DE.IT.PRESS
Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso 1-15 dicembre 2023
Si è conclusa a Malta l’Assemblea plenaria del Ccee che
ha riunito dal 27 al 30 novembre i presidenti delle Conferenze episcopali
europee. “I vescovi europei – si legge nel comunicato finale - hanno guardato
con preoccupazione agli scenari di guerra: quella in Ucraina che è giunta al
suo secondo anno, la situazione in “Nagorno Karabakh” e il conflitto in
Terrasanta, ribadendo il no alla guerra e rinnovando l’appello per un cessate
il fuoco definitivo, perché si prosegua con la liberazione degli ostaggi e si
tengano aperti i corridoi umanitari a Gaza”. M. Chiara Biagioni
(da Malta) “Annunciare in un’Europa sempre più
tentata da secolarismo, fondamentalismo e nazionalismi populisti, la gioia del
Vangelo che scaturisce dall’incontro con Cristo”. E’ l’evangelizzazione la
“sfida più grande” della Chiesa nel continente europeo e a sottolinearlo sono i
presidenti delle Conferenze episcopali europee nel comunicato finale diffuso
oggi al termine dell’Assemblea Plenaria del Ccee. “I vescovi europei – si legge
nel comunicato – hanno, anche, guardato con preoccupazione agli scenari di
guerra: quella in Ucraina che è giunta al suo secondo anno, la situazione in
“Nagorno Karabakh” e il conflitto in Terrasanta, ribadendo il no alla guerra e
rinnovando l’appello per un cessate il fuoco definitivo, perché si prosegua con
la liberazione degli ostaggi e si tengano aperti i corridoi umanitari a Gaza”.
Era stato l’arcivescovo Gintaras Grušas, presidente del Ccee a delineare in apertura
dei lavori alcune delle sfide del continente, mettendo in luce anche “l’impegno
delle Chiese europee nella lotta agli abusi, ribadendo il dovere di
contrastarli con azioni concrete ed efficaci di prevenzione”. Tra le sfide sono
state indicate anche “la difesa della vita e della dignità umana, il
protagonismo dei giovani, le nuove ondate migratorie, la persecuzione nascosta
dei cristiani in Europa e le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale”.
“Quello che ci preoccupano di più sono le guerre, sia in
Ucraina sia in Terra Santa sia in altri posti”, racconta al Sir, il presidente
del Ccee, mons. Gintaras Grušas, a conclusione dell’assemblea. “Non siamo
preoccupati solo noi. Tutto il mondo sta guardando con apprensione quanto sta
accadendo. Il Papa parla spesso della guerra invitando alla preghiera, alla
necessità del miracolo della pace. Dal punto di vista umano, non si vede via di
uscita”. Di fronte a questo “stallo” politico ma anche esistenziale, mons.
Grušas ripropone oggi il messaggio di San Giovanni Paolo II: “E’ Gesù la
speranza dell’Europa”. E spiega: “Se cerchiamo i risultati solo a livello
umano, vediamo solo la croce che portiamo. Dobbiamo alzare gli occhi al
Signore. È Lui la pace, la speranza, la consolazione, soprattutto in questo
momento di sofferenza”. Guerre, crisi economica, questione migratoria. “Sono
tante le sfide che abbiamo di fronte in Europa e proprio per questo dobbiamo
aiutare la nostra gente a guardare in alto. È questo sguardo che ha salvato
tante persone nei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale in
Germania e poi nei campi sovietici. Anche in quelle situazioni miserabili, c’è
stato chi è riuscito ad alzare lo sguardo al cielo e avere una visione più
ampia delle difficoltà di ogni giorno. Lo possiamo fare anche noi oggi”. Ma per
farlo, l’Europa deve riappropriarsi di nuovo della fede cristiana. Mons. Grušas
lo ammette: “L’altra preoccupazione è l’evangelizzazione del continente. Nella
storia, l’Europa è stata la culla della cristianità e ha inviato missionari dappertutto.
Adesso abbiamo bisogno di missionari nei nostri Paesi. In Africa, in altre
parti del mondo, in Asia in particolare, la Chiesa sta crescendo mentre da noi
stiamo diminuendo e questo ci chiede una missione di evangelizzazione”.
Al termine dell’Assemblea Plenaria dei presidenti delle
Conferenze episcopali europee, all’unanimità, i vescovi hanno deliberato il
trasferimento della sede del Ccee da San Gallo (Svizzera) a Roma nel corso del
2024. E’ quanto fa sapere il Ccee nel comunicato finale diffuso oggi, al
termine dell’Assemblea plenaria che si è svolta a Malta dal 27 al 30 novembre.
I vescovi hanno espresso “gratitudine alla Chiesa svizzera, e in particolare
alla diocesi di san Gallo, per l’accoglienza e la generosità con cui hanno
accompagnato il lavoro del Segretariato del Ccee in tutti questi anni”. I
membri del Ccee hanno anche prorogato, per un altro anno, il mandato del Rev.
Martin Michali?ek come segretario generale del Ccee, incarico a cui è stato
chiamato nel 2018. La prossima assemblea plenaria si terrà a Belgrado dal 24 al
27 giugno 2024, su invito dell’arcivescovo Ladislav Nemet, Vice Presidente del
Ccee. Sir
30
"L'annuncio è per l'oggi". Il cuore dell'Udienza generale in Aula
Paolo VI
"Io ancora non sto bene, sarà Monsignor Ciampanelli
a leggere le cose", dice il Papa durante l'Udienza generale del 29
novembre in Aula Paolo VI - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. Papa Francesco torna in Aula Paolo VI
per l'Udienza Generale. Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il
ciclo di catechesi "La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico
del credente", incentra la sua meditazione sul tema “L’annuncio è per
l’oggi”. "L’annuncio cristiano è gioia ed è per tutti; vediamo oggi un
terzo aspetto: esso è per l’oggi", inizia così la catechesi. Ma anche
questa mattina, a causa dei suoi problemi di salute, Papa Francesco non ha
letto il testo, ma ha affidato la lettura Monsignor Filippo Ciampanelli.
"Io ancora non sto bene, sarà Monsignor Ciampanelli
a leggere le cose", dice lo stesso Papa Francesco. Il Papa a causa della
infiammazione ai polmoni che lo ha colpito ha dovuto rinunciare al suo viaggio
a Dubai per COP28.
"Si sente quasi sempre parlare male dell’oggi.
Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni,
crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione. In
generale, l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di
sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto, con la sua capacità di risolvere
molti problemi e i suoi giganteschi progressi in tanti campi. Ma al tempo
stesso questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una
libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi
rimane indietro", si legge nella catechesi.
"L’umanità parla una lingua sola – potremmo dire che
ha un “pensiero unico” –, è come avvolta in una specie di incantesimo generale
che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità", continua a
leggere Monsignor Ciampanelli.
"Anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e
sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi,
sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione
che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di
sapere, ma soprattutto per un di più di potere", continua la catechesi.
"Lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione
di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per
noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra
cultura come a un dono. Occorre stare nei crocevia dell’oggi. Uscire da essi
significherebbe impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta.
Frequentarli, invece, aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le
ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede
«cose nuove e cose antiche", conclude la catechesi odierna.
Non manca l'appello per la pace anche durante questa
udienza generale, in cui il Papa non è proprio al massimo della sua forma.
Tanto da far leggere tutti i testi della catechesi a Monsignor Filippo
Ciampanelli in Aula Paolo VI. Ma Francesco, con la sua voce, rivolge ancora una
volta il suo pensiero ad Israele, Palestina e Ucraina.
"Continuiamo a pregare per la grave situazione in
Israele e in Palestina. Pace per favore pace. Auspico che prosegua la tregua in
corso a Gaza, affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora
consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari. Ho sentito la parrocchia lì,
manca l'acqua, il pane, la gente soffre, la gente semplice, del popolo, non
soffrono quelli che fanno la guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo il
caro popolo ucraino, che soffre tanto ancora in guerra. La guerra sempre è una
sconfitta, tutti perdono. Solo un gruppo guadagna tanto, i fabbricatori delle
armi.", questo il pensiero di Papa Francesco che dice con forza.
"Stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’Anno
liturgico, che ci invitano a considerare con sguardo di fede il tempo che
passa. Abbiate sempre fiducia nella divina Provvidenza, che guida e accompagna
i nostri passi", conclude Francesco.
Durante l'Udienza generale anche una breve esibizione di
alcuni circensi partecipanti al Festival dei talenti circensi italiani. Papa
Francesco assiste contento. Sono stati tanti gli artisti del circo che hanno
partecipato alle udienze del mercoledì."Sono lieto di accogliere i
partecipanti al Festival dei talenti circensi italiani, che ringrazio e
incoraggio, auspicando che venga sempre più riconosciuto il valore sociale e
culturale della loro attività - dice Francesco - Grazie per questo momento di
gioia, il circo esprime dimensione anima umana, quello della gioia gratuita, la
gioia semplice, fatta con la mistica del gioco, ci fanno ridere ma ci danno un
esempio di allenamento molto forte, ringraziamo con un bell'applauso". Aci
29
Plenaria CCEE, qual è il ruolo del vescovo in una Chiesa sinodale?
Il Cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo,
affronta il tema del ruolo del vescovo. È ancora sinodo dei vescovi? E quale è
il loro ministero? Di Andrea Gagliarducci
La Valletta. Il Sinodo dei vescovi è ancora Sinodo dei
vescovi. Perché i vescovi hanno ancora una responsabilità cruciale nel percorso
sinodale, sono chiamati ad aprire i processi, a fare da tramite con Roma, ad
essere i corpi intermedi tra il Papa e le conferenze episcopali nazionali ma
anche le tappe continentali del Sinodo, che il Papa ha voluto trasformare “da
evento a processo”. Intervenuto alla plenaria del Consiglio delle Conferenze
Episcopali di Europa il 28 novembre, il cardinale Mario Grech, segretario
generale del Sinodo, ha cercato di rispondere alle preoccupazioni avanzate da
diversi vescovi sul loro ruolo in una Chiesa chiamata oggi ad essere nel
percorso dell’ascolto.
Il tema del ruolo del vescovo è affrontato, dal Cardinale
Grech, con un occhio attento alla Relazione di Sintesi del Sinodo. “Una Chiesa
sinodale – dice non si contrappone a una Chiesa gerarchica, non mette in
discussione il ministero ordinato, men che meno la struttura gerarchica della
Chiesa”.
C’è piuttosto la necessità di una “modalità diversa di
esercizio”, proprio nel processo sinodale. “Imprescindibile” è il ruolo dei
vescovi nella prima fase del Sinodo, la partecipazione del popolo di Dio,
perché a loro spetta di consultare la Chiesa. Anzi, il Cardinale Grech si
riferisce anche a quanti hanno deciso di non avviare il processo nelle loro
diocesi – pochi in realtà – e sottolinea che rifiutare la richiesta del Papa è
“una scelta che contraddice la communio come principio di unità delle Chiese e
dello stesso ministero episcopale”.
Il vescovo ha un ruolo anche a livello di conferenze
episcopali, perché a queste “è stato richiesto, infatti, di offrire una sintesi
dei contributi diocesani da inoltrare alla Segreteria del Sinodo”. I vescovi
sono dunque chiamati a compiere discernimento.
Infine c’è il livello delle assemblee continentali, la
cui celebrazione ha dimostrato – secondo la visione del Cardinale – come “sia
possibile un discernimento ecclesiale fondato sul reciproco ascolto di pastori
e fratelli e sorelle del Popolo di Dio”.
Ma il ruolo dei vescovi è diminuito nel Sinodo, dato che
ormai nel Sinodo non hanno più diritto di voto solo vescovi, ma anche membri
non vescovi e laici? Secondo Grech no, perché la presenza dei non vescovi era
piuttosto la testimonianza di un cammino sinodale che “aveva coinvolto tutta la
Chiesa e tutti nella Chiesa”, ma questo non va in alcun modo a inficiare
l’autorità del vescovo.
Anzi, aggiunge, i membri non vescovi saranno pienamente
coinvolti nella terza fase, quella della restituzione, ovvero del ritorno dei
documenti del Sinodo nelle diocesi per l’implementazione, ed è lì che il
vescovo “ricevendo questi documenti è chiamato a garantire la circolarità tra
Chiese particolari e Chiesa universale”.
Conclude il Cardinale: “Entrare in questo dinamismo
sinodale significa scoprire le forme di esercizio di un ministero episcopale in
chiave sinodale e dare finalmente volto al Vescovo sinodale. Ne guadagnerà la
Chiesa tutta e ogni singola Chiesa; ogni Vescovo e il Collegio; il ministero
episcopale e il ministero petrino, che nel processo sinodale può finalmente
«trovare una forma di esercizio del primato che, senza rinunciare in nessun
modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova»”.
Quest’ultima frase è una citazione della Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II.
La plenaria del CCEE (Consiglio delle Conferenze
Episcopali di Europa) si tiene a Malta dal 27 al 30 novembre. Vi partecipano i
presidenti di 33 conferenze episcopali più sei rappresentanti di diocesi
nazionali senza conferenza episcopale o rappresentanti di una realtà
particolare. Aci 29
Striscia di Gaza. Suor Saleh: “Sempre più cristiani vogliono emigrare”
Sono le ultime ore di tregua a Gaza. I cristiani sfollati
nella parrocchia latina hanno potuto in questi ultimi tre giorni uscire dal
complesso parrocchiale per andare a vedere ciò che resta delle loro abitazioni
e per reperire cibo, acqua, medicine, carburante. Davanti a tanta distruzione
sale, nella già piccola comunità ecclesiale, la voglia di emigrare all'estero,
racconta suor Nabila Saleh - Daniele Rocchi
“Oggi ringraziamo Dio perché tra Israele e Palestina c’è
finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo
siano al più presto tutti – pensiamo alle loro famiglie! –, che entrino a Gaza
più aiuti umanitari e che si insista nel dialogo: è l’unica via, l’unica via
per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole la pace”.
Le parole di Papa Francesco, all’Angelus di ieri, lette
da mons. Paolo Braida, capo ufficio della Segreteria di Stato, dalla cappella
di Casa Santa Marta a causa di una sindrome influenzale del Pontefice, hanno
raggiunto la comunità cristiana di Gaza. Un ricordo continuo, quello del Papa,
alimentato anche da “telefonate quotidiane” alla parrocchia della Sacra
Famiglia, come ricorda al Sir suor Nabila Saleh.
Voglia di emigrare. “In questi giorni di tregua –
dichiara la religiosa che si trova nella parrocchia latina di Gaza con altri
700 sfollati – i nostri cristiani sono usciti, per la prima volta dallo scoppio
della guerra, dalla parrocchia per tornare finalmente nelle loro abitazioni e
verificarne lo stato. Purtroppo tutti hanno avuto le case bombardate e
distrutte. Anche per questo motivo – rivela – molti stanno pensando di
emigrare. Questa guerra sta minando la loro volontà di restare a Gaza e sono già
tanti coloro che hanno deciso di emigrare. L’Australia è una delle mete più
ambite”. Una scelta che poggia sulla decisione, assunta recentemente dal
Governo australiano, di approvare, tra il 7 ottobre e il 20 novembre, più di
800 visti per i palestinesi e oltre 1.700 per i cittadini israeliani. Si tratta
di un visto turistico, rilasciato previo approfondito controllo di sicurezza,
che consente l’ingresso temporaneo fino a 12 mesi. Analoga decisione
l’Australia l’aveva assunta per 3.000 visti turistici a cittadini ucraini (tra
il 23 febbraio e l’11 marzo 2022), dopo l’invasione russa e per 5.000 afghani
(tra il 18 agosto e il 20 settembre 2021), dopo il ritiro degli Stati Uniti dal
Paese e il ritorno al potere dei talebani. “Se la guerra non finirà subito –
rimarca suor Saleh – il rischio che Gaza resti senza la già piccola comunità
cristiana (poco più di 1000 fedeli, ndr.) è molto concreto e sarebbe una grave
perdita per tutta la Striscia”.
Ultimo giorno di tregua. Oggi, 27 novembre, la tregua
entra nel suo quarto, e probabilmente, ultimo giorno e, spiega suor Saleh,
“migliaia di gazawi tenteranno ancora di rientrare in casa anche per cercare di
prendere oggetti e effetti personali, ma soprattutto per reperire cibo, acqua,
gas, carburante”, dopo che da venerdì scorso circa 350 mezzi, con aiuti
umanitari, sono entrati dal valico di Rafah nella Striscia. Numeri che,
sostiene la suora, “non sono sufficienti a soddisfare i bisogni della popolazione
stremata dalla guerra. Inoltre non a tutti sarà possibile andare a vedere
perché – ricorda – ci sono dei quartieri cosiddetti ‘rossi’, controllati dai
carri armati israeliani, che impediscono a chiunque l’accesso”.
Natale senza luci. In mezzo a tanta distruzione,
aggiunge la religiosa, “ora è davvero difficile guardare al prossimo Natale.
Non avremo luci e feste per la nascita di Gesù, ma lo celebreremo solo in
chiesa con la Messa” in linea con la richiesta dei Patriarchi e dei Capi delle
Chiese di Gerusalemme, datata 10 novembre, al clero e ai fedeli, di rinunciare
a “tutte le attività e segni festivi non necessari e di concentrarsi
maggiormente sul significato spirituale del Natale, ponendo attenzione ai
nostri fratelli e sorelle colpiti da questa guerra e dalle sue conseguenze, e a
elevare ferventi preghiere per una pace giusta e duratura per la nostra amata
Terra Santa”. La comunità sfollata in parrocchia si appresta a vivere il tempo
di Avvento con una sola preghiera: “il dono della pace e della giustizia”.
“Celebreremo il Natale tutti insieme in parrocchia” afferma suor Nabila
consapevole che, “restando queste le condizioni”, non ci saranno né la visita
del patriarca, né visti natalizi di Israele per i cristiani della Striscia,
necessari per recarsi a Gerusalemme e Betlemme a pregare e a trovare i
familiari. Alla comunità cristiana di Gaza non resterà che affidarsi alle
notizie che arriveranno da una Betlemme deserta e priva di luci, dove sabato 2
dicembre, vigilia di Avvento, farà il suo ‘ingresso’, in un clima di silenzio,
il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton. Il 24 dicembre sarà la volta
del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa che, come
tradizione, celebrerà la Messa di Mezzanotte alla presenza dei rappresentanti diplomatici
e, salvo cambiamenti, del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu
Mazen.
Sir 27
In Germania, entro il 2040 i cristiani saranno la metà di oggi
Lo rivela uno studio della Chiesa Evangelica e Cattolica
che rivede al ribasso le stime di quattro anni fa - Di Giacomo König
Francoforte. L’adesione dei tedeschi alla religione
cristiana scende in picchiata. E più velocemente di quanto preventivato.
Nel maggio del 2019 uno studio del Centro di ricerca di
Friburgo per i contratti intergenerazionali calcolava il dimezzamento dei
cristiani in Germania – con il conseguente taglio delle entrate delle due
chiese, evangelica e cattolica, dovuto agli abbandoni - entro il 2060. Secondo
questi vecchi dati insomma, entro il 2060 il numero dei protestanti sarebbe
dovuto scendere dagli attuali 21,5 milioni a 10,5 milioni, mentre il numero dei
cattolici da oltre 23 milioni a 12,3 milioni.
Oggi scopriamo che la previsione “nera”, non era
abbastanza pessimistica. Il sesto Sondaggio sull'appartenenza alla chiesa
condotto dalla Chiesa evangelica in Germania, realizzato tra ottobre e dicembre
2022 su un campione di 5.282 persone (di confessione evangelica e, per la prima
volta, anche cattolica) rivede pesantemente al ribasso queste stime. Il
sondaggio, che viene pubblicato ogni dieci anni dal 1972, è stato condotto
sotto la direzione dell'Istituto di Scienze Sociali della Chiesa Evangelica
Tedesca, e per la prima volta è stata coinvolta la Conferenza Episcopale
Tedesca.
L'indagine conclude che quel dimezzamento del numero di
cristiani che quattro anni fa veniva previsto entro il 2060, sarà probabilmente
raggiunto già entro il 2040. Solo il 27% dei cattolici intervistati esclude
attualmente di lasciare la Chiesa. La percentuale dei protestanti è del 35%.
Già alla fine di questo decennio dunque le persone con un
legame religioso-confessionale con le due chiese scenderanno sotto al 50 per
cento della popolazione e diventeranno minoranza nel Paese. Secondo lo studio,
oggi i cristiani in Germania superano appena questo 50 per cento. Solo se si
contano insieme i membri di tutte le denominazioni cristiane, comprese le
chiese ortodosse e libere, alla fine del 2022 essi rappresentavano il 52% della
popolazione.
L’attaccamento alla propria chiesa di appartenenza si
affievolisce bruscamente tra gli intervistati. Ed è la Chiesa cattolica a
registrare i risultati peggiori. Il 31% dei membri di Chiesa protestante
afferma che il senso di attaccamento alla propria chiesa è diminuito rispetto
al passato, mentre solo il 9% riferisce di un rafforzamento. Tra i cattolici
ben il 62% ha riferito un calo del senso di attaccamento, mentre solo il 4% ha
segnalato un aumento. Dato che non sorprende, dato il numero altissimo di
persone (522.821) che l'anno scorso hanno lasciato la Chiesa cattolica, un
nuovo record di abbandono presto destinato ad essere surclassato.
Paradossalmente, le cose vanno un po’ meglio quando gli intervistati sono
tedeschi della ex Germania dell’Est. L'82% (protestanti) e il 64% (cattolici)
dei cristiani della ex Repubblica Democratica Tedesca si sentono molto più
legati alle rispettive chiese rispetto ai membri della chiesa occidentale (64%
protestanti, 57% cattolici).
In drammatico calo anche la fiducia risposta nelle due
rispettive chiese. Anche qui è la Chiesa cattolica a subire le “perdite” più
consistenti. Dovendo esprimere su una scala da 1 a 7 (dove 1 rappresenta
“nessuna fiducia” e 7 “fiducia molto alta”), gli intervistati hanno attestato
la fiducia nella Chiesa cattolica a 2,3, e quella nella Chiesa protestante a
3,3. Tra i cattolici, la Chiesa protestante (3,7) gode di maggiore fiducia
rispetto alla propria Chiesa (3,3). Diversi i motivi addotti da protestanti e
cattolici di questa perdita di fiducia. Mentre tra i protestanti sono i
concetti di “religione” e “chiesa” a perdere significato, tra i cattolici
prevale un sentimento di rabbia nei confronti dei collaboratori della Chiesa,
la disparità di trattamento delle donne, le strutture antidemocratiche e gli
scandali ecclesiastici. Aci 27
La riforma liturgica sessant’anni dopo. Mons. Busca: luci, ma anche ombre
Luci e ombre. Forse più le prime. Ma il bilancio della
riforma liturgica, a 60 anni dal varo della Sacrosantum Concilium (SC) il
documento conciliare che la codificò, e a 50 dalla nascita dell’Ufficio
liturgico nazionale, è ricca di spunti di riflessione. Come dice il vescovo di
Mantova e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, Gianmarco
Busca, al termine del convegno organizzato proprio dall’Uln per fare il punto
sull’applicazione della riforma in Italia
- Mimmo Muolo, Avvenire
Luci e ombre. Forse più le prime. Ma il bilancio della
riforma liturgica, a 60 anni dal varo della Sacrosantum Concilium (SC) il
documento conciliare che la codificò, e a 50 dalla nascita dell’Ufficio liturgico
nazionale (Uln), è ricca di spunti di riflessione. Come dice il vescovo di
Mantova e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, Gianmarco
Busca, al termine del convegno organizzato proprio dall’Uln per fare il punto
sull’applicazione della riforma in Italia.
Che cosa è emerso?
Diciamo subito, e questo vale non solo per l’Italia ma
per tutto il mondo, che la riforma non poteva ritenersi conclusa solo con la
pubblicazione di nuovi libri liturgici. Doveva maturare pian piano una capacità
celebrativa che andava di pari passo con l’esperienza di fede dei credenti e
delle comunità e che chiedeva di essere rinnovata alla luce del primato della
Parola e di una nuova profezia della Chiesa rispetto alle sfide storiche. Per
fare un bilancio onesto, con luci e ombre, dobbiamo inserirlo nel cammino della
Chiesa uscita dal Concilio. Per restringere il campo all’Italia, sicuramente
c’è stato un grande lavoro di adattamento della SC alla nostra cultura e ai
nostri tempi.
Che cosa ha funzionato e cosa bisogna invece migliorare?
Gli impulsi dati dalla riforma liturgica erano di qualità
alta. Ma era richiesta anche un’alta qualità delle nostre comunità cristiane,
che invece hanno conosciuto un ridimensionamento non solo numerico, ma anche,
oserei dire, di spessore della vita cristiana. Non tutta la produzione
liturgica – penso ai canti – è stata di buona qualità. Talvolta è stato
spacciato per bello quello che non era corretto per i contenuti o i linguaggi.
C’è stata inoltre qualche difficoltà nella trascrizione dei modelli celebrativi
concreti delle grandi ispirazioni della riforma. Abilitare al celebrare non è
qualcosa che avviene a tavolino o immediatamente. Ci sono stati tentativi poco
felici di rendere la liturgia più fruibile, talvolta l’eccesso di verbosità ha
rischiato di trasferire i linguaggi della catechesi dentro il rito. Così come
una sorta di autoreferenzialità dei celebranti non ha permesso di aprirsi
all’incontro con Dio. In sostanza, le premesse buone della riforma restano. Ma
siamo più consapevoli che non abbiamo avuto cantieri celebrativi, cioè
esperienze paradigmatiche, sempre all’altezza dei modelli.
Fra le luci c’è chi colloca la ritrovata forza della
Parola di Dio.
Certamente. La mensa della Parola ha oggi un proprio peso
e ben superiore a prima, quando nemmeno si comprendeva nella propria lingua la
Parola. Ma c’è il rischio anche qui che l’elemento didascalico, di spiegazione
(ad esempio nel momento omiletico) prenda il sopravvento sulla Parola di Dio
sacramentale, che è presenza del Cristo che parla. Dunque si è capito che
Bibbia e liturgia sono un binomio imprescindibile per l’esperienza cristiana.
Il loro rapporto chiede di essere meglio focalizzato nella predicazione, ma non
solo.
Fra le ombre invece c’è chi pone l’attutirsi del senso
del mistero.
In effetti è una notazione che abbiamo raccolto anche da
alcune sintesi del cammino sinodale della Chiesa italiana. La questione di fondo
è se le liturgie sono vive, capaci di evangelizzarci, e di aprirci all’incontro
con Dio. Indubbiamente ci sono stati degli equivoci intorno alla actuosa
partecipatio, alla partecipazione attiva, che spesso è stata banalmente ridotta
al far fare a tutti qualcosa, mentre invece nella mens della SC l’idea è che
sia una partecipazione intensa coinvolgente. La liturgia implica uno scatto, il
passaggio di una soglia, l’ingresso in un mondo altro che è quello dell’umano
trasfigurato dal divino. Perciò il silenzio, l’adoperare un linguaggio diverso
da quello della strada restano fondamentali.
Nel convegno si è parlato di una liturgia in uscita per
una Chiesa in uscita. Che cosa significa?
Significa una liturgia non autoreferenziale che ci
proietta in un sacro separato, ma che è capace di ospitare il realismo della
dimensione umana anche con il suo risvolto drammatico. Ad esempio, sarebbe una
liturgia solo in entrata quella che cura una resa puramente estetica. La
liturgia cristiana invece si fa carico anche della non bellezza,
dell’esperienza del male, del peccato, dell’incompiutezza. Nel rito entra
la vita e la vita deve entrare nel rito in una osmosi continua dei vissuti
portati all’altare e deposti davanti a Dio. Penso, ad esempio, ai Salmi, che
sono l’anatomia dell’animo umano anche nella sua drammaticità, ma sempre in
dialogo con il Signore. Quindi in definitiva una liturgia in uscita è
quella che è capace di registrare questi vissuti umani e riesce a renderli in
entrata rispetto alla misericordia di Dio, alla redenzione di Cristo, alla sua
croce e risurrezione.
Lei accennava prima alla musica. C’è stata una relazione
in questi giorni che ricordava il cammino fatto negli ultimi anni, dalla musica
beat in poi. Qual è lo stile più adatto oggi per la musica liturgica?
Occorre una musica di qualità con testi e contenuti
adeguati. Perché la musica liturgica non è un apparato esteriore o decorativo.
È liturgia vera e propria, è preghiera cantata, professione di fede. Fides
canora, diceva sant’Ambrogio. In altri termini fede tradotta in canto. Non
tutti i linguaggi musicali sono adeguati a esprimere il mistero. Occorre anche
un filtro critico. Ma d’altra parte si è consapevoli che, se il popolo canta,
questa è la vera solennità. Il linguaggio musicale del canto rappresenta una
risorsa notevole per emozionare; dunque, per aprire il contatto con il mistero.
E questo deve orientare nella ricerca degli stili. Se si canta in gregoriano,
tutti immaginiamo quasi di trovarci in un monastero. Ora, la domanda è quali
stili musicali sono veramente capaci di veicolare l’esperienza del mistero
cristiano. Quindi occorre preparazione tecnica da parte di chi suona e canta e
sensibilità nel comprendere come le espressioni musicali possano indurre
all’immersione nel mistero. Sir 27
Dal 23 al 25 novembre i direttori dei 200 giornali
diocesani appartenenti alla Federazione Italiana dei Settimanali cattolici si
sono ritrovati a Roma per la XX Assemblea nazionale elettiva ordinaria sul tema
“La Fisc: una voce a servizio del Paese. Informazione, cultura e sinodalità”.
Un momento di incontro, di verifica e di confronto in cui
i rappresentanti delle testate sparse sul territorio nazionale hanno eletto i
loro rappresentanti al Consiglio nazionale della Federazione.
Nella mattinata di giovedì 23 novembre, i membri della
Fisc, insieme a quelli di Uspi, delle Associazioni Corallo e Aiart, sono stati
ricevuti in udienza da Papa Francesco.
«Vi occupate di stampa, televisione, radio e nuove
tecnologie, con un impegno a educare ai media i lettori e gli utenti – ha detto
Francesco –. Il vostro radicamento capillare testimonia il desiderio di
raggiungere le persone con attenzione e vicinanza, con umanità. Anzi, direi che
ben rappresentate quella geografia umana che anima il territorio italiano.
Negli ultimi anni diverse innovazioni hanno interessato il vostro settore e per
questo è necessario rinnovare sempre l’impegno per la promozione della dignità
delle persone, per la giustizia e la verità, per la legalità e la
corresponsabilità educativa».
Di qui l’invito a «non perdere di vista, nel contesto
delle grandi autostrade comunicative di oggi, sempre più veloci e intasate, tre
sentieri, che è bene non perdere di vista e che vanno sempre percorsi:
formazione, tutela e testimonianza».
Nel pomeriggio l’apertura dei lavori con l’intervento di
mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei.
«I nostri giornali sono laboratori di corresponsabilità – ha detto mons. Baturi
nel suo intervento –, perché operano quotidianamente l’ascolto e il
discernimento, il racconto e la lettura di fede, a servizio di tutta la
comunità. La vostra azione è aperta a servizio delle Chiese e delle comunità
che abitano i nostri territori. La corresponsabilità informativa diventa
specchio per l’agire ecclesiale». «Sottoscrivere un nuovo ‘patto’ con le Chiese
locali volto a ribadire il ruolo che il settimanale diocesano ha al loro
interno. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra è una Federazione di
direttori, rappresentanti degli editori. E come direttori dobbiamo farci carico
di pensare per aiutare le nostre Chiese a pensare, mettendo al centro del
dibattito i temi della Chiesa e quelli dei territori”. Ha sottolineato Mauro
Ungaro, direttore del settimanale diocesano di Gorizia “Voce Isontina” e
presidente uscente della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc),
nella sua relazione di apertura all’Assemblea.
Il secondo giorno dei lavori è stato caratterizzato dalla
testimonianza di padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra
Santa, «Gaza è completamente distrutta – ha spiegato -. I nostri cristiani
si sono radunati nel convento latino. 700 persone al freddo, senza medicine,
mangiare e bere. 18 persone sono morte a causa di un bombardamento: 9 donne e 9
uomini. Tutti hanno perso la casa».
Il vicario della Custodia di Terra Santa ha descritto la
situazione a Gerusalemme dove, come nel resto della Terra Santa, è cambiato
tutto. «In Terra Santa esiste un prima del 7 ottobre e un dopo il 7 ottobre,
come l’11 settembre per gli Stati Uniti. La gente ha paura di uscire, non c’è
nessuno per strada. Aree chiuse per motivi di sicurezza. Persone spaventate.
Bambini musulmani che hanno paura che il padre possa andare a pregare nella
moschea, perché potrebbe essere ucciso». Una situazione simile a quella di
Betlemme: «È una città morta, chiusa, vuota, deserta. Entrare ed uscire è
difficilissimo».
A seguire l’incontro con il sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio, Alfredo Mantovano. «L’Europa è stata unita quando le sue radici
erano quelle cristiane – ha detto Mantovano –. Il fallimento è iniziato nel
2004, quando ha iniziato il dissociarsi dall’appello di Giovanni Paolo II di
fare riferimento alle radici cristiane. Una delle concause del conflitto che
oggi è in terra europea, perché l’Ucraina è in terra europea, deriva dal fatto
che si sono privati i cittadini europei della loro consapevolezza cristiana.
Oggi si scontrano popoli che hanno origini cristiane”. Mantovano ha parlato
prima di tutto di migrazioni, ribadendo la linea del governo Meloni, compresi i
campi previsti in Albania, invitato poi dal presidente della Fisc, Mauro
Ungaro, a trattare il tema Europa ed elezioni. «L’Europa deve riscoprire le
ragioni della propria unità e per farlo, oltre che andare alle sue radici, deve
andare alla sostanza. Trovo schizofrenico che ci siano lunghissime discussioni
sulla cosiddetta carne sintetica e, con eguale profondità, che non si parli di
immigrazione, che dovrebbe essere una delle priorità», ha dichiarato Mantovano
aggiungendo: «Trovo distante dalla realtà che oggi sia molto probabile il
ristabilimento del patto di stabilità, dopo le ricadute della pandemia e della
guerra. Sembra che le regole vengano prima delle esigenze dei popoli. Le regole
sono indispensabili ma l’interesse dei popoli è quello di non essere
schiacciati dalle regole. Questo è il nocciolo delle elezioni europee». Unirsi
intorno a ciò che è veramente importante, questo è l’invito del sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio che ha toccato anche argomenti come famiglia,
scuola e giovani, definendole “tre realtà in via d’estinzione”, data la scarsa
natalità e ribadendo l’impegno in tal senso del governo con la finanziaria, limitata
dalle scarse risorse, fiaccate da male gestioni precedenti. Per Mantovano è
necessario un cambio di paradigma, dove mettere al mondo un figlio è uno
sguardo al futuro, una speranza, e dove dire no ai figli un metodo educativo
passato da riscoprire per evitare anche omicidi come l’ultimo femminicidio
saltato alla cronaca. “La comunità cristiana dovrebbe recuperare la capacità di
dire no”, ha concluso.
Nella serata di venerdì si sono tenute le consultazioni
elettorali che si è conclusa con l’elezione del nuovo Consiglio nazionale per
il quadriennio 2024/2027: Walter Lamberti, Fabrizio Frattini, Maria Grazia
Olivero (circoscrizione nord ovest); Mauro Ungaro, Martina Pacini, Daniela
Verlicchi (circoscrizione nord est); Simone Incicco, Alessandro Paone (circoscrizione
centro); Davide Imeneo Davide, Maria Saveria Gigliotti (circoscrizione sud).
Inoltre, risultano eletti tra i più votati: Mariangela Parisi, Lorenzo Rinaldi,
Emanuele Occhipinti, Giampaolo Atzei, Massimiliano Firreri, Luca Bortoli.
I delegati regionali eletti sono: Beatrice Testadiferro
(Marche), Sabrina Penteriani (Lombardia), Roberto Comparetti (Sardegna), Mario
Manini (Umbria), Costantino Coros (Lazio), don Doriano Vincenzo De Luca
(Campania), Domenico Mugnaini (Toscana), Jurij Paljk (Triveneto), Marilisa
Della Monica (Sicilia), don Enzo Gabrieli (Calabria e Basilicata), Luigi Lamma
(Emilia Romagna), Chiara Genisio (Piemonte), don Oronzo Marraffa (Puglia),
Domenico De Simone (Abruzzo e Molise), Raffaele Iaria (giornali esteri).
Il più votato in assemblea è stato il Presidente uscente
Mauro Ungaro. Fisc 27
Papa Francesco, amici di Gesù "sono coloro che lo servono nelle
persone più deboli"
La festa di Cristo Re del’Universo ricorda che Cristo è
un re diverso da qualunque altro, sensibile ai più deboli, dice Papa Francesco
- Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Papa Francesco non si affaccia
dalla finestra del suo studio, e nemmeno legge la catechesi prima
dell'Angelus né gli appelli dopo. Li legge monsignor Paolo Braida,
l'officiale della Segreteria di Stato che - dice il Papa - "le conosce
bene, perché è lui che le fa".
Nella riflessione letta, viene spiegato che Cristo è Re
dell’Universo. Ma è un re “completamente diverso”, un re che “chiama i poveri
fratelli, che si identifica con gli affamati, con gli assetati, gli stranieri,
gli ammalati, i carcerati. Nella festa di Cristo Re dell’Universo, che conclude
l’anno liturgico – sarà Avvento dalla prossima settimana – ed è, per volontà di
Papa Francesco, anche celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù a
livello locale.
È forse la prima domenica di vero inverno a Roma, e da
ieri un vento sferzante ha colpito la capitale. Ma il Papa non si affaccia
dalla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico secondo programma, ma
recita per la prima volta l’Angelus dalla cappella di Domus Sanctae Marthae,
dove all’inizio del pontificato e fino a tutta la pandemia ha celebrato Messa
oggni mattina. Non era mai successo, nemmeno durante la pandemia, quando
il Papa non si affacciava dalla finestra del suo studio, ma recitava
l'Angelus comunque dal Palazzo Apostolico. Ieri, il Papa ha annullato
tutte le udienze per una lieve forma influenzale, e si è sottoposto ad una tac
per controllare una eventuale polmonite, che ha dato esito negativo.
Il Papa introduce la catechesi con il volto e
la voce affaticati, e anche quando guida la preghiera a volte è interrotto da
qualche spasmo di tosse.
Il Vangelo del giorno è quello in cui Gesù, Figlio
dell’Uomo, è seduto su un trono, tutti i popoli radunati ai suoi piedi, tra i
quali i “benedetti”, ovvero gli amici del re. E questi dovrebbero essere,
secondo i criteri del mondo, essere “quelli che gli hanno dato ricchezze e
potere, che lo hanno aiutato a conquistare territori, a vincere battaglie, a
farsi grande fra gli altri sovrani, magari a comparire come una star sulle
prime pagine dei giornali o sui social”.
Non è così per Gesù. Per Gesù gli amici sono “coloro che
lo hanno servito nelle persone più deboli”, e questo perché il Figlio dell’Uomo
è un re “completamente diverso”, ed è “sensibile al problema della fame, al
bisogno di una casa, alla malattia e alla prigionia”. È una realtà, annota Papa
Francesco, “purtroppo sempre attuale”, perché “affamati, persone senza tetto,
spesso vestite come possono, affollano le nostre strade: le incontriamo ogni
giorno” e “anche per ciò che riguarda infermità e carcere, tutti sappiamo cosa
voglia dire essere malati, commettere errori e pagarne le conseguenze”.
Quello che insegna il Vangelo – sottolinea Papa Francesco
– è che “si è benedetti se si risponde a queste povertà con amore, e col
servizio”, vale a dire “non voltandosi da parte”, ma “facendosi vicini a chi è
nel bisogno”, e questo perché “Gesù, il nostro Re che si definisce Figlio
dell’uomo, ha le sue sorelle e i suoi fratelli prediletti nelle donne e negli
uomini più fragili”.
Così la sala regale del re è lì dove c’è chi soffre e ha
bisogno di aiuto, ed è questo “lo stile con cui sono chiamati a distinguersi i
suoi amici”, ovvero lo stile della “compassione, la misericordia e la
tenerezza”, qualità che “nobilitano il cuore e scendono come olio sulle piaghe
di chi è ferito nella vita”.
Come sempre, Papa Francesco invita anche a riportare
questi insegnamenti nella vita, con una serie di domande che servono all’esame
di coscienza, e in particolare una: “io sono amico del Re, mi sento cioè
coinvolto in prima persona nei bisogni dei sofferenti che trovo sulla mia
strada?”
Al termine dell’Angelus, gli appelli, letti ancora da
monsignor Braida. Papa Francesco ricorda che si celebra la Giornata Mondiale
della Gioventù a livello locale, sul tema “Lieti nella speranza” e abbraccia “i
giovani presente e futuro del mondo e gli incoraggio ad essere protagonisti
gioiosi della vita Chiesa”.
Quindi, ha ricordato il novantesimo anniversario
dell’Holodomor, il genocidio perpetrato dal regime sovietico. Quella ferita è
resa ancora più dolorosa dalle atrocità della guerra che continua a far
soffrire quel dilaniato popolo”.
Ha sottolineato che “la preghiera “spezza il circolo
della vendetta” e apre vie insperate di pace, ringraziato Dio per la tregua in
Terrasanta e per la liberazione di alcuni prigionieri, auspicando che se ne
liberino altri. Il Papa ha quindi esortato che “entrino a Gaza più aiuti
umanitari” e che “si insista nel dialogo. Unica via per avere pace. Chi non
vuole dialogare non vuole pace”.
Il Papa ha infine confermato il suo viaggio a Dubai del
prossimo fine settimana, notando che il “pericolo climatico mette a rischio la
vita sulla terra, specialmente le future generazioni ed è contrario al progetto
di Dio” aci 26
Sinodo in Germania, ora spunta anche una lettera del cardinale Parolin
Il Tagepost pubblica un testo del 23 ottobre scorso - Di
Angela Ambrogetti
Berlino. Una settimana fa Papa Francesco aveva scritto in
una lettera quello che pensava di certe derive del "Cammino sinodale"
della Chiesa cattolica in Germania.
Ora grazie a CNA Deutsch, il partner di notizie in lingua
tedesca di CNA, conosciamo anche una lettera del 23 ottobre scritta dal
cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e indirizzata al
Segretario generale della Conferenza episcopale tedesca, Beate Gilles, che è
stata condivisa con tutti i vescovi tedeschi.
La lettera del Cardinale Parolin che si occupa per
mandato del Papa del Sinodo in Germania è stata pubblicata il 24 novembre dal
quotidiano Tagespost.
La lettera ricorda che in Vaticano è in corso il Sinodo
sulla sinodalità e "considerando il corso della cammino sinodale in
Germanio finora, bisogna prima rendersi conto che si sta svolgendo una via
sinodale universale, convocata dal Santo Padre" ed è "quindi
necessario rispettare questo percorso della Chiesa universale ed evitare
l'impressione che siano in corso iniziative parallele che sono indifferenti
allo sforzo di "viaggio insieme".
Sul tema del sacerdozio femminile verso il quale spinge
il "Sinodo" in Germania la lettera ha ricordato ai vescovi tedeschi
che Papa Francesco ha ripetutamente e "espressamente riaffermato" ciò
che Papa Giovanni Paolo II scrisse in Ordinatio Sacerdotalis che la Chiesa non
aveva "nessuna autorità di conferire l'ordinazione sacerdotale alle
donne".
La lettera cita Papa Francesco sull'importanza di
riconoscere il ruolo e la dignità delle donne - dato che "una donna,
Maria, è più importante dei vescovi", come ha detto il Papa in Evangelii
Gaudium - la lettera ha anche avvertito di "conseguenze disciplinari"
per coloro che contravvengono alla dottrina, compresa la potenziale scomunica
per "tentativo di ordinare una donna".
A proposito della questione omosessuale nella lettera di
Parolin si legge che questa è "un'altra questione su cui una Chiesa locale
non ha la possibilità di avere una visione diversa". e aggiunge:
"Perché anche se si riconosce che da un punto di vista soggettivo ci
possono essere vari fattori che ci chiedono di non giudicare le persone, questo
non cambia in alcun modo la valutazione della moralità oggettiva di questi atti".
La nota del Vaticano fa anche riferimento alla lettera
del 2019 di Papa Francesco ai cattolici in Germania. In esso, il Papa ha messo
in guardia contro "il grande peccato della mondanità e dello spirito
mondano anti-evangelico".
Intanto sul sito della Conferenza episcopale tedesca le
ultime notizie sul " Cammino" sono del 16 novembre con la
costituzione della Commissione sinodale di cui il Vaticano ha negato il diritto
all'esistenza.
E intanto i capi dei dicasteri per la Dottrina della
fede, per la pPromozione dell'unità dei cristiani, per i Vescovi, per la
disciplina dei Sacramenti e per i Testi legislativi hanno in programma degli
incontri con i rappresentanti dei vescovi tedeschi a gennaio, aprile e
giugno 2024 per discutere su ciò che nella dottrina e nella disciplina della
Chiesa è immutabile e ciò che può essere cambiato. Aci 25
Liturgia. Don Giardina (Cei): “Deve saper leggere le righe del cuore”
"La Chiesa italiana è stata sempre guardata con
particolare attenzione anche dalle altre realtà ecclesiali, per la sua
prossimità al Santo Padre e al vissuto della nostra gente". Così il
direttore, don Alberto Giardina, sintetizza per il Sir i 50 anni dell'Ufficio
liturgico della Cei, oggetto di un convegno alla Pontificia Università
Urbaniana, che commemora anche i 60 anni della Sacrosanctum Concilium - M.Michela
Nicolais
“Dialogare con il nostro tempo e individuare le urgenze
pastorali e liturgiche per l’oggi”. E’ uno degli obiettivi del convegno “La
liturgia a sessant’anni da Sacrosanctum Concilium. L’ufficio liturgico
nazionale e la riforma liturgica in Italia”, in corso alla Pontificia
Università Urbaniana a Roma fino al 25 novembre. Due gli anniversari che
l’iniziativa intende commemorare il 60° anniversario della promulgazione della
Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” e il 50° anniversario
dell’Ufficio Liturgico nazionale della Conferenza episcopale italiana. “Un
raduno di famiglia, fatta di volti e storie incrociate a volte in maniera
misteriosa a servizio della liturgia in Italia”. Così don Alberto Giardina,
direttore dell’Ufficio Liturgico nazionale della Cei, ha definito l’evento,
“non semplicemente commemorativo”, ma “occasione per fare memoria grata e
riscoprire l’eredità del passato; dialogare con il nostro tempo e individuare
le urgenze pastorali e liturgiche per l’oggi; dare casa al futuro e tracciare
piste per il futuro che ci attende”. Il Sir lo ha intervistato.
Don Giardina, quale è secondo lei l’eredità da
raccogliere della Sacrosanctum Concilium, e quali impatto può avere sull’assetto
liturgico odierno?
L’eredità della costituzione conciliare è quella di aver
permesso una partecipazione più attiva e consapevole all’azione liturgica, di
aver riscoperto il legame tra liturgia e Parola e la dimensione teologica della
stessa liturgia, che il Concilio Vaticano II ha liberato dalle forme di
ritualismo che avevano allontanato la comprensione dell’idea di mistero. Tra le
esigenze nuove da portare avanti oggi, la dimensione dell’adattamento della
liturgia al nostro tempo, l’attenzione della liturgia alla storia come storia
di salvezza, storia degli uomini e storia di un popolo e il tema della
formazione liturgica, che comporta l’impegno ad aiutare nuovamente gli uomini e
le donne del nostro tempo a vivere l’agire liturgico e a riscoprirne il linguaggio,
che oltre ad essere il linguaggio del rito è un linguaggio anche molto umano.
Un impegno, questo, che è stato accolto in passato e viene accolto ancora oggi
dall’Ufficio liturgico della Cei, ed è rivolto a favorire una formazione
liturgica sempre più capillare.
Cosa significa, per l’Ufficio liturgico della Cei,
raggiungere il traguardo dei 50 anni?
Aprendo i lavori di questo convegno ho utilizzato la
metafora della foto di famiglia: quando si sfogliano gli album, si incontrano i
volti dei nonni, degli zii, dei cugini…Compiere 50 anni, per il nostro ufficio,
significa anzitutto riscoprire i volti e le storie dell’impegno della Chiesa
italiana nel portare avanti l’opera di riforma liturgica, che progredisce anche
grazie ai nomi e all’eredità delle intuizioni di tutti coloro che ci hanno
preceduto.
La Chiesa italiana è stata sempre guardata con
particolare attenzione anche dalle altre realtà ecclesiali per la sua
prossimità al Santo Padre e al vissuto della nostra gente.
Per citare solo un esempio, l’adattamento del Messale del
1983 è stato accolto dall’edizione latina della terza Editio Typica, rendendo
merito proprio all’esperienza maturata dalla Chiesa in Italia. Compiere 50 anni
significa per l’Ufficio liturgico della Cei anche riprendere in mano il nuovo
Messale e la traduzione della Bibbia, oltre che impegnarsi per i cantieri del
futuro. Tra i laboratori che riguardano questioni particolarmente significativi
per la liturgia di oggi e di domani, ne abbiamo identificati in particolare
nove: liturgia e famiglia, liturgia e disabili, liturgia e catechesi, i
ministeri nella liturgia, l’ars celebrandi, la musica per la liturgia, le forme
emergenti della pietà popolare, la liturgia nell’era digitale.
Papa Francesco, nella Desiderio Desideravi, parla di “metodo
dell’incarnazione” e raccomanda una liturgia “di popolo”. Come evitare il
rischio di un liturgismo astratto e disincarnato, che allontana i fedeli dalle
chiese?
Di liturgie noiose e omelie troppo lunghe si è parlato
anche durante il Cammino sinodale della Chiesa italiana. Il Santo Padre, con la
Desiderio Desideravi, ci ha chiesto di uscire fuori dal personalismo e di
recuperare il senso del linguaggio liturgico cercando di entrare in dialogo con
le istanze dell’uomo contemporaneo.
Ci vuole una liturgia che sappia leggere tra le righe dei
libri liturgici le pieghe del cuore umano, attraverso l’attenzione all’uomo
concreto nella situazione in cui si trova.
La liturgia non si trova mai davanti una comunità
astratta, ma una porzione di popolo con la sua stanchezza, le sue fatiche e le
sue speranze, i suoi travagli e la sua gioia. L’importante è saper leggere le
righe del cuore, anche attraverso una riscoperta della corporeità. Sir
L'udienza ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia colpite dal
sisma del 2016-2017
Città del Vaticano. "Rimettere la persona al centro
della città: è questa la via da seguire sempre: la persona". Papa
Francesco lo ripete ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia
colpite dal sisma del 2016-2017 ricevuti questa mattina. Il terremoto è
un’esperienza devastante, dice il Papa ma "avete saputo cogliere
l’opportunità per un nuovo inizio, specialmente con il programma di rigenerazione
socio-economica Next Appennino".
Ma la sfida più ampia quella ambientale è quella della
persona appunto e dello spopolamento dei piccoli centri. Serve offrire "la
possibilità di vivere in ambienti ricchi di tutto ciò che i padri hanno
lasciato, accresciuto e impreziosito da una gestione sapiente per la
comunità". E ancora ritorna sul tema della natalità a modo suo Papa
Francesco:"In Italia non si fanno figli, ed è grave. Abbiamo una età media
di 46 anni. Sembra che le famiglie preferiscano avere dei cagnolini o dei gatti
e non dei figli: è la “cultura veterinaria”. Stiamo attenti a questo. È questa
l’eredità che lasciamo?".
C'è poi la cura del Creato: la nostra missione dice il
Papa è ad avere "comportamenti volti a non deturpare il paesaggio con
costruzioni eccessivamente invasive e antiestetiche, a non inquinare
l’ambiente". Quindi, spiega Francesco "accanto all’impegno per
la natalità, quello per la sicurezza idrogeologica rappresenta un bisogno
vitale, reso ancora più necessario dall’accelerazione dei cambiamenti
climatici".
E a questo proposito dice: "è importante da una
parte applicare tutti gli accorgimenti necessari per fermare la deriva in corso
e dall’altra, preso atto dei cambiamenti già avvenuti, provvedere a farvi
fronte, a livello sia globale sia locale". Serve "uno
sguardo aperto, attento agli altri e a chi verrà dopo di noi; non bisogna
lasciarsi scoraggiare dalle critiche o dai malcontenti". E conclude:
"la via della ricostruzione post-sismica è lunga e certamente non facile,
e io apprezzo tanto il fatto che lo spirito con cui voi la affrontate è buono,
che l’animo è determinato e che le idee sono chiare". Angela Ambrogetti,
Aci 24
Superiori e superiore generali. “Dare una voce unica alla vita religiosa”
"Dare una voce unica alla vita religiosa" e
"non perdere mai la speranza" anche di fronte a un mondo in guerra.
Fra Emili Turú Rofes, segretario generale dell’Usg (Unione dei superiori
generali), parla a conclusione della 100ª assemblea dell’Usg che si è
tenuta in forma congiunta con l’Unione internazionale delle superiore generali
(Uisg) - Riccardo Benotti
“Dare una voce unica alla vita religiosa”. Così fra Emili
Turú Rofes, segretario generale dell’Usg (Unione dei superiori generali), tira
le fila della 100ª assemblea dell’Usg che si è tenuta in forma congiunta
con l’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) e si è conclusa
oggi a Sacrofano sul tema “Sinodalità. Un rinnovato appello alla profezia della
speranza”.
Scegliere di celebrare l’assemblea insieme, uomini e
donne, è un messaggio di unione della vita religiosa?
Stiamo camminando insieme nel solco del Sinodo.
Numericamente la realtà è assai diversa: l’Unione delle superiori generali
rappresenta circa 2.000 Congregazioni, includendo anche quelle diocesane;
l’Unione maschile, invece, ne tiene dentro più o meno 200. In questi anni si è
rafforzata la collaborazione. Si sta addirittura discutendo la possibilità di
creare una sola Unione, ma bisogna superare alcune difficoltà operative. Si
potrebbe pensare a una Federazione? Chissà. L’importante è dare una voce unica
alla vita religiosa.
Affinché anche le donne abbiano maggiore considerazione
nella Chiesa?
Adesso, quando si presenta l’opportunità, deve parlare la
presidente per le donne e il presidente per gli uomini.
Noi siamo con loro nel desiderio di apertura della Chiesa
alle donne, per trovare il posto che davvero le appartiene. La vita religiosa è
unita in questo percorso.
Come è entrato il Sinodo nei monasteri, nelle comunità,
nelle case dei religiosi sparse nel mondo?
La vita consacrata è sinodale dall’inizio. Pensiamo, ad
esempio, alla partecipazione di tutti per l’elezione del superiore. San
Benedetto invitava ad ascoltare i più giovani della comunità, perché molto
spesso è proprio ai più giovani che il Signore rivela le soluzioni. Da
questa prima fase del Sinodo, è emerso che la vita consacrata è un luogo da cui
prendere ispirazione. Poi, certamente, l’applicazione pratica è a volte
difficoltosa: ci sono casi di abusi di autorità, di scarso ascolto. All’inizio
si è utilizzato il metodo parlamentare, perché era quello considerato più
democratico per ascoltarci. Ma adesso vediamo che è insufficiente, che ci vuole
altro.
Cosa?
Dobbiamo entrare nell’ascolto contemplativo proposto dal
Sinodo, che fa davvero la differenza. Questo è molto potente per la Chiesa e
per il mondo. Imparare a parlare persino con la persona che è ai miei antipodi,
cercando di comprenderla.
Dialogare significa mettersi in ascolto per capire, non
per discutere ma per accogliere. Se tutti facciamo questo sforzo, allora c’è
una comunione al di là delle idee.
Possiamo essere in comunione anche se la pensiamo
diversamente.
Dall’Ucraina alla Terra Santa, sono sempre di più le
guerre che insanguinano il mondo…
Sono i segnali di un cambiamento d’epoca. Se ne parla, ormai,
dal Concilio Vaticano II e il Papa lo ripete spesso: questa non è un’epoca di
cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Un’epoca sta morendo e ne vediamo i
sintomi. Credo che i religiosi siano impegnati in quello che il Papa scrive in
Fratelli tutti: è in atto la gestazione di un mondo nuovo.
Frati, monaci, suore sono presenti nei luoghi più
sofferenti. A Gaza, sotto le bombe, sono restati accanto alla popolazione.
Perché?
A volte possiamo sembrare ridicoli perché alla forza
delle armi contrapponiamo quella dell’amore. Potremmo apparire folli agli occhi
del mondo. Eppure sappiamo che in Palestina i religiosi stanno in comunione con
il popolo. Che in Ucraina restano lì con la gente, e così in tanti Paesi
dell’Africa dove c’è guerra e violenza.
Noi crediamo fermamente nella forza dell’amore, che è il
motore del cambiamento.
Tutto invita a non avere speranza. E invece noi sappiamo
che è profetico avere speranza, perché crediamo nella forza del Vangelo e
dell’amore, che supera la potenza delle armi e della distruzione. Il Sinodo è
un momento importantissimo per riaffermare che siamo col Papa. E che non
dobbiamo mai perdere la speranza. Sir 24
Papa Francesco: “Sembra che le famiglie italiane preferiscano i cagnolini
ai figli”
“Sembra che le famiglie preferiscano avere dei cagnolini
o dei gatti e non dei figli: ‘è la cultura veterinaria’. In Italia non si fanno
figli, ed è grave. Abbiamo una età media di 46 anni. Stiamo attenti a questo. È
questa l’eredità che lasciamo?”, così Papa Francesco commenta la crisi
demografica che sta investendo l’Italia da ormai un decennio e non accenna a
rallentare.
Il Pontefice ha approfondito il tema questa mattina nel
Palazzo Apostolico Vaticano, in occasione dell’Udienza ai rappresentanti delle
popolazioni del centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017, spiegano che
attività umana e benessere del territorio possono (rectius: devono) aiutarsi a
vicenda.
“Venite dalla zona d’Italia segnata dalle ferite del
terremoto che, tra il 24 agosto 2016 e il gennaio 2017, ha seminato morte e
distruzione, lasciando dietro di sé tante ferite nelle persone e nelle
famiglie, distruggendo centri produttivi, abitazioni e monumenti artistici e
mettendo in ginocchio l’economia dei vostri territori in vari settori. Quella
del terremoto – continua il Pontefice – è un’esperienza devastante, sia
fisicamente che moralmente, perché fa crollare in pochissimo tempo ciò per cui
si è lavorato per generazioni, e fa sentire fragili e impotenti: è l’esperienza
di ognuno di voi”.
Nel complesso le scosse che si sono susseguite tra la
metà di luglio 2016 e l’inizio del 2017 colpendo Abruzzo, Marche, Umbria e
Lazio hanno provocato oltre 300 vittime e 65.000 sfollati. Il danno economico è
stato di 24 miliardi di euro, come certificato dalla Protezione Civile
all’Unione Europea e sono rimasti danneggiati 340.000 edifici, distribuiti su
un’area di 8mila km quadrati. Quella terribile progressione di scosse ha
colpito in tutto 140 comuni coinvolgendo 600.000 persone, per un quarto anziani
con più di 65 anni.
“Oggi, mentre ricordiamo con dolore la tragedia e le
vittime, ai cui parenti voglio rinnovare la mia vicinanza – continua Papa
Francesco – possiamo, grazie alla vostra perseveranza e lungimiranza, parlare
anche di significativi passi avanti nella ricostruzione. In questi anni avete
dimostrato che lo spirito di collaborazione può vincere ostacoli e incertezze,
perché dalle macerie possa nascere qualcosa di nuovo. Avete saputo cogliere
l’opportunità per un nuovo inizio, specialmente con il programma di
rigenerazione socio-economica Next Appennino, proponendo tre attenzioni molto
importanti: alla sostenibilità, alla natura e agli attuali mutamenti
climatici”.
Proprio su questi aspetti il Pontefice invita ad una
riflessione più approfondita.
Il ruolo della sostenibilità nella demografia
Spesso si evidenzia come gli insediamenti umani abbiano
inciso negativamente sul clima e continuino tuttora a farlo. Ma su come la
demografia incida sui cambiamenti climatici, il Pontefice stimola un approccio
diverso riprendendo un passo dell’Enciclica “Laudato si’” sulla cura della casa
comune: “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la […]
ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale. In quest’ottica – aggiunge
Bergoglio – adottare criteri adeguati di sostenibilità è un atto importante di
giustizia e di carità, perché mira a soddisfare i bisogni senza compromettere
la sicurezza e la sopravvivenza di chi ci sta attorno e di chi verrà dopo di
noi”.
Il “Demography and climate change – EU in the global
context” presentato a giugno dal Joint Research Centre della Commissione
europea spiegava che “La crescita demografica rimane una delle cause principali
della produzione di emissioni”, ma “allo stesso tempo vi è un disallineamento tra
i tassi di crescita della popolazione e i livelli di emissioni di gas serra nei
diversi Paesi”.
Un disallineamento che può diventare strutturale, se
frutto di precise scelte umane, come sottolinea Papa Francesco durante
l’Udienza: “È confortante vedere come avete saputo impostare la ricostruzione
sulla eliminazione degli sprechi, sulla valorizzazione e l’equa distribuzione
delle risorse, sulla tutela dei più fragili e sull’abbattimento delle barriere
architettoniche. Così, a fronte di una smisurata e disordinata crescita di
molte città che sono diventate invivibili per inquinamento, caos, isolamento,
emarginazione e solitudine, specialmente per gli anziani e i soggetti deboli,
mirate a modelli urbani in cui sia desiderabile vivere integrando le esigenze legate
alla crescita economica e allo sviluppo tecnico con quelle di una buona qualità
di vita, personale e comunitaria”. Uno sviluppo sostenibile, dunque, non solo
da un punto di vista ambientale ma anche sociale in piena sintonia con gli
obiettivi Esg.
La ‘creatività generosa’ per un futuro sostenibile
Nel discorso del Pontefice, la ricostruzione diventa
un’occasione per ripartire senza ripetere gli errori del passato: “Le regioni
da cui venite sono tra le più belle d’Italia e del mondo, conosciute anche a
livello internazionale per il fascino dei paesaggi e per la presenza di antichi
borghi e cittadine incastonati come piccole gemme lungo le pendici dei monti,
sui colli e nelle valli – dice Bergoglio ai presenti – È un modello di armonia
tra l’opera di Dio e quella dell’uomo.
Costruire con attenzione all’ambiente, tutelandone la
bellezza e la salute, promuovendo una cultura della vita condivisa e del
rispetto per quanto ci circonda aiuta infatti a vivere la vocazione di essere
custodi dell’opera di Dio ed è questa la nostra missione”.
Papa Francesco fa quindi qualche esempio di come
l’umanità possa aiutare l’ambiente e non rovinarlo: “comportamenti volti a non
deturpare il paesaggio con costruzioni eccessivamente invasive e antiestetiche,
a non inquinare l’ambiente, a non alterare gli habitat delle altre specie
animali e vegetali, a ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti,
piantare alberi, tutto questo fa parte di una creatività generosa e dignitosa,
che mostra il meglio dell’essere umano. Vi incoraggio nel vostro proposito di
fare della ricostruzione un’opportunità anche in questo senso: per rimediare
agli errori del passato e impostare in modo diverso i piani di crescita per il
futuro”.
L’Udienza ai rappresentanti delle popolazioni del
centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017 diventa quindi un’occasione per
riflettere su tutto il Belpaese: “È un’urgenza, credo, per tutta l’Italia”,
dice Bergoglio parlando del futuro climatico e demografico. “Accanto
all’impegno per la natalità, quello per la sicurezza idrogeologica rappresenta
un bisogno vitale, reso ancora più necessario dall’accelerazione dei
cambiamenti climatici. Entrambi i fronti sono lungimiranti, essenziali per
l’oggi e per il domani”, spiega il Pontefice. Parole che acquisiscono una particolare
rilevanza in un anno come questo, segnato dai tanti disastri ambientali che si
sono verificati nella penisola.
Demografia sostenibile: la persona al centro della città
Affrontando il tema del cambiamento climatico, spesso si
fa riferimento ai danni ambientali, finendo per ricordarsi delle conseguenze
sugli esseri umani solo quando si verificano le tragedie. Invece, come spiega
il Vescovo di Roma: “Non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico
danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli
effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni,
migrazioni forzate e in altri ambiti. Perciò, è importante da una parte
applicare tutti gli accorgimenti necessari per fermare la deriva in corso e dall’altra,
preso atto dei cambiamenti già avvenuti, provvedere a farvi fronte, a livello
sia globale sia locale”, spiega il Pontefice.
Quest’ultima è, per eccellenza, rappresentata dalle smart
cities, ma risponde prima di tutto a un concetto: “Significa rimettere la
persona al centro della città. È questa la via da seguire sempre: la persona”,
aggiunge Beroglio spiegando che questo approccio “potrà aiutare anche ad
affrontare le crisi dello spopolamento e della decrescita demografica, offrendo
la possibilità di vivere in ambienti ricchi di tutto ciò che i padri hanno
lasciato, accresciuto e impreziosito da una gestione sapiente per la comunità;
il tutto, sempre con la massima attenzione a vigilare sulla legalità degli
appalti e delle procedure, e sulla sicurezza nel lavoro”, ammonisce il
Pontefice auspicando un futuro demografico diverso, dove popolazione e
sostenibilità non siano ostacolo l’uno per l’altro, bensì validi e
indispensabili alleati. Adnkronos 24
Udienza alla Fisc. Papa Francesco: “Urgente formare uomini capaci di
relazioni sane”
Il Papa ha esortato a promuovere "una ecologia della
comunicazione", stigmatizzando la violenza contro le donne e definendo
"urgente formare uomini capaci di relazioni sane". "Al di là
delle notizie e degli scoop ci sono sempre dei sentimenti, delle storie, delle
persone in carne e ossa da rispettare come se fossero i propri parenti".
Prudenza sul web per "non cedere alla tentazione di seminare rabbia e
odio" – di M. Michela Nicolais
“Vediamo dalle tristissime cronache di questi giorni,
dalle terribili notizie di violenza contro le donne, quanto sia urgente educare
al rispetto e alla cura: formare uomini capaci di relazioni sane”. Lo ha detto
Papa Francesco, che durante l’udienza concessa alle delegazioni della
Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), dell’Unione Stampa periodica
italiana (Uspi), dell’Associazione Corallo e dell’Associazione Aiart –
Cittadini mediali, pur senza citarla direttamente, è sembrato riferirsi
alla tragica uccisione di Giulia Cecchettin. “Vi occupate di stampa,
televisione, radio e nuove tecnologie, con un impegno a educare ai media i
lettori e gli utenti”, l’esordio di Francesco: “Il vostro radicamento capillare
testimonia il desiderio di raggiungere le persone con attenzione e vicinanza,
con umanità. Anzi, direi che ben rappresentate quella geografia umana che
anima il territorio italiano”.
“La comunicazione, d’altronde, è questo: mettere in
comune, tessere trame di comunione, creare ponti senza alzare muri”, ha
ribadito il Papa esortando a “rinnovare sempre l’impegno per la promozione
della dignità delle persone, per la giustizia e la verità, per la legalità e la
corresponsabilità educativa”.
Di qui l’invito a “non perdere di vista, nel contesto
delle grandi autostrade comunicative di oggi, sempre più veloci e intasate, tre
sentieri, che è bene non perdere di vista e che vanno sempre percorsi”:
formazione, tutela e testimonianza.
“Comunicare è formare l’uomo. Comunicare è formare la
società”, il monito di Francesco ai presenti. Quello della formazione “non è un
semplice compito, ma una questione vitale”, perché “in gioco c’è il futuro
della società”, la tesi del Papa, secondo il quale “la formazione è la
strada per connettere le generazioni, per favorire il dialogo tra giovani e
anziani, quell’alleanza intergenerazionale che, oggi più che mai, è
fondamentale”. Francesco ha poi fornito precise istruzioni su “come educare, in
particolare le giovani generazioni immerse in un contesto sempre più digitale”:
“La prudenza e la semplicità sono due ingredienti
educativi basilari per orientarsi nella complessità di oggi, specialmente del
web, dov’è necessario non essere ingenui e, allo stesso tempo, non cedere alla
tentazione di seminare rabbia e odio”, la prima raccomandazione. “La prudenza,
vissuta con semplicità d’animo, è quella virtù che aiuta a vedere lontano, che
porta ad agire con ‘previsione’, con lungimiranza”, ha spiegato il Papa: “E non
ci sono corsi per avere prudenza, non si studia per avere prudenza. La prudenza
si esercita, si vive, è un atteggiamento che nasce insieme dal cuore e dalla
mente, e poi si sviluppa. La prudenza, vissuta con semplicità d’animo, sempre
ci aiuta ad avere lungimiranza”.
“I settimanali cattolici portano questo sguardo sapiente
nelle case della gente”, l’omaggio del Papa: “Non danno solo la notizia del
momento, che si brucia facilmente, ma veicolano una visione umana e una visione
cristiana volta a formare le menti e i cuori, perché non si lascino deformare
dalle parole urlate o da cronache che, passando con curiosità morbosa dal nero
al rosa, trascurano la limpidità del bianco”. “Vi incoraggio a promuovere una
ecologia della comunicazione nei territori, nelle scuole, nelle famiglie, tra
di voi”, l’invito: “Voi avete la vocazione di ricordare, con uno stile semplice
e comprensibile, che, al di là delle notizie e degli scoop, ci sono sempre dei
sentimenti, delle storie, delle persone in carne e ossa da rispettare come se
fossero i propri parenti”.
Nel campo della comunicazione, “è fondamentale promuovere
strumenti che proteggano tutti, soprattutto le fasce più deboli, i minori, gli
anziani e le persone con disabilità, e li proteggano dall’invadenza del
digitale e dalle seduzioni di una comunicazione provocatoria e polemica”.
“Nella comunicazione digitale si vuole mostrare tutto ed ogni individuo diventa
oggetto di sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera
anonima”, la denuncia contenuta nella “Fratelli tutti”, ricordata dal Papa
durante l’udienza: “Il rispetto verso l’altro si sgretola e in tal modo, nello
stesso tempo in cui lo sposto, lo ignoro e lo tengo a distanza, senza alcun
pudore posso invadere la sua vita fino all’estremo”.
“Le vostre realtà, impegnate in questo settore, possono
far crescere una cittadinanza mediale tutelata, possono sostenere presidi di
libertà informativa e promuovere la coscienza civica, perché siano riconosciuti
diritti e doveri anche in questo campo”, la tesi di Francesco, secondo il quale
si tratta di “una questione di democrazia comunicativa”. “E questo, per favore,
fatelo senza paura, come Davide contro Golia”, l’incoraggiamento del Papa:
“Non giocate solo in difesa ma, rimanendo piccoli dentro, pensate in grande,
perché a un compito grande siete chiamati: tutelare, attraverso le parole e le
immagini, la dignità delle persone, specialmente la dignità dei piccoli e dei
poveri, i preferiti di Dio”.
“La fedeltà al Vangelo postula la capacità di rischiare
nel bene. E di andare controcorrente: di parlare di fraternità in un mondo
individualista; di pace in un mondo in guerra; di attenzione ai poveri in un
mondo insofferente e indifferente”, la ricetta finale per il mondo della
comunicazione. “Ma questo si può fare credibilmente solo se prima si testimonia
ciò di cui si parla”, il monito sulla scorta del beato Carlo Acutis, che
“sapeva molto bene che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità
e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti
addormentati, dipendenti dal consumo e dalle novità che possiamo comprare,
ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività. Lui però ha saputo
usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, per
comunicare valori e bellezza”. Sir 23
Myanmar: mons. Kung (Hakha), “la guerra è un suicidio politico”
“La guerra è un suicidio politico”. È il “messaggio”
arrivato oggi al Sir del vescovo di Hakha, mons. Lucius Hre Kung, di rientro da
una visita pastorale nelle aree più remote della sua diocesi “dove non c’è
internet”. Riesce quindi a rispondere solo oggi alle parole pronunciate
domenica scorsa da Papa Francesco che ha lanciato un appello per il Myanmar
dove – ha detto – la popolazione “continua a soffrire a causa di violenze e
soprusi”. “La violenza e i soprusi derivanti dai conflitti politici gettano
un’ombra oscura, lasciando le comunità fratturate e gli individui alle prese
con il profondo impatto di tali disordini. In seguito a questi conflitti, le
vite vengono sconvolte, le famiglie distrutte e il tessuto stesso della società
messo a dura prova”. Ad Hakha che è la capitale dello Stato Chin, “le nostre
chiese non sono state distrutte” ma durante l’operazione militare alcune sono
state distrutte in diversi luoghi. “Dopo l’invasione della Russia in
Ucraina e la guerra a Gaza si dice e si sente che il Myanmar è stato
dimenticato dai leader mondiali e dalle organizzazioni umanitarie”, testimonia
il vescovo Kung. “Solo Papa Francesco dimostra di essere un rappresentante del
Padre Celeste ricco di misericordia”. Ma la situazione del Paese è drammatica.
“La popolazione colpita ha bisogno di cibo, alloggio, assistenza medica e
istruzione per i giovani. Le persone necessitano di supporto psicosociale,
anche le infrastrutture devono essere risistemate per poter fornire servizi di
base, ripristinare un senso di normalità e fornire servizi essenziali. In
questo tempo di conflitto, occorre mettere in atto la promozione di iniziative
di costruzione della pace, il sostegno ai mezzi di sussistenza e la
cooperazione internazionale e la diplomazia”. La voce del Papa è importante,
osserva il vescovo birmano. “Chiedo che sia ascoltata. Lo chiedo a nome del
popolo, per la pace e la riconciliazione del Paese”. “La guerra sempre, sempre,
sempre è una sconfitta”, ha detto Francesco all’Angelus di domenica. “È vero al
cento per cento”, risponde il vescovo. “Oggi è con i nostri occhi che
testimoniamo quanto affermato dal Santo Padre. Le conseguenze durature della
guerra, che influiscono non solo sugli obiettivi immediati ma anche sulla
stabilità e sul benessere a lungo termine, sottolineano l’idea che entrambe le
parti ne escono sconfitte. La guerra, a mio avviso, è un suicidio politico”.
Era il 1° febbraio 2021, quando l’esercito del Myanmar,
chiamato Tatmadaw, ha imposto un cambio di regime nel Paese. Gli ultimi due
anni nel Myanmar sono stati caratterizzati da una ferma repressione da parte
dell’esercito di ogni forma di protesta, procedendo con arresti, torture e
uccisioni su una base del tutto arbitraria, sino ad arrivare ad attacchi
terrestri e aerei sulla popolazione civile. Amnesty International ha contato
circa 3.000 vittime in questi due anni di agitazioni, oltre ad aver stimato che
le persone in stato di detenzione sono 13.000 e che si possa parlare di circa 1
milione e mezzo di sfollati. M.Chiara Biagioni, Sir 23
Formazione, tutela e testimonianza le linee guida per la stampa cattolica
Il Papa incontra esponenti delle sigle dei settimanali
cattolici e delle associazioni media. Tre linee guida, la necessità di formare
alla cura a seguito delle cronache di violenza, e in particolare di violenza
sulle donne - Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Formazione, tutela e testimonianza:
sono le tre linee guida che Papa Francesco dà alla stampa cattolica, che lo
incontra oggi al Palazzo Apostolico. Dal Papa sono le Delegazioni della
Federazione Italiana Settimanali Cattolici (FISC), dell’Unione Stampa Periodica
Italiana (USPI), dell’Associazione “Corallo” e dell’Associazione “Aiart –
Cittadini mediali”. Papa Francesco approfitta per un discorso sul senso dei
media cattolici, e sul loro ruolo in società, chiedendo di promuovere una
“ecologia della comunicazione”, e sottolineando come “dalle tristissime
cronache di questi giorni, dalle terribili notizie di violenza contro le donne”
si noti “quanto sia urgente educare al rispetto e alla cura: formare uomini
capaci di relazioni sane”.
Guardando alle sigle che si presentano da lui, Papa
Francesco ne approva il “radicamento capillare”, sottolinea che la
comunicazione è “mettere in comune, tessere trame di comunione, creare ponti
senza alzare muri”, ricorda che le innovazioni che richiedono un continuo
rinnovamento dell’impegno “per la promozione della dignità delle persone, per
la giustizia e la verità, per la legalità e la corresponsabilità educativa”.
La prima linea guida è quella della formazione,
“questione vitale”, perché “in gioco c’è il futuro della società”, ispirandosi
al passo del Vangelo che chiede di essere “prudenti come i serpenti e semplici
come colombe”.
Quindi, dice Papa Francesco, “prudenza e semplicità”, la
prima è una virtù che “aiuta a vedere lontano”, ed è quello cui sono chiamati i
settimanali cattolici, i quali “portano questo sguardo sapiente nelle case
della gente: non danno solo la notizia del momento, che si brucia facilmente,
ma veicolano una visione umana e, una visione cristiana volta a formare le
menti e i cuori, perché non si lascino deformare dalle parole urlate o da
cronache che, passando con curiosità morbosa dal nero al rosa, trascurano la
limpidità del bianco”.
Papa Francesco chiede dunque di promuovere una “ecologia
della comunicazione” nei territori, nelle scuole, nelle famiglie, tra di voi,
ricordando “con uno stile semplice e comprensibile, che, al di là delle notizie
e degli scoop, ci sono sempre dei sentimenti, delle storie, delle persone in
carne e ossa da rispettare come se fossero i propri parenti”.
Quindi, Papa Francesco parla della tutela. È
fondamentale, dice Papa Francesco, “promuovere strumenti che proteggano tutti,
soprattutto le fasce più deboli, i minori, gli anziani e le persone con
disabilità, e li proteggano dall’invadenza del digitale e dalle seduzioni di
una comunicazione provocatoria e polemica”.
Il Papa chiede che le realtà cattoliche sono chiamate a
far crescere “una cittadinanza mediale tutelata”, sostenendo “presidi di
libertà informativa e promuovere la coscienza civica, perché siano riconosciuti
diritti e doveri anche in questo campo”, per “questione di democrazia
comunicativa”.
Infine, la testimonianza. L’esempio è il Beato Carlo
Acutis, un giovane che “non è caduto in trappola, ma è diventato un testimone
della comunicazione”.
“La testimonianza – afferma Papa Francesco - è profezia,
è creatività, che libera e spinge a rimboccarsi le maniche, a uscire dalle
proprie zone di tranquillità per rischiare. Sì, la fedeltà al Vangelo postula
la capacità di rischiare nel bene”.
Il cattolico, aggiunge il Papa, va controcorrente, parla
“di fraternità in un mondo individualista; di pace in un mondo in guerra; di
attenzione ai poveri in un mondo insofferente e indifferente. Ma questo si può
fare credibilmente solo se prima si testimonia ciò di cui si parla”. Aci 23
È molto difficile in questi giorni trovare la giusta
prospettiva da cui guardare l’orizzonte. Le notizie di cronaca sembrano
sopraffare qualsiasi spiraglio. Ed è proprio questa complessità a dare senso a
quanti sono impegnati nel mondo della comunicazione e dell’informazione. C’è un
messaggio da cogliere e trasmettere: ogni forma di violenza è negazione
dell’umanità. Senza appello! Soprattutto quando questa viene esercitata su chi
trasmette la vita. Ed ecco la forza del silenzio, spezzato anche dal rumore, che
ha unito le diverse manifestazioni. Silenzio e rumore non sono in
contraddizione, ma si intersecano quasi a tracciare un percorso che conduce
all’intimità del cuore. È quella la sede da curare e custodire per poter
tornare a guardare l’orizzonte.
Vincenzo, uncs 22
Papa Francesco incontra israeliani e palestinesi. "Soffrono tanto,
questo è terrorismo"
Il Papa ha dedicato l'udienza di oggi al tema
dell'annuncio. Prima di arrivare in piazza San Pietro, come ha rivelato lui
stesso ai fedeli, ha ricevuto, in due momenti distinti, i parenti degli ostaggi
israeliani nelle mani di Hamas a Gaza dal giorno del terribile attacco del 7
ottobre e un gruppo di familiari di palestinesi che soffrono per il conflitto
nella Striscia - M. Michela Nicolais
“Non dimentichiamo di perseverare nella preghiera per
quanti soffrono a causa delle guerre in tante parti del mondo, specialmente per
le care popolazioni dell’Ucraina, la martoriata Ucraina, di Israele e della
Palestina”. È l’appello di Papa Francesco al termine dell’udienza di oggi,
durante i saluti ai fedeli di lingua italiana. “Questa mattina ho ricevuto due
delegazioni, una di israeliani che hanno parenti con ostaggi a Gaza e un’altra
di palestinesi che hanno dei parenti prigionieri in Israele”, ha rivelato il Papa
ai fedeli riguardo a quanto è accaduto prima dell’udienza del mercoledì. “Loro
soffrono tanto”, ha proseguito: “E ho sentito come soffrono ambedue”.
“Le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le
guerre”, la denuncia del Papa: “Questo non è guerreggiare, è terrorismo”. “Per
favore, andiamo avanti per la pace, pregate tanto per la pace”, l’invito ai
fedeli: “Che il Signore metta mano lì, che il Signore ci aiuti a risolvere i
problemi e a non andare avanti con le passioni che alla fine uccidono tutti.
Preghiamo per il popolo palestinese, preghiamo per il popolo israeliano, perché
venga la pace”.
“L’annuncio cristiano è gioia per tutti”, e i cristiani
non sono dei “privilegiati”, l’esordio della catechesi pronunciata in piazza
San Pietro e dedicata a questo tema. “Quando incontriamo veramente il Signore
Gesù, lo stupore di questo incontro pervade la nostra vita e chiede di essere
portato al di là di noi”, ha spiegato Francesco: “Questo egli desidera, che il
suo Vangelo sia per tutti. In esso, infatti, c’è una potenza umanizzatrice, un
compimento di vita che è destinata ad ogni uomo e ogni donna, perché per tutti
Cristo è nato, è morto, è risorto. Per tutti, nessuno escluso”. Poi la
citazione dell’Evangelii gaudium, che in questi giorni compie dieci anni:
“Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di
annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo,
bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un
banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per
attrazione”. “Sentiamoci al servizio della destinazione universale del
Vangelo – è per tutti – e distinguiamoci per la capacità di uscire da noi
stessi”, l’invito del Papa, secondo il quale “un annuncio, per esser vero
annuncio, deve uscire dall’egoismo proprio” e deve avere “la capacità di
superare ogni confine”.
“I cristiani si ritrovano sul sagrato più che in
sacrestia, e vanno per le piazze e per le vie della città”,
ha raccomandato Francesco: “I cristiani devono essere
aperti ed espansivi, i cristiani devono essere estroversi, e questo loro
carattere viene da Gesù, che ha fatto della sua presenza nel mondo un cammino
continuo, finalizzato a raggiungere tutti, persino imparando da certi suoi
incontri”. A questo proposito, il Papa ha citato l’episodio evangelico che
narra “il sorprendente incontro di Gesù” con una donna cananea che lo supplica
di guarire la figlia malata. “Questo incontro con questa donna ha qualcosa di
unico”, ha spiegato il Papa: “Non solo qualcuno fa cambiare idea a Gesù, e si
tratta di una donna, straniera e pagana; ma il Signore stesso trova conferma al
fatto che la sua predicazione non debba limitarsi al popolo a cui appartiene,
ma aprirsi a tutti”.
“Noi non possiamo dire che siamo privilegiati nei
confronti degli altri: la chiamata è per un servizio, e Dio sceglie uno per
arrivare a tutti”, il monito a braccio, insieme all’esortazione a “prevenire la
tentazione di identificare il cristianesimo con una cultura, con un’etnia, con
un sistema. Non è un gruppetto di eletti di prima classe: Dio sceglie qualcuno
per chiamare tutti. Questo orizzonte dell’universalità.
Il Vangelo non è solo per me, è per tutti, non lo
dimentichiamo”. “La Bibbia ci mostra che quando Dio chiama una persona e
stringe un patto con alcuni il criterio è sempre questo: elegge qualcuno per
raggiungere altri”, ha ricordato il Papa: “Questo è il criterio di Dio, della
chiamata di Dio. Tutti gli amici del Signore hanno sperimentato la bellezza ma
anche la responsabilità e il peso di essere scelti da lui. Tutti hanno provato
lo scoraggiamento di fronte alle proprie debolezze o la perdita delle loro
sicurezze. Ma la tentazione più grande è quella di considerare la chiamata
ricevuta come un privilegio: per favore no, la chiamata non è un privilegio,
mai!”. Sir 22
Europa, cresce l’odio anti-cristiano
Preoccupanti numeri diffusi dall’Osservatorio
sull’Intolleranza e la Discriminazione Anti-Cristiana in Europa. Aumento
esponenziale degli attacchi anti-cristiani. In crescita di crimini di odio - Di
Andrea Gagliarducci
Vienna. Nel 2022, i crimini di odio contro i cristiani
hanno raggiunto 748 casi documentati, con un aumento del 44 per cento rispetto
al 2021, quando si erano registrati 519 crimini di odio. In aumento
esponenziale anche i casi di incendio doloso alle chiese, che ha registrato un
più 75 per cento tra il 2021 e il 2022. Sono i dati del Rapporto Annuale
dell’Osservatorio per l’Intolleranza e la Discriminazione contro i Cristiani in
Europa.
Basato a Vienna, diretto da quest’anno da Anja Hoffman,
l’osservatorio fornisce una fotografia potente e reale della situazione dei
cristiani in Europa. Ogni settimana, raccoglie notizie di episodi di
discriminazione e intolleranza, utilizzando fonti aperte, e mettendo in luce
una realtà sotto gli occhi di tutti, eppure poco conosciuta. I cristiani sono,
alla fine, la religione più perseguitata al mondo, come dicono i vari rapporti
sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre o Open Doors, e lo
confermano anche i dati dell’ultimo Rapporto Annuale dell’OSCE sui Crimini di
Odio, che ha documentato 792 casi di odio anticristiano in 34 Paesi europei.
Preoccupante la crescita dei casi di incendio doloso,
passati dai 60 del 2021 ai 105 del 2022, con un aumento del 75 per cento.
Questi attacchi si concentrano soprattutto in Germania, e poi in Francia,
Italia e Regno Unito.
Secondo Anja Hoffman, i crimini di odio, soprattutto
quelli vandalici, sono collegati all’estremismo che deriva anche da una
maggiore accettazione dell’attacco alle chiese nella società. “Mentre –
racconta il direttore dell’Osservatorio – le motivazioni degli atti vandalici e
della profanazione delle Chiese sono rimasti poco chiari, ora invece notiamo
che sempre più perpetratori lasciano messaggi che rivelano l’appartenenza a
frange estremiste e rivendicano persino orgogliosamente la paternità dei
crimini commessi. Si tratta spesso di membri radicalizzati di gruppi che seguono
una narrazione anti-cristiana”.
Regina Polak, rappresentante OSCE per la lotta al
razzismo, alla xenofobia e alla discriminazione, ha espresso preoccupazione per
il sempre più crescente numero di casi di odio anticristiano denunciati
dall’Osservatorio, e ha sottolineato che “è altamente necessario aumentare la
consapevolezza sia del governo che della società per affrontare e combattere
questo problema con decisione”.
Il rapporto affronta anche il tema delle diverse forme di
discriminazione religiosa. Nell’ultimo anno, diversi cristiani hanno perso il
lavoro, sono stati sospesi o addirittura hanno affrontato cause penali per aver
espresso in pubblico opinioni religiose non violente, in particolare sui temi
del matrimonio e della famiglia allorquando si affermava in pubblico che il
matrimonio è tra uomo e donna e che l’identità sessuale è costituita da uomo e
donna.
Sono tutte opinioni passabili di procedimento penale, ed
è un fatto, ha detto Hofmann, “altamente grave”, anche perché le legislazioni
dei Paesi “usano un linguaggio molto vago o definizioni poco chiare
sull’incitamento all’odio”.
L’Osservatorio ha segnalato in particolare i
licenziamenti degli insegnanti Ben Dybowski e Joshua Sutcliffe, nonché del
reverendo Bernard Randall, cappellano di una scuola. Tutti i licenziamenti sono
avvenuti per le loro convinzioni sull’identità di genere e sulla famiglia.
Anja Hoffman denuncia che “silenziare le voci cristiane
in pubblico mina la pluralità delle società democratiche occidentali e rende
impossibile un discorso libero”.
Altre limitazioni alla libertà religiosa vengono dai
progetti di legge sulle cosiddette “zone cuscinetto” (le cosiddette buffer
areas), che si trovano soprattutto nel Regno Unito e che criminalizzano la
preghiera e le manifestazioni religiose, come per esempio le iniziative di
preghiera intorno alle critiche per l’aborto.
L’Osservatorio ha descritto come “particolarmente
sorprendente” l’arresto Isabel Vaughan-Spruce, arrestata in una delle zone
cuscinetto e interrogata se stesse pregando nella sua mente. L’arresto è
esemplificativo della preoccupazione per la criminalizzazione di episodi di
“odio non violento” nel Regno Unito.
Altre forme di discriminazione sono quelle che violano il
diritto dei genitori di educare i bambini in conformità con le proprie
convinzioni religiose e la limitazione della libertà di coscienza attraverso
l’eliminazione delle clausole di coscienza dalle disposizioni esistenti nelle
leggi mediche. Aci 22
Papa Francesco: “La povertà è uno scandalo”
La Giornata Mondiale dei poveri, l’omelia del Papa - Di
Veronica Giacometti
Città del Vaticano. L’omelia del Papa in questa VII
Giornata Mondiale dei Poveri parte dal Vangelo odierno. “Tre uomini si
ritrovano nelle mani un’enorme ricchezza, grazie alla generosità del loro
signore che è in partenza per un lungo viaggio. Quel padrone, però, un giorno
ritornerà e chiamerà nuovamente quei servi, nella speranza di poter gioire con
loro per come nel frattempo hanno fatto fruttare i suoi beni”.
Francesco, nella Basilica di San Pietro, invita i fedeli
a soffermarsi su due percorsi: il viaggio di Gesù e il viaggio della nostra
vita.
Il viaggio di Gesù. “All’inizio della parabola, Egli
parla di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò
loro i suoi beni. Questo “viaggio” fa pensare al mistero stesso di Cristo, Dio
fatto uomo, alla sua risurrezione e ascensione al Cielo. Egli, infatti, che è
disceso dal seno del Padre per venire incontro all’umanità, morendo ha
distrutto la morte e, risorgendo, è ritornato al Padre. Ci ha lasciato se
stesso nell’Eucaristia…In nostro favore. Gesù ha vissuto per noi, in nostro
favore. Ecco che cosa ha animato il suo viaggio nel mondo prima di tornare al
Padre”, dice il Pontefice.
“E allora, dobbiamo chiederci: come ci troverà il Signore
quando tornerà? Come mi presenterò all’appuntamento con Lui? Questo
interrogativo ci porta al secondo momento: il viaggio della nostra vita. Quale
strada percorriamo noi, quella di Gesù che si è fatto dono oppure la strada
dell’egoismo? Quella delle mani aperte verso gli altri o quella delle mani
chiusi ? Il grande “capitale” che ci è stato messo nelle mani è l’amore del Signore,
fondamento della nostra vita e forza del nostro cammino. E allora dobbiamo
chiederci: che ne faccio di un dono così grande lungo il viaggio della mia
vita?”Io come cristiano so’ rischiare o mi chiudo in me stesso? sottolinea
ancora Francesco.
“In questa Giornata Mondiale dei Poveri la parabola dei
talenti è un monito per verificare con quale spirito stiamo affrontando il
viaggio della vita”, dice il Papa a San Pietro.
Il messaggio del Papa è chiaro. “Colmati di doni, siamo
chiamati a farci dono. Le immagini usate dalla parabola sono molto eloquenti:
se non moltiplichiamo l’amore attorno a noi, la vita si spegne nelle tenebre”.
“Pensiamo allora alle tante povertà materiali, culturali
e spirituali del nostro mondo, alle esistenze ferite che abitano le nostre
città, ai poveri diventati invisibili, il cui grido di dolore viene soffocato
dall’indifferenza generale di una società indaffarata e distratta. La povertà è
pudica, si nasconde. Dobbiamo cercarla noi con coraggio. Pensiamo a quanti sono
oppressi, affaticati, emarginati, alle vittime delle guerre e a coloro che
lasciano la loro terra rischiando la vita; a coloro che sono senza pane, senza
lavoro e senza speranza. Tante povertà quotidiane. Sono moltitudine. Pensando a
questa immensa moltitudine di poveri, il messaggio del Vangelo è chiaro: non
sotterriamo i beni del Signore!”, aggiunge ancora il Papa.
“Mettiamo in circolo la carità, condividiamo il nostro
pane, moltiplichiamo l’amore! La povertà è uno scandalo”, conclude il Papa.
Quest’anno la Giornata mondiale dei Poveri vedrà una più
diretta partecipazione del Dicastero per il Servizio della Carità. Infatti il
Santo Padre ha accolto la richiesta perché i molteplici gesti di carità nella
Diocesi di Roma venissero svolti dal Dicastero per il Servizio della Carità
insieme all’organizzazione del pranzo con i Poveri che Papa Francesco ospiterà
come sempre nell’Aula Paolo VI dopo la celebrazione eucaristica. Il Pranzo
quest’anno sarà offerto da Hilton Hotels in Italia. Aci 19
"L'Italia purtroppo è un Paese che invecchia:
speriamo che si possa invertire la tendenza, creando condizioni favorevoli
perché i giovani abbiano più fiducia e ritrovino il coraggio e la
gioia di diventare genitori". Così Papa Francesco ricevendo i
membri dell'Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani (Aooi) e della
Federazione Italiana Medici Pediatrici (Fimp). "Forse questo non dovrei dirlo
- ha poi aggiunto a braccio il Pontefice -, ma lo dico: oggi si preferisce
avere un cagnolino che un figlio. Il vostro compito è molto limitato, ma
cresce quello dei veterinari! E questo non è un buon
segnale".
Frasi che fanno insorgere i veterinari: ''La società
è cambiata, anche le esigenze, e cani e gatti oggi sono diventati ormai
indispensabili. Specie nelle grandi città, dove regna l'anonimato, sono un
antidoto alla solitudine. Per rimanere nella battuta - osserva all'Adnkronos
Zaccaria Di Taranto, a capo della Federazione Medici veterinari e vice
segretario del Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica - per noi è
tutt'altro che un brutto segnale''.
Il veterinario, fuori di battuta, considera: ''Ormai in
ogni famiglia, principalmente per le persone anziane, c'è un cane. E poi
le esigenze sono notevolmente cambiate rispetto a tanti anni fa. C'è anche più
cura nei confronti degli animali domestici. Ed e vero, il nostro lavoro e'
cresciuto in modo esponenziale''.
Di Taranto osserva: ''Le persone sono sempre più sole,
l'animale da compagnia diventa indispensabile. Un discorso che vale soprattutto
in riferimento alle grandi città: nei condomini, dove quasi non ci si saluta,
non ci si conosce, c'è molto anonimato e a volte una riservatezza esagerata
rispetto a come eravamo abituati tanti anni fa''. Il presidente della
Federazione Medici veterinari rileva ancora: ''Ormai anche nei ristoranti si
porta il cane o il gatto. Sono pochi quelli che espongo il divieto
oramai impopolare''.
Anche l’Organizzazione internazionale protezione
animali (Oipa) ha commentato le parole del Pontefice: "Una delle varie
esternazioni di questo papa che sembra ritenere l’amore come limitato
quantitativamente, come se, dandolo a un animale, lo si tolga ad altri.
Contrapporre i figli a cani e gatti rivela la poca empatia nei confronti degli
animali di un pontefice che pure ha preso il nome di Francesco, come
il Santo d’Assisi che chiamava tutte le creature 'fratelli” e
sorelle'".
L'associazione sottolinea come sia "evidente
che per Francesco la vita animale è meno importante della vita umana. Ma chi
sente che la vita è sacra ama la vita al di là delle specie" e l'OIpa
ricorda "infine come sia preziosa la presenza degli animali nelle
nostre esistenze, animali che collaborano inoltre nella società come il cane
molecolare della Protezione civile che ha trovato il corpo senza vita
di Giulia Cecchettin". LS 19
Battesimo, transessuali, coppie omogenitoriali
Le persone transessuali possono essere battezzate e anche
i figli di coppie omogenitoriali. È quanto afferma il recente documento della
Congregazione per la dottrina della fede e approvato da papa Francesco,
rispondendo ad alcune domande poste al dicastero dal vescovo di Santo Amaro
(Brasile), José Negri.
Le risposte «ripropongono, in buona sostanza, i contenuti
fondamentali di quanto, già in passato, è stato affermato in materia da questo
Dicastero».
„Il battesimo «è la porta che permette a Cristo Signore
di stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero» .
Questo implica concretamente che «nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero
chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di
quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo […] la Chiesa non è una dogana,
è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa»“.
Queste le questioni del vescovo brasiliano sottoposte al
dicastero:
1. Un transessuale può essere battezzato?
Un transessuale – che si fosse anche sottoposto a
trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso –
può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non
vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o
disorientamento nei fedeli. Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche
di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il
Battesimo.
Nel contempo, occorre considerare quanto segue,
specialmente quando vi sono dei dubbi sulla situazione morale oggettiva in cui
si trova una persona, oppure sulle sue disposizioni soggettive verso la grazia.
Nel caso del Battesimo, la Chiesa insegna che, quando il sacramento viene
ricevuto senza il pentimento per i peccati gravi, il soggetto non riceve la
grazia santificante, sebbene riceva il carattere sacramentale. Il Catechismo
afferma: «Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo
Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione
positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come
vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa».
San Tommaso d’Aquino insegnava, infatti, che quando
l’impedimento alla grazia scompare, in qualcuno che ha ricevuto il Battesimo senza
le giuste disposizioni, il carattere stesso «è una causa immediata che dispone
ad accogliere la grazia». Sant’Agostino di Ippona richiamava questa situazione
dicendo che, anche se l’uomo cade nel peccato, Cristo non distrugge il
carattere ricevuto da questi nel Battesimo e cerca (quaerit) il peccatore, nel
quale è impresso questo carattere che lo identifica come sua proprietà.
Così possiamo comprendere perché Papa Francesco ha voluto
sottolineare che il battesimo «è la porta che permette a Cristo Signore di
stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero» . Questo
implica concretamente che «nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero
chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di
quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo […] la Chiesa non è una dogana,
è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».
Allora, anche quando rimangono dei dubbi circa la
situazione morale oggettiva di una persona oppure sulle sue soggettive
disposizioni nei confronti della grazia, non si deve mai dimenticare
quest’aspetto della fedeltà dell’amore incondizionato di Dio, capace di
generare anche col peccatore un’alleanza irrevocabile, sempre aperta ad uno
sviluppo, altresì imprevedibile. Ciò vale persino quando nel penitente non
appare in modo pienamente manifesto un proposito di emendamento, perché spesso
la prevedibilità di una nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del
proposito». In ogni caso, la Chiesa dovrà sempre
richiamare a vivere pienamente tutte le implicazioni del
battesimo ricevuto, che va sempre compreso e dispiegato all’interno dell’intero
cammino dell’iniziazione cristiana.
2. Un transessuale può essere padrino o madrina di
battesimo?
A determinate condizioni, si può ammettere al compito di
padrino o madrina un transessuale adulto che si fosse anche sottoposto a
trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso. Non
costituendo però tale compito un diritto, la prudenza pastorale esige che esso
non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite
legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità
ecclesiale.
3. Un transessuale può essere testimone di un matrimonio?
Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica
universale che proibisca ad una
persona transessuale di essere testimone di un
matrimonio.
4. Due persone omoaffettive possono figurare come
genitori di un bambino, che
deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con
altri metodi come l’utero
in affitto?
Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la
fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica (cf. can. 868 § 1,
2 o CIC; can. 681, § 1, 1o CCEO).
5. Una persona omoaffettiva e che convive può essere
padrino di un battezzato?
A norma del can. 874 § 1, 1o e 3o CIC, può essere padrino
o madrina chi ne possegga l’attitudine (cf. 1o ) e «conduce una vita conforme
alla fede e all’incarico che assume» (3o; cf. can. 685, § 2 CCEO). Diverso è il
caso in cui la convivenza di due persone omoaffettive consiste, non in una
semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio,
ben conosciuta dalla comunità. In ogni caso, la debita prudenza pastorale esige
che ogni situazione sia saggiamente ponderata, per salvaguardare il sacramento
del battesimo e soprattutto la sua ricezione, che è bene prezioso da tutelare,
poiché necessaria per la salvezza.
Nello stesso tempo, occorre considerare il valore reale
che la comunità ecclesiale
conferisce ai compiti di padrino e madrina, il ruolo che
questi hanno nella comunità e la considerazione da loro mostrata nei confronti
dell’insegnamento della Chiesa. Infine, è da tenere in conto anche la
possibilità che vi sia un’altra persona della cerchia famigliare a farsi
garante della corretta trasmissione al battezzando della fede cattolica,
sapendo che si può comunque assistere il battezzando, durante il rito, non solo
come padrino o madrina ma, altresì, come testimoni dell’atto battesimale.
6. Una persona omoaffettiva e che convive può essere
testimone di un matrimonio?
Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica
universale che proibisca ad una
persona omoaffettiva e che convive di essere testimone di
un matrimonio. Udep
Castagnata alla Missione di Kempten
Kempten. Sabato, 18 Ottobre 2023, nella Sala Parrocchiale
di St. Anton di Kempten, si è svolta la tradizionale Castagnata,
organizzata dal Consiglio Pastorale della Missione Cattolica Italiana di
Kempten.
Dopo le vacanze estive questo è stato il primo incontro
conviviale della Comunità Cattolica Italiana di Kempten e dintorni, che ha
avuto luogo dopo la S. Messa prefestiva, celebrata – come ogni sabato – dal
Rettore della Missione, Padre Bruno Zuchowski, nella chiesa di St. Anton.
Celebrazione, durante la quale sono stati ricordati tutti i defunti; dei quali
resteranno esposti ai piedi dell'altare le foto per tutto il mese di novembre.
Si è inoltre pregato per le necessità e la salute di tutti e la pace nel mondo.
Subito dopo la S. Messa, il Rettore ha ringraziato i
fedeli per la loro partecipazione al Servizio Divino e li ha invitati a recarsi
nella sala parrocchiale per prendere parte alla Festa.
Come sempre, encomiabile la preparazione della sala
curata dalla Segretaria della Missione, Signora Pina Baiano, dai Coniugi
Giampiero e Gisella Trovato e dai loro Collaboratori. Appetitosi – veramente
sfiziosi – i manicaretti portati dalle Famiglie; altrettanto speciali le
caldarroste, il vino brulé (anche a base analcolica) e le diverse bevande, a
disposizione degli intervenuti, offerti dalla Missione.
Intervenuti, ai quali è stato ripetuto un cordiale saluto
dal Padrone di casa, Padre Zuchowski, che si è rallegrato per i numerosi
presenti e che ha fatto alcuni paralleli, ricordando il brano evangelico
sui Talenti, da lui commentato un'ora prima nella sua Omelia). Saluti rivolti
ai presenti anche dai Corrispondenti Consolari, nonché Membri del Consiglio
Pastorale: Comm. Antonino Tortorici (Memmingen) e Dr. Fernando A. Grasso
(Kempten); che hanno portato il saluto del Console Generale d'Italia a Monaco
di Baviera, Dr. Sergio Maffettone e brevemente illustrato le ultime novità
riguardanti l'espletamento dei documenti, a Monaco e nei loro uffici;
ricordando che gli ultrasettantenni possono accedere ai servizi consolari,
presentandosi direttamente al Consolato il mercoledì e il giovedì, usufruendo
di una corsia preferenziale.
Dopo i saluti, poi, del Presidente del Consiglio
Pastorale, Signor Giampiero Trovato e della Segretaria della Missione, Signora
Pina Baiano, i convenuti sono stati invitati a guardare con attenzione un video
girato durante l'estate dai Trovato. Una documentazione commentata anche da
Baiano in cui sono visibili le condizioni di tanti immigrati, assistiti
fraternamente da un Centro di Aggregazione Sociale (Il Cenacolo), nel Comune di
Maropati (Calabria). Per questa Associazione Trovato, prima di invitare i
presenti di servirsi del magnifico e variegato buffet e del vino brulé e delle
caldarroste, non ha mancato di chiedere un'offerta a sostegno
dell'Aggregazione: richiesta accolta con generosità da molti dei presenti. Poi
ha annunciato il proseguimento del programma della serata.
Serata che è continuata quindi in allegria
con musica e giochi preparati, organizzati e diretti dal Presidente,
validamente coadiuvato dalla Moglie Gisella, dai Figli Ruben e Désirée e da
altri Membri della Comunità Cattolica. Notevoli i risultati ottenuti da alcuni
partecipanti, tra cui un Confratello del Rettore della Missione e da uno dei
Collaboratori della Comunità.
Giochi, ai quali hanno preso parte attivamente, giovani e
meno giovani, prima dell'inizio di diversi balli, moderni e classici, nei quali
si sono cimentati numerosi presenti, da come si può vedere dalle foto che
seguono.
La serata – veramente ben riuscita – e per la quale si
ringraziano di cuore gli organizzatori, si è protratta sin dopo le 21:00
passate.
Tra i presenti, oltre alle persone già nominate: la
Signora Silvana Tortorici, Moglie del Corrispondente Tortorici; la Signora
Maria Mangano, Vedova del compianto Cav. Corrado Mangano; la Signora Emma
Grenci, Vedova del caro Amico Ilario, scomparso da anni; la Signora
Leanza; il Rag. Paolo Franco; il Signor Sergio Grimaldi; le
Famiglie: Emanuele, Mastrostefano, Cecere; la giovane Aurora Polverino;
il Signor Nicola Trifilio... e tanti, tanti altri.
Fernando A. Grasso, Membro del Consiglio Pastorale (dip
19)
Papa Francesco: “La fiducia libera, la paura paralizza”
Città del Vaticano. Come per l’Omelia tenuta durante la
Messa nella Giornata Mondiale dei poveri, anche l’Angelus odierno guidato da
Papa Francesco in Piazza San Pietro parte dal Vangelo di oggi.
“Un padrone parte per un viaggio e affida ai servi i suoi
talenti, ovvero i suoi beni: i talenti erano una moneta. Li distribuisce in
base alle capacità di ciascuno. Al ritorno chiede conto di ciò che hanno fatto.
Due di loro hanno raddoppiato quanto ricevuto e il signore li loda, mentre il
terzo, per paura, si è seppellito il suo talento e può solo restituirlo,
ragione per cui riceve un severo rimprovero. Guardando a questa parabola,
possiamo imparare due modi diversi di accostarci a Dio”, dice il Papa in piazza
San Pietro.
Il primo modo commentato dal Papa “quello di colui che
seppellisce il talento ricevuto: non sa vedere le ricchezze, egli non si fida,
né del padrone né di sé stesso”.
“Nei suoi confronti prova paura. Non vede la stima e la
fiducia che il signore ripone in lui, ma l’agire di un padrone che pretende più
di ciò che dà, di un giudice. Questa è la sua immagine di Dio: non riesce a
credere alla sua bontà”, dice il Pontefice.
Poi il secondo modo negli altri due protagonisti, che
ricambiano la fiducia del loro signore fidandosi a loro volta di lui.
“Investono tutto quello che hanno ricevuto, anche se non sanno in partenza se
tutto andrà bene, studiano vedono le possibilità , accettano il rischio”,
spiega il Papa.
“Ecco il bivio che abbiamo di fronte a Dio: paura o
fiducia. Come i protagonisti della parabola, anche noi – tutti noi abbiamo ricevuto
dei talenti, ben più preziosi del denaro. Ma molto di come li investiamo
dipende dalla fiducia nei confronti del Signore, che ci libera il cuore, ci fa
essere attivi e creativi nel bene. La fiducia libera, sempre, la paura
paralizza”, sottolinea il Papa.
Perché “la paura paralizza, la fiducia libera. E
chiediamoci: credo che Dio è Padre e mi affida dei doni perché si fida di me? E
io, confido in Lui al punto da mettermi in gioco, senza scoraggiarmi, anche
quando i risultati non sono certi né scontati? So dire ogni giorno nella
preghiera: “Signore, io confido in te!”?”, dice il Papa prima della recita
dell’Angelus.
Subito dopo il Papa passa ai consueti saluti.
"Rinnova la vicinanza al Myanmar che continua a soffrire a causa di
violenza e soprusi, non si scoraggi”, dice il Papa.
“ Continuiamo a pregare per la martoriata Ucraina e
popolazioni di Palestina e Israele, la pace è possibile, ci vuole buona volontà
! La guerra sempre è una sconfitta, soltanto guadagnano i fabbricatori armi”,
sottolinea ancora una volta il Pontefice.
“Oggi celebriamo la VII giornata mondiale dei poveri,
ringrazio le diocesi che hanno promosso iniziative di solidarietà con le
famiglie che fanno fatica ad andare avanti, ricordiamo anche le vittime della
strada, preghiamo per loro e impegniamoci a prevenire incidenti”, conclude così
il Papa questo angelus domenicale. Veronica Giacometti, Aci 19
Giornata mondiale dei poveri: mettere la nostra spalla sotto la croce degli
oppressi
Mettere la vita con la vita dei piccoli, 24 ore al
giorno, 365 giorni all’anno, ci aiuta a vivere questa vicinanza ai poveri come
via di santificazione. Essere famiglia di chi non ha famiglia, mettere al
centro la persona e non il suo limite sono gli ingredienti di una proposta di
vita aperta a tutti, in particolare alle famiglie. Don Benzi ripeteva che
"per stare in piedi bisogna stare in ginocchio", bisogna entrare in sintonia
con il Signore- di Matteo Fadda, responsabile della Comunità Giovanni XXIII
Per introdurci nella settima Giornata mondiale dei poveri
il Santo Padre ci propone la Parola di Dio tratta dal libro di Tobia “Non
distogliere lo sguardo da ogni povero” (Tb, 4, 7). Questa Parola non lascia
spazio all’indifferenza, infatti “quando siamo davanti a un povero – spiega
Papa Francesco – non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a
noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù”. L’esperienza dell’incontro
con Gesù contribuisce a muovere tanti uomini e donne di buona volontà ad
impegnarsi nell’accoglienza dei poveri “eppure non basta” ci avverte il
Pontefice, perché “un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa
sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il
grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà
si alza sempre più forte”. Questo messaggio ci scuote e ci dà un orientamento e
una chiave di lettura precisa: è la realtà, sempre più drammatica, che stiamo
vivendo in questi ultimi mesi. Il ritorno della guerra in Europa in seguito
all’invasione russa dell’Ucraina; centinaia di migliaia di persone che emigrano
in fuga da conflitti e povertà; il massacro di innocenti in Israele ed i
bombardamenti nella Striscia di Gaza. Davvero un fiume che straripa e che
sembra travolgerci. Situazioni che si aggiungono alle realtà di povertà che
abbiamo vicino alle nostre case.
L’urgenza di rimuovere le cause di tali ingiustizie,
sprona ed esorta la Comunità Papa Giovanni XXIII a “seguire Gesù, povero e
servo e a condividere la vita degli ultimi” secondo il suo specifico carisma,
ricevuto dal Signore, attraverso il fondatore don Oreste Benzi, come strumento
di evangelizzazione e come dono per tutta la Chiesa. Questa scelta vocazionale
interiore si traduce in una scelta di vita visibile che consiste proprio nel
condividere direttamente la vita con gli ultimi. Mettere la vita con la vita
dei piccoli, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, ci aiuta a vivere questa
vicinanza ai poveri come via di santificazione. Essere famiglia di chi non ha
famiglia, mettere al centro la persona e non il suo limite sono gli ingredienti
di una proposta di vita aperta a tutti, in particolare alle famiglie. Don Benzi
ripeteva che “per stare in piedi bisogna stare in ginocchio”, bisogna entrare
in sintonia con il Signore. La condivisione diretta si regge sulle ginocchia
perché è una scelta di fede e non un impegno. È in sé una proposta di
giustizia, perché camminare al passo del migrante, del disabile, dell’anziano
fa vivere sulla propria pelle le ingiustizie che loro vivono e fa prendere
coscienza dell’importanza di provare a rimuovere tali ingiustizie per una
società più giusta.
Il Santo Padre lo spiega bene nel suo messaggio: “Tobi,
nel momento della prova, scopre la propria povertà, che lo rende capace di
riconoscere i poveri. È fedele alla Legge di Dio e osserva i comandamenti, ma
questo a lui non basta. L’attenzione fattiva verso i poveri gli è possibile
perché ha sperimentato la povertà sulla propria pelle”.
Cinquant’anni fa il sacerdote dalla tonaca lisa,
infaticabile apostolo della carità come lo ha definito Benedetto XVI, aprì la
prima casa famiglia per accogliere prima i disabili, poi i bambini senza
famiglia. Una rivoluzione che di recente il Santo Padre ha spiegato ricevendoci
in udienza. “Oggi, qui con voi, – ha detto il Papa – voglio sottolineare che le
‘case famiglie’ sono nate dalla mente e dal cuore di Don Oreste Benzi. Lui era
un prete che guardava i ragazzi e i giovani con gli occhi di Gesù, con il cuore
di Gesù. E stando vicino a quelli che si comportavano male, che erano sbandati,
ha capito che a loro era mancato l’amore di un papà e di una mamma, l’affetto
dei fratelli. Allora Don Oreste, con la forza dello Spirito Santo e il
coinvolgimento di persone a cui Dio dava questa vocazione, ha iniziato
l’esperienza dell’accoglienza a tempo pieno, della condivisione della vita; e
da lì è nata quella che lui ha chiamato ‘casa famiglia’. Un’esperienza che si è
moltiplicata, in Italia e in altri Paesi, e che si caratterizza per
l’accoglienza in casa di persone che diventano realmente i propri figli
rigenerati dall’amore cristiano. Un papà e una mamma che aprono le porte di
casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non
un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita. In essa c’è posto per tutti:
minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque
cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi. La
famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle
accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni
persona”.
La relazione, “il bisogno innato di relazione”, ci porta
a mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi, dei diseredati, degli
scartati.
Quando si fa questo, allora non c’è tanto bisogno di
spiegare, di parlare. È un linguaggio universale che può essere applicato a
tutte le culture e nei più variegati contesti, è lo stile della nonviolenza che
disinnesca la violenza, è il regno della Pace che rende inutile e insensata la
guerra. Sir 18
Giornata mondiale dei poveri. Centinaia di iniziative nelle diocesi
italiane
“Non distogliere lo sguardo dal povero” è il tema della
settima edizione della Giornata mondiale dei poveri che si celebra il 19
novembre, per volontà di Papa Francesco. Caritas italiana ha messo a
disposizione un sussidio e rilancia sul suo sito tutte le iniziative
organizzate dalle diocesi italiane: convegni, pranzi o cene con le persone in
situazione di povertà, visite alle persone sole o negli ospedali, campagne di
raccolta fondi, perfino una app utile agli operatori dei centri di ascolto – di
Patrizia Caiffa
Pranzi o cene con i poveri, l’offerta di un pasto a chi è
in difficoltà, veglie di preghiera, convegni e incontri di approfondimento,
visite agli anziani soli, alle persone sole negli ospedali, ai giovani con
fragilità, campagne di raccolta fondi, perfino una app con informazioni utili
per gli operatori dei centri di ascolto: sono innumerevoli le iniziative che si
stanno organizzando in tutte le diocesi italiane in occasione della settima
edizione della Giornata mondiale dei poveri, voluta da Papa Francesco, che si
celebra il 19 novembre. Il tema di quest’anno è: “Non distogliere lo sguardo
dal povero” (Tb 4,7). Caritas italiana ha messo a disposizione un
sussidio (scaricabile qui) e segnala sul suo sito tutte le iniziative nelle
diocesi italiane.
Papa Francesco: “Momenti di incontro e di amicizia, di
solidarietà e aiuto concreto”. “Al termine del Giubileo della Misericordia ho
voluto offrire alla Chiesa la Giornata mondiale dei poveri, perché in tutto il
mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della
carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi – scriveva Papa Francesco il
13 giugno 2017 presentando questa iniziativa -. Desidero che le comunità
cristiane, nella settimana precedente la Giornata mondiale dei poveri, si
impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di
aiuto concreto. In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri
che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio
per incontrare il Dio che cerchiamo”.
Nel sussidio di Caritas italiana vengono proposti testi e
testimonianze per strutturare un dialogo all’interno delle proprie comunità,
tra cui pregare il rosario nella comunità e animare la celebrazione eucaristica
domenicale con preghiere dei fedeli attinenti alla giornata e una catechesi per
i giovani e i ragazzi sulla povertà. I ragazzi vengono invitati a scoprire chi
sono i poveri che incontrano nella quotidianità: chi vive ai margini o in
situazioni disagio, chi non ha relazioni né amicizie a scuola.
Alcune iniziative nelle diocesi. Impossibile elencare
tutto il fervore che c’è nelle varie diocesi, da Nord a Sud. Ne segnaliamo
alcune. La Caritas diocesana di Asti ha organizzato per domenica 19 novembre al
Foyer delle famiglie un pranzo di fraternità con 110 commensali, tra cui
persone in situazione di povertà e volontari. A pranzo ci sarà anche padre
Marco Prastaro, vescovo di Asti. A Reggio Emilia il 18 novembre è tenuto il
convegno delle Caritas parrocchiali (ore 9, nella parrocchia del Sacro Cuore in
via Mons. Baroni, 1), con la presenza del vescovo di Reggio Emilia-Guastalla,
mons. Giacomo Morandi. La Caritas reggiana ha accolto l’invito della
Pallacanestro Reggiana e 10 persone fra volontari e persone accolte nelle
Locande andranno a vedere la partita di basket insieme. A Pescara-Penne, sempre
il 18 novembre, dalle 9 presso la Sala Tosti del centro Aurum si è tenuto il
convegno “Raccontare le povertà”, organizzato e promosso dalla Caritas
diocesana in collaborazione con il Banco Alimentare d’Abruzzo. La Caritas
diocesana di Faenza-Modigliana lancia la nuova campagna “Aiutaci ad aiutare!” a
favore delle azioni che ogni giorno la Caritas svolge a favore delle persone in
povertà. Tramite donazioni materiali e disponibilità di tempo da dedicare al
volontariato tutti possono dare un importante contributo ai servizi che ogni
giorno la Caritas offre: dalla mensa alla distribuzione viveri e vestiti fino
al dormitorio notturno o all’ambulatorio medico.
A Cassano all’Jonio, dopo un primo incontro il 7 novembre
sulla figura di don Lorenzo Milani e il suo impegno contro la povertà
educativa, si svolgerà il 19 novembre alle ore 11, presso la parrocchia di San
Girolamo, la messa presieduta dal vescovo, mons. Francesco Savino. A seguire ci
sarà un pranzo di condivisione e di solidarietà. A Lamezia Terme il 23 novembre,
alle ore 17, presso il complesso interparrocchiale San Benedetto, la Caritas
diocesana celebrerà la Giornata insieme al vescovo, mons. Serafino Parisi, don
Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, e don Fabio Stanizzo, direttore
della Caritas diocesana, per poi inaugurare i locali del Centro diurno. A Como
si è svolto il 18 novembre il convegno “Come la carità costruisce comunità”
(ore 9, al Centro Cardinal Ferrari di viale C. Battisti 8). A Iglesias si
terranno adorazioni eucaristiche, veglie di preghiera diocesane in diverse
parrocchie presiedute dal card. Arrigo Miglio. A Gorizia ci sarà una veglia con
il vescovo (ore 20.30) presso la chiesa di Santa Maria Assunta (Padri
Cappuccini) in piazza San Francesco, con riflessioni sul tema della povertà
educativa. Al termine verrà consegnato il mandato agli animatori della carità
delle varie parrocchie. La Caritas della diocesi di Vittorio Veneto ha pensato
ad alcune iniziative e sussidi e domenica 19 novembre, alle ore 13, organizza
un pranzo presso la Casa dello Studente con le persone seguite dalla Caritas
diocesana. Sempre in Veneto, tra le varie iniziative, sarà lanciata Ehilapp!,
una app per smartphone realizzata in collaborazione con le Caritas di Verona e
Vicenza, grazie alla quale è possibile cercare – in base al proprio Comune di
residenza – bandi, eventi, proposte, agevolazioni, ecc. a vantaggio di ogni
cittadino. L’app può essere scaricata da tutti, ma risulta particolarmente
utile per gli operatori dei Centri di ascolto. Sir 18
Udienza ai medici: la sanità pubblica deve essere al servizio dei più
deboli
Nella udienza i medici il Papa ricorda che i figli sono
un dono e la proposta della morte non è la soluzione - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. "L’Italia purtroppo è un Paese
che invecchia: speriamo che si possa invertire la tendenza, creando condizioni
favorevoli perché i giovani abbiano più fiducia e ritrovino il coraggio e la
gioia di diventare genitori. Forse questo non dovrei dirlo, ma lo dico: oggi si
preferisce avere un cagnolino che un figlio. Il vostro compito è molto
limitato, ma cresce quello dei veterinari! E questo non è un buon
segnale". Questa la riflessione di Papa Francesco che oggi ha ricevuto i
membri dell’Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani (AOOI) e della
Federazione Italiana Medici Pediatrici (FIMP).
A loro il Papa ha detto: "Voi pediatri, in
particolare, siete punti di riferimento per le giovani coppie. Li aiutate nel
loro compito di accompagnare i bambini nella crescita. I figli sono sempre un
dono e una benedizione del Signore". Il Papa ricorda la pandemia:
"a distanza di tre anni, la situazione della sanità in Italia si trova ad
attraversare una nuova fase di criticità che sembra diventare strutturale. Si
registra una costante carenza di personale, che porta a carichi di lavoro
ingestibili e alla conseguente fuga dalle professioni sanitarie. La perdurante
crisi economica incide sulla qualità della vita dei pazienti e dei medici:
quante diagnosi precoci non vengono fatte? Quante persone rinunciano a curarsi?
Quanti medici e infermieri, sfiduciati e stanchi, abbandonano o preferiscono
andare a lavorare all’estero?".
Per Francesco è fondamentale il diritto alla salute
"sancito dalla Costituzione italiana quale diritto dell’individuo, cioè di
tutti – nessuno escluso –, specialmente dei più deboli, e quale interesse della
collettività, perché la salute è un bene comune. La sanità pubblica italiana è
fondata sui principi di universalità, equità, e solidarietà, che però oggi
rischiano di non essere applicati. Per favore, conservate questo sistema, che è
un sistema popolare nel senso di servizio al popolo, e non cadete nell’idea
forse troppo efficientista – alcuni dicono “moderna” –: soltanto la medicina
pre-pagata o quella a pagamento e poi nient’altro. No. Questo sistema va
curato, va fatto crescere, perché è un sistema di servizio al popolo".
Il Papa mette poi in guardia da due rischi: "da un
lato la ricerca della salute a tutti i costi, l’utopia dell’eliminazione della
malattia, rimuovendo l’esperienza quotidiana della vulnerabilità e del limite;
dall’altro, l’abbandono di chi è più debole e fragile, in alcuni casi con la
proposta della morte come unica via. Ma una medicina che rinuncia alla cura e
si trincera dietro procedure disumanizzate e disumanizzanti non è più l’arte
del curare".
La parola chiave invece "è compassione, che non è
compatimento, no, compassione, è un con-patire. È uno strumento diagnostico
insostituibile! Del resto, Gesù è il medico per eccellenza, non è vero? Sono
tre i tratti di Dio che ci aiutano sempre ad andare avanti: la vicinanza, la
compassione e la tenerezza. A me piace pensare che tutti noi curatori della
salute – noi, curatori della salute spirituale, voi, della salute fisica e
anche psichica e spirituale in parte – dobbiamo avere questi tre atteggiamenti:
vicinanza, compassione e tenerezza. E questo aiuta tanto, questo costruisce la
società".
Infine il Papa ricorda che "chi è chiamato a
prendersi cura degli altri, non deve trascurare di avere cura di sé. In questi
ultimi anni, la resistenza dei medici, degli infermieri, dei professionisti
sanitari è stata messa a dura prova. Sono necessari interventi che diano
dignità al vostro lavoro e favoriscano le migliori condizioni perché possa
essere svolto nel modo più efficace. Tante volte voi siete vittime!".
L'udienza avviene proprio mentre in Vaticano ha preso il
via la iniziativa “Grazie, dottore”, un’iniziativa dell’associazione no-profit
di medici SOMOS Community Care,che riunisce più di 2.200 medici a New York per
servire in particolare pazienti immigrati, ed è sostenuta dalla Pontificia
Accademia per la Vita, oltre che da altre organizzazioni mediche,
infermieristiche, civiche e accademiche. L'idea è anche di far firmare una
“Dichiarazione per la riscoperta del medico di famiglia” che intende ricordare
ai governi, alle istituzioni pubbliche e ai sistemi sanitari la necessità di
rimettere al centro la figura del medico di base. Aci 18
Vorremmo che questa newsletter potesse attivare una vera
e propria “challenge”, raccogliendo l’invito di Papa Francesco nel messaggio
per la XXXVIII Giornata mondiale della gioventù e promuovendo una “sfida”
comunicativa in chiave positiva. “Sui social media – osserva il Papa – sembra
più facile condividere cattive notizie che notizie di speranza. Pertanto, vi
faccio una proposta concreta: provate a condividere ogni giorno una parola di
speranza”. In un tempo pressato dal buio possiamo e dobbiamo accendere luci che
riscaldino e aprano orizzonti di senso. La comunicazione, specialmente quella
social, passa soprattutto attraverso la condivisione. Facciamo circolare la
speranza per non cadere nella rete della disperazione. È questa la sfida aperta
a tutti, anche perché “la speranza non delude” (Rm 5,5). Vincenzo, uncs 17
Tutela dei minori: una cultura della cura e della protezione nella
Chiesa
Oltre 150 referenti territoriali si sono riuniti a Roma
per il primo incontro nazionale dei referenti territoriali del Servizio
nazionale Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. “Non
operiamo nella periferia della Chiesa per riparare danni esterni, ma lavoriamo
al cuore della nostra vita ecclesiale, dove si sono prodotte ferite che le
persone si portano dentro”, ha detto mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di
Ravenna e presidente del Servizio - Riccardo Benotti
“Fare rete è la chiave per poter portare avanti questa
missione che ci ha affidato il Papa di creare una cultura della cura e della
protezione dentro la Chiesa. Innanzitutto, grazie di cuore per il vostro
lavoro!”. Padre Andrew Small, segretario della Pontificia Commissione per la
tutela dei minori, ha aperto i lavori del primo incontro nazionale dei
referenti territoriali del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e
degli adulti vulnerabili. Oltre 150 referenti territoriali si sono riuniti nel
Cento congressi Augustinianum di Roma, per una giornata di lavori guidata da
Emanuela Vinai, coordinatrice del Servizio. Alla tavola rotonda che ha aperto
la mattinata è intervenuto mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari
e segretario generale della Cei: “Non possiamo tollerare che i bambini
soffrano a causa nostra e in ambienti che dovrebbero essere sicuri e
accoglienti. Anche un solo caso è troppo”. Per il vescovo, “non è possibile
dire seriamente una parola sui bambini senza ascoltare il loro grido” e “la
Chiesa oggi deve ascoltare il grido di chi spesso non ha neanche la fiducia per
esprimerlo, liberando da una sofferenza ingiusta che impedisce la possibilità
della felicità”. Quindi mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna e
presidente del Servizio, ha ricordato che “non operiamo nella periferia della
Chiesa per riparare danni esterni, ma lavoriamo al cuore della nostra vita
ecclesiale, dove si sono prodotte ferite che le persone si portano dentro”. “La
Chiesa universale si sta muovendo per ripensare se stessa in senso sinodale e
forse ci si aspetta che alcune strutture cambino in un’ottica più missionaria.
Dentro questo cambiamento ci siamo noi – ha precisato mons. Ghizzoni -, con un
ministero che sta cambiando la vita e il volto della Chiesa a poco a poco e
partendo dal basso”.
All’incontro ha partecipato anche Gianfranco
Costanzo, capo del Dipartimento delle politiche per la famiglia della
Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha sottolineato la “centralità della
prevenzione” e il “costante impegno di tutti coloro che sono coinvolti nella
tutela dei minori”. Costanzo ha presentato l’attività dell’Osservatorio
per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e il nuovo Piano
nazionale orientato alla realizzazione di interventi funzionali a
rispondere agli obiettivi connessi alla prevenzione, protezione e promozione:
“I più piccole e vulnerabili si affidano e si fidano di noi. Abbiamo una grande
responsabilità”. Un messaggio è stato inviato anche da Carla Garlatti, autorità
garante per l’infanzia e la adolescenza: “Ascoltare diventa ancora più
importante per noi adulti, per poter tutelare e prevenire. Non solo attraverso
i centri di ascolto, che restano comunque uno spazio importante per la raccolta
di segnalazioni e l’attivazione delle conseguenti tutele, ma anche realizzando
interventi che pongano al centro il minore permettendogli di esprimersi in
contesti protetti e ricettivi, con personale formato, in grado di cogliere gli
indicatori di eventuali situazioni di abuso o vulnerabilità e di intervenire
per fornire il necessario supporto e assistenza”.
Dopo la presentazione della seconda rilevazione sulle
attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili
promossa dalla Cei, è stata la volta di due buone pratiche. La prima è un
percorso di formazione umana dedicato ai sacerdoti e alle religiose della
Toscana nei primi dieci anni di ordinazione o consacrazione. Realizzato in
collaborazione con Scuola di alta formazione in Antropologia Medica della
Facoltà Teologica dell’Italia Centrale il percorso, la cui prima edizione si è
svolta da maggio a novembre, ha come obiettivo quello di riflettere su alcune
aree del vissuto e aspetti della pastorale che hanno bisogno di particolare
cura e attenzione. “La priorità è stata prendersi cura delle singole persone,
della loro formazione per una crescita di maturità. Altrimenti si rischia di
passare i contenuti che poggiano su strutture umane profondamente immature”, ha
spiegato la responsabile del progetto suor Tosca Ferrante, coordinatrice del
Servizio regionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Nei
quattro appuntamenti che hanno scandito il percorso si è parlato di diritti e
doveri dei sacerdoti e delle religiose, di solitudine e dipendenze, di
consapevolezza e della sua gestione, dei nuovi legami familiari. Hanno
partecipato oltre 150 persone, con un’età media di 35/40 anni: “C’erano molti
parroci e sacerdoti impegnati in parrocchie, ma anche le religiose che operano
nelle strutture educative. Tanti preti e suore giovani si sentono sopraffatti
dai messaggi che veicolano i media, un’accusa generalizzata nei confronti della
Chiesa. Quasi che tutti fossero abusatori. Abbiamo creato una alleanza
educativa, spiegando che la cura della nostra vocazione personale è una responsabilità
verso le persone che serviamo. E i vescovi della Toscana sono molto soddisfatti
questo percorso, che vogliamo riproporre”.
Dall’Abruzzo, invece, è arrivata la testimonianza di una
buona prassi interistituzionale con la presentazione di un protocollo d’intesa
promosso dalla diocesi di Sulmona-Valva con il Servizio sociale territoriale,
le Forze dell’Ordine, i Servizi sanitari, gli enti del Terzo settore e la
realtà scolastica. Il protocollo mira a creare una rete di coordinamento in
tema di maltrattamento e abuso a danno dei minori tra i diversi attori presenti
sul territorio, promuovendo interventi finalizzati a prevenire, rimuovere e
monitorare tale fenomeno, formando gli operatori dei servizi presenti sul
territorio sulle tematiche inerenti l’abuso e il maltrattamento dei minori e
favorendo iniziative di sensibilizzazione sulla problematica rivolte alla
cittadinanza. “Abbiamo avviato un progetto interno alla diocesi, coinvolgendo
gli uffici pastorali, che fosse anche aperto alle istanze del territorio –
racconta Lucia Colalancia, psicoterapeuta e referente del Servizio diocesano
per la tutela dei minori -. Siamo da sempre radicati nella vita della società
civile, dunque è stato naturale stringere rapporti con le istituzioni del
territorio. Mancava un collegamento, una prassi consolidata rispetto alla
tutela dei minori in caso di abuso. Ognuno si muoveva autonomamente, non c’era
una rete. Abbiamo voluto mettere in circolo le tante risorse. Le lentezze
burocratiche e la carenza di personale pubblico ha rallentato l’attuazione del
protocollo. Ma siamo pronti a partire”. Sir 17
Francia, primi passi per il diritto all'aborto nella Costituzione. Il no
dei vescovi
Il presidente Macron ha annunciato la sua volontà di
inserire il diritto all’aborto nella Costituzione. Dura presa di posizione dei
vescovi di Francia: “Non è progresso” - Di Andrea Gagliarducci
Lourdes. “Il diritto all’aborto sarà irreversibile”. A
fine ottobre, il presidente francese Emmanuel Macron ha spiegato così la sua
intenzione di avviare le procedure per inserire il diritto all’aborto nella
costituzione francese. Dopo la legge sull’eutanasia, ancora da dipanare e la
cui presentazione fu rinviata perché non accadesse durante il viaggio del Papa
in Francia, il presidente francese impartisce un altro duro colpo alla cultura
della vita. E i vescovi francesi non stanno a guardare.
Riuniti in plenaria a Lourdes lo scorso 7 novembre, i
vescovi di Francia hanno espresso la loro preoccupazione e riaffermato che
“ogni vita è un dono per questo mondo, un dono fragile e prezioso,
infinitamente degno, da accogliere e servire dal suo inizio fino alla sua fine
naturale”.
Nella nota diffusa dalla Conferenza Episcopale Francese
si legge che “nel 2022, in Francia ci sono state 723.000 nascite e più di
234.000 aborti. Si tratta di un triste primato per l'Unione europea, un
dato che non diminuisce ma anzi aumenta”.
Si tratta di una “drammatica realtà” che “va oltre la
semplice questione dei diritti delle donne. Non è progresso. La
nostra società dovrebbe vedere questo soprattutto come un segno del suo
fallimento nell’educazione, nell’accompagnamento e nel sostegno sociale,
economico e umano di coloro che ne hanno bisogno. Dovrebbe essere
preoccupato per il suo futuro, notando il prevedibile calo della sua popolazione”.
I vescovi ricordano che il comandamento “Non Uccidere” è
iscritto nelle coscienze non solo dei credenti, ma di tutti gli esseri umani, e
questo significa che “ogni essere umano è affidato alla cura di tutti gli
altri”. Per questo, aggiungono “non dobbiamo indebolire la forza di tale punto
di riferimento. Siamo, in un certo senso, tutti responsabili di questi
bambini non ancora nati. Pertanto, il vero progresso sta nella
mobilitazione di tutti, credenti e non credenti, affinché l’accoglienza della
vita sia meglio aiutata e sostenuta”.
Secondo i vescovi, “la vera urgenza è aiutare almeno le
coppie o le donne che, oggi, non hanno realmente scelta e sentono di non poter
tenere il proprio figlio a causa dei vincoli sociali, economici e familiari che
gravano su di loro, e troppo spesso sulle sole donne”.
La Conferenza Episcopale Francese sottolinea inoltre che
“i diritti delle donne devono essere ulteriormente promossi e
garantiti. Una reale parità retributiva, la tutela contro la violenza,
nella vita sociale e nella privacy delle famiglie, il sostegno sociale al loro
ruolo nell’educazione dei figli, soprattutto per le donne sole, sono progressi
altamente auspicabili per le nostre società”.
Includere l’aborto tra questi diritti fondamentali
“significherebbe danneggiare il loro intero equilibrio”.
I vescovi scrivono anche che “insieme agli altri
credenti, uomini e donne di buona volontà, i cattolici si sentono chiamati a
servire questi diritti e questa dignità dei più deboli. Pregano per le
coppie e le donne che affrontano il dramma dell'aborto”, e ribadiscono
gratitudine a quanti si impegnano a “far avanzare la cultura della vita”. Aci 17
Come è possibile scoprire Gesù nei poveri? “Bisogna conoscerli e
parlarci"
Fra Marcello Longhi, presidente OSF rilegge il messaggio
per la VII Giornata dei Poveri - Di Simone Baroncia
Roma. “Soffermarci sul Libro di Tobia, un testo poco
conosciuto dell’Antico Testamento, avvincente e ricco di sapienza, ci
permetterà di entrare meglio nel contenuto che l’autore sacro desidera
trasmettere. Davanti a noi si apre una scena di vita familiare: un padre, Tobi,
saluta il figlio, Tobia, che sta per intraprendere un lungo viaggio. Il vecchio
Tobi teme di non poter più rivedere il figlio e per questo gli lascia il suo
‘testamento spirituale’. Lui è stato un deportato a Ninive ed ora è cieco,
dunque doppiamente povero, ma ha sempre avuto una certezza, espressa dal nome
che porta: ‘il Signore è stato il mio bene’. Quest’uomo, che ha confidato
sempre nel Signore, da buon padre desidera lasciare al figlio non tanto qualche
bene materiale, ma la testimonianza del cammino da seguire nella vita”.
Questo ha scritto Papa Francesco nel messaggio ‘Non
distogliere lo sguardo dai poveri’ in occasione della VII giornata mondiale dei
poveri, che si svolgerà domenica 19 novembre, sottolineando che lo sguardo di
un povero cambia direzione alla vita di chi lo incrocia, ma bisogna avere il
coraggio di restare su quegli occhi e poi agire aiutando, non secondo le nostre
necessità o il nostro volerci liberare dal superfluo, ma in base a quello che
serve all’altro.
Partendo da questo passaggio a fra Marcello Longhi,
presidente OSF, abbiamo chiesto di spiegare il motivo per cui nel messaggio
papa Francesco invita a non distogliere lo sguardo dal povero: “Papa Francesco
ci ricorda che se non distogliamo lo sguardo dal povero, non distogliamo
nemmeno lo sguardo da Lui, perché le persone in povertà sono il volto di Gesù.
Nello stesso tempo, tenendo lo sguardo aperto su chi è in povertà, non ci
dimentichiamo nemmeno chi siamo e teniamo lo sguardo anche su noi, perché siamo
di fronte a Dio, tutti poveri. Allora la compagnia dei poveri ricorda anche chi
siamo noi. Oltre a darci la possibilità di vedere il volto di Dio ci ricorda
anche il nostro essere. Stare vicino ai poveri a me aiuta a leggere bene anche
me stesso ed a non ‘buttare’ via la vita; per cui credo che sia per questo che
il papa ci invita a non distogliere lo sguardo dai poveri”.
Per quale motivo nel messaggio il papa ha scelto di
raccontare la storia di Tobia?
“Credo che la storia di Tobia sia una storia di un uomo
tanto giusto e concreto, anche tanto umile, che ha saputo pagare senza paura il
‘prezzo’ delle sue scelte di amore; tra l’altro, questo gesto di carità, che è
quello di seppellire i morti, non scontato e pieno di umanità, ci dice che
Tobia era un uomo veramente buono e pieno di Dio. E’ anche un uomo che ha
sperimentato un prezzo amaro per questa sua bontà; il papa racconta che,
nonostante facesse il bene, è capitata anche la ‘sventura’ di diventare cieco.
Eppure Tobia non rinuncia ad essere un uomo di carità e di amore; sa
attraversare anche una prova brutta, che è quella della cecità, ma senza
rinnegare la sua scelta di carità. In questo Tobia è un compagno di vita; è un
uomo concreto, che invita a non disperare, perché ha saputo attraversare
momenti molto duri, come capita a tanti”.
Come è possibile scoprire Gesù nei poveri?
“Bisogna conoscerli e parlarci; bisogna non avere paura
di farci raccontare la loro vita. Bisogna decidere di essere amici delle
persone in povertà e di presentarci a loro con lo stesso rispetto con cui ci
presentiamo ai nostri amici ‘normali’. Si ‘scopre’ Gesù nei poveri nel momento
in cui apriamo con loro canali di amicizia. Allora ci accorgiamo che anche nei
poveri Gesù si rivela. Stando con loro possiamo capire cose che i ricchi non
capiranno mai. E’per questo che Gesù desiderava stare con loro”.
La povertà è in crescita anche tra gli italiani: in quale
modo è possibile arginarla?
“Credo che soprattutto è possibile prevenire le
situazioni di povertà. Questo significa avvicinare le persone a rischio di
povertà, aiutandole a non cadere in povertà. La prevenzione verso quelle
situazioni che generano povertà è la prima cosa da fare: questo certamente le
comunità cristiane, le associazioni e la politica. La povertà si argina
prevenendola. Poi, certamente, bisogna anche decidere di accompagnare chi è
caduto in povertà e di riportarlo in una situazione di dignità e di autonomia.
Poi credo che un indice di progresso sia quello di una società che sa sostenere
i suoi membri, che fanno fatica, perché quando una parte della società marcisce
è come quando una parte del corpo che marcisce: alla fine tutto il corpo va in
grave sofferenza. E’ un segno di grandissima civiltà quello di saperci prendere
cura anche di quei cittadini che vivono nella povertà; essere vicino ai poveri
è la forma più bella di carità cristiana e di vivere il Vangelo; ed è
un’avventura che dona tantissimo a chi sceglie di viverla, perché la compagnia
con i poveri dona tantissimo e chi ha donato lo sa. Se uno compie la propria
parte la povertà può essere arginata”.
Quale è la missione dell’Opera di San Francesco?
“La missione è quella di dare una mano ad ogni persona
tutti i giorni, riconoscendo in lei la presenza di Gesù. La nostra missione è
quella di fare compagnia alle persone in povertà con l’obiettivo di riportarle
ad una vita di dignitosa autonomia. La nostra missione è quella di non negare a
nessuno la possibilità di non affondare nella povertà degradante. Il nostro
obiettivo è di impedire questo ed accompagnare ogni persona a vivere bene.
Facciamo tutto ciò con la delicatezza di san Francesco di Assisi. Vogliamo
realizzare questa presenza, dando la possibilità ai volontari di rendere
concreto questo amore per le persone. L’Opera di San Francesco può contare su
1300 volontari e su 70 dipendenti, che insieme fanno in modo che ogni giorno
sia possibile offrire qualcosa di bello e di buono a chi si rivolge a noi in
situazioni di difficoltà”.
Aci
16
Zehn Jahre Gotteslob. Gesamtauflage
von rund sieben Millionen Büchern
Am
ersten Adventssonntag 2013 – vor nun genau zehn Jahren – haben die Bischöfe
Deutschlands, Österreichs und der Diözese Bozen-Brixen das neue Gotteslob
eingeführt. Damit löste das Gebet- und Gesangbuch nach fast 40 Jahren seinen
gleichnamigen Vorgänger von 1975 ab, seinerzeit das erste derartige bistums-
und länderverbindende Buch überhaupt im deutschen Sprachgebiet.
„Allein
für die Erstauflage des neuen Gotteslob sind unglaubliche 3,6 Millionen
Exemplare in Druck gegangen“, erklärt Bischof Dr. Stephan Ackermann,
Vorsitzender der Liturgiekommission der Deutschen Bischofskonferenz, „und nun,
zehn Jahre nach der Einführung, sehen wir eine Gesamtauflage von rund sieben
Millionen Büchern“. Aktuell gibt es 30 Diözesan- bzw. Diözesanverbundausgaben
in etwa 115 verschiedenen Ausführungen: Standard, Großdruck, Kunstleder,
Echtleder, mit oder ohne Goldschnitt bzw. Goldprägung, dazu verschiedene
Farben. Auch gibt es das Gotteslob inzwischen in Leichter Sprache. Unter dem
Titel „Gemeinsam bunt – Leichtes Gotteslob“ leistet das „LeiGoLo“ mit über 200
Liedern in Leichter Sprache und leichter Melodieführung einen Beitrag zum
inklusiven Musizieren.
„Es
erforderte viel Mut, ein Projekt von solcher Dimension und Tragweite
anzugehen“, erinnert sich Bischof Ackermann, „ein katholisches Gebet- und
Gesangbuch für weiteste Teile des Sprachgebiets, in einer Zeit rasanter
Säkularisierung und gesellschaftlicher Ausdifferenzierung, ganz zu schweigen
von der organisatorischen Herausforderung. Eigentlich damals, als die
Entscheidung fiel, ein echtes Wagnis. Aber, es ist gelungen.“
Das
Gotteslob ist ein Gemeinschaftswerk von 37 Diözesen. Auf seinen ca. 1.200
Seiten, je nach Ausgabe, verbinden sich hier ein bistums- und
länderverbindender Stammteil mit diözesan bzw. regional kolorierten
Eigenteilen. „Ohne den unermüdlichen Einsatz des damaligen Vorsitzenden der
Liturgiekommission und der Unterkommission für das Gotteslob, Bischof Dr.
Friedhelm Hofmann, ohne sein Team und, natürlich, ohne die rund hundert
Experten aus Liturgie, Kirchenmusik, Pastoral, Bibelexegese, Dogmatik,
Spiritualität und Kunst wäre das Buch nie möglich geworden“, so Bischof Ackermann.
Das
Gotteslob bietet Lieder und Gesänge in reicher Auswahl, Gebete und liturgische
Texte quer durch das Kirchenjahr, es führt kompakt durch Inhalt und Liturgie
der Sakramente und anderer Feiern, gibt Hinführungen, entsprechende
Hilfestellungen und Informationen. Das Gotteslob ist ein Gottesdienst- und
Glaubensbuch – ein Fundus für die gemeinsame Feier der Liturgie und ein
Begleiter auf dem persönlichen Glaubensweg.
Daher
ist Bischof Ackermann überzeugt: „Das große, vielfältige Angebot, der gelungene
Mix aus Überregionalität und Lokalität, aus Alt und Neu, eine wertige,
zeitgemäße Aufmachung, Praxisnähe und, ganz wichtig, das klare Konzept – das
alles zusammen macht das Gotteslob zu diesem einzigartigen Erfolgsmodell.
Hinweise:
Eine Übersicht der verschiedenen Ausgaben des Gotteslob sowie
Bestellmöglichkeiten sind auf der Internetseite des Katholischen Bibelwerks
unter www.bibelwerk.shop/gotteslob verfügbar. Dbk 30
Misereor fordert weltweiten
Ausstieg aus fossilen Energien
Das
Hilfswerk Misereor appelliert vor Beginn der 28. Klimakonferenz der Vereinten
Nationen (COP28) in Dubai an die Bundesregierung, sich für einen weltweiten
Ausstieg aus fossilen Energieträgern einzusetzen.
Es
brauche eine gerechte Energiewende hin zu 100 Prozent erneuerbarer Energien
weltweit, so das Hilfswerk in einer am Mittwoch veröffentlichen
Pressemittelung. Die Förderung und Nutzung fossiler Brennstoffe verschärfe
nicht nur die weltweite Klimakrise, die sich gerade in Afrika durch massive
Dürren, Überschwemmungen und Wirbelstürme offenbare. Sie habe auch negative
Auswirkungen auf die Gesundheit, Ernährung, Bildung und Wasserversorgung der
lokalen Bevölkerung. Um dies zu stoppen „ [...] ist es dringend geboten,
dass auch Deutschland seine Investitionen in internationale, fossile
Energieprojekte umleitet in eine erneuerbare Energieversorgung, die viel besser
geeignet ist, um Energiearmut zu lindern und gerechten Zugang zu modernen
Energieträgern weltweit zu gewährleisten", hebt Madeleine Wörner,
Energieexpertin bei Misereor, hervor.
Verantwortung
des Vatikans
„Papst
Franziskus hat in ‚Laudate Deum‘ betont: ‚Die Situation wird immer dringlicher‘
und ‚Niemand rettet sich allein‘", sagt Pirmin Spiegel,
Hauptgeschäftsführer von Misereor. Die Teilnahme des Papstes hätte einen
bedeutenden Schritt in seinem Aufruf für verstärkten Klimaschutz markiert.
Misereor erwarte dennoch eine aktivere Rolle des Vatikans bei dieser Konferenz,
besonders im Einsatz für Klimagerechtigkeit und gegen kurzfristige
Wirtschaftsinteressen.
Das
katholische Hilfswerk begleitet die Klimaverhandlungen seit 2007 und
unterstützt die Teilnahme von Organisationen aus dem Globalen Süden an der
COP28, die sich für erneuerbare Energien und menschenrechtsbasierte
Klimapolitik einsetzen. (pm 29)
Absage: Papst Franziskus fliegt
doch nicht nach Dubai
Eigentlich
wollte Papst Franziskus am kommenden Wochenende an der UN-Klimakonferenz COP28
in Dubai teilnehmen. Doch jetzt hat er seine Reise in die Vereinigten
Arabischen Emirate abgesagt.
Das
teilte das vatikanische Presseamt am Dienstagabend mit. Grund ist die
Infektion, die sich der Papst am Wochenende zugezogen hat. Sie macht seinem
Plan, als erster Papst überhaupt an einer UN-Klimakonferenz teilzunehmen, einen
Strich durch die Rechnung.
Das
dürfte Franziskus schmerzen: Er ist Autor der ersten Umweltenzyklika eines
Papstes überhaupt. In „Laudato si‘“ warnte er 2015 eindringlich vor den Folgen
des Klimawandels. In seinem Schreiben „Laudato Deum“ hat er vor kurzem, auch
mit Blick auf die Beratungen von Dubai, nachgelegt.
„Mit
großem Bedauern“
„Obwohl
sich das allgemeine klinische Bild des Heiligen Vaters in Bezug auf seinen
grippeähnlichen Zustand und die Entzündung der Atemwege verbessert hat, haben
die Ärzte den Papst gebeten, die für die kommenden Tage geplante Reise nach
Dubai abzusagen.“ Das teilte der Leiter des Pressebüros des Heiligen Stuhls,
Matteo Bruni, am Dienstagabend mit. „Papst Franziskus hat der Bitte der Ärzte
mit großem Bedauern entsprochen, so dass die Reise also abgesagt wird.“
Franziskus
und der Heilige Stuhl seien allerdings weiterhin daran interessiert, „sich an
den Gesprächen der kommenden Tage zu beteiligen“, fährt das Statement aus dem
Vatikan fort. Es solle „so bald wie möglich“ geklärt werden, wie das in die Tat
umgesetzt werden könne.
Franziskus
wollte Rede auf Klimakonferenz halten
Papst
Franziskus wollte am 1. Dezember nach Dubai reisen, um am Samstag, 2. Dezember,
eine Rede auf der Klimakonferenz zu halten. Für den darauffolgenden Tag, den
Sonntag, war außerdem die Einweihung eines interreligiösen „Faith Pavillon“
geplant. Eine Messe für die katholischen Gläubigen der Emirate war nicht
vorgesehen.
Am
vergangenen Samstag hatte der Papst aus gesundheitlichen Gründen alle Audienzen
abgesagt. Am frühen Nachmittag hatte er sich dann im Krankenhaus auf der
römischen Tiberinsel einer Computertomographie unterzogen, bei der zwar eine
Lungenentzündung ausgeschlossen, aber doch eine Entzündung im Lungenbereich
diagnostiziert wurde, die ihm einige Atembeschwerden verursachte. Am Sonntag
hatte Franziskus angesichts des kalten Wetters in Rom den Angelus von der
Kapelle der Casa Santa Marta aus gebetet und nicht, wie üblich, vom Fenster des
Apostolischen Palastes aus.
Generalaudienz
soll offenbar stattfinden
Um
die Genesung des Papstes zu erleichtern, wurden einige wichtige Termine, die
für diese Tage geplant waren, verschoben, andere hingegen beibehalten. Seit
Montag befindet sich der 86-Jährige auf dem Weg der Besserung. Die Generalaudienz
an diesem Mittwochmorgen soll offenbar stattfinden.
Die
UN-Klimakonferenz von Dubai will evaluieren, ob die internationale Gemeinschaft
die auf dem Klimagipfel von Paris 2015 beschworenen Ziele einhalten kann. Für
Franziskus wäre es die 45. Auslandsreise in seiner über zehnjährigen Amtszeit
gewesen. (vn 29)
Trotz Grippe: Papst hält
Generalaudienz
Trotz
seiner Grippeerkrankung hat Franziskus an diesem Mittwoch seine übliche
Generalaudienz gehalten. Zwölf Stunden, nachdem seine Reise zum Klimagipfel von
Dubai krankheitshalber abgesagt wurde, empfing der Papst Pilger und Touristen.
Stefan von Kempis – Vatikanstadt
Allerdings
fand die Audienz diesmal nicht auf dem Petersplatz statt, über den ein kalter
Wind fegte, sondern in der vatikanischen Audienzhalle. „Mir geht es noch nicht
gut“, sagte Franziskus einleitend, „ich habe immer noch die Grippe, meine
Stimme ist nicht gut.“ Darum werde ein Monsignore seinen vorbereiteten Redetext
verlesen – und so geschah es auch.
Der
Papst-Text beschäftigte sich erneut mit den Freuden des Evangelisierens; er
betonte, dass die christliche Botschaft „für heute“ ist und nicht für eine
ideal gedachte Zeit, irgendwann mal später. Heute: Das bedeutet, dass die
Freude des Evangeliums in eine durchaus schwierige Zeit hinein zu vermitteln
ist.
Kriege,
Klimawandel, Migrationen: Viele Gründe zur Besorgnis
„Wir
hören fast immer schlechte Dinge über das Heute. Natürlich gibt es zwischen
Kriegen, Klimawandel, Ungerechtigkeiten und Migrationen auf der Erde, neben
Familien- und Hoffnungskrisen keinen Mangel an Gründen zur Besorgnis. Generell
scheint es heute eine Kultur zu geben, die den Menschen über alles und die
Technologie in den Mittelpunkt stellt… Dabei führt diese Kultur des technisch-individuellen
Fortschritts zur Verfestigung einer Freiheit, die keine Grenzen anerkennen will
und gegenüber den Zurückgebliebenen gleichgültig erscheint.“
Hier
brachte der verlesene Papst-Text auch eine neuerliche, heftige Kritik am
derzeitigen Wirtschafts- und Finanzsystem unter: Die „oft unersättliche Logik
der Wirtschaft“ habe eine „Vision des Lebens, die diejenigen ausschließt, die
nichts produzieren“. Und sie habe „Mühe, über das Immanente hinauszuschauen“.
Die
platten Städte mit ihren Wolkenkratzern
„Wir
könnten sogar sagen, dass wir uns in der ersten Zivilisation der Geschichte
befinden, die weltweit versucht, eine menschliche Gesellschaft ohne die
Gegenwart Gottes zu organisieren, und sich dabei auf riesige Städte
konzentriert, die horizontal bleiben, auch wenn sie schwindelerregende
Wolkenkratzer haben.“
Das
ließ den Papst in seinem verlesenen Katechesentext an den Turmbau von Babel
denken (siehe Gen 11,1-9). Auch damals sei versucht worden, ein globales
Einheitsdenken durchzusetzen; Gott aber habe die Unterschiede wiederhergestellt
und die Vielfalt wiederbelebt. Eine interessante, anti-globalistische Lesart
des alten Bibeltextes.
Turmbau
von Babel - eine neue Lesart
„Diese
Geschichte scheint wirklich aktuell zu sein: Auch heute basiert Zusammenhalt
oft nicht auf Geschwisterlichkeit und Frieden, sondern eher auf Ehrgeiz, auf
Nationalismus, auf Standardisierung, auf technisch-wirtschaftlichen Strukturen,
die die Überzeugung einprägen, dass Gott unbedeutend und nutzlos ist: Nicht so
sehr, weil wir nach mehr Wissen streben, sondern vor allem nach mehr Macht. Es
ist eine Versuchung, die die großen Herausforderungen der heutigen Kultur
prägt.“
So
weit, so düster. Und exakt diese verworrene Welt bietet die Folie für die, ja
doch, Freude des Evangeliums. „Man kann Jesus nur verkünden, indem man in der
Kultur seiner jeweiligen Zeit lebt; und immer im Herzen die Worte des Apostels
Paulus für den heutigen Tag trägt: ‚Jetzt ist der günstige Augenblick, jetzt
ist der Tag des Heils!‘ (2 Kor 6,2). Es besteht daher keine Notwendigkeit,
alternative Visionen aus der Vergangenheit der Gegenwart gegenüberzustellen. Es
reicht auch nicht aus, einfach erworbene religiöse Überzeugungen zu
wiederholen, die, so wahr sie auch sein mögen, mit der Zeit abstrakt werden.
Eine Wahrheit wird nicht dadurch glaubwürdiger, dass man die Stimme erhebt,
wenn man sie sagt, sondern weil man sie mit dem eigenen Leben bezeugt.“
„Eine
Wahrheit wird nicht dadurch glaubwürdiger, dass man die Stimme erhebt“
Apostolischer
Eifer sei nie „eine einfache Wiederholung eines erworbenen Stils“, so der
Katechesen-Text von Franziskus. Vielmehr gehe es um „ein Zeugnis dafür, dass
das Evangelium für uns heute lebendig ist“. In diesem Bewusstsein könne man
unsere Zeit und unsere Kultur „als Geschenk betrachten“.
„Sie
gehören uns, und sie zu evangelisieren bedeutet nicht, sie aus der Ferne zu
beurteilen, auch nicht, auf einem Balkon zu stehen und den Namen Jesu
auszurufen, sondern auf die Straße zu gehen, zu den Orten zu gehen, an denen
man lebt, die Orte aufzusuchen, an denen man leidet, arbeitet, studiert und
reflektiert…“ Nur dann sei die Kirche wirklich „Sauerteig“.
Ein
Papst in Dubai – das wäre die perfekte Illustration zu diesen Gedanken über den
Turmbau von Babel gewesen… (vn 29)
Das globale Gemeinwohl als oberste
Priorität
Die
Vertreter der katholischen Kirchen in Deutschland haben gemeinsam dazu
aufgerufen, die Klimakonferenz in Dubai als Chance für eine Umkehr zu nutzen.
Am kommenden Donnerstag, 30. November 2023, beginnt in Dubai in den Vereinigten
Arabischen Emirate die 28. UN-Klimakonferenz COP28. Auch Papst Franziskus nimmt
daran teil.
Gemeinsam
appellieren der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg
Bätzing, die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken, Irme
Stetter-Karp, die Präsidentin des Deutschen Caritasverbandes, Eva Maria
Welskop-Deffaa, und der Vorsitzende der Deutschen Ordensobernkonferenz, Bruder
Andreas Murk OFMConv, an die Teilnehmerinnen und Teilnehmer, zusammen mit allen
Menschen guten Willens Verantwortung zu übernehmen. In einer an diesem
Dienstag, 28. November, veröffentlichten gemeinsamen Erklärung betonen sie:
„Das globale Gemeinwohl muss jetzt unsere oberste Priorität sein!“
In
ihrem Appell beziehen sich die Kirchenvertreterinnen und Kirchenvertreter vor
allem auf das jüngste Schreiben von Papst Franziskus, Laudate Deum, in dem
dieser die Dringlichkeit des Handelns bekräftigte und daran erinnerte, dass
sich niemand alleine retten könne.
Verbindliche
Form der Energiewende
Die
Notwendigkeit einer verbindlichen Form der Energiewende betont die gemeinsame
Erklärung ebenso wie eine angemessene finanzielle Ausstattung für die
notwendigen Anpassungen zum Klimawandel. „Dabei sind wir alle in der Pflicht,
die Schöpfung zu bewahren und unseren Planeten zu schützen. Die Natur darf
nicht einfach als Mittel für unseren Wohlstand missbraucht werden. Letztlich
sägen wir an dem Ast, auf dem wir selbst sitzen, wenn wir Natur und Klima
bedenkenlos zerstören“, so Bischof Bätzing, Irme Stetter-Karp, Eva Maria
Welskop-Deffaa und Bruder Andreas Murk OFMConv. Mit Blick auf die finanziellen
Mittel und die bisherigen Erfahrungen zurückliegender Klimakonferenzen
kritisieren sie, dass für den 2022 auf der COP27 beschlossenen Fonds für klima-
und umweltbedingte Schäden und Verluste bisher jede Konkretisierung fehle: „Es
muss unter Mitwirkung aller Akteure geklärt werden, wer in welchen Fällen mit
Mitteln aus dem Fonds unterstützt wird und wer für dessen finanzielle
Ausgestaltung verantwortlich ist.“ Gleichzeitig fordern die Unterzeichnenden
einen Blick auf alle Länder der Erde: „Der Schutz des Klimas kann nur gelingen,
wenn alle Länder weltweit gleichberechtigt in ihren Kompetenzen anerkannt und
in die Lage versetzt werden, ihren Teil beizutragen … Die wirtschaftlich
starken Staaten dieser Erde müssen ihrer Verantwortung gerecht werden und diese
Länder tatkräftig unterstützen“. (pm 28)
Sant'Egidio kritisiert Anwendung
der Todesstrafe
In
vielen Ländern auf der Welt gilt noch die Todesstrafe. Diese Woche wird mit
einem weltweiten Aktionstag dagegen protestiert. Er wurde vom
Sant'Egidio-Netzwerk „Cities for Life“ ins Leben gerufen. Das Domradio sprach
darüber mit Pfarrer Matthias Leineweber, dem zweiten Vorsitzenden der
Gemeinschaft Sant'Egidio.
Einmal
im Jahr dokumentiert die Menschenrechtsorganisation Amnesty International die
Situation mit Blick auf die Todesstrafe weltweit. Die aktuellsten Zahlen
stammen aus dem Jahr 2021. Demnach ist die Zahl der Hinrichtungen 2021 um rund
20 Prozent gegenüber dem Vorjahr gestiegen - ein Grund dafür sind auch
Lockerungen von Corona-Beschränkungen. Für welche Delikte werden Menschen zum
Tode verurteilt?
Pfarrer
Matthias Leineweber: Das ist sehr unterschiedlich. In Demokratien sind das
überwiegend Kapitalverbrechen. Aber es gibt auch viele Länder, die ganz andere
Vergehen mit dem Tod bestrafen. Regimekritische Äußerungen können das sein,
Drogendelikte, im Iran kann auch Homosexualität mit dem Tod bestraft werden. Die
Palette ist sehr umfangreich.
„Die
Kirche positioniert sich ganz klar gegen die Todesstrafe“
Bei
sehr schlimmen Verbrechen gibt es bei dem einen oder anderen auch den Impuls
einen Mörder oder einen Vergewaltiger mit dem Tod bestrafen zu wollen. Die
Kirche lässt da aber keine Luft für Spielraum und der Papst ist auch klar
positioniert, oder?
Leineweber:
Die Kirche positioniert sich ganz klar gegen die Todesstrafe. Das hat sich in
den letzten Jahrzehnten immer deutlicher abgezeichnet, auch wenn die Todesstrafe
im Katechismus noch vor Jahren vorgesehen war. Jetzt ist das nicht mehr so.
Papst Franziskus hat das jetzt noch mal, ganz eindeutig klar gemacht, dass die
Todesstrafe nicht mit zulässig ist, in keiner Weise und unter keinen Umständen.
Die
Methoden sind sehr unterschiedlich, wie die Leute getötet werden. Gerade kam
aus den USA, wo die Todesstrafe auch noch vollzogen wird, die Meldung, dass
dort jemand erstickt worden ist.
Leineweber:
Das ist der Fall von dem Herrn Kenneth Smith, ein Mörder aus dem US-Bundesstaat
Alabama. Er wurde vor 35 Jahren zum Tode verurteilt und sitzt seitdem im
Todestrakt.
Er
sollte im vergangenen Jahr mit der „üblichen Todesspritze“ hingerichtet werden.
Das hat bei ihm aber versagt. Also hat er diese Hinrichtung überlebt. Jetzt hat
man die Erstickungsmethode mit Stickstoff vorgesehen. Das ist etwas sehr
Inhumanes. Dagegen gibt es auch einen weltweiten Protest. Auch Sant'Egidio
protestiert dagegen. Diese Methode ist nicht einmal zulässig, um Tiere
einzuschläfern.
„In
nur einem Drittel der Länder, in 55 Ländern, wird die Todesstrafe noch
praktiziert“
Welchen
Erfolg gibt es auf dem Weg zur Abschaffung der Todesstrafe?
Leineweber:
Wir sind seit 25 Jahren aktiv. Die Initiative gegen die Todesstrafe „Cities for
Life“ gibt es seit 2002. Und die Tendenz hat sich ins Positive verändert.
Mittlerweile haben 144 Länder, über zwei Drittel aller Länder, die Todesstrafe
im Gesetz entweder abgeschafft oder seit zehn Jahren niemanden mehr
hingerichtet. Ein Land, dass seit zehn Jahren niemanden mehr hingerichtet hat,
gilt als Land, in dem die Todesstrafe de facto abgeschafft ist. In nur einem
Drittel der Länder, in 55 Ländern, wird die Todesstrafe noch praktiziert. Das
sind deutlich weniger als noch vor zwei Jahrzehnten. Und wir hoffen, dass das
auch so weitergeht.
An
diesem Donnerstag ist der Tag der Abschaffung der Todesstrafe weltweit. Welche
Aktionen wird es da geben?
Leineweber:
In Rom, das ist auch das Zentrum von Sant'Egidio, wird es am Kolosseum eine
große Kundgebung geben, mit ehemaligen Todeskandidaten und Aktivisten der
Allianz gegen die Todesstrafe. Es gibt ein internationales Aktionsbündnis und
es gibt weltweit in vielen Städten kleinere Aktionen der Initiative „Cities for
Life“, Infostände, Beleuchtungen von Denkmälern wie zum Beispiel in Würzburg,
wo die Festung angestrahlt wird. In Berlin wird der Rathausturm grün
angestrahlt, um auch die Öffentlichkeit darauf aufmerksam zu machen. Das
Interview führte Tobias Fricke. (domradio 28)
D/Polen: Der schwierige Dialog
Zwischen
den Vorsitzenden der deutschen und der polnischen Bischofskonferenz ist ein
Streit ausgebrochen. Dabei geht es um das Reformprojekt der deutschen
Katholiken, den „Synodalen Weg“.
Der
Erzbischof von Posen, Stanis?aw G?decki, hatte in einem Brief an den Papst, der
Mitte November veröffentlicht wurde, scharfe Kritik am „Synodalen Weg“ geübt.
Mehrere Vorhaben des „Synodalen Wegs“ seien aus seiner Sicht „extrem
inakzeptabel und unkatholisch“; er habe den Eindruck, dass es den Deutschen um
eine von „linksliberalen Ideologien“ inspirierte „Revolution“ in der Kirche
gehe. G?decki ist Vorsitzender der polnischen Bischofskonferenz.
Das
polnische Nachrichtenportal rp.pl hat nun eine Antwort von Bischof Georg
Bätzing veröffentlicht; der Limburger Bischof ist Vorsitzender der deutschen Bischofskonferenz.
In dem Text attestiert Bätzing seinem polnischen Amtskollegen ein „sehr
unsynodales und unbrüderliches Verhalten“ und fragt, mit welchem Recht sich
G?decki ein Urteil über die Katholizität einer anderen Ortskirche anmaße. Der
Brief Bätzings wurde von der deutschen Bischofskonferenz nicht veröffentlicht.
„Sie
leben in zwei unterschiedlichen Welten“
Für
rp.pl, den Internetauftritt der Tageszeitung „Rzeczpospolita“, zeigt der
Briefwechsel, „in welch unterschiedlichen Welten die beiden Ortskirchen und die
beiden Bischöfe leben“. In seinem Brief erinnert Bätzing auch an den
jahrzehntelangen Dialog zwischen beiden Bischofskonferenzen nach dem Zweiten
Weltkrieg und bekräftigt, an diesem Dialog „auch jetzt, in dieser kritischen
Lage“, festhalten zu wollen.
Sowohl
G?decki als auch Bätzing werden diese Woche an einer Konferenz europäischer
Bischöfe auf Malta teilnehmen. Dabei könnte sich die Gelegenheit zu einer
Aussprache der beiden Bischöfe bieten. (rp.pl 27)
Für den Waffenstillstand der
Gefühle: So blickt die Kirche auf den Nahost-Krieg
Die
Freilassung der ersten Gruppen von israelischen Geiseln durch die Terrorgruppe
Hamas ist „ein Zeichen der Hoffnung“, denn sie zeigt, „dass Verhandlungen
möglich sind“: Das betont im Interview mit Radio Vatikan Francesco Patton, der
Kustos des Heiligen Landes. In den letzten Tagen sind mehr als 50 Geiseln im
Gazastreifen freigelassen worden, während Israel im Gegenzug Frauen und
Minderjährige auf freien Fuß gesetzt hat, die in israelischen Gefängnissen eine
Haftstrafe verbüßten. Amedeo Lomonaco und Christine Seuss
Vatikanstadt.
„Der Heilige Vater hat mehrmals darum gebeten, sogar in offiziellen Appellen
beim Angelus, bei den Mittwochskatechesen und bei den Generalaudienzen. Der
Waffenstillstand selbst ist also ein Lichtblick, denn nach über 14.000 Toten in
Gaza als Reaktion auf die deutlich über tausend Toten, die der Hamas-Angriff
verursacht hat, ist es klar, dass ein Moment des Waffenstillstands an sich
schon eine gute Nachricht ist“, meint der Franziskaner Francesco Patton, Kustos
des Heiligen Landes, in einem Interview mit Radio Vatikan.
„Die
andere gute Nachricht ist die Freilassung der Geiseln“, so der Kustos mit Blick
auf die mittlerweile über 50 Geiseln, die im Gegenzug zur Entlassung von 150
palästinensischen Häftlingen freigekommen sind. Damit bezieht er sich nicht nur
auf die Freilassung der Geiseln, an sich schon „eine absolut gute Nachricht“.
Doch diese Freilassungen wurden auf dem Verhandlungsweg erreicht. „Und das ist
der andere Lichtblick. Es bedeutet, dass eine Verhandlung möglich ist. Wir
müssten darauf hinwirken, dass der Waffenstillstand hält und dass alle Geiseln
nach und nach freigelassen werden.“
Um
dies zu schaffen, müsse man jedoch vor allem dafür sorgen, dass die Beteiligten
„von der Sprache der Waffen zur Sprache der Verhandlungen“ übergingen, so der
Kustos, der in Jerusalem lebt. In diesem Zusammenhang komme der internationalen
Gemeinschaft und insbesondere einigen Staaten mit besonderen Beziehungen zu den
Akteuren eine tragende Rolle zu, so Patton: „Das bedeutet, dass es möglich ist,
einen anderen Weg als den der Waffen zu beschreiten, wenn der Wille dazu
vorhanden ist“.
Verhandlungen
sind möglich, wenn der Wille dazu besteht
Der
aktuelle viertägige Waffenstillstand war durch Vermittlung Katars, Ägyptens und
der Vereinigten Staaten für eine Freilassung israelischer Geiseln und
humanitäre Hilfe erreicht worden und sollte an diesem Montag enden. Wie ein
Sprecher der israelischen Regierung am selben Tag ankündigte, hat die Hamas
jedoch die Option, den Waffenstillstand zu verlängern, wenn weitere Geiseln
freigelassen werden.
Doch
unabhängig davon bestehe die Lösung letztlich „nicht einfach darin, Geiseln
oder Gefangene freizulassen“, betont der Kustos: „Sondern die Lösung muss, wie
in den letzten Tagen mehrfach gesagt wurde, politisch sein, das heißt, es muss
eine Lösung sein, bei der es einerseits eine gegenseitige Anerkennung des
Existenzrechts Israels und der Palästinenser gibt, und andererseits diese gegenseitige
Anerkennung des Existenzrechts dann auch eine politische - und ich würde sagen,
staatliche Ausgestaltung - erfährt.“
Der
Heilige Stuhl setzt sich wie auch die Vereinigten Staaten für eine
Zwei-Staaten-Lösung ein, die den Palästinensern das Recht auf einen
international anerkannten, eigenen Staat einräumen würde. Weltweit ist der
Heilige Stuhl eines der wenigen Völkerrechtssubjekte, die Palästina offiziell
als Staat anerkannt haben.
Stimme
des Gewissens
Doch
bei allem politischen Kalkül darf der humanitäre Aspekt nicht in den
Hintergrund treten, appelliert Patton: „Ich würde sagen, dass die humanitäre
Stimme aus einem ganz einfachen Grund absolut unerlässlich ist. Sie ist die
Stimme des menschlichen Gewissens, während die diplomatische und politische
Stimme auch Mittel und Wege findet, um Lösungen zu entwickeln, also die
Existenz zweier Völker anzuerkennen. Die humanitäre Stimme ist jedoch die
Stimme, die uns an den unvergleichlichen Wert eines jeden Menschen erinnert.
Ohne die humanitäre Stimme kommen wir nicht weiter, weil sich alles nur auf
Kalkül, Interessenabwägung oder Gewaltanwendung reduziert.“
Christen
leisten wichtigen Beitrag
In
diesem Prozess sei der Beitrag der Christen, ungeachtet ihrer geringen Anzahl
im Heiligen Land, enorm wichtig und ähnlich demjenigen von humanitären
Organisationen, meint Patton. „Sie müssen irgendwie das Gewissen
repräsentieren, gerade weil sie eine kleine Realität sind. Die Rolle der
Christen im Heiligen Land ist auch, eine Brücke zwischen zwei Realitäten zu
sein, denn die Christen des Heiligen Landes gehören zu beiden. Wir haben
Christen im Heiligen Land in Israel, wir haben Christen im Heiligen Land in
Gaza, wir haben Christen im Heiligen Land im Westjordanland, in Palästina, wir
haben also Christen auf der einen wie auf der anderen Seite. Es ist klar, dass
die Christen eine Rolle spielen können, wenn auch eine begrenzte. Ich will
nicht übertreiben, aber es ist dennoch eine wichtige Funktion. Wenn wir die
Kategorien des Evangeliums verwenden wollen, ist es eher eine Funktion von Salz
und Sauerteig als eine unmittelbar politische Funktion. Die Christen leiden
doppelt unter diesem Problem, denn sie leiden einerseits intern unter einer
Spaltung, unter einem Riss, und sie leiden andererseits unter den Folgen von
Feindseligkeiten und sogar Kriegshandlungen auf beiden Seiten.“
Internationale
Vermittlung in einem schwierigen Moment
Es
brauche jedoch einflussreiche Stimmen nicht nur von christlicher, sondern auch
von muslimischer Seite vor allem in Palästina, um einen gemeinsamen Weg der
Versöhnung einzuschlagen, auch wenn eine solche momentan, unter dem Einfluss
der starken Emotionen, noch in weiter Ferne scheine.
„In
der Zwischenzeit ist es wichtig, dass der Waffenstillstand hält, dass die
Geiseln freigelassen werden, dass auch die Zivilbevölkerung im Gazastreifen
respektiert wird und dass diese Zeit des Schweigens der Waffen es den
verschiedenen, nennen wir sie mal so, internationalen Influencern ermöglicht,
so weiterzuarbeiten, dass der Waffenstillstand verlängert und zu einer Art von
Waffenruhe wird, und dann so schnell wie möglich zu einer Form von
internationalem Schutz zu gelangen, um die Sicherheit beider Seiten zu
garantieren.“
Ohne
politische Lösung fängt alles von vorne an
Damit
sei es allerdings nicht getan, erinnert Patton, denn wenn es nicht unter
internationaler Vermittlung zu einer politischen Lösung komme, dann werde sich
die „gleiche Situation in ein paar Jahren wiederholen“:
„Der
Abgrund, dem wir uns gegenüber sehen, hat einmal mehr das Grundproblem des
Scheiterns einer politischen Lösung der palästinensischen Frage offenbart, die
sich über Jahrzehnte hingezogen hat. Die palästinensische Frage und die
israelische Frage sind eng miteinander verflochten, das heißt, es geht gerade
darum, zu einer gegenseitigen Anerkennung des Existenzrechts zu kommen. Und ich
würde sagen, es geht um zwei Völker, die im Laufe der Geschichte viel gelitten
haben. Und ich glaube, dass gerade diese enormen Leidenserfahrungen die beiden
Völker zur Anerkennung des gegenseitigen Leidens sowohl auf persönlicher als
auch auf kollektiver Ebene führen sollte.“
„Wir
müssen lernen, ihr Leiden anzuerkennen, und sie müssen lernen, unser Leiden
anzuerkennen“
Ähnlich
habe sich auch eine Vertreterin der Familien der israelischen Geiseln, Rachel
Goldberg-Polin, in einem Interview mit dem L'Osservatore Romano geäußert,
erinnert Patton: „Sie sagte: ,Wir müssen lernen, ihr Leiden anzuerkennen, und
sie müssen lernen, unser Leiden anzuerkennen‘. Und auf diese Weise gibt es
einen Schritt nach vorn, und ich glaube, dass die konkrete Lösung - ich kann
nicht sagen, ob es die beiden Staaten sind oder etwas anderes - eine Lösung
sein muss, die das Recht auf Existenz anerkennt. Von beiden Seiten muss es eine
Anerkennung des anderen geben, eine Anerkennung des Existenzrechts des anderen,
eine Anerkennung des Leidens des anderen.“
Sonst,
so die Mahnung des Franziskaners, komme es nur zu weiteren „Verhärtungen“ auf
beiden Seiten. Unterstützung von außen, durch die Vereinten Nationen und die
Mächte, die den Konfliktparteien am nächsten stünden, sei dabei jedoch dringend
geboten.
„Und
natürlich muss dies auch durch eine Form von, ich wage es zu sagen,
progressiver Begleitung geschehen, denn man kann nicht von nichts zu allem
übergehen, ohne dass es eine Form des Übergangs gibt. Denn es ist klar, dass
sich in der Haltung eines Teils der israelischen Politik etwas grundlegend
ändern muss, und es muss auch eine Änderung der Herangehensweise geben, die auf
Seiten der palästinensischen Welt konkreter werden muss.“ (vn 27)
Papst zu Christkönig: Das Königtum
Jesu ist Barmherzigkeit
Wegen
eines grippalen Infekts wurde das Angelusgebet mit Papst Franziskus diesen
Sonntag per Videoschalte aus dem vatikanischen Gästehaus Santa Marta
übertragen. In dem von einem Priester aus dem Staatssekretariat verlesenen Text
erinnerte Franziskus am Christkönigssonntag an das, was jeden Christen
auszeichnen sollte: Solidarität mit unseren notleidenden Brüdern und
Schwestern. Silvia Kritzenberger –
Vatikanstadt
„Heute
kann ich mich nicht vom Fenster (des Apostolischen Palasts) an euch wenden,
weil ich dieses Problem mit einer Entzündung im Lungenbereich habe. Mons.
Braida wird die Katechese verlesen. Er ist ja auch derjenige, der diese
Katechesen immer so gut schreibt. Vielen Dank, dass ihr heute mit dabei seid.“
Mit
diesen Worten wandte sich Franziskus diesen Sonntag im Video an die Gläubigen,
die sich über die verschiedenen Kommunikationskanäle zum Angelusgebet
zugeschaltet hatten. Die Pilger, die auch diesen Sonntag wieder zahlreich auf
den Petersplatz gekommen waren, konnten den Papst über Großbildschirme sehen.
Die Auslegung des Tagesevangeliums und die abschließenden Papstappelle wurden
von Mons. Paolo Braida aus dem vatikanischen Staatssekretariat verlesen. Den
Engel des Herrn betete Papst Franziskus selbst.
Das
Jüngste Gericht und der Maßstab der Nächstenliebe
Mit
dem Christkönigssonntag, an dem wir unseren Herrn Jesus Christus als König des
Weltalls feiern, klingt das Kirchenjahr aus. An diesem Hochfest sind wir
eingeladen, über die endgültigen Fragen am Jüngsten Tag nachzudenken. Im
Bibeltext zum Jüngsten Gericht, den der Evangelist Matthäus vorlegt, scheidet
der Christkönig und Weltenrichter die Guten von den Bösen. Und der
entscheidende Maßstab dabei wird die Nächstenliebe sein.
„Nach
den Kriterien der Welt sollten die Freunde des Königs diejenigen sein, die ihm
Reichtum und Macht verliehen haben, die ihm geholfen haben, Gebiete zu erobern,
Schlachten zu gewinnen, sich über andere Herrscher zu erheben, ja vielleicht
auf den Titelseiten der Zeitungen oder in den sozialen Medien wie ein Star gefeiert
zu werden,“ begann der Text des Papstes zum Tagesevangelium am
Christkönigssonntag. „Zu ihnen sollte er sagen: Danke, denn ihr habt mich reich
und berühmt gemacht, beneidet und gefürchtet.“
Jesus
urteilt nicht nach den Maßstäben der Welt
Jesus
aber urteile nicht nach den Maßstäben dieser Welt, sondern sei ein König ganz
anderer Art, „ein König, der die Armen "Brüder" nennt, sich mit den
Hungernden und Dürstenden, den Fremden, Kranken und Gefangenen identifiziert
und sagt: "Was ihr für einen meiner geringsten Brüder getan habt, das habt
ihr mir getan",“ hieß es im von Mons. Braida verlesenen Text weiter. „Er
ist ein König, der sensibel ist für das Problem des Hungers, das Bedürfnis nach
einem Zuhause, für Krankheit und Gefangenschaft: alles Realitäten, die leider
noch immer allgegenwärtig sind. Hungrige, obdachlose Menschen, die sich kleiden
so gut sie eben können, bevölkern unsere Straßen: Wir begegnen ihnen jeden Tag.
Und auch was Krankheit und Gefängnis betrifft, so wissen wir alle, was es
bedeutet, krank zu sein, Fehler zu machen und dafür bezahlen zu müssen.“
Nicht
wegschauen, sondern konkrete Hilfe leisten
Liebe
und Dienst – darauf komme es an. So wurde in der Katechese auf den Punkt
gebracht, was einen Christen auszeichnet. Mit der leidenden Menschheit
konfrontiert, dürfe man nicht wegschauen, sondern müsse dieser Not Abhilfe
schaffen, in dem man Bedürftigen konkrete Hilfe leistet.
Der
Stil Jesu: Mitleid, Barmherzigkeit, Zärtlichkeit
„Jesus,
unser König, der sich Menschensohn nennt, findet seine liebsten Brüder und
Schwestern in den Schwächsten. Sein "Königssaal" ist dort, wo
Menschen leiden und Hilfe brauchen. Das ist der 'Hofstaat' unseres Königs. Und
der Stil, durch den sich seine Freunde auszeichnen sollen – jene, die Jesus zum
Herrn haben –, ist der Stil des Herrn selbst: Mitleid, Barmherzigkeit,
Zärtlichkeit. Sie veredeln das Herz und sind wie Öl, das auf die Wunden der vom
Leben Verwundeten tropft.“
Nächstenliebe:
Der königlichste Ausdruck des Menschen
Abschließend
lud Franziskus in seinem Text wie immer zur Gewissenserforschung ein: „Glauben
wir, dass das wahre Königtum in der Barmherzigkeit besteht? Glauben wir an die
Macht der Liebe? Glauben wir, dass die Nächstenliebe der
"königlichste" Ausdruck des Menschen und eine unabdingbare Voraussetzung
für einen Christen ist? Und schließlich: Bin ich ein Freund des Königs: fühle
ich mich also von den Bedürfnissen der leidenden Menschen, die meinen Weg
kreuzen, persönlich betroffen? (vn 26)
Der
Rottenburg-Stuttgarter Bischof Gebhard Fürst tritt von seinem Bischofsamt
zurück. Der Papst habe seinen Amtsverzicht angenommen, teilte er am
Samstagabend mit.
Fürst
bezog sich auf ein Schreiben des päpstlichen Nuntius in Deutschland, Nikola
Eterovic. Darin akzeptiere Franziskus den Rücktritt von Bischof Fürst zu dessen
75. Geburtstag. Das Kirchenrecht sieht vor, dass Ortsbischöfe bei ihrem 75.
Geburtstag ein Rücktrittsgesuch beim Papst einreichen.
Fürst
war der am längsten amtierende deutsche Ortsbischof; sein Rücktritt zum 2.
Dezember war schon länger bekannt, doch erst jetzt erfolgte die offizielle
Mitteilung durch ihn selbst. Der Vatikan hat die Annahme des Rücktritts noch
nicht offiziell bestätigt. Am 2. Dezember will Fürst in der Rottenburger Festhalle
Abschied nehmen. (pm 26)
Malta: Europas Bischöfe beraten
über synodale Kirche
Die
Vorsitzenden aller katholischen Bischofskonferenzen Europas kommen ab Montag in
Malta zu ihrer jährlichen Vollversammlung zusammen.
Ein
Monat nach Ende der Synodenversammlung im Vatikan steht das dreitägige Treffen
in Valletta unter dem Titel „Neue Schritte für eine synodale Kirche in Europa“,
wie der Rat der Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) mitteilte.
Zwei
der zentralen kirchlichen Persönlichkeiten im Rahmen des vom Papst ausgerufenen
weltweiten Synodalen Prozesses der Kirche sind als Hauptreferenten vorgesehen:
Kardinal Jean-Claude Hollerich, Erzbischof von Luxemburg und Generalrelator der
„Synode über Synodalität“, sowie der im Vatikan für die Organisation der
Weltsynode zuständige maltesischen Kardinal Mario Grech.
Beratung
über die Vorbereitungen zum zweiten Teil der Weltsynode
Nach
CCEE-Angaben soll es bei den Beratungen auch Hinweise auf die
Vorbereitungsarbeiten für den zweiten Teil der Weltbischofs-Synode geben, der
im Oktober 2024 im Vatikan stattfinden wird.
Ein
weiteres Thema der Vollversammlung ist die laufende Überarbeitung der „Charta
Oecumenica“ der christlichen Kirchen Europas. Der Rat der katholischen
Bischofskonferenzen und die Konferenz Europäischer Kirchen (KEK) haben dazu
eine Arbeitsgruppe gebildet. Der polnische Kardinal Grzegorz Rys wird in
Valletta über den aktuellen Stand berichten.
Die
Charta Oecumenica war 2001 von CCEE und KEK unterzeichnet worden. Das Dokument
enthält Leitlinien für eine verstärkte Zusammenarbeit in kirchlicher, sozialer,
ökologischer und menschenrechtlicher Hinsicht. (kap 25)
Ja zur Satzung des Synodalen
Ausschusses
Vonseiten
des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) kann der Reformdialog der
katholischen Kirche in Deutschland wie geplant weitergehen.
Der
Laiendachverband stimmte am Samstag auf seiner Vollversammlung in Berlin fast
einstimmig für die Annahme der Satzung des Synodalen Ausschusses. Dieses
gemischte kirchliche Leitungsgremium aus Laien und Bischöfen soll den weiteren
Weg für mögliche kirchliche Reformen im Rahmen eines Synodalen Rats
vorbereiten, unter anderem hin zu mehr Mitbestimmung und Gleichberechtigung.
Nur
drei Gegenstimmen
Nur
drei der rund 160 anwesenden ZdK-Mitglieder stimmten nach einer leicht
kontroversen Debatte dagegen. Zuvor hatte ZdK-Präsidentin Irme Stetter-Karp von
dem auch psychologisch anstrengenden Ringen um die Satzung mit den Bischöfen
berichtet. Claudia Lücking-Michel, die ebenfalls die Satzung mitverhandelt
hatte, sagte: „Die Satzung ist das Beste, was wir aushandeln konnten. Ein
bisschen ist es wie der Spatz in der Hand - aber den sollten wir nicht
loslassen.“
„Ein
bisschen ist es wie der Spatz in der Hand“
Bei
seiner konstituierenden Sitzung hatte der Synodale Ausschuss am 10. und 11.
November in Essen einstimmig Satzung und Geschäftsordnung für seine künftige
Arbeit verabschiedet. In Kraft treten kann die Satzung jedoch erst endgültig,
wenn auch die Deutsche Bischofskonferenz sie ratifiziert. Die Bischöfe stimmen
auf ihrer Frühjahrsvollversammlung am 19. bis 22. Februar in Augsburg darüber
ab.
„Wir
Ortsbischöfe stehen zu der Satzung des Synodalen Rates“
Der
Berliner Erzbischof Heiner Koch, der erstmals als Geistlicher Assistent des ZdK
an der Vollversammlung teilnahm, erklärte: „Wir Ortsbischöfe stehen zu der
Satzung des Synodalen Rates. Das ist kein psychologischer Vorgang, das ist ein
bewusstes Ja!“ Er räumte ein, dass es unter den Weihbischöfen andere Meinungen
gebe. Deshalb sei das Votum des ZdK für die Satzung auch für die Bischöfe und
ihre finale Abstimmung im Frühjahr „ein ganz, ganz wichtiges Zeichen“.
Anfang
der Woche war ein Antwortbrief von Papst Franziskus an vier konservative
deutsche Katholikinnen bekanntgeworden, in dem er einen Synodalen Ausschuss
klar ablehnt. Zuvor hatte sich der Vatikan bereits mehrfach gegen die Gründung
eines Synodalen Rates ausgesprochen. Rom sieht die Gefahr, dass die Autorität
der Bischöfe dadurch unzulässig eingeschränkt werden könnte.
(kna
25)
Papst an Erdbebenopfer: Aus
Trümmern wächst Neues
Papst
Franziskus hat Italienern, die vom Erdbeben 2016/2017 getroffen wurden, Mut
gemacht. Es gebe „bedeutende Fortschritte beim Wiederaufbau", sagte das
katholische Kirchenoberhaupt diesen Freitag bei einer Audienz für Delegationen
aus den betroffenen Gebieten. Franziskus versicherte zugleich erneut seine
geistliche Nähe und Gebete für alle Opfer. Er mahnte zudem Nachhaltigkeit und
Umweltfreundlichkeit an.
Die
schweren Erdbeben in Mittelitalien hatten unter anderem die Ortschaft Amatrice
und Accumoli fast komplett zerstört; auch l`Aquila wurde stark beschädigt;
mehrere hunderte Menschen starben, viele verloren ihr Heim.
„Ihr
kommt aus den Gebieten, die zwischen dem 24. August 2016 und Januar 2017 von
Erdbeben getroffen wurden und Tod und Zerstörung brachten. Viele Menschen und
Familien wurden getroffen, Arbeitsstätten, Häuser und Kulturdenkmäler zerstört.
Die Wirtschaft brach in vielen Bereichen ein. Ein Erdbeben ist eine verheerende
Erfahrung, seelisch wie körperlich. In kürzester Zeit bricht weg, wofür
Generationen gearbeitet haben, man fühlt sich klein und machtlos, das hat jeder
von euch erlebt", sagte Papst Franziskus den Erdbebenopfern. Zugleich
würdigte er die Fortschritte beim Wiederaufbau und machte allen Mut:
„Wir
wollen heute, während wir mit Schmerzen an diese Tragödie denken und uns der
Opfer erinnern - allen Angehörigen versichere ich erneut meine Nähe - auch über
die bedeutenden Fortschritte beim Wiederaufbau sprechen, die Dank eurer
Voraussicht und des Durchhaltevermögens sichtbar sind. In diesen Jahren habt
ihr bewiesen, dass der Gemeinschaftsgeist Hindernisse und Unsicherheiten
überwinden kann, wenn wir uns zusammenschließen in einem ,Wir`, welches das
gemeinsame Haus bewohnt (Vgl. „Fratelli tutti", 17), damit aus den
Trümmern Neues erwächst."
Nachaltiger
Aufbau, Umwelt und Klimawandel bedenken
Mit
Blick auf den Wiederaufbau betonte der Papst besonders, dass dieser in
nachhaltiger und umweltfreundlicher Weise erfolgt sei. Es sei sehr wichtig, Nachhaltigkeit,
Natur und den Klimawandel zu bedenken, unterstrich das katholische
Kirchenoberhaupt. Papst Franziskus, der Anfang Dezember zum Klimagipfel COP 28
nach Dubai reist, sagte wörtlich:
„Nachhaltige
Kriterien anzuwenden, ist ein wichtiger Akt der Gerechtigkeit und
Nächstenliebe“
„Nachhaltige
Kriterien anzuwenden, ist ein wichtiger Akt der Gerechtigkeit und
Nächstenliebe, denn es zielt darauf ab, die Bedürfnisse zu erfüllen ohne die
Sicherheit und das Überleben derer zu gefährden, die nach uns kommen. Es
ist tröstlich zu sehen, wie ihr beim Wiederaufbau Ressourcenverschwendung
vermieden habt und auf eine gleiche Verteilung geachtet habt, auf die besonders
Schutzbedürftigen Rücksicht genommen habt und auf den Abbau architektonischer
Barrieren", lobte Franziskus die Italiener. Er bekräftigte, es gelte
den Menschen ins Zentrum zu stellen und technische und wirtschaftliche
Fortschritte mit guter Lebensqualität zu verbinden.
„Neben
dem Einsatz für die Geburtenrate ist es auch lebenswichtig, hydrogeologische
Sicherheit zu gewährleisten, die durch die Beschleunigung des Klimawandels noch
mehr bedroht ist. Beide Fronten sind zukunftsweisend und für heute und morgen
unerlässlich“
Das
katholische Kirchenoberhaupt mahnte zudem legale Vergabekriterien bei Aufträgen
an sowie Sicherheit für alle Arbeiter. Der Papst prangerte außerdem eine
sinkende Geburtenrate in Italien an und beklagte erneut, man könne den Eindruck
haben, den Leuten sei es wichtiger, Haustiere zu haben, als Kinder.
„Ich
ermutige euch also, den Wiederaufbau zu nutzen, um den Fehlern der
Vergangenheit gegenzusteuern, und neue Wachstumspläne für die Zukunft zu
schaffen. Das ist, denke ich, für ganz Italien wichtig. Neben dem Einsatz für
die Geburtenrate ist es auch lebenswichtig, hydrogeologische Sicherheit zu
gewährleisten, die durch die Beschleunigung des Klimawandels noch mehr bedroht
ist. Beide Fronten sind zukunftsweisend und für heute und morgen
unerlässlich."
„Neben
dem Einsatz für die Geburtenrate ist es auch lebenswichtig, hydrogeologische Sicherheit
zu gewährleisten, die durch die Beschleunigung des Klimawandels noch mehr
bedroht ist“
Es
gebe keinen Zweifel daran, dass die Auswirkungen des Klimawandels das Leben
vieler Menschen und Familien zunehmend beeinträchtigen werden, so Franziskus. Mit
Blick auf den Klimawandel verwies der Papst auch auf sein jüngstes Schreiben zu
diesem Thema, „Laudate Deum" und gab konkrete Tipps:
„Es
geht zum Beispiel darum, Wälder, Fluss- und Bachbetten sorgfältiger zu säubern,
die Überbauung von Grundstücken zu reduzieren und zu verhindern, in der
Landwirtschaft neue Kulturarten und Züchtungen einzuführen, mit entsprechenden
Investitionen für die kommenden Jahre. Auch hier gilt es, den Blick offen zu
halten, aufmerksam für die anderen und für die zu sein, die nach uns kommen,
und sich nicht von Kritik und Unzufriedenheit entmutigen zu lassen", so
der Appell des Papstes.
Papst
Franziskus reist vom 1. bis zum 3.12.2023 nach Dubai. Dort wird er am 2.
Dezember 2023 auf der Klimakonferenz COP28 sprechen und danach zahlreiche
bilaterale Treffen wahrnehmen. Am Tag darauf wird er den „Faith Pavillon“ auf
dem Expo-Gelände einweihen, bevor er nach Rom zurückfliegt. In seinem
Schreiben „Laudate Deum" vom Oktober 2023 geht das katholische
Kirchenoberhaupt besonders auf den Klimawandel ein und fordert dringendes
Handeln. (vn 24)
Kirchenmitgliedschaft: ein
Auslaufmodell?
Die
Kirchen befinden sich im freien Fall. Zweidrittel der Evangelischen und
Dreiviertel der Katholiken sind auf dem Weg zum Kirchenaustritt. Nur ein
geringer Teil der Kirchenmitglieder betet noch oder liest in der Bibel. Ist die
Religion auf dem Rückzug oder ist die Kirchenmitgliedschaft für die eigne
Religiosität nicht mehr gefragt?
Die
Evangelische Kirche hat, unter Beteiligung der katholischen Bischofskonferenz
eine Befragung durchgeführt. Kirchenmitgliedschaft ist für die Mehrheit der
Kirchenmitglieder obsolet? Was ist dann mit der Religion, für die die Kirchen
bisher das Monopol hatten und das der Islam ihnen nicht nehmen kann. Ordnet sie
sich neu oder verschwindet sie. Das wird von Kirchenleuten wie Journalisten
einfach aus den Daten abgeleitet. Das geben die Daten jedoch nicht her. Die
Befragten geben ja nicht Auskunft über ihre Vorstellung von der Welt, sondern
regieren auf Fragen, die die Kirchen formuliert haben. Es könnten die falschen
Fragen sein. die über 500 Fragen geben daher nur Auskunft über beide Kirchen:
Diese werden noch viele Mitglieder verlieren, vielleicht bleibt ein Rest – oder
Religion könnte sich, was Kirchenkritiker sich schon seit 200 Jahren wünschen,
anders organisieren.
Die
Ergebnisse der Untersuchung sind übersichtlich und mit Grafiken unter dem Titel
KMU, Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung zusammengestellt. https://kmu.ekd.de/
Die
Vorstellungen von Gott
Die
zentrale Frage, wie die Menschen sich Gott vorstellen, erbrachte folgende
Selbsteinschätzung der 5282 Befragten. Sie haben die für die Kirchen zentralen
Fragen so angekreuzt:
19%
Ich glaube, dass es einen Gott gibt, der sich in Jesus Christus zu erkennen
gibt. 29% Ich glaube, dass es ein höheres Wesen oder eine geistige Macht gibt.
20%
Ich weiß nicht richtig, was ich glauben soll. 33% Ich glaube nicht, dass es
einen Gott, irgendein höheres Wesen oder eine geistige Macht gibt.
Nur
noch 19% können sich mit dem identifizieren, was die Kirchen über ein höheres
Wesen vermitteln. 29 % gehen davon aus, dass es ein solches Wesen gibt,
können aber ihre religiösen Vorstellungen, ihre Ahnungen, dass es mehr gibt als
das, was den Alltag bestimmt, nicht mehr mit den Kirchen in Zusammenhang
bringen. Hinzu kommen auch die 20%, die das Statement „Ich weiß nicht so richtig.“
ankreuzen
Diese
Ergebnisse sind in Bezug auf die Kirchen eindeutig. Sie können nicht mehr
bestimmen, wie man sich Gott und seine Beziehung zu den Menschen vorzustellen
hat. Auch die Mehrheit der Kirchenmitglieder findet in den Gottesdiensten nicht
mehr das, warum für frühere Generationen der Kirchgang selbstverständlich war.
Es gibt auch keine andere Institution, die eine religiöse Vorstellung anbietet,
mit der die Mehrheit der Deutschen sich identifizieren könnten. Der Marxismus
als letzter Großversuch, mit dem Materialismus eine Weltsicht zu etablieren,
hat schon länger ausgedient. Der Islam hat nach der Umfrage ähnlich viele
Distanzierte wie die Kirchen. Die Studie stellt erst einmal nicht fest, dass
die Religiosität „verdunstet“, sondern nur, dass die Kirchen die Menschen mit
ihrer Deutung nicht mehr erreicht.
Ein
Fragebogen kommt nicht an die Religiosität heran
Methodische
Grenzen des Fragebogens: Die Methodik, 5.000 Bürger zu befragen, zwingt zu
Fragebögen, die nur ein Ankreuzen von vorformulierten Fragen ermöglichen. Damit
kommt man aber nicht an die tatsächlichen religiösen Fragen heran. Dafür muss
man einfühlsame, längere Gespräche ohne vorgegeben Formulierungen führen.
Non-direktive Interviews wird diese Methodik genannt.
Die
Frage zur Kirchenmitgliedschaft ist zu „churchy“ formuliert: Die
Kirchenmitgliedschaft wird mit einem Ja zu dieser Formulierung erhoben:
„dass es einen Gott gibt, der sich in Jesus
Christus zu erkennen gibt.“
Nach
meiner Erfahrung geht „zum Glauben kommen“ heute anders. Die Menschen, die ich
zur Taufe begleitet habe, würden diese von Theologen formulierte Aussage als
fremd empfinden. Sie nähern sich nicht mit einem durchformulierten
theologischen Satz dem Glauben, sondern mit Ahnungen und aus der Reflexion auf
tiefgehende Erfahrungen. Ob sie die Kirchen auf diesem Weg als hilfreich
erleben, ist nach den Ergebnissen der Umfrage zu bezweifeln. Auch setzen die
Gottesdienste beider Kirchen Menschen voraus, die diese Predigten hören und
diese Lieder singen wollen.
Zuerst
eine Geisterfahrung, dann die Erkenntnis Christi: Aus kirchlicher Sicht sind
solche Lehrsätze notwendig, damit sich nicht nur die Theologen, sondern auch
die Gläubigen auf Inhalte einigen. Das führt zum Glaubensbekenntnis. Aber jeder
und jede, auch die Theologen müssen bis zu solchen Sätzen einen Weg
zurücklegen. Der Weg beginnt nicht mit festgelegten Formulierungen, sondern mit
religiösen Erfahrungen, die eine Deutung brauchen. Erst dann können Menschen in
das Glaubensbekenntnis einstimmen. Wer sich seinem inneren religiösen
Erfahrungsraum annähert, hat zuerst eine Geisterfahrung, die dann zu Jesus
führt, wenn die Kirchenleute wie Paulus diese Geisterfahrung aufgreifen. Das
mit einem Fragebogen abzufragen, heißt, Viele, die noch nicht ein formuliertes
Glaubensbekenntnis erreicht haben, werden die Aussage eines Fragebogens nicht
ankreuzen.
Die
Predigten deuten die religiösen Erfahrungen nicht: Das geschieht auch nicht in
den üblichen Predigten. Diese erklären den Evangelientext, der für den Sonntag
vorgesehen ist oder nur eine Aussage aus der Bibel. Damit werden nicht die
Geisterfahrungen aufgegriffen. Die Zuhörer müssen sich in eine ganz andere
Kultur hineindenken, weil entsprechend der Bibelwissenschaft die Texte aus der
damaligen Kultur und nicht in Bezug auf die Erfahrungen heute gedeutet werden.
Die Menschen brauchen jedoch eine Erklärung der Gegenwart und ihrer religiösen
Erfahrungen in der heutigen Kultur. In den Gesangbüchern beider Kirchen finden
sich hauptsächlich Melodien des 16. und 17. Jahrhunderts.
Es
gibt sicher noch andere Eigenarten beider Kirchen, die sie nicht mehr an den
tiefergehenden Erfahrungen der Zeitgenossen andocken lässt. Dass die Religion
aus dem Horizont der Menschen verschwinden wird, scheint unwahrscheinlich. Sie
bildet sich in der magischen Phase des Kleinkindes und muss aber dann über
mehrere Krisen in den Erwachsenenglauben gelangen.
Vom
Kinderglauben zum Erwachsenenglauben
Die
Unsicherheit, wie die höhere Macht mit dem eigenen Leben zusammenhängt, ist für
Kinder in der magischen Phase fraglos. Allerdings entspricht ihre
Vorstellungswelt eher der Religiosität des Alten Testaments. Fritz Oser hat
gezeigt, wie sich diese Religiosität durch Krisen des Gottesbildes
weiterentwickelt und dafür plädiert, diese Krisen zu thematisieren, um zu einem
neuen Gottesbild zu kommen. Für die Heranwachsenden kommen beängstigende
Erkenntnisse der Kosmologie hinzu. Wenn Schüler hören, dass es Milliarden
Milchstraßen gibt, die aus einem raumlosen Punkt mit dem Big Bang entstanden
sind, werden kindliche religiöse Vorstellungen fraglich. Fraglich wird auch die
Gottesvorstellung der vorausgegangenen Generationen. Wird Gott nicht wie im
Hinduismus zu einem Teil dieses riesigen Weltalls oder haben die Prediger eine
Vorstellung im Hinterkopf, die Gott größer denkt als ein Kosmos, der sich auch
noch ausdehnt? Wenn man bedenkt, dass für die Griechen Zeus und seine Familie
auf einem benachbarten Berg „wohnte“, soll der Gläubige heute Gott größer
denken als das riesige Weltall. Die Bedrohungen durch Finanzkrisen und immer
neue Kriege machen die Versprechungen der Kirche, Gott sei den Menschen nahe,
eher unglaubwürdig.
Nicht
dem Verdunsten des Religiösen das Wort reden
Die
Befragung sollte nicht so interpretiert werden, dass die Deutschen auf eine
Gesellschaft bauen wollen, die von Religiosität "desinfiziert" wurde.
Diese Gesellschaft hat keine neuen Antworten auf die Fragen, denen sich die
Religion eigentlich stellt. Dass die Theologie beider Kirchen das nicht mehr
verspricht, zeigt sich an der Generation Z. Diejenigen, die in diesen Jahren
Abitur machen, wählen fast nicht mehr Theologie als Studienfach. Wenn man sie
fragt und nicht bloß Statements ankreuzen lässt, äußern sie sich positiv zum
Christentum, mit der Einschränkung allerdings, es sei für frühere Generationen
sehr hilfreich gewesen, die neue Kultur, die im Werden sei, brauche eine neue
Weltanschauung. Damit machen sie eine wichtige Aussage über Theologie wie
Philosophie: Beide sind vom Menschen "gemacht" und kann deshalb in
Prüfungen abgefragt werden. Wenn die Menschenwelt sich ändert, gibt es neue
Intuitionen, wie das in den Ahnungen und Erfahrungen sich zeigende religiöse
Phänomen gedeutet werden kann. Ich bin gespannt, was die Zwanzigjährigen wie
auch die Dreißigjährigen über Religiosität herausfinden werden. Nach den
Umfrageergebnissen werden sie das erst einmal nicht in den Kirchen versuchen.
Gottesdienste
in der Katholischen Kirche: Sie wirken oft abgestanden, ohne etwas Besonderes
auszustrahlen. Das war in den siebziger und auch noch achtziger Jahren anders.
Noch davor hatte die Messe eine heilige Aura. Die Gläubigen konnten nur bis zur
Kommunionbank vorgehen und haben kniend die Hostie empfangen. Diesen Charakter
hat die Messe verloren. Das korrespondiert mit der Architektur. Wenn man heute
bei einem Rundgang durch eine Stadt Hausfassaden betrachtet, dann wirken die
aus den sechziger und siebziger Jahren unscheinbar, während die Altbauten meist
in neuem Glanz erstrahlen. Auch die heute nicht mehr gefeierte, sondern eher
absolvierte Liturgie ist in diesen Jahren entstanden und wirkt wie deren
Architektur. Weder die Häuser noch die Liturgie sind offen für Kunst.
Ein
Blick nach Rom zeigt, dass Erfahrungen das Medium sind, in dem man auf den
Geist stößt. Der Papst beginnt jeweils mit einem Erfahrungsaustausch, der
dauerte bei der Synode über die Familie eine Woche. Jeder in der Sprachgruppe
erzählte den anderen seine eigene Familiengeschichte. Das schafft den Humus,
auf dem Neues entstehen kann. Erfahrungen lösen auch das Autoritätsproblem,
denn nicht mehr nur ein Prediger erklärt den Gläubigen, was zu glauben ist,
sondern die Gläubigen erzählen sich untereinander, wie glauben „geht“. Das
typische Rechthabenwollen in streng religiösen Gruppen hat da viel weniger
Entfaltungsmöglichkeiten.
Literaturhinweis:
Die religiöse Entwicklung hat Fritz Oser parallel zu den Forschungen von Piaget
zur kognitiven und von Kohlberg zur moralischen Entwicklung mit sehr
intelligenten Untersuchungsmethoden erforscht. Wer diese Ergebnisse studiert
hat, wird nicht mehr mit einem einzigen Fragebogen alle Bürger „über einen Kamm
scheren“. Fritz Oser, Paul Gmünder: „Stufen des religiösen Urteils“. Der
amerikanische Autor James Fowler hat in gleicher Richtung Studien betrieben. Eckhard
Bieger, ktah.de 24
Papst: Auf den Schrei der Armen
hören, um Probleme der Menschheit zu lösen
Es
ist die Pflicht eines Papstes, die Armen in den Mittelpunkt zu stellen, wobei
es „nicht um Politik, nicht um Soziologie, nicht um Ideologie, sondern schlicht
und einfach um die Forderung des Evangeliums“ geht: Das schreibt Papst
Franziskus an die Teilnehmer einer Konferenz, die aus Anlass des zehnten
Jahrestages seines Schreibens Evangelii Gaudium auf Einladung des Dikasteriums
für ganzheitliche Entwicklung zu einer Konferenz in Rom zusammengekommen sind.
Christine Seuss - Vatikanstadt
Auch
einen Post auf X setzte das Kirchenoberhaupt zu dem Jubiläum des
Apostolischen Schreibens, das das Datum 24. November 2013 trägt, ab: „Die
Freude aus dem Evangelium kann nichts und niemand uns je nehmen. Die Übel
unserer Welt und die der Kirche dürften niemals Entschuldigungen sein, um
unseren Einsatz und unseren Eifer zu verringern. Betrachten wir sie als
Herausforderungen, um zu wachsen. #EvangeliiGaudium“, so der Papst von
seinem Account @pontifex_de.
In
seiner mehrseitigen Botschaft an die Konferenzteilnehmer, die sich in diesen
Tagen mit Evangelii Gaudium auseinandersetzen, wird er noch deutlicher: auch in
der heutigen Zeit sähen sich die Christen bei der Verkündigung des Evangeliums
zahlreichen Widerständen ausgesetzt, vielleicht nicht so offen und direkt
gefährlich wie in frühchristlicher Zeit, doch der menschliche Hang zum Egoismus
und zur Bequemlichkeit seien immer präsent:
„Die
Verkündigung des Evangeliums in der heutigen Welt erfordert von uns weiterhin
einen prophetischen, gegenkulturellen Widerstand, (...) Widerstand gegen ein
System, das tötet, ausgrenzt, die Menschenwürde zerstört; Widerstand gegen eine
Mentalität, die isoliert, entfremdet, das innere Leben für die eigenen
Interessen verschließt, uns vom Nächsten, von Gott entfernt“, so Franziskus.
Dabei komme der Aufmerksamkeit für die Armen eine Schlüsselrolle zu, zeigt er
sich angesichts der Tatsache, dass der „ganze Weg unserer Erlösung (…) von
Armen geprägt“ sei, überzeugt: „Die Botschaft ist so klar, so direkt, so
einfach und aussagekräftig, dass keine kirchliche Hermeneutik das Recht hat,
sie zu relativieren, denn es geht um unser Seelenheil“
„Die
Botschaft ist so klar, so direkt, so einfach und aussagekräftig, dass keine
kirchliche Hermeneutik das Recht hat, sie zu relativieren, denn es geht um
unser Seelenheil. Deshalb kann der Papst nicht umhin, die Armen in den
Mittelpunkt zu stellen. Es geht nicht um Politik, nicht um Soziologie, nicht um
Ideologie, sondern schlicht und einfach um die Forderung des Evangeliums“, so
der Papst, der mit seinem Apostolischen Schreiben, in dem er eine Abkehr von
einer Wirtschaft, die „tötet“, forderte, auch deutlichen Widerstand eingefahren
hatte. Dies sei jedoch ein „nicht verhandelbares Prinzip“, das für alle Geltung
haben müsste, wiederholte Franziskus. Er habe in Evangelii Gaudium zwar nicht
den Anspruch erhoben, eine allgemeingültige Interpretation der sozialen Wirklichkeit
zu liefern, doch er sei überzeugt davon, dass die radikale Lösung der Probleme
der Arme die Voraussetzung dafür sei, auch alle anderen sozialen Übel zu
beheben.
Probleme
der Armen lösen
Dazu
sei ein Mentalitätswandel nötig, mit dem besser gestellte Menschen anerkennten,
dass Solidarität nur Ausdruck dessen sei, den Armen das zurückzugeben, was
ihnen „rechtmäßig gehört“. „Diese Überzeugungen und Gewohnheiten der
Solidarität, wenn sie Fleisch werden, öffnen den Weg für andere strukturelle
Veränderungen und machen sie möglich. Ein Strukturwandel ohne neue
Überzeugungen und Haltungen wird früher oder später dazu führen, dass dieselben
Strukturen korrupt, schwerfällig und unwirksam werden“, so der Papst, der in
diesem Zusammenhang auf den „Schrei ganzer Völker, der ärmsten Völker der Erde“
hinwies, der gehört werden müsste.
Im
Zug dieses Mentalitätswandels sei es allerdings auch nötig, „auf die absolute
Autonomie der Märkte und der Finanzspekulation“ zu verzichten und „die
strukturellen Ursachen der Ungleichheit“ zu bekämpfen, so der Papst, der
wiederholt gefordert hat, dass die Wirtschaftspolitik den Einzelnen in den
Mittelpunkt zu stellen habe. Doch Ethik, weltweite Solidarität oder
Güterverteilung seien dem System offenbar mittlerweile „lästig“ geworden, ebenso
wie der Hinweis darauf, Arbeitsplätze zu erhalten statt ungehemmt zu
rationalisieren. Die Berufung eines Unternehmers sei jedoch eine „edle“, wenn
er seine Aktivitäten der Gütervermehrung mit Blick auf das Gemeinwohl vornehme,
so Franziskus.
Güter
vermehren, aber Gemeingut im Blick haben
„Wir
können uns nicht länger auf blinde Kräfte und die unsichtbare Hand des Marktes
verlassen“, fordert der Papst erneut, der unterstreicht, dass es ihm nicht auf
„unverantwortlichen Populismus“ ankomme, sondern darum, dass die Wirtschaft
nicht länger zu Mitteln greife, die ein „neues Gift“ sind, indem dem Wachstum
zuliebe neue Ausgegrenzte in Kauf genommen würden:
„Wenn
es uns nicht gelingt, diesen Mentalitäts- und Strukturwandel herbeizuführen,
sind wir dazu verurteilt, dass sich die Klima-, Gesundheits- und
Migrationskrisen und vor allem Gewalt und Kriege verschärfen und die ganze
Menschheitsfamilie gefährden, Arme und Nicht-Arme, Integrierte und
Ausgeschlossene, denn ,wir sitzen alle im selben Boot und sind aufgerufen,
gemeinsam zu rudern‘“, zitiert Franziskus einen gern genutzten Gedanken.
Armut
erzeugt Gewalt
Die
Behebung von Ausgrenzung und Ungleichheit sei jedoch der einzige Weg, auch mehr
Sicherheit und weniger Gewalt zu schaffen, denn „ohne Chancengleichheit werden
die verschiedenen Formen von Aggression und Krieg einen Nährboden finden, der
früher oder später explodieren wird“, betont der Papst. Zwar fördere die
aktuelle Wirtschaft eine „Verschärfung des Konsums“, doch zeige sich, dass
„ungezügelter Konsum in Verbindung mit Ungleichheit dem sozialen Gefüge doppelt
schadet“, gibt Franziskus zu bedenken: „So führt die Ungleichheit früher oder
später zu Gewalt, die durch Wettrüsten nicht gelöst werden kann und auch nicht
wird“. Dies diene nur dazu, „diejenigen zu täuschen, die mehr Sicherheit
fordern, als ob wir heute nicht wüssten, dass Waffen und gewaltsame
Unterdrückung, anstatt Lösungen zu bieten, neue und schlimmere Konflikte
schaffen“, so der Papst mit Blick auf die traurige Aktualität.
Ebenso
komme es zu „unzulässigen Verallgemeinerungen“, wenn Arme für ihre eigene
Situation verantwortlich gemacht und die Lösung in „Erziehungsmaßnahmen“ zu
deren Ruhigstellung gesucht würden, während in vielen Ländern doch das „soziale
Krebsgeschwür der tief sitzenden Korruption“ grassiere, „unabhängig von der
politischen Ideologie der Machthaber“. Doch auch die Klima-, Gesundheits- und
Migrationskrisen hätten ihre Wurzeln in der „Ungerechtigkeit dieser Wirtschaft“
und „in der egoistischen Mentalität, die sie aufrechterhält“, so der Papst mit
Blick auf seine Ausführungen in seiner Enzyklika „Laudato Sí“: „Diejenigen, die
glauben, sie könnten sich allein retten, in dieser oder in der nächsten Welt,
irren sich“. Einer Lösung der „schwerwiegenden Probleme der Menschheit“ könnten
wir nur dann näher kommen, wenn wir „auf den oft verstummten Schrei der Erde
und der Armen hören“, schließt der Papst mit einem Dank an die
Konferenzteilnehmer seine Botschaft, die im Original auf Spanisch verfasst ist.
(vn 24)
Papst Franziskus kritisiert erneut
Synodalen Weg
Neue
Kritik zum Reformprozess der Kirche in Deutschland: In einem Brief schreibt
Papst Franziskus, er sei besorgt darüber, dass sich die katholische Kirche in
Deutschland immer weiter von der Weltkirche entferne. Von Eckhart Querner, BR24
Redaktion
Papst
Franziskus hat sich erneut kritisch zu Reformen der katholischen Kirche in
Deutschland geäußert. Am 10. November nahm der Synodale Ausschuss seine Arbeit
auf. In diesem Gremium sollen die Beratungen zwischen Laien und Bischöfen zu
Reformen in der katholischen Kirche fortgesetzt werden.
Ein
auf deutsch geschriebener Brief des Papstes stammt ebenfalls vom 10. November.
Franziskus schreibt darin, er teile die "Sorge über die inzwischen
zahlreichen konkreten Schritte, mit denen sich große Teile dieser Ortskirche
immer weiter vom gemeinsamen Weg der Weltkirche zu entfernen drohen."
Armenhilfe
statt Reformprozess?
Das
handschriftlich mit "Franziskus" unterzeichnete Dokument ist an vier
frühere Delegierte des Reformprozesses Synodaler Weg gerichtet. Sie hatten ihre
Mandate im Februar dieses Jahres gemeinsam niedergelegt mit der Begründung, der
Synodale Weg könne einen Bruch mit Rom provozieren. In seinem Brief an die vier
Frauen, darunter zwei Theologieprofessorinnen, appelliert Franziskus unmissverständlich,
auf die Armen und Kranken zuzugehen, statt "das Heil in immer neuen
Gremien zu suchen und in einer gewissen Selbstbezogenheit die immer gleichen
Themen zu erörtern."
Nach
einem Bericht der Tageszeitung "Welt" reagiert der Papst damit auf ein
vorangegangenes Schreiben der vier Katholikinnen. Darin brachten die
Theologinnen Katharina Westerhorstmann und Marianne Schlosser, die Journalistin
Dorothea Schmidt und die Religionsphilosophin Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz
angesichts des deutschen Reformkurses ihre Sorge um die Einheit mit Rom zum
Ausdruck.
Synodaler
Ausschuss soll Weg für Reformen ebnen
Der
Papst bezieht sich in dem Brief auf ein Ergebnis des Reformprozesses Synodaler
Weg, den die Deutsche Bischofskonferenz und das Zentralkomitee der deutschen
Katholiken (ZdK) vor vier Jahren gemeinsam gestartet haben. Ein inzwischen
konstituierter Synodaler Ausschuss soll die Einrichtung eines Synodalen Rates
vorbereiten. In diesem Gremium wollen Bischöfe und katholische Laien ihre
Beratungen über die Themen Macht, Rolle der Frau, Sexualmoral und priesterliche
Lebensform fortsetzen.
Dieses
Vorgehen könne die Deutschen von der kirchlichen Einheit entfernen, heißt es in
dem Brief. Ein "Beratungs- und Entscheidungsgremium", wie es derzeit
vorbereitet werde, sei "mit der sakramentalen Struktur der katholischen
Kirche nicht in Einklang zu bringen".
Bischofskonferenz
will Papst-Schreiben nicht kommentieren
Die
Deutsche Bischofskonferenz teilte mit, der Brief des Papstes sei nicht an sie
gerichtet, man habe davon aus den Medien erfahren. Deshalb werde man das
Schreiben nicht kommentieren.
Das
ZdK erklärte zum wiederholten Mal, der Synodale Ausschuss stehe auf der
Grundlage des geltenden Kirchenrechts. Papst Franziskus habe als Neuerung bei
den Beratungen der Weltsynode eine offizielle Beteiligung und Mitentscheidung
von Laien eingeleitet: "Wir danken dem Papst für dieses deutliche Zeichen
für mehr Synodalität, in dem wir uns eng mit ihm verbunden fühlen."
Mit
Informationen von KNA. BR.de 24
Der Papst auf der Datenautobahn.
Udienz an FISC
Es
ist schon paradox mit den „großen kommunikativen Autobahnen von heute“: Sie
sind einerseits „immer schneller“ und andererseits oft „verstopft“. Das sagte
Papst Franziskus, der auf der medialen Autobahn selbst immer wieder für Stau
sorgt, an diesem Donnerstag.
Im
Vatikan empfing er katholische Medienmacher aus Italien, um sie an den
eigentlichen Sinn von Kommunikation zu erinnern, nämlich „Verbindungen
herstellen, Brücken bauen, nicht Mauern hochziehen“. Man könne gar nicht oft
genug die Kompassnadel auf „Förderung der Menschenwürde, der Gerechtigkeit und
des Friedens“ einstellen, auch im Medienbereich.
Eilmeldungen
veralten schneller
Wie
er sich gute katholische Medienarbeit vorstellt, umriss der Papst so: „Sie
bietet nicht nur die neueste Nachricht, die schnell wieder veraltet, sondern
transportiert auch eine menschliche, eine christliche Vision, um Geist und Herz
zu bilden, damit diese sich nicht von lauten Parolen oder Skandalmeldungen
verformen lassen. Ich ermutige euch zu einer Ökologie der Kommunikation… Denkt
daran, dass es jenseits der Nachrichten und Scoops immer Gefühle gibt,
Geschichten, Menschen aus Fleisch und Blut, die man respektieren sollte.“
Der
Fall Giulia
Er
konnte sich dann aber doch nicht verkneifen, auf eine traurige, aktuelle
Nachricht dieser Tage Bezug zu nehmen: Eine 22-Jährige ist unlängst im
Venezianischen von ihrem früheren Freund, der das Ende der Beziehung nicht
hinnehmen wollte, ermordet worden; der „Caso Giulia“ beschäftigt die
italienischen Medien in diesen Tagen ausgiebig und hat in der Berichterstattung
vieles andere (etwa den größten Mafiaprozess Italiens der letzten dreißig
Jahre) in den Hintergrund gedrängt.
„An
den traurigen Nachrichten dieser Tage, den furchtbaren Meldungen über Gewalt
gegen Frauen, ersehen wir, wie dringend es ist, zu Respekt und Sorgfalt zu
erziehen: Menschen bilden, die zu gesunden Beziehungen imstande sind.
Kommunikation ist Menschenbildung. Kommunizieren heißt, die Gesellschaft
aufzubauen. Verlasst diesen Pfad des Bildens nicht, denn er wird euch weit
bringen.“
Gegen
das „Eindringen des Digitalen“
Noch
etwas lag dem Papst am Herzen: Heutzutage entblößten sich viele Menschen online
oder würden an einem digitalen Pranger vorgeführt: So zerbrösele der Respekt
vor dem anderen. Vor allem Kinder, alte und schwache Menschen und Behinderte
bräuchten mehr Schutz vor dem „Eindringen des Digitalen und vor den
Verführungen einer provokanten, polemischen Kommunikation“.
„Das
ist eine Frage der kommunikativen Demokratie! Bitte seid in diesem Bereich
furchtlos, wie David gegen Goliat, der mit einer kleinen Schleuder den Riesen
zu Fall brachte… Ihr seid zu einer großen Aufgabe berufen: in Wort und Bild die
Würde der Menschen schützen, vor allem der Kleinen und Armen, die Gottes
Bevorzugte sind.“
„Ein Schwimmen gegen den Strom“
Carlo
Acutis – ein italienischer Schüler, der 2006 im Alter von nur 15 Jahren starb –
sei ein Meister darin gewesen, die „Mechanismen der Kommunikation, der Werbung
und der sozialen Medien“ zur Weitergabe des Evangeliums zu nutzen. Franziskus
hat Carlo 2020 feierlich seliggesprochen.
„Dieser
Jugendliche ist nicht in die Falle gegangen, sondern ein Zeuge der
Kommunikation geworden. Zeugnis ist Prophetie, Kreativität, die befreit… Ja,
die Treue zum Evangelium verlangt die Fähigkeit, für das Gute auch etwas zu
riskieren. Es ist ein Schwimmen gegen den Strom: von Geschwisterlichkeit
sprechen in einer individualistischen Welt; von Frieden in einer Welt des
Kriegs; von Hinhören auf die armen in einer gleichgültigen Welt. Aber das kann
man nur glaubwürdig tun, wenn man erst selbst das lebt, wovon man redet.“ (vn
23)
Kirchen fordern Klimapass für
Klimaflüchtlinge
Wer
vor den katastrophalen Folgen des Klimawandels flieht, soll nach einer
Forderung der Kirchen in Baden-Württemberg in weniger betroffenen, reichen
Staaten Zuflucht finden. Es brauche neue legale Wege für Klimaflüchtlinge,
forderten die Bischöfin und die Bischöfe im Südwesten in einer am Donnerstag
veröffentlichten Erklärung.
Betroffene
aus dem globalen Süden sollten einen Klimapass erhalten, der ihnen Staatsbürgerrechte
in den Aufnahmestaaten garantiere. „Ein Klimapass gäbe den Menschen die Chance,
nicht fliehen zu müssen, wenn es zu spät ist, sondern in Würde ein neues Leben
zu planen und zu beginnen, in ihrem Heimatland oder auch in einem anderen
Aufnahmeland“, sagte der katholische Rottenburger Bischof Gebhard Fürst.
Der
katholische Freiburger Erzbischof Stephan Burger sagte, weil die reichen
Industriestaaten maßgeblich den menschengemachten Klimawandel verursacht
hätten, stünden sie bei den Hilfen für die Betroffenen in besonderer
Verantwortung.
Die
evangelische badische Landesbischöfin Heike Springhart sagte, die Lasten und
Folgen der Klimaveränderungen müssten fair verteilt werden. Und der
evangelische württembergische Landesbischof Ernst-Wilhelm Gohl sagte, Christen
müssten an der Seite der Opfer stehen. „Dies bedeutet hier, Klimavertriebenen
Wege in ein sicheres Leben zu eröffnen.“
Entsprechende
Fortschritte und Garantien erhoffen sich die Kirchen von der 28.
Weltklimakonferenz, die in einer Woche in Dubai beginnt. Dort will erstmals
auch Papst Franziskus sprechen. (kna/pm 23)
Papst: Das Evangelium ist nicht für
wenige Privilegierte
Bei
seiner Generalaudienz an diesem Mittwoch hat Franziskus die universale
Bestimmung des Evangeliums herausgestellt. Die Frohe Botschaft dürfe nicht als
Privileg einer kleinen Gruppe von Auserwählten betrachtet werden, sondern sei
für alle bestimmt. „Alle haben das Recht, das Evangelium zu empfangen und wir
Christen haben die Pflicht, es ausnahmslos allen zu verkünden,“ stellte
Franziskus klar. Silvia Kritzenberger - Vatikanstadt
Auf
einem sonnigen Petersplatz hat Franziskus diesen Mittwochvormittag seine
Katechesenreihe zur Leidenschaft für die Evangelisierung fortgesetzt. Bunt
gekleidete Fahnenträger aus Italien standen Spalier, als das päpstliche
Papamobil auf dem Petersplatz vorfuhr. Wie vergangene Woche angekündigt, will
sich Franziskus in den kommenden Wochen mit Aspekten befassen, die für die
Verkündigung wesentlich sind.
„Die
christliche Verkündigung ist Freude für alle. Wenn wir Jesus wirklich begegnen,
durchdringt das Staunen über diese Begegnung unser ganzes Leben, will über uns
selbst hinausgetragen werden. Der Herr möchte, dass sein Evangelium allen gilt.
Darin liegt nämlich eine „humanisierende Kraft“, eine Erfüllung des Lebens, die
für jeden Menschen bestimmt ist, denn Christus ist für alle geboren, gestorben
und auferstanden. Für alle ohne Ausnahme.“
Aus
seinem Apostolischen Schreiben Evangelii gaudium zitierend, stellte der Papst
heraus, dass die Christen die Pflicht hätten, das Evangelium ausnahmslos allen
zu verkünden, dass sie „extrovertiert“ und „aufgeschlossen“ sein müssten, weil
die Kirche durch Anziehung wachse und nicht durch Proselytismus.
Offenbar
wird diese universale Dimension der Sendung Jesu auch in der Begegnung des
Herrn mit der Kanaanäerin (Mt 15,21-28): Der unerschütterliche Glaube dieser
fremden und heidnischen Frau, der es gelang, Jesus umzustimmen, mache deutlich,
dass die Botschaft Jesu nicht nur einem Volk, sondern allen Menschen gelte, so
der Papst.
„Die
Bibel zeigt uns, dass Gott, wenn er einen Menschen beruft und einen Bund mit
ihm schließt, dies immer nach folgendem Kriterium tut: Er erwählt einen, um
andere zu erreichen. Das ist das Kriterium Gottes, der Berufung durch Gott.“
Kein
Privileg einiger weniger Auserwählter
Doch
die Berufung dürfe nicht als Privileg für den Einzelnen verstanden werden, das
ihn über andere erhebt, warnte Franziskus. Sie bestehe nämlich darin, freies
und mutiges Werkzeug der Liebe Gottes zu sein und so den Glauben im Gebet und
im Dienst für die anderen zu bezeugen.
Wörtlich
sagte Franziskus: „Bitte nicht! Die Berufung ist kein Privileg, niemals! Wir
können nicht sagen, dass wir im Vergleich zu anderen privilegiert seien, nein -
die Berufung ist Berufung zu einem Dienst. Und Gott wählt einen aus, um alle zu
lieben, um alle zu erreichen. Auch um der Versuchung vorzubeugen, das
Christentum mit einer ethnischen Gruppe, einem System zu identifizieren. Denn
dann verliert es sein wahrhaft katholisches Wesen, also für alle, universal zu
sein: Es ist kein Grüppchen von Auserwählten erster Klasse. Wir dürfen nicht
vergessen, dass Gott einige erwählt, um alle zu lieben. Dieser Horizont der
Universalität. Das Evangelium ist nicht nur für mich, es ist für alle -
vergessen wir das nicht!“ (vn 22)
Papst traf Palästinenser und
Israelis: Beide leiden sehr
Papst
Franziskus hat diesen Mittwoch Delegationen aus Palästina und Israel im Vatikan
empfangen. Das katholische Kirchenoberhaupt hatte vor seiner Generalaudienz
Israelis getroffen, deren Angehörige als Geiseln in Gaza sind, und eine
Delegation von Palästinensern aus dem Gaza-Streifen, die unter dem Gaza-Krieg
leiden. Bei der Generalaudienz auf dem Petersplatz berichtete der Papst kurz
davon und erklärte, beide Seiten litten sehr und er mahnte erneut Frieden an.
Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt
Der
Papst empfing kurz vor 7.30 Uhr im Gästehaus Santa Marta zwölf
Familienangehörigen israelischer Geiseln und kurz vor 8.00 Uhr mit zehn
Familienangehörigen von Palästinensern aus Gaza, und zwar Christen und
Muslimen, zusammen. Der Gemeindepfarrer von Gaza, Pater Gabriel Romanelli, und
ein griechisch-orthodoxer Priester waren ebenfalls anwesend. Die Palästinenser
wurden in der Audienzhalle empfangen. Der Papst drückte beiden Delegationen
sein Mitgefühl und seine Anteilnahme an ihrer Trauer aus:
„Sie
leiden sehr, ich habe zugehört, wie beide leiden: Kriege sind dafür
verantwortlich, aber hier sind wir über Kriege hinausgegangen, dies ist kein
Krieg, dies ist Terrorismus. Bitte, lasst uns für Frieden wirken, betet für
Frieden, betet intensiv für Frieden. Möge der Herr dort eingreifen, möge der
Herr uns helfen, die Probleme zu lösen und nicht mit den Leidenschaften
weiterzumachen, die am Ende alle töten. Lasst uns für das palästinensische Volk
beten, lasst uns für das israelische Volk beten, dass Friede kommt", so
der eindringliche Appell des katholischen Kirchenoberhaupts. Papst Franziskus
hatte zuvor zudem bereits Gebete gefordert „für alle Menschen, die aufgrund der
vielen Kriege auf der Welt leiden, besonders für das geliebte Volk in der
Ukraine, in Israel und Palästina."
„Möge
der Herr dort eingreifen, möge der Herr uns helfen, die Probleme zu lösen und
nicht mit den Leidenschaften weiterzumachen, die am Ende alle töten“
Hier
im Audio: Papst Franziskus traf Palästinenser und Israelis: Beide leiden sehr
(Audio-Beitrag von Radio Vatikan)
Die
Begegnung des Papstes mit den Delegationen aus Israel und Palästina an diesem
Mittwoch hatte der Vatikan bereits am Wochenende angekündigt. Es werde am 22.
November am Rand der Generalaudienz zwei getrennte Treffen geben, hatte
Vatikansprecher Matteo Bruni erklärt. Es handele sich um einen rein humanitären
Akt: „Franziskus möchte die geistliche Nähe zum Leiden eines jeden
bekunden", so Bruni.
„Lasst
uns für das palästinensische Volk beten, lasst uns für das israelische Volk
beten, dass Friede kommt“
Papst
Franziskus hatte zuvor bereits mehrfach appelliert, die Geiseln freizulassen
und beide Kriegsparteien aufgerufen, sich auf einen Waffenstillstand zu einigen
und Schritte für Dialog und Frieden zu unternehmen.
Gefangenenaustausch
und Feuerpause
Unterdessen
hat laut Medienberichten die israelische Regierung diesen Mittwoch
einem Abkommen zugestimmt, das die Freilassung von 50 von der Hamas
verschleppten Geiseln vorsieht. Im Gegenzug sollen 150 palästinensische
Gefangene freigelassen und ein Waffenruhe eingehalten werden, hieß es in der
offiziellen Erklärung aus dem Büro von Ministerpräsident Benjamin
Netanyahu.
Demnach
ist eine Feuerpause von zunächst vier Tagen vorgesehen. Die Hamas soll in
diesen Tagen 50 der rund 240 in den Gazastreifen verschleppten Geiseln
freilassen. Laut Medienberichten handelt es sich um 30 Kinder und 20 Frauen.
„Die Freilassung jeweils weiterer zehn Geiseln hat einen weiteren Tag
Feuerpause zur Folge", heißt es in der Erklärung der Regierung. Im
Gegenzug will Israel 150 palästinensische Häftlinge
freilassen. Sowohl Israel als auch die radikalislamische
Palästinenserorganisation sagten, nach der viertägigen Waffenruhe wolle man die
Kämpfe fortsetzen.
Patriarch
Pizzaballa erleichtert über Waffenruhe
Der
Lateinische Patriarch von Jerusalem, Kardinal Pierbattista Pizzaballa,
das Oberhaupt der Katholiken im Heiligen Land, sagte der katholischen
Nachrichtenagentur KNA: „Wir hoffen, dass die Vereinbarung den Weg für eine
weitere positive Entwicklung freimacht und zu einer Lösung des Konflikts
beiträgt".
„Wir
hoffen, dass die Vereinbarung den Weg für eine weitere positive Entwicklung
freimacht und zu einer Lösung des Konflikts beiträgt“
Auch
EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen freute sich über die Waffenruhe
und die geplante Freilassung von Geiseln. Jeder Tag, den Mütter und Kinder
durch Terroristen gefangengehalten würden, sei zu viel, erklärte sie am
Mittwoch in Brüssel. Sie rief die Hamas zur Freilassung aller Entführten auf.
Zugleich kündigte von der Leyen an, die Europäische Union werde ihr Möglichstes
tun, um die Waffenpause für eine Verstärkung der humanitären Hilfe zu nutzen.
Der zuständige Kommissar Janez Lenarcic solle so schnell wie möglich weitere
Lieferungen nach Gaza veranlassen, um die Krise dort zu lindern.
Ähnlich
äußerte sich auch EU-Ratspräsident Charles Michel. Man müsse die Pause in den
Feindseligkeiten zu nutzen, um ein Maximum an humanitärer Hilfe für die
Bedürftigen zu ermöglichen, schrieb er auf dem Kurznachrichtendienst „X".
Dabei dankte er Katar und Ägypten für die Vermittlung bei der jetzt
ausgehandelten Vereinbarung.
Hintergrund
Am
7. Oktober hatten Terroristen auf Geheiß der Hamas im Süden Israels ein
Massaker mit rund 1.200 Toten angerichtet und rund 240 Menschen in den
Gazastreifen verschleppt. Daraufhin erklärte die israelische Armee, sich
im „Krieg" zu befinden und reagierte mit massiven Luftschlägen;
später folgten auch Bodeneinsätze israelischer Truppen im Gazastreifen. Dort
ist die humanitäre Lage prekär: Es fehlt an Lebensmitteln, Wasser und
Medikamenten, Hilfslieferungen kommen nur schleppend durch. Auch zivile
Einrichtungen und Krankenhäuser wurden bei den Kämpfen getroffen. (vn/kna/diverse
22)
Im
März 2023 haben die Bundesminister für Gesundheit und Justiz sowie die
Bundesministerin für Familie, Senioren, Frauen und Jugend die Kommission für
reproduktive Selbstbestimmung und Fortpflanzungsmedizin berufen. Die mit der
Frage einer möglichen Neuregelung des Schwangerschaftsabbruchrechts befasste
Arbeitsgruppe der Kommission hat ein Anhörungsverfahren eingeleitet. Die
deutschen Bischöfe haben sich mit dem Thema in der gestrigen (20. November
2023) Sitzung des Ständigen Rates in Würzburg befasst. In der nun nach den
Beratungen im Ständigen Rat seitens des Kommissariats der deutschen Bischöfe
(Katholisches Büro in Berlin) abgegebenen Stellungnahme wird auf folgende
Aspekte hingewiesen, die bei der Debatte aus kirchlicher Sicht zu
berücksichtigen sind:
Zu
Recht werden in der gegenwärtigen Debatte um den Schwangerschaftsabbruch die
Rechte der schwangeren Frau betont. Die gesetzliche Regelung des
Schwangerschaftsabbruchs berührt neben dem Selbstbestimmungsrecht der Frau,
ihrer Personalität und Würde ein weiteres existenzielles Interesse: das Recht
des Ungeborenen auf Leben, das nach der ständigen Rechtsprechung des
Bundesverfassungsgerichts ebenfalls in der Menschenwürde wurzelt.
Eine
gesetzliche Regelung des Schwangerschaftsabbruchs muss sowohl die
Grundrechtsposition der Frau als auch die des ungeborenen Lebens in
verfassungsrechtlich gebotener Weise berücksichtigen. Dabei ist die besondere
Beziehung von Mutter und Kind in der Schwangerschaft zu beachten: Die
schwangere Frau trägt das ungeborene Leben in sich („Zweiheit in Einheit“). Es
kann nur mit ihr geschützt werden. Zugleich ist aber auch zu berücksichtigen,
dass ein Schwangerschaftsabbruch zum Tod des ungeborenen menschlichen Lebens
führt.
Die
Befürworter einer Regelung des Schwangerschaftsabbruchs außerhalb des
Strafrechts argumentieren, dass die geltende Regelung dem
Selbstbestimmungsrecht der Frau nicht hinreichend Rechnung trägt. Sie regen
eine Verortung der Regelung des Schwangerschaftsabbruchs außerhalb des
Strafrechts an. Die deutschen Bischöfe haben die große Sorge, dass damit der
Anspruch auf gleichen Schutz von ungeborenem wie geborenem menschlichem Leben
aufgegeben wird: Beim vorgeburtlichen Leben handelt es sich von Anfang an um
individuelles Leben, das nach christlicher Auffassung Anspruch auf den gleichen
Schutz seines Lebens hat und dem die gleiche Würde zukommt. Auch das
Bundesverfassungsgericht betont, dass spätestens mit der Nidation von einem
menschlichen Leben auszugehen ist, das „in seiner genetischen Identität und
damit in seiner Einmaligkeit und Unverwechselbarkeit“ bereits festgelegt ist
und dem der verfassungsrechtlich gebotene Schutz unabhängig vom
Entwicklungsstadium zu gewähren ist. Es ist nicht ersichtlich, wie nach Entwicklungsstufe
und Lebensfähigkeit des Menschen abgestufte Lebensschutzkonzepte diesem
ethischen Anspruch und dieser Wertentscheidung unserer Verfassung gerecht
werden.
Das
Strafrecht ist regelmäßig der Ort, an dem wichtige Rechtsgüter – wie das
Rechtsgut Leben – nach der geltenden Rechtsordnung geschützt werden. Die
deutschen Bischöfe halten die Einschätzung, dass die geltenden Regelungen zum
Schwangerschaftsabbruch ungewollt Schwangere sowie Ärztinnen und Ärzte
kriminalisieren beziehungsweise stigmatisieren, rechtlich nicht für zutreffend.
Das geltende Beratungskonzept setzt auf die letztverantwortliche Entscheidung
der Frau nach dem Beratungsgespräch und trägt damit ihrem
Selbstbestimmungsrecht Rechnung. Der beratene Schwangerschaftsabbruch ist
ausdrücklich straffrei gestellt.
Vor
diesem Hintergrund halten die deutschen Bischöfe an einer Regelung des
Schwangerschaftsabbruchs im Strafgesetzbuch fest. Ein abgestuftes Schutzkonzept
eröffnet zudem die Gefahr, die Schutzwürdigkeit menschlichen Lebens auch in anderen
Lebenssituationen abzustufen und damit aufzuweichen. Außerdem betonen die
Bischöfe, dass sie nicht erkennen können, dass sich durch die Streichung der §§
218 ff. StGB die rechtliche und tatsächliche Situation von ungewollt
schwangeren Frauen verbessert. Hierfür bedarf es anderer Anstrengungen der
Gesellschaft und des Sozialstaats, für die es keiner Änderung des Strafrechts
bedarf.
In
der Stellungnahme des Katholischen Büros wird angeregt, bei der Diskussion um
§§ 218 ff. StGB in den Blick zu nehmen, dass die geltende Regelung dem
Lebensschutz bei einer vermuteten oder diagnostizierten Behinderung des
ungeborenen Kindes nicht hinreichend Rechnung trägt.
Hinweis:
Die ausführliche Stellungnahme des Katholischen Büros finden Sie als PDF-Datei
in der Anlage sowie zum Herunterladen unter www.kath-buero.de. Dbk 21
Kurschus-Rücktritt: Verlust für die
Ökumene
Der
Leiter des katholischen Büros NRW, Antonius Hamers, bedauert den Rücktritt von
Annette Kurschus von Spitzenämtern in der Evangelischen Kirche.* Der Verlust
für die Zusammenarbeit katholischer und evangelischer Kirche sei immens, sagt
er im Interview mit dem Domradio.
DOMRADIO.DE: Was
genau wirft man Annette Kurschus vor?
Dr.
Antonius Hamers (Leiter des katholischen Büros NRW): Es geht um Vorwürfe
aus den 90er Jahren. Es geht darum, dass ein Mitarbeiter des Siegener
Kirchenkreises gegenüber jungen Männern sexuelle Übergriffe vorgenommen hat.
Frau Kurschus ist damals als Kollegin darüber informiert worden.
Jetzt
stellt sich die Frage, ob sie damals und vor allem auch im Nachgang in einer
angemessenen Weise damit umgegangen ist. Hat sie diese Vorwürfe aufgegriffen
oder hat sie damals und auch heute vertuscht? Und wie hätte eine angemessene
und eine gute Weise des Umgangs damit ausgesehen?
DOMRADIO.DE: Wie
bewerten Sie den Rücktritt von ihren Ämtern als Ratsvorsitzende der
Evangelischen Kirche in Deutschland und westfälische Präses?
„Es
ging ihr darum, Schaden von der evangelischen Kirche (EKD) abwenden.“
Hamers: Ich
habe die persönliche Erklärung von Frau Kurschus gehört. Da ging es ihr vor
allem darum, Schaden von der Evangelischen Kirche (EKD) abzuwenden, gerade auch
im Hinblick darauf, dass die EKD zu Beginn des nächsten Jahres ihren
Missbrauchsbericht vorlegen wird.
Da
ist es natürlich schwierig, wenn jemand, der selber dem Vertuschungs-Vorwurf
ausgesetzt ist, an der Spitze der Organisation steht und damit auch mit ein
Gesicht für diesen Aufarbeitungsprozess ist.
DOMRADIO.DE: Sie
arbeiten als Leiter des Katholischen Büros NRW eng mit der Landespolitik und
auch mit der evangelischen Seite zusammen. Wie haben Sie persönlich Frau
Kurschus in diesem Zusammenhang erlebt?
Hamers: Ich
schätze Frau Kurschus persönlich sehr. Ich habe sie als sehr profunde Theologin
kennengelernt. Sie ist eine hoch integre Persönlichkeit und eine überzeugte
Ökumenikerin. Insofern ist das für uns auch auf nordrhein-westfälischer Ebene
auf jeden Fall ein Verlust, wenn Frau Kurschus jetzt vor allem nicht mehr
westfälische Präses ist.
DOMRADIO.DE: Ist
der Rücktritt trotzdem angemessen?
Hamers: Das
ist als Außenstehender immer sehr schwer zu beurteilen. Sie hat es sich
offensichtlich mit dieser Entscheidung nicht leicht gemacht. Wenn man ihre
Worte, wenn man ihre Erklärung verfolgt hat, war es schon bewegend. Gerade,
weil sie es sich nicht leicht gemacht hat.
Ob
das angemessen war, sei dahingestellt. Das kann ich nicht sagen. Dazu kenne ich
wiederum auch zu wenige Hintergründe.
Schade
finde ich, dass es wie so häufig bei Vertuschungsgeschehen vor allem um die
Kommunikation geht. Natürlich ist man im Nachgang immer klüger. Aber ich hätte
mir gewünscht, dass besser kommuniziert worden wäre, dann wäre dieser Rücktritt
vielleicht überflüssig gewesen.
DOMRADIO.DE: Was
bedeutet der Rücktritt für die Evangelische Kirche? Welche Führungspersönlichkeit
verliert sie dadurch?
[
Das ist ein sehr schwerer Schlag. ]
Hamers: Das
ist ein sehr schwerer Schlag für die EKD, aber vor allem auch für die
westfälische Landeskirche. Gerade in der westfälischen Landeskirche hatte Frau
Kurschus nach meinem Dafürhalten einen sehr großen Rückhalt und eine sehr hohe
Akzeptanz.
Das
ist insofern sowohl für die Landeskirche wie für die EKD eine schwierige
Situation. Natürlich ist es auch eine Herausforderung, jemanden zu finden, der
diese Aufgabe gerade im Blick auf die Aufarbeitung sexuellen Missbrauchs
übernehmen kann. Das wird schwer. Und im nächsten Jahr steht der große
Untersuchungsbericht für die EKD in dieser Frage an.
DOMRADIO.DE: Gibt
es jetzt schon Anwärter? Wer könnte den Platz von Annette Kurschus als
Ratsvorsitzender oder Ratsvorsitzende einnehmen?
Hamers: Kirsten
Fehrs übernimmt zumindest jetzt kommissarisch den Vorsitz. Damit ist sie
wahrscheinlich auch eine der Anwärterinnen.
Das
Interview führte Dagmar Peters. (domradio 21)
Nach dem Kurschus-Rücktritt leitet
Kirsten Fehrs die EKD
Nach
dem Rücktritt von Annette Kurschus steht Kirsten Fehrs kommissarisch an der
Spitze der Evangelischen Kirche in Deutschland. Mit der Aufarbeitung
sexualisierter Gewalt hat die Hamburgerin bereits Erfahrung. Als Kirsten
Fehrs 2011 Bischöfin in Hamburg wurde, war ihre Vorgängerin Maria Jepsen wegen
eines Missbrauchsfalls zurückgetreten. Ihr wurde vorgeworfen, über Fälle
sexualisierter Gewalt in einer Kirchengemeinde informiert worden zu sein, ohne
ausreichende Konsequenzen gezogen zu haben. Nun übernimmt Fehrs kommissarisch
auch den Vorsitz des Rates der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) und
beerbt eine Frau, der es ähnlich wie Jepsen ging: Annette Kurschus geriet wegen
möglicher Vertuschung eines Falls sexuell übergriffigen Fehlverhaltens massiv
unter Druck und legte am Montag ihre Kirchenämter nieder.Die Aufarbeitung von
Fällen sexualisierter Gewalt dürfte Fehrs, die bisher stellvertretende
Ratsvorsitzende war, in ihrem neuen Amt weiter beschäftigen.
(kna
21)
Papst: „Sorge“ über deutschen
Reformkurs
Papst
Franziskus hat von neuem Sorge über die Reformvorstellungen der katholischen
Kirche in Deutschland geäußert. In einem Brief, über den die Tageszeitung „Die
Welt“ berichtet, erklärt er erneut, dass der geplante Synodale Rat in der
geplanten Form „mit der sakramentalen Struktur der katholischen Kirche nicht in
Einklang zu bringen ist“.
Das
Schreiben mit Datum 10. November ist – mit Franziskus‘ eigenhändiger Unterschrift
– die Antwort auf ein Schreiben von vier deutschen Katholikinnen, unter ihnen
zwei Theologie-Professorinnen. Der Papst geht auf ihre, wie er referiert,
„Bedenken angesichts der aktuellen Entwicklungen der Kirche in Deutschland“
ein. Wörtlich schreibt Franziskus: „Auch ich teile diese Sorge über die
inzwischen zahlreichen konkreten Schritte, mit denen sich große Teile dieser
Ortskirche immer weiter vom gemeinsamen Weg der Weltkirche zu entfernen
drohen“.
Dazu
gehöre auch die vor kurzem erfolgte Bildung eines Synodalen Ausschusses, der
einen Synodalen Rat vorbereiten soll, um die Beschlüsse des „Synodalen Wegs“
der katholischen Kirche in Deutschland zu verstetigen. Genannter Ausschuss
wurde am 10. November - dem Datum des Briefes - in Essen gebildet. Ein
Synodaler Rat sei jedoch „in der im entsprechenden Beschlusstext umrissenen
Form mit der sakramentalen Struktur der katholischen Kirche nicht in Einklang
zu bringen“, darum habe der Heilige Stuhl dessen Einrichtung mit einem Brief
vom 16. Januar 2023, den er, Franziskus, ausdrücklich gebilligt habe,
„untersagt“.
„Das
Heil nicht in immer neuen Gremien suchen“
Der
Papst rät den Katholiken in Deutschland, mehr auf Gebet, Buße, Anbetung und das
Herausgehen zu den Menschen zu setzen, „anstatt das ‚Heil‘ in immer neuen
Gremien zu suchen und in einer gewissen Selbstbezogenheit die immer gleichen
Themen zu erörtern“. Der Brief des Papstes ist auf Deutsch verfasst und bittet
seine Adressatinnen auch noch um Gebet „für unser gemeinsames Anliegen der
Einheit“.
Schnelle
Antwort auf Brief von vier Katholikinnen
Nach
Angaben der Tageszeitung „Die Welt“ antwortet der Brief des Papstes auf ein
Schreiben vom 6. November. Darin hätten die Theologinnen Katharina
Westerhorstmann und Marianne Schlosser, die Journalistin Dorothea Schmidt sowie
die Religionsphilosophin Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz sich angesichts des
„Synodalen Wegs“ besorgt über die Einheit der Ortskirche in Deutschland mit Rom
geäußert. Franziskus hat schon mehrfach deutliche Skepsis gegenüber dem Reformkurs
der katholischen Kirche in Deutschland gezeigt; in einem „Brief an das
pilgernde Volk Gottes in Deutschland“ vom Juni 2019 hatte er schon vor dem
eigentlichen Start des „Synodalen Wegs“ vor der Vorstellung gewarnt, „die beste
Antwort angesichts der vielen Probleme und Mängel bestehe in einem
Reorganisieren der Dinge, in Veränderungen und in einem ‚Zurechtflicken‘.
(vn
21)
Hilfswerk missio. Neues Modell der
Entwicklungs-Zusammenarbeit
Das
katholische Hilfswerk missio Aachen teilt in seiner Auslandsprojektarbeit mehr
Verantwortung mit den Ortskirchen im globalen Süden.
Dafür
werden in den Partnerländern Regionalteams mit einheimischen Mitarbeitenden
aufgebaut, die von der Antragstellung bis zur Auswertung Projekte der
missio-Partner begleiten. Das teilte das Hilfswerk an diesem Montag in Aachen
mit.
Die
Teams übernehmen damit Aufgaben, die bisher allein von der deutschen
missio-Zentrale wahrgenommen wurden. Ein entsprechendes Pilotprojekt startet
mit Teams in Kamerun, der Demokratischen Republik Kongo, Burundi und der
Zentralafrikanischen Republik. Dazu zählen neun Laien, Ordensschwestern und
Priestern aus diesen Ländern, die jetzt vier Wochen lang bei missio Aachen auf
ihre Aufgaben vorbereitet wurden.
„Entscheidungsfindung
und Projektbegleitung stärker in unsere Partnerländer selbst verlagern“
„Wir
wollen die Zusammenarbeit auf Augenhöhe verbunden mit dem Sozialprinzip der
Subsidiarität noch mehr stärken. Deshalb strukturieren wir unsere
Auslandsprojektarbeit um, indem wir die Entscheidungsfindung und
Projektbegleitung stärker in unsere Partnerländer selbst verlagern“, sagte
Pfarrer Dirk Bingener, Präsident von missio Aachen. „Die Regionalteams kennen
die Verhältnisse vor Ort am besten, um die Notwendigkeit, Fragen der
finanziellen Ausstattung und Wirksamkeit von Projekten gut beurteilen zu
können“, so Bingener weiter.
Die
Regionalteams sollen zudem Partnerinnen und Partner von missio begleiten, denen
personellen Ressourcen für Projektanträge und deren Abwicklung fehlen. „Wir
hoffen, dass wir damit kirchliche Akteure in politisch und ökonomisch prekären
Regionen noch mehr ermutigen, Projekte mit uns durchzuführen“, sagte Pfarrer
Bingener weiter. „Solche Projekte erreichen ja oft gerade die Menschen, die am
nötigsten Hilfe brauchen.“
Die
Menschen erreichen, die am nötigsten Hilfe brauchen
Die
Regionalteams sollen zudem künftig auch Ansprechpartnerinnen und Partner für
die Aufklärungs- und Bildungsarbeit von missio Aachen in Deutschland sein. „Die
Authentizität von Informationen wird heute immer wichtiger, damit wir für
unsere Partner Lobby und Sprachrohr in Deutschland sein können“, sagte Pfarrer
Bingener.
Da
die Auslandsprojektarbeit in der weltkirchlichen Zusammenarbeit in den
vergangenen Jahren immer stärker digitalisiert wurde, sollen die neuen
Regionalteams nicht zuletzt die Partnerinnen und Partner bei der digitalen
Projektabwicklung beraten und unterstützen.
Die
Regionalteams sind an den Bischofskonferenzen oder Ordensoberen-Konferenzen in
den jeweiligen Ländern angegliedert. Die betreffenden Ortskirchen und missio
Aachen teilen sich die Finanzierung des Pilotprojekts.
2022
konnte missio Aachen insgesamt rund 42,2 Millionen Euro für
Auslandsprojektarbeit sowie für die Aufklärungs- und Bildungsarbeit in
Deutschland einsetzen. (missio aachen 20)
Zum
heutigen (20. November 2023) Rücktritt der Ratsvorsitzenden der Evangelischen
Kirche in Deutschland (EKD), Präses Annette Kurschus, erklärt der Vorsitzende
der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing:
„Mit
großem Bedauern habe ich die Nachricht zur Kenntnis genommen, dass die
Ratsvorsitzende der EKD, Präses Annette Kurschus, heute von ihrem Amt
zurückgetreten ist. Die Gründe und die im Vorfeld geführten Debatten kann und
werde ich nicht beurteilen. Mit dem Rücktritt von Annette Kurschus verliert der
ökumenische Motor in unserem Land einen wesentlichen Antrieb. Ich bin dankbar
für die Zeit, in der wir miteinander die ökumenische Verantwortung in
Deutschland geteilt haben. Annette Kurschus habe ich nicht nur in der Ausübung
des Amtes geschätzt, sondern auch als theologische Denkerin mit einer prägenden
geistlichen Kraft und mutigen Visionen für ihre Kirche. Den persönlichen engen
Kontakt auf kurzen Wegen werde ich ebenso vermissen wie ihr weites Herz, dass
sie der katholischen Kirche stets entgegengebracht hat.
Ich
bin dankbar für die Fragen, die Annette Kurschus in ihrer Amtszeit – auch mit
mir als Vorsitzendem der Deutschen Bischofskonferenz – gestellt hat: politisch
und gesellschaftlich, theologisch und seelsorglich. Gerade der jüngste
gemeinsame Auftritt bei einer Kundgebung vor dem Brandenburger Tor gegen den
Terror der Hamas und einen neuen Antisemitismus in Deutschland ist nur eines
von vielen Beispielen.“ Dbk 20
Papst am Welttag der Amen: Plädoyer
für mehr Menschlichkeit
Gott
hat uns mit besonderen Talenten ausgestattet und jeder hat die Möglichkeit und
auch die Pflicht, diese Gaben für seine Mitmenschen einzusetzen. Das legte der
Papst den Gläubigen bei der Messe zum Welttag der Armen ans Herz, der diesen
Sonntag zum siebten Mal gefeiert wurde. Angesichts der „vielen materiellen,
kulturellen und geistlichen Nöte unserer Welt" erteilte er der
Gleichgültigkeit der Gesellschaft eine Absage und rief zu mehr Nächstenliebe
auf. Silvia Kritzenberger - Vatikanstadt
In
seiner Predigt orientierte sich Franziskus am Gleichnis von den anvertrauten
Talenten aus dem Matthäusevangelium (25,14-30), der Erzählung von dem Herrn
also, der seinen Knechten sein Vermögen anvertraut, sich dann auf Reisen begibt
und nach seiner Rückkehr Abrechnung hält.
Das
Gleichnis lade uns ein, über „die Reise Jesu“ - seine Auferstehung und
Himmelfahrt - und über „unsere Lebensreise“ nachzudenken, begann der Papst vor
den rund 5.000 Messeteilnehmern seine Auslegung des Bibeltextes:
„Jesus
hat uns sein Vermögen anvertraut, ein echtes Kapital: er hat uns sich selbst in
der Eucharistie hinterlassen, sein Wort des Lebens, er hat seine heilige Mutter
auch uns zur Mutter gegeben und er hat die Gaben des Heiligen Geistes
ausgeteilt, damit wir sein Werk in der Welt fortsetzen können.“
Nicht
nur an sich selbst denken…
Doch
wie der Herr im Gleichnis werde auch Jesus am Ende der Zeiten wiederkommen, um
uns „einer Rechnungsprüfung zu unterziehen“ und uns „in die Freude des ewigen
Lebens zu führen.“ Wir müssten uns also fragen, was wir mit diesem so großen
Geschenk auf unserer Lebensreise anfangen würden: ob wir „das, was wir
empfangen haben, vervielfachen, indem wir unser Leben aus Liebe für die anderen
hingeben“. Oder ob wir, „durch ein falsches Gottesbild gelähmt, den Schatz, den
wir empfangen haben, in der Erde vergraben, indem wir nur an uns selbst denken,
ohne uns für irgendetwas anderes zu begeistern als für unsere eigenen
Annehmlichkeiten und Interessen und ohne uns einzubringen.“
Wenn
wir die Liebe um uns herum nicht vermehren, erlischt das Leben in der
Dunkelheit
Am
Welttag der Armen sei das Gleichnis von den Talenten also eine Einladung, die
Gesinnung zu überprüfen, mit der wir unsere Lebensreise angehen:
„Wenn
wir die Liebe um uns herum nicht vermehren, erlischt das Leben in der
Dunkelheit; wenn wir die Talente, die wir erhalten haben, nicht in Umlauf
bringen, endet unser Dasein unter der Erde, es ist also so, als ob wir bereits
tot wären,“ gab Franziskus zu bedenken.
Konkret
forderte er: „Denken wir an die vielen materiellen, kulturellen und geistlichen
Nöte unserer Welt, an die verwundeten Menschen, die unsere Städte bevölkern, an
die Armen, die unsichtbar geworden sind und deren Schmerzensschrei von der
allgemeinen Gleichgültigkeit einer geschäftigen und zerstreuten Gesellschaft
erstickt wird. (...) Denken wir an die Unterdrückten, die Erschöpften, die
Ausgegrenzten, an die Opfer von Kriegen und an diejenigen, die ihr Land unter
Lebensgefahr verlassen; an diejenigen, die ohne Brot, ohne Arbeit und ohne
Hoffnung sind.“ Armut sei scheu, so der Papst, und deshalb müssten wir selbst
es sein, die aktiv und mutig nach ihr suchen.
Die
Armut ist ein Skandal
Mit
Blick auf die unzähligen Armen dieser Welt brachte Franziskus die Botschaft des
Evangeliums abschließend wie folgt auf den Punkt:
„Lasst
uns die Güter des Herrn nicht vergraben! Verbreiten wir Nächstenliebe, teilen
wir unser Brot, vervielfachen wir die Liebe! Die Armut ist ein Skandal. (...)
Wenn der Herr wiederkommt, wird er von uns Rechenschaft verlangen und – wie der
heilige Ambrosius schreibt – sagen: »Warum habt ihr geduldet, dass so viele
Arme vor Hunger sterben, wo ihr doch Gold besaßt, mit dem ihr ihnen zu essen
geben konntet? Warum sind so viele Sklaven verkauft und von Feinden misshandelt
worden, ohne dass jemand etwas unternommen hat, um sie freizukaufen?«
Hintergrund
Den
Welttag der Armen führte Papst Franziskus zum Ende des Heiligen Jahres der
Barmherzigkeit 2016 ein. Gefeiert wird er Mitte November, zwei Wochen vor dem
ersten Advent. Der Gedenktag soll laut Franziskus das Thema Armut als
„Herzensanliegen des Evangeliums" stärker in den Blick rücken und zu einer
Glaubenserneuerung in den Kirchengemeinden beitragen.
Der diesjährige
Welttag der Armen steht unter dem alttestamentlichen Leitwort: „Wende dein
Angesicht von keinem Armen ab“ (Tob 4,7).
Auch
dieses Jahr waren bei der feierlichen Messe im Petersdom in Rom wieder
zahlreiche Arme, Obdachlose, Migranten und Mitglieder verschiedener
Hilfsorganisationen anwesend. Kurienerzbischof Rino Fisichella, Pro-Präfekt des
Dikasteriums für Evangelisierung und verantwortlich für die Organisation des
Welttages, zelebrierte am Altar; Konzelebranten waren der päpstliche
Almosenmeister, Kardinal Konrad Krajewski, und Bischof Franz-Peter Tebartz-van
Elst, der am Dikasterium für Fragen der Katechese verantwortlich ist. Mittags
werden auch in diesem Jahr auf Einladung des Dikasteriums für Nächstenliebe
wieder rund 1.200 Bedürftige zum gemeinsamen Mittagessen mit dem Papst in der
Audienzhalle erwartet. (vn 19)
Papst: Frieden ist möglich, nur
Waffenfabrikanten verdienen am Krieg
Mit
einem eindringlichen Appell für den Frieden hat Franziskus sich beim
Mittagsgebet an diesem Sonntag an die Pilger gewandt, die auf dem Petersplatz
zusammengekommen waren. „Frieden ist möglich“, so der Papst mit Blick auf die
Konflikte weltweit, darunter vor allem in der Ukraine und im Heiligen Land.
Auch die Situation der Menschen in Myanmar war in seinen Gedanken.
Er
wolle alle einladen, weiter für die Menschen in der „gequälten“ Ukraine, ebenso
wie in Palästina und Israel zu beten, so der Papst am Fenster des Apostolischen
Palastes: „Frieden ist möglich! Es braucht guten Willen. Frieden ist möglich.
Finden wir uns nicht mit dem Krieg ab! Und vergessen wir nicht, dass Krieg
immer, immer eine Niederlage ist: nur die Waffenhersteller verdienen.“
Erinnerung
an Konflikt in Myanmar
Außerdem
wolle er seine „Verbundenheit mit dem geliebten Volk Myanmars“ erneuern, das „leider
weiterhin unter Gewalt und Missbrauch zu leiden hat“, kam Franziskus auf eine
Situation zu sprechen, die nach anfänglicher weltweiter Anteilnahme seit 1.
Februar 2021, als die Militärs in Myanmar sich an die Macht geputscht haben,
mittlerweile unter dem Radar der Weltöffentlichkeit schwelt. In den vergangenen
Tagen kam es erneut zu einer Intensivierung der Kämpfe zwischen Myanmars Armee
und den Rebellen von der Arakan Army in Rakhine, aufgrund derer seit Montag
nach offiziellen Angaben rund 26.000 Menschen vertrieben wurden. „Ich bete,
dass sie sich nicht entmutigen lassen und immer auf die Hilfe des Herrn
vertrauen“, so Franziskus weiter.
In
einem Statement vom Freitag hatte das UN-Büro zur Koordinierung humanitärer
Angelegenheiten (UNOCHA) mitgeteilt, dass mit der jüngsten
Flüchtlingswelle die Anzahl von Binnenvertriebenen seit Beginn des Konfliktes
auf beiden Seiten auf rund 90.000 anwachse. Diese Zahl summiere sich jedoch zu
den rund 150.000 Rohingya, die aufgrund der lang andauernden ethnischen Spannungen
in Rakhine vertrieben seien. Elf Menschen seien getötet und mehr als 30
verletzt wurden, seit ein vor einem Jahr informell vereinbarter
Waffenstillstand an diesem 13. November gebrochen wurde, geht aus dem Statement
weiter hervor.
Gedenken
an Märtyrer und Welttag der Armen
Bei
seinem Mittagsgebet erinnerte er auch an Manuel Gonzales-Serna, einen
Diözesanpriester, und neunzehn weitere Priester und Laien, die am Samstag in
Sevilla seliggesprochen wurden. 1936 waren sie im Klima der religiösen Verfolgung
während des spanischen Bürgerkriegs getötet worden. „Diese Märtyrer haben bis
zum Ende Zeugnis für Christus abgelegt. Möge ihr Beispiel die vielen Christen
trösten, die in unserer Zeit wegen ihres Glaubens diskriminiert werden. Lasst
uns den neuen Seligen applaudieren!“, lud Franziskus die Pilger auf dem
Petersplatz ein.
Mit
Blick auf den Welttag der Armen, den die Weltkirche an diesem Sonntag begeht,
dankte er all jenen, „die sich in den Diözesen und Pfarreien für Initiativen
der Solidarität mit Menschen und Familien eingesetzt haben, die um ihr
Auskommen kämpfen“. Er selbst wurde nach dem Mittagsgebet in der Audienzhalle
erwartet: dort hatte das Dikasterium für Nächstenliebe aus Anlass des Welttages
der Armen wie auch schon in den Vorjahren ein Mittagessen für Bedürftige
organisiert. (vn 19)
Vatikan: Ökumene heißt, „mit den
Augen des anderen zu sehen“
Im
Päpstlichen Orientale-Institut in Rom ist eine ökumenische Konferenz zu Ende
gegangen, an der Theologen der katholischen und orthodoxen Ostkirchen aus
Europa, dem Libanon und den Vereinigten Staaten teilnahmen. Für Kardinal Kurt
Koch, den Präfekten des Dikasteriums für die Förderung der Einheit der
Christen, war dies „ein wichtiges Zeichen der Hoffnung und des Vertrauens in
der heutigen, von schrecklichen Kriegen gezeichneten Welt“. Svitlana Duckhovych
Vatikanstadt
- Theologen aus verschiedenen Ländern, darunter Italien, Deutschland, Libanon,
Österreich, USA, Frankreich, Ukraine, Ungarn und Rumänien, nahmen am 15. und
16. November an der internationalen Konferenz „Die ökumenische Vision der
Ostkatholiken im Dialog mit den Orthodoxen“ in der Aula Magna des Päpstlichen
Orientale-Instituts teil. Im Vordergrund stand dabei die Situation in der
Ukraine und im Nahen Osten.
Die
Initiative wurde vom Institut für Ökumenische Studien der Katholischen
Universität Lemberg (Ukraine) in Zusammenarbeit mit dem Päpstlichen
Orientale-Institut und mit Unterstützung der Vereinigungen L'Œuvre d'Orient und
CNEWA (Catholic Near East Welfare Association) ins Leben gerufen, um über die
Rolle zu diskutieren, die die katholischen Ostkirchen in der Ökumene und
insbesondere im Dialog mit den orthodoxen Kirchen spielen können.
Die
Verantwortung der katholischen Ostkirchen für die Einheit
„Aus
ökumenischer Sicht ist diese Konferenz ein wichtiges Zeichen der Hoffnung und
des Vertrauens in der heutigen Welt, die von schrecklichen Kriegen und einer
ökumenischen Situation geprägt ist, die unter den schmerzhaften Folgen dieser
Kriege leidet“, sagte Kardinal Kurt Koch, Präfekt des Dikasteriums zur
Förderung der Einheit der Christen, bei der Eröffnung der Veranstaltung.
Diese
sei ein Zeichen der Hoffnung, auch weil die orthodoxen Kirchen unter allen
christlichen Kirchen und Gemeinschaften der katholischen Kirche am nächsten
stünden: „Beide haben die eucharistische und bischöfliche Grundstruktur der
Urkirche bewahrt und leben sie weiter“, so der Schweizer Kurienkardinal. Er
betonte, dass die katholischen Ostkirchen „eine besondere Verantwortung in
diesem ökumenischen Versöhnungsprozess haben“, und zitierte das Konzilsdekret
über die katholischen Ostkirchen Orientalium Ecclesiarium: „Die Ostkirchen, die
in Gemeinschaft mit dem Römischen Apostolischen Stuhl stehen, haben die
besondere Aufgabe, die Einheit aller Christen, insbesondere der Christen des
Ostens, gemäß den Grundsätzen des von diesem heiligen Konzil verkündeten
Dekrets ,Über den Ökumenismus' zu fördern“, so Kardinal Koch.
Lernen,
mit den Augen des anderen zu sehen
Nach
Ansicht der Teilnehmer seien Konferenzen wie die aktuelle und der ökumenische
Dialog im Allgemeinen eine Gelegenheit, den Dialog zu lernen. Frieden und
Versöhnung erfordern bestimmte Fähigkeiten: die Fähigkeit zuzuhören und die
Fähigkeit zum Dialog. In gewisser Weise sei der katholisch-orthodoxe Dialog,
insbesondere der Dialog zwischen den katholischen Ostkirchen und der orthodoxen
Kirche, ein Dialog, der die Erinnerung an den Konflikt in sich trage, eine
Erinnerung, die dieselben Fähigkeiten des Zuhörens und des Dialogs erfordere,
sowie die Fähigkeit, die Situation mit den Augen des anderen zu sehen, „mit dem
man vielleicht nicht übereinstimmt, so dass die Beteiligung am ökumenischen
Dialog auch eine Möglichkeit ist, zu lernen, wie man im Krieg lebt und wie man
in diesem Konflikt Christ bleibt“, sagte einer der Teilnehmer.
(vn
18)
Papst: Missbrauch in der Kirche
darf nicht vertuscht werden
Die
Teilnehmer eines von der italienischen Bischofskonferenz geförderten Treffens
zum Schutz von Minderjährigen und gefährdeten Personen wurden an diesem Samstag
vom Papst in Audienz empfangen. Dabei nahm er auch die Ergebnisse der im
vergangenen Jahr durchgeführten Umfrage über die Aktivitäten der territorialen
Meldezentren entgegen. Jede Art von Vertuschung im Zusammenhang mit Missbrauch
sei inakzeptabel, betonte Franziskus vor seinen rund 400 Gästen in der Sala
Clementina im Vatikan. Christine Seuss
Vatikanstadt.
Dabei handele es sich um „tiefe Wunden“, die versorgt werden müssten, außerdem
sei es wichtig, dass das gesamte Volk Gottes dabei einbezogen werde: „Das ist
der Weg, um Vertrauen zu schaffen, das Vertrauen, das zu einer wirklichen
Erneuerung führt“, so der Papst zu den Teilnehmern am ersten nationalen Treffen
der Referenten für Schutzmaßnahmen und Meldestellen in Italien. Es gelte,
unermüdlich jede Form von Missbrauch zu bekämpfen, sexuellen ebenso wie Macht-
und Gewissensmissbrauch, betonte der Papst. In diesem Zusammenhang schlug er
insbesondere drei Verben zur Reflexion vor: „Schützen, zuhören und heilen“.
Denn
wer ernstgemeint schütze, dem sei sehr wohl bewusst, dass „kein Schweigen oder
Vertuschung im Zusammenhang mit Missbrauch akzeptiert werden kann“,
paraphrasierte Franziskus die Richtlinien der italienischen Bischofskonferenz
in Sachen Missbrauchsprävention und Aufarbeitung: „Das ist nicht verhandelbar!
Und (wer schützt, Anm.) weiß auch, dass es wichtig ist, die Wahrheitsfindung
und die Wiederherstellung der Gerechtigkeit innerhalb der kirchlichen
Gemeinschaft zu verfolgen“. Dies gelte auch für die Fälle, die staatlicherseits
nicht verfolgbar, aber nach kanonischem Recht als Vergehen gälten, so der Papst
zu seinen Gästen. Schutz bedeute letztlich auch, „das Böse zu verhindern“, und
dies müsse – sowohl im kirchlichen wie auch in anderen Kontexten - durch
ständige Fortbildungsmaßnahmen erreicht werden, die für erhöhte Sensibilität
und Aufmerksamkeit für den Schutz der Schwächsten sorgten.
Keine
Vertuschung von Missbrauch
Für
den Schutz brauche es auch die Fähigkeit, zuzuhören, ohne eigene Interessen in
den Vordergrund zu stellen, so Franziskus weiter. „Nur wenn man sich den
Schmerz der Menschen anhört, die diese schrecklichen Verbrechen erlitten haben,
kann man sich solidarisch zeigen und alles tun, damit sich der Missbrauch nicht
wiederholt.“ Nur so könne man das, was im Leben eines Betroffenen geschehen
sei, „wirklich teilen“, so der Papst, der in diesem Zusammenhang zu einer
„persönlichen und gemeinschaftlichen Erneuerung“ aufruft: „Wir sind zu einer
moralischen Reaktion aufgerufen, um die Nähe zu denjenigen zu fördern und zu
bezeugen, die durch Missbrauch verletzt worden sind. Zuhören zu können
bedeutet, sich um die Opfer zu kümmern.“
Schützen,
zuhören, heilen
Diese
beiden Akte seien grundlegende Voraussetzung dafür, dass eine Heilung überhaupt
erst möglich sei, kam Franziskus zum dritten Punkt seiner Aufzählung.
Angesichts einer Umwelt, in der sich die Kultur der Aussonderung verbreitet
habe, müssten katholische Gemeinschaften mit der Fähigkeit, sich den Fehlern
der Vergangenheit zu stellen und neue Wege zu gehen, eine „gesunde Provokation“
für die Gesellschaft darstellen, appellierte Franziskus: „Die ,Heilung‘ von
Wunden ist auch ein Werk der Gerechtigkeit. Gerade deshalb ist es wichtig,
diejenigen strafrechtlich zu verfolgen, die solche Verbrechen begehen, umso
mehr, wenn sie in kirchlichen Kontexten begangen werden. Und sie selbst (die
Täter, Anm.) haben die moralische Pflicht einer tiefen persönlichen Bekehrung,
die zur Anerkennung ihrer eigenen beruflichen Untreue, zur Wiederaufnahme ihres
geistlichen Lebens und zur demütigen Bitte an die Opfer um Vergebung für ihre
Taten führt.“
Plage
der Pädopornographie im Netz
Angesichts
der immer mehr grassierenden Plage der Kinderpornographie im Internet war es
Franziskus, der den Meldestellen für ihren Einsatz dankte, ein Anliegen, sie
auch auf die Bekämpfung dieses Phänomens einzuschwören: „Wo werden diese Filme
gedreht? Wer ist dafür verantwortlich? In welchem Land? Bitte arbeiten Sie
daran: Es ist ein Kampf, den wir führen müssen, denn die schlimmsten Dinge
werden über Handys verbreitet.“
Abschließend
ermunterte Franziskus seine Gäste, für die Ausbildung so viele – für das Thema
sensible - Seelsorger wie möglich auszubilden: „Auf diese Weise fördern Sie
einen echten kulturellen Wandel, der die Kleinsten und Schwächsten in den
Mittelpunkt der Kirche und der Zivilgesellschaft stellt. Ihr kirchliches
Handeln kann dazu beitragen, dass die Aufmerksamkeit der gesamten italienischen
Gesellschaft auf diese Geißel gelenkt wird, die leider so viele, zu viele
Minderjährige und Erwachsene, betrifft.“
Dank
für den Einsatz
An
diesem Samstag, dem Europäischen Tag zum Schutz von Kindern vor sexueller
Ausbeutung und sexuellem Missbrauch, findet in Italien zum dritten Mal der
Gebetstag für Betroffene von sexuellem Missbrauch statt. Der Papst hatte einen
solchen Gebetstag für die lokalen Bischofskonferenzen 2016 angeregt. Zu Beginn
des Treffens hatte Franziskus den Vertretern der Dienst- und Meldestellen für
Missbrauch im kirchlichen Bereich ausdrücklich auch für die Erhebung gedankt,
die sie im vergangenen Jahr durchgeführt hatten und deren Ergebnisse jetzt
vorgestellt wurden. Darin werde der Einsatz deutlich, mit dem sie sich an die
Seite derjenigen stellten, die „schwere Wunden“ erlitten hätten, so Franziskus:
„Was aus diesen Seiten hervorgeht, ist das Zeugnis eines konstanten und
gemeinsamen Engagements. Dies ist der Weg, um Vertrauen zu schaffen, das
Vertrauen, das zu einer echten Erneuerung führt.“
In
diesem Zusammenhang würdigte der Papst auch die Hilfestellung, die die
Kommission für den Schutz Minderjähriger und Schutzbedürftiger im Vatikan,
ebenso wie auch die italienische Bischofskonferenz, anderen Bischofskonferenzen
anböten, die aus eigener Kraft nicht die Mittel dafür aufbringen können, das
Thema strukturiert anzugehen. So hat die Kommission im Rahmen des
Memorare-Projektes mittlerweile einige Partnerschaften auf den Weg gebracht, um
die Einrichtung und den Betrieb von Schutzstrukturen in Entwicklungsländern zu
unterstützen. (vn 18)
Behütet - eine Herbst-Meditation
Es
ist nebelig und nass - Novembergrau. Ich breche trotzdem auf. Ich brauche nur
ein paar Schritte zu gehen, dann bin ich schon in der Natur. Am Wegrand ein
großer Parasolpilz, der den Schirm bereits geöffnet hat und ein kleiner, der
sich darunter im Schutze entwickeln kann. Ein Bild das mich in meiner Seele
anrührt.
Eigentlich
nicht mein bevorzugtes Wetter zum Laufen. Aber mich drängt es raus in den Wald.
Weg von Häusern und dem Verkehr. Meine Füße tragen mich mit jedem Schritt
weiter den Berg hinauf durch eine frisch gemähte Wiese, die vom Regen in der
Nacht noch ganz feucht ist. Die Wassertropfen legen sich auf meine Schuhe. Was
bin Ich froh, dass sie wasserdicht sind, ich würde sonst mit nass,
quietschenden Füßen in den Schuhen gehen. Meine Walkingstöcke helfen mir, auch
an rutschigen Stellen gut vorwärts zu kommen.
Samtiger
Waldboden
Der
Weg geht in ein großes Waldstück über. Der samtige, weiche Moosboden ist
bedeckt mit buntem bereits ein wenig abgetrocknetem Laub. Seit ein paar Tagen
lassen die Bäume ihr Laubkleid fallen. Sie wollen in den wohlverdienten
Winterschlaf. Ein paar Windböen bewegen die Äste der Esskastanien, deren
Früchte den Weg stellenweise bedecken. Die stacheligen Schalen sind bereits
aufgebrochen. Kleine braune Spitzen schauen an den offenen Stellen heraus. Zwei,
manchmal drei kleine Früchte verbergen sich in dieser genialen Schutzhülle. Sie
sind mir aber zu stachelig und zu klein, um sie einzusammeln.
Alles
hängt mit allem zusammen
Ich
gehe weiter bergan, mein Blick ist auf den Weg gerichtet. Das Laub ist schon fast
knöchelhoch, es raschelt bei jedem Schritt. Ein Knistern aus Kindertagen. Ich
liebte es schon damals, mit den Füßen das Laub vor mir her in kleine Hügel zu
schieben. Dabei kann Ich den modrigen, erdigen Duft der Blätter noch intensiver
riechen. Erinnerungen an eine sorglose, unbeschwerte Zeit als Kind werden ganz
präsent. Die Natur mit ihren Wiesen und Wäldern, den Beeren und Pilzen, den
Vögeln und kleinen Kriechtieren war mein tägliches Spielzimmer in dem ich
soviel entdecken, beobachten, aufnehmen konnte. Mit dieser Natur habe ich schon
als Kind Freundschaft geschlossen, die von einem tiefen Gefühl der
Zugehörigkeit, Geborgenheit und Gemeinsamkeit geprägt ist. Ein Gefühl von
Schutz und Vertrauen. Hier kann ich spüren, wie alles mit allem zusammenhängt.
Wie sich Pflanzen, Bäume und die Tierwelt untereinander verständigen, sich
gegenseitig unterstützen, wenn es notwendig wird. Wir kennen die Symbiose der
Pilze mit den Wurzeln der Bäume. Meine Gedanken holen meine Erfahrungen ein,
vermischen sich mit dem Geruch des Waldes. Ich spüre große Dankbarkeit für
diese Naturerfahrung, die auch mich lebendig hält.
Eine
zweite Vegetationszeit
Der
noch relativ warme November in diesem Jahr lockt den Parasolpilz ein zweites
Mal in dieser Saison aus der Erde. Er hat schon im August mit seinen schönen
runden gemusterten Köpfen und später mit den ausgebreiteten Schirmen den Wald
geschmückt. Mir auch so manches Mittagessen geschenkt. Wunderschöne Exemplare
stehen auch heute am Wegesrand. Ich bringe es nicht über das Herz diese beiden
mitzunehmen. Ich mache nur ein Foto. Lasse sie aber auch zur Freude anderer
stehen.
Dem
Geist der Natur nahekommen
Im
Gehen kreisen meine Gedanken um die Frage nach dem Geist, der in der Natur
wirksam ist. Er ist nicht direkt zu sehen, ich kann ihn nicht anfassen, aber
ich spüre ihn. Ich spüre seine Kraft, seine Lebendigkeit, ganz besonders wenn
die verschiedenen Jahreszeiten im Wandel sind. Jetzt im Übergang vom Sommer zum
Herbst, kann ich es wieder gut beobachten. Der Nebel lichtet sich gerade, um
ein paar blassen Sonnenstrahlen Platz zu machen. Die Blätter verändern sich in
verschiedene Farbnuancen, Stürme fegen durch die Baumwipfel, damit das
Sommerkleid fallen kann. Windböen lassen abgestorbene Äste brechen, damit sich
die Bäume verjüngen. Der Wald lichtet sich, um Platz für Licht und Sonne zu
schaffen, damit die neue Saat im Frühling nach der Winterpause, wachsen kann.
Nur noch einzelne Vögel singen ihr Lied zum Abschied in die Winterruhe. Der
Eichelhäher ruft im Vorbeigehen.
In
dieser Lebendigkeit muss Intelligenz stecken. Eine Intelligenz, die Zukunft
will, die Entwicklung unterstützt, die Kraft hat, jedes Jahr neu aufzustehen,
um für mich da zu sein, damit ich leben kann. Sie nährt mich, beschützt mich
vor Einsamkeit, gibt mir die Luft zum Atmen, die Freude an Farben, zeigt mir
einen Frieden wie er auch unter uns Menschen sein könnte. Ich danke für diese
Erfahrungen, verbinde mich mit ihr innerlich. Da kommt der Geist mir ziemlich
nahe. Jutta Mügge, kath.de 17
Warum der Friede unsere Gebete
braucht
Eine
Ideologie kann man militärisch nicht besiegen. So der frühere israelische
Geheimdienstchef Schin Bet. Die Ideologie besagt: Der Andere muss weg, damit
ich leben kann. Seit Kain und Abel geht es so bei den Menschen zu. Gott weiß
darum. Sich an ihn zu wenden, heißt beten, Gebet um Frieden.
Die
Erzählung von dem Brüderpaar geht noch weiter. Gott warnt Kain und trotzdem
bringt er seinen Bruder um. Das passiert im Palästinakonflikt. Es wird immer
schlimmer, weil "das Böse vor der Tür lauert". Im 4. Kapitel des
ersten Buches der Bibel ist zu lesen, was wir in der Ostukraine und im
Gazastreifen beobachten.
Wenn
du nicht recht tust, lauert an der Tür die Sünde als Dämon. Auf dich hat er es
abgesehen, doch du werde Herr über ihn!
Kain
tötet daraufhin Abel. Diese tödliche Konstellation, die die Bibel entwirft,
wurde oft als historische Erzählung über die erste Familie interpretiert. Sie
ist jedoch ein Mythos, d.h. sie beschreibt den Menschen und wird heute als
Mobbing bezeichnet, das auf den sozialen Tod des Opfers zielt. Israel wie die
Hamas wollen die Vernichtung des anderen. Russland braucht die Ukraine, um zur
alten Größe der Sowjetunion zurückzukehren. Es scheint nur so, dass die Russen
um Land kämpfen. Davon haben sie genug, es geht um die 40 Millionen Menschen in
der Ukraine, gut ausgebildet, inzwischen auch als Informatiker. Nicht zufällig
lag der industrielle Schwerpunkt der Sowjetunion in der Ukraine. Weil die
Ukrainer sich nicht unterwerfen, werden sie vernichtet. Russland bräuchte diese
Menschen dringend, nicht als Unterworfene, sondern um ein demokratischer und
damit entwicklungsfähiger Staat zu werden. Wie Israel müsste es die Köpfe
gewinnen.
Die
Kriege kommen nicht zu einem Ende
Russland
kann nur das besetzte Land einigermaßen verteidigen. Der Kampf läuft in einen
Stellungskrieg hinaus, der lange dauern kann und nicht nur viele Granaten
braucht, sondern viele Menschenopfer fordert. Israel und die Hamas werden auch
nach diesem Krieg zu keinem friedlichen Nebeneinander finden. Jeder weitere Tag
kostet in der Ostukraine wie im Gazastreifen jungen Menschen das Leben. Weil
diese Toten nicht umsonst sterben durften, kann nur ein Sieg dieses Sterben
rechtfertigen. So hat der Krieg beide Seiten fest im Griff. Wer dem Gutes
entgegensetzen will, kann nur die Verletzten versorgen und die Angehörigen der
Toten trösten. Es scheint niemand dem Krieg Einhalt gebieten zu können. Wenn es
Naturkräfte wären, die das Geschehen weitertreiben, dann könnte es z.B. mit
einem Medikament gestoppt werden. Weil es eine Geisteshaltung ist, die die
Kriegsmaschine mit Energie beliefert, braucht es andere Kräfte.
Etwas
Dämonisches ist wirksam
Frühere
Epochen und auch Kulturen heute sehen Dämonen als Verursacher des Geschehens,
das so vielen Menschen den Tod bringt. Dämonisch ist das, was die
Zivilbevölkerung in den Kriegsgebieten bedroht. Von dämonischen Kräften zu
sprechen ist eine zutreffendere Erklärung als einfach zu sagen "Die können
nicht anders". Sie können tatsächlich nicht. Wir Deutsche haben an uns
dasselbe erlebt. Der Zweite Weltkrieg war mit Stalingrad bereits Anfang Februar
1943 bereits verloren, endgültig mit der erfolgreichen Landung der Amerikaner
und Engländer bereits im Juni 1944. 11 Monate sollte es noch bis zur Kapitulation
dauern, mit noch mehr Toten als in den vorausgegangenen Kämpfen. Ob wir diese
Vernichtung dem Einfluss von Dämonen zuordnen oder nicht, es gibt eine Kraft,
die auf Vernichtung aus ist und die Kämpfenden in dieser Dynamik fesselt. Die
Deutschen waren nicht in der geistigen Verfassung, sich aus der Ukraine, aus
Polen, aus Frankreich zurückzuziehen, sie suchten auch dann noch nicht einen
Waffenstillstand, als die Armeen mehrerer Länder anfingen, Deutschland selbst
zu besetzen. Auch dann noch wurden deutsche Soldaten erschossen, die den Sieg
deutscher Truppen infrage stellten. Die Realität, die mit jedem Luftangriff
auch der Zivilbevölkerung deutlich gemacht wurde, führte nicht zu der Einsicht,
dass der Krieg nicht zu gewinnen war. "Wie verhext" sagen wir, oder
doch "wirklich verhext". Der Mensch kann diese Verhexung nicht
auflösen, sondern opfert noch viele junge Menschen, eine ganze Generation
junger Männer, die eigentlich für den Wiederaufbau gebraucht würden. Das Böse
braucht daher eine andere Realitätsbewältigung. Psychologisch lässt sich das
Festhalten am Töten kaum erklären, es ist gegen jede Vernunft. Psychologie oder
die Philosophie können erklären, haben aber bisher keinen Ausweg aufgezeigt,
wie das Unvernünftige entmachtet werden kann.
Die
Religion stellt sich direkter dem Bösen
Religion
gibt es wegen der Erlösung vom Bösen, es muss allerdings eine sein, die sich
dem Frieden verpflichtet hat. Die nur einen Gott kennt, der in gleicher Weise
Gott der Palästinenser wie der Juden ist. Nicht die Götter, deren
Herrschaftsgebiet das des Stammes oder des Volkes ist. Diese Götter waren dazu
da, die eigenen Truppen über die des Nachbargottes siegen zu lassen. Das gilt
für Juden und Palästinenser faktisch noch, ist aber durch ihre Tradition nicht
gerechtfertigt. Sie könnten und müssten gemeinsam zu Gott beten, dessen Gebote
Moses überbracht hat, der im Koran als Prophet geschildert wird. Allah leitet
sich von Elohim her, ein Gottesname, mit dem neben Jahwe Gott in der Bibel der
Juden angesprochen wird.
Noch
absurder verhält sich der Moskauer Patriarch. Er war Oberhaupt der meisten
orthodoxen Bistümer der Ukraine, die Mehrzahl fühlt sich immer noch dem
Moskauer Patriarchat zugehörig.
Das
Böse ist in diesen Tagen in seiner Vernichtungsdynamik sehr erfolgreich. Wenn
Gott seinen versöhnenden Geist senden will, braucht er möglichst Viele, die
sich ihm öffnen. Es braucht viel mehr Beter, die sich nicht vom Dämonischen
vereinnahmen lassen. Eckhard Bieger, explizit.de 17
Radio Vatikan-Adventsaktion:
Mitmachen und gewinnen!
Auch
in diesem Jahr haben wir zum Advent in Zusammenarbeit mit YOUPAX, dem jungen
Glaubensportal des Erzbistums Paderborn, und dem Freundeskreis von Radio
Vatikan wieder eine Adventsaktion organisiert. Fokus in diesem Jahr: Das Thema
Freundschaft. Stefanie Bross und Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt
Mit
Christian Städter, Spiritual des Priesterseminars in Paderborn haben wir einen
Blick hinter die Kulissen von YOUPAX geworfen und ihn gefragt, was hinter dem
katholischen Jugend-Portal steht und was es mit dem neuen Adventsbegleiter von
YOUPAX auf sich hat.
„YOUPAX
ist zunächst einmal ein Portal, ein Glaubensportal, in dem verschiedenste
Glaubens- und Lebensthemen vorgestellt werden, angeregt werden, und das im
Internet einsehbar ist auf youpax.de. Es versucht durch verschiedene Methoden -
sei es durch Podcast, kleine Videos, längere Berichte etc. -, den Glauben ins
Gespräch zu bringen und immer wieder zu schauen, was gibt es für eine
Verbindung zwischen meinem Glauben und meinem Leben und den Fragen, die mich in
meinem Leben beschäftigen. YOUPAX kann dabei helfen, Menschen ins Gespräch zu
bringen, in Austausch. Dafür eignet sich, glaube ich, dieses Portal wunderbar.
"
„Mindestens
zwei Exemplare bestellen - damit man eines verschenken kann und sich darüber
austauschen kann, was man für Erfahrungen macht“
Inhalt
mit solider theologischer Grundlage
Für
YOUPAX geht es dabei nicht nur um eine ansprechende Form, sondern auch um
Inhalte. Eine solide theologische Grundlage sei unerlässlich, sagt Spiritual
Christian Städter im Interview mit uns. Städter ist auch selbst als Autor und
Berater bei YOUPAX aktiv: „Mich verbindet mit YOUPAX, dass ich immer mal wieder
angefragt werde als Autor für verschiedene Themen. Ich hatte einmal, das war
noch recht zu Beginn, etwas längeres geschrieben zum Thema Gebet, verschiedene
Gebetsformen. Auch bei anderen Projekten, wie bei unserem Adventsbegleiter oder
unserem Workbook, stehe ich unseren Journalisten auch inhaltlich mit Rat und
Tat zur Seite", berichtet der Theologe im Interview mit Radio Vatikan.
Der
Adventsbegleiter: Spirituelle Reise durch den Advent
Der
Adventsbegleiter von YOUPAX ist in besonderes Angebot zur Vorbereitung auf
Weihnachten. Das kleine Heftlein richtet sich besonders an junge Leute und
erscheint dieses Jahr bereits zum vierten Mal:
„Es
geht einfach darum, dass wir - bei all der Hektik, die es ja auch gerade im
Advent gibt, der Atemlosigkeit - junge Menschen dazu einladen möchten, dass man
mal einmal am Tag für fünf Minuten, oder für zehn Minuten oder vielleicht eine
Viertelstunde, innehält und sich ganz klassisch das Tagesevangelium vornimmt,
das einmal liest. Dann haben wir für jeden Tag immer eine kleine, kurze
Meditation, einen Impuls zu diesem Evangelium. Einen Gedanken, den man
vielleicht ganz konkret mitnehmen kann in den Tag und ein Gebet.“
„Also
ich selbst höre auch eher immer, wenn ich morgens dann aufstehe und mich frisch
mache, dann läuft der Adventsbegleiter im Podcast dann immer im Hintergrund.“
Den
Adventsbegleiter gibt’s jedoch nicht nur zum Lesen, sondern auch zum Hören:
„Das
kann man in der klassischen Printversion natürlich lesen. Und dann gibt es dazu
auch einen Podcast, so dass man auch täglich das Tagesevangelium dann hörend
sozusagen meditieren kann. Also ich selbst höre auch eher immer, wenn ich
morgens dann aufstehe und mich frisch mache, dann läuft der Adventsbegleiter im
Podcast dann immer im Hintergrund“, verrät Städter. Und er hat noch einen
weiteren Tipp für alle:
„Man
kann den Adventsbegleiter über die Homepage von YOUPAX oder auch auf der
Homepage unseres Erzbistums bestellen. Der ist kostenlos, wird überall nach
Deutschland hin versandt und: Am besten sagen wir immer, ist, wenn man sich nur
nicht nur einen bestellt, sondern mindestens zwei, damit man einen verschenken
kann und sich dann mit der anderen Person darüber austauschen kann, was man so
für Erfahrungen macht.“
Unser
Freundschafts-Gewinnspiel: Sei dabei!
Das
mit dem Verschenken an Freunde finden wir hier bei Radio Vatikan auch eine
super Idee. Bei unserer diesjährigen Adventsaktion geht’s daher ums Verschenken
und um Freundschaft: Wir verlosen insgesamt 6 Adventsbegleiter und weitere
Überraschungen an dich und deinen Lieblingsmenschen. Wer gewinnt, bekommt
jeweils zwei Preise – einmal als Geschenk von uns an euch und einmal zum
Verschenken an eure Freunde.
Diese
und mehr Preise kannst du gewinnen! Das gibt`s zu gewinnen:
Vatican
News -Tassen, -Notizbücher und -Trinkflaschen, Rosenkränze, unsere
Rosenkranz-Gebets-CD mit Papst Franziskus in Fatima und unsere CD „In Memoriam
Benedikt XVI.". Außerdem verlosen wird Adventsbegleiter „Achtung
Advent!“, das Workbook „Zweifeln und Staunen“, einen Spiele-Block „Stadt,
Land, Glaube“ sowie Postkarten und Aufkleber von YOUPAX.
Die Adventsbegleiter,
das Workbook, den Spieleblock sowie die Postkarten und Sticker stellt
YOUPax/ das Erzbistum Paderborn zur Verfügung, die weiteren Preise
der Verein „Freunde von Radio Vatikan“. Vielen Dank und viel Glück!
Teilnahmebedingungen:
Gehe
auf unsere Facebook Seite und kommentiere unter dem Post mit diesem Beitrag,
mit wem du durch den Advent gehen willst. Vielleicht ist diese Person auch auf
Facebook – markiere sie und verrate uns, warum sie unbedingt einen
Advents-Begleiter oder einen der anderen Preise bekommen sollte.
Wer
kein Facebook hat: Schreibt eine Email an Feedback@radiovatikan.de, Betreff:
Adventsaktion. In der Email schreibst du dann mit wem du durch den Advent gehen
willst und warum diese Person unbedingt einen Advents-Begleiter oder einen der
anderen Preise bekommen sollte.
Teilnahmeschluss:
Die Radio-Vatikan-Adventsaktion endet am 22. November 2023. Der Rechtsweg
ist ausgeschlossen. (vatican news 17)
Italiens Bischöfe: 54 mutmaßliche
Missbrauchsopfer 2022 gemeldet
Die
Bischofskonferenz hat ihren Jahresbericht über nationale Maßnahmen zum Schutz
vor Missbrauch vorgelegt. Demnach seien im vergangenen Jahr 54 mutmaßliche
Fälle sexuellen Missbrauchs gemeldet worden, der Großteil der Betroffenen (44)
seien dabei weiblich gewesen.?
Knapp
die Hälfte der Betroffenen (25) seien zum Zeitpunkt der Tat zwischen 15 und 18
Jahren alt gewesen. Die Zahl der mutmaßlichen Täter liege bei 32, davon 31
Männer. Jeweils zu einem Drittel würden Priester, Ordensleute und Laien der
Taten beschuldigt.
Knapp
über die Hälfte der mutmaßlichen Fälle (56,8 Prozent) seien in der
Vergangenheit geschehen. Insgesamt handle es sich bei 90,6 Prozent um reale
Übergriffe, 9,4 Prozent seien über das Internet erfolgt.
108 „Hörzentren“
Die
Zahlen beziehen sich auf Meldungen an die 108 sogenannten „Hörzentren“ der
Kirche in Italien. Diese Einrichtungen dienen als Anlauf- und
Informationsstellen für Betroffene und Fragen zu sexuellem Missbrauch. Knapp 80
Prozent der Diözesen im ganzen Land verfügen über Zugang zu solch einem
Zentrum. An sie wandten sich im Vorjahr 374 Menschen, 2021 waren es 48. 2022
erfolgte die Mehrheit der Kontakte durch Dritte (87,7 Prozent), mutmaßlich
Betroffene machten 12,3 Prozent aus.
Keine
umfassende Untersuchung geplant
Die
Erhebung folgt auf eine erste Studie aus dem Jahr 2022. Sie war die erste
Analyse der nationalen Präventionsmaßnahmen in den Jahren 2020 und 2021.
Angekündigt hatte die Bischofskonferenz zudem eine Untersuchung der Fälle, die
in den vergangenen 20 Jahren von Italiens Diözesen bei der Glaubensbehörde im
Vatikan eingereicht wurden.
Eine
umfangreiche, unabhängige Untersuchung von sexuellem Missbrauch im Umfeld der
katholischen Kirche in Italien ist bislang nicht geplant. (kna 17)
Um
antisemitische Vorurteile auszuräumen, setzt ein Projekt des „Zentralrats der
Juden in Deutschland“ auf Austausch auf Augenhöhe. Seit dem Hamas-Angriff
suchen deutlich mehr Gruppen den direkten Kontakt zu Jüdinnen und Juden.
Das
erfuhr das Kölner Domradio jetzt bei einem Interview mit Mascha Schmerling, der
Koordinatorin von „Meet a Jew“. Das Projekt existiert seit 2020 und ist aus
zwei ähnlichen Projekten hervorgegangen, die sich zusammengeschlossen haben.
Die Idee hinter dem Projekt: Jüdisches Leben in Deutschland durch die Begegnung
mit jüdischen Gläubigen kennenlernen, nicht abstrakt, sondern konkret. Der
Schwerpunkt der Arbeit liegt in Schulen, Universitäten und Sportvereinen, aber
auch Begegnungen in anderen Einrichtungen wie einer JVA hat es schon gegeben.
Interview
Seit
2020 organisiert der Zentralrat der Juden in Deutschland das Projekt „Meet a
Jew“. Wie funktioniert es?
„Bei
‚Meet a Jew‘ machen über 500 jüdische Ehrenamtliche ab 14 Jahren mit. Sie gehen
zu zweit in Begegnungen an Schulen, in Sportvereinen, an Universitäten, in
Kirchengruppen, in Gruppen der Erwachsenenbildung etc. und erzählen in einem
lockeren Gespräch, in einem Stuhlkreis aus ihrem Alltag. Was bedeutet es heute
überhaupt, jüdisch zu sein? Welche Themen beschäftigen sie? Und vor allem
beantworten sie auch alle möglichen Fragen der Gruppen. Wir sagen auch ganz
bewusst: Man darf alle Fragen stellen bei ‚Meet a Jew‘, das ist uns ganz
wichtig. Uns geht es um den Dialog, um den Austausch auf Augenhöhe. Und darum,
dass nichtjüdische Menschen überhaupt Jüdinnen und Juden persönlich
kennenlernen und sich mit ihnen austauschen können.“
„Man
darf alle Fragen stellen“
Wie
haben die Hamas-Angriffe vom 7. Oktober Ihre Arbeit verändert?
„Das
war natürlich auch für unser Projekt erst einmal ein großer Schock, weil
natürlich auch unsere Ehrenamtlichen als Jüdinnen und Juden und Menschen, die
vielleicht selbst Freunde und Verwandte in Israel haben, betroffen sind. Wir
mussten uns erst einmal sortieren und besprechen, wie wir weitermachen können. Es
ist uns sehr wichtig, weiterzumachen. Wir haben dann auch beschlossen, dass wir
auf jeden Fall weitermachen wollen in der aktuellen Situation. Aber wir haben
auch beschlossen, dass wir jetzt noch genauer hinschauen, in welche Gruppen wir
gehen und was sind die gegenseitigen Erwartungen sind. So dass es für alle
Seiten wirklich eine gewinnbringende Begegnung, eine gute Begegnung wird.“
Sie
erleben, dass die Nachfrage nach Ihren ‚Meet a Jew‘-Begegnungen aktuell noch
größer geworden ist…
„Tatsächlich
ist es so, dass wir im Moment sehr viele Anfragen bekommen, noch deutlich mehr
als ohnehin schon in dieser Jahreszeit. Denn im November und Dezember wird
unser Angebot in der Regel stark nachgefragt. Und in der aktuellen Lage jetzt
eben umso mehr. Das zeigt, dass die Menschen, die sich engagieren wollen –
wofür wir sehr dankbar sind – also Lehrkräfte vor allem, nach Möglichkeiten
suchen, wie sie mit der aktuellen Situation umgehen können. Und da wenden sie
sich häufig an uns.“
„Wir
sind kein Projekt, das intervenieren kann“
Ihre
Aufgabe ist es, Präventionsarbeit zu leisten. Wie ist das dann, wenn Sie jetzt
angefragt werden, um sozusagen Feuer zu löschen?
„Ich
glaube, das ist eine strukturelle Herausforderung. Wir sind ein Projekt, das in
erster Linie jüdisches Leben in Deutschland vorstellt und versucht, damit auch
Vorurteilen vorzubeugen und aufzuklären. Wir sind kein Projekt, das
intervenieren kann. Das heißt, wenn jetzt in einer Klasse aufgrund des
aktuellen Krieges die Stimmung sehr aufgeheizt ist, dann können wir nicht, wie
Sie sagen, Feuer löschen und ganz detailliert über den Konflikt reden oder ihn
gar lösen. Das wäre schön, wenn wir das in einer Doppelstunde in der Schule
hinbekommen könnten. Das ist nicht der Ansatz unseres Projekts.
Nichtsdestotrotz versuchen wir dann natürlich, an andere Projekte zu
vermitteln, an Projekte, die Interventionen machen, die sich für den jüdisch-
muslimischen Dialog engagieren. zum Beispiel machen. Wir schauen, was die
Schulen in der aktuellen Situation brauchen.“
Was
erzählen denn die Ehrenamtlichen, die jetzt in die Begegnungen gehen?
„Das
aktuelle Aufflammen im Nahostkonflikt ist natürlich Thema. Das wird
angesprochen und das darf es bei uns auch. Es ist uns sehr wichtig, dass nichts
ausgeklammert wird, weil wir ein authentisches, ehrliches Gespräch wollen. Wir
machen aber auch gleichzeitig deutlich, dass Jüdinnen und Juden nicht gleich
Repräsentanten der Politik eines Staates sind, also in dem Fall des Staates
Israel. Und dass auch nicht alle Jüdinnen und Juden Experten sind für die
Nahostpolitik.
„Wir
vermitteln, dass es wichtig ist, zu differenzieren“
Wir
vermitteln, dass es wichtig ist, zu differenzieren. Genauso wie sich ja auch
nicht alle muslimischen Menschen mit allen Konflikten auskennen, die in
muslimisch oder arabisch geprägten Regionen stattfinden und nicht automatisch
jeder von ihnen zu einem bestimmten Konflikt Stellung beziehen kann.
Gleichzeitig ist es uns wichtig, dass wir natürlich an einer friedlichen Lösung
für alle Seiten interessiert sind und dass uns menschliches Leid, egal auf
welcher Seite, sehr nahe geht. Und schließlich, dass wir uns mit unserem
Projekt für den Dialog einsetzen und dafür, dass dieser Konflikt nicht auch
noch in deutschen Klassenzimmern in der deutschen Gesellschaft ausgetragen wird
und zu noch mehr Hass führt.“
Inwieweit
lassen sich in einem Klima aufgeheizter Gefühle überhaupt grundsätzliche
Missverständnisse klären und Fake News zurechtrücken?
„In
der Bildungspolitik sind wir manchmal gefühlt schon fast an der Abfahrt
‚Prävention‘ vorbeigefahren. Wir haben es viele Jahre versäumt, Bildungsarbeit
zum Nahostkonflikt zu machen, der schließlich viele Schülerinnen und Schüler
beschäftigt. Aber auch im Bereich Medienbildung: Wie checke ich meine Quellen?
Wie erkenne ich, ob es sich um eine seriöse Quelle handelt?
Jugendliche
sind im Moment ganz vielen ungefilterten Informationen über TikTok oder andere
Social-Media-Kanäle ausgesetzt. Es braucht Menschen, die das mit ihnen
gemeinsam einordnen, die Räume schaffen, zum Beispiel in der Schule, um das zu
besprechen. Das ist gerade sehr akut und da besteht ein sehr großer Bedarf. Wir
haben nicht genügend Ressourcen dafür.“
„Wir
haben mittlerweile über 30.000 Menschen erreicht“
Wie
optimistisch sind Sie, dass Sie mit Ihrer Arbeit wirklich etwas erreichen?
„Wir
waren in den letzten vier Jahren sehr oft im Gespräch, wir haben mittlerweile
über 30.000 Menschen erreicht. Und wir haben erlebt, dass, wenn wir erst einmal
ins Gespräch kommen sind, die Gespräche auch gut werden. Ich werde immer wieder
gefragt, wie es denn speziell mit muslimischen Gruppen läuft. Und auch da sage
ich immer wieder, dass wir wirklich gute Gespräche haben, weil wir über
Gemeinsamkeiten sprechen können. Und wenn wir den Raum dafür schaffen, ist das
sehr positiv.
Nichtsdestotrotz
sind wir uns auch bewusst, dass wir eine sehr kleine Minderheit sind. In den
jüdischen Gemeinden gibt es in Deutschland um die 100.000 Mitglieder und im
Projekt ‚Meet a Jew‘ machen 500 Ehrenamtliche mit, das ist sehr viel für ein
jüdisches Projekt. Aber auf das ganze Land gesehen, ist das natürlich trotzdem
nicht viel. Deswegen brauchen wir auch die Unterstützung der
Mehrheitsgesellschaft. Aber wir brauchen andere Projekte, und es gibt auch ganz
andere tolle Projekte. Es gibt ganz viele nicht-jüdische Menschen und auch aus
der muslimischen Community, die sich gegen Antisemitismus einsetzen. Aber wir
brauchen das wirklich auf einer breiteren Basis und auch nachhaltig.“
(domradio
17)
Siebter Welttag der Armen am 19.
November 2023
Am
Sonntag, 19. November 2023, begeht die katholische Kirche zum siebten Mal den
Welttag der Armen, den Papst Franziskus ins Leben gerufen hat. Zu diesem Tag
erklärt der Vorsitzende der Kommission für caritative Fragen der Deutschen
Bischofskonferenz, Erzbischof Stephan Burger (Freiburg):
Papst
Franziskus hat den Welttag der Armen in diesem Jahr unter ein Wort aus dem Buch
Tobit gestellt: „Wende dein Gesicht von keinem Armen ab“ (Tob 4,7). In
seiner Botschaft bringt er uns die Geschichte von Tobit im gleichnamigen Buch
des Alten Testaments und die Mahnungen an seinen Sohn Tobias näher. Tobit lebt
in der assyrischen Gefangenschaft ein Leben in Gottesfurcht und Nächstenliebe.
Er hilft Menschen mit Nahrung und Kleidung und kümmert sich um die Begräbnisse
von achtlos auf die Straße geworfenen Verstorbenen seines Volkes. Als er nach
einem solchen Begräbnis erschöpft im Hof einschläft, verliert er durch ein
Unglück sein Augenlicht. Dieser Schicksalsschlag lässt Tobit jedoch nicht
verzweifeln, sondern – so beschreibt es uns der Heilige Vater – „wird zu seiner
Stärke, sodass er die vielen Formen der Armut um ihn herum noch besser erkennen
kann“. Bevor er seinen Sohn Tobias nach Medien aussendet, gibt er ihm seine
Lebenserfahrungen mit auf den Weg. Er ermahnt ihn, ein Leben zu führen, das
ausgezeichnet wird von der Hilfe für die Armen. In dieser Situation fällt der
zentrale Satz: „Wende dein Gesicht von keinem Armen ab“.
Unsere
Zeit ist geprägt von vielen Unwägbarkeiten, Sorgen und Krisen. Kriege,
Katastrophen und wirtschaftliche Schieflagen haben globale Auswirkungen und
betreffen eine Vielzahl von Menschen. Hinzu kommen die Schicksalsschläge und
Herausforderungen, die jeden Einzelnen individuell treffen und oftmals gravierende
Auswirkungen haben können. Ein unbeschwertes Leben ist für viele Menschen
derzeit nur schwer möglich. Manche leben bereits seit Jahren in Not und Elend.
Wir alle werden beschäftigt von unseren eigenen Problemen und Herausforderungen
unterschiedlicher Schwere und wir versuchen, diese so gut es geht zu
bewältigen. Die Worte des Papstes sollen uns dazu anhalten, auch in diesen
Phasen der eigenen Belastung den Blick für den Nächsten nicht zu verlieren, ihn
nicht zu übersehen und schon gar nicht bewusst wegzusehen. Er fordert uns auf,
weiterhin füreinander da zu sein und selbst tätig zu werden in der Hilfe für
die Ärmsten und Bedrängten.
Er
richtet damit keinen geringen Anspruch an uns. Gleichzeitig ist diese Mahnung
richtig und notwendig. Verdecken unsere eigenen Herausforderungen doch allzu
leicht die Sorgen und Nöte der anderen. Solidarität und Mitgefühl mit unserem
Nächsten werden gerade in schwierigen Zeiten gebraucht. Sie sind ein wichtiger
Bestandteil dessen, was wir als Mitmenschlichkeit bezeichnen. Denn wenn jeder
an sich selbst denkt, ist eben nicht an alle gedacht. Und niemand ist niemals
auf andere angewiesen. Der Papst verlangt dabei nicht von uns, über unsere
Kräfte hinauszugehen, um zu helfen, aber die Kräfte einzusetzen, die wir haben.
Papst Franziskus weist darauf hin, dass diese Nächstenliebe allen Menschen,
ungeachtet der Hautfarbe, des sozialen Status oder der Herkunft, zu gelten hat
und jedem Armen und jeder Armut zu begegnen ist. Ich möchte ebenfalls betonen,
dass christliche Nächstenliebe sich ausschließlich an der Bedürftigkeit des
Nächsten orientieren darf und nicht daran, wie nah uns bestimmte oder
vermeintliche Eigenschaften oder Zuschreibungen des Nächsten sind. Es geht
darum, dass wir uns dem Bedrängten zum Nächsten machen, nicht darum, wie
vermeintlich nah uns dieser Nächste ist.
Besonders
betont der Papst die Notwendigkeit, sich Kindern und Jugendlichen zuzuwenden,
die „dem gegenwärtig stattfindenden kulturellen Wandel am schutzlosesten
gegenüberstehen“. Auch in Katastrophen und Kriegen sind es die Jüngsten, „die
einer unbeschwerten Gegenwart und einer würdigen Zukunft beraubt sind“. Ich
unterstütze den Papst in seinem Aufruf, alles zu versuchen, „damit sich der
Friede als Geschenk des auferstandenen Herrn und als Frucht des Einsatzes für
Gerechtigkeit und Dialog behaupten kann“ und weiß viele Gläubige vereint im
Gebet für Frieden und Versöhnung in den Kriegs- und Konfliktregionen dieser
Welt. Das Heilige Land und die Ukraine sind dabei zurecht besonders in unserem
Blick, doch gibt es zahlreiche weitere Regionen und Orte, die von Gewalt
erschüttert werden und die wir nicht übersehen sollten.
Gemeinsam
mit dem Papst bin ich dankbar dafür, dass viele Menschen in Deutschland und der
Welt bereits heute tagtäglich für Menschen in Armut da sind. Sie tun dies in
den Pfarrgemeinden oder unserer Caritas, im Haupt- oder Ehrenamt, dauerhaft
oder zu einem konkreten Anlass. Sie leisten einen wertvollen Liebesdienst für
die Armen und für die gesamte Gesellschaft, deren Zusammenhalt im besonderen
Maß vom Engagement ihrer Mitglieder für die Schwachen und Geplagten abhängt.
Manches geschieht dabei sichtbar, vieles jedoch in Stille und ohne Applaus. Als
Gesellschaft, die auf diese Menschen angewiesen ist, tun wir gut daran, sie in
ihrer Arbeit zu unterstützen und in Staat und Kirche kontinuierlich zu
überprüfen, welche Hemmnisse bestehen, die andere davon abhalten, sich
ebenfalls zu engagieren, obwohl sie die Sorgen und Nöte der Menschen sehen und
handeln möchten.
In
der zweiten Jahreshälfte und insbesondere in diesen Wochen vor Weihnachten
gedenken wir verschiedener Heiliger, die durch ihre Taten gegenüber Armen und
Benachteiligten beispielhaft für uns sein können – der hl. Elisabeth, deren
Gedenktag in diesem Jahr mit dem Welttag der Armen zusammenfällt, aber auch der
hl. Teresa von Kalkutta, dem hl. Vinzenz von Paul, dem hl. Franziskus, dem hl.
Martin oder dem hl. Nikolaus. Sie alle zeichnet auf ihre je eigene Art aus,
dass sie ihre Augen und Herzen nicht vor dem Leid verschlossen haben, das sie
sahen. Sie haben stattdessen die Herzen und Arme geöffnet und Hilfe geleistet.
Ihre Taten können uns zusammen mit den Worten des Papstes inspirieren, dass
auch wir unsere Augen nicht von den Armen abwenden, sondern ihre Nöte sehen und
dann handeln.
Hinweis:
Weitere Informationen sind unter www.dbk.de auf der Themenseite Welttag der
Armen verfügbar. Dbk 17
Studie: Soziales Engagement der
Kirchen bindet Gläubige
Die
Mitgliedszahlen der christlichen Kirchen werden sich bis 2040 womöglich
halbieren. Laut einer neuen Studie würden aber radikale Reformen und mehr
politisches Engagement Gläubige zum Bleiben bewegen. Und: Gerade sozialer
Einsatz sorgt für Ansehen. Von Andrea Neumeier
"Wie
hältst du's mit der Kirche?" lautet der Titel der
Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung, die nun auf der EKD-Synode in Ulm
vorgestellt worden ist. Für die evangelische Kirche ist es bereits die sechste
Studie dieser Art, die katholische Kirche hat erstmals daran teilgenommen. Auf
94Seiten wird analysiert, wie eng die Bindung an die beiden christlichen
Kirchen in Deutschland ist. Dafür wurden rund 5.000 Personen befragt.
Das
Ergebnis ist ernüchternd: Kirchenbindung und Religiosität gehen noch stärker
zurück als bisher angenommen. Auf den Kirchen lasten enorme Reformerwartungen
angesichts "multipler Krisen". Und während sich in der Vergangenheit
Katholiken und Protestanten stärker unterschieden haben, gleichen sie sich in
ihren Erwartungen immer mehr an. Aber es gibt auch eine gute Nachricht: Trotz
ihrer Krisen genießen die Kirchen auch bei Nicht-Mitgliedern nach wie vor
großes Ansehen für die gesellschaftliche Rolle, die sie übernehmen.
Prognose:
Mitgliederzahlen werden sich schneller halbieren
Sowohl
in der katholischen als auch in der evangelischen Kirche knacken die
Austrittszahlen jedes Jahr neue Rekorde. 2023 waren erstmals weniger als 50
Prozent der Menschen in Deutschland Mitglied der beiden christlichen Kirchen.
Zwei Drittel der evangelischen Kirchenmitglieder und drei Viertel der
katholischen Kirchenmitglieder schließen einen Kirchenaustritt als Option nicht
aus. Das ist eine deutliche Zuspitzung im Vergleich zu früheren Befunden.
Und
dieser Trend wird sich wohl noch verstärken: Zwischen 2023 und 2025
beispielsweise werden wohl fast eine Million evangelischer Kirchenmitglieder
aus der Kirche austreten. Nicht nur die Austritte lassen die Mitgliederzahlen
sinken, auch der demographische Wandel und die sinkende Taufquote tragen dazu
bei.
In
der Freiburger Studie aus dem Jahr 2021 war noch prognostiziert worden, dass
sich die Mitgliederzahlen der Kirchen bis 2060 halbieren. Die Ergebnisse der
aktuellen Untersuchung deuten aber darauf hin, dass es weitaus schneller geht,
und zwar schon zehn bis 20 Jahre früher. "Wenn Religion aus dem Leben von
Einzelnen verschwinden kann, dann kann sie sogar aus Gesellschaften
verschwinden", befürchten die Kirchen.
Katholiken
vertrauen evangelischer Kirche mehr als der eigenen
Deutliche
Unterschiede gibt es zwischen Katholiken und Protestanten, warum sie aus der
Kirche austreten. Protestanten treten vor allem dann aus, wenn ihnen "das
Thema Religion und Kirche in einem längeren biografischen Prozess gleichgültig
geworden ist". Bei den Katholiken ist es anders: Dort treten viele nicht
aus Gleichgültigkeit aus, sondern aus Zorn und Wut über die eigene Kirche. Der
Vertrauensschwund der Kirchen ist demnach auf viele verschiedene Probleme
zurückzuführen und nicht auf "einzelne Skandale".
Für
Führungspersonen in der katholischen Kirche dürfte eine Erkenntnis aus der
Studie besonders bitter sein: "Katholische vertrauen der evangelischen
Kirche mehr als ihrer eigenen Kirche." Evangelische und katholische
Kirchen sehen sich laut der Studie gerade an einem "Kipppunkt", der in
den nächsten Jahren zu "erheblichen Instabilitäten" führen werde.
Viele Landeskirchen und Diözesen befinden sich ohnehin schon auf Sparkurs, um
sich finanziell zu konsolidieren.
Fast
90 Prozent der Gläubigen gehen nicht mehr regelmäßig in den normalen Sonntagsgottesdienst,
sondern besuchen die Kirche nur noch zu besonderen Anlässen wie Taufe,
Konfirmation, Erstkommunion, Beerdigung und dem Weihnachtsgottesdienst. Von
Generation zu Generation beobachte man eine nachlassende Religiosität.
Überraschend ist dabei die hohe Anzahl an Katholiken, die immer noch täglich
beten: 13,8 Prozent. Von den Protestanten beten nur 2,1 Prozent jeden Tag.
Kirchen
müssten sich "deutlicher" zur eigenen Schuld bekennen
Auf
die Frage, was die Kirchen tun können, um die Mitglieder zum Bleiben zu
animieren, sagen 77 Prozent, dass sich die Kirche "deutlicher" zur
eigenen "Schuld" bekennen müsste. 66 Prozent würden bleiben,
"wenn sich die Kirche radikal reformiert". 45 Prozent sagen aber
auch: "Die Kirche kann tun, was sie will, irgendwann trete ich ohnehin
aus."
In
der evangelischen Kirche zeigt sich, dass die "religiöse Sozialisation und
die längerfristige kirchliche Bindung" in der Konfirmationszeit
stattfindet. Deshalb gebe es aktuell "verstärkte Bemühungen um die
Konfirmandenarbeit und ihre Verknüpfung mit der kirchlichen Jugendarbeit",
um "anschließende Formen der Vernetzung und Gemeinschaftsbildung
aufzubauen und zu stärken". Die Teilnahmequoten an Konfirmation,
Religionsunterricht, kirchlichen Kindergärten und kirchlichen Jugendgruppen
seien stabil, heißt es in der Studie.
Gläubige
wünschen sich mehr gesellschaftlich-politisches Engagement
Menschen,
die nach wie vor in der Kirche bleiben wollen, halten vor allem soziale Motive:
"Ich bin in der Kirche, weil sie etwas für Arme, Kranke und Bedürftige
tut." Sowohl Protestanten als auch Katholiken wäre es wichtig, dass das
Führungspersonal durch die Kirchenmitglieder demokratisch gewählt wird. 43
Prozent wünschen sich von ihrer Kirche sogar noch mehr gesellschaftlich-politisches
Engagement, was sie dann auch zum Bleiben bewegen würde. Dazu passt auch, dass
sich zwei Drittel der katholischen und evangelischen Kirchenmitglieder nicht
wünschen, dass sich ihre Kirche mehr mit religiösen Fragen beschäftigt.
Gerade
die Rolle der Kirchen als gesellschaftliche Akteure genießt nach wie vor ein
"respektables Ansehen". Sogar Menschen, die mit Religion wenig
anfangen können, schreiben den Kirchen eine "wichtige soziale
Aufgabe" zu. Die Zahlen belegen außerdem, dass sich Katholiken (49
Prozent) und Protestanten (46 Prozent) stärker ehrenamtlich engagieren als
Konfessionslose (32 Prozent). Etwas Positives abgewinnen können die
Studienschreiber auch den andauernden Reformdiskussionen in den beiden Kirchen.
Solche Erwartungen bedeuteten auch: "Es gibt in dieser Hinsicht keine
Gleichgültigkeit. Das ist ein Pfund, mit dem Kirchen wuchern können und
müssen." Br.de 17
Zuppi: Nicht untätig bleiben
angesichts des Krieges
Mit
einem Appell, sich „von den gefährlichen Polarisierungen zu befreien, die Konflikte
nähren, und stattdessen den Frieden mit Überzeugung, Intelligenz und Kraft zu
wählen“, wandte sich der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz (CEI),
Kardinal Matteo Maria Zuppi, am Mittwochabend bei einer Messe in der
Unterkirche der Basilika San Francesco in Assisi an die italienischen Bischöfe.
Sie sind derzeit in dem umbrischen Dörfchen zur Außerordentlichen
Generalversammlung versammelt. Mario Galgano
Vatikanstadt.
„Eine schreckliche Lepra, die die Körper der Menschen und Völker verzehrt und
sie ihre Seelen verlieren lässt, so dass sie nicht mehr fähig sind zu lieben,
gezeichnet von Hass, von den Wunden der Gewalt.“ Das sei es, „was Krieg ist“,
so der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz (CEI) und Erzbischof von
Bologna, Kardinal Matteo Maria Zuppi, in seiner Predigt während der Messe für
den Frieden, die in der Unterkirche der Basilika San Francesco in Assisi mit
den italienischen Bischöfen gefeiert wurde.
Der
Kardinal rief dazu auf, sich „von den gefährlichen Polarisierungen zu befreien,
die den Konflikt nähren, und mit Überzeugung, Intelligenz und Kraft die einzige
Seite zu wählen, die die des Friedens ist“.
Die
Seite des Friedens wählen
Mit
Blick auf die Konflikte, die Millionen von Menschen im Heiligen Land, in der
Ukraine und in anderen Teilen der Welt betreffen, forderte der Vorsitzende der
italienischen Bischofskonferenz die Menschen auf, sich den Schrei der Mütter zu
eigen zu machen, die im Nahen Osten, in der Ukraine und in anderen
Kriegsgebieten um ihre Kinder trauern. „Unser Friede ist uns nicht gegeben, um
für uns selbst zu leben, sondern um mit dem Glauben zu arbeiten, der Speere in
Sicheln verwandelt und Wolf und Lamm zusammenleben lässt“, fügte er hinzu.
Seit
April 2023 ist Kardinal Zuppi Sonderbeauftragter des Papstes zur Beilegung des
russisch-ukrainischen Kriegs. In dieser Funktion hat er unter anderem Russland,
die Ukraine, Deutschland, Polen und Frankreich sowie China bereist. Zuppi war
als Friedensbeauftragter des Papstes bereits in Kyiv, Moskau und Washington. (vn
16)
Vatikan: Programm für nachhaltige
Mobilität gestartet
Das
Governatorat hat den Start einer Reihe von Energiesparinitiativen und
Strategien zum Schutz der Umwelt angekündigt, die im Einklang mit den Schreiben
„Laudato si'“ und „Laudate Deum“ stehen. Zu den Zielen gehören ein
verantwortungsvoller Umgang mit den Ressourcen, Projekte zur Energieeffizienz,
Wiederaufforstung und Abfallentsorgung. Der Plan sieht auch Veränderungen im
Fuhrpark des Kleinstaates vor, um die CO2-Emissionen dank einer Partnerschaft
mit der Volkswagen-Gruppe zu reduzieren. Mario Galgano - Staat Vatikanstadt
Der
Staat Vatikanstadt engagiert sich seit vielen Jahren für die Förderung einer
nachhaltigen Entwicklung durch ökologische Maßnahmen zum Schutz der Umwelt und
für energiesparende Strategien. Wie das vatikanische Governatorat – also die Regierung
des Kleinstaates – jetzt mitteilte, soll die Anwendung die Grundsätze der
Enzyklika „Laudato si'“ und des Apostolischen Schreibens „Laudate Deum“ dafür
sorgen, dass der Vatikan zu den ersten Staaten der Welt gehören soll, die die
Nachhaltigkeitsprojekte tatsächlich umsetzen.
Dafür
will der Vatikan nach innovativen Lösungen suchen, die dazu beitragen sollen,
die Arbeitsweise auf Nachhaltigkeit zu ändern und gleichzeitig für den Schutz
des „Gemeinsamen Hauses“ zu sorgen, indem im Kleinstaat Projekte gefördert
werden, die, „auch durch den Einsatz zuverlässiger und umweltfreundlicher
Technologien“, die Auswirkungen menschlicher Aktivitäten auf die Umwelt konkret
verringern. Die Ratifizierung des Rahmenübereinkommens der Vereinten Nationen
über Klimaänderungen und das Pariser Abkommen bilden die Brücke zwischen der
Umweltpolitik und den Hinweisen und Empfehlungen des Papstes, teilte das
Governatorat mit.
Das
Governorat sei bestrebt, durch den verantwortungsvollen Umgang mit natürlichen
Ressourcen, die Umsetzung von Energieeffizienzprojekten und die Modernisierung
unserer technischen Anlagen, nachhaltige Mobilität, Diversifizierung und
Beschaffung sauberer oder alternativer Energieprodukte für den Verkehr,
Abfallentsorgung und die Entwicklung konkreter zukünftiger Aufforstungsprojekte
Klimaneutralität zu erreichen, hieß es weiter.
Elektrofahrzeuge
im Fuhrpark des Vatikans
Um
die CO2-Neutralität zu erreichen, seien Investitionen in technologische Anlagen
erforderlich, die erneuerbare Energien nutzen, die Emissionen in einem Bereich
ausgleichen und in einem anderen reduzieren, aber vor allem die Elektro- und
Hybridmobilität fördern würden. Aus diesem Grund habe die Vatikan-Regierung ein
Programm zur Entwicklung einer nachhaltigen Mobilität mit der Bezeichnung „Ökologischer
Umbau 2030“ ins Leben gerufen, mit dem auch die CO2-Belastung des Fuhrparks
reduziert werden soll. Zu diesem Zweck beabsichtigt sie, die Fahrzeuge des
Staates schrittweise durch Elektrofahrzeuge zu ersetzen, um ihren Fuhrpark bis
2030 CO2-neutral zu machen, ein eigenes Aufladenetz auf dem vatikanischen
Staatsgebiet und in den extraterritorialen Gebieten einzurichten und dessen
Nutzung auf ihre Mitarbeiter auszudehnen sowie sicherzustellen, dass ihr
Energiebedarf ausschließlich aus erneuerbaren Energiequellen stammt.
Ein
strategischer Partner für nachhaltige Mobilität
Der
Volkswagen-Konzern, der sich zum Ziel gesetzt hat, bis 2050 ein klimaneutrales
Unternehmen zu werden und den sogenannten CO2-Fußabdruck seiner Fahrzeuge bis
2030 um 30 Prozent zu reduzieren, ist der erste strategische Partner für das
Projekt zur Erneuerung des vatikanischen Fuhrparks mit Fahrzeugen der Marken
Volkswagen und Škoda durch die mittel- und langfristige Mietformel. In diesen
Tagen wird im Rahmen des Programms zur Entwicklung einer nachhaltigen Mobilität
ein Partnerschaftsabkommen mit dem Volkswagen-Konzern unterzeichnet. Dies ist
einer der Schritte, die das Governatorat unternommen hat, um die Auswirkungen
menschlicher Aktivitäten auf die Umwelt konkret zu verringern. (vn 16)
Kohlgraf: Deutsche Kirchenstudie
zeigt ungeschminkt Probleme
Für
den Mainzer katholischen Bischof Peter Kohlgraf zeigt die neue Studie zur
Kirchenmitgliedschaft in Deutschland ein „ungeschminktes und sehr
facettenreiches Bild der aktuellen Lage von Religion und Kirche in
Deutschland“. Dadurch werde auch eine ehrliche Bestandsaufnahme der großen
Probleme möglich.
Die
Bischöfe wollten auf Basis der ernüchternden Ergebnisse zu Debatten über
Konsequenzen einladen, erklärte der Vorsitzende der Pastoralkommission der
Bischofskonferenz am Dienstag bei einer Online-Pressekonferenz.
Aus
seiner Sicht dürfe sich Kirche nicht als „heiliger Rest“ verstehen, „der sich
schmollend zurückzieht und abschottet“, so der Bischof. Auch eine massiv
schrumpfende Kirche müsse ein wichtiger Faktor in gesellschaftlicher wie
religiöser Hinsicht bleiben. In einer Zeit, in der sich für immer mehr Menschen
die Gottesfrage gar nicht mehr stelle, müsse die Kirche ihre Rolle neu
bestimmen: „Die Diskussion darüber, was Kern der Kirche und ihres Auftrags ist
- und was vielleicht wegfallen kann oder muss -, muss ernsthaft geführt und
weiter vertieft werden.“
„Die
Diskussion darüber, was Kern der Kirche und ihres Auftrags ist - und was
vielleicht wegfallen kann oder muss -, muss ernsthaft geführt und weiter
vertieft werden“
Neben
der Familie hätten laut der Studie Angebote wie Erstkommunion- und
Firmvorbereitung sowie Jugendverbände und Ministrantenarbeit einen nachweisbar
positiven Einfluss auf die spätere Einstellung zu Religion und Kirche, so
Kohlgraf weiter: „Kirchliche Angebote sind also nicht wirkungslos. Wer an
kirchlichen Angeboten teilnimmt, erlebt diese meistens als positiv und
wirksam.“
Zudem
habe Kirche bei der Kindererziehung und in Krisen und schwierigen
Lebenssituationen eine hohe Relevanz für das Leben aller Befragten. Außerdem
gebe es große Erwartungen an die Kirche und keine Gleichgültigkeit: „Die
Reformerwartungen, auch hinsichtlich der Themen des Synodalen Weges, werden mit
übergroßer Mehrheit geäußert. Reformbemühungen können sich durch die Daten
gestärkt wissen.“
Umgang
mit Schuld noch lückenhaft
Dabei
erinnerte Kohlgraf auch an den Missbrauchsskandal als Ausgangspunkt des
Synodalen Weges: Wenn 82 Prozent derjenigen, die einen Austritt erwägten,
sagten, sie würden nicht austreten, wenn Kirche deutlicher ihre Schuld bekennen
würde, habe die Kirche ihr Versagen offensichtlich nicht ehrlich genug bekannt:
„Wir haben noch keinen glaubwürdigen Weg gefunden, mit unserer Schuld, aber
auch der Heilung und Versöhnung (persönlichen wie institutionellen) umzugehen.“
Die
Kirchen hätten immer noch eine hohe zivilgesellschaftliche Bedeutung, fügte der
Bischof hinzu: „Sie verbürgen ein überdurchschnittliches Maß an ehrenamtlichem
Engagement. Sie haben eine höhere Reichweite in die Gesellschaft als von
Experten prognostiziert; es bestehen nach wie vor zahlreiche Kontakte der
Bevölkerung zu kirchlichen Einrichtungen und kirchlichem Personal, die als
hilfreich für das eigene Leben angesehen werden.“
(kap/kna
15)
Vatikan: Katholiken dürfen auch
künftig nicht den Freimaurern beitreten
Die
vom Papst gebilligte Antwort des Dikasteriums für die Glaubenslehre geht auf
die Anfrage eines philippinischen Bischofs ein: Die Unvereinbarkeit zwischen
dem Beitritt zu Logen und dem katholischen Glauben wird bekräftigt.
Katholiken
ist es weiterhin verboten, den Freimaurern beizutreten. Das wird in
einer von Kardinal Victor Fernandéz unterzeichneten und von Papst
Franziskus genehmigten Antwort des Dikasteriums für die Glaubenslehre vom
13. November 2023 bekräftigt. Fernandéz ist Präfekt der Glaubensbehörde.
Das
Dikasterium reagiert damit auf eine Anfrage von Julito Cortes, Bischof von
Dumanguete auf den Philippinen. Cortes habe „mit Besorgnis die Situation in
seiner Diözese geschildert, die durch den ständigen Anstieg der Zahl der
Freimaurer entstanden ist, und um Vorschläge gebeten, wie man mit dieser
Realität aus pastoraler Sicht angemessen umgehen und dabei auch die
Auswirkungen auf die Lehre berücksichtigen kann“: Mit diesen Worten schildert
die Antwort aus dem Vatikan die Situation, in der die Frage aufgekommen ist.
Für
eine koordinierte Strategie
Das
Dikasterium beschloss, auch die philippinische Bischofskonferenz einzubeziehen.
Ihr sei mitgeteilt worden, „dass es notwendig sei, eine koordinierte Strategie
unter den einzelnen Bischöfen umzusetzen, die zwei Ansätze umfasst“, heißt es
weiter.
Die
älteste Ton-Aufnahme eines Papstes überhaupt: Leo XIII. verurteilt 1884 die
Freimaurerei
Der
erste betrifft die lehrmäßige Ebene: Das Dikasterium bekräftigt, dass „die
aktive Mitgliedschaft eines Gläubigen in der Freimaurerei wegen der
Unvereinbarkeit zwischen der katholischen Lehre und der Freimaurerei verboten
ist (vgl. die Erklärung der Glaubenskongregation von 1983)“. Dabei verweist die
Behörde auch ausdrücklich auf die Leitlinien zu dem Thema, die von der
philippinischen Bischofskonferenz im Jahr 2003 veröffentlicht wurden - neben
zahlreichen anderen Erklärungen über die Jahre.
„Das
gilt auch für Kleriker“
Weiter
stellt der Vermerk klar, dass „diejenigen, die formell und bewusst Mitglieder
von Freimaurerlogen sind und sich die freimaurerischen Grundsätze zu eigen
gemacht haben, unter die Bestimmungen der oben genannten Erklärung fallen.
Diese Maßnahmen gelten auch für alle in der Freimaurerei eingeschriebenen
Kleriker“.
Der
Vatikan verbietet Katholiken die Mitgliedschaft bei den Freimaurern - ein
Bericht von Radio Vatikan
Der
zweite Ansatz betrifft den Pastoralplan: Das Dikasterium schlägt den
philippinischen Bischöfen vor, „in allen Pfarreien eine Volkskatechese über die
Gründe für die Unvereinbarkeit zwischen dem katholischen Glauben und der
Freimaurerei durchzuführen“. Die Bischöfe der Philippinen werden schließlich
aufgefordert, zu prüfen, ob sie sich öffentlich zu diesem Thema äußern sollten.
Die
Erklärung von 1983
Die
Erklärung vom November 1983 wurde am Vorabend des Inkrafttretens des neuen
Kodex‘ des Kirchenrechts veröffentlicht. Der Kodex ersetzte den von 1917, und
zu den Neuerungen, die von einigen mit Genugtuung, von anderen mit Besorgnis
zur Kenntnis genommen wurden, gehörte das Fehlen der ausdrücklichen
Verurteilung der Freimaurerei und der Exkommunikation ihrer Mitglieder, die im
alten Text enthalten war. Die Erklärung, die vom damaligen Kardinal Joseph
Ratzinger und dem Sekretär der Kongregation, Jérôme Hamer, unterzeichnet und
von Johannes Paul II. gebilligt wurde, bekräftigt, dass Katholiken, die
Freimaurerlogen angehören, sich „in einem Zustand schwerer Sünde“ befinden. Vn
15