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Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso 21 giugno – 15 settembre 2024
La gioia del Vangelo e le sfide da affrontare
Sono trascorsi dieci anni dal primo documento di papa
Francesco, Evangelii gaudium. L’esortazione apostolica, che in verità si
presenta innovativa anche nel genere letterario e nello stile, ha il suo primo
guadagno teologico-pastorale nel ricentrare l’identità e la missione della
Chiesa sull’essenziale, che è l’annuncio del Vangelo.
Il messaggio è chiaro sin dal suo incipit:
«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera
di coloro che si incontrano con Gesù… In questa esortazione desidero indirizzarmi
ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata
da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni»
(EG 1).
Siamo allora invitati a chiederci se davvero, nella
Chiesa italiana, è stata innescata quella trasformazione necessaria per
rimettere il Vangelo al centro, ritrovare la gioia della fede e affrontare le
sfide presenti e future del cristianesimo.
Un inizio di conversione pastorale
Evangelii gaudium ha il merito di accendere i riflettori
su una necessaria conversione pastorale della Chiesa, in chiave
evangelizzatrice e missionaria. Sin dal primo capitolo, il papa ci esorta al
cambiamento della mentalità pastorale, perché la Chiesa diventi «in uscita»
(cf. EG 20).
Si tratta di passare da una semplice pastorale della
conservazione a una pastorale missionaria che non deve essere ossessionata
dalla trasmissione disarticolata di dottrine, ma concentrarsi «sull’essenziale,
su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario»
(EG 35). E ciò richiede di abbandonare i criteri pastorali che mirano solo a
conservare l’esistenza, per «ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e
i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (EG 33).
In diverse diocesi e territori italiani si incontrano
piccole e grandi comunità che da Evangelii gaudium sono state messe in moto e
si intravedono alcuni segnali incoraggianti: una rinnovata vivacità del Popolo
di Dio, il desiderio di approfondire la fede oltre le sue forme convenzionali e
devozionali, qualche coraggioso tentativo di innovazione nei linguaggi e nelle
prassi pastorali; allo stesso tempo, però, sembra che l’ampio respiro in cui il
documento voglia far entrare la Chiesa intera sia rallentato da una certa
timidezza nella sua ricezione e da un certo affanno nell’individuare percorsi e
strumenti utili al cambiamento.
Potremmo dire che c’è un inizio di conversione pastorale,
ma permangono alcune questioni su cui sarebbe utile riflettere proprio alla
luce della novità che emerge da Evangelii gaudium.
Sguardo
Una prima questione è la lettura parziale della realtà,
che talvolta impedisce all’esortazione di papa Francesco di innescare
trasformazioni reali. Si tratta di una lettura del contesto socio-culturale
che, di fatto, afferma l’esistenza di un substrato tutto sommato cattolico e
cristiano, tanto da non rendersi necessario nessun cambiamento davvero
radicale.
Il passaggio che forse Evangelii gaudium ci chiede di
fare è proprio questo: convincerci della necessità di un’evangelizzazione
essenziale partendo dalla consapevolezza che il tempo della cristianità è
finito ed è tramontato l’humus cristiano delle famiglie e della società che, in
passato, garantiva una certa trasmissione della fede.
Ciò metterebbe in moto soprattutto i pastori e gli
operatori pastorali nella direzione di un rinnovamento del «modello
parrocchia», che invece generalmente procede con la sua pastorale classica e
tradizionale, trovandosi con scarse energie e poco spazio per l’annuncio del
Vangelo a chi è lontano o ha bisogno di riscoprire in modo nuovo la fede.
Presenza
In questa prospettiva, la seconda questione riguarda la
crisi della trasmissione della fede, che invoca un nuovo modello di comunità
non più centrata sul ministero del prete, ma capace di un effettivo coinvolgimento
responsabile del laicato, cosicché il rinnovamento pastorale possa generare
nuovi spazi di annuncio del Vangelo e proposte innovative per coloro che sono
lontani e indifferenti alla fede.
Papa Francesco scrive, tra le altre cose, «sogno una scelta
missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili,
gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale
adeguato perl’evangelizzazione del mondo attuale, più che per
l’autopreservazione» (EG 27).
Questo sogno, tuttavia, invoca una nuova modalità di
presenza ecclesiale sul territorio e, soprattutto, una nuova centralità della
Parola di Dio e un’evangelizzazione capace di favorire un incontro vivo con
Gesù.
Linguaggi
Nondimeno, un tale cambiamento invoca – terza questione –
un rinnovamento dei linguaggi della spiritualità e della pastorale, che non
riguarda banalmente le sole tecniche di comunicazione, ma tutto ciò che
riguarda stili, le posture, i gesti, le parole dell’annuncio, il quale, a
volte, può risultare moralistico, noioso, opprimente, imprigionato nella
tentazione di ridurre la potenza liberante del Vangelo a una serie di norme da
osservare o a forme di pietà sentimentaliste e devozionali.
Dunque, quale Parola annuncia davvero il Vangelo? Quale parola
riesce davvero a comunicare la bellezza della buona notizia, il cui centro è
«il Dio che ha manifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto» (EG
11)?
Il Dio che Gesù ci ha rivelato è – come ha scritto
splendidamente Bonhoeffer – Colui che
«dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice
“salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”… Dove nella nostra
vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a
noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso
vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita,
proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere
nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo
il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia»[1].
Questo è il Dio che viene annunciato e predicato nelle
nostre Chiese e il cui Volto benedetto e benedicente emerge dalle nostre prassi
pastorali? Non bisogna forse ammettere che
«forse è giunto il tempo di abbandonare molte di quelle
parole pie che abbiamo continuamente sulle nostre bocche e sui nostri
stendardi. Queste parole, a causa di un uso continuo, spesso troppo
superficiale, sono consumate, usurate, hanno perso il loro significato e il
loro peso, si sono svuotate, diventando leggere e facili. Altre, invece, sono
sovraccariche, rigide e arrugginite; sono diventate troppo pesanti per riuscire
a esprimere il messaggio del Vangelo, la buona novella»[2].
Conclusione
Si tratta di questioni, sfide e domande aperte, che
certamente non intendono oscurare quanto di buono e di bello, sulla scorta di
Evangelii gaudium, in questi anni è nato anche in Italia.
Esse vogliono però incalzarci, secondo le stesse parole
che papa Francesco ha rivolto ai suoi confratelli gesuiti il 24 ottobre del
2016:
«Credo che l’Evangelii gaudium vada approfondita, che ci
si debba lavorare nei gruppi di laici, di sacerdoti, nei seminari, perché è
l’aria evangelizzatrice che oggi la Chiesa vuole avere. Su questo bisogna
andare avanti… Vi raccomando l’Evangelii gaudium, che è una cornice…
L’Evangelii gaudium è la cornice apostolica della Chiesa di oggi».
Per la Chiesa italiana, allora, è ancora tempo di
riflettere, di approfondire e, seguendo l’impulso dello Spirito, di
cambiare. Francesco Cosentino
[1] D. Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della
vita, Queriniana, Brescia 2004, 12s.
[2] T. Halík, Pazienza con Dio, Vita e Pensiero,
Milano 2020, 23.
Vita pastorale 6/2024. Sett.News 20
Card. Zuppi (Cei): “Il nuovo Parlamento europeo riconosca il diritto
d’asilo”
“Mi auguro che il nuovo Parlamento europeo riconosca
davvero il diritto d’asilo”. A esprimere l’auspicio è stato il card. Matteo
Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, intervenendo all’evento
“La forza dell’esclusione”, organizzato dall’Unhcr, presso la sede romana della
Luiss, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. “Ogni volta che si
mette in discussione un diritto è un pericolo per tutti”, il monitoraggio del cardinale:
“Se non siamo capaci di accogliere la fragilità, diventiamo stranieri in casa
nostra”. “Combattere l’illegalità con la legalità”, la proposta del presidente
della Cei, che ha citato anche la campagna della Chiesa italiana “Liberi di
partire, liberi di restare”. “Il che significa – ha proseguito – fare sistema,
chiarezza nelle regole e nella loro applicazione, consapevolezza che
l’umanitario non è una concessione ma un diritto”.
“Il nostro è un mondo dove i rifugiati non sono i
benvenuti”. Zuppi ha fatto riferimento a quel “grande cimitero che è diventato
il Mar Mediterraneo, diventato da ‘mare nostro’ a ‘mare morto’, di cui sembra
che nessuno si prenda cura”. I rifugiati, ha fatto notare il cardinale,
“vengono spesso dipinti come nemici: non darò mai il benvenuto a una persona di
cui ho paura, lo guarderò sempre con diffidenza”. In questo modo, l’analisi di
Zuppi, “sembra che il rifugiato perda di umanità, divenendo vittima del
pregiudizio e di caricature”. Tra le buone pratiche da incrementare, il presidente
della Cei ha citato “i corridoi umanitari, i corridoi lavorativi e i corridoi
universitari”. “Ne abbiano un estremo bisogno”, ha commentato: “Vengo da una
Regione dove il 30 per cento dei prodotti agricoli non viene raccolto per
mancanza di manodopera. Un mondo dove i rifugiati sono i benvenuti è un mondo
più bello per tutti: cominciamo da noi”. M. Michela Nicolais, sir 19
Papa Francesco: “Preghiamo tutti i giorni per la pace”
Papa Francesco ha concluso l'udienza di oggi, dedicata ai
Salmi, con un ennesimo appello per la pace. Nella Giornata mondiale del
Rifugiato, l'invito "ad accogliere, promuovere, accompagnare e integrare
quanti bussano alle nostre porte". Infine, l'esortazione a pregare per il
"caro popolo cinese" - M. Michela Nicolais
“Continuiamo a pregare per la pace. La guerra sempre è
una sconfitta sin dall’inizio. Preghiamo per la pace nella martoriata Ucraina,
in Terra Santa, in Sudan, Myanmar e dovunque si soffre per la guerra. Preghiamo
tutti i giorni per la pace”. È appello di Papa Francesco al termine
dell’udienza di oggi in piazza San Pietro, durante i saluti ai fedeli di lingua
italiana. Poi il riferimento alla Giornata mondiale del rifugiato, che si
celebra oggi: “Siamo tutti chiamati ad accogliere, promuovere, accompagnare e
integrare quanti bussano alle nostre porte. Gli Stati si adoperino per
assicurare condizioni umane e facilitare progetti di integrazione”. Infine
l’invito a pregare per il “caro popolo cinese, questo popolo nobile e così
coraggioso, che ha una cultura così bella”.
“Io sulla mia scrivania ho un’edizione in ucraino del
Nuovo Testamento e dei Salmi, da un soldato morto in guerra, che mi è stato
inviato. E lui pregava, nel fronte, con questo libro”, ha rivelato a braccio il
Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, dedicata ai salmi, “una grande
sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo”.
“Tutti i Libri della Bibbia sono ispirati dallo Spirito
Santo, ma il Libro dei Salmi lo è anche nel senso che è pieno di afflato
poetico”, ha spiegato Francesco: “I salmi hanno avuto un posto privilegiato nel
Nuovo Testamento. Infatti, vi sono state e vi sono ancora edizioni che
contengono insieme il Nuovo Testamento e i Salmi”. “Non tutti i salmi – e non
tutto di ogni salmo – può essere ripetuto e fatto proprio dai cristiani e ancor
meno dall’uomo moderno”, ha precisato il Papa, poiché “riflettono, a volte, una
situazione storica e una mentalità religiosa che non sono più le nostre”, ma
“questo non significa che non sono ispirati. Ciò che più raccomanda i salmi
alla nostra accoglienza è che essi sono stati la preghiera di Gesù, di Maria,
degli apostoli e di tutte le generazioni cristiane che ci hanno preceduto”.
“Io mi domando: voi pregate con i Salmi, qualche volta?
Prendete la Bibbia, il Nuovo Testamento, e pregate un
salmo? Per esempio, quando siete tristi per aver peccato pregate il Salmo 50?”,
ha chiesto a braccio il Papa alla folla di pellegrini riunita in piazza San
Pietro: “Ci sono tanti salmi che ci aiutano ad andare avanti”, ha assicurato
ancora fuori testo: “Prendete l’abitudine di pregare con i salmi. Io vi
assicuro che sarete felici!”. “Non possiamo solo vivere dell’eredità del
passato: è necessario fare dei salmi la nostra preghiera”, il monito: “È stato
scritto che, in un certo senso, dobbiamo diventare noi stessi autori dei salmi,
facendoli nostri e pregando con essi . Se ci sono dei salmi, o solo dei
versetti, che ci parlano al cuore, è bello ripeterseli e pregarli durante il
giorno.
I salmi sono preghiere per tutte le stagioni: non c’è
stato d’animo o bisogno che non trovi in essi le parole migliori per
trasformarli in preghiera”. Secondo Francesco, infatti, “i salmi ci aiutano ad
aprirci a una preghiera meno centrata su noi stessi: una preghiera di lode, di
benedizione, di ringraziamento; e ci aiutano anche a farci voce di tutto il
creato, coinvolgendolo nella nostra lode”.
I salmi, in sintesi, “ci permettono di non impoverire la
nostra preghiera riducendola solo a richieste, a un continuo ‘dammi, dacci..’”.
“Impariamo dal Padre nostro, che prima di chiedere il pane quotidiano dice:
‘Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà’””,
l’invito: “Lo Spirito Santo, che ha regalato alla Chiesa Sposa le parole per
pregare il suo Sposo divino, ci aiuti a farle risuonare nella Chiesa di oggi, e
a fare di questo anno preparatorio al Giubileo una vera sinfonia di preghiera”.
Sir 19
L'importanza di pregare con i Salmi
Città del Vaticano. Il Papa continua il nuovo ciclo di
catechesi “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio
incontro a Gesù nostra speranza”, incentrando la sua riflessione sul tema
"Lo Spirito insegna alla Sposa a pregare. I Salmi, sinfonia di preghiera
nella Bibbia". "Con la catechesi di oggi vorrei ricordare che la
Chiesa possiede già una sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito
Santo, ed è il Libro del Salmi", commenta il Papa in Piazza San Pietro.
"Come in ogni sinfonia vi sono in esso vari
“movimenti”, cioè vari generi di preghiera: lode, ringraziamento, supplica,
lamento, narrazione, riflessione sapienziale, e altri, sia nella forma
personale sia in quella corale di tutto il popolo", spiega subito il
Pontefice.
"I salmi hanno avuto un posto privilegiato nel Nuovo
Testamento. Io ho un’edizione in ucraino di un soldato morto in guerra, lui
pregava al fronte con questo libro", spiega Francesco. "Ciò che più
raccomanda i salmi alla nostra accoglienza è che essi sono stati la preghiera
di Gesù, di Maria, degli Apostoli e di tutte le generazioni cristiane che ci
hanno preceduto. All’uso dei salmi nel Nuovo Testamento fa seguito quello dei
Padri e di tutta la Chiesa, che ne fa un elemento fisso nella celebrazione
della Messa e nella Liturgia delle ore", aggiunge ancora Papa Francesco.
"Voi pregate con i Salmi? Per esempio quando siete
tristi per aver peccato? Ci sono tanti Salmi che ci aiutano ad andare avanti,
io vi assicuro che sareste felici", il consiglio del Papa.
"Ma non possiamo solo vivere dell’eredità del
passato: è necessario fare dei salmi la nostra preghiera", questa la
raccomandazione del Pontefice.
"Se ci sono dei salmi, o solo dei versetti, che ci
parlano al cuore, è bello ripeterseli e pregarli durante il giorno. I salmi
sono preghiere per tutte le stagioni. I salmi ci permettono di non impoverire
la nostra preghiera riducendola solo a richieste, a un continuo “dammi,
dacci...”. I salmi ci aiutano ad aprirci a una preghiera meno centrata su noi
stessi: una preghiera di lode, di benedizione, di ringraziamento; e ci aiutano
anche a farci voce di tutto il creato, coinvolgendolo nella nostra lode",
conclude il Pontefice.
Nell'Udienza generale di oggi, durante i saluti in lingua
italiana, il primo pensiero del Papa è per la Giornata Mondiale del Rifugiato
che si celebra domani. E come sempre un pensiero per la pace.
"Domani ricorre la Giornata Mondiale Rifugiato
promossa dalle Nazioni Unite, possa essere un'occasione per rivolgere uno
sguardo attento e fraterno a tutti coloro che sono costretti a fuggire dalle
loro case in cerca di pace e sicurezza, siamo tutti chiamati ad accogliere,
promuovere, accompagnare e integrare quanti bussano alle nostre porte, prego
affinchè gli Stati si adoperino a facilitare i processi di integrazione",
dice il Papa.
Poi il "saluto all’Associazione “Amici del Cardinale
Celso Costantini”, accompagnati dal Vescovo della Diocesi di
Concordia-Pordenone Giuseppe Pellegrini, in occasione dei 100 anni dal
Concilium Sinense di Shangai". "Preghiamo sempre per il popolo
cinese, popolo nobile e coraggioso che ha una cultura così bella, preghiamo per
il popolo cinese", commenta a braccio il Pontefice.
"E continuiamo a pregare per la pace, la guerra
sempre è una sconfitta dall'inizio, in Ucraina, in Terra Santa, in Sudan,
Myanmar e dovunque si soffre per la guerra. Preghiamo tutti i giorni per la
pace", continua ancora il Pontefice.
"Saluto cordialmente i polacchi. Ringraziando il
Signore per il nuovo beato, martire del comunismo, don Micha Rapacz, preghiamo
affinché la sua testimonianza diventi un segno di consolazione da parte di Dio,
in questi tempi segnati dalle guerre. Il suo esempio ci insegni ad essere
fedeli a Dio, a rispondere al male con il bene, a contribuire nell’edificazione
di un mondo fraterno e pacifico. Beato don Micha?, intercedi per la Polonia e
per ottenere la pace nel mondo!", questo invece il saluto del Papa in
lingua polacca. Veronica Giacometti, Aci
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Finanze Vaticane: meno dipendenti e meno clienti, ma più raccolta
La cosiddetta “banca vaticana” presenta il rapporto 2023.
Si contano meno dipendenti e meno clienti e un utile netto che sale a 30,6
milioni. Cresce il TIER 1, la componente primaria del patrimonio di una banca -
Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Più utili netti (30,6 milioni), una
donazione alla Santa Sede di poco più di 13 milioni di euro, 3,2 milioni di
euro destinati a opere di beneficenza. L’Istituto delle Opere di Religione, la
cosiddetta “banca vaticana”, continua la sua opera di assestamento, e presenta
un rapporto annuale che vuole mostrare come l’Istituto sia all’avanguardia sul
fronte della finanza cattolica e solido finanziariamente.
Nessuna presentazione, nessun annuncio per il rapporto
dell’Istituto delle Opere di Religione 2023. Sono passati dieci anni da quando
la cosiddetta “banca vaticana” lanciava il suo primo rapporto, con grande
enfasi e pubblicità, mentre oggi, dopo una fluttuazione degli utili al ribasso
(non si è più raggiunta la cifra record degli 86,6 milioni di utili del 2012) e
dopo tre processi che hanno coinvolto l’Istituto – con una condanna per mala
gestio di ex dirigenti apicali che è ora in appello e che ha sollevato alcuni
dubbi negli osservatori indipendenti, un sequestro a due altri dirigenti
apicali condannati per peculato e autoriciclaggio e anche la costituzione come
parte civile al processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di
Stato – la parola d’ordine sembra essere quella di essere meno visibili
possibili, continuare attività regolare, e cercare di dimostrare, come dice il
titolo del comunicato stampa pubblicato ma non inviato alle redazioni, che “lo
IOR è tra le istituzioni finanziarie più solide al mondo in termini di
patrimonializzazione e liquidità ed è un punto di riferimento per gli
investimenti coerenti con l’etica cattolica”.
Sulla questione degli investimenti coerenti con l’etica
cattolica ci sarebbe da fare un discorso a parte. Da una parte, sappiamo che il
presidente de Franssu ha detto che lo IOR non rispetta i parametri ESG proprio
per evitare di andare contro l’etica cattolica, dall’altra non si può dire che
gli investimenti dell’Istituto fossero contrari all’etica prima. Al di là dei
nuovi protocolli, dettati anche da varie esigenze internazionali e dagli
investimenti di responsabilità sociale, il periodo in cui lo IOR ha adottato
investimenti di tipo più aggressivo va fatto risalire al periodo 2013 – 2016,
mentre la regolamentazione per gli investimenti di tipo cattolico sono stati
definiti dal documento Mensuram Bonam pubblicato dalla Pontificia Accademia
delle Scienze Sociali. Ma ci sono diversi enti che si dicono cattolici e
dimostrano una sensibilità per investimenti consistenti con la dottrina (basti
pensare, ad esempio, all’Aquinas Project negli Stati Uniti).
Le cifre, tuttavia, possono aiutare. Il rapporto IOR 2023
parla di 107 dipendenti e 12.361 clienti, ma anche un aumento della raccolta
dai clienti: +4% a 5,4 miliardi di Euro. I clienti continuano a scendere (erano
12.759 nel 2022, addirittura 14.519 nel 2021), ma questa volta diminuiscono anche
i dipendenti: erano 117 nel 2022, sono 107 nel 2023. Continua dunque il trend
negativo della clientela, che deve far riflettere, se si considera che da tempo
è terminato lo screening dei conti considerati non compatibili con la missione
dello IOR.
Quest’anno gli utili netti si contano in 30,6 milioni di
euro, e di questi 13,6 milioni sono stati distribuiti per opere di religione e
di carità. 3,2 milioni di euro sono stati invece devoluti per diverse opere
benefiche.
I profitti rappresentano un sensibile miglioramento
rispetto ai 29,6 milioni di euro di utili del 2022. Tuttavia, una comparazione
di cifre è necessaria: si va, infatti, dall’utile di 86,6 milioni dichiarato
per il 2012 – che quadruplicava gli utili dell’anno precedente – ai 66,9
milioni del rapporto 2013, ai 69,3 milioni del rapporto 2014, ai 16,1 milioni
del rapporto 2015, ai 33 milioni del rapporto 2016 e ai 31,9 milioni del
rapporto 2017, per arrivare ai 17,5 milioni di euro del 2018.
Il rapporto 2019 invece quantificava gli utili in 38 milioni,
attribuiti anche al mercato favorevole. Nel 2020, anno della crisi del COVID,
l’utile era stato leggermente inferiore, di 36,4 milioni di euro. Ma nel primo
anno post-pandemia, un 2021 ancora non colpito dalla guerra in Ucraina, si
torna a un trend negativo, con un profitto di soli 18,1 milioni di euro, e solo
nel 2022 si tornava alla soglia dei 30 milioni, sebbene probabilmente con un
impatto dato dai 17,2 milioni sequestrati all’ex presidente Angelo Caloia e
Gabriele Liuzzo, che dovevano rispondere per peculato ed autoriciclaggio
commessi in relazione al processo di smobilizzazione dell’ingente patrimonio
immobiliare posseduto dall’Istituto e dalle sue società controllate, SGIR e LE
PALME. le cui condanne per erano diventate definitive nel luglio 2022.
Gli utili effettivi potrebbero essere molto inferiori,
come lo erano all’inizio del decennio, quando in alcune circostanze lo IOR
pescò 50 milioni da un suo fondo da donare al Papa.
Tra i risultati di quest’anno si contano anche un +23 per
cento di margine di interesse, un + 49 per cento di margine di intermediazione,
+ 31 per cento di margine commissionale.
Infine, un dato tecnico, ovvero il TIER 1, che è la
componente primaria del patrimonio di una banca: nel 2023 è stato pari al 60
per cento, un sostanziale aumento rispetto al 46,14 per cento del 2022, che già
marcava una crescita dal 38 per cento del 2021. Tuttavia, va notato che nel
2019 il TIER 1 era dell’82,40 per cento, e che dunque solo ora si rivede la
luce dopo che il patrimonio dello IOR si era praticamente dimezzato.
Va notato che per la prima volta il Cardinale Christoph
Schoenborn, arcivescovo di Vienna, firma la presentazione del rapporto come
presidente della Commissione Cardinalizia. Questa è composta anche dai
Cardinali Krajewski, Petrocchi, Tagle e Tscherrig. È uscito il Cardinale Santos
y Avril, che è stato presidente dalla prima nuova composizione della
commissione voluta da Papa Francesco e che aveva abbondantemente superato gli
80 anni.
Schoenborn, entrato nella commissione nel 2014, ne loda i
passi avanti dell’ultimo decennio e sottolinea che “il merito di questo
andamento di successo dello IOR si deve alla riforma iniziata già da papa
Benedetto XVI e portata poi avanti coerentemente da papa Francesco. la nostra
Commissione è grata in modo particolare al Consiglio di Sovrintendenza per la
sua competente attività, non solo per la rettifica sostenibile degli errori del
passato ma anche per la fermezza nell’applicazione pratica dei principi etici”.
Monsignor Giovanbattista Ricca, prelato dello IOR (la
figura di raccordo tra Consiglio di Sovrintendenza e Commissione Cardinalizia),
addirittura parla di “disastri trascorsi” dello IOR, citando la lettera a
Timoteo in cui si scrive che “l’attaccamento al denaro è la radice di tutti i
mali”. “Alcune volte – scrive Ricca - si sente dire che l’Istituto non sarebbe
del tutto a pareggio con il compito che ha e che molti riducono al far soldi.
Certo che si potrebbero far più soldi. ma questo sarebbe giusto?”
Jean-Baptiste de Franssu, presidente del Consiglio di
Sovrintendenza, nella sua lettera sulla gestione mette in luce i molti
riconoscimenti avuti dallo IOR per il suo lavoro di trasparenza nell’ultimo
decennio, e annuncia: “L’Istituto, sotto la supervisione dell’autorità di
Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF), è quindi pronto a svolgere il
proprio ruolo nel processo di centralizzazione di tutti gli assets Vaticani,
secondo le istruzioni del Santo padre e considerando gli ultimi sviluppi normativi.
Il team IOR è desideroso di collaborare con tutti i dicasteri Vaticani, con
l’amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (APSA) e di lavorare con
il Comitato per gli Investimenti per sviluppare ulteriormente i principi etici
FCI (Faith Consistent Investment) in accordo con la dottrina sociale della
Chiesa. È fondamentale che il Vaticano sia considerato un punto di
riferimento”.
Il direttore generale Gianfranco Mammì mette in luce che
la cosiddetta Gestione Caratteristica (cioè il margine di Intermediazione) è in
crescita rispetto al 2022 (+49%) grazie alle migliori performance delle
attività Finanziarie di proprietà (+75%) e dal maggiore contributo delle
Commissioni nette (+30%).
Mammì nota che le spese sono state di 22,9 milioni di
euro, con una sensibile crescita rispetto al 2022, mentre il patrimonio netto
ammonta a 667,6 milioni di euro, con un aumento del 15,4 per cento rispetto
all’anno precedente. Aci 19
Come annunciare il Kerygma? La risposta da 150 catechisti di Marche ed
Umbria
Il convegno di fine maggio sul tema ‘Celebrate il Signore
perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma - Di Simone
Baroncia
Perugia. Nello scorso maggio circa 150 catechisti
dell’Umbria e delle Marche hanno partecipato al convegno, che si è tenuto alla
Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli di Assisi, sul tema ‘Celebrate il
Signore perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma’, le
cui riflessioni saranno consegnate alla CEI che, dopo aver ricevuto tutte le
proposte delle altre regioni d’Italia, avvierà una nuova progettazione per la
catechesi a livello nazionale, come ha affermato mons. Domenico Sorrentino,
vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, delegato della
Conferenza Episcopale Umbra per la catechesi.
A don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio
Catechistico della diocesi di Perugia-Città della Pieve, coordinatore della
commissione per la catechesi della Conferenza episcopale umbra, abbiamo chiesto
in quale modo è possibile celebrare la bontà del Signore?
Per celebrazione non intendiamo soltanto il culto
liturgico sacramentale, che ha nella Eucarestia domenicale il suo punto di
‘fons’ e ‘culmen’, secondo la costituzione sulla sacra liturgia ‘Sacrosanctum
Concilium’; occorre anche riscoprire il culto nel suo significato paolino,
‘offrire i vostri corpi in sacrificio soave a Dio, questo è il vostro culto
spirituale’. Non ci dimentichiamo che i gesti liturgici sacramentali provengono
da parole, riti e materiali presi in prestito dalla vita quotidiana: il
mangiare, il bere, il lavarsi, lo stare a tavola, il riposo, la festa, il pane,
il vino, l’olio…
In quale modo essere Chiesa in un tempo che cambia
repentinamente?
“Oggi viviamo in un cambiamento d’epoca come ci ricorda
Papa Francesco. Il segno evidente di questo cambiamento è che siamo arrivati
all’apice di quel processo iniziato dopo il Medioevo, con il Rinascimento,
l’Umanesimo e soprattutto l’illuminismo, di separazione tra vita e fede. Questo
fenomeno, che ha generato il relativismo e la scristianizzazione, ha portato al
collasso quel tipo di società in cui siamo nati e cresciuti e che si
riconosceva nei valori cristiani; in poche parole non viviamo più in un regime
di società cristiana. Come scriveva lo scrittore francese Charles Peguy nella
sua opera ‘Veronique’: ‘Noi siamo la prima generazione di una società dopo
Gesù, senza Gesù’, l’affermazione finale fa tremare i polsi, perché dice ‘la
verità è che ci sono riusciti’.
Dentro questo panorama, la questione della ‘Comunità’
oggi è la questione per eccellenza, al punto tale che uno dei relatori (il
vescovo di Gubbio – Città di Castello, mons Luciano Paolucci Bedini), ha
affermato che: ‘Occorre non tanto puntellare quelle esistenti mettendo una
toppa qua e là, ma generane di nuove’. Infatti dice Gesù, che non si può
mettere una stoffa nuova su un vestito vecchio. Questo è il grande problema che
come Chiesa occidentale stiamo vivendo. Occorre partire da una domanda: Quale
modello di comunità oggi ci aiuta meglio a rendere sperimentabile il volto di Gesù?
Quindi comunità capaci di essere ‘generative’?
“Io credo fermamente che il volto di Chiesa verso la
quale stiamo andando, non per una convinta scelta pastorale ma per una realtà
che si sta imponendo, è quello profetizzato dall’allora card. Joseph Ratzinger
in un ciclo di trasmissioni radiofoniche in Germania nel lontano 1969, quando
affermava che il futuro della Chiesa sarà nell’essere un ‘piccolo gregge’.
Affermazione che poi da papa ha chiarito definendo questo piccolo gregge una
‘minoranza creativa’. Penso che come Chiesa italiana dovremmo approfondire
questa modalità di Chiesa del futuro. Infatti in varie parti d’Europa è già una
realtà, anche in quei paesi di antica tradizione cristiana. Interessante è
l’esperienza vissuta in questi anni in Olanda e contenuta in un libro
intervista al card. Willem Jacobus Eijk, ‘Dio vive in Olanda’”.
Come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social?
Non dimentichiamoci che il cuore del cristianesimo è Gesù
Cristo, il Figlio di Dio fattosi ‘carne’ in una località ben precisa della
geografia mondiale ‘Nazareth’. I padri della Chiesa affermavano ‘Caro Cardo
Salus’, cioè la salvezza viene dalla carne. Non possiamo delegare in toto
l’annuncio del Vangelo e la bellezza della vita cristiana al mezzo tecnico. In
questo senso tutti abbiamo sperimentato il disastro ottenuto durante il periodo
della pandemia Covid, quando abbiamo ‘abituato’ la gente a ‘vedere’ in
televisione la santa Messa, ed ora facciamo fatica a farla tornare in chiesa.
Certamente le nuove tecnologie sono una opportunità, ma anche una sfida nel
diventare nuove frontiere di evangelizzazione”. Aci 18
Informazione religiosa: tre sfide
Abbiamo già scritto che il nostro “proprio” nel fare
informazione religiosa è esattamene quello di non averlo. Vi è un primato delle
cose concrete, delle sfide di tutti, dentro cui trovare le suggestioni per una
fedeltà creativa, carismatica ed ecclesiale.
Fra le cose concrete e le sfide di tutti vi sono elementi
di non facile inquadramento o di ancora difficile discernimento. Mi limito ad
accennarne tre:
* L’opinione pubblica nella Chiesa.
* Il supporto materiale (silicio) e la logica binaria
giustificheranno una nuova religione?
* Una Chiesa di dogmi nella società fluida.
Necessaria e assente
Opinione pubblica nella Chiesa. I documenti conciliari e
applicativi l’hanno richiesta e legittimata. La prassi civile l’ha
ulteriormente sollecitata. L’incapacità di parola delle comunità cristiane nel
contesto mediale sembra invocarla. Ma la sua realizzazione sembra ancora assai
lontana. Posso indicare due figure impertinenti e un possibile esito.
La prima figura impertinente è quella mutuata dal
dibattito civile. L’opinione pubblica dei media come massa critica di fronte e
contro i partiti. È una figura forte, che appartiene alla genesi della stampa e
al dibattito civile circa la sua libertà sviluppatosi negli ultimi secoli. Nel
sistema democratico – cioè di un potere che viene dal basso e di una verità che
non solo non si impone, ma che si determina dal libero confronto e dal consenso
– i media rappresentano, nell’equilibrio dei poteri, un elemento rilevante in
ordine al funzionamento della collettività.
Non dovrebbe stupire che l’opinione pubblica nella Chiesa
sia stata mutuata da questa tradizione, ma con esiti insufficienti.
Vi sono certo stati elementi positivi, il maggiore dei
quali è la capacità di includere molte voci e molte competenze nell’ambito
degli avvenimenti ecclesiali e di non rimuovere le istanze critiche e scomode.
Ma vi sono anche elementi spuri, come l’assimilazione
dell’istituzione come controparte, del ministero ecclesiale come potere da
condizionare, dell’operatore dell’informazione come contro-potere. Una simile
figura di opinione pubblica è prigioniera della modalità civile esperita dalla
modernità e si presta a farsi interprete di un’immagine insufficiente della
Chiesa. Una interpretazione inadeguata.
Sensus fidei
La seconda figura impertinente è quella speculare:
l’opinione pubblica ecclesiale come puro riflesso dell’istituzione. In un
contesto in cui la Chiesa non è più in grado di gestire la sua immagine e in
cui il milieu cattolico si sfarina in appartenenze molteplici, vi è una
comprensibile tendenza a piegare l’opinione pubblica ecclesiale a cassa di
risonanza della voce della Chiesa gerarchica nel contesto delle infinite voci
del mercato culturale. Un ripiegamento identitario in un contesto culturale
privo di riferimenti.
Il vantaggio dell’uniformità è, però, soggetto ad un
ricatto di grande rilievo: quello cioè di perdere il rapporto reale con il
laico comune e di arenarsi nell’autoreferenzialità. Di raccontare una Chiesa
che non c’è più o non c’è ancora. Semplificare le identità e piegare le
molteplicità significa, infatti, rafforzare gli elementi settari e, alla fine,
diventare funzionali al mercato informativo attuale e alle sue logiche.
La terza figura sposta l’attenzione dai media per
fissarsi sull’identità ecclesiale e sulla sua struttura di popolo di Dio. Al
centro è la comunione, non lo spazio dell’informazione; la testimonianza, non
il pur necessario equilibrio dei ministeri e carismi.
Il settore e le competenze informative mantengono la loro
identità e il loro ruolo, ma sono finalizzati a raccontare il farsi della
tradizione (sempre plurale), il convergere nel discernimento dello Spirito (da
posizioni diverse), il decidere comune in obbedienza al Vangelo. La gerarchia e
le sue istituzioni non sono sopra ma dentro il processo di fedeltà alla Parola
che la tradizione indica come il sensus fidei del popolo santo di Dio. È quello
che sta succedendo, in forma incerta e iniziale nel sinodo, sia universale che
nazionale.
La ricerca di una nuova “era” del cristianesimo sta
avvenendo, ma potrebbe conoscere fallimenti, involuzioni e divisioni.
L’informazione serve per dare forma al futuro. Unire fedeltà, professionalità.
libertà critica e discernimento spirituale nonimplode nell’assenso cieco. È
anzi garanzia di una Chiesa semper reformanda.
Domande retoriche e fatti evidenti
Dal silicio una nuova religione universale? Senza la
scrittura (su pietra, papiri, pelli di animali), non ci sarebbero i monoteismi.
Senza i processi di stampa su carta, non ci sarebbero le Chiese della Riforma.
Con il silicio e la logica numerica arriverà una nuova
religione universale? Termini secchi e largamente discutibili che indicano
un’area ignota più che una soluzione.
I primi codici delle civiltà occidentali datano nel
secondo millennio a.C. La Torah, le legge scritta di Israele, i Vangeli
cristiani e il Corano hanno avuto bisogno di una lingua e di un supporto. Senza
Gutenberg quale sarebbe stato il futuro del Luteranesimo? Dobbiamo attenderci
qualcosa di simile per l’oggi: una nuova grande religione coerente con la
logica numerica universale?
È una domanda retorica, perché non si vede alcun segnale
significativo che vada in questa direzione. Ma per molti aspetti la domanda è
importante.
Il primo dato è la moltiplicazione delle fedi, delle
confessioni e delle religioni. La molteplicità delle fedi e delle religioni non
è un’attesa, è una realtà. Soprattutto negli spazi urbani si sono moltiplicati
i luoghi di culto appannaggio di minoranze etniche e delle confessioni
cristiane di varie appartenenze nazionali. Le comunità neopentecostali si
moltiplicano vistosamente e si ingrossa, in forma silenziosa, l’assenso al
buddhismo e alle religioni orientali. Un tempo si parlava di “sette”, ora, in
termini più rispettosi, di “nuovi movimenti religiosi”, per poi distinguere
questi dalle “nuove religioni”.
Sono stati gli storici, ma soprattutto i sociologi, a
stimolare la nostra attenzione. La sigla dell’istituto che in Italia ha più
lavorato in merito è il Cesnur (Centro studi per le nuove religioni), ma sul
mercato internazionale vi sono diverse riviste dedicate a questo tema. Le più note sono in inglese: Nova Religio, International Journal for the
Study of New Religions, Alternative spirituality and Religion Review. Due in tedesco:
Materialdienst der Evangelischen Zentralstelle fur Welthanschauungen, Referat
fur Weltanschauungen. Sono attivi in diverse università
centri specializzati in merito. Più in generale, dalla pluralità delle fedi e
dal confronto con la laicità sono nati i religious studies che sono oramai
parte di molti percorsi accademici.
Parlamento e Weltethos
Nel contesto dei nuovi movimenti religiosi va segnalata
un’iniziativa collettiva di un certo peso: il Parlamento mondiale delle
religioni. Avviato una prima volta a Chicago nel 1893 è stato ripreso un secolo
dopo (1993) e più volte ripetuto. Ha costituito un passaggio importante,
offrendo una tribuna ai rappresentanti dei movimenti religiosi, in particolare
filo-orientali.
Il Parlamento raduna figure religiose che partecipano di
ideali comuni. Non si tratta di una rappresentanza proporzionale quanto il
convergere di correnti di varie religioni – gli ultimi appuntamenti hanno
raccolto fino a 10.000 persone –, che si ritrovano, per affinità, su idee
sostanzialmente liberali. In maniera autonoma, ma compatibile con il
Parlamento, si è sviluppato il Weltehtos, l’ipotesi di una base etica comune
tra le fedi, propugnata da Hans Küng.
A partire dalla condivisa consonanza della regola d’oro
(«Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te») si connettono
alcune convinzioni di base: nessuna sopravvivenza della specie senza un ethos,
nessuna pace senza la pace fra le religioni, nessuna pace fra religioni senza
dialogo, nessun dialogo tra le fedi senza ricerca di base, nessun ethos
mondiale senza un mutamento di coscienza di credenti e non.
Vale la pena accennare ad alcuni elementi più
contraddittori e drammatici. È il caso dei fondamentalismi che costituiscono
forme settarie e socialmente pericolose dentro le fedi: in particolare il
fondamentalismo islamico, ma anche vari fondamentalismi religiosi. Questo ha
modificato in maniera significativa la nostra vita sociale e pubblica.
È anche il caso delle manipolazioni abusanti da parte dei
leader che ha segnato in maniera drammatica alcuni di questi nuovi gruppi
religiosi.
L’ultima frontiera sono le religioni e l’intelligenza
artificiale che, quando diventa sfrenato entusiasmo, nasconde un malriposto
impulso religioso da parte di persone cresciute in una cultura secolare. È nata
anche una Chiesa della intelligenza artificiale, da parte dell’imprenditore
Anthony Lewandowaski, ma con scarsi effetti.
Senza radici
Chiesa dei dogmi nella società fluida. Tramontata la
pretesa di una società teocratica come anche quella della cristianità
(legittimità del potere delegato dall’autorità ecclesiale), è in via di
estinzione anche il modello della neo-cristianità dove la legittimità del
potere viene dal popolo ma la Chiesa si riserva l’autorità della moralità
personale e pubblica in nome dell’etica naturale da lei conosciuta: i
cosiddetti “principi non negoziabili”.
Da molti decenni si è sviluppato un processo di autonomia
dei vari settori della vita civile: dalla scienza alla tecnica, dalla politica
al mercato, dalla società civile al singolo. In genere viene chiamato
secolarizzazione. Sulla scorta di uno scritto di mons. Mariano Crociata si
possono identificare alcuni modelli interpretativi.
Verso l’irrilevanza?
«La teoria di Niklas Luhmann rileva tale separazione
dalla religione non solo della politica, ma anche di tutte le altre attività
umane, quali l’economia, la giustizia, la scienza. La religione non ha più
alcuna influenza sugli altri settori, ognuno dei quali agisce in piena
autonomia, in qualche modo trovando in sé stesso la propria ragion d’essere e i
criteri di valutazione e di azione. A sua volta, Charles Taylor osserva, tra
altro, il cambiamento radicale intervenuto con il passaggio da un mondo in cui
la religione, e quindi l’avere una fede, era un’evidenza data per scontata da
tutti, così che era naturale credere, a un mondo in cui è naturale non credere,
in cui il fatto ovvio, non pensato, è il non avere una fede, il non avere una
religione, o averne una sola per effetto di una scelta che si presenta come una
tra altre possibili.
Non manca poi chi, come Marcel Gauchet e altri con lui,
considera la secolarizzazione l’estrema conseguenza e il frutto maturo delle
religioni, particolarmente del cristianesimo. Al di là di questa maniera
necessariamente sommaria di trattare teorie e autori dal pensiero molto
articolato, ciò che va considerato acquisito, e non da ora, è che la
secolarizzazione, comunque interpretata, non significa la fine della religione,
ma il suo profondo cambiamento nel contesto di un mondo a sua volta
profondamente mutato».
Le Chiese non possono permettersi di salutare tutti e
uscire di scena, e non possono neppure replicare percorsi e modelli già
esperiti. Quale potrà essere il loro compito? Oltre, ben s’intende, la
testimonianza del Vangelo e l’annuncio della salvezza in Cristo che è il loro
dovere ineludibile. Ma come collocarsi per renderlo comprensibile e
percorribile? Ricorro a una suggestione di un sociologo tedesco, Hartmut Rosa.
Un cuore saggio
L’Europa sembra destinata, come tutto l’Occidente, ad un
“immobilismo frenetico”, ad una corsa senza fine al consumo dell’energia,
dell’ambiente, del tempo, delle forze politiche e personali per rimanere in
stallo, bloccata in un equilibrio precario in cui nessuno crede più nel futuro.
La questione non è che «la società cresca, per esempio in
termini di popolazione o di produzione economica o che essa acceleri su molti
aspetti, ma che essa sia obbligata a farlo per mantenere lo status quo». Tutte
le nostre istituzioni sociali hanno un rapporto aggressivo al mondo che si
riflette nell’angoscia crescente degli abitanti.
Anche la forma democratica scivola verso una sistematica
contrapposizione che non lascia più spazio al dissidente, negando sé stessa.
La democrazia «ha bisogno di un cuore che ascolta», come
chiesto da Salomone (1Re 3,9). Una capacità di ascolto che Harmut Rosa chiama
«risonanza». «La mia tesi è che sono in particolare le Chiese che dispongono di
racconti, della riserva cognitiva, di riti e pratiche di spazi in cui un cuore
capace di ascolto può entrare in esercizio ed essere vissuto… Conosciamo una
crisi della capacità di lasciarci chiamare e questo si manifesta sia nella
crisi di fede, come nella crisi della democrazia». «La religione ha la forza,
la riserva di idee, un arsenale rituale pieno di canti, di gesti appropriati,
di spazi adatti, di tradizioni e di pratiche che aprono un senso a ciò che
significa lasciarsi chiamare, trasformare, entrare in risonanza. Se la società
perde tutto questo, se dimentica la possibilità della relazione, essa è
condannata. Alla domanda se la società attuale abbia ancora bisogno della
Chiesa o della religione, la risposta non può essere che: sì».
Se la sinodalità può essere utile alla democrazia e la
moltiplicazione delle fedi spinge all’approfondimento, la collocazione fluida
dell’esperienza religiosa confessionale, cioè ecclesiale, può contribuire a
rendere vivo nella società “liquida” il racconto delle parole e delle opere di
Gesù di Nazaret.
Lorenzo Prezzi, SettNews 17
Il Card. Zuppi sulla Terra Santa: “Due Popoli, Due Stati”
Intervista al card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna
e presidente della Cei, che al Sir traccia un bilancio del pellegrinaggio di
“pace e solidarietà” a Gerusalemme e Betlemme, che si è chiuso ieri, cui hanno
partecipato 160 fedeli provenienti anche da diverse città italiane. “Un
pellegrinaggio alle pietre vive che custodiscono i luoghi santi" lo
definisce il cardinale che si sofferma anche sulla situazione attuale in Terra
Santa dopo il 7 ottobre 2023, sull'esodo dei cristiani, sulle prospettive di
pace legate alla soluzione Due Popoli Due Stati -dall'inviato Daniele Rocchi
“Due Popoli Due
Stati è la soluzione che la comunità internazionale non può abbandonare. Il
vero problema è la determinazione di quest’ultima nel perseguirla e sul come
raggiungerla. La pace non la fanno solo gli attori belligeranti ma anche la
comunità internazionale che deve impegnarsi nella ricerca di vie di negoziato”.
Lo dichiara al Sir il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di
Bologna e presidente della Cei, tracciando un bilancio del pellegrinaggio di
“pace e solidarietà” in Terra Santa (Gerusalemme e Betlemme) cui hanno
partecipato 160 fedeli provenienti anche da diverse città italiane, organizzato
con la “Petroniana viaggi” (13-16 giugno). Tra loro anche rappresentanti di
Acli, Agesci, Associazione Papa Giovanni XXIII, Azione Cattolica, Comunione e
Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Focolari, Pax Christi, quest’ultima
rappresentata dal suo presidente, l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti. “Con questo
pellegrinaggio – spiega il card. Zuppi – abbiamo voluto condividere la
sofferenza ed essere vicini ai cristiani locali in un periodo così tragicamente
segnato dal dolore. Abbiamo portato vicinanza, sostegno insieme alla preghiera,
alla condivisione e all’intercessione perché questa sofferenza finisca presto
per tutti”.
“Il momento giusto”. “Un pellegrinaggio alle pietre vive
che custodiscono i luoghi santi di Gesù” lo definisce l’arcivescovo di Bologna
ricordando la fitta serie di incontri che hanno visto i pellegrini ascoltare le
testimonianze di esponenti della società civile israeliana come Rachel
Goldberg-Polin, madre di Hersh, uno degli ostaggi ancora in mano ad Hamas dal 7
ottobre 2023, Ysca Harani, ebrea osservante, docente di storia delle religioni
e del Cristianesimo, di visitare, a Betlemme, luoghi di assistenza e formazione
come il Charitas Baby Hospital, l’istituto Effetà per audiolesi, l’orfanotrofio
la Crèche, la casa per bambini disabili Hogar de ninos, e visitare le piccole
comunità cristiane dei villaggi (Ain Arik, Beit Sahour, Taybeh, Birzeit) della
Cisgiordania, “di cui poco si parla dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7
ottobre scorso le cui conseguenze pesano ulteriormente sulla vita della
popolazione locale”. “Da loro abbiamo ascoltato e capito la sofferenza che
patiscono, le attese, le delusioni che stanno provando in questi mesi e non
solo. Abbiamo ascoltato, condiviso e manifestato attenzione, interesse e vicinanza
ai cristiani locali – rimarca Zuppi -. Questo era il momento giusto per farlo
come ha riconosciuto il patriarca latino di Gerusalemme, il card. Pierbattista
Pizzaballa, che ha definito questo pellegrinaggio ‘un gesto coraggioso’. Sono
felice dell’ampia partecipazione di pellegrini che sono il volto della Chiesa
italiana che si è fatta presente in questa terra martoriata”.
Come si sconfigge l’odio. Particolarmente toccanti, per
il cardinale, le testimonianze di Rachel Goldberg-Poline e di Dani Miran madre
e padre, rispettivamente di Hersh e di Omri Miran, due ostaggi ancora nelle
mani di Hamas. “Questa madre che rifiuta di fare una classifica della
sofferenza ci ha dato una grande lezione su come si sconfigge l’odio – ricorda
Zuppi -. È l’esperienza di un amore che guarisce, consola e asciuga tutte le
lacrime. Miran, il padre dell’altro ostaggio, ha voluto mostrare una foto del
suo incontro con Papa Francesco confidandoci di aver visto negli occhi del
Pontefice quelli di suo padre. Questo mi ha molto toccato perché sta ad
indicare che tutti possono vedere nella nostra vicinanza, attenzione e
supporto, gli occhi di un padre, di una madre e di un fratello che condividono
un dolore così grande”.
“Ecco, io credo che la Chiesa debba avere i sentimenti di
una madre, di un padre, di un fratello e farsi sempre più prossima a chi
soffre”.
Certamente, aggiunge l’arcivescovo di Bologna, “abbiamo
avuto modo di ascoltare anche la descrizione di una società israeliana
polarizzata dove in molti pensano al proprio dolore. Questo rende necessario
ritrovare motivi di speranza e spiragli di luce. Le parole insistenti di papa
Francesco sul coraggio di un cessate il fuoco e di un negoziato le abbiamo
fatte nostre, in questo pellegrinaggio, sentendone tutta l’importanza”.
La voce dei cristiani. La visita ad alcuni villaggi della
Cisgiordania è stata l’occasione, per i pellegrini, di conoscere la realtà
dell’occupazione militare israeliana attraverso la viva voce degli abitanti
cristiani locali.
“Questo dell’occupazione – dichiara Zuppi – è un punto da
cui partire. Purtroppo se non c’è una prospettiva, una soluzione da perseguire,
sarà difficile che si possa ritrovare la via della convivenza”.
In questo contesto “i cristiani di Terra Santa hanno un
ruolo straordinario perché la loro presenza favorisce l’incontro proprio per la
natura stessa del Cristianesimo che riconosce nell’altro sempre il prossimo. Il
cammino da fare è lungo, va percorso con molta attenzione e fedeltà”. Tuttavia,
l’occupazione militare, la penuria di lavoro, la mancanza di un futuro stabile,
“non fanno che alimentare l’esodo dei cristiani. L’emigrazione dei fedeli e il
conseguente svuotamento della Terra Santa dei suoi abitanti originari –
conclude il cardinale – è un rischio che non possiamo permetterci. Esprimere
vicinanza spirituale e concreta alle comunità di Terra Santa è, dunque, ancora
più necessaria per aiutarli a non partire. È un nostro dovere e impegno da
perseguire nel tempo”. Sir 17
Il Teatro del Cielo si interroga sulla fede con la "Sfida di
Gerusalemme"
Un colloquio con il presidente della fondazione ‘Istituto
Dramma Popolare’ di San Miniato - Di Simone Baroncia
San Miniato. E’ nel Dna del Teatro dei Cielo quella
ricerca complessa degli interrogativi che scuotono le coscienze. Succede così,
dal 1947 ad oggi per mano della Fondazione Istituto del Dramma Popolare di San
Miniato, oggi guidato da Marzio Gabbanini. E quest’anno, per la scena sacra di
piazza Duomo, è tempo di ‘Chi sei Tu? La Sfida di Gerusalemme’, versione
teatrale del diario del viaggio in Terra Santa di Éric-Emmanuel Schmitt.
Per questo tutti gli spettacoli della Festa del Teatro
hanno un unico comune denominatore che, quest’anno, mette sotto la lente la
fede al centro di una dura prova in un mondo di dubbi e conflitti, come ha sottolineato
il direttore artistico, Masolino D’Amico: “Fra tradizione ed innovazione,
questa la linea guida che ogni anno il Festival propone alternando sul
palcoscenico autori registi e attori della nuova scena emergente a nomi di
spicco della scena teatrale italiana. Il comune denominatore degli spettacoli
del Festival di quest’anno, ‘La fede messa alla prova: una forza di pace
interiore, individuale e collettiva, in un mondo di dubbi e conflitti’, trova,
negli spettacoli proposti, modalità attuali di essere affrontato dando
particolare spazio e rilievo alla promozione di una drammaturgia sia di autori
affermati che giovani drammaturghi, di cui valorizzare creatività, capacità
multidisciplinari ed espressive, volontà di innovazione”.
Quindi dal presidente della fondazione ‘Istituto Dramma
Popolare’ di San Miniato, Marzio Gabbanini, ci siamo fatti raccontare il motivo
per cui il teatro si interroga sulla fede: “Il Dramma Popolare, nato nel 1947
dalle macerie fisiche e psicologiche del secondo conflitto mondiale, ha inteso
essere, fino dagli esordi, un teatro popolare di ispirazione cristiana alla
maniera delle sacre rappresentazioni medievali, ma con l’intento di affrontare
tematiche di forte attualità, legate all’evolversi dei tempi, dei bisogni
interiori, dei problemi vissuti nella contemporaneità; dunque un teatro
moderno, vivo e vitale, in grado di parlare all’uomo di oggi anche attraverso
personaggi legati a un passato storico-letterario significativo, potenzialmente
proiettati in orizzonti senza tempo, quindi anche i nostri.
Negli anni il Teatro dello Spirito ha inteso rimanere
fedele a questi intenti e principi, che costituiscono valori imprescindibili,
per essere voce delle aspettative più profonde, spirituali, sociali, culturali
di un mondo come il nostro, bello da una parte per le tante conquiste
realizzate, ma anche carico di conflitti, di angosce, di problemi irrisolti. Da
qui il valore assunto dalla fede come forza individuale e collettiva che spinge
ad affrontare ogni genere di difficoltà, ad aprirsi alla speranza, alla
solidarietà, alla comprensione umana, alla trascendenza”.
Quali sono gli interrogativi che il ‘Teatro del Cielo’
pone in questa rassegna?
“Nella Rassegna di
quest’anno ci si interroga in quali modi la fede possa essere conseguita o mantenuta;
spesso si tratta di una conquista faticosa e non semplice in un mondo quale
quello attuale in cui l’umanità sembra essere alle prese con problemi di tale
portata da sentirsi come sopraffatta da una sorta di impotenza, quasi di
rinuncia fatalistica a cercare soluzioni, che possono talvolta apparire
irraggiungibili. La fede ci chiama invece a reagire, a lottare, a confidare in
Dio e negli uomini di buona volontà anche quando sembrano prevalere un acceso
individualismo, la chiusura nel privato, il rifiuto dell’altro da sé”.
Per quale motivo il comune denominatore è la fede?
“Il comune denominatore degli spettacoli è la fede,
sempre più spesso messa a dura prova, perché vogliamo testimoniare la sua
capacità di renderci caparbi nel bene, tenaci nell’aprirci al dialogo, al
confronto costruttivo, decisi nell’abbattere muri e nel creare ponti, come
sostiene instancabilmente papa Francesco, soprattutto quando essa sia stata il
punto di arrivo di un viaggio interiore teso a dare risposte ai tanti dubbi, agli
interrogativi, alle confutazioni della ragione, costretta infine a capitolare
senza per questo configgere con la fede stessa”.
La rassegna si apre, giovedì 20 giugno, con ‘Poveri noi -
Storia di una famiglia nella tragedia della guerra’ di e con Silvia Frasson:
perché la scelta di raccontare una storia ai tempi di guerra?
“La scelta di aprire la rassegna con lo spettacolo di
Silvia Frasson ‘Poveri noi’ si lega ad un duplice intento: da una parte, quello
di dimostrare come avere fede significhi nutrire ideali nei quali credere
fermamente anche a prezzo della vita; dall’altra, quello di richiamarsi al
secondo conflitto mondiale come specchio del modo in cui qualsiasi guerra
sconvolga, rompa dal profondo la civile convivenza e distrugga con violenza
quanto gli uomini hanno faticosamente costruito nella concordia. La storia di
Gabriella degli Esposti, Medaglia d’oro al valor militare, eroina e martire
partigiana, uccisa insieme al figlio che portava in grembo, rimanda l’immagine
di una fede incrollabile negli ideali di libertà, di fratellanza, di giustizia
sociale”.
Invece ‘Giobbe, storia di un uomo semplice’, in programma
lunedì 1 luglio, racconta il rapporto con Dio nel dramma del dolore: quale è il
filo che permette di vivere?
“La scelta del personaggio di Giobbe diventa un ulteriore
tassello nella riflessione del Dramma Popolare sul tema della fede, in questo
caso messa davvero a dura prova. Giobbe è la figura biblica la cui fede in Dio
rimane solida, impossibile da scalfire anche di fronte alle richieste più dure
sul piano umano e affettivo. Giobbe ha tutto, a partire dal benessere economico
fino a una bella famiglia, ma Dio gli chiede un sacrificio, ai nostri occhi,
disumano, quello di perdere tutto, soprattutto i figli. La sua fede in Dio è
dunque più forte di qualsiasi prova. Quale migliore testimonianza del potere
della fede, che permette a Giobbe di superare condizioni umanamente tragiche e,
in particolare, di continuare a vivere? La fede richiede dunque un totale
abbandono a Dio, una fiducia smisurata in Lui”.
Dal 20 al 24 luglio la ‘Festa del Teatro’ chiude con la
pièce tratta dal libro ‘La sfida di Gerusalemme’ di Eric-Emmanuel Schmitt, con
la regia di Otello Cenci: quale provocazione pone l’autore?
“Il testo di Eric Emmanuel Schmitt, ‘La sfida di Gerusalemme’,
rappresenta il momento culminante del viaggio del Dramma Popolare lungo il
cammino della Fede. L’autore, su suggerimento della Santa Sede, compie un
viaggio in Palestina, nei luoghi in cui Gesù è nato, vissuto e morto
crocifisso; prima incerto, poi sempre più colpito da un richiamo, un desiderio
sempre più forte di fare esperienza con tutto se stesso, anche in ascolto dei
suoni, delle sensazioni, delle percezioni legate a quei luoghi, Schmitt, prima
privo di fede in Dio, poi credente, si fa convinto cristiano nella scoperta di
quello ‘Sconosciuto’ di cui, in maniera inaspettata, egli ‘sente’ l’odore del
corpo, il suo calore; avverte uno sguardo attento, una persona invisibile di
cui Schmitt percepisce la vita organica, un Dio fatto uomo che, per amore,
rende capaci di amare tutti senza alcuna distinzione, in quanto tutti Suoi
figli e quindi tra loro fratelli”.
Perché è sorto l’Istituto del Dramma Popolare?
“Ora si può meglio comprendere perché, nel 1947, nacque
il Dramma Popolare: ridare speranza ad un intero popolo dopo il dramma della
Seconda guerra mondiale, ma soprattutto aiutare a cercare risposte ai tanti
interrogativi di senso che l’individuo si pone sul significato da dare alla
propria vita, sul perché di tante distruzioni, esclusioni, rifiuti, sofferenze,
ma anche sul valore da attribuire alla fede in mondo contemporaneo sempre più
legato al consumismo, al ‘mordi e fuggi’, all’iperconnessione, ad un
individualismo esasperato che sembra negare il principio della relazionalità e
dell’apertura al dialogo, ma anche alla trascendenza”. Aci 17
Fiducia e perseveranza. XI Domenica del Tempo Ordinario
Carpi. In questa domenica Gesù ci parla del Regno di Dio
e di come esso di sviluppi nel mondo. Si serve di due eventi che tutti possiamo
osservare nella vita di ogni giorno: la storia del seme che cresce da solo e la
storia del piccolo seme di senape che diventa un albero.
Con queste due parabole Cristo rivela che il regno di Dio
è già presente e operante in mezzo a noi e che, nonostante le opposizioni del
mondo e i fallimenti dovuti al peccato dei suoi membri, si sviluppa e si
diffonde con modalità che sfuggono al controllo dell’uomo. Il regno di Dio,
infatti, cresce per virtù propria, per energia propria e, pertanto il suo
successo non è legato all’impegno e all’affanno dell’uomo, ma all’azione della
Grazia, la quale opera silenziosamente, ma in maniera efficace, nell’intimità
dei cuori.
Ne abbiamo una prova negli inizi della Chiesa. Il Signore
per instaurare il suo regno nel mondo ha scelto un pugno di uomini quasi tutti
di scarsa cultura, pieni di difetti, privi di mezzi materiali e con visioni
alquanto ristrette. Appare, dunque, umanamente incomprensibile capire come i
dodici apostoli abbiano potuto fare giungere l’annuncio del Vangelo fino ai
confini della terra, superando innumerevoli contrasti ed ostacoli. Attraverso
la parabola del granellino di senape Gesù ci aiuta innanzitutto a comprendere
che la predicazione del Vangelo si diffonde nonostante tutto. L’unica
condizione è un terreno disponibile ad essere seminato. Innanzitutto il nostro
cuore. Scrive, al riguardo, sant’Ambrogio: “Semina Cristo nel tuo orto…Tu
semina il Signore Gesù: egli è un granello quando viene arrestato, un albero
quando risuscita, un albero che fa ombra a tutto il mondo. E’ un granello
quando viene sepolto in terra, ma è un albero quando si eleva al cielo” (Exp.
In Luc. 7,176-180).
Insieme a questo insegnamento Gesù ci svela che
l’annuncio del Vangelo non può essere fonte o causa di agitazione,
irrequietezza, ansia, paura. E’ vero, viviamo in un contesto di rifiuto e di
indifferenza nei confronti del messaggio cristiano, tuttavia, il Signore ci
dice che il lavoro apostolico, per quanto faticoso e apparentemente inutile, da
qualche parte certamente porterà frutto abbondante. Nel regno di Dio non vi è
lavoro inutile, non vi è spreco.
A noi è chiesto di annunciare la Parola di Dio con
fiducia, coraggio e perseveranza. Poi essa prosegue la sua corsa e nel rispetto
dei tempi di Dio, che sono diversi dai nostri, porterà frutti imprevisti e
insperati. Il cristiano, dunque, si presenta al mondo come un discepolo che
ripone la sua fiducia e la sua speranza in Gesù, Signore della Chiesa e della
storia. Mons. Francesco Cavina, aci 16
La festa di Sant'Antonio a Padova. Il pellegrinaggio, la storia
Padova. Dopo la notte in processione, funestata da un
tempo inclemente, con le luci delle torce “sostituite” da lampi e fulmini, per
rievocare, come accade per tradizione da molto tempo, quell’ultimo viaggio di
Antonio verso la città d’elezione, quella in cui vuole morire, Padova si
sveglia sotto un cielo cupo, che minaccia ancora pioggia. Ma la città è già
sveglia e gremita. Sarà così per tutta la lunga giornata di festa, questo 13
giugno nel segno di sant’Antonio, il patrono di Padova, il Santo amato in tutto
ill mondo. Il cuore della festa, il luogo in cui arrivano tutti i pellegrini, i
fedeli, è la Basilica del Santo, dove dalle prime ore del mattino si
snodano lunghe code per accedere alla tomba, poi alla Cappella delle
Reliquie, davanti alla statua che poi sarà portata in processione, partecipando
alle messe che si celebrano a tutte le ore…
Un appuntamento con la devozione popolare che richiama
pellegrini da tutto il mondo. Il tempo minaccioso, con il passare delle ore, ha
lasciato il posto ad una giornata di sole, con un motivo di gioia in
più. Quarantamila i passaggi calcolati, dall'inizio della tredicina,
nella cappella delle requie di Antonio. Sono tanti quelli arrivati a
piedi, camminando nella notte per arrivare in Basilica alle 6, ora della prima
celebrazione della giornata. I racconti dei pellegrini si intrecciano,
all’ombra della Basilica. C’è sempre da chiedere una grazia, o da ringraziare,
perché quella grazia è stata ottenuta. C’è chi arriva da un paese della
provincia, chi dal Piemonte, dalle Marche, dalla Sicilia, dalla Polonia, dal
Colorado… "Antonio è vicino alla gente perché il suo richiamo non ha barriere
né differenze. Ascolta e dialoga con tutti mediante la sua Parola, così come
nell'intimo della meditazione e del silenzio", spiega il rettore
della Basilica, padre Antonio Ramina.
Si prega, molto, in piedi, in ginocchio, mentre si
cammina ammirando le meraviglie artistiche di cui è disseminato questo che è
uno dei luoghi santi più visitati al mondo. E proprio in mezzo a questo popolo
di pellegrini, così uniti nella preghiera, così commoventi nella loro fiducia
in Antonio ( quanto volte sentiamo ripetere che “lui ci penserà, lui è buono e
ascolta le suppliche di tutti, lui può veramente intercedere per me presso
Dio”), tornano in mente le parole di monsignor Claudio Cipolla, vescovo di
Padova, nel messaggio inviato insieme al rettore, in cui, tra le molte ispirazioni
e suggestioni, emerge il concetto di umiltà, oggi così poco usuale nella nostra
cultura. Concetto invece essenziale, "anche se è fuori moda e non ci
attira per nulla. Noi, d’istinto, ci sentiamo tutti più frizzanti quando
possiamo dimostrare d’aver ragione noi, quando siamo noi a poter primeggiare,
quando siamo in grado di vantare noi il seguito più ampio: di 'amici', di
'followers', di ammiratori… E così finiamo inevitabilmente affogati nei miasmi
di una realtà inesistente che, alla fine, ci deluderà di sicuro. Umiltà è lo
stile realistico di chi sa domandarsi che cosa conta davvero, che cosa rimane
davvero. Sa cercare che cosa merita, davvero il nostro impegno. E forse qui ci
ritroveremo tutti d’accordo: ci renderemo conto che solo la qualità buona,
forte e concreta delle nostre relazioni merita la nostra dedizione più
grande".
Momento clou, come sempre, è stata la tradizionale
processione, con l'esposizione delle reliquie e la statua del Santo
portata sul baldacchino lungo le strade del centro di Padova, con al seguito le
autorità civili, militare e religiose, e la partecipazione di migliaia di
persone, grazie anche ad uno scorcio di giornata luminoso e tiepido, regalato
dopo molte ore di tempo incerto e poco incline al bello.
Un calendario fitto di incontri e di momenti di
riflessione e di “pausa nel bello” ha accompagnato la preparazione della festa,
e si estenderanno per tutto il mese. Da ricordare la conferenza tenuta da don
Luigi Epicoco su santa Chiara, molto partecipata, e l’appuntamento di oggi, di
grande rilevanza, sulla “Pratica liturgica dal medioevo a oggi, un seminario in
inglese con tavola rotonda finale, organizzato da Università di Padova -
Dipartimento dei Beni culturali e Monash University dell’Australia, sul culto
dei santi nel Medioevo e le pratiche di devozione dall’Età di mezzo a oggi
attraverso approcci multidisciplinari. Presenta Giovanna Valenzano (Veneranda
Arca di S. Antonio), con diversi interventi a cura di esperti a livello
internazionale.
Naturalmente sono molte anche le proposte di lettura
sulla figura del Santo, sulla sua vita, sulla sua immensa eredità spirituale,
insieme alla vasta e profonda devozione popolare che non si attenua nel tempo,
anzi sembra rafforzarsi e diffondersi. Tra questa ponderosa bibliografia scegliamo
di segnalare la “Vita del Santo. Raccontata dai contemporanei” a cura di
Virgilio Gambuoso, che presenta le due più importanti fra le vite di
sant’Antonio scritte da contemporanei: Vita prima o Assidua, opera di un
anonimo francescano che vi pose mano per ordine dei superiori e la presentò nel
1232, in concomitanza con la canonizzazione di Antonio e Legenda rigaldina,
scritta verso la fine del secolo XIII dal minorita Jean de Rigaud o de Rigault.
Testimonianze vivide, ben incastonate nel tempo in cui ha
vissuto Antonio, un medioevo tempestoso, ricco di eventi e di vitalità,
popolato da figure gigantesche, con una forte vita di popolo e di comunità. Il
tutto ritratto con precisione e insieme, a tratti, un’inesauribile vena
poetica. Caterina Maniaci, Aci 14
Il clamore e le numerose polemiche suscitate dalla
decisione dell’Istituto comprensivo “Iqbal Masih” di Pioltello (Milano) di
sospendere le lezioni lo scorso 10 aprile, in occasione della festa per la
chiusura del Ramadan (per non obbligare molti alunni – che per oltre il 40%
sono di religione islamica – a scegliere tra la partecipazione ai riti
religiosi e la presenza alle lezioni) non soltanto si sono placati ma anche
dimenticati. Sommersi – com’è ormai abitudine – dal flusso ininterrotto della
comunicazione mediatica che copre con la novità delle ultime notizie le
precedenti.
Dimenticare in questo caso è però un’operazione
rischiosa, che ci fa disperdere quanto abbiamo imparato da tutta la vicenda.
Soprattutto, dimenticare significa coprire la sfida culturale che abbiamo
davanti agli occhi, come cittadini e come credenti. La Chiesa ambrosiana ha
scelto di schierarsi, appoggiando la decisione presa dalla scuola, perché il
dibattito da subito ha spostato la questione sul terreno dell’identità
cristiana o cattolica del nostro Paese, e del rapporto tra le religioni.
L’intenzione era aiutare le persone coinvolte a orientarsi, e sostenere i
ragazzi della scuola, per aiutarli a rimanere uniti ed evitare “l’importazione”
tra di loro di divisioni e polarizzazioni tipiche del mondo degli adulti.
Di fronte a coloro che avevano ravvisato nella vicenda i
segni di una volontà di cambiare l’identità cattolica della nazione, la diocesi
di Milano ha ribadito in modo sereno ma fermo che la fede cristiana non cambia
affatto nel suo nucleo fondamentale. Essendo la nostra una fede incarnata, e
trovandoci in una società che sta vivendo forti cambiamenti, non possiamo non
interrogarci sulle conseguenze che queste trasformazioni hanno sulle espressioni
della nostra fede. Essere cattolici, nel senso tecnico ed etimologico del
termine, significa far vedere che siamo aperti a tutto e capaci di dialogare
anche con chi non si riconosce nella fede che professiamo. Per questo non
vogliamo che il confronto e il dialogo tra le religioni diventi uno scontro.
Un dialogo che, tra l’altro, è condiviso da numerose
comunità espressione della fede islamica. Durante il mese del Ramadan ho
partecipato più volte a un Iftar (rito della rottura del digiuno) in moschee
diverse. Non ho incontrato nessuna volontà di scontro diretto o di
sopraffazione del cattolicesimo, ma piuttosto la ricerca di un’alleanza per
confrontarsi insieme con una società che vuole espellere Dio. Noi siamo per la
libertà religiosa, non per una laicità che espelle la religione dalla vita
civile e sociale. Al contrario, siamo per una vita civile e sociale capace di
contenere al proprio interno la pluralità delle religioni.
Le reazioni alla scelta attuata dalla scuola di Pioltello
hanno confermato una sensazione di scarsa preparazione a vivere nel quotidiano,
a livello locale, il confronto con un mondo come quello islamico, che ormai è
tra noi ed è arrivato non per una spinta di proselitismo o di conquista
religiosa, ma per motivi sostanzialmente economici. Arrivata alla ricerca di
lavoro e di una vita più dignitosa, la gente s’è portata dietro la propria
cultura e la propria fede. Ci ha stupito vedere il disorientamento che questo
provoca, innanzitutto tra noi cattolici. Al nostro interno mi sembra d’aver notato
tre atteggiamenti diversi. Il primo, tutto sommato minoritario, è la
condivisione piena della posizione della diocesi, accogliendone anche la
profondità della prospettiva di fede da cui nasce e la ricchezza del lavoro
compiuto dalla teologia delle religioni.
Un secondo atteggiamento, ancor più minoritario, è il
dissenso aperto, motivato dalla paura di uno smarrimento dell’identità
cristiana che conduce a leggere il confronto nella chiave dello scontro. In
realtà, questa posizione non s’accorge che la perdita dell’identità cristiana
non è legata alla presenza di altre religioni. A qualcuno che mi diceva che
quelli che vengono a vivere qui dovrebbero assumere i nostri valori, m’è
capitato di chiedere: «Ma lei a Pasqua è stato a messa?». Mi ha stupito
sentirmi rispondere, con fastidio, «Che c’entra?». Ecco, la perdita
dell’identità cristiana e dei suoi valori dipende dal fatto che non li
custodiamo e non li coltiviamo, non dal fatto che gli immigrati musulmani non
partecipano alla messa o che ci impegniamo nel dialogo con loro.
Il terzo atteggiamento, il più diffuso, è quello di un
silenzio pieno di apprensione verso la prospettiva del dialogo e del confronto.
Per questo abbiamo bisogno di strumenti con cui dare ragione di quanto facciamo
come credenti. Non si può più semplicemente vivere una fede di comodo,
accontentandosi di rimanere nel solco di quello che ci è stato tramandato, senza
una rielaborazione che sia all’altezza dei tempi che stiamo vivendo e quindi
della sfida del pluralismo con cui siamo chiamati a confrontarci.
«Gareggiate nello stimarvi a vicenda», dice san Paolo ai
Romani (12,10). Ma anche il Corano dice: «Gareggiate in opere buone: tutti
ritornerete ad Allah ed egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali
siete discordi» (Sura 5,48). Il monaco cristiano e martire Christian De Chergé
commenta questo inedito parallelismo affermando che da cristiani siamo invitati
a «cercare un senso divino alle differenze». Non si dialoga tra le religioni
per costruire la pace: questo è il livello zero del dialogo. Si dialoga perché
Dio ci attende per rivelarsi a noi nel crogiuolo della differenza. Luca
Bressan, Vita Pastorale, giugno
Perché la Chiesa si interessa di intelligenza artificiale?
Non è da oggi che la Chiesa guarda al tema
dell’intelligenza artificiale. Dai primi studi negli anni Novanta fino alla
Fondazione RenAIssance di oggi. Sono tanti i temi di cui il Papa può parlare al
G7 - Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Forse il punto di vista più
innovativo sul tema dell’intelligenza artificiale lo ha dato un teologo
quarantenne, Rocco Malatacca, che ha interpretato tutta la Scrittura come se
fosse una grande opera di intelligenza artificiale, di uomini e storie
connesse, di default e di eventi che evengono. Lo ha fatto in un libro, “Tu
parli come me” (Città Nuova) che ha il merito non tanto di riportare la
questione dell’intelligenza artificiale all’uomo, ma di portare il logos umano
ad essere letto come intelligenza artificiale. Il futuro, in fondo, è
nell’essere umano, nel suo essere storia di carne e sangue ed evento. Ed il
futuro, alla fine, è nella Parola, nel senso più profondo.
Questa interpretazione particolarmente ardita è solo
l’ultima di una serie di opere, lavori, studi degli ambienti cattolici in
generale e vaticani in particolare tutti collegati al tema dell’intelligenza
artificiale, che ha visto anche l’allora Pontificio Consiglio della Cultura
impegnarsi in una plenaria sulla questione già nel 2017. Perché la domanda di
fondo è: se tutto è relazione, e relazione elettronica, quale spazio c’è per la
componente umana?
Papa Francesco, insomma, ha molto su cui pescare per il
suo discorso di oggi al G7. La sessione “outreach”, dedicata agli ospiti
invitati, parlerà proprio di intelligenza artificiale, ed è facile cadere nel
tranello di vederne solo le applicazioni tecnologiche e pratiche, che nel caso
della diplomazia riguardano anche temi come le deep fake o le fake news, perché
in fondo tutte le guerre sono ibride. Papa Francesco sarà chiamato, insomma, a
riportare lo sguardo sull’uomo, superando la visione di Henry Kissinger, che
aveva guardato allo sviluppo dell’AI come una sfida senza però guardare ai suoi
risvolti etici.
Che sono enormi. Padre Paolo Benanti, TOR, probabilmente
uno dei massimi esperti di Intelligenza Artificiale oggi al mondo (è nel
comitato ONU per l’intelligenza artificiale, presiede la Commissione di Palazzo
Chigi sul tema) relazionò lo scorso anno alla conferenza dei portavoce del CCEE
come anche l’uso delle notizie fosse materiale di conflitto, citando uno studio
che dimostrava come una serie di siti No-Vax si convertirono immediatamente in
siti pro-Russia nel momento dell’aggressione militare sull’Ucraina, portando da
un tema all’altro consensi e connessioni.
È la guerra ibrida, in fondo, e Papa Francesco ha il
merito di essere stato tra i primi a parlarne riferendosi al conflitto in
Ucraina, durante l’incontro interdicasteriale con il Sinodo della Chiesa Greco
Cattolica del luglio 2019.
Come ci si pone di fronte a una tale offensiva di
informazione? E, soprattutto, a quale uomo si possono imputare gli automatismi?
Il problema diventa ancora più grande quando non si parla
più di manipolazioni di notizie, ma di uso di armi. Basta scorrere gli
interventi nemmeno troppo recenti della Santa Sede alle Nazioni Unite per
notare come da sempre la Santa Sede si impegni sul tema, con pronunciamenti
anche molto forti sulle LAWS (Lethal Autonomous Weapon System). Ne ha parlato
anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher all’assemblea generale delle Nazioni
Unite lo scorso settembre, mettendo in luce i grandi problemi etici e morali
che queste armi portano con sé. In fondo, un drone annulla l’esperienza
diretta, fa dell’omicidio una esperienza mediata e dunque si può
tranquillamente uccidere senza sentire nemmeno le conseguenze morali del gesto
rimanendo comodamente seduti in casa mentre un drone da noi comandato opera
dall’altra parte del mondo.
L’uomo mediato dal drone sarà allora considerato uomo?
Come detto, se ne parla da tempo. Nel 2017, il Cortile dei Gentili ha ospitato
un dibattito su “Intelligenza artificiale: una sfida etica”, mentre
la Pontificia Accademia per la Vita, nella prima plenaria con i nuovi
membri aveva scelto in quello stesso anno come tema “Accompagnare la vita:
nuove responsabilità nell’era tecnologica”.
E se il secondo tema faceva subito pensare
alla drammatica vicenda di Charlie Gard, allora molto attuale, e il primo
faceva pensare al futuro degli uomini cyborg, è chiaro che la domanda
resta sempre quella originaria sull’uomo. Una domanda che si ripropone sia
quando la vita degli esseri umani dipende a volte dalle macchine, sia quando
sono le nuove tecnologie a prendere sempre più piede nella vita.
Tutto è connesso, l’intelligenza artificiale ha un enorme
impatto sull’uomo, e porta in maniera veloce al rischio di transumanesimo in
cui l’umano non è più il risultato dell’espressione dell’uomo bensì il
risultato dell’ibridazione dell’uomo con alterità non umane.
In quel periodo, furono centinaia, i ricercatori di tutto
il mondo – incluso Stephen Hawking – a firmare la dichiarazione
promossa dal Future of Life Institute che metteva in guardia dai rischi di un
utilizzo incontrollato dell’Intelligenza Artificiale.
Non solo. Il passaggio verso il mondo transumano viene
fatto movimenti lievi. Ad esempio, propagandando con favore – è successo
qualche anno fa – la sostituzione del cartellino dei dipendenti con un
microchip sottocutaneo. Furono pubblicati, nell’occasione, articoli densi di
vago ottimismo, che si accompagnavano anche all’uscita nelle sale
cinematografiche del film The Circle, che aveva con oggetto proprio il
controllo di una azienda sui dipendenti.
Non va dimenticato che il verichip, ora applicato
principalmente sugli animali, nasce per scopi umani, così come i tanti progetti
di uomini cyborg, che nascono soprattutto per scopi bellici e poi vengono
portati in campo civile.
Sono, insomma, tantissimi i temi in gioco. Se l’intelligenza
Artificiale può arrivare, un giorno, a ricostruire un occhio danneggiato, quali
sono le ricadute etiche se questa viene usata per implementare per scopi di
guerra le funzionalità di un occhio sano?
I temi sono antropologici, ma sconfinano anche in altri
ambiti, come quello del disarmo e in generale della giustizia e della
pace, e non sorprende che tra i primi ad occuparsi del legame tra informatica e
diritto sia stato proprio un officiale vaticano, Giorgio Filibeck, per decenni
in forze al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Per questo, il discorso di Papa Francesco al G7 dovrebbe
toccare anche le implicazioni etiche dell’intelligenza artificiale, seguendo i
principi della Rome Call for AI Ethics lanciata dalla Santa Sede che è
stata già firmata dai colossi dell’informatica e da diverse confessioni
religiose, siglata da importanti corporation informatiche (Microsoft, IBM,
Cisco tra le altre), ma anche da diverse altre confessioni religiose –
recentemente si è unita anche la Comunione Anglicana.
Il manifesto, approvato da Papa Francesco, chiede un
impegno per lo sviluppo di tecnologie di Intelligenza
Artificiale trasparenti, inclusive, socialmente vantaggiose e
responsabili. L’intento della Call è dar vita a un movimento che si allarghi e
coinvolga altri soggetti: istituzioni pubbliche, ONG, industrie e gruppi per
produrre un indirizzo nello sviluppo e nell’utilizzo delle tecnologie derivate
dall’Intelligenza Artificiale. Aci 14
Papa al G7: la tecnologia, traccia della nostra ulteriorità
Dopo i due Messaggi per la Pace e le Comunicazioni
Sociali, Papa Francesco torna sul tema dell'Intelligenza Artificiale
incontrando a Borgo Egnazia i rappresentanti del G7 nella Sessione comune –
Giovanni Tridente
“Siamo esseri sbilanciati verso il
fuori-di-noi, anzi radicalmente aperti all’oltre. Da qui prende origine la
nostra apertura agli altri e a Dio; da qui nasce il potenziale creativo della
nostra intelligenza in termini di cultura e di bellezza; da qui, da ultimo, si
origina la nostra capacità tecnica. La tecnologia è così una traccia di questa
nostra ulteriorità”.
Lo afferma Papa Francesco nel Discorso preparato per la
partecipazione alla Sessione comune dei lavori del G7 a Borgo Egnazia, in
Puglia, dedicata al tema dell’Intelligenza Artificiale e svoltasi venerdì 14
giugno, di cui ha letto una sintesi.
Una riflessione, quella svolta dal Pontefice, “sugli
effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità” e un appello
all’intera classe politica mondiale a svolgere un “sano” servizio che sia a
beneficio per tutti i popoli.
Strumento affascinante e tremendo
Nell’esordio del Discorso, il Papa ha evidenziato alcuni
elementi centrali che caratterizzano l’evoluzione tecnologica in atto,
riconoscendo innanzitutto che siamo comunque di fronte a “prodotti straordinari
del potenziale creativo di noi esseri umani”.
Di fatti, l’Intelligenza artificiale:
* è uno strumento estremamente potente, impiegato in
tantissime aree dell’agire umano (medicina, lavoro, cultura, comunicazione,
educazione, politica) » Vedi a questo proposito la nostra serie di podcast
“Anime digitiali”
* rappresenta una vera e propria rivoluzione
cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale
caratterizzato da complesse trasformazioni epocali (accesso al sapere,
progresso scientifico, superamento dei lavori usuranti)
* apre però al rischio di portare con sé una più grande
ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali
dominanti e ceti sociali oppressi (cultura dell’incontro vs. cultura dello
scarto)
Da qui l’osservazione che si tratta di uno strumento
senz’altro affascinante ma al tempo stesso tremendo, che richiede un’accurata
riflessione proprio perché “i benefici o i danni che essa [l’IA] porterà
dipenderanno dal suo impiego”, visto che “non è possibile separare la storia
dell’uomo e della civilizzazione dalla storia di tali strumenti”.
Libertà, responsabilità ed etica
Nel riconoscere che pur godendo di una radicale libertà
l’uomo può benissimo “pervertire i fini del suo essere”, bisogna fare in modo -
spiega Papa Francesco - che nello sviluppo delle tecnologie avanzate venga
“garantita la loro vocazione al servizio dell’umano”, cosicché ne rivelino “la
grandezza e la dignità unica”.
“Parlare di tecnologia è parlare di cosa significi essere
umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità,
cioè vuol dire parlare di etica”, ha aggiunto Francesco.
Dopo aver spiegato la differenza tra uomo e macchina,
ossia che il primo “non solo sceglie, ma in cuor suo è capace di decidere” con
saggezza (phronesis nella filosofia greca; sapienza nella Sacra Scrittura),
mentre la macchina si ferma a “una scelta tecnica tra più possibilità” basandosi
“su criteri ben definiti o su inferenze statistiche”, il Pontefice sottolinea
che occorre “garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo
dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza
artificiale: ne va della stessa dignità umana”.
Politica, giustizia, vita sociale ed educazione
A questo riguardo il Papa accenna ad almeno quattro
ambiti su cui la politica è chiamata a intervenire più direttamente, ma che
influiscono nella vita di qualunque società, visto il modo in cui
l’intelligenza artificiale può essere “istruita” e il meccanismo complesso con
cui opera (che il Papa pure spiega):
1. Bandire l’uso di “armi letali autonome”: “nessuna
macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita a un essere umano”
2. Limitarne l’uso nell’ambito della giustizia predittiva
(il Papa fa l’esempio di quei programmi che aiutano i magistrati nelle
decisioni relativa alla concessione dei domiciliari a detenuti in regime
carcerario e che non sono esenti da pregiudizi): “l’essere umano è sempre in
evoluzione ed è capace di sorprendere con le sue azioni, cosa di cui la
macchina non può tenere conto”
3. Stimolare il pensiero critico nell’ordinarietà della
vita sociale (Francesco avverte del rischio che si corre interagendo con
chatbots che simulano comportamenti e atteggiamenti umani, dimenticando che
l’IA “non è un altro essere umano e che essa non può proporre principi
generali”): “sofisticate o meno che siano, la qualità delle risposte che i
programmi di IA forniscono dipendono in ultima istanza dai dati che essi usano
e come da questi ultimi vengono strutturati”
4. Incidere in campo educativo avvertendo sui limiti
dell’Intelligenza Artificiale Generativa (Il Pontefice fa riferimento agli
alunni, spesso più preparati e abituati all’uso dell’IA rispetto ai loro
professori, ai quali va spiegato che l’IAgen non sviluppa concetti o analisi
nuove): “più che ‘generativa’, essa è quindi ‘rafforzativa’, nel senso che
riordina i contenuti esistenti, contribuendo a consolidarli, spesso senza
controllare se contengano errori o preconcetti”.
La dignità al centro
L’appello finale del Pontefice ai leader del G7 riuniti
per la Sessione comune è rivolto sostanzialmente a “rimettere al centro la
dignità della persona”, soprattutto tenendo conto della “particolare e inedita
congiuntura sociale” che il mondo sta attraversando: “sembra che si stia
perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie
fondamentali dell’Occidente: la categoria della persona umana”. Un vulnus
davvero rischioso per il futuro dell’uomo.
L’alternativa è ritornare all’etica, puntando su quei
“principi condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o
conflitti del vivere”, inclusa lo sviluppo di strumenti “sempre ordinati al
bene di ogni essere umano”.
Questa proposta del Pontefice è declinata nella Rome Call
for AI Ethics (di cui ci siamo occupati almeno QUI, QUI e QUI) e intende
superare il pericoloso “paradigma tecnocratico” di cui aveva già parlato nella
Laudato si’ e nella Fratelli Tutti.
Infine la chiamata diretta alla politica, anzi, alla
“sana politica”, che ha tra le mani il grande compito di reimpostare il sistema
economico, sociale, culturale e popolare per incanalare la creatività umana
verso progresso profittevole per tutti (cfr. Laudato si’, 191).
Dell’intelligenza artificiale, dunque, “spetta ad ognuno
farne buon uso e spetta alla politica creare le condizioni perché un tale buon
uso sia possibile e fruttuoso”. Anima digitale 14
"Ridere ma senza offendere i sentimenti religiosi dei credenti"
Il Papa oggi in Vaticano ha incontrato una rappresentanza
degli artisti del mondo dell’umorismo provenienti da diversi Paesi - Di Marco
Mancini
Città del Vaticano. “In Italia si dice che il sorriso fa
buon sangue, allora invece del discorso ridiamo tutti. Guardo con stima a
voi artisti che vi esprimete con il linguaggio della comicità, dell’umorismo,
dell’ironia, quanta saggezza c’è lì”. Lo ha detto il Papa, stamane, ricevendo
in udienza una rappresentanza degli artisti del mondo dell’umorismo provenienti
da diversi Paesi.
“Voi avete e coltivate il dono di far ridere. In mezzo a
tante notizie cupe, immersi come siamo in tante emergenze sociali e anche
personali, voi – ha aggiunto - avete il potere di diffondere la serenità e il
sorriso. Siete tra i pochi ad avere la capacità di parlare a persone molto
differenti tra loro, di generazioni e provenienze culturali diverse.
“A modo vostro – ha detto ancora il Papa - voi unite la
gente, perché il riso è contagioso. È più facile ridere insieme che da soli: la
gioia apre alla condivisione ed è il miglior antidoto all’egoismo e
all’individualismo. Ridere aiuta anche a rompere le barriere sociali, a creare
connessioni tra le persone. Il divertimento giocoso e il riso sono centrali
nella vita umana, per esprimersi, per imparare, per dare significato alle
situazioni. Il vostro talento è un dono prezioso. Insieme al sorriso diffonde
pace, nei cuori, tra le persone, aiutandoci a superare le difficoltà e a
sopportare lo stress quotidiano. Ci aiuta a trovare sollievo nell’ironia e a
prendere la vita con umorismo”.
“Quando riuscite a far sgorgare sorrisi intelligenti
dalle labbra anche di un solo spettatore – ha concluso il Pontefice - fate
sorridere anche Dio. La risata dell’umorismo non è mai contro qualcuno, ma è
sempre inclusiva, propositiva, suscita apertura, simpatia, empatia. Si può
ridere anche di Dio? Certo, come si gioca e si scherza con le persone che
amiamo. Si può fare ma senza offendere i sentimenti religiosi dei credenti,
soprattutto dei poveri”. Aci 14
Chiesa senza confini, chiesa sconfinata. Sfide e opportunità per le
comunità di altre lingue e riti
Sebastian Schwertfeger è vice capo del settore Pastorale
dell’arcidiocesi di Berlino. Ha partecipato come relatore al Convegno Nazionale
della Delegazione a Palermo, lo scorso ottobre. È uno degli organizzatori e
relatori del corso base su cura pastorale per credenti di altre lingue e riti
che si è tenuto a Fulda lo scorso gennaio. Questo articolo è stato tradotto dal
tedesco da Paola Colombo.
Gli anni ‘10 e ‘20 sono stati e sono inequivocabilmente
anni impegnativi per la Chiesa cattolica in Germania. Quasi nessun altro
periodo, a partire dal Concilio Vaticano II è stato e continua a essere
caratterizzato da processi di trasformazione come questo. Se si associa il termine
“Chiesa cattolica” a questi anni, vengono in mente parole come studi sugli
abusi, cambio di papa, percorso sinodale, diminuzione del numero di cattolici e
così via. Il cambiamento di peso della Chiesa cattolica in Germania è
chiaramente evidente. Contemporaneamente in molte (arci)diocesi sono in corso
processi pastorali che stanno cambiando strutture che sono care e apprezzate.
Tuttavia anche questi processi sono espressione inequivocabile di questa Chiesa
in trasformazione, perché a prescindere da come vengono chiamati, hanno un
comune denominatore: sono una reazione al calo del numero di fedeli, a una
flessibilizzazione del legame con la Chiesa, e sono una risposta anche alla
carenza di personale qualificato (preti, laiche e laici, personale amministrativo),
riguardano lo sviluppo immobiliare e nuove (più grandi) strutture parrocchiali.
Tuttavia, se si crede alle statistiche, un gruppo di
cattolici in Germania sembra sfidare questi sviluppi. Si tratta delle
cosiddette comunità di altre lingue e riti, che comprendono anche le comunità
italiane. Per decenni si è usato il termine “comunità di altra madrelingua” per
descriverle. Il termine è culturalmente insensibile. Non tutti i parrocchiani
hanno come lingua madre l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese,
l’italiano, ecc.
In queste parrocchie, il “vecchio” mondo cattolico sembra
essere ancora “in ordine”, senza alcun dubbio: Le funzioni domenicali sono ben
frequentate e le offerte culturali vengono accolte in gran numero. Ma è proprio
così e quali effetti si possono osservare?
La migrazione fa parte della Germania. La grave carenza
di manodopera era stata compensata con il reclutamento di personale
dall’estero, iniziata a metà degli anni Cinquanta. Diversi accordi bilaterali
portarono a un aumento del movimento migratorio. Sebbene nei contratti fosse
stato concordato un principio di rotazione, molti lavoratori migranti sono
rimasti. Perché non si dovrebbe rimanere nel Paese che si è contribuito a
costruire? Se le prospettive sono un soggiorno permanente, si è restii a
rimanere da soli. Così negli anni ‘70 c’è stato un forte ricongiungimento
familiare.
Quando le persone migrano, portano con sé un intero
pacchetto di “arredi interiori”.
Oltre alla propria personalità, plasmata dalle esperienze
biografiche, le persone portano con sé anche la lingua, le tradizioni/abitudini
nazionali e gli stili di vita religiosi.
Poiché la ricerca di manodopera si è inizialmente
concentrata in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, l’essere cattolici faceva
parte di quel bagaglio. Il numero particolarmente elevato di persone,
trasferite dall’estero, ha impattato anche sulla struttura delle parrocchie.
Questo afflusso ha comportato (e continua a comportare) una responsabilità
pastorale per le diocesi. Il Sinodo congiunto delle diocesi della Repubblica
federale di Germania – il cosiddetto Sinodo di Würzburg – ha aperto la strada a
un approccio sensibile alle migrazioni. Già nel 1976 si scriveva: “Per i
lavoratori stranieri e le loro famiglie che avevano stretti contatti con la
Chiesa nel loro Paese d’origine, le nuove condizioni di vita e le diverse forme
di vita ecclesiale presentano molti ostacoli che rendono difficile vivere la
loro fede nella nuova situazione. La chiesa locale deve quindi offrire loro
tutto l’aiuto di cui hanno bisogno per poter far fronte alle esigenze poste
alla loro fede qui”.
Dopo quasi cinquant’anni non è cambiata la missione di
offrire una casa nella Chiesa alle persone provenienti da altre nazioni.
In Germania ci sono circa 450 comunità di altre lingue e
riti, per un totale di oltre 3,5 milioni di fedeli. Si tratta di quasi il 16%
dei cattolici in Germania. Negli ultimi dieci anni il loro numero è rimasto
relativamente stabile, in controtendenza rispetto all’andamento nella Chiesa in
Germania. Se, ipotizziamo, la tendenza a uscire dalla Chiesa continuerà nei
prossimi anni, ma i numeri dei fedeli di altre lingue e riti rimarranno
stabili, crescerà la loro percentuale sul numero totale dei cattolici. Si può
ipotizzare che questo effetto sarà tuttavia solo temporaneo, a meno che non si
verifichi un nuovo movimento migratorio dai Paesi a maggioranza cattolica
romana.
E le comunità di altri riti e nazioni devono affrontare
ulteriori sfide: anche nelle comunità di altre lingue si avverte un problema
generazionale. Mentre per i nonni e i genitori le comunità erano ancora una
parte importante del sentirsi a casa in un Paese straniero, i giovani stanno
perdendo il loro legame sia con il paese di origine della famiglia che con la
chiesa. In molte comunità si sentono le voci rassegnate perché la generazione
più giovane non parla quasi più la lingua d’origine dei genitori. È inoltre
evidente che alcune comunità stanno invecchiando, una tendenza, che si
accentuerà nei prossimi anni. L’incertezza nell’offerta di sacerdoti dal Paese
d’origine e l’assottigliamento della generazione più giovane porteranno alla
contrazione di comunità, un tempo forti.
Queste sfide sono comuni alla “classica parrocchia di
lingua tedesca”. Pertanto, è ancora più necessario avvicinarsi e organizzare
insieme il lavoro pastorale. Le parrocchie di altre lingue e riti non sono solo
luoghi di vita ecclesiale, ma luoghi di organizzazione pastorale nelle
parrocchie e nelle diocesi.
Questo sviluppo, che richiede il coraggio di aprirsi, non
deve bloccarsi davanti alla preparazione comune per ricevere i sacramenti.
Battesimo, prima comunione e cresima non sono sacramenti di una sola nazione,
ma portano alla comunione nella Chiesa universale. Questo, tuttavia, non
significa ignorare le rispettive tradizioni religiose. Si tratta piuttosto di
capire come le tradizioni religiose possano arricchirsi reciprocamente e
addirittura possano contribuire a una maggiore comprensione religiosa. E poiché,
come sappiamo, l’amore non conosce confini, la cooperazione tra comunità di
altre lingue e riti con le parrocchie locali può arricchire la preparazione al
matrimonio.
Lo stesso vale per i carismi. Non sono esclusivi di una
comunità ecclesiale, di una nazione o di un gruppo linguistico. Servono a
costruire la Chiesa nel suo insieme. Prendersi cura dei poveri, dei malati e
delle persone sole è un compito di tutti.
Si dovrebbero promuovere punti di contatto tra le
comunità di altre lingue e riti e le parrocchie per permettere di organizzare
insieme il lavoro pastorale. Ad esempio, attraverso viaggi comuni per i
giovani, cori internazionali o la celebrazione congiunta di feste nell’anno
ecclesiastico.
Le (arci)diocesi e le associazioni possono dare il buon esempio
promuovendo la visibilità e la partecipazione delle comunità di altre lingue e
riti. Finora non esiste un’associazione giovanile che rappresenti le comunità
di altre lingue e riti, né i giovani di queste comunità sono significativamente
rappresentati nelle organizzazioni giovanili. Oppure esiste un’associazione di
giovani cattolici italiani in Germania?
La diversità culturale fa parte della natura della
Chiesa. Questa diversità culturale deve riflettersi anche nel personale dei
ministeri pastorali stessi, il che non riguarda solo i sacerdoti, ma anche
altre professioni.
La sfida del cambiamento nella Chiesa cattolica in
Germania, descritta all’inizio, offre l’opportunità di una comunione
interculturale contemporanea attraverso la partecipazione attiva di comunità di
altre lingue e riti, che rende la Chiesa universale una realtà. Tuttavia, ciò
richiede coraggio e la consapevolezza della necessità di uscire dalla nicchia
pastorale a cui ci siamo abituati. È come alzarsi al mattino: Chi, per
comodità, usa ripetutamente la funzione snooze della sveglia, per alzarsi più
tardi, non deve poi sorprendersi se finisce per correre dietro all’autobus. Le
parrocchie hanno bisogno di questo coraggio di mettersi in cammino proprio come
le comunità di altre lingue e riti. Quando si tratta di partire e di arrivare
in un mondo nuovo, i membri di altre lingue e riti hanno un vantaggio in
termini di esperienza, che può essere utile.
Sebastian Schwertfeger, CdI giugno/luglio
"I movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali"
Udienza ai partecipanti all’Incontro annuale con i
moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove
comunità - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. Riflettere sulla sinodalità e sulla
chiusura dei movimenti. Questo è l'invito che Papa Francesco ha rivolto ai
partecipanti all’Incontro annuale con i Moderatori delle associazioni di
fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, promosso dal Dicastero
per i Laici, la Famiglia e la Vita sul tema “La sfida della sinodalità per la
missione”.
"Sono contento di incontrarvi, e colgo l’occasione
per riflettere con voi sulla sinodalità, che avete scelto come tema della
vostra giornata di incontro. Più volte ho ripetuto che il cammino sinodale
richiede una conversione spirituale, perché senza un cambiamento interiore non
si raggiungono risultati duraturi. Il mio desiderio, infatti, è che, dopo
questo Sinodo, la sinodalità rimanga come modo di agire permanente nella
Chiesa, a tutti i livelli, entrando nel cuore di tutti, pastori e fedeli, fino
a diventare uno stile ecclesiale condiviso. Tutto ciò, però, richiede un
cambiamento che deve avvenire in ognuno di noi, una vera e propria
conversione”, commenta il Pontefice ai presenti in Udienza.
"È stato un cammino lungo. Pensate che il primo che
ha visto che c’era bisogno della sinodalità nella Chiesa latina è stato San
Paolo VI, quando dopo il Concilio ha creato il Segretariato per il Sinodo dei
Vescovi. La Chiesa orientale aveva conservato la sinodalità, invece la Chiesa
latina l’aveva persa. È stato San Paolo VI ad aprire questa via. E oggi, a
quasi 60 anni, possiamo dire che la sinodalità è entrata nel modo di agire
della Chiesa. La cosa più importante di questo Sinodo sulla sinodalità non è
tanto trattare questo problema o quell’altro. La cosa più importante è il
cammino parrocchiale, diocesano e universale nella sinodalità", dice
Francesco.
Pensare secondo Dio, superare ogni chiusura e coltivare
l’umiltà. Questi i tre consigli del Papa.
Pensare secondo Dio. "Ecco il primo grande
cambiamento interiore che ci viene chiesto: passare da un pensiero solo umano
al pensiero di Dio”, dice Francesco. "Quello che io ho in mente, quello
che noi come gruppo abbiamo in mente, è veramente il “pensiero di Dio”?, questa
la domanda del Papa.
"Dio è sempre più grande delle nostre idee, è più
grande della mentalità dominante, delle “mode ecclesiali” del momento, anche
del carisma del nostro particolare gruppo o movimento. Perciò, non diamo mai
per scontato di essere “sintonizzati” con Dio: cerchiamo piuttosto sempre di
elevarci al di sopra di noi stessi per convertirci a pensare secondo Dio e non
secondo gli uomini", sottolinea Papa Francesco.
Secondo: "superare ogni chiusura". "Stiamo
attenti per favore alla tentazione del “cerchio chiuso”. I Dodici erano stati
scelti per essere il fondamento del nuovo popolo di Dio, aperto a tutte le
nazioni della terra, ma gli Apostoli non colgono questo orizzonte grande: si
ripiegano su sé stessi e sembrano voler difendere i doni ricevuti dal Maestro –
guarire i malati, cacciare i demoni, annunciare il Regno – come se fossero dei
privilegi", dice Francesco.
"La sinodalità ci chiede invece di guardare oltre
gli steccati con grandezza d’animo, per vedere la presenza di Dio e la sua
azione anche in persone che non conosciamo, in modalità pastorali nuove, in
ambiti di missione in cui non ci eravamo mai impegnati prima; ci chiede di
lasciarci colpire, anche “ferire” dalla voce, dall’esperienza e dalla
sofferenza degli altri: dei fratelli nella fede e di tutte le persone che ci
stanno accanto", commenta Papa Francesco.
Coltivare l’umiltà. "Comprendiamo qui che la
conversione spirituale deve partire dall’umiltà, che è la porta d’ingresso di
tutte le virtù. A me fa tristezza quando trovo cristiani che si vantano: perché
io sono prete da qui, o perché sono laici da là, perché io sono di questa
istituzione... Questa è una cosa brutta. L’umiltà è la porta, è l’inizio. E
anche questo ci spinge a interrogarci: ma io cosa cerco davvero nei rapporti
con i miei fratelli di fede? Perché porto avanti certe iniziative nella
Chiesa?", sottolinea il Papa.
Francesco mette in evidenza che "i movimenti
ecclesiali sono per il servizio, non per noi stessi. È triste quando si sente
che “io appartengo a questo, all’altro, all’altro”, come se fosse una cosa
superiore. I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé
stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire".
Il Papa conclude dicendo che "i movimenti chiusi
vanno cancellati, non sono ecclesiali". Aci 13
Monaco di Baviera. Deceduta suor Zaira. L’amore che non finisce qui
“Fate festa perché sono con Gesù” ha detto suor Zaira
Dovico del Bell’Amore. Il fratello ripercorre le tappe della sua vita. La suora
del Bell’Amore è scomparsa il 26 maggio scorso, dove operava da 12 anni.
Ricordiamo suor Zaira con il racconto del fratello Ermes,
pubblicato per gentile concessione dell’autore. Moltissime le manifestazioni di
affetto e preghiera da parte della comunità cattolica di Monaco di Baviera,
dove operano le suore del Bell’Amore; la ricordano i giovani che ha
accompagnato lo scorso anno al meeting di Friburgo, la ricordano tutti coloro
che l’hanno conosciuta poco tempo fa, a Palermo lo scorso ottobre, al Convegno
Nazionale della Delegazione. (Udep)
“Comunque sarà, cado nelle mani del Dio vivente. Noi non
sappiamo il disegno d’amore che Lui ha su ciascuno di noi. Non ti mancherà
niente perché, se vado in Paradiso prima di te, hai voglia di grazie che potrò
ottenere». Queste sono solo alcune delle parole che suor Zaira Dovico (25
novembre 1974 – 26 maggio 2024), mia sorella, ha pronunciato lo scorso 26
aprile, un mese prima di morire, rivolgendosi direttamente – in mia presenza –
a nostra madre, giunta il giorno precedente a Monaco di Baviera per stare al
suo capezzale. Quelle parole racchiudono i capisaldi che suor Zaira, come già
quando era in salute, ha trasmesso durante tutta la sua malattia: la fede nella
risurrezione, la certezza di un Dio che ci ama, la comunione dei santi. Se non
credessimo a questa realtà, «saremmo pagani», come ricordava ancora lei, anche
in siciliano, per rendere il concetto più efficace. I primi sintomi della
malattia li aveva avvertiti tra gennaio e febbraio di quest’anno, tra
un’attività e l’altra nella “sua” Monaco. Qui c’è una piccola comunità di Suore
del Bell’Amore, istituto fondato nel 1994 a Palermo da suor Nunziella
Scopelliti e di cui Zaira è stata una delle prime figlie, dato che proprio in
quel periodo iniziava il suo cammino di preparazione ai voti religiosi. In
Baviera si era trasferita stabilmente nell’aprile 2012, portandovi la gioia e
il sorriso – uniti a un carattere determinato – che chi l’ha incontrata conosce
benissimo. «Ci hai unito non solo ai nostri figli ma anche ad altre famiglie»,
recita una delle varie lettere a lei dedicate, che noi familiari abbiamo
ricevuto in questi giorni da amici italiani a Monaco e che riflette quanto ci è
stato raccontato, per iscritto o a voce, da altri testimoni sia in Germania che
in Italia.
«Con parole semplici ci trasmettevi il tuo amore per Gesù
e Maria e ci indicavi la strada della fede. Ci hai insegnato ad unirci nella
preghiera per gli altri. E pregando abbiamo visto grandi cose, abbiamo visto la
presenza di Gesù tra noi». Questa presenza, che il Signore stesso ci ha
promesso (Mt 18,19-20), si è manifestata in tutta una serie di grazie, molte
“invisibili” e più spirituali, altre ancora più tangibili, che rispondono ognuna
a un nome preciso. Si è manifestata in mezzo ai bambini, verso i quali mia
sorella nutriva, anzi, nutre un amore particolare. Si è manifestata tra gli
ammalati, l’altro suo grande campo di apostolato a Monaco. Andava di ospedale
in ospedale per portare conforto.
Nel settembre scorso suor Zaira aveva celebrato il 25°
anniversario dei suoi voti. Era stata una festa indimenticabile, con una
partecipazione ben al di là delle attese. Alla rivista della comunità di
Monaco Contatto mia sorella aveva raccontato com’era nata la sua
vocazione, di come l’incontro con la persona viva di Gesù era diventato per lei
«un’esperienza di felicità», ciò che più di tutto dava senso alla sua vita, che
pure le ha sorriso fin dall’infanzia, ricca com’era di amici, «monellerie», come
le chiamava lei stessa, capacità nello studio e interessi vari, come la danza
classica, in cui primeggiava. «Più andavo avanti – raccontava – più
la mia gioia (…) si rivelava dono e frutto della relazione con Dio per la quale
aderivo profondamente a tutti gli aspetti della vita, incluso il dolore.
Infatti, anche quando soffrivo o quando i miei sbagli svegliavano nella
coscienza il dolore di aver offeso Gesù, più forte era la fiducia nel suo
Amore, rimettevo la mia mano nella sua e continuavo il cammino». Questo
percorso sarebbe poi culminato nell’adesione al carisma del Bell’Amore, tra
quelle suore che, «non vogliono lasciare solo Gesù nella Chiesa, piagata in
ogni tempo da vari mali, e vogliono vivere in comunione con Maria senza
scandalizzarsi della croce» e proponendosi di essere segno, nei vari rapporti
interpersonali, della «bellezza della comunione trinitaria». Questo è il primo
punto del carisma del Bell’Amore, che suor Zaira richiamava ancora a settembre,
tanto alla fine del racconto della sua vocazione quanto alla fine di un breve
discorso a braccio sul senso della nostra vita quaggiù («un pellegrinaggio
verso il Cielo»).
Della croce non si è scandalizzata, neanche quando l’ha
toccata direttamente. A marzo di quest’anno ha avuto la diagnosi di un tumore
in metastasi in varie parti del corpo, diagnosi che è stata definita
completamente solo durante il ricovero, protrattosi per tutti gli ultimi 73
giorni della sua vita terrena. Ho avuto la grazia di poter stare a lungo
accanto a lei e posso testimoniare – come altri cari, le suore e gli amici che
hanno potuto farle compagnia, chi quotidianamente, chi solo per qualche
manciata di minuti – la serenità che ha avuto lungo tutto il corso della
malattia, insieme all’indole gioiosa e le risate di sempre. Certo, ci sono
stati giorni e momenti più difficili di altri, ma questa serenità è andata
perfino crescendo, grazie al sostegno della sua fede e alle innumerevoli
preghiere che sono state elevate per lei, anche da perfetti estranei, coinvolti
da noi familiari, da amici, e amici degli amici… Abbiamo chiesto, in special
modo attraverso una novena, la grazia della guarigione, se questa fosse tornata
a maggior gloria di Dio. Ma nei santi disegni di Dio questa maggior gloria
doveva passare non da una guarigione fisica, bensì da una morte santa, come mia
sorella ha intuito benissimo: aveva capito – e perciò mi aveva citato santa
Bernadette – di dover essere, attraverso l’accettazione di questa croce,
strumento per gli altri. La Madre celeste l’ha accompagnata, con san Giuseppe e
gli altri santi, lungo tutto questo cammino. «Sarebbe bello andare in Paradiso
a maggio, nel mese della Madonna», aveva detto il 29 aprile. Sentiva di essere
una sposa prediletta del Signore, sostenuta dalla salda speranza della vita
eterna. Perciò, sapendo vicino l’estremo momento, aveva lasciato questo
“testamento” a suor Nunziella: «Fate festa, perché sono con Gesù!». CdI
giugno/luglio
“La preghiera del povero sale verso Dio”: il tema della VIII Giornata
Mondiale dei poveri
Città del Vaticano. “La preghiera del povero sale verso
Dio”. Questa esortazione del libro del Siracide, dell’antico autore sacro Ben
Sira, è stata scelta da Papa Francesco come tema per la VIII Giornata Modiale
dei Poveri, che si terrà il prossimo 17 novembre 2024. E nel messaggio Papa
Francesco si scaglia contro l’arroganza che provoca guerre, affermando: “Quanti
nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime
innocenti!” In fondo, aggiunge, “siamo poveri di pace e tendiamo le mani per
accoglierla come dono prezioso e nello stesso tempo ci impegniamo a ricucirla
nel quotidiano”.
Nata a seguito dell’Anno Santo Straordinario della
Divina Misericordia, la Giornata Mondiale dei Poveri si celebra ogni anno nella
XXXIII domenica del Tempo Ordinario, che cade quest’anno il 17 novembre. Sarà
il giorno in cui Papa Francesco presiederà la celebrazione eucaristica e poi
pranzerà con alcuni poveri in Aula Paolo VI su iniziativa del Dicastero per la
Carità, mentre il Dicastero per la Evangelizzazione si renderà protagonista di
diverse iniziative benefiche per i bisognosi.
La giornata era organizzata inizialmente
dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione,
ora confluito nel Dicastero dell’Evangelizzazione, negli scorsi anni si è
distinta anche per lo stabilimento di un presidio medico – sanitario per i
poveri in piazza San Pietro.
Tema di quest’anno è dunque l’esortazione del Siracide.
Secondo un comunicato del Dicastero per l’Evangelizzazione, con questo motto
“il Papa ribadisce che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio,
che è attento e vicino a ognuno di loro. Dio ascolta la preghiera dei poveri e,
davanti alla sofferenza, diventa ‘impaziente’ fino a quando non ha reso loro
giustizia”.
Come tradizione, la settimana precedente alla Giornata
tutte le comunità parrocchiali e diocesane saranno chiamate a porre al centro
delle loro attività pastorali l'attenzione per le esigenze dei poveri del
proprio quartiere attraverso dei segni concreti.
Nel messaggio, Papa Francesco si sofferma sulla figura di
Ben Sira, che “intende trasmettere a tutti la via da seguire per una vita
saggia e degna di essere vissuta davanti a Dio e ai fratelli”, e che dedica
molto spazio alla preghiera, che dichiara di aver cercato la Sapienza sin dalla
giovinezza fino a scoprire “una delle realtà fondamentali della rivelazione,
cioè il fatto che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, a tal
punto che, davanti alla loro sofferenza, Dio è ‘impaziente’ fino a quando non
ha reso loro giustizia”.
Nessuno – nota Papa Francesco – è escluso dal cuore di
Dio, e “tutti siamo mendicanti, perché senza Dio non saremmo nulla”, e, sì, “la
mentalità mondana chiede di diventare qualcuno, di farsi un nome a dispetto di
tutto e di tutti, infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare
ricchezza”, ma questa è una “triste illusione” e “la violenza provocata dalle
guerre mostra con evidenza quanta arroganza muove chi si ritiene potente
davanti agli uomini, mentre è miserabile agli occhi di Dio”.
Denuncia Papa Francesco: “Quanti nuovi poveri produce
questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti! Eppure,
non possiamo indietreggiare”.
Papa Francesco sottolinea che nell’anno della preghiera,
c’è bisogno della preghiera del povero e di pregare per loro, afferma che
“l’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede;
hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia,
la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta
di un cammino di crescita e di maturazione nella fede”.
C’è bisogno di coraggio per diventare mendicante, pronto
a riconoscerci come “povero e bisognoso”, anche perché il vero povero è l’umile
il quale “non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su
sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di
Dio, davanti al quale sta come il figlio prodigo che torna a casa pentito per
ricevere l’abbraccio del padre”.
Il povero, insomma, non ha altro che Dio, ed è vero –
scrive il Papa – che “a volte chiediamo di essere liberati da una miseria che
ci fa soffrire e ci umilia e Dio sembra non ascoltare la nostra invocazione”,
ma “il silenzio di Dio non è distrazione dalle nostre sofferenze; piuttosto,
custodisce una parola che chiede di essere accolta con fiducia, abbandonandoci
in Lui e alla sua volontà”.
Papa Francesco ricorda che la Giornata Mondiale dei
Poveri è diventata “un appuntamento per ogni comunità ecclesiale”, una
“occasione propizia per realizzare iniziative che aiutano concretamente i
poveri, e anche per riconoscere e dare sostegno ai tanti volontari che si
dedicano con passione ai più bisognosi”, ma allo stesso tempo va ricordato che
“la carità senza preghiera rischia di diventare filantropia che presto si
esaurisce”, e allora siamo chiamati a “evitare questa tentazione ed essere
sempre vigili con la forza e la perseveranza che proviene dallo Spirito Santo
che è datore di vita”.
Il Papa ricorda che Madre Teresa di Calcutta “ripeteva
continuamente che era la preghiera il luogo da cui attingeva forza e fede per
la sua missione di servizio agli ultimi”, tanto che “quando, il 26 ottobre
1985, parlò nell’Assemblea Generale dell’ONU, mostrando a tutti la corona del
Rosario che teneva sempre in mano”.
Altro esempio è quelo di San Benedetto Giuseppe Labre
(1748-1783), il quale “trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i
poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con
la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e
l’Imitazione di Cristo”, dormendo in un angolo delle rovine del Colosseo.
Guardando al prossimo Giubileo, Papa Francesco esorta
“ognuno a farsi pellegrini di speranza”, custodendo “piccoli particolari
dell’amore”.
“In questo tempo – conclude Papa Francesco - in cui il
canto di speranza sembra cedere il posto al frastuono delle armi, al grido di
tanti innocenti feriti e al silenzio delle innumerevoli vittime delle guerre,
rivolgiamo a Dio la nostra invocazione di pace”. Perché – aggiunge – “siamo
poveri di pace e tendiamo le mani per accoglierla come dono prezioso e nello
stesso tempo ci impegniamo a ricucirla nel quotidiano”. Andrea Gagliarducci, Aci 13
Setta, come esperienza estrema di comunità
Leggiamo la Bibbia con il teologo Simone Paganini – Tema
2024: Le sette religiose
Quando Gesù iniziò la sua attività pubblica come
predicatore itinerante sulle strade della Galilea da subito formò intorno a sé
un gruppo di persone che non solo condividessero il suo pensiero, ma anche che
lo aiutassero nel suo ministero. Alcune persone le ha scelte lui direttamente,
molte altre invece si sono aggregate al gruppo di loro spontanea volontà.
I vangeli sono unanimi nel descrivere lo sviluppo di
questo gruppo che nei momenti di massima espansione può essere nutrito solo
mediante miracolose moltiplicazioni di pani e pesci, ma che, nei momenti di
crisi, si riduce a poche donne che da lontano guardano Gesù e la processione dei
condannati verso il luogo della crocifissione.
Le fonti antiche sono tuttavia concordi nel descrivere il
successo di predicatori carismatici misurandolo nel numero dei discepoli che si
radunano intorno al predicatore. La cosa non è cambiata fino ad oggi.
Il Nuovo Testamento descrive come Gesù o – storicamente
più plausibile – i suoi discepoli abbiano dato a questo gruppo una chiara
struttura organizzativa ed amministrativa. Il nome che scelsero per definirlo
non era molto fantasioso, lo chiamarono semplicemente “comunità”. Naturalmente
lo fecero in greco, la lingua franca del mondo di allora, e utilizzarono quindi
il termine “ekklesia”, vocabolo che poi latinizzato divenne il nostro “chiesa”.
La chiesa è quindi originariamente niente altro che la
denominazione di questa prima comunità che fa da modello a tutte le forme di
comunità religiose che si sono sviluppate in seguito.
Il processo sociologico che ha fatto nascere la prima
chiesa intorno al primo gruppo di seguaci di Gesù è riconoscibile durante tutto
il corso della storia, in gruppi che si formano quasi automaticamente intorno
alla figura carismatica di un fondatore. Questo vale sia all’interno della
chiesa stessa sia nel caso della formazione di ordini religiosi – san Francesco
fonda la comunità dei Francescani, san Giovanni Bosco quella dei salesiani ecc.
–, che sono quasi comunità particolari all’interno di una comunità universale,
ma vale anche per la nascita di “chiese alternative” a quella cattolica, come
ad esempio quella protestante, venutasi a formare attorno alla figura di
Lutero, o quella calvinista, creatasi intorno a Calvino ecc.
La nascita di queste comunità è causata da un momento di
crisi o dalla capacità carismatica dei fondatori. La nascita di una setta e
ancor di più l’acquisizione di nuovi adepti è ancora oggi decisamente collegata
a questo aspetto dell’essere e sentirsi comunità.
Una comunità infatti è prima di tutto un luogo protetto,
dove si possono esprimere senza timore tra persone che hanno un pensiero simile
le proprie convinzioni, quindi è anche un luogo che dà sicurezza, perché il
modo di concepire il mondo da parte dei membri è condiviso. Una comunità è
anche il luogo fisico dove ci si ritrova, si celebrano rituali, si fanno
esperienze insieme.
Non è un caso che molte sette presenti nella società
contemporanea facciano dell’aspetto comunitario un elemento centrale della loro
costituzione. Se sette e movimenti religiosi attivi già nel secolo scorso –
Mormoni, Testimoni di Geova, diverse chiese evangelicali libere ecc. – cercavano
di riproporre strutture tipiche della chiesa cattolica, sia per la gerarchia
che per la struttura, numerosi movimenti religiosi e sette moderne hanno
piuttosto la tendenza a sottolineare l’aspetto comunitario come modo per
fuggire all’anonimità della società moderna, trovare supporto e sostegno.
Il sentimento di comunità svolge un ruolo importante in
quanto contribuisce a rafforzare il legame tra i membri e a creare un senso di
appartenenza. Il senso di comunità e di appartenenza sono quindi fondamentali
per rafforzare l’impegno dei membri e legarli al gruppo. Attraverso rituali,
attività e credenze condivise, che si esprimono anche in un vocabolario e una
gestualità comune, si crea un’atmosfera in cui i membri si sentono parte di
un’esperienza speciale.
L’altra faccia della medaglia implica però anche il fatto
che il senso di comunità può essere utilizzato anche per consolidare il
controllo sui membri. Creando una forte identità di gruppo e promuovendo
l’interdipendenza tra le persone e nei confronti dei leader, i gruppi settari
possono limitare l’autonomia e le scelte individuali dei loro membri. Questo fa
sì che i membri siano meno critici nei confronti degli insegnamenti e delle
pratiche del gruppo e più disposti a seguire le istruzioni dei leader, senza
riconoscere che queste possono essere nocive o manipolative.
Un esempio limite è quello della setta americana Heaven’s
Gate (porta del cielo). I membri di questo gruppo credevano nella possibilità
di liberarsi dal proprio corpo fisico per raggiungere l’illuminazione finale.
Nonostante la natura estrema di queste credenze, i membri della setta sentivano
un forte legame tra loro basato sulla condivisione della loro missione e sulle
loro credenze spirituali. Questo forte legame comunitario ha contribuito a far
sì che i membri fossero disposti a prendere misure estreme per seguire le loro
credenze, anche se ciò significava la loro stessa morte in un suicidio
collettivo al fine di liberarsi dalle catene corporee.
Il senso di comunità non è negativo di per sé, ma
all’interno di gruppi settari può essere estremamente radicalizzato e quindi
utilizzato per manipolare ed esercitare un controllo sui membri. Simone
Paganini, CdI giugno/luglio
Patriarca d’Occidente: perché è stato riutilizzato questo titolo?
Primato e Sinodalità nei Dialoghi ecumenici è una
panoramica su tutto il dibattito ecumenico, e include una proposta concreta su
come trovare le nuove forme dell’esercizio petrino - Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Era tornato in sordina, senza alcun annuncio
né spiegazione, il titolo di Patriarca di Occidente associato al Papa. E la
spiegazione della scelta si trova nell’ultimo documento licenziato dal
Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Primato e Sinodalità nei
Dialoghi Ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut Unum Sint.
Si tratta di un documento dalla lunga gestazione, una
sorta di sommario ragionato di tutti i dibattiti ecumenici e delle varie
commissioni e sottocommissioni di dialogo che si sono stabilite e delineate in
questi ultimi anni di ecumenismo, e di come il dibattito abbia avuto nuova
linfa dall’idea di una forma rinnovata dell’esercizio del Ministero Petrino
contenuta nell’enciclica Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II. Ma il documento
prevede anche una parte finale, che ne è poi il vero cuore: 30 punti per
definire le proposte concrete del dicastero per andare davvero verso questa
nuova forma di esercizio del ministero petrino, e quattro raccomandazioni, che
vanno dalla ricomprensione ed eventuale riformulazione di alcuni insegnamenti
del Concilio Vaticano I
Senza chiedere al lettore di arrivare in fondo
all’articolo per conoscere i dettagli di un documento molto lungo (151 pagine,
con la prima parte suddivisa i 181 punti e la seconda in ulteriori 30, con una
vasta appendice bibliografica che rimanda ai documenti), basti sapere che
le proposte concrete riguardano prima di tutto il fatto che primato e
sinodalità vanno di pari passo; che il vocabolario ecumenico va chiarito e va
chiarita anche l’espressione Chiesa universale; che si guardi anche ad un nuovo
esercizio del primato strutturato sulla diakonia, ovvero sul servizio,
guardando agli sviluppi dei cosiddetti “dialoghi della carità” o “dialoghi
della vita” portati avanti attraverso la preghiera e la testimonianza comune
negli ultimi anni.
Ma soprattutto, si chiede di fare una distinzione più
chiara tra le diverse responsabilità del Papa, ovvero di capo della Chiesa
cattolica e del suo ministero patriarcale nella Chiesa latina e il suo
ministero primaziale delle Chiese alla distinzione dei vari ruoli del Papa –
includendo la distinzione tra patriarca di occidente e primate della Chiesa
universale -, e da un maggiore sviluppo della sinodalità nella Chiesa Cattolica
alla necessità di avere più comunione conciliare tra le Chiese, come successo
nell’incontro di Bari del 2018.
Patriarca di Occidente
Ed è qui che si trova la risposta alla domanda del perché
è tornato il titolo di Patriarca d’Occidente riferito al Papa. Benedetto XVI
aveva fatto accompagnare la scomparsa del titolo con una riflessione del
dicastero ecumenico in cui si notava che proprio il termine “occidente” ormai
riguardava un fatto culturale, non più geografico, e non si riferiva solo alla
Chiesa di rito latino, mentre il ministero del Papa era comunque universale.
C’erano state preoccupazioni che l’eliminazione del titolo portasse poi alla
considerazione di una più ampia giurisdizione papale. Ora si dà risposta a
quelle preoccupazioni, in pratica ricreando una divisione tra Oriente e
Occidente che forse è di difficile comprensione al mondo moderno – e basti
pensare alle Chiese sui iuris di rito bizantino come la Chiesa Greco Cattolica
Ucraina che ha comunque un impatto globale ed eparchie in tutto il mondo
cosiddetto occidentale.
Nel suo intervento nella conferenza stampa di
presentazione, il Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani, sottolinea che “quando Benedetto XVI ha cancellato
questo titolo e quando Papa Francesco ha reinserito questo titolo non hanno
commentato”, ma che comunque il Cardinale è convinto che entrambi lo hanno
fatto “in rispetto ecumenico. Mi sembra importante distinguere tra dimensione
patriarcale e il titolo patriarca dell’Occidente. Abbiamo la visione di dover rivedere
le funzioni del primato del vescovo di Roma. Ma il titolo di Patriarca
dell’Occidente è oggi un po’ difficile, perché la maggioranza della Chiesa
cattolica non è più in occidente – è in America Latina, in altri continenti – e
in questo senso è difficile parlare di Papa Patriarca dell’Occidente”
La preoccupazione ecumenica di Papa Francesco
Ecco, allora, che vengono connotati di nuova luce diversi
gesti di Papa Francesco, perché è essenziale – si legge nel documento –
evidenziare che il vescovo di Roma, che “presiede nella carità tutte le
Chiese”. Per questo, il documento ritiene “è notevole che Papa Francesco abbia
sottolineato il suo titolo di Vescovo di Roma fin dalle sue prime parole
pubbliche dopo l’elezione”, e poi “più recentemente, l’elencazione degli altri
suoi titoli pontificali come ‘storici’ (cfr. Annuario Pontificio 2020), può
contribuire a una nuova immagine del papato”, mentre “allo stesso modo, alla
cattedrale della diocesi di Roma è stato dato un maggiore risalto da quando i
recenti documenti e la corrispondenza papale sono stati firmati da San Giovanni
in Laterano, una chiesa che potrebbe giocare un ruolo più significativo anche
all’inaugurazione di un nuovo pontificato”.
Il documento lamenta comunque che “tuttavia, la
terminologia utilizzata nei documenti ufficiali cattolici e nelle dichiarazioni
riguardanti il ministero del Papa spesso non riflette questi sviluppi e manca
di sensibilità ecumenica”.
E certo che questa preoccupazione ecumenica si è vista
anche in occasione della dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede
Fiducia Supplicans sulla benedizione delle persone in situazioni irregolari,
che ha visto anche una reazione molto dura della Chiesa Ortodossa Copta, la
quale ha sospeso il dialogo ecumenico. Il cardinale Victor Manuel
Fernandez, prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede, è poi stato al
Cairo per spiegare il documento.
Racconta il cardinale Koch: “Fiducia Supplicans ha creato
molti problemi, pensiamo all’Africa: è la prima volta che un continente quasi intero
si oppone ad un documento. Personalmente, ho ricevuto già prima di Natale una
lettera del co-presidente della commissione per il dialogo Cattolico –
Ortodosso Orientale, che è copto ortodosso, il quale chiedeva di discutere del
tema nella plenaria e si era chiesto al Cardinale Fernandez di spiegare il
documento. Non è stato possibile perché il Cardinale Fernandez era impegnato
nella plenaria del suo dicastero. Si è mandata una nota scritta, ma gli
orientali hanno ritenuto che la risposta non fosse sufficiente. Abbiamo parlato
con il Papa, e poi si è deciso di fare passo di andare in Egitto e speriamo si
possano superare questi problemi”
Le questioni teologiche fondamentali
Il documento serve anche a fare un po’ di storia,
considerando che il lavoro sul rapporto tra primato e sinodalità è stato il
focus della Commissione Internazionale Mista per il dialogo teologico tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa dal 2006, e che è stato affrontato nel
famoso documento di Ravenna del 2007 – in cui si accettò una forma di primato
del vescovo di Roma, anche se poi non c’era accordo sulla definizione stessa di
primato – ma anche nel documento di Chieti 2016 e poi di Alessandria 2023, in
cui si cerca una lettura comune su sinodalità e primato rispettivamente nel
primo e nel secondo millennio.
Tuttavia, si nota che ci sono quattro questioni
teologiche fondamentali che riemergono costantemente: i fondamenti
scritturistici del ministero petrino, lo jus divinum, il primato di
giurisdizione, l’infallibilità. Non è un caso che il prossimo documento della
commissione mista cattolico-ortodossa affronterà prooprio il tema
dell’infallibilità. Aci 13
Islam, prospettive. Intervista a p. Körner, noto islamologo
Nei mesi scorsi abbiamo pubblicato una serie di articoli
per conoscere un po’ il Corano e per vedere alcune differenze sostanziali dal
cristianesimo sul modo di concepire per esempio Gesù e Maria di Nazareth.
L’approccio è quello rispettoso della conoscenza verso un’altra religione.
Concludiamo questo ciclo con una conversazione con padre Felix Körner, della
compagnia del Gesù, profondo conoscitore dell’Islam.
Padre Felix Körner, entrato nell’ordine dei gesuiti nel
1985, ha conseguito due dottorati, uno in Studi islamici e uno in teologia
cattolica. Ha trascorso sei anni in Turchia nella comunità cattolica locale e
in dialogo con teologhe e teologi islamici. A Roma per 11 anni, è stato
professore alla Pontificia Università Gregoriana. È titolare della “Cattedra
Nikolaus Cusanus di teologia delle religioni” presso l’Istituto centrale di
teologia cattolica della Humboldt-Universität di Berlino. Recente è la
pubblicazione anche in italiano del suo “Religione politica. Come cristianesimo
e Islam configurano il mondo” (Queriniana Edizioni).
Padre Körner, Lei è un islamologo di fama internazionale,
impegnato nel dialogo interreligioso. Si è occupato di esegesi del Corano, ha
vissuto diversi anni ad Ankara, vorrei rivolgerle alcune domande, raccogliendo
una palpabile diffidenza nei confronti dell’Islam, un serpeggiante timore nei
confronti dei musulmani perché ci sono stati attacchi terroristici in Europa
negli anni scorsi da parte dell’Isis e di loro “lupi solitari”, perché vediamo
la posizione di inferiorità e subordinazione delle donne (Iran e Afghanistan
sono feroci nella repressione delle libertà delle donne), perché giovani
musulmani nelle strade del centro delle nostre città cercano proseliti. Siamo
confrontati con questa immagine aggressiva dell’Islam. Guardiamo con
preoccupazione a casi di conversione all’Islam da parte di giovani uomini e
donne delle nostre comunità italiane in Germania per motivi di amore. D’altro
canto ci sono esempi di tutt’altro tenore: una giovane mia conoscente di
origine marocchina, cresciuta in Europa con una educazione laica, riscopre il
Ramadan, festeggia la fine del Ramadan, riscopre le sue tradizioni religiose,
ritrova una parte delle sue origini, una parte della sua identità e nello
stesso tempo partecipa a una funzione religiosa cristiana con un suo amico, con
il rispetto e la curiosità di vedere come altri pregano e lodano Dio.
Detto questo, padre Körner, sappiamo dalla storia, come
l’Islam nell’epoca che noi chiamiamo Medioevo, era una grande civilizzazione di
riflessione, ricerca e apertura e pluralità di opinioni. Come mai non vediamo
oggi molte manifestazioni di una tale cultura tra i musulmani?
Dobbiamo cominciare in modo generico. Si può osare a dire
che una cultura è aperta alle nuove idee ed è tollerante nei confronti della
pluralità quando si considera vincente.
Questa è un’osservazione, mi vien da dire, applicabile in
molti altri contesti. Ma non mi allargo. Che cosa intende per cultura vincente?
Vincente in modo militare?
Certamente, no. Quando dico vincente voglio dire che una
civilizzazione è abbastanza rilassata e serena nella propria diversità e
specificità quando non si vede esistenzialmente minacciata da nemici – nemici
interni ed esterni. Ma dobbiamo parlare adesso in modo specifico dell’Islam.
Sì. Cosa è successo nell’Islam? Come mai la
civilizzazione musulmana ha perso questa, diciamo, generosa apertura?
Per l’Islam del Medio Oriente c’è stato un momento
traumatico all’inizio dell’Ottocento. Ma già questa formula è importante,
l’Islam del Medio Oriente? A quell’epoca, l’Islam, in questa regione ha
cominciato a percepirsi quasi come una nazione, un “noi” in contrapposizione
con altre culture religiose. Ora, questo Islam quasi-nazionale vede il successo
dell’idea di nazione in Francia e poi anche di altre nazioni europee. La
valutazione da parte dei leader religiosi era fondata sulla contrapposizione al
cristianesimo. E da quel momento l’Islam dice che il territorio, la cultura e
la religione del cristianesimo ha vinto sul “noi” musulmano. Comincia così un
vero e proprio complesso di inferiorità di tutta una civilizzazione; ovviamente
questa non è una buona base per un atteggiamento dialogico.
Questo è un passaggio importante. Ci dica qualcosa di più
a riguardo. Per esempio, i musulmani che pensavano in termini di questa
inferiorità, che motivi adducevano per questa gerarchia tra le civilizzazioni?
Perché, secondo loro, l’Islam aveva perso la sua grandezza?
Ecco, la domanda chiave! Tanti opinionisti dicevano in
modo ideologico cose come: abbiamo perso il vero Islam. Ma cos’è il vero Islam?
Loro usavano ora delle costruzioni mentali artificiali, richiamandosi all’idea
di un passato ideale dell’Islam. Ovviamente questo è il gesto tipico di ciò che
si chiama, per qualsiasi religione, fondamentalismo.
Questo richiamo al passato ideale, fondante, che genera
posizioni fondamentaliste trovava la sua motivazione in ambito di riscatto
politico dal colonialismo occidentale?
Colonialismo reale, anzi brutale, ma qualche volta anche
colonialismo immaginato.
Quindi questa era la loro interpretazione della storia.
Ma cosa proponevano come soluzione del problema?
Finora, qualche volta, si è proposto una sorta di formula
magica; in verità, una formula pericolosa. Questa dice più o meno così:
dobbiamo ristabilire la nostra religione come fattore primario per fondare la
nostra cultura, per ricreare l’atmosfera della società e soprattutto per
riformare la costituzione dello Stato. E questo è nient’altro che Islamismo, il
fondamentalismo dell’islamismo.
È una idea opposta a quella della concezione laica dello
Stato che abbiamo in Occidente, in Europa, della separazione fra stato e
religione.
Attenzione. Conosciamo anche un laicismo esagerato. C’è
l’idea di una separazione così radicale che la religione non ha più visibilità
nello spazio pubblico. Le comunità religiose devono avere anche la libertà di
presentarsi, anzi, di essere interlocutrici dello Stato.
Ma allora, padre Körner, la pretesa che la perdita del
vero Islam sia la ragione per la perdita del ruolo da leader culturale è
un’ideologia, non è un’analisi che ha un qualche fondamento scientifico,
storico, sociologico?
Esatto!
Quindi come si potrebbe rispondere in modo storico e
razionale alla domanda: perché questo calo culturale dell’Islam?
Le vere ragioni della nuova preminenza dell’Europa sul
Medio Oriente a livello economico, scientifico e militare non sono religiose.
Possiamo piuttosto identificare tre fattori contestuali, tre costellazioni. Il
primo è stata l’interruzione delle comunicazioni causate dalle guerre. Pensiamo
alle Crociate, all’invasione mongola e poi anche alla “Reconquista” nella
Penisola iberica. Tutto questo ha bloccato lo scambio di informazioni nelle
regioni dominate dall’Islam. La cultura di scambio delle idee non funzionava più.
Il secondo fattore è stato, come già accennato, il colonialismo europeo.
L’Europa ha guadagnato dalle sue colonie un’enorme ricchezza; ma come
colonizzatrici le nazioni europee hanno anche provocato processi di costruzione
di Stati artificiali e poco stabili. Terzo fattore, guardando alla situazione
dentro l’Europa, l’ordine politico del Continente e, specialmente, il suo
“disordine” alla fine del Medioevo, ha permesso la formazione di nazioni
concorrenti ma anche di una nuova classe sociale: il cittadino indipendente. La
concorrenza nazionale e l’individuo critico-creativo – ecco due nuove sorgenti
di energia.
E quale sarebbe una prospettiva per il futuro, dove sono
degli strumenti per una riscoperta dell’Islam nella sua ampiezza culturale?
Un’enorme opportunità è la crescita di una genuina
teologia islamica nelle università europee. Non parliamo solo dei musulmani che
velocemente dicono delle cose che sembrano moderne ma sono mal fondate nella
tradizione. Questo sarebbe un aggiornamento superficiale. Parlo piuttosto della
teologia accademica che diventa uno spazio per la continuazione dell’erudizione
islamica classica. Una volta l’Islam aveva questa fruttuosa pluralità, era una
cultura del dibattito argomentativo. E vediamo oggi, anche qui a Berlino, una rinascita
di una tale interazione produttiva. Ma questa crescita non è solo un fermento
limitato e chiuso al mondo accademico. Questa conoscenza profonda dell’Islam
viene comunicata alla società e alle comunità tramite mediatori teologicamente
formati. Pensiamo agli insegnanti nelle scuole, ai predicatori e leader nelle
moschee e anche ai giornalisti ampiamente informati grazie alla ricerca e
riscoperta della propria tradizione.
Lei, padre Körner, accenna all’erudizione islamica
classica. Ma come è possibile un approccio esegetico al Corano, analogo a
quello che c’è stato per le Sacre scritture a partire dalla teoria
dell’interpretazione novecentesca in Europa e in Occidente? Non è il Corano
direttamente dettato da Dio a Maometto?
Anche i musulmani che vedono il processo di rivelazione
in questo modo diretto hanno sempre voluto comprendere ciò che viene detto. È
una cosa recitarlo, bello! Ma è un altra cosa chiedere: cosa dice Dio a noi con
queste parole? Dobbiamo ricordare che i modi odierni di interpretazione hanno
una vecchia tradizione nell’Islam. C’era già un inizio di ciò che oggi
chiamiamo critica testuale e constestualizzazione storica. Paola Colombo, CdI
giugno/luglio
Celebrazione della Solennità del Corpus Domini a Kempten
Kempten. Giovedì, 30 maggio 2024, la Missione
Cattolica Italiana di Kempten ha celebrato la Solennità del Corpus Domini
insieme alla Comunità Tedesca della Parrocchia di St. Anton.
La solenne Processione doveva essere svolta all'aperto
con l'allestimento di 5 altari, uno dei quali preparato dalla Missione.
Purtroppo, però, a causa del maltempo, la Celebrazione si
è svolta all'interno della chiesa.
Il brano evangelico e i commenti della seconda
stazione sono stati letti in italiano; e così pure la preghiera dei fedeli, che
è stata recitata dalle Signore Gisella Trovato e Carmela Leanza.
Molto gentilmente il Presidente del Consiglio Pastorale,
Signor Giampiero Trovato, e la Signora Gisella hanno portato un pane
preparato per l`occasione e lo hanno posto
sull'altare.
Alla processione, celebrata dal Decano, Don Bernhard
Hesse, hanno partecipato anche due altri sacerdoti, uno dei quali ha letto un
brano in italiano.
Tra i nostri connazionali presenti alla Cerimonia – oltre
ai già nominati Coniugi Trovato e alla Signora Carmela Leanza – ricordiamo la
Segretaria della Missione, signora Pina Baiano e i signori Paolo Franco e
Ignazio Romano.
La Processione si è conclusa verso le 11:45, tra la gioia
e la fraternità delle due Comunità. Pina Baiano, dip
La "lectio divina" e un Vangelo tascabile a portata di mano
Città del Vaticano. Nel discorso in lingua italiana, il
Papa, continua il nuovo ciclo di catechesi, iniziato da qualche mercoledì,
sullo "Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio
incontro a Gesù nostra speranza”. La riflessione di oggi parte dal tema
"Tutta la Scrittura è ispirata da Dio". In particolare il consiglio è
quello di "Conoscere l’amore di Dio dalle parole di Dio".
Dunque oggi vediamo lo Spirito "nella rivelazione,
di cui la Sacra Scrittura è testimonianza ispirata da Dio e autorevole",
dice Papa Francesco.
"Lo Spirito Santo, che ha ispirato le Scritture, è
anche Colui che le spiega e le rende perennemente vive e attive. Da ispirate,
le rende ispiratrici", spiega il Pontefice.
"Può capitare, infatti, che un certo passo della
Scrittura, che abbiamo letto tante volte senza particolare emozione, un giorno
lo leggiamo in un clima di fede e di preghiera, e allora quel testo
improvvisamente si illumina, ci parla, proietta luce su un problema che stiamo
vivendo, rende chiara la volontà di Dio per noi in una certa situazione. A che
cosa è dovuto questo cambiamento, se non a una illuminazione dello Spirito
Santo?", sottolinea il Papa nella sua catechesi.
Per il Pontefice "la Chiesa si nutre della lettura
spirituale della Sacra Scrittura, cioè della lettura fatta sotto la guida dello
Spirito Santo che l’ha ispirata. Al suo centro, come un faro che illumina
tutto, c’è l’evento della morte e risurrezione di Cristo, che compie il disegno
di salvezza, realizza tutte le figure e le profezie, svela tutti i misteri
nascosti e offre la vera chiave di lettura dell’intera Bibbia".
Poi Francesco "dispensa alcuni consigli".
"Un modo di fare la lettura spirituale della Parola di Dio è la lectio
divina. Consiste nel dedicare un tempo della giornata alla lettura personale e
meditativa di un brano della Scrittura. Questo è molto importante. Meditare
leggere un passo della Scrittura. Mi raccomando, sempre un Vangelo tascabile,
così quando siete in viaggio lo prendi e leggi qualcosa. L’omelia poi deve
aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Ma l'omelia per
questo deve essere breve, un immagine di un pensiero e sentimento, non deve
essere più di 8 minuti perchè la gente si addormenta e ha ragione. Questo
voglio dire a quei preti che parlano tanto, omelia breve, un pensiero, un
sentimento e come fare, l'azione".
"Concludiamo con un pensiero che può aiutare a farci
innamorare della Parola di Dio. Come certi brani musicali, la Sacra Scrittura
ha anch’essa una nota di fondo che l’accompagna dall’inizio alla fine, e questa
nota è l’amore di Dio", conclude così Papa Francesco. Veronica Giacometti,
Aci 12
"Durante le omelie la gente si addormenta"
Il Papa, all’udienza generale in piazza San Pietro,
sferza di nuovo i parroci sulla durata dell’omelia: non più di otto minuti,
dice, o la gente si addormenta “e ha ragione”. Bergoglio, in occasione della
catechesi, staccandosi dal testo ha osservato: “L’omelia deve aiutare a
trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Per questo deve essere breve.
Non deve andare oltre gli otto minuti perché dopo si perde attenzione e la
gente si addormenta e ha ragione”. Da qui il monito ai parroci: “Questo voglio
dire ai preti che parlano tanto e non si capisce di cosa parlano. Non più di
otto minuti! Perché l’omelia deve aiutare a trasferire la parola di Dio dal
libro alla vita”.
“Tra le tante parole di Dio che ogni giorno ascoltiamo
nella Messa o nella Liturgia delle ore, ce n’è sempre una destinata in
particolare a noi. Accolta nel cuore, - ha osservato - essa può illuminare la
nostra giornata e animare la nostra preghiera. Si tratta di non lasciarla
cadere nel vuoto! Concludiamo con un pensiero che può aiutare a farci
innamorare della Parola di Dio. Come certi brani musicali, la Sacra Scrittura
ha anch’essa una nota di fondo che l’accompagna dall’inizio alla fine, e questa
nota è l’amore di Dio”.
Il Pontefice ha quindi esortato i fedeli a portare con sé
una piccola Bibbia tascabile per leggerla nei momenti liberi: “Fratelli,
sorelle, avanti con la lettura della Bibbia, non dimenticate il Vangelo
tascabile. Portatelo In borsa, in viaggio. Lo Spirito Santo, che ha ispirato le
Scritture e ora spira dalle Scritture, ci aiuti a cogliere questo amore di Dio
nelle situazioni concrete della nostra vita”.
In incontro a porte chiuse con i parroci torna su
"frociaggine"
Ieri, nell'incontro a porte chiuse avuto oggi coi parroci
di mezza età, il Papa è tornato sul concetto di "frociaggine". Lo
hanno riferito all'Adnkronos fonti che erano presenti all'incontro. Bergoglio
ci è tornato sopra di sua spontanea volontà, utilizzando lo stesso termine
colorito, usato nel discorso a porte chiuse coi vescovi italiani, che aveva
suscitato una bufera e che lo aveva portato poi a scusarsi tramite il Vaticano.
Nel dettaglio, chi era con presente all'incontro, racconta che il Papa è
tornato sull'argomento "con grande equilibrio" dicendo che un giovane
omosessuale "non è prudente che entri in seminario". Adnkronos 12
IOR, il lavoro per la trasparenza finanziaria e le sfide del presente
Il presidente del Consiglio di Sovrintendenza IOR De
Franssu parla ad un forum sulla trasparenza finanziaria organizzato dalla
rivista Omnes - Di Andrea Gagliarducci
Roma. Il Consiglio di Sovrintendenza dello IOR cambierà
presto composizione, allo scadere dei cinque anni dei suoi membri, ma di certo
sarà di nuovo una composizione internazionale, rappresentativa anche dei luoghi
dove la Chiesa ha una realtà finanziaria più sviluppata. Perché l’Istituto
delle Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, vuole portare avanti
la sua missione al servizio della Chiesa, mantenendo il principio della “totale
trasparenza finanziaria” che ha caratterizzato gli ultimi anni.
Lo sottolinea Jean-Baptiste de Franssu, presidente del
Consiglio di Sovrintendenza dello IOR dal 2014 (quindi, da due mandati di
cinque anni) in un incontro su Trasparenza e corresponsabilità nel servizio
alla Chiesa, che ha avuto luogo a Roma il 4 giugno, presso la Pontificia
Università della Santa Croce, sotto gli auspici della rivista OMNES e del Gruppo
CASE (Corresponsabilità, Amministrazione e Sostegno Economico alla Chiesa), con
la partecipazione di diversi professionisti della finanza e dei media.
De Franssu parla ad un pubblico selezionato, e la sua
intenzione è quella di non pubblicizzare troppo quello che dice. Parla secondo
quelle che si chiamano Chatham House Rules, e sono regole che preservano la
confidenzialità dell’incontro. Si può citare ciò che si è detto ma non
attribuirle a qualcuno in particolare. Tuttavia, possiamo sapere ciò che si è
detto all’incontro della Santa Croce attraverso una nota della rivista OMNES,
pubblicata in accordo proprio con il presidente del Consiglio di
Sovrintendenza.
De Franssu, che è presidente del Consiglio di
Sovrintendenza IOR dal 2014, ha rivendicato i risultati positivi della sua
gestione, una rinnovata credibilità internazionale che vede lo IOR avere
rapporti con 40 banche, e l’indirizzo degli investimenti verso una “dimensione
di etica cristiana”, tanto che oggi “non c’è nessun investimento del Vaticano
che non rispetta l’insegnamento della Chiesa”.
Inoltre, in relazione ai criteri di inversione etica più
conosciuti, i cosiddetti ESG (ambientali, sociali e governance), de Franssu ha
sottolineato che “in realtà si convertiti in un mezzo politico per la trasformazione
della società in questioni come il gender o altre relazioni. Da questo punto di
vista, non sono coerenti con i principi cristiani, e lo IOR si distanzia da
loro”.
Il documento di riferimento è Mensuram Bonam, licenziato
dalla Pontificia Accademia per le Scienze Sociali nel 2022 dopo una lunga
gestazione – inizialmente doveva essere un documento del Dicastero per il
Servzio dello Sviluppo Umano Integrale. Si tratta di una sorta di vademecum per
gli investimenti che siano conformi alla dottrina cattolica, una nuova
frontiera affrontata da diversi gestori e investitori negli Stati Uniti e in
altri importanti ambienti finanziari.
Se ora gli investimenti sono tutti conformi a queste
linee guida, c’è da dire che i profitti dello IOR si sono particolarmente
ridotti negli ultimi dodici anni, passando dagli 86,6 milioni di profitti del
2012 ai 30 milioni di profitto del 2022 (su cui però non si conosce l’impatto
delle compensazioni nate dai processi giudiziari), con picchi negativi nel
corso degli anni di appena 16,1 milioni di utili. Dimezzato anche il TIER 1,
componente primaria del capitale di una banca, che passa dall’82,40 per cento
del 2019 al 46,14 per cento del 2022.
Sono tutti dati che si possono spiegare con i presunti
danni provocati dalle passate gestioni? Ci sono vari processi intentati dallo
IOR, che è anche stato all’origine di una segnalazione che ha portato al famoso
processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Ma sarà
da vedere se poi tutte queste mala gestiones dei precedenti amministratori
vadano lette come parte di un atteggiamento di corruzione o incompetenza oppure
come l’esecuzione di ordini superiori, considerando che poi lo IOR ha una
gerarchia ben strutturata, che è non solo burocratica, ma anche ecclesiale. E,
chissà, forse ci sarà in futuro anche una riforma generale sulla gestione degli
investimenti da parte di tutti gli organisfmi finanziari vaticani, IOR incluso.
Di certo, de Franssu fa bene a notare i risultati
positivi delle ispezioni di MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che
valuta l’aderenza agli standard internazionali dei Paesi che si sottopongono
alla sua mutua valutazione. Questi risultati, tuttavia, riguardano lo IOR
soprattutto per le migliorie di tipo tecnico, perché la valutazione è più in
generale sull’intero sistema finanziario vaticano, sulle leggi e su come queste
leggi vengono sviluppate. Lo IOR, insomma, siede su un sistema ben solido, già
nel 2012 veniva lodata da MONEYVAL la sua attività di screening dei conti (e
questo ben prima che entrassero i costosi consulenti esterni) e ha bisogno
soprattutto di lavorare sull’adeguatezza tecnica di alcune strutture.
Nel suo incontro – si legge nella nota di OMNES - De
Franssu ha sottolineato che l’Istituto è di proprietà del Papa, e dunque ogni
profitto va al Papa, e in questo modo lo IOR contribuisce alle finanze della
Santa Sede.
Per quanto riguarda l’operatività dello IOR, il
presidente ha sottolineato che ormai l’istituto può fare prestiti solo in
determinate circostanze, e per ragioni istituzionali. Parole importanti, se si
considera che il processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di
Stato nasce dal rifiuto dello IOR a concedere una anticipazione di denaro alla
Segreteria di Stato vaticana, con l’idea che l’operazione avesse una natura
opaca e che comunque lo IOR non fosse autorizzato a concedere prestiti.
De Franssu ha anche sottolineato l’importanza di gestire
sempre meglio gli asset, notando che “l’istituto è stato abusato in molte
occasioni e ha perso molti soldi a causa di un alto grado di incompetenza”.
In questo modo, si pone una netta discontinuità tra la
gestione de Franssu e le gestioni precedenti, ma che in realtà non tengono
conto nemmeno del grande lavoro della Santa Sede, a partire dagli anni Ottanta,
per migliorare il suo sistema finanziario, renderlo aderente ai parametri
internazionali e renderlo credibile a livello finanziario. È stato un lungo
lavoro, che voleva anche dotare lo Stato di Città del Vaticano di una
indipendenza gestionale e una personalità internazionale, lontana
dall’ingombrante vicino italiano – e in effetti diversi problemi ci sono stati
con la Banca d’Italia, più che con altre istituzioni.
Di certo, è un percorso verso la trasparenza che
continua, e quella che stiamo vivendo ora è solo una tappa. Aci 12
Papa Francesco in Campidoglio: "Roma riscopra il suo carattere
universale"
Il Papa: "Il Giubileo ha un carattere religioso, un
pellegrinaggio orante e penitente per ottenere dalla misericordia divina una
più completa riconciliazione con il Signore" - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “Nel ritornare a farvi visita, provo
sentimenti di gratitudine e di letizia. Vengo a incontrare l’intera città, che
pressoché dalla sua nascita ha avuto una chiara e costante vocazione di
universalità. Per i fedeli cristiani questo ruolo non è stato frutto del caso,
ma è corrisposto a un disegno provvidenziale”. Con queste parole Papa Francesco
ha aperto il suo discorso per la visita in Campidoglio, la seconda dall’inizio
del suo pontificato.
L’arrivo del Cristianesimo a Roma – ha ricordato il
Pontefice - ha “permeato e trasformato la vita delle persone e delle stesse
istituzioni. Alle persone avrebbe offerto una speranza ben più radicale e
inaudita; alle istituzioni la possibilità di evolvere a uno stadio più elevato,
abbandonando a poco a poco un istituto come quello della schiavitù, che anche a
tante menti colte e a cuori sensibili era parso come un dato naturale e
scontato, per nulla suscettibile di essere abolito. Questo della schiavitù è un
esempio molto significativo del fatto che anche raffinate civiltà possono
presentare elementi culturali così radicati nella mentalità delle persone e
dell’intera società da non essere più avvertiti come contrari alla dignità
dell’essere umano”.
Ciò – ha puntualizzato il Papa – “si verifica anche ai
nostri giorni, quando, quasi inconsapevolmente, si rischia a volte di essere
selettivi e parziali nella difesa della dignità umana, emarginando o scartando
alcune categorie di persone, che finiscono per ritrovarsi senza adeguata
protezione”.
Dopo aver ricordato le varie tappe della storia di Roma,
dai Cesari ai Papi “alcune volte con comportamenti non felici”, da Porta Pia
alla conciliazione, Francesco ha sottolineato come la Città si sia “sempre
confermata, anche in queste fasi storiche più recenti, nella sua vocazione
universale. Ora Roma si appresta a ospitare il Giubileo del 2025. Tale evento è
di carattere religioso, un pellegrinaggio orante e penitente per ottenere dalla
misericordia divina una più completa riconciliazione con il Signore”.
Il Giubileo – ha aggiunto - “non può non coinvolgere
anche la città sotto il profilo delle attenzioni e delle opere necessarie ad
accogliere i tanti pellegrini che la visiteranno, aggiungendosi ai turisti.
Roma è unica. Perciò anche il prossimo Giubileo potrà avere una ricaduta
positiva sul volto stesso della città, migliorandone il decoro e rendendo più
efficienti i servizi pubblici, non solamente nel centro ma favorendo
l’avvicinamento tra centro e periferie. E a me piace visitare le parrocchie di
periferia, è la presenza del Vescovo lì”.
Dopo aver ringraziato per la collaborazione il Comune e
il Governo italiano – “tante volte – ha detto a braccio - la meschinità porta a
pensare che siano i soldi. No, sono rapporti umani” - il Papa ha parlato dello
“spirito universale” di Roma. “Questo spirito vuole essere al servizio della
carità, al servizio dell’accoglienza e dell’ospitalità. Pellegrini, turisti,
migranti, quanti si trovano in gravi difficoltà, i più poveri, le persone sole,
quelle malate, i carcerati, gli esclusi siano i più veritieri testimoni di
questo spirito, per questo ho deciso di aprire una porta santa in un carcere.
Possano testimoniare che l’autorità è pienamente tale quando si pone al
servizio di tutti, quando usa il suo legittimo potere per venire incontro alle
esigenze della cittadinanza e, in modo particolare, dei più deboli, degli
ultimi. Continui Roma a manifestare il suo volto accogliente, ospitale,
generoso, nobile. L’enorme afflusso di pellegrini, turisti e migranti, con
tutto ciò che significa in termini di organizzazione, potrebbe essere visto
come un aggravio, un peso che frena e intralcia lo scorrere normale delle
cose”.
“Tutto questo – ha concluso Papa Francesco invocando
Maria Salus Populi Romani - è Roma, la sua specificità, unica al mondo, il suo
onore, la sua grande attrattiva e la sua responsabilità verso l’Italia, verso
la Chiesa, verso la famiglia umana. Ogni suo problema è il rovescio della sua
grandezza e, da fattore di crisi, può diventare opportunità di sviluppo.
L’immenso tesoro di cultura e di storia è l’onore e l’onere della sua
cittadinanza e dei suoi governanti, e attende di essere adeguatamente
valorizzato e rispettato. Rinasca in ciascuno la consapevolezza del valore di
Roma, del simbolo che essa rappresenta in tutti i continenti; e si confermi,
anzi cresca la reciproca fattiva collaborazione tra tutti i poteri che vi risiedono,
per un’azione corale e costante, che la renda ancora più degna del ruolo che la
Provvidenza, le ha riservato”.
“Grazie per questa accoglienza fraterna, calorosa,
arrivederci al Giubileo. Ci vediamo tutti lì”, il saluto del Papa, a braccio,
lasciando l’Aula Giulio Cesare per fare rientro in Vaticano. Aci 11
Vescovi, Zdk e Caritas preoccupati. “Aumento populisti segno di crisi”
Mons. Franz-Josef Overbeck, responsabile per le questioni
europee della Conferenza episcopale tedesca, ritiene che i risultati delle
elezioni europee in Germania rafforzeranno l’Unione europea nel suo insieme.
“Le elezioni europee mostrano – se guardiamo al risultato in Germania – che le
forze democratiche e affidabili per l’Europa nel loro insieme sono state
rafforzate”, ha detto il vescovo di Essen analizzando il voto, e ha
sottolineato la “stabile affluenza alle urne”. In Germania si è attestata sul
64,8%, 3,4 punti percentuali in più rispetto al 2019. Ma Overbeck ha avvertito
che “l’ascesa delle forze populiste di destra deve ricordarci: dobbiamo
difendere la nostra democrazia con tutte le nostre forze”.
Secondo l’arcivescovo di Amburgo Stefan Heße il risultato
elettorale è un invito all’azione. “Siamo sfidati più che mai a impegnarci a
favore della cultura democratica e dell’Europa”. “Al di là del giorno delle
elezioni, il compito resta quello di promuovere giorno dopo giorno l’idea
europea e renderla tangibile”.
Il vescovo di Treviri Stephan Ackermann è rimasto
scioccato dal sostegno dei giovani alla politica populista del partito
Alternativa per la Germania – AfD: “Non credo che questo partito dia una
risposta reale alle preoccupazioni dei giovani riguardo al nostro pianeta o
alle loro prospettive di formazione, studio, lavoro e vita familiare”. Secondo
Ackermann “non dobbiamo smettere di difendere la nostra democrazia e i nostri
valori fondamentali, basati sulla dignità inalienabile di tutte le persone, e
di alzare continuamente la nostra voce”. Il vescovo ha invitato a chiedersi
cosa abbia portato alla decisione di votare per l’AfD e come si potrebbe
contrastarla.
Per la presidente del Comitato centrale dei cattolici
tedeschi (ZdK), Irme Stetter-Karp, l’affluenza alle urne è “un segno di forza
democratica”. Allo stesso tempo, la presidente dell’organizzazione laica è
molto preoccupata per le conquiste ottenute dai partiti di estrema destra in
molti Paesi dell’Ue. “Il fatto che l’AfD sia emersa dalle elezioni europee come
la seconda forza più forte in Germania, e anche come la più forte nella parte
orientale della repubblica, è un segno di crisi per la democrazia liberale”, ha
detto Stetter-Karp. La presidentessa dello ZdK si è detta costernata dal fatto
che in Germania il 17 per cento degli elettori che hanno votato per la prima
volta hanno votato per l’AfD. “Dobbiamo rafforzare l’educazione democratica
nelle scuole e fare tutto il possibile per creare una rete duratura per il
coraggio civile e contro l’estremismo di destra”.
Anche la presidente della Caritas tedesca, Eva Maria
Welskop-Deffaa, ha espresso sollievo. “I nemici dell’Unione europea sono
rimasti una minoranza nel nostro Paese, nonostante tutti gli spaventosi aumenti
di voti per i populisti”. “Ci interessa un’Europa delle frontiere aperte e dei
cuori aperti, un’Europa che facilita gli incontri e sostiene l’equilibrio
sociale, un’Europa che garantisce in modo sicuro la partecipazione digitale per
tutti e protegge i confini del pianeta con responsabilità internazionale”, ha
affermato Welskop-Deffaa. Il modello sociale europeo offre spazio per una
convivenza a misura d’uomo. “L’Europa ha bisogno di un accordo rapido su un
presidente della Commissione che porti questa eredità nel futuro”. M. Chiara
Biagioni, Sir 10
Commento alla X Domenica del Tempo Ordinario
Carpi, domenica. Oggi Gesù ci ricorda una verità, seppur
scomoda: tutti siamo peccatori e per essere liberati dal nostro peccato abbiamo
necessità di accogliere il perdono di Dio, che ci viene offerto da Cristo.
Grazie a Lui ritroviamo la nostra dignità di figli di Dio.
Tuttavia, dice Gesù, c’è un peccato che non potrà
ottenere misericordia: la bestemmia contro lo Spirito Santo. Come si manifesta
questo peccato imperdonabile? Le parole di Gesù riportate nei Vangeli di Matteo
(12, 31-33), Marco (3,28-30) e Luca (12,8-12) hanno suscitato svariate
controversie all’interno della Chiesa, in quanto sembrano delimitare la
misericordia infinita di Dio, il suo desiderio di salvare tutti gli uomini
(cfr. 1Tm 2.4). Nei primi secoli del cristianesimo, sant’Ambrogio considerava
peccato contro lo Spirito la negazione della divinità della terza Persona della
Santissima Trinità, ossia dello Spirito Santo. Nei secoli a seguire si sono
interrogati sulla questione studiosi della Sacra Scrittura, moralisti, mistici,
maestri di vita spirituale. Le conclusioni delle loro ricerche sono state
sintetizzate nel Catechismo di san Pio X, il quale insegna che è peccato contro
lo Spirito Santo disperare della salvezza, presumere di salvarsi senza meriti,
combattere le verità di fede conosciute, invidiare la grazia altrui, ostinarsi
nel peccato, restare impenitenti fino alla fine. Ognuno di questi atteggiamenti
costituisce una chiara chiusura all’azione della Grazia di Dio
Per comprendere la situazione della persona che pecca contro
lo Spirito Santo possiamo prendere come esempio il malato che si rifiuta di
prendere la medicina che può guarirlo. Nel nostro caso, il malato è il
peccatore mentre la medicina, ossia il rimedio per guarire, è la Grazia, che il
peccatore non solo rifiuta, ma addirittura combatte perché l’odio verso
Dio lo acceca, lo fa diventare come un demonio. Il peccato contro lo Spirito,
dunque, non è un peccato dovuto alla fragilità umana come, ad esempio, il
tradimento dell’apostolo Pietro che una volta pentito è stato perdonato da
Cristo. Ma, al contrario, è una sfida cosciente scagliata contro Dio, una
avversione volontaria a Lui. È rifiuto di qualunque relazione positiva e
costruttiva con Lui, tramite il Suo Santo Spirito. Le conseguenze sono
devastanti: anziché opere sante fatte in Dio, si compiono opere malvagie frutto
di una sostanziale sequela del Maligno.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “la
misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di
accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e
la salvezza offerta dallo Spirito Santo”. (CCC §1864). Un tale indurimento può
portare alla impenitenza, ossia al radicale rifiuto di convertirsi e di
conseguenza alla rovina eterna. In altre parole, chi non riconosce il proprio
peccato rivendica un presunto diritto di perseverare nel male.
Gesù perdona tutti i peccati nell’infinita misericordia
che sgorga dal suo Divin Cuore, ma per ottenere il perdono bisogna riconoscere
la propria condizione di peccatore, una disposizione interiore assente in
coloro che chiudono la porta al pentimento perché si considerano nella verità e
non comprendono la gravità delle loro parole e delle loro opere. Chi non cambia
certi comportamenti interni ed esterni ostinati e pieni di cattiveria, si
sottrae da sé al perdono di Dio. Tuttavia come afferma san Tommaso d’Aquino:
«questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la
via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro
in una maniera quasi prodigiosa» (S. Tommaso, Somma Teologica, II-II, 14,
3). Mons. Francesco Cavina, Aci 9
Papa Francesco: "Gesù era un uomo libero"
Appello del Papa per Gaza: "Soccorrere la
popolazione stremata dalla guerra: gli aiuti devono arrivare a chi ne ha
bisogno e nessuno lo può impedire"- Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “Gesù predicava e guariva i malati
con la forza dello Spirito Santo. E proprio lo Spirito lo rendeva divinamente
libero, cioè capace di amare e di servire senza misura e senza
condizionamenti”. Lo ha detto Papa Francesco, stamane, introducendo la
preghiera mariana dell’Angelus.
“Gesù – ha spiegato il Papa - era libero di fronte alle
ricchezze, la gratuità del ministero di Gesù; era libero di fronte al potere,
si è sempre messo dalla parte degli ultimi, insegnando ai suoi discepoli a fare
altrettanto. Era libero di fronte alla ricerca della fama e dell’approvazione,
e per questo non ha mai rinunciato a dire la verità, anche a costo di non
essere compreso, di diventare impopolare, fino a morire in croce, non
lasciandosi intimidire, né comprare, né corrompere da niente e da nessuno”.
“Gesù – ha sottolineato il Pontefice - era un uomo
libero. E questo è importante anche per noi. Infatti, se ci facciamo
condizionare dalla ricerca del piacere, del potere, dei soldi o dei consensi,
diventiamo schiavi di queste cose. Se invece permettiamo all’amore gratuito di
Dio di riempirci e dilatarci il cuore, e se lo lasciamo traboccare
spontaneamente ridonandolo agli altri, con tutto noi stessi, senza paure,
calcoli e condizionamenti, allora cresciamo nella libertà, e diffondiamo il suo
buon profumo anche attorno a noi”.
“Dopo domani in Giordania si terrà una conferenza su
Gaza. Incoraggio – ha detto il Papa al termine dell’Angelus – la comunità internazionale
ad agire urgentemente con ogni mezzo per soccorrere la popolazione stremata
dalla guerra: gli aiuti devono arrivare a chi ne ha bisogno e nessuno lo può
impedire. Ieri era il decimo anniversario dell’invocazione della pace in
Vaticano. Un incontro che testimonia che stringersi la mano è possibile, per
fare la pace ci vuole coraggio, più che per fare la guerra. Incoraggio i
negoziati in corso e auspico che la proposta di pace per il cessate il
fuoco e la liberazione degli ostaggi sia accettata. Non dimentichiamo il
martoriato popolo ucraino che più soffre e più anela la pace”. aci 9
"Nella musica e nella Chiesa ognuno è chiamato a fare bene la sua
parte”
Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti al IV Incontro
Internazionale delle Corali in occasione del 40/mo di fondazione del Coro della
Diocesi di Roma - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “La musica genera armonia
raggiungendo tutti, consolando chi soffre, ridonando entusiasmo a chi è
scoraggiato e facendo fiorire in ciascuno valori meravigliosi come la bellezza
e la poesia, riflesso della luce armoniosa di Dio. L’arte musicale ha infatti un
linguaggio universale e immediato, che non necessita di traduzioni, né di tante
spiegazioni concettuali”. La musica può essere apprezzata da “semplici e
dotti, cogliendone chi un aspetto chi un altro, con più o meno
profondità, ma attingendo tutti dalla stessa ricchezza. Inoltre la musica educa
all’ascolto, all’attenzione e allo studio, elevando le emozioni, i sentimenti e
i pensieri, portando le persone oltre il vortice della fretta, del rumore e di
una visione solo materiale della vita, e aiutandole a contemplare meglio sé
stesse e la realtà che le circonda. Dona così, a chi la coltiva, uno sguardo
saggio e pacato, con cui più facilmente si superano divisioni e antagonismi,
per essere in accordo, per vigilare sulle stonature e correggere le dissonanze,
che sono pure utili per la dinamica delle composizioni, purché integrate in un
sapiente tessuto armonico”. Lo ha detto Papa Francesco, ricevendo in Aula Paolo
VI i partecipanti al IV Incontro Internazionale delle Corali in occasione del
40/mo di fondazione del Coro della Diocesi di Roma.
“In un coro e in un’orchestra la riuscita dell’esecuzione
di tutti è condizionata dall’impegno di ciascuno, dal fatto che ognuno
contribuisca al meglio nel suo ruolo, rispettando e ascoltando chi gli sta
accanto, senza protagonismi, in sintonia. Proprio come nella Chiesa e nella
vita – ha puntualizzato Francesco - dove ciascuno è chiamato a fare bene la sua
parte a vantaggio dell’intera comunità, perché da tutto il mondo si alzi un
canto di lode a Dio”.
Infine il Papa ha invitato i presenti a “tenere alto il
tenore spirituale della vostra vocazione: con la preghiera e la meditazione
della Parola di Dio, partecipando, oltre che con la voce, anche con la mente e
con il cuore delle liturgie che animate, e vivendone con entusiasmo i contenuti
giorno per giorno, perché la vostra musica sia sempre più elevazione felice del
cuore a Dio, che con il suo amore attrae, illumina e trasforma tutto”. Aci 8
Che progetto portano le nuove Famiglie Ecclesiali?
Il Forum delle Famiglie Ecclesiali di Vita consacrata
riflette sulla identità delle nuove forme di vita consacrata - Di Angela
Ambrogetti
Città del Vaticano. In attesa della prossima sessione del
Sinodo sulla sinodalità che si svolgerà ad ottobre in Vaticano, molte famiglie
religiose fanno il punto. Saranno presenti all' Assemblea con i loro
rappresentanti, ma la loro "giovinezza" ecclesiale le porta a
ragionare sul futuro in modo diverso dal solito.
Sto parlando delle "Famiglie ecclesiali di Vita
Consacrata". Realtà molto diverse dalle più storiche congregazioni
religiose. A fine maggio si è svolto a Roma un colloquio tra esperti dedicato
proprio all'idea di un "propria categoria consolidata di vita
consacrata". Insomma passata la fase pionieristica ora come si consolidano
queste realtà?
In due giornate si è parlato di molto e in particolare
basandosi su un documento di lavoro per poter affrontare tutti gli argomenti.
Dopo il 1996 con la Vita Consacrata di Giovanni Paolo II,
molte cose sono cambiate con il riconoscimento e l’approvazione di “altre forme
di vita consacrata”. E questi nuovi istituti di vita consacrata, si distinguono
dagli Istituti religiosi e secolari nonché dalle Società di vita apostolica e
alcuni di loro sono stati chiamati e canonicamente approvati come Famiglie
Ecclesiali (di vita consacrata).
Da quasi cinque anni, otto comunità ecclesiali che si
configurano come una struttura unica e unificata e come un unico soggetto
giuridico, e che hanno al loro interno membri di diversi stati di vita, legati
con voti e/o altri vincoli, hanno costituito un “Foro di studio” su alcune
tematiche di loro interesse.
Ecco, da qui parte il lavoro del colloquio di fine maggio
nel quale si è cercato di approfondire ciò che lo Spirito Santo ha suscitato
nella Chiesa tramite i carismi di queste Famiglie. Ma c'è stato anche un metodo
di lavoro e un confronto con i Dicasteri competenti per capire quale sia il
futuro delle Famiglie Ecclesiali e di tanti altri che potrebbero annoverarsi
alla medesima “nuova categoria” di Istituti di vita consacrata.
Le comunità che hanno già ricevuto da tempo un
riconoscimento Pontificio e sono elencati nell’Annuario Pontificio sotto la
categoria “altri Istituti di Vita Consacrata” (la Società di Cristo Signore –
S.C.S.; la Fraternità Missionaria “Verbum Dei” – F.M.V.D.; la Famiglia
Spirituale “L’Opera” – F.S.O.; l’Istituto “ID” di Cristo Redentore, Missionarie
e Missionari “Identes” – M. Id.). Gli altri sono approvati in forma analoga a
livello diocesano oppure stanno nel processo di approvazione Pontificia o diocesana
(Famiglia Ecclesiale Missione Chiesa-Mondo; Comunità delle Beatitudini,
Comunità Mariana – Oasi della Pace; comunità Missionaria di Villaregia).
E' stato nel 2019 che il Forum ha prodotto un Documento:
“Comunione e corresponsabilità” che, partendo dall’esperienza comune di alcuni
nuovi carismi che riassume e descrive elementi comuni delle Famiglie
Ecclesiali.
Uno dei temi ricorrenti, oltre le questioni canonistiche,
è il rapporto tra laici, consacrati e sacerdoti in queste famiglie. Nessuna
"gerarchia", quanto piuttosto una parità effettiva pur nella
differenza di ruoli e stati di vita. Così nelle Famiglie Ecclesiali, un
consacrato non è più "importante " di un laico. La vita consacrata
più tradizionale sembra mettere una certa distanza tra membri della congregazione
religiosa e laici "collaboratori", ma le Famiglie Ecclesiali vanno
oltre.
Interessante sfida per l'evangelizzazione del futuro e
anche per imparare quella "sinodalità" di cui si parla tanto, anche
nelle parrocchie e nelle diocesi.
Sarebbe bello avere gli atti del Colloquio a corredo del
Sinodo in Vaticano. Utile per poter portare il progetto "familiare" a
tutto il Popolo di Dio. Aci 6
Quando il sacerdote va in pensione. Voltare pagina, che difficile!
“Voilà, ecco la tua parrocchia, ormai ho fatto i miei 75
anni!” Con fare deciso, père Robert si presenta così al vescovo, per rinunciare
alla conduzione del suo gregge. E ne spiega anche il motivo: “Ormai, in
pensione, voglio camminare, contemplare, passeggiare… allenarmi per i prati del
paradiso!” Bella questa libertà, ancor di più il suo programma. E, se volete,
pure questo spirito deciso, nel saper voltar pagina del libro della vita.
Dicendosi, tuttavia, sempre disponibile a dare una mano se serve, ma una
sola… È vero, continuare a essere leader non è sano per sé, né per gli
altri. Tempi nuovi avanzano al galoppo. Restare sulla cresta dell’onda, allora,
non si rivela salutare. Necessitano, a volte, in una comunità, una sensibilità
differente, delle energie nuove o uno sguardo diverso. E sarà sempre – non
bisogna preoccuparsene – un arricchimento, un completamento di quello che si è
fatto fino allora… Sarà pure seguire la “regola d’oro dell’alternanza”,
come recita un bel passaggio della Bibbia, in quel procedere a due tempi:
C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un
tempo per danzare, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli. E si
potrebbe aggiungere al testo sacro: un tempo per essere leader e un tempo
solamente per consigliare…” Perché il consiglio serve spesso ad
anticipare le cose. Sì, si è così presi dal presente, o fissati al passato che
non si ha il tempo di scrutare sufficientemente il futuro, i segni dei tempi.
Come si scruta il cielo, per vedere che tempo farà, come ricorda il Vangelo.
Inoltre, ”i tuoi figli e figlie profetizzeranno, i tuoi vecchi sogneranno e i
tuoi giovani avranno visioni” (cfr Gl 3,1). Dare, così, spazio al sogno, oltre
al fare. Ricordo il vescovo di Ginevra di anni fa, città dove mi trovavo
in missione. “Le unità pastorali sono il futuro della nostra diocesi? –
si interrogava, rivolgendosi ai suoi collaboratori – Sì, allora lo
anticipiamo!”. E ne fissava subito l’entrata in vigore per decreto,
cioè l’accorpamento di tutte le parrocchie di città o di campagna tre a tre.
Per imparare da subito a condividere ricchezze e fragilità, sfide e difficoltà.
Questo quando si preferisce anticipare i tempi. E si comprende teologicamente
come il Regno di Dio avanza con i suoi passi verso di voi, più che l’inverso.
Preferendo, così, non vedere sfilacciarsi le situazioni, logorarsi gli animi
o irrigidirsi le dinamiche, presi da quell’ansia di trattenere nelle
nostre mani il passato. Aprirle per accogliere i segni del Regno, il clima di
tempi nuovi, sa sempre di miracolo.
Penso ancora all’enorme sorpresa che provavo, quando
tempo fa, recandomi per l’ennesima volta al monastero benedettino di St Benoit
s/Loire, in Francia, dove apprezzare un abate dallo stile paterno, dolce ed
equilibrato, di un’autorevolezza naturale, che traspariva dai pori della pelle.
Lo ritrovavo, invece quella volta, in piedi alle mie
spalle, alla mensa degli ospiti, con due bottiglie in mano, una di acqua e una
di vino, per servire durante il pranzo e versare quando necessario ai
commensali. Un giovane abate, invece, troneggiava al centro del grande
refettorio… Plastica immagine, allora, per me delle parole del Cristo, venuto
per servire, non per essere servito e che Benedetto identificava nel forestiero
stesso, che bussa alla porta. Così ricordo le raccomandazioni del nostro
vescovo di Versailles, quando rivolgendosi al presbyterium, a tutti i preti
riuniti, suggeriva di coltivare degli interessi, degli hobbies, delle passioni,
come il giardinaggio, uno strumento musicale, la lettura di un libro, un
collezionismo… “Quando vi toglierò la parrocchia - concludeva così – non
vi sentirete perduti o in depressione…”
Voltare pagina per un leader è spesso una sfida, un gesto
di coraggio e un grande atto di fiducia in Dio, che accompagna il nostro
cammino in tutte le stagioni dell’esistenza. Allora sì che si avrà il tempo di
seguire il consiglio di un vicario episcopale francese, che raccomandava ai
preti di coltivare sempre tra i tanti impegni e programmi anche degli incontri
liberi, spontanei e casuali. Dio è, per davvero, sorpresa! Renato Zilio, Inform/dip
6
A settembre un documento sul Sacro Cuore
Il Papa ha concluso l'udienza di oggi - dedicata al vento
dello Spirito Santo - annunciando a sorpresa un documento sul Sacro Cuore, nel
350° anniversario della prima manifestazione a Santa Margherita Maria Alacoque.
Al termine, l'ennesimo appello per la pace: “Preghiamo che il Signore ci dia il
dono della pace e che il mondo non soffra tanto per le guerre” – di M. Michela
Nicolais
Si è conclusa con un annuncio a sorpresa l’udienza di
oggi, pronunciata in piazza San Pietro e dedicata al vento dello Spirito Santo:
Papa Francesco ha infatti rivelato ai fedeli che a settembre prossimo
pubblicherà un documento sul Sacro Cuore, nel 350° anniversario della prima
manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, a Santa Margherita Maria Alacoque.
“Riproporre a tutta la Chiesa questo culto, carico di bellezza spirituale, in
un mondo che sembra aver perso il cuore”, l’obiettivo del documento, in cui
verranno raccolte le riflessioni magisteriali precedenti e tutta la lunga
storia che è stata oggetto di devozione popolare, dalle Scritture ad oggi. Al
termine dell’udienza, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana, l’ennesimo
appello per la pace: “Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che
il mondo non soffra tanto per le guerre”.
“Il vento è l’unica cosa che non si può assolutamente
imbrigliare, non si può imbottigliare o inscatolare”, ha detto il Papa nella
catechesi. “Cerchiamo di imbottigliare o inscatolare lo Spirito: non
è possibile, è libero”, ha spiegato poi a braccio. “Pretendere di
rinchiudere lo Spirito Santo in concetti, definizioni, tesi o trattati, come ha
tentato di fare a volte il razionalismo moderno, significa perderlo,
vanificarlo, o ridurlo allo spirito puramente umano puro e semplice”, il monito
di Francesco, secondo il quale “esiste una tentazione analoga anche in campo
ecclesiastico, ed è quella di voler racchiudere lo Spirito Santo in canoni,
istituzioni, definizioni”.
“Lo Spirito crea e anima le istituzioni, ma non può
essere Lui stesso istituzionalizzato, cosificato”, ha precisato il Papa: “Il
vento soffia dove vuole, così lo Spirito distribuisce i suoi doni come vuole.
San Paolo farà di tutto ciò la legge fondamentale dell’agire cristiano: ‘Dove
c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà’”.
“Un cristiano libero è quello che ha lo Spirito del Signore”,
ha ribadito a braccio. “Questa è una libertà tutta speciale, assai diversa da
ciò che comunemente si intende”, ha puntualizzato Francesco: “Non è libertà di
fare quello che si vuole, ma libertà di fare liberamente quello che Dio vuole!
Non libertà di fare il bene o il male, ma libertà di fare il bene e farlo
liberamente, cioè per attrazione, non per costrizione. In altre parole, libertà
dei figli, non di schiavi”. La libertà dello Spirito, come insegna San Paolo,
può essere soggetta ad “abuso” e “fraintendimento”, se diventa “un pretesto per
la carne”. “Questa libertà è una libertà che si esprime in ciò che sembra il
suo opposto: si esprime nel servizio, e nel servizio c’è la vera libertà”. Il
Papa ha fatto un elenco “sempre attuale”, contenuto nella Lettera ai Galati,
dei casi in cui la libertà diventa un “pretesto per la carne”: “Fornicazione,
impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia,
dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”. “Ma
lo è anche la libertà che permette ai ricchi di sfruttare i poveri – è
una libertà brutta -, ai forti di sfruttare i deboli, e a tutti di
sfruttare impunemente l’ambiente”, ha proseguito Francesco, che ha commentato
ancora braccio: “Questa è una libertà brutta, non è la libertà dello Spirito”.
Per attingere la libertà dello Spirito, “così contraria alla libertà
dell’egoismo”, bisogna vivere “la libertà che ci dà Gesù”, ha concluso il Papa:
“Chiediamo a Gesù di fare di noi, mediante il suo Santo Spirito, degli uomini e
delle donne veramente liberi. Liberi per servire, nell’amore e nella gioia”.
“Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che
il mondo non soffra tanto per le guerre”, l’appello finale. “Chiediamo il
Signore, per intercessione di sua madre, la pace la pace”, l’invito: “La pace
nella martoriata Ucraina, la pace in Palestina, in Israele, la pace nel
Myanmar. Preghiamo che il Signore ci dia il dono della pace e che il
mondo non soffra tanto per le guerre”. Sir 5
Il nome con cui lo Spirito Santo è chiamato nella Bibbia
Città del Vaticano. Il Papa, continuando il nuovo ciclo
di catechesi “Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio
incontro a Gesù nostra speranza”, incentra la sua riflessione sul tema “Il
vento soffia dove vuole”. Dove c’è lo Spirito di Dio c’è libertà”. "Nella
catechesi odierna vorrei riflettere con voi sul nome con cui lo Spirito Santo è
chiamato nella Bibbia", spiega subito Papa Francesco.
"La prima cosa che noi conosciamo di una persona è
il nome. È con esso che la chiamiamo, che la distinguiamo e la ricordiamo.
Anche la terza persona della Trinità ha un nome:si chiama Spirito Santo. Ma
“Spirito” è la versione latinizzata. Il nome dello Spirito, quello con cui lo
hanno conosciuto i primi destinatari della rivelazione, con cui lo hanno
invocato i profeti, i salmisti, Maria, Gesù e gli Apostoli, è Ruach, che
significa soffio, vento, respiro", commenta il Pontefice da Piazza San
Pietro.
"Fu proprio osservando il vento e le sue
manifestazioni, che gli scrittori biblici furono guidati da Dio a scoprire un
“vento” di natura diversa", dice il Pontefice durante questa Udienza
Generale. "Cosa ci dice, dunque, dello Spirito Santo, il suo nome Ruach?
L’immagine del vento serve anzitutto a esprimere la potenza dello Spirito.
“Spirito e potenza”, o “potenza dello Spirito” è un binomio ricorrente in tutta
la Bibbia. Il vento infatti è una forza travolgente e indomabile.",
specifica il Papa.
"Gesù metterà in luce un’altra caratteristica del
vento, quella della sua libertà", dice il Papa.
"Il vento è l’unica cosa che non si può
assolutamente imbrigliare, non si può “imbottigliare” o inscatolare. E' libero.
Pretendere di rinchiudere lo Spirito Santo in concetti, definizioni, tesi o
trattati, come ha tentato di fare a volte il razionalismo moderno, significa
perderlo, vanificarlo, o ridurlo allo spirito umano semplice. Esiste però una
tentazione analoga anche in campo ecclesiastico, ed è quella di voler
racchiudere lo Spirito Santo in canoni, istituzioni, definizioni. Lo Spirito
crea e anima le istituzioni, ma non può essere Lui stesso
“istituzionalizzato", continua Papa Francesco.
"Una persona libera è quello che ha lo Spirito del
Signore. Questa è una libertà tutta speciale, assai diversa da ciò che
comunemente si intende. Non è libertà di fare quello che si vuole, ma libertà
di fare liberamente quello che Dio vuole! Non libertà di fare il bene o il
male, ma libertà di fare il bene e farlo liberamente, cioè per attrazione, non
per costrizione. In altre parole, libertà dei figli, non degli schiavi",
sottolinea il Pontefice.
"Chiediamo a Gesù di fare di noi, mediante il suo
Santo Spirito, degli uomini e delle donne veramente liberi. Liberi per servire,
nell’amore e nella gioia", conclude così Papa Francesco. Veronica Giacometti,
Aci 5
Nuovo documento ad un mondo che sembra aver perso il cuore
Città del Vaticano. Ad un "mondo che sembra aver
perso il cuore" il Papa decide di donare un documento dedicato al Sacro
Cuore di Gesù. Questo l'annuncio durante i saluti in lingua italiana di oggi. E
"lancia" anche altri appelli e preghiere.
"Stiamo percorrendo questo mese dedicato al Sacro
Cuore, il 27 dicembre dello scorso anno ricorreva il 350esimo anniversario
della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria
Alacoque, in quell'occasione si è aperto un periodo di celebrazioni che si
concluderà il 27 giugno del prossimo anno, per questo sono lieto di preparare
un documento che raccolga le preziose riflessioni di testi magisteriali
precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture per riproporre
oggi a tutta la Chiesa questo culto, carico di bellezza spirituale. Credo che
ci farà molto bene meditare su vari aspetti dell'amore del Signore che possano
illuminare il cammino del rinnovamento ecclesiale, che dicano qualcosa di
significativo ad un mondo che sembra aver perso il cuore. Vi chiedo di
accompagnarmi con la preghiera in questo tempo di preparazione con l'intenzione
di rendere pubblico questo documento il prossimo settembre", queste le
parole del Papa che annunciano un nuovo documento.
Poi anche un pensiero speciale nei saluti in lingua
tedesca. "Cari fratelli e sorelle, oggi la Chiesa celebra la festa di San
Bonifacio, l’apostolo della Germania. Grati per la lunga e feconda storia di
fede nelle vostre terre, invochiamo lo Spirito Santo affinché mantenga sempre
viva in voi la fede, la speranza e la carità", questo il pensiero del
Papa.
Poi nei saluti in lingua polacca. "In questi giorni
state commemorando l’anniversario del primo Viaggio Apostolico di Giovanni
Paolo II in Patria e la sua preghiera allo Spirito Santo di scendere e
rinnovare la faccia della terra, della vostra terra – ed essa è stata
rinnovata. Avete riacquistato la libertà. Non dimenticate, però, che la libertà
che viene dallo Spirito non è un “pretesto per la carne”, come dice san Paolo,
ma è un impegno a crescere nella verità rivelata da Cristo ed a difenderla
dinanzi al mondo. Vi benedico di cuore", il ricordo del Pontefice.
"Chiediamo al Signore la pace, la pace per la
martoriata Ucraina, Palestina, Israele, la pace nel Myanmar e che il mondo non
soffra tanto per le guerre", conclude così il suo appello Papa Francesco.
Veronica Giacometti, Aci 5
Lasciare che il debito soffochi i paesi è un peccato
Città del Vaticano. "Dopo una globalizzazione mal
gestita, dopo pandemie e guerre, ci troviamo di fronte a una crisi del debito
che colpisce soprattutto i Paesi del Sud del mondo, generando miseria e
angoscia e privando milioni di persone della possibilità di un futuro
dignitoso. Di conseguenza, nessun governo può pretendere moralmente che il
proprio popolo subisca privazioni incompatibili con la dignità umana".
Papa Francesco lo ha detto ai partecipanti all’Incontro promosso dalla
Pontificia Accademia delle Scienze sul tema “Debt Crisis in the Global South”.
La questione del debito si risolve per il Papa creando
"un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull'armonia tra
i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue
implicazioni economiche, finanziarie e sociali".
Francesco ripercorre il magistero pontificio e la
richiesta di San Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000 e spiega:"l'Anno
Santo del 2025 verso il quale ci stiamo dirigendo ci chiama ad aprire la mente
e il cuore per poter sciogliere i nodi di quei legami che strangolano il presente,
senza dimenticare che siamo solo custodi e amministratori, non padroni".
Infine il Papa ha ricordato che la Casa Comune va abitata
"con coscienza serena quando sa che intorno a sé ci sono tanti fratelli e
sorelle affamati e anche sommersi dall'esclusione sociale e dalla
vulnerabilità. Lasciare che questo passi è un peccato, un peccato umano, anche
se non si ha fede, è un peccato sociale". Angela Ambrogetti, Aci 5
Le strutture economiche della Santa Sede
Città del Vaticano. Dai tribunali all' Economia. Iniziamo
con la istituzione più recente nelle nostre note storiche come si leggono nell'
Annuario Pontificio 2014.
Poco più di 10 anni fa Papa Francesco ha istituito il
Consiglio per l'Economia. Con il Motu Proprio Fidelis dispensator et prudens, e
poi nel 2022 "gli è stato attribuito il compito di vigilare sulle
strutture e le attività amministrative e finanziarie delle Istituzioni curiali
e degli Uffici, e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede. Il Consiglio
per l'Economia «esercita le sue funzioni luce della dottrina sociale della
Chiesa attenendosi alle migliori prassi riconosciute a livello internazionale
in materia di pubblica amministrazione, con il fine di una gestione
amministrativa e finanziaria etica ed efficiente»".
Ne fanno parte 15 membri di cui 8 "sono scelti tra
Cardinali e Vescovi in modo da rispecchiare l'universalità della Chiesa e sette
sono esperti di varie nazionalità, con competenze finanziarie e riconosciuta
professionalità. Il Consiglio ha un proprio ufficio per il coordinamento delle
attività. Gli Statuti del Consiglio per l'Economia sono stati approvati il 22
febb. 2015".
Immediatamente collegata è la Segretaria per l'Economia,
nata nel 2014 e il Papa vi ha trasferito "la Sezione Ordinaria
dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Successivamente
all'approvazione degli Statuti, avvenuta col Motu Proprio I Beni Temporali il 9
lu. 2016, sono state trasferite alla stessa Segreteria le competenze circa il
Centro Elaborazione Dati e l'Obolo di San Pietro. Con Motu Proprio Una migliore
organizzazione del 26 dic. 2020, il Romano Pontefice le ha affidato la funzione
di Segreteria Papale per le materie economiche e finanziarie. Il Santo Padre,
con la Costituzione Apostolica Predicate-Evangelium del 19 mar. 2022, ha
costituito presso il medesimo Organismo economico la Direzione per le Risorse
Umane della Santa Sede".
Due le sezioni, una per "la regolazione, il
controllo e la vigilanza in materia economica e finanziaria, l'altra per la
regolazione, il controllo e la vigilanza in materia amministrativa".
Una attività per "le Istituzioni curiali, gli Uffici
e le Istituzioni collegate con la Santa Sede o che fanno riferimento ad essa
come pure sull'Obolo di San Pietro e sugli altri Fondi Papali".
Il compito della Segreteria è quello di sottoporre al
Consiglio per l'Economia proposte di maggiore importanza, emanare indirizzi in
materia economica e finanziaria per la Santa Sede, controllare il rispetto dei
piani operativi e dei programmi approvati, monitorare l'operato, predisporre il
bilancio preventivo annuale, realizzare la valutazione annuale del rischio
della situazione patrimoniale e finanziaria, formulare linee guida, modelli e
procedure per gli appalti, predisporre appositi strumenti informatici".
Il lavoro sulle "Risorse umane" serve per
provvedere a tutto quanto riguarda la posizione e gestione lavorativa del
personale, ad autorizzare le assunzioni, verificandone i requisiti, e ad
approvare le tabelle organiche. Angela Ambrogetti, Aci 4
Perché la Chiesa celebra il Sacro Cuore di Gesù nel mese di giugno?
Roma. Nella Chiesa cattolica, il mese di giugno è
dedicato in modo particolare al Sacro Cuore di Gesù, per ricordare l'amore
fedele e incondizionato di Cristo per l'umanità. Una devozione che affonda
le sue radici nelle origini del cristianesimo.
Un articolo di ACI Prensa raccoglie la risposta alla
domanda sul perchè si celebra proprio il mese di giugno. La devozione al
Cuore di Gesù esiste da quando i primi cristiani meditavano dalla parte del
Signore e dal cuore aperto. D'altra parte, il 16 giugno 1675, Gesù chiese a un
santo di incoraggiare la devozione al suo Sacro Cuore.
In quel giorno, il Figlio di Dio apparve in Francia a
Santa Margherita Maria d'Alacoque, una monaca francese dell'Ordine della
Visitazione di Santa Maria, e le mostrò il suo Cuore.
Come ha sottolineato Santa Margherita, il Cuore di Gesù
era circondato da fiamme d'amore, coronato di spine, e aveva una ferita aperta
da cui sgorgava sangue; ne uscì anche una croce.
"Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini, eppure
dalla maggior parte degli uomini ricevo ingratitudine, irriverenza e
disprezzo", disse Gesù al santo.
Papa Benedetto XVI ha affermato che "nel vedere il
Cuore del Signore, dobbiamo guardare al fianco trafitto dalla lancia, dove
risplende l'inesauribile volontà di salvezza di Dio".
Ha anche sottolineato che "non può essere
considerato un culto o una devozione passeggera: l'adorazione dell'amore di
Dio, che ha trovato la sua espressione storico-devozionale nel simbolo del
'cuore trafitto', rimane indispensabile per un rapporto vivo con Dio".
Ecco perché in questo mese noi cattolici siamo chiamati a
manifestare con le nostre opere la devozione al suo Cuore amorevole, come modo
di rispondere al grande amore di Gesù, che è morto per la nostra salvezza ed è
rimasto nell'Eucaristia per mostrarci la via della vita eterna.
Principali promesse fatte dal Sacro Cuore di Gesù a Santa
Margherita d'Alacoque:
1. Alle anime consacrate al mio Cuore darò le grazie
necessarie al loro stato.
2. Darò pace alle famiglie.
3. Li consolerò in tutte le loro afflizioni
4. Sarò il loro rifugio e rifugio sicuro durante la vita,
e specialmente nell'ora della morte
5. Riverserò abbondanti benedizioni sulle vostre imprese
6. I peccatori troveranno nel Mio Cuore la sorgente e
l'oceano infinito della misericordia
7. Le anime tiepide diventeranno ferventi
8. Le anime ferventi si innalzeranno rapidamente a una
grande perfezione
9. Benedirò le case in cui l'immagine del mio Sacro Cuore
è esposta e onorata.
10. Darò ai sacerdoti la grazia di commuovere i cuori
induriti
11. Le persone che propagano questa devozione avranno il
loro nome scritto nel mio cuore e non sarà mai cancellato da esso.
12. A tutti coloro che ricevono la Comunione in nove
primi venerdì consecutivi del mese, l'amore onnipotente del Mio Cuore concederà
loro la grazia della perseveranza finale. Aci 3
“L’incontro con il migrante è incontro con Cristo”
“Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo
popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino
attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati
–, come prolungando il mistero dell’Incarnazione”. Lo scrive il Papa, nel
messaggio per la 110ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà
celebrata il 29 settembre, sul tema: “Dio cammina con il suo popolo”. “Per
questo, l’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel
bisogno, è anche incontro con Cristo”, spiega Francesco: “Ce l’ha detto lui
stesso. È lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo,
malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito”. “In questo
senso, i poveri ci salvano, perché ci permettono di incontrare il volto del
Signore”, commenta il Papa, che conclude il suo messaggio con una preghiera
“per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca di
condizioni di vita degne”: “Dio, Padre onnipotente, noi siamo la tua Chiesa
pellegrina in cammino verso il Regno dei Cieli. Abitiamo ognuno nella sua
patria, ma come fossimo stranieri. Ogni regione straniera è la nostra patria,
eppure ogni patria per noi è terra straniera. Viviamo sulla terra, ma abbiamo
la nostra cittadinanza in cielo. Non permettere che diventiamo padroni di
quella porzione del mondo che ci hai donato come dimora temporanea. Aiutaci a
non smettere mai di camminare, assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti,
verso la dimora eterna che tu ci hai preparato. Apri i nostri occhi e il nostro
cuore affinché ogni incontro con chi è nel bisogno, diventi un incontro con
Gesù, tuo Figlio e nostro Signore”. M. Michela Nicolais, sir 3
Il Papa ai Focolarini: "Lo Spirito apre sentieri di dialogo e
incontro, a volte sorprendenti"
Il Papa ai Focolarini: "Saluto la Presidente del
Movimento dei Focolari, alla quale vorrei dire: prego per la tua Patria: prego
tanto per la tua Patria, che soffre in questo momento" - Di Veronica
Giacometti
Città del Vaticano. "Saluto la Presidente del
Movimento dei Focolari, alla quale vorrei dire: prego per la tua Patria: prego
tanto per la tua Patria, che soffre in questo momento; e saluto tutti voi che
partecipate a questo Convegno interreligioso. Ringrazio per la perseveranza con
cui l’Opera di Maria porta avanti il cammino iniziato da Chiara Lubich con
persone di religioni non cristiane che condividono la spiritualità dell’unità.
È stato un cammino rivoluzionario, questo, che fa tanto bene alla Chiesa".
Papa Francesco accoglie con affetto in Udienza i partecipanti al Convegno
Interreligioso promosso dal Movimento dei Focolari.
Il Papa si riferisce a Margaret Karram, che accompagna il
Movimento. Margaret è una teologa palestinese di nazionalità israeliana,
attuale presidente del Movimento dei Focolari diffuso in 182 Paesi. I focolari
hanno come obiettivo l'unità tra i popoli e la fraternità universale.
"Lo Spirito apre sentieri di dialogo e di incontro,
a volte sorprendenti", dice Papa Francesco. Il Papa ricorda la fondatrice,
Chiara Lubich, la quale ha sempre dialogato "con i leader di varie
religioni: buddhisti, musulmani, indù, ebrei, sikh, e altri. Un dialogo che si
è sviluppato fino ad ora, come dimostra la vostra presenza oggi".
"Il fondamento su cui poggia questa esperienza è
l’Amore di Dio che si attua nell’amore reciproco, nell’ascolto, nella fiducia,
nell’accoglienza e nella conoscenza gli uni degli altri, nel pieno rispetto
delle rispettive identità. Con il tempo, è cresciuta l’amicizia e la
collaborazione nel cercare di rispondere insieme al grido dei poveri, nel
prendersi cura del creato, nel lavorare per la pace. Attraverso questo cammino
alcuni fratelli e sorelle non cristiani hanno condiviso la spiritualità
dell’Opera di Maria o alcuni suoi tratti caratteristici e li vivono in mezzo
alla loro gente. Con queste persone si va oltre il dialogo, ci si sente
fratelli e sorelle, si condivide il sogno di un mondo più unito, nell’armonia
delle diversità", commenta il Pontefice nel suo discorso.
"La vostra testimonianza è motivo di gioia, è motivo
di consolazione, specialmente in questo tempo di conflitti, nei quali la
religione viene spesso strumentalizzata per alimentare lo scontro",
conclude il Papa con la benedizione finale. Aci 3
Papa Francesco, “sentiamoci in cammino con i migranti”
Nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante, Papa
Francesco invita a pregare con e per i migranti e a vedere in loro il volto di
Cristo - Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. L’analogia è quella con il Sinodo, un
popolo itinerante. E così sono i migranti vanno visti come un popolo
itinerante, da pregare con e pregare per. Papa Francesco verga un Messaggio per
la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato senza appelli politici, con
una richiesta di riconoscere nel migrante il volto di Gesù, e dunque da
accogliere. È un messaggio breve, che si inserisce nel cammino sinodale, e che
forse un po’ risente del fatto che ormai il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo
Umano Integrale non ha più una sezione dedicata solo al tema dei Migranti e
Rifugiati. Come se il grande tema di inizio pontificato di Francesco, pur
essendo rimasto, abbia in realtà preso sfumature e strade diverse.
La 110° Giornata Mondiale del Migrante e il Rifugiato
sarà celebrata il 29 settembre, e il tema della Giornata è “Dio cammina con il
suo popolo”.
Nel messaggio, intitolato “Sinodo come popolo
itinerante”, Papa Francesco sottolinea che “è possibile vedere nei migranti del
nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio
in cammino verso la patria eterna”.
Papa Francesco fa un paragone tra il viaggio dell’Esodo
biblico e quella dei migranti. “Come il popolo d’Israele al tempo di Mosè –
scrive Papa Francesco - i migranti spesso fuggono da situazioni di
oppressione e sopruso, di insicurezza e discriminazione, di mancanza di
prospettive di sviluppo”.
E ancora, “come gli ebrei nel deserto, i migranti trovano
molti ostacoli nel loro cammino: sono provati dalla sete e dalla fame; sono
sfiniti dalle fatiche e dalle malattie; sono tentati dalla disperazione. Ma la
realtà fondamentale dell’esodo, di ogni esodo, è che Dio precede e accompagna
il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo”.
Il Papa ricorda che molti migranti “fanno esperienza del
Dio compagno di viaggio, guida e ancora di salvezza”, e proprio grazie a Dio
“ci sono buoni samaritani lungo la via”.
Nota Papa Francesco: “Quante bibbie, vangeli, libri di
preghiere e rosari accompagnano i migranti nei loro viaggi attraverso i
deserti, i fiumi e i mari e i confini di ogni continente!”
Questo significa che “Dio non solo cammina con il suo
popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e
le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i
poveri, gli emarginati –, come prolungando il mistero dell’Incarnazione”.
Ed è per questo che “l’incontro con il migrante, come con
ogni fratello e sorella che è nel bisogno, “è anche incontro con Cristo”.
In conclusione, Papa Francesco invita ad “universi in
preghiera per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca
di condizioni di vita degne”, sentendosi “in cammino insieme a loro” e facendo
“sinodo insieme”.
Commentando il messaggio, il Cardinale Michael Czerny,
sj, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale, sottolinea
che “oggi, piuttosto che rifiutare e reprimere quanti migrano, dovremmo
prestare attenzione ai fattori dietro la migrazione forzata”, perché “se sperimentassimo
pressioni simili, anche noi partiremmo”, e dunque siamo chiamati a vedere “i
migranti come fratelli e sorelle, che siano forzati a lasciare, oppure bloccati
dall’entrare, oppure entrambi”.
Il cardinale sottolinea che “le persone in movimento, gli
esiliati e gli sfollati, i rifugiati e le vittime di tratta e molti migranti
sono messi crudelmente alla prova da avversità e possono essere tentati dalla
perdita di speranza”.
Blessing Okoedion ha raccontato la sua storia do donna
“nata e cresciuta nello Stato di Edo, che oggi è generalmente considerato il
centro della tratta di esseri umani in Nigeria”, che è stata vittima di tratta
anche lei, “ingannata e fatta venire in Europa nel 2013, dove sono stata
portata su una strada e messa in vendita”, con la richiesta di restituire un
debito di 65 mila euro.
“Per gli sfruttatori – ha affermato - sei una merce in
vendita su cui speculare e guadagnare; per i compratori di sesso sei una merce
in vendita da comprare e usare per il loro piacere, imponendoti una violenza
che viene ‘giustificata’ dall’uso del denaro”.
Blessing è riuscita a “scappare e denunciare”, e poi
portata in un centro anti-tratta, dove, grazie a suor Rita Giaretta, ha avviato
“un percorso di rinascita che mi ha permesso di ritrovare me stessa”.
Emanuele Selleri è direttore esecutivo l’Agenzia
Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS), una organizzazione di
volontariato nata venti anni fa come braccio sociale, operativo e culturale
della Regione Europa-Africa dei Missionari di San Carlo – Scalabriniani.
È una delle tante emanazioni nata dal carisma di San Giovanni Battista
Scalabrini, che a fine 1800 cominciò la sua missione con gli emigrati italiani.
“Attualmente – sottolinea Selleri - i tre ambiti
principali di intervento della nostra organizzazione sono: l’accoglienza
integrale, l’animazione interculturale soprattutto con i giovani e la
cooperazione allo sviluppo”. Per questo, considera “incoraggiante” il messaggio
di Papa Francesco, perché le due certezze che Papa Francesco ci indica, cioè
che Dio cammina con il suo popolo migrante e che Dio è presente nel suo popolo,
ci confermano e ci incoraggiano a perseverare nella nostra azione con. Ci
dicono che continuando ad essere ed operare con, siamo sulla buona strada, cioè
quella percorsa da Dio stesso che nonostante le difficoltà e le nostre ritrosie
insiste nel chiederci di incontrare i nostri fratelli e sorelle migranti e
rifugiati per fare un pezzo di strada con loro, condividere la nostra vita con
loro”. Aci 3
“L’Eucaristia è l’unico vero farmaco capace di guarire le ferite dell’uomo”
“L’uomo non si può dare da sé stesso questa guarigione,
ha bisogno di essere guarito”, spiega al Sir il teologo che prenderà parte al
Congresso eucaristico internazionale di Quito, a settembre: “Nell’affermazione
di Matteo, ‘fraternità per guarire il mondo’, da cui è nato il documento base
tradotto in diverse lingue e promulgato dalla Conferenza episcopale
dell’Ecuador, è espressa questa necessità di riconoscersi malati. Se non si
parte da questo e si parte dall’autosufficienza non arriveremo mai a una
fraternità vera, capace di rispondere alle
Nell’Eucaristia Gesù non ci dà solamente la sua Parola,
il suo Vangelo, ci dà anche il suo “corpo” per farci comprendere che è insieme
a noi in modo reale, abitando la nostra storia. Del Corpus Domini che ci
apprestiamo a celebrare e del Congresso eucaristico che si svolgerà quest’anno
a Quito, in Ecuador, dall’8 al 15 settembre, parliamo con don Paolo Morocutti,
unico teologo italiano che vi parteciperà.
Don Paolo, si comprende appieno il dono grande che il
Signore ci fa con l’Eucaristia?
C’è e c’è sempre stata una fatica nel comprendere
realmente l’Eucaristia nella sua realtà più profonda. La fatica più grande è
quella che ci impedisce di superare l’aspetto devozionale, a cui tutti siamo
profondamenti legati, per entrare nella dimensione più reale, che è quella di
accogliere un Dio che è presente, s’incarna in Gesù Cristo ed è capace di dare
risposte concrete alle ferite dell’uomo. Il Corpus Domini dovrebbe essere per
tutti questa affermazione gioiosa, forte, di un Dio che è presente realmente
nel pane e nel vino, ma che è anche capace realmente di venire incontro a
questo bisogno dell’uomo. In fondo, l’Eucaristia dovremmo rileggerla come
questa realtà capace di dare una risposta alle realtà che stiamo vivendo e ci
smarriscono: la guerra, la violenza, l’inquietudine, l’incertezza del domani.
In questo panorama di grande incertezza noi cristiani dobbiamo ridirci sempre
di più che c’è una certezza: questo Dio che è insieme a noi, non in modo
spirituale o devozionale, è insieme a noi in modo reale, talmente vicino e
talmente presente tanto che è capace di configurarsi e abitare la nostra
storia, anche quella più contraddittoria.
Come si passa dalla devozione alla comprensione più
profonda dell’Eucaristia?
La devozione e la devozionalità sono un punto di partenza
importante perché – grazie a Dio – il nostro popolo ancora riconosce
nell’Eucaristia una presenza. Il problema è che questo punto di partenza va
declinato in una maniera meno superficiale, ma più profonda. Bisogna portare a
capire le persone non solo che nell’Eucaristia è presente Dio, ma quali sono le
conseguenze di questa presenza, quella che gli orientali chiamano ancora la
“divinizzazione dell’uomo”. In questa relazione cresciamo e diventiamo
veramente simili a Cristo, quindi è un passaggio dal riconoscere una presenza
al farla, poi, fruttare. Una presenza che ci deve trasformare. Dunque, il
passaggio è quello dal riconoscere la presenza di Dio a far sì che questa
presenza, abitando in noi, ci responsabilizzi e consenta una trasformazione
integrale della nostra persona e, ancora, a far sì che questa presenza poi sia
anche foriera di trasformazioni globali, nell’antropologia, nell’economia,
nella società, nella famiglia. A questo deve rispondere una vera devozione
all’Eucaristia.
I Congressi eucaristici aiutano a far vivere questo
passaggio? Dall’8 al 15 settembre vivremo un nuovo appuntamento internazionale…
I Congressi eucaristici certamente hanno un ruolo
fondamentale. A Quito in Ecuador vivremo il 53° Congresso eucaristico internazionale.
Questo significa che la Santa Sede, che ha un Pontificio Comitato per i
Congressi eucaristici, ha sempre dato una grandissima rilevanza a questi
incontri, che hanno come finalità non solo di riportarci all’Eucaristia come
devozione: il centro di questi Congressi eucaristici è definire che il culto
dell’Eucaristia non deve e non può essere solo declinato in modo devozionale,
ma essere compreso nella sua realtà più viva e profonda. È la consapevolezza
che l’amore di Dio incarnato in Cristo è realmente presente nell’Eucaristia ed
è la vera fonte di salvezza e di guarigione dell’uomo.
Il tema scelto per il Congresso eucaristico
internazionale di Quito è “Fraternità per sanare il mondo – Voi siete tutti
fratelli (Mt 23, 8)”.
Il tema è scelto dal Vangelo di Matteo al capitolo 23, ma
è anche molto chiaro, schietto. “Fraternità per guarire il mondo”: c’è
un’affermazione che la guarigione del mondo passa, secondo la visione
evangelica, attraverso questa fraternità, questa realtà in cui gli uomini
diventano fratelli, ma questa realtà, da un punto di vista cristiano, non è
solamente in qualche modo possibile attraverso la buona educazione, la
socialità, la pedagogia, ma ha bisogno di una guarigione profonda, che non può
venire dall’uomo. L’uomo non si può dare da se stesso questa guarigione, l’uomo
ha bisogno di essere guarito. In questa affermazione di Matteo, “fraternità per
guarire il mondo”, da cui è nato il documento base tradotto in diverse lingue e
promulgato dalla Conferenza episcopale dell’Ecuador, è espressa questa
necessità di riconoscersi malati. Se non si parte da questo e si parte
dall’autosufficienza non arriveremo mai a una fraternità vera, capace di
rispondere alle tante ferite che stiamo vivendo.
Lei sarà l’unico teologo italiano a Quito: che responsabilità
sente e che contributo porterà da parte dell’Italia?
Ho accolto questo invito con estremo stupore, sono stato
contattato dal Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici e ciò mi ha
lasciato senza parole. Il contributo che darò proviene da un sentire italiano.
È vero che la fraternità guarisce il mondo, ma poi la fraternità s’incarna in
contesti sociali e culturali. Nella nostra Italia viviamo ancora il nostro
rapporto con l’Eucaristia in modo controverso: c’è ancora tanta devozione ma c’è
anche tanto bisogno di riscoprirla nel suo senso più profondo e reale. Sento
una grande responsabilità di interpretare una teologia che nel nostro contesto
italiano sull’Eucaristia ha avuto grandi nomi e grandi spunti. Spero che sia un
contributo di comunione, una piccola goccia che vada ad aggiungersi a un oceano
di riflessioni in tutto il mondo in cui l’Eucaristia è definita l’unico vero
farmaco capace di guarire queste ferite dell’uomo. Il mio contributo verterà
sul rapporto tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia. L’Ecuador celebra i 150 anni
della consacrazione al Sacro Cuore ed è il primo Paese al mondo che si è
consacrato al Sacro Cuore, questo rapporto tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia è
lo specifico per cui sono stato chiamato e dimostra che l’Eucaristia è un cuore
vivo, è un cuore che pulsa, è un cuore capace di dare amore e di sentire anche
dolore, perché il cuore di Cristo, come insegna la Tradizione, è un cuore che
palpita d’amore ma che sente sofferenza dell’indifferenza e freddezza con cui
noi spesso ci relazioniamo con la persona di Gesù presente nell’Eucaristia.
Quindi il rapporto che c’è tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia è il superamento
di ogni devozione per riaffermare che nell’Eucaristia è presente un cuore che
pulsa, che batte, che dà amore ma che deve anche ricevere amore.
Dal Congresso eucaristico di Quito verrà l’invito a
diventare “missionari eucaristici della fraternità”?
Diventare “missionari eucaristici della fraternità” non è
una chiamata per qualche battezzato, è un dovere per tutti i battezzati perché
essere “missionari eucaristici della fraternità” significa essere missionari
dell’amore di Gesù Cristo, come Gesù Cristo ce lo consegna e ce lo dà.
Per cui il dovere di una fraternità missionaria che ha al
centro l’Eucaristia non è declinabile per qualche battezzato o per qualche
realtà ecclesiale, ma è il modo proprio con cui la Chiesa celebra la vera
fraternità.
Quali frutti si aspetta dal Congresso eucaristico 2024?
Il frutto è che i cristiani di tutto il mondo, ancora una
volta tutti insieme e verso l’unica direzione, indichino quel cuore che batte
nell’Eucaristia come l’unica possibile fonte di vera guarigione, ristabilire la
guarigione dell’uomo come qualcosa che non viene dall’uomo, ma viene da Dio.
Noi siamo molto attenti a trovare soluzioni giustamente alle grandi domande di
oggi – la guerra, la violenza, la crisi economica, la crisi che abbraccia le
nostre famiglie, la crisi globale anche climatica – ma ricordiamoci che anche
il Santo Padre quando parla di crisi ecologica indica come prima realtà alla
base di questa crisi il peccato originale, non è solo una crisi economica, di
egoismi dell’uomo, ma la fonte più profonda di ogni vera discrasia a livello
antropologico, economico risiede nel peccato originale e l’unico capace di sanare
profondamente alla radice questo peccato è il Dio incarnato che incarnandosi
rendendosi presente nell’Eucaristia va a guarire le nostre relazioni e ci
consente, se scegliamo di seguirlo, di sanare. Mi aspetto che ancora una volta
la Chiesa in tutto il mondo indichi come unico Signore e Salvatore Gesù Cristo
da cui parte una vera e integrale guarigione per tutti gli uomini. Sir 2
Papst: Augsburger Ökumene-Erklärung
„Zeichen der Hoffnung“
Wir sind alle „Pilger der
Hoffnung“, die beim gemeinsamen Weg den Blick stets auf Christus als Herzstück
der Ökumene richten müssen. Das unterstrich Papst Franziskus an diesem
Donnerstag bei einem Treffen mit der Führungsspitze des Lutherischen
Weltbundes. Dabei ging er auch auf den anstehenden Jahrestag des Konzils von
Nizäa ein und erinnerte an den 2023 verstorbenen orthodoxen Theologen Ioannis
Zizioulas. Christine Seuss – Vatikanstadt
Hoffnung war der rote Faden
in der Ansprache, die Papst Franziskus an diesem Donnerstagmorgen an die Delegation
des Lutherischen Weltbundes (LWB) richtete, die er im Apostolischen Palast in
Audienz empfing. Geleitet wurde die Gruppe durch den neuen, 2023 gewählten
Präsidenten, den dänischen Bischof Henrik Stubkjær, und die estnische
Generalsekretärin Anne Burghardt.
Die Führungsspitze kam erst
vor wenigen Tagen, vom 13. bis zum 18. Juni, zu ihrer Ratstagung in Chavannes,
am Stadtrand von Genf in der Schweiz, zusammen. Das Thema lautete: „Seid reich
an Hoffnung“, angelehnt an einen Abschnitt des Apostels Paulus (Röm 15,13).
Dieses Treffen erwähnte Franziskus, ebenso wie er gleich zu Beginn seiner
Ansprache aus der gleichen Passage zitierte („Der Gott der Hoffnung aber
erfülle euch mit aller Freude und mit allem Frieden im Glauben, damit ihr reich
werdet an Hoffnung in der Kraft des Heiligen Geistes“, Röm 15,13) und die
aktuelle Begegnung im Vatikan als „eine wichtige Geste der Geschwisterlichkeit“
würdigte.
Zeichen der Hoffnung
In diesem Zusammenhang
verwies er auf die vielen „Zeichen der Hoffnung“, die sich für das kommende
Jahr 2025 abzeichneten, darunter das bevorstehende Heilige Jahr, dessen Motto
„Pilger der Hoffnung“ lautet. „In der Tat sind wir alle Pilger der Hoffnung“,
betonte Franziskus vor seinen Gästen. Als zweites Hoffnungszeichen verwies
Franziskus auf den 1700. Jahrestag des ersten Konzils von Nizäa, das 325 von
Kaiser Konstantin einberufen worden war und die Göttlichkeit Christi, der mit
dem Vater wesensgleich ist, definierte.
Wie der Papst erinnerte,
hatten bereits im vergangenen Jahr der Lutherische Weltbund und der Vatikan in
einer gemeinsamen Erklärung betont, dass „das altchristliche Glaubensbekenntnis
von Nizäa, dessen 1700. Jahrestag wir 2025 feiern werden, ein ökumenisches Band
schafft, das sein Zentrum in Christus hat“ (19. September 2023):
„Jesus Christus ist das
Herzstück der Ökumene. Er ist die fleischgewordene göttliche Barmherzigkeit,
und unser ökumenischer Auftrag besteht darin, dies zu bezeugen“, unterstrich
der Papst in diesem Zusammenhang.
„Jesus Christus ist das
Herzstück der Ökumene“
Anschließend verwies er auch
auf die „Gemeinsame Erklärung zur Rechtfertigungslehre“, die am 31. Oktober
1999 in Augsburg unterzeichnet wurde. Darin finde sich eine Formulierung von
großem ökumenischem Wert:
„In der ,Gemeinsamen
Erklärung zur Rechtfertigungslehre‘ haben Lutheraner und Katholiken als
gemeinsames Ziel formuliert, ,in allem Christus zu bekennen, dem allein über
alles zu vertrauen ist als dem einen Mittler (1 Tim 2.5f.), durch den
Gott im Heiligen Geist sich selbst gibt und seine erneuernden Gaben schenkt
(Nr. 18).“
25 Jahre seien nun seit der
Unterzeichnung dieser offiziellen Gemeinsamen Erklärung vergangen, was ein
„weiteres Zeichen der Hoffnung in unserer Geschichte der Versöhnung“ gewesen
sei, so Franziskus. „Lassen Sie es uns als etwas immer Lebendiges in Erinnerung
behalten. Lassen Sie uns den 25. Jahrestag in unseren Gemeinschaften als ein
Fest der Hoffnung feiern.“
Das Gedenken an Ioannis
Zizioulas
Auf diesem Weg, fügte das
katholische Kirchenoberhaupt hinzu, sei es gut, sich an die Worte des
orthodoxen Theologen und Bischofs Ioannis Zizioulas zu erinnern. Der damalige
Metropolit von Pergamon (Patriarchat von Konstantinopel) hatte an der Abfassung
des Papstschreibens „Laudato si' " mitgewirkt; im Jahr 2023 ist
er verstorben. Dieser „Pionier der Ökumene“ habe einen gesunden Sinn für Humor
bewiesen, wenn er immer wieder darauf verwiesen habe, dass der eigentliche Tag
der Einheit der Christen der Tag des Jüngsten Gerichts sein würde. „Aber bis
dahin, so sagte er, müssen wir gemeinsam gehen: gemeinsam gehen, gemeinsam
beten und gemeinsam Nächstenliebe üben“.
Am Ende der Audienz lud Papst
Franziskus die Anwesenden ein, gemeinsam das Vaterunser zu beten, jeder in
seiner eigenen Sprache. (vn 20)
Spenden für „Kirche in Not"
rückläufig
Das katholische Hilfswerk
„Kirche in Not" hat 2023 weltweit Spenden in Höhe von 143,7 Millionen Euro
gesammelt. Im Vorjahr waren es rund 146 Millionen Euro, wie die Organisation am
Donnerstag in München mitteilte.
„Von jedem gespendeten Euro
flossen durchschnittlich mehr als 81 Cent in Projektarbeit sowie
Glaubensverkündung und Interessensvertretung für bedrängte Christen", hieß
es. Etwa sieben Cent seien in die Verwaltungskosten gegangen und elf Cent in
die Spendenwerbung. Mit den Spenden wurden laut Mitteilung 5.573 Projekte in
138 Ländern unterstützt.
Projekte in mehr als 135
Ländern
An der Spitze stand demnach
die Ukraine; dorthin flossen rund 7,5 Millionen Euro. Fast ein Drittel der
Projektausgaben sei nach Afrika gegangen, hieß es weiter. „Auf dem Kontinent
lebt fast jeder fünfte Katholik, jeder achte Priester, jede siebte Ordensfrau
und ein Drittel der Priesterseminaristen weltweit."
Schwerpunkt Bauhilfe
Größter Posten der
Hilfsprojekte waren den Angaben zufolge die Bauhilfen, vor allem der
Wiederaufbau und die Renovierung von Kirchen, Klöstern und Gemeindezentren. „Es
folgen Transportprojekte, also der Kauf von Autos, Motor- und Fahrrädern,
Bussen und Booten, damit kirchliche Mitarbeiter auf oft schwer zugänglichen
Straßen zu den ihnen anvertrauten Menschen gelangen können." Elf Prozent
der Spendengelder seien in Nothilfen geflossen. Statistisch gesehen erhielt
2023 jeder zehnte Priesterseminarist weltweit Unterstützung von „Kirche in
Not", wie das Hilfswerk ergänzte. Ebenfalls jeder zehnte Priester wurde
demzufolge durch Mess-Stipendien unterstützt. „Insgesamt konnten fast zwei
Millionen Mess-Stipendien weitergegeben werden." (kna 20)
Engelbert Kolland und Carlo Acutis
werden bald heiliggesprochen
Der
Tiroler Ordensmann Engelbert Kolland und der italienische Jugendliche Carlo
Acutis sind unter den Seligen, über deren Heiligsprechung der Papst und die
Kardinäle am kommenden 1. Juli beraten werden. Das geht aus der Ankündigung des
so genannten Ordentlichen Konsistoriums für die Abstimmung über einige
Heiligsprechungsverfahren hervor, die an diesem Mittwoch veröffentlicht wurde.
Demnach
sind unter den Kandidaten für die Heiligsprechung der Franziskaner Manuel Ruiz
López und sieben Gefährten, darunter Engelbert Kolland, sowie die Laien
Francesco, Mooti und Raffaele Massabki. Sie aller erlitten 1860 im syrischen
Damaskus das Martyrium.
Neben
dem auch außerhalt Italiens bekannten Carlo Acutis, dem ersten angekündigten
Heiligen der Internetgeneration, stehen auch noch der Priester und
Ordensgründer Giuseppe Allamano sowie die Ordensgründerinnen Marie-Léonie
Paradis und Elena Guerra auf der Liste der Heiligsprechungskandidaten.
Die
Kardinäle, die sich am 1. Juli in Rom aufhalten, sind eingeladen, an den
Beratungen teilzunehmen. Dazu sollen sie sich bis 8.30 Uhr im Konsistoriensaal
im Apostolischen Palast einfinden, wo die Versammlung unter Vorsitz des Papstes
um 9 Uhr beginnen soll. Bei einem Ordentlichen Konsistorium für
Heiligsprechungen wird vom Papst und den Kardiälen über allfällige
Heiligsprechungen entschieden und üblicherweise auch ein Datum für die
Zeremonie bestimmt. (vn 19)
Papst ruft zum Gebet für
Flüchtlinge, China und Frieden auf
Papst
Franziskus hat einen besseren Umgang mit Flüchtlingen gefordert: „Wir sind alle
aufgerufen, all jene, die an unsere Türen klopfen, aufzunehmen, zu fördern, zu
begleiten und sie zu integrieren. Ich bete dafür, dass die Staaten tätig
werden, damit Flüchtlinge menschliche Konditionen bekommen und
Integrations-Prozesse erleichtert werden", sagte er diesen Mittwoch zum
Ende seiner Generalaudienz auf dem Petersplatz. Stefanie Stahlhofen -
Vatikanstadt
Das
katholische Kirchenoberhaupt äußerte sich anlässlich des Weltflüchtlingstags
der Vereinten Nationen, der am 20. Juni begangen wird: „Möge dies eine
Gelegenheit sein, einen aufmerksamen und geschwisterlichen Blick auf all jene
zu richten, die gezwungen sind, auf der Suche nach Frieden und Sicherheit aus
ihren Häusern zu fliehen", mahnte Franziskus.
Der
Papst sprach auch erneut einen eindringlichen Appell für Frieden: „Brüder
und Schwestern, lasst uns weiter für den Frieden beten. Krieg ist immer eine
Niederlage, von Beginn an. Beten wir für Frieden in der gemarterten Ukraine, im
Heiligen Land, im Sudan, in Myanmar und überall dort, wo man aufgrund von Krieg
leidet. Lasst uns täglich für Frieden beten!"
„Lasst
uns täglich für Frieden beten!“
Gebet
für alle Chinesen
Papst
Franziskus erinnerte zum Ende seiner Generalaudienz zudem daran, dass 2024 das
100-Jahr Jubiläum des ersten chinesischen Konzils (Primum Concilium Sinense)
von 1924 in der Kathedrale von Shanghai begangen wird: „Das lässt mich auch an
das geliebte chinesische Volk denken. Beten wir immer für dieses so edle und
mutige Volk, das eine so schöne Kultur hat. Lasst uns für das chinesische Volk
beten", sagte der Papst.
Im
Mai fand an der Päpstlichen Universität Urbaniana ein internationaler Kongress
mit dem Titel „100 Jahre Concilium Sinense: zwischen Geschichte und Gegenwart"
statt, der an den hundertsten Jahrestag des ersten Konzils der katholischen
Kirche in China erinnerte. Der Heilige Stuhl und China haben im Jahr 2018
ein vorläufiges Abkommen zur gemeinsamen Ernennung von Bischöfen geschlossen,
das bereits zwei Mal verlängert wurde. Bei dem Kongress bekräftigte
Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin seine Hoffnung auf eine dritte
Verlängerung. (vn 19)
Jahrestagung Weltkirche und Mission
zum Umgang mit kolonialem Erbe
Heute
(19. Juni 2024) ist die Jahrestagung Weltkirche und Mission in Würzburg zu Ende
gegangen. Seit Montag, 17. Juni 2024, widmete sie sich unter dem Titel
„Gestörte Beziehungen. Kirche und Gesellschaft im Umgang mit dem kolonialen
Erbe“ den Herausforderungen, die aus den Folgen des Kolonialismus erwachsen.
Der Kolonialismus und in besonderer Weise der transatlantische Sklavenhandel
wirken bis zur Gegenwart fort und beschädigen die gesellschaftlichen sowie
internationalen Beziehungen erheblich.
Die
Jahrestagung wurde von der Konferenz Weltkirche organisiert. Sie versammelt die
wichtigsten weltkirchlichen Akteure der katholischen Kirche in Deutschland,
darunter internationale kirchliche Hilfswerke, Missionsorden und Bistümer.
Unter der Leitung von Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), Vorsitzender der
Kommission Weltkirche der Deutschen Bischofskonferenz, diskutierten die
Teilnehmerinnen und Teilnehmer die Herausforderungen und insbesondere die
Aufgaben der Kirche beim Umgang mit dem kolonialen Erbe.
Bischof
Meier hob in seiner Predigt im Gottesdienst hervor: „Auch die Kirche ist durch
ihre Verstrickung in den Kolonialismus tief gezeichnet und verletzt. Nicht
umsonst hat Papst Johannes Paul II. in seinem Schuldbekenntnis im Jahr 2000
auch den Kolonialismus angesprochen. In unserer weltkirchlichen Gemeinschaft
sind diese Schuld und ihre Folgen immer wieder spürbar. Aber der gemeinsame
Horizont des Glaubens stärkt uns, die Wunden der Geschichte anzugehen, und
somit der Welt ein ermutigendes Zeugnis zu geben, dass die Gewalt nicht das
letzte Wort haben wird.“ In den Diskussionen fügte Bischof Meier hinzu:
„Kolonialismus, Postkolonialismus, Dekolonialisierung, Rückgabe von
‚Artefakten‘, Aufarbeitung gewaltbelasteter Vergangenheit und Versöhnung sind
einige der Stichworte, die in den vergangenen Jahren rasant an Bedeutung
gewonnen haben. Die Prägungen aus der Zeit des Kolonialismus wirken bis heute
fort. Das gilt auch für die Kirche. Der Zusammenhang von Mission und
Kolonialismus ist ernst. Nicht selten sind in unseren weltkirchlichen
Begegnungen die toxischen Spuren der Geschichte spürbar. Wir sind daher gut
beraten, uns dieser Fragen anzunehmen und miteinander unserer Verstrickung als
auch Verantwortung nachzuspüren.“ Auch Bischof Dr. Joseph Ndi-Okalla aus Balmayo
(Kamerun) betonte, wie wichtig der weltkirchliche Austausch und die
selbstkritische Reflexion der kirchlichen Arbeit seien. Er plädierte für einen
differenzierten Blick auf die Missionsgeschichte.
Dr.
Jörg Lüer, Geschäftsführer der Deutschen Kommission Justitia et Pax, erinnerte
daran, wie wichtig es sei, die historischen Prägungen der Beziehungen ernst zu
nehmen. Die Folgen des Kolonialismus seien oftmals der sogenannte „Elefant im
Raum“, den man nur gemeinsam bändigen könne. Das schließe die Bereitschaft zur
Rückgabe von angeeignetem Kulturgut sowie zur Anerkennung der Verbrechen in der
Kolonialzeit mit ein.
Im
Gespräch über den Umgang mit den missionsgeschichtlichen Sammlungen, das
Jun.-Prof. Dr. Julia Binter (Universität Bonn), Pater Dr. Markus Luber SJ
(Institut für Weltkirche und Mission, Frankfurt am Main) und Bruder Bakanja
Mkenda OSB (Dar es Salaam, Tansania) führten, wurden die Schwierigkeiten und
Potenziale postkolonialer Auseinandersetzungen konkretisiert. Die
Auseinandersetzung mit den Folgen von Sklavenhandel und Sklaverei, in die
Alexander Scott (The Transatlantic Slavery and Legacies in Museums Forum,
Liverpool) einführte, machte deutlich, dass man es mit einem Menschheitsthema
zu tun habe, das in Deutschland noch keineswegs in seinen Ausmaßen erfasst sei.
In
der abschließenden Diskussion, an der unter anderem Karin Kortmann (Deutsche
Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit – GIZ, Bonn) und Prof. Dr.
Michelle Becka (Universität Würzburg) teilnahmen, war man sich einig, dass die
Kirche sowohl ihre eigene Verstrickung aufarbeiten, als auch ein Beispiel der
konstruktiven Auseinandersetzung geben müsse. Dem Gefühl der Entmutigung
angesichts der Größe der Aufgabe sollte man konkrete Erfahrungen und Vorhaben
eines angemessenen Umgangs mit dem kolonialen Erbe entgegensetzen. Nur so
würden die Gewalt und ihre Folgen am Ende nicht das letzte Wort haben.
Hintergrund.
Veranstalter der Jahrestagung Weltkirche und Mission ist die Konferenz
Weltkirche, in der die Deutsche Bischofskonferenz, die deutschen
(Erz-)Bistümer, die Hilfswerke, die Deutsche Ordensobernkonferenz (DOK), die
katholischen Verbände, das Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZdK) und
andere weltkirchlich tätige Einrichtungen zusammenarbeiten. Dbk 19
Interview. ZdK-Vize Söding:
„Modell, das auch weltkirchlich akzeptiert ist“
In
Mainz hat der Synodale Ausschuss am Wochenende seine inhaltliche Arbeit
aufgenommen. Das Gremium hatte im März unter Auflagen vorläufig grünes Licht
aus Rom erhalten. ZdK-Vize Thomas Söding berichtet im Interview mit dem Kölner
Domradio über die Arbeiten.
Der
Synodale Ausschuss soll einen Synodalen Rat vorbereiten, der im Vatikan jedoch
bislang auf große Vorbehalte stößt. Bei einem Treffen im März 2024 hatten
sich Vertreter der deutschen Bischofskonferenz und des Vatikans darauf
verständigt, dass Rom die im Synodalen Ausschuss gefassten Beschlüsse
approbiert.
Skepsis
gegenüber den Synodalen Ausschuss äußerte in diesen Tagen erneut die Initiative
„Neuer Anfang“. Sie teilte mit, sie habe sich offiziell an den Heiligen
Stuhl gewandt, „um feststellen zu lassen, ob die Konstituierung eines Synodalen
Ausschusses durch das Zentralkomitee der deutschen Katholiken und Teile der
Deutschen Bischofskonferenz – insbesondere die Übernahme einer Mit-Trägerschaft
der DBK für den Synodalen Ausschuss – der kirchlichen Rechtsordnung entspricht
oder diese verletzt“.
Interview
mit Thomas Söding
Auf
die nach wie vor spannungsreiche Lage, in der die Sitzung des Synodalen
Ausschusses stattfand, ging auch das Domradio im Gespräch mit Thomas Söding
ein.
DOMRADIO.DE:
Herr Söding, Sie haben unter anderem am Wochenende die Kommissionen besetzt,
die die Umsetzung der Zukunftspläne des Synodalen Wegs sicherstellen wollen.
Das aber in einer Lage, wo der Vatikan nach einer Einigung im Frühjahr sagt,
dass jeder weitere Reformschritt von Rom approbiert werden muss. Hängt Ihnen
jetzt so ein bisschen das Damoklesschwert über dem Kopf?
Prof.
Dr. Thomas Söding (Vizepräsident des Zentralkomitees der deutschen Katholiken
und Mitglied im Synodalen Ausschuss): Wir können in der katholischen Kirche
nicht 1.000 Wege in unterschiedliche Richtungen gehen, sondern müssen das, was
Synodalität heißt, gegenwärtig auf vielfältige Weise neu entdecken, um es zu
einer lebendigen Einheit zu führen.
Es
war notwendig, dass wir in Deutschland einen innovativen Weg gegangen sind, der
überhaupt erst ein Beraten und Entscheiden auf Augenhöhe ermöglicht hat. Aber
jetzt sind wir in der Phase, noch einmal reflektieren zu können, was in
Deutschland wichtig ist und was in der Weltkirche läuft. Am Ende brauchen wir
ein Modell für Deutschland, das auch weltkirchlich und in Rom akzeptiert ist.
Erneutes
Treffen
DOMRADIO.DE:
Ende des Monats ist ein Treffen der Deutschen Bischofskonferenz mit dem
Heiligen Stuhl geplant. Nehmen die dann die Protokolle vom Wochenende aus Mainz
mit und fragen, ob das so in Ordnung ist?
Söding:
Das Wichtigere ist, dass wir jetzt erst einmal grünes Licht in Rom bekommen
haben für die nächste Phase des Synodalen Wegs. Wir zielen 2026 an. Wir können die
Impulse aus dem zweiten Teil der Weltsynode im Oktober 2024 aufnehmen und
werden das tun. Gleichzeitig werden wir die Zeit nutzen, um vorbereitet zu
sein, einen großen Synodalen Rat auf die Beine zu stellen. Wenn er dann nicht
Synodaler Rat heißt, ist das nicht tragisch.
Das
Thema ist, dass auf der einen Seite die in Deutschland stark entwickelten
Partizipationsstrukturen nachhaltig weiterentwickelt werden und dass auf der
anderen Seite auch die Autorität der Bischöfe und der Bischofskonferenz auf
eine gute Weise mit den bislang vernachlässigten Rechten der Partizipation aus
dem Kirchenvolk verschaltet wird.
DOMRADIO.DE:
Es gibt augenblicklich einige Spannungen zwischen dem Zentralkomitee und der
Bischofskonferenz, gerade nach dem Veto der Bischöfe zur Berufung der Bundeskuratin
der Pfadfinder. Ist die Situation auch beim Synodalen Weg belastet oder ziehen
Sie problemlos mit den Bischöfen weiter an einem Strang?
Söding:
Die Rollen vom ZdK und der Bischofskonferenz sind unterschiedlich. Sie sind
aber auch klar markiert. Dadurch entsteht erst die Möglichkeit der
verbindlichen Zusammenarbeit. Dieses synodale Gremium, auf das wir zusteuern,
wird ja nach wie vor zwei Trägerorganisationen haben, die Bischofskonferenz und
das Zentralkomitee. Jetzt gilt es zu entwickeln, dass beide Organisationen, die
kirchenrechtlich unterschiedliches Gewicht haben, sich darüber verständigen,
wie sie sich wechselseitig stärken können: für die katholische Kirche in
Deutschland, für die Rechte der vom systemischen Missbrauch Betroffenen, für
die Sprachfähigkeit des katholischen Glaubens in unserer Gesellschaft. Da
bietet dieses synodale Gremium eine gute Möglichkeit. Im Synodalen Ausschuss
haben wir jetzt zwei Jahre Zeit, um ein gutes Modell auf die Beine zu stellen.
Partizipation
von Betroffenen entwickeln
DOMRADIO.DE:
Johannes Norpoth hat vor der Sitzung in Mainz im DOMRADIO.DE-Interview
kritisiert, dass es bis heute für Missbrauchsopfer keine etablierte Rolle in
diesem Prozess gibt, auch nicht im Synodalen Ausschuss. Können Sie diese Kritik
verstehen, wenn das große Ziel der Kampf gegen sexualisierte Gewalt sein soll?
Söding:
Johannes Norpoth spielt als ZdK-Mitglied und als Ausschuss-Mitglied eine
wichtige Rolle. Sie darf nicht auf seine Rolle als Sprecher des
Betroffenenbeirats reduziert werden. Wir brauchen neue Möglichkeiten, um zum
Beispiel über einen Gaststatus eine vernünftige Partizipation der Betroffenen
zu entwickeln.
Ich
sage aber zugleich, dass systemische Ursachen systemische Lösungen brauchen.
Wir müssen deshalb die Trägerorganisationen stark machen. Deswegen ist es
wichtig, dass DBK auf der einen Seite und ZdK auf der anderen Seite die
Verantwortung übernehmen.
Wir
haben allerdings von Anfang an gesagt, dass wir den Synodalen Weg nicht
monopolisieren wollen. Deswegen gibt es auch 20 weitere Ausschussmitglieder,
die aus der Synodalversammlung selbst heraus gewählt worden sind. Das ist keine
eigene Säule, aber es ist ein wichtiges Zeichen dafür, dass durch die DBK und
das ZdK Freiräume für die breite Partizipation von katholischen Gläubigen in
dem Synodalen Weg geschaffen werden.
Vier
Stühle bleiben leer
DOMRADIO.DE:
Auf der anderen Seite gibt es noch die Säule der Diözesanbischöfe, von denen
vier gesagt haben, dass sie an diesem Prozess nicht teilnehmen werden. Die
Frage der Finanzierung ist geklärt. Hat das denn weitere Konsequenzen, dass
diese vier Stühle jetzt leer bleiben?
Söding:
Ich möchte zunächst sagen, dass ich dieses Fernbleiben sehr bedauere und dass
ich diese Stimmen der vier engagierten Bischöfe, die ja von Anfang an gesagt
haben, sie würden eine Minderheitenposition im Synodalen Prozess darstellen,
für wichtig halte. Diese Bischöfe können sicher sein, dass wir uns mit ihren
Positionen auseinandersetzen. Wir versuchen es mitzudenken. Die Tür ist nach
wie vor offen, sie müssen allerdings hindurchgehen.
Aber
es ist auch wichtig zu zeigen, dass die Diözesen vertreten sind, selbst wenn
ihre Bischöfe jetzt die Mitarbeit verweigern. Das haben wir gemacht, indem wir
aus den betroffenen Diözesen Gäste eingeladen haben. Die haben Rederecht. Dieses
Rederecht haben sie auch wahrgenommen, aber sie haben kein Stimmrecht. Wir
wollen sicherstellen, dass wir für die Breite der katholischen Bistümer
sprechen können.
Das
Wegbleiben der vier Bischöfe schafft eine ungute Situation. Ich hoffe, dass
durch die weitere konstruktive Arbeit des Synodalen Ausschusses und durch die
Abstimmung mit der Weltsynode am Ende auch diese Kluft in der Bischofskonferenz
überbrückt werden kann.
Söding
bei zweiter Runde der Weltsynode in Rom
DOMRADIO.DE:
Bevor der Synodale Ausschuss im Dezember wieder zusammentritt, trifft sich die
zweite Runde der Weltsynode in Rom, bei der Sie auch einer der Delegierten aus
Deutschland sind. Was erwarten Sie davon?
Söding:
Ich bin theologischer Experte in dieser Weltsynode. Es ist ein wechselseitiger
Austausch. Auf der einen Seite hat sich im bisherigen weltsynodalen Prozess
gezeigt, dass die Themen, die in Deutschland diskutiert werden, nicht nur in
Deutschland diskutiert werden, sondern die katholische Kirche weltweit
umtreiben.
Auf
der anderen Seite zeigt sich auch, dass wir offensichtlich aufgrund der
unterschiedlichen kirchlichen und politischen Kulturen unterschiedliche Modelle
brauchen, um diesen Partizipationsgedanken, um den es ja bei der Synodalität
geht, auch zu realisieren. Dabei habe ich aus dem ersten Teil der Weltsynode
schon sehr wichtige Impulse aufgenommen, die ich auch auf jeden Fall in die
Beratungen des Synodalen Ausschusses einbringen werde. Das ist zum Beispiel der
Ansatz, die pastorale Gesamtbetrachtung noch einmal stärker in den Blick zu
nehmen als die prozeduralen Strukturen, auf die wir uns in Deutschland geeinigt
haben.
Ich
bin sicher, dass das, was wir in Deutschland unter besonderen Bedingungen
entwickelt haben, nicht aus dem katholischen Spektrum herausbricht, sondern
eine markante Form von katholischer Synodalität realisiert.
Das
Interview führte Renardo Schlegelmilch.
(domradio/vn 18)
Papst: Hassrede raubt Menschenwürde
Fake
News und Hassreden zu verbreiten beraubt Menschen ihrer Würde. Das hat der
Papst anlässlich des 3. Internationalen Tages zur Bekämpfung von Hassrede der
UNO hervorgehoben. Er äußerte sich auf X.
„Wir weben nicht an der Geschichte der
Menschheit, indem wir ungeprüfte Informationen in einen Topf werfen, banale
Reden und in die Irre führende Reden wiederholen und andere Menschen mit
Hassbekundungen schockieren. Diese Handlungen berauben Menschen ihrer Würde“,
heißt es in einem am Nachmittag verbreiteten Tweet des Papstes auf der Social
Media Plattform X. Er wurde in mehreren Sprachen verbreitet.
„We do not weave the fabric of
human history by lumping together unverified information, repeating banal and
falsely persuasive speeches, and shocking others with declarations of hatred.
These actions strip people of their dignity. #NoToHate“
Aktionsplan gegen Hate Speech
weltweit
Mit
dem Hashtag #NoToHate erinnert die Kurzbotschaft an den Internationalen Tag zur
Bekämpfung von Hassrede, der an diesem Dienstag begangen wird. Im Rahmen eines
Aktionsplanes bemühen sich die Vereinten Nationen seit einigen Jahren, global
gegen Hassreden vorzugehen. An diesem Dienstag findet dazu eine Veranstaltung
bei der UNO in New York statt, bei der es speziell um die Mobilisierung der
Jugend gegen das oftmals mit den Sozialen Medien verknüpfte Phänomen geht.
„Hassreden
- auch im Internet - sind zu einem der gängigsten Mittel geworden, um spaltende
Rhetorik auf globaler Ebene zu verbreiten und den Frieden in der Welt zu
bedrohen“, heißt es dazu von Seiten der UNO. Die Auswirkungen von Hassreden
beträfen zahlreiche UN-Schwerpunktbereiche, heißt es weiter, „vom Schutz der
Menschenrechte und der Verhinderung von Gräueltaten bis hin zur Erhaltung des
Friedens, der Gleichstellung der Geschlechter und der Unterstützung von Kindern
und Jugendlichen“. Die Bekämpfung von Hass, Diskriminierung, Rassismus und
Ungleichheit gehöre zu den Kernprinzipien der Vereinten Nationen, wird weiter
erinnert. (vn/uno 18)
Cusanuswerk hat den
Ludwig-Erhard-Preis 2024 in Bronze erhalten
Die
Bischöfliche Studienförderung Cusanuswerk ist am vergangenen Wochenende mit dem
deutschen Excellence-Preis der Initiative Ludwig-Erhard-Preis e. V. (ILEP)
ausgezeichnet worden. Diesen Preis erhalten seit 1997 Organisationen und
Unternehmen in der Bundesrepublik Deutschland, die auf der Grundlage eines
ausgereiften Qualitätsmanagements nachhaltig Spitzenleistungen erbringen.
„Unsere
Strategie und unsere Prozesse sollen sich an ihren Ergebnissen und
langfristigen Wirkungen messen lassen. Wir wollen der Kirche und der Welt
dienen, wie es in unserem noch jungen Leitbild heißt. Alle, die im Cusanuswerk
mitarbeiten, tun das mit hohem persönlichem Einsatz – nicht für hohe
Auszeichnungen, sondern um der Sache willen“, erklärte Dr. Thomas
Scheidtweiler, Generalsekretär des Cusanuswerks, anlässlich der Preisverleihung.
„Für eine gemeinnützige Organisation mittlerer Größe ist es nicht leicht,
Qualitätsstandards zu etablieren und v. a. zu halten, welche denen großer
Unternehmen entsprechen, die so einen Preis erhalten haben. Wir wollen damit
auch unseren Zuwendungsgebern zeigen, dass wir alles dafür tun, ihre Mittel gut
und wirksam für unsere gemeinsame Zukunft einzusetzen.“
Prof.
Dr. Georg Braungart, Leiter des Cusanuswerks, hob hervor: „Das Cusanuswerk hat
sich innerhalb vergleichsweise kurzer Zeit beträchtlich weiterentwickelt und
prägt die Landschaft der Begabtenförderung in Deutschland entscheidend mit:
Auch in Zukunft soll es eine ‚erste Adresse‘ sein für begabte junge Menschen
katholischer Konfession. Hervorragend sind dabei die hohe Qualität der Auswahl
geeigneter Stipendiatinnen und Stipendiaten, das Niveau der Bildungsarbeit
sowie die in den letzten Jahren stark ausgebaute Alumni- und
Netzwerkförderung.“
Vergeben
wird der Ludwig-Erhard-Preis in Kooperation mit der Standortinitiative
„Deutschland – Land der Ideen“, einer gemeinsamen Initiative der
Bundesregierung und des Bundesverbands der Deutschen Industrie (BDI).
„Deutschland – Land der Ideen“ hat 30 nationale Partner, zu denen – neben der
Initiative Ludwig-Erhard-Preis – mehrere Bundesministerien gehören.
Das
Cusanuswerk wurde 2015 erstmals von der Initiative Ludwig-Erhard-Preis
e. V. nach den Grundsätzen der European Foundation for Quality Management
(EFQM) ausgezeichnet. Für die herausragende Qualität der Prozesse und
Leistungen sowie für die zukunftsweisende Weiterentwicklung der
Organisationsstruktur wurde das Cusanuswerk im Mai 2019 auf dem Level
„Recognised for Excellence – 4 Stars“ zertifiziert. Zu Beginn des Jahres 2024
hat sich das Cusanuswerk einer erneuten Prüfung unterzogen und wurde erfolgreich
rezertifiziert. Die Prüfer attestierten dem Cusanuswerk jetzt ein so hohes
Leistungsniveau, dass eine Beteiligung am diesjährigen Wettbewerb um den
renommierten Ludwig-Erhard-Preis möglich wurde.
„Die
Initiative Ludwig-Erhard-Preis zeichnet Unternehmen und Institutionen aus, die
sich um Exzellenz made in Germany verdient machen“, so Dr. André Moll,
Geschäftsführer der Initiative. „Auf dem Top-Niveau des Ludwig-Erhard-Preises
sind das nur wenige. Die Leistungen des Cusanuswerks haben unsere Jury überzeugt.
Die Auszeichnung ist hochverdient und prämiert eine Institution, die im
Bildungs- und Wissenschaftsmanagement sehr hohe Maßstäbe setzt.“
Frühere
Preisträger des Ludwig-Erhard-Preises sind neben Werken von Bosch, Siemens und
Automobilherstellern auch beispielsweise Hochschulen und
Forschungseinrichtungen, Regionaldirektionen der Bundesagentur für Arbeit oder
Träger der Deutschen Rentenversicherung. In diesem Jahr wurden neun Preise
verliehen, siebenmal Bronze, einmal Silber und ein Nachhaltigkeitspreis.
Dbk
17
Experte: Papst hat ethische
Dimension von KI ins Zentrum gerückt
Die
Teilnahme des Papstes beim G7-Gipfel zum Thema Künstliche Intelligenz zeigt die
Anerkennung, die dem Kirchenoberhaupt als „Träger der Weisheit“ gezollt wird.
Davon ist P. Paolo Benanti überzeugt. Der Ordensmann gilt als Experte auf dem
Gebiet der Künstlichen Intelligenz und sitzt auch im AI-Komitee der Vereinten
Nationen. Große Innovationen, so der Franziskaner, müssten in der Tat auch
„eine ethische Verwaltung“ erfahren, um wirklich nützlich zu sein. Das habe der
Papst deutlich gemacht. Federico Piana und Christine Seuss - Vatikanstadt
Für
den franziskanischen Theologen und Philosophen war die Teilnahme des Papstes an
dem Gipfel ein „bedeutender Moment“. Im Gespräch mit Radio Vatikan erläutert
Benanti:
„Zunächst
einmal wurde der Heilige Vater als maßgebliche Stimme angerufen und eingeladen,
um über ein so zukunftsweisendes Thema wie künstliche Intelligenz zu sprechen.
Und das eröffnet neue Wege, in dem Sinne, dass wir die Weisheit anerkennen,
deren Träger der Papst ist.“
Stärkere
Präsenz des Glaubens im öffentlichen Diskurs
Diese
Neuheit könne, so Benanti, vielleicht auch „eine neue Zeit“ eröffnen, gerade
was eine stärkere Präsenz und Gewichtung des Glaubens „im pluralistischen und
öffentlichen Raum der westlichen Demokratien“ angehe. Und es gehe um ein Thema,
das der Experte ohne Umschweife als „zukunftsweisend“ bezeichnet und welches der
Papst schon sehr früh auf dem Radar hatte. Benanti selbst ist nicht nur Berater
des Papstes und der italienischen Regierung, sondern auch Mitglied des
einflussreichen UN-Komitees zu Artificial Intelligence:
„Was
den Inhalt der Ansprache des Papstes betrifft, denke ich, dass es sich um einen
sehr ausgewogenen und in gewisser Weise sehr optimistischen Diskurs über die
Technologien handelt. Er hat daran erinnert, dass Technologie und Menschheit
verbunden sind. Die conditio humana, sagt der Papst an einer Stelle, wird eine
conditio tecno-umana, das heißt, wir haben die Welt mit der Technologie
verändert, und da sehen wir auch die ganze Größe der Berufung des Menschen
durch seinen Schöpfer, an dieser Fähigkeit zur Veränderung teilzuhaben.“
Große
Innovationen brauchen ethische Überwachung
Allerdings,
so räumt Benanti ein, seien diese Fähigkeit und Größe nicht immer in den Dienst
des Guten gestellt worden. Dies konfrontiere uns mit der Tatsache, „dass die
großen Innovationen, die wir machen können“, nicht immer zum Guten der Menschen
garantiert seien, wenn es „keine sorgfältige Abwicklung, eine ethische
Verwaltung gibt.“
Dass
sich mit dem Voranschreiten der Künstlichen Intelligenz in allen
Lebensbereichen auch ein völlig neues soziales Gefüge bilden wird – geboren aus
komplexen und epochalen Transformationsprozessen – ist für den Franziskaner ein
Fakt, den man besser zur Kenntnis nehmen sollte. So werden beispielsweise
herkömmliche Arbeitsplätze aussterben, während andere neu dazukommen.
„Aber
das ist nur ein weiteres Glied in der Transformationskette, die durch die
industrielle Revolution ausgelöst wird, und deren jüngster Ring der
Automatisierung die künstliche Intelligenz ist. Was wird also von einer
organisierten Gesellschaft, wie wir sie heute kennen, übrigbleiben? Eine
organisierte produktive Welt, wie wir sie heute kennen, ist etwas Schönes, aber
die Dinge ändern sich bereits. Wir müssen uns also bewusst werden, dass es
einen sehr schnellen Wandel gibt, das ist der erste Punkt.“
„Das
Ergebnis wird davon abhängen, wie wir diesen Wandel bewältigen wollen“
Auf
der anderen Seite werde sich auch das menschliche Wissen durch diesen
Transformationsprozess tiefgreifend verändern, sei es doch dank der KI möglich,
in Sekundenschnelle auf enorme Datenbanken zurückzugreifen: „Diese beiden
Herausforderungen sind kein Schicksal, sondern zwei offene Grenzen, und der
Papst hat sich dazu sehr präzise geäußert. Das Ergebnis wird davon abhängen,
wie wir diesen Wandel bewältigen wollen“, meint P. Benanti.
Papst
beim G7: Menschenwürde im Blick behalten
Eine
Tatsache, die man sich dringend bewusst machen sollte – werde doch die Zeit der
„technologischen Innovation“, die wir erlebten, von einer „besonderen, noch nie
dagewesenen sozialen Situation“ begleitet, hatte Papst Franziskus in seiner
Rede auf dem G7-Gipfel analysiert: „Es gibt einen Verlust oder zumindest eine
Verfinsterung des Sinns für das Menschliche und eine scheinbare
Bedeutungslosigkeit des Konzepts der Menschenwürde. Und so kommt es, dass
Programme der künstlichen Intelligenz den Menschen und sein Handeln in Frage
stellen“, so der Papst, der in seiner Ansprache die „Schwäche des Ethos“, die
sich in der zunehmenden Relativierung der Menschenwürde zeige, als das „größte
Risiko bei der Einführung und Entwicklung dieser Systeme“ identifizierte.
Rome
Call for Ethics vereint Mehrheit der Menschen
Es
sei seit jeher die Aufgabe und Berufung der Kirche, sich in ethisch relevante
Debatten einzubringen, mal mit mehr, mal mit weniger Erfolg, gibt P. Benanti in
diesem Zusammenhang zu bedenken. Dies sei auch mit Blick auf die aufkommende
Künstliche Intelligenz und ethische Prinzipien, auf denen vor allem die
generative KI basieren müsste, geschehen, erinnert er:
„Im
Februar 2020 wurde der Rome Call for Ethics unterzeichnet, den die Päpstliche
Akademie für das Leben gefördert hat, mit sechs Grundsätzen, die auch vom Papst
zitiert wurden: Und es sind Grundsätze, die vor allem von den großen
Technologieunternehmen übernommen wurden.“ Unter den ersten Unterzeichnern, so
erinnert P. Benanti, waren Technologieriesen wie Microsoft, IBM und CISCO,
ebenso wie Universitäten, die Welternährungsorganisation FAO,
Regierungsvertreter und andere. Doch dabei blieb es nicht:
„Haben
auch Muslime und Juden unterzeichnet, und diesen Sommer, im Juli, werden sich
die orientalischen Religionen in Hiroshima treffen und unterzeichnen“
„Das
Interessante ist, dass es sich nicht nur um eine katholische Sache handelt,
denn im Jahr 2023 haben auch Muslime und Juden unterzeichnet, und diesen
Sommer, im Juli, werden sich die orientalischen Religionen in Hiroshima treffen
und es unterzeichnen. Bis dahin wird diese Plattform der ethischen Werte
praktisch die meisten Menschen auf dem Planeten versammelt haben, denn die
meisten Menschen auf dem Planeten sind durch die Religionen vertreten, die sie
unterzeichnet haben. Hier scheint diese globale Anstrengung, diese ethischen
Leitplanken zu verbreiten, plötzlich in der Lage zu sein, Grenzen zu
überschreiten, Unterschiede zu überwinden“, zeigt sich der Franziskaner
überzeugt.
Diese
Bewegung nehme mittlerweile deutlich Gestalt an, und neu dabei sei nicht nur
das Thema, sondern auch die Haltung, mit der an die Herausforderung
herangegangen werde: „Nämlich eine Haltung der Nicht-Spaltung, sondern der
Einheit und der Zusammenarbeit für ein Gut, das verstanden und gewünscht wird.
Ich denke, wir werden einige interessante Szenarien erleben.“ (vn 17)
Kirchengebäude in Deutschland.
Positionierung von EKD und Deutscher Bischofskonferenz
Das
Manifest „Kirchen sind Gemeingüter!“ der Initiative „kirchenmanifest.de“, das
am 11. Mai 2024 veröffentlicht wurde, nimmt sich einer Thematik an, welche die
evangelische und die katholische Kirche seit geraumer Zeit umfassend
diskutieren und konzeptionell bearbeiten, die aber auch an einzelnen Orten und
in einzelnen Regionen für teils emotionale öffentliche Diskussionen sorgt.
Die
sinkende Kirchenmitgliedschaft, der Rückgang des Gottesdienstbesuchs und
abnehmende personelle Ressourcen führen dazu, dass die kirchengemeindlichen
Strukturen vielerorts mittels Zusammenlegung und Reduktion angepasst werden.
Weitere Wirkfaktoren sind der dauerhafte Rückgang kirchlicher Finanzmittel
sowie städteplanerische Veränderungen im Zuge des soziodemografischen Wandels.
Etliche Gottesdiensträume werden gegenwärtig nicht mehr in vollem Umfang für
die Feier des Gottesdienstes benötigt. Das stellt für beide Kirchen eine große
Herausforderung dar.
Insofern
ist die Veröffentlichung des Manifests „Kirchen sind Gemeingüter!“ durch
Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler und andere Akteure begrüßenswert. Es
nimmt eine gemeinsame Verantwortung für die Nutzung, die Pflege und den Erhalt
von Kirchengebäuden in den Blick. Die beiden großen Kirchen und die Initiatoren
des Manifests eint die Sorge um das baukulturelle und kunsthistorische Erbe,
das in den Kirchen und Kapellen in unseren Ortschaften und Städten über
Jahrhunderte zum Ausdruck kommt.
Insgesamt
setzt das Manifest einen wichtigen Impuls. Wie dessen Initiatorinnen und
Initiatoren sehen auch die beiden Kirchen einen Gewinn in einer Beteiligung
weiterer gesellschaftlicher Akteure an den Fragen des Erhalts und der Pflege
dieser besonderen Bauten, deren rein kirchliche Nutzung vielfach und zunehmend
infrage steht.
Dauerhafter
Erhalt und Pflege dieser zur Diskussion stehenden Kirchengebäude sind jetzt und
in Zukunft die Grundlage für jedwede Nutzung – liturgisch, kulturell, sozial,
vielfältig. Ziel sollte die Entwicklung von – auch finanziell – tragfähigen
Konzepten für den Umgang mit diesen kirchlichen Gebäuden und Baudenkmalen sein.
Dbk 17
Das Evangelium mit Geduld und
Zuversicht aussäen
Beim
Angelus forderte Franziskus die Gläubigen auf, die Saat des Wortes Gottes
auszustreuen und diese in zuversichtlicher Erwartung zu pflegen, auch wenn die
Ergebnisse nicht sofort sichtbar sind. Dies sei ein Prozess, der „Zeit und
Geduld“ brauche, so Franziskus am Fenster des Apostolischen Palastes.
Bei
seinen Überlegungen ging der Papst vom Tagesevangelium nach Markus aus, in dem
der Evangelist vom Reich Gottes mit dem Bild des Samens spricht (Mk 4, 26-34).
„Es
braucht Zeit, es braucht Geduld“, so Franziskus, „damit die Saat zur rechten
Zeit aufgeht und die Sprossen aus dem Boden sprießen und wachsen, stark genug,
um am Ende eine reiche Ernte zu garantieren“. Daran ändere auch die Tatsache
nichts, das der Bauer gutes und reichliches Saatgut ausgestreut, den Boden gut
vorbereitet und seine Arbeit gut gemacht habe, erteilte Franziskus der hastigen
Ungeduld auf rasche Ergebnisse eine Absage.
„Unter
der Erde vollzieht sich das Wunder bereits“
„Unter
der Erde vollzieht sich das Wunder bereits (vgl. Mk 4, 27), es gibt eine enorme
Entwicklung, aber sie ist unsichtbar, man braucht Geduld, und in der
Zwischenzeit muss man die Schollen weiter pflegen, sie bewässern und sauber
halten, auch wenn an der Oberfläche nichts zu geschehen scheint“, so die
Mahnung des Papstes.
Auch
wir sollen wachsen können
Das
gleiche geschehe auch im Hinblick auf das Reich Gottes und das Unterfangen der
Evangelisierung, schlug Franziskus den Bogen. Denn der Herr lege die
reichhaltige und gute Saat seines Wortes in uns und warte dann geduldig darauf,
dass die Saat Früchte der guten Werke trage, ohne je aufzuhören, uns zu
begleiten:
„Denn
er will, dass auf seinem Feld nichts verloren geht, dass alles zur vollen Reife
gelangt; er will, dass wir alle wie reiche Ähren wachsen können.“
Doch
auch wir seien nach dem Beispiel des Herrn gerufen, das Evangelium in allen
unseren Lebenslagen geduldig zu verkündigen, ohne den Mut zu verlieren und mit
der gegenseitigen Unterstützung aufzuhören, selbst wenn wir „trotz unserer
Bemühungen keine unmittelbaren Ergebnisse zu sehen“ schienen: „In der Tat ist
oft sogar unter uns, dem Anschein zum Trotz, das Wunder bereits im Gange, und
zu gegebener Zeit wird es reiche Frucht tragen! (…) Möge die Jungfrau Maria,
die den Samen des Wortes in sich aufnahm und wachsen ließ, uns helfen,
großzügige und zuversichtliche Säer des Evangeliums zu sein.”
Gedenken
an Michael Rapacz
In
seinen anschließenden Grüßen erinnerte Franziskus auch an das Beispiel des
polnischen Priesters und Märtyrers Michael Rapacz, der am Samstag in Krakau in
einer Zeremonie unter dem Vorsitz von Kardinal Marcello Semeraro, Präfekt des
Dikasteriums für die Selig- und Heiligsprechungsprozesse, in der
Wallfahrtskirche der Göttlichen Barmherzigkeit in ?agiewniki seliggesprochen
wurde. Er wurde 1946 während der Sowjet-Besatzung in Polen ermordet. Der Papst
beschrieb ihn vor den Gläubigen als
„Seelsorger
nach dem Herzen Christi, ein treuer und großzügiger Zeuge des Evangeliums, der
sowohl die Verfolgung durch die Nazis als auch durch die Sowjets erlebte und
darauf mit der Gabe seines Lebens antwortete." (vn 16)
„Wir gehen voran auf dem Synodalen
Weg“. Synodaler Ausschuss richtet Kommissionen ein
Mit
der Einrichtung von drei Kommissionen ist heute Mittag (15. Juni 2024) die
zweite Plenarversammlung des Synodalen Ausschusses in Mainz zu Ende gegangen.
Die Kommissionen werden Aufgaben und Fragen behandeln, die auf dem Synodalen
Weg der Kirche in Deutschland fortgesetzt beraten werden sollen. Zuvor hatte
der Ausschuss sich engagiert damit auseinandergesetzt, was es heißt,
Synodalität als Strukturprinzip der Kirche zu verstehen.
Der
Dogmatiker P. Prof. Bernhard Knorn SJ und die Kirchenrechtler Prof. Bernhard
Anuth und Prof. Thomas Schüller gaben in ihren Impulsreferaten Anstöße zur
Debatte. Sie wiesen auf die enge Verflechtung des Zweiten Vatikanischen Konzils
mit dem derzeit laufenden synodalen Prozess der Weltkirche hin, ebenso auf die
Bindung des Kirchenrechts an die Lehre der Kirche. Diskutiert wurde
anschließend, was dies für die synodalen Prozesse in Deutschland und weltweit
heißt. Dass das Generalsekretariat der Bischofssynode in Rom in der jüngsten
Vergangenheit betont hat, „die Rezeption des konziliaren Lehramts“ stecke „in
mancher Hinsicht noch in den Kinderschuhen“ wurde aufgegriffen und löste die
Frage aus, wie das Kirchenvolk in diesen Prozessen besser repräsentiert sein
könne. Ebenso wurde an den Missbrauchsskandal als Beweggrund des Synodalen
Weges in Deutschland erinnert. Die systemischen Ursachen dieses Skandals müssten
in logischer Konsequenz die Frage nach systemischen Veränderungen in der Kirche
hervorrufen. Damit gehe auch die Frage einher, wie das Kirchenrecht auf diese
Notwendigkeiten reagiere.
In
die drei Kommissionen wurden jeweils zehn Mitglieder des Synodalen Ausschusses
gewählt. Kommission I berät zur Synodalität als Strukturprinzip der Kirche und
zur möglichen Ordnung eines Synodalen Rates. Kommission II fragt nach
Evaluation und Monitoring der Umsetzung der Beschlüsse des Synodalen Weges.
Kommission III kümmert sich um die Weiterentwicklung der Initiativen des
Synodalen Weges. Die Mitglieder der Kommissionen finden sich unter
www.synodalerweg.de/synodaler-ausschuss.
Der
Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zeigt
sich zufrieden mit dem Verlauf der Beratungen: „Wir gehen voran auf dem
Synodalen Weg, sehr bewusst in Verbindung mit der weltkirchlichen Ebene. Wenn
im Herbst die Weltsynode in Rom erneut tagt, werden unsere Anliegen zuvor von
uns eingebracht worden sein. Eine Delegation der deutschen Bischöfe wird in
nächster Zeit erneut zu Gesprächen in den Vatikan reisen.“ Bätzing betont, es
sei wichtig, konkrete Veränderungen sichtbar zu machen: „Die Menschen müssen
sehen können, dass sich das Handeln der Kirche vor Ort verändert.“
Die
Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken, Dr. Irme
Stetter-Karp, sagt: „Wir haben den Synodalen Weg in Deutschland begonnen, als
das Ausmaß des Missbrauchsskandals überdeutlich wurde. Ich sehe klar: Wir
müssen unsere Verantwortung für strukturelle Veränderungen in unserer Kirche
wahrnehmen. Der Synodale Ausschuss ist nun als Arbeitsinstrument eingeführt.
Die vertrauensvollen Beratungen sind nach mehr als drei Jahren auf dem
Synodalen Weg ein Zeichen für das gewachsene Miteinander zwischen Bischöfen und
Laien. Das macht mir immer wieder neu Mut auf diesem Weg.“
Die
nächste Plenarversammlung des Synodalen Ausschusses wird am 13./14. Dezember
2024 in Wiesbaden-Naurod stattfinden.
Hinweise:
Die Liste der Mitglieder der Kommissionen findet sich unter
www.synodalerweg.de/synodaler-ausschuss. PSW 15
Zuppi beim Caritas Baby Hospital in
Bethlehem: „Inakzeptables Leid“
Der
Vorsitzende der Italienischen Bischofskonferenz, Kardinal Matteo Zuppi, hat dem
Kinderkrankenhaus in Bethlehem (Cbh) einen Besuch abgestattet. Der Besuch war
Teil der Diözesanwallfahrt des „Friedens und der Solidarität“, die derzeit
zwischen Jerusalem und Bethlehem stattfindet und vom Kardinal selbst geleitet
wird: „Das Leiden der Kinder ist inakzeptabel. Und hier müssen wir versuchen,
die Erwachsenen zum Nachdenken zu bringen“, so Kardinal Zuppi.
Zuppi,
begleitet von einer Pilgerdelegation, wurde bei seiner Ankunft von Shireen
Khamis vom Cbh-Kommunikationsbüro begrüßt. Mit einem kurzen Video informierte
er sich über die Geschichte des einzigen Kinderkrankenhauses im Westjordanland,
das 2024 sein 71-jähriges Bestehen feiert. Das Kinderspital wirkt seit der
Gründung ununterbrochen. Schätzungen zufolge leben in der Region über 410.000
Minderjährige. Derzeit erschwert der Krieg in Gaza die Lage, auch weil er den
Umzug von Familien, die ihre Kinder behandeln lassen müssen, noch weiter
verkompliziert.
„Um
nach Bethlehem zu gelangen, müssen sie Hunderte israelische Kontrollpunkte
passieren. In den ersten drei Kriegsmonaten konnten 7.000 Kinder aus diesem
Grund nicht behandelt werden“, so Khamis. Weiter erklärt sie: „Darüber hinaus
verschärfte der Krieg die ohnehin schon gravierenden wirtschaftlichen Probleme.
Ohne Tourismus und Pilgerfahrten bleiben viele Familien arbeitslos und können
sich keine Behandlung leisten.“
Aber
das Cbh leiste weiterhin seinen Beitrag, um kranken Kindern zu helfen: „Mitte
letzten März – sagte Khamis – kam eine Gruppe von 68 Kindern aus dem
Gazastreifen in Bethlehem an. Sie wurden in einem spezialisierten Zentrum
aufgenommen und werden seither von der Organisation SOS-Kinderdorf betreut. Die
medizinische Versorgung ist dem Caritas Baby Hospital anvertraut.“
Inakzeptables
Leid
Anschließend
besuchte der Kardinal unter der Leitung der verantwortlichen Schwester Aleya
Kattakayam vom Maria-Bambina-Institut, das das Cbh leitet, die verschiedenen
Abteilungen, begrüßte einige der kleinen Krankenhauspatienten und ihre Eltern
und sprach mit Ärzten und Krankenschwestern. „Wir sind an einem Ort, an dem das
Leiden vieler Kinder geheilt werden kann. „Das ist aber nicht immer der Fall“,
erklärte Zuppi am Ende des Treffens. „Wir müssen hier ansetzen, um zu
verstehen, was für die Kleinsten und Schwächsten nötig ist, damit sie alles
haben können, worauf sie Anspruch haben.“
In
diesem Zusammenhang wollte der Kardinal an die israelischen Kinder erinnern,
die am 7. Oktober 2023 während des Terroranschlags der Hamas getötet wurden,
ebenso wie an die palästinensischen Kinder, die in diesen acht Monaten des
Krieges in Gaza starben. „Einige dieser kleinen Betroffenen wurden in
italienischen Krankenhäusern behandelt, darunter in Bologna“, so der Erzbischof
der norditalienischen Stadt. Er habe „schreckliche Dinge“ von den Patienten
gehört, „wie Amputationen vor Ort im Nahen Osten ohne Betäubung“.
(sir
15)
Nächste Schritte in kirchlicher
Reformdebatte gesetzt
Der
Synodale Ausschuss hat die Weichen für den weiteren Fortgang der Reformdebatte
in der katholischen Kirche in Deutschland gestellt. Zum Abschluss ihrer Sitzung
wählten die Mitglieder des Gremiums am Samstag in Mainz drei Kommissionen.
Die
erste Kommission soll die Vorarbeiten zur Einrichtung eines Synodalen Rates
leisten. Die zweite Kommission soll die Umsetzung der im Rahmen des 2019
gestarteten Synodalen Wegs gefassten Beschlüsse auswerten. Die dritte
Kommission hat die Aufgabe, auf dem Synodalen Weg noch nicht zu Ende
diskutierte Initiativen weiterzuentwickeln.
Zuvor
habe der Ausschuss „sich engagiert damit auseinandergesetzt, was es heißt,
Synodalität als Strukturprinzip der Kirche zu verstehen“, geht aus einer
gemeinsamen Pressemitteilung der DBK und des ZdK zum Abschluss des Treffens
hervor. Die Kommissionen bestehen aus jeweils zehn Mitgliedern des Synodalen
Ausschusses. Eine Aufführung der Mitglieder findet sich unter www.synodalerweg.de/synodaler-ausschuss.
Zuversicht
bei den Teilnehmern
Der
Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, zeigte sich
zufrieden mit dem Verlauf der Beratungen: „Wir gehen voran auf dem Synodalen
Weg, sehr bewusst in Verbindung mit der weltkirchlichen Ebene. Wenn im Herbst
die Weltsynode in Rom erneut tagt, werden unsere Anliegen zuvor von uns
eingebracht worden sein.“ Eine Delegation der deutschen Bischöfe werde „in
nächster Zeit erneut zu Gesprächen in den Vatikan reisen“, so Bätzing, der
betonte, es sei wichtig, konkrete Veränderungen sichtbar zu machen: „Die
Menschen müssen sehen können, dass sich das Handeln der Kirche vor Ort
verändert.“
Die
Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken, Irme Stetter-Karp,
verwies erneut darauf, dass der Missbrauchsskandal den deutschen Synodalen Weg
bedingt habe und betonte die „Verantwortung für strukturelle Veränderungen in
unserer Kirche“, die es wahrzunehmen gelte. Der Synodale Ausschuss sei nun als
Arbeitsinstrument eingeführt, während die „vertrauensvollen Beratungen“ nach
mehr als drei Jahren auf dem Synodalen Weg „ein Zeichen für das gewachsene
Miteinander zwischen Bischöfen und Laien“ seien: „Das macht mir immer wieder
neu Mut auf diesem Weg.“
Streitpunkt
Synodaler Rat
Vor
allem die Einrichtung eines Synodalen Rates, in dem Bischöfe und Laien
gemeinsam beraten und beschließen sollen, sorgte in der Vergangenheit für
massive Vorbehalte aus dem Vatikan. Diesen sollte der Synodale Ausschuss
vorbereiten. Bei einem Treffen im März verständigten sich Vertreter der
Bischofskonferenz und des Vatikans darauf, dass Rom die im Synodalen Ausschuss
gefassten Beschlüsse approbiert. Die nächste Sitzung des Synodalen Ausschusses
ist für Mitte Dezember in Wiesbaden-Naurod geplant.
Entwicklung
seit 2019
Der
Synodale Ausschuss ist ein Ergebnis des Reformprojekts Synodaler Weg zur
Zukunft der katholischen Kirche in Deutschland. Er soll die Einrichtung eines
Synodalen Rates vorbereiten. In diesem neuen Gremium wollen Bischöfe und Laien
ihre Beratungen über mögliche Reformen in der Kirche fortsetzen, die sie bei
dem 2019 gestarteten Synodalen Weg begonnen haben.
Dem
Synodalen Ausschuss gehören nominell 74 Mitglieder an: die 27 deutschen
Ortsbischöfe, 27 Vertreter des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK)
und weitere 20 von der Vollversammlung des Synodalen Wegs gewählte Mitglieder.
Das Präsidium besteht aus ZdK-Präsidentin Irme Stetter-Karp und dem Vorsitzenden
der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, sowie den beiden
Vizepräsidenten, dem Mainzer Bischof Peter Kohlgraf und Mara Klein.
Beschlüsse
werden mit einer einfachen Zweidrittelmehrheit verabschiedet. Anders als beim
Synodalen Weg ist nicht mehr zusätzlich eine eigene Zweidrittelmehrheit unter
den Bischöfen erforderlich. Inhaltliche Vorarbeiten sollen drei aus jeweils
zehn Ausschussmitgliedern bestehende Kommissionen leisten. Sie widmen sich den
Themen Synodaler Rat, Evaluation und Fortführung der Debatten des Synodalen
Weges.
Erstmals
kam der Ausschuss am 10. und 11. November in Essen zusammen. Am Freitag und
Samstag fand die zweite Sitzung in Mainz statt. Vier Ortsbischöfe haben sich
gegen eine Mitarbeit im Ausschuss ausgesprochen. In ihrer Stellungnahme
verwiesen die Bischöfe Gregor Maria Hanke (Eichstätt), Stefan Oster (Passau),
Rudolf Voderholzer (Regensburg) und Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln) auf
Vorbehalte aus dem Vatikan. Deswegen zählt der Synodale Ausschuss aktuell nur
70 Mitglieder.
Gespräche
in Rom
Rom
hatte mehrfach darauf hingewiesen, die katholische Kirche in Deutschland sei
nicht befugt, ein gemeinsames Leitungsorgan von Laien und Klerikern
einzurichten. Knackpunkt dabei ist, dass der Synodale Rat nach bisheriger
Planung nicht nur gemeinsam beraten, sondern auch gemeinsam Entscheidungen
fällen soll. Wie der Reformdialog der katholischen Kirche in Deutschland
konkret weitergeht, ist in Teilen offen. Mit dem Vatikan wurde im März eine
Übereinkunft getroffen, wonach der Synodale Ausschuss und alle weiteren „Formen
der Synodalität“ dem Heiligen Stuhl zur Approbation vorgelegt werden müssen. In
Kürze wollen sich Vertreter der deutschen Kirche und des Vatikans erneut zu
Gesprächen treffen. (kap/pm 15)
Papst Franziskus: „Einbeziehung der
Armen in Unternehmen nötig“
„Vergesst
die Ärmsten und die Ausgestoßenen nicht.“ Das sagte der Papst an diesem
Samstagvormittag zu einer Gruppe von CEOs großer Unternehmen und Banken, die er
in Audienz empfing. „Die Kreislaufwirtschaft ist zu einem Schlüsselwort
geworden, das uns dazu einlädt, Abfälle wiederzuverwenden und zu recyceln“,
stellte Franziskus fest. Mario Galgano – Vatikanstadt
Wörtlich
sagte der Papst: „Während wir Materialien und Reste recyceln, haben wir jedoch
noch nicht gelernt - erlauben Sie mir den Ausdruck - die Menschen zu ,recyceln'
und nicht einfach wegzuwerfen, die Arbeiter, und da insbesondere die
Schwächsten, für die oft die Kultur des Wegwerfens vorherrscht.“
Als
Unternehmer und Wirtschaftsverantwortlicher müsse man sich davor hüten, „eine
gewissen Meritokratie“ zu fördern, die dazu diene, „den Ausschluss der Armen zu
legitimieren, die als minderwertig eingestuft werden, bis hin zu dem Punkt, die
Armut selbst als Fehler zu betrachten“, so die Warnung des Papstes, der anfügte:
„Und
geben Sie sich nicht mit ein wenig Philanthropie zufrieden, das ist zu wenig.
Die Herausforderung besteht darin, die Armen in die Unternehmen einzubeziehen,
sie zu Ressourcen für einen gemeinsamen Vorteil zu machen. Das ist möglich. Ich
träume von einer Welt, in der die Ausgestoßenen zu Protagonisten des Wandels
werden können - aber mir scheint, dass ein gewisser Jesus dies bereits erreicht
hat, meinen Sie nicht auch?“
„Es
reicht nicht mehr aus, die Gesetze der Staaten einzuhalten“
Die
Gäste im Vatikan war ein Gruppe von Unternehmern, Firmenchefs und Verwaltungen
aus der ganzen Welt, die versucht, die Prinzipien von Laudato si' zu leben und
zu diesem Zweck in einem Netzwerk, der „Sustainable Markets“-Initiative
(Nachhaltigkeitsinitiative), zusammengeschlossen ist. Unter den Mitgliedern
sind Firmen wie SAP, Siemens Energy, Ernst & Young, IBM, Pepsi, Shell,
Unilever, Xerox und L'Oreal vertreten, auch die Großbanken HSBC, Bank of
America und Santander haben sich der Initiative angeschlossen.
Den
Wirtschaftsleuten sagte Franziskus dann: „Stellt die Umwelt und die Erde in den
Mittelpunkt eurer Aufmerksamkeit und eurer Verantwortung.“ Wir befänden uns in
einer schweren Umweltkrise, erinnerte das katholische Kirchenoberhaupt. Diese
Krise sei von vielen Themen und Faktoren abhängig, „darunter auch von den
wirtschaftlichen und unternehmerischen Entscheidungen von gestern und heute“,
bekräftigte Franziskus:
„Es
reicht nicht mehr aus, die Gesetze der Staaten zu respektieren, die zu langsam
vorgehen: Es ist notwendig, innovativ zu sein, indem man die Zukunft
vorwegnimmt, mit mutigen und weitsichtigen Entscheidungen, die nachahmenswert
sind. Die Innovation des Unternehmers von heute muss vor allem eine Innovation
in der Pflege des gemeinsamen Hauses sein.“
Das
Großkapital beeinflusst auch die Geschicke der Regierungen
Die
großen Unternehmen würden nicht nur den Konsum, das Sparen und die Produktion
bestimmen, sondern auch „das Schicksal der Regierungen, die nationale und
internationale Politik und die Nachhaltigkeit der Entwicklung“, so die
Überzeugung des Papstes, der in seiner Audienz mit einer Gruppe von
Vorstandsvorsitzenden großer Unternehmen und Banken darauf hinwies, dass „große
Unternehmen Subjekte sind, die die Dynamik der internationalen Beziehungen
beeinflussen“, da sie „Entscheidungen treffen, die sich auf Tausende und
Abertausende von Arbeitnehmern und Investoren auswirken, und zwar zunehmend auf
globaler Ebene“.
„Wirtschaftliche
Macht ist mit politischer Macht verflochten“, so die Feststellung von
Franziskus. „Heute ist die Wirtschaft mehr denn je größer als reine
Wirtschaft“, fügte er an. Drei Herausforderungen nannte er den Anwesenden in
diesem Zusammenhang: die Sorge um die Umwelt, die Sorge um die Armen und die
Sorge um die Jugend. (vn 15)
Theologin Sattler sieht
Vatikan-Papier zum Papstamt positiv
Das
Studiendokument sei „ein Erweis dafür, dass sich die römisch-katholische Kirche
derzeit in einen umfassenden Reformprozess begeben hat", sagte die
katholische Theologin Dorothea Sattler dem Domradio diesen Freitag im
Interview. Sattler ist Professorin für Dogmatik und ökumenische Theologie an
der Universität Münster.
Der
Vatikan hatte am Donnerstag Vorschläge für eine veränderte Sichtweise auf das
Papstamt vorgestellt. Die Theologin Sattler sieht im Interview mit dem Domradio
darin viel Potential und lobt die Einladung zum Gespräch der Konfessionen auf
Augenhöhe.
„Alle
Kirchen erfahren in diesem Studiendokument Achtung und Aufmerksamkeit", so
die Theologin. Das Papier macht Vorschläge für ein neues Verständnis und eine
andere Ausübung des Papstamtes, die zur Wiederherstellung der Einheit der
Christen beitragen sollen. Demnach könnte der Papst künftig von anderen
christlichen Kirchen als Ehrenoberhaupt akzeptiert werden. Das Dokument trägt
den Titel „Der Bischof von Rom" und wurde von Papst Franziskus genehmigt.
Es
zeigt laut Sattler, dass der Papst mit anderen christlichen Kirchen ins
Gespräch kommen will. Die Wertschätzung anderer Konfessionen komme schon allein
darin zum Ausdruck, dass sie um eine Stellungnahme gebeten werden. „Die anderen
Traditionen werden in ihrer Eigenständigkeit damit formal ernst genommen."
Zwar distanziere sich das Papier an keiner Stelle von der Lehrtradition, so die
Theologin. „Es tut jedoch etwas, was wir in der gegenwärtigen Reformdebatte
dringend brauchen: Es bemüht sich darum, einen wissenschaftlichen Standard zu
erreichen." So sei etwa eine Einordnung der Beschlüsse des Ersten
Vatikanischen Konzils in seine historischen Kontexte dringend erforderlich.
Diese kirchliche Versammlung hatte 1870 die dogmatische Unfehlbarkeit des
Kirchenoberhaupts verkündet. Die damaligen Beschlüsse sollen nun laut dem
Dokument in die neuere Theologie integriert werden; diese versteht die Kirche
nicht mehr als Monarchie, sondern als Gemeinschaft.
„Synodale
Beratungen in ökumenischer Gemeinschaft (...) stärken die kirchliche Autorität,
weil die Ergebnisse begründet werden“
Nach
Auffassung von Sattler wird sich die päpstliche Autorität auf Dauer nicht gegen
wissenschaftlich begründete Argumente durchsetzen können. „Synodale Beratungen
in ökumenischer Gemeinschaft, zu denen das Studiendokument einlädt, stärken die
kirchliche Autorität, weil die Ergebnisse begründet werden." Sie sei
dankbar dafür, dass in einem hohen Maße die ökumenische Bedeutung des
weltweiten synodalen Prozesses gewürdigt werde. In anderen Kirchen gebe es
schon lange Erfahrung mit Synodalität und der Partizipation von Laien.
(kna/domradio 14)
Synodal Kirche sein. Zweite Sitzung
des Synodalen Ausschusses hat begonnen
Nach
der konstituierenden Sitzung des Synodalen Ausschusses im November vergangenen
Jahres in Essen hat heute (14. Juni 2024) die zweite Sitzung in Mainz begonnen.
An ihr nehmen 64 Mitglieder teil. Im Mittelpunkt der Beratungen stehen Wahlen
zu den Kommissionen des Ausschusses sowie die Frage: Was heißt synodal Kirche
sein?
Das
Gremium wird eine erste Annäherung an seine vier zentralen Aufgaben vornehmen:
1.
Verständigung über den Begriff der Synodalität als Grundvollzug der Kirche.
Dabei werden die Erfahrungen der Weltsynode einbezogen;
2.
Vorbereitung einer Evaluation der Umsetzung der Beschlüsse der
Synodalversammlung;
3.
Weiterentwicklung von Initiativen, die auf dem Synodalen Weg in den
Synodalforen und der Synodalversammlung beraten worden sind;
4.
Vorbereitung eines bundesweiten synodalen Gremiums, das kirchenrechtlichen
Maßgaben entspricht.
Zum
Auftakt betonten die Präsidenten des Synodalen Weges, Dr. Irme Stetter-Karp,
Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK), und Bischof Dr. Georg
Bätzing, Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz, dass es wichtig sei, den
in Essen gut begonnenen gemeinsamen Weg fortzusetzen, auch im Lichte der
Gespräche von Mitgliedern der Bischofskonferenz in Rom am 22. März 2024. Dabei
erinnerten sie auch an die guten Erfahrungen des 103. Deutschen Katholikentags
in Erfurt.
Stetter-Karp
sagte: „Wie hoch die Motivation hier in Mainz ist, können Sie nicht zuletzt
daran ablesen, dass die Mitglieder des Synodalen Ausschusses nahezu vollzählig
anwesend sind. Wir begrüßen auch vier Gäste aus den Diözesanräten jener
Bistümer, deren Bischöfe nicht dabei sind. So versuchen wir gemeinsam, eine
Rückbindung unserer Beratungen an die Lebenswelt der Katholikinnen und
Katholiken vor Ort zu leisten – auch dort.“ In Mainz wolle man inhaltlich und
strukturell vorankommen, so Stetter-Karp. „Wir werden uns – wie die Weltsynode
in Rom es ja auch intensiv tut – mit der Frage beschäftigen: Was heißt ‚synodal
sein‘ als Strukturprinzip? Wir tun das, weil wir die Vision einer menschenfreundlichen,
glaubwürdigen und teilhabegerechten Kirche haben. Einer Kirche, die sich an
ihre Anfänge erinnert und deren Leuchtkraft weit in die Zukunft reicht. Ich bin
fest überzeugt, dass wir eine solch leuchtende, lebendige Kirche in dieser Welt
dringend brauchen.“
Bischof
Bätzing betonte, dass es jetzt darauf ankomme, mit Ruhe und Bedachtsamkeit den
weiteren Weg zu gehen. „Wir brauchen keine Schnellschüsse, wir wollen die
reichen Früchte der fünf Synodalversammlungen umsetzen und weiterentwickeln.
Das geschieht auf der Ebene der Kirche in Deutschland, das geschieht auch in
Verbindung mit der weltkirchlichen Ebene. Nicht zuletzt bringen wir unsere
Erfahrungen und Anliegen in die laufende Weltsynode ein.“ Gerade die zweite
Vollversammlung der Weltsynode im Oktober 2024 sieht Bischof Bätzing als
Chance: „Beide Wege – in Deutschland und der synodale Prozess in der Welt –
haben ein gemeinsames Ziel: Wie können wir in einer sich rasant verändernden
Welt das Evangelium glaubwürdig verkünden? Wo können wir Kirche für die
Menschen sein, die den Suchenden und Gläubigen hilft und für sie da ist?“
Bischof Bätzing fügte hinzu: „Mir ist es wichtig, dass wir einen Weg gehen, bei
dem wir uns um eine angemessene Hermeneutik von Einheit bemühen, die Vielfalt
und den Anschluss von katholischer Lehre und Praxis an gesellschaftliche
Wirklichkeiten ermöglicht, wo sie nicht wirklich das Zentrum des Glaubens
berühren. Das ist auch unser Ziel bei den weiteren Gesprächen, die wir in Rom
als Bischofskonferenz führen werden.“
Hinweis:
Informationen zum Synodalen Ausschuss, zu den Mitgliedern, der Satzung und der
Geschäftsordnung sind unter www.synodalerweg.de
verfügbar. Dbk 14
Kein Witz: Papst gewährt 105
Comedians Audienz
Papst
Franziskus hat am Freitagvormittag 105 Comedians aus aller Welt eingeladen,
darunter Whoopi Goldberg, die Schweizer Kabarettistin Hazel Brugger und Michael
Mittermeier. Mittermeier lässt dafür sogar seine EM-Eröffnungsspiel-Karten
sausen.
München
ist im EM-Fieber, aber Michael Mittermeier fährt nach Rom, statt Freitag in
München zum Eröffnungsspiel Deutschland-Schottland zu gehen. Der Grund: Der
bekannte, in Oberbayern lebende Comedian ist einer der "Protagonisten des
Humors", die Papst Franziskus am Freitag in den Vatikan geladen hat.
Audienz
beim Papst mit Whoopi Goldberg & Co.
Audienz
beim Papst – das ist wohl ein Höhepunkt seiner Karriere? Mittermeier scheint
immer noch überwältigt von so viel Ehre: "Ja, krass, oder? Er lädt
Humoristen ein und ich bin dabei. Ich muss sagen, das ist ein Killer
Line-up", sagt er im BR. Internationale Stars sind im Vatikan dabei:
Whoopi Goldberg, die Moderatoren und Comedians Stephen Colbert, Jimmy Fallon.
Aus dem deutschsprachigen Raum sind neben Torsten Sträter, Annette Frier,
Meltem Kaptan, Till Reiners und die Schweizerin Hazel Brugger eingeladen.
Sollen die alle, zusammen mit den geladenen Humoristen aus Italien, Frankreich,
Irland, Polen, England, Spanien und Lateinamerika den Papst zum Lachen bringen?
"Da schaun wir mal, ob der Vatikan a guader Comedy-Club ist", sagt
Mittermeier.
Tägliche
Gebete für Humor
Ganz
unerwartet ist die Einladung bei dem Betreiber des Lucky Punch Comedy Clubs
nicht eingetrudelt: Der Vatikan habe in einer E-Mail erst einmal vor gefühlt
und dann eine wunderschöne Einladung geschickt. "Die laden Humoristen ein,
weil der Papst angeblich jeden Morgen auch dafür betet 'Oh Herr, gib mir
Humor'".
Mittermeier
räumt ein, seine Programme seien von vielen Katholiken schon kritisiert worden,
aber meint, wenn der Papst "Humor hat, lacht er drüber". Er vermutet,
mit der Einladung wolle Papst Franziskus zeigen, dass er selbst Humor habe. Und
hofft: "Und vielleicht darf ich den einen oder anderen Joke
abzünden." Etwa: "Hey, was hat rote Schuhe, weiße Kleidung und keinen
Sex? Ich in den 80ern". Aber Mittermeier vertraut auch darauf, dass er
spürt, wenn kein Witz angebracht ist.
Junggesellenparty
im Vatikan?
Wirklich
eingeschüchtert zeigt sich Mittermeier vom Ambiente des Vatikans nicht. Klar,
es sei krass, wie pompös das ist. Aber auf der anderen Seite fragt er sich:
"Wirklich jetzt? Da wohnen 600 Männer und jeden Abend geht die Tür zu?
Freunde, die beten doch nicht, die machen Junggesellenparty. Da wird gefeiert,
da wird gesungen, auf den Tischen: Maria hat ein Telefon, ich habe ihre Nummer
schon....".
Nach
der Audienz wird Michael Mittermeier es wohl genauer wissen, wie es mit Humor
im Vatikan steht. Die geladenen Komiker und Komikerinnen jedenfalls sind gut
vernetzt und werden sich nach ihrer Audienz im Vatikan noch zusammentun, wie
Meltem Kaptan, die auch dabei sein wird, auf Anfrage des BR sagt. Br 14
Papst mahnt beim G7-Gipfel:
Künstliche Intelligenz braucht mehr Ethik
Keine
Maschine soll jemals die Entscheidung treffen können, einen Menschen zu töten.
Das hat Papst Franziskus an diesem Freitag vor den Regierungschefs der
reichsten Industrienationen der Welt beim G7-Gipfel in Italien gesagt. Seine
mahnende Rede galt ganz den Chancen und Risiken der Künstlichen Intelligenz,
davor und danach waren Einzelbegegnungen unter anderem mit den Präsidenten der
USA, der Ukraine, Indiens und der Türkei anberaumt. Gudrun Sailer – Vatikanstadt
Franziskus
ist der erste Papst bei einem G7-Gipfel in der 50-jährigen Geschichte dieses
Formats. Er appellierte an das Gewissen der Regierenden, im Krieg den Gebrauch
von tödlichen autonomen Waffen zu überdenken und ihren Einsatz mittelfristig zu
verbieten. Ohne derzeitige Kriegsschauplätze zu benennen, schlug der Papst vor,
mit einer „proaktiven und konkreten Verpflichtung zur Einführung einer immer
größeren und bedeutenden menschlichen Kontrolle“ solcher KI-gesteuerten Drohnen
und ähnlicher Waffensysteme zu beginnen, um schließlich zu einem Verbot zu
gelangen. „Keine Maschine darf jemals die Wahl treffen können, einem Menschen
das Leben zu nehmen“, sagte der Papst bei dem Weltpolitik-Gipfel in Borgo
Egnazia in Apulien.
Nach
seiner Ankunft im Hubschrauber gegen 12:30 sprach Franziskus zunächst in
Vieraugen-Gesprächen mit Kristalina Georgiewa, der Leiterin des Internationalen
Währungsfonds, dem ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj, dem französischen
Regierungschef Emmanuel Macron und dem kanadischen Regierungschef Justin
Trudeau. Diese Unterredungen dauerten länger als vorgesehen. Mit deutlicher
Verspätung begab sich der Papst dann im Rollstuhl zusammen mit der
italienischen Ministerpräsidentin Giorgia Meloni, die ihn eingeladen hatte, in
die Arena-Halle, wo die Staats- und Regierungschefs in gemeinsamer Sitzung den
Gast aus Rom herzlich begrüßten.
„Eine
wahrhaft kognitiv-industrielle Revolution“
Eines
der Hauptthemen bei diesem G7-Gipfel ist Künstliche Intelligenz, „ein
faszinierendes und unheimliches Instrument“, wie es in der Papstrede eingangs
hieß. Franziskus hatte bereits seine Botschaft zum 58. Weltkommunikationstag
diesem Thema gewidmet, und von 20. bis 22. Juni findet dazu im Vatikan eine
Konferenz statt. An diesem Freitag analysierte der Papst vor den Regierenden
der reichsten Industrienationen der Welt die Chancen und Risiken dieser
Technologie, besonders ihre Auswirkungen auf die Zukunft der Menschheit. „Denn
man kann heute davon ausgehen“, so der Papst, dass KI „die Art und Weise, wie
wir leben, unsere sozialen Beziehungen und in Zukunft sogar die Art und Weise,
wie wir unsere Identität als menschliche Wesen begreifen, zunehmend
beeinflussen wird.“ Künstliche Intelligenz und ihre Folgen seien „eine wahrhaft
kognitiv-industrielle Revolution“.
Diese
Entwicklung hat Licht und Schatten, erläuterte der Papst. KI könne zum einen
den Zugang zu Wissen demokratisieren, Forschung erleichtern, die Last mühsamer
Arbeit schultern. Auf der anderen Seite aber bestehe das Risiko, dass KI noch
mehr Ungleichheit „zwischen fortgeschrittenen und sich entwickelnden Nationen“
schaffe und noch mehr Ungerechtigkeit „zwischen herrschenden und unterdrückten
sozialen Schichten“. Dann hätte die „Kultur der Begegnung“ das Nachsehen und
die „Kultur des Wegwerfens“ Oberwasser.
„Keine
Maschine darf jemals die Wahl treffen können, einem Menschen das Leben zu
nehmen“
Ausdrücklich
warnte der Papst vor einem Abdriften in Gefahren der KI, die zwar gesehen, aber
aus Vatikansicht nicht hinreichend bekämpft werden. Der Mensch, weil er Herz,
Vernunft und Augenmaß hat, müsse immer über der intelligenten Maschine stehen
und immer die letzte Entscheidung haben. „Wir würden die Menschheit zu einer
hoffnungslosen Zukunft verdammen, wenn wir den Menschen die Fähigkeit nehmen
würden, über sich selbst und ihr Leben zu entscheiden, und sie dazu verdammen
würden, von der Wahl von Maschinen abhängig zu sein“, erklärte Franziskus in
seiner Rede: „Die menschliche Würde selbst steht dabei auf dem Spiel.“
„Menschliche
Würde selbst steht auf dem Spiel“
Infolgedessen
braucht die KI eine ethische Ausrichtung, damit sie zu einem Instrument des
Guten für alle werde, betonte der Papst. Er verwies auf eine diesbezügliche
Initiative aus dem Vatikan, die weite Kreise gezogen hat: den „Rome Call for AI
Ethics“ der Päpstlichen Akademie für das Leben aus dem Jahr 2020, dabei geht es
um eine Selbstverpflichtung großer Tech-Konzerne und anderer Interessensträger
wie Regierungen zur gemeinsamen ethischen Moderation von Algorithmen und
Programmen der KI; „Algor-Ethik“ brauche es da, wiederholte der Papst einen
Begriff, den er 2019 geprägt hatte. Nur so sei der Gefahr zu begegnen, dass die
neue, umwälzende Technologie der Menschheit „einheitliche anthropologische,
sozioökonomische und kulturelle Modelle aufzwingt“, nämlich die des Westens.
Papst:
Es braucht gute, regulierende Politik
An
die versammelten Staats- und Regierungschefs richtete der Papst daher den
eindringlichen Appell, gemeinsam dem letztlich menschenfeindlichen
„technokratischen Paradigma“ entgegenzutreten, das KI verkörpert. „Wir dürfen
nicht zulassen, dass ein so mächtiges und unentbehrliches Werkzeug wie die
künstliche Intelligenz ein solches Paradigma verstärkt; vielmehr müssen wir
gerade die künstliche Intelligenz zu einem Schutzwall gegen seine Ausbreitung
machen. Und genau hier besteht dringender politischer Handlungsbedarf.“
Ohne
eine gute Politik könne die Welt keinen „effektiven Weg zur allgemeinen
Geschwisterlichkeit und zum gesellschaftlichen Frieden finden“, zitierte der
Papst aus seiner Enzyklika „Fratelli tutti“. Es gehe nicht darum, „die
Kreativität des Menschen und seinen Sinn für Fortschritt zu bremsen“, sondern
die Energie, die in einer findigen und kreativen Wirtschaft und Industrie
stecke, „auf neue Anliegen hin auszurichten“ – Anliegen, die das Gemeinwohl
betreffen. Politik müsse die Bedingungen dafür schaffen, dass eine solche
Nutzung der KI „möglich und fruchtbar ist“, schloss der Papst seine Rede an die
Staats- und Regierungschefs. (vatican news 14)
Ökumenischer Gottesdienst zur
Eröffnung der UEFA Euro 2024. „Erleben von Gemeinschaft“
Zum
Auftakt der Fußball-Europameisterschaft haben die Evangelische Kirche in
Deutschland (EKD) und die Deutsche Bischofskonferenz heute (14. Juni 2024) in
der Jesuitenkirche St. Michael in München einen ökumenischen Gottesdienst
gefeiert. Unter dem Motto „United“ kamen Vertreterinnen und Vertreter aus
Kirche, Sport, Politik und Gesellschaft mit zahlreichen Fans und Volunteers
zusammen, um für ein friedliches und verbindendes Turnier zu beten.
Präses
Dr. Thorsten Latzel (Evangelische Kirche im Rheinland), Sportbeauftragter der
EKD, betonte in seiner Ansprache: „Ich wünsche mir, dass die Euro in
Deutschland ein weltoffenes und menschenfreundliches Fest wird, bei dem vor
allem die Gastfreundschaft und das Miteinander in Erinnerung bleiben werden.
Dafür stehen wir als Christinnen und Christen: für unbedingte Nächstenliebe,
Gastfreundlichkeit, ökumenische Weltoffenheit sowie Frieden und Gerechtigkeit
in allen Beziehungen.“ Er hob hervor, dass Glaube und Fußball eine große
Leidenschaft für die Sache verbinden und beide als Team-Sport zu verstehen
sind: „In der weltweiten Ökumene sind wir gemeinsam Teil des einen
Christus-Teams – mit verschiedenen Fan-Gemeinschaften: hier der FC Rom, dort
Fortuna Wittenberg. In dem Christus-Team darf jede und jeder mitspielen, ganz
gleich, woher jemand stammt, wen sie oder er liebt, ob er oder sie reich, arm,
dick, dünn oder wie auch immer ist.“
Der
Sportbischof der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Stefan Oster
(Passau), sprach über das Verhältnis von Enttäuschung und Hoffnung: „Es wird
viele Enttäuschungen bei dieser Europameisterschaft geben. Am Ende gewinnt nur
eine Mannschaft. Aber wir hoffen und wünschen uns – auch als Christen –, dass
vor allem die Freude am Spiel und an der Gemeinschaft überwiegt. Dass diese
Perspektive auch in der Enttäuschung nicht verloren geht. Und dass viele Fans –
auch dann, wenn ihre Mannschaft verloren hat – mit Dankbarkeit nach Hause
fahren, weil sie erleben: Eine Niederlage im Fußball ist weder das Ende, noch
nimmt sie dem Fußball seine Schönheit, seine Kraft und die Freude, die aus
diesem Spiel kommt.“ Es gehe um das, was Christus für uns will: „Das Erleben
von Gemeinschaft, die Freude, dass er lebt, und die Perspektive des Ankommens
in der großen Freude. Auch wenn in diesem Leben nicht alles glatt läuft und wir
manche Niederlage einstecken müssen“, so Bischof Oster.
Unter
den Gästen des Gottesdienstes waren unter anderem der Bayerische Staatsminister
des Innern, Joachim Herrmann, der Generalsekretär der Schottischen
Bischofskonferenz, Fr. Gerard Maguiness, die Präsidenten des Deutschen und
Schottischen Fußballbundes, Bernd Neuendorf (DFB) und Mike Mulraney (SFA),
sowie die Vertreterin der Stadt München, Ulrike Grimm.
Bischof
Oster und Präses Latzel, die die Liturgie leiteten, wurden von Schülerinnen der
Erzbischöflichen Maria-Ward-Realschule Berg am Laim und des Erzbischöflichen
Edith-Stein-Gymnasiums unterstützt, die in „United“-Shirts mit den Flaggen der
24 teilnehmenden Nationen auftraten und mehrsprachige Fürbitten vortrugen.
Musikalisch umrahmt wurde der Gottesdienst von den Popkantoren Tilman von
Dombois mit Band sowie Peter Kofler, dem Organisten von St. Michael.
Ein
symbolträchtiger Moment war das Steigenlassen von Luftballons mit Segenskarten
nach dem Gottesdienst – ein Zeichen für die Hoffnungen und Gebete, die mit
diesem Turnier verbunden sind. Dbk 14
Neues Ökumene-Dokument: Bischof von
Rom als Diener der Einheit
Das
Dikasterium zur Förderung der Einheit der Christen hat diesen Donnerstag ein
neues Dokument vorgestellt, das eine Bilanz des ökumenischen Dialogs zur Rolle
des Papstes und der Ausübung des Petrusprimats zieht. Hier eine
Zusammenfassung.
Das
Dokument mit dem Titel „Der Bischof von Rom“ ist ein Schreiben des Dikasteriums
zur Förderung der Einheit der Christen. Es fasst die Früchte der ökumenischen
Dialoge über das Amt des Papstes zusammen. Es handelt sich dabei um Gespräche,
die vor fast dreißig Jahren begonnen haben und von Johannes Paul II. als
Antwort auf die ökumenischen Debatten seit dem Zweiten Vatikanischen Konzil
initiiert wurden. Das neue Schreiben will eine Form der Ausübung des Primats
des Bischofs von Rom hervorheben, die von den christlichen Kirchen, die in den
ersten Jahrhunderten in voller Gemeinschaft miteinander lebten, geteilt wird.
Auch wenn nicht alle theologischen Dialoge bisher „das Thema auf der gleichen
Ebene oder mit der gleichen Tiefe behandelt haben“, lassen sich doch einige
„neue Ansätze“ zu den umstrittensten theologischen Fragen aufzeigen, heißt es
in dem neuen Dokument.
Die
Lektüre der petrinischen Texte
Die
Basis des Dokuments ist das Verständnis über die Rolle des Apostels Petrus.
Eine der Früchte der theologischen Dialoge ist eine neue Lesart der Texte über
die Rolle des Apostelfürsten Petrus, die in der Vergangenheit ein Hindernis für
die Einheit der Christen darstellten. Die verschiedenen christlichen
Dialogpartner wurden bei den Gesprächen aufgefordert, anachronistische
Projektionen späterer Lehrentwicklungen zu vermeiden und die Rolle des Petrus
unter den Aposteln neu zu betrachten. So wurde „eine Vielfalt von Bildern,
Interpretationen und Modellen im Neuen Testament wiederentdeckt, während
biblische Begriffe wie episkopé (das Amt der Aufsicht), diakonia (Dienst) und
das Konzept der ‚petrinischen Funktion‘ dazu beigetragen haben, ein umfassenderes
Verständnis der ‚petrinischen Texte‘ zu entwickeln“.
Der
Ursprung des Primats
Ein
weiteres kontroverses Thema ist das katholische Verständnis des Primats des
Bischofs von Rom als eine Institution göttlichen Rechts, während die meisten
anderen Christen ihn nur als eine Institution menschlichen Rechts verstehen. In
dem Dokument des vatikanischen Ökumene-Dikasteriums heißt es, dass „hermeneutische
Klarstellungen“ dazu beigetragen haben, diese „traditionelle Dichotomie in eine
neue Perspektive zu rücken“, indem der Primat sowohl als göttliches als auch
als menschliches Recht betrachtet wird. Das heißt mit anderen Worten, dass das
Petrusprimat „als Teil des Willens Gottes für die Kirche“ und „durch die
menschliche Geschichte“ vermittelt wurde. Die ökumenischen Dialoge betonten die
Unterscheidung „zwischen dem theologischen Wesen und der historischen
Kontingenz des Primats“ und riefen dazu auf, „den historischen Kontext, der die
Ausübung des Primats in verschiedenen Regionen und Epochen bedingt hat, stärker
zu beachten und zu bewerten“.
Das
Erste Vatikanische Konzil
Ein
bedeutendes Hindernis sind die dogmatischen Definitionen des Ersten Vatikanischen
Konzils. Einige ökumenische Dialoge haben „vielversprechende Fortschritte
gemacht, indem sie eine ‚Neuauslegung‘ oder ‚Wieder-Aufnahme‘ dieses Konzils
unternommen haben, das neue Wege für ein genaueres Verständnis seiner Lehre
eröffnet“, auch im Licht der historischen Kontexte und der Lehre des Zweiten
Vatikanischen Konzils. Die dogmatische Definition der universalen Jurisdiktion
des Papstes wurde daher anders interpretiert, indem „ihre Ausdehnung und ihre
Grenzen aufgezeigt wurden“. Ebenso war es möglich, „die Formulierung des
Unfehlbarkeitsdogmas zu klären und sogar in einigen Aspekten seines Zwecks
übereinzustimmen, indem man die Notwendigkeit einer persönlichen Ausübung des
Lehramtes unter bestimmten Umständen anerkannte, da die Einheit der Christen eine
Einheit in Wahrheit und Liebe ist“. Trotz dieser Klarstellungen, so räumt das
Dokument ein, „kommen in den Dialogen immer noch Bedenken über das Verhältnis
der Unfehlbarkeit zum Primat des Evangeliums, die Unfehlbarkeit der ganzen
Kirche, die Ausübung der bischöflichen Kollegialität und die Notwendigkeit der
Rezeption" zum Ausdruck.
Ein
Amt für die versöhnte Kirche
Viele
theologische Dialoge haben „die Notwendigkeit eines Primats auf universaler
Ebene“ anerkannt. Unter Bezugnahme auf die apostolische Tradition kam man bei
einigen Dialogen zu dem Schluss, dass das Christentum von den Anfängen der
Kirche an auf apostolische Hauptsitze gegründet war, die eine bestimmte
Reihenfolge einnahmen. Dazu zählt der Stuhl von Rom als erster. Bei einigen
Gesprächen wurde darauf hingewiesen, dass es eine gegenseitige Abhängigkeit
zwischen Primat und Synodalität auf jeder Ebene des kirchlichen Lebens gibt:
lokal, regional, aber auch universal. Ein weiteres Argument, das eher
pragmatischer Natur ist, betrifft den zeitgenössischen Kontext der
Globalisierung und der missionarischen Bedürfnisse. Die theologischen Dialoge
haben bestimmte Kriterien des ersten Jahrtausends „als Bezugspunkte und
Inspirationsquellen“ für die allgemein hinnehmbare Ausübung eines Dienstes der
Einheit auf universaler Ebene identifiziert, wie zum Beispiel der informelle -
und nicht in erster Linie jurisdiktionelle - Charakter der Ausdrucksformen der
Gemeinschaft zwischen den Kirchen; das ‚Ehrenprimat‘ des Bischofs von Rom sowie
die wechselseitige Abhängigkeit zwischen dem Primatsverständnis und der
synodalen Dimension.
Primat
und Synodalität
In
vielen Dialogen wird anerkannt, dass das erste Jahrtausend der christlichen
Geschichte weder idealisiert noch vereinfacht nachgebildet werden sollte, auch
weil ein Primat auf universaler Ebene auf die Herausforderungen der Gegenwart
reagieren sollte. Daher wurden einige Grundsätze für die Ausübung des Primats
im 21. Jahrhundert festgelegt: „Eine erste allgemeine Übereinstimmung ist die
gegenseitige Abhängigkeit von Primat und Synodalität auf allen Ebenen der
Kirche und die daraus folgende Notwendigkeit einer synodalen Ausübung des
Primats. Eine weitere Übereinstimmung betrifft die Betonung zwischen „der
‚gemeinschaftlichen‘ Dimension, die auf dem sensus fidei aller Getauften
beruht, der ‚kollegialen‘ Dimension, die vor allem in der bischöflichen
Kollegialität zum Ausdruck kommt, und der ‚persönlichen‘ Dimension, die durch
die Primatsfunktion zum Ausdruck kommt“. Eine entscheidende Frage ist die
Beziehung zwischen der Ortskirche und der Universalkirche, die wichtige
Konsequenzen für die Ausübung des Primats hat. Die ökumenischen Dialoge haben
dazu beigetragen, „sich auf die Gleichzeitigkeit dieser Dimensionen zu einigen
und darauf zu bestehen, dass die dialektische Beziehung zwischen der Ortskirche
und der Universalkirche nicht getrennt werden kann“.
Die
Rolle der Bischofskonferenzen
Bei
den ökumenischen Dialogen wurde immer wieder „die Notwendigkeit eines
Gleichgewichts zwischen der Ausübung des Primats auf regionaler und universaler
Ebene“ betont und festgestellt, „dass in den meisten christlichen
Gemeinschaften die regionale Ebene für die Ausübung des Primats und auch für
ihre missionarische Tätigkeit am wichtigsten ist“. Einige theologische Dialoge
mit westlichen christlichen Gemeinschaften, die eine „Asymmetrie“ zwischen
diesen Gemeinschaften und der katholischen Kirche feststellen, fordern eine
Stärkung der katholischen Bischofskonferenzen, auch auf kontinentaler Ebene,
und eine Dezentralisierung nach dem Vorbild der alten patriarchalischen
Kirchen.
Traditionen
und Subsidiarität
Es
wird die Bedeutung des Subsidiaritätsprinzips hervorgehoben: „Keine Frage, die
auf einer niedrigeren Ebene angemessen behandelt werden kann, sollte auf einer
höheren Ebene behandelt werden“. In einigen Dialogen wird dieses Prinzip
bereits angewandt, um ein akzeptables Modell der „Einheit in der Vielfalt“ mit
der katholischen Kirche zu definieren, wobei argumentiert wird, dass „die Macht
des Bischofs von Rom nicht über das hinausgehen sollte, was für die Ausübung
seines Dienstes der Einheit auf universaler Ebene notwendig ist, und eine
freiwillige Begrenzung der Ausübung seiner Macht vorschlagen sollte - wobei
anerkannt wird, dass er ein ausreichendes Maß an Autorität benötigt, um mit den
vielen Herausforderungen und komplexen Verpflichtungen seines Dienstes
umzugehen“.
Praktische
Arbeitsvorschläge
Ein
erster Vorschlag ist eine neue Auslegung der Lehren des Ersten Vatikanischen
Konzils durch die katholische Kirche mit „neuen Ausdrücken und neuem Vokabular,
die der ursprünglichen Absicht treu bleiben, aber in eine Ekklesiologie der
Gemeinschaft integriert und an den aktuellen kulturellen und ökumenischen
Kontext angepasst sind“. Es wird auch vorgeschlagen, die verschiedenen Aufgaben
des Bischofs von Rom klarer zu unterscheiden, „insbesondere zwischen seinem
patriarchalischen Amt in der westlichen Kirche und seinem vorrangigen Amt der
Einheit in der Gemeinschaft der Kirchen“. Ferner wird eine stärkere Betonung
der Ausübung des Amtes des Papstes in seiner Teilkirche, der Diözese Rom,
gefordert. Die dritte Empfehlung betrifft die Entwicklung der Synodalität
innerhalb der katholischen Kirche. Insbesondere wird vorgeschlagen, „weitere
Überlegungen über die Autorität der nationalen und regionalen katholischen
Bischofskonferenzen und ihre Beziehung zur Bischofssynode und zur römischen
Kurie anzustellen. Auf universeller Ebene betonen sie die Notwendigkeit einer
besseren Einbeziehung des gesamten Gottesvolkes in die synodalen Prozesse“. Ein
letzter Vorschlag betrifft die „Förderung der ‚konziliaren Gemeinschaft‘ durch
regelmäßige Treffen zwischen Kirchenführern weltweit“ und die Förderung der
Synodalität zwischen den Kirchen durch regelmäßige Konsultationen und
gemeinsame Aktionen und Zeugnisse zwischen Bischöfen und Kirchenoberhäuptern. (vatican
news 13)
Vatikanisches Dokument „Der Bischof
von Rom“. Bischof Feige: Arbeitsaufträge an Kirche und Theologie
Im
Vatikan ist heute (13. Juni 2024) vom Präfekten des Dikasteriums zur Förderung
der Einheit der Christen, Kardinal Kurt Koch, das neue Dokument „Der Bischof
von Rom“ veröffentlicht worden. Dazu erklärt der Vorsitzende der
Ökumenekommission der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Gerhard Feige
(Magdeburg):
Das
heute vom Dikasterium zur Förderung der Einheit der Christen veröffentlichte
Studiendokument „Der Bischof von Rom“ gibt einen beeindruckenden Überblick über
die Antworten auf die Bitte von Papst Johannes Paul II. in seiner Enzyklika Ut
unum sint (1995), in einen Dialog über die Ausübung des Petrusdienstes
einzutreten, sowie über die Ergebnisse von ökumenischen Dialogen, offiziellen
und inoffiziellen, internationalen und lokalen, die sich mit der Primatsfrage
befasst haben. Die Antworten und Dialogergebnisse werden gesichtet,
systematisiert und ausgewertet. Dem schließt sich als zweiter und kürzerer Teil
ein Vorschlag der Vollversammlung des Dikasteriums zur Förderung der Einheit
der Christen zu einem Weg hin zu einer Ausübung des Primates im 21. Jahrhundert
an.
In
den Text sind auch Vorarbeiten des Johann-Adam-Möhler-Instituts für Ökumenik in
Paderborn und des von ihm initiierten Gemeinsamen orthodox-katholischen
Arbeitskreises St. Irenäus eingeflossen. Es werden wertvolle Anregungen
gegeben, von denen ich eine neue Dynamik erwarte, sowohl hinsichtlich einer
weiteren innerkatholischen Klärung als auch im Blick auf die ökumenische
Diskussion. Dabei geht es um die wechselseitige Zuordnung von Primat und
Synodalität, aber auch die Entwicklung neuer synodaler Formen im Miteinander
der Kirchen.
Besonders
möchte ich folgende Punkte hervorheben:
1.
Der Zusammenhang von Synodalität ad intra, also innerhalb der katholischen
Kirche, und Synodalität ad extra, also im Verhältnis zwischen den christlichen
Kirchen, wird betont. Synodalität in der katholischen Kirche muss auf allen
Ebenen noch besser entwickelt werden – besonders hinsichtlich des Prinzips der
Subsidiarität ?, um in dem Bemühen um ein synodales Zusammenwirken der Kirchen
glaubwürdig zu sein und weiterzukommen. Das schließt auch eine Stärkung der
Bischofskonferenzen ein.
2.
Im Blick auf die Lehre des Ersten Vatikanischen Konzils über den
Jurisdiktionsprimat wird eine Relecture („re-wording“) gefordert, das heißt
eine aktualisierende Interpretation und Neuformulierung unter Berücksichtigung
der historischen Umstände und der Weiterentwicklung der Lehre insbesondere
durch das Zweite Vatikanische Konzil.
3.
Die Unterscheidung zwischen der patriarchalen und primatialen Rolle des
Bischofs von Rom wird ein wichtiges Instrument für ein Weiterkommen auf dem
ökumenischen Weg sein.
4.
Konkret werden für die Zukunft regelmäßige Treffen der Patriarchen und
Kirchenleitungen („conciliar fellowship“) vorgeschlagen. Auf diese Weise würde
die Synodalität zwischen den Kirchen gestärkt und ein sichtbares ökumenisches
Zeichen gesetzt.
Aus
dem Dokument ergeben sich eine Reihe von Arbeitsaufträgen an die katholische
Kirche und Theologie. Für den weiteren Weg wird es genauso wichtig sein, wie
die anderen Kirchen darauf reagieren. Ich sehe in dem Dokument eine hilfreiche
und verdienstvolle Arbeitshilfe sowie einen wichtigen Impuls für den
ökumenischen Dialog und hoffe auf eine breite Rezeption. Dbk 13
Koch: „Primat des Papstes ist
Dienst und wird synodal ausgeübt“
Der
Präfekt des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen, Kardinal Kurt
Koch, erläutert im Gespräch mit Radio Vatikan/Vatican News das ökumenische
Dokument mit dem Titel „Der Bischof von Rom“. Das Amt des Petrusnachfolgers
wird von den anderen Kirchen nicht mehr nur als Problem, sondern vielmehr als
Chance für eine gemeinsame Reflexion über das Wesen der Kirche und ihre Sendung
in der Welt gesehen.
„Der
Primat muss synodal ausgeübt werden, und die Synodalität erfordert den Primat“.
So fasst Kardinal Kurt Koch, Präfekt des Dikasteriums für die Förderung der
Einheit der Christen, einen der wichtigsten Punkte des ökumenischen Dokuments
mit dem Titel „Der Bischof von Rom“ zusammen, das am Donnerstag, den 13. Juni
veröffentlicht wurde. Ein Text, der die Entwicklungen im ökumenischen Dialog
zum Thema Primat und Synodalität zusammenfasst.
Eminenz,
können Sie uns zunächst erklären, worum es sich bei diesem Dokument handelt,
wie es zustande kam und welchen Zweck es verfolgt?
Kardinal
Koch: Dieses Dokument mit dem Titel „Der Bischof von Rom“ ist ein Studientext,
der eine Synthese der jüngsten ökumenischen Entwicklungen zum Thema Primat und
Synodalität bietet. Seine Entstehung geht zurück auf die Einladung von Johannes
Paul II. an alle Christen in Ut unum sint, „offensichtlich gemeinsam“ die
Formen zu finden, in denen das Amt des Bischofs von Rom „einen Dienst der Liebe
verwirklichen kann, der von den anderen anerkannt wird“.
Diese
Einladung wurde mehrfach von Papst Benedikt XVI. und Papst Franziskus
bekräftigt. Das Dokument fasst etwa dreißig Antworten auf diese Einladung und
etwa fünfzig Texte von ökumenischen Dialogen zu diesem Thema zusammen. Im Jahr
2020 nahm das Dikasterium für die Förderung der Einheit der Christen den 25.
Jahrestag der Enzyklika Ut unum sint zum Anlass, eine Bilanz der Diskussion zu
ziehen. Die Einberufung einer Synode zur Synodalität bestätigte die Relevanz
dieses Projekts als Beitrag zur ökumenischen Dimension des synodalen Prozesses.
Welche
Methodik wurde bei der Erstellung dieses Dokuments angewandt?
Kardinal
Koch: Das Dokument ist das Ergebnis einer echten ökumenischen und
synodalen Arbeit. An seiner Erstellung waren nicht nur die Mitarbeiter des
Dikasteriums beteiligt, sondern auch deren Mitglieder und Berater, die es in
zwei Vollversammlungen diskutierten. In Zusammenarbeit mit dem Institut für
Ökumenische Studien beim Angelicum, wurden zahlreiche katholische Experten und
Gelehrte aus verschiedenen christlichen Traditionen in Ost und West
konsultiert. Schließlich wurde der Text an verschiedene Dikasterien der
Römischen Kurie und an das Generalsekretariat der Synode gesandt. Insgesamt
wurden mehr als fünfzig Stellungnahmen und Beiträge berücksichtigt. Unser Dokument
vermerkt auch die jüngsten Interventionen im Rahmen des Synodenprozess.
„Dieses
neue Klima ist ein Indiz für die guten Beziehungen zwischen den christlichen
Gemeinschaften...“
In
seiner Enzyklika Ut Unum Sint (1995) erklärte sich Johannes Paul II. bereit,
über Formen der Ausübung des Primats des Bischofs von Rom zu diskutieren.
Welcher Weg ist in diesen drei Jahrzehnten zurückgelegt worden?
Kardinal
Koch: Die Frage des Primats ist in den letzten Jahrzehnten in fast allen
ökumenischen Kontexten intensiv diskutiert worden. Unser Dokument berichtet
über die Fortschritte und hebt die Tatsache hervor, dass die theologischen
Dialoge und die Reaktionen auf die Enzyklika von einem neuen und positiven
ökumenischen Geist in der Diskussion zeugen. Dieses neue Klima ist ein Indiz
für die guten Beziehungen zwischen den christlichen Gemeinschaften, für die
„wiederentdeckte Geschwisterlichkeit“, von der Ut unum sint spricht. Man kann
sagen, dass sich die ökumenischen Dialoge als geeigneter Rahmen für die
Erörterung dieses sensiblen Themas erwiesen haben. In einer Zeit, in der die
Ergebnisse des ökumenischen Engagements oft als dürftig oder unbedeutend
angesehen werden, zeigen die Ergebnisse der theologischen Dialoge den Wert
ihrer Methodik, d.h. der „offensichtlich gemeinsam“ durchgeführten Reflexion.
„Außerdem
wächst in unserer globalisierten Welt zweifellos das Bewusstsein für die
Notwendigkeit eines Dienstes der Einheit auf universaler Ebene.“
Bei
der Lektüre des Dokuments fällt zunächst der wachsende Konsens auf, der in den
verschiedenen ökumenischen Dialogen über die Notwendigkeit des Primats besteht.
Bedeutet dies, dass die Rolle des Bischofs von Rom von den anderen christlichen
Kirchen nicht mehr nur als ein Hindernis für die Einheit wahrgenommen wird?
Kardinal
Koch: Im Jahr 1967 stellte Paul VI. fest, dass „der Papst [...] zweifellos
das größte Hindernis auf dem Weg zum Ökumenismus“ sei. Fünfzig Jahre später
bezeugt die Lektüre der Dialogdokumente und der Antworten auf Ut unum sint
jedoch, dass die Frage des Primats für die ganze Kirche und insbesondere des
Amtes des Bischofs von Rom nicht mehr nur als Problem, sondern vielmehr als
Gelegenheit für eine gemeinsame Reflexion über das Wesen der Kirche und ihre
Sendung in der Welt gesehen wird. Außerdem wächst in unserer globalisierten
Welt zweifellos das Bewusstsein für die Notwendigkeit eines Dienstes der
Einheit auf universaler Ebene. Die Frage, die sich stellt, ist, wie dieser
Dienst, der von Johannes Paul II. als „Dienst der Liebe“ definiert wurde,
ausgeübt werden soll.
Wie
hat sich die Art und Weise, wie der Primat ausgeübt wird, in den zwei
Jahrtausenden der Kirchengeschichte verändert? Und welche Entwicklung könnte es
geben, um diese Ausübung auch für andere Kirchen annehmbar zu machen, die heute
nicht in voller Gemeinschaft mit Rom stehen?
Kardinal
Koch: Sicherlich hat sich die Art und Weise der Ausübung des Petrusamtes
im Laufe der Zeit verändert, je nach den historischen Umständen und neuen
Herausforderungen. Für viele theologische Dialoge bleiben jedoch die Prinzipien
und Modelle der Gemeinschaft, die im ersten Jahrtausend geehrt wurden,
paradigmatisch für eine zukünftige Wiederherstellung der vollen Gemeinschaft.
Bestimmte Kriterien des ersten Jahrtausends wurden als Bezugspunkte und
Inspirationsquellen für die Ausübung eines universell anerkannten Dienstes der
Einheit identifiziert. Obwohl das erste Jahrtausend entscheidend ist, wird in
vielen Dialogen anerkannt, dass es weder idealisiert noch einfach nachgebildet
werden sollte, weil die Entwicklungen des zweiten Jahrtausends nicht ignoriert
werden können und auch weil ein Primat auf universaler Ebene auf die heutigen
Herausforderungen reagieren sollte. In jedem Fall muss eine erneuerte Ausübung
des Primats letztlich auf den Dienst, die diakonia, ausgerichtet sein.
Autorität und Dienst sind eng miteinander verbunden.
Ist
es möglich, für die Zukunft eine gemeinsame Form der Ausübung des Petrusprimats
über die gesamte Christenheit ins Auge zu fassen, die von der Jurisdiktion des
Papstes über die lateinische Kirche getrennt ist?
Kardinal
Koch: In der Tat schlagen einige ökumenische Dialoge, zum Beispiel das
letzte Dokument des katholisch-orthodoxen Dialogs im Jahre 2023, eine klarere
Unterscheidung zwischen den verschiedenen Verantwortungen des Bischofs von Rom
vor, insbesondere zwischen dem, was man das patriarchale Amt des Papstes
innerhalb der westlichen oder lateinischen Kirche nennen könnte, und seinem
primatialen Dienst an der Einheit in der Gemeinschaft aller Kirchen, sowohl der
westlichen als auch der östlichen. Darüber hinaus betonen sie die
Notwendigkeit, die patriarchale und die primatiale Rolle des Bischofs von
Rom von seiner Funktion als Staatsoberhaupt zu unterscheiden. Die Betonung der
Ausübung des Papstamtes in seiner Teilkirche, der Diözese Rom, die Papst
Franziskus besonders hervorgehoben hat, trägt dazu bei, sein bischöfliches Amt,
das er mit seinen Mitbrüdern, den Bischöfen, teilt, zu unterstreichen.
„Folglich
muss der Primat auf synodale Weise ausgeübt werden, und die Synodalität
erfordert den Primat.“
Dieses
Dokument wird veröffentlicht, während die katholische Kirche einen synodalen
Prozess durchläuft, bei dem das Thema Synodalität im Mittelpunkt steht. Welcher
Zusammenhang besteht zwischen Synodalität und Primat?
Kardinal
Koch: Die meisten Antworten und Dialogdokumente sind sich einig über die
Interdependenz von Primat und Synodalität auf allen Ebenen der Kirche: auf
lokaler, regionaler und auch auf universeller Ebene. Folglich muss der Primat
auf synodale Weise ausgeübt werden, und die Synodalität erfordert den Primat.
Zu all diesen Aspekten hat unser Dikasterium auch Konferenzen mit dem Titel
„Auf den Osten hören“ und „Auf den Westen hören“ organisiert, um die
verschiedenen christlichen Traditionen in Bezug auf Synodalität und Primat zu
hören und so einen Beitrag zum synodalen Prozess zu leisten.
Ein
entscheidender Schritt in Bezug auf den Primat war die Dogmatisierung der
Unfehlbarkeit des Bischofs von Rom, wenn er ex cathedra spricht, und seiner
Jurisdiktionsgewalt über die Kirche. Können Sie uns sagen, ob und wie eine neue
Lesart und ein neues Verständnis des Ersten Vatikanischen Konzils im Lichte des
Zweiten Vatikanischen Konzils und der auf dem ökumenischen Weg unternommenen
Schritte möglich ist?
Kardinal
Koch: Gewiss haben sich einige Dialoge bemüht, das Erste Vatikanische
Konzil im Lichte seines historischen Kontextes, seiner Zielsetzung und seiner
Rezeption zu interpretieren. Da die dogmatischen Definitionen des Konzils
zutiefst von den historischen Umständen geprägt waren, schlagen sie vor, dass
die katholische Kirche nach neuen Ausdrucksformen und einem neuen Vokabular
sucht, das der ursprünglichen Intention treu bleibt, sie in eine Ekklesiologie
der Communio integriert und sie den aktuellen kulturellen und ökumenischen
Kontext angleicht. Man spricht daher von einer „Re-Rezeption“ oder sogar
„Neuformulierung“ der Lehren des Ersten Vatikanums.
Was
sind die nächsten Schritte, um die gemeinsame Reflexion der Kirchen über den
Primat fortzusetzen?
Kardinal
Koch: Diese Studie schließt mit einem kurzen Vorschlag der Vollversammlung
des Dikasteriums mit dem Titel „Auf dem Weg zur Ausübung des Primats im 21.
Jahrhundert“, in dem die wichtigsten Vorschläge aus den verschiedenen Antworten
und Dialogen für eine erneuerte Ausübung des Dienstes der Einheit des Bischofs
von Rom aufgeführt sind. Unser Dikasterium möchte diesen Vorschlag zusammen mit
dem Studiendokument an die verschiedenen christlichen Gemeinschaften
weiterleiten und sie um ihre Meinung zu diesem Thema bitten. Wir hoffen, auf
diese Weise die Diskussion über die Ausübung des Einheitsamtes des Bischofs von
Rom „in gegenseitiger Anerkennung“ fortsetzen zu können. (vn 13)
Papstbotschaft zum 8. Welttag der
Armen: Wortlaut
Wir
stellen hier in amtlicher Übersetzung die Botschaft von Papst Franziskus zum 8.
Welttag der Armen am 17. November 2024 vor. Sie trägt den Titel: „Das Gebet des
Armen steigt zu Gott empor“. Auf vatican.va finden Sie wie üblich diesen und
alle weiteren offiziellen Papsttexte in den verschiedenen Übersetzungen.
Liebe
Brüder und Schwestern!
1.
Das Gebet des Armen steigt zu Gott empor (vgl. Sir 21,5). Im Jahr, das dem
Gebet gewidmet ist, und im Hinblick auf das ordentliche Jubiläum 2025 ist diese
Aussage biblischer Weisheit umso angemessener, um uns auf den achten Welttag
der Armen vorzubereiten, der am 17. November stattfinden wird. Die christliche
Hoffnung schließt auch die Gewissheit ein, dass unser Gebet vor das Angesicht
Gottes gelangt; aber nicht irgendein Gebet: das Gebet des Armen! Denken wir
über dieses Wort nach und „lesen“ wir es auf den Gesichtern und in den
Geschichten der Armen, denen wir in unseren Tagen begegnen, damit das Gebet zu
einem Weg der Gemeinschaft mit ihnen wird und wir ihr Leid teilen.
2.
Das Buch Jesus Sirach, auf das wir uns beziehen, ist nicht sehr bekannt und
verdient es, entdeckt zu werden wegen der Fülle der Themen, die es anspricht,
besonders wenn es die Beziehung des Menschen zu Gott und zur Welt berührt. Sein
Autor, Ben Sira, ist ein Lehrer, ein Schriftgelehrter aus Jerusalem, der
wahrscheinlich im 2. Jahrhundert v. Chr. schrieb. Er ist ein weiser Mann, der
in der Tradition Israels verwurzelt ist und über verschiedene Bereiche des
menschlichen Lebens lehrt: von der Arbeit bis zur Familie, vom Leben in der
Gesellschaft bis zur Erziehung der Jugend; er widmet sich den Fragen des
Glaubens an Gott und der Einhaltung des Gesetzes. Er behandelt die nicht
einfachen Probleme der Freiheit, des Bösen und der göttlichen Gerechtigkeit,
die auch für uns heute sehr aktuell sind. Ben Sira, inspiriert vom Heiligen
Geist, möchte allen den Weg zu einem weisen und würdigen Leben vor Gott und den
Brüdern und Schwestern aufzeigen.
3.
Eines der Themen, dem dieser heilige Schriftsteller am meisten Raum widmet, ist
das Gebet. Er tut dies mit großem Eifer, weil er seine persönliche Erfahrung
zum Ausdruck bringt. In der Tat könnte keine Schrift über das Gebet
wirkungsvoll und fruchtbar sein, wenn sie nicht von denen stammt, die jeden Tag
in Gottes Gegenwart weilen und auf sein Wort hören. Ben Sira erklärt, dass er
schon in seiner Jugend nach Weisheit strebte: »Als ich noch jung war, bevor ich
auf Wanderschaft ging, habe ich offen in meinem Beten Weisheit gesucht« (Sir
51,13).
4.
Auf seinem Weg entdeckt er eine der grundlegenden Wirklichkeiten der
Offenbarung, nämlich die Tatsache, dass die Armen einen bevorzugten Platz im
Herzen Gottes einnehmen, dass Gott angesichts ihres Leidens sogar „ungeduldig“
ist, bis er ihnen Gerechtigkeit widerfahren lässt: »Das Gebet eines Demütigen
durchdringt die Wolken, und bevor es nicht angekommen ist, wird er nicht
getröstet und er lässt nicht nach, bis der Höchste daraufschaut. Und er wird
für die Gerechten entscheiden und ein Urteil fällen. Und der Herr wird gewiss
nicht zögern und nicht langmütig sein gegen die Unbarmherzigen« (Sir 35,21-22).
Gott kennt die Leiden seiner Kinder, denn er ist ein aufmerksamer und
fürsorglicher Vater für alle. Als Vater kümmert er sich um diejenigen, die ihn
am meisten brauchen: die Armen, die Ausgegrenzten, die Leidenden, die Vergessenen
... Aber niemand ist aus seinem Herzen ausgeschlossen, denn wir alle sind vor
ihm arm und bedürftig. Wir sind alle Bettler, denn ohne Gott wären wir nichts.
Wir hätten nicht einmal das Leben, wenn Gott es uns nicht geschenkt hätte. Und
doch, wie oft leben wir so, als ob wir die Herren über das Leben wären oder als
ob wir es erobern müssten! Die weltliche Denkweise fordert, dass wir jemand
sind, dass wir uns trotz allem und jedem einen Namen machen, dass wir
gesellschaftliche Regeln brechen, um ja nur Reichtum zu erreichen. Was für eine
traurige Illusion! Das Glück erlangt man nicht, indem man das Recht und die
Würde anderer mit Füßen tritt.
Die
durch Kriege verursachte Gewalt zeigt deutlich, wie viel Anmaßung diejenigen
bewegt, die sich vor den Menschen für mächtig halten, während sie in den Augen
Gottes erbärmlich sind. Wie viele neue Arme verursacht diese schlechte, mit
Waffen gemachte Politik, wie viele unschuldige Opfer! Doch wir dürfen nicht
zurückweichen. Die Jünger des Herrn wissen, dass jeder dieser „Kleinen“ das
Antlitz des Gottessohnes trägt, und unsere Solidarität und das Zeichen der
christlichen Nächstenliebe müssen jeden Einzelnen erreichen. »Jeder Christ und
jede Gemeinschaft ist berufen, Werkzeug Gottes für die Befreiung und die Förderung
der Armen zu sein, so dass sie sich vollkommen in die Gesellschaft einfügen
können; das setzt voraus, dass wir gefügig sind und aufmerksam, um den Schrei
des Armen zu hören und ihm zu Hilfe zu kommen« (Apostolisches Schreiben
Evangelii gaudium, 187).
5.
In diesem Jahr, das dem Gebet gewidmet ist, müssen wir das Gebet der Armen zu
unserem eigenen machen und zusammen mit ihnen beten. Das ist eine
Herausforderung, die wir annehmen müssen, und eine pastorale Tätigkeit, die
gefördert werden muss. Denn »die schlimmste Diskriminierung, unter der die
Armen leiden, ist der Mangel an geistlicher Zuwendung. Die riesige Mehrheit der
Armen ist besonders offen für den Glauben; sie brauchen Gott, und wir dürfen es
nicht unterlassen, ihnen seine Freundschaft, seinen Segen, sein Wort, die Feier
der Sakramente anzubieten und ihnen einen Weg des Wachstums und der Reifung im
Glauben aufzuzeigen. Die bevorzugte Option für die Armen muss sich
hauptsächlich in einer außerordentlichen und vorrangigen religiösen Zuwendung
zeigen« (ebd., 200).
All
dies erfordert ein demütiges Herz, das den Mut hat, zum Bettler zu werden. Ein
Herz, das bereit ist, sich als arm und bedürftig zu erkennen. Es besteht
nämlich ein Zusammenhang zwischen Armut, Demut und Vertrauen. Der wahrhaft Arme
ist der Demütige, wie der heilige Bischof Augustinus sagte: »Der Arme hat
nichts, worauf er stolz sein kann, der Reiche hat seinen Stolz zu bekämpfen.
Höre also auf mich: Sei ein wahrhaft Armer, sei tugendhaft, sei demütig«
(Sermones, 14, 4). Der demütige Mensch hat nichts, dessen er sich rühmen kann,
und er beansprucht nichts, er weiß, dass er nicht auf sich selbst zählen kann,
glaubt aber fest daran, dass er sich auf die barmherzige Liebe Gottes berufen
kann, vor dem er wie der verlorene Sohn steht, der reumütig nach Hause
zurückkehrt, um die Umarmung seines Vaters zu empfangen (vgl. Lk 15,11-24). Da
der Arme nichts hat, worauf er sich stützen kann, erhält er Kraft von Gott und
setzt sein ganzes Vertrauen in ihn. In der Tat schafft die Demut das Vertrauen,
dass Gott uns nie verlassen und uns nicht ohne Antwort lassen wird.
6.
Den Armen, die in unseren Städten leben und Teil unserer Gemeinschaften sind,
sage ich: Verliert nicht diese Gewissheit! Gott achtet auf einen jeden von euch
und ist euch nahe. Er vergisst euch nicht und könnte dies auch nie tun. Wir
alle machen die Erfahrung, dass Gebete scheinbar unbeantwortet bleiben.
Manchmal bitten wir darum, aus einer Notlage befreit zu werden, die uns leiden
lässt und uns demütigt, und Gott scheint unsere Anrufung nicht zu erhören. Doch
Gottes Schweigen bedeutet nicht, dass er von unserem Leid abgelenkt ist,
sondern es enthält ein Wort, das vertrauensvoll angenommen werden will, indem
wir uns ihm und seinem Willen überlassen. Wieder ist es Jesus Sirach, der dies
bezeugt: „Die Bitte eines Armen dringt an sein Ohr, das Urteil Gottes kommt mit
Eile“ (vgl. 21,5). Aus der Armut kann also das Lied echter Hoffnung
entspringen. Erinnern wir uns: »Wenn das innere Leben sich in den eigenen
Interessen verschließt, gibt es keinen Raum mehr für die anderen, finden die
Armen keinen Einlass mehr, hört man nicht mehr die Stimme Gottes, genießt man
nicht mehr die innige Freude über seine Liebe, regt sich nicht die
Begeisterung, das Gute zu tun. […], das ist nicht das Leben im Geist, das aus
dem Herzen des auferstandenen Christus hervorsprudelt« (Apostolisches Schreiben
Evangelii gaudium, 2).
7.
Der Welttag der Armen ist nunmehr zu einem festen Termin für jede Gemeinschaft
in der Kirche geworden. Er ist eine nicht zu unterschätzende pastorale
Gelegenheit, weil er jeden Gläubigen dazu anregt, auf das Gebet der Armen zu
hören und sich ihrer Gegenwart und Bedürfnisse bewusst zu werden. Es ist eine
günstige Gelegenheit, um Vorhaben zu verwirklichen, die den Armen konkret
helfen, und auch, um die vielen Freiwilligen anzuerkennen und zu unterstützen,
die sich leidenschaftlich für die Bedürftigsten einsetzen. Wir müssen dem Herrn
für die Menschen danken, die sich zur Verfügung stellen, um den Ärmsten
zuzuhören und sie zu unterstützen. Es sind Priester, Personen des geweihten
Lebens und Laien, die mit ihrem Zeugnis der Antwort Gottes auf die Gebete
derer, die sich an ihn wenden, eine Stimme geben. Die Stille wird also jedes
Mal gebrochen, wenn ein Bruder oder eine Schwester in Not willkommen geheißen und
umarmt wird. Die Armen haben noch viel zu lehren, denn in einer Kultur, die den
Reichtum an die erste Stelle gesetzt hat und die Würde der Menschen oft auf dem
Altar der materiellen Güter opfert, rudern sie gegen den Strom und weisen
darauf hin, dass das Wesentliche im Leben etwas ganz anderes ist.
Das
Gebet findet also die Bestätigung seiner Echtheit in der Nächstenliebe, die zur
Begegnung und zur Nähe wird. Wenn das Gebet nicht zu konkretem Handeln führt,
ist es vergeblich; denn »der Glaube ohne Werke [ist] tot« (Jak 2,26).
Nächstenliebe ohne Gebet läuft hingegen Gefahr, zu einer Philanthropie zu
werden, die sich bald erschöpft. »Ohne das in Treue gelebte tägliche Gebet wird
unser Tun leer, verliert es die tiefste Seele, wird es zum reinen Aktivismus reduziert«
(Benedikt XVI., Katechese, 25. April 2012). Wir müssen dieser Versuchung
widerstehen und immer wachsam sein mit der Kraft und Ausdauer, die vom Heiligen
Geist kommt, der der Spender des Lebens ist.
8.
In diesem Zusammenhang ist es schön, sich an das Zeugnis von Mutter Teresa von
Kalkutta zu erinnern, einer Frau, die ihr Leben für die Armen gab. Die Heilige
wiederholte immer wieder, dass das Gebet der Ort war, aus dem sie Kraft und
Glauben schöpfte für ihre Mission, den Letzten zu dienen. Als sie am 26.
Oktober 1985 vor der UN-Generalversammlung sprach und allen den Rosenkranz
zeigte, den sie immer in ihrer Hand hielt, sagte sie: »Ich bin nur eine arme
Ordensfrau, die betet. Indem ich bete, legt Jesus seine Liebe in mein Herz und
ich gehe hin und gebe sie allen Armen, denen ich auf meinem Weg begegne. Betet
auch ihr! Betet, und ihr werdet erkennen, welche Armen ihr neben euch habt.
Vielleicht auf dem gleichen Treppenabsatz wie euer Zuhause. Vielleicht gibt es
sogar in euren Häusern Menschen, die auf eure Liebe warten. Betet und eure
Augen werden sich öffnen und euer Herz wird von Liebe erfüllt sein«.
Und
wie könnten wir hier, in der Stadt Rom, nicht an den heiligen Benedikt Joseph
Labre (1748-1783) erinnern, dessen Leichnam in der Pfarrkirche Santa Maria ai
Monti ruht und verehrt wird. Als Pilger aus Frankreich in Rom, der von vielen
Klöstern abgelehnt worden war, verbrachte er die letzten Jahre seines Lebens
arm unter den Armen und verbrachte viele Stunden im Gebet vor dem
Allerheiligsten Sakrament, mit dem Rosenkranz, betete das Brevier, las im Neuen
Testament und in der Nachfolge Christi. Da er nicht einmal ein kleines Zimmer
hatte, in dem er wohnen konnte, schlief er gewöhnlich in einer Ecke der Ruinen
des Kolosseums, als „Landstreicher Gottes“, und machte sein Leben zu einem
unaufhörlichen Gebet, das zu ihm emporstieg.
9.
Auf dem Weg zum Heiligen Jahr ermutige ich jeden, Pilger der Hoffnung zu werden
und greifbare Zeichen für eine bessere Zukunft zu setzen. Vergessen wir nicht,
»die kleinen Details der Liebe« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate,
145) zu bewahren: innezuhalten, sich zu nähern, ein wenig Aufmerksamkeit zu
schenken, ein Lächeln, eine Berührung, ein Wort des Trostes ... Diese Zeichen
kommen nicht von ungefähr; sie erfordern vielmehr tägliche Hingabe, oft im
Verborgenen und im Stillen, die aber durch das Gebet Stärkung erfährt. In
dieser Zeit, in der das Lied der Hoffnung dem Lärm der Waffen, dem Schrei so
vieler verwundeter Unschuldiger und dem Schweigen der unzähligen Opfer von Kriegen
zu weichen scheint, richten wir unsere Bitte um Frieden an Gott. Wir sind arm
an Frieden und strecken unsere Hände aus, um ihn als kostbares Geschenk zu
empfangen, und gleichzeitig bemühen wir uns, ihn in unserem täglichen Leben
wiederherzustellen.
10.
Wir sind aufgerufen, in allen Lebenslagen Freunde der Armen zu sein und in die
Fußstapfen Jesu zu treten, der der Erste war, der sich mit den Letzten
solidarisierte. Möge die allerheiligste Gottesmutter Maria uns auf diesem Weg
beistehen, die uns, als sie in Banneux erschien, die Botschaft hinterlassen
hat, die wir nicht vergessen dürfen: »Ich bin die Jungfrau der Armen«. Ihr, der
sich Gott wegen ihrer bescheidenen Armut zuwandte und die durch ihren Gehorsam
Großes vollbrachte, vertrauen wir unser Gebet an, in der Überzeugung, dass es
zum Himmel emporsteigen und erhört werden wird.
Rom,
Sankt Johannes im Lateran, 13. Juni 2024, Gedenktag des heiligen Antonius von
Padua, des Schutzpatrons der Armen. FRANZISKUS
Leitartikel: Überdenken des Primats
im ökumenischen Sinn
Unser
Chefredakteur Andrea Tornielli hat in einem Editorial für Vatican News über das
Dokument „Der Bischof von Rom“ nachgedacht und dabei die Rolle des Papstes, die
Synodalität und die anderen Kirchen betrachtet. Andrea Tornielli - Vatikanstadt
Es
ist eine Geschichte, die aus einem gemeinsamen Weg, aus Jahrhunderten der
Einheit, aber auch aus Schismen, gegenseitigen Exkommunikationen, Spaltungen
und Kämpfen besteht, die mehr von der Politik als von theologischen Differenzen
bestimmt sind. Nach fast zwei Jahrtausenden christlicher Geschichte und trotz
alter und neuer Krisen innerhalb der verschiedenen Konfessionen macht der ökumenische
Weg bedeutende Fortschritte. Das soeben veröffentlichte Dokument über den
„Bischof von Rom“ zeugt davon, dass die 1995 vom heiligen Johannes Paul II.
bekundete Bereitschaft und Offenheit zur Diskussion über die Formen der
Ausübung des Petrusprimats nicht auf dem Papier stehen geblieben ist. Der
Dialog hat sich weiterentwickelt, und der synodale Weg, den die katholische
Kirche auf allen Ebenen beschreitet, ist ein Teil davon. In der Tat entdecken
und vertiefen die Katholiken soeben die Bedeutung der Synodalität als konkrete
Form der gelebten Gemeinschaft in der Kirche wieder, ein Bewusstsein, das in
anderen christlichen Traditionen bereits vorhanden ist und gelebt wird.
Nicht
mehr als Hindernis betrachtet
Gleichzeitig
werden die Rolle des Bischofs von Rom und sein Primat von den anderen Christen
nicht mehr nur als ein Hindernis oder ein Problem auf dem ökumenischen Weg
betrachtet: Die Synodalität sieht in der Tat immer das Vorhandensein eines
„protos“, eines Primats, vor.
Natürlich
bleibt der Petrusprimat, wie er von den Päpsten im zweiten Jahrtausend ausgeübt
und insbesondere vom Ersten Vatikanischen Konzil (1870) verkündet wurde, für
die anderen Kirchen inakzeptabel. Aber auch hier zeigt das Dokument des
Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen bedeutende Fortschritte: So
hat die Arbeit in den ökumenischen Dialogen vorgeschlagen, den päpstlichen
Primat, der die Jurisdiktion über die lateinische Kirche (oder die westliche
Kirche, wie die östlichen Kirchen sie gerne nennen) ausübt, vom Primat in der
Nächstenliebe der Kirche von Rom, dem „ersten Stuhl“, zu unterscheiden. Ein
Primat der „Diakonie“, d. h. des Dienstes, und nicht der Macht. Ein Primat der
Einheit, der in der Synodalität ausgeübt wird, um den Konsens aller Bischöfe zu
suchen.
„Es
gibt also eine Form des Petrusprimats, die für die anderen Kirchen annehmbar
ist oder zumindest sein könnte“
In
Demut und Barmherzigkeit
Es
gibt also eine Form des Petrusprimats, die für die anderen Kirchen annehmbar
ist oder zumindest sein könnte. Es handelt sich um das, was der Ökumenische
Patriarch von Konstantinopel Bartholomaios vor einigen Jahren als Primat
bezeichnete, der „in Demut und Barmherzigkeit ausgeübt wird und nicht als eine
Art Auferlegung auf das übrige Bischofskollegium“, als „wahrer Widerschein der
gekreuzigten Liebe des Herrn und nicht im Sinn irdischer Macht“. Ein konkreter
Weg zur Verwirklichung des Traums, den Papst Johannes Paul II. vor fast dreißig
Jahren formulierte. (vn 13)
Österreich: Bischöfe wünschen sich
synodale Gesprächskultur überall
Der
von Papst Franziskus initiierte weltweite Synodale Prozess hat die katholische
Kirche in Österreich und weltweit verändert. Das würdigten Österreichs Bischöfe
zum Abschluss ihrer Vollversammlung in Mariazell.
In
einer Presseerklärung von diesem Mittwoch sprachen sie von einem „positiven
Kulturwandel in der Kirche", der in Österreich mit Dankbarkeit und
Engagement aufgenommen worden sei. Besonders bewährt habe sich die immer öfter
praktizierte Methode des „synodalen Gesprächs im Heiligen Geist", die eine
„Kultur des offenen Sprechens" sowie des Hörens aufeinander und „auf das,
was Gott uns heute sagen will", anrege. Unterschiedliche Positionen würden
damit „leichter lebbar". Die Bischöfe erklärten, sie wünschten, dass diese
Haltung auch auf die Gesellschaft ausstrahlt.
Studientag
zum Thema Synode
Synodalität,
die das Miteinander stärke und einen geistlichen Raum eröffne, „in dem
gemeinsame Entscheidungen reifen können", stand inhaltlich im Mittelpunkt
der Sommervollversammlung der österreichischen Bischofskonferenz. An einem
Studienteil am Montag über den weltweiten Synodalen Prozess hatten neben den
heimischen Bischöfen auch die Mitglieder des nationalen Synodenteams
teilgenommen: die Linzer Pastoraltheologin Klara Csiszar, die Innsbrucker Caritas-Direktorin
Elisabeth Rathgeb, die Theologen Petra Steinmair-Pösel und Markus Welte sowie
der Europareferent der Bischofskonferenz, Johannes Moravitz.
Thema
war der jüngst veröffentlichte Österreich-Bericht, der am 15. Mai an das
vatikanische Synodensekretariat erging. Auf Basis dieser und anderer Eingaben
aus der ganzen Welt werde er derzeit das Arbeitsdokument („Instrumentum
laboris") für die zweite Generalversammlung der Bischofssynode erstellt,
die im Oktober im Vatikan stattfinden wird. Aus Österreich werden daran mit
Stimmrecht der Vorsitzende der Bischofskonferenz, Erzbischof Franz Lackner, und
Kardinal Christoph Schönborn teilnehmen. Zum vorbereitenden internationalen
Treffen von 29. bis 31. August mit den Synodalen und nicht stimmberechtigten Fachleuten
werden aus Österreich Erzbischof Lackner sowie Csiszar nach Rom reisen.
„Prioritär:
Frau, Mission, Partizipation“
Der
Österreich-Bericht sei „kein Forderungskatalog" der Bischofskonferenz,
sondern biete eine komprimierte Zusammenfassung vertiefender Gespräche, die in
Österreich in den vergangenen Monaten zum Synthese-Bericht der Weltsynode
stattfanden. Als „prioritär qualifiziert" worden seien dabei drei von
insgesamt 14 genannten Themenfeldern: die Stellung der Frau in der Kirche, die
missionarische Ausrichtung der Kirche und mehr innerkirchliche
Partizipation.
Die
österreichischen Bischöfe dankten abschließend allen, die sich an den
verschiedenen Phasen des 2021 gestarteten Synodalen Prozesses beteiligten. Der
aktuelle Österreich-Bericht zeichne davon ein getreues Bild, „das von den
Bischöfen geschätzt und mitgetragen wird". Gleichzeitig gestehen die
Bischöfe ein Ungleichgewicht ein: Es falle auf, dass innerkirchliche Themen
vorherrschten „und noch zu wenig die gesellschaftliche Verantwortung von Gläubigen
und das Gespräch mit Menschen außerhalb des kirchlichen Binnenraumes
wahrgenommen werden". (kap 12)
Papst: Krieg ist immer eine
Niederlage, vom ersten Tag an
Erneut
hat Papst Franziskus seine Generalaudienz dazu genutzt, eindringlich zu Gebet
für Frieden aufzurufen. Heute brauche man den Frieden, so Franziskus am
Mittwoch auf dem Petersplatz.
In
seinen Grüßen an die italienischsprachigen Pilger am Ende der Generalaudienz
erinnerte Franziskus, wie mittlerweile gewohnt, an die Situation in
Krisengebieten und rief zum Gebet für Frieden auf. „Vergessen wir nicht die
gequälte Ukraine, Palästina, Israel“, appellierte der Papst. Und weiter:
„Vergessen wir nicht Myanmar und so viele Länder, die sich im Krieg befinden.
Lasst uns für den Frieden beten. Heute brauchen wir Frieden. Krieg ist immer
eine Niederlage, vom ersten Tag an. Lasst uns für den Frieden beten. Möge der
Herr uns die Kraft geben, immer für den Frieden zu kämpfen“.
Der
heilige Antonius von Padua
Zuvor
hatte Franziskus auch daran erinnert, dass am 13. Juni der liturgische
Gedenktag des heiligen Antonius von Padua, Priester und Kirchenlehrer, ist. In
diesem Zusammenhang verlieh er seinem Wunsch Ausdruck, dass „das Beispiel
dieses bedeutenden Predigers und Beschützers der Armen und Leidenden in allen
den Wunsch weckt, den Weg des Glaubens weiterzugehen und sein Leben
nachzuahmen, um so zu glaubwürdigen Zeugen des Evangeliums zu werden“. Auch in
seinen Grüßen an die portugiesischsprachigen Pilger hatte er den Heiligen
Antonius, der in Lissabon geboren wurde, erwähnt. Dabei erinnerte er an einige
seiner Worte: „Wenn du Jesus liest, erfüllt er deinen Geist“. Dann ermutigte er
alle, „über die Heilige Schrift zu meditieren. In ihr stärkt Jesus uns und
erleuchtet unser Leben".
Predigten
sollten kurz sein
Generaludienz.
„Das will ich den Priestern sagen, die so viel reden, und oft versteht man gar
nicht, wovon sie sprechen. Bitte, eine kurze Predigt: ein Gedanke, ein Gefühl
und etwas für das konkrete Handeln. Und nicht mehr als acht Minuten, bitte!
Denn die Predigt sollte dazu beitragen, das Wort Gottes aus dem Buch ins Leben
zu übertragen.“
Die
Ansprache des Papstes auf dem Petersplatz dauerte übrigens 11,30 Minuten.
Von
inspiriert zu inspirierend
Eigentlich
ging es in der Rede aber nicht ums Predigen, sondern um den Heiligen Geist –
genauer: um die vom Geist gewirkte, göttliche Inspiration der Heiligen Schrift.
Franziskus wies darauf hin, dass dieser Punkt auch im Credo angesprochen wird;
beim Bekenntnis zum Heiligen Geist heiße es nämlich „der gesprochen hat durch
die Propheten“.
„Der
Heilige Geist, der die Schrift inspiriert hat, ist auch derjenige, der sie
erklärt und sie ewig lebendig und wirksam macht. Von inspiriert macht er sie
inspirierend… Es kann passieren, dass eine bestimmte Schriftstelle, die wir
häufig gelesen haben, ohne dass uns das besonders berührt hätte, eines Tages,
wenn wir sie in einer Atmosphäre des Glaubens und des Gebets wiederlesen,
plötzlich aufleuchtet: Sie spricht zu uns, sie erhellt ein Problem, das wir
gerade erleben, sie macht den Willen Gottes für uns in einer bestimmten
Situation deutlich. Worauf ist diese Veränderung zurückzuführen, wenn nicht auf
eine Erleuchtung durch den Heiligen Geist?“
„Führen
Sie immer ein kleines Taschenevangelium mit sich“
Der
Papst warb für die geistliche Lesung der Heiligen Schrift; Jesu Tod und
Auferstehung bezeichnete er als „den wahren Schlüssel zum Lesen der gesamten
Bibel“.
„Eine
Möglichkeit, das Wort Gottes geistlich zu lesen, ist die Praxis der lectio
divina. Sie besteht darin, eine bestimmte Zeit des Tages der persönlichen,
meditativen Lektüre eines Abschnitts der Heiligen Schrift zu widmen. Und das ist
sehr wichtig: jeden Tag sich die Zeit nehmen, um ein bisschen zu hören und zu
meditieren über einen Passus aus der Heiligen Schrift. Darum empfehle ich
Ihnen: Führen Sie immer ein kleines Taschenevangelium mit sich. Damit man
unterwegs oder auf Reisen das herausziehen und etwas daraus lesen kann. Das ist
sehr wichtig für das Leben.“
Unter
den vielen Worten Gottes, die man in der Messe oder im Stundengebet höre, gebe
es immer eines, „das besonders für uns bestimmt ist“, so Franziskus. „Wenn wir
es uns zu Herzen nehmen, kann es unseren Tag erhellen und unser Gebet anregen.
Es kommt darauf an, es nicht ins Leere laufen zu lassen!“
(SvK,
vn 12)
Papst zu Besuch auf dem römischen
Kapitol
Der
Papst hofft auf Verbesserungen in Roms Randbezirken durch das Heilige Jahr, das
dieses Jahr an Weihnachten startet. Das sagte er am Montagmorgen bei einem
Besuch auf dem römischen Kapitol. Anne Preckel – Vatikanstadt
Anlass
der Begegnung mit Bürgermeister Roberto Gualtieri auf dem Kapitolshügel war das
im Dezember beginnende Heilige Jahr, zu dem mehr als 30 Millionen Pilger in der
italienischen Hauptstadt und im Vatikan erwartet werden.
Franziskus
sprach zum Auftakt des Besuches zunächst unter vier Augen mit dem
Bürgermeister. Danach hielt er eine Rede vor dem römischen Stadtrat.
Darin zeigte er sich überzeugt davon, dass sich das Jubiläum insgesamt
positiv auf die Stadt Rom auswirken werde – „indem es ihr Ansehen verbessert
und die öffentlichen Dienstleistungen effizienter macht“. Dies sollte aber
nicht nur im Stadtzentrum der Fall sein, sondern auch in den Vororten,
unterstrich der Papst, der sich mehr „Annäherung“, Anbindung und Austausch
zwischen Stadtkern und Peripherie erhofft.
„Das
ist sehr wichtig, denn die Stadt wächst, und diese Aufmerksamkeit, diese
Beziehung wird immer wichtiger. Deshalb besuche ich gerne die Gemeinden in den
Vororten, damit sie das Gefühl haben, dass der Bischof ihnen nahe ist, denn es
ist sehr einfach, dem Zentrum nahe zu sein - ich bin im Zentrum -, aber die
Vororte zu besuchen, bedeutet die Anwesenheit des Bischofs dort!“
Erst
am Donnerstag hatte Franziskus noch eine Gemeinde in der römischen
Westperipherie besucht ; der „Bischof von Rom“ stattet regelmäßig römischen
Stadtrandgemeinden persönliche Besuche ab. In manchen römischen Vorstädten kämpfen
Pfarrer und Gemeinden seit Jahren gegen Verwahrlosung, Drogenhandel und
Gesetzlosigkeit. Bürgermeister Gualtieri, der zum linken „Partito Democratico“
gehört, ist ebenfalls oft in den Vorstädten unterwegs und versucht, durch
bauliche Sanierungen und neue Verkehrsanbindungen die soziale Lage dort zu
verbessern.
Freundschaftliche
Beziehungen
Franziskus
dankte der Stadtverwaltung Rom und auch der italienischen Regierung für deren
Unterstützung der Vorbereitungen für das Heilige Jahr 2025. Die Kooperation
zwischen Italien und dem Heiligen Stuhl seien freundschaftlich und bestünden
aus „menschlichen Beziehungen“, hob der Papst hervor, Geldfragen seien
„zweitrangig“.
Für
das Heilige Jahr 2025 ist Bürgermeister Roberto Gualtieri zusätzlich
„Sonderkommissar“ der italienischen Regierung für die zahlreichen Baustellen in
Rom, mit denen vor allem die Mobilität für Pilger und Touristen verbessert
werden soll. Von den mehr als 60 derzeit offenen Baustellen werden jedoch
vermutlich nicht alle bis zur Eröffnung des Heiligen Jahrs am bevorstehenden
Heiligen Abend abgeschlossen sein.
Universeller
Geist von Rom
Rom
sei eine „Stadt mit universellem Geist“, führte Franziskus in seiner Ansprache
vor Vertretern der italienischen Politik aus. Ausführlich ging er auf die
Geschichte der Stadt von der Antike bis heute ein und hob die globale Bedeutung
Roms hervor - vor Hintergrund seiner Geschichte und als Zentrum der weltweiten
katholischen Kirche.
Dieser
Geist von Rom solle „im Dienst der Nächstenliebe, der Aufnahme und
Gastfreundschaft“ stehen, bekräftigte er, vor allem im Dienst an den
Schwächsten, so Franziskus.
Ein
paar Eindrücke
„Pilger,
Touristen, Migranten, Menschen in Not, die Ärmsten, die Einsamen, die Kranken,
die Gefangenen, die Ausgeschlossenen seien die wahrhaftigsten Zeugen dieses
Geistes. Und deshalb habe ich beschlossen, eine Heilige Pforte in einem
Gefängnis zu öffnen. Und diese mögen bezeugen, dass die Autorität voll und ganz
eine solche ist, wenn sie im Dienst aller steht, wenn sie ihre legitime Macht
dazu nutzt, den Bedürfnissen der Bürger und insbesondere der Schwächsten und
Letzten zu entsprechen.“
Franziskus
bezog sich hier auf seinen Plan, innerhalb des Heiligen Jahres 2025 eine
Heilige Pforte in einem römischen Gefängnis zu öffnen. Die Geste hatte er in
der Bulle zum Jubiläum bereits angekündigt. Regelmäßig kehrt der Papst in
Gefängnissen ein, wo er Häftlingen an Gründonnerstag etwa die Füße wusch.
Rom
als Symbol
Das
Heilige Jahr sei eine „Chance“ für die Stadt Rom, betonte der Papst, der dazu
aufrief, der Stadt mit vereinten Kräften zu einer „Wiedergeburt“ zu verhelfen.
Alle
Probleme der Stadt könnten „zu einer Chance für Entwicklung werden: zivil,
sozial, wirtschaftlich, kulturell“, so der Papst, der sich für das Heilige Jahr
2025 eine Wiederentdeckung der besonderen Bedeutung Roms als Stadt der
Nächstenliebe und der Gastfreundschaft wünscht: „Möge das Bewusstsein für den
Wert Roms, für das Symbol, das es auf allen Kontinenten darstellt, in allen
wiedergeboren werden.“
Zum
Schluss seiner Ansprache ging der Papst auf seine besondere Beziehung zur
Marienikone „Salus Populi Romani“ (lat. für „Heil des römischen
Volkes“) ein, die er schon als junger Mann verehrt habe. Sie möge über die
Stadt und ihre Menschen wachen, Hoffnung schenken und Nächstenliebe wecken,
damit Rom auch heute „ein Leuchtturm der Zivilisation und Förderer des
Friedens“ sein könne.
Bürgermeister
kündigt Projekte an
„Das
Jubiläum wird Rom besser machen“, zeigte sich der römische Bürgermeister in
seinem Grußwort laut Redetext überzeugt. Roberto Gualtieri kündigte mehrere
Projekte im ökologischen und sozialen Bereich ein, die im Kontext des Heiligen
Jahres als „greifbare Zeichen der Hoffnung“ umgesetzt würden, darunter ein
„neues Altenheim in einem von der Kriminalität beschlagnahmten Gebäude im
Aventin-Viertel“ sowie ein Ausbildungsprojekt für Häftlinge im römischen
Gefängnis Rebibbia.
Außerdem
bemühe sich die Stadtverwaltung darum, „Rom zu einem großen Laboratorium für
integrale Ökologie zu machen, die Stadt zu verändern und besser zu machen,
näher an den Menschen“, wie Gualtieri ankündigte. Dazu gehöre unter anderem der
Kampf gegen Smog, die Schaffung neuer öffentlicher Räume, die vor allem in den
städtischen und sozialen Randgebieten zu Integration beitragen sollten.
Wertvoller
Beitrag des Papstes und der Kirche
Gualtieri
würdigte ausdrücklich den Beitrag der Kirche zu einem sozialen und menschlichen
Miteinander in der Stadt. „Heute, da in unseren Vorstädten Migranten ankommen,
die vor Krieg und Elend fliehen, und da es immer offensichtlicher wird, dass
nur eine Politik, die sich an den Grundsätzen der Brüderlichkeit und der
Zentralität der Person orientiert, diese ,abgrundtiefen Entfernungen‘ zwischen
den Menschen und den Stadtvierteln überbrücken kann, ist der Anreiz und der
Beitrag der Kirche noch wertvoller und fruchtbarer.“
Die
Präsenz des Heiligen Stuhles und das Lehramt des Papstes bereicherten Rom als
eine „Stadt der Solidarität“ und einen „Ort des Dialogs zwischen Menschen
verschiedener Religionen und Kulturen“, formulierte Gualtieri: „Wir wollen,
dass das Jubiläum der Hoffnung Rom nicht nur ein materielles Erbe hinterlässt,
sondern auch ein Erbe ethischer und sozialer Werte, das wir der Menschheit
anbieten können.“
Gruß
an römische Bürger
Bei
seinem Besuch trug sich Franziskus ins Goldene Buch der Stadt ein. Als
Geschenk überreichte der römische Bürgermeister Franziskus eine Silbermedaille
zur Erinnerung und eine Urkunde über die Einleitung einiger sozialer
Initiativen. Der Papst hinterließ unter anderem ein Mosaik mit der Darstellung
des Titusbogens sowie Ausgaben der Bulle zur Verkündigung des Heiligen Jahres
2025.
Von
der Loggia des „Palazzo Senatorio“ aus grüßte Papst Franziskus die auf dem
Vorplatz „Piazza del Campidoglio“ versammelten römischen Bürger und Mitarbeiter
der Stadt, darunter Vertreter des Zivilschutzes, der Müllentsorgung Ama und der
Gendarmerie, dankte ihnen und sprach ein „Ave Maria“.
Der
letzte Besuch des Papstes auf dem Kapitol liegt fünf Jahre zurück. Damals, am
26. März 2019, forderte Franziskus in einer Ansprache, Rom müsse - auch mit
Blick auf die Migranten – „eine Stadt der Brücken und nicht der Mauern“ sein.
-Last
Update 15:16 Uhr: Eintrag goldenes Buch - (vn/kna 11)
Deutscher EU-Bischof zur Wahl:
Kirche hat klaren Auftrag
Der
Essener Bischof Franz-Josef Overbeck ist Vorsitzender der Arbeitsgruppe Europa
der Deutschen Bischofskonferenz und Delegierter bei der EU-Bischofskommission
COMECE. Im Interview mit dem Kölner Domradio hat er sich am Dienstag zu den
Ergebnissen der EU-Wahl geäußert.
Wie
Bischof Overbeck betont: „Wir als Kirchen haben einen klaren Auftrag, der nicht
parteipolitisch gebunden ist." Es gehe der katholischen Kirche um
Rechtsstaatlichkeit, Demokratie und soziale Marktwirtschaft, sowie Freiheit.
Die Ergebnisse der Europawahl zeigen in Deutschland und anderen Ländern der EU
einen klaren Rechtsruck. Dazu zeigt sich der Essener Bischof Franz-Josef
Overbeck im Interview mit dem Domradio besorgt.
Domradio*: Was
bedeutet das Wahlergebnis der Europawahl konkret für die Kirchen?
Bischof
Franz-Josef Overbeck, Vorsitzender der Arbeitsgruppe Europa der Deutschen
Bischofskonferenz, Delegierter bei der EU-Bischofskommission COMECE und
Diözesanbischof des Bistums Essen: Wir als Kirchen haben einen klaren
Auftrag, der nicht parteipolitisch gebunden ist. Es geht uns um
Rechtsstaatlichkeit, Demokratie und soziale Marktwirtschaft, weil es uns um
Freiheit geht. Dafür müssen wir streiten. Dafür müssen wir die besseren
Argumente vortragen.
So
verstehe ich unseren Einsatz als Kirche, beziehungsweise ich glaube, dass ich
in diesem Zusammenhang auch ökumenisch sagen kann, als Kirchen in unserer
Gesellschaft. Das ist unser Auftrag auf der sozialethischen Ebene, den wir
wahrzunehmen haben, weil es uns um das Wohl aller Menschen geht.
Domradio: Wird
sich als Reaktion auf die Wahl an Ihrer Arbeit etwas ändern?
Overbeck: Wir
sind immer wachsam in Bezug auf Entwicklungen, bei denen wir den Blick auf den
Frieden haben müssen, weil wir die prophetisch kritische Stimme der Kirche
nicht vergessen werden.
Aber
wenn ein Land angegriffen wird und dieses ein Recht auf Selbstverteidigung hat,
müssen wir auch wissen, dass bei aller Friedfertigkeit, die normalerweise zur
Erreichung dieses Zieles angeraten ist, leider Gottes dann auch Gewalt ein
mögliches Mittel ist, aber nur wenn kein anderes Mittel dem Ziel eines Friedens
nützt. Das ist etwas anderes, als wenn ich Gewalt aus anderen Gründen ausübe.
In
einem solchen Konflikt, aber auch in einem solchen Dilemma, stehen momentan
alle in Europa, die diesen schrecklichen Angriffskrieg der Russen gegen die
Ukraine mitverfolgen.
Domradio: Wir
dürfen die „EU nicht denen überlassen, die sie abschaffen wollen" haben
Sie noch kurz vor der Wahl gesagt. Die größten Gewinne haben europakritische
und rechtspopulistische Kräfte erzielt. Haben die Wähler nicht auf Sie gehört?
„Mir
scheint bedeutsam zu sein, dass wir uns im Blick auf Rechtsstaatlichkeit und
Demokratie kräftiger und intensiver engagieren müssen“
Overbeck: Zumindest
im Blick auf das deutsche Ergebnis, kann davon nicht die Rede sein. Wenn wir
die europafreundlichen Parteien zusammennehmen, kommen wir auf über
60 Prozent. Das heißt nicht, dass die wachsende Zahl der Unterstützer
europakritischer bis europafeindlicher Parteien nicht alle besorgen muss. Mir
scheint bedeutsam zu sein, dass wir uns im Blick auf Rechtsstaatlichkeit und
Demokratie kräftiger und intensiver engagieren müssen.
Domradio: In
Deutschland haben die Bischöfe vor der Wahl ganz klar Position gegen die AfD
bezogen. Trotzdem hat die Partei hinzugewonnen, vor allem bei jungen Leuten
unter 25 Jahren. Was heißt das für unseren gesellschaftlichen Zusammenhalt in
Deutschland, wenn sich trotz aller Skandale selbst junge Menschen den
Rechtspopulisten zuwenden?
Overbeck: Ich
habe in den letzten Tagen in vielen Gesprächen immer wieder gehört, dass in
Deutschland etwas verloren gegangen sei. Gemeint waren das Gefühl und das
Wissen von Sicherheit. Dies scheint mir auch für viele jüngere Menschen zu
passen. Von daher ist es verständlich, dass Menschen, die sich unsicher fühlen,
schneller Parteien wählen, die zumindest vorläufig für Sicherheit plädieren
beziehungsweise sie versprechen. Auch wenn das nur kräftige Parolen sind.
Domradio: Die
Wahlbeteiligung ist gerade in Deutschland äußerst hoch ausgefallen. Ist das die
einzige gute Nachricht des gestrigen Tages?
Overbeck: Als
ich das gestern Abend hörte, habe ich mich gefreut und habe mir gedachte, dass
wir doch demokratiefähig bleiben.
Domradio: Sie
sitzen als deutscher Vertreter in der EU-Bischofskommission COMECE. Dort
sprechen sie mit Vertretern aus Österreich und den Niederlanden, wo rechte
Kräfte eine Mehrheit bei der Wahl erzielt haben. Wie gehen Sie damit um?
Overbeck: Wir
haben im Laufe der letzten Jahre einige Erfahrungen mit solchen
Wählerwanderungen erleben müssen. Zum Beispiel, wenn Sie sich die
entsprechenden Ergebnisse nationaler Wahlen in Osteuropa anschauen. Im
Angesicht dessen, ist es mir wichtig ein Demokrat zu bleiben und mit dem
besseren Argument zu kämpfen.
„Möchte
mit den besseren Argumenten herausfordern, damit wir die Perspektiven
freilegen, um die es bei Europa geht. Es geht nämlich um eine soziale
Marktwirtschaft und um einen großen Raum von Freiheit“
Ich
möchte mit den besseren Argumenten herausfordern, damit wir die Perspektiven
freilegen, um die es bei Europa geht. Es geht nämlich um eine soziale Marktwirtschaft
und um einen großen Raum von Freiheit. Freiheiten, die es in einer solchen
Konstellation auch im politischen Sinne auf der Welt kaum gibt.
Außerdem
müssen wir gleichzeitig die großen Vorteile der europäischen Verbundenheit für
die nationalen Gesellschaften und Wirtschaften klar machen.
*Das
Interview führte Tim Helssen für das Domradio (dr 11)
EU-Wahl: Bischofskommission COMECE
ordnet die Ergebnisse ein
Aus
der EU-Wahl vom 6. bis 9. Juni geht ein stärker rechtsgerichtetes Europäisches
Parlament hervor. Die politische Mitte konnte eine Mehrheit halten, Liberale
und Grüne büßten viele Stimmen ein. Welche Lehren zieht daraus die Kommission
der Bischofskonferenzen der Europäischen Union? Vatican News sprach mit
COMECE-Vizepräsident Antoine Hérouard. Xavier Sartre und Anne Preckel –
Vatikanstadt
Die
Kommission der Bischofskonferenzen der Europäischen Union (COMECE) hatte sich
vor der Europawahl klar für pro-europäische Parteien ausgesprochen und die
Bürger dazu aufgerufen, mit ihrer Wahl Demokratie, Frieden und Zusammenhalt in
Europa zu stärken.
Wahlbeteiligung
zeige Desinteresse
In
ihrer Analyse der Europawahl hob die COMECE am Montag in Brüssel die geringe
Wahlbeteiligung von etwas über 50 Prozent hervor. Sie deute auf anhaltendes
Desinteresse der Bürger hin und sei „immer noch nicht ausreichend“. Zwar sei
die Mehrheit der Wähler weiterhin pro-europäisch und wolle „mehr Europa“, in
Verbindung mit dem Erstarken nationalistischer und euroskeptischer Parteien
insbesondere in den EU-Gründungsländern zeuge die aktuelle Entwicklung aber von
einer „starken Unzufriedenheit mit der Leistung der EU“, urteilt die COMECE.
Politik
muss Bürgern Antworten geben
Die
Ergebnisse seien ein Appell an alle, insbesondere aber an die neu gewählten
Abgeordneten und die künftigen Kommissare, die gefühlte Kluft zwischen EU und
Bürgern zu verringern und zureichende Antworten auf die Sorgen der Menschen zu
geben, so die Bischöfe.
Mit
Blick auf die Wahlergebnisse wollte Vatican News vom COMECE-Vizepräsidenten
Antoine Hérouard zunächst wissen, was es mit dem Zuwachs der rechtsextremen
Parteien in mehreren europäischen Ländern auf sich hat.
Eine
Angst-Wahl?
Vatican
News: In vier Ländern - Frankreich, Italien, Belgien und Österreich - sind
rechte Parteien sogar an die Spitze gelangt. Wie lässt sich das erklären?
COMECE-Vizepräsident
Hérouard und Erzbischof von Dijon: Dies spiegelt ein gewisses Gefühl der Angst
wider, das die öffentliche Meinung in Europa teilt: Angst vor der Frage des
Krieges angesichts der Situation in der Ukraine, Angst vor wirtschaftlichen
Unsicherheiten, Angst vor einer Deklassierung, da Europa ein wenig an
Geschwindigkeit zu verlieren scheint. Es gibt auch die Suche nach einer
Identität.
Vielleicht
ist es auch eine Kritik an der derzeitigen Funktionsweise Europas, das bei
bestimmten Themen als zu technokratisch, zu weit entfernt und zu pingelig
erscheint. Es gibt auch Elemente der nationalen Politik in den verschiedenen
Ländern, die eine Rolle spielen. Man kann übrigens feststellen, dass dieser
Aufschwung der extremen Rechten nicht unbedingt überall zutrifft. In einigen
nordischen Ländern beispielsweise gibt es im Gegenteil einen Aufschwung der
Grünen und der Linken, weil die Rechtsextremen dort bereits in Koalitionen an
der Macht sind.
Letztendlich
ist es in vielen Ländern auch eine Stimme der Unzufriedenheit mit den
amtierenden Regierungen.
Signale
der Unzufriedenheit
Vatican
News: Die bisherige Koalition, die die von der Leyen-Kommission unterstützte,
behält ihre Mehrheit. Muss sie jedoch die Rechtsentwicklung im Parlament
berücksichtigen?
Hérouard:
Man muss den Appell der Wähler berücksichtigen, denn sie wollten ein Zeichen
setzen, indem sie eine Reihe kritischer Stimmen abgegeben haben. Das bedeutet
jedoch nicht unbedingt, dass man sich der Logik einer Reihe von Parteien
anschließen muss, die als rechtsextrem oder populistisch eingestuft werden.
Es
bedeutet auch, dass die Unzufriedenheit, die durch die Wahl zum Ausdruck kam,
bei der Ausübung der Mehrheit, die durch die Wahl der Hauptverantwortlichen zum
Ausdruck kommt, berücksichtigt werden muss.
Skepsis
gegenüber ökologischem Wandel
Vatican
News: Eine der wichtigsten Tatsachen dieser Wahlen ist der Rückgang der Umweltparteien.
Ist dies ein Signal dafür, dass wir einen neuen Ansatz zur Bewältigung von
Umweltproblemen brauchen?
Hérouard:
Es ist der Ausdruck einer Reihe von Befürchtungen. Man sieht, dass der
ökologische Wandel und die damit verbundenen Veränderungen für viele Menschen
bedeuten, dass sie Dinge nicht mehr tun können, die teuer oder schwieriger
werden. Es gibt eine Art Reaktion gegen eine Ökologie, die zu restriktiv oder
strafend erscheint, wie manche sagen. Dies zeigte sich auch in diesem Winter
bei der Bewegung der Landwirte, die sich durch ganz Europa zog und sich mit
Umweltstandards befasste, die die Situation der Landwirte zu gefährden schienen
und vor allem den Wettbewerb auf internationaler Ebene verzerrten.
Die
ökologische Dringlichkeit bleibt jedoch bestehen. Es geht nicht darum, zu sagen
„wir hören auf“, denn der Klimawandel und seine Folgen sind sehr präsent und
manchmal sehr katastrophal in der Welt, aber auch in Europa.
Folgen
der „Entchristlichung“
Vatican
News: Glauben Sie, dass das neue Parlament die Werte, die die katholische
Kirche vertritt, respektieren wird?
Hérouard:
Die europäischen Werte, die von der Kirche gefördert werden, beziehen sich auf
ein bestimmtes Verständnis der menschlichen Person und des Lebens in der
Gesellschaft. Es geht auch um die Frage der Demokratie und der
Rechtsstaatlichkeit. Es handelt sich also um Werte, die sehr vielfältig und
breit gefächert sind. Und Papst Franziskus hat sich in seinen zahlreichen Reden
rund um den Aufbau Europas oft darauf bezogen.
Man
sieht auch, dass Europa ein Kontinent ist, der von einer ziemlich starken
Entchristlichung geprägt ist, was nicht neu ist, sich aber schon im scheidenden
Parlament in der Suche nach dem, was manche als neue Menschenrechte bezeichnen,
gezeigt hat. Diese ist eher als Multiplizierung individueller Rechte zu
verstehen, ohne Berücksichtigung der notwendigen Elemente der Solidarität
innerhalb der Gesellschaft.
Die
Kirche muss also immer daran erinnern, dass die individuellen Freiheiten nicht
grenzenlos sind und dass wir auch Pflichten füreinander haben, um eine
Gesellschaft und ein Europa aufzubauen, das solidarisch ist und in denen es
einen echten Platz für die Kleinsten, die Schwächsten und diejenigen gibt, die
sich in Schwierigkeiten jeglicher Art befinden. Dies betrifft sowohl Fragen des
Lebensanfangs bis zum Lebensende, es betrifft Fragen der Arbeitsbedingungen,
der Prekarität als auch der internationalen Hilfe und der Entwicklung der
ärmsten Länder.
Dies
berührt sowohl Fragen des Lebens vom Anfang bis zum Ende, Fragen der
Arbeitsbedingungen, Fragen der Armut als auch Fragen der internationalen Hilfe
und der Entwicklung der ärmsten Länder.
Das
Interview mit Bischof Hérouard führte Xavier Sartre, Vatican News. (vn 11)
Anfangskapitel der Bibel in
Leichter Sprache online
Das
Katholische Bibelwerk in Deutschland hat erstmals Texte des Alten Testaments in
Leichter Sprache veröffentlicht. Die ersten drei Kapitel aus dem Buch Genesis
wurden übertragen und online gestellt. Auch die zentralen Teile der vier
Evangelien gibt es schon in Leichter Sprache. Diese soll Menschen mit
Lernschwierigkeiten, geistigen Behinderungen oder anderen Einschränkungen ein
besseres Textverständnis ermöglichen. Für die Übertragung gibt es festgelegte
Regeln.
In
den kommenden drei Jahren sollen weitere ausgewählte Texte folgen, sagte ein
Mitglied der Projektgruppe, der Nürnberger Theologe und Bibelwissenschaftler
Claudio Ettl, der Katholischen Nachrichten-Agentur (KNA) am Dienstag. Für
die Übertragung gibt es festgelegte Kriterien, zum Beispiel kurze Hauptsätze
und keine Vergleiche. Auch Fremdwörter werden weggelassen oder erklärt: So wird
aus einem Propheten etwa ein Mensch, der in seinem Herzen mit Gott redet und
den anderen Menschen erzählt, was Gott gesagt hat.
Hintergrund
Die
Bibel in Leichter Sprache ist ein gemeinsames Projekt des Katholischen
Bibelwerks in Stuttgart, des Caritas-Pirckheimer-Hauses in Nürnberg und der
Franziskanerinnen von Thuine. Seit 2013 werden gemeinsam Bibeltexte in Leichte
Sprache übertragen. Dabei sind neben Fachleuten aus Theologie und
Behindertenseelsorge auch Menschen mit Lernschwierigkeiten oder geistigen
Behinderungen selbst beteiligt. Sie überprüfen die Übertragungen auf ihre
Verständlichkeit.
Die
Evangelien in Leichter Sprache sind mittlerweile nicht nur im Internet, sondern
auch als Buch erschienen. (kap/kna 11)
„Demokratie braucht die Kirchen“
„Die christlichen
Kirchen sind von großer Bedeutung für die Zukunft der Demokratie.“ Das
sagt der frühere Präsident des Europa-Parlaments, Hans-Gert Pöttering.
„Demokratie
braucht Demokraten“, so der CDU-Politiker in einem Interview mit der
katholischen Zeitung „Tagespost“. „Wissenschaftliche Untersuchungen bestätigen,
dass religionsgebundene Menschen sich überproportional auch in der Gesellschaft
engagieren.“
Zwar
seien christliche Kirchen „nicht frei von Fehlern“, so Pöttering in dem an
diesem Samstag veröffentlichten Interview. Doch seien sie „besonders resistent
gegen autoritäre und totalitäre Systeme“, weil sie den Menschen in den
Mittelpunkt stellten.
Der
wichtigste Satz im Neuen Testament
Pöttering
forderte eine Rückbesinnung auf die Grundsätze Europas. Im Grundgesetz wie in
der EU-Charta der Grundrechte heiße es gleichlautend: „Die Würde des Menschen
ist unantastbar“. Der Politiker wörtlich: „Ohne das Christentum würde es diese
Formulierungen nicht geben. Sie sind kein abstraktes Prinzip, sondern – auch
angesichts des verbrecherischen Krieges Russlands gegen den Freiheitswillen der
Menschen in der Ukraine – Auftrag für politisches Handeln, diese Würde zu
verteidigen.“
Als
den für ihn wichtigsten Satz des Neuen Testaments markierte Pöttering das
Jesuswort „Du sollst deinen Nächsten lieben wie dich selbst“. „Dieser Anspruch
ist schwer zu erfüllen, aber er beinhaltet unendlich vieles: das Bemühen um
Mitmenschlichkeit, Versöhnung, Solidarität, Toleranz, ja Frieden und Freiheit.“
(tagespost
online 9)
Vatikan: Kritische Anfragen an
israelische Regierung
Der
vatikanische „Außenminister“, Erzbischof Paul Richard Gallagher, hat an einer
Feier zum Unabhängigkeitstag des Staates Israel in Rom teilgenommen.
In
seiner Rede bei der Feier im Jüdischen Museum in Rom drückte Gallagher seine
Hoffnung auf einen baldigen Frieden im Nahen Osten aus. Er verurteilte den
Terroranschlag der Hamas auf Südisrael vom 7. Oktober und forderte eine baldige
Freilassung aller israelischen Geiseln. Zwischen dem Vatikan und der
israelischen Regierung ist es angesichts des Gazakrieges in den letzten Monaten
mehrfach zu Verstimmungen gekommen.
Angesichts
der „heftigen militärischen Reaktion Israels im Gazastreifen“ erklärte
Gallagher, der Heilige Stuhl halte zwar an den Grundsätzen der Neutralität
festhält, könne aber in Konflikten nicht „moralisch gleichgültig“ bleiben. Der
Vatikan versuche durchaus, „die Beweggründe und Perspektiven aller zu
verstehen“. Doch dürfe „das Grundprinzip der Menschlichkeit niemals aufgegeben
oder durch militärische Strategien in den Hintergrund gedrängt werden“.
Anprangerung
von jüdischem Extremismus und Antisemitismus
Der
Kurienerzbischof machte sich auch einige Sorgen der katholischen Gemeinschaften
in Israel zu eigen, die „von der zunehmend aggressiven Haltung einiger
Behörden“ sprächen und von der Notwendigkeit einer „stärkeren Zusammenarbeit
bei der Anprangerung und Verhinderung der abscheulichen antichristlichen Taten
durch jüdische Extremisten“. Zugleich verurteilte Gallagher Antisemitismus „in
allen seinen Ausprägungen“. (vn 9)
Der
Vorsitzende der Migrationskommission der Deutschen Bischofskonferenz und
Sonderbeauftragte für Flüchtlingsfragen, Erzbischof Dr. Stefan Heße (Hamburg),
hat gestern Abend (8. Juni 2024) seine einwöchige Solidaritätsreise zu
Geflüchteten in Kenia beendet. „Auf meiner Reise konnte ich mit zahlreichen
Schutzsuchenden aus Ostafrika ins Gespräch kommen: Menschen aus dem Südsudan,
Somalia und der Demokratischen Republik Kongo, aus Burundi, Uganda und Ruanda.
Sie berichteten von gewaltsamen Konflikten und schweren
Menschenrechtsverletzungen in ihren Heimatländern. Allein in Kenia leben
aktuell rund 800.000 Flüchtlinge. Die Herausforderungen sind groß, aber es gibt
auch eine enorme Hilfsbereitschaft“, so Erzbischof Heße.
In
der kenianischen Hauptstadt Nairobi erörterte er mit dem Botschafter der
Bundesrepublik Deutschland, Sebastian Groth, mit Vertreterinnen des Hohen
Flüchtlingskommissariats der Vereinten Nationen (UNHCR) sowie mit
Ansprechpartnern der kenianischen Zivilgesellschaft und deutscher politischer
Stiftungen Probleme und Lösungsansätze im Bereich des Flüchtlingsschutzes. Im
Fokus standen dabei der Rückgang internationaler Hilfsleistungen und die
Kürzung der Lebensmittelrationen auf weniger als die Hälfte, Hürden beim Zugang
zu Bildung und Arbeit sowie Spannungen zwischen Geflüchteten und der
Aufnahmegesellschaft. Ebenfalls diskutiert wurden aktuelle Bemühungen der
kenianischen Regierung, die Flüchtlingslager zu regulären Siedlungen
weiterzuentwickeln und langfristige Integrationsperspektiven zu schaffen.
Bei
Begegnungen mit dem Erzbischof von Nairobi, Erzbischof Philip Subira Anyolo,
dem kenianischen Migrationsbischof, Bischof Henry Juma Odonya, und
Caritas-Mitarbeitern bekam Erzbischof Heße einen Einblick in die Arbeit der
Ortskirche: „Die katholische Kirche übernimmt in Kenia eine wichtige Rolle bei
der Aufnahme und Integration von Geflüchteten. Gemeinsam mit internationalen
Partnern setzt sie sich dafür ein, dass die Bedürfnisse von Geflüchteten
gesehen werden, und sie in Würde leben können. Im wirtschaftlich
benachteiligten Stadtteil Githurai erzählten mir sowohl Flüchtlinge als auch
Einheimische, dass die kirchliche Unterstützung für sie überlebensnotwendig
ist. Ähnliches wurde mir auch im Kangemi-Slum geschildert. Ich bin dankbar für
die Lebensgeschichten, die die Menschen mit mir geteilt haben, und für die
vielen kirchlichen Hilfsinitiativen.“
In
Gesprächen mit dem Apostolischen Nuntius in Kenia und im Südsudan, Erzbischof
Hubertus Matheus Maria van Megen, und einem Vertreter der Vereinigung der ostafrikanischen
Bischofskonferenzen (AMECEA) informierte sich der Sonderbeauftragte zudem über
die angespannte Lage in der Region. „Die in Europa geführten Diskussionen, den
Flüchtlingsschutz noch stärker als bisher in den Globalen Süden auszulagern,
wirken hier vor Ort besonders befremdlich. In ganz Ostafrika leben über fünf
Millionen Flüchtlinge, hinzu kommen 18 Millionen Binnenvertriebene. Wir
dürfen die Verantwortung für den Flüchtlingsschutz nicht auf Länder abschieben,
die ohnehin schon stark belastet sind. Fluchtbewegungen fordern uns global
heraus. Gerade deshalb brauchen wir auch globale Lösungen“, stellte Erzbischof
Heße fest.
Eine
weitere Station der Reise war das Turkana County im Nordwesten Kenias, eine von
Trockenheit und Dürre geprägte Gegend, in der sich das Flüchtlingslager Kakuma
befindet. „Das Leben in Turkana ist von bitterer Armut und ökologischen
Widrigkeiten gezeichnet. Es ist für die Flüchtlingshilfe hier von großer
Bedeutung, die harte Lebenswirklichkeit der Menschen im Blick zu behalten und
auch die lokale Bevölkerung zu unterstützen“, betonte Erzbischof Heße. Aktuell
haben allein in Kakuma etwa 300.000 Schutzsuchende Zuflucht gefunden. Im
Flüchtlingslager konnte die Delegation verschiedene Projekte des
Jesuiten-Flüchtlingsdienstes (JRS) und der Salesianer Don Boscos besuchen: „Es
erfüllt mich mit Dankbarkeit und Demut, dass die Menschen, mit denen ich
gesprochen habe, trotz aller leidvollen Erfahrungen den Lebensmut nicht
verloren haben. Inmitten der Not habe ich Inseln der Hoffnung gesehen: eine
Bildungs- und Hilfseinrichtung für behinderte Kinder, einen ‚sicheren Hafen‘
für Opfer sexueller Gewalt, eine mit einfachsten Mitteln aufgebaute Schule, in
der mit Begeisterung unterrichtet und gelernt wird. In Zusammenarbeit mit dem
UNHCR und weiteren Stellen leisten die kirchlichen Organisationen einen
entscheidenden Beitrag dazu, dass Wunden allmählich heilen und Menschen einen
Neufanfang wagen können.“
Zusammen
mit dem Generalvikar des Bistums Lodwar, das die Turkana-Region umfasst,
besuchte Erzbischof Heße auch ein provisorisches Lager für Binnenvertriebene:
„Eine Frau erzählte mir, dass sie in den vergangenen Jahren mehrmals ihr
Zuhause verloren hat. Extreme Dürreperioden und Überschwemmungen wechseln sich
in einer bis vor Kurzem ungekannten Intensität ab. Die Menschen in dieser
Region werden um ihre natürlichen Lebensgrundlagen gebracht, die Auswirkungen
des Klimawandels sind mit Händen greifbar.“
Sowohl
in Nairobi als auch in Lodwar hatte Erzbischof Heße die Gelegenheit, sich mit
Stipendiaten und Absolventen des Katholischen Akademischen Ausländer-Dienstes
(KAAD) auszutauschen. Themen waren dabei die Situation somalischer Flüchtlinge,
geschlechtsspezifische Gewalt gegen Geflüchtete, klimainduzierte Migration
sowie Ansätze einer nachhaltigen Landwirtschaft angesichts des Klimawandels,
die Friedensarbeit zwischen verfeindeten ethnischen Gruppen und Good Governance
auf regionaler Ebene. „Das vielfältige Engagement der KAAD-Stipendiaten in
Kenia hat mich beeindruckt. Motiviert durch ihren Glauben setzen sie sich mit
akademischem Sachverstand und praktischer Expertise für gesellschaftliche
Verbesserungen ein. Sie sind wirklich Salz der Erde“, so der Sonderbeauftragte.
Während
seiner Reise feierte Erzbischof Heße mehrere Gottesdienste mit Gläubigen aus
Kenia und weiteren ostafrikanischen Ländern: „Besonders bewegend war für mich
der Gottesdienst, den ich mit Hunderten von Schutzsuchenden im Lager Kakuma
feiern durfte. Viele der Menschen, denen ich begegnet bin, haben alles hinter
sich gelassen und auf der Flucht traumatische Erfahrungen gemacht. Von dieser
Last war in den Gottesdiensten nichts zu spüren. Die ansteckende Freude, mit
der die Menschen gesungen, getanzt, gebetet und gefeiert haben, nehme ich mit
nach Hause. Gleichzeitig verbindet sich mit dieser Erfahrung auch ein klarer
Appell: Verschließen wir nicht die Augen vor der Not der Schutzsuchenden in
Ostafrika! Die Menschen haben Anspruch auf unsere Solidarität und
Unterstützung!“
Hinweise:
Informationen zur Reise sind unter www.fluechtlingshilfe-katholische-kirche.de
unter Reise nach Kenia verfügbar. Dbk 9
Kirche ist wie ein Chor, in dem man
alle Stimmen braucht
Franziskus
hat an diesem Samstag die Teilnehmer des 4. Internationalen Chortreffens im
Vatikan in Audienz empfangen. „Der Erfolg der Leistung aller hängt vom
Engagement jedes Einzelnen ab, von der Tatsache, dass jeder das Beste in seiner
Rolle beiträgt, indem er die anderen respektiert und ihnen zuhört, ohne in den
Vordergrund rücken zu wollen, sondern in Harmonie“, so der Papst. Mario Galgano
- Vatikanstadt
Pfarr-
und Diözesanchöre, scholæ cantorum, Musikkapellen, Dirigenten und Musiker: Das
war das bunte Mosaik der Teilnehmer des 4. Internationalen Chortreffens, das
Franziskus im Vatikan empfing. In seiner Ansprache an die singenden Gäste,
unter denen sich auch junge Sänger befanden, sagte der Papst, dass „die
Spontaneität der Kinder schöner klingt als die besten Reden“. „Wir müssen uns
um die Kinder kümmern“, sagte er, „denn sie sind die Zukunft, die Hoffnung,
aber auch das Zeugnis von Spontaneität, Unschuld und Verheißung.“
Zum
Nachhören - was der Papst bei der Audienz sagte
Während
der Audienz dankte der Papst dann dem Chordirigenten Marco Frisina und der
Vereinigung „Nova Opera“ für die Förderung dieser Initiative und Treffen im
Vatikan, die nun schon zum vierten Mal stattfindet, vierzig Jahre nach der
Gründung des Chores der Diözese Rom. Auf dem Programm dieser Veranstaltung, die
an diesem Sonntag endet, steht ein großes Konzert am Samstagnachmittag in der
vatikanischen Audienzhalle auf dem Programm.
Harmonie
Während
des Treffens erinnerte Franziskus an drei wesentlichen Aspekte - Harmonie,
Gemeinschaft und Freude - dieses vom Glauben und der musikalischen Leidenschaft
getragenen Dienstes des Chorsängers und der Chorsängerin. Und er betonte, dass
„die Musik Harmonie schafft, indem sie alle erreicht, die Leidenden tröstet,
die Entmutigten wieder begeistert und wunderbare Werte wie Schönheit und
Poesie, die das harmonische Licht Gottes widerspiegeln, in allen Menschen
aufblühen lässt“. Die Kunst der Musik, fügte der Papst hinzu, habe „eine universelle
und unmittelbare Sprache, die weder Übersetzungen noch viele begriffliche
Erklärungen braucht“. Und dann fügte er an:
„Einfache
und gelehrte Menschen können die Musik schätzen, indem sie den einen oder
anderen Aspekt mit mehr oder weniger Tiefe erfassen, aber alle schöpfen aus
demselben Reichtum. Darüber hinaus erzieht die Musik den Menschen zum Zuhören,
zur Aufmerksamkeit und zum Studium, indem sie seine Emotionen, Gefühle und
Gedanken erhebt, ihn aus dem Strudel der Eile, des Lärms und einer rein materiellen
Sicht des Lebens herausführt und ihm hilft, sich selbst und die ihn umgebende
Wirklichkeit besser zu betrachten. Sie verleiht denjenigen, die sie
kultivieren, einen weisen und ruhigen Blick, mit dem sich Trennungen und
Gegensätze leichter überwinden lassen, um - wie die Instrumente eines
Orchesters oder die Stimmen eines Chors - im Einklang zu sein, auf
Verstimmungen zu achten und Dissonanzen zu korrigieren, die auch für die
Dynamik von Kompositionen nützlich sind, sofern sie in ein geschicktes harmonisches
Gefüge eingebunden sind.“
Kommunion
In
Bezug auf einen weiteren wesentlichen Aspekt, nämlich den der Gemeinschaft,
erinnerte der Papst daran, dass „der Chorgesang nicht allein, sondern gemeinsam
erfolgt“. „Und auch das“, betonte er, „spricht zu uns über die Kirche und die
Welt, in der wir leben“. „Das gemeinsame Gehen“, so fuhr er fort, „kann wie die
Aufführung eines großen Konzerts dargestellt werden“: Jeder nehme „mit seinen
Fähigkeiten teil und leistet seinen Beitrag, indem er seinen ‚Part‘ spielt oder
singt und so seine eigene Einzigartigkeit wiederentdeckt, die durch die
Symphonie der Gemeinschaft bereichert wird“. Weiter sagte er:
„In
einem Chor und einem Orchester braucht jeder den anderen, und das Gelingen der
Darbietung aller hängt vom Engagement aller ab, davon, dass jeder das Beste aus
seiner Rolle macht, indem er seine Mitmenschen respektiert und ihnen zuhört,
ohne Protagonismus, in Harmonie. So wie in der Kirche und im Leben, wo jeder
aufgerufen ist, seinen Teil zum Wohl der ganzen Gemeinschaft beizutragen, damit
aus der ganzen Welt ein Loblied auf Gott erschallt.“
Freude
Franziskus
forderte die Teilnehmer des 4. Internationalen Chortreffens im Vatikan auf,
nicht zuzulassen, dass die Mentalität der Welt den Schatz „der Kunst, der
Schönheit und der Spiritualität“, dessen Hüter sie sind, mit „Interesse,
Ehrgeiz, Eifersucht und Spaltungen“ verunreinigt. Dann sagte er:
„Es
wird euch stattdessen gut tun, den geistlichen Grundton eurer Berufung hoch zu
halten: mit Gebet und Meditation über das Wort Gottes, indem ihr nicht nur mit
eurer Stimme, sondern auch mit eurem Verstand und eurem Herzen an den Liturgien
teilnehmt, die ihr belebt, und deren Inhalt Tag für Tag mit Begeisterung lebt,
damit eure Musik immer mehr eine glückliche Erhebung des Herzens zu Gott wird,
der mit seiner Liebe alles anzieht, erleuchtet und verwandelt (vgl. 1 Kor
13,1-13). Auf diese Weise werdet ihr die Aufforderung des heiligen Augustinus
verwirklichen: ´Lasst uns den Herrn mit unserem Leben und mit unserer Zunge,
mit unserem Herzen und mit unseren Lippen, mit unserer Stimme und mit unserem
Verhalten preisen´.“
Abschließend
bedankte sich der Papst für „den Dienst am Gebet der Kirche und an der
Evangelisierung“. (vn 8)
„Wir widersprechen, weil wir
glauben“
Am
Sonntag wird in Europa gewählt. In einer Zeit, in der rechte Parteien und
Parolen wieder Zuspruch finden, setzen Katholik:innen im Bistum Essen ein
Zeichen gegen Rechtsextremismus und Rechtspopulismus: „Wir widersprechen, weil
wir glauben“. Ein gutes Beispiel, das zeigt, dass wir uns - aus den
christlichen Werten heraus – gemeinsam gegen rechts wenden müssen. von
Christian Schnaubelt
Wörtlich
heißt es in dem Beschluss, der im Vorfeld der Europawahl am 09. Juni getroffen
wurde:
„Als
Christ:innen sehen wir es als unsere Verpflichtung an, uns für eine Welt
einzusetzen, in der alle Menschen sicher und ohne Angst leben können. Wir
nehmen mit immer größerer Sorge wahr, dass radikales Denken in der Bevölkerung
stetig an Zuwachs gewinnt und der Hass in der Gesellschaft immer weiterwächst.
Gleichzeitig sehen wir aber auch, dass weite Teile der Bevölkerung sich diesem
Hass entgegen-stellen und deutlich machen, dass völkischer Nationalismus und
Rechtspopulismus in unserer Gesellschaft keinen Platz haben. Auch wir wollen
deutlich machen, dass wir uns dem Hass nicht beugen und unsere christlichen
Werte aktiv leben.“
„AfD
ist für uns nicht wählbar!“
„Das
Engagieren in und das Wählen von Parteien, die einen völkischen Nationalismus vertreten,
ist mit einem christlichen Gottes- und Menschenbild unvereinbar. Weiterhin ist
das Verbreiten von menschenfeindlichen Inhalten in einem haupt- oder
ehrenamtlichen Dienst in der Kirche ebenfalls unvereinbar. Dies bedeutet
explizit, dass die AfD für uns nicht wählbar ist.“ Gleichzeitig beinhaltet die
Resolution auch einen Appell an die Kirchenmitglieder im Bistum Es-sen: „Wir
appellieren an alle Menschen, die sich in unserer Kirche engagieren, sich für
ein menschenbejahendes Weltbild stark zu machen und in ihrer Arbeit darauf zu
achten, dass auch unser Schaffen in der Kirche zu einem solchen Weltbild
beiträgt.“
Die
vom Diözesanrates der katholischen Frauen und Männer im Bistum Essen erstelle
Resolution und kann auf der Website www.dioezesanrat-essen.de im Wortlaut
nachgelesen werden.
Bischöfe,
BDKJ und ZdK warnen vor der Wahl rechter Parteien
Bereits
Anfang des Jahres hatten sechs ostdeutsche Bischöfe vor der Wahl rechter
Parteien gewarnt, im Mai wendeten sich die katholischen Jugendverbände im Osten
ebenso gegen AfD und Rechtsextremismus, wie zuvor die Hauptversammlung 2024 des
BDKJ-Bundesverbandes, die in einem viel diskutierten Beschluss den Besuch der
„Sternsinger“ bei AfD-Amtsträgern ablehnte.
Die
Deutsche Bischofskonferenz (DBK) hatte bereits auf der
Frühjahrs-Vollversammlung die ab-lehnende Haltung der katholischen Kirche mit
ihrem viel beachteten Beschluss „Völkischer Natio-nalismus und Christentum sind
unvereinbar“ sehr klar dargelegt. Ebenso das Zentralkomitee der deutschen
Katholiken (ZdK), welches kirchliche Laien-Ämter für AfD-Mitglieder ablehnt.
Und
auch beim Katholikentag 2024, der erst letzten Sonntag in Erfurt zu Ende
gegangen ist, wurde von Lai:innen und Bischöfen gemeinsam ein klares Zeichen
gegen rechts gesetzt.
Fazit:
Völkischer Nationalismus und Rechtspopulismus dürfen in unserer Gesellschaft
keinen Platz haben. Die Resolution ‚Wir widersprechen, weil wir glauben“
verdeutlicht, dass Katho-lik:innen aus den christlichen Werten heraus gegen
rechts handeln. Und dabei sind sie zudem ökumenisch verbunden mit den
evangelischen Christ:innen. Und das ist gut so. Denn gerade die Geschichte
beider Kirchen verpflichtet zur Aussage „Nie wieder ist jetzt“!
Christian
Schnaubelt, Kath.de 7
Kardinal Woelki fordert ethische
Standards beim Einsatz von KI
Kardinal
Rainer Maria Woelki hat ethische Standards im Umgang mit Künstlicher
Intelligenz (KI) gefordert. So seien Menschenwürde und Verantwortung, Fairness
und Inklusion, Autonomie und Kontrolle, Transparenz, Erklärbarkeit, Sicherheit
und Datenschutz Voraussetzungen für den Einsatz von KI, erklärte der
Vorsitzende der Kommission für Wissenschaft und Kultur der Deutschen
Bischofskonferenz am Freitag in Bonn aus Anlass des fünften deutschlandweiten
Digitaltags.
Der
Aktionstag war 2019 von der Initiative „Digital für alle“ ins Leben gerufen
worden und soll bei verschiedenen Veranstaltungsformaten Digitalisierung
erlebbar machen. Heuer steht dabei das Thema KI im Fokus.
Der
Kölner Erzbischof Woelki forderte aus diesem Anlass eine breite öffentliche
Debatte über ethisch verantwortbare KI. Die katholische Kirche sei bereit für
einen konstruktiven Beitrag zu diesem Aushandlungsprozess: „Es ist notwendig,
dass wir das alles öffentlich diskutieren - damit der Einsatz von KI human
bleiben kann.“
Woelki
betonte, dass es in der Kirche ebenso wie in der Gesellschaft hohe Erwartungen
an die KI gebe. KI sei auch aus dem kirchlichen Wissenschafts- und
Hochschulsektor nicht mehr wegzudenken. „Künstliche Intelligenz kann uns beim
Denken, Schreiben und Kommunizieren mehr Zeit verschaffen, damit wir uns auf
das konzentrieren können, was uns als Menschen kein Computer je abnehmen kann:
die persönliche Begegnung, Werturteile fällen, Handlungsentscheidungen treffen,
Verantwortung übernehmen.“
Der
Kardinal formulierte mehrere Leitfragen für den Umgang mit KI in Wissenschaft
und Kultur: „Wie stellen wir sicher, dass die Grenzen zwischen humanoider
Technik und menschlicher Würde nicht verschwimmen? Wer achtet darauf, dass KI
niemals menschliche Begegnung ersetzt und auch keine moralischen Entscheidungen
trifft?“ KI müsse so genutzt werden, dass Menschen einbezogen und nicht aus
gesellschaftlichen Prozessen ausgeschlossen würden.
(pm/kna
7)
Herz-Verehrung hat eine lange
spirituelle Tradition
Das
Herz Jesu und das Herz Mariens stehen an diesem Freitag und Samstag besonders
im Zentrum. Warum gibt es diese besondere Spiritualität und warum ist der
Freitag sogar ein Hochfest? Unsere Kollegen vom Kölner Domradio haben mit dem
Theologen Manuel Schlögl darüber gesprochen. Er erklärt die Hintergründe.
DOMRADIO.DE:
An diesem Freitag ist das Hochfest Heiligstes Herz Jesu, im Kölner Dom ist die
Priesterweihe mit drei Priesteramtskandidaten, am Samstag ist der Gedenktag
„Unbeflecktes Herz Mariä“. Und ganz frisch hat Papst Franziskus für September
ein neues Dokument über die katholische Herz-Jesu-Verehrung und die Liebe von
Jesus Christus angekündigt.
Das
menschliche Herz wird heute vor allem medizinisch gesehen und doch sprechen wir
nach wie vor von „Herzensanliegen“ oder sagen beispielsweise: „Da hängt mein
Herz daran“. Warum begeht die Kirche am Freitag das Hochfest „Heiligstes Herz
Jesu“ und am Samstag den Gedenktag „Unbeflecktes Herz Mariä“?
Prof.
Dr. theol. Manuel Schlögl (Lehrstuhlinhaber Dogmatik und Ökumenischer Dialog an
der Kölner Hochschule für Katholische Theologie): Wie Sie sagen: das Herz ist
bis heute ein bedeutungsvolles Symbol in unserer Alltagswelt - man denke nur an
die vielen Schlösser in Herzform an der Hohenzollernbrücke, mit denen
Liebespaare ihre Gefühle zum Ausdruck gebracht haben.
In
der Bibel ist das Herz nicht nur der Sitz der Gefühle, sondern der Sitz des
Lebens überhaupt, die Personmitte - und damit auch ein Ort der Gottesbegegnung.
Gott kennt und prüft das Herz des Menschen, und er wendet uns sein Herz zu.
„In
Jesus Christus steht uns das Herz Gottes in einmaliger Weise offen.“
In
Jesus Christus steht uns das Herz Gottes in einmaliger Weise offen, in ihm wird
uns Gottes Liebe unwiderruflich zugesagt. Das Hochfest „Heiligstes Herz Jesu“
wurde erst 1856 in der katholischen Kirche eingeführt, aber es hat schon eine
lange Tradition, in der mittelalterlichen Mystik und in zahlreichen
Ordensgründungen zu Beginn der Neuzeit.
Geschichtlich
sehr eng verbunden damit ist der Gedenktag „Unbeflecktes Herz Mariä“ - hier
steht das Herz für die Haltung des Menschen Gott gegenüber, für das Vertrauen
und den Glauben, die es braucht, um Gott nahe zu kommen. Man könnte sagen: die
beiden Festtage stehen zueinander wie Ruf und Antwort, Schloss und Schlüssel.
DOMRADIO.DE:
Schauen wir auf die einzelnen Tage. Warum gibt es für das Herz Jesu sogar ein
Hochfest?
Schlögl:
Das Herz Jesu-Fest markiert die erfahrbare Seite des Christus-Glaubens der
Kirche, es ist Ausdruck einer spirituellen Christologie. Es gehört zu den
sogenannten „Herrenfesten", also Christus-Festen, und genießt im
Kirchenjahr als Hochfest eine besondere Verehrung.
„Die
Krise des Glaubens liegt in Deutschland auch daran, dass wir uns zu sehr mit
uns selbst beschäftigen und an innerkirchlichen Problemen abarbeiten, statt
wieder einmal die große Frage nach Gott zu stellen.“
Die
Krise des Glaubens liegt in Deutschland auch daran, dass wir uns zu sehr mit
uns selbst beschäftigen und an innerkirchlichen Problemen abarbeiten, statt
wieder einmal die große Frage nach Gott zu stellen. Dagegen weitet das
Herz-Jesu-Fest den Blick, indem es uns sagt: Gott hat sich uns in Jesus
Christus wirklich zugewandt und uns sein Gesicht gezeigt. Gut, dass es dieses Fest
gibt!
DOMRADIO.DE:
Die Herz Jesu-Verehrung hat den Karfreitag im Blick. Woher kommt die Verbindung
zum Herzen Mariens?
Schlögl:
Das ist richtig, das Herz-Jesu-Fest wurde im Mittelalter zunächst als Fest der
Heiligen Lanze oder der fünf Wunden Jesu gefeiert, es hat also einen starken
Bezug zur Passion. Das Johannesevangelium berichtet ausdrücklich von der
Öffnung des Herzens Jesu am Kreuz und sieht darin eine Prophetie aus dem Buch
Sacharja erfüllt: „Sie werden auf den schauen, den sie durchbohrt haben.“ Das
„Schauen“ bedeutet hier auch das Erkennen, dass uns der Gekreuzigte von Sünde
und Tod erlöst hat.
Im
Herzen Mariens ist sozusagen das erste „Echo“, die erste liebende Antwort auf
den Kreuzestod erfolgt, weil sie direkt unter dem Kreuz ihres Sohnes stand.
Durch ihr Mitleiden und Mitlieben nimmt sie teil am Erlösungsgeschehen, und
diese innere Größe verehrt die Kirche im Herzen Mariens.
DOMRADIO.DE:
Vor anderthalb Jahren hat Papst Franziskus die Welt und insbesondere Russland
und die Ukraine dem Unbefleckten Herzen Mariens geweiht. Warum hat er das
ausgerechnet in Bezug auf das Herz Mariens getan?
Schlögl:
Papst Franziskus hat sich mit der Marienweihe in eine Gebetstradition gestellt,
die schon Pius XII. und Johannes Paul II. im Blick auf Russland und die ganze
Welt praktiziert haben.
Die
Marienweihe ist einfach ein Akt besonderer Bitte in Zeiten der Not, im
Bewusstsein, dass unsere menschlichen Möglichkeiten sehr begrenzt, aber Gottes
Möglichkeiten unendlich sind. Maria reicht gewissermaßen unser Anliegen an Gott
weiter, ihre Haltung des bedingungslosen Vertrauens gilt es immer wieder
einzuüben, weil wir doch in einer Welt leben, die stark von dem geprägt ist,
was wir Menschen machen können. Wo wir an unsere Grenzen stoßen, reicht uns
Maria die Hand und hilft weiter. Diese Erfahrung wird bei einer Marienweihe
wieder lebendig.
„Die
Marienweihe ist einfach ein Akt besonderer Bitte in Zeiten der Not, im
Bewusstsein, dass unsere menschlichen Möglichkeiten sehr begrenzt, aber Gottes
Möglichkeiten unendlich sind.“
DOMRADIO.DE:
Die Frömmigkeit um das Herz Mariens oder das Herz Jesu erscheint heute
Gläubigen vielleicht etwas fremd. Wie kann man diese Frömmigkeitsform den
Menschen von heute nahe bringen?
Schlögl:
Von Blaise Pascal, dem genialen Philosophen und radikalen Christen am Beginn
der Neuzeit, stammt der wichtige Satz: „Das Herz hat seine Gründe, die die
Vernunft nicht versteht.“ Im französischen Original sind „Gründe“ und
„Vernunft“ dasselbe Wort.
Das
heißt, wenn wir auf unser Herz hören, erkennen wir manchmal mehr als mit der
bloßen Vernunft. In unserer so durchorganisierten, so zweckmäßig eingerichteten
Welt brauchen wir Menschen „Herz-Räume“, in denen wir uns einer inneren
Erfahrung öffnen, in denen spirituelles Leben sich entfalten kann. Das Gebet
der Herz Jesu-Litanei oder des Rosenkranzes in einem bestimmten Anliegen kann
dabei eine große Hilfe sein.
Insofern
erinnern uns die beiden Festtage an etwas, das wir nicht vergessen dürfen: dass
wir Menschen nicht nur Kopf und Verstand, sondern auch Herz und Liebe sind und
beides im christlichen Glauben zusammengehört.
„In
unserer so durchorganisierten, so zweckmäßig eingerichteten Welt brauchen wir
Menschen „Herz-Räume“, in denen wir uns einer inneren Erfahrung öffnen, in
denen spirituelles Leben sich entfalten kann.“
Das
Interview führte Mathias Peter. (domradio 7)
Bischof Feige, der Heilige Geist
und die Kosaken
Man
sollte in der Ökumene „nicht immer nur von den Defiziten her denken, was alles
noch nicht möglich ist oder was noch aussteht“. Dazu rät Bischof Gerhard Feige
von Magdeburg.
In
einem Interview, das er Radio Vatikan kürzlich beim Katholikentag in Erfurt
gab, erläuterte der deutsche Ökumene-Bischof, seit dem Konzil sei in
ökumenischer Hinsicht schon sehr viel erreicht worden. „Das ist schon so
selbstverständlich, dass wir das gar nicht mehr ins Bewusstsein nehmen.“ Druck
aus der Gesellschaft werde auch künftig zu weiteren Fortschritten führen. „Das
kann ja durchaus auch der Heilige Geist sein, der uns da drängt, stärker
zusammenzurücken…“
Interview
Herr
Bischof, was ist aus Ihrer Sicht im Moment der Stand der Ökumene in
Deutschland?
In
Deutschland sieht es eigentlich ganz gut aus, sowohl in den Beziehungen zu den
orthodoxen Kirchen, die es in Deutschland gibt, als auch zur evangelischen
Kirche. Da ist vielleicht ein Text von besonderer Bedeutung, den wir vor kurzem
erst herausgegeben haben von Seiten der Deutschen Bischofskonferenz und dem Rat
der EKD mit dem Titel ‚Mehr Sichtbarkeit in der Einheit und mehr Versöhnung in
der Verschiedenheit‘. Das ist wie eine in-via-Erklärung, wobei der Gedanke
dominiert: Einheit ist nicht nur etwas in der Zukunft. Die Vollendung steht
zwar noch aus, aber wir haben bereits in vielen Bereichen eine Einheit erreicht
– im Bereich der Verkündigung, im Bereich der Liturgie, im Bereich der
Diakonie. Und so werden die verschiedenen Beispiele aufgezählt, wo das schon
selbstverständlich ist und wo sich etwas entwickelt hat. Das Ganze sollte auch
ein Impuls sein und sollte Mut machen, auf diesem Weg weiterzugehen und nicht
immer nur von den Defiziten her zu denken, was alles noch nicht möglich ist
oder was noch aussteht.“
„Nicht
so sehr auf Eucharistiegemeinschaft fixieren“
Für
viele klingt natürlich dieser Verweis auf das schon Erreichte wie ein Pfeifen
im Wald angesichts des Defizits, dass es keine Eucharistiegemeinschaft gibt…
„Darauf
würde ich mich nicht so fixieren, sondern wir haben wirklich seit dem Zweiten
Vatikanischen Konzil (ich gehöre zur Generation, die da gerade jugendlich war
und voll mit eingestiegen ist) unheimlich viel erreicht. Vielleicht ist auch
noch interessant: Die jüngste Kirchenmitgliedschafts-Untersuchung hat ja auch
gezeigt, dass ein Großteil der Christen (evangelisch, katholisch, auch von den
Konfessionslosen) eher von uns erwartet, dass wir noch stärker gemeinsam
unterwegs sind, gerade auch angesichts der schwierigen gesellschaftlichen
Entwicklungen. Wenn wir uns dann noch gegenseitig bekämpfen oder eben nur
nebeneinander leben, dann ist das kein konstruktiver Beitrag für unsere
Gesellschaft. Also ich würde es positiver sehen, nicht nur als ein Pfeifen im
Wald.“
Bischof
Feige zum Stand der Ökumene - Radio Vatikan
„Zu
DDR-Zeiten, wo wir ja unter einem massiven Druck standen, da sind wir
tatsächlich zusammengerückt“
Manchmal
hört man das Argument: In 50 Jahren wird das sowieso kaum noch eine Rolle
spielen, ob katholisch oder evangelisch; da sind dann die Kirchen so
geschrumpft, dass das einfach nur noch Christen sind, und dann werden sich ganz
viele Probleme, die es jetzt gibt, gar nicht mehr stellen.
„Natürlich
– es gibt einen schönen Ausspruch, der lautet: ‚Wodurch kommen Reformen?
Entweder durch den Heiligen Geist oder durch die Kosaken!‘ Und meistens kommen
sie eben durch die Kosaken. Das heißt also: Wenn wir nicht feingeistig selber
uns um solche Dinge bemühen, dann werden wir unter Druck gesetzt durch andere
Kräfte; und das kann ja durchaus auch der Heilige Geist sein, der uns da
drängt, stärker zusammenzurücken. Man könnte auch sagen: Zu DDR-Zeiten, wo wir
ja auch unter einem massiven Druck standen, da sind wir auch tatsächlich
zusammengerückt, und das begann schon in den Konzentrationslagern zur Zeit des
Nationalsozialismus. Es ist also nicht immer nur theologisches Denken und
Arbeiten, das voranbringt, sondern auch so ein Druck, der aus der Gesellschaft
kommt oder aus der Zeit…“
(stefan v. kempis, vn 7)
Kardinal
Rainer Maria Woelki (Köln), Vorsitzender der Kommission für Wissenschaft und
Kultur der Deutschen Bischofskonferenz, hat zum Einsatz von Künstlicher
Intelligenz (KI) in Wissenschaft und Kultur Stellung genommen. In seiner
heutigen (7. Juni 2024) Wortmeldung zum 5. bundesweiten Digitaltag äußert
er sich insbesondere zu den „wertebasierten Qualitätsanforderungen an die KI“
und lädt zu einem breiten öffentlichen Diskurs dazu ein. Der 2019 von der
Initiative „Digital für alle“ ins Leben gerufene Digitaltag widmet sich in
diesem Jahr dem Schwerpunktthema Künstliche Intelligenz.
Da
der Wissenschafts- und Kultursektor einer jener Bereiche ist, in denen KI am
häufigsten zum Einsatz kommt, wird diese Entwicklung von der Kommission für
Wissenschaft und Kultur der Deutschen Bischofskonferenz besonders aufmerksam
begleitet. Kardinal Woelki betont, dass es in der Kirche ebenso wie in der
Gesellschaft hohe Erwartungen an die KI gebe: „Künstliche Intelligenz kann uns
beim Denken, Schreiben und Kommunizieren mehr Zeit verschaffen, damit wir uns
auf das konzentrieren können, was uns als Menschen kein Computer je abnehmen
kann: die persönliche Begegnung, Werturteile fällen, Handlungsentscheidungen
treffen, Verantwortung übernehmen.“
Nach
Auffassung von Kardinal Woelki ist KI aus dem kirchlichen Wissenschafts- und
Hochschulsektor nicht mehr wegzudenken. Über diese Einsatzfelder hinaus macht
er sich für das Aushandeln ethischer Standards im Umgang mit KI stark:
„Wertebasierte Qualitätsanforderungen an die KI sind: Menschenwürde und
Verantwortung, Fairness und Inklusion, Autonomie und Kontrolle, Transparenz,
Erklärbarkeit, Sicherheit und Datenschutz“, so Kardinal Woelki.
Aus
christlich-ethischer Perspektive formuliert der Erzbischof von Köln mehrere
Leitfragen für den Umgang mit KI in Wissenschaft und Kultur: „Wie stellen wir
sicher, dass die Grenzen zwischen humanoider Technik und menschlicher Würde
nicht verschwimmen? Wer achtet darauf, dass KI niemals menschliche Begegnung
ersetzt und auch keine moralischen Entscheidungen (etwa als ‚künstliche Moral‘)
trifft? (…) Wie kann KI so genutzt werden, dass Menschen einbezogen und nicht
aus gesellschaftlichen Prozessen ausgeschlossen werden?“
Mit
seiner Stellungnahme will der Vorsitzende der Kommission für Wissenschaft und
Kultur zu einem partizipativen öffentlichen Diskurs über ethisch verantwortete
KI einladen. Die katholische Kirche sei bereit für ihren konstruktiven Beitrag
zu diesem Aushandlungsprozess: „Es ist notwendig, dass wir das alles öffentlich
diskutieren – damit der Einsatz von KI human bleiben kann“, so der Kardinal.
Hinweis:
Das Statement von Kardinal Rainer Maria Woelki ist unter www.dbk.de verfügbar.
Dbk 7
Für die Schwächsten der
Gesellschaft: Sr. Rosa Roccuzzo und die Ursulinen
Rosa
Roccuzzo wurde 1882 in Monterosso Almo in der damaligen Provinz und Diözese
Syrakus, heute Ragusa, geboren. Im Alter von 14 Jahren verlor sie ihre Mutter,
ließ sich jedoch nicht vom Schmerz überwältigen, so erzählt Giuseppa Inzinga ,
eine ihrer Freundinnen. Inmitten der Einsamkeit, in der sie sich wiederfand,
beschloss sie, sich den Bedürftigen zu widmen. Rosa ging direkt zu den
Menschen, um persönlich die Bedürfnisse der Menschen in ihrem Dorf
kennenzulernen.
Sie
begann mit der festen Entschlossenheit, jedem ein wenig körperliche und
seelische Erleichterung zu verschaffen.
So
gab es also in Monterosso Almo seit 1896 ein junges Mädchen, das die elenden
Behausungen des Dorfes besuchte, um kranken, verlassenen Kindern und alten
Menschen beizustehen. Früh am Morgen ging sie zum Fluss, um die Wäsche der
Armen zu waschen, und dabei lud sie auch die anderen Frauen, die dort die
Wäsche ihrer Familie wuschen, zum Gebet ein. Bei ihren Besuchen bei den Armen
und Kranken verschenkte sie Laken und Kleidungsstücke, gefertigt aus dem Stoff,
den ihre Mutter für die Mitgift ihrer Tochter gewebt und aufbewahrt hatte.
Von
einer kleinen Frau eine große Liebe für die Bedürftigen
Eine
kleine Frau, die in einem von Hunger, Armut und Pest gebeutelten Sizilien ihr
ganzes Leben der Pflege der Kranken, verlassenen Alten und Waisenkinder widmete
und in ihren von Schmerz und Leid gezeichneten Gesichtern das Antlitz Christi
sah. Mit viel Mut und großem Glauben gelang es diesem Mädchen, andere junge
Frauen für heroische Werke des Guten zu begeistern und einzubinden. So begann
das, was heute die Kongregation der Ursulinen von der Heiligen Familie ist, und
dort lebte sie bis zu ihrem Lebensende in großer Demut und Zurückgezogenheit.
Wo sie auch hinging, hinterließ Rosa Spuren ihres einfachen und mutigen
Dienstes zugunsten der Schwächsten der Gesellschaft. Sie starb 1956.
Die
Sendung von Schwester Rosa lebt noch heute weiter
In
der Treue zu ihrem Gründungscharisma ist die Kongregation der Ursulinen von der
Heiligen Familie heute so wie zu Beginn ihrer Geschichte aufgerufen, ihren
Dienst an der Evangelisierung und der ganzheitlichen Förderung des Menschen zu
leisten. Dies geschieht durch Aktivitäten im Bildungsbereich und im Sozialen,
die darauf abzielen, das Leben in all seinen Aspekten wertzuschätzen und eine
gerechtere und geschwisterlichere Gesellschaft aufzubauen. Derzeit ist die
Kongregation in Italien, Brasilien und Frankreich vertreten.
Präsenz
in Brasilien
Seit
1967 sind die Ursulinen von der Heiligen Familie in Brasilien aktiv, gestützt
vom Vertrauen der Bevölkerung. Die Schwestern arbeiten dort in den ärmsten
Stadtteilen, um die volle Eingliederung der benachteiligten Menschen in die
Gesellschaft zu fördern. Seit etwa 20 Jahren begleiten sie im Sozialzentrum
„Nascente de Vida" in Santo Angelo, einem Vorort von Mogi das Cruzes,
Kinder und Jugendliche im Alter von 7 bis 17 Jahren mit schulischen Defiziten,
wobei diejenigen, die in sozialen Risikosituationen leben, Priorität haben.
Gleichzeitig versuchen sie, bei den Familien dieser Kinder und Jugendlichen die
Verantwortung zu wecken und sie zur Mitarbeit zu ermutigen. So können sie an
Schulungsveranstaltungen teilnehmen, um zu aktiven und bewussten Bürgern zu
werden, die in die örtliche Gemeinschaft integriert sind. Um diesen Familien zu
helfen, bieten die Schwestern verschiedene Fortbildungskurse an, wie zu
alternativer Ernährung, Schneiderei und Nähen, Kunsthandwerk, Herstellung von
Pflegeprodukten, und auch Alphabetisierung für Erwachsene, all dies mit dem
Ziel, Einkommensmöglichkeiten zu schaffen und die Lebensqualität der Familie zu
verbessern.
Die
Berufung von Schwester Rosa weiterführen
Das
Charisma von Schwester Rosa Roccuzzo ist geprägt von einem tiefen geistlichen
Leben und dem unermüdlichen Dienst an den Armen. Es lebt heute in der Kirche
durch die Kongregation der Ursulinen von der Heiligen Familie weiter. Im Alltag
des einfachen und demütigen Dienstes am Nächsten verwirklicht jede von ihnen
die Berufung von Schwester Rosa, die in ihrer Zeit „sah, dass die Kinder ohne christliche
Erziehung waren, die Armen ohne das Lebensnotwendige und die Kranken ohne
Hilfe: Jeden Morgen ging sie zur heiligen Messe und betete zum Herrn, dass er
ihr helfen möge, ein wenig Gutes zu tun". (vn 6)
DBK: Bischöfe wollen Theologie an
staatlichen Unis erhalten
Die
katholischen Bischöfe im Land haben sich für den Erhalt Theologischer
Fakultäten an staatlichen Universitäten ausgesprochen. Von wissenschaftlicher
Theologie profitierten Gesellschaft und Kirche gleichermaßen, heißt es in einer
Pressemitteilung der Deutschen Bischofskonferenz (DBK) vom Donnerstag.
Die
Glaubenskommission der Bischofskonferenz veröffentlichte zur Zukunft der
katholischen theologischen Fakultäten eine fünfseitige Stellungnahme. Darin
wird betont, „dass es sowohl für die heutige Wissensgesellschaft als auch für
die Kirche selbst einen großen Gewinn darstellt, wenn Theologie sich im Diskurs
an der Universität bewährt." Es gebe so einen wichtigen Austausch mit den
anderen Wissenschaften. „Wer das Evangelium unter den gesellschaftlichen
Rahmenbedingungen des 21. Jahrhunderts verkünden will, kann auf diese Form des
Diskutierens und Nachdenkens letztlich nicht verzichten", so die Bischöfe.
Doch
auch die anderen Fakultäten profitierten, da die Theologie „ethische und
existenzielle Perspektiven aus einer christlichen Denk- und Glaubenstradition
in die Diskussionen einbringen" könne. „Diese Beiträge würden
schmerzlich fehlen, wenn es die Theologie als Wissenschaft nicht gäbe."
„Ethische
und existenzielle Perspektiven aus einer christlichen Denk- und
Glaubenstradition“
Kirche,
Wissenschaft und Gesellschaft sollten daher daran interessiert sein, „dass die
Theologie auch weiterhin an unseren Universitäten verankert ist". Das Fach
dürfe nicht auf seine Funktion zur Ausbildung von Kirchenmitarbeitern verkürzt
werden.
Es
sei auch nicht ersetzbar, etwa durch Religions- und Kulturwissenschaften. Wie
keine andere Disziplin könne Theologie die Verabsolutierung wissenschaftlicher
Aussagen, fundamentalistische Tendenzen im Religiösen oder ideologische Züge in
staatlicher oder ökonomischer Herrschaft ansprechen. (pm/kna 6)
Papst: „Strukturen sind nicht die
Substanz“
Man
sollte in der Kirche „keine Angst davor haben, die Sicherheit von Strukturen
und Institutionen zu verlieren“. Die Hauptsache sei, dass man „der
Nächstenliebe treu“ bleibe.
Das
sagte Papst Franziskus an diesem Donnerstag bei einer Audienz im Vatikan zu
Ordensfrauen.
„Es
wird euch gut tun, dies in euren Begegnungen zu bedenken, um euch daran zu
erinnern, dass die Strukturen nicht die Substanz sind: Sie sind nur ein Mittel.
Das Wesentliche ist die Liebe zu Gott und zum Nächsten, die großzügig und in
Freiheit ausgeübt wird“.
Eine
persönliche Erinnerung
Franziskus
empfing die Teilnehmerinnen an den Generalkapiteln von zwei Frauenorden, die
beide im 19. Jahrhundert gegründet worden sind. Mit einer der beiden
Gemeinschaften, nämlich den „Figlie di Nostra Signora della Misericordia“,
verband der Papst übrigens auch eine persönliche Erinnerung.
„In
einer eurer Schulen in Buenos Aires, im Stadtteil Flores, habe ich vor vielen
Jahren die Sakramente der christlichen Initiation empfangen. Wie könnten wir
die liebe Schwester Dolores vergessen, von der ich so viel gelernt habe und die
ich noch oft besucht habe? Dafür danke ich dem Herrn und Ihnen allen, denn mein
heutiger Dienst an der Kirche ist auch die Frucht des Guten, das ich schon in
jungen Jahren von Ihrer Ordensfamilie empfangen habe.“
Die
Sakramente der Initiation sind Taufe, Kommunion und Firmung; sie heißen so,
weil sie für die Eingliederung des Gläubigen in die kirchliche Gemeinschaft
stehen. (vn 6)
Bedeutung der Theologie in der
Gesellschaft
Glaubenskommission
wirbt für die Zukunft Katholisch-Theologischer Fakultäten an staatlichen
Universitäten
Die
Theologie bietet Raum für die Reflexion des Glaubens. Darüber hinaus ist sie
auch eine anerkannte und in Deutschland öffentlich finanzierte Wissenschaft.
Diese Bedeutung der Theologie als Wissenschaft ist aber nicht einfach selbsterklärend.
Vor allem die Theologischen Fakultäten an staatlichen Universitäten sehen sich
mit grundsätzlichen Anfragen konfrontiert.
Die
Glaubenskommission der Deutschen Bischofskonferenz hat sich vor diesem
Hintergrund mehrfach mit der Frage nach der Bedeutung der Theologie in der
Gesellschaft befasst und die zentralen Aspekte dieser Überlegungen in einer
Stellungnahme formuliert, die heute (6. Juni 2024) veröffentlicht wird. Der
Ständige Rat der Deutschen Bischofskonferenz hat sich diese Erklärung im Rahmen
eines von der Kommission für Wissenschaft und Kultur der Deutschen
Bischofskonferenz initiierten Konsultationsprozesses zur Zukunft der
katholischen Theologie in Deutschland zu eigen gemacht.
In
dieser Stellungnahme wird die Überzeugung zum Ausdruck gebracht, dass es sowohl
für die heutige Wissensgesellschaft als auch für die Kirche selbst einen großen
Gewinn darstellt, wenn Theologie sich im Diskurs an der Universität bewährt.
Einerseits verantwortet sich hier der Glaube gewissermaßen in Echtzeit vor dem
Forum der wissenschaftlichen Vernunft: Man muss mit den anderen Wissenschaften
im stetigen Austausch bleiben. Wer das Evangelium unter den gesellschaftlichen
Rahmenbedingungen des 21. Jahrhunderts verkünden will, kann auf diese Form des
Diskutierens und Nachdenkens letztlich nicht verzichten. Andererseits kann die
Theologie ethische und existenzielle Perspektiven aus einer christlichen Denk-
und Glaubenstradition in die Diskussionen einbringen. Dabei steuert die
Theologie auch ihre Fähigkeit bei, sich kritisch mit wissenschaftlichen und
weltanschaulichen Positionen auseinanderzusetzen. Denn die Theologie pflegt
immer auch eine kritische Aufmerksamkeit gegenüber zweifelhaften oder zu wenig
begründeten Wahrheitsansprüchen. Diese Beiträge würden schmerzlich fehlen, wenn
es die Theologie als Wissenschaft nicht gäbe.
Beide,
die Gesellschaft und die Kirche, haben mit der wissenschaftlichen Theologie an
der Universität eine bedeutende Ressource, die nicht leichtfertig gefährdet
werden sollte. Darauf weist die Stellungnahme der Glaubenskommission mit
Nachdruck hin und wirbt deshalb dafür, sich auch zukünftig für den Erhalt
Theologischer Fakultäten an staatlichen Universitäten einzusetzen.
Hinweis:
Die Stellungnahme der Glaubenskommission der Deutschen Bischofskonferenz mit
dem Titel „Theologie in der Gesellschaft. Für die Zukunft
Katholisch-Theologischer Fakultäten an staatlichen Universitäten“ finden Sie
zum Download unter www.dbk.de. Dbk 6
Papst erinnert an Ende der
Nazi-Besetzung Roms vor 80 Jahren
Papst
Franziskus hat die Gläubigen in Rom dazu aufgefordert, „Architekten eines
wahren Friedens“ in der Welt zu werden. Er bezog sich in einem Brief auf den
80. Jahrestag der Befreiung Roms von den Nationalsozialisten 1944 und das
damals in Rom vollzogene Gelübde vor der Marienikone „Salus Populi Romani"
(Heil des Römischen Volkes).
Die
Diözese Rom feiert zum ersten Mal das liturgische Gedenken an die Ikone,
schreibt der Papst in seinem am Dienstagabend veröffentlichten Brief an den
Vizeregenten des Bistums, Weihbischof Baldassare Reina. Am 4. Juni 1944 habe
das Volk von Rom gemeinsam mit seinem Bischof, Papst Pius XII., die
Gottesmutter um die Rettung der Stadt angefleht, als ein direkter Zusammenstoß
zwischen der deutschen Armee und den anglo-amerikanischen Alliierten bevorstand
und die Stadt „den Alptraum der nationalsozialistischen Verwüstung“ vor Augen
hatte. Achtzig Jahre später sei dies ein Anlass, „für die Opfer des
Zweiten Weltkriegs zu beten und erneut über die schreckliche Geißel des Krieges
nachzudenken“, fuhr der Papst fort.
„Wir
können und dürfen der Logik der Waffen nicht nachgeben!“
Die
unschuldigen Opfer der Kriege wie in der Ukraine, Palästina und Israel, Sudan
und Myanmar forderten „das Gewissen aller“ heraus: „Wir können und dürfen der
Logik der Waffen nicht nachgeben!“
Spannungen
ausgleichen im Alltag
Friede
sei ein Geschenk Gottes, brauche aber Menschen, die dieses Geschenk
bereitwillig annehmen „und sich dafür einzusetzen, Baumeister der Versöhnung
und Zeugen der Hoffnung zu sein“, erklärte Franziskus. Er hoffe, dass das
Gedenken an das Gelübde an die Muttergottes vor 80 Jahren die Römer und
Römerinnen dazu bewege, „überall Architekten des wahren Friedens zu sein und
die Geschwisterlichkeit als wesentliche Voraussetzung für die Beilegung von
Konflikten und Feindseligkeiten wieder aufleben zu lassen“. Franziskus warb
konkret für eine bestimmte friedfertige Haltung im Alltag: Es gehe darum, „mit
Mut und Sanftmut“ für gute Beziehungen zwischen den Menschen einzutreten und
„Spannungen in der Familie, am Arbeitsplatz, in der Schule, unter Freunden
auszugleichen“.
Franziskus
und seine Verehrung der Salus Populi Romani
Franziskus
hat in den elf Jahren seines Pontifikats viel für die Wiederbelebung der
Verehrung der Marienikone Salus Populi Romani („Heil des Römischen Volkes“)
getan. Er sucht das in der Basilika Santa Maria Maggiore aufbewahrte Bildnis
regelmäßig vor und nach Reisen sowie zu Maria Empfängnis am 8. Dezember auf und
lässt es häufig zu seinen Liturgien in den Vatikan bringen. Zuletzt war die
römische Marienikone zu Fronleichnam hinter dem Papst zu sehen, als dieser zum
Abschluss der Prozession vor Santa Maria Maggiore den eucharistischen Segen
erteilte.
„Die
wichtigsten Ereignisse des religiösen und zivilen Lebens Roms fanden vor diesem
Bild ihren Widerhall“
Seit
Jahrhunderten, schreibt Franziskus in seinem Brief, sei das Marienbildnis „in
den Herzen der Römer lebendig“, die es bei Seuchen, Naturkatastrophen und
Kriegen im Gebet anriefen. „Die wichtigsten Ereignisse des religiösen und
zivilen Lebens Roms fanden vor diesem Bild ihren Widerhall“, so der Papst. So
hätten sich die Römer auch in ihrer Angst vor der Vernichtung ihrer Stadt durch
die nationalsozialistischen Besatzer 1944 der Maria Salus Populi Romani
anvertraut.
4.
Juni 1944: Kampflose Befreiung Roms
Am
4. Juni 1944 wurde Rom durch US-Truppen als erste Hauptstadt von der
nationalsozialistischen Besatzung befreit, anders als befürchtet ohne
Kampfhandlungen. Einige Zeitzeugen empfanden es als Wunder, dass die Stadt
dabei keine Verwüstungen davontrug, zumal die Amerikaner am 15. Februar
Montecassino bombardiert und vollständig zerstört hatten. Der Vatikan und Papst
Pius XII. (1939-1958) erwirkten bei Generalfeldmarschall Albert Kesselring,
dass Rom zur sogenannten „Offenen Stadt" erklärt wurde. Der Begriff aus
dem Kriegsrecht bezeichnet eine Ortschaft, die nicht verteidigt wird und
daher nicht angegriffen werden darf. (vn 5)
Papst kündigt Schreiben zum
Heiligsten Herzen Jesu an
Der
Monat Juni ist dem Heiligsten Herzen Jesu gewidmet. Daran erinnerte der Papst
in seinem Appell bei der Generalaudienz an diesem Mittwoch auf dem Petersplatz.
Mario Galgano – Vatikanstadt
Am
27. Dezember letzten Jahres jährte sich zum 350. Mal die erste Offenbarung des
Heiligsten Herzens Jesu an die französische Ordensfrau Margareta Maria
Alacoque. „Dieser Anlass war der Beginn einer Zeit der Feierlichkeiten, die am
27. Juni nächsten Jahres enden wird“, so der Papst in seinen Grüßen am Ende der
Generalaudienz.
Deshalb
lasse er es sich angelegen sein, ein Dokument vorzubereiten, das die
Überlegungen früherer Lehramtstexte und eine lange, „bis in die Heilige Schrift
zurückreichende Geschichte“ zusammenfasse, um heute der ganzen Kirche diesen
Kult „voller geistlicher Schönheit“ neu vorzuschlagen, kündigte der Papst an.
„Ich
glaube, es wird uns sehr gut tun, über verschiedene Aspekte der Liebe des Herrn
nachzudenken, die den Weg der kirchlichen Erneuerung erhellen können, aber auch
einer Welt, die ihr Herz verloren zu haben scheint, etwas Sinnvolles sagen. Ich
bitte Sie, mich in dieser Zeit der Vorbereitung im Gebet zu begleiten, in der
Absicht, dieses Dokument im kommenden September zu veröffentlichen.“
Das
durchbohrte Herz des Gekreuzigten
Die
am 22. Juli 1647 in Verosvres im Burgund geborene Margareta Maria Alacoque war
Ordensfrau und Mystikerin und wird in der katholischen Kirche als Heilige
verehrt. Sie starb am 17. Oktober 1690 in Paray-le-Monial. Am 27. Dezember 1673
hatte Margareta Maria eine Vision, in der Jesus Christus sie beauftragte, sich
für die Verehrung seines göttlichen Herzens einzusetzen. In den folgenden
eineinhalb Jahren folgten weitere drei Visionen, in denen Jesus Christus ihr
auftrug, sie möge sich dafür einsetzen, dass jeder erste Freitag im Monat und
der zweite Freitag nach dem Fronleichnamsfest der besonderen Verehrung des
Herzens Jesu gewidmet sein solle.
Wie
der Papst in der Generalaudienz erwähnte, ist die Verehrung des Heiligsten
Herzens Jesu eine Ausdrucksform der katholischen Spiritualität. Dabei wird
Jesus Christus unter dem Gesichtspunkt seiner durch sein Herz symbolisierten
Liebe verehrt. Der dazugehörige Grundtext aus dem Evangelium ist Joh 19,34 bzw.
Joh 7,37?f., in der „das durchbohrte Herz des Gekreuzigten“ als Quelle der
Sakramente der Kirche beschrieben wird. (vn 5)
Generalaudienz: Der Heilige Geist
macht wirklich frei
Für
einen Christen bedeutet Freiheit nicht, egoistisch dem eigenen Wollen zu
folgen. Sie will vielmehr aus freien Stücken das, was Gott will: dass wir
einander in Liebe dienen. Daran erinnerte Franziskus bei seiner Generalaudienz,
die er diesen Mittwoch dem Thema „Wo der Geist Gottes ist, da ist Freiheit“
gewidmet hat. Silvia Kritzenberger – Vatikanstadt
Zum
Auftakt seiner Katechese dachte Papst Franziskus über den Namen des Heiligen
Geistes nach, der im Alten Testament „Ruach“ genannt wird, was „Atem, Hauch
oder Wind“ bedeutet.
„Das
Bild des Windes dient vor allem dazu, die Kraft des göttlichen Geistes
auszudrücken,“ führte der Papst aus. „Geist und Kraft oder Kraft des Geistes
sind Begriffe, die in der Bibel immer wiederkehren. Schließlich ist der Wind ja
auch eine überwältigende und unbezwingbare Kraft, die sogar in der Lage ist,
ganze Ozeane aufzuwühlen.“
Die
Freiheit, die der Geist schenkt
Ausgehend
von dem Jesuswort „Der Wind weht, wo er will; du hörst sein Brausen, weißt aber
nicht, woher er kommt und wohin er geht“, betonte das Kirchenoberhaupt, dass
sich der Wind nicht zügeln lasse, nicht eingesperrt werden könne. Und Jesus
stelle noch ein weiteres Wesensmerkmal des Heiligen Geistes heraus, nämlich
seine Freiheit.
„Ein
freier Mensch, ein freier Christ, ist einer, der den Geist des Herrn hat,“ so
der Papst. „Es ist eine ganz besondere Freiheit, vollkommen anders als das, was
man gemeinhin darunter versteht. Es ist nicht die Freiheit, das zu tun, was man
will, sondern die Freiheit, frei zu tun, was Gott will! Es ist nicht die
Freiheit, Gutes oder Böses zu tun, sondern die Freiheit, das Gute zu tun – und
zwar aus freien Stücken, also aus Anziehung, nicht aus Zwang. Mit anderen
Worten: es ist die Freiheit von Kindern, nicht von Sklaven.“
Eine
Freiheit also, die nicht egoistisch dem eigenen Wollen folge, sondern aus freien
Stücken das wolle, was Gott will: dass wir einander in Liebe dienen.
Die
falsche Freiheit, die meint, andere ausbeuten zu dürfen...
In
Anlehnung an den heiligen Paulus, der die Christen ermahnt, ihre Freiheit nicht
zum Vorwand für das Fleisch werden zu lassen, prangerte Franziskus die falsche
Freiheit an, „die es den Reichen erlaubt, die Armen auszubeuten, den Starken,
die Schwachen auszubeuten, und jedem, die Umwelt ungestraft auszubeuten“.
„Bitten wir Jesus, dass er uns durch seinen
Heiligen Geist zu Männern und Frauen macht, die wirklich frei sind. Frei, um zu
dienen, mit Liebe und Freude,“ so der abschließende Wunsch von Papst
Franziskus.
Die
Würdigung des hl. Bonifatius
In
seinen Grußworten an die Pilger deutscher Sprache erinnerte der Papst an den
Gedenktag des hl. Bonifatius, Glaubensbote in Deutschland und Märtyrer.
Franziskus würdigte ihn mit folgenden Worten:
„Liebe
Brüder und Schwestern, heute begeht die Kirche den Gedenktag des heiligen
Bonifatius, des Apostels der Deutschen. Dankbar für die lange und segensreiche
Geschichte des Glaubens in euren Landen bitten wir den Heiligen Geist, er möge
den Glauben, die Hoffnung und die Liebe in euch stets lebendig halten.“ (vaticannews
5)
Papst an Fokolar-Präsidentin: „Ich
bete viel für Ihr Heimatland”
Franziskus
denkt „sehr viel“ an die Menschen aus der Heimat der Fokolar-Präsidentin
Margaret Karram. Das bekräftigte er am Montagmorgen während der Audienz mit den
Teilnehmern der interreligiösen Konferenz der Fokolarbewegung im Vatikan.
Franziskus ermutigte die internationale Bewegung, im Geist der Offenheit
weiterzumachen. Die Audienz fand im Rahmen einer Begegnung mit Teilnehmern
eines interreligiösen Kongresses der Fokolarbewegung statt.
Es
sei der Heilige Geist, der Wege des Dialogs und der Begegnung eröffne, die
manchmal überraschend seien, erinnerte der Papst während der Audienz an diesem
Montag. So sei es geschehen vor mehr als fünfzig Jahren in Algerien, wo eine
rein muslimische Gemeinschaft entstand, die sich der Bewegung anschloss. Und so
war es auch bei den Begegnungen von Chiara Lubich, der Fokolar-Gründerin, mit
den Führern der verschiedenen Religionen, fügte der Papst hinzu und zählte die
Gemeinschaften auf, die sich angeschlossen haben: Buddhisten, Muslime, Hindus,
Juden, Sikhs und andere. „Ein Dialog, der sich bis heute entwickelt hat, wie
Ihre Anwesenheit heute beweist“, sagte der Papst.
Das
Fundament, auf dem diese Erfahrung ruhe, sei die Liebe Gottes, die sich in
gegenseitiger Liebe, im Zuhören, im Vertrauen, in der Gastfreundschaft und im
gegenseitigen Kennenlernen unter voller Achtung der Identität des anderen
verwirkliche, erläuterte das katholische Kirchenoberhaupt. Dann erinnerte
der Papst: „Im Laufe der Zeit sind Freundschaft und Zusammenarbeit gewachsen in
dem Bemühen, gemeinsam auf den Schrei der Armen zu antworten, in der Sorge um
die Schöpfung, im Einsatz für den Frieden. Auf diesem Weg haben einige
nichtchristliche Brüder und Schwestern die Spiritualität des Werkes Mariens
oder einige seiner charakteristischen Züge übernommen und leben sie in ihrem
Volk. Mit diesen Menschen gehen wir über den Dialog hinaus, wir fühlen uns als
Brüder und Schwestern, wir teilen den Traum von einer geeinteren Welt, in der
Harmonie der Vielfalt.“
Das
Zeugnis der Fokolarbewegung sei ein Grund zur Freude und ein Grund zum Trost,
vor allem in dieser konfliktreichen Zeit, in der die Religion oft
instrumentalisiert wird, um Konfrontationen zu schüren. Der interreligiöse
Dialog sei im Gegenteil „eine notwendige Bedingung für den Frieden in der Welt
und daher eine Pflicht für Christen wie auch für andere
Religionsgemeinschaften“, so Franziskus.
Hintergrund
Margaret
Karram wurde als katholische Araberin in Haifa geboren. Sie wuchs in einer
Familie auf, in der ihr eine große Offenheit für andere Religionen und Kulturen
vermittelt wurde. Ihr Vater Boulos Karram war Mitglied des Ritterordens vom
Heiligen Grab zu Jerusalem. Am 31. Januar 2021 wurde sie für sechs Jahre
zur 3. Präsidentin der Fokolarbewegung gewählt und am 1. Februar 2021
statutengemäß vom Dikasterium für die Laien bestätigt.[3] Sie ist damit die
zweite Nachfolgerin von Chiara Lubich, der Gründerin der internationalen,
ökumenischen Bewegung und zugleich die erste Nicht-Italienerin in diesem Amt, das
laut Statuten grundsätzlich Frauen vorbehalten ist. (vn 3)
"Zukunft hat der Mensch des
Friedens"
Am
02. Juni ist der Katholikentag 2024 mit einem Abschlussgottesdienst mit 12.000
Gläubigen vor dem Erfurter Dom zu Ende nach fünf Tagen zu Ende gegangen. Unter
der Leitwort "Zukunft hat der Mensch des Friedens" nahmen rund 23.000
Teilnehmende in der Landeshauptstadt Thüringens an der 103. Auflage des
Deutschen Katholikentages teil, der "kleiner und kompakter" war. ZdK
und DBK ziehen ein positives Fazit zum neuen Konzept für den Katholikentag, der
das nächste Mal 2026 in Würzburg stattfindet.
Die
Veranstalter des 103. Deutschen Katholikentags in Erfurt haben heute bei der
Abschluss-Pressekonferenz ein positives Fazit gezogen. Für das Zentralkomitees
der deutschen Katholiken (ZdK) betonte Irme Stetter-Karp: "Aus Erfurt
komme die Botschaft, miteinander, nicht gegeneinander zu leben, Frieden zu
suchen, die Demokratie mit Leben zu füllen". Vor allem aber habe der
Katholikentag eine ökumenische Weite gezeigt, die einer Revolution gleichkomme,
ergänzte die ZdK-Präsidentin und führte weiter aus, dass der Katholikentag
werde künftig an seiner ökumenischen Weite gemessen werde. Deshalb sei es
wichtig, „dass wir uns in der katholischen Kirche weiterentwickeln". In
Erfurt habe der Katholikentag gezeigt, dass der öffentliche Raum, die Heimat
der Demokratie und der Freiheit, auch der Raum der Christen sei „Demokratie und
Christsein passen gut zusammen“, machte Stetter-Karp auch bereits beim
Abschlussgottesdienst deutlich.
Für
die Deutsche Bischofskonferenz (DBK) bilanzierte Bischof Georg Bätzing: Auf dem
Katholikentag habe es "eine Ortsbestimmung zu innerkirchlichen und
gesellschaftlichen Debatten" gegeben. Der DBK - Vorsitzende hob zudem die
große Anzahl an Politiker:innen teilgenommen haben. Diese hätten offenbar
wahrgenommen, „was wir als Katholiken zu sagen haben". Gleichzeitig sei
der Katholikentag aus Sicht von Bischof Bätzing ein „sehr spirituelles
Ereignis" und zugleich "ein ökumenischer Kirchentag" gewesen.
Der
Geschäftsführer des Katholikentags, Roland Vilsmaier, zeigte sich ebenfalls
zufrieden mit dem Ablauf. Der Katholikentag sei „sehr erfolgreich“ gewesen.
Rund 20.000 Menschen kauften ein Dauerticket, weitere 3.000 ein Tagesticket.
Dazu komme eine ähnlich hohe Zahl, die die öffentlichen Veranstaltungen wie
etwa die Kultur- und Musikdarbietungen besucht hätten. So könne insgesamt von
geschätzten 40.000 Personen gesprochen werden, die das Programm des
Katholikentags verfolgt hätten. "Von den 500 Veranstaltungen seien vor
allem die großen gesellschaftspolitischen Podien sehr voll gewesen", so
Vilsmaier.
Wie
geht es mit dem Format des Katholikentages weiter?
Der
Katholikentag wird vom Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK)
organisiert. Dessen Generalsekretär Marc Frings betonte in Erfurt: "Es sei
gut gewesen, sich heraus aus der Komfortzone zu bewegen und in die Diaspora zu
gehen". Gleichzeitig habe sich auch Sicht des Katholikentages das neue
Konzept - Komprimierung der Veranstaltungen, thematische Schwerpunkte,
Verkleinerung der Veranstaltungsfläche - ausgezahlt, verdeutlichte Frings.
Der
nächste Katholikentag wird vom 13.-17. Mai 2026 in Würzburg stattfinden.
Christian
Schnaubelt, explizit.net 3
Papst: Begegnung mit Migranten ist
Begegnung mit Christus
Kirche
und Migranten haben einiges miteinander gemein. Das betont Franziskus in seiner
Botschaft zum diesjährigen Welttag des Migranten, in der er auf die Parallelen
der biblischen Geschichten mit dem Schicksal der heutigen Migranten eingeht und
um Gebet für diejenigen einlädt, „die ihre Heimat auf der Suche nach würdigen
Lebensbedingungen verlassen mussten“. Dabei schlägt er auch einen Bogen zur
aktuellen Weltsynode zur Synodalität.
Franziskus
erinnert in seiner Botschaft zum diesjährigen Welttag des Migranten und
Flüchtlings auch daran, wie viele religiöse Gegenstände die Migranten auf ihren
teils verzweifelten Reise mit sich führen, in der Hoffnung und Gewissheit, in
Gesellschaft Gottes zu reisen.
Migration
und Synodalität
Direkt
zu Beginn seiner Überlegungen verweist Franziskus auf die Synode zur
Synodalität, die dazu beigetragen habe, „das Verständnis von Synodalität als
ursprünglicher Berufung der Kirche zu vertiefen.“ Diese Erfahrung der synodalen
Dimension erlaube es der Kirche, ihr eigenes „Unterwegssein“ wiederzuentdecken,
als „migrierendes“ Volk Gottes auf dem Weg zur endgültigen Begegnung mit dem
Herrn:
„Ebenso
kann man in den Migranten unserer Zeit, wie in denen einer jeden Epoche, ein
lebendiges Abbild des Gottesvolkes auf dem Weg in die ewige Heimat sehen“, so
Franziskus, der in seiner Botschaft insbesondere auf die Parallelen zwischen
dem biblischen Exodus und dem Schicksal der Migranten hinweist: Wie das Volk
Israel zur Zeit Moses flöhen Migranten oft vor „Unterdrückung und Übergriffen, vor
Unsicherheit und Diskriminierung, vor mangelnden Entwicklungsperspektiven“,
ebenso stießen sie auf ihrer Reise auf viele Hindernisse: „Sie sind vor Durst
und Hunger erschöpft; sie sind von Mühsal und Krankheit ausgelaugt; sie werden
von der Verzweiflung versucht.“
Gott
begleitet sein Volk
Doch
das Wesentliche des biblischen wie eines jeden Exodus sei, dass „Gott seinem
Volk und allen seinen Kindern – aller Zeiten und aller Orte – vorausgeht und
sie begleitet“, versichert Franziskus. Eine Gewissheit und Hoffnung, die durch
die vielen christlichen Gegenstände bestätigt wird, die Migranten auf ihrem
gefährlichen Weg mit sich tragen, gibt der Papst zu bedenken, vielleicht auch
eingedenk der von einem Migrantenboot stammenden englischsprachigen Bibel, die
ihm 2017 durch Mitglieder der italienischen Katholischen Aktion überreicht
wurde und die Franziskus damals sichtlich bewegt geküsst hatte:
„Wie
viele Bibeln, Evangelien, Gebetsbücher und Rosenkränze begleiten die Migranten
auf ihren Wegen durch Wüsten, Flüsse, Meere und über die Grenzen aller
Kontinente!“
„Fühlen
wir uns zusammen mit ihnen auf dem Weg, begeben wir uns gemeinsam auf ,Synode‘“
Nicht
nur vertrauten sich die Flüchtenden vor ihrer Abreise Gott an, sondern sie
riefen ihn auch in Zeiten der Not an, suchten seinen „Trost in Zeiten der
Verzweiflung“, erinnert der Papst, der gleichzeitig darauf hinweist, dass
dieses Vertrauen nicht vergebens sei: „Dank ihm gibt es entlang des Weges gute
Samariter. Ihm vertrauen sie im Gebet ihre Hoffnungen an.“
Gott
begleite sein Volk nicht nur, sondern identifiziere sich auch insbesondere mit
„den Letzten, den Armen, den Ausgegrenzten“, weshalb eine Begegnung mit
Migranten oder Menschen in Not auch eine „Begegnung mit Christus“ darstelle,
wiederholt Franziskus eine oft geäußerte Aussage, bevor er abschließend zu
Gebet aufruft:
„An
diesem Tag, der den Migranten und Flüchtlingen gewidmet ist, beten wir
gemeinsam für all jene, die ihre Heimat auf der Suche nach einem Leben in Würde
verlassen mussten. Fühlen wir uns zusammen mit ihnen auf dem Weg, begeben wir
uns gemeinsam auf ,Synode‘“.
Dabei
lädt der Papst nicht dazu ein, für die Menschen auf der Flucht zu beten,
sondern schlägt auch ein eigens verfasstes Gebet vor, in dem die zentralen
Gedanken seiner Botschaft erneut aufscheinen. (vatican news 3)
„Solidarisch an der Seite der
Schutzsuchenden in Ostafrika“
Sonderbeauftragter
für Flüchtlingsfragen der Deutschen Bischofskonferenz reist nach Kenia
Gestern
Abend (2. Juni 2024) ist der Sonderbeauftragte für Flüchtlingsfragen und
Vorsitzende der Migrationskommission der Deutschen Bischofskonferenz,
Erzbischof Dr. Stefan Heße (Hamburg), in der kenianischen Hauptstadt Nairobi
eingetroffen. Der Erzbischof wird sich bis zum 8. Juni 2024 in dem
ostafrikanischen Land aufhalten, um sich vor Ort über die Situation von
Geflüchteten zu informieren.
„Der
seit Langem anhaltende Bürgerkrieg in Somalia ebenso wie die gewaltsamen
Auseinandersetzungen im Südsudan und in weiteren Staaten der Region haben
Millionen von Menschen um ihre Heimat gebracht. Allein in Kenia haben fast
800.000 Schutzsuchende Zuflucht gefunden. Hinzu kommen zahlreiche
Binnenvertriebene, die vor allem aufgrund von Umweltkatastrophen ihr Zuhause
verloren haben. In den nächsten Tagen werde ich in Nairobi, Lodwar und Kakuma
Menschen begegnen, die aus unterschiedlichen Gründen auf der Flucht sind. Mit
meiner Reise will ich die Aufmerksamkeit auf eine Region lenken, die bei uns
oft allzu wenig Beachtung findet. Die Kirche steht solidarisch an der Seite der
Schutzsuchenden in Ostafrika“, so der Sonderbeauftragte nach seiner Ankunft.
Den
Einstieg wird in Nairobi ein Symposium des Katholischen Akademischen
Ausländer-Dienstes (KAAD) zu politischen und kirchlichen Perspektiven auf „Flucht
und Vertreibung in Kenia“ bilden. Vorgesehen sind zudem Gespräche mit dem
Botschafter der Bundesrepublik Deutschland, Sebastian Groth, dem Apostolischen
Nuntius in Kenia und im Südsudan, Erzbischof Hubertus Matheus Maria van Megen,
dem Erzbischof von Nairobi, Erzbischof Philip Anyolo, und der UNHCR-Vertreterin
in Kenia, Caroline van Buren. Ebenso wird der Sonderbeauftragte mit
Repräsentanten der Kenianischen Bischofskonferenz und der Vereinigung der
Bischofskonferenzen Ostafrikas (AMECEA), mit politischen und
zivilgesellschaftlichen Gesprächspartnern sowie mit Mitarbeitern von
Hilfsorganisationen zusammenkommen.
In
Lodwar, der Hauptstadt des von ökologischen und wirtschaftlichen Problemen
besonders betroffenen Turkana County, wird Erzbischof Heße einen Einblick in
diözesane Hilfsinitiativen bekommen. Gemeinsam mit lokalen Partnern des
Jesuiten-Flüchtlingsdienstes und der Salesianer Don Boscos wird der
Sonderbeauftragte einen Tag in den Flüchtlingslagern bei Kakuma verbringen, wo
mehr als 280.000 Geflüchtete leben. Auch in Nairobi stehen Besuche bei
kirchlichen Hilfsinitiativen auf dem Programm, etwa bei Caritaseinrichtungen
oder Projekten, die von Misereor oder missio München unterstützt werden. Bei
den verschiedenen Stationen seiner Reise wird der Erzbischof die Gelegenheit
haben, mit Geflüchteten ins Gespräch zu kommen und mit ihnen Gottesdienste zu
feiern.
Die
letzten flüchtlingspolitischen Solidaritätsreisen führten Erzbischof Heße nach
Griechenland und in die Türkei (2023), nach Polen und in die Ukraine (2022),
nach Marokko (2020), Äthiopien (2019), Sizilien (2017) und in den Libanon
(2016). Dbk 3
Erfurter Katholikentag endet mit
Aufruf: „Dem Hass widerstehen!"
Mit
einem stimmungsvollen Gottesdienst in Erfurt ist am Sonntag der 103. Deutsche
Katholikentag zu Ende gegangen, 23.000 Teilnehmende waren zu dem Treffen nach
Angaben der Veranstalter gekommen. Vor der imposanten Kulisse des Erfurter Doms
sagte der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Georg Bätzing, man denke
an die Opfer des Hochwassers in Süddeutschland und fühle sich ihnen besonders
verbunden.
Katholikentags-Präsidentin
Irme Stetter-Karp rief dazu auf, die Würde aller Menschen gegen Angriffe zu
verteidigen. Die Botschaft des fünftägigen Treffens sei: „Wir wollen
miteinander leben - nicht gegeneinander! Wir wollen den Frieden suchen - und
dem Hass widerstehen." Demokratie und Christsein passten gut zusammen.
„Was wir hier öffentlich bestärkt haben, muss auch in Zukunft gesagt werden
können: Die Würde des Menschen ist unantastbar. Damit das so bleibt, müssen wir
den öffentlichen Raum verteidigen."
Bischof
Bätzing rief dazu auf, sich durch Krisen nicht entmutigen zu lassen. „Wir
werden den Krisen, die unser Zusammenleben und die Zukunft unserer Erde
bedrohen, eher etwas entgegenhalten können, wenn wir den entspannten langen
Atem des Vertrauens auf Gott mit einbringen." Der Katholikentag habe
gezeigt, dass Christinnen und Christen aufstünden, „wenn Antisemitismus und
Rassismus versuchen, Raum zu greifen".
„Zukunft
hat der Mensch des Friedens“
Im
Blick auf Krisen und Kriege stand der Katholikentag unter dem Leitwort „Zukunft
hat der Mensch des Friedens". Auch Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier
und Kanzler Olaf Scholz (SPD) besuchten das Christentreffen. Der Katholikentag
fand zum dritten Mal seit der deutschen Wiedervereinigung in Ostdeutschland
statt und erstmals in Erfurt.
Zahlreiche
Reden und Diskussionen waren geprägt durch die Europawahl in einer Woche und
drei anstehenden Landtagswahlen in Ostdeutschland. Inhaltlich ging es um Themen
wie den Aufstieg rechtsextremer Kräfte, die Klimakrise, Gerechtigkeit sowie
Kriege in der Ukraine und Gaza.
Der
nächste Katholikentag ist 2024 in Würzburg. 2025 lädt die evangelische Kirche
zum Kirchentag nach Hannover ein. (kna 2)
Eucharistische Lebenshaltung im
Alltag entwickeln
Papst
Franziskus hat am italienischen Fronleichnamsfest drei grundlegende Dimensionen
der Eucharistie herausgearbeitet: Danksagung, Erinnerung und Gegenwart. Bis in
den Alltag der Gläubigen hinein buchstabierte er diese drei Aspekte bei einer
Heiligen Messe aus; er feierte sie am Sonntagabend in seiner Bischofskirche,
der Lateranbasilika. Danach folgte eine feierliche Fronleichnamsprozession nach
S. Maria Maggiore. Gudrun Sailer - Vatikanstadt
Als
Zelebrant am Altar ließ sich der Papst bei dieser Heiligen Messe von seinem
Landsmann Kardinal Víctor Fernández vertreten, dem Präfekten des
Dikasteriums für die Glaubenslehre. Die Predigt hielt Franziskus selber
und kürzte sie dabei erheblich ein.
Eucharistie
lehrt katholische Gläubige, „Gott für seine Gaben zu preisen und sie dankbar
anzunehmen, und das nicht nur im Gottesdienst, sondern auch im Leben“, erklärte
er eingangs. „Zum Beispiel, indem wir die Dinge und Talente, die der Herr uns
gegeben hat, nicht verschwenden. Aber auch, indem wir denen, die aus Schwäche
oder Irrtum Fehler machen und fallen, vergeben und sie aufrichten. Denn alles
ist Geschenk und nichts darf verloren gehen”, so Franziskus. Es gebe nur eine
einzige Situation, in der jemand einen anderen von oben herab anschauen dürfe:
indem er dieser Person beim Aufstehen helfe.
Auch
ehrliches und gutes Verhalten am Arbeitsplatz ordnete der Papst in eine
eucharistische Form der Danksagung ein. Mit Liebe, Präzision und Sorgfalt
verrichtet, sei Arbeit „ein Geschenk und eine Sendung". Das alles
seien Beispiele für „eucharistische Haltungen“, die ins Leben übersetzen, „was
wir tun und darbringen”, erklärte Franziskus.
Zweitens:
Eucharistie ist Erinnerung
Zweiter
Punkt: Eucharistie als Erinnerung. Für das alte Volk Israel habe der
gesprochene Lobpreis über das Brot bedeutet, sich an seine Befreiung aus der
Sklaverei in Ägypten zu erinnern. Franziskus setzte hier zu einer Betrachtung
über Freiheit und Sklaverei heute an. „Es gibt Leute, die sagen, dass derjenige
frei ist, der nur an sich selbst denkt, der das Leben genießt und der mit
Gleichgültigkeit und vielleicht Überheblichkeit tut, was er will, ohne
Rücksicht auf andere. Aber das ist keine Freiheit: das ist versteckte
Sklaverei, eine Sklaverei, die uns noch tiefer versklavt“, erklärte der Papst.
„Freiheit findet man nicht in den Tresoren
derer, die möglichst viel für sich selbst anhäufen“
„Freiheit
findet man nicht in den Tresoren derer, die möglichst viel für sich selbst
anhäufen, und auch nicht auf den Sofas derer, die sich bequem zurücklehnen und
dem Individualismus frönen. Freiheit findet man im Abendmahlssaal, dort, wo man
sich ohne ein anderes Motiv als das der Liebe vor seinen Brüdern und Schwestern
niederbeugt, um ihnen einen Dienst, das eigene Leben anzubieten. Wir tun
dies als ,Gerettete´.“
Drittens:
Eucharistie ist Gegenwart Gottes
Dritter
Punkt: Im eucharistischen Brot ist „Christus wirklich gegenwärtig“, erinnerte
der Papst. Diese Gegenwart Gottes lädt Gläubige dazu ein, anderen beizustehen,
und zwar allen, die Hilfe brauchen: Einsamen, Flüchtlingen, Bedürftigen aller
Art. Die Welt brauche „dieses Brot, seinen Duft und seinen Wohlgeruch, der
nach Dankbarkeit, Freiheit und Nähe riecht ... um weiter zu hoffen und
unermüdlich das wieder aufzubauen, was der Hass zerstört."
Fronleichnamsprozession:
Keine Glaubensdemo, sondern Einladung
Franziskus
ging auch auf die Bedeutung der Fronleichnamsprozession ein: Vom Altar aus wird
die konsekrierte Hostie durch die Straßen der Stadt getragen. „Wir tun dies
nicht, um uns zu präsentieren und auch nicht, um unseren Glauben zur Schau zu
stellen, sondern um alle einzuladen, im Brot der Eucharistie an dem neuen Leben
teilzunehmen, das Jesus uns geschenkt hat“, erläuterte Franziskus. In diesem
Geist bat er die Gläubigen, an der Prozession nach S. Maria Maggiore
teilzunehmen.
Das
87 Jahre alte Kirchenoberhaupt fuhr voran und erwartete die Prozession auf dem
Vorplatz der Marienbasilika. Dort war auch die von Franziskus sehr geschätzte
Marienikone Salus Populi Romani zur Verehrung ausgestellt, die sonst in einer
Kapelle des Basilika verwahrt wird.
Durch
die schnurgerade Via Merulana trug der Vizeregent der Diözese Rom, Weihbischof
Baldassare Reina, unter dem „Himmel" genannten Baldachin den Leib Christi.
Zur Abendstunde hatten sich an beiden Seiten der Straße viele Gläubige zum
Mitbeten und Mitsingen eingefunden. Am Ende spendete Franziskus nach einem
langen Moment des stillen Gebets den Gläubigen den eucharistischen Segen mit
dem Allerheiligsten in der Monstranz.
Franziskus
kehrt zu alter Fronleichnams-Tradition zurück
In
Italien wird Fronleichnam aufgrund einer staatlichen Verfügung von 1977 nicht
am kirchlichen Festtag, einem Donnerstag, sondern am Sonntag danach gefeiert.
Franziskus ist der erste Bischof von Rom, der sich dem italienischen Datum
anpasst. 2017 zelebrierte er zum ersten Mal die Fronleichnamsmesse mit
Prozession am Sonntag statt am Donnerstag, aber noch am gewohnten Ort im
Lateran und S. Maria Maggiore.
2018
verließ der Papst erstmals zu Fronleichnam das Stadtzentrum und feierte die
Messe in Ostia, im darauffolgenden Jahr im Vorort Casal Bertone. 2020 und 2021
fand wegen der Corona-Pandemie die Fronleichnamsmesse mit Franziskus im kleinen
Kreis im Petersdom statt. Danach musste sie zwei Mal wegen gesundheitlicher
Probleme des Papstes entfallen, 2022 wegen Knieschmerzen, 2023 wegen der
Bauchoperation in der Gemelli-Klinik. (vn 2)
„Zukunft hat der Mensch des
Friedens“. 103. Deutscher Katholikentag in Erfurt beendet
Mit
einem Gottesdienst ist heute (2. Juni 2024) der 103. Deutsche Katholikentag in
Erfurt zu Ende gegangen. Er stand unter dem Leitwort „Zukunft hat der Mensch
des Friedens“. Der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr.
Georg Bätzing, zog ein positives Fazit und dankte allen Teilnehmerinnen und
Teilnehmern, Gastgebern und den Veranstaltern. „Wir haben in Erfurt erleben
dürfen, dass der Glaube – bei allen Herausforderungen – lebendig in diesem Land
ist. Der Katholikentag hat gezeigt, dass sich Menschen mit dem Zeugnis ihres
Glaubens engagieren: in Politik und Gesellschaft, in vielen Bereichen des
täglichen Lebens und auch in der Kirche. Die Tage in Erfurt waren eine
sichtbare Ortsbestimmung, wo wir als Kirche derzeit in unseren innerkirchlichen
und gesellschaftlichen Debatten stehen. Und der Katholikentag war ein
bereicherndes spirituelles Ereignis. Ich bin dankbar, dass es so viele gut
besuchte Gottesdienste und ein hervorragend angenommenes Geistliches Zentrum
gab“, erklärte Bischof Bätzing. Hochaktuelle Themen hätten den Katholikentag
ebenso geprägt wie das Bedürfnis der Teilnehmerinnen und Teilnehmer, ihr
Christsein öffentlich zu zeigen und sich zu begegnen. „Die Tage in Erfurt haben
außerdem wichtige politische Signale in unser Land gesendet: Es darf keinen
Platz für Rechtsradikalismus und Antisemitismus geben. Die Demokratie muss
verteidigt und jeden Tag neu gelebt werden. Christinnen und Christen haben
gezeigt, wie sie als Staatsbürgerinnen und Staatsbürger unser Land mitgestalten
und die Werte des Miteinanders und Zusammenlebens verteidigen wollen und
werden.“
Im
Abschlussgottesdienst betonte Bischof Bätzing in seiner Dialogpredigt mit der
Theologin Dr. Juliane Eckstein von der Katholisch-Theologischen Fakultät der
Universität Mainz, dass es auch künftig darum gehen müsse, den Schatz des
Glaubens in die Welt zu tragen. Das müsse auch gelingen, bei allen
Unzulänglichkeiten, die jeder Mensch mitbringe, so wie es auch Paulus in
Damaskus erlebt habe: „Er spürt seine Unzulänglichkeit, seine Grenzen, viel
Vergeblichkeit. Von den eigenen Leuten wird er in die Enge getrieben, Erfolge
sind selten, Gemeinden Jesu neu zu gründen ist mühsam, Rückschläge machen ihn
mürbe“, beschrieb Bischof Bätzing die Lebenserfahrungen des Apostels. Er fügte
hinzu: „Die Lage der Kirche heute ist nicht viel anders. Und viele von uns
empfinden ähnlich wie Paulus. Aber, gehören nicht Krise und Verlust, Sehnsucht
und Verheißung von Anfang an ganz wesentlich zur Kirche dazu? Glaube gibt es
nur im Modus der Zerbrechlichkeit. Alle vermeintliche Sicherheit, alle vor uns
hergetragene Arroganz, alle unumstößlichen Klarheiten zerschellen, müssen
zerbersten, weil Gott Gott bleibt.“ Der in der Bibel beschriebene Schatz in
zerbrechlichen Gefäßen sei „ein realistisches Bild, eine echte Herausforderung
für die Kirche unserer Tage.“
Juliane
Eckstein erinnerte daran, dass der Apostel Paulus ein anderes Bild von Mission
zeichne, „als das, von dem die vielen Burgen hier in der Umgebung von Erfurt
zeugen. Einige waren sicher schon einmal auf der Wartburg in Eisenach. Viele
sind vom Mittelalter begeistert, von den Rittern und Burgfräulein, was ich gut
nachempfinden kann. Und gleichzeitig herrscht ein Riesenkontrast zwischen
Paulus und mittelalterlichen Chroniken. In denen werden Ritter dafür bewundert,
dass sie das Christentum mit Kraft verbreiten; mit Kühnheit, Ehrgeiz,
Grausamkeit.“ Bischof Bätzing fügte hinzu, dass diese Zeiten gottlob vorbei
seien: „Auch, wenn wir weniger werden: Es ist gut, dass sich Menschen heute
frei für Gott und den Glauben entscheiden – oder ihren Weg anders wählen“. Es
gehörte zur Kostbarkeit des Glaubens dazu, dass er entlaste: „Wir werden den
Krisen, die unser Zusammenleben und die Zukunft unserer Erde bedrohen, eher
etwas entgegenhalten können, wenn wir den entspannten langen Atem des
Vertrauens auf Gott mit einbringen. Ja, auch in dieser Hinsicht gilt: Zukunft
hat der Mensch des Friedens.“
Der
104. Deutsche Katholikentag findet vom 13. bis 17. Mai 2026 in Würzburg statt.
Hinweis:
Die Dialogpredigt von Bischof Dr. Georg Bätzing und Dr. Juliane Eckstein im
Abschlussgottesdienst des 103. Deutschen Katholikentages 2024 ist unter
www.dbk.de verfügbar. Weitere Informationen zum Katholikentag unter www.katholikentag.de. Dbk 2
Bischof Jung: „Katholikentag darf
keine Blase sein“
Ein
Bischof schaut sich in Erfurt besonders genau um: Franz Jung. Der Würzburger
Bischof richtet nämlich den nächsten Katholikentag aus, in zwei Jahren. Wir
sprachen mit ihm darüber, was er anders und was er genauso machen will wie die
Thüringer.
Interview
Herr
Bischof, was werden Sie in Würzburg anders machen, und was werden Sie genauso
machen?
„Also
ich hoffe, dass in Würzburg genauso ein großes Fest der Begegnung und der
Freude stattfinden wird, wo man sich im Glauben bestärkt und natürlich auch
über die aktuellen Themen diskutiert. Aber natürlich ist das Setting ein ganz
anderes, und das ist, glaube ich, sehr spannend – jetzt noch mal den Vergleich
zwischen Erfurt und Würzburg. Wir haben in Würzburg eben eine lange, lange
katholische Tradition, wir sind ein Bistum mit vielen Traditionen, ein
Wallfahrtsbistum, wir haben viele Menschen, die sich engagieren in der Stadt,
in Ordensgemeinschaften, in den Verbänden, in den Studentenverbindungen (ein
ganz wichtiger Faktor in unserer Stadt), und von daher bin ich mal gespannt.
Auch, inwiefern das Gepräge dann auch ein anderes sein wird.“
Ein
Ortsbischof von weiter nördlich hat mir gesagt (aber nicht ins Mikrofon): ‚Das
ist ja eine Blase hier; also, bei mir wird sicher demnächst kein Katholikentag
stattfinden, das muss sich alles grundlegend ändern‘.
„Dass
das eine Blase hier sei, würde ich jetzt nicht sagen. Also, es ist eigentlich
alles da, was die katholische Welt zu bieten hat an Verbänden, an Auffassungen
theologischer Art, es wird gebetet, es wird diskutiert. Ich glaube, das ist das
große Gut eines solchen Katholikentages, und es wäre schade, wenn es zur Blase
käme. Ich glaube, dem sollten wir wehren - auf dass wirklich jeder eine Stimme
hat und auf dass man sich hier miteinander im Austausch auch noch mal fragt
‚Was sind deine Quellen, und wie soll Kirche sich weiterentwickeln? Sie wird
sich weiterentwickeln – hier im Osten dramatisch, bei uns auch, natürlich im
Umbruch…“
„Frauen-Diakonat:
Eine notwendige Diskussion“
Viel
gesprochen wurde in letzter Zeit über das Thema Frauendiakonat – nach diesem
Nein des Papstes, das etwas abrupt in einem Interview von ihm kam. Wie stehen
Sie dazu?
„Also
natürlich ist dieses Nein in dem Interview, das kann ich nachvollziehen, für
viele Leute verstörend. Wieso gibt es jetzt eine dritte Studiengruppe? Wieso
gibt es eine nächste Weltsynode und dann noch mal ein Jahr 2025, in dem diese
Ergebnisse vorgelegt werden sollen? Und wieso heißt es jetzt abrupt Nein? Also
dann fragt man sich natürlich: Ja, was soll das dann insgesamt? Von daher kann
ich die Irritation über diese Äußerung durchaus nachvollziehen. Ich glaube, es
ist eine notwendige Diskussion, die wir führen sollten. Ich glaube auch, dass
es ein Schritt wäre, der uns weiterführen könnte und jetzt auch nach einem
Besuch, den ich kürzlich bei unseren weltkirchlichen Partnern gemacht habe, sehr
interessant ist. Die haben ja damals von der Möglichkeit des Ständigen
Diakonats für Männer kaum Gebrauch gemacht. Das heißt, man hat ein Amt
geschaffen, hat es aber dann doch der Ortskirche überlassen, dieses Amt
einzuführen oder nicht. Das finde ich ein sehr interessantes Modell, darüber
habe ich oft nachdenken müssen aufgrund dieser kirchlichen Erfahrung. Warum
könnte das nicht auch hier in diesem Fall so sein, dass eine Möglichkeit eines
Amtes geschaffen wird, aber der Ortskirche dann die Freiheit gelassen wird,
diese Karte zu ziehen oder nicht? Ich fand, das ist eine sehr interessante
Parallele. Das hat mir sehr zu denken gegeben.“ (vn 1)
Papst an die Acli: Treue zur
Demokratie und Friedenstiftung sind notwendig
„Die
Loyalität zur Demokratie war schon immer ein Markenzeichen der christlichen
Gewerkschaften. Heute brauchen wir diesen Einsatz umso mehr. Demokratisch ist
die Gesellschaft, in der es wirklich einen Platz für jeden gibt, in der
Realität und nicht nur in Erklärungen und auf dem Papier.“ Mit diesen Worten
empfing Papst Franziskus an diesem Samstagmorgen die ACLI (Italienische
Christliche Arbeitnehmervereinigungen) in Audienz anlässlich ihres 80-jährigen
Bestehens. Mario Galgano - Vatikanstadt
In
seiner Ansprache hob der Papst die Bedeutung der Arbeit der katholischen
Gewerkschaften hervor, die „vor allem zur Unterstützung derjenigen geleistet
wird, die Gefahr laufen, an den Rand gedrängt zu werden: junge Menschen, für
die die Berufsbildungsinitiativen besonders bestimmt sind; Frauen, die oft
weiterhin unter Formen der Diskriminierung und Ungleichheit leiden; die
schwächsten Arbeitnehmer und Migranten, die in den ACLI jemanden finden, der
ihnen helfen kann, die Achtung ihrer Rechte zu erlangen; und schließlich die
älteren Menschen und die Rentner, die sich nur allzu leicht von der
Gesellschaft ‚ausrangiert‘ fühlen, was eine Ungerechtigkeit ist. Für diese
Menschen leisten Sie einen wichtigen Dienst, der nicht nur im Bereich der
Hilfeleistung bleiben darf, sondern die Würde jedes Einzelnen und die
Möglichkeit jedes Einzelnen, seine eigenen Ressourcen und seinen eigenen
Beitrag einzubringen, fördern muss“.
Papst:
Krieg ist nie „unvermeidlich“, Frieden immer möglich
In
einer Welt, „die durch so viele Kriege blutig ist“, wisse er, dass er mit den
katholischen Verbänden „das Engagement und das Gebet für den Frieden“ teile.
Deshalb sage er seinen Gästen mit Frohmut: „Lasst uns alle die Stimme einer
Kultur des Friedens sein, ein Raum, in dem bekräftigt wird, dass Krieg niemals
'unvermeidlich' ist, während Frieden immer möglich ist; und dass dies sowohl in
den Beziehungen zwischen den Staaten als auch im Leben der Familien, der
Gemeinschaften und am Arbeitsplatz gilt.“
Es
sei jedem offensichtlich, „dass unsere Welt von Konflikten und Spaltungen
geprägt ist“, und deshalb sei das „Zeugnis als Friedensstifter, als Fürsprecher
für den Frieden“ derzeit so notwendig und wertvoll „wie eh und je“, so
Franziskus weiter.
„Derjenige
baut den Frieden, der es versteht, eine klare Position zu beziehen, sich aber
gleichzeitig bemüht, Brücken zu bauen, den verschiedenen beteiligten Parteien
zuzuhören und sie zu verstehen, indem er den Dialog und die Versöhnung
fördert“, fügte er hinzu. „Für den Frieden einzutreten ist etwas, das weit über
einen bloßen politischen Kompromiss hinausgeht, denn es erfordert, sich selbst
aufs Spiel zu setzen und ein Risiko einzugehen.“ (vn 1)
Anselm Grün: Ein Signal der
Hoffnung
Anselm
Grün hofft, dass der Erfurter Katholikentag ein Signal der Hoffnung und der
Versöhnung in die deutsche Gesellschaft hineinfunkt. Das sagte der Benediktiner
und Bestsellerautor bei einem Besuch am Radio-Vatikan-Stand in Erfurt.
Das
„Eigentliche des Katholikentages“ besteht aus seiner Sicht darin, „dass die
Menschen eine Stärkung des Glaubens bekommen“. In dieser Hinsicht sei der
Katholikentag wichtig. „Denn heute gibt es fast eine Scham in der Gesellschaft,
davon zu sprechen, dass ich katholisch bin…“
Interview
Pater
Anselm, Sie sind einer der großen Bestsellerautoren im spirituell-religiösen
Bereich und erleben hier einen Katholikentag, dem viele vorwerfen: Das ist zu
politisch, das ist nicht religiös genug, da kommt der Glaube zu wenig vor. Was
ist denn Ihr Eindruck?
„Ich
bin nicht so lange beim Katholikentag, aber ich gehe vor allem zu diesen
Menschen, die spirituell sehr offen sind und interessiert. Die Presse betont
immer die politischen Aspekte, aber das Eigentliche des Katholikentages ist,
dass die Menschen eine Stärkung des Glaubens bekommen. Und das finde ich eine
wichtige Aufgabe! Denn heute gibt es fast eine Scham in der Gesellschaft, davon
zu sprechen, dass ich katholisch bin, und da brauchen die Menschen Ermutigung
und Gemeinschaft. Hier sind ganz viele Menschen, die lebendig sind, die offen
sind und die katholisch sind – das gibt einfach eine Stärkung. Und ich denke:
Dass die politischen Fragen nicht ausgeklammert werden, ist wichtig. Aber bei
den politischen Fragen besteht immer die Gefahr, dass man nur eine Show macht…“
„Der
Antisemitismus erstarkt immer dann, wenn die Menschen ihre eigenen Probleme
nicht selber anschauen, sondern sie auf andere projizieren“
Welches
Signal sollte aus Ihrer Sicht von Erfurt in die deutsche Gesellschaft ausgehen?
„Ein
Signal von Hoffnung – dass wir Hoffnung haben für unsere Gesellschaft. Und ein
Signal der Versöhnung – dass wir in dieser polarisierten Gesellschaft ein
Sauerteig der Versöhnung sind. Da hat die Kirche sicher in allen Gemeinden eine
ganz wichtige Aufgabe, Menschen verschiedener Kulturen zusammenzubringen und
ein Sauerteig der Hoffnung und der Versöhnung zu sein.“
Hoffnung
und Versöhnung sind sehr sperrige Begriffe in einem Moment, wo man diskutiert,
welche Waffen man wohin liefern sollte, mit welcher Reichweite, oder in dem
auch der Antisemitismus in Deutschland auf einmal wieder überraschend stark
ist.
„Der
Antisemitismus erstarkt ja immer dann, wenn die Menschen ihre eigenen Probleme
nicht selber anschauen, sondern sie auf andere projizieren. Und da ist es ganz
wichtig, dagegen anzugehen. Zu den Waffenlieferungen: Das ist sicher ein schwieriges
Thema. Es ist immer besser, zu verhandeln und Frieden zu stiften. Aber
gegenüber einem Aggressor, der kein Maß findet, muss man auch Grenzen setzen,
sonst würde man dem Bösen einfach Raum lassen. Das ist sicher nicht im Sinne
der christlichen Botschaft.“ (stefan v. kempis, vn
1)