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    Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania  - redazione: T. Bassanelli    - Webmaster: A. Caponegro  IMPRESSUM

 

Notiziario religioso 16-30 settembre 2023

 

Inhaltsverzeichnis

1.     Domenica 24 settembre, Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Il Messaggio di Papa Francesco. 1

2.     Senza Preghiera non ci sarà Sinodo. Lettera del Cardinal Grech ai vescovi di tutto il mondo. 1

3.     In Germania la Marcia per la Vita raddoppia: a Berlino e a Colonia. 1

4.     A 30 anni dal martirio di don Pino Puglisi. Deliziosi (allievo e biografo): “Un ‘prete di strada’ nel solco di Papa Francesco”. 1

5.     Domenica 17 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento dei sacerdoti 1

6.     Preghiera per la pace: “Cadano presto i muri per i migranti che fuggono dalle guerre”. 1

7.     Vangelo Migrante: XXIV Domenica del tempo Ordinario (Vangelo Mt 18,21-35) 1

8.     Una comunità da ascoltare. “I mass media sanno ascoltare la Chiesa?”. 1

9.     La regola di San Francesco compie 800 anni 1

10.  La Bibbia di Gutenberg in Orbita nello spazio con Ax- 3. 1

11.  Papa Francesco: "Non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro". 1

12.  Beatificazione della famiglia Ulma. “Una famiglia unita a Cristo nella testimonianza”. 1

13.  Centenario della nascita. La lezione di don Milani 1

14.  Papa Francesco: "Il chiacchiericcio è una peste". 1

15.  Il no delle religioni alla guerra: a Berlino l’incontro internazionale per la pace. 1

16.  Apostolato del mare: la fraternità per sovvertire una cultura che condanna alla solitudine. 1

17.  Sisma in Marocco, l’aiuto della Chiesa. Si mobilita la Caritas Italiana. 1

18.  Papa Francesco: "Lo Spirito Santo ci fa protagonisti del sogno di Dio". 1

19.  Invasione russa. Papa Francesco ai vescovi greco-cattolici (Ugcc): “Sono con il popolo ucraino”. 1

20.  Papa in Mongolia: un Paese che può svolgere “un ruolo importante per la pace”. 1

21.  Tenuto il Convegno Nazionale dei Laici. Per essere Chiesa sinodale. 1

22.  Ritrovati alcuni elenchi dei rifugiati negli istituti religiosi di Roma per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste. 1

23.  Recensione. Un inno alla teologia. 1

24.  Entrare nella logica di Dio. XXII Domenica del Tempo Ordinario. 1

25.  Rabat. Una strana, immensa compassione. 1

26.  È morto don Milella, fondatore della ex-Missione di Remscheid. 1

27.  Mantova: sarà intitolata a papa Pio X la stazione ferroviaria da dove partivano i migranti italiani 1

28.  Festival Torino Spiritualità 2023. Un viaggio nel mistero del Dopo che dà senso al Presente. 1

 

 

1.     673 Millionen Euro für weltweite Hilfsarbeit der katholischen Kirche. Jahresbericht Weltkirche 2022 veröffentlicht. 1

2.     30 Jahre Renovabis: Hilfswerk im Angesicht des Ukraine-Kriegs. 1

3.     Synodenberaterin: Eine hörende Kirche geht einer lehrenden Kirche voraus. 1

4.     Jüdisches Neujahrsfest Rosch haSchana. Bischof Bätzing betont positive Entwicklung im christlich-jüdischen Dialog. 1

5.     Friedenstreffen in Berlin: „Schritt für Schritt“ für Dialog. 1

6.     Papst an Friedenstreffen: „Mauer des Unmöglichen überwinden". 1

7.     Schweiz: Kein Zusammenhang zwischen Pilotstudie und Vorwürfen gegen Bischöfe. 1

8.     Steinmeier: „Religion darf niemals die Rechtfertigung von Hass und Gewalt sein. 1

9.     Wechsel in der Leitung der deutschsprachigen Pilgerseelsorge in Rom. Pfarrer Christian Böck folgt auf Pfarrer Werner Demmel 1

10.  Papst: Leben darf nicht für Profit gehandelt werden. 1

11.  Begegnung zwischen dem Vorsitzenden der DBK und dem Großimam der ägyptischen al-Azhar 1

12.  Italien: Bekannter Mönch gründet neue Gemeinschaft. 1

13.  Sant’Egidio-Friedenstreffen in Berlin. 1

14.  Internationales Friedenstreffen in Berlin eröffnet 1

15.  Herzlichen Glückwunsch, „Tagespost“!. 1

16.  Synode: Erste Generalversammlung wird live übertragen. 1

17.  Herbst-Vollversammlung der Deutschen Bischofskonferenz vom 25. bis 28. September 2023 in Wiesbaden-Naurod. 1

18.  Ukrainischer Weihbischof: „Papst hat uns gut zugehört“. 1

19.  Die Generation Z will kein Christentum mehr 1

20.  Emirate: Gastgeber eines globalen Gipfels für Glaubensführer. 1

21.  Kardinal Reinhard Marx zum Welttag der sozialen Kommunikationsmittel 1

22.  Liste aufgetaucht: Kirche versteckte tausende Verfolgte in Rom.. 1

23.  Papst nach Mongolei-Reise: Gut, mit Asien in Dialog zu treten. 1

24.  Vatikan/Ukraine: Fruchtbarer Austausch. 1

25.  Papst Franziskus: „Synode ist kein TV-Programm“. 1

26.  Europas Bischöfe erinnern an einen der Gründerväter der EU.. 1

27.  D: Fusion von Kirchengemeinden kann teuer werden. 1

28.  D: Mehr Taufen, Erstkommunionen und Hochzeiten in der Kirche. 1

29.  Ordensfrau Philippa Rath erhält Edith-Stein-Preis. 1

 

 

 

 

Domenica 24 settembre, Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Il Messaggio di Papa Francesco

 

La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato viene celebrata ogni anno all’ultima domenica di settembre. Quest’anno quindi il 24 settembre. Il titolo scelto dal Santo Padre per il suo messaggio è “Liberi di scegliere se migrare o restare”, messaggio già diffuso in maggio e che qui riprendiamo integralmente

 

Cari fratelli e sorelle!

I flussi migratori dei nostri giorni sono espressione di un fenomeno complesso e articolato, la cui comprensione esige l’analisi attenta di tutti gli aspetti che caratterizzano le diverse tappe dell’esperienza migratoria, dalla partenza all’arrivo, incluso un eventuale ritorno. Con l’intenzione di contribuire a tale sforzo di lettura della realtà, ho deciso di dedicare il Messaggio per la 109a Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato alla libertà che dovrebbe sempre contraddistinguere la scelta di lasciare la propria terra.

“Liberi di partire, liberi di restare”, recitava il titolo di un’iniziativa di solidarietà promossa qualche anno fa dalla Conferenza Episcopale Italiana come risposta concreta alle sfide delle migrazioni contemporanee. E dal mio ascolto costante delle Chiese particolari ho potuto comprovare che la garanzia di tale libertà costituisce una preoccupazione pastorale diffusa e condivisa.

«Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). La fuga della Santa Famiglia in Egitto non è frutto di una scelta libera, come del resto non lo furono molte delle migrazioni che hanno segnato la storia del popolo d’Israele. Migrare dovrebbe essere sempre una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è. Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di persone a partire. Già nel 2003 San Giovanni Paolo II affermava che «costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati, significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria» (Messaggio per la 90a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 3).

«Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti» (Gen 46,6). È a causa di una grave carestia che Giacobbe con tutta la sua famiglia fu costretto a rifugiarsi in Egitto, dove suo figlio Giuseppe aveva assicurato loro la sopravvivenza. Persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria sono tra le cause più visibili delle migrazioni forzate contemporanee. I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune.

«Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). L’ideale della prima comunità cristiana pare così distante dalla realtà odierna! Per fare della migrazione una scelta davvero libera, bisogna sforzarsi di garantire a tutti un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale. Solo così si potrà offrire ad ognuno la possibilità di vivere dignitosamente e realizzarsi personalmente e come famiglia. È chiaro che il compito principale spetta ai Paesi di origine e ai loro governanti, chiamati ad esercitare la buona politica, trasparente, onesta, lungimirante e al servizio di tutti, specialmente dei più vulnerabili. Essi però devono essere messi in condizione di fare questo, senza trovarsi depredati delle proprie risorse naturali e umane e senza ingerenze esterne tese a favorire gli interessi di pochi. E lì dove le circostanze permettano di scegliere se migrare o restare, si dovrà comunque garantire che tale scelta sia informata e ponderata, onde evitare che tanti uomini, donne e bambini cadano vittime di rischiose illusioni o di trafficanti senza scrupoli.

«In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà» (Lv 25,13). La celebrazione del giubileo per il popolo d’Israele rappresentava un atto di giustizia collettivo: tutti potevano «tornare nella situazione originaria, con la cancellazione di ogni debito, la restituzione della terra, e la possibilità di godere di nuovo della libertà propria dei membri del popolo di Dio» (Catechesi, 10 febbraio 2016). Mentre ci avviciniamo al Giubileo del 2025, è bene ricordare questo aspetto delle celebrazioni giubilari. È necessario uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra. Si tratta di un diritto non ancora codificato, ma di fondamentale importanza, la cui garanzia è da comprendersi come corresponsabilità di tutti gli Stati nei confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali. Infatti, poiché le risorse mondiali non sono illimitate, lo sviluppo dei Paesi economicamente più poveri dipende dalla capacità di condivisione che si riesce a generare tra tutti i Paesi. Fino a quando questo diritto non sarà garantito – e si tratta di un cammino lungo – saranno ancora in molti a dover partire per cercare una vita migliore.

«Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Queste parole suonano come monito costante a riconoscere nel migrante non solo un fratello o una sorella in difficoltà, ma Cristo stesso che bussa alla nostra porta. Perciò, mentre lavoriamo perché ogni migrazione possa essere frutto di una scelta libera, siamo chiamati ad avere il massimo rispetto della dignità di ogni migrante; e ciò significa accompagnare e governare nel miglior modo possibile i flussi, costruendo ponti e non muri, ampliando i canali per una migrazione sicura e regolare. Ovunque decidiamo di costruire il nostro futuro, nel Paese dove siamo nati o altrove, l’importante è che lì ci sia sempre una comunità pronta ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti, senza distinzione e senza lasciare fuori nessuno.

Il percorso sinodale che, come Chiesa, abbiamo intrapreso, ci porta a vedere nelle persone più vulnerabili – e tra questi molti migranti e rifugiati – dei compagni di viaggio speciali, da amare e curare come fratelli e sorelle. Solo camminando insieme potremo andare lontano e raggiungere la meta comune del nostro viaggio. Papa Francesco

 

 

 

Senza Preghiera non ci sarà Sinodo. Lettera del Cardinal Grech ai vescovi di tutto il mondo

 

Con una lettera indirizzata ai vescovi ed eparchi di tutto il mondo, il cardinale Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo, invita i fedeli di tutto il mondo a partecipare con la preghiera alla XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si aprirà in Vaticano il prossimo 4 ottobre.

 

Con questa lettera il Segretario Generale intende ricordare che l’Assemblea sinodale è innanzitutto un evento spirituale, di preghiera e di ascolto dello Spirito Santo, vero protagonista dell’evento. Per facilitare la partecipazione e sollecitare il sostegno con la preghiera dei membri dell’assemblea da parte delle comunità locali, la Segreteria Generale del Sinodo ha preparato una “Benedizione Solenne” da recitare, in particolare, al termine delle Messe domenicali insieme a delle preghiere di intercezioni. L’originale latino è allegato (le traduzioni sono solo documenti di lavoro per facilitare le Chiese locali).

 

Nel rispetto della ricchezza della tradizione liturgica delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, la lettera è stata spedita anche ai responsabili di quelle Chiese con la richiesta di realizzare una simile benedizione e intercessioni nelle Divine Liturgie.

 

L’appello del cardinale Grech si inserisce in una serie di iniziative volte a ricordare il carattere eminentemente spirituale dell’assise sinodale e a promuovere la partecipazione di tutto il Popolo di Dio attraverso la preghiera, tra le quali ricordiamo: 

* la realizzazione già nel 2021 di un sito (www.prayforthesynod.va) realizzato in collaborazione con la Rete Mondiale di Preghiera del Papa e l’UISG (Unione Internazionale delle Superiore Generali) che propone ogni primo lunedì del mese un tempo di preghiera specifico per il Sinodo;

* la Veglia Ecumenica di Preghiera (www.together2023.net) del prossimo 30 settembre alla Vigilia del Sinodo trasmessa in Live streaming a partire dalle ore 16.30 sui canali di vaticannews (vaticannews.va);

* un ritiro spirituale per i membri dell’assemblea previo all’apertura dei lavori (1-3 ottobre 2023).  Uff.St.Sinodo 15

 

 

 

 

In Germania la Marcia per la Vita raddoppia: a Berlino e a Colonia

 

La Marcia per la Vita raddoppia. L’ormai tradizionale appuntamento con la più importante manifestazione tedesca in difesa della vita, dal suo concepimento alla sua fine naturale, si svolgerà quest’anno per la prima volta dalla sua istituzione nel 2002 in due città contemporaneamente. Per manifestare contro aborto, utero in affitto e suicidio assistito, il popolo pro-life si incontrerà infatti alle ore 13 di oggi sabato 16 settembre alla Porta di Brandeburgo a Berlino, città che tradizionalmente ospita l’evento, e alla stessa ora a Colonia nella piazza del mercato Heumarkt. Quest’anno il motto della Marcia sarà «Einzigartig. Leben wagen» (“Unico. Osa vivere”).

Dal 2020 il numero di partecipanti è in costante crescita, nonostante le restrizioni legate alla prevenzione del corona virus. Ben 4.800 persone hanno partecipato all’edizione 2022, e già almeno 4.000 se ne prevedono per questa diciannovesima edizione. A Berlino la giornata della vita sarà aperta da due messe. La celebrazione cattolica sarà presieduta alle ore 10 nella chiesa di St. Marien Am Behnitz dal vescovo ausiliare di Augusta, monsignor Florian Wörner. Quella cristiana evangelica si svolgerà nella chiesa luterana di Annenstraße 53.

Il vescovo di Ratisbona, monsignor Rudolf Voderholzer, un convinto partecipante alle edizioni precedenti, ha già annunciato la sua adesione alla Marcia e ha criticato la scarsa copertura mediatica che questi eventi in favore della vita ricevono solitamente. In un’intervista all’emittente televisiva cattolica K-TV il presule ha detto che «se 20 persone manifestano da qualche parte per il clima, allora questo finisce subito sui media. Se 7.000 persone si battono per il diritto alla vita dei non-nati, e non manifestano contro qualcosa, ma per la vita, allora bisogna essere contenti se appare in qualche nota a margine». Il vescovo Voderholzer ha invitato a non dipendere dalle percezioni esterne, ma a fare ciò che si ritiene giusto "qui e ora": «Non sta a noi raccogliere, ma dobbiamo seminare. Dobbiamo testimoniare ciò che è buono e poi vedremo cosa porterà alla fine».

Il vescovo di Ratisbona è intervenuto poi anche sulle dinamiche parlamentari dello scorso luglio, quando il Bundestag di Berlino ha bocciato due proposte di legge per regolamentare il suicidio assistito. Il presule si è rallegrato del fatto che i parlamentari tedeschi non abbiano approvato una legge che avrebbe fatto “normalizzato” il suicidio assistito. Voderholzer ha sostenuto che i tabù dovrebbero continuare a essere mantenuti: «Dio il Creatore è il Signore della vita e della morte, non noi umani. C'è bisogno di una grande riverenza e di una cultura della vita, che dobbiamo opporre a una cultura della morte».

Parole di incoraggiamento e di augurio vengono anche da altre diocesi tedesche. Il vescovo di Speyer, Karl-Heinz Wiesemann, e l'arcivescovo di Friburgo, Stephan Burger, esprimono per iscritto il loro sostegno alla Marcia per la Vita. Il vescovo Wiesemann ha ringraziato per l'impegno pubblico e le cure amorevoli date ogni anno a tante persone malate. L'arcivescovo Burger scrive invece che «schierarsi a favore della vita significa vedere la vita di ogni essere umano, prendere in considerazione le paure e le difficoltà, accompagnare e non condannare».

Anche il parlamentare dell’unione Cristiano Democratica Volkmar Klein ha mandato una lettera di auguri a tutti i partecipanti alla Marcia. «È bello che quest'anno siate contemporaneamente in due grandi città, Berlino e Colonia, per schierarvi con coraggio a favore della tutela della vita. In questo modo le voci saranno più forti e più numerose, parlando per coloro che non possono ancora parlare da soli».

La Marcia per la Vita è organizzata dall’Associazione federale per il Diritto alla vita (Bundesverband Lebensrecht), un'associazione di organizzazioni tedesche per il diritto alla vita il cui obiettivo è proteggere il diritto alla vita di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale.

La Marcia per la Vita sarà seguita in diretta dall’emittente televisiva EWTN a partire dalle ore 12.30. Giacomo König, aci/dip

 

 

 

 

A 30 anni dal martirio di don Pino Puglisi. Deliziosi (allievo e biografo): “Un ‘prete di strada’ nel solco di Papa Francesco”

 

Il giornalista, autore di alcune pubblicazioni sul sacerdote ucciso dalla mafia, lo racconta al Sir anche alla luce della propria esperienza personale, dai tempi del liceo fino al giorno della morte: "Era consapevole anche di rischiare la vita, però non volle andarsene. Rimase a Brancaccio con la sua missione" – di Filippo Passantino

 “A 30 anni dalla sua uccisione penso che sia il momento di superare gli stereotipi e vedere concretamente cosa don Puglisi faceva. Perché si è detto tante volte che, andando incontro ai ragazzini per strada, toglieva manovalanza alla mafia. Ma ci sono anche tanti gesti concreti che vorrei ricordare e che, in qualche modo, sono anche profetici. Uno di questi è diventato anche di grandissima attualità e riguarda il percorso delle processioni, che in passato a volte erano occasioni di omaggio ai boss”. Così Francesco Deliziosi, giornalista, caporedattore del Giornale di Sicilia, ricorda al Sir don Pino Puglisi, a 30 anni dal martirio. Un legame stretto lo unisce al sacerdote ucciso dalla mafia. Ne è stato allievo al liceo e poi lo ha seguito nel periodo di servizio sacerdotale a Brancaccio. Don Puglisi ha anche celebrato il suo matrimonio. Negli ultimi anni, Deliziosi ha scritto la biografia di 3P (“Il prete che fece tremare la mafia con un sorriso”) e ne ha raccolto i testi in un’altra pubblicazione, dal titolo “Se ognuno fa qualcosa si può fare molto”.

Chi era don Pino Puglisi per il quartiere di Brancaccio?

A Brancaccio lui era nato, in un cortiletto nella zona più povera del quartiere. Quindi, non era uno sconosciuto. Nell’ottobre del ’90 accetta la nomina a parroco, lasciando a malincuore il lavoro che aveva fatto negli anni ’80 per il Centro diocesano vocazioni, dove era responsabile a Palermo. Il cardinale Pappalardo l’aveva nominato lì ed era molto contento del suo lavoro. Lo stesso cardinale però lo deve indirizzare al nuovo incarico perché ben sei sacerdoti erano stati contattati dalla Curia dell’epoca e avevano rifiutato di andare a Brancaccio. Puglisi quindi capisce anche il problema del suo vescovo e per obbedienza e per amore del suo quartiere accetta.

Cosa ricordi di quel momento?

Un giorno mi disse che era diventato parroco di Brancaccio ‘a modo suo’, con una battuta. In quell’occasione, ci incontrammo nella portineria del Giornale di Sicilia e mi riferì di essere diventato il ‘parroco del papa’. Lì per lì lo guardai interdetto come a volergli chiedere ‘Che vuoi dire?’. E poi lui mi spiegò con un sorriso dei suoi che, controllando i registri parrocchiali, aveva visto che Michele Greco, il boss dell’epoca, era tra i suoi parrocchiani. Michele Greco amava anche definirsi il ‘papa della mafia’. Quindi, lui sapeva benissimo chi era Michele Greco, chi erano i fratelli Graviano. Ma va a Brancaccio consapevole di una missione difficile. E lui nel quartiere è conosciuto e ha già un suo background. Non era certo un don Chisciotte, che non aveva capito a cosa andava incontro.

C’è un evento in cui ciò diventa ancora più chiaro?

A un certo punto Puglisi diventa anche consapevole di rischiare la vita. Non c’è dubbio. Perché subì tante minacce a partire dal maggio ’93. Proprio il giorno dopo che aveva organizzato una manifestazione per ricordare Giovani Falcone, venne bruciato il portone della chiesa di cui era parroco. Da lì a poco tempo ricevette anche lettere con minacce di morte e telefonate anonime. Io e mia moglie, Maria, gli avevamo regalato una segreteria telefonica per il compleanno, che era il 15 settembre. Purtroppo però non gli hanno dato il tempo di utilizzarla. Il regalo era finalizzato proprio a poter filtrare le chiamate ed evitare queste telefonate in piena notte con minacce di morte. Quindi, era consapevole anche di rischiare la vita, però non volle andarsene. Rimase a Brancaccio con la sua missione.

Papa Francesco in prossimità dell’anniversario ha inviato una lettera alla diocesi…

Nella lettera il Papa riprende alcuni temi della sua visita del 2018, che è stata importantissima. Mi piace anche ricordare che comunque c’è la firma di Francesco sul decreto di beatificazione che è avvenuta nel 2013. Fu proprio uno dei suoi primissimi atti. La causa naturalmente era stata istituita sotto il pontificato di Benedetto XVI. Poi il nuovo Papa si è trovato anche a firmare il decreto. Lui di questa figura si è in qualche modo innamorato e ne ha parlato molte volte. In questa lettera, traspare tra le righe la corrispondenza del comportamento di Puglisi con quelle che sono le sue linee pastorali che ha voluto esprimere subito dopo l’elezione. Per esempio, ricordiamo la frase ‘Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri’. Ecco, nella lettera ci sono dei riferimenti. E anche in altre prese di posizione il Papa esprime il suo apprezzamento per Puglisi, per questo ‘prete di strada’. Anzi, dice ‘la strada era la sua chiesa da campo’. Ecco, Puglisi non stava chiuso dentro la sua chiesa ma è proprio un rappresentante, se vogliamo, di quella Chiesa in uscita di cui il Papa ci ha parlato tante volte. Stava per le strade, andava a trovare le persone nei vicoli del quartiere Brancaccio. Portava il Vangelo, la parola di Cristo fuori dalla chiesa, direttamente nelle case delle persone.

Come portò avanti questo impegno pastorale?

Un aspetto poco conosciuto è che Puglisi, per due anni, organizzò le missioni popolari a Brancaccio: due volontari andavano in ogni condominio a visitare le persone. Le letture del Vangelo erano quelle dettate da Puglisi, in cui – nel libro lo ricostruisco – ci sono parecchi richiami alla conversione, al pentimento, ad abbandonare la vecchia vita. Cioè Puglisi aveva scelto dal Vangelo e dagli Atti degli Apostoli proprio dei brani che dovevano servire a scuotere le coscienze delle persone che partecipavano a questi incontri. Ecco quindi, non solo la Chiesa in uscita, non solo la Chiesa povera, ma il Papa vede in Puglisi anche il prototipo del prete che consuma la suole delle scarpe. E, infatti, quando viene ucciso Puglisi ha le scarpe rotte, perché per sé non spendeva neanche un soldo. E non solo. Non aveva neanche il tempo per ripararsele. Lui, lo ricordo benissimo, a casa aveva gli attrezzi del padre, che era calzolaio. Li aveva conservati ed era in grado di risuolare un paio di scarpe. Poteva ripararsele. Ma non aveva avuto neanche il tempo. Aveva consumato le sue scarpe proprio nei vicoli di Brancaccio. Era anche un pastore che conosceva l’odore delle pecore, per usare un’altra espressione del Papa. Era andato nei vicoli, conosceva le situazioni drammatiche di tante persone, famiglie intere con sei o sette bambini che vivevano in un’unica stanza, anche in condizioni promiscue, senza servizi.

Don Puglisi fu precursore di diverse posizioni poi assunte ufficialmente dalla Chiesa. In particolare, quali furono molto rilevanti?

Puglisi proprio nella prima Pasqua da parroco a Brancaccio, nel ’91, cambia il percorso della processione, senza dirlo a nessuno, perché da uomo del quartiere sa benissimo che, passando per la via Brancaccio sotto il balcone della famiglia dei boss del quartiere, vi fosse il rischio che la processione con una sosta inopportuna servisse a rendere omaggio ai boss, a fare il famoso inchino di cui abbiamo visto e letto tanti esempi. Io avevo partecipato a quella processione. E ricordo che lui era in testa al corteo con una semplice croce di legno. In genere, quella processione percorre tutta via Brancaccio e lì tuttora abita la famiglia Graviano. Lui, invece, a un certo punto girò a sinistra e portò la processione nei vicoli del quartiere. La gente un po’ spaesata lo seguì. Poi si capì che davvero qualcosa stava cambiando. Da quel momento la processione fece questo nuovo giro. L’argomento è rimasto un po’ abbandonato, ma negli ultimi anni invece la Chiesa siciliana lo ha messo all’ordine del giorno. E, da alcuni anni a Palermo, ma anche in altre diocesi, i percorsi delle processioni vengono esaminati con attenzione e concordati, in qualche modo sottoposti all’attenzione anche delle forze dell’ordine e della Questura. Di recente abbiamo scritto, e lo diceva il Questore in persona, che in alcuni casi il percorso delle processioni è stato cambiato per evitare rischi di passare sotto certi balconi. Quindi, in qualche modo, quello di Puglisi fu un gesto profetico.

E non fu il solo…

Mentre Puglisi era parroco, un gruppo di fedeli – chiamiamoli così – chiese di formare una confraternita. Conosceva molti di questi presunti fedeli, capì che in realtà dietro c’erano altri interessi. Quindi, fece una serie di riunioni e spiegò benissimo che cosa fosse una confraternita, a cosa servisse e che si trattava di un percorso di crescita spirituale. Tanto che a un certo punto i partecipanti, coloro che avevano fatto la richiesta, capirono la situazione e non si fecero più vedere. Quindi la confraternita non si formò più. Anche qui l’arcivescovo Lorefice ha ripreso in qualche modo questa sollecitazione. Negli ultimi anni, c’è stata anche per le confraternite di Palermo una maggiore attenzione ai componenti, al fatto che ci fossero anche partecipanti con precedenti penali e per mafia. Quindi, le confraternite sono state in qualche modo passate al setaccio per evitare il rischio di infiltrazioni. Naturalmente senza voler criminalizzare tutto il mondo delle confraternite, però alcuni casi sono emersi e la diocesi è intervenuta. Quindi anche questo è un altro gesto profetico di Puglisi. Stiamo vivendo un momento di grande riflessione alla luce dell’eredità di Puglisi, per cercare di depurare la vita delle parrocchie da tutti questi rischi. Sir 15

 

 

 

 

Domenica 17 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento dei sacerdoti

 

I nostri preti sono affidati alla generosità dei fedeli per poter compiere la propria missione “I sacerdoti, donando sé stessi, ci insegnano che Dio è la realtà più bella dell’esistenza umana”.

Sono circa 32 mila in Italia i sacerdoti che - come evidenziato da Papa Francesco - si dedicano agli altri. Non solo ai più abbandonati ma ad ognuno di noi. Quotidianamente ci fanno spazio, ci offrono il loro tempo, dividono volentieri un pezzo di strada e ascoltano le nostre difficoltà.

Per richiamare l’attenzione sulla loro missione, torna domenica 17 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento del clero diocesano, celebrata nelle parrocchie italiane.

La Giornata – giunta alla XXXV edizione – permette di dire “grazie” ai sacerdoti, annunciatori del Vangelo in parole ed opere nell’Italia di oggi, promotori di progetti anticrisi per famiglie, anziani e giovani in cerca di occupazione, punto di riferimento per le comunità parrocchiali. Ma rappresenta anche il tradizionale appuntamento annuale di sensibilizzazione sulle offerte deducibili. Uno

strumento di grande valore come spiega il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa, Massimo Monzio Compagnoni: “La Giornata è un appuntamento importante per dire ancora una volta ai fedeli quanto conti il loro contributo. Non è solo una domenica di gratitudine nei confronti dei sacerdoti, ma un’opportunità per ricordare che fin dalle origini le comunità si sono fatte carico di sostenere la Chiesa e questo dovrebbe, ancora oggi, essere il principio di base che spinge a farsi carico del sostentamento dei sacerdoti. Come allora l’impegno dei membri della comunità nel provvedere alle loro necessità è vitale. Le offerte da sempre, quindi, costituiscono un mezzo per sostenere tutti i sacerdoti, dal proprio parroco al più lontano. Basta anche una piccola somma ma donata in tanti”.

Nonostante siano state istituite nel 1984, a seguito della revisione concordataria, le offerte deducibili sono ancora poco comprese e utilizzate dai fedeli che ritengono sufficiente l’obolo domenicale; in molte parrocchie, però, questo non basta a garantire al parroco il necessario per il proprio fabbisogno. Da qui l’importanza di un sistema che permette a ogni persona di contribuire,

secondo un principio di corresponsabilità, al sostentamento di tutti i sacerdoti diocesani.

“La Chiesa – aggiunge Monzio Compagnoni – grazie anche all’impegno dei nostri preti, è sempre al fianco dei più fragili e in prima linea per offrire risposte a chi ha bisogno”.

Nate come strumento per dare alle comunità più piccole gli stessi mezzi di quelle più popolose, le offerte per i sacerdoti sono diverse da tutte le altre forme di contributo a favore della Chiesa cattolica, in quanto espressamente destinate al sostentamento dei preti al servizio delle 227 diocesi italiane; tra questi figurano anche 300 preti diocesani impegnati in missioni nei Paesi più poveri del mondo e 2.500 sacerdoti ormai anziani o malati, dopo una vita spesa al servizio degli altri e del Vangelo. L’importo complessivo delle offerte nel 2022 si è attestato appena sopra gli 8,4 milioni di euro in linea con il 2021. È una cifra ancora lontana dal fabbisogno complessivo annuo, che ammonta a 514,7 milioni di euro lordi, necessario a garantire a tutti i sacerdoti una remunerazione pari a circa mille euro mensili per 12 mesi.

In occasione della Giornata del 17 settembre in ogni parrocchia i fedeli troveranno locandine e materiale informativo per le donazioni ed avranno la possibilità di ricevere un “dono speciale”: le riflessioni di Papa Francesco. Basterà inquadrare il Qr code, presente sulla locandina con l’immagine del Santo Padre e lasciare i propri dati per ricevere via e-mail ogni settimana i commenti del Papa al Vangelo.

Nel sito www.unitineldono.it è possibile effettuare una donazione ed iscriversi alla newsletter mensile per essere sempre informati sulle numerose storie di sacerdoti e comunità che, da nord a sud, fanno la differenza per tanti.

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Preghiera per la pace: “Cadano presto i muri per i migranti che fuggono dalle guerre”

 

Berlino – “Cadano presto i muri, visibili e invisibili, che dividono i popoli in Europa, Asia, Africa, nelle Americhe, in mezzo al mare Mediterraneo per i migranti che fuggono dalle guerre! Cadano i muri del cuore che accecano e non fanno vedere che l’altro è mia sorella e mio fratello!”. E’ quanto si legge nell’Appello per la Pace firmato ieri setra a Berlini dai rappresentanti delle Religioni mondiali che per tre giorni – su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, hanno pregato per la pace e “lo hanno fatto in questo luogo in cui parla la storia: memoria della guerra e del muro che divideva l’Europa. Proprio qui – scrivono – abbiamo capito che nessun muro è per sempre”. “Sentiamo oggi con più forza – prosegue l’appello al termine di tre giorni di incontri e preghuera sul tema “L’audacia della pace ” – la nostra responsabilità e insieme ci facciamo mendicanti di pace. Non basta la prudenza, è il tempo dell’audacia! Per questo, a nome di chi non ha voce, diciamo forte: ‘Nessuna guerra è per sempre!’ Pace non significa arrendersi all’ingiustizia: significa uscire dall’ingranaggio del conflitto che rischia di ripetersi all’infinito e che nessuno sembra più riuscire a controllare”. “Siamo consapevoli che o riusciremo a porre fine alle guerre o le guerre porranno fine all’umanità”, dicono ancora i rappresentanti delle religioni mondiali che il prossimo anno si sono dati appuntamento a Parigi: “il mondo, la nostra casa comune, è uno solo: ci è stato dato in eredità e tale lo dobbiamo lasciare alle future generazioni. Liberiamolo dall’incubo nucleare! Ripartiamo con la politica del disarmo, fermiamo subito il rumore delle armi”. Per questo occorre “l’audacia della pace, il coraggio di cominciare a parlarsi mentre c’è ancora la guerra”. “Abbiamo l’urgenza di ascoltare il grido soffocato della pace. Dialogare oggi, mentre parlano le armi, non indebolisce la giustizia ma crea le condizioni di una nuova architettura di sicurezza per tutti. Ripartiamo insieme dal dialogo che è la medicina più efficace per la riconciliazione dei popoli. La pace è sempre possibile!”. Ai partecipanti all’incontro anche un messaggio di papa Francesco. “Continuiamo – scrive il Pontefice – a pregare per la pace senza stancarci, a bussare, con spirito umile e insistente alla porta sempre aperta del cuore di Dio e alle porte degli uomini. Chiediamo che si aprano vie di pace, soprattutto per la cara e martoriata Ucraina”. “Non abbiamo paura di diventare ‘mendicanti di pace’, unendoci alle sorelle e ai fratelli delle altre religioni, e a tutti coloro che non si rassegnano all’ineluttabilità dei conflitti”, esorta papa Francesco. “Occorre infatti andare avanti per valicare il muro dell’impossibile, eretto su ragionamenti che appaiono inconfutabili, sulla memoria di tanti dolori passati e di grandi ferite subite”, aggiunge: “È difficile, ma non è impossibile. Non è impossibile per i credenti, che vivono l’audacia di una preghiera speranzosa. Ma non dev’essere impossibile nemmeno per i politici, per i responsabili, per i diplomatici”. Raffaele Iaria, mig.on 13

 

 

 

Vangelo Migrante: XXIV Domenica del tempo Ordinario (Vangelo Mt 18,21-35)

 

La giustizia non può non essere invasa e pervasa dalla misericordia. Dio giudica giustificando, gli uomini giudicano giustiziando. Il Signore ci esorta e ci incoraggia ad aprirci alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia. C’e? bisogno dell’amore viscerale e materno di Dio che è insieme giustizia e misericordia.

È interessante chiederci, alla luce dell’invito di Gesù a non quantificare la misura del perdono, su quale versante giocare la connessione tra giustizia e misericordia: su quello dell’intelligenza che spesso risulta essere aridità di sentimenti, difficoltà di rapporti, astrattezza di vissuto, opinabilità di giudizio, o su quello dell’amore che è grande nel perdono, sensibile nei rapporti, delicato nei giudizi, profondo nei sentimenti, duraturo nell’espressione?

Non creiamoci, dunque, un tribunale nel cuore in cui gli altri sono gli accusati ed i colpevoli e noi gli innocenti perseguitati: non condanniamo, non giudichiamo, scopriamo la via della misericordia e del perdono, non pretendiamo che valga soltanto il nostro giudizio, facciamo luce sulle situazioni, pronti a cambiare e a fare strada alla verità che non possediamo ma ci possiede.

Il Vangelo di questa domenica e? un’esortazione forte e chiara a spezzare la spirale della vendetta e la catena dell’odio, disarmando la prigione del rancore e dell’ira, un invito accorato a pronunciare con prudenza, accortezza e cautela la quinta delle sette domande sulle quali è costruita la preghiera del “Padre Nostro”, di cui questa parabola sembra quasi una parafrasi: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

La parola centrale è il “come” (kàtos), non solamente nel suo significato di complemento di paragone, ma soprattutto nella sua accezione “causale”: perdonarci vicendevolmente “siccome” lui ci ha perdonati e continua a perdonarci mediante il suo Spirito, appunto, per il fatto, che anche noi siamo messi in grado, siamo messi nelle condizioni di perdonarci gli uni gli altri come il Signore ha fatto e continua a fare con noi, facendoci incamminare verso quella felicità che prova il “Dio in ginocchio” nel servire le sue amate creature.

Noi non siamo in grado di cambiare gli altri, possiamo solo, e con fatica, cambiare noi stessi. È attraverso questo cambiamento-trasformazione che possiamo avvicinarci a qualsiasi “altro”, che saprà, forse, cogliere l’amore ri-conquistato nella libertà. È l’arte di ricominciare che richiede coraggio, resilienza e adattabilità. Il coraggio che ci spinge a intraprendere nuove strade, a metterci in gioco e a superare le resistenze interiori che possono ostacolarci; la resilienza come capacità di affrontare le avversità, le sfide e le delusioni senza soccombere; l’adattabilità come spinta a modificare i nostri comportamenti, le nostre abitudini e le nostre aspettative in risposta alle nuove circostanze.

Insomma, un viaggio che richiede impegno, pazienza e un profondo lavoro interiore, un’opportunità straordinaria per la crescita personale, un cambiamento positivo e il raggiungimento di nuovi obiettivi e realizzazioni. Chi blocca questo circolo virtuoso della misericordia condanna se stesso al fallimento. Il risentimento ci fa coniare la moneta falsa del giudizio e della calunnia. Il perdono, invece, ci aiuta a far splendere sul nostro volto il sole della giustizia e lo splendore della bontà. (Doriano Vincenzo De Luca) Mig.on 14

 

 

 

Una comunità da ascoltare. “I mass media sanno ascoltare la Chiesa?”

 

L’interrogativo, in apertura dell’ultimo Portaparola di Avvenire (12 settembre 2023), rilancia la riflessione avviata dopo la Gmg di Lisbona circa il racconto mediatico dei “fatti religiosi”. Una questione, certamente non nuova, passata nel tempo da letture ideologiche a una sorta di disinteresse informativo. Nelle diverse opinioni raccolte dal quotidiano emergono alcune parole chiave che possono offrire elementi per invertire la tendenza: riscoprire il valore della prossimità nell’informazione; cogliere il digitale come opportunità; contrastare l’indifferenza con una nuova passione… Tre sollecitazioni che chiamano a un piano di lavoro condiviso e condivisibile. Un’occasione concreta per il mondo ecclesiale di uscire dalla paura dell’isolamento e rompere il processo di adattamento all’opinione generale. La Chiesa non è una potenziale outsider ma una comunità viva.

Vincenzo (Ucs 13)

 

 

 

La regola di San Francesco compie 800 anni

 

Fra Giulio Cesareo la racconta la "sfida" dell' "essere in regola" secondo lo slogan del Cortile dei Gentili - Di Simone Baroncia

 

Assisi. Ad Assisi dal 14 al 16 settembre si celebra ancora una volta il "Cortile dei Gentili". 30 appuntamenti con incontri, spettacoli, esperienze guidate e attività per i più piccoli nel consueto appuntamento del ‘Cortile dei bambini’, conclusa dalla compagnia delle ‘Donne del Muro Alto’ (composta da ex detenute del carcere di Rebibbia di Roma) con la rappresentazione teatrale di ‘Medea in sartoria’ nella piazza Inferiore di san Francesco alle ore 21.00 di sabato 16 settembre.

I temi di quest’edizione sono stati illustrati da fra Giulio Cesareo, direttore dell’Ufficio Comunicazione del Sacro Convento di San Francesco. L’evento culturale si inserisce nel cammino del grande centenario francescano articolato in cinque anniversari su quattro anni (2023-2026), come ci racconta fra Giulio Cesareo: “Il primo di questi anniversari (l’ottavo centenario dell’approvazione della ‘Regola’ di san Francesco, custodita nell’omonima basilica, da parte di papa Onorio III) ha offerto l’ispirazione per il tema di questa edizione del Cortile di Francesco: le regole per la vita bella e buona a cui tutti aneliamo a livello individuale e comunitario. Al contempo, questa sarà l’occasione per riflettere insieme agli ospiti di questa edizione dell’evento, e vivere un’esperienza di arricchimento reciproco a partire dai vari significati che questo tema può assumere dal punto di vista politico e scientifico, religioso e filosofico, psicologico e sociale”.

Quale è l’importanza delle regole?

“Parlare di regole oggi è davvero una sfida, perché esse possono essere percepite o possono porsi come ostacolo alla libertà personale; di per sé, esse dovrebbero essere, al contrario, la misura di ciò che ci fa bene. In questo senso le regole possono essere intese come una condizione dello sviluppo autentico della socialità dal punto di vista del bene comune, della pace e della solidarietà, una sorta di ‘letto del fiume della libertà individuale’, che le permette di raggiungere i suoi obiettivi, senza che la persona si ritrovi schiava di desideri e progetti autodistruttivi”.

Cosa significa ‘Essere in regola’?

“Questa espressione in italiano corrente sta a indicare la situazione di chi ha adempiuto ai suoi doveri o a delle condizioni richieste: proprio per questo non può essere sanzionato. Infatti, se io sono in regola con il pagamento delle bollette, sono tranquillo perché non mi possono staccare l’acqua. Nel contesto del nostro Cortile di Francesco 2023 abbiamo fatto ricorso a questa espressione, però, per forzarla un po’: concepiamo l’  ‘essere in regola’ come sinonimo di ‘lasciarsi regolare’ o meglio nel senso di ‘scoprire che la vita è regolata e che viceversa quando è sregolata si ammala’. Da questo punto di vista ‘essere in regola’ è un modo in fondo per riflettere sulla nostra libertà, sulla nostra responsabilità che sono alla base della felicità, sia a livello singolare che comunitario”. 

Per quale motivo san Francesco diede una regola?

“In realtà la regola nasce nella mente di Francesco non per regolamentare/organizzare (forse perfino imbrigliare) la vita sua e dei frati. Al contrario egli decide di scrivere la regola (che era in qualche modo il manifesto, la visione della vita sua e dei suoi fratelli alla sequela di Gesù) per chiedere al papa se il loro stile di vita fosse di fatto conforme al Vangelo stesso. E, sappiamo, solo la Chiesa (nonostante errori e povertà) è in grado di riconoscere ciò che appartiene a Cristo e al suo Vangelo. Quindi Francesco va dal papa non per dirgli: ‘Ci approvi questo stile di vita, che è quello che abbiamo scelto io e i miei fratelli?’ Piuttosto va dal papa con la regola per chiedergli: Questa è la vita che conduciamo: ti sembra che sia conforme al Vangelo? O ci siamo sbagliati?“

A cosa servono le regole?

“Io paragonerei le regole a delle ringhiere di un grande e bel terrazzo, che proteggono lo spazio del terrazzo vero e proprio dal pericolo di cadere nel vuoto. Se ci sono le ringhiere, sul terrazzo si può ballare, si può correre, si può stare spensierati… se non ci sono le ringhiere, il terrazzo è pericoloso e non si vive sereni e liberi, ma paradossalmente si è vittima della paura di cadere. Così le regole che l’umanità si è data nel corso della sua storia - regole diverse a seconda dei contesti culturali, storici, religiosi, sociali - sono sempre migliorabili (come ogni ringhiera), ma sono nate essenzialmente come un sostegno alla nostra libertà, per non cadere nel rischio dell’autoaffermazione egoista, che fa sempre male, a sé e agli altri. Come tutte le cose, anche le regole possono e devono talora  essere riviste, corrette… ma ciò non toglie che senza ringhiere, in terrazzo non si sta bene!”

Esiste un nesso tra regola e fraternità?

“La fraternità è uno stile di vita in cui il centro non sono le esigenze individuali, ma la scoperta che il vero bene dell’io è la relazione con l’altro. E questo chiede a chiunque si sente chiamato ad assumere la fraternità come propria dimensione esistenziale una vigilanza continua, perché i ‘rigurgiti’ del nostro egoismo individuale sono sempre in agguato: in questo senso la regola di Francesco (che è, secondo le parole stesse del Santo, ‘midollo del Vangelo’) è una roadmap che mostra costantemente il cammino della fraternità  e permette così di smascherare le tentazioni di intraprendere sentieri che conducono all’esagerata affermazione di sé e in definitiva all’isolamento. Da questo punto di vista la regola è un sostegno (come accennavo prima) alla vita di fraternità che scegliamo nel cuore ma che va riscelta ogni giorno, proprio quando con fiducia in sé e negli altri preferiamo lottare per il ‘noi’, piuttosto che scadere in un battere i pugni sul tavolo per affermare il nostro ‘io’”.

La regola è ostacolo alla libertà personale?

“Di per sé la regola è un sostegno alla libertà personale, così come le regole del calcio ci permettono di giocare, divertirci e competere in maniera onesta e rispettosa. In maniera analoga la regola di vita è garanzia di equità e giustizia nelle relazioni. Altresì, la regola può diventare certamente un ostacolo ala libertà personale, se le persone che sono coinvolte nella relazione rinunciano a con creatività e rispetto e ‘si accontentano’ dello status quo. Quando le persone non sognano più di crescere comunitariamente, trasformano la regola/le regole in un idolo che, anziché essere una ringhiera per proteggere la nostra autonomia, assume la forma della grata di un carcere… La regola dunque è utile, indispensabile, ma non è tutto: prima e sopra di essa ci sono sempre le persone, con le loro relazioni fatte di amore, creatività e rispetto”.

Dopo 800 anni quale è l’attualità della Regola di san Francesco?

“La sua attualità, sopratutto per i credenti, è proprio il fatto che essa sia una sintesi esistenziale del Vangelo. Ed il Vangelo non è un codice etico o procedurale, ma la bella notizia di Dio amico degli uomini, che opera incessantemente affinché l'umanità viva come una sola famiglia, nella solidarietà. E questo è inseparabile da un impegno concreto per la giustizia e le pari opportunità per tutti, soprattutto per chi è ai margini ed a vario titolo ‘non ce la fa’. A partire dalla bella notizia del Vangelo siamo chiamati a elaborare il nostro cammino e a fare le nostre scelte (individuali e comunitarie) affinché il nostro mondo sia sempre più la nostra ‘Casa comune’ (come dice papa Francesco), la casa della fraternità e della giustizia per tutti”. Aci 12

 

 

 

La Bibbia di Gutenberg in Orbita nello spazio con Ax- 3 

 

Roma - "Con la Missione AX- 3 programmata per il 10 gennaio 2024 arriva nello spazio la Bibbia di Gutenberg. Il primo foglio galleggiante nello spazio". E' la notizia del giorno, quella che non ti aspetti di trovare nello spazio dell'alta tecnologia e dell'hi tech quando parli di cultura, di antichi libri, di opere simbolo della storia moderna. Lo ha annunciato stamane alla Camera dei Deputati, durante la conferenza stampa di presentazione della riedizione della Bibbia di Gutenberg, Roberto Giurano, presidente della Fondazione Scriptorium Foroiulense che ha ideato e curato il prestigioso progetto culturale. Un lavoro durato un anno, che ha coinvolto "40 persone" e raggiungerà cinque nazioni. Una copia "andrà al museo della Bibbia di Washington, un'altra a Kiev in questo luogo martoriato" ha anticipato Giurano che con emozione ha dato l'annuncio di questo 'viaggio' speciale per l'opera che più di altre racchiude in sè i valori dell'Europa e un messaggio di pace. Ma non è tutto. Le attività culturali della Scuola Italiana Amanuensi, hanno anche una forte attenzione al sociale, tanto da includere nei lavori anche ragazzi con disabilità e di raggiungere terre 'difficili'. E proprio su proposta del deputato Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro alla Camera e presente oggi, la Bibbia dalle grandi capitali arriverà anche a Caivano. Ed è una nuova sfida.

 

"Il 2 ottobre una copia della Bibbia- ha aggiunto sempre Giurano- sara' consegnata al Palazzo dell'Aeronautica", dove rimarrà esposta.

 

Alla conferenza stampa hanno partecipato, tra gli altri, Barbara Zilli assessora al Bilancio della Regione Friuli Venezia Giulia; Pietro Valent, sindaco di San Daniele del Friuli; Leticia Casati, ambasciatrice del Paraguay; il deputato Graziano Pizzimenti; il Generale dell'Aeronautica Militare Urbano Floreani, mentre il direttore del Museo della Bibbia di Washington da remoto ha rivolto il suo invito alla scuola Amanuensi di andare presto al Museo per la presentazione.

 

Anche il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare, Generale Luca Goretti e il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani hanno mandato un videomessaggio di gratitudine e vicinanza per l'importante progetto culturale.

 

"E' stato facile innamorarsi del progetto- ha detto il Generale Urbano Floreani dell'Aeronautica militare- un foglio di questo libro soggiornerà nello spazio e questo è un bellissimo regalo che possiamo fare alla Fondazione".

 

Vicinanza e orgoglio dalle Istituzioni del territorio regionale che hanno partecipato. "Ci saremo e vi sosterremo sempre", ha assicurato l'assessora al Bilancio della Regione Friuli Barbara Zilli. E il sindaco di San Daniele Friuli, dove la Scuola italiana Amanuensi ha sede, Pietro Valent, ha ribadito tutto il suo orgoglio: "E' la copia di un testo molto importante che unisce i popoli e persone che hanno fragilità e disabilità".

 

Ad Enio Agnola, consigliere della Scuola Italiana Amanuensi nata nel 2012 e ora Fondazione di Promozione Sociale, il compito di ripercorrere la storia di questi "11 anni di attività culturale. Dall'opificio librorum, al 'Dante guarderiano' dato al Presidente della Repubblica, o ancora il Vangelo secondo Marco donato al Papa", e i tanti rapporti internazionali: "Dagli USA al Kazakistan e ora il Paraguay" all'insegna di una storia volta a insegnare, questa l'attività principale, l'arte Calligrafica Antica.

"Superare tutti i confini è il messaggio che vogliamo dare", ha concluso Giurano e tra confini extraterresti e capitali del mondo non resta che augurare 'buon viaggio' alla Bibbia di Gutenberg, primo libro stampato in Europa con la tecnica dei caratteri mobili che oggi, dopo secoli, torna a splendere. Dip 13

 

  

 

Papa Francesco: "Non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro"

 

Il Papa riceve i Membri dell’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro - Di Veronica Giacometti

 

Città del Vaticano. "Grazie per quello che continuate a fare per la tutela e la rappresentanza delle vittime di infortuni sul lavoro, delle vedove e degli orfani dei caduti. Ancora ho in mente i cinque fratelli ammazzati da un treno mentre stavano lavorando. Grazie perché tenete alta l’attenzione sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove accadono ancora troppe morti e disgrazie". Con parole di ringraziamento Papa Francesco ha accolto questa mattina in Vaticano i Membri dell’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro in occasione dell’80.mo anniversario della fondazione.

"Grazie per le iniziative che promuovete per migliorare la legislazione civile in materia di infortuni sul lavoro e di reinserimento professionale delle persone che si trovano in condizione di invalidità. Si tratta, infatti, non solo di garantire la giusta cura assistenziale e previdenziale verso chi soffre forme di disabilità, ma anche di dare nuove opportunità a persone che possono essere reinserite e la cui dignità chiede di essere riconosciuta in pienezza. Grazie, infine, per la vostra opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla prevenzione degli infortuni e sulle politiche della sicurezza, in particolare in favore delle donne e dei giovani", continuano i grazie del Papa nel suo discorso.

L’ANMIL assiste e tutela la categoria da 80 anni, esattamente dal 1943, promuovendo iniziative tese a migliorare la legislazione in materia di infortuni sul lavoro e di reinserimento lavorativo e offrendo numerosi servizi di sostegno personalizzati in campo previdenziale ed assistenziale.

Per Francesco "le tragedie iniziano quando il fine non è più l’uomo, ma la produttività, e l’uomo diventa una macchina di produzione. La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!".

"Ma non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni. Non possiamo accettare lo scarto della vita umana. Le morti e gli infortuni sono un tragico impoverimento sociale che riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie coinvolte", dice il Pontefice.

"La sicurezza sul lavoro è parte integrante della cura della persona. Anzi, per un datore di lavoro, è il primo dovere e la prima forma di bene. Sono invece diffuse forme che vanno in senso opposto e che in una parola si possono chiamare di carewashing. Accade quando imprenditori o legislatori, invece di investire sulla sicurezza, preferiscono lavarsi la coscienza con qualche opera benefica. È brutto. Questo è il primo lavoro: prendersi cura dei fratelli e delle sorelle, del corpo dei fratelli e delle sorelle. La responsabilità verso i lavoratori è prioritaria: la vita non si smercia per alcuna ragione, tanto più se è povera, precaria e fragile. Siamo esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio. E tante volte alcuni operatori sono trattati come pezzi di ricambio", conclude infine Papa Francesco. Aci 11

 

 

 

Beatificazione della famiglia Ulma. “Una famiglia unita a Cristo nella testimonianza”

 

Il legame della famiglia Ulma è tale che non può essere spezzato. Così, Jozef, Wiktoria, i loro sei bambini e un settimo senza nome sono beati. È la prima volta di una famiglia - Di Andrea Gagliarducci

 

Markowa. Il matrimonio come sacramento che unisce tutta la famiglia, anche nel martirio. Un bambino che vede la luce forse per un solo secondo (non lo sappiamo) e che per questo riceve il Battesimo del sangue ed è oggi un beato senza nome. Una famiglia martire perché ha vissuto l’esperienza del Buon Samaritano. Gli Ulma, Jozef, Wiktoria e i loro figli Stanistawa di 8 anni, Barbara di 7 anni, Wladystaw di 6, Franciszek di 4, Antoni di 3, Maria di 2, e il bimbo senza nome che vedeva la luce forse nel momento del martirio della madre, sono beati.

È una beatificazione eccezionale. È la prima volta che una famiglia viene beatificata insieme. Ed è una beatificazione che rinsalda anche il dialogo tra cattolici ed ebrei. Perché gli Ulma sono martiri per aver ospitato il popolo dell’Alleanza. Sapevano sarebbero potuti morire. Non hanno esitato a comportarsi come il Buon Samaritano. E il fatto che la beatificazione ricordi anche le famiglie ebree uccise con loro rappresenta, forse più di ogni cosa, il legame profondo tra il Popolo dell’Alleanza e i cristiani.

Infatti, ci sono anche i rappresentanti della comunità ebraica alla beatificazione, incluso il Rabbino Capo di Polonia. Sono arrivate circa 30 mila persone, da Polonia, Germania, Ucraina, anche Bielorussia, a piedi da ogni dove, con i bambini, nella grande spianata dietro il cimitero di Markowa, che a sua volta si trova a pochi passi dalla parrocchia di Santa Dorotea. Costruita negli anni Dieci del secolo scorso, la parrocchia è stata testimone della vita degli Ulma, attivi in parrocchia, vicini ai poveri. Una famiglia normale, cattolica, a suo modo brillante – Jozéf aveva sviluppato un particolare sistema di arnie, che vinse un premio e che ancora viene usato; Wiktoria insegnava, conosceva il tedesco – forgiata nella fede cristiana, che in quella chiesa a pochi passi dall’altare dove si celebra la beatificazione si è sposata, ha battezzato i bambini, ha preso parte ogni domenica alla Messa.

Nel cimitero c’è la tomba degli Ulma. C’erano quattro bare, i bambini messi a due a due, i genitori in una ciascuno, quando i corpi furono recuperati di nascosto e in fretta dopo che, quella terribile notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, erano stati uccisi da un commando tedesco insieme alle due famiglie ebree che nascondevano. “Uccidete anche i bambini”, era stato l’ordine, tremendo, arrivato dai tedeschi. Uccisero anche il bambino che Wiktoria portava in grembo, in stato avanzato di gravidanza, la cui testa si trovò parzialmente uscita dal corpo della madre quando questo fu recuperato. Non sappiamo per quanto abbia visto la luce. Ma anche lui è beato.

Il Cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, celebra sull’altare. Se si sporgesse, vedrebbe le case con il tetto di paglia del vecchio villaggio di Markowa, conservate per non dimenticare. In quelle case, altri ebrei venivano nascosti, in locali segreti dietro la paglia in attici caldissimi di estate e freddissimi di inverno. Tutti, a Markowa, sapevano. Eppure, c’era solidarietà, nonostante il pericolo della guerra e dell’occupazione nazista. Dei 120 ebrei di Markowa sopravvissuti dopo la guerra, ben 21 erano stati salvati dalle famiglie del posto. Viene da chiedersi perché gli Ulma siano stati traditi.

Il Cardinale Semeraro sottolinea: “Sarebbe fuorviante se il giorno della beatificazione della famiglia Ulma servisse solo a riportare alla memoria il terrore per le atrocità perpetrate dai loro carnefici, sui quali per altro già pesa il giudizio della storia. Vogliamo invece che oggi sia un giorno di gioia, perché la pagina del Vangelo scritta sulla carta è divenuta per noi una realtà vissuta, che luminosamente risplende nella testimonianza cristiana dei coniugi Ulma e nel martirio dei nuovi Beati”.

Ricostruisce il Cardinale: “Nel 1942 Józef e Wiktoria Ulma aprirono le porte della loro casa e diedero accoglienza a otto ebrei, perseguitati dal regime del nazismo tedesco. Oggi, insieme ai nuovi Beati, vogliamo ricordare anche i loro nomi. Si è trattato di Saul Goldman con i loro figli Baruch, Mechel, Joachim e Moj?esz nonché di Go?da Grünfeld e Lea Didner insieme con la piccola figlia Reszla”.

Ma perché avevano deciso di ospitare queste famiglie? Perché Jozéf era “onesto, laborioso e desideroso di mettersi a disposizione degli altri”, l’altra “cordiale, mite, sensibile alle necessità altrui”, cresciuti in un amore di Dio che trasmettevano ai figli, unendo la famiglia non solo “per i legami di sangue”, ma anche dalla “comune testimonianza data a Cristo fino al dono della propria vita”.

Il cardinale Semeraro spiega che il tema dell’accoglienza spiega la beatificazione degli Ulma. La famiglia Ulma, sottolinea, ci insegna ad accogliere la parola di Dio, che leggevano ogni giorno sulla loro Bibbia consumata, e che vivevano nella liturgia domenicale. Una vita cristiana, di “santità della porta accanto”, come direbbe Papa Francesco.

Era una famiglia aperta alla vita, e non si può non ricordare “la piccola creatura che Wiktoria portava in grembo e che veniva alla luce nel travaglio della carneficina della madre”, un beato senza nome, la cui “voce innocente che vuole scuotere le coscienze di una società dove dilaga l’aborto, l’eutanasia e il disprezzo della vita vista come un peso e non come un dono”.

Quindi, il tema dell’accoglienza dell’altro, specie chi è più bisognoso, perché “l’accoglienza è espressione di fraternità”. Il Cardinale Semeraro nota che “questa riunione di famiglie ebree e una famiglia cattolica nello stesso martirio ha un significato molto profondo e offre la luce più bella sull’amicizia ebraico-cristiana, a livello sia umano, sia religioso”, perché  “l’odio dei persecutori per gli ebrei era, al suo livello più profondo, l’odio per il Dio dell’Alleanza, l’Antica e la Nuova nel sangue di Cristo”. Aci 10

 

 

 

Centenario della nascita. La lezione di don Milani

 

L’errore più grande che potremmo fare, nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani, è quello di considerare la sua vita, la sua testimonianza, la sua profezia scomode soltanto per la Chiesa e la società italiane degli anni cinquanta e degli anni sessanta.

Non c’è molto di consueto nel giovane prete che, fino a vent’anni, ha goduto i privilegi di una famiglia benestante e cosmopolita e dopo “l’indigestione di Gesù Cristo”, nell’estate del 1943, cambia vita e da ricco si fa povero per condividere con i più poveri la ricchezza del suo sapere e la sua fede. La radicalità delle sue scelte, le prese di posizione in favore del diritto di sciopero e contro il lavoro minorile, l’appoggio agli obiettori di coscienza, la convinzione che per comunicare il Vangelo è necessario risvegliare l’umano nei giovani operai sfruttati di Calenzano e nei figli analfabeti dei contadini del Mugello, appaiono provocazioni imperdonabili ai conservatori, sia negli ambienti ecclesiastici che in quelli politici del suo tempo. Da qui le incomprensioni, l’esilio a Barbiana, la solitudine, ma anche il riscatto e la profezia che ha superato i confini di una vita troppo breve e di una Chiesa e di una società troppo anguste e ha raggiunto, nel tempo e nello spazio, le coscienze libere di tanti cristiani e di tanti cittadini.

In questo centenario vorremmo restituire don Lorenzo a sé stesso, farlo parlare senza filtri, superare le caricature che gli hanno cucito addosso e, soprattutto, farci scomodare dall’attualità della sua testimonianza ecclesiale e civile. L’aveva già fatto papa Francesco a Barbiana nel 2017, riconoscendo in lui «un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa», e l’ha fatto il presidente Mattarella aprendo, sempre a Barbiana, il Centenario di «un grande italiano che ci ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva». Don Milani è stato, prima di tutto, un innamorato di Dio e dei poveri. Lo è stato da prete, sempre con l’abito talare, scomodissimo e obbedientissimo alla sua Chiesa dalla quale non si sentiva accolto e compreso, ma verso la quale ha sempre mendicato amore e spirito di comunione.

Non è scontato richiamare l’attualità del priore di Barbiana a partire dalla radicalità del suo amore verso Gesù e dall’ansia di giustizia per gli scarti della società, al centro della sua cura pastorale e del significato del suo stesso sacerdozio. Eppure, dovremmo interrogarci come battezzati e come comunità ecclesiale sulla nostra fedeltà al Vangelo. Chi sono oggi i giovani operai di Calenzano o i figli dei contadini del Mugello ai quali don Lorenzo voleva restituire la parola, quella sacra del Vangelo e quella laica dei giornali e dei contratti di lavoro, per riscattare la loro dignità?

Don Milani è stato un precursore del concilio Vaticano II. E il volto della Chiesa in uscita che ci consegna il magistero di Francesco potrebbe riconoscersi nella sua testimonianza di prete e di educatore. La scuola è il suo “ottavo sacramento”, perché amare i poveri significa colmare “l’abisso dell’ignoranza” prima causa di emarginazione. «Il mondo», diceva, «si divide in due categorie. Un uomo ha mille parole. Un uomo ha cento parole». Fare scuola agli ultimi, prima a Calenzano e poi a Barbiana, è la via per superare diseguaglianze e «risvegliare l’umano per aprirlo al divino». La sua era una pedagogia esigente ma accogliente. Nella Lettera a una professoressa ci ricorda che la scuola che respinge i ragazzi difficili è come un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

Sono passati più di sessant’anni, eppure l’Italia è tra i Paesi europei con il più alto tasso di abbandono scolastico. Come negli anni ’50 e ’60 è una dispersione classista: colpisce i figli delle famiglie più povere, le zone più periferiche del Paese, è più alta negli istituti professionali che nei licei. Troppi giovani completano il ciclo scolastico senza il grado di cultura che dovrebbe essere loro assicurato. Per numero di laureati non competiamo con la Germania o con la Francia, ma con l’Ungheria e la Romania. Migliaia di figli di immigrati o minori non accompagnati che arrivano in Italia non hanno accesso a studi regolari. Quanti italiani e italiane possiedono la quantità e la qualità di parole necessarie per stare al mondo, nel mondo globalizzato di oggi?

Non renderemmo tuttavia ragione a quel giovane e irrequieto prete se non ricordassimo che lo scopo principale della sua scuola era quello di formare cittadini e cittadine sovrane. Don Milani insegna ai suoi ragazzi e alle sue ragazze ad avere cura gli uni degli altri. Il motto I care ancora appeso nella piccola aula di Barbiana non ammette cedimenti sentimentali. È un messaggio esigente: è il contenuto stesso della politica come costruzione del bene comune, impegno per la giustizia e la pace. È il contrario dell’individualismo, del “me ne frego” fascista, dell’avarizia. La funzione della scuola, dirà nella Lettera ai giudici, non è solo quella di insegnare a rispettare la legge, ma anche quella di cercare leggi più giuste e cambiare quelle che non difendono i deboli e gli oppressi ma i privilegi dei più forti.

Di fronte all’assenteismo elettorale crescente, all’antipolitica dilagante, alla delegittimazione della partecipazione politica, alla disaffezione verso i beni comuni, alla corsa alle soluzioni individualiste, ma soprattutto di fronte all’umiliazione dell’esercizio della rappresentanza da parte di classi dirigenti sempre meno formate ed eticamente attrezzate, l’insegnamento di don Lorenzo appare d’una attualità sconvolgente.

Ci inchioda don Milani anche sul tema della pace. Morì da imputato, sotto processo, per aver difeso gli obiettori di coscienza al servizio militare. Oggi, in Italia non esiste più la leva obbligatoria anche grazie a un ministro che oggi è presidente della Repubblica, ma il mondo è sempre in guerra e si ostina ad applicare l’antico principio: “Se vuoi la pace prepara la guerra”. La corsa agli armamenti non si ferma e nel cuore dell’Europa si combatte un conflitto con evidenti ricadute mondiali. Non sappiamo cosa direbbe oggi il priore di Barbiana, ma forse potremmo riprendere la Lettera ai cappellani militari nella quale affermava che rileggendo la storia d’Italia alla luce della art. 11 della Costituzione non aveva trovato neanche una guerra giusta. Forse faceva eccezione per la Resistenza al nazifascismo. Rosy Bindi, Vita Past. sett.

 

 

 

Papa Francesco: "Il chiacchiericcio è una peste"

 

Al termine dell'Angelus il Papa ha pregato per il Marocco e l'Ucraina, ricordando la beatificazione della famiglia Ulma in Polonia - Di Marco Mancini

 

Città del Vaticano. La correzione fraterna “è una delle espressioni più alte dell’amore, e anche delle più impegnative. Quando un fratello nella fede commette una colpa contro di te, tu, senza rancore, aiutalo correggendolo. Purtroppo, invece, la prima cosa che spesso si crea attorno a chi sbaglia è il pettegolezzo, in cui tutti vengono a conoscere lo sbaglio, con tanto di particolari, tranne l’interessato! Questo non è giusto e non piace a Dio”. Lo ha detto il Papa, stamane, introducendo l’Angelus domenicale.

“Il chiacchiericcio – ha ribadito nuovamente Papa Francesco - è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, sofferenza e scandalo, e mai aiuta a migliorare e a crescere”.

Gesù ci insegna come correggere il fratello che sbaglia.  “Parlaci a tu per tu, lealmente, per aiutarlo a capire dove sbaglia. Fallo per il suo bene, vincendo la vergogna e trovando il coraggio vero, che non è quello di sparlare, ma di dire le cose in faccia con mitezza e gentilezza”.

Non bisogna “mettere una persona alla gogna, svergognandola pubblicamente, bensì unire gli sforzi di tutti per aiutarla a cambiare. Puntare il dito contro non va bene, anzi spesso rende più difficile per chi ha sbagliato riconoscere il proprio errore. Piuttosto, la comunità deve far sentire a lui o a lei che, mentre condanna l’errore, è vicina con la preghiera e con l’affetto alla persona, sempre pronta a offrire il perdono e a ricominciare”.

“Desidero esprimere – ha detto il Papa al termine della recita dell’Angelus - la mia vicinanza al caro popolo del Marocco colpito da un devastante terremoto; prego per i feriti, per coloro che hanno perso la vita e per i loro familiari ringrazio i soccorritori e quanto si stanno adoperando per alleviare le sofferenze della gente. Il concreto aiuto di tutti possa sostenere la popolazione in questo tragico momento: siamo vicini al popolo del Marocco”.

“Oggi in Polonia – ha aggiunto - sono stati beatificati i martiri Giuseppe e vittoria Ulma e i loro 7 figli sterminati dai nazisti il 24 Marzo 1944 per aver dato un rifugio ad alcuni ebrei. Essi rappresentano un raggio di luce, siano per noi un modello da imitare. Sentiamoci chiamati a opporre alle armi, la carità, la tenacia della preghiera, facciamolo per i paesi che soffrono per la guerra e intensifichiamo la preghiera per l’Ucraina che soffre tanto”.

Il 12 settembre – ha concluso il Papa – “il caro popolo etiope celebra il suo tradizionale Capodanno: desidero porre i più cordiali auguri all'intera popolazione auspicando che sia benedetta con i doni della riconciliazione fraterna e della pace”. Aci 10

 

 

 

Il no delle religioni alla guerra: a Berlino l’incontro internazionale per la pace

 

Roma – In un tempo in cui nuovi muri si innalzano e aumenta la rassegnazione di fronte a guerre che si eternizzano, come quella in Siria, e al drammatico conflitto che si combatte ancora, dopo un anno e mezzo, in Ucraina, il popolo della pace si darà appuntamento a Berlino, dal 10 al 12 settembre, per l’Incontro internazionale “L’audacia della pace”, il trentasettesimo nello “spirito di Assisi”, dopo la prima preghiera delle religioni mondiali voluta da Giovanni Paolo II.

Promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la Chiesa cattolica e quella evangelica di Berlino, l’evento  prevede un’assemblea inaugurale, 20 forum tematici e una cerimonia finale. Come ha spiegato il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, la scelta di Berlino è altamente simbolica: “In una stagione che vede risorgere tanti muri e crescere polarizzazioni preoccupanti, l’esempio di una città, grande capitale europea, dove un muro è caduto per la forza delle democrazie, del dialogo e della pazienza di costruire canali di pace, è fondamentale e dà speranza per il futuro”.

Numerosi i leader religiosi e le personalità delle istituzioni e del mondo della cultura che interverranno, provenienti da 33 paesi di tutti i continenti. Tra loro il presidente e il cancelliere tedeschi, Frank-Walter Steinmeier (all’inaugurazione) e Olaf Scholz (in dialogo, in un forum, con Andrea Riccardi), il presidente della Guinea Bissau Umaro Sissoco Embalò, il Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb, il presidente della Conferenza dei rabbini europei, Pinchas Goldschmidt, il cardinale Matteo Zuppi e il patriarca assiro Mar Awa Royel dall’Iraq, insieme a delegazioni di diverse Chiese cristiane, dell’islam, dell’ebraismo e delle altre religioni mondiali, con delegazioni dal Giappone e dall’India per il buddismo e l’induismo.

Il programma  prevede l’inaugurazione nel pomeriggio di domenica 10 settembre e, a seguire, 20 forum nella giornata di lunedì 11 e nella mattina di martedì 12 su temi come la crisi ambientale, i migranti, il dialogo interreligioso, la democrazia nell’età contemporanea, la globalizzazione, il disarmo e l’intelligenza artificiale. La cerimonia finale si svolgerà davanti alla Porta di Brandeburgo il pomeriggio del 12 settembre dove è atteso un messaggio di Papa Francesco e verrà letto l’appello di pace delle religioni mondiali. Previste anche testimonianze da paesi in guerra, come l’Ucraina e l’Afghanistan. Dip 10

 

 

 

 

Apostolato del mare: la fraternità per sovvertire una cultura che condanna alla solitudine

 

La fatica e la solitudine dei marittimi, le migrazioni e l’incontro tra culture, la cura del creato e la biodiversità, il primato dell’economia a scapito della dignità delle persone: sono "le sfide" a cui la Chiesa è chiamata a dare una risposta. Se ne è parlato durante il secondo convegno dell’Apostolato del mare in Italia a Civitavecchia - Alberto Colaiacomo

 

“Una terapia di fraternità per sovvertire una cultura che condanna i marittimi alla solitudine e isola; genera freddezza ed esaurisce; conduce a stanchezza e depressione”. È la strada che don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’Apostolato del mare, indica ai referenti diocesani, ai cappellani e ai volontari delle associazioni Stella Maris riuniti a Civitavecchia per il secondo convegno dell’Apostolato del mare in Italia. L’incontro, dal titolo “I marittimi: dalla solitudine alla fraternità”, ha visto la partecipazione di oltre sessanta delegati.

La fatica e la solitudine dei marittimi, le migrazioni e l’incontro tra culture, la cura del creato e la biodiversità, il primato dell’economia a scapito della dignità delle persone: sono “le sfide” a cui la Chiesa è chiamata a dare una risposta.

Ad indicarle è stato mons. Gianrico Ruzza, vescovo delle diocesi di Civitavecchia-Tarquinia e Porto-Santa Rufina ed anche promotore dell’Apostolato del mare in Italia, che ha aperto il convegno insieme al sindaco della città, Ernesto Tedesco, presso la sala conferenze del Forte Michelangelo. La rassegna si è svolta in tre sessioni che hanno messo al centro i temi che interpellano la “gente di mare”. Filo conduttore è stata l’enciclica Fratelli Tutti con la frase “Rimane sempre uno spazio per il dialogo”. Il sabato mattina è stato invece dedicato all’apporto dei marittimi al cammino sinodale della Chiesa italiana. “Abbiamo scelto il tema della solitudine – ha detto il presule – perché come Chiesa abbiamo imparato molto dal cammino sinodale”. “In questi due anni – ha aggiunto – ho ascoltato il grido di dolore di coloro che sono rimasti imbarcati lunghi mesi a causa del Covid, dei pescatori vittime delle eccessive restrizioni, dei lavoratori sfruttati. Siamo qui – ha aggiunto mons. Ruzza – con la voglia di una ricerca autentica della verità, alla luce della tradizione del mare, della vita di chi lo ama e della Dottrina sociale della Chiesa”.

Don Bignami ha tracciato alcune “attenzioni” che cappellani e volontari sono chiamati a coltivare: “Occorre aiutare la comunità cristiana ad aprire gli occhi sulle persone invisibili e che, invece, sono una colonna del mondo economico odierno. Senza marittimi non ci sarebbe commercio. Tuttavia, non possiamo accettare che tale economia sia sostenuta sistematicamente sullo sfruttamento dei lavoratori”.

Il sacerdote suggerisce di allargare lo sguardo sui problemi umani e psichici, ma anche di non lasciarsi intrappolare dalla tentazione di “essere dei superman che risolvono tutto”: l’invito a seguire l’esempio del Samaritano “imparare a fare la propria parte, senza dimenticare di far affidamento su chi ha maggiori competenze”.

Don Bignami ha poi sottolineato l’importanza del dialogo:“L’ambiente marittimo si caratterizza per la presenza di persone provenienti da mondi culturali, religiosi, sociali molto differenti tra loro. La cassetta degli attrezzi di una pastorale d’ambiente non deve mancare della capacità di dialogo”. Si tratta di un dialogo paziente che si alimenta con la ricerca di punti di contatto e l’ascolto umile.

Su questi temi si è svolta la tavola rotonda coordinata da don Gabriele Quinzi, sacerdote salesiano e figlio di un marittimo. A mettere l’accento sulla formazione per i lavoratori del mare è stata Paola Vidotto, direttrice dell’Accademia della Marina Mercantile di Genova, parlando dell’impegno ad educare i giovani marinai per “reagire alle avversità imparando ad attivare le proprie risorse”; “superare l’analfabetismo emotivo abituandosi a socializzare”; “saper leggere e interpretare i diversi contesti di vita”. Francesco Buscema, psicologo dell’Università di Torino, ha illustrato i risultati della ricerca “Ma come fanno i marittimi?” realizzata nell’ambito del progetto “Psicologia del mare”. Da 880 interviste a lavoratori imbarcati è emersa “la richiesta costante di tempo da dedicare al riposo” e di “ambienti di qualità dove si faccia fraternità”. “Non basta fornire ai lavoratori una postazione internet – ha detto – ma anche spazi e tempi di socialità, di riposo e di momenti di confronto con chi comanda l’equipaggio”. Enrica Mammuccari, segretaria generale della Uila Pesca, si è soffermata sulla grave crisi del comparto e sulle difficoltà del ricambio generazionale in un settore che ha perso 35mila addetti dal 2005. Oltre a un essere “difficile, rischioso e pagato male”, quello del pescatore è anche un lavoro che “ha una cattiva narrazione”. “È passata l’idea, non solo per la pesca, che tutti i lavori faticosi siano poveri e vengano disconosciuti socialmente. I giovani hanno paura di sentirsi umilianti e marginalizzati. Spesso – ha aggiunto la sindacalista – si imputa ai pescatori anche la responsabilità della distruzione delle risorse marine. È innegabile che la pesca abbia un impatto sull’ambiente, ma ritengo che sia come tutte le attività antropiche”. Sir 9

 

 

Sisma in Marocco, l’aiuto della Chiesa. Si mobilita la Caritas Italiana

 

Marrakech. E' di oltre 600 morti e più di 300 feriti il bilancio del tragico sisma che ieri sera ha colpito il Marocco.

Caritas Rabat si è attivata con la sua Equipe e sta contattando le parrocchie colpite e si sta organizzando per l’assistenza alle persone sfollate. Caritas Italiana, in contatto con l’Equipe Caritas locale, segue con apprensione le notizie che giungono dal Paese nordafricano. E' quanto si legge sul sito della Caritas Italiana.

 “In questo momento possiamo solo esprimere a parole tutta la nostra solidarietà, assicurando il sostegno delle nostre comunità che sapranno dare, nei prossimi giorni, segni concreti di vicinanza e condivisione”, commenta il direttore don Marco Pagniello.

La Conferenza Episcopale Italiana esprime solidarietà alla popolazione del Marocco, colpita nella notte da un violento terremoto. Devastata in particolare la regione di Marrakech; centinaia i morti e i feriti; migliaia le persone senza alloggio e ingenti i danni materiali. Come forma di aiuto immediata, la CEI ha deciso lo stanziamento di 300mila euro dai fondi 8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.

“Alle sorelle e ai fratelli del Marocco giunga il nostro profondo cordoglio e la nostra vicinanza. Facendoci prossimi alla popolazione provata da questo tragico evento, preghiamo per le vittime e i loro familiari. Assicuriamo inoltre il sostegno delle nostre Chiese, stringendoci a tutti coloro che sono stati colpiti da questa calamità e alla comunità marocchina in Italia ferita negli affetti”, afferma il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI.

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È possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana per questa emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o donazione on-line, o bonifico bancario specificando nella causale “Terremoto Marocco” tramite:

* Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 24 C 05018 03200 00001 3331 111

* Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT 66 W 03069 09606 100000012474

* Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT 91 P 07601 03200 000000347013

* UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063 119 aci 9

 

 

 

Papa Francesco: "Lo Spirito Santo ci fa protagonisti del sogno di Dio"

 

Il Papa ha ricevuto in udienza i Membri dell’Associazione di Promozione della Famiglia “Incontro Matrimoniale”  - Di Marco Mancini

 

Città del Vaticano. “Matrimonio e Ordine sacro, benché in modo diverso e secondo il carisma proprio di ciascuno, sono intimamente legati perché entrambi manifestano l’amore di Dio, edificando il Corpo mistico della Chiesa. Questi due sacramenti, infatti, per strade diverse ma complementari, parlano di sponsalità”. Lo ha detto il Papa, stamane, ricevendo in udienza i Membri dell’Associazione di Promozione della Famiglia “Incontro Matrimoniale”.

Il sogno di Dio – ha spiegato il Pontefice – è “unirci nel suo amore, nella sua comunione, per farci scoprire la bellezza della figliolanza divina e della fraternità tra di noi. Per questo Gesù ha pregato accoratamente. E ci manda sulle strade del mondo ad annunciare che la via per generare una nuova umanità si fonda sulla fraternità, frutto della carità, non sulla prevaricazione e sull’egoismo”.

“Il vostro carisma – ha aggiunto - ricorda che la fede è anzitutto un’esperienza di relazione e di incontro. È una storia d’amore con Dio, con i fratelli, con le sorelle. Voi guardate da vicino il dialogo a volte non facile tra i coniugi e le situazioni talvolta complesse a cui sono chiamati a far fronte i sacerdoti, favorendo uno scambio fecondo, per apprendere insieme l’arte della relazione, l’arte della comunione. Così portate avanti il sogno di Dio, sogno di comunione sponsale, in un tempo che a volte preferisce battere i sentieri paludosi dell’individualismo invece di avventurarsi verso le splendide vette dell’amore”.

La Chiesa – ha proseguito ancora Papa Francesco – “è chiamata a percorrere la strada di una sempre maggiore reciprocità tra i doni, i carismi e i ministeri. Lo scambio tra i coniugi e i pastori favorisce l’azione evangelizzatrice di cui oggi abbiamo urgente bisogno. Infatti, è attraverso le relazioni, anzitutto testimoniando la bellezza delle relazioni, che riusciamo ad annunciare la ricchezza del Vangelo e a mostrare l’amore che Dio nutre per ogni creatura”.

Lasciatevi guidare dallo Spirito Santo – ha concluso – “che è l’amore di Dio, senza il quale le nostre attività sono sterili e vane. È lo Spirito che apre i cuori e le menti e che ci fa protagonisti, tutti noi, del sogno di Dio”. Aci 9

 

 

 

Invasione russa. Papa Francesco ai vescovi greco-cattolici (Ugcc): “Sono con il popolo ucraino”

 

Nella mattinata di oggi, 6 settembre, si è tenuta in Vaticano l’udienza privata di Papa Francesco ai Vescovi del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc). A darne notizia è un comunicato del Segretariato a Roma dell’Arcivescovo maggiore di Kyiv che parla di “una conversazione franca” in cui i vescovi ucraini hanno espresso “il dolore, la sofferenza e una certa delusione del popolo ucraino”. L’incontro è iniziato un’ora prima del previsto “per avere l’opportunità di dialogare più a lungo con i vescovi ucraini”. Secondo Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo dell’Ugcc, “questo incontro è stato un momento di ascolto reciproco e un’opportunità di dialogo franco e sincero”. I vescovi dell’Ugcc hanno chiesto a papa Francesco di aprire l’incontro con una preghiera comune per “una pace giusta in Ucraina” e per tutti coloro “che stanno morendo in questo momento nel nostro Paese per mano dell’aggressore russo”. Il Santo Padre ha ringraziato per l’iniziativa e, insieme ai vescovi ucraini, ha recitato la preghiera del “Padre nostro” per l’Ucraina e il suo “popolo sofferente”. “Nel colloquio con il Santo Padre – racconta Shevchuk nel comunicato – abbiamo espresso al Papa tutto ciò che i nostri fedeli in Ucraina e nel mondo ci hanno affidato di trasmettere a Sua Santità. I nostri vescovi hanno parlato in ucraino, inglese, portoghese e italiano”, ed hanno confidato che alcune dichiarazioni e gesti “della Santa Sede e di Sua Santità sono dolorosi e difficili per il popolo ucraino, che attualmente sanguina nella lotta per la propria dignità e indipendenza”. Le incomprensioni sorte tra Ucraina e Vaticano dall’inizio della guerra su vasta scala, spiegano i vescovi, vengono utilizzate dalla propaganda russa per giustificare e sostenere l’ideologia assassina del “Mondo russo”, quindi “i fedeli della nostra Chiesa sono sensibili ad ogni parola di Sua Santità come voce universale di verità e di giustizia”. Riferendosi alle proprie parole e ai paragoni che aveva rivolto, in particolare, ai giovani russi, il Santo Padre ha spiegato: “Di ritorno dalla Mongolia, ho affermato che il vero dolore è quando il patrimonio culturale di un popolo subisce una “diluizione” ed è sottoposto alle manipolazioni da parte di un certo potere statale, a seguito delle quali esso si trasforma in un’ideologia che distrugge e uccide. È una grande tragedia quando tale ideologia si intromette nella Chiesa e sostituisce il Vangelo di Cristo”. Secondo quanto riportato dalla Chiesa greco-cattolica ucraina, il Santo Padre ha anche ammesso che “il fatto che abbiate dubitato con chi sia il Papa è stato particolarmente doloroso per il popolo ucraino. Voglio assicurarvi della mia solidarietà con voi e di una costante vicinanza orante. Io sono con il popolo ucraino”.

I vescovi hanno ringraziato Papa Francesco per il suo costante sostegno all’Ucraina a livello internazionale, le sue azioni umanitarie, i suoi sforzi personali per liberare i prigionieri, per la missione di pace dell’inviato speciale papale, il cardinale Matteo Zuppi. Hanno chiesto al Santo Padre di continuare i suoi sforzi per la liberazione dei prigionieri di guerra, in particolare hanno menzionato i sacerdoti redentoristi, p. Ivan Levytskyi e p. Bohdan Haleta, che sono ancora prigionieri in Russia. Al termine dell’udienza, S.B. Shevchuk ha donato al Papa alcuni effetti personali dei due padri Redentoristi prigionieri: una croce missionaria, un libro di preghiere e un rosario. “Questi oggetti, Santità, testimoniano la sofferenza della nostra Chiesa e del nostro popolo di fronte agli orrori della guerra causata dall’aggressione russa. Come tesoro inestimabile, ve li consegniamo con la speranza che presto giunga una pace giusta in Ucraina”.

(M.C.B.) sir 6

 

 

 

Papa in Mongolia: un Paese che può svolgere “un ruolo importante per la pace”.

 

Città del Vaticano – Papa Francesco ha concluso il suo 43° viaggio apostolico internazionale che lo ha visto pellegrino nella capitale della Mongolia, Ulaanbaatar. Il viaggio, il primo di un Pontefice in Mongolia, è iniziato venerdì 1° settembre (la partenza da Roma era stata la sera del 31 agosto): in quattro giorni Francesco ha incontrato le autorità del Paese nella capitale Ulaanbaatar e la piccola comunità cristiana locale presso la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, come pure i leader religiosi locali e gli operatori della “Casa della Misericordia”. Un abbraccio globale ad un Paese, stretto tra Russia e Cina, che – come ha detto il Papa stesso nel suo primo discorso all’autorità – può avere un “ruolo” fondamentale nello scenario internazionale, soprattutto per la pace globale. La visita ha avuto anche l’obiettivo di rivolgere alla piccola, ma vivace comunità cattolica parole di incoraggiamento e di speranza anche per il suo importante contributo nel campo della convivenza e dello sviluppo umano.

Nell’incontro con le autorità e il corpo diplomatico nel Palazzo di Stato, il 2 settembre, Papa Francesco, nel suo primo discorso in Mongolia, presentandosi come “pellegrino di amicizia”, ha auspicato: “Voglia il Cielo che sulla terra, devastata da troppi conflitti, si ricreino anche oggi, nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo fu la pax mongolica, cioè l’assenza di conflitti. Come dice un vostro proverbio, ‘le nuvole passano, il cielo resta’: passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali!”. Poi l’appello: “Qui, nel vostro Paese ricco di storia e di cielo, imploriamo questo dono dall’Alto e diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”.

E ha rimarcato che “la Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale”.

Nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, sempre il 2 settembre, il Pontefice ha incontrato vescovi, sacerdoti, missionari, consacrati e consacrate e operatori pastorali presenti nella Chiesa in Mongolia. Un incoraggiamento alla piccola comunità nelle sue parole: “Fratelli, sorelle, non abbiate paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della rilevanza che non appare. Non è questa la strada di Dio”. Il Santo Padre ha anche elogiato l’impegno in oltre trent’anni in una svariata quantità di iniziative di carità: “Vi incoraggio a proseguire su questa strada feconda e vantaggiosa per l’amato popolo mongolo. Al tempo stesso vi invito a gustare e vedere il Signore, a tornare sempre e di nuovo a quello sguardo originario da cui tutto è nato. Senza di esso, infatti, le forze vengono meno e l’impegno pastorale rischia di diventare sterile erogazione di servizi, in un susseguirsi di azioni dovute, che finiscono per non trasmettere più nulla se non stanchezza e frustrazione”. Una rassicurazione poi alle autorità: “I governi e le istituzioni secolari non hanno nulla da temere dall’azione evangelizzatrice della Chiesa, perché essa non ha un’agenda politica da portare avanti, ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia e di verità, capace di promuovere il bene di tutti”.

Due i momenti salienti di domenica 3 settembre. L’Incontro ecumenico e interreligioso all’Hun Theatre e la messa celebrata nella “Steppe Arena”. L’impegno che il Papa ha chiesto alle diverse fedi, pronte ad offrire la bellezza rappresentata dagli insegnamenti dei “rispettivi maestri spirituali”, è questo: “In società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti”. Non solo: “La nostra responsabilità è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che professiamo – ha osservato -; non può contraddirli, diventando motivo di scandalo. Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo. La memoria delle sofferenze patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce”. E ancora un appello per la pace: “Le tradizioni religiose, nella loro originalità e diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società. Se chi ha la responsabilità delle nazioni scegliesse la strada dell’incontro e del dialogo con gli altri, contribuirebbe in maniera determinante alla fine dei conflitti che continuano ad arrecare sofferenza a tanti popoli”.

Nella messa Francesco ha sottolineato che “tutti, tutti noi siamo ‘nomadi di Dio’, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore” e che “la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi”. Alla fine della celebrazione il Pontefice, con un gesto a sorpresa, facendo avvicinare a sé, John Tong Hon e Stephen Chow, l’emerito e l’attuale vescovo di Hong Kong, quest’ultimo cardinale designato che riceverà la porpora nel Concistoro del prossimo 30 settembre, ha rivolto “un caloroso saluto al nobile popolo cinese”.

E ha continuato: “A tutto il popolo auguro il meglio, e andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini”. Nel saluto al termine della messa, anche un ringraziamento alla Mongolia, un popolo particolarmente caro al Papa, come lui stesso ha detto commentando l’indirizzo di omaggio del card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar: “Fratelli e sorelle della Mongolia, grazie per la vostra testimonianza, bayarlalaa! [grazie!]. Dio vi benedica. Siete nel mio cuore e nel mio cuore rimarrete”. E, rivolgendosi ai membri delle altre confessioni cristiane e religioni, ha consegnato questo compito: “Continuiamo a crescere insieme nella fraternità, come semi di pace in un mondo tristemente funestato da troppe guerre e conflitti”.

Nell’ultimo giorno del viaggio apostolico, 4 settembre, il Pontefice ha incontrato gli operatori della carità e ha benedetto e inaugurato la Casa della Misericordia, che “si propone come punto di riferimento per una molteplicità di interventi caritativi, mani tese verso i fratelli e le sorelle che faticano a navigare tra i problemi della vita. È una sorta di porto dove attraccare, dove poter trovare ascolto e comprensione. Questa nuova iniziativa, però – ha evidenziato il Santo Padre -, mentre si aggiunge alle numerose altre sostenute dalle varie istituzioni cattoliche, ne rappresenta una versione inedita: qui, infatti, è la Chiesa particolare a portare avanti l’opera, nella sinergia di tutte le componenti missionarie ma con una chiara identità locale, come genuina espressione della Prefettura apostolica nel suo insieme”. E, ha aggiunto, mi piace molto il nome che avete voluto darle: Casa della Misericordia. In queste due parole c’è la definizione della Chiesa, chiamata a essere dimora accogliente dove tutti possono sperimentare un amore superiore, che smuove e commuove il cuore: l’amore tenero e provvidente del Padre, che ci vuole fratelli, ci vuole sorelle nella sua casa”. Francesco ha anche ricordato: “Il vero progresso delle nazioni non si misura sulla ricchezza economica e tanto meno su quanto investono nell’illusoria potenza degli armamenti, ma sulla capacità di provvedere alla salute, all’educazione e alla crescita integrale della gente”.

Dopo la cerimonia di congedo in aeroporto, il Papa è partito e, dopo il decollo, ha fatto pervenire al presidente della Mongolia, Khürel Sükh Ukhnaa, un telegramma in cui ha espresso “ancora una volta, il senso di gratitudine” alle autorità e al popolo mongolo “per la calorosa accoglienza e la generosa ospitalità riservatami in questi giorni”. Infine, ha assicurato le sue “continue preghiere per la pace, l’unità e la prosperità della nazione”. (Gigliola Alfaro – Sir 5)

 

 

 

Tenuto il Convegno Nazionale dei Laici. Per essere Chiesa sinodale

 

Ho trascorso il primo fine settimana di luglio a Stoccarda nella Christkönigshaus al Convegno dei Laici. organizzato dall’ufficio UDEP della Delegazione MCI Germania.

Non conoscevo i relatori ed ero curiosa di sentire le loro relazioni sul tema sinodalità, declinata in comunione, partecipazione e missione. Erano: don Jean Bonane della comunità Santissimi Cuori di Gesù e di Maria di Leonberg, Samuel Benedetto Alba dalla comunità Maria SS. delle Grazie di Calw e Sonia Cussigh dalla comunità San Martino di Stoccarda-Bad Cannstatt. Paola Colombo, responsabile dell’UDEP, ha introdotto i temi del Convegno e ha moderato l’evento. Dopo aver ascoltato i relatori, ci siamo divisi in tre gruppi ed abbiamo trattato i tre temi “comunione”, “partecipazione” e “missione” individualmente, scegliendo a nostra volta un portavoce per la presentazione dei nostri pensieri all’assemblea.

Il Convegno si è concluso la domenica con la relazione finale, affidata ad Antonio Autiero, professore emerito di teologia morale, Università di Münster, che ha tirato le fila dei tanti pensieri confluiti nel dibattito durante tutto il sabato. Lui ha fatto notare che la lettura delle tre figure (comunione, partecipazione e missione) in termini di mera rappresentazione del profilo religioso spirituale e di condotta di vita dei fedeli è una lettura parziale che non basta per comprendere queste tre categorie alla luce della sinodalità. “In realtà, proprio in riferimento alla categoria di Sinodo (non come evento ma come processo) esse assumono la funzione di esprimere le linee portanti di un disegno ecclesiologico originario”, ha detto il prof. Autiero.

In effetti il Convegno dei Laici è un incontro di formazione per approfondire il senso di appartenenza alla comunità cristiana e rendere concreto e vivo quel principio di corresponsabilità tra laici e presbiteri per la crescita del popolo di Dio che è la Chiesa.

Il Convegno aveva come titolo: Allarga lo spazio della tua tenda e non è uno slogan per attirare l’attenzione. Il versetto fa parte del libro di Isaia dell’Antico Testamento e dice: “Amplia lo spazio della tua tenda, stendi le tende di tua dimora, non trattenerti, allunga le tue funi e rafforza i tuoi picchetti.” È la metafora che invita il popolo di Dio a espandere i propri orizzonti, ad allargare le prospettive e ad accogliere nuove possibilità e opportunità. Nella metafora della tenda, si suggerisce di aumentare lo spazio disponibile, rendendo la dimora più grande e, allo stesso tempo, di assicurarsi che sia ben ancorata e solida, pronta ad affrontare le sfide che possono presentarsi. Questo Convegno mi ha stimolato a seguire un invito antichissimo e sono grata agli organizzatori per averci chiamato a riflettere su di esso. L’invito è un richiamo alla fede e alla speranza, incoraggiando il popolo di Dio a credere nella provvidenza e nella guida di Dio nelle loro vite. Il passaggio esorta a non avere paura di abbracciare il nuovo, a essere aperti al cambiamento e alla crescita, sapendo che Dio è con noi e ci sostiene nel nostro cammino. Personalmente ho vissuto questa atmosfera durante i due giorni del Convegno.

Invito tutti i lettori/le lettrici del Corriere d’Italia a non perdere le occasioni di confronto e scambio che la Delegazione MCI ci offre. Concludo ricordando che papa Francesco ha spesso sottolineato l’importanza della sinodalità all’interno della Chiesa cattolica durante il suo pontificato. Ha cercato di promuovere un modo di governare e di prendere decisioni che coinvolgano tutti i membri della Chiesa, valorizzando il ruolo dei fedeli laici e ascoltando le loro voci. Questo approccio è in linea con la sua visione di una Chiesa più aperta, inclusiva e attenta alle esigenze delle persone.

Papa Francesco ha avuto occasione di parlare di sinodalità in varie occasioni, sia durante i sinodi che si sono svolti durante il suo pontificato, sia in altre dichiarazioni e discorsi.

Un esempio significativo è il Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, svoltosi nel 2014 e 2015, che ha promosso un’ampia consultazione all’interno della Chiesa su questioni riguardanti la famiglia e i temi connessi. L’altro esempio è il sinodo sulla sinodalità in corso. Il Papa ha anche sottolineato l’importanza di ascoltare il popolo di Dio, includendo la voce dei fedeli, dei sacerdoti e delle comunità locali nelle decisioni ecclesiali. Incoraggia una cultura del dialogo e del discernimento, auspicando che questo possa aiutare la Chiesa a rispondere meglio alle sfide del mondo contemporaneo.

La sinodalità, natura stessa della Chiesa, è al centro del suo pontificato e, di conseguenza, per renderla più attenta, vicina e attiva alle esigenze dei fedeli, papa Francesco invita tutti i membri della comunità ecclesiale a lavorare insieme in uno spirito di ascolto e discernimento condiviso.

Mary Condotta, presidente del consiglio pastorale della comunità di Francoforte Centro e collaboratrice Corriere d’Italia. CdI settembre

 

 

 

 

Ritrovati alcuni elenchi dei rifugiati negli istituti religiosi di Roma per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste

 

ROMA - Nell’archivio del Pontificio Istituto Biblico di Roma è stata rinvenuta una documentazione inedita che elenca le persone, in maggioranza ebree, protette dalle persecuzioni nazifasciste della Capitale grazie al rifugio loro offerto presso istituzioni ecclesiali della città. L’elenco delle congregazioni religiose ospitanti (100 congregazioni femminili e 55 maschili), insieme ai rispettivi numeri delle persone da loro ospitate, era già stato pubblicato dallo storico Renzo De Felice nel 1961, tuttavia la documentazione integrale era stata considerata perduta.

Gli elenchi ora ritrovati si riferiscono a oltre 4.300 persone, delle quali 3.600 sono identificate per nome. Dal confronto con i documenti conservati nell’archivio della Comunità Ebraica di Roma, circa 3.200 risultano con certezza ebrei. Di questi ultimi sappiamo dove sono stati nascosti e, in talune circostanze, i luoghi di residenza prima della persecuzione. La documentazione incrementa così significativamente le informazioni sulla storia del salvataggio di ebrei nel contesto degli istituti religiosi di Roma.

Per motivi di tutela della privacy, l’accesso al documento è al momento riservato.

Il documento è stato presentato durante il workshop “Salvati. Gli ebrei nascosti negli istituti religiosi di Roma (1943-1944)” che si è tenuto oggi, 7 settembre, presso il Museo della Shoah di Roma.

La documentazione rinvenuta è stata compilata dal gesuita italiano p. Gozzolino Birolo tra il giugno 1944 e la primavera del 1945, subito dopo la liberazione di Roma.

Birolo è stato economo del Pontificio Istituto Biblico dal 1930 fino alla sua morte per cancro nel giugno 1945. Rettore dell’Istituto in questo periodo è stato il gesuita p. Augustin Bea, che fu creato cardinale nel 1959 e divenne noto per il suo impegno per il dialogo ebraico-cattolico, soprattutto per il documento del Vaticano II Nostra Aetate.

Gli storici coinvolti nello studio dei nuovi documenti sono Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma, Grazia Loparco della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, Paul Oberholzer dell’Università Gregoriana e Iael Nidam-Orvieto, Direttore dell’Istituto Internazionale per la Ricerca sull’Olocausto dello Yad Vashem.

La ricerca è stata coordinata da Dominik Markl (Pontificio Istituto Biblico e Università di Innsbruck) insieme al Rettore del Pontificio Istituto Biblico, il gesuita canadese Michael Kolarcik.

Roma fu occupata dai nazisti per nove mesi, a partire dal 10 settembre 1943 fino a quando le forze alleate liberarono la città il 4 giugno 1944. In quell’arco di tempo la persecuzione degli ebrei determinò, tra l’altro, la deportazione e l’uccisione di quasi 2.000 persone, compresi centinaia di bambini e adolescenti, su una comunità di circa 10.000 - 15.000. (aise/dip 7) 

 

 

 

Recensione. Un inno alla teologia

 

Bettazzi, l’ultimo dei padri conciliari europei, recentemente scomparso, sul libro Guardare alla teologia del futuro. Conversazione coi teologi Marinella Perroni* e Brunetto Salvarani*, curatori del volume Guardare alla teologia del futuro. Dalle spalle dei nostri giganti (Claudiana 2022) – di Paola Colombo, Udep

 

“Un libro da leggere con fiducia” aveva scritto mons. Luigi Bettazzi, l’ultimo dei padri conciliari europei, recentemente scomparso, sul libro Guardare alla teologia del futuro. Dalle spalle dei nostri giganti (Claudiana, 2022), a cura di Marinella Perroni e Brunetto Salvarani. Il volume raccoglie i contributi di teologhe e teologi italiani su 26 “giganti” della teologia del dopo Vaticano II. Giganti, uomini e donne dei cinque continenti, che si sono interrogati su “che cosa vuol dire essere cristiani”, lasciando semi che possono ancora germogliare. Lo si vede negli autori dei saggi contenuti, teologhe e teologi italiani, che mostrano quanto la ricerca teologica in Italia sia ricca e vivace. Il punto di snodo da cui parte Guardare alla teologia del futuro è il Concilio Vaticano II. Due sono le direttrici, oltre alla tradizione, affinché la ricerca teologica possa essere feconda e parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo: l’approccio storico-critico alle sacre scritture e il dialogo della teologia con le scienze umane. Si capisce allora che si tratta di un libro da leggere con fiducia perché “da sempre la vita delle chiese dipende anche dalla qualità della riflessione teologica e, soprattutto, dalla capacità di guardare in avanti, di preparare il futuro” (p. 6). La parola “anche” rimanda ad altro, innanzitutto al vangelo, e la Chiesa tramanda la fede e “la testimonianza di Cristo (che) è la ragione dell’esistenza della Chiesa” (Delgado). La Chiesa vive la buona novella, tramanda la Parola, la quale si incarna nella storia di uomini e donne che vivono il loro tempo. Tutto questo in una dinamica di tradizione e innovazione affidata alla ricerca teologia che oggi più che mai deve essere coraggiosa perché ha il compito fondamentale che “assicura alla chiesa la sua fedeltà al vangelo e un’apertura alle ragioni del futuro”. Ne parliamo con i curatori, Marinella Perroni e Brunetto Salvarani.

*Marinella Perroni, docente em. di Nuovo Testamento al pontificio Ateneo Sant’Anselmo, ha fondato il Coordinamento Teologhe Italiane (CTI).

**Brunetto Salvarani, teologo esperto di dialogo interreligioso ed ecumenismo, è docente . di Missiologia e Teologia del dialogo a Bologna, Modena e Rimini.

 

Come è nato questo libro che non è né un’antologia né un manuale di teologia contemporanea?

Marinella Perroni: Non avevamo nessuna intenzionalità e non pensavamo a nessun target di lettori. La cosa è nata dentro di me quando è morto Hans Küng, perché per me era la cifra della teologia post conciliare del Novecento, certamente non solo lui, ma lui era particolarmente rappresentativo. Ne ho parlato con Brunetto, trovando una rispondenza totale e abbiamo cominciato a pensare insieme. Abbiamo voluto limitare a teologi e teologhe scomparsi negli ultimi vent’anni per offrire un tracciato, perché abbiamo avuto dei padri/madri straordinari nella fede teologica già in tutta la seconda metà del Novecento. Non volevamo fare un’operazione-ricordo ma dire che questi teologi lasciano dei semi nella ricerca teologica, nella vita ecclesiale. Tutti coloro che hanno partecipato alla stesura del libro hanno detto subito sì, hanno quasi tutti scelto un nome della lista che abbiamo presentato. Poi è venuto il problema della casa editrice, Dopo tentativi presso diverse case editrici, Claudiana, ha accettato e il volume ha avuto il via, immediato.

Brunetto Salvarani: La dedica di Bettazzi è una testimonianza, un punto di riferimento. Ha ragione Marinella, non avevamo idea di che cosa sarebbe venuto fuori. Ci fidavamo del nostro fiuto e del valore dei teologi che abbiamo coinvolto, perché alcuni di loro sono decisamente i migliori che abbiamo in Italia oggi. Ne è emerso un inno alla teologia, al valore della teologia, alla sua bellezza e ricchezza, al suo carattere interdisciplinare, plurale, al fatto che la teologia, nonostante tanta sofferenza nella biografia di molti dei teologi (in parte anche di quelli che hanno scritto, ma soprattutto di quelli su cui hanno scritto), sono riusciti a vivere delle vite meravigliose, seppur faticose e dolorosissime. Faccio solo un nome, Jacques Dupuis, un martire della teologia. Ha finito la sua vita per il dolore che aveva accumulato, per gli attacchi che aveva ricevuto non dalla stampa ma dalla Congregazione per la dottrina della fede sul suo libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso che oggi è riconosciuto come il libro più importante, su scala europea, sul tema del dialogo interreligioso, in particolare della teologia del dialogo. Purtroppo, la teologia in Italia, a differenza di quanto accade in Germania, è ancora considerata una “roba da preti”; la teologia invece è laica e su di essa si può lavorare liberamente.

Il mandato conferito da papa Francesco all’arcivescovo Victor Manuel Fernández, a prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, può intendersi come segnale di incoraggiamento al libero lavoro della teologia? Gli ha scritto: “È bene che il vostro compito esprima che la Chiesa incoraggia il carisma dei teologi e il loro sforzo di ricerca teologica”. Questo è successo poco dopo che il suo predecessore al dicastero, il cardinale Ladaria, aveva negato il nulla osta a Martin Lintner a diventare preside dell’Istituto di Scienze religiose di Bressannone.

Brunetto Salvarani: La mancanza di accettazione del voto libero del collegio docenti per Martin Lintner a preside è un segnale molto allarmante. Ma il fatto che quel gesto in Italia, e non solo in Italia, non sia passato sotto silenzio, che ci sia stata una levata di scudi della teologia e di tanti teologi confermano l’assunto del nostro libro, che la teologia è viva e ringraziamo tutti quelli che hanno collaborato ad attestarlo.

Al vostro libro è stato assegnato a Napoli, lo scorso luglio, il premio Nazionale Amerigo delle Quattro Libertà, un riconoscimento morale a opere letterarie che, anche indirettamente, si rifanno alle quattro libertà citate dal presidente americano Roosevelt (1941): libertà di espressione, religiosa, dal bisogno e libertà dalla paura.

Marinella Perroni: Di questo premio, per il quale non ci siamo segnalati né lo ha fatto la casa editrice, mi ha impressionato che il libro sia stato recepito come meritevole rispetto alla seconda delle libertà proclamate da Roosevelt e cioè la libertà di religione, perché molti hanno pagato un prezzo alla libertà di religione ma non con un nemico esterno, ma “dentro casa”, nella religione cristiana, Nel momento in cui mettono il nostro libro in relazione alla libertà di religione, non si tratta di una testimonianza martiriale di fronte ai regimi atei ma è in riferimento alla libertà di pensiero all’interno del sistema religioso. Questa dovrebbe essere la teologia, che all’interno del sistema veicola, spinge alla libertà di pensiero, il che significa andare avanti.

Che cosa significa “andare avanti”, “guardare avanti”? Come divulgare la teologia senza scadere in una forma di marketing comunicativo a sfondo teologico?

Marinella Perroni: La grande svolta è stata l’impatto della teologia con le scienze umane, che erano un esito della modernità, quindi si è trattato dell’impatto della teologia con la modernità e di un’ibridazione reciproca. Un’ibridazione che continua ed è secondo me fondamentale. Oggi abbiamo in Italia alcuni chierici o teologi, che ritengono che il ruolo della teologia sia quello dell’influencer. Ma i teologi veri quelli che abbiamo alle spalle e che non potremmo mai replicare perché i tempi sono cambiati, perché le modalità sono cambiate, perché il tempo e lo spazio non sono più gli stessi, non volevano fare gli influencer, ma si sentivano chiamati in causa per elaborare orizzonti di pensiero sui quali capire cosa significa essere cristiani in un tempo in cui sono cambiate le coordinate del vivere e del pensare? Ognuno di loro poi l’ha fatto nel suo campo di specializzazione. Si sono sobbarcati di una fatica, ma era la fatica di voler interagire con le scienze, il pensiero, le mutazioni perché gli esseri umani vivono lì, e la teologia può dare un cibo che nessun altro dà. Questi personaggi ci interpellano perché non è questione di marketing comunicativo a sfondo teologico né di paternalistica pastorale. In prima istanza come credente, poi come pensatore, come intellettuale organico dentro una chiesa, la storia del mondo ci interpella a saper ripensare la fede in funzione degli uomini e delle donne di questo tempo. È una sfida grandiosa.

Brunetto Salvarani: Credo che una delle motivazioni di questo libro sia la consapevolezza del fatto che, come dice papa Francesco, siamo in un cambio d’epoca. Sulla ricezione di una cosa così enorme come il Concilio pesa, negli anni successivi e nei decenni successivi, tutta una serie di ipoteche negative, banalizzanti, sottovalutanti per cui, dal momento che io mi occupo di ecumenismo e di dialogo interreligioso oltre che di missione, mi domando quanto tutto questo sia penetrato nelle nostre chiese e nelle nostre comunità; quanto il rapporto fra cristiani ed ebrei, come sosteneva Carlo Maria Martini, è diventato un rapporto strategico attraverso il quale rivedere il nostro modo di essere Chiesa, il nostro modo di fare liturgia, il nostro modo di guardare le Scritture. Sull’ecumenismo siamo sempre arrancanti e faticosamente in attesa di quel segnale che lo faccia diventare la quotidianità. “Non possiamo non dirci ecumenici”, e poi invece purtroppo come Chiesa continuiamo a ragionare in termini monocratici e soprattutto a non guardare la storia della Chiesa con un’ottica ecumenica come il decreto Unitatis redintegratio (1964) ci inviterebbe a fare. Sulla missione, Ad gentes invita chiunque a essere missionario e sostiene che la missione è un dato teologico. Oggi ce ne rendiamo conto ancora di più perché in un tempo di esculturazione del cristianesimo in Europa – come affermano Danièle Hervieu Léger, sociologa delle religioni e Christof Theobald, teologo cattolico – ci rendiamo conto di come si tratti di ricominciare da capo. Ecco questo ricominciare daccapo trova nel libro due o tre direttrici importanti che vorrei segnalare: una è che dobbiamo abituarci ad abitare il confine, fecondo per la conoscenza, ed è l’alterità che ci abita. La seconda è che la teologia, per essere efficace, deve guardare al futuro. Pensare oggi la Chiesa di domani è il nostro compito. Non abbiamo voluto fare dei medaglioni: abbiamo chiesto ai teologi amici italiani quello che secondo loro a partire dal lavoro dei teologi defunti ci poteva servire per guardare in avanti e per pensare il cristianesimo del futuro.

Qui le sottolineature sono tante: per esempio tutto il discorso di genere, che emerge continuamente, evidenzia che in Italia oggi la teologia fresca, più intelligente venga dalle donne. Ma c’è anche la dimensione planetaria della teologia, quella interreligiosa. Sono tutti aspetti che emergono bene dal libro e il libro dice anche che, volendo, c’è un grande spazio di azione davanti a noi.

E sulla divulgazione della teologia?

Marinella Perroni: La teologia è un cibo solido, anzi è una pluralità di cibi. Chi li assume deve essere, come dire, allattato, svezzato e poi deve sapere elaborare quello che riceve, che legge. Questa è un’operazione molto seria e io continuo a pensare a un laicato cattolico, precedente alla mia generazione, che ho stimato moltissimo perché sapeva fare divulgazione, pur non avendo i titoli accademici. Lo sapeva fare leggendo le riviste, i libri, approfondendo i temi. Insomma era un laicato, penso al MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), all’Azione cattolica. Il dramma è quando un approccio alla teologia, in modo tutto particolare nel tempo della formazione, postula un abbassamento del tono, un azzeramento della problematica, della complessità e soprattutto diventa il diversivo dalla vita, dal pensiero, dai problemi. CdI settembre

 

 

 

Entrare nella logica di Dio. XXII Domenica del Tempo Ordinario

 

In questa domenica Cristo parla della sofferenza e della morte che lo attendono a Gerusalemme. Pietro, lo abbiamo meditato nel Vangelo di domenica scorsa, che ha riconosciuto Gesù come il Messia, ora davanti all’annuncio che ascolta rimane scandalizzato e si oppone ad una simile eventualità. Accettare Gesù come Figlio di Dio è ammissibile, ma è inammissibile che il Figlio di Dio  debba terminare la sua vita con una morte orrenda. Anche a noi con l’apostolo viene da dire che il mondo non sarà salvato da un crocifisso in più.

Siamo, dunque, chiamati a chiederci: “Che valore ha la croce di Cristo, che è divenuta il centro di tutta la storia umana?”. Attraverso la croce noi comprendiamo che Gesù ci ha amato più della sua stessa vita. La morte di Cristo in croce è il grande segnale che Dio ha lanciato all’umanità nel tentativo di convincerla che “Lui è amore”. Dio ama l’uomo fino al punto di desiderare di elevarlo, in Cristo, alla dignità di figlio di Dio. Per realizzare questo meraviglioso progetto d’amore ha accettato di condividere la nostra fragilità umana e di assumere su di sé il male del mondo, fino a renderlo visibile nel crimine della crocifissione. Dio non era obbligato a fare ciò che ha fatto, ma l’esperienza insegna che ciò che non è obbligante lo diviene nel cuore di chi ama. La croce è da prendere, da scegliere come riassunto di un destino di amore.

La domanda che Cristo, poi, rivolge ai discepoli e a noi - “quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima?” - è un invito a cercare la vera sapienza della vita. E non c’è vera sapienza se io mi dimentico che ho un’anima la quale, come insegna la Scrittura, è il respiro di Dio. Questo respiro vale più di tutto il mondo. Senza questo respiro di Dio potrei guadagnare il mondo, ma perderei me stesso. Per comprendere le parole di Gesù è necessario entrare in una logica nuova, la logica di Dio, perché possiamo essere vittime di un terribile abbaglio: pensare di avere guadagnato tutto se possediamo tanti beni a scapito dell’unico vero bene che è la salvezza eterna. Se i beni della terra possono essere perduti e riguadagnati, la vita perduta non può essere riacquistata.

Il vangelo di questa domenica, dunque, è una denuncia di tutti i deliri di onnipotenza dell’uomo, sempre finalizzati a dominare sugli altri e che nel nostro mondo contemporaneo prendono il nome di legalizzazione dell’aborto, manipolazione della vita umana, sfruttamento degli esseri umani, appropriazione della natura che è dono di Dio per tutti.

Gesù, invece, ci dice che il senso della vita sta nell’amore, proprio come ha fatto Lui. La scelta di amare deve partire da una motivazione assolutamente precisa: Gesù. Commenta San Giovanni Crisostomo: Può avvenire che uno soffra, ma non segua Cristo, quando soffre per se stesso. I ladri sopportano molte e gravi sofferenze: ma non credere che questa sofferenza abbia valore. Nella tua passione è lui che devi seguire, per lui devi sopportare ogni cosa. Quello che importa, dunque, è la ragione: “per causa mia”, dice Gesù. Mons. Francesco Cavina, Aci 3

 

 

 

 

Rabat. Una strana, immensa compassione

 

Rabat. Una strana, immensa compassione: ecco quanto provo.

Di sera uscendo di casa dove vivo, chiuso il portone, getto un occhio automaticamente al muretto accanto... Nascosto dalle auto in sosta, sul marciapiede, accovacciato come un cane c'è Ibrahim. Oppure Mohammed insieme a un amico oppure Abdesalam... insomma, giovani migranti subsahariani, forse appena maggiorenni. Hanno in testa un sogno, un idea fissa, inchiodata alla mente: arrivare in Europa. Leccano una scatoletta di sardine o succhiano un yogourt strizzato tra le mani:  una miserabilissima cena.

Hanno invece fame e sete di dignità.

"La dignità umana ha la caratteristica di essere assente proprio là dove si presume sia presente, e di comparire sempre dove non c'è" annota Karl Kraus. Pare una vera scommessa fatta a sè stessi, alla famiglia, alla loro gente: riuscire a passare in Spagna, vivi o morti, inchallah! Assaltano dieci, venti volte le tre barriere spinate di 7m e un sistema di sicurezza a tutta prova come quello di Ceuta. Raramente con successo.

Non hanno niente da perdere.

Hanno solo un immenso coraggio incosciente, una giovinezza da barattare con la libertà. Mentre ti parlano tirano gli occhi a destra e sinistra, sospettosi di tutto. Possono cadere d'improvviso in una retata e venire trasportati all'istante ai confini con l' Algeria o verso il deserto. Anche se il Marocco ha la grande "noblesse" di permettere di vivere nel suo territorio anche senza documenti...

Vite giovani che fanno solo compassione.

Sapendo che questo Paese è solo un corridoio (dove possono rimanere bloccati mesi o anni), ma vengono da lontano attraversando Niger, Mali, Algeria, deserti e frontiere. Vivono sotto un sole che brucia la testa e le spalle, stendendo la mano per strada per un dirham. Vi si avvicinano, senza parole, con un'espressione umile, supplichevole, stampata in faccia. "Per avere la dignità bisogna passare per tante indegnità" scriveva qualcuno. A fine giornata si ritrovano in tasca il valore di due, tre euro, a volte nulla.

Una vita raminga che fa solo compassione.

"Père, il n'y a pas de choix!" (Padre, non c'è scelta!) mi dicono convinti e rassegnati. Riuscire a convincerli a tornare a casa si rivela missione quasi impossibile.Tanto laggiù nessuno li aspetta. Anzi, nessuno li vuole rivedere. Giovani maledetti. Costretti ad andare avanti contro tutto e tutti. Vivono, dormono, mangiucchiano e si muovono come animali, avvistati già da lontano perchè di pelle nera.

Sono i combattenti di oggi per la dignità! 

Per una vita degna di essere vissuta. Ed è paradossalmente la loro colpa. Sanno di essere loro, - giovani in fuga per anni - la speranza delle loro stesse famiglie! Non possono permettersi cedimenti. Perfino i vescovi di laggiù alzano la voce contro questa emorragia giovanile, che screma ancor più i loro Paesi e li impoverisce. "Fate delle proposte, dateci delle alternative!" incalzano loro, senza però avere risposta. Come missionario, nomade e migrante io stesso per oltre quarant'anni in Paesi diversi dove si parla francese o inglese o anche arabo in Europa e in Africa  il cuore mi si stringe.

Questi giovani combattenti mi tormentano l'anima: lottano contro i mulini a vento della nostra indifferenza, per la vita e per la morte.

Mi faccio in quattro per spiegare loro che l'Europa non è il Paese di Bengodi. Racconto ciò che sento da giovani senegalesi, togolesi... arrivati al di là, proprio nel mio stesso paese, in territorio veneziano. Arrivati via mare, tra mille peripezie, mi chiamano e mi raccontano.

Al telefono l'altro giorno Mamadou mi urlava:"Père, qui si vive da schiavi!" Sono, accatastati in un 'campo", una grande vecchia casa, una settantina di giovani, varie nazionalità, in stanze da 9 materassi con una sola toilette, il breve permesso di soggiorno quasi scaduto. La cooperativa dà loro da mangiare, scaricando il cibo una volta al mese, che loro stessi dovranno preparare. Mi inviano la foto di una dose mensile a testa: 5 patate, 3 cipolle, 1 vasetto sugo pomodoro, 1 litro olio, 1 scatola di piselli, qualche biscotto... niente riso che loro adorano, niente frutta, niente carne.

"Per giovani che mangerebbero il mondo!" come si dice dalle mie parti. Ricordo che il nonno paterno era ben più sollecito per il nutrimento dei suoi animali! La logica del controllo e della verifica dello Stato, che trovo all'estero, da noi pare utopia. Ma neanche questo convince a demordere i giovani migranti di qui.

Anzi l'altro giorno erano in tanti, durante la loro preghiera, a gridare hurrààà! perchè uno di loro era riuscito a saltare in  Spagna. Domenica prossima invece faranno "il sacrificio" per Abdullah, 18 anni, scomparso l'altra notte in mare. La notizia è corsa qui subito come un fulmine. Ognuno porterà qualcosa per un grande pasto insieme con delle preghiere musulmane. Emigrare è un fenomeno individuale, ma anche un fatto collettivo: qui lo si tocca con mano.

 

E come missionario mi viene spesso in mente la storia dei Re magi. Dopo aver camminato infinitamente per monti e per valli, inseguendo una stella, hanno condiviso con gioia i loro tesori. 

La stella per questi giovani è l'Europa... "Perchè è il Paese dove ci si rispetta!" mi fa uno di loro. Lo guardo negli occhi. Occhi belli e randagi, di una giovinezza calpestata nella sua stessa terra: senza opportunità, senza lavoro, senza prospettive, senza avvenire. E i loro tesori? Sì, la loro gioventù, la voglia di fare, il desiderio immenso di ogni migrante di riuscire, di prendersi in mano la vita, il senso di responsabilità per una famiglia rimasta indietro e da aiutare... Sì, perchè il miracolo è compiuto: sono arrivati finalmente in Europa! Arrivati da noi i loro doni li si getta a terra, li si butta tra le immondizie. Diventano giovani di scarto.

Perfino la lingua italiana, per una recente ordinanza, se ne scoraggia l'insegnamento. Facendo rivoltare nella tomba quel famoso scrittore portoghese che scriveva "La lingua è la terra dove ci si incontra". Sì preferisce forse non l'incontro, ma lo scontro? Si opta per lo scarto? Si prepara forse una società selvaggia, ai margini dell'umanità... Questa compassione che mi prende, in fondo, si chiama vergogna. Provo vergogna. Si dice: "L'uomo è l’unico animale che arrossisce, ma è l’unico ad averne bisogno."

 

In fondo, mi torna in mente l'enorme emozione e la sorpresa di Rachid Benzine, marocchino, caduto, per caso, un giorno nella lettura del Vangelo. Lo scrive nel suo libro pubblicato in Francia. Cadde su Matteo, 25 e non riusciva assolutamente a capacitarsi. "E il Re della gloria dirà: "Ero straniero e mi avete accolto..." Maccome è possibile! Ma che grande uomo! Un re che sì identifica con i miserabili, i bisognosi, gli ultimi della terra!"

Sì, forse questa pagina del vangelo ci è ancora sconosciuta. Ma il tempo del giudizio di Dio sull'amore verrà. Parola del Signore. Renato Zilio, De.it.press 31

 

 

 

 

È morto don Milella, fondatore della ex-Missione di Remscheid

 

Belluno – A Pedavena (BL) il 21 agosto scorso, presso la Casa P. Kolbe dove abitava in questi ultimi anni, è deceduto, all’età di 93 anni, don Giuseppe Minella.  Il “Gazzettino” nella cronaca di Feltre ne descrive, a firma di Eleonora Scarton, la lunga attività sacerdotale definendolo “sacerdote amico dei ragazzi e studenti”. Effettivamente don Minella, sacerdote nella diocesi di Belluno-Feltre dal 1954, di formazione intellettuale con la  laurea in lettere  nel 1974, si è particolarmente dedicato ai giovani con diversi incarichi: vice-direttore nel Collegio vescovile  di Feltre (1954-1955), vicario cooperatore nella parrocchia del Duomo  di Feltre ( 1955-1957), poi nuovamente  vice-direttore  del Collegio vescovile (1957-1958), risiedendo in Seminario (1958-1959), direttore della Casa dello Studente  (1971-1974) e cappellano della Colonia “Stella maris” di Feltre (1972- 1977), assistente diocesano di Azione Cattolica (1955-1960) e presso la Comunità  “Opus Mariae reginae” di Santa Giustina, parroco a Mugnai  (1959-1965) e poi Porcen  (1974-2006), insegnante di lettere presso l’Istituto Geometri di Feltre. Nella fitta serie dei suoi impegni diocesani quello di “missionario per gli emigrati italiani a Colonia (1965-1968). Ed effettivamente per don Minella l’attività in Germania è stata una parentesi ristretta nella sua vita. Ma, come poi mi disse, “tonificante e significativa, indimenticabile”. Non più con giovani e studenti ma per infaticati operai o giovani intraprendenti con una famiglia da sostenere o da formare. Don Minella aveva chiesto al suo Vescovo, Mons. Muccin, di fare una esperienza missionaria ed il Vescovo gli aveva proposto gli operai italiani in Germania. Qui l’allora direttore dei missionari italiani d’intesa con il coordinatore diocesano dei sacerdoti stranieri della grande arcidiocesi di Colonia, Mons Schlafke, gli affida l’apertura di una nuova sede a Remscheid, con una popolazione di ca. 4.500 anime, scorporandola dalla troppo vasta Missione di Solingen.

Bisognava innanzi tutto impegnarsi ad imparare la lingua tedesca e poi a conoscere il territorio della Missione, trovare collaboratori, creare nuclei di presenza nelle diverse località della sua zona ed avere una sede. Davvero un brusco cambiamento nella esperienza precedente. Già la sistemazione, detta provvisoria, ma rimasta definitiva, presso una anziana signora protestante, la Frau Lehmann, lo aveva un po’ impensierito. Ma poi ne è maturato un buon rapporto ed è stata una grande opportunità per apprendere la lingua tedesca. Con la sua cultura e le doti di canto e suono, con la sua attenzione alle persone e tenace impegno ben presto don Giuseppe organizza luoghi e tempi di incontro e raduno della popolazione italiana della zona. Così è nata la nuova Missione italiana di Remscheid. Per la Chiesa Cattolica sono anche gli anni del provvidenziale Concilio Ecumenico Vaticano II (1963-68). E don Minella sente l’esigenza di un periodo di aggiornamento culturale. D’intesa con i superiori il 10 ottobre 1968 lascia definitivamente la Missione di Remscheid. Una esperienza “breve ed intensa, talvolta faticosa, ma anche gratificante”, come ha scritto, e  “avanti  verso la nuova esperienza di studio in Roma”. Qui ottiene la licenza in Teologia Universale presso l’Università Lateranense nel 1969 e nel 1970 la laurea in Teologia. Avrebbe voluto ritornare in Germania ma il Vescovo lo nomina direttore della Casa dello Studente di Feltre. Riprende allora   gli studi con la laurea in Filosofia (1974). Il Vescovo lo nomina parroco di  Santa Giustina e  ed insegnante di Storia al  Liceo del Seminario di Belluno (1975). Il Signore, pastore eterno delle nostre anime ha certamente accolto questo suo zelante sacerdote. Al vescovo di Belluno-Feltre e alla famiglia la vicinanza della Fondazione Migrantes. Silvano Ridolfi, migr.on, 24.8.

 

 

 

Mantova: sarà intitolata a papa Pio X la stazione ferroviaria da dove partivano i migranti italiani

 

Mantova – Sarà intitolata a Giuseppe Sarto, vescovo di Mantova dal 1884 al 1893 – successivamente Papa Pio X – la stazione ferroviaria di Mantova.  L’inaugurazione avverrà nel prossimo mese di ottobre. Papa Pio X fu tra i primi ad interessarsi alle sorti dei tanti mantovani, e poi italiani, che all’epoca emigravano in cerca di fortuna. Questa sua attenzione ebbe origine dall’incontro personale con le centinaia di persone che transitavano dalla città di Mantova per recarsi alla stazione ferroviaria, in direzione del porto di Genova, da cui si sarebbero successivamente imbarcate per l’America.

Il primo atto concreto del vescovo Sarto fu l’invio a tutti i sacerdoti della sua diocesi di una lettera pastorale – il 19 agosto 1887 – in cui manifestava la preoccupazione per la sorte di “tanti suoi figli” nei Paesi di destinazione, e invitava i sacerdoti ad avere numerose attenzioni nei loro confronti, di tipo spirituale ma anche di aiuto concreto, sia prima che dopo la partenza. Da papa, fondò il primo ufficio della Curia Romana dedicato all’emigrazione, invitando al contempo tutti i vescovi a proteggere i fedeli in partenza, anche costituendo in ogni diocesi un patronato per i migranti. La sua azione pastorale si intrecciò con quella di mons. Giovanni Battista Scalabrini, oggi santo, di Santa Francesca Saverio Cabrini e di mons. Geremia Bonomelli, fondatori di opere dedicate all’assistenza degli italiani emigrati all’estero.

La memoria di questa attenzione e sollecitudine – quanto mai attuale in un tempo di grandi migrazioni, com’è quello che stiamo vivendo – ha indotto il vescovo Marco ad appoggiare la richiesta dell’associazione “Mantovani nel mondo”, condivisa anche dalla Fondazione Migrantes della CEI, di intitolare la stazione ferroviaria di Mantova al vescovo Giuseppe Sarto, poi papa Pio X, in quanto ricordare la sua azione “ci fa riflettere sull’esteso fenomeno dell’emigrazione dei nostri giorni, sui sentimenti comuni di carità e umanità nei confronti dei migranti in un impegno rivolto all’integrazione e alla comprensione reciproca”. Quest’anno ricorre tra l’altro anche il 120° anniversario dell’elezione a pontefice di San Pio X, per cui l’evento si inserirà in un calendario di eventi a lui dedicati. (R.Iaria migr.on 22.9.)

 

 

 

 

Festival Torino Spiritualità 2023. Un viaggio nel mistero del Dopo che dà senso al Presente

 

A fine settembre a Torino Spiritualità 2023, il festival della Fondazione Circolo dei Lettori e per l’occasione Marco Pozza e Luca Peyron si preparano ad aiutare il pubblico a indagare l’ipotesi dell’Oltre e quindi del significato del presente.

Sarà una vera e propria esperienza: i due incontri con gli autori del Gruppo Editoriale San Paolo, Marco Pozza e Luca Peyron, all’interno di Torino Spiritualità (27 – 30 settembre) si preannunciano essere un viaggio alla scoperta del senso della vita, a partire dall’enigma del “Dopo” esplorando l’idea di finitudine.

Anche Cristo ha sperimentato l’angoscia del morire, ma c’è anche un’altra esperienza che lacera l’anima, ed è quella dell’uccidere. «Uccidere è sempre uccidersi», scriveva Simone Weil, e Marco Pozza, scrittore e cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, lo sa bene: a partire dal suo ultimo romanzo fresco di ristampa “Alla fine è sempre all’improvviso” (2023) giovedì 27 settembre, rifletterà proprio sull’esperienza dell’uccidere, dal titolo “La mia anima è triste fino alla morte”.

Ed è proprio dalla morte di una stella, dal collasso, che in cielo nasce una galassia. Dalla morte si passa alla vita, e questo accade nello spazio come sul Golgota, dove la morte e la resurrezione di Cristo inaugurano il futuro: Luca Peyron, sabato 30 settembre, inviterà il pubblico ad alzare gli occhi verso “Cieli sereni” (2023) – la sua ultima novità che presenterà in questa occasione - in un viaggio tra astronomia, stelle, luce dal nero, luci di stelle che offrono colore a chi voglia guardare oltre il nero, luci di stelle a ricordarci che la vita non finisce mai.

La suggestiva e storica cornice del Circolo dei lettori, insieme ai tanti teatri, cinema e spazi culturali ospiterà numerosi scrittori, pensatori e filosofi, tra cui molte firme ormai affezionate alla San Paolo Edizioni: nel corso della cinque giorni vedremo intervenire fratel Enzo Bianchi, proveniente dall’inaugurazione della sua nuova casa della Madia ad Albano d’Ivrea e ancora oggi voce influente nel mondo della formazione e spiritualità cristiana; il teologo Maria Luigi Epicoco; Derio Oliverio, vescovo di Pinerolo e la prof. ssa Antonia Chiara Scardicchio, docente universitaria attiva nel campo dell’educazione.

Gli interventi, con immagini e parole dei protagonisti, di Marco Pozza e Luca Peyron potranno essere seguiti e riletti sui social di Edizioni San Paolo e Gruppo Editoriale San Paolo. Per rielaborare, riflettere, scoprire.  Dip 12

 

 

 

 

673 Millionen Euro für weltweite Hilfsarbeit der katholischen Kirche. Jahresbericht Weltkirche 2022 veröffentlicht

 

Mit rund 673 Millionen Euro haben die katholischen Bistümer, Orden und internationalen Hilfswerke im Jahr 2022 pastorale, soziale und Entwicklungsprojekte weltweit gefördert. Diese Zahl geht aus dem Jahresbericht Weltkirche 2022 hervor, der heute (15. September 2023) veröffentlicht wurde. Er wird von der Konferenz Weltkirche herausgegeben, in der die wichtigsten international tätigen Akteure der katholischen Kirche vertreten sind.

 

Mit Berichten über Hilfsprojekte in Afrika, Asien, Lateinamerika und Osteuropa bietet der Jahresbericht einen lebendigen Einblick in die weltkirchliche Arbeit. Der inhaltliche Schwerpunkt des aktuellen Heftes liegt auf Situationen von Krieg und Gewalt und der Frage, wie Leben und Glauben unter solchen Bedingungen möglich sind. Neben Zeugnissen von Betroffenen finden sich hier Beispiele für die Versöhnungs- und Erinnerungsarbeit der Kirche, die Begleitung Geflüchteter und eine Reflektion über die Vereinbarkeit von gewaltförmiger Verteidigung mit der christlichen Friedensbotschaft.

 

Die Finanzstatistik legt Rechenschaft ab über die Herkunft und Verwendung der für die weltkirchliche Arbeit eingesetzten Mittel. Dieses Geld stammt weit überwiegend aus Spenden, Kollekten und Kirchensteuermitteln. Die Spenden an die katholischen Hilfswerke und Orden beliefen sich 2022 auf fast 425 Millionen Euro. Hinzu kamen 29 Millionen Euro aus Kollekten für weltkirchliche Anliegen. Mit Kirchensteuermitteln in Höhe von fast 47,8 Millionen Euro unterstützten die Deutsche Bischofskonferenz (Verband der Diözesen Deutschlands) sowie einzelne Bistümer die Arbeit der Hilfswerke. Für kirchliche Entwicklungsprojekte, Not- und Katastrophenhilfe gab es außerdem öffentliche Zuschüsse.

 

Der Vorsitzende der Konferenz Weltkirche, Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), zeigte sich beeindruckt vom Umfang des weltkirchlichen Engagements. „Diese grenzüberschreitende Solidarität gehört zu unserem Auftrag als Kirche unbedingt dazu. Wir wollen sie auch in Zukunft leisten“, sagte Bischof Meier. Er würdigte besonders die insgesamt zugenommene Spendenbereitschaft der Gläubigen: „Ich bin allen dankbar, die mit großen und kleinen Gaben dazu beigetragen haben, Solidarität mit den Notleidenden weltweit zu üben.“ Bischof Meier dankte darüber hinaus auch den staatlichen Stellen für das Vertrauen in die Professionalität der kirchlichen Arbeit, das in den Zuwendungen an die Werke zum Ausdruck komme. Außerdem verwies er auf den Einsatz der vielen ehrenamtlichen Helferinnen und Helfer in Pfarrgemeinden, Verbänden und Schulen. Deren Engagement ermögliche erst den großen Umfang der weltkirchlichen Arbeit. Bischof Meier lenkte den Blick auch auf die regelmäßigen direkten Überweisungen, mit denen viele Pfarrgemeinden, Schulen und Verbände ihre Partner im Globalen Süden und in Osteuropa unterstützen. Da sie statistisch nicht erfasst würden, sei das tatsächliche Ausmaß der Hilfsmaßnahmen noch umfassender als im Jahresbericht dargestellt.

 

Hintergrund. Der Konferenz Weltkirche gehören Vertreter der Deutschen Bischofskonferenz, der (Erz-) Bistümer, der Deutschen Ordensobernkonferenz, der weltkirchlichen Hilfswerke (Adveniat, Caritas international, Kindermissionswerk „Die Sternsinger“, Misereor, Missio Aachen und München, Renovabis, Bonifatiuswerk der deutschen Katholiken), der Verbände und anderer weltkirchlich tätiger Einrichtungen in Deutschland an. Der Jahresbericht bietet neben einem Themenschwerpunkt und einem Statistikteil einen inhaltlichen Überblick über die vielfältige internationale Arbeit der beteiligten Organisationen. 

 

Hinweise: Der Jahresbericht Weltkirche 2022 kann unter www.dbk.de  in der Rubrik Publikationen als Broschüre bestellt oder als PDF-Datei heruntergeladen werden. Weitere Informationen bietet das Internetportal der Konferenz Weltkirche unter weltkirche.katholisch.de. dbk 15

 

 

 

30 Jahre Renovabis: Hilfswerk im Angesicht des Ukraine-Kriegs

 

Das katholische Hilfswerk Renovabis mit Sitz in Freising unterstützt seit 30 Jahren die Länder Osteuropas – auch die Ukraine. Beim Festakt in München ging es auch um den Krieg Russlands und die Rolle der Kirche mit Papst Franziskus an der Spitze. Von Astrid Uhr

Nach dem Mauerfall starteten Katholiken Solidaritätsaktionen in Osteuropa. Daraus entstand das in Freising ansässige Hilfswerk Renovabis, das nun sein 30. Jubiläum feiert. Beim Festakt in München mit Alt-Bundespräsident Joachim Gauck wurde auch die Rolle der katholischen Kirche im Ukraine-Krieg diskutiert. Erst kürzlich sorgte Papst Franziskus mit Aussagen, die von ukrainischer Seite als prorussisch gewertet wurden, für Unmut.

Ukrainerin: "Verletzt durch Äußerungen anderer"

"Manchmal fühlen wir Ukrainer uns verletzt durch Äußerungen anderer", sagt Tetiana Stawnychy, Präsidentin der Caritas Ukraine. Das ist ihre Antwort auf die Frage, wie sie die Rolle von Papst Franziskus im Konflikt zwischen Russland und der Ukraine wahrnimmt. Sie ringt um die richtigen Worte, wirkt niedergeschlagen.

Die Friedensbemühungen des Vatikans um einen Dialog zwischen den Kriegsparteien haben letzte Woche einen Dämpfer bekommen. Der ukrainische Präsidentenberater Mychajlo Podoljak lehnte eine Vermittlung der katholischen Kirche am Freitag im Nachrichtensender 24 mit der Begründung ab, Papst Franziskus sei "prorussisch". Aus Sicht der ukrainischen Regierung würde der Papst Russland nicht eindeutig als Aggressor bezeichnen.

Hilfswerk Renovabis: Projekte in 29 Ländern Osteuropas

Die Ukrainerin Tetiana Stawnychy ist anlässlich des 30-jährigen Jubiläums von Renovabis nach München gereist. Mit Hilfe des Osteuropa-Hilfswerks der katholischen Kirche in Deutschland organisiert die 56-Jährige vor Ort humanitäre Hilfe: Trinkwasser, Nahrungsmittel, Medikamente, vor allem Unterkünfte für geflüchtete Menschen. Und auch Freizeiten für Kinder und Jugendliche werden angeboten, denn diese würden, ihrer Beobachtung nach, am meisten unter dem Krieg leiden.

Renovabis hat allein im Jahr 2022 die Ukraine mit über 15 Millionen Euro an Spenden unterstützt. Von Albanien über Tadschikistan bis zur Ukraine fördert das Hilfswerk Projekte in 29 Ländern. "Renovabis nimmt uns als Projektpartner auf Augenhöhe wahr", betont Tetiana Stawnychy. Vor Ort entscheiden die jeweiligen Diözesen und Pfarreien selbst, was sie brauchen und wie sie gemeinsam nachhaltige Hilfe ermöglichen.

Bischof aus Odessa: Aufgabe des Papstes ist Gebet, nicht Politik

Zum Jubiläum sind 300 Festgäste gekommen, darunter auch viele Projektpartner aus Osteuropa. Für Bischof Stanislaw Szyrokoradiuk aus Odessa hat die katholische Kirche ganz konkret eine Hauptaufgabe, nämlich die seelsorgerische Begleitung der Menschen vor Ort. "Der Papst hat mit seinen Friedensgebeten schon viel für uns getan", sagt der Bischof. Politik sei nicht seine erste Aufgabe. Gerade in diesen Kriegszeiten sei es wichtig, dass Kirche den Menschen einen Raum der Hoffnung und des Gebetes biete.

Darüber hinaus sei natürlich auch die humanitäre Hilfe entscheidend. Aktuell würden in den Kirchengebäuden seiner Diözese auch viele Kriegsflüchtlinge versorgt, vor allem alte Menschen und von Armut Betroffene.

Renovabis-Geschäftsführer: Papst nicht prorussisch

"Der Vatikan bietet beiden Konfliktparteien immer wieder Gespräche an", sagt Renovabis-Hauptgeschäftsführer Thomas Schwartz. Der Vorwurf, Papst Franziskus sei "prorussisch" eingestellt, sei nicht haltbar. Als Mahner des Friedens müsse der Papst immer beide Seiten im Blick haben, um Gespräche überhaupt erst zu ermöglichen.

Offene Gespräche und Dialogbereitschaft – darauf setze auch das Hilfswerk Renovabis im Kontakt mit den Partnerländern in Osteuropa. Was die Rolle des Patriarchen der russischen orthodoxen Kirche, Kyrill I., angehe, so würde dieser seine Möglichkeiten zu wenig nutzen. "Er hat sich seine Hände so schmutzig gemacht mit Blut, dass er als Gesprächspartner für die Menschen in der Ukraine nicht mehr in Frage kommt", sagt Schwartz.

Alt-Bundespräsident Gauck: Waffenlieferungen gerechtfertigt

"Wir müssen die Ukraine so unterstützen, dass sie sich verteidigen kann", sagte Alt-Bundespräsident Joachim Gauck bei seiner Festrede. Er sehe es als Akt tätiger Solidarität, dem angegriffen Land auch finanziell zu helfen. Friedensliebe dürfe nicht in romantischen Träumen enden, sondern müsse sich auch materiell zeigen.

Kirche habe also auch einen politischen Auftrag, so stehe es schon in der Bibel: "Widersteht dem Bösen!" Tätige Nächstenliebe, das sei die Aufgabe von Kirche in diesen Zeiten. Gauck dankte Renovabis dafür, dass das Hilfswerk "ein Netzwerk des Guten und der Guten geschaffen habe", die Basis für eine menschliche Gesellschaft. BR.de 15

 

 

 

Synodenberaterin: Eine hörende Kirche geht einer lehrenden Kirche voraus

 

Die in Linz lehrende Pastoraltheologin Klara-Antonia Csiszar rät zum vorurteilslosen Zuhören anderer Gläubiger, auch wenn deren Sensibilitäten sich mit den eigenen nicht decken. Csiszar, die selbst der ungarischen katholischen Minderheit in Rumänien angehört, wird als Beraterin an der Weltbischofssynode teilnehmen.

Am Dienstag hielt sie ein Referat beim Internationalen Kongress Renovabis an der Hochschule für Philosophie in München, Gudrun Sailer sprach mit ihr.

Frei sein vom westlichen Liberalismus

Frau Professor Csiszar, Sie nehmen in drei Wochen an der Weltbischofssynode in Rom teil und hier dieser Tage in München am 27. Internationalen Kongress Renovabis. Es geht um Freiheit, Demokratie, Menschenrechte in Ostmitteleuropa fast 35 Jahre nach dem großen Umbruch. Wenn Sie heute einen Blick werfen auf die kirchliche Situation, welchen Zugang hat die katholische Ortskirche in diesem Land oder überhaupt in Ost- und Mitteleuropa zu Freiheit, Demokratie, Menschenrechten?

Csiszar: Ja, wir wollen nach wie vor frei sein, heißt es immer wieder im Bereich der Kirche, aber auch der Politik in Ungarn. Und momentan heißt frei sein: frei sein vom westlichen Liberalismus. Dahinter könnte auch eine Angst stehen, dass einfach die Ortskirchen, die Gesellschaft eher verunsichert ist. Was passiert, wenn Menschen plötzlich selber entscheiden dürfen, welche Lebensentwürfe sie für sich gestalten wollen und das nicht mehr mit unseren traditionalistischen Bildern und Vorstellungen über Familie übereinstimmt? Wie gehen wir damit um? Momentan gibt es eine Ablehnung von solchen Lebensentwürfen, und man bezieht sich auf die Lehre, auf die Moral der Kirche, der zu gehorchen ist. In dieser Situation ist die große Herausforderung, wie eine Kirche bei den Menschen bleiben kann, unabhängig davon, welches Geschlecht man ist, welcher Nationalität man angehört, welcher Religion.

Es nicht immer besser wissen wollen. Wie herausfordernd ist das?

Csiszar: Das ist momentan sehr schwierig. Aber es gibt wichtige Hotspots auch in Ungarn, für die das ganz wesentlich ist, und die nicht sagen, meine Vorstellungen müssen stimmen, und dann höre ich den Menschen zu, oder dass ich die Menschen korrigieren will, bevor sie überhaupt einen Platz in der Kirche haben. Wir wollen das Zuhören beginnen, bevor wir lehren. Eine hörende Kirche geht einer lehrenden Kirche voraus! Und bei der Synode muss genau das passieren, dass wir einander zuhören, schweigen und nicht immer besser wissen, was der andere zu tun hat.

Sie selbst verstehen sich ja als Brückenbauerin zwischen Kirchen aus Mitteleuropa einerseits und dem Westen andererseits und haben in Ihrem Vortrag hier beim Renovabis Kongress auch konkrete Vorschläge gemacht. Einer davon war, dass Gläubige im Osten heute, die seit 30 Jahren ebenfalls in Demokratien leben, den Gläubigen im Westen Solidarität zurückschenken können, und zwar eine gewandelte Form von Solidarität, nicht die eher materiell orientierte Solidarität, die zuvor aus dem Westen in die Kirchen des Ostens kam, sondern umgekehrt eine gewandelte Form von Solidarität. Was genau meinen Sie damit?

Keine Schuldzuweisung, sondern zuhören

Csiszar: Ich meine damit, wir sehen ..., dass es der Kirche in Deutschland - übrigens auch anderen Kirchen, aber manche wollen es nicht wahrhaben - nicht gut geht. Die Kirche in Deutschland leidet, allem voran an der Missbrauchskrise. Mein Vorschlag ist an diesem Punkt, einfach mal solidarisch zu sein, in dieses Leiden hineinzuhören, wir aus Osteuropa. Das könnte doch ein Zeichen der Solidarität sein, wo wir dieser leidenden Kirche nicht sagen: Das ist eure eigene Schuld und das habt ihr selbst verursacht, weil ihr das und das falsch gemacht habt, und dann haben wir die Antworten: Nein! Bitte nicht wegschauen und wissen, dass die Kirche in Deutschland nicht mehr katholisch ist, sondern einfach im Zeichen dieser Solidarität zuhören, fragen: Wie geht's dir, liebe Kirche in Deutschland? Was denkst du, liebe Kirche in Deutschland, wo tut's weh? Nicht Geld ist hier in Frage, sondern ein Ohr und ein Auge zu haben und vor allem ein Herz für die Kirche in Deutschland.

„Bitte nicht wegschauen und wissen, dass die Kirche in Deutschland nicht mehr katholisch ist, sondern einfach im Zeichen dieser Solidarität zuhören, fragen: Wie geht's dir, liebe Kirche in Deutschland?“ (vn 14)

 

 

 

Jüdisches Neujahrsfest Rosch haSchana. Bischof Bätzing betont positive Entwicklung im christlich-jüdischen Dialog

 

Am kommenden Freitag (15. September 2023) beginnt das jüdische Neujahresfest Rosch haSchana. Bischof Dr. Georg Bätzing, Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz, übermittelt den jüdischen Mitbürgerinnen und Mitbürgern in einem Brief an den Präsidenten des Zentralrats der Juden in Deutschland, Dr. Josef Schuster, herzliche Glück- und Segenswünsche.

 

In seiner Grußbotschaft betont Bischof Bätzing die positive Entwicklung im christlich-jüdischen Dialog, insbesondere die Studienreise der Unterkommission der Deutschen Bischofskonferenz für die religiösen Beziehungen zum Judentum nach Israel im Januar dieses Jahres. Daran hatten auch drei Rabbiner teilgenommen. Bischof Bätzing sieht in diesem Engagement einen wichtigen Schritt für den interreligiösen Dialog: „Gerade in der gegenwärtigen angespannten politischen Situation ist es wichtig, dass der Dialog mit jüdischen und christlichen Einrichtungen und Gruppen in Israel fortgesetzt wird.“

 

Bischof Bätzing äußert sich zudem besorgt über die schwierige Lage der Christen in Israel und den besetzen Gebieten. Er dankt Rabbiner Pinchas Goldschmidt, dem Präsidenten der Europäischen Rabbinerkonferenz, für seine klaren Worte, die er in der Jüdischen Allgemeinen gefunden hat. Rabbiner Goldschmidt hatte darin die Übergriffe auf Christen in Israel verurteilt und von einem „klaren Trend“ gesprochen, der auf eine schärfer werdende Rhetorik gegenüber Vertretern anderer Religionen zurückzuführen sei.

 

Zum Abschluss seiner Grußbotschaft wünscht Bischof Bätzing allen jüdischen Mitbürgerinnen und Mitbürgern, dass die kommenden Feiertage „Mut und Hoffnung für das neue Jahr geben“ und das „Vertrauen auf Gottes Treue und Gerechtigkeit stärken“.

Hinweis: Das Grußwort von Bischof Dr. Georg Bätzing zum jüdischen Neujahrsfest ist als PDF-Datei im Anhang sowie unter www.dbk.de verfügbar. Dbk 14

 

 

 

 

Friedenstreffen in Berlin: „Schritt für Schritt“ für Dialog

 

Die katholische Kirche in Berlin bemüht sich angesichts des Ukraine-Krieges um Dialog unter kirchlichen Gemeinschaften in der deutschen Hauptstadt und um gemeinsame Friedensarbeit. Am Rande des Sant’Egidio-Friedenstreffens in Berlin sprach Vatican News mit Erzbischof Heiner Koch.

„Wir leiden sehr unter diesem Krieg“, sagte der Erzbischof gegenüber Radio Vatikan-Korrespondentin Francesca Sabatinelli in Berlin. „Ich hätte nicht geglaubt, dass mitten in Europa solch ein Krieg Wirklichkeit wird“, so Heiner Koch.

Kleiner Beitrag für Dialog

In Berlin seien viele Flüchtlinge aus der Ukraine untergekommen, darunter seien russisch-orthodoxe, ukrainisch-orthodoxe und katholisch-orthodoxe Gläubige. In der deutschen Hauptstadt gebe es zwei große ukrainische Gemeinden, und im Zuge des Ukraine-Krieges seien viele Kriegsflüchtlinge in Berlin untergekommen, berichtet Koch. Damit seien das Leid und die Verzweiflung, die dieser Krieg verursacht, spürbar.

„Das ist oftmals sehr schwierig, aber es geht Schritt für Schritt. Wir leisten unseren kleinen Beitrag“

„Wir wissen um die Not und die Angst vor dem Tod und dem Terror des Krieges. Wir beten um den Frieden, aber wir sprechen auch mit den Bischöfen, den ukrainischen Bischöfen, die hier in Berlin sind, auch mit dem russisch-orthodoxen. Das ist oftmals sehr schwierig, aber es geht Schritt für Schritt. Wir leisten unseren kleinen Beitrag.”

Die Theologin Angelika Wagner von der Gemeinschaft Sant’Egidio Deutschland interpretiert das Motto des Friedenstreffens so:

„Den Frieden zu wagen bedeutet in unserer heutigen Zeit, gemeinsam Schritte zu tun, die den Dialog suchen, die die Komplexität der Fragen nicht ausschließen, aber die wirklich unsere gemeinsame Verantwortung sehen, immer Wege zu suchen, die eben nicht einen Sieg im Krieg sehen, sondern einen Sieg über den Krieg finden, wie Kardinal Kasper das hier (auf dem Friedenstreffen, Anm.) gesagt hat. Weil wir den Krieg nur durch Diplomatie und gegenseitige Unterstützung überhaupt überwinden können.“

Brücken nicht einbrechen lassen

Der Angriffskrieg auf die Ukraine habe die Gemeinschaft Sant’Egidio vor die Frage gestellt, welche Wege des Friedens und der Solidarität in dieser Lage möglich seien, so die Pfarrerin der Evangelisch-Lutherischen Kirche in Bayern weiter.

„Eine wichtige Antwort ist für uns auch von Sant‘Edigio, dass in der Ukraine selbst Menschen der Gemeinschaft Sant'Egidio leben, die von Anfang an begonnen haben, Flüchtlingen innerhalb der Ukraine zu helfen mit Unterstützung durch viele westliche Gemeinschaften, die aber auch nie die Verbindung zu den Gemeinschaften von Sant'Egidio in Russland beendet haben. Weil uns klar ist, dass dieser Krieg zwar die Nationen trennt und zu absolut verwerflicher Gewalt und Tod führt, dass er aber die Herzen der Menschen, die den Frieden suchen, nicht trennen kann.

Auch heute Morgen hat eine Vertreterin der Ukraine bei einem Forum gesagt: Sie hat gelernt, in ihrem Herzen den Hass zu überwinden vor allem in der Sorge für die Flüchtlinge in ihrem eigenen Land, aber auch in der Sorge für die, die vor vielen Kriegen fliehen müssen. Und ich glaube, wir müssen, wir können als Sant'Egidio da auch unseren Beitrag leisten, indem wir die Menschen einfach zusammenbringen, indem wir miteinander sprechen.“

Die Frage nach Gott

Der Berliner Erzbischof Heiner Koch sieht es neben dieser Dialogarbeit als Auftrag der katholischen Kirche an, im glaubensfernen Berlin „die Frage nach Gott“ am Leben zu erhalten und gemeinsam mit anderen Kirchen ein Zeichen des Friedens und des gemeinsamen Engagements zu setzen.

„In Berlin sind, das muss man wissen, nur 25 Prozent der Bevölkerung Christen, der größte Teil der Bevölkerung der Stadt glaubt nicht an einen Gott. Deshalb stehen wir in der gemeinsamen Verantwortung, als Christen die Botschaft von Gott und die Frage nach Gott in diese Stadt hinein lebendig zu bringen. Wir müssen zusammenstehen, damit wir das Evangelium überhaupt in dieser Stadt anklingen lassen können. Das ist die besondere Situation. Da ist es ganz wichtig, dass wir im gemeinsamen Einsatz für die Verkündigung, aber auch für den Einsatz für den Frieden und das Engagement in der Gesellschaft zusammenstehen. Katholiken, Protestanten, aber auch Orthodoxe.“

Friedenstreffen endet am Dienstag

Das internationale Sant’Egidio-Friedenstreffen „Den Frieden wagen“ in Berlin geht an diesem Dienstag mit einer Friedenskundgebung am Brandenburger Tor zu Ende. Zahlreiche hochrangige Religionsvertreter und Gäste aus 30 Ländern nahmen teil und tauschten sich über Themen wie die Umweltkrise, Migration, interreligiösen Dialog, Demokratie, Globalisierung, Abrüstung und Künstliche Intelligenz aus. (vn 12)

 

 

 

 

Papst an Friedenstreffen: „Mauer des Unmöglichen überwinden"

 

Zu mehr Anstrengungen für Frieden in der Welt und in der Ukraine hat Franziskus in einer Botschaft an das Sant’Egidio-Gebetstreffen „Den Frieden wagen“ in Berlin aufgerufen. Nach Ende des Kalten Krieges seien „neue Mauern“ errichtet worden statt die „Hoffnung auf einen neuen Weltfrieden“ zu konsolidieren, kritisierte das Oberhaupt der katholischen Kirche.

Nach dem Berliner Mauerfall und dem Ende des Kalten Krieges hätten sich in Europa „neue Perspektiven“ eröffnet: „die Freiheit der Völker, die Wiedervereinigung der Familien, aber auch die Hoffnung auf einen neuen Weltfrieden nach dem Kalten Krieg“, ging Papst Franziskus in seiner Botschaft an die Teilnehmer des Friedenstreffens vom Standort Berlin aus. Statt im Laufe der Jahre auf dieser gemeinsamen Hoffnung aufzubauen, hätten sich „Sonderinteressen und Misstrauen gegenüber anderen“ verstärkt, klagte der Papst.

Hoffnung auf einen Weltfrieden? 

„So wurden, anstatt Mauern einzureißen, weitere Mauern errichtet. Und von der Mauer zum Graben ist es leider oft nur ein kleiner Schritt. Ich denke an so viele Gebiete in Afrika und im Nahen Osten, aber auch in vielen anderen Regionen der Erde; und an Europa, das den Krieg in der Ukraine kennt, einen schrecklichen Konflikt, der kein Ende kennt und der Tote, Verletzte, Schmerz, Vertreibung und Zerstörung verursacht hat.“

Krieg bringe „Schmerz und Grauen“ mit sich, sei „Mutter aller Armut“, „Wahnsinn“ und „sinnlos“, so Franziskus, der Kriegsopfer wie trauernde Mütter, Flüchtlinge, Gefallene, Verwundete und Sterbende aufzählte. Ausgehend vom Motto des Friedens-Gebetstreffens in Berlin „Den Frieden wagen“ rief der Papst dazu auf, den Mut zur Umkehr zu finden und warb für eine „Kühnheit des Friedens“: „Man muss den Mut haben, trotz der Hindernisse und objektiven Schwierigkeiten zu wissen, wie man umkehrt.“

Frieden suchen, oder: die Mauer des Unmöglichen überwinden

Erste Form der Kühnheit sei „die Beharrlichkeit des Gebets“, so der Papst weiter. Bei der Suche nach Frieden gelte es, „die Mauer des Unmöglichen zu überwinden, die auf scheinbar unwiderlegbaren Argumenten, auf der Erinnerung an so viele vergangene Leiden und große erlittene Wunden errichtet wurde“, so der der Papst. Er rief Gläubige, Politiker, Führungskräfte und Diplomaten zu Hartnäckigkeit bei der Suche nach Frieden auf. Es gelte „demütig und beharrlich an die immer offene Tür des Herzens Gottes und an die Türen der Menschen zu klopfen“, formulierte Franziskus, der die Ukraine hier ausdrücklich einschloss:

„Wir bitten darum, dass Wege des Friedens geöffnet werden, besonders für die liebe und gequälte Ukraine. Wir vertrauen darauf, dass der Herr den verzweifelten Schrei seiner Kinder immer erhört. Erhöre uns, Herr!“

Für den Frieden sollten sich alle Gläubigen und Religionsvertreter gemeinsam einsetzen, wandte sich Franziskus an die Teilnehmer des internationalen Gebetstreffens in Berlin: „Scheuen wir uns nicht, zu Bettlern des Friedens zu werden und uns unseren Schwestern und Brüdern anderer Religionen und all jenen anzuschließen, die sich nicht mit der Unvermeidbarkeit von Konflikten abfinden. Ich schließe mich Ihrem Gebet für ein Ende der Kriege an.“

Friedenskundgebung am Brandenburger Tor

Zu dem am Sonntag im Beisein von Bundespräsident Frank Walter Steinmeier eröffneten Friedenstreffen waren zahlreiche hochrangige Religionsvertreter und Gäste aus 30 Ländern in die Hauptstadt gekommen. In 20 Foren ging es um Themen wie die Umweltkrise, Migration, interreligiösen Dialog, Demokratie, Globalisierung, Abrüstung und Künstliche Intelligenz. Das Treffen endete am Dienstag mit einer großen Friedenskundgebung am Brandenburger Tor.

(vn 12)

 

 

 

 

Schweiz: Kein Zusammenhang zwischen Pilotstudie und Vorwürfen gegen Bischöfe

 

Kurz vor der Veröffentlichung der Missbrauchsstudie in der Schweiz ist es zu Vorwürfen gegen Bischöfe und Mitglieder der Bischofskonferenz gekommen. Es bestehe aber kein Zusammenhang zwischen der Pilotstudie und den Anschuldigungen, präzisiert der Leiter der Geschäftsstelle des Fachgremiums „Sexuelle Übergriffe im kirchlichen Umfeld“ der Schweizer Bischofskonferenz, Stefan Loppacher, im Interview mit Radio Vatikan. Mario Galgano

 

Vatikanstadt. Loppacher ist auch Präventionsbeauftragter in Zürich für das Bistum Chur. Ein Priester erhob vor Kurzem schwere Vorwürfe gegen sechs Bischöfe, wie der „SonntagsBlick“ am Wochenende berichtete. Ihnen allen wird vorgeworfen, Fälle von sexuellem Missbrauch vertuscht zu haben; einem der Bischöfe wird gar vorgeworfen, er habe sich selbst an einem Jugendlichen vergriffen.

Diese Anschuldigungen kamen just kurz vor der Veröffentlichung der Pilotstudie der Universität Zürich, die im Auftrag der katholischen Kirche in der Schweiz eine historisch-wissenschaftliche Untersuchung der Missbrauchsfälle in den vergangenen 70 Jahren durchgeführt hat. Der Priester Loppacher erläutert den Sinn und Zweck der Studie:

„Die Idee dieser Pilotstudie ist es, Klarheit über die Vergangenheit zu schaffen. Betroffene haben in der Schweiz schon lange eine unabhängige Aufarbeitung der gesamten Missbrauchsthematik gefordert. Und auch zu Recht. Ich bin der Überzeugung, dass die Kirche das nicht aus eigenem Antrieb und selber tun kann. Es geht darum, unabhängig aufzuklären, aufzuarbeiten und Licht ins Dunkel der Vergangenheit bringen. Das Ziel dieser Studie ist, genau das zu tun.“

Rolle der Medien

Parallel dazu hätten Journalisten und Reporter das Recht, Fälle aufzudecken und darüber zu berichten, fügt der kirchliche Beauftragte an:

„Die Vorarbeiten für diese Studie haben bereits 2019 begonnen. Die Kirche in der Schweiz hat drei großen Institutionen: die Bischofskonferenz, die Römisch-Katholische Zentralkonferenz von der staatskirchenrechtlichen Seite und den Zusammenschluss der Ordensgemeinschaften, die KOVOS. Sie haben dieses gemeinsame Projekt gewollt und der Uni Zürich den Auftrag erteilt, historische Forschung über die letzten 70 Jahre kirchliche Geschichte und Geschichte des Missbrauchs zu erforschen. Hauptschwerpunkte sind nicht nur, Einzelfälle ans Licht zu bringen, sondern die systemischen Ursachen zu erforschen, die Missbrauch in diesem Ausmaß ermöglicht und begünstigt haben und auch die Zusammenhänge, die zu systematischer Vertuschung geführt haben, ans Licht zu bringen.“

Zu den jüngsten Vorwürfen hat auch der Vatikan eine interne Untersuchung angeordnet. Da die Vorwürfe des Priesters so massiv sind, wurde der Bischof von Chur, Joseph Bonnemain, mit einer internen Voruntersuchung betraut. Dazu sagt Loppacher:

„Die Veröffentlichung des Schlussberichts zur Pilotstudie zu diesem ersten Forschungsjahr am 12. September und die Berichterstattung im Vorfeld sind zwei verschiedene Geschichten. Das eine sind die Recherchen, die Medienschaffende und Journalisten gemacht haben und jetzt berichten. Das andere ist die Forschungsarbeit, die das ganze vergangene Jahr bis in diesen Frühling gelaufen ist und der Bericht darüber, der jetzt eben veröffentlicht wurde. Das heißt, es gibt ja keinen Zusammenhang zwischen der Pilotstudie und den Vorwürfen, die jetzt in den Medien im Raum stehen. Selbstverständlich hat der Anstieg der Berichterstattung damit zu tun, dass jetzt dieses Thema virulent ist und auch die Kirche sich dieser Thematik stellt.“

Es sei damit zu rechnen gewesen, dass auch neue Fälle aufgedeckt und neue Vorwürfe erhoben würden, so Loppacher weiter:

„Die Medienarbeit ist enorm wichtig, auch die unabhängige journalistische Arbeit zu diesem Thema. Und es gilt eigentlich für die ganze Weltkirche und auch für andere Institutionen, nicht nur für die Kirche, dass Bewegung in dieses Thema erst kommt, wenn Druck aufgesetzt wird. Es ist für keine Institution leicht, sich diesem Thema aus eigenem Antrieb zu stellen, weil es zu schmerzhaft ist, weil es zu düster ist und man das lieber nicht hätte.“

Licht in den letzten Winkel der Kirchengeschichte bringen

Es führe aber für die Kirche kein Weg vorbei, sich diesem Thema und der ganzen ungeschönten Wahrheit zu stellen und auch eben mithilfe von unabhängiger journalistischer Arbeit und unabhängiger Forschung von unabhängigen Fachleuten Licht in den letzten Winkel der Kirchengeschichte zu bringen, so Loppacher:

„Es geht darum, etwas daraus zu lernen und auch darum, den Opfern Gerechtigkeit widerfahren zu lassen. Denn die Gesellschaft und die Betroffenen haben ein Recht, dass die Kirche nicht mit einer kriminellen Vergangenheit weiter in die Zukunft geht.“

Weshalb aber der Vatikan einen amtierenden Schweizer Bischof die Voruntersuchung anvertraut habe und ob das nicht problematisch sei, bewertet Loppacher folgendermaßen:

„Die genauen Überlegungen, die zu dieser Entscheidung auf Ebene der römischen Kurie geführt haben, kenne ich nicht und kann sie deswegen auch nicht beurteilen oder bewerten. Das will ich auch nicht. Es läuft auf die gültige Gesetzesgrundlage für diese Ermittlungen hinaus, die jetzt angeordnet worden ist. Das Kirchengesetz richtet sich an ,Vox estis Lux mundi´ von Papst Franziskus aus dem Jahr 2019. Und dort ist festgelegt, sobald das zuständige Dikasterium solche Meldungen bekommt, dieses dann den zuständigen Metropolitan-Bischof beauftragt, um diese Voruntersuchung durchzuführen.“

Da die Schweiz hat keine Metropolitanstruktur habe, sei wohl aus römischer Sicht diese Lösung in Betracht gezogen worden. Alle Schweizer Bischöfe sind direkt dem Heiligen Stuhl unterstellt und nicht einem anderen Metropolitanbischof, der über ihnen steht. (vatican news 12)

 

 

 

Steinmeier: „Religion darf niemals die Rechtfertigung von Hass und Gewalt sein

 

Zum Internationalen Friedenstreffen von Sant'Egidio in Berlin verurteilten Bundespräsident Steinmeier sowie Vertreter christlicher Kirchen die Unterstützung des Ukrainekriegs durch die russisch-orthodoxe Kirche.

Man verstoße „fundamental gegen das Friedensgebot des Glaubens“, wenn man als Führung einer christlichen Kirche Gräueltaten gegen die eigenen Schwestern und Brüdern im Glauben unterstütze, so Steinmeier in seiner Eröffnungsrede auf dem internationalen Friedenstreffen der christlichen Gemeinschaft Sant'Egidio. Für den Limburger Bischof sei die Unterstützung der russisch-orthodoxen Kirche für den Ukrainekrieg ein Beispiel dafür, dass „alle Religionen zu unterschiedlichen Zeiten ihrer Geschichte den Dämonen der Friedlosigkeit und Gewalt nachgegeben.“ Auch die Vertreter anderer Religionsgemeinschaften betonten die Notwendigkeit des Einsatzes von Glaubensgemeinschaften für friedliche Konfliktlösungen.

Hintergrund

Hochrangige Vertreter der Weltreligionen und Tausende Gläubige treffen sich seit Sonntag in Berlin, um für Frieden zu beten und über gewaltfreie Konfliktlösungen zu reden. Zur Eröffnung sprach Bundespräsident Steinmeier. Ausgerichtet wird dieses Treffen von der katholischen Bewegung Sant'Egidio. Diese, im Mai 1968 in Rom entstandene Bewegung, widmet sich der karitativen Arbeit, der Diplomatie in Bürgerkriegsgebieten sowie dem Dialog der Religionen.

(domradio 11)

 

 

 

 

Wechsel in der Leitung der deutschsprachigen Pilgerseelsorge in Rom. Pfarrer Christian Böck folgt auf Pfarrer Werner Demmel

 

Mit einem Gottesdienst ist heute (12. September 2023) Pfarrer Werner Demmel, seit 2013 Leiter der deutschsprachigen Pilgerseelsorge in Rom, aus seinem Amt verabschiedet worden. Ihm folgt der aus dem Bistum Passau stammende Priester Christian Böck, der 1998 zum Priester geweiht wurde. Seitdem hatte er mehrere Kaplans- und Pfarrstellen im Bistum inne und war seit 2018 Prodekan des Dekanats Pocking.

Pfarrer Demmel, der zum Erzbistum München und Freising gehört, hat das Pilgerzentrum in Rom in seiner Amtszeit weiterentwickelt. Für Pilgergruppen bei kirchlichen Großveranstaltungen wie zum Beispiel Ministrantenwallfahrten war er ein kundiger und gewinnender Ansprechpartner. Viele Gruppen und Einzelpilger erlebten ihn aber vor allem als passionierten Seelsorger. Im Pilgerzentrum nahe der Engelsbrücke hat Pfarrer Demmel mehrere Ausstellungen organisiert; der Ort wurde unter seiner Leitung zu einem beliebten Begegnungszentrum. Auch in der Pandemiezeit gelang es ihm trotz schwieriger Umstände, die Seelsorge vor Ort aufrechtzuerhalten. In den Mittelpunkt seines Tuns stellte Pfarrer Demmel stets die pastoralen und praktischen Bedürfnisse der Pilger.

 Weihbischof Matthias König (Paderborn), der in der Deutschen Bischofskonferenz Beauftragter für die deutschsprachige Seelsorge im Ausland ist, würdigte in seiner Predigt das Wirken des Pilgerzentrums und seines bisherigen Leiters: „Hier ist ein Ort, der Anlaufstelle geworden ist für Pilger und Touristen, aber auch für Studenten und Freiwillige, die hier Kontakt knüpfen und durch Mitarbeit Lebenserfahrung sammeln konnten.“ Pfarrer Demmel habe viel geleistet, geordnet und angeschoben: „Ganze Generationen junger Leute hast Du hier in guter Weise angebunden, die Rom als einen besonderen Ort im Herzen behalten werden – und immer wieder hierher zurückkommen.“ Dafür, so Weihbischof König, gelte es, Dank zu sagen. An Pfarrer Böck gerichtet, sagte er: „Sie kennen und lieben Rom seit Ihrem Studium. Sie lieben die italienische Sprache. Sie sind vertraut mit den Schönheiten und den Schattenseiten dieses Ortes. Somit können Sie in guter Weise fortsetzen, was in den Jahrzehnten vor Ihnen hier an Gutem geschehen ist. Sie werden es auf Ihre Weise tun – anders geht es nicht.“

 In seinem Dankwort betonte Pfarrer Demmel: „Mit Dank denke ich an all die Begegnungen in den zehn Jahren. Die große Wertschätzung für die Pilgerinnen und Pilger haben uns immer wieder beflügelt, unsere Dienste und Hilfestellungen anzupassen und zu verbessern. So wünsche ich den Pilgerinnen und Pilgern, dass ihr Weg nach Rom dazu dient, ihr Leben neu zu ordnen und ihren Glauben an den Gräbern der Apostel zu stärken.“ Zu seiner neuen Aufgabe sagte Pfarrer Christian Böck, dass er als neuer Leiter der Pilgerstelle ein gut bestelltes Haus vorfinde. „Besonders wichtig ist mir – neben den täglichen Verwaltungs- und Organisationsarbeiten im Pilgerbüro –, die Pilgerinnen und Pilger in Rom auf ihren Wegen zu den Heiligen Stätten geistlich zu begleiten und mit Rat und Tat zur Seite zu stehen. Ich möchte mit meinem Tun dazu beitragen, den Glauben an Gott in Herz und Verstand der Pilger zu vertiefen“, so Pfarrer Böck. 

Informationen zum deutschsprachigen Pilgerzentrum in Rom sind unter www.pilgerzentrum.org verfügbar. Dbk 12

 

 

 

Papst: Leben darf nicht für Profit gehandelt werden

 

Franziskus hat sich am Montagmorgen mit einer Delegation von ANMIL, dem Verband der amputierten und invaliden Arbeitnehmer, getroffen und sprach erneut über die Notwendigkeit, Sicherheit am Arbeitsplatz zu gewährleisten. Er warnte zudem vor dem Phänomen des „Carewashings“. Sein Appell: „Wir sind Menschen und keine Maschinen.“ Mario Galgano - Vatikanstadt

 

„Sicherheit am Arbeitsplatz ist wie die Luft zum Atmen: Wir erkennen ihre Bedeutung erst, wenn sie auf tragische Weise fehlt, und dann ist es immer zu spät“, erinnerte der Papst bei der Privataudienz. Er hatte das Thema des „Todes am Arbeitsplatz“ vor Kurzem angesprochen, als Papst Franziskus auf die Frage eines Journalisten an Bord des Fluges aus der Mongolei antwortete. Wenige Stunden zuvor hatten bei einem Unfall in Brandizzo bei Turin fünf Arbeiter ihr Leben verloren, als sie von einem Zug überrollt wurden. Bei jener Gelegenheit wiederholte der Papst, dass der Arbeiter heilig sei und dass solche Tragödien, Unglücke und Ungerechtigkeiten immer auf mangelnde Sorgfalt zurückzuführen seien.

An diesem Montag kehrte er im Clementinensaal des Apostolischen Palastes vor etwa 300 Mitgliedern der Nationalen Vereinigung der Arbeitnehmer mit Behinderungen am Arbeitsplatz (ANMIL), die ihr achtzigjähriges Bestehen feiert, zu diesem Thema zurück und erinnerte ausdrücklich an die Arbeiter, „die der Zug getötet hat, als sie arbeiteten“.

In seiner Rede, in der er sich mit der zugrundeliegenden Dynamik der Dramen am Arbeitsplatz befasste, rief Franziskus dazu auf, die Regeln zu respektieren und die Verantwortung gegenüber den Arbeitnehmern als Priorität zu betrachten.

Jeder bewaffnete Konflikt bringt Legionen von Amputierten mit sich

Die Rede von Papst Franziskus nahm ihren Ausgangspunkt in der Erinnerung an die Zeit des Zweiten Weltkriegs - 1943 wurde die Vereinigung ANMIL gegründet -, was ihn sofort dazu veranlasste, seine Überlegungen zu aktualisieren, indem er sie auf die „dramatischen Folgen des Wahnsinns, der der Krieg ist“, zurückführte. Heute erlebten wir die Folgen, die aber vor allem die Zivilbevölkerung betreffen würden. „Jeder bewaffnete Konflikt bringt Legionen von Amputierten mit sich, auch heute noch“, sagte der Papst. Dies dürfe man nicht vergessen.

Die volle Würde der Verstümmelten anerkennen

Die Worte des Papstes gingen über in ein wiederholtes Dankeschön, verbunden mit der Bitte, die Rechte der Behinderten, insbesondere der Frauen und Jugendlichen, nicht zu vergessen.

Indem er den heiligen Josef, den Schutzpatron der Arbeiter, Amputierten und Invaliden, anvertraute, erinnerte der Papst abschließend daran, dass „jeder Mensch ein Geschenk für die Gemeinschaft ist und dass die Verstümmelung oder Invalidisierung eines einzigen Menschen das gesamte soziale Gefüge verletzt“.

Italien war in den zehn Jahren von 1996 bis 2005 das Land mit der höchsten Zahl arbeitsbedingter Todesfälle in Europa, mit Ausnahme der ersten beiden Jahre. In Italien sterben jedes Jahr etwa eintausend Menschen bei der Arbeit. (vn 11)

 

 

 

Begegnung zwischen dem Vorsitzenden der DBK und dem Großimam der ägyptischen al-Azhar

 

Am Rande des Internationalen Friedenstreffens von Sant’Egidio hat heute (11. September 2023) in Berlin eine Begegnung zwischen dem Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, und dem Scheich der ägyptischen Al-Azhar-Universität, Großimam Dr. Ahmad al-Tayyeb, stattgefunden. Im Fokus des Gesprächs standen die gemeinsame Friedensverantwortung von Christen und Muslimen sowie die Bedeutung des interreligiösen Dialogs.

„Das Christentum und der Islam sind die beiden größten Religionsgemeinschaften auf unserer Erde. Nur wenn Christen und Muslime miteinander in Frieden leben, hat der Weltfrieden eine Chance“, betonte der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz. „Mit dem Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen haben Papst Franziskus und Großimam Ahmad al-Tayyeb vor vier Jahren in Abu Dhabi einen eindringlichen Friedensappell formuliert: Weil Christen und Muslime an den gerechten und barmherzigen Gott glauben, widersagen sie jeder Form von Hass und Gewalt im Namen Gottes; ‚denn Gott, der Allmächtige, hat es nicht nötig, von jemandem verteidigt zu werden; und er will auch nicht, dass sein Name benutzt wird, um die Menschen zu terrorisieren‘. Bei unserer heutigen Begegnung habe ich Großimam Ahmad al-Tayyeb für diese wegweisenden Worte gedankt. Gleichzeitig haben wir über die Hürden gesprochen, die es auf dem Weg zum Frieden zu überwinden gilt. Wir waren uns einig: Der Frieden ist für Christen und Muslime die große Aufgabe unserer Zeit. Packen wir es an und wirken wir gemeinsam als Friedensstifter!“, so Bischof Bätzing.

Großimam al-Tayyeb traf sich außerdem heute mit dem Vorsitzenden der Unterkommission für den Interreligiösen Dialog der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), zu einem Gespräch, an dem auch der Generalsekretär des Muslimischen Ältestenrats, Richter Mohamed Mahmoud Abdelsalam, teilnahm. Dabei stellte Bischof Meier fest: „Mit Wertschätzung und Hochachtung – so sollen Christen und Muslime einander begegnen. Bei allen Unterschieden verbindet uns der Glaube an den einen Gott und die Verantwortung für unser gemeinsames Haus. Letztlich geht es darum, im Anderen einen Bruder und eine Schwester zu erkennen. Wie gut, dass Papst Franziskus und Großimam Ahmad al-Tayyeb da am gleichen Strang ziehen! Im Februar dieses Jahres konnte ich bei meiner Abu-Dhabi-Reise feststellen, dass das Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen weltweit seine Wirkung entfaltet. Durch ihr Vorbild stärken der Papst und der Großimam auch die vielfältige Dialog-Landschaft in Deutschland.“

Eine erste Begegnung zwischen Großimam al-Tayyeb und einem Vertreter der Deutschen Bischofskonferenz hatte im März 2016 stattgefunden, als der damalige Vorsitzende der Unterkommission für den Interreligiösen Dialog, Weihbischof Dr. Hans-Jochen Jaschke (Hamburg), den Scheich der Al-Azhar-Universität in Berlin empfing. Bei den heutigen Gesprächen wurde auch an die großen Verdienste des mittlerweile verstorbenen Weihbischofs im interreligiösen Dialog erinnert. 

Hintergrund

Professor Dr. Ahmad al-Tayyeb ist seit 2010 Großimam und Scheich Al-Azhar. Als oberster ägyptischer Imam steht er sowohl der traditionsreichen Azhar-Moschee als auch der Gesamtkörperschaft der Azhar vor, darunter die Akademie für Islamische Untersuchungen und die Azhar-Universität. Der Großimam der Azhar gilt vielen Muslimen als höchste theologische Autorität des sunnitischen Islam.

Während seiner Apostolischen Reise in die Vereinigten Arabischen Emirate ist Papst Franziskus am 4. Februar 2019 mit Großimam Ahmad al-Tayyeb zusammengetroffen. Bei ihrer Begegnung unterzeichneten sie das Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt, das auch unter dem Namen Abu-Dhabi-Dokument bekannt geworden ist. Dieses Dokument bildete wiederum eine wichtige Grundlage für die 2020 veröffentlichte Enzyklika Fratelli tutti von Papst Franziskus. Dbk 11

 

 

 

Italien: Bekannter Mönch gründet neue Gemeinschaft

 

Der italienische Mönch Enzo Bianchi hat im Piemont eine neue Klostergemeinschaft gegründet. Sie befindet sich in der Ortschaft Albiano d'Ivrea und heißt „Casa Madia“.

Wie die katholische Tageszeitung „Avvenire“ am Wochenende berichtete, besteht die neue Kommunität aus zunächst fünf Männern und zwei Frauen. Der 80-jährige Bianchi selbst will laut dem Bericht nicht Prior der neuen Gemeinschaft werden.

Der für seine Bibelauslegungen und ökumenischen Initiativen bekannte Mönch und Autor hatte 1965 die ökumenische Klostergemeinschaft von Bose im Piemont gegründet. Ihr gehören Männer und Frauen unterschiedlicher christlicher Kirchen und Traditionen an, heute zählt sie etwa 80 Mitglieder. Die Klosterregel von Bose wurde 1973 vom zuständigen Bischof von Biella kirchlich genehmigt. Die Gemeinschaft pflegt insbesondere Kontakte in die Welt der östlichen Kirchen.

Konflikte im Kloster Bose

„Bruder Enzo“ war über Jahrzehnte einer der bekanntesten christlichen Autoren in Italien, er nahm an Weltbischofssynoden als Berater teil. 2017 wurde er als Prior der Gemeinschaft abgelöst. Nach Konflikten mit seinem Nachfolger ordnete der Vatikan eine Visitation an.

2020 wurde der Gründer gemeinsam mit drei weiteren Brüdern durch ein von Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin unterzeichnetes Dekret aufgefordert, das Kloster Bose zu verlassen. Die neue, deutlich kleinere Niederlassung mit Gästehaus und eigener Landwirtschaft liegt etwa 15 Autominuten entfernt von der älteren Klostergemeinschaft Bose. (kap 10)

 

 

 

Sant’Egidio-Friedenstreffen in Berlin

 

In Berlin hat am Sonntag ein internationales Friedenstreffen der Religionen begonnen, ausgerichtet von der römischen Basisgemeinschaft Sant'Egidio.

Drei Tage lang werden Vertreter der großen Weltreligionen aus über 40 Ländern der Welt in der deutschen Hauptstadt zusammentreffen. Das Treffen hat zum Motto „Die Kühnheit des Friedens“ und wird von der katholischen und der evangelischen Kirche Berlins mitveranstaltet.

Eröffnet wird die neue Ausgabe des Friedenstreffens, wie Sant’Egidio sie seit Jahrzehnten in vielen Teilen der Welt organisiert, von Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier. Auch Zohra Sarabi, ein afghanischer Flüchtling, der dank der humanitären Korridore nach Italien gekommen ist, wird bei der Eröffnungsveranstaltung das Wort ergreifen.

Auftritte von Steinmeier und Scholz

Auf den 20 Foren, die für den 11. und 12. September geplant sind, werden viele wichtige Persönlichkeiten sprechen. Am Vormittag des 12. September werden Bundeskanzler Olaf Scholz und der Präsident von Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, über das Thema Frieden diskutieren, bevor es am Nachmittag desselben Tages zu einer Demonstration am Brandenburger Tor kommt, bei der eine Botschaft von Papst Franziskus verlesen und ein Friedensappell verkündet wird.

Aus verschiedenen europäischen Ländern liegen zahlreiche Anmeldungen für die persönliche Teilnahme vor, darunter tausend Schülerinnen und Schüler von Berliner Gymnasien. Die Veranstaltungen werden live auf der Website der Gemeinschaft Sant'Egidio übertragen. (sant’egidio 10)

 

 

 

Internationales Friedenstreffen in Berlin eröffnet

 

Bischof Bätzing: Religionen sind zur selbstkritischen Betrachtung aufgerufen

Das 37. Internationale Friedenstreffen der Gemeinschaft Sant’Egidio ist am heutigen Sonntag (10. September 2023) in Berlin eröffnet worden. Unter dem Leitwort Den Frieden wagen werden sich bis zum Dienstag (12. September 2023) rund 1.000 Teilnehmerinnen und Teilnehmer aus der ganzen Welt und von vielen Weltreligionen mit der Frage nach dem Friedenspotenzial der Religionen befassen.

Bei der Eröffnungsveranstaltung rief der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zu einem starken und sichtbaren Zeichen des Friedens auf. Mit dem Motto des Friedenstreffens zeige sich eine der großen Fragen der Zeit: „Wir selbst, die Vertreter der Religionen, haben üblicherweise eine hohe Meinung von der friedensstiftenden Kraft unseres Glaubens, vielleicht auch aller Religion. Hier in Europa, aber auch in anderen Teilen der Welt sind viele diesbezüglich deutlich skeptischer. Sie sehen die Religionen eher als Hindernis auf dem Weg in eine friedlichere Zukunft. Ich bin überzeugt: Wir dürfen diese kritischen Stimmen nicht vorschnell abtun. Vielmehr sind wir zu einer selbstkritischen Betrachtung aufgerufen, die nicht nur ein taktisches Manöver sein darf, sondern eine Pflicht des Glaubens darstellt“, sagte Bischof Bätzing. Eine solche Selbstkritik komme nicht umhin festzustellen, dass alle Religionen zu unterschiedlichen Zeiten ihrer Geschichte den Dämonen der Friedlosigkeit und Gewalt nachgegeben hätten. Deshalb sei Selbstkritik der Religionen unabdingbar, „nicht nur der Ehrlichkeit halber, nicht nur um unser Gewissen zu reinigen (so wichtig auch das ist), sondern vor allem, damit die Religionen glaubwürdige Akteure des Friedens sind. Denn wir können tatsächlich in den Irrungen und Wirrungen einer Menschheit, die sich immer wieder in Ungerechtigkeit und Gewalt verstrickt, eine tragende Rolle für eine bessere Zukunft spielen“, betonte Bischof Bätzing.

In seiner Ansprache fügte er hinzu, dass wahrscheinlich kaum etwas so sehr die Identität von Menschen, Gemeinschaften und Gesellschaften berühre wie die Religion: „Sie schult – im besten Fall – das Gewissen und lehrt jeden Menschen seine Verantwortung gegenüber Gott, unter welchem Namen auch immer das große Geheimnis unseres Daseins angesprochen wird. Religion bezeugt die Werte der Bescheidenheit, der Demut und der Friedfertigkeit, deren Pflege fundamental ist für das Gedeihen des Friedens.“ Die Religion wecke deshalb einen Sinn für die gleiche Würde aller, „gleichgültig, welche Hautfarbe sie haben; gleichgültig, wieviel Macht und Vermögen sie besitzen; gleichgültig auch, welchem Glauben sie anhängen. In christlicher Sprache gesagt: Alle Menschen sind geliebte Kinder des einen Vaters. Diese Haltung miteinander zu teilen ist der entscheidende erste Schritt, der die Gläubigen zu Mitarbeitern des Friedens macht“.

Bischof Bätzing dankte der Gemeinschaft von Sant’Egidio für das jahrzehntelange Engagement. Er freue sich, ihr verbunden zu sein, weil Sant’Egidio der Welt auf so überzeugende Weise ein Zeugnis der universalen Friedenshoffnung vor Augen stelle.

Hintergrund - Die Teilnehmerinnen und Teilnehmer des Internationalen Friedenstreffens kommen von allen Kontinenten und aus 33 Ländern. Bei der Eröffnung am 10. September 2023 waren unter anderem Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier; der Gründer von Sant’Egidio, Andrea Riccardi; der Staatspräsident von Guinea-Bissau, Umaro Sissoco Embalò; der Großimam der Al-Azhar-Universität Kairo, Ahmed Al-Tayyeb; der Präsident der Europäischen Rabbinerkonferenz, Pinchas Goldschmidt; der Sondergesandte des Papstes für die Ukraine und Russland, Kardinal Matteo Zuppi; und der assyrische Patriarch Mar Awa Royel aus dem Irak anwesend. Die evangelische Kirche wurde unter anderem durch Jerry Pillay, Generalsekretär des Weltkirchenrates, Landesbischof Dr. Heinrich Bedford-Strohm, Vorsitzender des Zentralausschusses des Ökumenischen Rats der Kirchen, und Annette Kurschus, Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), vertreten.

Neben Bischof Bätzing nehmen vonseiten der Deutschen Bischofskonferenz Kardinal Reinhard Marx (München und Freising), Bischof Dr. Heiner Koch (Erzbistum Berlin), Bischof Dr. Franz Jung (Würzburg) und Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg) an dem Friedenstreffen teil.

Das Programm besteht neben der Eröffnungsveranstaltung aus 20 Foren, die ganztägig am 11. September 2023 und am Vormittag des 12. September 2023 zu Themen wie Umweltkrise, Migration, Interreligiöser Dialog, Demokratie heute, Globalisierung, Abrüstung und künstliche Intelligenz stattfinden. Die Schlusskundgebung wird am 12. September 2023 um 17.00 Uhr vor dem Brandenburger Tor stattfinden.

Hinweise: Weitere Informationen zum Friedenstreffen sind auf der Internetseite von Sant‘Egidio www.santegidio.org verfügbar. Dbk 10

 

 

 

Herzlichen Glückwunsch, „Tagespost“!

 

Die katholische Wochenzeitung „Die Tagespost“ hat am Samstag in Würzburg mit Lesern und Förderern ihren 75. Geburtstag gefeiert.

Der Kölner Kardinal Rainer Maria Woelki würdigte das Blatt als „Symbol für Freiheit“, für Frieden und Gerechtigkeit „und vor allem auch für den Schutz des Lebens in all seinen Phasen“. Bis heute habe sich die „Tagespost“ den Blick des katholischen Glaubens auf die Dinge bewahrt. Die Freiheit dazu gewähre die Demokratie, nicht aber immer „der sogenannte Zeitgeist“.

Erzbischof Georg Gänswein rief katholische Journalisten dazu auf, vor allem bei den „immer bedrängenderen bioethischen Herausforderungen“ Farbe zu bekennen. „Der Mensch ist kein Experimentierfeld, sondern Geschöpf Gottes.“

„Im vorgerückten Alter noch einmal neu aufbrechen“

Der Würzburger Bischof Franz Jung wünschte in einem verlesenen Grußwort der „Tagespost“ den „Mut, im vorgerückten Alter noch einmal neu aufzubrechen“. Kirche wie Medien litten unter dem Verlust von Bindungskraft. Dieser Verlust werde „nicht überwunden durch die Vermeidung von Konflikten, aber auch nicht, indem man sich von ihnen beherrschen lässt“. Mit einem „ehrlichen Blick“ und einem „weiten Horizont“ könnten „neue Wege gefunden werden, um konstruktiv am Aufbau und an der Weiterentwicklung der Kirche mitzuarbeiten“.

Älteste unabhängige katholische Zeitung

Glückwünsche zum Jubiläum gab es auch von Bayerns Ministerpräsident Markus Söder (CSU), Kurienkardinal Kurt Koch und dem Vorsitzenden der Österreichischen Bischofskonferenz, Erzbischof Franz Lackner.

„Die Tagespost“ berichtet seit 1948 über Politik, Kultur, Gesellschaft und Kirche. Das konservative Wochenblatt ist nach eigenen Angaben die älteste unabhängige katholische Zeitung im deutschen Sprachraum. Das Blatt hat derzeit rund 10.000 Abonnenten. (kna 10)

 

 

 

Synode: Erste Generalversammlung wird live übertragen

 

Der Vatikan hat den Stand der Planungen für die Vollversammlung der Weltsynode vom Oktober in Rom skizziert.

Der Präfekt des Kommunikations-Dikasteriums, Paolo Ruffini, teilte vor Journalisten mit, dass die erste Generalversammlung der Synode vom 4. Oktober live im Internet übertragen wird. Ansonsten finden die Debatten im Plenum und in Sprachgruppen wie schon bei früheren Synoden hinter verschlossenen Türen statt.

Offizielle Sprachen der Vollversammlung werden Italienisch, Englisch, Französisch, Spanisch und Portugiesisch sein; Deutsch zählt diesmal, wie schon bei der Amazonas-Sondersynode von 2019, nicht dazu. Bei den Plenarsitzungen wird es aber auch eine deutsche Simultan-Übersetzung geben.

Schlusstext vom Oktober wird veröffentlicht

An der Vollversammlung in der vatikanischen Audienzhalle nehmen bis Ende Oktober etwa 370 Personen teil. In Kleingruppen von ungefähr zehn Personen sollen Texte erstellt und dann dem Plenum vorgetragen werden. Der Schlusstext dieser Vollversammlung soll nach Ruffinis Angaben veröffentlicht werden; unklar ist noch, ob im Plenum wie bei früheren Synoden über diesen Text abgestimmt wird oder ob die Zustimmung auf andere Weise abgefragt wird.

Die Berichterstattung zur Synode will der Vatikan diesmal restriktiver handhaben als bei früheren Gelegenheiten. Das machte Papst Franziskus bei der Rückkehr von seiner Mongolei-Reise gegenüber Journalisten deutlich. Es gehe um einen geschützten Raum, in dem die Teilnehmenden sich möglichst ohne äußeren Druck austauschen könnten, heißt es im Vatikan.

Restriktivere Berichterstattung

Eine zweite Vollversammlung der Weltsynode ist für den Oktober des kommenden Jahres angesetzt. Dabei soll über endgültige Vorschläge abgestimmt und diese dann dem Papst vorgelegt werden. Der Papst ist frei, sich an solche „propositiones“ zu halten oder nicht.

Franziskus hat die Weltsynode vor zwei Jahren auf den Weg gebracht. Ihr Thema lautet „Synodalität – Gemeinschaft, Teilhabe, Sendung“. Dabei geht es vor allem um die Art und Weise, in der Entscheidungen in der Kirche zustande kommen sollen. Bei der Vollversammlung von diesem Oktober haben erstmals auch Frauen ein Stimmrecht. (vn 9)

 

 

 

Herbst-Vollversammlung der Deutschen Bischofskonferenz vom 25. bis 28. September 2023 in Wiesbaden-Naurod

 

Vom 25. bis 28. September 2023 findet in Wiesbaden-Naurod die Herbst-Vollversammlung der Deutschen Bischofskonferenz statt. Aufgrund von Renovierungsarbeiten im Priesterseminar in Fulda, dem üblichen Ort für die Herbst-Vollversammlungen, ist diesmal das Bistum Limburg Gastgeber. An der Vollversammlung nehmen 65 Mitglieder der Deutschen Bischofskonferenz unter Leitung des Vorsitzenden, Bischof Dr. Georg Bätzing, teil. Tagungsort wird das Wilhelm-Kempf-Haus (Wilhelm-Kempf-Haus 1, 65207 Wiesbaden-Naurod) sein.

Schwerpunkte der Beratungen sind ein Reflexionsprozess zum Synodalen Weg der Kirche in Deutschland und Fragen für die anstehende Weltsynode in Rom, die ab Oktober 2023 stattfindet. Erneut werden während der Vollversammlung die Themenbereiche der Aufarbeitung sexuellen Missbrauchs sowie der aktuelle Stand der im vergangenen Jahr vorgenommenen Neustrukturierung dieses Arbeitsfeldes diskutiert. Das bereits beschlossene Dokument zum Thema Geistlicher Missbrauch wird der Öffentlichkeit während der Vollversammlung vorgestellt. Weitere Themen sind die Planungen für das Heilige Jahr 2025 in Rom, ein Rückblick auf den Weltjugendtag, der im August 2023 in Lissabon stattfand, und aktuelle politische Fragen wie u. a. die Problematik um den assistierten Suizid. Die Bischöfe werden sich angesichts internationaler Kriege und Konflikte auch mit der Lage in der Ukraine, in Nicaragua und dem Niger befassen.

An der Eröffnungssitzung der Vollversammlung am Montag, 25. September 2023, wird der Apostolische Nuntius, Erzbischof Dr. Nikola Eterovi?, teilnehmen. Als Gäste anderer Bischofskonferenzen werden Bischof Didier Berthet (Frankreich/Saint-Dié) und Erzbischof Stanis?aw Budzik (Polen/ Lublin) anwesend sein. dbk

 

 

 

Ukrainischer Weihbischof: „Papst hat uns gut zugehört“

 

„Wir gehen vorwärts“, sagt im Gespräch mit Radio Vatikan der Lemberger Weihbischof Wolodymyr Hruza. Er gehört der griechisch-katholischen Kirche der Ukraine an, die derzeit ihre Synode in Rom abhält. Am Mittwoch war Hruza auch beim Treffen mit dem Papst dabei und erläutert uns, wie „offen“ das Gespräch gewesen sei. Mario Galgano – Vatikanstadt

 

Es waren und sind intensive Tage für die Mitglieder der Synode der ukrainisch griechisch-katholischen Kirche in Rom. Das Treffen der 45 Bischöfe mit dem Papst dauerte am Mittwoch fast zwei Stunden und fand in einem Nebenraum der vatikanischen Audienzhalle statt. Weihbischof Hruza:

„Ich habe so ein Gefühl bekommen, dass wir uns auch wirklich zugehört haben, denn es ist ein Unterschied, aufeinander zu hören und wirklich zuzuhören, um jemanden zu verstehen. Man muss mit dem Gesprächspartner kommunizieren, man muss mit ihm sprechen. Und wir waren sehr ehrlich, auch zum Papst, was uns betrifft. Wir hatten den Auftrag, ihm auch die Meinungen, die Sorgen unseres Volkes zu übermitteln.“

„Und dann sind wir immer auf dem richtigen Weg, wenn wir uns an Evangelium halten.“

Damit bezieht sich der Weihbischof aus dem westukrainischen Lviv auf die jüngste Kritik in der Ukraine an den Worten, die der Papst bei einer Live-Schalte an russische Jugendliche gerichtet hatte. Bei dem Treffen in Rom am Mittwochmorgen hätten die Bischöfe formuliert, dass einige Gesten und Äußerungen von Papst Franziskus „schmerzhaft und schwierig für das ukrainische Volk“ gewesen seien. Dazu Weihbischof Hruza:

„Ich bewundere Papst Franziskus, so einen Menschen mit einer wichtigen Funktion, dass er auch eigene Fehler zugeben kann. Schon auf dem Rückweg von seiner letzten Reise aus der Mongolei hat er das gesagt und auch uns wiederholt, was er genau meinte. Aber das ist immer so, wenn man mit Politik zu tun hat: Da findet man immer Dinge, die nicht in Ordnung sind. Und ich glaube, unsere Aufgabe ist vor allem, das Evangelium zu verkündigen - dann sind wir immer auf dem richtigen Weg, wenn wir uns an Evangelium halten.“

„...denn die Wunde ist offen, und wenn eine Wunde offen ist, dann wird sie sofort gereizt.“

Der Papst habe ihren Zeugnissen und Anmerkungen „gut zugehört“, so der Weihbischof weiter.

„Man muss unterscheiden: Es gibt eine diplomatische Neutralität, die auch einen Spielraum zu Gesprächen, zu Dialog mit anderen beinhaltet. Und es gibt eine moralische Neutralität, die jedoch nicht ganz gut ist, denn man kann nicht moralisch neutral sein, wenn es um moralische Werte geht und vor allem, wenn Opfer leiden. Und natürlich ist es so, dass man in einer Zeit des Krieges sehr sensibel für alles ist, denn die Wunde ist offen, und wenn eine Wunde offen ist, dann wird sie sofort gereizt.“

Parolin verteidigt Einsatz des Papstes

Auch Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin hatte diese Woche vor den ukrainischen Bischöfen in Rom den Einsatz des Papstes und des Vatikans für die Ukraine hervorgehoben. Dabei erinnerte der vatikanische Chefdiplomat an die konstanten Appelle des Papstes für die Ukraine seit Ausbruch des Krieges im Februar 2022 und an die zahlreichen Hilfslieferungen aus dem Vatikan. Angesichts dessen „wäre es ungerecht, an der Zuneigung des Papstes für das ukrainische Volk zu zweifeln“. Weiter erklärte Parolin, die Bemühungen des Pontifex, die Tragödie des Krieges zu beenden, würden „nicht immer verstanden und geschätzt“. Es gehe Franziskus aber darum, durch Verhandlungen einen gerechten und dauerhaften Frieden zu sichern.

Die Begegnungen im Vatikan waren und sind Teil der jährlichen Synode der Bischöfe der ukrainisch griechisch-katholischen Kirche, die vom 3. bis zum 13. September in Rom stattfindet. (va+n 8)

 

 

 

Die Generation Z will kein Christentum mehr

 

Es scheint einen Konsens in der Altersgruppe der nach 2.000 Geborenen zu geben: Das Christentum war gut für die früheren Generationen. Aber wir gehen in eine ganz andere Zeit, da hilft uns diese Religion nicht mehr. Also keine neomarxistische Ablehnung der Religion als zukunfts-feindlich, sondern als zukunfts-untauglich. Dafür hat die Generation Z gute Gründe.

Die Kirchen sind ineffektiv bei der ökologischen Wende

Diese Generation ist sich der Umwelthypothek bewusst und rechnet damit, dass sich die Klimaproblematik noch weiter zuspitzt. Nicht nur dieses Erbe überlässt ihnen die Erwachsenenwelt und deren Religion, sondern auch eine Wirtschaft, die völlig überdimensioniert ist. An ihren Eltern konnten sie beobachten, wie dieses Wirtschaftssystem das Zusammenleben unter Stress und Zeitdruck setzte. Denn die ältere und mittlere Generation musste für die Aufrechterhaltung dieses Systems so viel arbeiten, dass sie kaum die Zeit hatten und immer noch nicht haben, das Erarbeitete in Beziehungsqualität umzusetzen. Für Familie und Freundeskreis, die das Wichtigste sind, lässt die überdimensionierte Wirtschaft nicht die notwendige Zeit. Auch das Finanzsystem, das die Lebensbedingungen inzwischen maßgeblich bestimmt, wird als ebenso überdimensioniert eingeschätzt. Es sei viel mehr Geld im Umlauf als die Wirtschaft brauche.

Wenn man neueste Forschungsergebnisse in die Praxis umsetzen würde, müssten die Kirchen langfristige Beziehungen fördern. Denn unabhängig von Religion und Konfession, überhaupt von einer religiösen Orientierung sehen Menschen, die im Alter angekommen sind, stabile Beziehungen als das Wichtigste an. Das ist für die Generation Z selbstverständlich.

Nicht mehr als guter Wille

Den Kirchen in Deutschland wird für die Lösung der Herausforderungen zwar der gute Wille zugestanden, aber nicht die Kompetenz und die Kraft, zu ihrer Lösung beizutragen. Würden die Kirchen sich anders orientieren, wäre das mit dieser Generation durchaus möglich. Diese erwartet nicht wie noch der Neomarxismus den humanen Fortschritt aus der Versorgung mit materiellen Gütern. Sie setzen "Beziehung" an die oberste Stelle. Anders als der Synodale Weg in Nacharbeit der sexuellen Revolution erwarten sie Entscheidendes nicht von einer befreiten Sexualität. Sie leben eine aktive Solidarität. Sie haben ein anderes Verhältnis zu Nahrungsmitteln. Für Viele bemisst sich der Nährwert einer Mahlzeit nicht mehr an der Fleischportion. Im Blick nicht nur auf die Katholische Kirche wären vorhandene Ressourcen zu aktivieren. Dem hat sich allerdings ihr Synodaler Weg verweigert

Die Ökologie in die Spiritualität hineinholen

Atomkraft, Windräder, Elektroantrieb gelten als Notwendigkeit. Sie entsprechen aber noch der Lebensform einer technisierten Gesellschaft. Nach deren Spiritualität wäre es deshalb weiterhin bequemer, bei dem zu bleiben, was die Ingenieurskunst zustande gebracht hat. Warum sind SUV's etwas Schlechtes! Die Alternative sind nicht die Kirchen, sondern die Grünen, diese fordern jedoch von einer Konsumgesellschaft asketische Umstellung. Damit entbinden sie die Kirchen von Moralpredigten, mit denen diese ja wenig erfolgreich war, sondern Viele vom Christentum weggetrieben haben. Mit ihrer Moralfixierung eröffnen die Gründen ein breites Feld, nämlich aktiv auf die Inhalte der Ökologie theologisch und spirituell zuzugehen, weil das die Zukunft viel freundlicher erscheinen lässt. Statt in Blechbüchsen eingezwängt durch die duftende Natur zu rasen, kann man diese Natur auch einatmen. Selbst gezogene Kräuter und selbst angebaute Zucchini oder Kohlrabi vermitteln eine andere Lebensqualität, ebenso auf dem Markt beim Erzeuger selbst einzukaufen. Das entspricht der von Ignatius von Loyola entwickelten. "Anwendung der Sinne". Ökologie nicht mehr als grün verpackte moralische Forderung, sondern ins Erleben gebrachte Schöpfung. Nicht die mit dem Auto "gemachten" Kilometer, sondern die auf dem Fahrrad oder beim Walken gespürte Natur als das Eigentliche erfahren. Abstand von dem Gefühl zu gewinnen, wie effektiv sich das Leben anfühlt, wenn man mit 160 km/h auf der Autobahn seinem Ziel entgegeneilt. Müssen Christen das Effektivitätsgefühl haben, das mit dem Druck auf das Gaspedal den Körper überzeugt, Kraft zu haben. Oder brauchen wir das Schweben im Flugzeug, um uns getragen zu fühlen, reicht dafür nicht Schwimmen oder ein E-Bike? Ökologie verspricht ein neues Körpergefühl, wir sollten es erspüren.

Was ist die Alternative:

Die Jungen sind mit den Erfolgen der Wissenschaft ausgewachsen. Diese bringt ständig Nachrichten, während die der Kirchen eher Altes zutage führt. Wenn es Problemlösungen gibt, dann kommen diese wie noch für die Achtundsechziger nicht aus den Kulturinstitutionen, sondern von den Naturwissenschaften. Corona ist ja auch eine sehr positive Erfahrung mit der Wissenschaft. Diese Erfahrungen sind an der Theologie wie auch an der Spiritualität vorbeigegangen. Man muss nicht auf die Plattheit der Naturalisten verfallen, die Philosophie durch Physik ersetzen, aber die Welten, in die die Naturwissenschaften vorgedrungen sind, sind ja der Lebensraum, in den der Mensch hineingestellt ist. Diese sollte mit der Jungen Generation, die eine völlig andere Kultur erwartet, mitgehen.

 

Vorwärts-denkende Theologie

Schöpfung wäre eine sehr gangbare Brücke zur Theologie. Diese lebt noch aus dem Impuls des Konzils, als durch Bibelwissenschaft und die Wiederentdeckung der Theologen aus den ersten Jahrhunderten die Neuscholastik abgelöst wurde. Die Geschichte der Theologie versprach noch viele interessante Funde. Die sind inzwischen weitgehend gemacht. Könnte jetzt nicht wieder ein Paradigmenwechsel anstehen? Ist die Reaktion der Zwanzigjährigen auf die kirchliche Verkündigung tatsächlich durch den Säkularismus bewirkt oder vom Geist Gottes. Können die Herausforderungen allein mit Rückgriff auf frühere theologische Konzepte bewältigt werden. Sind nicht die theologischen Konzepte, die die Bibelwissenschaft aus den verschiedenen Büchern des Neuen Testaments den späteren Epochen herausgearbeitet hat, nicht jeweils Antworten auf neue Herausforderungen gewesen? Zwei der Herausforderungen seien genannt, die heute nicht mit dem Rückgriff auf frühere theologische Lösungen bewältigt werden können:

1. Wie verändern die Algorithmen, vor allem die Chatbots, die Relevanz der Worte bis hin zu den Sakramenten? Oder:

2. Was heißt Menschwerdung, wenn der Mensch in die Genetik eingreifen kann.

Der junge Mensch muss in einer völlig anderen Welt seinen Platz neu definieren. Die Herausforderungen sind bei der Moraltheologie angekommen

 

Cyberspace: ein religiös zu besetzender Raum

Die digitale Technik hat in wenigen Jahrzehnten eine eigene Welt hervorgebracht, in der sich die Jungen über Stunden täglich aufhalten. Was im Cyberspace nicht vorkommt, ist für die Bewohner dieser Welt nicht „wirklich“. Eine Homepage ist inzwischen einem abgelegenen Bergdorf vergleichbar. Die Katholische Kirche sollte aus der Reformation lernen. Die Wirkung Luthers lag nicht in einem neuen theologischen Ansatz, der war schon seit 200 Jahren durch den Nominalismus des 14. Jahrhunderts in Gang gebracht. Luther nutze das neue Medium Flugblatt und brachte mit seiner so gewonnenen Bekanntheit seine Bibelübersetzung unter die Leute.

 

Die große Chance: Das Ende des Naturalismus

Die Chance einer metaphysisch-biblischen Interpretation des Menschen sind nicht durch die Philosophie, sondern durch die Physik neu eröffnet. Wenn der Mensch atheistisch allein aus der Materie erklärt wird, kann die Frage, die die meisten Menschen mit in diese Welt bringen, nicht mehr beantworten: Denn die Materie ist nicht der letzte Ursprung. Aber den will der Mensch kennen. Diese Materie ist nämlich selbst nicht ursprungslos, sie ist 13,8 Milliarden Jahre alt. eine weitere Erkenntnis der Physik: Die Materie, die dem Menschen zugänglich ist, besteht wie er selbst aus Atomen und bildet die Galaxien. Diese machen jedoch nur 5% dieses Weltalls aus. Diese Dunkle Materie und die Dunkle Energie sind den physikalischen Instrumenten nicht zugänglich, denn diese bestehen aus Atomen, also nicht aus dem, was die Grundsubstanz der Dunklen Materie sein könnte. Diese scheint es zu geben, denn sie macht sich durch ihre Schwerkraft als Einwirkung auf die helle Materie, die Atome bemerkbar. Neben diesen Welten, die die Physik erst erschlossen hat und die frühere Theologen nicht erschließen konnten, gibt es die vom Menschen geschaffene Cyberwelt. Diese muss auch religiös bewohnbar gemacht werden. Anfang des Jahrhunderts war „Second Life“ nur ein Abbild der atomaren Welt, das Metaverse ist ein neuer Anlauf, den Cyberspace bewohnbar zu machen. Dort muss Religion neu entfaltet werden. Warum soll das nicht gehen, der Glaspalast einer gotischen Kathedrale war schon ein solches Metaverse. Eckhard Bieger Kath.de 8                  

 

 

 

Emirate: Gastgeber eines globalen Gipfels für Glaubensführer

 

Vom 6. bis 7. November findet in Abu Dhabi ein Gipfel für Glaubensführer aus der ganzen Welt statt, um die wichtige Rolle von Glaubensgemeinschaften bei der Bewältigung des Klimawandels hervorzuheben. Der Gipfel findet im Vorfeld des 28. internationalen Klimagipfels (COP28) statt, der vom 30. November bis 12. Dezember in den Vereinigten Arabischen Emiraten (VAE) ausgerichtet wird.

Zu der zweitägigen Veranstaltung werden Glaubensführer, die die wichtigsten Religionen der Welt vertreten, Wissenschaftler und Umweltexperten erwartet,. Das Treffen wird sich auch mit dem Zusammenspiel von Glauben und Wissenschaft befassen, um die Lücke zwischen empirischen Beweisen und spirituellen Lehren zu schließen. Gesucht wird nach Strategien zur Stärkung der Stimmen religiöser Führer zur Verbesserung der Klimagerechtigkeit und nach Wegen, wie Basisgemeinschaften in die Erreichung einer nachhaltigen Entwicklung einbezogen werden können.

Unter der Schirmherrschaft von Scheich Mohamed bin Zayed Al Nahyan, Präsident der Vereinigten Arabischen Emirate, wird die Veranstaltung vom Muslim Council of Elders (MCE) unter dem Vorsitzenden, dem Großimam von al-Azhar Ahmed Al-Tayeb, organisiert. Der Gipfel wird in Zusammenarbeit mit der COP28-Präsidentschaft, dem Umweltprogramm der Vereinten Nationen (UNEP) und der katholischen Kirche ausgerichtet.

Glaubenspavillon auf dem Klimagipfel geplant

Der Generalsekretär des Muslim Council of Elders, Mohamed Abdelsalam, sagte: „Während unsere Welt einem irreversiblen Klimaschaden immer näher kommt, der nur durch gemeinsame Anstrengungen bekämpft werden kann, kommt das Gipfeltreffen religiöser Führer für die COP28 zu einem kritischen Zeitpunkt, an dem es um die Klimaverstärkung geht.“ Maßnahmen in allen Bereichen der Gesellschaft, die Beseitigung der Unwissenheit über den Klimawandel und die Sensibilisierung für Umweltprobleme seien unerlässlich geworden. 

Während des Klimagipfels in Abu Dhabi werden das MCE und das UNEP gemeinsam mit einem sogenannten Glaubenspavillon auf der COP28 vertreten sein; es ist der erste Pavillon dieser Art bei einer COP-Veranstaltung.

Die COP28 findet vom 30. November bis 12. Dezember in der Expo City Dubai statt und wird voraussichtlich über 70.000 Teilnehmer zusammenbringen. Gemäß dem Pariser Klimaabkommen wird die COP28 die erste globale Bestandsaufnahme überhaupt liefern – eine umfassende Bewertung der Fortschritte bei der Verwirklichung der Klimaziele. Die Vereinigten Arabischen Emirate werden einen Prozess leiten, bei dem sich alle Parteien auf einen klaren Fahrplan einigen sollen. (vn 8)

 

 

 

 

Kardinal Reinhard Marx zum Welttag der sozialen Kommunikationsmittel

 

„Medien existieren nicht für sich selbst, sondern Medien sind für den Menschen da.“ 

Am 10. September 2023 begeht die katholische Kirche in Deutschland den 57. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel. Wie in den vergangenen Jahren hat Papst Franziskus eine Botschaft veröffentlicht. Sie trägt den Titel: „Mit dem Herzen sprechen. ‚Von der Liebe geleitet, die Wahrheit bezeugen‘ (Eph 4,15)“. Zum Welttag der sozialen Kommunikationsmittel erklärt der Vorsitzende der Publizistischen Kommission der Deutschen Bischofskonferenz, Kardinal Reinhard Marx (München und Freising):

 

Es ist eine große Qualität von Medien, dass sie dabei helfen, uns ein Bild der Wirklichkeit zu machen. Sie ermöglichen in Information und Orientierung, Austausch und Diskurs echte Kommunikation. Und Medien bestimmen wesentlich den Stil des Miteinanders in einer Gesellschaft.

 

Kommunikation ist ein Ausdruck des Menschseins. Sie gründet in unserer Beziehung zu anderen Menschen und ist die Grundlage von Gesellschaft. In unserer Gesellschaft tragen die Medien entscheidend zu einer gelingenden öffentlichen Kommunikation bei, wie sie auch Jürgen Habermas 2022 in seinem Buch Ein neuer Strukturwandel der Öffentlichkeit und die deliberative Politik beschrieben hat mit den Aspekten von „Reichweite“ und „deliberativer Qualität“: Denn sofern alle Beteiligen gleichberechtigt am Austausch von Argumenten teilhaben können, können wir zu einer Verständigung und Entscheidungsfindungen darüber gelangen, wie wir miteinander leben wollen.

 

Die Verwirklichung dieses Ideals von Kommunikation trägt dazu bei, in einer Gesellschaft wieder zusammenzufinden und zusammenzuhalten. Deshalb schätzt die Kirche die Bedeutung von gutem, freiem und pluralem Journalismus. Wir treten für Teilhabegerechtigkeit in der digitalen Medienwelt ein. Wir stärken die Fragen nach Sinn, Solidarität und Verantwortung als Bewertungs- und Deutungskriterien von Bewegtbild- und Audioformaten. Und es ist für die Kirche ein wichtiges Anliegen, sich für Medienkompetenz und Medienbildung zu engagieren.

 

Für Nutzerinnen und Nutzer können Medien auch die Chance bieten, ein Kommunikationsweg zu anderen Menschen zu sein. Medien existieren nicht für sich selbst, sondern Medien sind für den Menschen da. Sie können denen eine Stimme geben, die keine Stimme haben; durch Medien können wir andere Menschen und Perspektiven wahrnehmen und sie weiten im Idealfall den eigenen Horizont. Menschlicher Fortschritt geschieht auch durch Medien und Kommunikation.

 

Das ist das Idealbild, und wir sehen zugleich, dass dieser Anspruch nicht immer erreicht wird, sondern öffentliche Kommunikation auch zur Spaltung, zur Isolation und zu Konflikten beitragen und die Segmentierung der Gesellschaft verstärken kann. Gerade deshalb ist es wichtig, die Gestaltung und Nutzung von Medien zu reflektieren und sozialethische Kriterien und Werte als Orientierungsrahmen zu haben. Entscheidende Faktoren sind Transparenz und Teilhabe.

 

Das Wesen des Menschen liegt in der Freiheit begründet. Es gehört dazu, die Frage nach Wahrheit zu stellen, sich einbringen zu können, zu handeln und Gesellschaft mitzugestalten. Die Fähigkeit zur Reflexion, ethische Folgerungen ziehen zu können und darüber in Austausch zu treten, zu kommunizieren, unterscheidet uns wesentlich von Künstlicher Intelligenz (KI). Durch die faszinierenden Entwicklungen der KI erleben wir derzeit epochale Veränderungen auch in der medialen Kommunikation; Chatbots und Übersetzungs-Tools sind nur zwei Beispiele dafür. Die Chancen dieser Transformation liegen darin, dass sich durch KI neue Wege des Verstehens und der Kommunikationsassistenz eröffnen können.

 

Doch auch die Herausforderungen sind gegeben: die Simulation von menschlicher Intelligenz und Kommunikation kritisch zu reflektieren, den Beitrag zur menschlichen Freiheit als Kriterium aufrechtzuerhalten und die Frage nach der Authentizität von Kommunikation zu stellen. Aus der Veränderung der Kommunikationswege und -instrumente folgen ethische Fragen, weil auch hier alle Beteiligten, Menschen und Schöpfung, in den Blick zu nehmen sind: Welche Folgen hat der zunehmende Energiebedarf digitaler Kommunikation für den Klimaschutz? Wie gehen wir damit um, dass durch KI bestimmte Arbeitsplätze und Berufsfelder verloren gehen? Welche Gerechtigkeit erfahren z. B. die Clickworker im Globalen Süden? Wie schützen wir Daten und Rechte und letztlich die Würde des Menschen? Wie steht es um die Wahrheit inmitten neuer Manipulationsmöglichkeiten, Diskriminierungsgefahren und simuliert-menschlicher Kommunikation?

 

Die Botschaft von Papst Franziskus zum 57. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel trägt den Titel Mit dem Herzen sprechen. Sie stellt die Aufforderung in den Mittelpunkt, die jedem übertragen ist und für die besonders diejenigen in der Verantwortung stehen, die in der Kommunikation und Medienarbeit tätig sind: die „Wahrheit in Liebe zu sagen“, um uns gegenseitig zu behüten. Franz von Sales, der vor 100 Jahren zum Patron der Journalisten erklärt wurde, verkörpert diese Haltung in seinem Leitsatz, dass „das Herz zum Herzen spricht“. Es liegt in unserer Verantwortung, unserer Haltung in der heutigen Welt Ausdruck zu geben und menschlich zu kommunizieren – im wesentlichen Sinne. Davon hängt auch das Gelingen unserer Demokratie ab.

Hinweise: Die Botschaft von Papst Franziskus zum 57. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel ist unter www.dbk.de  auf der Themenseite Welttag der sozialen Kommunikationsmittel (Mediensonntag) verfügbar. Dbk

 

 

 

Liste aufgetaucht: Kirche versteckte tausende Verfolgte in Rom

 

Man wusste schon bisher, dass kirchliche Häuser in Rom während der deutschen Besatzung Tausende von Menschen – vor allem Juden – vor den Nazis versteckt haben. Doch die entsprechende Dokumentation war bislang verschollen. Jetzt ist sie wieder aufgetaucht.

Im Archiv des Päpstlichen Bibelinstituts in Rom wurde eine bislang unpublizierte Dokumentation entdeckt. In ihr sind die Personen aufgeführt, die in kirchlichen Einrichtungen in der Ewigen Stadt vor der nationalsozialistischen Verfolgung Zuflucht suchten. Eine kleine Sensation für die Historiker.

Zwar ist eine Liste der Schutz gewährenden Ordensgemeinschaften – 100 Frauen- und 55 Männerorden – zusammen mit der Anzahl der jeweils beherbergten Personen schon 1961 vom Historiker Renzo de Felice publiziert worden. Doch die komplette Dokumentation fehlte bislang. Daran hat auch die Öffnung der Vatikan-Archive, die sich auf das Pontifikat von Pius XII. beziehen, durch Papst Franziskus nichts geändert.

Nun wurden Forscher also im Archiv des „Biblicum“ fündig, das damals wie heute von Jesuiten geleitet wird. Die nun wieder entdeckten Listen beziehen sich auf über 4.300 Personen, von denen 3.600 namentlich genannt sind. Aus dem Vergleich mit den im Archiv der Jüdischen Gemeinde von Rom aufbewahrten Dokumente geht hervor, dass ca. 3.200 dieser Menschen mit Sicherheit Juden waren. Von letzteren ist bekannt, wo sie versteckt waren, teils auch, wo sie vor der Verfolgung wohnten.

Mehr als 3.000 Versteckte waren Juden

Damit vergrößert die Dokumentation die Informationsdichte über die Rettung von Juden durch katholische Einrichtungen in Rom erheblich. Allerdings kann jetzt nicht jeder durch die Listen blättern: Zum Schutz der Privatsphäre der Nachfahren der aufgeführten Personen ist der Zugriff auf die Dokumentation derzeit eingeschränkt.

Das Dokument wurde an diesem Donnerstag im Shoah-Museum der jüdischen Gemeinde Roms vorgestellt. Erstellt wurde die jetzt wiederentdeckte Dokumentation durch den italienischen Jesuiten Gozzolino Birolo, zwischen Juni 1944 und Frühjahr 1945 – also unmittelbar nach der Befreiung Roms durch die Alliierten. Birolo war von 1930 bis 1945 Ökonom des Bibelinstituts; Rektor des „Biblicum“ in der Zeit der deutschen Besatzung war übrigens der deutsche Jesuit Augustin Bea, der spätere Kardinal und Vorreiter im jüdisch-katholischen Dialog.

Neun dunkle Monate der Besatzung

Zu den Historikern, die mit der Untersuchung der aufgefundenen Dokumente betraut sind, gehört der Schweizer Jesuit Paul Oberholzer von der Päpstlichen Universität Gregoriana. Die Forschungsarbeiten wurden unter anderem vom österreichischen Jesuiten Dominik Markl koordiniert, der am „Biblicum“ und an der Uni Innsbruck lehrt.

Rom war neun Monate lang durch Nazi-Deutschland besetzt – vom 10. September 1943 bis zur Befreiung der Stadt durch die Alliierten am 4. Juni 1944. Während dieser Zeit führte die Verfolgung der Juden unter anderem zur Deportation und Ermordung von ca. 2.000 Menschen, darunter Hunderte von Kindern und Jugendlichen, von insgesamt ca. 10.000 - 15.000 Juden in Rom.

(vn 7)

 

 

 

Papst nach Mongolei-Reise: Gut, mit Asien in Dialog zu treten

 

Warum reist der Papst eigentlich bis in die Mongolei, um eine derart kleine Schar von Gläubigen zu besuchen? Auf diese Frage hat Papst Franziskus bei seiner Generalaudienz an diesem Mittwoch erneut die Antwort geliefert: „Ich war im Herzen Asiens und es hat mir gutgetan!“, so die erfrischende Rückschau des Kirchenoberhauptes auf seine viertägige Reise.

Er denke „voller Freude“ zurück an die Kirche und das Volk in der Mongolei, leitete Franziskus seine Gedanken mit einem Dank an das „edle und weise“ Volk ein, das ihm „so viel Herzlichkeit und Zuneigung“ entgegengebracht habe. Er sei so weit gereist, weil „man gerade dort, abseits des Rampenlichts, oft die Zeichen der Gegenwart Gottes findet, der nicht auf Äußerlichkeiten schaut“, betonte Franziskus, der auch die „bewegende“ Geschichte der kleinen Gemeinschaft von 1500 Gläubigen resümierte, die spürbar erfreut darüber war, „einige Tage im Zentrum der Kirche zu stehen“:

„Sie ist durch die Gnade Gottes aus dem apostolischen Eifer einiger Missionare entstanden, die sich vor etwa dreißig Jahren aus Leidenschaft für das Evangelium in dieses Land begaben, das sie nicht kannten. Sie lernten die Landessprache und riefen – obwohl sie aus verschiedenen Nationen kamen – eine geeinte und wahrhaft katholische Gemeinschaft ins Leben. Denn das ist ja die eigentliche Bedeutung des Wortes ,katholisch', das ,universal' bedeutet: aber keine Universalität, die homologiert, sondern eine Universalität, die sich inkulturiert.“

Auf den Spuren der Nächstenliebe

Die Missionare hätten es auf sich genommen, die nicht einfache Landessprache zu lernen und die Werte und Kultur der Mongolen aufzugreifen, um ihnen das Evangelium auf wahrhaft mongolische Weise zu verkünden.

„So ist diese junge Kirche entstanden: auf den Spuren der Nächstenliebe, die das beste Zeugnis des Glaubens ist“, so der Papst, der in diesem Zusammenhang auch das von ihm eingeweihte „Haus der Barmherzigkeit“ als Beispiel für die fruchtbare Zusammenarbeit der verschiedenen kirchlichen Komponenten im Land anführte.

„Ein Haus, das die ,Visitenkarte‘ dieser Christen (in der Mongolei, Anm.) ist, aber auch jede unserer Gemeinschaften aufruft, ein Haus der Barmherzigkeit zu sein: also ein offener und einladender Ort, an dem die Nöte eines jeden Menschen – ohne sich dafür schämen zu müssen – mit der Barmherzigkeit Gottes in Berührung kommen können, die aufrichtet und heilt. Das ist das Zeugnis der mongolischen Kirche, mit Missionaren aus verschiedenen Ländern, die sich eins fühlen mit dem Volk und sich freuen, ihm dienen und die Schönheit entdecken zu können, die dieses Volk bereits besitzt.“

Ein Volk, das Religiösität in der Stille lebt

Auch er selbst habe etwas von dieser Schönheit entdecken dürfen, so Franziskus, der in diesem Zusammenhang insbesondere auf die interreligiöse ökumenische Begegnung am Sonntag zurückblickte. Er würdigte zudem die große buddhistische Tradition in der Mongolei, die von vielen Menschen „in der Stille aufrichtig und konsequent“ gelebt werde: „Denken wir nur daran, wie viele Samen des Guten den Garten der Welt im Verborgenen zum Blühen bringen, während wir normalerweise nur den Lärm von umgestürzten Bäumen hören! Und den Menschen, auch uns, gefällt der Skandal.“

Entscheidend aber sei es, das Gute zu sehen und als solches zu erkennen, mahnte Franziskus.

„Deshalb ist es wichtig, es dem mongolischen Volk gleichzutun und den Blick nach oben zu richten: auf das Licht des Guten. Nur so, ausgehend von der Anerkennung des Guten, können wir die gemeinsame Zukunft aufbauen; nur indem wir den anderen wertschätzen, können wir ihm helfen, besser zu werden. Und das geschieht mit einzelnen Menschen und auch mit Völkern.“

„Ich war im Herzen Asiens und es hat mir gutgetan! Es ist gut, mit diesem großen Kontinent in Dialog zu treten, seine Botschaften anzunehmen, seine Weisheit und seine Art, die Dinge zu betrachten, kennenzulernen“

Dies sei schließlich ja auch „genau das“, was Gott mit uns tue, so der Papst, der betonte:

„Ich war im Herzen Asiens und es hat mir gutgetan! Es ist gut, mit diesem großen Kontinent in Dialog zu treten, seine Botschaften anzunehmen, seine Weisheit und seine Art, die Dinge zu betrachten, kennenzulernen; Zeit und Raum zu erfassen. Es hat mir gutgetan, das mongolische Volk kennenzulernen, das seine Wurzeln und Traditionen pflegt, die älteren Menschen respektiert und in Harmonie mit der Umwelt lebt: Es ist ein Volk, das auf den Himmel blickt und den Atem der Schöpfung spürt.“

Auch wir sollten uns – angesichts des Beispiels der Mongolei - von der Notwendigkeit leiten lassen, die „Grenzen unseres Blicks zu überschreiten“, um das Gute im anderen zu sehen und unseren Horizont erweitern zu können, schloss Franziskus seine Katechese, in der er Rückschau auf seine Reise hielt, die das an China und Russland grenzende Land für vier Tage ins Zentrum der internationalen Berichterstattung gehoben hat. (vn 6)

 

 

 

Vatikan/Ukraine: Fruchtbarer Austausch

 

Die katholischen Bischöfe der ukrainischen Ostkirche haben mit dem Papst an diesem Mittwoch über die Lage in dem Kriegsland gesprochen. „In unserem Gespräch mit dem Heiligen Vater haben wir all das zum Ausdruck gebracht, was unsere Gläubigen in der Ukraine und in der ganzen Welt uns anvertraut haben, um es ihm zu übermitteln.“ Das teilte das Oberhaupt der mit Rom unierten Kirche, der Kyiver Großerzbischof Swjatoslaw Schewtschuk, im Anschluss mit.

Angesichts der „wiederholten und bedeutsamen Gesten“ des Papstes sei es unfair, „an seiner Zuneigung zum ukrainischen Volk und an seinen nicht immer verstandenen und geschätzten Bemühungen zu zweifeln, der anhaltenden Tragödie ein Ende zu setzen und durch Verhandlungen einen gerechten und stabilen Frieden zu sichern“. Das hatte am Dienstag Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin den ukrainischen Bischöfen gesagt. Damit ging er auf die jüngste Kritik gegen Papst ein, die ihm eine zu „Russland-freundliche Haltung“ im Aggressionskrieg vorwarf.

Papst bekräftigt Solidarität mit Ukraine

Die ukrainischen Bischöfe haben dem Papst beim Gespräch an diesem Mittwoch gesagt, dass bestimmte Äußerungen und Gesten „des Heiligen Stuhls und Eurer Heiligkeit“ für das ukrainische Volk, „das im Kampf um seine Würde und Unabhängigkeit blutet, schmerzhaft und schwer zu verstehen sind“. Die Missverständnisse, die seit Beginn des Krieges zwischen der Ukraine und dem Vatikan entstanden seien, so die ukrainischen Bischöfe, würden von der russischen Propaganda benutzt, „um die mörderische Ideologie der Russischen Welt (Russki Mir) zu rechtfertigen und zu unterstützen, so dass die Gläubigen unserer Kirche bei jedem Wort Eurer Heiligkeit als universelle Stimme der Wahrheit und Gerechtigkeit empfindlich sind“.

Papst Franziskus hörte den an ihn gerichteten Worten aufmerksam zu und drückte mit einigen kurzen Interventionen sein Gefühl der Verbundenheit und Teilhabe an der Tragödie aus, die die Ukraine erlebe, mit einer „Dimension des Märtyrertums“, über die nicht genug gesprochen werde und die Grausamkeiten ausgesetzt sei, teilte der vatikanische Pressesaal am Mittwochnachmittag mit. Der Papst drücke seinen Schmerz über das Gefühl der Hilflosigkeit angesichts des Krieges aus, „eine Sache des Teufels, der zerstören will“, mit einem besonderen Gedanken an die ukrainischen Kinder. Wie der Vatikan mitteilte, habe der Papst immer wieder ukrainische Kinder getroffen, die vom Krieg geflohen seien: „Sie schauen dich an und haben das Lächeln vergessen“, und fügte hinzu: „Dies ist eine der schrecklichen Resultate des Krieges: Kindern das Lächeln zu nehmen.“

Der Papst habe anerkannt, dass es „ein besonderer Schmerz des ukrainischen Volkes“ sei, wenn sie nicht wüssten, was der Papst genau denke. Er habe deshalb explizit seine Solidarität mit den ukrainischen Gläubigen und seine ständige Nähe im Gebet versichert. Er sei an der Seite des ukrainischen Volkes. „Als besondere Geste und Symbol der Verbundenheit mit dem ukrainischen Volk brachte Papst Franziskus eine Marienikone mit, die er den Bischöfen der Ukraine zeigte“, teilte Schewtschuk im Anschluss mit. Es handelt sich um eine von Schwetschuk geschenkte Ikone, als dieser ein junger Bischof in Argentinien und der heutige Papst Erzbischof von Buenos Aires war. Der Papst bete jeden Tag vor dieser Ikone für die Ukraine. (pm/vn 6)

 

 

 

 

Papst Franziskus: „Synode ist kein TV-Programm“

 

Auf dem Rückflug aus der Mongolei nach Rom hat sich Papst Franziskus, wie üblich, den Fragen mitreisender Journalisten gestellt. Dabei ging es unter anderem um die Beziehungen des Vatikan zu China, um seine Haltung zu Russland und um die Weltsynode. Stefan von Kempis – Vatikanstadt

 

Wie schon in Ulaanbaatar warb der Papst auf der „fliegenden Pressekonferenz“ deutlich um die Gunst Pekings. „Die Beziehungen zu China sind sehr respektvoll. Ich bewundere das chinesische Volk sehr, die Kanäle sind sehr offen, für die Ernennung von Bischöfen gibt es seit einiger Zeit eine Kommission, die mit der chinesischen Regierung und dem Vatikan zusammenarbeitet…“

„Ich bewundere das chinesische Volk“

Er glaube, dass man auf dem „freundschaftlichen Weg“ jetzt vor allem „im religiösen Bereich vorankommen“ müsse, fuhr Franziskus fort: „Damit wir uns gegenseitig besser verstehen. Und damit die chinesischen Bürger nicht denken, dass die Kirche ihre Kultur und ihre Werte nicht akzeptieren würde, oder dass die Kirche von einer ausländischen Macht abhängig wäre.“

Der Papst äußerte sich auch zur Mission seines Sondergesandten, des italienischen Kardinals Matteo Zuppi, der Verständigungsmöglichkeiten im Ukraine-Krieg ausloten soll. Franziskus lobte Zuppi als „großen Mann des Dialogs“ und bestätigte, dass der Kardinal auch in Peking vorsprechen wolle. Genauer wurde Franziskus bei diesem Punkt aber nicht.

Zu Russland-Äußerung: „So etwas sage ich überall“

Dafür ging er sehr ausführlich auf den Unmut ein, den seine Video-Schalte mit jungen russischen Katholiken unlängst in der Ukraine hervorgerufen hat. Der Papst hatte bei dieser Gelegenheit am 25. August wertschätzend vom „Erbe der großen Mutter Russland“ gesprochen. „Sagen wir es so, wie es war: ein Dialog mit jungen Russen. Und am Ende des Dialogs habe ich ihnen eine Botschaft mit auf den Weg gegeben, eine Botschaft, die ich immer wiederhole: Sie sollen ihr Erbe in die Hand nehmen. Erster Punkt: Kümmert euch um euer Erbe. Das Gleiche sage ich überall!“

„Äußerung vielleicht nicht glücklich“

Wenn er vom „großen Russland“ gesprochen habe, dann beziehe sich das vor allem auf Kunst, Literatur, Musik; er meine es „vielleicht nicht so sehr geografisch, sondern kulturell“. Einmal mehr bekräftigte der Papst seine Bewunderung für Dostojewskij, der für einen „reifen Humanismus“ stehe. Aber womöglich sei seine Äußerung „nicht glücklich“ gewesen. „Ich habe mich an das erinnert, was wir in der Schule gelernt haben: Peter I., Katharina II. Dieses Element ist vielleicht nicht ganz richtig; ich weiß es nicht. Das sollen uns die Historiker sagen. Aber es war ein Zusatz, der mir in den Sinn kam, weil ich es in der Schule gelernt hatte.“

Jedenfalls sei es ihm in erster Linie darum gegangen, den jungen russischen Katholiken zu sagen: „Nehmt euer Erbe selbst in die Hand, nehmt euer eigenes Erbe, das heißt, kauft es nicht woanders. Das eigene Erbe annehmen.“ Die russische Kultur sei „von einer sehr großen Tiefe“ und „sollte nicht wegen politischer Probleme ausgelöscht werden“. Ukrainische Politiker und Kirchenleute hatten die Papst-Bemerkungen mit dem Hinweis kritisiert, dass Wladimir Putin seinen Angriffskrieg gegen die Ukraine mit dem Begriff eines großrussischen Imperiums begründe.

„Habe nicht an Imperialismus gedacht“

„Und ich habe nicht an Imperialismus gedacht, als ich das sagte, ich habe von Kultur gesprochen. Die Weitergabe von Kultur ist nie imperial, nie; sie ist immer ein Dialog...“ Wenn Kultur allerdings in imperialer Absicht instrumentalisiert werde, dann werde sie zu Ideologie. Leider würden übrigens Ideologien auch „in die Kirche hineingetragen, die die Kirche von dem Leben, das aus der Wurzel kommt, abtrennen“, so der Papst.

„Wir müssen auch in der Kirche zwischen Lehre und Ideologie unterscheiden: Die wahre Lehre ist niemals ideologisch, niemals; sie ist im heiligen, gläubigen Volk Gottes verwurzelt, während die Ideologie von der Realität, vom Volk losgelöst ist...“

„Bei der Synode ist kein Platz für Ideologie“

Damit landete Franziskus bei einem weiteren Thema, auf das sich mehrere Journalistenfragen bezogen, nämlich der von ihm auf den Weg gebrachten Weltsynode. Im Oktober findet im Vatikan eine erste Synoden-Vollversammlung statt, genau ein Jahr darauf soll es eine zweite geben. Bei der Synode dürfe für Ideologie kein Platz sein, verlangte der Papst; wer „einen ideologischen Weg“ einschlage, der steige aus dem synodalen Dialoggeschehen aus.

„Zum Ablauf der Versammlung: Es gibt eine Sache, die wir hüten müssen, nämlich die synodale Atmosphäre. Dies ist keine Fernsehsendung, in der wir über alles reden, nein. Es gibt auch einen religiösen Moment... Bedenken Sie, dass es bei der Synode jedes Mal nach drei Redebeiträgen drei bis vier Minuten Stille für das Gebet geben wird. Dann wieder drei Ansprachen, und wieder Gebet. Ohne diesen Geist des Gebets gibt es keine Synodalität – das ist Politik, das ist Parlamentarismus. Die Synode ist kein Parlament!“

Die Sorgen der Priorin

Die Priorin eines Karmelitinnen-Klosters habe ihm kürzlich anvertraut, ihre Schwestern hätten „Angst vor der Synode“ – Angst nämlich, „dass da die Lehre geändert wird“. Hinter solchen Vorstellungen stecken nach dem Dafürhalten von Papst Franziskus „Ideologien“. „Wenn Menschen sich in der Kirche vom Weg der Gemeinschaft abwenden wollen, dann liegt das letztlich immer an Ideologie... Sie verteidigen eine Lehre in Anführungszeichen – eine Lehre wie destilliertes Wasser, das nach nichts schmeckt. Das ist nicht die wahre katholische Lehre, die im Glaubensbekenntnis steht!“

Natürlich fand der Papst den Journalisten gegenüber auch noch einige Worte für das Land, das er in den letzten Tagen besucht hat. Franziskus‘ Visite in der Mongolei war die erste eines Papstes überhaupt. Seine Absicht habe darin bestanden, nicht nur die kleine katholische Herde in der Steppe zu besuchen, sondern auch „in ein Gespräch mit der Geschichte und der Kultur“ des mongolischen Volkes einzutreten. Er bewundere speziell die Art und Weise, wie die Mongolei sich um Dialog und gute Kontakte zu seinen Nachbarn China und Russland bemühe: Das sei ein „Reichtum“.

„Für mich ist das Reisen nicht mehr so einfach wie früher“

Wohin ihn seine nächsten Reisen führen werden? Auch auf diese Frage, vorgebracht von einem US-Journalisten, ging Franziskus ein. Nach Marseille – die Visite ist für Ende September angesetzt – sei womöglich ein „kleines europäisches Land“ an der Reihe. „Aber um die Wahrheit zu sagen: Für mich ist das Reisen jetzt nicht mehr so einfach wie früher; ich habe Schwierigkeiten beim Gehen, und das stellt eine Einschränkung dar. Wir werden sehen.“

Ein Blick in die Zukunft: Papst Johannes XXIV. in Vietnam

Dass der Papst von einer Reise nach Kyiv und Moskau träumt, oder von einem Besuch in Peking, ist bekannt; er wiederholte es diesmal nicht. Stattdessen rückte ein anderes asiatisches Land in den Fokus, nämlich Vietnam. Franziskus lobte die immer besseren Kontakte des Vatikan zu Hanoi; der Dialog sei „offen und komme allmählich voran“. Seit Jahren arbeitet ein gemeinsames Komitee an der Wiederaufnahme voller diplomatischer Beziehungen zwischen beiden Staaten. „Über eine Reise nach Vietnam – wenn ich nicht dort hinreisen werde, dann wird es mit Sicherheit Papst Johannes XXIV. tun! Es wird sicher dazu kommen, denn es ist ein Land, das es verdient, voranzukommen…“  (vatican news 4)

 

 

 

Europas Bischöfe erinnern an einen der Gründerväter der EU

 

Mit einem Gottesdienst erinnert die katholische EU-Bischofskommission COMECE an Politiker Robert Schuman. Die Messe findet am Montagabend in der Chapel for Europe im Brüsseler Europaviertel statt. Der 4. September ist der 60. Todestag Schumans, der als einer der Gründervater der EU gilt. Seit längerem läuft in der katholischen Kirche ein Seligsprechungsverfahren für den überzeugten Katholiken Schuman.

Mit der 1950 präsentierten Idee einer Montanunion zwischen Deutschland und Frankreich legte der gebürtige Luxemburger den Grundstein für die deutsch-französische Aussöhnung und die europäische Einigung.

Schumans Heimat lag auf der Grenze zwischen Luxemburg und Lothringen - das 1871 an das Deutsche Reich fiel. Im Ersten Weltkrieg diente er noch als Reservist im deutschen Heer. Nach der Abtrennung Elsass-Lothringens war er dann in Metz als Rechtsanwalt tätig und wurde 1919 Abgeordneter der Pariser Nationalversammlung.

Nach dem frühen Tod seiner Eltern hatte Schuman eigentlich Priester werden wollen. Doch Freunde überzeugten ihn, dass die Welt tüchtige Laien brauche; „Heilige im Straßenanzug“. So schlug der Vielbegabte eine Karriere als Jurist und Laienkatholik ein.

Viele Talente

Bereits in den 20er Jahren knüpfte Schuman ein dichtes Netz von Kontakten mit christlich-demokratischen Politikern aus ganz Europa, etwa Konrad Adenauer oder dem Italiener Alcide de Gasperi. Diese Beziehungen trugen nach 1945 Früchte. Doch zunächst geriet Schuman als Unterstaatssekretär für das Flüchtlingswesen in Gegensatz zu Petains Vichy-Regierung; im Herbst 1940 wurde er als erster prominenter französischer Politiker verhaftet. Nach seiner Flucht aus Gestapo-Haft im August 1942 versteckte sich Schuman bei Benediktinern. Er arbeitete nun im Widerstand; 1945 gründete er die Christlich-Demokratische Partei.

Zwischen 1947 und 1953 gehörte Schuman allen schnell wechselnden französischen Regierungen an - zunächst als Finanzminister, dann als Premier- und Außenminister. Gegen die Anfeindung der Gaullisten betrieb er mit Energie seine Idee der europäischen Einigung und einer deutsch-französischen Annäherung. Auch die Straßburger Konvention für die Menschenrechte und Grundfreiheiten von 1950 gilt als sein Werk.

Grundidee der Montanunion

Im Mai 1950 wurde der sogenannte Schuman-Plan vorgestellt. Der damalige Außenminister sah darin eine „Montanunion“ zwischen Frankreich und Deutschland vor, also eine behördliche Aufsicht über die Stahl- und Kohleproduktion beider Länder. Die gemeinsame Bewirtschaftung der zentralen Stoffe der Rüstungsindustrie durch die einstigen Erbfeinde war für Schuman aktive Friedenspolitik.

Dieses Instrument, das auch dem Beitritt anderer Länder offenstand, sollte zur Keimzelle der europäischen Einigung werden - die heute weit über den einst Eisernen Vorhang ausgreift. Die Stadt Aachen verlieh Schuman dafür 1958 den Karlspreis. Noch weiter reichende Elemente der Integration, etwa eine Europäische Verteidigungsgemeinschaft, scheiterten damals an nationalen Widerständen.

Nach seinem Ausscheiden als Parlamentspräsident 1960 erlitt der Junggeselle Schuman im Winter 1961 bei einem Abendspaziergang einen Herzinfarkt. Eine ganze Nacht blieb er in der Kälte liegen und erholte sich nie mehr vollständig. Am 4. September 1963 starb er mit 77 Jahren in seinem Landhaus in Scy-Chazelle bei Metz. Papst Johannes Paul II. nannte Schuman 1988 vor dem EU-Parlament ein „ewiges Vorbild für alle Verantwortlichen am Aufbau Europas“.

(kna 3)

 

 

 

D: Fusion von Kirchengemeinden kann teuer werden

 

„Entsteht durch die Zusammenlegung von mehreren Kirchengemeinden eine neue Kirchengemeinde, wird hierdurch Grunderwerbsteuer ausgelöst", entschied der Bundesfinanzhof in einem bereits am Donnerstag in München veröffentlichten Urteil (II R 24/21). Er bestätigte damit ein Urteil des Finanzgerichts Münster von 2021.

Die Steuerpflichtigkeit trete ein, wenn die ursprünglichen Kirchengemeinden Anteile an grundbesitzenden GmbHs hielten und diese GmbH-Beteiligungen nach der Zusammenlegung sich alle - zumindest 90 Prozent - in der Hand der neu errichteten Kirchengemeinde befänden, so das Gericht. Das gelte auch dann, wenn die grundbesitzenden GmbHs caritative Einrichtungen wie Krankenhäuser oder Altenheime betreiben.

Kirchengenmeinde aus NRW hatte geklagt

Die Klägerin, eine Kirchengemeinde aus NRW mit dem Status einer Körperschaft des öffentlichen Rechts, wurde aufgrund Dekrets des zuständigen Bischofs durch die Vereinigung verschiedener Kirchengemeinden errichtet, wie der Bundesfinanzhof erläuterte. Das gesamte Vermögen der ursprünglichen Kirchengemeinden einschließlich der Beteiligungen an den grundbesitzenden GmbHs sei der neuen Gemeinde zugeführt worden. Das Finanzamt hielt diesen Vorgang für grunderwerbsteuerbar und erließ einen entsprechenden Feststellungsbescheid über die Besteuerungsgrundlagen. Der Bundesfinanzhof führte aus, dass die Neuerrichtung der Kirchengemeinde durch Zusammenlegung verschiedener Kirchengemeinden in dem Augenblick der Grunderwerbsteuer unterliege, in dem die Zusammenlegung für den staatlichen Bereich wirksam werde. Dem stehe nicht entgegen, dass die Umstrukturierung der Kirchengemeinden zunächst nach rein innerkirchlichem Recht – sozusagen kirchenintern – erfolgt sei.

Staatliche Anerkennung innerkirchlichen Rechts

Ab dem Zeitpunkt, in dem die Zusammenlegung für den staatlichen Bereich anerkannt werde, habe die Kirchengemeinde den Status einer Körperschaft des öffentlichen Rechts mit der Folge erlangt, dass sie grunderwerbsteuerpflichtig werde. Dem stehe weder das kirchliche Selbstbestimmungsrecht noch die sogenannte Kirchengutsgarantie im Hinblick auf das für Wohltätigkeitszwecke bestimmte Vermögen entgegen. Der Bundesfinanzhof entschied darüber hinaus, dass auch kein grunderwerbsteuerrechtlicher Befreiungstatbestand bei einer Zusammenlegung von Kirchengemeinden greift. So könne ein Vorgang zwar von der Grunderwerbsteuer befreit sein, wenn er gleichzeitig eine Schenkung darstelle, wodurch eine Doppelbelastung mit Grunderwerbsteuer und Schenkungsteuer vermieden werden solle. Dies sei aber bei der Neuerrichtung einer Kirchengemeinde durch Zusammenlegung von Kirchengemeinden nicht der Fall, weil die aufgelösten Kirchengemeinden der Klägerin nichts geschenkt hätten. (kna 2)

 

 

 

D: Mehr Taufen, Erstkommunionen und Hochzeiten in der Kirche

 

Mehr als eine halbe Million Personen sind 2022 in Deutschland aus der katholischen Kirche ausgetreten: ein Rekordwert. Dafür wurde mehr getauft und kirchlich geheiratet. Fakten der katholischen Deutschen Bischofskonferenz, die in der neuen Broschüre „Zahlen und Fakten 2022/23“ stehen.

Mitgliederzahl

Im vergangenen Jahr gehörten 20.937.950 Menschen der katholischen Kirche an, 2021 waren es noch 21.645.875. Bei den Protestanten sank die Zahl von 19.725.000 auf 19.150.000. Das entspricht einem Anteil von rund 24,8 beziehungsweise 22,7 Prozent an der Gesamtbevölkerung. 2021 war der Gesamtanteil (26,0 + 23,5) erstmals unter 50 Prozent gefallen.

Kirchenaustritte

2022 traten in Deutschland 522.652 (2021: 359.338) Menschen aus der katholischen und rund 380.000 (2021: 280.000) aus der evangelischen Kirche aus. In beiden Fällen ist das ein neuer Rekordwert.

Eintritte und Wiederaufnahmen

Die katholische Kirche verzeichnete im vergangenen Jahr 5.200 Aufnahmen, nämlich 1.447 Eintritte und 3.753 Wiederaufnahmen. Die evangelische Kirche spricht für den gleichen Zeitraum von rund 19.000 Aufnahmen, ohne dies näher aufzuschlüsseln.

Taufen

Bei den Taufen verzeichneten beide Kirchen für 2022 Zuwächse gegenüber dem Jahr davor: In der katholischen Kirche waren es 155.173 (2021: 141.992), in der evangelischen Kirche 165.000 (2021: 115.000). Fachleute führen dies – wie bei den Hochzeiten – zum Teil auf Nachholeffekte nach der Corona-Pandemie zurück.

Trauungen

Die katholische Kirche meldet für 2022 deutlich mehr Trauungen (35.467 im Vergleich zu 20.140 im Jahr 2021). Auf evangelischer Seite stammt die aktuellste Zahl – 17.869 – aus dem Jahr 2021.

Erstkommunionen

Die Zahl der Erstkommunionen in der katholischen Kirche stieg auf 162.506 (2021: 156.574).

Bestattungen

Die Zahl der katholischen Bestattungen blieb mit 240.144 nahezu konstant (2021: 240.040). Auf evangelischer Seite stammt die aktuellste Zahl – 253.688 – aus dem Jahr 2021.

Pfarreien und Priester

Durch die laufenden Strukturmaßnahmen in den katholischen Bistümern hat sich die Zahl der Pfarreien weiter verringert auf 9.624 (2021: 9.790). Bundesweit gab es 11.987 Priester (2021: 12.280), darunter waren 1.956 Ordenspriester. Insgesamt waren 7.720 dieser Priester im aktiven pastoralen Dienst, der Großteil davon (6.069) als Pfarrseelsorger in Gemeinden.

Gottesdienstbesuche

Im Durchschnitt besuchten 1,19 Millionen katholische Gläubige am Wochenende Gottesdienste, das waren rund 5,7 Prozent aller Mitglieder. Dabei wurde die digitale Teilnahme nicht mitgezählt. 2021 lagen die Zahlen – sicher auch durch Corona bedingt – bei 923.000, also rund 4,3 Prozent. Die evangelische Kirche gab zuletzt 2021 an, dass im Schnitt knapp 314.000 Mitglieder (1,6 Prozent) am Wochenende Gottesdienste besuchten. (kna 1)

 

 

 

 

Ordensfrau Philippa Rath erhält Edith-Stein-Preis

 

Die Ordensschwester Philippa Rath erhält den diesjährigen Edith-Stein-Preis. Damit wird ihr Engagement für die Rechte der Frauen in der katholischen Kirche und in der Gesellschaft gewürdigt, wie der Göttinger Edith-Stein-Kreis am Donnerstag mitteilte.

Dies habe sie als Delegierte im katholischen Reformprojekt Synodaler Weg sowie in zwei Publikationen bundesweit unter Beweis gestellt. Rath stehe damit in einer Linie mit Edith Stein, die sich ebenfalls als Kämpferin für die Rechte der Frauen - innerhalb und außerhalb der Kirche - verdient gemacht habe, so die Jury.

Stein, die vom Judentum zum Christentum konvertierte und 1942 im Konzentrationslager ermordet wurde, habe bereits 1928 in einem Artikel über das Diakonat und Priestertum der Frau geschrieben: „Dogmatisch scheint mir nichts im Wege zu stehen, was es der Kirche verbieten könnte, eine solche bislang unerhörte Neuerung durchzuführen.“

Benediktinerin in der Abtei Sankt Hildegard in Rüdesheim-Eibingen

Fast 100 Jahre später, so die Jury, arbeite Schwester Philippa Rath mit daran, diese „unerhörte Neuerung“ in der Kirche Wirklichkeit werden zu lassen. Die 1955 in Düsseldorf geborene Politikwissenschaftlerin, Theologin und Historikerin Rath lebt als Benediktinerin in der Abtei Sankt Hildegard in Rüdesheim-Eibingen.

Der alle zwei Jahre verliehene und mit 5.000 Euro dotierte Edith-Stein-Preis würdigt laut Mitteilung über nationale, konfessionelle und religiöse Grenzen hinweg Personen, Gruppen und Institutionen, die sich durch Grenzüberschreitungen in ihrem sozialen, politischen und gesellschaftlichen Engagement in hervorragender Weise ausgezeichnet und bewährt haben. (kna 31)