dogmatiker P. Prof. Bernhard Knorn SJ und die Kirchenrechtler Prof. Bernhard Anuth und Prof. Thomas Schüller gaben in ihren Impulsreferaten Anstöße zur Debatte. Sie wiesen auf die enge Verflechtung des Zweiten Vatikanischen Konzils mit dem derzeit laufenden synodalen Prozess der Weltkirche hin, ebenso auf die Bindung des Kirchenrechts an die Lehre der Kirche. Diskutiert wurde anschließend, was dies für die synodalen Prozesse in Deutschland und weltweit heißt. Dass das Generalsekretariat der Bischofssynode in Rom in der jüngsten Vergangenheit betont hat, „die Rezeption des konziliaren Lehramts“ stecke „in mancher Hinsicht noch in den Kinderschuhen“ wurde aufgegriffen und löste die Frage aus, wie das Kirchenvolk in diesen Prozessen besser repräsentiert sein könne. Ebenso wurde an den Missbrauchsskandal als Beweggrund des Synodalen Weges in Deutschland erinnert. Die systemischen Ursachen dieses Skandals müssten in logischer Konsequenz die Frage nach systemischen Veränderungen in der Kirche hervorrufen. Damit gehe auch die Frage einher, wie das Kirchenrecht auf diese Notwendigkeiten reagiere.

In die drei Kommissionen wurden jeweils zehn Mitglieder des Synodalen Ausschusses gewählt. Kommission I berät zur Synodalität als Strukturprinzip der Kirche und zur möglichen Ordnung eines Synodalen Rates. Kommission II fragt nach Evaluation und Monitoring der Umsetzung der Beschlüsse des Synodalen Weges. Kommission III kümmert sich um die Weiterentwicklung der Initiativen des Synodalen Weges. Die Mitglieder der Kommissionen finden sich unter www.synodalerweg.de/synodaler-ausschuss.

Der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zeigt sich zufrieden mit dem Verlauf der Beratungen: „Wir gehen voran auf dem Synodalen Weg, sehr bewusst in Verbindung mit der weltkirchlichen Ebene. Wenn im Herbst die Weltsynode in Rom erneut tagt, werden unsere Anliegen zuvor von uns eingebracht worden sein. Eine Delegation der deutschen Bischöfe wird in nächster Zeit erneut zu Gesprächen in den Vatikan reisen.“ Bätzing betont, es sei wichtig, konkrete Veränderungen sichtbar zu machen: „Die Menschen müssen sehen können, dass sich das Handeln der Kirche vor Ort verändert.“

Die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken, Dr. Irme Stetter-Karp, sagt: „Wir haben den Synodalen Weg in Deutschland begonnen, als das Ausmaß des Missbrauchsskandals überdeutlich wurde. Ich sehe klar: Wir müssen unsere Verantwortung für strukturelle Veränderungen in unserer Kirche wahrnehmen. Der Synodale Ausschuss ist nun als Arbeitsinstrument eingeführt. Die vertrauensvollen Beratungen sind nach mehr als drei Jahren auf dem Synodalen Weg ein Zeichen für das gewachsene Miteinander zwischen Bischöfen und Laien. Das macht mir immer wieder neu Mut auf diesem Weg.“

Die nächste Plenarversammlung des Synodalen Ausschusses wird am 13./14. Dezember 2024 in Wiesbaden-Naurod stattfinden.

Hinweise: Die Liste der Mitglieder der Kommissionen findet sich unter www.synodalerweg.de/synodaler-ausschuss. PSW 15

 

 

 

Zuppi beim Caritas Baby Hospital in Bethlehem: „Inakzeptables Leid“

 

Der Vorsitzende der Italienischen Bischofskonferenz, Kardinal Matteo Zuppi, hat dem Kinderkrankenhaus in Bethlehem (Cbh) einen Besuch abgestattet. Der Besuch war Teil der Diözesanwallfahrt des „Friedens und der Solidarität“, die derzeit zwischen Jerusalem und Bethlehem stattfindet und vom Kardinal selbst geleitet wird: „Das Leiden der Kinder ist inakzeptabel. Und hier müssen wir versuchen, die Erwachsenen zum Nachdenken zu bringen“, so Kardinal Zuppi.

Zuppi, begleitet von einer Pilgerdelegation, wurde bei seiner Ankunft von Shireen Khamis vom Cbh-Kommunikationsbüro begrüßt. Mit einem kurzen Video informierte er sich über die Geschichte des einzigen Kinderkrankenhauses im Westjordanland, das 2024 sein 71-jähriges Bestehen feiert. Das Kinderspital wirkt seit der Gründung ununterbrochen. Schätzungen zufolge leben in der Region über 410.000 Minderjährige. Derzeit erschwert der Krieg in Gaza die Lage, auch weil er den Umzug von Familien, die ihre Kinder behandeln lassen müssen, noch weiter verkompliziert.

„Um nach Bethlehem zu gelangen, müssen sie Hunderte israelische Kontrollpunkte passieren. In den ersten drei Kriegsmonaten konnten 7.000 Kinder aus diesem Grund nicht behandelt werden“, so Khamis. Weiter erklärt sie: „Darüber hinaus verschärfte der Krieg die ohnehin schon gravierenden wirtschaftlichen Probleme. Ohne Tourismus und Pilgerfahrten bleiben viele Familien arbeitslos und können sich keine Behandlung leisten.“

Aber das Cbh leiste weiterhin seinen Beitrag, um kranken Kindern zu helfen: „Mitte letzten März – sagte Khamis – kam eine Gruppe von 68 Kindern aus dem Gazastreifen in Bethlehem an. Sie wurden in einem spezialisierten Zentrum aufgenommen und werden seither von der Organisation SOS-Kinderdorf betreut. Die medizinische Versorgung ist dem Caritas Baby Hospital anvertraut.“

Inakzeptables Leid

Anschließend besuchte der Kardinal unter der Leitung der verantwortlichen Schwester Aleya Kattakayam vom Maria-Bambina-Institut, das das Cbh leitet, die verschiedenen Abteilungen, begrüßte einige der kleinen Krankenhauspatienten und ihre Eltern und sprach mit Ärzten und Krankenschwestern. „Wir sind an einem Ort, an dem das Leiden vieler Kinder geheilt werden kann. „Das ist aber nicht immer der Fall“, erklärte Zuppi am Ende des Treffens. „Wir müssen hier ansetzen, um zu verstehen, was für die Kleinsten und Schwächsten nötig ist, damit sie alles haben können, worauf sie Anspruch haben.“

In diesem Zusammenhang wollte der Kardinal an die israelischen Kinder erinnern, die am 7. Oktober 2023 während des Terroranschlags der Hamas getötet wurden, ebenso wie an die palästinensischen Kinder, die in diesen acht Monaten des Krieges in Gaza starben. „Einige dieser kleinen Betroffenen wurden in italienischen Krankenhäusern behandelt, darunter in Bologna“, so der Erzbischof der norditalienischen Stadt. Er habe „schreckliche Dinge“ von den Patienten gehört, „wie Amputationen vor Ort im Nahen Osten ohne Betäubung“.

(sir 15)

 

 

 

Nächste Schritte in kirchlicher Reformdebatte gesetzt

 

Der Synodale Ausschuss hat die Weichen für den weiteren Fortgang der Reformdebatte in der katholischen Kirche in Deutschland gestellt. Zum Abschluss ihrer Sitzung wählten die Mitglieder des Gremiums am Samstag in Mainz drei Kommissionen.

Die erste Kommission soll die Vorarbeiten zur Einrichtung eines Synodalen Rates leisten. Die zweite Kommission soll die Umsetzung der im Rahmen des 2019 gestarteten Synodalen Wegs gefassten Beschlüsse auswerten. Die dritte Kommission hat die Aufgabe, auf dem Synodalen Weg noch nicht zu Ende diskutierte Initiativen weiterzuentwickeln.

Zuvor habe der Ausschuss „sich engagiert damit auseinandergesetzt, was es heißt, Synodalität als Strukturprinzip der Kirche zu verstehen“, geht aus einer gemeinsamen Pressemitteilung der DBK und des ZdK zum Abschluss des Treffens hervor. Die Kommissionen bestehen aus jeweils zehn Mitgliedern des Synodalen Ausschusses. Eine Aufführung der Mitglieder findet sich unter www.synodalerweg.de/synodaler-ausschuss.

Zuversicht bei den Teilnehmern

Der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, zeigte sich zufrieden mit dem Verlauf der Beratungen: „Wir gehen voran auf dem Synodalen Weg, sehr bewusst in Verbindung mit der weltkirchlichen Ebene. Wenn im Herbst die Weltsynode in Rom erneut tagt, werden unsere Anliegen zuvor von uns eingebracht worden sein.“ Eine Delegation der deutschen Bischöfe werde „in nächster Zeit erneut zu Gesprächen in den Vatikan reisen“, so Bätzing, der betonte, es sei wichtig, konkrete Veränderungen sichtbar zu machen: „Die Menschen müssen sehen können, dass sich das Handeln der Kirche vor Ort verändert.“

Die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken, Irme Stetter-Karp, verwies erneut darauf, dass der Missbrauchsskandal den deutschen Synodalen Weg bedingt habe und betonte die „Verantwortung für strukturelle Veränderungen in unserer Kirche“, die es wahrzunehmen gelte. Der Synodale Ausschuss sei nun als Arbeitsinstrument eingeführt, während die „vertrauensvollen Beratungen“ nach mehr als drei Jahren auf dem Synodalen Weg „ein Zeichen für das gewachsene Miteinander zwischen Bischöfen und Laien“ seien: „Das macht mir immer wieder neu Mut auf diesem Weg.“

Streitpunkt Synodaler Rat

Vor allem die Einrichtung eines Synodalen Rates, in dem Bischöfe und Laien gemeinsam beraten und beschließen sollen, sorgte in der Vergangenheit für massive Vorbehalte aus dem Vatikan. Diesen sollte der Synodale Ausschuss vorbereiten. Bei einem Treffen im März verständigten sich Vertreter der Bischofskonferenz und des Vatikans darauf, dass Rom die im Synodalen Ausschuss gefassten Beschlüsse approbiert. Die nächste Sitzung des Synodalen Ausschusses ist für Mitte Dezember in Wiesbaden-Naurod geplant.

Entwicklung seit 2019

Der Synodale Ausschuss ist ein Ergebnis des Reformprojekts Synodaler Weg zur Zukunft der katholischen Kirche in Deutschland. Er soll die Einrichtung eines Synodalen Rates vorbereiten. In diesem neuen Gremium wollen Bischöfe und Laien ihre Beratungen über mögliche Reformen in der Kirche fortsetzen, die sie bei dem 2019 gestarteten Synodalen Weg begonnen haben.

Dem Synodalen Ausschuss gehören nominell 74 Mitglieder an: die 27 deutschen Ortsbischöfe, 27 Vertreter des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) und weitere 20 von der Vollversammlung des Synodalen Wegs gewählte Mitglieder. Das Präsidium besteht aus ZdK-Präsidentin Irme Stetter-Karp und dem Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, sowie den beiden Vizepräsidenten, dem Mainzer Bischof Peter Kohlgraf und Mara Klein.

Beschlüsse werden mit einer einfachen Zweidrittelmehrheit verabschiedet. Anders als beim Synodalen Weg ist nicht mehr zusätzlich eine eigene Zweidrittelmehrheit unter den Bischöfen erforderlich. Inhaltliche Vorarbeiten sollen drei aus jeweils zehn Ausschussmitgliedern bestehende Kommissionen leisten. Sie widmen sich den Themen Synodaler Rat, Evaluation und Fortführung der Debatten des Synodalen Weges.

Erstmals kam der Ausschuss am 10. und 11. November in Essen zusammen. Am Freitag und Samstag fand die zweite Sitzung in Mainz statt. Vier Ortsbischöfe haben sich gegen eine Mitarbeit im Ausschuss ausgesprochen. In ihrer Stellungnahme verwiesen die Bischöfe Gregor Maria Hanke (Eichstätt), Stefan Oster (Passau), Rudolf Voderholzer (Regensburg) und Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln) auf Vorbehalte aus dem Vatikan. Deswegen zählt der Synodale Ausschuss aktuell nur 70 Mitglieder.

Gespräche in Rom

Rom hatte mehrfach darauf hingewiesen, die katholische Kirche in Deutschland sei nicht befugt, ein gemeinsames Leitungsorgan von Laien und Klerikern einzurichten. Knackpunkt dabei ist, dass der Synodale Rat nach bisheriger Planung nicht nur gemeinsam beraten, sondern auch gemeinsam Entscheidungen fällen soll. Wie der Reformdialog der katholischen Kirche in Deutschland konkret weitergeht, ist in Teilen offen. Mit dem Vatikan wurde im März eine Übereinkunft getroffen, wonach der Synodale Ausschuss und alle weiteren „Formen der Synodalität“ dem Heiligen Stuhl zur Approbation vorgelegt werden müssen. In Kürze wollen sich Vertreter der deutschen Kirche und des Vatikans erneut zu Gesprächen treffen. (kap/pm 15)

 

 

 

Papst Franziskus: „Einbeziehung der Armen in Unternehmen nötig“

 

„Vergesst die Ärmsten und die Ausgestoßenen nicht.“ Das sagte der Papst an diesem Samstagvormittag zu einer Gruppe von CEOs großer Unternehmen und Banken, die er in Audienz empfing. „Die Kreislaufwirtschaft ist zu einem Schlüsselwort geworden, das uns dazu einlädt, Abfälle wiederzuverwenden und zu recyceln“, stellte Franziskus fest. Mario Galgano – Vatikanstadt

Wörtlich sagte der Papst: „Während wir Materialien und Reste recyceln, haben wir jedoch noch nicht gelernt - erlauben Sie mir den Ausdruck - die Menschen zu ,recyceln' und nicht einfach wegzuwerfen, die Arbeiter, und da insbesondere die Schwächsten, für die oft die Kultur des Wegwerfens vorherrscht.“

Als Unternehmer und Wirtschaftsverantwortlicher müsse man sich davor hüten, „eine gewissen Meritokratie“ zu fördern, die dazu diene, „den Ausschluss der Armen zu legitimieren, die als minderwertig eingestuft werden, bis hin zu dem Punkt, die Armut selbst als Fehler zu betrachten“, so die Warnung des Papstes, der anfügte:

„Und geben Sie sich nicht mit ein wenig Philanthropie zufrieden, das ist zu wenig. Die Herausforderung besteht darin, die Armen in die Unternehmen einzubeziehen, sie zu Ressourcen für einen gemeinsamen Vorteil zu machen. Das ist möglich. Ich träume von einer Welt, in der die Ausgestoßenen zu Protagonisten des Wandels werden können - aber mir scheint, dass ein gewisser Jesus dies bereits erreicht hat, meinen Sie nicht auch?“

„Es reicht nicht mehr aus, die Gesetze der Staaten einzuhalten“

Die Gäste im Vatikan war ein Gruppe von Unternehmern, Firmenchefs und Verwaltungen aus der ganzen Welt, die versucht, die Prinzipien von Laudato si' zu leben und zu diesem Zweck in einem Netzwerk, der „Sustainable Markets“-Initiative (Nachhaltigkeitsinitiative), zusammengeschlossen ist. Unter den Mitgliedern sind Firmen wie SAP, Siemens Energy, Ernst & Young, IBM, Pepsi, Shell, Unilever, Xerox und L'Oreal vertreten, auch die Großbanken HSBC, Bank of America und Santander haben sich der Initiative angeschlossen.

Den Wirtschaftsleuten sagte Franziskus dann: „Stellt die Umwelt und die Erde in den Mittelpunkt eurer Aufmerksamkeit und eurer Verantwortung.“ Wir befänden uns in einer schweren Umweltkrise, erinnerte das katholische Kirchenoberhaupt. Diese Krise sei von vielen Themen und Faktoren abhängig, „darunter auch von den wirtschaftlichen und unternehmerischen Entscheidungen von gestern und heute“, bekräftigte Franziskus:

„Es reicht nicht mehr aus, die Gesetze der Staaten zu respektieren, die zu langsam vorgehen: Es ist notwendig, innovativ zu sein, indem man die Zukunft vorwegnimmt, mit mutigen und weitsichtigen Entscheidungen, die nachahmenswert sind. Die Innovation des Unternehmers von heute muss vor allem eine Innovation in der Pflege des gemeinsamen Hauses sein.“

Das Großkapital beeinflusst auch die Geschicke der Regierungen

Die großen Unternehmen würden nicht nur den Konsum, das Sparen und die Produktion bestimmen, sondern auch „das Schicksal der Regierungen, die nationale und internationale Politik und die Nachhaltigkeit der Entwicklung“, so die Überzeugung des Papstes, der in seiner Audienz mit einer Gruppe von Vorstandsvorsitzenden großer Unternehmen und Banken darauf hinwies, dass „große Unternehmen Subjekte sind, die die Dynamik der internationalen Beziehungen beeinflussen“, da sie „Entscheidungen treffen, die sich auf Tausende und Abertausende von Arbeitnehmern und Investoren auswirken, und zwar zunehmend auf globaler Ebene“.

„Wirtschaftliche Macht ist mit politischer Macht verflochten“, so die Feststellung von Franziskus. „Heute ist die Wirtschaft mehr denn je größer als reine Wirtschaft“, fügte er an. Drei Herausforderungen nannte er den Anwesenden in diesem Zusammenhang: die Sorge um die Umwelt, die Sorge um die Armen und die Sorge um die Jugend. (vn 15)

 

 

 

Theologin Sattler sieht Vatikan-Papier zum Papstamt positiv

 

Das Studiendokument sei „ein Erweis dafür, dass sich die römisch-katholische Kirche derzeit in einen umfassenden Reformprozess begeben hat", sagte die katholische Theologin Dorothea Sattler dem Domradio diesen Freitag im Interview. Sattler ist Professorin für Dogmatik und ökumenische Theologie an der Universität Münster.

Der Vatikan hatte am Donnerstag Vorschläge für eine veränderte Sichtweise auf das Papstamt vorgestellt. Die Theologin Sattler sieht im Interview mit dem Domradio darin viel Potential und lobt die Einladung zum Gespräch der Konfessionen auf Augenhöhe.

 „Alle Kirchen erfahren in diesem Studiendokument Achtung und Aufmerksamkeit", so die Theologin. Das Papier macht Vorschläge für ein neues Verständnis und eine andere Ausübung des Papstamtes, die zur Wiederherstellung der Einheit der Christen beitragen sollen. Demnach könnte der Papst künftig von anderen christlichen Kirchen als Ehrenoberhaupt akzeptiert werden. Das Dokument trägt den Titel „Der Bischof von Rom" und wurde von Papst Franziskus genehmigt.

Es zeigt laut Sattler, dass der Papst mit anderen christlichen Kirchen ins Gespräch kommen will. Die Wertschätzung anderer Konfessionen komme schon allein darin zum Ausdruck, dass sie um eine Stellungnahme gebeten werden. „Die anderen Traditionen werden in ihrer Eigenständigkeit damit formal ernst genommen." Zwar distanziere sich das Papier an keiner Stelle von der Lehrtradition, so die Theologin. „Es tut jedoch etwas, was wir in der gegenwärtigen Reformdebatte dringend brauchen: Es bemüht sich darum, einen wissenschaftlichen Standard zu erreichen." So sei etwa eine Einordnung der Beschlüsse des Ersten Vatikanischen Konzils in seine historischen Kontexte dringend erforderlich. Diese kirchliche Versammlung hatte 1870 die dogmatische Unfehlbarkeit des Kirchenoberhaupts verkündet. Die damaligen Beschlüsse sollen nun laut dem Dokument in die neuere Theologie integriert werden; diese versteht die Kirche nicht mehr als Monarchie, sondern als Gemeinschaft.

„Synodale Beratungen in ökumenischer Gemeinschaft (...) stärken die kirchliche Autorität, weil die Ergebnisse begründet werden“

Nach Auffassung von Sattler wird sich die päpstliche Autorität auf Dauer nicht gegen wissenschaftlich begründete Argumente durchsetzen können. „Synodale Beratungen in ökumenischer Gemeinschaft, zu denen das Studiendokument einlädt, stärken die kirchliche Autorität, weil die Ergebnisse begründet werden." Sie sei dankbar dafür, dass in einem hohen Maße die ökumenische Bedeutung des weltweiten synodalen Prozesses gewürdigt werde. In anderen Kirchen gebe es schon lange Erfahrung mit Synodalität und der Partizipation von Laien. (kna/domradio 14)

 

 

 

Synodal Kirche sein. Zweite Sitzung des Synodalen Ausschusses hat begonnen

 

Nach der konstituierenden Sitzung des Synodalen Ausschusses im November vergangenen Jahres in Essen hat heute (14. Juni 2024) die zweite Sitzung in Mainz begonnen. An ihr nehmen 64 Mitglieder teil. Im Mittelpunkt der Beratungen stehen Wahlen zu den Kommissionen des Ausschusses sowie die Frage: Was heißt synodal Kirche sein?

 

Das Gremium wird eine erste Annäherung an seine vier zentralen Aufgaben vornehmen:

1. Verständigung über den Begriff der Synodalität als Grundvollzug der Kirche. Dabei werden die Erfahrungen der Weltsynode einbezogen;

2. Vorbereitung einer Evaluation der Umsetzung der Beschlüsse der Synodalversammlung;

3. Weiterentwicklung von Initiativen, die auf dem Synodalen Weg in den Synodalforen und der Synodalversammlung beraten worden sind;

4. Vorbereitung eines bundesweiten synodalen Gremiums, das kirchenrechtlichen Maßgaben entspricht.

 

Zum Auftakt betonten die Präsidenten des Synodalen Weges, Dr. Irme Stetter-Karp, Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK), und Bischof Dr. Georg Bätzing, Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz, dass es wichtig sei, den in Essen gut begonnenen gemeinsamen Weg fortzusetzen, auch im Lichte der Gespräche von Mitgliedern der Bischofskonferenz in Rom am 22. März 2024. Dabei erinnerten sie auch an die guten Erfahrungen des 103. Deutschen Katholikentags in Erfurt.

 

Stetter-Karp sagte: „Wie hoch die Motivation hier in Mainz ist, können Sie nicht zuletzt daran ablesen, dass die Mitglieder des Synodalen Ausschusses nahezu vollzählig anwesend sind. Wir begrüßen auch vier Gäste aus den Diözesanräten jener Bistümer, deren Bischöfe nicht dabei sind. So versuchen wir gemeinsam, eine Rückbindung unserer Beratungen an die Lebenswelt der Katholikinnen und Katholiken vor Ort zu leisten – auch dort.“ In Mainz wolle man inhaltlich und strukturell vorankommen, so Stetter-Karp. „Wir werden uns – wie die Weltsynode in Rom es ja auch intensiv tut – mit der Frage beschäftigen: Was heißt ‚synodal sein‘ als Strukturprinzip? Wir tun das, weil wir die Vision einer menschenfreundlichen, glaubwürdigen und teilhabegerechten Kirche haben. Einer Kirche, die sich an ihre Anfänge erinnert und deren Leuchtkraft weit in die Zukunft reicht. Ich bin fest überzeugt, dass wir eine solch leuchtende, lebendige Kirche in dieser Welt dringend brauchen.“

 

Bischof Bätzing betonte, dass es jetzt darauf ankomme, mit Ruhe und Bedachtsamkeit den weiteren Weg zu gehen. „Wir brauchen keine Schnellschüsse, wir wollen die reichen Früchte der fünf Synodalversammlungen umsetzen und weiterentwickeln. Das geschieht auf der Ebene der Kirche in Deutschland, das geschieht auch in Verbindung mit der weltkirchlichen Ebene. Nicht zuletzt bringen wir unsere Erfahrungen und Anliegen in die laufende Weltsynode ein.“ Gerade die zweite Vollversammlung der Weltsynode im Oktober 2024 sieht Bischof Bätzing als Chance: „Beide Wege – in Deutschland und der synodale Prozess in der Welt – haben ein gemeinsames Ziel: Wie können wir in einer sich rasant verändernden Welt das Evangelium glaubwürdig verkünden? Wo können wir Kirche für die Menschen sein, die den Suchenden und Gläubigen hilft und für sie da ist?“ Bischof Bätzing fügte hinzu: „Mir ist es wichtig, dass wir einen Weg gehen, bei dem wir uns um eine angemessene Hermeneutik von Einheit bemühen, die Vielfalt und den Anschluss von katholischer Lehre und Praxis an gesellschaftliche Wirklichkeiten ermöglicht, wo sie nicht wirklich das Zentrum des Glaubens berühren. Das ist auch unser Ziel bei den weiteren Gesprächen, die wir in Rom als Bischofskonferenz führen werden.“

Hinweis: Informationen zum Synodalen Ausschuss, zu den Mitgliedern, der Satzung und der Geschäftsordnung sind unter www.synodalerweg.de  verfügbar. Dbk 14

 

 

 

Kein Witz: Papst gewährt 105 Comedians Audienz

 

Papst Franziskus hat am Freitagvormittag 105 Comedians aus aller Welt eingeladen, darunter Whoopi Goldberg, die Schweizer Kabarettistin Hazel Brugger und Michael Mittermeier. Mittermeier lässt dafür sogar seine EM-Eröffnungsspiel-Karten sausen.

München ist im EM-Fieber, aber Michael Mittermeier fährt nach Rom, statt Freitag in München zum Eröffnungsspiel Deutschland-Schottland zu gehen. Der Grund: Der bekannte, in Oberbayern lebende Comedian ist einer der "Protagonisten des Humors", die Papst Franziskus am Freitag in den Vatikan geladen hat.

Audienz beim Papst mit Whoopi Goldberg & Co.

Audienz beim Papst – das ist wohl ein Höhepunkt seiner Karriere? Mittermeier scheint immer noch überwältigt von so viel Ehre: "Ja, krass, oder? Er lädt Humoristen ein und ich bin dabei. Ich muss sagen, das ist ein Killer Line-up", sagt er im BR. Internationale Stars sind im Vatikan dabei: Whoopi Goldberg, die Moderatoren und Comedians Stephen Colbert, Jimmy Fallon. Aus dem deutschsprachigen Raum sind neben Torsten Sträter, Annette Frier, Meltem Kaptan, Till Reiners und die Schweizerin Hazel Brugger eingeladen. Sollen die alle, zusammen mit den geladenen Humoristen aus Italien, Frankreich, Irland, Polen, England, Spanien und Lateinamerika den Papst zum Lachen bringen? "Da schaun wir mal, ob der Vatikan a guader Comedy-Club ist", sagt Mittermeier.

Tägliche Gebete für Humor

Ganz unerwartet ist die Einladung bei dem Betreiber des Lucky Punch Comedy Clubs nicht eingetrudelt: Der Vatikan habe in einer E-Mail erst einmal vor gefühlt und dann eine wunderschöne Einladung geschickt. "Die laden Humoristen ein, weil der Papst angeblich jeden Morgen auch dafür betet 'Oh Herr, gib mir Humor'".

Mittermeier räumt ein, seine Programme seien von vielen Katholiken schon kritisiert worden, aber meint, wenn der Papst "Humor hat, lacht er drüber". Er vermutet, mit der Einladung wolle Papst Franziskus zeigen, dass er selbst Humor habe. Und hofft: "Und vielleicht darf ich den einen oder anderen Joke abzünden." Etwa: "Hey, was hat rote Schuhe, weiße Kleidung und keinen Sex? Ich in den 80ern". Aber Mittermeier vertraut auch darauf, dass er spürt, wenn kein Witz angebracht ist.

Junggesellenparty im Vatikan?

Wirklich eingeschüchtert zeigt sich Mittermeier vom Ambiente des Vatikans nicht. Klar, es sei krass, wie pompös das ist. Aber auf der anderen Seite fragt er sich: "Wirklich jetzt? Da wohnen 600 Männer und jeden Abend geht die Tür zu? Freunde, die beten doch nicht, die machen Junggesellenparty. Da wird gefeiert, da wird gesungen, auf den Tischen: Maria hat ein Telefon, ich habe ihre Nummer schon....".

Nach der Audienz wird Michael Mittermeier es wohl genauer wissen, wie es mit Humor im Vatikan steht. Die geladenen Komiker und Komikerinnen jedenfalls sind gut vernetzt und werden sich nach ihrer Audienz im Vatikan noch zusammentun, wie Meltem Kaptan, die auch dabei sein wird, auf Anfrage des BR sagt. Br 14

 

 

 

Papst mahnt beim G7-Gipfel: Künstliche Intelligenz braucht mehr Ethik

 

Keine Maschine soll jemals die Entscheidung treffen können, einen Menschen zu töten. Das hat Papst Franziskus an diesem Freitag vor den Regierungschefs der reichsten Industrienationen der Welt beim G7-Gipfel in Italien gesagt. Seine mahnende Rede galt ganz den Chancen und Risiken der Künstlichen Intelligenz, davor und danach waren Einzelbegegnungen unter anderem mit den Präsidenten der USA, der Ukraine, Indiens und der Türkei anberaumt.  Gudrun Sailer – Vatikanstadt

 

Franziskus ist der erste Papst bei einem G7-Gipfel in der 50-jährigen Geschichte dieses Formats. Er appellierte an das Gewissen der Regierenden, im Krieg den Gebrauch von tödlichen autonomen Waffen zu überdenken und ihren Einsatz mittelfristig zu verbieten. Ohne derzeitige Kriegsschauplätze zu benennen, schlug der Papst vor, mit einer „proaktiven und konkreten Verpflichtung zur Einführung einer immer größeren und bedeutenden menschlichen Kontrolle“ solcher KI-gesteuerten Drohnen und ähnlicher Waffensysteme zu beginnen, um schließlich zu einem Verbot zu gelangen. „Keine Maschine darf jemals die Wahl treffen können, einem Menschen das Leben zu nehmen“, sagte der Papst bei dem Weltpolitik-Gipfel in Borgo Egnazia in Apulien.

Nach seiner Ankunft im Hubschrauber gegen 12:30 sprach Franziskus zunächst in Vieraugen-Gesprächen mit Kristalina Georgiewa, der Leiterin des Internationalen Währungsfonds, dem ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj, dem französischen Regierungschef Emmanuel Macron und dem kanadischen Regierungschef Justin Trudeau. Diese Unterredungen dauerten länger als vorgesehen. Mit deutlicher Verspätung begab sich der Papst dann im Rollstuhl zusammen mit der italienischen Ministerpräsidentin Giorgia Meloni, die ihn eingeladen hatte, in die Arena-Halle, wo die Staats- und Regierungschefs in gemeinsamer Sitzung den Gast aus Rom herzlich begrüßten.

„Eine wahrhaft kognitiv-industrielle Revolution“

Eines der Hauptthemen bei diesem G7-Gipfel ist Künstliche Intelligenz, „ein faszinierendes und unheimliches Instrument“, wie es in der Papstrede eingangs hieß. Franziskus hatte bereits seine Botschaft zum 58. Weltkommunikationstag diesem Thema gewidmet, und von 20. bis 22. Juni findet dazu im Vatikan eine Konferenz statt. An diesem Freitag analysierte der Papst vor den Regierenden der reichsten Industrienationen der Welt die Chancen und Risiken dieser Technologie, besonders ihre Auswirkungen auf die Zukunft der Menschheit. „Denn man kann heute davon ausgehen“, so der Papst, dass KI „die Art und Weise, wie wir leben, unsere sozialen Beziehungen und in Zukunft sogar die Art und Weise, wie wir unsere Identität als menschliche Wesen begreifen, zunehmend beeinflussen wird.“ Künstliche Intelligenz und ihre Folgen seien „eine wahrhaft kognitiv-industrielle Revolution“.

Diese Entwicklung hat Licht und Schatten, erläuterte der Papst. KI könne zum einen den Zugang zu Wissen demokratisieren, Forschung erleichtern, die Last mühsamer Arbeit schultern. Auf der anderen Seite aber bestehe das Risiko, dass KI noch mehr Ungleichheit „zwischen fortgeschrittenen und sich entwickelnden Nationen“ schaffe und noch mehr Ungerechtigkeit „zwischen herrschenden und unterdrückten sozialen Schichten“. Dann hätte die „Kultur der Begegnung“ das Nachsehen und die „Kultur des Wegwerfens“ Oberwasser.

„Keine Maschine darf jemals die Wahl treffen können, einem Menschen das Leben zu nehmen“

Ausdrücklich warnte der Papst vor einem Abdriften in Gefahren der KI, die zwar gesehen, aber aus Vatikansicht nicht hinreichend bekämpft werden. Der Mensch, weil er Herz, Vernunft und Augenmaß hat, müsse immer über der intelligenten Maschine stehen und immer die letzte Entscheidung haben. „Wir würden die Menschheit zu einer hoffnungslosen Zukunft verdammen, wenn wir den Menschen die Fähigkeit nehmen würden, über sich selbst und ihr Leben zu entscheiden, und sie dazu verdammen würden, von der Wahl von Maschinen abhängig zu sein“, erklärte Franziskus in seiner Rede: „Die menschliche Würde selbst steht dabei auf dem Spiel.“

„Menschliche Würde selbst steht auf dem Spiel“

Infolgedessen braucht die KI eine ethische Ausrichtung, damit sie zu einem Instrument des Guten für alle werde, betonte der Papst. Er verwies auf eine diesbezügliche Initiative aus dem Vatikan, die weite Kreise gezogen hat: den „Rome Call for AI Ethics“ der Päpstlichen Akademie für das Leben aus dem Jahr 2020, dabei geht es um eine Selbstverpflichtung großer Tech-Konzerne und anderer Interessensträger wie Regierungen zur gemeinsamen ethischen Moderation von Algorithmen und Programmen der KI; „Algor-Ethik“ brauche es da, wiederholte der Papst einen Begriff, den er 2019 geprägt hatte. Nur so sei der Gefahr zu begegnen, dass die neue, umwälzende Technologie der Menschheit „einheitliche anthropologische, sozioökonomische und kulturelle Modelle aufzwingt“, nämlich die des Westens.

Papst: Es braucht gute, regulierende Politik

An die versammelten Staats- und Regierungschefs richtete der Papst daher den eindringlichen Appell, gemeinsam dem letztlich menschenfeindlichen „technokratischen Paradigma“ entgegenzutreten, das KI verkörpert. „Wir dürfen nicht zulassen, dass ein so mächtiges und unentbehrliches Werkzeug wie die künstliche Intelligenz ein solches Paradigma verstärkt; vielmehr müssen wir gerade die künstliche Intelligenz zu einem Schutzwall gegen seine Ausbreitung machen. Und genau hier besteht dringender politischer Handlungsbedarf.“

 

Ohne eine gute Politik könne die Welt keinen „effektiven Weg zur allgemeinen Geschwisterlichkeit und zum gesellschaftlichen Frieden finden“, zitierte der Papst aus seiner Enzyklika „Fratelli tutti“. Es gehe nicht darum, „die Kreativität des Menschen und seinen Sinn für Fortschritt zu bremsen“, sondern die Energie, die in einer findigen und kreativen Wirtschaft und Industrie stecke, „auf neue Anliegen hin auszurichten“ – Anliegen, die das Gemeinwohl betreffen. Politik müsse die Bedingungen dafür schaffen, dass eine solche Nutzung der KI „möglich und fruchtbar ist“, schloss der Papst seine Rede an die Staats- und Regierungschefs. (vatican news 14)

 

 

 

Ökumenischer Gottesdienst zur Eröffnung der UEFA Euro 2024. „Erleben von Gemeinschaft“

 

Zum Auftakt der Fußball-Europameisterschaft haben die Evangelische Kirche in Deutschland (EKD) und die Deutsche Bischofskonferenz heute (14. Juni 2024) in der Jesuitenkirche St. Michael in München einen ökumenischen Gottesdienst gefeiert. Unter dem Motto „United“ kamen Vertreterinnen und Vertreter aus Kirche, Sport, Politik und Gesellschaft mit zahlreichen Fans und Volunteers zusammen, um für ein friedliches und verbindendes Turnier zu beten.

 

Präses Dr. Thorsten Latzel (Evangelische Kirche im Rheinland), Sportbeauftragter der EKD, betonte in seiner Ansprache: „Ich wünsche mir, dass die Euro in Deutschland ein weltoffenes und menschenfreundliches Fest wird, bei dem vor allem die Gastfreundschaft und das Miteinander in Erinnerung bleiben werden. Dafür stehen wir als Christinnen und Christen: für unbedingte Nächstenliebe, Gastfreundlichkeit, ökumenische Weltoffenheit sowie Frieden und Gerechtigkeit in allen Beziehungen.“ Er hob hervor, dass Glaube und Fußball eine große Leidenschaft für die Sache verbinden und beide als Team-Sport zu verstehen sind: „In der weltweiten Ökumene sind wir gemeinsam Teil des einen Christus-Teams – mit verschiedenen Fan-Gemeinschaften: hier der FC Rom, dort Fortuna Wittenberg. In dem Christus-Team darf jede und jeder mitspielen, ganz gleich, woher jemand stammt, wen sie oder er liebt, ob er oder sie reich, arm, dick, dünn oder wie auch immer ist.“

 

Der Sportbischof der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Stefan Oster (Passau), sprach über das Verhältnis von Enttäuschung und Hoffnung: „Es wird viele Enttäuschungen bei dieser Europameisterschaft geben. Am Ende gewinnt nur eine Mannschaft. Aber wir hoffen und wünschen uns – auch als Christen –, dass vor allem die Freude am Spiel und an der Gemeinschaft überwiegt. Dass diese Perspektive auch in der Enttäuschung nicht verloren geht. Und dass viele Fans – auch dann, wenn ihre Mannschaft verloren hat – mit Dankbarkeit nach Hause fahren, weil sie erleben: Eine Niederlage im Fußball ist weder das Ende, noch nimmt sie dem Fußball seine Schönheit, seine Kraft und die Freude, die aus diesem Spiel kommt.“ Es gehe um das, was Christus für uns will: „Das Erleben von Gemeinschaft, die Freude, dass er lebt, und die Perspektive des Ankommens in der großen Freude. Auch wenn in diesem Leben nicht alles glatt läuft und wir manche Niederlage einstecken müssen“, so Bischof Oster.

 

Unter den Gästen des Gottesdienstes waren unter anderem der Bayerische Staatsminister des Innern, Joachim Herrmann, der Generalsekretär der Schottischen Bischofskonferenz, Fr. Gerard Maguiness, die Präsidenten des Deutschen und Schottischen Fußballbundes, Bernd Neuendorf (DFB) und Mike Mulraney (SFA), sowie die Vertreterin der Stadt München, Ulrike Grimm.

 

Bischof Oster und Präses Latzel, die die Liturgie leiteten, wurden von Schülerinnen der Erzbischöflichen Maria-Ward-Realschule Berg am Laim und des Erzbischöflichen Edith-Stein-Gymnasiums unterstützt, die in „United“-Shirts mit den Flaggen der 24 teilnehmenden Nationen auftraten und mehrsprachige Fürbitten vortrugen. Musikalisch umrahmt wurde der Gottesdienst von den Popkantoren Tilman von Dombois mit Band sowie Peter Kofler, dem Organisten von St. Michael.

Ein symbolträchtiger Moment war das Steigenlassen von Luftballons mit Segenskarten nach dem Gottesdienst – ein Zeichen für die Hoffnungen und Gebete, die mit diesem Turnier verbunden sind. Dbk 14

 

 

 

Neues Ökumene-Dokument: Bischof von Rom als Diener der Einheit

 

Das Dikasterium zur Förderung der Einheit der Christen hat diesen Donnerstag ein neues Dokument vorgestellt, das eine Bilanz des ökumenischen Dialogs zur Rolle des Papstes und der Ausübung des Petrusprimats zieht. Hier eine Zusammenfassung.

Das Dokument mit dem Titel „Der Bischof von Rom“ ist ein Schreiben des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen. Es fasst die Früchte der ökumenischen Dialoge über das Amt des Papstes zusammen. Es handelt sich dabei um Gespräche, die vor fast dreißig Jahren begonnen haben und von Johannes Paul II. als Antwort auf die ökumenischen Debatten seit dem Zweiten Vatikanischen Konzil initiiert wurden. Das neue Schreiben will eine Form der Ausübung des Primats des Bischofs von Rom hervorheben, die von den christlichen Kirchen, die in den ersten Jahrhunderten in voller Gemeinschaft miteinander lebten, geteilt wird. Auch wenn nicht alle theologischen Dialoge bisher „das Thema auf der gleichen Ebene oder mit der gleichen Tiefe behandelt haben“, lassen sich doch einige „neue Ansätze“ zu den umstrittensten theologischen Fragen aufzeigen, heißt es in dem neuen Dokument.

Die Lektüre der petrinischen Texte

Die Basis des Dokuments ist das Verständnis über die Rolle des Apostels Petrus. Eine der Früchte der theologischen Dialoge ist eine neue Lesart der Texte über die Rolle des Apostelfürsten Petrus, die in der Vergangenheit ein Hindernis für die Einheit der Christen darstellten. Die verschiedenen christlichen Dialogpartner wurden bei den Gesprächen aufgefordert, anachronistische Projektionen späterer Lehrentwicklungen zu vermeiden und die Rolle des Petrus unter den Aposteln neu zu betrachten. So wurde „eine Vielfalt von Bildern, Interpretationen und Modellen im Neuen Testament wiederentdeckt, während biblische Begriffe wie episkopé (das Amt der Aufsicht), diakonia (Dienst) und das Konzept der ‚petrinischen Funktion‘ dazu beigetragen haben, ein umfassenderes Verständnis der ‚petrinischen Texte‘ zu entwickeln“.

Der Ursprung des Primats

Ein weiteres kontroverses Thema ist das katholische Verständnis des Primats des Bischofs von Rom als eine Institution göttlichen Rechts, während die meisten anderen Christen ihn nur als eine Institution menschlichen Rechts verstehen. In dem Dokument des vatikanischen Ökumene-Dikasteriums heißt es, dass „hermeneutische Klarstellungen“ dazu beigetragen haben, diese „traditionelle Dichotomie in eine neue Perspektive zu rücken“, indem der Primat sowohl als göttliches als auch als menschliches Recht betrachtet wird. Das heißt mit anderen Worten, dass das Petrusprimat „als Teil des Willens Gottes für die Kirche“ und „durch die menschliche Geschichte“ vermittelt wurde. Die ökumenischen Dialoge betonten die Unterscheidung „zwischen dem theologischen Wesen und der historischen Kontingenz des Primats“ und riefen dazu auf, „den historischen Kontext, der die Ausübung des Primats in verschiedenen Regionen und Epochen bedingt hat, stärker zu beachten und zu bewerten“.

Das Erste Vatikanische Konzil

Ein bedeutendes Hindernis sind die dogmatischen Definitionen des Ersten Vatikanischen Konzils. Einige ökumenische Dialoge haben „vielversprechende Fortschritte gemacht, indem sie eine ‚Neuauslegung‘ oder ‚Wieder-Aufnahme‘ dieses Konzils unternommen haben, das neue Wege für ein genaueres Verständnis seiner Lehre eröffnet“, auch im Licht der historischen Kontexte und der Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Die dogmatische Definition der universalen Jurisdiktion des Papstes wurde daher anders interpretiert, indem „ihre Ausdehnung und ihre Grenzen aufgezeigt wurden“. Ebenso war es möglich, „die Formulierung des Unfehlbarkeitsdogmas zu klären und sogar in einigen Aspekten seines Zwecks übereinzustimmen, indem man die Notwendigkeit einer persönlichen Ausübung des Lehramtes unter bestimmten Umständen anerkannte, da die Einheit der Christen eine Einheit in Wahrheit und Liebe ist“. Trotz dieser Klarstellungen, so räumt das Dokument ein, „kommen in den Dialogen immer noch Bedenken über das Verhältnis der Unfehlbarkeit zum Primat des Evangeliums, die Unfehlbarkeit der ganzen Kirche, die Ausübung der bischöflichen Kollegialität und die Notwendigkeit der Rezeption" zum Ausdruck.

Ein Amt für die versöhnte Kirche

Viele theologische Dialoge haben „die Notwendigkeit eines Primats auf universaler Ebene“ anerkannt. Unter Bezugnahme auf die apostolische Tradition kam man bei einigen Dialogen zu dem Schluss, dass das Christentum von den Anfängen der Kirche an auf apostolische Hauptsitze gegründet war, die eine bestimmte Reihenfolge einnahmen. Dazu zählt der Stuhl von Rom als erster. Bei einigen Gesprächen wurde darauf hingewiesen, dass es eine gegenseitige Abhängigkeit zwischen Primat und Synodalität auf jeder Ebene des kirchlichen Lebens gibt: lokal, regional, aber auch universal. Ein weiteres Argument, das eher pragmatischer Natur ist, betrifft den zeitgenössischen Kontext der Globalisierung und der missionarischen Bedürfnisse. Die theologischen Dialoge haben bestimmte Kriterien des ersten Jahrtausends „als Bezugspunkte und Inspirationsquellen“ für die allgemein hinnehmbare Ausübung eines Dienstes der Einheit auf universaler Ebene identifiziert, wie zum Beispiel der informelle - und nicht in erster Linie jurisdiktionelle - Charakter der Ausdrucksformen der Gemeinschaft zwischen den Kirchen; das ‚Ehrenprimat‘ des Bischofs von Rom sowie die wechselseitige Abhängigkeit zwischen dem Primatsverständnis und der synodalen Dimension.

Primat und Synodalität

In vielen Dialogen wird anerkannt, dass das erste Jahrtausend der christlichen Geschichte weder idealisiert noch vereinfacht nachgebildet werden sollte, auch weil ein Primat auf universaler Ebene auf die Herausforderungen der Gegenwart reagieren sollte. Daher wurden einige Grundsätze für die Ausübung des Primats im 21. Jahrhundert festgelegt: „Eine erste allgemeine Übereinstimmung ist die gegenseitige Abhängigkeit von Primat und Synodalität auf allen Ebenen der Kirche und die daraus folgende Notwendigkeit einer synodalen Ausübung des Primats. Eine weitere Übereinstimmung betrifft die Betonung zwischen „der ‚gemeinschaftlichen‘ Dimension, die auf dem sensus fidei aller Getauften beruht, der ‚kollegialen‘ Dimension, die vor allem in der bischöflichen Kollegialität zum Ausdruck kommt, und der ‚persönlichen‘ Dimension, die durch die Primatsfunktion zum Ausdruck kommt“. Eine entscheidende Frage ist die Beziehung zwischen der Ortskirche und der Universalkirche, die wichtige Konsequenzen für die Ausübung des Primats hat. Die ökumenischen Dialoge haben dazu beigetragen, „sich auf die Gleichzeitigkeit dieser Dimensionen zu einigen und darauf zu bestehen, dass die dialektische Beziehung zwischen der Ortskirche und der Universalkirche nicht getrennt werden kann“.

Die Rolle der Bischofskonferenzen

Bei den ökumenischen Dialogen wurde immer wieder „die Notwendigkeit eines Gleichgewichts zwischen der Ausübung des Primats auf regionaler und universaler Ebene“ betont und festgestellt, „dass in den meisten christlichen Gemeinschaften die regionale Ebene für die Ausübung des Primats und auch für ihre missionarische Tätigkeit am wichtigsten ist“. Einige theologische Dialoge mit westlichen christlichen Gemeinschaften, die eine „Asymmetrie“ zwischen diesen Gemeinschaften und der katholischen Kirche feststellen, fordern eine Stärkung der katholischen Bischofskonferenzen, auch auf kontinentaler Ebene, und eine Dezentralisierung nach dem Vorbild der alten patriarchalischen Kirchen.

Traditionen und Subsidiarität

Es wird die Bedeutung des Subsidiaritätsprinzips hervorgehoben: „Keine Frage, die auf einer niedrigeren Ebene angemessen behandelt werden kann, sollte auf einer höheren Ebene behandelt werden“. In einigen Dialogen wird dieses Prinzip bereits angewandt, um ein akzeptables Modell der „Einheit in der Vielfalt“ mit der katholischen Kirche zu definieren, wobei argumentiert wird, dass „die Macht des Bischofs von Rom nicht über das hinausgehen sollte, was für die Ausübung seines Dienstes der Einheit auf universaler Ebene notwendig ist, und eine freiwillige Begrenzung der Ausübung seiner Macht vorschlagen sollte - wobei anerkannt wird, dass er ein ausreichendes Maß an Autorität benötigt, um mit den vielen Herausforderungen und komplexen Verpflichtungen seines Dienstes umzugehen“.

Praktische Arbeitsvorschläge

Ein erster Vorschlag ist eine neue Auslegung der Lehren des Ersten Vatikanischen Konzils durch die katholische Kirche mit „neuen Ausdrücken und neuem Vokabular, die der ursprünglichen Absicht treu bleiben, aber in eine Ekklesiologie der Gemeinschaft integriert und an den aktuellen kulturellen und ökumenischen Kontext angepasst sind“. Es wird auch vorgeschlagen, die verschiedenen Aufgaben des Bischofs von Rom klarer zu unterscheiden, „insbesondere zwischen seinem patriarchalischen Amt in der westlichen Kirche und seinem vorrangigen Amt der Einheit in der Gemeinschaft der Kirchen“. Ferner wird eine stärkere Betonung der Ausübung des Amtes des Papstes in seiner Teilkirche, der Diözese Rom, gefordert. Die dritte Empfehlung betrifft die Entwicklung der Synodalität innerhalb der katholischen Kirche. Insbesondere wird vorgeschlagen, „weitere Überlegungen über die Autorität der nationalen und regionalen katholischen Bischofskonferenzen und ihre Beziehung zur Bischofssynode und zur römischen Kurie anzustellen. Auf universeller Ebene betonen sie die Notwendigkeit einer besseren Einbeziehung des gesamten Gottesvolkes in die synodalen Prozesse“. Ein letzter Vorschlag betrifft die „Förderung der ‚konziliaren Gemeinschaft‘ durch regelmäßige Treffen zwischen Kirchenführern weltweit“ und die Förderung der Synodalität zwischen den Kirchen durch regelmäßige Konsultationen und gemeinsame Aktionen und Zeugnisse zwischen Bischöfen und Kirchenoberhäuptern. (vatican news 13)

 

 

 

Vatikanisches Dokument „Der Bischof von Rom“. Bischof Feige: Arbeitsaufträge an Kirche und Theologie

 

Im Vatikan ist heute (13. Juni 2024) vom Präfekten des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen, Kardinal Kurt Koch, das neue Dokument „Der Bischof von Rom“ veröffentlicht worden. Dazu erklärt der Vorsitzende der Ökumenekommission der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Gerhard Feige (Magdeburg):

 

Das heute vom Dikasterium zur Förderung der Einheit der Christen veröffentlichte Studiendokument „Der Bischof von Rom“ gibt einen beeindruckenden Überblick über die Antworten auf die Bitte von Papst Johannes Paul II. in seiner Enzyklika Ut unum sint (1995), in einen Dialog über die Ausübung des Petrusdienstes einzutreten, sowie über die Ergebnisse von ökumenischen Dialogen, offiziellen und inoffiziellen, internationalen und lokalen, die sich mit der Primatsfrage befasst haben. Die Antworten und Dialogergebnisse werden gesichtet, systematisiert und ausgewertet. Dem schließt sich als zweiter und kürzerer Teil ein Vorschlag der Vollversammlung des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen zu einem Weg hin zu einer Ausübung des Primates im 21. Jahrhundert an.

 

In den Text sind auch Vorarbeiten des Johann-Adam-Möhler-Instituts für Ökumenik in Paderborn und des von ihm initiierten Gemeinsamen orthodox-katholischen Arbeitskreises St. Irenäus eingeflossen. Es werden wertvolle Anregungen gegeben, von denen ich eine neue Dynamik erwarte, sowohl hinsichtlich einer weiteren innerkatholischen Klärung als auch im Blick auf die ökumenische Diskussion. Dabei geht es um die wechselseitige Zuordnung von Primat und Synodalität, aber auch die Entwicklung neuer synodaler Formen im Miteinander der Kirchen.

 

Besonders möchte ich folgende Punkte hervorheben:

1. Der Zusammenhang von Synodalität ad intra, also innerhalb der katholischen Kirche, und Synodalität ad extra, also im Verhältnis zwischen den christlichen Kirchen, wird betont. Synodalität in der katholischen Kirche muss auf allen Ebenen noch besser entwickelt werden – besonders hinsichtlich des Prinzips der Subsidiarität ?, um in dem Bemühen um ein synodales Zusammenwirken der Kirchen glaubwürdig zu sein und weiterzukommen. Das schließt auch eine Stärkung der Bischofskonferenzen ein.

2. Im Blick auf die Lehre des Ersten Vatikanischen Konzils über den Jurisdiktionsprimat wird eine Relecture („re-wording“) gefordert, das heißt eine aktualisierende Interpretation und Neuformulierung unter Berücksichtigung der historischen Umstände und der Weiterentwicklung der Lehre insbesondere durch das Zweite Vatikanische Konzil.

3. Die Unterscheidung zwischen der patriarchalen und primatialen Rolle des Bischofs von Rom wird ein wichtiges Instrument für ein Weiterkommen auf dem ökumenischen Weg sein.

4. Konkret werden für die Zukunft regelmäßige Treffen der Patriarchen und Kirchenleitungen („conciliar fellowship“) vorgeschlagen. Auf diese Weise würde die Synodalität zwischen den Kirchen gestärkt und ein sichtbares ökumenisches Zeichen gesetzt.

Aus dem Dokument ergeben sich eine Reihe von Arbeitsaufträgen an die katholische Kirche und Theologie. Für den weiteren Weg wird es genauso wichtig sein, wie die anderen Kirchen darauf reagieren. Ich sehe in dem Dokument eine hilfreiche und verdienstvolle Arbeitshilfe sowie einen wichtigen Impuls für den ökumenischen Dialog und hoffe auf eine breite Rezeption. Dbk 13

 

 

 

 

Koch: „Primat des Papstes ist Dienst und wird synodal ausgeübt“

 

Der Präfekt des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen, Kardinal Kurt Koch, erläutert im Gespräch mit Radio Vatikan/Vatican News das ökumenische Dokument mit dem Titel „Der Bischof von Rom“. Das Amt des Petrusnachfolgers wird von den anderen Kirchen nicht mehr nur als Problem, sondern vielmehr als Chance für eine gemeinsame Reflexion über das Wesen der Kirche und ihre Sendung in der Welt gesehen.

„Der Primat muss synodal ausgeübt werden, und die Synodalität erfordert den Primat“. So fasst Kardinal Kurt Koch, Präfekt des Dikasteriums für die Förderung der Einheit der Christen, einen der wichtigsten Punkte des ökumenischen Dokuments mit dem Titel „Der Bischof von Rom“ zusammen, das am Donnerstag, den 13. Juni veröffentlicht wurde. Ein Text, der die Entwicklungen im ökumenischen Dialog zum Thema Primat und Synodalität zusammenfasst.

Eminenz, können Sie uns zunächst erklären, worum es sich bei diesem Dokument handelt, wie es zustande kam und welchen Zweck es verfolgt?

Kardinal Koch: Dieses Dokument mit dem Titel „Der Bischof von Rom“ ist ein Studientext, der eine Synthese der jüngsten ökumenischen Entwicklungen zum Thema Primat und Synodalität bietet. Seine Entstehung geht zurück auf die Einladung von Johannes Paul II. an alle Christen in Ut unum sint, „offensichtlich gemeinsam“ die Formen zu finden, in denen das Amt des Bischofs von Rom „einen Dienst der Liebe verwirklichen kann, der von den anderen anerkannt wird“.

Diese Einladung wurde mehrfach von Papst Benedikt XVI. und Papst Franziskus bekräftigt. Das Dokument fasst etwa dreißig Antworten auf diese Einladung und etwa fünfzig Texte von ökumenischen Dialogen zu diesem Thema zusammen. Im Jahr 2020 nahm das Dikasterium für die Förderung der Einheit der Christen den 25. Jahrestag der Enzyklika Ut unum sint zum Anlass, eine Bilanz der Diskussion zu ziehen. Die Einberufung einer Synode zur Synodalität bestätigte die Relevanz dieses Projekts als Beitrag zur ökumenischen Dimension des synodalen Prozesses.

Welche Methodik wurde bei der Erstellung dieses Dokuments angewandt?

Kardinal Koch: Das Dokument ist das Ergebnis einer echten ökumenischen und synodalen Arbeit. An seiner Erstellung waren nicht nur die Mitarbeiter des Dikasteriums beteiligt, sondern auch deren Mitglieder und Berater, die es in zwei Vollversammlungen diskutierten. In Zusammenarbeit mit dem Institut für Ökumenische Studien beim Angelicum, wurden zahlreiche katholische Experten und Gelehrte aus verschiedenen christlichen Traditionen in Ost und West konsultiert. Schließlich wurde der Text an verschiedene Dikasterien der Römischen Kurie und an das Generalsekretariat der Synode gesandt. Insgesamt wurden mehr als fünfzig Stellungnahmen und Beiträge berücksichtigt. Unser Dokument vermerkt auch die jüngsten Interventionen im Rahmen des Synodenprozess.

„Dieses neue Klima ist ein Indiz für die guten Beziehungen zwischen den christlichen Gemeinschaften...“

In seiner Enzyklika Ut Unum Sint (1995) erklärte sich Johannes Paul II. bereit, über Formen der Ausübung des Primats des Bischofs von Rom zu diskutieren. Welcher Weg ist in diesen drei Jahrzehnten zurückgelegt worden?

Kardinal Koch: Die Frage des Primats ist in den letzten Jahrzehnten in fast allen ökumenischen Kontexten intensiv diskutiert worden. Unser Dokument berichtet über die Fortschritte und hebt die Tatsache hervor, dass die theologischen Dialoge und die Reaktionen auf die Enzyklika von einem neuen und positiven ökumenischen Geist in der Diskussion zeugen. Dieses neue Klima ist ein Indiz für die guten Beziehungen zwischen den christlichen Gemeinschaften, für die „wiederentdeckte Geschwisterlichkeit“, von der Ut unum sint spricht. Man kann sagen, dass sich die ökumenischen Dialoge als geeigneter Rahmen für die Erörterung dieses sensiblen Themas erwiesen haben. In einer Zeit, in der die Ergebnisse des ökumenischen Engagements oft als dürftig oder unbedeutend angesehen werden, zeigen die Ergebnisse der theologischen Dialoge den Wert ihrer Methodik, d.h. der „offensichtlich gemeinsam“ durchgeführten Reflexion.

„Außerdem wächst in unserer globalisierten Welt zweifellos das Bewusstsein für die Notwendigkeit eines Dienstes der Einheit auf universaler Ebene.“

Bei der Lektüre des Dokuments fällt zunächst der wachsende Konsens auf, der in den verschiedenen ökumenischen Dialogen über die Notwendigkeit des Primats besteht. Bedeutet dies, dass die Rolle des Bischofs von Rom von den anderen christlichen Kirchen nicht mehr nur als ein Hindernis für die Einheit wahrgenommen wird?

Kardinal Koch: Im Jahr 1967 stellte Paul VI. fest, dass „der Papst [...] zweifellos das größte Hindernis auf dem Weg zum Ökumenismus“ sei. Fünfzig Jahre später bezeugt die Lektüre der Dialogdokumente und der Antworten auf Ut unum sint jedoch, dass die Frage des Primats für die ganze Kirche und insbesondere des Amtes des Bischofs von Rom nicht mehr nur als Problem, sondern vielmehr als Gelegenheit für eine gemeinsame Reflexion über das Wesen der Kirche und ihre Sendung in der Welt gesehen wird. Außerdem wächst in unserer globalisierten Welt zweifellos das Bewusstsein für die Notwendigkeit eines Dienstes der Einheit auf universaler Ebene. Die Frage, die sich stellt, ist, wie dieser Dienst, der von Johannes Paul II. als „Dienst der Liebe“ definiert wurde, ausgeübt werden soll.

Wie hat sich die Art und Weise, wie der Primat ausgeübt wird, in den zwei Jahrtausenden der Kirchengeschichte verändert? Und welche Entwicklung könnte es geben, um diese Ausübung auch für andere Kirchen annehmbar zu machen, die heute nicht in voller Gemeinschaft mit Rom stehen?

Kardinal Koch: Sicherlich hat sich die Art und Weise der Ausübung des Petrusamtes im Laufe der Zeit verändert, je nach den historischen Umständen und neuen Herausforderungen. Für viele theologische Dialoge bleiben jedoch die Prinzipien und Modelle der Gemeinschaft, die im ersten Jahrtausend geehrt wurden, paradigmatisch für eine zukünftige Wiederherstellung der vollen Gemeinschaft. Bestimmte Kriterien des ersten Jahrtausends wurden als Bezugspunkte und Inspirationsquellen für die Ausübung eines universell anerkannten Dienstes der Einheit identifiziert. Obwohl das erste Jahrtausend entscheidend ist, wird in vielen Dialogen anerkannt, dass es weder idealisiert noch einfach nachgebildet werden sollte, weil die Entwicklungen des zweiten Jahrtausends nicht ignoriert werden können und auch weil ein Primat auf universaler Ebene auf die heutigen Herausforderungen reagieren sollte. In jedem Fall muss eine erneuerte Ausübung des Primats letztlich auf den Dienst, die diakonia, ausgerichtet sein. Autorität und Dienst sind eng miteinander verbunden.

Ist es möglich, für die Zukunft eine gemeinsame Form der Ausübung des Petrusprimats über die gesamte Christenheit ins Auge zu fassen, die von der Jurisdiktion des Papstes über die lateinische Kirche getrennt ist?

Kardinal Koch: In der Tat schlagen einige ökumenische Dialoge, zum Beispiel das letzte Dokument des katholisch-orthodoxen Dialogs im Jahre 2023, eine klarere Unterscheidung zwischen den verschiedenen Verantwortungen des Bischofs von Rom vor, insbesondere zwischen dem, was man das patriarchale Amt des Papstes innerhalb der westlichen oder lateinischen Kirche nennen könnte, und seinem primatialen Dienst an der Einheit in der Gemeinschaft aller Kirchen, sowohl der westlichen als auch der östlichen. Darüber hinaus betonen sie die Notwendigkeit, die patriarchale und die primatiale Rolle des Bischofs von Rom von seiner Funktion als Staatsoberhaupt zu unterscheiden. Die Betonung der Ausübung des Papstamtes in seiner Teilkirche, der Diözese Rom, die Papst Franziskus besonders hervorgehoben hat, trägt dazu bei, sein bischöfliches Amt, das er mit seinen Mitbrüdern, den Bischöfen, teilt, zu unterstreichen.

„Folglich muss der Primat auf synodale Weise ausgeübt werden, und die Synodalität erfordert den Primat.“

Dieses Dokument wird veröffentlicht, während die katholische Kirche einen synodalen Prozess durchläuft, bei dem das Thema Synodalität im Mittelpunkt steht. Welcher Zusammenhang besteht zwischen Synodalität und Primat?

Kardinal Koch: Die meisten Antworten und Dialogdokumente sind sich einig über die Interdependenz von Primat und Synodalität auf allen Ebenen der Kirche: auf lokaler, regionaler und auch auf universeller Ebene. Folglich muss der Primat auf synodale Weise ausgeübt werden, und die Synodalität erfordert den Primat. Zu all diesen Aspekten hat unser Dikasterium auch Konferenzen mit dem Titel „Auf den Osten hören“ und „Auf den Westen hören“ organisiert, um die verschiedenen christlichen Traditionen in Bezug auf Synodalität und Primat zu hören und so einen Beitrag zum synodalen Prozess zu leisten.

Ein entscheidender Schritt in Bezug auf den Primat war die Dogmatisierung der Unfehlbarkeit des Bischofs von Rom, wenn er ex cathedra spricht, und seiner Jurisdiktionsgewalt über die Kirche. Können Sie uns sagen, ob und wie eine neue Lesart und ein neues Verständnis des Ersten Vatikanischen Konzils im Lichte des Zweiten Vatikanischen Konzils und der auf dem ökumenischen Weg unternommenen Schritte möglich ist?

Kardinal Koch: Gewiss haben sich einige Dialoge bemüht, das Erste Vatikanische Konzil im Lichte seines historischen Kontextes, seiner Zielsetzung und seiner Rezeption zu interpretieren. Da die dogmatischen Definitionen des Konzils zutiefst von den historischen Umständen geprägt waren, schlagen sie vor, dass die katholische Kirche nach neuen Ausdrucksformen und einem neuen Vokabular sucht, das der ursprünglichen Intention treu bleibt, sie in eine Ekklesiologie der Communio integriert und sie den aktuellen kulturellen und ökumenischen Kontext angleicht. Man spricht daher von einer „Re-Rezeption“ oder sogar „Neuformulierung“ der Lehren des Ersten Vatikanums.

Was sind die nächsten Schritte, um die gemeinsame Reflexion der Kirchen über den Primat fortzusetzen?

Kardinal Koch: Diese Studie schließt mit einem kurzen Vorschlag der Vollversammlung des Dikasteriums mit dem Titel „Auf dem Weg zur Ausübung des Primats im 21. Jahrhundert“, in dem die wichtigsten Vorschläge aus den verschiedenen Antworten und Dialogen für eine erneuerte Ausübung des Dienstes der Einheit des Bischofs von Rom aufgeführt sind. Unser Dikasterium möchte diesen Vorschlag zusammen mit dem Studiendokument an die verschiedenen christlichen Gemeinschaften weiterleiten und sie um ihre Meinung zu diesem Thema bitten. Wir hoffen, auf diese Weise die Diskussion über die Ausübung des Einheitsamtes des Bischofs von Rom „in gegenseitiger Anerkennung“ fortsetzen zu können. (vn 13)

 

 

 

Papstbotschaft zum 8. Welttag der Armen: Wortlaut

 

Wir stellen hier in amtlicher Übersetzung die Botschaft von Papst Franziskus zum 8. Welttag der Armen am 17. November 2024 vor. Sie trägt den Titel: „Das Gebet des Armen steigt zu Gott empor“. Auf vatican.va finden Sie wie üblich diesen und alle weiteren offiziellen Papsttexte in den verschiedenen Übersetzungen.

Liebe Brüder und Schwestern!

1. Das Gebet des Armen steigt zu Gott empor (vgl. Sir 21,5). Im Jahr, das dem Gebet gewidmet ist, und im Hinblick auf das ordentliche Jubiläum 2025 ist diese Aussage biblischer Weisheit umso angemessener, um uns auf den achten Welttag der Armen vorzubereiten, der am 17. November stattfinden wird. Die christliche Hoffnung schließt auch die Gewissheit ein, dass unser Gebet vor das Angesicht Gottes gelangt; aber nicht irgendein Gebet: das Gebet des Armen! Denken wir über dieses Wort nach und „lesen“ wir es auf den Gesichtern und in den Geschichten der Armen, denen wir in unseren Tagen begegnen, damit das Gebet zu einem Weg der Gemeinschaft mit ihnen wird und wir ihr Leid teilen.

2. Das Buch Jesus Sirach, auf das wir uns beziehen, ist nicht sehr bekannt und verdient es, entdeckt zu werden wegen der Fülle der Themen, die es anspricht, besonders wenn es die Beziehung des Menschen zu Gott und zur Welt berührt. Sein Autor, Ben Sira, ist ein Lehrer, ein Schriftgelehrter aus Jerusalem, der wahrscheinlich im 2. Jahrhundert v. Chr. schrieb. Er ist ein weiser Mann, der in der Tradition Israels verwurzelt ist und über verschiedene Bereiche des menschlichen Lebens lehrt: von der Arbeit bis zur Familie, vom Leben in der Gesellschaft bis zur Erziehung der Jugend; er widmet sich den Fragen des Glaubens an Gott und der Einhaltung des Gesetzes. Er behandelt die nicht einfachen Probleme der Freiheit, des Bösen und der göttlichen Gerechtigkeit, die auch für uns heute sehr aktuell sind. Ben Sira, inspiriert vom Heiligen Geist, möchte allen den Weg zu einem weisen und würdigen Leben vor Gott und den Brüdern und Schwestern aufzeigen.

3. Eines der Themen, dem dieser heilige Schriftsteller am meisten Raum widmet, ist das Gebet. Er tut dies mit großem Eifer, weil er seine persönliche Erfahrung zum Ausdruck bringt. In der Tat könnte keine Schrift über das Gebet wirkungsvoll und fruchtbar sein, wenn sie nicht von denen stammt, die jeden Tag in Gottes Gegenwart weilen und auf sein Wort hören. Ben Sira erklärt, dass er schon in seiner Jugend nach Weisheit strebte: »Als ich noch jung war, bevor ich auf Wanderschaft ging, habe ich offen in meinem Beten Weisheit gesucht« (Sir 51,13).

4. Auf seinem Weg entdeckt er eine der grundlegenden Wirklichkeiten der Offenbarung, nämlich die Tatsache, dass die Armen einen bevorzugten Platz im Herzen Gottes einnehmen, dass Gott angesichts ihres Leidens sogar „ungeduldig“ ist, bis er ihnen Gerechtigkeit widerfahren lässt: »Das Gebet eines Demütigen durchdringt die Wolken, und bevor es nicht angekommen ist, wird er nicht getröstet und er lässt nicht nach, bis der Höchste daraufschaut. Und er wird für die Gerechten entscheiden und ein Urteil fällen. Und der Herr wird gewiss nicht zögern und nicht langmütig sein gegen die Unbarmherzigen« (Sir 35,21-22). Gott kennt die Leiden seiner Kinder, denn er ist ein aufmerksamer und fürsorglicher Vater für alle. Als Vater kümmert er sich um diejenigen, die ihn am meisten brauchen: die Armen, die Ausgegrenzten, die Leidenden, die Vergessenen ... Aber niemand ist aus seinem Herzen ausgeschlossen, denn wir alle sind vor ihm arm und bedürftig. Wir sind alle Bettler, denn ohne Gott wären wir nichts. Wir hätten nicht einmal das Leben, wenn Gott es uns nicht geschenkt hätte. Und doch, wie oft leben wir so, als ob wir die Herren über das Leben wären oder als ob wir es erobern müssten! Die weltliche Denkweise fordert, dass wir jemand sind, dass wir uns trotz allem und jedem einen Namen machen, dass wir gesellschaftliche Regeln brechen, um ja nur Reichtum zu erreichen. Was für eine traurige Illusion! Das Glück erlangt man nicht, indem man das Recht und die Würde anderer mit Füßen tritt.

Die durch Kriege verursachte Gewalt zeigt deutlich, wie viel Anmaßung diejenigen bewegt, die sich vor den Menschen für mächtig halten, während sie in den Augen Gottes erbärmlich sind. Wie viele neue Arme verursacht diese schlechte, mit Waffen gemachte Politik, wie viele unschuldige Opfer! Doch wir dürfen nicht zurückweichen. Die Jünger des Herrn wissen, dass jeder dieser „Kleinen“ das Antlitz des Gottessohnes trägt, und unsere Solidarität und das Zeichen der christlichen Nächstenliebe müssen jeden Einzelnen erreichen. »Jeder Christ und jede Gemeinschaft ist berufen, Werkzeug Gottes für die Befreiung und die Förderung der Armen zu sein, so dass sie sich vollkommen in die Gesellschaft einfügen können; das setzt voraus, dass wir gefügig sind und aufmerksam, um den Schrei des Armen zu hören und ihm zu Hilfe zu kommen« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 187).

5. In diesem Jahr, das dem Gebet gewidmet ist, müssen wir das Gebet der Armen zu unserem eigenen machen und zusammen mit ihnen beten. Das ist eine Herausforderung, die wir annehmen müssen, und eine pastorale Tätigkeit, die gefördert werden muss. Denn »die schlimmste Diskriminierung, unter der die Armen leiden, ist der Mangel an geistlicher Zuwendung. Die riesige Mehrheit der Armen ist besonders offen für den Glauben; sie brauchen Gott, und wir dürfen es nicht unterlassen, ihnen seine Freundschaft, seinen Segen, sein Wort, die Feier der Sakramente anzubieten und ihnen einen Weg des Wachstums und der Reifung im Glauben aufzuzeigen. Die bevorzugte Option für die Armen muss sich hauptsächlich in einer außerordentlichen und vorrangigen religiösen Zuwendung zeigen« (ebd., 200).

All dies erfordert ein demütiges Herz, das den Mut hat, zum Bettler zu werden. Ein Herz, das bereit ist, sich als arm und bedürftig zu erkennen. Es besteht nämlich ein Zusammenhang zwischen Armut, Demut und Vertrauen. Der wahrhaft Arme ist der Demütige, wie der heilige Bischof Augustinus sagte: »Der Arme hat nichts, worauf er stolz sein kann, der Reiche hat seinen Stolz zu bekämpfen. Höre also auf mich: Sei ein wahrhaft Armer, sei tugendhaft, sei demütig« (Sermones, 14, 4). Der demütige Mensch hat nichts, dessen er sich rühmen kann, und er beansprucht nichts, er weiß, dass er nicht auf sich selbst zählen kann, glaubt aber fest daran, dass er sich auf die barmherzige Liebe Gottes berufen kann, vor dem er wie der verlorene Sohn steht, der reumütig nach Hause zurückkehrt, um die Umarmung seines Vaters zu empfangen (vgl. Lk 15,11-24). Da der Arme nichts hat, worauf er sich stützen kann, erhält er Kraft von Gott und setzt sein ganzes Vertrauen in ihn. In der Tat schafft die Demut das Vertrauen, dass Gott uns nie verlassen und uns nicht ohne Antwort lassen wird.

6. Den Armen, die in unseren Städten leben und Teil unserer Gemeinschaften sind, sage ich: Verliert nicht diese Gewissheit! Gott achtet auf einen jeden von euch und ist euch nahe. Er vergisst euch nicht und könnte dies auch nie tun. Wir alle machen die Erfahrung, dass Gebete scheinbar unbeantwortet bleiben. Manchmal bitten wir darum, aus einer Notlage befreit zu werden, die uns leiden lässt und uns demütigt, und Gott scheint unsere Anrufung nicht zu erhören. Doch Gottes Schweigen bedeutet nicht, dass er von unserem Leid abgelenkt ist, sondern es enthält ein Wort, das vertrauensvoll angenommen werden will, indem wir uns ihm und seinem Willen überlassen. Wieder ist es Jesus Sirach, der dies bezeugt: „Die Bitte eines Armen dringt an sein Ohr, das Urteil Gottes kommt mit Eile“ (vgl. 21,5). Aus der Armut kann also das Lied echter Hoffnung entspringen. Erinnern wir uns: »Wenn das innere Leben sich in den eigenen Interessen verschließt, gibt es keinen Raum mehr für die anderen, finden die Armen keinen Einlass mehr, hört man nicht mehr die Stimme Gottes, genießt man nicht mehr die innige Freude über seine Liebe, regt sich nicht die Begeisterung, das Gute zu tun. […], das ist nicht das Leben im Geist, das aus dem Herzen des auferstandenen Christus hervorsprudelt« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 2).

7. Der Welttag der Armen ist nunmehr zu einem festen Termin für jede Gemeinschaft in der Kirche geworden. Er ist eine nicht zu unterschätzende pastorale Gelegenheit, weil er jeden Gläubigen dazu anregt, auf das Gebet der Armen zu hören und sich ihrer Gegenwart und Bedürfnisse bewusst zu werden. Es ist eine günstige Gelegenheit, um Vorhaben zu verwirklichen, die den Armen konkret helfen, und auch, um die vielen Freiwilligen anzuerkennen und zu unterstützen, die sich leidenschaftlich für die Bedürftigsten einsetzen. Wir müssen dem Herrn für die Menschen danken, die sich zur Verfügung stellen, um den Ärmsten zuzuhören und sie zu unterstützen. Es sind Priester, Personen des geweihten Lebens und Laien, die mit ihrem Zeugnis der Antwort Gottes auf die Gebete derer, die sich an ihn wenden, eine Stimme geben. Die Stille wird also jedes Mal gebrochen, wenn ein Bruder oder eine Schwester in Not willkommen geheißen und umarmt wird. Die Armen haben noch viel zu lehren, denn in einer Kultur, die den Reichtum an die erste Stelle gesetzt hat und die Würde der Menschen oft auf dem Altar der materiellen Güter opfert, rudern sie gegen den Strom und weisen darauf hin, dass das Wesentliche im Leben etwas ganz anderes ist.

Das Gebet findet also die Bestätigung seiner Echtheit in der Nächstenliebe, die zur Begegnung und zur Nähe wird. Wenn das Gebet nicht zu konkretem Handeln führt, ist es vergeblich; denn »der Glaube ohne Werke [ist] tot« (Jak 2,26). Nächstenliebe ohne Gebet läuft hingegen Gefahr, zu einer Philanthropie zu werden, die sich bald erschöpft. »Ohne das in Treue gelebte tägliche Gebet wird unser Tun leer, verliert es die tiefste Seele, wird es zum reinen Aktivismus reduziert« (Benedikt XVI., Katechese, 25. April 2012). Wir müssen dieser Versuchung widerstehen und immer wachsam sein mit der Kraft und Ausdauer, die vom Heiligen Geist kommt, der der Spender des Lebens ist.

8. In diesem Zusammenhang ist es schön, sich an das Zeugnis von Mutter Teresa von Kalkutta zu erinnern, einer Frau, die ihr Leben für die Armen gab. Die Heilige wiederholte immer wieder, dass das Gebet der Ort war, aus dem sie Kraft und Glauben schöpfte für ihre Mission, den Letzten zu dienen. Als sie am 26. Oktober 1985 vor der UN-Generalversammlung sprach und allen den Rosenkranz zeigte, den sie immer in ihrer Hand hielt, sagte sie: »Ich bin nur eine arme Ordensfrau, die betet. Indem ich bete, legt Jesus seine Liebe in mein Herz und ich gehe hin und gebe sie allen Armen, denen ich auf meinem Weg begegne. Betet auch ihr! Betet, und ihr werdet erkennen, welche Armen ihr neben euch habt. Vielleicht auf dem gleichen Treppenabsatz wie euer Zuhause. Vielleicht gibt es sogar in euren Häusern Menschen, die auf eure Liebe warten. Betet und eure Augen werden sich öffnen und euer Herz wird von Liebe erfüllt sein«.

Und wie könnten wir hier, in der Stadt Rom, nicht an den heiligen Benedikt Joseph Labre (1748-1783) erinnern, dessen Leichnam in der Pfarrkirche Santa Maria ai Monti ruht und verehrt wird. Als Pilger aus Frankreich in Rom, der von vielen Klöstern abgelehnt worden war, verbrachte er die letzten Jahre seines Lebens arm unter den Armen und verbrachte viele Stunden im Gebet vor dem Allerheiligsten Sakrament, mit dem Rosenkranz, betete das Brevier, las im Neuen Testament und in der Nachfolge Christi. Da er nicht einmal ein kleines Zimmer hatte, in dem er wohnen konnte, schlief er gewöhnlich in einer Ecke der Ruinen des Kolosseums, als „Landstreicher Gottes“, und machte sein Leben zu einem unaufhörlichen Gebet, das zu ihm emporstieg.

9. Auf dem Weg zum Heiligen Jahr ermutige ich jeden, Pilger der Hoffnung zu werden und greifbare Zeichen für eine bessere Zukunft zu setzen. Vergessen wir nicht, »die kleinen Details der Liebe« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 145) zu bewahren: innezuhalten, sich zu nähern, ein wenig Aufmerksamkeit zu schenken, ein Lächeln, eine Berührung, ein Wort des Trostes ... Diese Zeichen kommen nicht von ungefähr; sie erfordern vielmehr tägliche Hingabe, oft im Verborgenen und im Stillen, die aber durch das Gebet Stärkung erfährt. In dieser Zeit, in der das Lied der Hoffnung dem Lärm der Waffen, dem Schrei so vieler verwundeter Unschuldiger und dem Schweigen der unzähligen Opfer von Kriegen zu weichen scheint, richten wir unsere Bitte um Frieden an Gott. Wir sind arm an Frieden und strecken unsere Hände aus, um ihn als kostbares Geschenk zu empfangen, und gleichzeitig bemühen wir uns, ihn in unserem täglichen Leben wiederherzustellen.

10. Wir sind aufgerufen, in allen Lebenslagen Freunde der Armen zu sein und in die Fußstapfen Jesu zu treten, der der Erste war, der sich mit den Letzten solidarisierte. Möge die allerheiligste Gottesmutter Maria uns auf diesem Weg beistehen, die uns, als sie in Banneux erschien, die Botschaft hinterlassen hat, die wir nicht vergessen dürfen: »Ich bin die Jungfrau der Armen«. Ihr, der sich Gott wegen ihrer bescheidenen Armut zuwandte und die durch ihren Gehorsam Großes vollbrachte, vertrauen wir unser Gebet an, in der Überzeugung, dass es zum Himmel emporsteigen und erhört werden wird.

Rom, Sankt Johannes im Lateran, 13. Juni 2024, Gedenktag des heiligen Antonius von Padua, des Schutzpatrons der Armen. FRANZISKUS

 

                                                                      

 

 

Leitartikel: Überdenken des Primats im ökumenischen Sinn

 

Unser Chefredakteur Andrea Tornielli hat in einem Editorial für Vatican News über das Dokument „Der Bischof von Rom“ nachgedacht und dabei die Rolle des Papstes, die Synodalität und die anderen Kirchen betrachtet. Andrea Tornielli - Vatikanstadt

Es ist eine Geschichte, die aus einem gemeinsamen Weg, aus Jahrhunderten der Einheit, aber auch aus Schismen, gegenseitigen Exkommunikationen, Spaltungen und Kämpfen besteht, die mehr von der Politik als von theologischen Differenzen bestimmt sind. Nach fast zwei Jahrtausenden christlicher Geschichte und trotz alter und neuer Krisen innerhalb der verschiedenen Konfessionen macht der ökumenische Weg bedeutende Fortschritte. Das soeben veröffentlichte Dokument über den „Bischof von Rom“ zeugt davon, dass die 1995 vom heiligen Johannes Paul II. bekundete Bereitschaft und Offenheit zur Diskussion über die Formen der Ausübung des Petrusprimats nicht auf dem Papier stehen geblieben ist. Der Dialog hat sich weiterentwickelt, und der synodale Weg, den die katholische Kirche auf allen Ebenen beschreitet, ist ein Teil davon. In der Tat entdecken und vertiefen die Katholiken soeben die Bedeutung der Synodalität als konkrete Form der gelebten Gemeinschaft in der Kirche wieder, ein Bewusstsein, das in anderen christlichen Traditionen bereits vorhanden ist und gelebt wird.

Nicht mehr als Hindernis betrachtet

Gleichzeitig werden die Rolle des Bischofs von Rom und sein Primat von den anderen Christen nicht mehr nur als ein Hindernis oder ein Problem auf dem ökumenischen Weg betrachtet: Die Synodalität sieht in der Tat immer das Vorhandensein eines „protos“, eines Primats, vor.

Natürlich bleibt der Petrusprimat, wie er von den Päpsten im zweiten Jahrtausend ausgeübt und insbesondere vom Ersten Vatikanischen Konzil (1870) verkündet wurde, für die anderen Kirchen inakzeptabel. Aber auch hier zeigt das Dokument des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen bedeutende Fortschritte: So hat die Arbeit in den ökumenischen Dialogen vorgeschlagen, den päpstlichen Primat, der die Jurisdiktion über die lateinische Kirche (oder die westliche Kirche, wie die östlichen Kirchen sie gerne nennen) ausübt, vom Primat in der Nächstenliebe der Kirche von Rom, dem „ersten Stuhl“, zu unterscheiden. Ein Primat der „Diakonie“, d. h. des Dienstes, und nicht der Macht. Ein Primat der Einheit, der in der Synodalität ausgeübt wird, um den Konsens aller Bischöfe zu suchen.

„Es gibt also eine Form des Petrusprimats, die für die anderen Kirchen annehmbar ist oder zumindest sein könnte“

In Demut und Barmherzigkeit

Es gibt also eine Form des Petrusprimats, die für die anderen Kirchen annehmbar ist oder zumindest sein könnte. Es handelt sich um das, was der Ökumenische Patriarch von Konstantinopel Bartholomaios vor einigen Jahren als Primat bezeichnete, der „in Demut und Barmherzigkeit ausgeübt wird und nicht als eine Art Auferlegung auf das übrige Bischofskollegium“, als „wahrer Widerschein der gekreuzigten Liebe des Herrn und nicht im Sinn irdischer Macht“. Ein konkreter Weg zur Verwirklichung des Traums, den Papst Johannes Paul II. vor fast dreißig Jahren formulierte. (vn 13)

 

 

 

Österreich: Bischöfe wünschen sich synodale Gesprächskultur überall

 

Der von Papst Franziskus initiierte weltweite Synodale Prozess hat die katholische Kirche in Österreich und weltweit verändert. Das würdigten Österreichs Bischöfe zum Abschluss ihrer Vollversammlung in Mariazell.

In einer Presseerklärung von diesem Mittwoch sprachen sie von einem „positiven Kulturwandel in der Kirche", der in Österreich mit Dankbarkeit und Engagement aufgenommen worden sei. Besonders bewährt habe sich die immer öfter praktizierte Methode des „synodalen Gesprächs im Heiligen Geist", die eine „Kultur des offenen Sprechens" sowie des Hörens aufeinander und „auf das, was Gott uns heute sagen will", anrege. Unterschiedliche Positionen würden damit „leichter lebbar". Die Bischöfe erklärten, sie wünschten, dass diese Haltung auch auf die Gesellschaft ausstrahlt.

Studientag zum Thema Synode 

Synodalität, die das Miteinander stärke und einen geistlichen Raum eröffne, „in dem gemeinsame Entscheidungen reifen können", stand inhaltlich im Mittelpunkt der Sommervollversammlung der österreichischen Bischofskonferenz. An einem Studienteil am Montag über den weltweiten Synodalen Prozess hatten neben den heimischen Bischöfen auch die Mitglieder des nationalen Synodenteams teilgenommen: die Linzer Pastoraltheologin Klara Csiszar, die Innsbrucker Caritas-Direktorin Elisabeth Rathgeb, die Theologen Petra Steinmair-Pösel und Markus Welte sowie der Europareferent der Bischofskonferenz, Johannes Moravitz.

 

Thema war der jüngst veröffentlichte Österreich-Bericht, der am 15. Mai an das vatikanische Synodensekretariat erging. Auf Basis dieser und anderer Eingaben aus der ganzen Welt werde er derzeit das Arbeitsdokument („Instrumentum laboris") für die zweite Generalversammlung der Bischofssynode erstellt, die im Oktober im Vatikan stattfinden wird. Aus Österreich werden daran mit Stimmrecht der Vorsitzende der Bischofskonferenz, Erzbischof Franz Lackner, und Kardinal Christoph Schönborn teilnehmen. Zum vorbereitenden internationalen Treffen von 29. bis 31. August mit den Synodalen und nicht stimmberechtigten Fachleuten werden aus Österreich Erzbischof Lackner sowie Csiszar nach Rom reisen.

„Prioritär: Frau, Mission, Partizipation“

Der Österreich-Bericht sei „kein Forderungskatalog" der Bischofskonferenz, sondern biete eine komprimierte Zusammenfassung vertiefender Gespräche, die in Österreich in den vergangenen Monaten zum Synthese-Bericht der Weltsynode stattfanden. Als „prioritär qualifiziert" worden seien dabei drei von insgesamt 14 genannten Themenfeldern: die Stellung der Frau in der Kirche, die missionarische Ausrichtung der Kirche und mehr innerkirchliche Partizipation. 

Die österreichischen Bischöfe dankten abschließend allen, die sich an den verschiedenen Phasen des 2021 gestarteten Synodalen Prozesses beteiligten. Der aktuelle Österreich-Bericht zeichne davon ein getreues Bild, „das von den Bischöfen geschätzt und mitgetragen wird". Gleichzeitig gestehen die Bischöfe ein Ungleichgewicht ein: Es falle auf, dass innerkirchliche Themen vorherrschten „und noch zu wenig die gesellschaftliche Verantwortung von Gläubigen und das Gespräch mit Menschen außerhalb des kirchlichen Binnenraumes wahrgenommen werden". (kap 12)

 

 

 

Papst: Krieg ist immer eine Niederlage, vom ersten Tag an

 

Erneut hat Papst Franziskus seine Generalaudienz dazu genutzt, eindringlich zu Gebet für Frieden aufzurufen. Heute brauche man den Frieden, so Franziskus am Mittwoch auf dem Petersplatz.

In seinen Grüßen an die italienischsprachigen Pilger am Ende der Generalaudienz erinnerte Franziskus, wie mittlerweile gewohnt, an die Situation in Krisengebieten und rief zum Gebet für Frieden auf. „Vergessen wir nicht die gequälte Ukraine, Palästina, Israel“, appellierte der Papst. Und weiter: „Vergessen wir nicht Myanmar und so viele Länder, die sich im Krieg befinden. Lasst uns für den Frieden beten. Heute brauchen wir Frieden. Krieg ist immer eine Niederlage, vom ersten Tag an. Lasst uns für den Frieden beten. Möge der Herr uns die Kraft geben, immer für den Frieden zu kämpfen“.

Der heilige Antonius von Padua

Zuvor hatte Franziskus auch daran erinnert, dass am 13. Juni der liturgische Gedenktag des heiligen Antonius von Padua, Priester und Kirchenlehrer, ist. In diesem Zusammenhang verlieh er seinem Wunsch Ausdruck, dass „das Beispiel dieses bedeutenden Predigers und Beschützers der Armen und Leidenden in allen den Wunsch weckt, den Weg des Glaubens weiterzugehen und sein Leben nachzuahmen, um so zu glaubwürdigen Zeugen des Evangeliums zu werden“. Auch in seinen Grüßen an die portugiesischsprachigen Pilger hatte er den Heiligen Antonius, der in Lissabon geboren wurde, erwähnt. Dabei erinnerte er an einige seiner Worte: „Wenn du Jesus liest, erfüllt er deinen Geist“. Dann ermutigte er alle, „über die Heilige Schrift zu meditieren. In ihr stärkt Jesus uns und erleuchtet unser Leben".

Predigten sollten kurz sein

Generaludienz. „Das will ich den Priestern sagen, die so viel reden, und oft versteht man gar nicht, wovon sie sprechen. Bitte, eine kurze Predigt: ein Gedanke, ein Gefühl und etwas für das konkrete Handeln. Und nicht mehr als acht Minuten, bitte! Denn die Predigt sollte dazu beitragen, das Wort Gottes aus dem Buch ins Leben zu übertragen.“

Die Ansprache des Papstes auf dem Petersplatz dauerte übrigens 11,30 Minuten.

Von inspiriert zu inspirierend

Eigentlich ging es in der Rede aber nicht ums Predigen, sondern um den Heiligen Geist – genauer: um die vom Geist gewirkte, göttliche Inspiration der Heiligen Schrift. Franziskus wies darauf hin, dass dieser Punkt auch im Credo angesprochen wird; beim Bekenntnis zum Heiligen Geist heiße es nämlich „der gesprochen hat durch die Propheten“.

„Der Heilige Geist, der die Schrift inspiriert hat, ist auch derjenige, der sie erklärt und sie ewig lebendig und wirksam macht. Von inspiriert macht er sie inspirierend… Es kann passieren, dass eine bestimmte Schriftstelle, die wir häufig gelesen haben, ohne dass uns das besonders berührt hätte, eines Tages, wenn wir sie in einer Atmosphäre des Glaubens und des Gebets wiederlesen, plötzlich aufleuchtet: Sie spricht zu uns, sie erhellt ein Problem, das wir gerade erleben, sie macht den Willen Gottes für uns in einer bestimmten Situation deutlich. Worauf ist diese Veränderung zurückzuführen, wenn nicht auf eine Erleuchtung durch den Heiligen Geist?“

„Führen Sie immer ein kleines Taschenevangelium mit sich“

Der Papst warb für die geistliche Lesung der Heiligen Schrift; Jesu Tod und Auferstehung bezeichnete er als „den wahren Schlüssel zum Lesen der gesamten Bibel“.

„Eine Möglichkeit, das Wort Gottes geistlich zu lesen, ist die Praxis der lectio divina. Sie besteht darin, eine bestimmte Zeit des Tages der persönlichen, meditativen Lektüre eines Abschnitts der Heiligen Schrift zu widmen. Und das ist sehr wichtig: jeden Tag sich die Zeit nehmen, um ein bisschen zu hören und zu meditieren über einen Passus aus der Heiligen Schrift. Darum empfehle ich Ihnen: Führen Sie immer ein kleines Taschenevangelium mit sich. Damit man unterwegs oder auf Reisen das herausziehen und etwas daraus lesen kann. Das ist sehr wichtig für das Leben.“

 

Unter den vielen Worten Gottes, die man in der Messe oder im Stundengebet höre, gebe es immer eines, „das besonders für uns bestimmt ist“, so Franziskus. „Wenn wir es uns zu Herzen nehmen, kann es unseren Tag erhellen und unser Gebet anregen. Es kommt darauf an, es nicht ins Leere laufen zu lassen!“

(SvK, vn 12)

 

 

 

Papst zu Besuch auf dem römischen Kapitol

 

Der Papst hofft auf Verbesserungen in Roms Randbezirken durch das Heilige Jahr, das dieses Jahr an Weihnachten startet. Das sagte er am Montagmorgen bei einem Besuch auf dem römischen Kapitol. Anne Preckel – Vatikanstadt

Anlass der Begegnung mit Bürgermeister Roberto Gualtieri auf dem Kapitolshügel war das im Dezember beginnende Heilige Jahr, zu dem mehr als 30 Millionen Pilger in der italienischen Hauptstadt und im Vatikan erwartet werden.

Franziskus sprach zum Auftakt des Besuches zunächst unter vier Augen mit dem Bürgermeister. Danach hielt er eine Rede vor dem römischen Stadtrat. Darin zeigte er sich überzeugt davon, dass sich das Jubiläum insgesamt positiv auf die Stadt Rom auswirken werde – „indem es ihr Ansehen verbessert und die öffentlichen Dienstleistungen effizienter macht“. Dies sollte aber nicht nur im Stadtzentrum der Fall sein, sondern auch in den Vororten, unterstrich der Papst, der sich mehr „Annäherung“, Anbindung und Austausch zwischen Stadtkern und Peripherie erhofft.

„Das ist sehr wichtig, denn die Stadt wächst, und diese Aufmerksamkeit, diese Beziehung wird immer wichtiger. Deshalb besuche ich gerne die Gemeinden in den Vororten, damit sie das Gefühl haben, dass der Bischof ihnen nahe ist, denn es ist sehr einfach, dem Zentrum nahe zu sein - ich bin im Zentrum -, aber die Vororte zu besuchen, bedeutet die Anwesenheit des Bischofs dort!“

Erst am Donnerstag hatte Franziskus noch eine Gemeinde in der römischen Westperipherie besucht ; der „Bischof von Rom“ stattet regelmäßig römischen Stadtrandgemeinden persönliche Besuche ab. In manchen römischen Vorstädten kämpfen Pfarrer und Gemeinden seit Jahren gegen Verwahrlosung, Drogenhandel und Gesetzlosigkeit. Bürgermeister Gualtieri, der zum linken „Partito Democratico“ gehört, ist ebenfalls oft in den Vorstädten unterwegs und versucht, durch bauliche Sanierungen und neue Verkehrsanbindungen die soziale Lage dort zu verbessern.

Freundschaftliche Beziehungen

Franziskus dankte der Stadtverwaltung Rom und auch der italienischen Regierung für deren Unterstützung der Vorbereitungen für das Heilige Jahr 2025. Die Kooperation zwischen Italien und dem Heiligen Stuhl seien freundschaftlich und bestünden aus „menschlichen Beziehungen“, hob der Papst hervor, Geldfragen seien „zweitrangig“.

Für das Heilige Jahr 2025 ist Bürgermeister Roberto Gualtieri zusätzlich „Sonderkommissar“ der italienischen Regierung für die zahlreichen Baustellen in Rom, mit denen vor allem die Mobilität für Pilger und Touristen verbessert werden soll. Von den mehr als 60 derzeit offenen Baustellen werden jedoch vermutlich nicht alle bis zur Eröffnung des Heiligen Jahrs am bevorstehenden Heiligen Abend abgeschlossen sein.

Universeller Geist von Rom

Rom sei eine „Stadt mit universellem Geist“, führte Franziskus in seiner Ansprache vor Vertretern der italienischen Politik aus. Ausführlich ging er auf die Geschichte der Stadt von der Antike bis heute ein und hob die globale Bedeutung Roms hervor - vor Hintergrund seiner Geschichte und als Zentrum der weltweiten katholischen Kirche.

Dieser Geist von Rom solle „im Dienst der Nächstenliebe, der Aufnahme und Gastfreundschaft“ stehen, bekräftigte er, vor allem im Dienst an den Schwächsten, so Franziskus.

Ein paar Eindrücke

„Pilger, Touristen, Migranten, Menschen in Not, die Ärmsten, die Einsamen, die Kranken, die Gefangenen, die Ausgeschlossenen seien die wahrhaftigsten Zeugen dieses Geistes. Und deshalb habe ich beschlossen, eine Heilige Pforte in einem Gefängnis zu öffnen. Und diese mögen bezeugen, dass die Autorität voll und ganz eine solche ist, wenn sie im Dienst aller steht, wenn sie ihre legitime Macht dazu nutzt, den Bedürfnissen der Bürger und insbesondere der Schwächsten und Letzten zu entsprechen.“

Franziskus bezog sich hier auf seinen Plan, innerhalb des Heiligen Jahres 2025 eine Heilige Pforte in einem römischen Gefängnis zu öffnen. Die Geste hatte er in der Bulle zum Jubiläum bereits angekündigt. Regelmäßig kehrt der Papst in Gefängnissen ein, wo er Häftlingen an Gründonnerstag etwa die Füße wusch.

Rom als Symbol

Das Heilige Jahr sei eine „Chance“ für die Stadt Rom, betonte der Papst, der dazu aufrief, der Stadt mit vereinten Kräften zu einer „Wiedergeburt“ zu verhelfen.

Alle Probleme der Stadt könnten „zu einer Chance für Entwicklung werden: zivil, sozial, wirtschaftlich, kulturell“, so der Papst, der sich für das Heilige Jahr 2025 eine Wiederentdeckung der besonderen Bedeutung Roms als Stadt der Nächstenliebe und der Gastfreundschaft wünscht: „Möge das Bewusstsein für den Wert Roms, für das Symbol, das es auf allen Kontinenten darstellt, in allen wiedergeboren werden.“

Zum Schluss seiner Ansprache ging der Papst auf seine besondere Beziehung zur Marienikone „Salus Populi Romani“ (lat. für „Heil des römischen Volkes“) ein, die er schon als junger Mann verehrt habe. Sie möge über die Stadt und ihre Menschen wachen, Hoffnung schenken und Nächstenliebe wecken, damit Rom auch heute „ein Leuchtturm der Zivilisation und Förderer des Friedens“ sein könne.

Bürgermeister kündigt Projekte an

„Das Jubiläum wird Rom besser machen“, zeigte sich der römische Bürgermeister in seinem Grußwort laut Redetext überzeugt. Roberto Gualtieri kündigte mehrere Projekte im ökologischen und sozialen Bereich ein, die im Kontext des Heiligen Jahres als „greifbare Zeichen der Hoffnung“ umgesetzt würden, darunter ein „neues Altenheim in einem von der Kriminalität beschlagnahmten Gebäude im Aventin-Viertel“ sowie ein Ausbildungsprojekt für Häftlinge im römischen Gefängnis Rebibbia.

Außerdem bemühe sich die Stadtverwaltung darum, „Rom zu einem großen Laboratorium für integrale Ökologie zu machen, die Stadt zu verändern und besser zu machen, näher an den Menschen“, wie Gualtieri ankündigte. Dazu gehöre unter anderem der Kampf gegen Smog, die Schaffung neuer öffentlicher Räume, die vor allem in den städtischen und sozialen Randgebieten zu Integration beitragen sollten.

Wertvoller Beitrag des Papstes und der Kirche

Gualtieri würdigte ausdrücklich den Beitrag der Kirche zu einem sozialen und menschlichen Miteinander in der Stadt. „Heute, da in unseren Vorstädten Migranten ankommen, die vor Krieg und Elend fliehen, und da es immer offensichtlicher wird, dass nur eine Politik, die sich an den Grundsätzen der Brüderlichkeit und der Zentralität der Person orientiert, diese ,abgrundtiefen Entfernungen‘ zwischen den Menschen und den Stadtvierteln überbrücken kann, ist der Anreiz und der Beitrag der Kirche noch wertvoller und fruchtbarer.“

Die Präsenz des Heiligen Stuhles und das Lehramt des Papstes bereicherten Rom als eine „Stadt der Solidarität“ und einen „Ort des Dialogs zwischen Menschen verschiedener Religionen und Kulturen“, formulierte Gualtieri: „Wir wollen, dass das Jubiläum der Hoffnung Rom nicht nur ein materielles Erbe hinterlässt, sondern auch ein Erbe ethischer und sozialer Werte, das wir der Menschheit anbieten können.“

Gruß an römische Bürger

Bei seinem Besuch trug sich Franziskus ins Goldene Buch der Stadt ein. Als Geschenk überreichte der römische Bürgermeister Franziskus eine Silbermedaille zur Erinnerung und eine Urkunde über die Einleitung einiger sozialer Initiativen. Der Papst hinterließ unter anderem ein Mosaik mit der Darstellung des Titusbogens sowie Ausgaben der Bulle zur Verkündigung des Heiligen Jahres 2025.

Von der Loggia des „Palazzo Senatorio“ aus grüßte Papst Franziskus die auf dem Vorplatz „Piazza del Campidoglio“ versammelten römischen Bürger und Mitarbeiter der Stadt, darunter Vertreter des Zivilschutzes, der Müllentsorgung Ama und der Gendarmerie, dankte ihnen und sprach ein „Ave Maria“.

Der letzte Besuch des Papstes auf dem Kapitol liegt fünf Jahre zurück. Damals, am 26. März 2019, forderte Franziskus in einer Ansprache, Rom müsse - auch mit Blick auf die Migranten – „eine Stadt der Brücken und nicht der Mauern“ sein.

-Last Update 15:16 Uhr: Eintrag goldenes Buch - (vn/kna 11)

 

 

 

Deutscher EU-Bischof zur Wahl: Kirche hat klaren Auftrag

 

Der Essener Bischof Franz-Josef Overbeck ist Vorsitzender der Arbeitsgruppe Europa der Deutschen Bischofskonferenz und Delegierter bei der EU-Bischofskommission COMECE. Im Interview mit dem Kölner Domradio hat er sich am Dienstag zu den Ergebnissen der EU-Wahl geäußert.

Wie Bischof Overbeck betont: „Wir als Kirchen haben einen klaren Auftrag, der nicht parteipolitisch gebunden ist." Es gehe der katholischen Kirche um Rechtsstaatlichkeit, Demokratie und soziale Marktwirtschaft, sowie Freiheit. Die Ergebnisse der Europawahl zeigen in Deutschland und anderen Ländern der EU einen klaren Rechtsruck. Dazu zeigt sich der Essener Bischof Franz-Josef Overbeck im Interview mit dem Domradio besorgt.

Domradio*: Was bedeutet das Wahlergebnis der Europawahl konkret für die Kirchen?

Bischof Franz-Josef Overbeck, Vorsitzender der Arbeitsgruppe Europa der Deutschen Bischofskonferenz, Delegierter bei der EU-Bischofskommission COMECE und Diözesanbischof des Bistums Essen: Wir als Kirchen haben einen klaren Auftrag, der nicht parteipolitisch gebunden ist. Es geht uns um Rechtsstaatlichkeit, Demokratie und soziale Marktwirtschaft, weil es uns um Freiheit geht. Dafür müssen wir streiten. Dafür müssen wir die besseren Argumente vortragen.

So verstehe ich unseren Einsatz als Kirche, beziehungsweise ich glaube, dass ich in diesem Zusammenhang auch ökumenisch sagen kann, als Kirchen in unserer Gesellschaft. Das ist unser Auftrag auf der sozialethischen Ebene, den wir wahrzunehmen haben, weil es uns um das Wohl aller Menschen geht.

Domradio: Wird sich als Reaktion auf die Wahl an Ihrer Arbeit etwas ändern?

Overbeck: Wir sind immer wachsam in Bezug auf Entwicklungen, bei denen wir den Blick auf den Frieden haben müssen, weil wir die prophetisch kritische Stimme der Kirche nicht vergessen werden.

Aber wenn ein Land angegriffen wird und dieses ein Recht auf Selbstverteidigung hat, müssen wir auch wissen, dass bei aller Friedfertigkeit, die normalerweise zur Erreichung dieses Zieles angeraten ist, leider Gottes dann auch Gewalt ein mögliches Mittel ist, aber nur wenn kein anderes Mittel dem Ziel eines Friedens nützt. Das ist etwas anderes, als wenn ich Gewalt aus anderen Gründen ausübe.

In einem solchen Konflikt, aber auch in einem solchen Dilemma, stehen momentan alle in Europa, die diesen schrecklichen Angriffskrieg der Russen gegen die Ukraine mitverfolgen.

Domradio: Wir dürfen die „EU nicht denen überlassen, die sie abschaffen wollen" haben Sie noch kurz vor der Wahl gesagt. Die größten Gewinne haben europakritische und rechtspopulistische Kräfte erzielt. Haben die Wähler nicht auf Sie gehört?

„Mir scheint bedeutsam zu sein, dass wir uns im Blick auf Rechtsstaatlichkeit und Demokratie kräftiger und intensiver engagieren müssen“

Overbeck: Zumindest im Blick auf das deutsche Ergebnis, kann davon nicht die Rede sein. Wenn wir die europafreundlichen Parteien zusammennehmen, kommen wir auf über 60 Prozent. Das heißt nicht, dass die wachsende Zahl der Unterstützer europakritischer bis europafeindlicher Parteien nicht alle besorgen muss. Mir scheint bedeutsam zu sein, dass wir uns im Blick auf Rechtsstaatlichkeit und Demokratie kräftiger und intensiver engagieren müssen.

Domradio: In Deutschland haben die Bischöfe vor der Wahl ganz klar Position gegen die AfD bezogen. Trotzdem hat die Partei hinzugewonnen, vor allem bei jungen Leuten unter 25 Jahren. Was heißt das für unseren gesellschaftlichen Zusammenhalt in Deutschland, wenn sich trotz aller Skandale selbst junge Menschen den Rechtspopulisten zuwenden?

Overbeck: Ich habe in den letzten Tagen in vielen Gesprächen immer wieder gehört, dass in Deutschland etwas verloren gegangen sei. Gemeint waren das Gefühl und das Wissen von Sicherheit. Dies scheint mir auch für viele jüngere Menschen zu passen. Von daher ist es verständlich, dass Menschen, die sich unsicher fühlen, schneller Parteien wählen, die zumindest vorläufig für Sicherheit plädieren beziehungsweise sie versprechen. Auch wenn das nur kräftige Parolen sind.

Domradio: Die Wahlbeteiligung ist gerade in Deutschland äußerst hoch ausgefallen. Ist das die einzige gute Nachricht des gestrigen Tages?

Overbeck: Als ich das gestern Abend hörte, habe ich mich gefreut und habe mir gedachte, dass wir doch demokratiefähig bleiben.

Domradio: Sie sitzen als deutscher Vertreter in der EU-Bischofskommission COMECE. Dort sprechen sie mit Vertretern aus Österreich und den Niederlanden, wo rechte Kräfte eine Mehrheit bei der Wahl erzielt haben. Wie gehen Sie damit um?

Overbeck: Wir haben im Laufe der letzten Jahre einige Erfahrungen mit solchen Wählerwanderungen erleben müssen. Zum Beispiel, wenn Sie sich die entsprechenden Ergebnisse nationaler Wahlen in Osteuropa anschauen. Im Angesicht dessen, ist es mir wichtig ein Demokrat zu bleiben und mit dem besseren Argument zu kämpfen.

„Möchte mit den besseren Argumenten herausfordern, damit wir die Perspektiven freilegen, um die es bei Europa geht. Es geht nämlich um eine soziale Marktwirtschaft und um einen großen Raum von Freiheit“

Ich möchte mit den besseren Argumenten herausfordern, damit wir die Perspektiven freilegen, um die es bei Europa geht. Es geht nämlich um eine soziale Marktwirtschaft und um einen großen Raum von Freiheit. Freiheiten, die es in einer solchen Konstellation auch im politischen Sinne auf der Welt kaum gibt.

Außerdem müssen wir gleichzeitig die großen Vorteile der europäischen Verbundenheit für die nationalen Gesellschaften und Wirtschaften klar machen.

*Das Interview führte Tim Helssen für das Domradio (dr 11)

 

 

 

EU-Wahl: Bischofskommission COMECE ordnet die Ergebnisse ein

 

Aus der EU-Wahl vom 6. bis 9. Juni geht ein stärker rechtsgerichtetes Europäisches Parlament hervor. Die politische Mitte konnte eine Mehrheit halten, Liberale und Grüne büßten viele Stimmen ein. Welche Lehren zieht daraus die Kommission der Bischofskonferenzen der Europäischen Union? Vatican News sprach mit COMECE-Vizepräsident Antoine Hérouard. Xavier Sartre und Anne Preckel – Vatikanstadt

Die Kommission der Bischofskonferenzen der Europäischen Union (COMECE) hatte sich vor der Europawahl klar für pro-europäische Parteien ausgesprochen und die Bürger dazu aufgerufen, mit ihrer Wahl Demokratie, Frieden und Zusammenhalt in Europa zu stärken.

Wahlbeteiligung zeige Desinteresse 

In ihrer Analyse der Europawahl hob die COMECE am Montag in Brüssel die geringe Wahlbeteiligung von etwas über 50 Prozent hervor. Sie deute auf anhaltendes Desinteresse der Bürger hin und sei „immer noch nicht ausreichend“. Zwar sei die Mehrheit der Wähler weiterhin pro-europäisch und wolle „mehr Europa“, in Verbindung mit dem Erstarken nationalistischer und euroskeptischer Parteien insbesondere in den EU-Gründungsländern zeuge die aktuelle Entwicklung aber von einer „starken Unzufriedenheit mit der Leistung der EU“, urteilt die COMECE.

Politik muss Bürgern Antworten geben

Die Ergebnisse seien ein Appell an alle, insbesondere aber an die neu gewählten Abgeordneten und die künftigen Kommissare, die gefühlte Kluft zwischen EU und Bürgern zu verringern und zureichende Antworten auf die Sorgen der Menschen zu geben, so die Bischöfe.

Mit Blick auf die Wahlergebnisse wollte Vatican News vom COMECE-Vizepräsidenten Antoine Hérouard zunächst wissen, was es mit dem Zuwachs der rechtsextremen Parteien in mehreren europäischen Ländern auf sich hat.

Eine Angst-Wahl?

Vatican News: In vier Ländern - Frankreich, Italien, Belgien und Österreich - sind rechte Parteien sogar an die Spitze gelangt. Wie lässt sich das erklären?

COMECE-Vizepräsident Hérouard und Erzbischof von Dijon: Dies spiegelt ein gewisses Gefühl der Angst wider, das die öffentliche Meinung in Europa teilt: Angst vor der Frage des Krieges angesichts der Situation in der Ukraine, Angst vor wirtschaftlichen Unsicherheiten, Angst vor einer Deklassierung, da Europa ein wenig an Geschwindigkeit zu verlieren scheint. Es gibt auch die Suche nach einer Identität.

Vielleicht ist es auch eine Kritik an der derzeitigen Funktionsweise Europas, das bei bestimmten Themen als zu technokratisch, zu weit entfernt und zu pingelig erscheint. Es gibt auch Elemente der nationalen Politik in den verschiedenen Ländern, die eine Rolle spielen. Man kann übrigens feststellen, dass dieser Aufschwung der extremen Rechten nicht unbedingt überall zutrifft. In einigen nordischen Ländern beispielsweise gibt es im Gegenteil einen Aufschwung der Grünen und der Linken, weil die Rechtsextremen dort bereits in Koalitionen an der Macht sind.

Letztendlich ist es in vielen Ländern auch eine Stimme der Unzufriedenheit mit den amtierenden Regierungen.

Signale der Unzufriedenheit

Vatican News: Die bisherige Koalition, die die von der Leyen-Kommission unterstützte, behält ihre Mehrheit. Muss sie jedoch die Rechtsentwicklung im Parlament berücksichtigen?

Hérouard: Man muss den Appell der Wähler berücksichtigen, denn sie wollten ein Zeichen setzen, indem sie eine Reihe kritischer Stimmen abgegeben haben. Das bedeutet jedoch nicht unbedingt, dass man sich der Logik einer Reihe von Parteien anschließen muss, die als rechtsextrem oder populistisch eingestuft werden.

Es bedeutet auch, dass die Unzufriedenheit, die durch die Wahl zum Ausdruck kam, bei der Ausübung der Mehrheit, die durch die Wahl der Hauptverantwortlichen zum Ausdruck kommt, berücksichtigt werden muss.

Skepsis gegenüber ökologischem Wandel

Vatican News: Eine der wichtigsten Tatsachen dieser Wahlen ist der Rückgang der Umweltparteien. Ist dies ein Signal dafür, dass wir einen neuen Ansatz zur Bewältigung von Umweltproblemen brauchen?

Hérouard: Es ist der Ausdruck einer Reihe von Befürchtungen. Man sieht, dass der ökologische Wandel und die damit verbundenen Veränderungen für viele Menschen bedeuten, dass sie Dinge nicht mehr tun können, die teuer oder schwieriger werden. Es gibt eine Art Reaktion gegen eine Ökologie, die zu restriktiv oder strafend erscheint, wie manche sagen. Dies zeigte sich auch in diesem Winter bei der Bewegung der Landwirte, die sich durch ganz Europa zog und sich mit Umweltstandards befasste, die die Situation der Landwirte zu gefährden schienen und vor allem den Wettbewerb auf internationaler Ebene verzerrten.

Die ökologische Dringlichkeit bleibt jedoch bestehen. Es geht nicht darum, zu sagen „wir hören auf“, denn der Klimawandel und seine Folgen sind sehr präsent und manchmal sehr katastrophal in der Welt, aber auch in Europa.

Folgen der „Entchristlichung“

Vatican News: Glauben Sie, dass das neue Parlament die Werte, die die katholische Kirche vertritt, respektieren wird?

Hérouard: Die europäischen Werte, die von der Kirche gefördert werden, beziehen sich auf ein bestimmtes Verständnis der menschlichen Person und des Lebens in der Gesellschaft. Es geht auch um die Frage der Demokratie und der Rechtsstaatlichkeit. Es handelt sich also um Werte, die sehr vielfältig und breit gefächert sind. Und Papst Franziskus hat sich in seinen zahlreichen Reden rund um den Aufbau Europas oft darauf bezogen.

Man sieht auch, dass Europa ein Kontinent ist, der von einer ziemlich starken Entchristlichung geprägt ist, was nicht neu ist, sich aber schon im scheidenden Parlament in der Suche nach dem, was manche als neue Menschenrechte bezeichnen, gezeigt hat. Diese ist eher als Multiplizierung individueller Rechte zu verstehen, ohne Berücksichtigung der notwendigen Elemente der Solidarität innerhalb der Gesellschaft.

Die Kirche muss also immer daran erinnern, dass die individuellen Freiheiten nicht grenzenlos sind und dass wir auch Pflichten füreinander haben, um eine Gesellschaft und ein Europa aufzubauen, das solidarisch ist und in denen es einen echten Platz für die Kleinsten, die Schwächsten und diejenigen gibt, die sich in Schwierigkeiten jeglicher Art befinden. Dies betrifft sowohl Fragen des Lebensanfangs bis zum Lebensende, es betrifft Fragen der Arbeitsbedingungen, der Prekarität als auch der internationalen Hilfe und der Entwicklung der ärmsten Länder.

Dies berührt sowohl Fragen des Lebens vom Anfang bis zum Ende, Fragen der Arbeitsbedingungen, Fragen der Armut als auch Fragen der internationalen Hilfe und der Entwicklung der ärmsten Länder.

Das Interview mit Bischof Hérouard führte Xavier Sartre, Vatican News. (vn 11)

 

 

 

Anfangskapitel der Bibel in Leichter Sprache online

 

Das Katholische Bibelwerk in Deutschland hat erstmals Texte des Alten Testaments in Leichter Sprache veröffentlicht. Die ersten drei Kapitel aus dem Buch Genesis wurden übertragen und online gestellt. Auch die zentralen Teile der vier Evangelien gibt es schon in Leichter Sprache. Diese soll Menschen mit Lernschwierigkeiten, geistigen Behinderungen oder anderen Einschränkungen ein besseres Textverständnis ermöglichen. Für die Übertragung gibt es festgelegte Regeln.

In den kommenden drei Jahren sollen weitere ausgewählte Texte folgen, sagte ein Mitglied der Projektgruppe, der Nürnberger Theologe und Bibelwissenschaftler Claudio Ettl, der Katholischen Nachrichten-Agentur (KNA) am Dienstag. Für die Übertragung gibt es festgelegte Kriterien, zum Beispiel kurze Hauptsätze und keine Vergleiche. Auch Fremdwörter werden weggelassen oder erklärt: So wird aus einem Propheten etwa ein Mensch, der in seinem Herzen mit Gott redet und den anderen Menschen erzählt, was Gott gesagt hat.

Hintergrund

Die Bibel in Leichter Sprache ist ein gemeinsames Projekt des Katholischen Bibelwerks in Stuttgart, des Caritas-Pirckheimer-Hauses in Nürnberg und der Franziskanerinnen von Thuine. Seit 2013 werden gemeinsam Bibeltexte in Leichte Sprache übertragen. Dabei sind neben Fachleuten aus Theologie und Behindertenseelsorge auch Menschen mit Lernschwierigkeiten oder geistigen Behinderungen selbst beteiligt. Sie überprüfen die Übertragungen auf ihre Verständlichkeit.

Die Evangelien in Leichter Sprache sind mittlerweile nicht nur im Internet, sondern auch als Buch erschienen. (kap/kna 11)

 

 

 

 

„Demokratie braucht die Kirchen“

 

„Die christlichen Kirchen sind von großer Bedeutung für die Zukunft der Demokratie.“ Das sagt der frühere Präsident des Europa-Parlaments, Hans-Gert Pöttering.

„Demokratie braucht Demokraten“, so der CDU-Politiker in einem Interview mit der katholischen Zeitung „Tagespost“. „Wissenschaftliche Untersuchungen bestätigen, dass religionsgebundene Menschen sich überproportional auch in der Gesellschaft engagieren.“

Zwar seien christliche Kirchen „nicht frei von Fehlern“, so Pöttering in dem an diesem Samstag veröffentlichten Interview. Doch seien sie „besonders resistent gegen autoritäre und totalitäre Systeme“, weil sie den Menschen in den Mittelpunkt stellten.

Der wichtigste Satz im Neuen Testament

Pöttering forderte eine Rückbesinnung auf die Grundsätze Europas. Im Grundgesetz wie in der EU-Charta der Grundrechte heiße es gleichlautend: „Die Würde des Menschen ist unantastbar“. Der Politiker wörtlich: „Ohne das Christentum würde es diese Formulierungen nicht geben. Sie sind kein abstraktes Prinzip, sondern – auch angesichts des verbrecherischen Krieges Russlands gegen den Freiheitswillen der Menschen in der Ukraine – Auftrag für politisches Handeln, diese Würde zu verteidigen.“

Als den für ihn wichtigsten Satz des Neuen Testaments markierte Pöttering das Jesuswort „Du sollst deinen Nächsten lieben wie dich selbst“. „Dieser Anspruch ist schwer zu erfüllen, aber er beinhaltet unendlich vieles: das Bemühen um Mitmenschlichkeit, Versöhnung, Solidarität, Toleranz, ja Frieden und Freiheit.“

(tagespost online 9)

 

 

 

Vatikan: Kritische Anfragen an israelische Regierung

 

Der vatikanische „Außenminister“, Erzbischof Paul Richard Gallagher, hat an einer Feier zum Unabhängigkeitstag des Staates Israel in Rom teilgenommen.

In seiner Rede bei der Feier im Jüdischen Museum in Rom drückte Gallagher seine Hoffnung auf einen baldigen Frieden im Nahen Osten aus. Er verurteilte den Terroranschlag der Hamas auf Südisrael vom 7. Oktober und forderte eine baldige Freilassung aller israelischen Geiseln. Zwischen dem Vatikan und der israelischen Regierung ist es angesichts des Gazakrieges in den letzten Monaten mehrfach zu Verstimmungen gekommen.

Angesichts der „heftigen militärischen Reaktion Israels im Gazastreifen“ erklärte Gallagher, der Heilige Stuhl halte zwar an den Grundsätzen der Neutralität festhält, könne aber in Konflikten nicht „moralisch gleichgültig“ bleiben. Der Vatikan versuche durchaus, „die Beweggründe und Perspektiven aller zu verstehen“. Doch dürfe „das Grundprinzip der Menschlichkeit niemals aufgegeben oder durch militärische Strategien in den Hintergrund gedrängt werden“.

Anprangerung von jüdischem Extremismus und Antisemitismus

Der Kurienerzbischof machte sich auch einige Sorgen der katholischen Gemeinschaften in Israel zu eigen, die „von der zunehmend aggressiven Haltung einiger Behörden“ sprächen und von der Notwendigkeit einer „stärkeren Zusammenarbeit bei der Anprangerung und Verhinderung der abscheulichen antichristlichen Taten durch jüdische Extremisten“. Zugleich verurteilte Gallagher Antisemitismus „in allen seinen Ausprägungen“. (vn 9)

 

 

 

Erzbischof Heße in Kenia. „Verschließen wir nicht die Augen vor der Not der Schutzsuchenden in Ostafrika!“

 

Der Vorsitzende der Migrationskommission der Deutschen Bischofskonferenz und Sonderbeauftragte für Flüchtlingsfragen, Erzbischof Dr. Stefan Heße (Hamburg), hat gestern Abend (8. Juni 2024) seine einwöchige Solidaritätsreise zu Geflüchteten in Kenia beendet. „Auf meiner Reise konnte ich mit zahlreichen Schutzsuchenden aus Ostafrika ins Gespräch kommen: Menschen aus dem Südsudan, Somalia und der Demokratischen Republik Kongo, aus Burundi, Uganda und Ruanda. Sie berichteten von gewaltsamen Konflikten und schweren Menschenrechtsverletzungen in ihren Heimatländern. Allein in Kenia leben aktuell rund 800.000 Flüchtlinge. Die Herausforderungen sind groß, aber es gibt auch eine enorme Hilfsbereitschaft“, so Erzbischof Heße.

In der kenianischen Hauptstadt Nairobi erörterte er mit dem Botschafter der Bundesrepublik Deutschland, Sebastian Groth, mit Vertreterinnen des Hohen Flüchtlingskommissariats der Vereinten Nationen (UNHCR) sowie mit Ansprechpartnern der kenianischen Zivilgesellschaft und deutscher politischer Stiftungen Probleme und Lösungsansätze im Bereich des Flüchtlingsschutzes. Im Fokus standen dabei der Rückgang internationaler Hilfsleistungen und die Kürzung der Lebensmittelrationen auf weniger als die Hälfte, Hürden beim Zugang zu Bildung und Arbeit sowie Spannungen zwischen Geflüchteten und der Aufnahmegesellschaft. Ebenfalls diskutiert wurden aktuelle Bemühungen der kenianischen Regierung, die Flüchtlingslager zu regulären Siedlungen weiterzuentwickeln und langfristige Integrationsperspektiven zu schaffen.

Bei Begegnungen mit dem Erzbischof von Nairobi, Erzbischof Philip Subira Anyolo, dem kenianischen Migrationsbischof, Bischof Henry Juma Odonya, und Caritas-Mitarbeitern bekam Erzbischof Heße einen Einblick in die Arbeit der Ortskirche: „Die katholische Kirche übernimmt in Kenia eine wichtige Rolle bei der Aufnahme und Integration von Geflüchteten. Gemeinsam mit internationalen Partnern setzt sie sich dafür ein, dass die Bedürfnisse von Geflüchteten gesehen werden, und sie in Würde leben können. Im wirtschaftlich benachteiligten Stadtteil Githurai erzählten mir sowohl Flüchtlinge als auch Einheimische, dass die kirchliche Unterstützung für sie überlebensnotwendig ist. Ähnliches wurde mir auch im Kangemi-Slum geschildert. Ich bin dankbar für die Lebensgeschichten, die die Menschen mit mir geteilt haben, und für die vielen kirchlichen Hilfsinitiativen.“

In Gesprächen mit dem Apostolischen Nuntius in Kenia und im Südsudan, Erzbischof Hubertus Matheus Maria van Megen, und einem Vertreter der Vereinigung der ostafrikanischen Bischofskonferenzen (AMECEA) informierte sich der Sonderbeauftragte zudem über die angespannte Lage in der Region. „Die in Europa geführten Diskussionen, den Flüchtlingsschutz noch stärker als bisher in den Globalen Süden auszulagern, wirken hier vor Ort besonders befremdlich. In ganz Ostafrika leben über fünf Millionen Flüchtlinge, hinzu kommen 18 Millionen Binnenvertriebene. Wir dürfen die Verantwortung für den Flüchtlingsschutz nicht auf Länder abschieben, die ohnehin schon stark belastet sind. Fluchtbewegungen fordern uns global heraus. Gerade deshalb brauchen wir auch globale Lösungen“, stellte Erzbischof Heße fest.

Eine weitere Station der Reise war das Turkana County im Nordwesten Kenias, eine von Trockenheit und Dürre geprägte Gegend, in der sich das Flüchtlingslager Kakuma befindet. „Das Leben in Turkana ist von bitterer Armut und ökologischen Widrigkeiten gezeichnet. Es ist für die Flüchtlingshilfe hier von großer Bedeutung, die harte Lebenswirklichkeit der Menschen im Blick zu behalten und auch die lokale Bevölkerung zu unterstützen“, betonte Erzbischof Heße. Aktuell haben allein in Kakuma etwa 300.000 Schutzsuchende Zuflucht gefunden. Im Flüchtlingslager konnte die Delegation verschiedene Projekte des Jesuiten-Flüchtlingsdienstes (JRS) und der Salesianer Don Boscos besuchen: „Es erfüllt mich mit Dankbarkeit und Demut, dass die Menschen, mit denen ich gesprochen habe, trotz aller leidvollen Erfahrungen den Lebensmut nicht verloren haben. Inmitten der Not habe ich Inseln der Hoffnung gesehen: eine Bildungs- und Hilfseinrichtung für behinderte Kinder, einen ‚sicheren Hafen‘ für Opfer sexueller Gewalt, eine mit einfachsten Mitteln aufgebaute Schule, in der mit Begeisterung unterrichtet und gelernt wird. In Zusammenarbeit mit dem UNHCR und weiteren Stellen leisten die kirchlichen Organisationen einen entscheidenden Beitrag dazu, dass Wunden allmählich heilen und Menschen einen Neufanfang wagen können.“

Zusammen mit dem Generalvikar des Bistums Lodwar, das die Turkana-Region umfasst, besuchte Erzbischof Heße auch ein provisorisches Lager für Binnenvertriebene: „Eine Frau erzählte mir, dass sie in den vergangenen Jahren mehrmals ihr Zuhause verloren hat. Extreme Dürreperioden und Überschwemmungen wechseln sich in einer bis vor Kurzem ungekannten Intensität ab. Die Menschen in dieser Region werden um ihre natürlichen Lebensgrundlagen gebracht, die Auswirkungen des Klimawandels sind mit Händen greifbar.“

Sowohl in Nairobi als auch in Lodwar hatte Erzbischof Heße die Gelegenheit, sich mit Stipendiaten und Absolventen des Katholischen Akademischen Ausländer-Dienstes (KAAD) auszutauschen. Themen waren dabei die Situation somalischer Flüchtlinge, geschlechtsspezifische Gewalt gegen Geflüchtete, klimainduzierte Migration sowie Ansätze einer nachhaltigen Landwirtschaft angesichts des Klimawandels, die Friedensarbeit zwischen verfeindeten ethnischen Gruppen und Good Governance auf regionaler Ebene. „Das vielfältige Engagement der KAAD-Stipendiaten in Kenia hat mich beeindruckt. Motiviert durch ihren Glauben setzen sie sich mit akademischem Sachverstand und praktischer Expertise für gesellschaftliche Verbesserungen ein. Sie sind wirklich Salz der Erde“, so der Sonderbeauftragte.

Während seiner Reise feierte Erzbischof Heße mehrere Gottesdienste mit Gläubigen aus Kenia und weiteren ostafrikanischen Ländern: „Besonders bewegend war für mich der Gottesdienst, den ich mit Hunderten von Schutzsuchenden im Lager Kakuma feiern durfte. Viele der Menschen, denen ich begegnet bin, haben alles hinter sich gelassen und auf der Flucht traumatische Erfahrungen gemacht. Von dieser Last war in den Gottesdiensten nichts zu spüren. Die ansteckende Freude, mit der die Menschen gesungen, getanzt, gebetet und gefeiert haben, nehme ich mit nach Hause. Gleichzeitig verbindet sich mit dieser Erfahrung auch ein klarer Appell: Verschließen wir nicht die Augen vor der Not der Schutzsuchenden in Ostafrika! Die Menschen haben Anspruch auf unsere Solidarität und Unterstützung!“ 

Hinweise: Informationen zur Reise sind unter www.fluechtlingshilfe-katholische-kirche.de  unter Reise nach Kenia verfügbar. Dbk 9

 

 

 

Kirche ist wie ein Chor, in dem man alle Stimmen braucht

 

Franziskus hat an diesem Samstag die Teilnehmer des 4. Internationalen Chortreffens im Vatikan in Audienz empfangen. „Der Erfolg der Leistung aller hängt vom Engagement jedes Einzelnen ab, von der Tatsache, dass jeder das Beste in seiner Rolle beiträgt, indem er die anderen respektiert und ihnen zuhört, ohne in den Vordergrund rücken zu wollen, sondern in Harmonie“, so der Papst. Mario Galgano - Vatikanstadt

 

Pfarr- und Diözesanchöre, scholæ cantorum, Musikkapellen, Dirigenten und Musiker: Das war das bunte Mosaik der Teilnehmer des 4. Internationalen Chortreffens, das Franziskus im Vatikan empfing. In seiner Ansprache an die singenden Gäste, unter denen sich auch junge Sänger befanden, sagte der Papst, dass „die Spontaneität der Kinder schöner klingt als die besten Reden“. „Wir müssen uns um die Kinder kümmern“, sagte er, „denn sie sind die Zukunft, die Hoffnung, aber auch das Zeugnis von Spontaneität, Unschuld und Verheißung.“

Zum Nachhören - was der Papst bei der Audienz sagte

Während der Audienz dankte der Papst dann dem Chordirigenten Marco Frisina und der Vereinigung „Nova Opera“ für die Förderung dieser Initiative und Treffen im Vatikan, die nun schon zum vierten Mal stattfindet, vierzig Jahre nach der Gründung des Chores der Diözese Rom. Auf dem Programm dieser Veranstaltung, die an diesem Sonntag endet, steht ein großes Konzert am Samstagnachmittag in der vatikanischen Audienzhalle auf dem Programm.

Harmonie

Während des Treffens erinnerte Franziskus an drei wesentlichen Aspekte - Harmonie, Gemeinschaft und Freude - dieses vom Glauben und der musikalischen Leidenschaft getragenen Dienstes des Chorsängers und der Chorsängerin. Und er betonte, dass „die Musik Harmonie schafft, indem sie alle erreicht, die Leidenden tröstet, die Entmutigten wieder begeistert und wunderbare Werte wie Schönheit und Poesie, die das harmonische Licht Gottes widerspiegeln, in allen Menschen aufblühen lässt“. Die Kunst der Musik, fügte der Papst hinzu, habe „eine universelle und unmittelbare Sprache, die weder Übersetzungen noch viele begriffliche Erklärungen braucht“. Und dann fügte er an:

„Einfache und gelehrte Menschen können die Musik schätzen, indem sie den einen oder anderen Aspekt mit mehr oder weniger Tiefe erfassen, aber alle schöpfen aus demselben Reichtum. Darüber hinaus erzieht die Musik den Menschen zum Zuhören, zur Aufmerksamkeit und zum Studium, indem sie seine Emotionen, Gefühle und Gedanken erhebt, ihn aus dem Strudel der Eile, des Lärms und einer rein materiellen Sicht des Lebens herausführt und ihm hilft, sich selbst und die ihn umgebende Wirklichkeit besser zu betrachten. Sie verleiht denjenigen, die sie kultivieren, einen weisen und ruhigen Blick, mit dem sich Trennungen und Gegensätze leichter überwinden lassen, um - wie die Instrumente eines Orchesters oder die Stimmen eines Chors - im Einklang zu sein, auf Verstimmungen zu achten und Dissonanzen zu korrigieren, die auch für die Dynamik von Kompositionen nützlich sind, sofern sie in ein geschicktes harmonisches Gefüge eingebunden sind.“

Kommunion

In Bezug auf einen weiteren wesentlichen Aspekt, nämlich den der Gemeinschaft, erinnerte der Papst daran, dass „der Chorgesang nicht allein, sondern gemeinsam erfolgt“. „Und auch das“, betonte er, „spricht zu uns über die Kirche und die Welt, in der wir leben“. „Das gemeinsame Gehen“, so fuhr er fort, „kann wie die Aufführung eines großen Konzerts dargestellt werden“: Jeder nehme „mit seinen Fähigkeiten teil und leistet seinen Beitrag, indem er seinen ‚Part‘ spielt oder singt und so seine eigene Einzigartigkeit wiederentdeckt, die durch die Symphonie der Gemeinschaft bereichert wird“. Weiter sagte er:

„In einem Chor und einem Orchester braucht jeder den anderen, und das Gelingen der Darbietung aller hängt vom Engagement aller ab, davon, dass jeder das Beste aus seiner Rolle macht, indem er seine Mitmenschen respektiert und ihnen zuhört, ohne Protagonismus, in Harmonie. So wie in der Kirche und im Leben, wo jeder aufgerufen ist, seinen Teil zum Wohl der ganzen Gemeinschaft beizutragen, damit aus der ganzen Welt ein Loblied auf Gott erschallt.“

Freude

Franziskus forderte die Teilnehmer des 4. Internationalen Chortreffens im Vatikan auf, nicht zuzulassen, dass die Mentalität der Welt den Schatz „der Kunst, der Schönheit und der Spiritualität“, dessen Hüter sie sind, mit „Interesse, Ehrgeiz, Eifersucht und Spaltungen“ verunreinigt. Dann sagte er:

„Es wird euch stattdessen gut tun, den geistlichen Grundton eurer Berufung hoch zu halten: mit Gebet und Meditation über das Wort Gottes, indem ihr nicht nur mit eurer Stimme, sondern auch mit eurem Verstand und eurem Herzen an den Liturgien teilnehmt, die ihr belebt, und deren Inhalt Tag für Tag mit Begeisterung lebt, damit eure Musik immer mehr eine glückliche Erhebung des Herzens zu Gott wird, der mit seiner Liebe alles anzieht, erleuchtet und verwandelt (vgl. 1 Kor 13,1-13). Auf diese Weise werdet ihr die Aufforderung des heiligen Augustinus verwirklichen: ´Lasst uns den Herrn mit unserem Leben und mit unserer Zunge, mit unserem Herzen und mit unseren Lippen, mit unserer Stimme und mit unserem Verhalten preisen´.“

Abschließend bedankte sich der Papst für „den Dienst am Gebet der Kirche und an der Evangelisierung“. (vn 8)

 

 

 

„Wir widersprechen, weil wir glauben“

 

Am Sonntag wird in Europa gewählt. In einer Zeit, in der rechte Parteien und Parolen wieder Zuspruch finden, setzen Katholik:innen im Bistum Essen ein Zeichen gegen Rechtsextremismus und Rechtspopulismus: „Wir widersprechen, weil wir glauben“. Ein gutes Beispiel, das zeigt, dass wir uns - aus den christlichen Werten heraus – gemeinsam gegen rechts wenden müssen. von Christian Schnaubelt

 

Wörtlich heißt es in dem Beschluss, der im Vorfeld der Europawahl am 09. Juni getroffen wurde:

„Als Christ:innen sehen wir es als unsere Verpflichtung an, uns für eine Welt einzusetzen, in der alle Menschen sicher und ohne Angst leben können. Wir nehmen mit immer größerer Sorge wahr, dass radikales Denken in der Bevölkerung stetig an Zuwachs gewinnt und der Hass in der Gesellschaft immer weiterwächst. Gleichzeitig sehen wir aber auch, dass weite Teile der Bevölkerung sich diesem Hass entgegen-stellen und deutlich machen, dass völkischer Nationalismus und Rechtspopulismus in unserer Gesellschaft keinen Platz haben. Auch wir wollen deutlich machen, dass wir uns dem Hass nicht beugen und unsere christlichen Werte aktiv leben.“

„AfD ist für uns nicht wählbar!“

„Das Engagieren in und das Wählen von Parteien, die einen völkischen Nationalismus vertreten, ist mit einem christlichen Gottes- und Menschenbild unvereinbar. Weiterhin ist das Verbreiten von menschenfeindlichen Inhalten in einem haupt- oder ehrenamtlichen Dienst in der Kirche ebenfalls unvereinbar. Dies bedeutet explizit, dass die AfD für uns nicht wählbar ist.“ Gleichzeitig beinhaltet die Resolution auch einen Appell an die Kirchenmitglieder im Bistum Es-sen: „Wir appellieren an alle Menschen, die sich in unserer Kirche engagieren, sich für ein menschenbejahendes Weltbild stark zu machen und in ihrer Arbeit darauf zu achten, dass auch unser Schaffen in der Kirche zu einem solchen Weltbild beiträgt.“

Die vom Diözesanrates der katholischen Frauen und Männer im Bistum Essen erstelle Resolution und kann auf der Website www.dioezesanrat-essen.de im Wortlaut nachgelesen werden.

Bischöfe, BDKJ und ZdK warnen vor der Wahl rechter Parteien

Bereits Anfang des Jahres hatten sechs ostdeutsche Bischöfe vor der Wahl rechter Parteien gewarnt, im Mai wendeten sich die katholischen Jugendverbände im Osten ebenso gegen AfD und Rechtsextremismus, wie zuvor die Hauptversammlung 2024 des BDKJ-Bundesverbandes, die in einem viel diskutierten Beschluss den Besuch der „Sternsinger“ bei AfD-Amtsträgern ablehnte.

Die Deutsche Bischofskonferenz (DBK) hatte bereits auf der Frühjahrs-Vollversammlung die ab-lehnende Haltung der katholischen Kirche mit ihrem viel beachteten Beschluss „Völkischer Natio-nalismus und Christentum sind unvereinbar“ sehr klar dargelegt. Ebenso das Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZdK), welches kirchliche Laien-Ämter für AfD-Mitglieder ablehnt.

Und auch beim Katholikentag 2024, der erst letzten Sonntag in Erfurt zu Ende gegangen ist, wurde von Lai:innen und Bischöfen gemeinsam ein klares Zeichen gegen rechts gesetzt.

Fazit: Völkischer Nationalismus und Rechtspopulismus dürfen in unserer Gesellschaft keinen Platz haben. Die Resolution ‚Wir widersprechen, weil wir glauben“ verdeutlicht, dass Katho-lik:innen aus den christlichen Werten heraus gegen rechts handeln. Und dabei sind sie zudem ökumenisch verbunden mit den evangelischen Christ:innen. Und das ist gut so. Denn gerade die Geschichte beider Kirchen verpflichtet zur Aussage „Nie wieder ist jetzt“!

Christian Schnaubelt, Kath.de 7

 

 

 

Kardinal Woelki fordert ethische Standards beim Einsatz von KI

 

Kardinal Rainer Maria Woelki hat ethische Standards im Umgang mit Künstlicher Intelligenz (KI) gefordert. So seien Menschenwürde und Verantwortung, Fairness und Inklusion, Autonomie und Kontrolle, Transparenz, Erklärbarkeit, Sicherheit und Datenschutz Voraussetzungen für den Einsatz von KI, erklärte der Vorsitzende der Kommission für Wissenschaft und Kultur der Deutschen Bischofskonferenz am Freitag in Bonn aus Anlass des fünften deutschlandweiten Digitaltags.

Der Aktionstag war 2019 von der Initiative „Digital für alle“ ins Leben gerufen worden und soll bei verschiedenen Veranstaltungsformaten Digitalisierung erlebbar machen. Heuer steht dabei das Thema KI im Fokus.

Der Kölner Erzbischof Woelki forderte aus diesem Anlass eine breite öffentliche Debatte über ethisch verantwortbare KI. Die katholische Kirche sei bereit für einen konstruktiven Beitrag zu diesem Aushandlungsprozess: „Es ist notwendig, dass wir das alles öffentlich diskutieren - damit der Einsatz von KI human bleiben kann.“

Woelki betonte, dass es in der Kirche ebenso wie in der Gesellschaft hohe Erwartungen an die KI gebe. KI sei auch aus dem kirchlichen Wissenschafts- und Hochschulsektor nicht mehr wegzudenken. „Künstliche Intelligenz kann uns beim Denken, Schreiben und Kommunizieren mehr Zeit verschaffen, damit wir uns auf das konzentrieren können, was uns als Menschen kein Computer je abnehmen kann: die persönliche Begegnung, Werturteile fällen, Handlungsentscheidungen treffen, Verantwortung übernehmen.“

Der Kardinal formulierte mehrere Leitfragen für den Umgang mit KI in Wissenschaft und Kultur: „Wie stellen wir sicher, dass die Grenzen zwischen humanoider Technik und menschlicher Würde nicht verschwimmen? Wer achtet darauf, dass KI niemals menschliche Begegnung ersetzt und auch keine moralischen Entscheidungen trifft?“ KI müsse so genutzt werden, dass Menschen einbezogen und nicht aus gesellschaftlichen Prozessen ausgeschlossen würden.

(pm/kna 7)

 

 

 

Herz-Verehrung hat eine lange spirituelle Tradition

 

Das Herz Jesu und das Herz Mariens stehen an diesem Freitag und Samstag besonders im Zentrum. Warum gibt es diese besondere Spiritualität und warum ist der Freitag sogar ein Hochfest? Unsere Kollegen vom Kölner Domradio haben mit dem Theologen Manuel Schlögl darüber gesprochen. Er erklärt die Hintergründe.

DOMRADIO.DE: An diesem Freitag ist das Hochfest Heiligstes Herz Jesu, im Kölner Dom ist die Priesterweihe mit drei Priesteramtskandidaten, am Samstag ist der Gedenktag „Unbeflecktes Herz Mariä“. Und ganz frisch hat Papst Franziskus für September ein neues Dokument über die katholische Herz-Jesu-Verehrung und die Liebe von Jesus Christus angekündigt.

Das menschliche Herz wird heute vor allem medizinisch gesehen und doch sprechen wir nach wie vor von „Herzensanliegen“ oder sagen beispielsweise: „Da hängt mein Herz daran“. Warum begeht die Kirche am Freitag das Hochfest „Heiligstes Herz Jesu“ und am Samstag den Gedenktag „Unbeflecktes Herz Mariä“?

Prof. Dr. theol. Manuel Schlögl (Lehrstuhlinhaber Dogmatik und Ökumenischer Dialog an der Kölner Hochschule für Katholische Theologie): Wie Sie sagen: das Herz ist bis heute ein bedeutungsvolles Symbol in unserer Alltagswelt - man denke nur an die vielen Schlösser in Herzform an der Hohenzollernbrücke, mit denen Liebespaare ihre Gefühle zum Ausdruck gebracht haben.

In der Bibel ist das Herz nicht nur der Sitz der Gefühle, sondern der Sitz des Lebens überhaupt, die Personmitte - und damit auch ein Ort der Gottesbegegnung. Gott kennt und prüft das Herz des Menschen, und er wendet uns sein Herz zu.

„In Jesus Christus steht uns das Herz Gottes in einmaliger Weise offen.“

In Jesus Christus steht uns das Herz Gottes in einmaliger Weise offen, in ihm wird uns Gottes Liebe unwiderruflich zugesagt. Das Hochfest „Heiligstes Herz Jesu“ wurde erst 1856 in der katholischen Kirche eingeführt, aber es hat schon eine lange Tradition, in der mittelalterlichen Mystik und in zahlreichen Ordensgründungen zu Beginn der Neuzeit.

Geschichtlich sehr eng verbunden damit ist der Gedenktag „Unbeflecktes Herz Mariä“ - hier steht das Herz für die Haltung des Menschen Gott gegenüber, für das Vertrauen und den Glauben, die es braucht, um Gott nahe zu kommen. Man könnte sagen: die beiden Festtage stehen zueinander wie Ruf und Antwort, Schloss und Schlüssel.

DOMRADIO.DE: Schauen wir auf die einzelnen Tage. Warum gibt es für das Herz Jesu sogar ein Hochfest?

Schlögl: Das Herz Jesu-Fest markiert die erfahrbare Seite des Christus-Glaubens der Kirche, es ist Ausdruck einer spirituellen Christologie. Es gehört zu den sogenannten „Herrenfesten", also Christus-Festen, und genießt im Kirchenjahr als Hochfest eine besondere Verehrung.

„Die Krise des Glaubens liegt in Deutschland auch daran, dass wir uns zu sehr mit uns selbst beschäftigen und an innerkirchlichen Problemen abarbeiten, statt wieder einmal die große Frage nach Gott zu stellen.“

Die Krise des Glaubens liegt in Deutschland auch daran, dass wir uns zu sehr mit uns selbst beschäftigen und an innerkirchlichen Problemen abarbeiten, statt wieder einmal die große Frage nach Gott zu stellen. Dagegen weitet das Herz-Jesu-Fest den Blick, indem es uns sagt: Gott hat sich uns in Jesus Christus wirklich zugewandt und uns sein Gesicht gezeigt. Gut, dass es dieses Fest gibt!

DOMRADIO.DE: Die Herz Jesu-Verehrung hat den Karfreitag im Blick. Woher kommt die Verbindung zum Herzen Mariens?

Schlögl: Das ist richtig, das Herz-Jesu-Fest wurde im Mittelalter zunächst als Fest der Heiligen Lanze oder der fünf Wunden Jesu gefeiert, es hat also einen starken Bezug zur Passion. Das Johannesevangelium berichtet ausdrücklich von der Öffnung des Herzens Jesu am Kreuz und sieht darin eine Prophetie aus dem Buch Sacharja erfüllt: „Sie werden auf den schauen, den sie durchbohrt haben.“ Das „Schauen“ bedeutet hier auch das Erkennen, dass uns der Gekreuzigte von Sünde und Tod erlöst hat.

Im Herzen Mariens ist sozusagen das erste „Echo“, die erste liebende Antwort auf den Kreuzestod erfolgt, weil sie direkt unter dem Kreuz ihres Sohnes stand. Durch ihr Mitleiden und Mitlieben nimmt sie teil am Erlösungsgeschehen, und diese innere Größe verehrt die Kirche im Herzen Mariens.

DOMRADIO.DE: Vor anderthalb Jahren hat Papst Franziskus die Welt und insbesondere Russland und die Ukraine dem Unbefleckten Herzen Mariens geweiht. Warum hat er das ausgerechnet in Bezug auf das Herz Mariens getan?

Schlögl: Papst Franziskus hat sich mit der Marienweihe in eine Gebetstradition gestellt, die schon Pius XII. und Johannes Paul II. im Blick auf Russland und die ganze Welt praktiziert haben.

Die Marienweihe ist einfach ein Akt besonderer Bitte in Zeiten der Not, im Bewusstsein, dass unsere menschlichen Möglichkeiten sehr begrenzt, aber Gottes Möglichkeiten unendlich sind. Maria reicht gewissermaßen unser Anliegen an Gott weiter, ihre Haltung des bedingungslosen Vertrauens gilt es immer wieder einzuüben, weil wir doch in einer Welt leben, die stark von dem geprägt ist, was wir Menschen machen können. Wo wir an unsere Grenzen stoßen, reicht uns Maria die Hand und hilft weiter. Diese Erfahrung wird bei einer Marienweihe wieder lebendig.

„Die Marienweihe ist einfach ein Akt besonderer Bitte in Zeiten der Not, im Bewusstsein, dass unsere menschlichen Möglichkeiten sehr begrenzt, aber Gottes Möglichkeiten unendlich sind.“

DOMRADIO.DE: Die Frömmigkeit um das Herz Mariens oder das Herz Jesu erscheint heute Gläubigen vielleicht etwas fremd. Wie kann man diese Frömmigkeitsform den Menschen von heute nahe bringen?

Schlögl: Von Blaise Pascal, dem genialen Philosophen und radikalen Christen am Beginn der Neuzeit, stammt der wichtige Satz: „Das Herz hat seine Gründe, die die Vernunft nicht versteht.“ Im französischen Original sind „Gründe“ und „Vernunft“ dasselbe Wort.

Das heißt, wenn wir auf unser Herz hören, erkennen wir manchmal mehr als mit der bloßen Vernunft. In unserer so durchorganisierten, so zweckmäßig eingerichteten Welt brauchen wir Menschen „Herz-Räume“, in denen wir uns einer inneren Erfahrung öffnen, in denen spirituelles Leben sich entfalten kann. Das Gebet der Herz Jesu-Litanei oder des Rosenkranzes in einem bestimmten Anliegen kann dabei eine große Hilfe sein.

Insofern erinnern uns die beiden Festtage an etwas, das wir nicht vergessen dürfen: dass wir Menschen nicht nur Kopf und Verstand, sondern auch Herz und Liebe sind und beides im christlichen Glauben zusammengehört.

„In unserer so durchorganisierten, so zweckmäßig eingerichteten Welt brauchen wir Menschen „Herz-Räume“, in denen wir uns einer inneren Erfahrung öffnen, in denen spirituelles Leben sich entfalten kann.“

Das Interview führte Mathias Peter. (domradio 7)

 

 

 

Bischof Feige, der Heilige Geist und die Kosaken

 

Man sollte in der Ökumene „nicht immer nur von den Defiziten her denken, was alles noch nicht möglich ist oder was noch aussteht“. Dazu rät Bischof Gerhard Feige von Magdeburg.

In einem Interview, das er Radio Vatikan kürzlich beim Katholikentag in Erfurt gab, erläuterte der deutsche Ökumene-Bischof, seit dem Konzil sei in ökumenischer Hinsicht schon sehr viel erreicht worden. „Das ist schon so selbstverständlich, dass wir das gar nicht mehr ins Bewusstsein nehmen.“ Druck aus der Gesellschaft werde auch künftig zu weiteren Fortschritten führen. „Das kann ja durchaus auch der Heilige Geist sein, der uns da drängt, stärker zusammenzurücken…“

Interview

Herr Bischof, was ist aus Ihrer Sicht im Moment der Stand der Ökumene in Deutschland?

In Deutschland sieht es eigentlich ganz gut aus, sowohl in den Beziehungen zu den orthodoxen Kirchen, die es in Deutschland gibt, als auch zur evangelischen Kirche. Da ist vielleicht ein Text von besonderer Bedeutung, den wir vor kurzem erst herausgegeben haben von Seiten der Deutschen Bischofskonferenz und dem Rat der EKD mit dem Titel ‚Mehr Sichtbarkeit in der Einheit und mehr Versöhnung in der Verschiedenheit‘. Das ist wie eine in-via-Erklärung, wobei der Gedanke dominiert: Einheit ist nicht nur etwas in der Zukunft. Die Vollendung steht zwar noch aus, aber wir haben bereits in vielen Bereichen eine Einheit erreicht – im Bereich der Verkündigung, im Bereich der Liturgie, im Bereich der Diakonie. Und so werden die verschiedenen Beispiele aufgezählt, wo das schon selbstverständlich ist und wo sich etwas entwickelt hat. Das Ganze sollte auch ein Impuls sein und sollte Mut machen, auf diesem Weg weiterzugehen und nicht immer nur von den Defiziten her zu denken, was alles noch nicht möglich ist oder was noch aussteht.“

„Nicht so sehr auf Eucharistiegemeinschaft fixieren“

Für viele klingt natürlich dieser Verweis auf das schon Erreichte wie ein Pfeifen im Wald angesichts des Defizits, dass es keine Eucharistiegemeinschaft gibt…

„Darauf würde ich mich nicht so fixieren, sondern wir haben wirklich seit dem Zweiten Vatikanischen Konzil (ich gehöre zur Generation, die da gerade jugendlich war und voll mit eingestiegen ist) unheimlich viel erreicht. Vielleicht ist auch noch interessant: Die jüngste Kirchenmitgliedschafts-Untersuchung hat ja auch gezeigt, dass ein Großteil der Christen (evangelisch, katholisch, auch von den Konfessionslosen) eher von uns erwartet, dass wir noch stärker gemeinsam unterwegs sind, gerade auch angesichts der schwierigen gesellschaftlichen Entwicklungen. Wenn wir uns dann noch gegenseitig bekämpfen oder eben nur nebeneinander leben, dann ist das kein konstruktiver Beitrag für unsere Gesellschaft. Also ich würde es positiver sehen, nicht nur als ein Pfeifen im Wald.“

Bischof Feige zum Stand der Ökumene - Radio Vatikan

„Zu DDR-Zeiten, wo wir ja unter einem massiven Druck standen, da sind wir tatsächlich zusammengerückt“

Manchmal hört man das Argument: In 50 Jahren wird das sowieso kaum noch eine Rolle spielen, ob katholisch oder evangelisch; da sind dann die Kirchen so geschrumpft, dass das einfach nur noch Christen sind, und dann werden sich ganz viele Probleme, die es jetzt gibt, gar nicht mehr stellen.

„Natürlich – es gibt einen schönen Ausspruch, der lautet: ‚Wodurch kommen Reformen? Entweder durch den Heiligen Geist oder durch die Kosaken!‘ Und meistens kommen sie eben durch die Kosaken. Das heißt also: Wenn wir nicht feingeistig selber uns um solche Dinge bemühen, dann werden wir unter Druck gesetzt durch andere Kräfte; und das kann ja durchaus auch der Heilige Geist sein, der uns da drängt, stärker zusammenzurücken. Man könnte auch sagen: Zu DDR-Zeiten, wo wir ja auch unter einem massiven Druck standen, da sind wir auch tatsächlich zusammengerückt, und das begann schon in den Konzentrationslagern zur Zeit des Nationalsozialismus. Es ist also nicht immer nur theologisches Denken und Arbeiten, das voranbringt, sondern auch so ein Druck, der aus der Gesellschaft kommt oder aus der Zeit…“

(stefan v. kempis, vn 7)

 

 

 

Kardinal Woelki zum Digitaltag. „Einsatz von KI in Wissenschaft und Kultur an ethischen Standards ausrichten“

 

Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln), Vorsitzender der Kommission für Wissenschaft und Kultur der Deutschen Bischofskonferenz, hat zum Einsatz von Künstlicher Intelligenz (KI) in Wissenschaft und Kultur Stellung genommen. In seiner heutigen (7. Juni 2024) Wortmeldung zum 5. bundesweiten Digitaltag äußert er sich insbesondere zu den „wertebasierten Qualitätsanforderungen an die KI“ und lädt zu einem breiten öffentlichen Diskurs dazu ein. Der 2019 von der Initiative „Digital für alle“ ins Leben gerufene Digitaltag widmet sich in diesem Jahr dem Schwerpunktthema Künstliche Intelligenz.

 

Da der Wissenschafts- und Kultursektor einer jener Bereiche ist, in denen KI am häufigsten zum Einsatz kommt, wird diese Entwicklung von der Kommission für Wissenschaft und Kultur der Deutschen Bischofskonferenz besonders aufmerksam begleitet. Kardinal Woelki betont, dass es in der Kirche ebenso wie in der Gesellschaft hohe Erwartungen an die KI gebe: „Künstliche Intelligenz kann uns beim Denken, Schreiben und Kommunizieren mehr Zeit verschaffen, damit wir uns auf das konzentrieren können, was uns als Menschen kein Computer je abnehmen kann: die persönliche Begegnung, Werturteile fällen, Handlungsentscheidungen treffen, Verantwortung übernehmen.“

 

Nach Auffassung von Kardinal Woelki ist KI aus dem kirchlichen Wissenschafts- und Hochschulsektor nicht mehr wegzudenken. Über diese Einsatzfelder hinaus macht er sich für das Aushandeln ethischer Standards im Umgang mit KI stark: „Wertebasierte Qualitätsanforderungen an die KI sind: Menschenwürde und Verantwortung, Fairness und Inklusion, Autonomie und Kontrolle, Transparenz, Erklärbarkeit, Sicherheit und Datenschutz“, so Kardinal Woelki.

 

Aus christlich-ethischer Perspektive formuliert der Erzbischof von Köln mehrere Leitfragen für den Umgang mit KI in Wissenschaft und Kultur: „Wie stellen wir sicher, dass die Grenzen zwischen humanoider Technik und menschlicher Würde nicht verschwimmen? Wer achtet darauf, dass KI niemals menschliche Begegnung ersetzt und auch keine moralischen Entscheidungen (etwa als ‚künstliche Moral‘) trifft? (…) Wie kann KI so genutzt werden, dass Menschen einbezogen und nicht aus gesellschaftlichen Prozessen ausgeschlossen werden?“

Mit seiner Stellungnahme will der Vorsitzende der Kommission für Wissenschaft und Kultur zu einem partizipativen öffentlichen Diskurs über ethisch verantwortete KI einladen. Die katholische Kirche sei bereit für ihren konstruktiven Beitrag zu diesem Aushandlungsprozess: „Es ist notwendig, dass wir das alles öffentlich diskutieren – damit der Einsatz von KI human bleiben kann“, so der Kardinal.

Hinweis: Das Statement von Kardinal Rainer Maria Woelki ist unter www.dbk.de verfügbar. Dbk 7

 

 

 

Für die Schwächsten der Gesellschaft: Sr. Rosa Roccuzzo und die Ursulinen

 

Rosa Roccuzzo wurde 1882 in Monterosso Almo in der damaligen Provinz und Diözese Syrakus, heute Ragusa, geboren. Im Alter von 14 Jahren verlor sie ihre Mutter, ließ sich jedoch nicht vom Schmerz überwältigen, so erzählt Giuseppa Inzinga , eine ihrer Freundinnen. Inmitten der Einsamkeit, in der sie sich wiederfand, beschloss sie, sich den Bedürftigen zu widmen. Rosa ging direkt zu den Menschen, um persönlich die Bedürfnisse der Menschen in ihrem Dorf kennenzulernen.

Sie begann mit der festen Entschlossenheit, jedem ein wenig körperliche und seelische Erleichterung zu verschaffen.

So gab es also in Monterosso Almo seit 1896 ein junges Mädchen, das die elenden Behausungen des Dorfes besuchte, um kranken, verlassenen Kindern und alten Menschen beizustehen. Früh am Morgen ging sie zum Fluss, um die Wäsche der Armen zu waschen, und dabei lud sie auch die anderen Frauen, die dort die Wäsche ihrer Familie wuschen, zum Gebet ein. Bei ihren Besuchen bei den Armen und Kranken verschenkte sie Laken und Kleidungsstücke, gefertigt aus dem Stoff, den ihre Mutter für die Mitgift ihrer Tochter gewebt und aufbewahrt hatte.

Von einer kleinen Frau eine große Liebe für die Bedürftigen

Eine kleine Frau, die in einem von Hunger, Armut und Pest gebeutelten Sizilien ihr ganzes Leben der Pflege der Kranken, verlassenen Alten und Waisenkinder widmete und in ihren von Schmerz und Leid gezeichneten Gesichtern das Antlitz Christi sah. Mit viel Mut und großem Glauben gelang es diesem Mädchen, andere junge Frauen für heroische Werke des Guten zu begeistern und einzubinden. So begann das, was heute die Kongregation der Ursulinen von der Heiligen Familie ist, und dort lebte sie bis zu ihrem Lebensende in großer Demut und Zurückgezogenheit. Wo sie auch hinging, hinterließ Rosa Spuren ihres einfachen und mutigen Dienstes zugunsten der Schwächsten der Gesellschaft. Sie starb 1956.

Die Sendung von Schwester Rosa lebt noch heute weiter

In der Treue zu ihrem Gründungscharisma ist die Kongregation der Ursulinen von der Heiligen Familie heute so wie zu Beginn ihrer Geschichte aufgerufen, ihren Dienst an der Evangelisierung und der ganzheitlichen Förderung des Menschen zu leisten. Dies geschieht durch Aktivitäten im Bildungsbereich und im Sozialen, die darauf abzielen, das Leben in all seinen Aspekten wertzuschätzen und eine gerechtere und geschwisterlichere Gesellschaft aufzubauen. Derzeit ist die Kongregation in Italien, Brasilien und Frankreich vertreten.

Präsenz in Brasilien

Seit 1967 sind die Ursulinen von der Heiligen Familie in Brasilien aktiv, gestützt vom Vertrauen der Bevölkerung. Die Schwestern arbeiten dort in den ärmsten Stadtteilen, um die volle Eingliederung der benachteiligten Menschen in die Gesellschaft zu fördern. Seit etwa 20 Jahren begleiten sie im Sozialzentrum „Nascente de Vida" in Santo Angelo, einem Vorort von Mogi das Cruzes, Kinder und Jugendliche im Alter von 7 bis 17 Jahren mit schulischen Defiziten, wobei diejenigen, die in sozialen Risikosituationen leben, Priorität haben. Gleichzeitig versuchen sie, bei den Familien dieser Kinder und Jugendlichen die Verantwortung zu wecken und sie zur Mitarbeit zu ermutigen. So können sie an Schulungsveranstaltungen teilnehmen, um zu aktiven und bewussten Bürgern zu werden, die in die örtliche Gemeinschaft integriert sind. Um diesen Familien zu helfen, bieten die Schwestern verschiedene Fortbildungskurse an, wie zu alternativer Ernährung, Schneiderei und Nähen, Kunsthandwerk, Herstellung von Pflegeprodukten, und auch Alphabetisierung für Erwachsene, all dies mit dem Ziel, Einkommensmöglichkeiten zu schaffen und die Lebensqualität der Familie zu verbessern.

Die Berufung von Schwester Rosa weiterführen

Das Charisma von Schwester Rosa Roccuzzo ist geprägt von einem tiefen geistlichen Leben und dem unermüdlichen Dienst an den Armen. Es lebt heute in der Kirche durch die Kongregation der Ursulinen von der Heiligen Familie weiter. Im Alltag des einfachen und demütigen Dienstes am Nächsten verwirklicht jede von ihnen die Berufung von Schwester Rosa, die in ihrer Zeit „sah, dass die Kinder ohne christliche Erziehung waren, die Armen ohne das Lebensnotwendige und die Kranken ohne Hilfe: Jeden Morgen ging sie zur heiligen Messe und betete zum Herrn, dass er ihr helfen möge, ein wenig Gutes zu tun". (vn 6)

 

 

 

DBK: Bischöfe wollen Theologie an staatlichen Unis erhalten

 

Die katholischen Bischöfe im Land haben sich für den Erhalt Theologischer Fakultäten an staatlichen Universitäten ausgesprochen. Von wissenschaftlicher Theologie profitierten Gesellschaft und Kirche gleichermaßen, heißt es in einer Pressemitteilung der Deutschen Bischofskonferenz (DBK) vom Donnerstag.

Die Glaubenskommission der Bischofskonferenz veröffentlichte zur Zukunft der katholischen theologischen Fakultäten eine fünfseitige Stellungnahme. Darin wird betont, „dass es sowohl für die heutige Wissensgesellschaft als auch für die Kirche selbst einen großen Gewinn darstellt, wenn Theologie sich im Diskurs an der Universität bewährt." Es gebe so einen wichtigen Austausch mit den anderen Wissenschaften. „Wer das Evangelium unter den gesellschaftlichen Rahmenbedingungen des 21. Jahrhunderts verkünden will, kann auf diese Form des Diskutierens und Nachdenkens letztlich nicht verzichten", so die Bischöfe.

Doch auch die anderen Fakultäten profitierten, da die Theologie „ethische und existenzielle Perspektiven aus einer christlichen Denk- und Glaubenstradition in die Diskussionen einbringen" könne. „Diese Beiträge würden schmerzlich fehlen, wenn es die Theologie als Wissenschaft nicht gäbe."

„Ethische und existenzielle Perspektiven aus einer christlichen Denk- und Glaubenstradition“

Kirche, Wissenschaft und Gesellschaft sollten daher daran interessiert sein, „dass die Theologie auch weiterhin an unseren Universitäten verankert ist". Das Fach dürfe nicht auf seine Funktion zur Ausbildung von Kirchenmitarbeitern verkürzt werden.

 Es sei auch nicht ersetzbar, etwa durch Religions- und Kulturwissenschaften. Wie keine andere Disziplin könne Theologie die Verabsolutierung wissenschaftlicher Aussagen, fundamentalistische Tendenzen im Religiösen oder ideologische Züge in staatlicher oder ökonomischer Herrschaft ansprechen. (pm/kna 6)

 

 

 

Papst: „Strukturen sind nicht die Substanz“

 

Man sollte in der Kirche „keine Angst davor haben, die Sicherheit von Strukturen und Institutionen zu verlieren“. Die Hauptsache sei, dass man „der Nächstenliebe treu“ bleibe.

Das sagte Papst Franziskus an diesem Donnerstag bei einer Audienz im Vatikan zu Ordensfrauen.

„Es wird euch gut tun, dies in euren Begegnungen zu bedenken, um euch daran zu erinnern, dass die Strukturen nicht die Substanz sind: Sie sind nur ein Mittel. Das Wesentliche ist die Liebe zu Gott und zum Nächsten, die großzügig und in Freiheit ausgeübt wird“.

Eine persönliche Erinnerung

Franziskus empfing die Teilnehmerinnen an den Generalkapiteln von zwei Frauenorden, die beide im 19. Jahrhundert gegründet worden sind. Mit einer der beiden Gemeinschaften, nämlich den „Figlie di Nostra Signora della Misericordia“, verband der Papst übrigens auch eine persönliche Erinnerung.

„In einer eurer Schulen in Buenos Aires, im Stadtteil Flores, habe ich vor vielen Jahren die Sakramente der christlichen Initiation empfangen. Wie könnten wir die liebe Schwester Dolores vergessen, von der ich so viel gelernt habe und die ich noch oft besucht habe? Dafür danke ich dem Herrn und Ihnen allen, denn mein heutiger Dienst an der Kirche ist auch die Frucht des Guten, das ich schon in jungen Jahren von Ihrer Ordensfamilie empfangen habe.“

Die Sakramente der Initiation sind Taufe, Kommunion und Firmung; sie heißen so, weil sie für die Eingliederung des Gläubigen in die kirchliche Gemeinschaft stehen. (vn 6)

 

 

 

Bedeutung der Theologie in der Gesellschaft

 

Glaubenskommission wirbt für die Zukunft Katholisch-Theologischer Fakultäten an staatlichen Universitäten 

Die Theologie bietet Raum für die Reflexion des Glaubens. Darüber hinaus ist sie auch eine anerkannte und in Deutschland öffentlich finanzierte Wissenschaft. Diese Bedeutung der Theologie als Wissenschaft ist aber nicht einfach selbsterklärend. Vor allem die Theologischen Fakultäten an staatlichen Universitäten sehen sich mit grundsätzlichen Anfragen konfrontiert.

 

Die Glaubenskommission der Deutschen Bischofskonferenz hat sich vor diesem Hintergrund mehrfach mit der Frage nach der Bedeutung der Theologie in der Gesellschaft befasst und die zentralen Aspekte dieser Überlegungen in einer Stellungnahme formuliert, die heute (6. Juni 2024) veröffentlicht wird. Der Ständige Rat der Deutschen Bischofskonferenz hat sich diese Erklärung im Rahmen eines von der Kommission für Wissenschaft und Kultur der Deutschen Bischofskonferenz initiierten Konsultationsprozesses zur Zukunft der katholischen Theologie in Deutschland zu eigen gemacht.

 

In dieser Stellungnahme wird die Überzeugung zum Ausdruck gebracht, dass es sowohl für die heutige Wissensgesellschaft als auch für die Kirche selbst einen großen Gewinn darstellt, wenn Theologie sich im Diskurs an der Universität bewährt. Einerseits verantwortet sich hier der Glaube gewissermaßen in Echtzeit vor dem Forum der wissenschaftlichen Vernunft: Man muss mit den anderen Wissenschaften im stetigen Austausch bleiben. Wer das Evangelium unter den gesellschaftlichen Rahmenbedingungen des 21. Jahrhunderts verkünden will, kann auf diese Form des Diskutierens und Nachdenkens letztlich nicht verzichten. Andererseits kann die Theologie ethische und existenzielle Perspektiven aus einer christlichen Denk- und Glaubenstradition in die Diskussionen einbringen. Dabei steuert die Theologie auch ihre Fähigkeit bei, sich kritisch mit wissenschaftlichen und weltanschaulichen Positionen auseinanderzusetzen. Denn die Theologie pflegt immer auch eine kritische Aufmerksamkeit gegenüber zweifelhaften oder zu wenig begründeten Wahrheitsansprüchen. Diese Beiträge würden schmerzlich fehlen, wenn es die Theologie als Wissenschaft nicht gäbe.

 

Beide, die Gesellschaft und die Kirche, haben mit der wissenschaftlichen Theologie an der Universität eine bedeutende Ressource, die nicht leichtfertig gefährdet werden sollte. Darauf weist die Stellungnahme der Glaubenskommission mit Nachdruck hin und wirbt deshalb dafür, sich auch zukünftig für den Erhalt Theologischer Fakultäten an staatlichen Universitäten einzusetzen.

 

Hinweis: Die Stellungnahme der Glaubenskommission der Deutschen Bischofskonferenz mit dem Titel „Theologie in der Gesellschaft. Für die Zukunft Katholisch-Theologischer Fakultäten an staatlichen Universitäten“ finden Sie zum Download unter www.dbk.de.  Dbk 6

 

 

 

Papst erinnert an Ende der Nazi-Besetzung Roms vor 80 Jahren

 

Papst Franziskus hat die Gläubigen in Rom dazu aufgefordert, „Architekten eines wahren Friedens“ in der Welt zu werden. Er bezog sich in einem Brief auf den 80. Jahrestag der Befreiung Roms von den Nationalsozialisten 1944 und das damals in Rom vollzogene Gelübde vor der Marienikone „Salus Populi Romani" (Heil des Römischen Volkes).

Die Diözese Rom feiert zum ersten Mal das liturgische Gedenken an die Ikone, schreibt der Papst in seinem am Dienstagabend veröffentlichten Brief an den Vizeregenten des Bistums, Weihbischof Baldassare Reina. Am 4. Juni 1944 habe das Volk von Rom gemeinsam mit seinem Bischof, Papst Pius XII., die Gottesmutter um die Rettung der Stadt angefleht, als ein direkter Zusammenstoß zwischen der deutschen Armee und den anglo-amerikanischen Alliierten bevorstand und die Stadt „den Alptraum der nationalsozialistischen Verwüstung“ vor Augen hatte. Achtzig Jahre später sei dies ein Anlass, „für die Opfer des Zweiten Weltkriegs zu beten und erneut über die schreckliche Geißel des Krieges nachzudenken“, fuhr der Papst fort. 

„Wir können und dürfen der Logik der Waffen nicht nachgeben!“

Die unschuldigen Opfer der Kriege wie in der Ukraine, Palästina und Israel, Sudan und Myanmar forderten „das Gewissen aller“ heraus: „Wir können und dürfen der Logik der Waffen nicht nachgeben!“

Spannungen ausgleichen im Alltag

Friede sei ein Geschenk Gottes, brauche aber Menschen, die dieses Geschenk bereitwillig annehmen „und sich dafür einzusetzen, Baumeister der Versöhnung und Zeugen der Hoffnung zu sein“, erklärte Franziskus. Er hoffe, dass das Gedenken an das Gelübde an die Muttergottes vor 80 Jahren die Römer und Römerinnen dazu bewege, „überall Architekten des wahren Friedens zu sein und die Geschwisterlichkeit als wesentliche Voraussetzung für die Beilegung von Konflikten und Feindseligkeiten wieder aufleben zu lassen“. Franziskus warb konkret für eine bestimmte friedfertige Haltung im Alltag: Es gehe darum, „mit Mut und Sanftmut“ für gute Beziehungen zwischen den Menschen einzutreten und „Spannungen in der Familie, am Arbeitsplatz, in der Schule, unter Freunden auszugleichen“.

Franziskus und seine Verehrung der Salus Populi Romani 

Franziskus hat in den elf Jahren seines Pontifikats viel für die Wiederbelebung der Verehrung der Marienikone Salus Populi Romani („Heil des Römischen Volkes“) getan. Er sucht das in der Basilika Santa Maria Maggiore aufbewahrte Bildnis regelmäßig vor und nach Reisen sowie zu Maria Empfängnis am 8. Dezember auf und lässt es häufig zu seinen Liturgien in den Vatikan bringen. Zuletzt war die römische Marienikone zu Fronleichnam hinter dem Papst zu sehen, als dieser zum Abschluss der Prozession vor Santa Maria Maggiore den eucharistischen Segen erteilte.    

„Die wichtigsten Ereignisse des religiösen und zivilen Lebens Roms fanden vor diesem Bild ihren Widerhall“

Seit Jahrhunderten, schreibt Franziskus in seinem Brief, sei das Marienbildnis „in den Herzen der Römer lebendig“, die es bei Seuchen, Naturkatastrophen und Kriegen im Gebet anriefen. „Die wichtigsten Ereignisse des religiösen und zivilen Lebens Roms fanden vor diesem Bild ihren Widerhall“, so der Papst. So hätten sich die Römer auch in ihrer Angst vor der Vernichtung ihrer Stadt durch die nationalsozialistischen Besatzer 1944 der Maria Salus Populi Romani anvertraut.

4. Juni 1944: Kampflose Befreiung Roms

Am 4. Juni 1944 wurde Rom durch US-Truppen als erste Hauptstadt von der nationalsozialistischen Besatzung befreit, anders als befürchtet ohne Kampfhandlungen. Einige Zeitzeugen empfanden es als Wunder, dass die Stadt dabei keine Verwüstungen davontrug, zumal die Amerikaner am 15. Februar Montecassino bombardiert und vollständig zerstört hatten. Der Vatikan und Papst Pius XII. (1939-1958) erwirkten bei Generalfeldmarschall Albert Kesselring, dass Rom zur sogenannten „Offenen Stadt" erklärt wurde. Der Begriff aus dem Kriegsrecht bezeichnet eine Ortschaft, die nicht verteidigt wird und daher nicht angegriffen werden darf. (vn 5)

 

 

 

Papst kündigt Schreiben zum Heiligsten Herzen Jesu an

 

Der Monat Juni ist dem Heiligsten Herzen Jesu gewidmet. Daran erinnerte der Papst in seinem Appell bei der Generalaudienz an diesem Mittwoch auf dem Petersplatz. Mario Galgano – Vatikanstadt

Am 27. Dezember letzten Jahres jährte sich zum 350. Mal die erste Offenbarung des Heiligsten Herzens Jesu an die französische Ordensfrau Margareta Maria Alacoque. „Dieser Anlass war der Beginn einer Zeit der Feierlichkeiten, die am 27. Juni nächsten Jahres enden wird“, so der Papst in seinen Grüßen am Ende der Generalaudienz.

Deshalb lasse er es sich angelegen sein, ein Dokument vorzubereiten, das die Überlegungen früherer Lehramtstexte und eine lange, „bis in die Heilige Schrift zurückreichende Geschichte“ zusammenfasse, um heute der ganzen Kirche diesen Kult „voller geistlicher Schönheit“ neu vorzuschlagen, kündigte der Papst an.

„Ich glaube, es wird uns sehr gut tun, über verschiedene Aspekte der Liebe des Herrn nachzudenken, die den Weg der kirchlichen Erneuerung erhellen können, aber auch einer Welt, die ihr Herz verloren zu haben scheint, etwas Sinnvolles sagen. Ich bitte Sie, mich in dieser Zeit der Vorbereitung im Gebet zu begleiten, in der Absicht, dieses Dokument im kommenden September zu veröffentlichen.“

Das durchbohrte Herz des Gekreuzigten

Die am 22. Juli 1647 in Verosvres im Burgund geborene Margareta Maria Alacoque war Ordensfrau und Mystikerin und wird in der katholischen Kirche als Heilige verehrt. Sie starb am 17. Oktober 1690 in Paray-le-Monial. Am 27. Dezember 1673 hatte Margareta Maria eine Vision, in der Jesus Christus sie beauftragte, sich für die Verehrung seines göttlichen Herzens einzusetzen. In den folgenden eineinhalb Jahren folgten weitere drei Visionen, in denen Jesus Christus ihr auftrug, sie möge sich dafür einsetzen, dass jeder erste Freitag im Monat und der zweite Freitag nach dem Fronleichnamsfest der besonderen Verehrung des Herzens Jesu gewidmet sein solle.

Wie der Papst in der Generalaudienz erwähnte, ist die Verehrung des Heiligsten Herzens Jesu eine Ausdrucksform der katholischen Spiritualität. Dabei wird Jesus Christus unter dem Gesichtspunkt seiner durch sein Herz symbolisierten Liebe verehrt. Der dazugehörige Grundtext aus dem Evangelium ist Joh 19,34 bzw. Joh 7,37?f., in der „das durchbohrte Herz des Gekreuzigten“ als Quelle der Sakramente der Kirche beschrieben wird. (vn 5)

 

 

 

Generalaudienz: Der Heilige Geist macht wirklich frei

 

Für einen Christen bedeutet Freiheit nicht, egoistisch dem eigenen Wollen zu folgen. Sie will vielmehr aus freien Stücken das, was Gott will: dass wir einander in Liebe dienen. Daran erinnerte Franziskus bei seiner Generalaudienz, die er diesen Mittwoch dem Thema „Wo der Geist Gottes ist, da ist Freiheit“ gewidmet hat. Silvia Kritzenberger – Vatikanstadt

 

Zum Auftakt seiner Katechese dachte Papst Franziskus über den Namen des Heiligen Geistes nach, der im Alten Testament „Ruach“ genannt wird, was „Atem, Hauch oder Wind“ bedeutet.

„Das Bild des Windes dient vor allem dazu, die Kraft des göttlichen Geistes auszudrücken,“ führte der Papst aus. „Geist und Kraft oder Kraft des Geistes sind Begriffe, die in der Bibel immer wiederkehren. Schließlich ist der Wind ja auch eine überwältigende und unbezwingbare Kraft, die sogar in der Lage ist, ganze Ozeane aufzuwühlen.“

Die Freiheit, die der Geist schenkt

Ausgehend von dem Jesuswort „Der Wind weht, wo er will; du hörst sein Brausen, weißt aber nicht, woher er kommt und wohin er geht“, betonte das Kirchenoberhaupt, dass sich der Wind nicht zügeln lasse, nicht eingesperrt werden könne. Und Jesus stelle noch ein weiteres Wesensmerkmal des Heiligen Geistes heraus, nämlich seine Freiheit.

„Ein freier Mensch, ein freier Christ, ist einer, der den Geist des Herrn hat,“ so der Papst. „Es ist eine ganz besondere Freiheit, vollkommen anders als das, was man gemeinhin darunter versteht. Es ist nicht die Freiheit, das zu tun, was man will, sondern die Freiheit, frei zu tun, was Gott will! Es ist nicht die Freiheit, Gutes oder Böses zu tun, sondern die Freiheit, das Gute zu tun – und zwar aus freien Stücken, also aus Anziehung, nicht aus Zwang. Mit anderen Worten: es ist die Freiheit von Kindern, nicht von Sklaven.“

Eine Freiheit also, die nicht egoistisch dem eigenen Wollen folge, sondern aus freien Stücken das wolle, was Gott will: dass wir einander in Liebe dienen.

Die falsche Freiheit, die meint, andere ausbeuten zu dürfen...

In Anlehnung an den heiligen Paulus, der die Christen ermahnt, ihre Freiheit nicht zum Vorwand für das Fleisch werden zu lassen, prangerte Franziskus die falsche Freiheit an, „die es den Reichen erlaubt, die Armen auszubeuten, den Starken, die Schwachen auszubeuten, und jedem, die Umwelt ungestraft auszubeuten“.

 „Bitten wir Jesus, dass er uns durch seinen Heiligen Geist zu Männern und Frauen macht, die wirklich frei sind. Frei, um zu dienen, mit Liebe und Freude,“ so der abschließende Wunsch von Papst Franziskus.

Die Würdigung des hl. Bonifatius

In seinen Grußworten an die Pilger deutscher Sprache erinnerte der Papst an den Gedenktag des hl. Bonifatius, Glaubensbote in Deutschland und Märtyrer. Franziskus würdigte ihn mit folgenden Worten:

„Liebe Brüder und Schwestern, heute begeht die Kirche den Gedenktag des heiligen Bonifatius, des Apostels der Deutschen. Dankbar für die lange und segensreiche Geschichte des Glaubens in euren Landen bitten wir den Heiligen Geist, er möge den Glauben, die Hoffnung und die Liebe in euch stets lebendig halten.“ (vaticannews 5)

 

 

 

Papst an Fokolar-Präsidentin: „Ich bete viel für Ihr Heimatland”

 

Franziskus denkt „sehr viel“ an die Menschen aus der Heimat der Fokolar-Präsidentin Margaret Karram. Das bekräftigte er am Montagmorgen während der Audienz mit den Teilnehmern der interreligiösen Konferenz der Fokolarbewegung im Vatikan. Franziskus ermutigte die internationale Bewegung, im Geist der Offenheit weiterzumachen. Die Audienz fand im Rahmen einer Begegnung mit Teilnehmern eines interreligiösen Kongresses der Fokolarbewegung statt.

 

Es sei der Heilige Geist, der Wege des Dialogs und der Begegnung eröffne, die manchmal überraschend seien, erinnerte der Papst während der Audienz an diesem Montag. So sei es geschehen vor mehr als fünfzig Jahren in Algerien, wo eine rein muslimische Gemeinschaft entstand, die sich der Bewegung anschloss. Und so war es auch bei den Begegnungen von Chiara Lubich, der Fokolar-Gründerin, mit den Führern der verschiedenen Religionen, fügte der Papst hinzu und zählte die Gemeinschaften auf, die sich angeschlossen haben: Buddhisten, Muslime, Hindus, Juden, Sikhs und andere. „Ein Dialog, der sich bis heute entwickelt hat, wie Ihre Anwesenheit heute beweist“, sagte der Papst.

Das Fundament, auf dem diese Erfahrung ruhe, sei die Liebe Gottes, die sich in gegenseitiger Liebe, im Zuhören, im Vertrauen, in der Gastfreundschaft und im gegenseitigen Kennenlernen unter voller Achtung der Identität des anderen verwirkliche, erläuterte das katholische Kirchenoberhaupt. Dann erinnerte der Papst: „Im Laufe der Zeit sind Freundschaft und Zusammenarbeit gewachsen in dem Bemühen, gemeinsam auf den Schrei der Armen zu antworten, in der Sorge um die Schöpfung, im Einsatz für den Frieden. Auf diesem Weg haben einige nichtchristliche Brüder und Schwestern die Spiritualität des Werkes Mariens oder einige seiner charakteristischen Züge übernommen und leben sie in ihrem Volk. Mit diesen Menschen gehen wir über den Dialog hinaus, wir fühlen uns als Brüder und Schwestern, wir teilen den Traum von einer geeinteren Welt, in der Harmonie der Vielfalt.“

Das Zeugnis der Fokolarbewegung sei ein Grund zur Freude und ein Grund zum Trost, vor allem in dieser konfliktreichen Zeit, in der die Religion oft instrumentalisiert wird, um Konfrontationen zu schüren. Der interreligiöse Dialog sei im Gegenteil „eine notwendige Bedingung für den Frieden in der Welt und daher eine Pflicht für Christen wie auch für andere Religionsgemeinschaften“, so Franziskus.

Hintergrund

Margaret Karram wurde als katholische Araberin in Haifa geboren. Sie wuchs in einer Familie auf, in der ihr eine große Offenheit für andere Religionen und Kulturen vermittelt wurde. Ihr Vater Boulos Karram war Mitglied des Ritterordens vom Heiligen Grab zu Jerusalem. Am 31. Januar 2021 wurde sie für sechs Jahre zur 3. Präsidentin der Fokolarbewegung gewählt und am 1. Februar 2021 statutengemäß vom Dikasterium für die Laien bestätigt.[3] Sie ist damit die zweite Nachfolgerin von Chiara Lubich, der Gründerin der internationalen, ökumenischen Bewegung und zugleich die erste Nicht-Italienerin in diesem Amt, das laut Statuten grundsätzlich Frauen vorbehalten ist. (vn 3)

 

 

 

"Zukunft hat der Mensch des Friedens"

 

Am 02. Juni ist der Katholikentag 2024 mit einem Abschlussgottesdienst mit 12.000 Gläubigen vor dem Erfurter Dom zu Ende nach fünf Tagen zu Ende gegangen. Unter der Leitwort "Zukunft hat der Mensch des Friedens" nahmen rund 23.000 Teilnehmende in der Landeshauptstadt Thüringens an der 103. Auflage des Deutschen Katholikentages teil, der "kleiner und kompakter" war. ZdK und DBK ziehen ein positives Fazit zum neuen Konzept für den Katholikentag, der das nächste Mal 2026 in Würzburg stattfindet.

Die Veranstalter des 103. Deutschen Katholikentags in Erfurt haben heute bei der Abschluss-Pressekonferenz ein positives Fazit gezogen. Für das Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) betonte Irme Stetter-Karp: "Aus Erfurt komme die Botschaft, miteinander, nicht gegeneinander zu leben, Frieden zu suchen, die Demokratie mit Leben zu füllen". Vor allem aber habe der Katholikentag eine ökumenische Weite gezeigt, die einer Revolution gleichkomme, ergänzte die ZdK-Präsidentin und führte weiter aus, dass der Katholikentag werde künftig an seiner ökumenischen Weite gemessen werde. Deshalb sei es wichtig, „dass wir uns in der katholischen Kirche weiterentwickeln". In Erfurt habe der Katholikentag gezeigt, dass der öffentliche Raum, die Heimat der Demokratie und der Freiheit, auch der Raum der Christen sei „Demokratie und Christsein passen gut zusammen“, machte Stetter-Karp auch bereits beim Abschlussgottesdienst deutlich.

 

Für die Deutsche Bischofskonferenz (DBK) bilanzierte Bischof Georg Bätzing: Auf dem Katholikentag habe es "eine Ortsbestimmung zu innerkirchlichen und gesellschaftlichen Debatten" gegeben. Der DBK - Vorsitzende hob zudem die große Anzahl an Politiker:innen teilgenommen haben. Diese hätten offenbar wahrgenommen, „was wir als Katholiken zu sagen haben". Gleichzeitig sei der Katholikentag aus Sicht von Bischof Bätzing ein „sehr spirituelles Ereignis" und zugleich "ein ökumenischer Kirchentag" gewesen.

Der Geschäftsführer des Katholikentags, Roland Vilsmaier, zeigte sich ebenfalls zufrieden mit dem Ablauf. Der Katholikentag sei „sehr erfolgreich“ gewesen. Rund 20.000 Menschen kauften ein Dauerticket, weitere 3.000 ein Tagesticket. Dazu komme eine ähnlich hohe Zahl, die die öffentlichen Veranstaltungen wie etwa die Kultur- und Musikdarbietungen besucht hätten. So könne insgesamt von geschätzten 40.000 Personen gesprochen werden, die das Programm des Katholikentags verfolgt hätten. "Von den 500 Veranstaltungen seien vor allem die großen gesellschaftspolitischen Podien sehr voll gewesen", so Vilsmaier.

 

Wie geht es mit dem Format des Katholikentages weiter?

Der Katholikentag wird vom Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) organisiert. Dessen Generalsekretär Marc Frings betonte in Erfurt: "Es sei gut gewesen, sich heraus aus der Komfortzone zu bewegen und in die Diaspora zu gehen". Gleichzeitig habe sich auch Sicht des Katholikentages das neue Konzept - Komprimierung der Veranstaltungen, thematische Schwerpunkte, Verkleinerung der Veranstaltungsfläche - ausgezahlt, verdeutlichte Frings.

Der nächste Katholikentag wird vom 13.-17. Mai 2026 in Würzburg stattfinden.

Christian Schnaubelt, explizit.net 3

 

 

 

 

Papst: Begegnung mit Migranten ist Begegnung mit Christus

 

Kirche und Migranten haben einiges miteinander gemein. Das betont Franziskus in seiner Botschaft zum diesjährigen Welttag des Migranten, in der er auf die Parallelen der biblischen Geschichten mit dem Schicksal der heutigen Migranten eingeht und um Gebet für diejenigen einlädt, „die ihre Heimat auf der Suche nach würdigen Lebensbedingungen verlassen mussten“. Dabei schlägt er auch einen Bogen zur aktuellen Weltsynode zur Synodalität.

Franziskus erinnert in seiner Botschaft zum diesjährigen Welttag des Migranten und Flüchtlings auch daran, wie viele religiöse Gegenstände die Migranten auf ihren teils verzweifelten Reise mit sich führen, in der Hoffnung und Gewissheit, in Gesellschaft Gottes zu reisen.

Migration und Synodalität

Direkt zu Beginn seiner Überlegungen verweist Franziskus auf die Synode zur Synodalität, die dazu beigetragen habe, „das Verständnis von Synodalität als ursprünglicher Berufung der Kirche zu vertiefen.“ Diese Erfahrung der synodalen Dimension erlaube es der Kirche, ihr eigenes „Unterwegssein“ wiederzuentdecken, als „migrierendes“ Volk Gottes auf dem Weg zur endgültigen Begegnung mit dem Herrn:

„Ebenso kann man in den Migranten unserer Zeit, wie in denen einer jeden Epoche, ein lebendiges Abbild des Gottesvolkes auf dem Weg in die ewige Heimat sehen“, so Franziskus, der in seiner Botschaft insbesondere auf die Parallelen zwischen dem biblischen Exodus und dem Schicksal der Migranten hinweist: Wie das Volk Israel zur Zeit Moses flöhen Migranten oft vor „Unterdrückung und Übergriffen, vor Unsicherheit und Diskriminierung, vor mangelnden Entwicklungsperspektiven“, ebenso stießen sie auf ihrer Reise auf viele Hindernisse: „Sie sind vor Durst und Hunger erschöpft; sie sind von Mühsal und Krankheit ausgelaugt; sie werden von der Verzweiflung versucht.“

Gott begleitet sein Volk

Doch das Wesentliche des biblischen wie eines jeden Exodus sei, dass „Gott seinem Volk und allen seinen Kindern – aller Zeiten und aller Orte – vorausgeht und sie begleitet“, versichert Franziskus. Eine Gewissheit und Hoffnung, die durch die vielen christlichen Gegenstände bestätigt wird, die Migranten auf ihrem gefährlichen Weg mit sich tragen, gibt der Papst zu bedenken, vielleicht auch eingedenk der von einem Migrantenboot stammenden englischsprachigen Bibel, die ihm 2017 durch Mitglieder der italienischen Katholischen Aktion überreicht wurde und die Franziskus damals sichtlich bewegt geküsst hatte:

„Wie viele Bibeln, Evangelien, Gebetsbücher und Rosenkränze begleiten die Migranten auf ihren Wegen durch Wüsten, Flüsse, Meere und über die Grenzen aller Kontinente!“

„Fühlen wir uns zusammen mit ihnen auf dem Weg, begeben wir uns gemeinsam auf ,Synode‘“

Nicht nur vertrauten sich die Flüchtenden vor ihrer Abreise Gott an, sondern sie riefen ihn auch in Zeiten der Not an, suchten seinen „Trost in Zeiten der Verzweiflung“, erinnert der Papst, der gleichzeitig darauf hinweist, dass dieses Vertrauen nicht vergebens sei: „Dank ihm gibt es entlang des Weges gute Samariter. Ihm vertrauen sie im Gebet ihre Hoffnungen an.“

Gott begleite sein Volk nicht nur, sondern identifiziere sich auch insbesondere mit „den Letzten, den Armen, den Ausgegrenzten“, weshalb eine Begegnung mit Migranten oder Menschen in Not auch eine „Begegnung mit Christus“ darstelle, wiederholt Franziskus eine oft geäußerte Aussage, bevor er abschließend zu Gebet aufruft:

„An diesem Tag, der den Migranten und Flüchtlingen gewidmet ist, beten wir gemeinsam für all jene, die ihre Heimat auf der Suche nach einem Leben in Würde verlassen mussten. Fühlen wir uns zusammen mit ihnen auf dem Weg, begeben wir uns gemeinsam auf ,Synode‘“.

Dabei lädt der Papst nicht dazu ein, für die Menschen auf der Flucht zu beten, sondern schlägt auch ein eigens verfasstes Gebet vor, in dem die zentralen Gedanken seiner Botschaft erneut aufscheinen. (vatican news 3)

 

 

 

„Solidarisch an der Seite der Schutzsuchenden in Ostafrika“

 

Sonderbeauftragter für Flüchtlingsfragen der Deutschen Bischofskonferenz reist nach Kenia

 

Gestern Abend (2. Juni 2024) ist der Sonderbeauftragte für Flüchtlingsfragen und Vorsitzende der Migrationskommission der Deutschen Bischofskonferenz, Erzbischof Dr. Stefan Heße (Hamburg), in der kenianischen Hauptstadt Nairobi eingetroffen. Der Erzbischof wird sich bis zum 8. Juni 2024 in dem ostafrikanischen Land aufhalten, um sich vor Ort über die Situation von Geflüchteten zu informieren.

 

„Der seit Langem anhaltende Bürgerkrieg in Somalia ebenso wie die gewaltsamen Auseinandersetzungen im Südsudan und in weiteren Staaten der Region haben Millionen von Menschen um ihre Heimat gebracht. Allein in Kenia haben fast 800.000 Schutzsuchende Zuflucht gefunden. Hinzu kommen zahlreiche Binnenvertriebene, die vor allem aufgrund von Umweltkatastrophen ihr Zuhause verloren haben. In den nächsten Tagen werde ich in Nairobi, Lodwar und Kakuma Menschen begegnen, die aus unterschiedlichen Gründen auf der Flucht sind. Mit meiner Reise will ich die Aufmerksamkeit auf eine Region lenken, die bei uns oft allzu wenig Beachtung findet. Die Kirche steht solidarisch an der Seite der Schutzsuchenden in Ostafrika“, so der Sonderbeauftragte nach seiner Ankunft.

 

Den Einstieg wird in Nairobi ein Symposium des Katholischen Akademischen Ausländer-Dienstes (KAAD) zu politischen und kirchlichen Perspektiven auf „Flucht und Vertreibung in Kenia“ bilden. Vorgesehen sind zudem Gespräche mit dem Botschafter der Bundesrepublik Deutschland, Sebastian Groth, dem Apostolischen Nuntius in Kenia und im Südsudan, Erzbischof Hubertus Matheus Maria van Megen, dem Erzbischof von Nairobi, Erzbischof Philip Anyolo, und der UNHCR-Vertreterin in Kenia, Caroline van Buren. Ebenso wird der Sonderbeauftragte mit Repräsentanten der Kenianischen Bischofskonferenz und der Vereinigung der Bischofskonferenzen Ostafrikas (AMECEA), mit politischen und zivilgesellschaftlichen Gesprächspartnern sowie mit Mitarbeitern von Hilfsorganisationen zusammenkommen.

 

In Lodwar, der Hauptstadt des von ökologischen und wirtschaftlichen Problemen besonders betroffenen Turkana County, wird Erzbischof Heße einen Einblick in diözesane Hilfsinitiativen bekommen. Gemeinsam mit lokalen Partnern des Jesuiten-Flüchtlingsdienstes und der Salesianer Don Boscos wird der Sonderbeauftragte einen Tag in den Flüchtlingslagern bei Kakuma verbringen, wo mehr als 280.000 Geflüchtete leben. Auch in Nairobi stehen Besuche bei kirchlichen Hilfsinitiativen auf dem Programm, etwa bei Caritaseinrichtungen oder Projekten, die von Misereor oder missio München unterstützt werden. Bei den verschiedenen Stationen seiner Reise wird der Erzbischof die Gelegenheit haben, mit Geflüchteten ins Gespräch zu kommen und mit ihnen Gottesdienste zu feiern.

Die letzten flüchtlingspolitischen Solidaritätsreisen führten Erzbischof Heße nach Griechenland und in die Türkei (2023), nach Polen und in die Ukraine (2022), nach Marokko (2020), Äthiopien (2019), Sizilien (2017) und in den Libanon (2016). Dbk 3

 

 

 

 

Erfurter Katholikentag endet mit Aufruf: „Dem Hass widerstehen!"

 

Mit einem stimmungsvollen Gottesdienst in Erfurt ist am Sonntag der 103. Deutsche Katholikentag zu Ende gegangen, 23.000 Teilnehmende waren zu dem Treffen nach Angaben der Veranstalter gekommen. Vor der imposanten Kulisse des Erfurter Doms sagte der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Georg Bätzing, man denke an die Opfer des Hochwassers in Süddeutschland und fühle sich ihnen besonders verbunden.

 

Katholikentags-Präsidentin Irme Stetter-Karp rief dazu auf, die Würde aller Menschen gegen Angriffe zu verteidigen. Die Botschaft des fünftägigen Treffens sei: „Wir wollen miteinander leben - nicht gegeneinander! Wir wollen den Frieden suchen - und dem Hass widerstehen." Demokratie und Christsein passten gut zusammen. „Was wir hier öffentlich bestärkt haben, muss auch in Zukunft gesagt werden können: Die Würde des Menschen ist unantastbar. Damit das so bleibt, müssen wir den öffentlichen Raum verteidigen."

Bischof Bätzing rief dazu auf, sich durch Krisen nicht entmutigen zu lassen. „Wir werden den Krisen, die unser Zusammenleben und die Zukunft unserer Erde bedrohen, eher etwas entgegenhalten können, wenn wir den entspannten langen Atem des Vertrauens auf Gott mit einbringen." Der Katholikentag habe gezeigt, dass Christinnen und Christen aufstünden, „wenn Antisemitismus und Rassismus versuchen, Raum zu greifen".

„Zukunft hat der Mensch des Friedens“

Im Blick auf Krisen und Kriege stand der Katholikentag unter dem Leitwort „Zukunft hat der Mensch des Friedens". Auch Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier und Kanzler Olaf Scholz (SPD) besuchten das Christentreffen. Der Katholikentag fand zum dritten Mal seit der deutschen Wiedervereinigung in Ostdeutschland statt und erstmals in Erfurt.

Zahlreiche Reden und Diskussionen waren geprägt durch die Europawahl in einer Woche und drei anstehenden Landtagswahlen in Ostdeutschland. Inhaltlich ging es um Themen wie den Aufstieg rechtsextremer Kräfte, die Klimakrise, Gerechtigkeit sowie Kriege in der Ukraine und Gaza.

Der nächste Katholikentag ist 2024 in Würzburg. 2025 lädt die evangelische Kirche zum Kirchentag nach Hannover ein. (kna 2)

 

 

 

Eucharistische Lebenshaltung im Alltag entwickeln

 

Papst Franziskus hat am italienischen Fronleichnamsfest drei grundlegende Dimensionen der Eucharistie herausgearbeitet: Danksagung, Erinnerung und Gegenwart. Bis in den Alltag der Gläubigen hinein buchstabierte er diese drei Aspekte bei einer Heiligen Messe aus; er feierte sie am Sonntagabend in seiner Bischofskirche, der Lateranbasilika. Danach folgte eine feierliche Fronleichnamsprozession nach S. Maria Maggiore. Gudrun Sailer - Vatikanstadt

Als Zelebrant am Altar ließ sich der Papst bei dieser Heiligen Messe von seinem Landsmann Kardinal Víctor Fernández vertreten, dem Präfekten des Dikasteriums für die Glaubenslehre. Die Predigt hielt Franziskus selber und kürzte sie dabei erheblich ein.

Eucharistie lehrt katholische Gläubige, „Gott für seine Gaben zu preisen und sie dankbar anzunehmen, und das nicht nur im Gottesdienst, sondern auch im Leben“, erklärte er eingangs. „Zum Beispiel, indem wir die Dinge und Talente, die der Herr uns gegeben hat, nicht verschwenden. Aber auch, indem wir denen, die aus Schwäche oder Irrtum Fehler machen und fallen, vergeben und sie aufrichten. Denn alles ist Geschenk und nichts darf verloren gehen”, so Franziskus. Es gebe nur eine einzige Situation, in der jemand einen anderen von oben herab anschauen dürfe: indem er dieser Person beim Aufstehen helfe. 

Auch ehrliches und gutes Verhalten am Arbeitsplatz ordnete der Papst in eine eucharistische Form der Danksagung ein. Mit Liebe, Präzision und Sorgfalt verrichtet, sei Arbeit „ein Geschenk und eine Sendung". Das alles seien Beispiele für „eucharistische Haltungen“, die ins Leben übersetzen, „was wir tun und darbringen”, erklärte Franziskus. 

Zweitens: Eucharistie ist Erinnerung

Zweiter Punkt: Eucharistie als Erinnerung. Für das alte Volk Israel habe der gesprochene Lobpreis über das Brot bedeutet, sich an seine Befreiung aus der Sklaverei in Ägypten zu erinnern. Franziskus setzte hier zu einer Betrachtung über Freiheit und Sklaverei heute an. „Es gibt Leute, die sagen, dass derjenige frei ist, der nur an sich selbst denkt, der das Leben genießt und der mit Gleichgültigkeit und vielleicht Überheblichkeit tut, was er will, ohne Rücksicht auf andere. Aber das ist keine Freiheit: das ist versteckte Sklaverei, eine Sklaverei, die uns noch tiefer versklavt“, erklärte der Papst.

 „Freiheit findet man nicht in den Tresoren derer, die möglichst viel für sich selbst anhäufen“

„Freiheit findet man nicht in den Tresoren derer, die möglichst viel für sich selbst anhäufen, und auch nicht auf den Sofas derer, die sich bequem zurücklehnen und dem Individualismus frönen. Freiheit findet man im Abendmahlssaal, dort, wo man sich ohne ein anderes Motiv als das der Liebe vor seinen Brüdern und Schwestern niederbeugt, um ihnen einen Dienst, das eigene Leben anzubieten. Wir tun dies als ,Gerettete´.“

Drittens: Eucharistie ist Gegenwart Gottes

Dritter Punkt: Im eucharistischen Brot ist „Christus wirklich gegenwärtig“, erinnerte der Papst. Diese Gegenwart Gottes lädt Gläubige dazu ein, anderen beizustehen, und zwar allen, die Hilfe brauchen: Einsamen, Flüchtlingen, Bedürftigen aller Art. Die Welt brauche „dieses Brot, seinen Duft und seinen Wohlgeruch, der nach Dankbarkeit, Freiheit und Nähe riecht ... um weiter zu hoffen und unermüdlich das wieder aufzubauen, was der Hass zerstört."

Fronleichnamsprozession: Keine Glaubensdemo, sondern Einladung

Franziskus ging auch auf die Bedeutung der Fronleichnamsprozession ein: Vom Altar aus wird die konsekrierte Hostie durch die Straßen der Stadt getragen. „Wir tun dies nicht, um uns zu präsentieren und auch nicht, um unseren Glauben zur Schau zu stellen, sondern um alle einzuladen, im Brot der Eucharistie an dem neuen Leben teilzunehmen, das Jesus uns geschenkt hat“, erläuterte Franziskus. In diesem Geist bat er die Gläubigen, an der Prozession nach S. Maria Maggiore teilzunehmen. 

Das 87 Jahre alte Kirchenoberhaupt fuhr voran und erwartete die Prozession auf dem Vorplatz der Marienbasilika. Dort war auch die von Franziskus sehr geschätzte Marienikone Salus Populi Romani zur Verehrung ausgestellt, die sonst in einer Kapelle des Basilika verwahrt wird.

Durch die schnurgerade Via Merulana trug der Vizeregent der Diözese Rom, Weihbischof Baldassare Reina, unter dem „Himmel" genannten Baldachin den Leib Christi. Zur Abendstunde hatten sich an beiden Seiten der Straße viele Gläubige zum Mitbeten und Mitsingen eingefunden. Am Ende spendete Franziskus nach einem langen Moment des stillen Gebets den Gläubigen den eucharistischen Segen mit dem Allerheiligsten in der Monstranz. 

Franziskus kehrt zu alter Fronleichnams-Tradition zurück

In Italien wird Fronleichnam aufgrund einer staatlichen Verfügung von 1977 nicht am kirchlichen Festtag, einem Donnerstag, sondern am Sonntag danach gefeiert. Franziskus ist der erste Bischof von Rom, der sich dem italienischen Datum anpasst. 2017 zelebrierte er zum ersten Mal die Fronleichnamsmesse mit Prozession am Sonntag statt am Donnerstag, aber noch am gewohnten Ort im Lateran und S. Maria Maggiore.

2018 verließ der Papst erstmals zu Fronleichnam das Stadtzentrum und feierte die Messe in Ostia, im darauffolgenden Jahr im Vorort Casal Bertone. 2020 und 2021 fand wegen der Corona-Pandemie die Fronleichnamsmesse mit Franziskus im kleinen Kreis im Petersdom statt. Danach musste sie zwei Mal wegen gesundheitlicher Probleme des Papstes entfallen, 2022 wegen Knieschmerzen, 2023 wegen der Bauchoperation in der Gemelli-Klinik. (vn 2)

 

 

 

„Zukunft hat der Mensch des Friedens“. 103. Deutscher Katholikentag in Erfurt beendet

 

Mit einem Gottesdienst ist heute (2. Juni 2024) der 103. Deutsche Katholikentag in Erfurt zu Ende gegangen. Er stand unter dem Leitwort „Zukunft hat der Mensch des Friedens“. Der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zog ein positives Fazit und dankte allen Teilnehmerinnen und Teilnehmern, Gastgebern und den Veranstaltern. „Wir haben in Erfurt erleben dürfen, dass der Glaube – bei allen Herausforderungen – lebendig in diesem Land ist. Der Katholikentag hat gezeigt, dass sich Menschen mit dem Zeugnis ihres Glaubens engagieren: in Politik und Gesellschaft, in vielen Bereichen des täglichen Lebens und auch in der Kirche. Die Tage in Erfurt waren eine sichtbare Ortsbestimmung, wo wir als Kirche derzeit in unseren innerkirchlichen und gesellschaftlichen Debatten stehen. Und der Katholikentag war ein bereicherndes spirituelles Ereignis. Ich bin dankbar, dass es so viele gut besuchte Gottesdienste und ein hervorragend angenommenes Geistliches Zentrum gab“, erklärte Bischof Bätzing. Hochaktuelle Themen hätten den Katholikentag ebenso geprägt wie das Bedürfnis der Teilnehmerinnen und Teilnehmer, ihr Christsein öffentlich zu zeigen und sich zu begegnen. „Die Tage in Erfurt haben außerdem wichtige politische Signale in unser Land gesendet: Es darf keinen Platz für Rechtsradikalismus und Antisemitismus geben. Die Demokratie muss verteidigt und jeden Tag neu gelebt werden. Christinnen und Christen haben gezeigt, wie sie als Staatsbürgerinnen und Staatsbürger unser Land mitgestalten und die Werte des Miteinanders und Zusammenlebens verteidigen wollen und werden.“

Im Abschlussgottesdienst betonte Bischof Bätzing in seiner Dialogpredigt mit der Theologin Dr. Juliane Eckstein von der Katholisch-Theologischen Fakultät der Universität Mainz, dass es auch künftig darum gehen müsse, den Schatz des Glaubens in die Welt zu tragen. Das müsse auch gelingen, bei allen Unzulänglichkeiten, die jeder Mensch mitbringe, so wie es auch Paulus in Damaskus erlebt habe: „Er spürt seine Unzulänglichkeit, seine Grenzen, viel Vergeblichkeit. Von den eigenen Leuten wird er in die Enge getrieben, Erfolge sind selten, Gemeinden Jesu neu zu gründen ist mühsam, Rückschläge machen ihn mürbe“, beschrieb Bischof Bätzing die Lebenserfahrungen des Apostels. Er fügte hinzu: „Die Lage der Kirche heute ist nicht viel anders. Und viele von uns empfinden ähnlich wie Paulus. Aber, gehören nicht Krise und Verlust, Sehnsucht und Verheißung von Anfang an ganz wesentlich zur Kirche dazu? Glaube gibt es nur im Modus der Zerbrechlichkeit. Alle vermeintliche Sicherheit, alle vor uns hergetragene Arroganz, alle unumstößlichen Klarheiten zerschellen, müssen zerbersten, weil Gott Gott bleibt.“ Der in der Bibel beschriebene Schatz in zerbrechlichen Gefäßen sei „ein realistisches Bild, eine echte Herausforderung für die Kirche unserer Tage.“

Juliane Eckstein erinnerte daran, dass der Apostel Paulus ein anderes Bild von Mission zeichne, „als das, von dem die vielen Burgen hier in der Umgebung von Erfurt zeugen. Einige waren sicher schon einmal auf der Wartburg in Eisenach. Viele sind vom Mittelalter begeistert, von den Rittern und Burgfräulein, was ich gut nachempfinden kann. Und gleichzeitig herrscht ein Riesenkontrast zwischen Paulus und mittelalterlichen Chroniken. In denen werden Ritter dafür bewundert, dass sie das Christentum mit Kraft verbreiten; mit Kühnheit, Ehrgeiz, Grausamkeit.“ Bischof Bätzing fügte hinzu, dass diese Zeiten gottlob vorbei seien: „Auch, wenn wir weniger werden: Es ist gut, dass sich Menschen heute frei für Gott und den Glauben entscheiden – oder ihren Weg anders wählen“. Es gehörte zur Kostbarkeit des Glaubens dazu, dass er entlaste: „Wir werden den Krisen, die unser Zusammenleben und die Zukunft unserer Erde bedrohen, eher etwas entgegenhalten können, wenn wir den entspannten langen Atem des Vertrauens auf Gott mit einbringen. Ja, auch in dieser Hinsicht gilt: Zukunft hat der Mensch des Friedens.“

Der 104. Deutsche Katholikentag findet vom 13. bis 17. Mai 2026 in Würzburg statt.

Hinweis: Die Dialogpredigt von Bischof Dr. Georg Bätzing und Dr. Juliane Eckstein im Abschlussgottesdienst des 103. Deutschen Katholikentages 2024 ist unter www.dbk.de verfügbar. Weitere Informationen zum Katholikentag unter www.katholikentag.de.  Dbk 2

 

 

 

Bischof Jung: „Katholikentag darf keine Blase sein“

 

Ein Bischof schaut sich in Erfurt besonders genau um: Franz Jung. Der Würzburger Bischof richtet nämlich den nächsten Katholikentag aus, in zwei Jahren. Wir sprachen mit ihm darüber, was er anders und was er genauso machen will wie die Thüringer.

Interview

Herr Bischof, was werden Sie in Würzburg anders machen, und was werden Sie genauso machen?

„Also ich hoffe, dass in Würzburg genauso ein großes Fest der Begegnung und der Freude stattfinden wird, wo man sich im Glauben bestärkt und natürlich auch über die aktuellen Themen diskutiert. Aber natürlich ist das Setting ein ganz anderes, und das ist, glaube ich, sehr spannend – jetzt noch mal den Vergleich zwischen Erfurt und Würzburg. Wir haben in Würzburg eben eine lange, lange katholische Tradition, wir sind ein Bistum mit vielen Traditionen, ein Wallfahrtsbistum, wir haben viele Menschen, die sich engagieren in der Stadt, in Ordensgemeinschaften, in den Verbänden, in den Studentenverbindungen (ein ganz wichtiger Faktor in unserer Stadt), und von daher bin ich mal gespannt. Auch, inwiefern das Gepräge dann auch ein anderes sein wird.“

Ein Ortsbischof von weiter nördlich hat mir gesagt (aber nicht ins Mikrofon): ‚Das ist ja eine Blase hier; also, bei mir wird sicher demnächst kein Katholikentag stattfinden, das muss sich alles grundlegend ändern‘.

„Dass das eine Blase hier sei, würde ich jetzt nicht sagen. Also, es ist eigentlich alles da, was die katholische Welt zu bieten hat an Verbänden, an Auffassungen theologischer Art, es wird gebetet, es wird diskutiert. Ich glaube, das ist das große Gut eines solchen Katholikentages, und es wäre schade, wenn es zur Blase käme. Ich glaube, dem sollten wir wehren - auf dass wirklich jeder eine Stimme hat und auf dass man sich hier miteinander im Austausch auch noch mal fragt ‚Was sind deine Quellen, und wie soll Kirche sich weiterentwickeln? Sie wird sich weiterentwickeln – hier im Osten dramatisch, bei uns auch, natürlich im Umbruch…“

„Frauen-Diakonat: Eine notwendige Diskussion“

Viel gesprochen wurde in letzter Zeit über das Thema Frauendiakonat – nach diesem Nein des Papstes, das etwas abrupt in einem Interview von ihm kam. Wie stehen Sie dazu?

„Also natürlich ist dieses Nein in dem Interview, das kann ich nachvollziehen, für viele Leute verstörend. Wieso gibt es jetzt eine dritte Studiengruppe? Wieso gibt es eine nächste Weltsynode und dann noch mal ein Jahr 2025, in dem diese Ergebnisse vorgelegt werden sollen? Und wieso heißt es jetzt abrupt Nein? Also dann fragt man sich natürlich: Ja, was soll das dann insgesamt? Von daher kann ich die Irritation über diese Äußerung durchaus nachvollziehen. Ich glaube, es ist eine notwendige Diskussion, die wir führen sollten. Ich glaube auch, dass es ein Schritt wäre, der uns weiterführen könnte und jetzt auch nach einem Besuch, den ich kürzlich bei unseren weltkirchlichen Partnern gemacht habe, sehr interessant ist. Die haben ja damals von der Möglichkeit des Ständigen Diakonats für Männer kaum Gebrauch gemacht. Das heißt, man hat ein Amt geschaffen, hat es aber dann doch der Ortskirche überlassen, dieses Amt einzuführen oder nicht. Das finde ich ein sehr interessantes Modell, darüber habe ich oft nachdenken müssen aufgrund dieser kirchlichen Erfahrung. Warum könnte das nicht auch hier in diesem Fall so sein, dass eine Möglichkeit eines Amtes geschaffen wird, aber der Ortskirche dann die Freiheit gelassen wird, diese Karte zu ziehen oder nicht? Ich fand, das ist eine sehr interessante Parallele. Das hat mir sehr zu denken gegeben.“ (vn 1)

 

 

Papst an die Acli: Treue zur Demokratie und Friedenstiftung sind notwendig

 

„Die Loyalität zur Demokratie war schon immer ein Markenzeichen der christlichen Gewerkschaften. Heute brauchen wir diesen Einsatz umso mehr. Demokratisch ist die Gesellschaft, in der es wirklich einen Platz für jeden gibt, in der Realität und nicht nur in Erklärungen und auf dem Papier.“ Mit diesen Worten empfing Papst Franziskus an diesem Samstagmorgen die ACLI (Italienische Christliche Arbeitnehmervereinigungen) in Audienz anlässlich ihres 80-jährigen Bestehens. Mario Galgano - Vatikanstadt

In seiner Ansprache hob der Papst die Bedeutung der Arbeit der katholischen Gewerkschaften hervor, die „vor allem zur Unterstützung derjenigen geleistet wird, die Gefahr laufen, an den Rand gedrängt zu werden: junge Menschen, für die die Berufsbildungsinitiativen besonders bestimmt sind; Frauen, die oft weiterhin unter Formen der Diskriminierung und Ungleichheit leiden; die schwächsten Arbeitnehmer und Migranten, die in den ACLI jemanden finden, der ihnen helfen kann, die Achtung ihrer Rechte zu erlangen; und schließlich die älteren Menschen und die Rentner, die sich nur allzu leicht von der Gesellschaft ‚ausrangiert‘ fühlen, was eine Ungerechtigkeit ist. Für diese Menschen leisten Sie einen wichtigen Dienst, der nicht nur im Bereich der Hilfeleistung bleiben darf, sondern die Würde jedes Einzelnen und die Möglichkeit jedes Einzelnen, seine eigenen Ressourcen und seinen eigenen Beitrag einzubringen, fördern muss“.

Papst: Krieg ist nie „unvermeidlich“, Frieden immer möglich

In einer Welt, „die durch so viele Kriege blutig ist“, wisse er, dass er mit den katholischen Verbänden „das Engagement und das Gebet für den Frieden“ teile. Deshalb sage er seinen Gästen mit Frohmut: „Lasst uns alle die Stimme einer Kultur des Friedens sein, ein Raum, in dem bekräftigt wird, dass Krieg niemals 'unvermeidlich' ist, während Frieden immer möglich ist; und dass dies sowohl in den Beziehungen zwischen den Staaten als auch im Leben der Familien, der Gemeinschaften und am Arbeitsplatz gilt.“

Es sei jedem offensichtlich, „dass unsere Welt von Konflikten und Spaltungen geprägt ist“, und deshalb sei das „Zeugnis als Friedensstifter, als Fürsprecher für den Frieden“ derzeit so notwendig und wertvoll „wie eh und je“, so Franziskus weiter.

„Derjenige baut den Frieden, der es versteht, eine klare Position zu beziehen, sich aber gleichzeitig bemüht, Brücken zu bauen, den verschiedenen beteiligten Parteien zuzuhören und sie zu verstehen, indem er den Dialog und die Versöhnung fördert“, fügte er hinzu. „Für den Frieden einzutreten ist etwas, das weit über einen bloßen politischen Kompromiss hinausgeht, denn es erfordert, sich selbst aufs Spiel zu setzen und ein Risiko einzugehen.“ (vn 1)

 

 

 

Anselm Grün: Ein Signal der Hoffnung

 

Anselm Grün hofft, dass der Erfurter Katholikentag ein Signal der Hoffnung und der Versöhnung in die deutsche Gesellschaft hineinfunkt. Das sagte der Benediktiner und Bestsellerautor bei einem Besuch am Radio-Vatikan-Stand in Erfurt.

Das „Eigentliche des Katholikentages“ besteht aus seiner Sicht darin, „dass die Menschen eine Stärkung des Glaubens bekommen“. In dieser Hinsicht sei der Katholikentag wichtig. „Denn heute gibt es fast eine Scham in der Gesellschaft, davon zu sprechen, dass ich katholisch bin…“

Interview

Pater Anselm, Sie sind einer der großen Bestsellerautoren im spirituell-religiösen Bereich und erleben hier einen Katholikentag, dem viele vorwerfen: Das ist zu politisch, das ist nicht religiös genug, da kommt der Glaube zu wenig vor. Was ist denn Ihr Eindruck?

„Ich bin nicht so lange beim Katholikentag, aber ich gehe vor allem zu diesen Menschen, die spirituell sehr offen sind und interessiert. Die Presse betont immer die politischen Aspekte, aber das Eigentliche des Katholikentages ist, dass die Menschen eine Stärkung des Glaubens bekommen. Und das finde ich eine wichtige Aufgabe! Denn heute gibt es fast eine Scham in der Gesellschaft, davon zu sprechen, dass ich katholisch bin, und da brauchen die Menschen Ermutigung und Gemeinschaft. Hier sind ganz viele Menschen, die lebendig sind, die offen sind und die katholisch sind – das gibt einfach eine Stärkung. Und ich denke: Dass die politischen Fragen nicht ausgeklammert werden, ist wichtig. Aber bei den politischen Fragen besteht immer die Gefahr, dass man nur eine Show macht…“

„Der Antisemitismus erstarkt immer dann, wenn die Menschen ihre eigenen Probleme nicht selber anschauen, sondern sie auf andere projizieren“

Welches Signal sollte aus Ihrer Sicht von Erfurt in die deutsche Gesellschaft ausgehen?

„Ein Signal von Hoffnung – dass wir Hoffnung haben für unsere Gesellschaft. Und ein Signal der Versöhnung – dass wir in dieser polarisierten Gesellschaft ein Sauerteig der Versöhnung sind. Da hat die Kirche sicher in allen Gemeinden eine ganz wichtige Aufgabe, Menschen verschiedener Kulturen zusammenzubringen und ein Sauerteig der Hoffnung und der Versöhnung zu sein.“

Hoffnung und Versöhnung sind sehr sperrige Begriffe in einem Moment, wo man diskutiert, welche Waffen man wohin liefern sollte, mit welcher Reichweite, oder in dem auch der Antisemitismus in Deutschland auf einmal wieder überraschend stark ist.

„Der Antisemitismus erstarkt ja immer dann, wenn die Menschen ihre eigenen Probleme nicht selber anschauen, sondern sie auf andere projizieren. Und da ist es ganz wichtig, dagegen anzugehen. Zu den Waffenlieferungen: Das ist sicher ein schwieriges Thema. Es ist immer besser, zu verhandeln und Frieden zu stiften. Aber gegenüber einem Aggressor, der kein Maß findet, muss man auch Grenzen setzen, sonst würde man dem Bösen einfach Raum lassen. Das ist sicher nicht im Sinne der christlichen Botschaft.“ (stefan v. kempis, vn 1)