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    Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania  - redazione: T. Bassanelli    - Webmaster: A. Caponegro  IMPRESSUM

 

Notiziario religioso 1-15 dicembre 2023

 

Inhaltsverzeichnis

1.     Vescovi europei, “annunciare il Vangelo in un’Europa sempre più tentata da secolarismo e nazionalismi populisti”. 1

2.     "L'annuncio è per l'oggi". Il cuore dell'Udienza generale in Aula Paolo VI 1

3.     Plenaria CCEE, qual è il ruolo del vescovo in una Chiesa sinodale?. 1

4.     Striscia di Gaza. Suor Saleh: “Sempre più cristiani vogliono emigrare”. 1

5.     In Germania, entro il 2040 i cristiani saranno la metà di oggi 1

6.     La riforma liturgica sessant’anni dopo. Mons. Busca: luci, ma anche ombre. 1

7.     Eletto il nuovo consiglio nazionale dei 200 giornali diocesani aderenti alla FISC, Ungaro il più votato. 1

8.     Papa Francesco, amici di Gesù "sono coloro che lo servono nelle persone più deboli". 1

9.     Sinodo in Germania, ora spunta anche una lettera del cardinale Parolin. 1

10.  Liturgia. Don Giardina (Cei): “Deve saper leggere le righe del cuore”. 1

11.  L'udienza ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017. 1

12.  Superiori e superiore generali. “Dare una voce unica alla vita religiosa”. 1

13.  Papa Francesco: “Sembra che le famiglie italiane preferiscano i cagnolini ai figli”. 1

14.  Udienza alla Fisc. Papa Francesco: “Urgente formare uomini capaci di relazioni sane”. 1

15.  Myanmar: mons. Kung (Hakha), “la guerra è un suicidio politico”. 1

16.  Formazione, tutela e testimonianza le linee guida per la stampa cattolica. 1

17.  Ritrovare il senso. 1

18.  Papa Francesco incontra israeliani e palestinesi. "Soffrono tanto, questo è terrorismo". 1

19.  Europa, cresce l’odio anti-cristiano. 1

20.  Papa Francesco: “La povertà è uno scandalo”. 1

21.  Papa Francesco: "Più veterinari che pediatri, non è un bel segnale". La replica: "Cani e gatti curano la solitudine". 1

22.  Battesimo, transessuali, coppie omogenitoriali 1

23.  Castagnata alla Missione di Kempten. 1

24.  Papa Francesco: “La fiducia libera, la paura paralizza”. 1

25.  Giornata mondiale dei poveri: mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi 1

26.  Giornata mondiale dei poveri. Centinaia di iniziative nelle diocesi italiane. 1

27.  Udienza ai medici: la sanità pubblica deve essere al servizio dei più deboli 1

28.  Una challenge per tutti 1

29.  Tutela dei minori: una cultura della cura e della protezione nella Chiesa. 1

30.  Francia, primi passi per il diritto all'aborto nella Costituzione. Il no dei vescovi 1

31.  Come è possibile scoprire Gesù nei poveri? “Bisogna conoscerli e parlarci". 1

 

 

1.     Zehn Jahre Gotteslob. Gesamtauflage von rund sieben Millionen Büchern. 1

2.     Misereor fordert weltweiten Ausstieg aus fossilen Energien. 1

3.     Absage: Papst Franziskus fliegt doch nicht nach Dubai 1

4.     Trotz Grippe: Papst hält Generalaudienz. 1

5.     Das globale Gemeinwohl als oberste Priorität. 1

6.     Sant'Egidio kritisiert Anwendung der Todesstrafe. 1

7.     D/Polen: Der schwierige Dialog. 1

8.     Für den Waffenstillstand der Gefühle: So blickt die Kirche auf den Nahost-Krieg. 1

9.     Papst zu Christkönig: Das Königtum Jesu ist Barmherzigkeit 1

10.  Bischof Fürst tritt zurück. 1

11.  Malta: Europas Bischöfe beraten über synodale Kirche. 1

12.  Ja zur Satzung des Synodalen Ausschusses. 1

13.  Papst an Erdbebenopfer: Aus Trümmern wächst Neues. 1

14.  Kirchenmitgliedschaft: ein Auslaufmodell?. 1

15.  Papst: Auf den Schrei der Armen hören, um Probleme der Menschheit zu lösen. 1

16.  Papst Franziskus kritisiert erneut Synodalen Weg. 1

17.  Der Papst auf der Datenautobahn. Udienz an FISC. 1

18.  Kirchen fordern Klimapass für Klimaflüchtlinge. 1

19.  Papst: Das Evangelium ist nicht für wenige Privilegierte. 1

20.  Papst traf Palästinenser und Israelis: Beide leiden sehr. 1

21.  Katholisches Büro in Berlin und die Debatte einer außerstrafrechtlichen Regelung des Schwangerschaftsabbruchs. 1

22.  Kurschus-Rücktritt: Verlust für die Ökumene. 1

23.  Nach dem Kurschus-Rücktritt leitet Kirsten Fehrs die EKD. 1

24.  Papst: „Sorge“ über deutschen Reformkurs. 1

25.  Hilfswerk missio. Neues Modell der Entwicklungs-Zusammenarbeit 1

26.  Rücktritt der Ratsvorsitzenden der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Präses Annette Kurschus. 1

27.  Papst am Welttag der Amen: Plädoyer für mehr Menschlichkeit 1

28.  Papst: Frieden ist möglich, nur Waffenfabrikanten verdienen am Krieg. 1

29.  Vatikan: Ökumene heißt, „mit den Augen des anderen zu sehen“. 1

30.  Papst: Missbrauch in der Kirche darf nicht vertuscht werden. 1

31.  Behütet - eine Herbst-Meditation. 1

32.  Warum der Friede unsere Gebete braucht 1

33.  Radio Vatikan-Adventsaktion: Mitmachen und gewinnen!. 1

34.  Italiens Bischöfe: 54 mutmaßliche Missbrauchsopfer 2022 gemeldet 1

35.  Das Projekt „Meet a Jew“. 1

36.  Siebter Welttag der Armen am 19. November 2023. 1

37.  Studie: Soziales Engagement der Kirchen bindet Gläubige. 1

38.  Zuppi: Nicht untätig bleiben angesichts des Krieges. 1

39.  Vatikan: Programm für nachhaltige Mobilität gestartet 1

40.  Kohlgraf: Deutsche Kirchenstudie zeigt ungeschminkt Probleme. 1

41.  Vatikan: Katholiken dürfen auch künftig nicht den Freimaurern beitreten. 1

 

 

 

 

Vescovi europei, “annunciare il Vangelo in un’Europa sempre più tentata da secolarismo e nazionalismi populisti”

 

Si è conclusa a Malta l’Assemblea plenaria del Ccee che ha riunito dal 27 al 30 novembre i presidenti delle Conferenze episcopali europee. “I vescovi europei – si legge nel comunicato finale - hanno guardato con preoccupazione agli scenari di guerra: quella in Ucraina che è giunta al suo secondo anno, la situazione in “Nagorno Karabakh” e il conflitto in Terrasanta, ribadendo il no alla guerra e rinnovando l’appello per un cessate il fuoco definitivo, perché si prosegua con la liberazione degli ostaggi e si tengano aperti i corridoi umanitari a Gaza”. M. Chiara Biagioni

 

(da Malta) “Annunciare in un’Europa sempre più tentata da secolarismo, fondamentalismo e nazionalismi populisti, la gioia del Vangelo che scaturisce dall’incontro con Cristo”. E’ l’evangelizzazione la “sfida più grande” della Chiesa nel continente europeo e a sottolinearlo sono i presidenti delle Conferenze episcopali europee nel comunicato finale diffuso oggi al termine dell’Assemblea Plenaria del Ccee. “I vescovi europei – si legge nel comunicato – hanno, anche, guardato con preoccupazione agli scenari di guerra: quella in Ucraina che è giunta al suo secondo anno, la situazione in “Nagorno Karabakh” e il conflitto in Terrasanta, ribadendo il no alla guerra e rinnovando l’appello per un cessate il fuoco definitivo, perché si prosegua con la liberazione degli ostaggi e si tengano aperti i corridoi umanitari a Gaza”. Era stato l’arcivescovo Gintaras Grušas, presidente del Ccee a delineare in apertura dei lavori alcune delle sfide del continente, mettendo in luce anche “l’impegno delle Chiese europee nella lotta agli abusi, ribadendo il dovere di contrastarli con azioni concrete ed efficaci di prevenzione”. Tra le sfide sono state indicate anche “la difesa della vita e della dignità umana, il protagonismo dei giovani, le nuove ondate migratorie, la persecuzione nascosta dei cristiani in Europa e le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale”.

“Quello che ci preoccupano di più sono le guerre, sia in Ucraina sia in Terra Santa sia in altri posti”, racconta al Sir, il presidente del Ccee, mons. Gintaras Grušas, a conclusione dell’assemblea. “Non siamo preoccupati solo noi. Tutto il mondo sta guardando con apprensione quanto sta accadendo. Il Papa parla spesso della guerra invitando alla preghiera, alla necessità del miracolo della pace. Dal punto di vista umano, non si vede via di uscita”. Di fronte a questo “stallo” politico ma anche esistenziale, mons. Grušas ripropone oggi il messaggio di San Giovanni Paolo II: “E’ Gesù la speranza dell’Europa”. E spiega: “Se cerchiamo i risultati solo a livello umano, vediamo solo la croce che portiamo. Dobbiamo alzare gli occhi al Signore. È Lui la pace, la speranza, la consolazione, soprattutto in questo momento di sofferenza”. Guerre, crisi economica, questione migratoria. “Sono tante le sfide che abbiamo di fronte in Europa e proprio per questo dobbiamo aiutare la nostra gente a guardare in alto. È questo sguardo che ha salvato tante persone nei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale in Germania e poi nei campi sovietici. Anche in quelle situazioni miserabili, c’è stato chi è riuscito ad alzare lo sguardo al cielo e avere una visione più ampia delle difficoltà di ogni giorno. Lo possiamo fare anche noi oggi”. Ma per farlo, l’Europa deve riappropriarsi di nuovo della fede cristiana. Mons. Grušas lo ammette: “L’altra preoccupazione è l’evangelizzazione del continente. Nella storia, l’Europa è stata la culla della cristianità e ha inviato missionari dappertutto. Adesso abbiamo bisogno di missionari nei nostri Paesi. In Africa, in altre parti del mondo, in Asia in particolare, la Chiesa sta crescendo mentre da noi stiamo diminuendo e questo ci chiede una missione di evangelizzazione”.

Al termine dell’Assemblea Plenaria dei presidenti delle Conferenze episcopali europee, all’unanimità, i vescovi hanno deliberato il trasferimento della sede del Ccee da San Gallo (Svizzera) a Roma nel corso del 2024. E’ quanto fa sapere il Ccee nel comunicato finale diffuso oggi, al termine dell’Assemblea plenaria che si è svolta a Malta dal 27 al 30 novembre. I vescovi hanno espresso “gratitudine alla Chiesa svizzera, e in particolare alla diocesi di san Gallo, per l’accoglienza e la generosità con cui hanno accompagnato il lavoro del Segretariato del Ccee in tutti questi anni”. I membri del Ccee hanno anche prorogato, per un altro anno, il mandato del Rev. Martin Michali?ek come segretario generale del Ccee, incarico a cui è stato chiamato nel 2018. La prossima assemblea plenaria si terrà a Belgrado dal 24 al 27 giugno 2024, su invito dell’arcivescovo Ladislav Nemet, Vice Presidente del Ccee. Sir 30

 

 

 

 

"L'annuncio è per l'oggi". Il cuore dell'Udienza generale in Aula Paolo VI

 

"Io ancora non sto bene, sarà Monsignor Ciampanelli a leggere le cose", dice il Papa durante l'Udienza generale del 29 novembre in Aula Paolo VI - Di Veronica Giacometti

 

Città del Vaticano. Papa Francesco torna in Aula Paolo VI per l'Udienza Generale. Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi "La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente", incentra la sua meditazione sul tema “L’annuncio è per l’oggi”. "L’annuncio cristiano è gioia ed è per tutti; vediamo oggi un terzo aspetto: esso è per l’oggi", inizia così la catechesi. Ma anche questa mattina, a causa dei suoi problemi di salute, Papa Francesco non ha letto il testo, ma ha affidato la lettura Monsignor Filippo Ciampanelli.

"Io ancora non sto bene, sarà Monsignor Ciampanelli a leggere le cose", dice lo stesso Papa Francesco. Il Papa a causa della infiammazione ai polmoni che lo ha colpito ha dovuto rinunciare al suo viaggio a Dubai per COP28.

"Si sente quasi sempre parlare male dell’oggi. Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni, crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione. In generale, l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto, con la sua capacità di risolvere molti problemi e i suoi giganteschi progressi in tanti campi. Ma al tempo stesso questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi rimane indietro", si legge nella catechesi.

"L’umanità parla una lingua sola – potremmo dire che ha un “pensiero unico” –, è come avvolta in una specie di incantesimo generale che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità", continua a leggere Monsignor Ciampanelli.

"Anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di sapere, ma soprattutto per un di più di potere", continua la catechesi.

"Lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono. Occorre stare nei crocevia dell’oggi. Uscire da essi significherebbe impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta. Frequentarli, invece, aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede «cose nuove e cose antiche", conclude la catechesi odierna.

Non manca l'appello per la pace anche durante questa udienza generale, in cui il Papa non è proprio al massimo della sua forma. Tanto da far leggere tutti i testi della catechesi a Monsignor Filippo Ciampanelli in Aula Paolo VI. Ma Francesco, con la sua voce, rivolge ancora una volta il suo pensiero ad Israele, Palestina e Ucraina.

"Continuiamo a pregare per la grave situazione in Israele e in Palestina. Pace per favore pace. Auspico che prosegua la tregua in corso a Gaza, affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari. Ho sentito la parrocchia lì, manca l'acqua, il pane, la gente soffre, la gente semplice, del popolo, non soffrono quelli che fanno la guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo il caro popolo ucraino, che soffre tanto ancora in guerra. La guerra sempre è una sconfitta, tutti perdono. Solo un gruppo guadagna tanto, i fabbricatori delle armi.", questo il pensiero di Papa Francesco che dice con forza.

"Stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’Anno liturgico, che ci invitano a considerare con sguardo di fede il tempo che passa. Abbiate sempre fiducia nella divina Provvidenza, che guida e accompagna i nostri passi", conclude Francesco.

Durante l'Udienza generale anche una breve esibizione di alcuni circensi partecipanti al Festival dei talenti circensi italiani. Papa Francesco assiste contento. Sono stati tanti gli artisti del circo che hanno partecipato alle udienze del mercoledì."Sono lieto di accogliere i partecipanti al Festival dei talenti circensi italiani, che ringrazio e incoraggio, auspicando che venga sempre più riconosciuto il valore sociale e culturale della loro attività - dice Francesco - Grazie per questo momento di gioia, il circo esprime dimensione anima umana, quello della gioia gratuita, la gioia semplice, fatta con la mistica del gioco, ci fanno ridere ma ci danno un esempio di allenamento molto forte, ringraziamo con un bell'applauso". Aci 29

 

 

 

 

Plenaria CCEE, qual è il ruolo del vescovo in una Chiesa sinodale?

 

Il Cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, affronta il tema del ruolo del vescovo. È ancora sinodo dei vescovi? E quale è il loro ministero? Di Andrea Gagliarducci

 

La Valletta. Il Sinodo dei vescovi è ancora Sinodo dei vescovi. Perché i vescovi hanno ancora una responsabilità cruciale nel percorso sinodale, sono chiamati ad aprire i processi, a fare da tramite con Roma, ad essere i corpi intermedi tra il Papa e le conferenze episcopali nazionali ma anche le tappe continentali del Sinodo, che il Papa ha voluto trasformare “da evento a processo”. Intervenuto alla plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa il 28 novembre, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, ha cercato di rispondere alle preoccupazioni avanzate da diversi vescovi sul loro ruolo in una Chiesa chiamata oggi ad essere nel percorso dell’ascolto.

Il tema del ruolo del vescovo è affrontato, dal Cardinale Grech, con un occhio attento alla Relazione di Sintesi del Sinodo. “Una Chiesa sinodale – dice non si contrappone a una Chiesa gerarchica, non mette in discussione il ministero ordinato, men che meno la struttura gerarchica della Chiesa”.

C’è piuttosto la necessità di una “modalità diversa di esercizio”, proprio nel processo sinodale. “Imprescindibile” è il ruolo dei vescovi nella prima fase del Sinodo, la partecipazione del popolo di Dio, perché a loro spetta di consultare la Chiesa. Anzi, il Cardinale Grech si riferisce anche a quanti hanno deciso di non avviare il processo nelle loro diocesi – pochi in realtà – e sottolinea che rifiutare la richiesta del Papa è “una scelta che contraddice la communio come principio di unità delle Chiese e dello stesso ministero episcopale”.

Il vescovo ha un ruolo anche a livello di conferenze episcopali, perché a queste “è stato richiesto, infatti, di offrire una sintesi dei contributi diocesani da inoltrare alla Segreteria del Sinodo”. I vescovi sono dunque chiamati a compiere discernimento.

Infine c’è il livello delle assemblee continentali, la cui celebrazione ha dimostrato – secondo la visione del Cardinale – come “sia possibile un discernimento ecclesiale fondato sul reciproco ascolto di pastori e fratelli e sorelle del Popolo di Dio”.

Ma il ruolo dei vescovi è diminuito nel Sinodo, dato che ormai nel Sinodo non hanno più diritto di voto solo vescovi, ma anche membri non vescovi e laici? Secondo Grech no, perché la presenza dei non vescovi era piuttosto la testimonianza di un cammino sinodale che “aveva coinvolto tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa”, ma questo non va in alcun modo a inficiare l’autorità del vescovo.

Anzi, aggiunge, i membri non vescovi saranno pienamente coinvolti nella terza fase, quella della restituzione, ovvero del ritorno dei documenti del Sinodo nelle diocesi per l’implementazione, ed è lì che il vescovo “ricevendo questi documenti è chiamato a garantire la circolarità tra Chiese particolari e Chiesa universale”.

Conclude il Cardinale: “Entrare in questo dinamismo sinodale significa scoprire le forme di esercizio di un ministero episcopale in chiave sinodale e dare finalmente volto al Vescovo sinodale. Ne guadagnerà la Chiesa tutta e ogni singola Chiesa; ogni Vescovo e il Collegio; il ministero episcopale e il ministero petrino, che nel processo sinodale può finalmente «trovare una forma di esercizio del primato che, senza rinunciare in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova»”. Quest’ultima frase è una citazione della Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II.

La plenaria del CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa) si tiene a Malta dal 27 al 30 novembre. Vi partecipano i presidenti di 33 conferenze episcopali più sei rappresentanti di diocesi nazionali senza conferenza episcopale o rappresentanti di una realtà particolare. Aci 29

 

 

 

 

Striscia di Gaza. Suor Saleh: “Sempre più cristiani vogliono emigrare”

 

Sono le ultime ore di tregua a Gaza. I cristiani sfollati nella parrocchia latina hanno potuto in questi ultimi tre giorni uscire dal complesso parrocchiale per andare a vedere ciò che resta delle loro abitazioni e per reperire cibo, acqua, medicine, carburante. Davanti a tanta distruzione sale, nella già piccola comunità ecclesiale, la voglia di emigrare all'estero, racconta suor Nabila Saleh - Daniele Rocchi

 

“Oggi ringraziamo Dio perché tra Israele e Palestina c’è finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo siano al più presto tutti – pensiamo alle loro famiglie! –, che entrino a Gaza più aiuti umanitari e che si insista nel dialogo: è l’unica via, l’unica via per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole la pace”.

Le parole di Papa Francesco, all’Angelus di ieri, lette da mons. Paolo Braida, capo ufficio della Segreteria di Stato, dalla cappella di Casa Santa Marta a causa di una sindrome influenzale del Pontefice, hanno raggiunto la comunità cristiana di Gaza. Un ricordo continuo, quello del Papa, alimentato anche da “telefonate quotidiane” alla parrocchia della Sacra Famiglia, come ricorda al Sir suor Nabila Saleh.

Voglia di emigrare. “In questi giorni di tregua – dichiara la religiosa che si trova nella parrocchia latina di Gaza con altri 700 sfollati – i nostri cristiani sono usciti, per la prima volta dallo scoppio della guerra, dalla parrocchia per tornare finalmente nelle loro abitazioni e verificarne lo stato. Purtroppo tutti hanno avuto le case bombardate e distrutte. Anche per questo motivo – rivela – molti stanno pensando di emigrare. Questa guerra sta minando la loro volontà di restare a Gaza e sono già tanti coloro che hanno deciso di emigrare. L’Australia è una delle mete più ambite”. Una scelta che poggia sulla decisione, assunta recentemente dal Governo australiano, di approvare, tra il 7 ottobre e il 20 novembre, più di 800 visti per i palestinesi e oltre 1.700 per i cittadini israeliani. Si tratta di un visto turistico, rilasciato previo approfondito controllo di sicurezza, che consente l’ingresso temporaneo fino a 12 mesi. Analoga decisione l’Australia l’aveva assunta per 3.000 visti turistici a cittadini ucraini (tra il 23 febbraio e l’11 marzo 2022), dopo l’invasione russa e per 5.000 afghani (tra il 18 agosto e il 20 settembre 2021), dopo il ritiro degli Stati Uniti dal Paese e il ritorno al potere dei talebani. “Se la guerra non finirà subito – rimarca suor Saleh – il rischio che Gaza resti senza la già piccola comunità cristiana (poco più di 1000 fedeli, ndr.) è molto concreto e sarebbe una grave perdita per tutta la Striscia”.

Ultimo giorno di tregua. Oggi, 27 novembre, la tregua entra nel suo quarto, e probabilmente, ultimo giorno e, spiega suor Saleh, “migliaia di gazawi tenteranno ancora di rientrare in casa anche per cercare di prendere oggetti e effetti personali, ma soprattutto per reperire cibo, acqua, gas, carburante”, dopo che da venerdì scorso circa 350 mezzi, con aiuti umanitari, sono entrati dal valico di Rafah nella Striscia. Numeri che, sostiene la suora, “non sono sufficienti a soddisfare i bisogni della popolazione stremata dalla guerra. Inoltre non a tutti sarà possibile andare a vedere perché – ricorda – ci sono dei quartieri cosiddetti ‘rossi’, controllati dai carri armati israeliani, che impediscono a chiunque l’accesso”.

Natale senza luci. In mezzo a tanta distruzione, aggiunge la religiosa, “ora è davvero difficile guardare al prossimo Natale. Non avremo luci e feste per la nascita di Gesù, ma lo celebreremo solo in chiesa con la Messa” in linea con la richiesta dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Gerusalemme, datata 10 novembre, al clero e ai fedeli, di rinunciare a “tutte le attività e segni festivi non necessari e di concentrarsi maggiormente sul significato spirituale del Natale, ponendo attenzione ai nostri fratelli e sorelle colpiti da questa guerra e dalle sue conseguenze, e a elevare ferventi preghiere per una pace giusta e duratura per la nostra amata Terra Santa”. La comunità sfollata in parrocchia si appresta a vivere il tempo di Avvento con una sola preghiera: “il dono della pace e della giustizia”. “Celebreremo il Natale tutti insieme in parrocchia” afferma suor Nabila consapevole che, “restando queste le condizioni”, non ci saranno né la visita del patriarca, né visti natalizi di Israele per i cristiani della Striscia, necessari per recarsi a Gerusalemme e Betlemme a pregare e a trovare i familiari. Alla comunità cristiana di Gaza non resterà che affidarsi alle notizie che arriveranno da una Betlemme deserta e priva di luci, dove sabato 2 dicembre, vigilia di Avvento, farà il suo ‘ingresso’, in un clima di silenzio, il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton. Il 24 dicembre sarà la volta del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa che, come tradizione, celebrerà la Messa di Mezzanotte alla presenza dei rappresentanti diplomatici e, salvo cambiamenti, del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen.

Sir 27

 

 

 

In Germania, entro il 2040 i cristiani saranno la metà di oggi

 

Lo rivela uno studio della Chiesa Evangelica e Cattolica che rivede al ribasso le stime di quattro anni fa - Di Giacomo König

 

Francoforte. L’adesione dei tedeschi alla religione cristiana scende in picchiata. E più velocemente di quanto preventivato.

Nel maggio del 2019 uno studio del Centro di ricerca di Friburgo per i contratti intergenerazionali calcolava il dimezzamento dei cristiani in Germania – con il conseguente taglio delle entrate delle due chiese, evangelica e cattolica, dovuto agli abbandoni - entro il 2060. Secondo questi vecchi dati insomma, entro il 2060 il numero dei protestanti sarebbe dovuto scendere dagli attuali 21,5 milioni a 10,5 milioni, mentre il numero dei cattolici da oltre 23 milioni a 12,3 milioni.

Oggi scopriamo che la previsione “nera”, non era abbastanza pessimistica. Il sesto Sondaggio sull'appartenenza alla chiesa condotto dalla Chiesa evangelica in Germania, realizzato tra ottobre e dicembre 2022 su un campione di 5.282 persone (di confessione evangelica e, per la prima volta, anche cattolica) rivede pesantemente al ribasso queste stime. Il sondaggio, che viene pubblicato ogni dieci anni dal 1972, è stato condotto sotto la direzione dell'Istituto di Scienze Sociali della Chiesa Evangelica Tedesca, e per la prima volta è stata coinvolta la Conferenza Episcopale Tedesca.

L'indagine conclude che quel dimezzamento del numero di cristiani che quattro anni fa veniva previsto entro il 2060, sarà probabilmente raggiunto già entro il 2040. Solo il 27% dei cattolici intervistati esclude attualmente di lasciare la Chiesa. La percentuale dei protestanti è del 35%.

Già alla fine di questo decennio dunque le persone con un legame religioso-confessionale con le due chiese scenderanno sotto al 50 per cento della popolazione e diventeranno minoranza nel Paese. Secondo lo studio, oggi i cristiani in Germania superano appena questo 50 per cento. Solo se si contano insieme i membri di tutte le denominazioni cristiane, comprese le chiese ortodosse e libere, alla fine del 2022 essi rappresentavano il 52% della popolazione.

L’attaccamento alla propria chiesa di appartenenza si affievolisce bruscamente tra gli intervistati. Ed è la Chiesa cattolica a registrare i risultati peggiori. Il 31% dei membri di Chiesa protestante afferma che il senso di attaccamento alla propria chiesa è diminuito rispetto al passato, mentre solo il 9% riferisce di un rafforzamento. Tra i cattolici ben il 62% ha riferito un calo del senso di attaccamento, mentre solo il 4% ha segnalato un aumento. Dato che non sorprende, dato il numero altissimo di persone (522.821) che l'anno scorso hanno lasciato la Chiesa cattolica, un nuovo record di abbandono presto destinato ad essere surclassato. Paradossalmente, le cose vanno un po’ meglio quando gli intervistati sono tedeschi della ex Germania dell’Est. L'82% (protestanti) e il 64% (cattolici) dei cristiani della ex Repubblica Democratica Tedesca si sentono molto più legati alle rispettive chiese rispetto ai membri della chiesa occidentale (64% protestanti, 57% cattolici).

In drammatico calo anche la fiducia risposta nelle due rispettive chiese. Anche qui è la Chiesa cattolica a subire le “perdite” più consistenti. Dovendo esprimere su una scala da 1 a 7 (dove 1 rappresenta “nessuna fiducia” e 7 “fiducia molto alta”), gli intervistati hanno attestato la fiducia nella Chiesa cattolica a 2,3, e quella nella Chiesa protestante a 3,3. Tra i cattolici, la Chiesa protestante (3,7) gode di maggiore fiducia rispetto alla propria Chiesa (3,3). Diversi i motivi addotti da protestanti e cattolici di questa perdita di fiducia. Mentre tra i protestanti sono i concetti di “religione” e “chiesa” a perdere significato, tra i cattolici prevale un sentimento di rabbia nei confronti dei collaboratori della Chiesa, la disparità di trattamento delle donne, le strutture antidemocratiche e gli scandali ecclesiastici. Aci 27

 

 

 

 

La riforma liturgica sessant’anni dopo. Mons. Busca: luci, ma anche ombre

 

Luci e ombre. Forse più le prime. Ma il bilancio della riforma liturgica, a 60 anni dal varo della Sacrosantum Concilium (SC) il documento conciliare che la codificò, e a 50 dalla nascita dell’Ufficio liturgico nazionale, è ricca di spunti di riflessione. Come dice il vescovo di Mantova e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, Gianmarco Busca, al termine del convegno organizzato proprio dall’Uln per fare il punto sull’applicazione della riforma in Italia  - Mimmo Muolo, Avvenire

 

Luci e ombre. Forse più le prime. Ma il bilancio della riforma liturgica, a 60 anni dal varo della Sacrosantum Concilium (SC) il documento conciliare che la codificò, e a 50 dalla nascita dell’Ufficio liturgico nazionale (Uln), è ricca di spunti di riflessione. Come dice il vescovo di Mantova e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, Gianmarco Busca, al termine del convegno organizzato proprio dall’Uln per fare il punto sull’applicazione della riforma in Italia.

Che cosa è emerso?

Diciamo subito, e questo vale non solo per l’Italia ma per tutto il mondo, che la riforma non poteva ritenersi conclusa solo con la pubblicazione di nuovi libri liturgici. Doveva maturare pian piano una capacità celebrativa che andava di pari passo con l’esperienza di fede dei credenti e delle comunità e che chiedeva di essere rinnovata alla luce del primato della Parola e di una nuova profezia della Chiesa rispetto alle sfide storiche. Per fare un bilancio onesto, con luci e ombre, dobbiamo inserirlo nel cammino della Chiesa uscita dal Concilio. Per restringere il campo all’Italia, sicuramente c’è stato un grande lavoro di adattamento della SC alla nostra cultura e ai nostri tempi.

Che cosa ha funzionato e cosa bisogna invece migliorare?

Gli impulsi dati dalla riforma liturgica erano di qualità alta. Ma era richiesta anche un’alta qualità delle nostre comunità cristiane, che invece hanno conosciuto un ridimensionamento non solo numerico, ma anche, oserei dire, di spessore della vita cristiana. Non tutta la produzione liturgica – penso ai canti – è stata di buona qualità. Talvolta è stato spacciato per bello quello che non era corretto per i contenuti o i linguaggi. C’è stata inoltre qualche difficoltà nella trascrizione dei modelli celebrativi concreti delle grandi ispirazioni della riforma. Abilitare al celebrare non è qualcosa che avviene a tavolino o immediatamente. Ci sono stati tentativi poco felici di rendere la liturgia più fruibile, talvolta l’eccesso di verbosità ha rischiato di trasferire i linguaggi della catechesi dentro il rito. Così come una sorta di autoreferenzialità dei celebranti non ha permesso di aprirsi all’incontro con Dio. In sostanza, le premesse buone della riforma restano. Ma siamo più consapevoli che non abbiamo avuto cantieri celebrativi, cioè esperienze paradigmatiche, sempre all’altezza dei modelli.

Fra le luci c’è chi colloca la ritrovata forza della Parola di Dio.

Certamente. La mensa della Parola ha oggi un proprio peso e ben superiore a prima, quando nemmeno si comprendeva nella propria lingua la Parola. Ma c’è il rischio anche qui che l’elemento didascalico, di spiegazione (ad esempio nel momento omiletico) prenda il sopravvento sulla Parola di Dio sacramentale, che è presenza del Cristo che parla. Dunque si è capito che Bibbia e liturgia sono un binomio imprescindibile per l’esperienza cristiana. Il loro rapporto chiede di essere meglio focalizzato nella predicazione, ma non solo.

Fra le ombre invece c’è chi pone l’attutirsi del senso del mistero.

In effetti è una notazione che abbiamo raccolto anche da alcune sintesi del cammino sinodale della Chiesa italiana. La questione di fondo è se le liturgie sono vive, capaci di evangelizzarci, e di aprirci all’incontro con Dio. Indubbiamente ci sono stati degli equivoci intorno alla actuosa partecipatio, alla partecipazione attiva, che spesso è stata banalmente ridotta al far fare a tutti qualcosa, mentre invece nella mens della SC l’idea è che sia una partecipazione intensa coinvolgente. La liturgia implica uno scatto, il passaggio di una soglia, l’ingresso in un mondo altro che è quello dell’umano trasfigurato dal divino. Perciò il silenzio, l’adoperare un linguaggio diverso da quello della strada restano fondamentali.

Nel convegno si è parlato di una liturgia in uscita per una Chiesa in uscita. Che cosa significa?

Significa una liturgia non autoreferenziale che ci proietta in un sacro separato, ma che è capace di ospitare il realismo della dimensione umana anche con il suo risvolto drammatico. Ad esempio, sarebbe una liturgia solo in entrata quella che cura una resa puramente estetica. La liturgia cristiana invece si fa  carico anche della non bellezza, dell’esperienza del male, del peccato, dell’incompiutezza.  Nel rito entra la vita e la vita deve entrare nel rito in una osmosi continua dei vissuti portati all’altare e deposti davanti a Dio. Penso, ad esempio, ai Salmi, che sono l’anatomia dell’animo umano anche nella sua drammaticità, ma sempre in dialogo con il Signore.  Quindi in definitiva una liturgia in uscita è quella che è capace di registrare questi vissuti umani e riesce a renderli in entrata rispetto alla misericordia di Dio, alla redenzione di Cristo, alla sua croce e risurrezione.

Lei accennava prima alla musica. C’è stata una relazione in questi giorni che ricordava il cammino fatto negli ultimi anni, dalla musica beat in poi. Qual è lo stile più adatto oggi per la musica liturgica?

Occorre una musica di qualità con testi e contenuti adeguati. Perché la musica liturgica non è un apparato esteriore o decorativo. È liturgia vera e propria, è preghiera cantata, professione di fede. Fides canora, diceva sant’Ambrogio. In altri termini fede tradotta in canto. Non tutti i linguaggi musicali sono adeguati a esprimere il mistero. Occorre anche un filtro critico. Ma d’altra parte si è consapevoli che, se il popolo canta, questa è la vera solennità. Il linguaggio musicale del canto rappresenta una risorsa notevole per emozionare; dunque, per aprire il contatto con il mistero. E questo deve orientare nella ricerca degli stili. Se si canta in gregoriano, tutti immaginiamo quasi di trovarci in un monastero. Ora, la domanda è quali stili musicali sono veramente capaci di veicolare l’esperienza del mistero cristiano. Quindi occorre preparazione tecnica da parte di chi suona e canta e sensibilità nel comprendere come le espressioni musicali possano indurre all’immersione nel mistero. Sir 27

 

 

 

 

Eletto il nuovo consiglio nazionale dei 200 giornali diocesani aderenti alla FISC, Ungaro il più votato

 

Dal 23 al 25 novembre i direttori dei 200 giornali diocesani appartenenti alla Federazione Italiana dei Settimanali cattolici si sono ritrovati a Roma per la XX Assemblea nazionale elettiva ordinaria sul tema “La Fisc: una voce a servizio del Paese. Informazione, cultura e sinodalità”.

Un momento di incontro, di verifica e di confronto in cui i rappresentanti delle testate sparse sul territorio nazionale hanno eletto i loro rappresentanti al Consiglio nazionale della Federazione.

Nella mattinata di giovedì 23 novembre, i membri della Fisc, insieme a quelli di Uspi, delle Associazioni Corallo e Aiart, sono stati ricevuti in udienza da Papa Francesco.

«Vi occupate di stampa, televisione, radio e nuove tecnologie, con un impegno a educare ai media i lettori e gli utenti – ha detto Francesco –. Il vostro radicamento capillare testimonia il desiderio di raggiungere le persone con attenzione e vicinanza, con umanità. Anzi, direi che ben rappresentate quella geografia umana che anima il territorio italiano. Negli ultimi anni diverse innovazioni hanno interessato il vostro settore e per questo è necessario rinnovare sempre l’impegno per la promozione della dignità delle persone, per la giustizia e la verità, per la legalità e la corresponsabilità educativa».

Di qui l’invito a «non perdere di vista, nel contesto delle grandi autostrade comunicative di oggi, sempre più veloci e intasate, tre sentieri, che è bene non perdere di vista e che vanno sempre percorsi: formazione, tutela e testimonianza».

Nel pomeriggio l’apertura dei lavori con l’intervento di mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei. «I nostri giornali sono laboratori di corresponsabilità – ha detto mons. Baturi nel suo intervento –, perché operano quotidianamente l’ascolto e il discernimento, il racconto e la lettura di fede, a servizio di tutta la comunità. La vostra azione è aperta a servizio delle Chiese e delle comunità che abitano i nostri territori. La corresponsabilità informativa diventa specchio per l’agire ecclesiale». «Sottoscrivere un nuovo ‘patto’ con le Chiese locali volto a ribadire il ruolo che il settimanale diocesano ha al loro interno. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra è una Federazione di direttori, rappresentanti degli editori. E come direttori dobbiamo farci carico di pensare per aiutare le nostre Chiese a pensare, mettendo al centro del dibattito i temi della Chiesa e quelli dei territori”. Ha sottolineato Mauro Ungaro, direttore del settimanale diocesano di Gorizia “Voce Isontina” e presidente uscente della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), nella sua relazione di apertura all’Assemblea.

Il secondo giorno dei lavori è stato caratterizzato dalla testimonianza di padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, «Gaza è completamente distrutta – ha spiegato -. I nostri cristiani si sono radunati nel convento latino. 700 persone al freddo, senza medicine, mangiare e bere. 18 persone sono morte a causa di un bombardamento: 9 donne e 9 uomini. Tutti hanno perso la casa».

Il vicario della Custodia di Terra Santa ha descritto la situazione a Gerusalemme dove, come nel resto della Terra Santa, è cambiato tutto. «In Terra Santa esiste un prima del 7 ottobre e un dopo il 7 ottobre, come l’11 settembre per gli Stati Uniti. La gente ha paura di uscire, non c’è nessuno per strada. Aree chiuse per motivi di sicurezza. Persone spaventate. Bambini musulmani che hanno paura che il padre possa andare a pregare nella moschea, perché potrebbe essere ucciso». Una situazione simile a quella di Betlemme: «È una città morta, chiusa, vuota, deserta. Entrare ed uscire è difficilissimo».

A seguire l’incontro con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. «L’Europa è stata unita quando le sue radici erano quelle cristiane – ha detto Mantovano –. Il fallimento è iniziato nel 2004, quando ha iniziato il dissociarsi dall’appello di Giovanni Paolo II di fare riferimento alle radici cristiane. Una delle concause del conflitto che oggi è in terra europea, perché l’Ucraina è in terra europea, deriva dal fatto che si sono privati i cittadini europei della loro consapevolezza cristiana. Oggi si scontrano popoli che hanno origini cristiane”. Mantovano ha parlato prima di tutto di migrazioni, ribadendo la linea del governo Meloni, compresi i campi previsti in Albania, invitato poi dal presidente della Fisc, Mauro Ungaro, a trattare il tema Europa ed elezioni. «L’Europa deve riscoprire le ragioni della propria unità e per farlo, oltre che andare alle sue radici, deve andare alla sostanza. Trovo schizofrenico che ci siano lunghissime discussioni sulla cosiddetta carne sintetica e, con eguale profondità, che non si parli di immigrazione, che dovrebbe essere una delle priorità», ha dichiarato Mantovano aggiungendo: «Trovo distante dalla realtà che oggi sia molto probabile il ristabilimento del patto di stabilità, dopo le ricadute della pandemia e della guerra. Sembra che le regole vengano prima delle esigenze dei popoli. Le regole sono indispensabili ma l’interesse dei popoli è quello di non essere schiacciati dalle regole. Questo è il nocciolo delle elezioni europee». Unirsi intorno a ciò che è veramente importante, questo è l’invito del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha toccato anche argomenti come famiglia, scuola e giovani, definendole “tre realtà in via d’estinzione”, data la scarsa natalità e ribadendo l’impegno in tal senso del governo con la finanziaria, limitata dalle scarse risorse, fiaccate da male gestioni precedenti. Per Mantovano è necessario un cambio di paradigma, dove mettere al mondo un figlio è uno sguardo al futuro, una speranza, e dove dire no ai figli un metodo educativo passato da riscoprire per evitare anche omicidi come l’ultimo femminicidio saltato alla cronaca. “La comunità cristiana dovrebbe recuperare la capacità di dire no”, ha concluso.

Nella serata di venerdì si sono tenute le consultazioni elettorali che si è conclusa con l’elezione del nuovo Consiglio nazionale per il quadriennio 2024/2027: Walter Lamberti, Fabrizio Frattini, Maria Grazia Olivero (circoscrizione nord ovest); Mauro Ungaro, Martina Pacini, Daniela Verlicchi (circoscrizione nord est); Simone Incicco, Alessandro Paone (circoscrizione centro); Davide Imeneo Davide, Maria Saveria Gigliotti (circoscrizione sud). Inoltre, risultano eletti tra i più votati: Mariangela Parisi, Lorenzo Rinaldi, Emanuele Occhipinti, Giampaolo Atzei, Massimiliano Firreri, Luca Bortoli.

I delegati regionali eletti sono: Beatrice Testadiferro (Marche), Sabrina Penteriani (Lombardia), Roberto Comparetti (Sardegna), Mario Manini (Umbria), Costantino Coros (Lazio), don Doriano Vincenzo De Luca (Campania), Domenico Mugnaini (Toscana), Jurij Paljk (Triveneto), Marilisa Della Monica (Sicilia), don Enzo Gabrieli (Calabria e Basilicata), Luigi Lamma (Emilia Romagna), Chiara Genisio (Piemonte), don Oronzo Marraffa (Puglia), Domenico De Simone (Abruzzo e Molise), Raffaele Iaria (giornali esteri).

Il più votato in assemblea è stato il Presidente uscente Mauro Ungaro. Fisc 27

 

 

 

 

Papa Francesco, amici di Gesù "sono coloro che lo servono nelle persone più deboli"

 

La festa di Cristo Re del’Universo ricorda che Cristo è un re diverso da qualunque altro, sensibile ai più deboli, dice Papa Francesco - Di Andrea Gagliarducci

 

Città del Vaticano. Papa Francesco non si affaccia dalla finestra del suo studio, e nemmeno legge la catechesi prima dell'Angelus né gli appelli dopo. Li legge monsignor Paolo Braida, l'officiale della Segreteria di Stato che - dice il Papa - "le conosce bene, perché è lui che le fa". 

Nella riflessione letta, viene spiegato che Cristo è Re dell’Universo. Ma è un re “completamente diverso”, un re che “chiama i poveri fratelli, che si identifica con gli affamati, con gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati. Nella festa di Cristo Re dell’Universo, che conclude l’anno liturgico – sarà Avvento dalla prossima settimana – ed è, per volontà di Papa Francesco, anche celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù a livello locale.

È forse la prima domenica di vero inverno a Roma, e da ieri un vento sferzante ha colpito la capitale. Ma il Papa non si affaccia dalla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico secondo programma, ma recita per la prima volta l’Angelus dalla cappella di Domus Sanctae Marthae, dove all’inizio del pontificato e fino a tutta la pandemia ha celebrato Messa oggni mattina. Non era mai successo, nemmeno durante la pandemia, quando il Papa non si affacciava dalla finestra del suo studio, ma recitava l'Angelus comunque dal Palazzo Apostolico. Ieri, il Papa ha annullato tutte le udienze per una lieve forma influenzale, e si è sottoposto ad una tac per controllare una eventuale polmonite, che ha dato esito negativo.

Il Papa introduce la catechesi con il volto e la voce affaticati, e anche quando guida la preghiera a volte è interrotto da qualche spasmo di tosse.

Il Vangelo del giorno è quello in cui Gesù, Figlio dell’Uomo, è seduto su un trono, tutti i popoli radunati ai suoi piedi, tra i quali i “benedetti”, ovvero gli amici del re. E questi dovrebbero essere, secondo i criteri del mondo, essere “quelli che gli hanno dato ricchezze e potere, che lo hanno aiutato a conquistare territori, a vincere battaglie, a farsi grande fra gli altri sovrani, magari a comparire come una star sulle prime pagine dei giornali o sui social”.

Non è così per Gesù. Per Gesù gli amici sono “coloro che lo hanno servito nelle persone più deboli”, e questo perché il Figlio dell’Uomo è un re “completamente diverso”, ed è “sensibile al problema della fame, al bisogno di una casa, alla malattia e alla prigionia”. È una realtà, annota Papa Francesco, “purtroppo sempre attuale”, perché “affamati, persone senza tetto, spesso vestite come possono, affollano le nostre strade: le incontriamo ogni giorno” e “anche per ciò che riguarda infermità e carcere, tutti sappiamo cosa voglia dire essere malati, commettere errori e pagarne le conseguenze”.

Quello che insegna il Vangelo – sottolinea Papa Francesco – è che “si è benedetti se si risponde a queste povertà con amore, e col servizio”, vale a dire “non voltandosi da parte”, ma “facendosi vicini a chi è nel bisogno”, e questo perché “Gesù, il nostro Re che si definisce Figlio dell’uomo, ha le sue sorelle e i suoi fratelli prediletti nelle donne e negli uomini più fragili”.

Così la sala regale del re è lì dove c’è chi soffre e ha bisogno di aiuto, ed è questo “lo stile con cui sono chiamati a distinguersi i suoi amici”, ovvero lo stile della “compassione, la misericordia e la tenerezza”, qualità che “nobilitano il cuore e scendono come olio sulle piaghe di chi è ferito nella vita”.

Come sempre, Papa Francesco invita anche a riportare questi insegnamenti nella vita, con una serie di domande che servono all’esame di coscienza, e in particolare una: “io sono amico del Re, mi sento cioè coinvolto in prima persona nei bisogni dei sofferenti che trovo sulla mia strada?”

Al termine dell’Angelus, gli appelli, letti ancora da monsignor Braida. Papa Francesco ricorda che si celebra la Giornata Mondiale della Gioventù a livello locale, sul tema “Lieti nella speranza” e abbraccia “i giovani presente e futuro del mondo e gli incoraggio ad essere protagonisti gioiosi della vita Chiesa”.

Quindi, ha ricordato il novantesimo anniversario dell’Holodomor, il genocidio perpetrato dal regime sovietico. Quella ferita è resa ancora più dolorosa dalle atrocità della guerra che continua a far soffrire quel dilaniato popolo”. 

Ha sottolineato che “la preghiera “spezza il circolo della vendetta” e apre vie insperate di pace, ringraziato Dio per la tregua in Terrasanta e per la liberazione di alcuni prigionieri, auspicando che se ne liberino altri. Il Papa ha quindi esortato che “entrino a Gaza più aiuti umanitari” e che “si insista nel dialogo. Unica via per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole pace”.

Il Papa ha infine confermato il suo viaggio a Dubai del prossimo fine settimana, notando che il “pericolo climatico mette a rischio la vita sulla terra, specialmente le future generazioni ed è contrario al progetto di Dio” aci 26

 

 

 

Sinodo in Germania, ora spunta anche una lettera del cardinale Parolin

 

Il Tagepost pubblica un testo del 23 ottobre scorso - Di Angela Ambrogetti

 

Berlino. Una settimana fa Papa Francesco aveva scritto in una lettera quello che pensava di certe derive del "Cammino sinodale" della Chiesa cattolica in Germania.

Ora grazie a CNA Deutsch, il partner di notizie in lingua tedesca di CNA, conosciamo anche una lettera del 23 ottobre scritta dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e indirizzata al Segretario generale della Conferenza episcopale tedesca, Beate Gilles, che è stata condivisa con tutti i vescovi tedeschi.

La lettera del Cardinale Parolin che si occupa per mandato del Papa del Sinodo in Germania è stata pubblicata il 24 novembre dal quotidiano Tagespost.

La lettera ricorda che in Vaticano è in corso il Sinodo sulla sinodalità e "considerando il corso della cammino sinodale in Germanio finora, bisogna prima rendersi conto che si sta svolgendo una via sinodale universale, convocata dal Santo Padre" ed è "quindi necessario rispettare questo percorso della Chiesa universale ed evitare l'impressione che siano in corso iniziative parallele che sono indifferenti allo sforzo di "viaggio insieme".

Sul tema del sacerdozio femminile verso il quale spinge il "Sinodo" in Germania la lettera ha ricordato ai vescovi tedeschi che Papa Francesco ha ripetutamente e "espressamente riaffermato" ciò che Papa Giovanni Paolo II scrisse in Ordinatio Sacerdotalis che la Chiesa non aveva "nessuna autorità di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne".

La lettera cita Papa Francesco  sull'importanza di riconoscere il ruolo e la dignità delle donne - dato che "una donna, Maria, è più importante dei vescovi", come ha detto il Papa in Evangelii Gaudium - la lettera ha anche avvertito di "conseguenze disciplinari" per coloro che contravvengono alla dottrina, compresa la potenziale scomunica per "tentativo di ordinare una donna".

A proposito della questione omosessuale nella lettera di Parolin si legge che questa è "un'altra questione su cui una Chiesa locale non ha la possibilità di avere una visione diversa". e aggiunge: "Perché anche se si riconosce che da un punto di vista soggettivo ci possono essere vari fattori che ci chiedono di non giudicare le persone, questo non cambia in alcun modo la valutazione della moralità oggettiva di questi atti".

La nota del Vaticano fa anche riferimento alla lettera del 2019 di Papa Francesco ai cattolici in Germania. In esso, il Papa ha messo in guardia contro "il grande peccato della mondanità e dello spirito mondano anti-evangelico".

Intanto sul sito della Conferenza episcopale tedesca le ultime notizie sul " Cammino" sono del 16 novembre con la costituzione della Commissione sinodale di cui il Vaticano ha negato il diritto all'esistenza. 

E intanto i capi dei dicasteri per la Dottrina della fede, per la pPromozione dell'unità dei cristiani, per i Vescovi, per la disciplina dei Sacramenti e per i Testi legislativi hanno in programma degli incontri con i  rappresentanti dei vescovi tedeschi a gennaio, aprile e giugno 2024 per discutere su ciò che nella dottrina e nella disciplina della Chiesa è immutabile e ciò che può essere cambiato. Aci 25

 

 

 

 

Liturgia. Don Giardina (Cei): “Deve saper leggere le righe del cuore”

 

"La Chiesa italiana è stata sempre guardata con particolare attenzione anche dalle altre realtà ecclesiali, per la sua prossimità al Santo Padre e al vissuto della nostra gente". Così il direttore, don Alberto Giardina, sintetizza per il Sir i 50 anni dell'Ufficio liturgico della Cei, oggetto di un convegno alla Pontificia Università Urbaniana, che commemora anche i 60 anni della Sacrosanctum Concilium - M.Michela Nicolais

 

“Dialogare con il nostro tempo e individuare le urgenze pastorali e liturgiche per l’oggi”. E’ uno degli obiettivi del convegno “La liturgia a sessant’anni da Sacrosanctum Concilium. L’ufficio liturgico nazionale e la riforma liturgica in Italia”, in corso alla Pontificia Università Urbaniana a Roma fino al 25 novembre. Due gli anniversari che l’iniziativa intende commemorare il 60° anniversario della promulgazione della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” e il 50° anniversario dell’Ufficio Liturgico nazionale della Conferenza episcopale italiana. “Un raduno di famiglia, fatta di volti e storie incrociate a volte in maniera misteriosa a servizio della liturgia in Italia”. Così don Alberto Giardina, direttore dell’Ufficio Liturgico nazionale della Cei, ha definito l’evento, “non semplicemente commemorativo”, ma “occasione per fare memoria grata e riscoprire l’eredità del passato; dialogare con il nostro tempo e individuare le urgenze pastorali e liturgiche per l’oggi; dare casa al futuro e tracciare piste per il futuro che ci attende”. Il Sir lo ha intervistato.

Don Giardina, quale è secondo lei l’eredità da raccogliere della Sacrosanctum Concilium, e quali impatto può avere sull’assetto liturgico odierno?

L’eredità della costituzione conciliare è quella di aver permesso una partecipazione più attiva e consapevole all’azione liturgica, di aver riscoperto il legame tra liturgia e Parola e la dimensione teologica della stessa liturgia, che il Concilio Vaticano II ha liberato dalle forme di ritualismo che avevano allontanato la comprensione dell’idea di mistero. Tra le esigenze nuove da portare avanti oggi, la dimensione dell’adattamento della liturgia al nostro tempo, l’attenzione della liturgia alla storia come storia di salvezza, storia degli uomini e storia di un popolo e il tema della formazione liturgica, che comporta l’impegno ad aiutare nuovamente gli uomini e le donne del nostro tempo a vivere l’agire liturgico e a riscoprirne il linguaggio, che oltre ad essere il linguaggio del rito è un linguaggio anche molto umano. Un impegno, questo, che è stato accolto in passato e viene accolto ancora oggi dall’Ufficio liturgico della Cei, ed è rivolto a favorire una formazione liturgica sempre più capillare.

Cosa significa, per l’Ufficio liturgico della Cei, raggiungere il traguardo dei 50 anni?

Aprendo i lavori di questo convegno ho utilizzato la metafora della foto di famiglia: quando si sfogliano gli album, si incontrano i volti dei nonni, degli zii, dei cugini…Compiere 50 anni, per il nostro ufficio, significa anzitutto riscoprire i volti e le storie dell’impegno della Chiesa italiana nel portare avanti l’opera di riforma liturgica, che progredisce anche grazie ai nomi e all’eredità delle intuizioni di tutti coloro che ci hanno preceduto.

La Chiesa italiana è stata sempre guardata con particolare attenzione anche dalle altre realtà ecclesiali per la sua prossimità al Santo Padre e al vissuto della nostra gente.

Per citare solo un esempio, l’adattamento del Messale del 1983 è stato accolto dall’edizione latina della terza Editio Typica, rendendo merito proprio all’esperienza maturata dalla Chiesa in Italia. Compiere 50 anni significa per l’Ufficio liturgico della Cei anche riprendere in mano il nuovo Messale e la traduzione della Bibbia, oltre che impegnarsi per i cantieri del futuro. Tra i laboratori che riguardano questioni particolarmente significativi per la liturgia di oggi e di domani, ne abbiamo identificati in particolare nove: liturgia e famiglia, liturgia e disabili, liturgia e catechesi, i ministeri nella liturgia, l’ars celebrandi, la musica per la liturgia, le forme emergenti della pietà popolare, la liturgia nell’era digitale.

Papa Francesco, nella Desiderio Desideravi, parla di “metodo dell’incarnazione” e raccomanda una liturgia “di popolo”. Come evitare il rischio di un liturgismo astratto e disincarnato, che allontana i fedeli dalle chiese?

Di liturgie noiose e omelie troppo lunghe si è parlato anche durante il Cammino sinodale della Chiesa italiana. Il Santo Padre, con la Desiderio Desideravi, ci ha chiesto di uscire fuori dal personalismo e di recuperare il senso del linguaggio liturgico cercando di entrare in dialogo con le istanze dell’uomo contemporaneo.

Ci vuole una liturgia che sappia leggere tra le righe dei libri liturgici le pieghe del cuore umano, attraverso l’attenzione all’uomo concreto nella situazione in cui si trova.

La liturgia non si trova mai davanti una comunità astratta, ma una porzione di popolo con la sua stanchezza, le sue fatiche e le sue speranze, i suoi travagli e la sua gioia. L’importante è saper leggere le righe del cuore, anche attraverso una riscoperta della corporeità. Sir

 

 

 

 

L'udienza ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017

 

Città del Vaticano. "Rimettere la persona al centro della città: è questa la via da seguire sempre: la persona". Papa Francesco lo ripete ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017 ricevuti questa mattina. Il terremoto è un’esperienza devastante, dice il Papa ma "avete saputo cogliere l’opportunità per un nuovo inizio, specialmente con il programma di rigenerazione socio-economica Next Appennino".

Ma la sfida più ampia quella ambientale è quella della persona appunto e dello spopolamento dei piccoli centri. Serve offrire "la possibilità di vivere in ambienti ricchi di tutto ciò che i padri hanno lasciato, accresciuto e impreziosito da una gestione sapiente per la comunità". E ancora ritorna sul tema della natalità a modo suo Papa Francesco:"In Italia non si fanno figli, ed è grave. Abbiamo una età media di 46 anni. Sembra che le famiglie preferiscano avere dei cagnolini o dei gatti e non dei figli: è la “cultura veterinaria”. Stiamo attenti a questo. È questa l’eredità che lasciamo?".

C'è poi la cura del Creato: la nostra missione dice il Papa è ad avere "comportamenti volti a non deturpare il paesaggio con costruzioni eccessivamente invasive e antiestetiche, a non inquinare l’ambiente".  Quindi, spiega Francesco "accanto all’impegno per la natalità, quello per la sicurezza idrogeologica rappresenta un bisogno vitale, reso ancora più necessario dall’accelerazione dei cambiamenti climatici".

E a questo proposito dice: "è importante da una parte applicare tutti gli accorgimenti necessari per fermare la deriva in corso e dall’altra, preso atto dei cambiamenti già avvenuti, provvedere a farvi fronte, a livello sia globale sia locale". Serve "uno sguardo aperto, attento agli altri e a chi verrà dopo di noi; non bisogna lasciarsi scoraggiare dalle critiche o dai malcontenti". E conclude: "la via della ricostruzione post-sismica è lunga e certamente non facile, e io apprezzo tanto il fatto che lo spirito con cui voi la affrontate è buono, che l’animo è determinato e che le idee sono chiare". Angela Ambrogetti, Aci 24

 

 

 

 

Superiori e superiore generali. “Dare una voce unica alla vita religiosa”

 

"Dare una voce unica alla vita religiosa" e "non perdere mai la speranza" anche di fronte a un mondo in guerra. Fra Emili Turú Rofes, segretario generale dell’Usg (Unione dei superiori generali), parla a conclusione della 100ª assemblea dell’Usg che si è tenuta in forma congiunta con l’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) - Riccardo Benotti

 

“Dare una voce unica alla vita religiosa”. Così fra Emili Turú Rofes, segretario generale dell’Usg (Unione dei superiori generali), tira le fila della 100ª assemblea dell’Usg che si è tenuta in forma congiunta con l’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) e si è conclusa oggi a Sacrofano sul tema “Sinodalità. Un rinnovato appello alla profezia della speranza”.

Scegliere di celebrare l’assemblea insieme, uomini e donne, è un messaggio di unione della vita religiosa?

Stiamo camminando insieme nel solco del Sinodo. Numericamente la realtà è assai diversa: l’Unione delle superiori generali rappresenta circa 2.000 Congregazioni, includendo anche quelle diocesane; l’Unione maschile, invece, ne tiene dentro più o meno 200. In questi anni si è rafforzata la collaborazione. Si sta addirittura discutendo la possibilità di creare una sola Unione, ma bisogna superare alcune difficoltà operative. Si potrebbe pensare a una Federazione? Chissà. L’importante è dare una voce unica alla vita religiosa.

Affinché anche le donne abbiano maggiore considerazione nella Chiesa?

Adesso, quando si presenta l’opportunità, deve parlare la presidente per le donne e il presidente per gli uomini.

Noi siamo con loro nel desiderio di apertura della Chiesa alle donne, per trovare il posto che davvero le appartiene. La vita religiosa è unita in questo percorso.

Come è entrato il Sinodo nei monasteri, nelle comunità, nelle case dei religiosi sparse nel mondo?

La vita consacrata è sinodale dall’inizio. Pensiamo, ad esempio, alla partecipazione di tutti per l’elezione del superiore. San Benedetto invitava ad ascoltare i più giovani della comunità, perché molto spesso è proprio ai più giovani che il Signore rivela le soluzioni. Da questa prima fase del Sinodo, è emerso che la vita consacrata è un luogo da cui prendere ispirazione. Poi, certamente, l’applicazione pratica è a volte difficoltosa: ci sono casi di abusi di autorità, di scarso ascolto. All’inizio si è utilizzato il metodo parlamentare, perché era quello considerato più democratico per ascoltarci. Ma adesso vediamo che è insufficiente, che ci vuole altro.

Cosa?

Dobbiamo entrare nell’ascolto contemplativo proposto dal Sinodo, che fa davvero la differenza. Questo è molto potente per la Chiesa e per il mondo. Imparare a parlare persino con la persona che è ai miei antipodi, cercando di comprenderla.

Dialogare significa mettersi in ascolto per capire, non per discutere ma per accogliere. Se tutti facciamo questo sforzo, allora c’è una comunione al di là delle idee.

Possiamo essere in comunione anche se la pensiamo diversamente.

Dall’Ucraina alla Terra Santa, sono sempre di più le guerre che insanguinano il mondo…

Sono i segnali di un cambiamento d’epoca. Se ne parla, ormai, dal Concilio Vaticano II e il Papa lo ripete spesso: questa non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Un’epoca sta morendo e ne vediamo i sintomi. Credo che i religiosi siano impegnati in quello che il Papa scrive in Fratelli tutti: è in atto la gestazione di un mondo nuovo.

Frati, monaci, suore sono presenti nei luoghi più sofferenti. A Gaza, sotto le bombe, sono restati accanto alla popolazione. Perché?

A volte possiamo sembrare ridicoli perché alla forza delle armi contrapponiamo quella dell’amore. Potremmo apparire folli agli occhi del mondo. Eppure sappiamo che in Palestina i religiosi stanno in comunione con il popolo. Che in Ucraina restano lì con la gente, e così in tanti Paesi dell’Africa dove c’è guerra e violenza.

Noi crediamo fermamente nella forza dell’amore, che è il motore del cambiamento.

Tutto invita a non avere speranza. E invece noi sappiamo che è profetico avere speranza, perché crediamo nella forza del Vangelo e dell’amore, che supera la potenza delle armi e della distruzione. Il Sinodo è un momento importantissimo per riaffermare che siamo col Papa. E che non dobbiamo mai perdere la speranza. Sir 24

 

 

 

Papa Francesco: “Sembra che le famiglie italiane preferiscano i cagnolini ai figli”

 

“Sembra che le famiglie preferiscano avere dei cagnolini o dei gatti e non dei figli: ‘è la cultura veterinaria’. In Italia non si fanno figli, ed è grave. Abbiamo una età media di 46 anni. Stiamo attenti a questo. È questa l’eredità che lasciamo?”, così Papa Francesco commenta la crisi demografica che sta investendo l’Italia da ormai un decennio e non accenna a rallentare.

Il Pontefice ha approfondito il tema questa mattina nel Palazzo Apostolico Vaticano, in occasione dell’Udienza ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017, spiegano che attività umana e benessere del territorio possono (rectius: devono) aiutarsi a vicenda.

“Venite dalla zona d’Italia segnata dalle ferite del terremoto che, tra il 24 agosto 2016 e il gennaio 2017, ha seminato morte e distruzione, lasciando dietro di sé tante ferite nelle persone e nelle famiglie, distruggendo centri produttivi, abitazioni e monumenti artistici e mettendo in ginocchio l’economia dei vostri territori in vari settori. Quella del terremoto – continua il Pontefice – è un’esperienza devastante, sia fisicamente che moralmente, perché fa crollare in pochissimo tempo ciò per cui si è lavorato per generazioni, e fa sentire fragili e impotenti: è l’esperienza di ognuno di voi”.

Nel complesso le scosse che si sono susseguite tra la metà di luglio 2016 e l’inizio del 2017 colpendo Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio hanno provocato oltre 300 vittime e 65.000 sfollati. Il danno economico è stato di 24 miliardi di euro, come certificato dalla Protezione Civile all’Unione Europea e sono rimasti danneggiati 340.000 edifici, distribuiti su un’area di 8mila km quadrati. Quella terribile progressione di scosse ha colpito in tutto 140 comuni coinvolgendo 600.000 persone, per un quarto anziani con più di 65 anni.

“Oggi, mentre ricordiamo con dolore la tragedia e le vittime, ai cui parenti voglio rinnovare la mia vicinanza – continua Papa Francesco – possiamo, grazie alla vostra perseveranza e lungimiranza, parlare anche di significativi passi avanti nella ricostruzione. In questi anni avete dimostrato che lo spirito di collaborazione può vincere ostacoli e incertezze, perché dalle macerie possa nascere qualcosa di nuovo. Avete saputo cogliere l’opportunità per un nuovo inizio, specialmente con il programma di rigenerazione socio-economica Next Appennino, proponendo tre attenzioni molto importanti: alla sostenibilità, alla natura e agli attuali mutamenti climatici”.

Proprio su questi aspetti il Pontefice invita ad una riflessione più approfondita.

Il ruolo della sostenibilità nella demografia

Spesso si evidenzia come gli insediamenti umani abbiano inciso negativamente sul clima e continuino tuttora a farlo. Ma su come la demografia incida sui cambiamenti climatici, il Pontefice stimola un approccio diverso riprendendo un passo dell’Enciclica “Laudato si’” sulla cura della casa comune: “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la […] ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale. In quest’ottica – aggiunge Bergoglio – adottare criteri adeguati di sostenibilità è un atto importante di giustizia e di carità, perché mira a soddisfare i bisogni senza compromettere la sicurezza e la sopravvivenza di chi ci sta attorno e di chi verrà dopo di noi”.

Il “Demography and climate change – EU in the global context” presentato a giugno dal Joint Research Centre della Commissione europea spiegava che “La crescita demografica rimane una delle cause principali della produzione di emissioni”, ma “allo stesso tempo vi è un disallineamento tra i tassi di crescita della popolazione e i livelli di emissioni di gas serra nei diversi Paesi”.

Un disallineamento che può diventare strutturale, se frutto di precise scelte umane, come sottolinea Papa Francesco durante l’Udienza: “È confortante vedere come avete saputo impostare la ricostruzione sulla eliminazione degli sprechi, sulla valorizzazione e l’equa distribuzione delle risorse, sulla tutela dei più fragili e sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Così, a fronte di una smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili per inquinamento, caos, isolamento, emarginazione e solitudine, specialmente per gli anziani e i soggetti deboli, mirate a modelli urbani in cui sia desiderabile vivere integrando le esigenze legate alla crescita economica e allo sviluppo tecnico con quelle di una buona qualità di vita, personale e comunitaria”. Uno sviluppo sostenibile, dunque, non solo da un punto di vista ambientale ma anche sociale in piena sintonia con gli obiettivi Esg.

La ‘creatività generosa’ per un futuro sostenibile

Nel discorso del Pontefice, la ricostruzione diventa un’occasione per ripartire senza ripetere gli errori del passato: “Le regioni da cui venite sono tra le più belle d’Italia e del mondo, conosciute anche a livello internazionale per il fascino dei paesaggi e per la presenza di antichi borghi e cittadine incastonati come piccole gemme lungo le pendici dei monti, sui colli e nelle valli – dice Bergoglio ai presenti – È un modello di armonia tra l’opera di Dio e quella dell’uomo.

Costruire con attenzione all’ambiente, tutelandone la bellezza e la salute, promuovendo una cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda aiuta infatti a vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio ed è questa la nostra missione”.

Papa Francesco fa quindi qualche esempio di come l’umanità possa aiutare l’ambiente e non rovinarlo: “comportamenti volti a non deturpare il paesaggio con costruzioni eccessivamente invasive e antiestetiche, a non inquinare l’ambiente, a non alterare gli habitat delle altre specie animali e vegetali, a ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, piantare alberi, tutto questo fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano. Vi incoraggio nel vostro proposito di fare della ricostruzione un’opportunità anche in questo senso: per rimediare agli errori del passato e impostare in modo diverso i piani di crescita per il futuro”.

L’Udienza ai rappresentanti delle popolazioni del centro-Italia colpite dal sisma del 2016-2017 diventa quindi un’occasione per riflettere su tutto il Belpaese: “È un’urgenza, credo, per tutta l’Italia”, dice Bergoglio parlando del futuro climatico e demografico. “Accanto all’impegno per la natalità, quello per la sicurezza idrogeologica rappresenta un bisogno vitale, reso ancora più necessario dall’accelerazione dei cambiamenti climatici. Entrambi i fronti sono lungimiranti, essenziali per l’oggi e per il domani”, spiega il Pontefice. Parole che acquisiscono una particolare rilevanza in un anno come questo, segnato dai tanti disastri ambientali che si sono verificati nella penisola.

Demografia sostenibile: la persona al centro della città

Affrontando il tema del cambiamento climatico, spesso si fa riferimento ai danni ambientali, finendo per ricordarsi delle conseguenze sugli esseri umani solo quando si verificano le tragedie. Invece, come spiega il Vescovo di Roma: “Non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti. Perciò, è importante da una parte applicare tutti gli accorgimenti necessari per fermare la deriva in corso e dall’altra, preso atto dei cambiamenti già avvenuti, provvedere a farvi fronte, a livello sia globale sia locale”, spiega il Pontefice.

Quest’ultima è, per eccellenza, rappresentata dalle smart cities, ma risponde prima di tutto a un concetto: “Significa rimettere la persona al centro della città. È questa la via da seguire sempre: la persona”, aggiunge Beroglio spiegando che questo approccio “potrà aiutare anche ad affrontare le crisi dello spopolamento e della decrescita demografica, offrendo la possibilità di vivere in ambienti ricchi di tutto ciò che i padri hanno lasciato, accresciuto e impreziosito da una gestione sapiente per la comunità; il tutto, sempre con la massima attenzione a vigilare sulla legalità degli appalti e delle procedure, e sulla sicurezza nel lavoro”, ammonisce il Pontefice auspicando un futuro demografico diverso, dove popolazione e sostenibilità non siano ostacolo l’uno per l’altro, bensì validi e indispensabili alleati. Adnkronos 24

 

 

 

Udienza alla Fisc. Papa Francesco: “Urgente formare uomini capaci di relazioni sane”

 

Il Papa ha esortato a promuovere "una ecologia della comunicazione", stigmatizzando la violenza contro le donne e definendo "urgente formare uomini capaci di relazioni sane". "Al di là delle notizie e degli scoop ci sono sempre dei sentimenti, delle storie, delle persone in carne e ossa da rispettare come se fossero i propri parenti". Prudenza sul web per "non cedere alla tentazione di seminare rabbia e odio" – di M. Michela Nicolais

 

“Vediamo dalle tristissime cronache di questi giorni, dalle terribili notizie di violenza contro le donne, quanto sia urgente educare al rispetto e alla cura: formare uomini capaci di relazioni sane”. Lo ha detto Papa Francesco, che durante l’udienza concessa alle delegazioni della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), dell’Unione Stampa periodica italiana (Uspi), dell’Associazione Corallo e dell’Associazione Aiart – Cittadini mediali, pur senza citarla direttamente, è sembrato riferirsi alla tragica uccisione di Giulia Cecchettin. “Vi occupate di stampa, televisione, radio e nuove tecnologie, con un impegno a educare ai media i lettori e gli utenti”, l’esordio di Francesco: “Il vostro radicamento capillare testimonia il desiderio di raggiungere le persone con attenzione e vicinanza, con umanità. Anzi, direi che ben rappresentate quella geografia umana che anima il territorio italiano”.

“La comunicazione, d’altronde, è questo: mettere in comune, tessere trame di comunione, creare ponti senza alzare muri”, ha ribadito il Papa esortando a “rinnovare sempre l’impegno per la promozione della dignità delle persone, per la giustizia e la verità, per la legalità e la corresponsabilità educativa”.

Di qui l’invito a “non perdere di vista, nel contesto delle grandi autostrade comunicative di oggi, sempre più veloci e intasate, tre sentieri, che è bene non perdere di vista e che vanno sempre percorsi”: formazione, tutela e testimonianza.

“Comunicare è formare l’uomo. Comunicare è formare la società”, il monito di Francesco ai presenti. Quello della formazione “non è un semplice compito, ma una questione vitale”, perché “in gioco c’è il futuro della società”, la tesi del Papa, secondo il  quale “la formazione è la strada per connettere le generazioni, per favorire il dialogo tra giovani e anziani, quell’alleanza intergenerazionale che, oggi più che mai, è fondamentale”. Francesco ha poi fornito precise istruzioni su “come educare, in particolare le giovani generazioni immerse in un contesto sempre più digitale”:

“La prudenza e la semplicità sono due ingredienti educativi basilari per orientarsi nella complessità di oggi, specialmente del web, dov’è necessario non essere ingenui e, allo stesso tempo, non cedere alla tentazione di seminare rabbia e odio”, la prima raccomandazione. “La prudenza, vissuta con semplicità d’animo, è quella virtù che aiuta a vedere lontano, che porta ad agire con ‘previsione’, con lungimiranza”, ha spiegato il Papa: “E non ci sono corsi per avere prudenza, non si studia per avere prudenza. La prudenza si esercita, si vive, è un atteggiamento che nasce insieme dal cuore e dalla mente, e poi si sviluppa. La prudenza, vissuta con semplicità d’animo, sempre ci aiuta ad avere lungimiranza”.

“I settimanali cattolici portano questo sguardo sapiente nelle case della gente”, l’omaggio del Papa: “Non danno solo la notizia del momento, che si brucia facilmente, ma veicolano una visione umana e una visione cristiana volta a formare le menti e i cuori, perché non si lascino deformare dalle parole urlate o da cronache che, passando con curiosità morbosa dal nero al rosa, trascurano la limpidità del bianco”. “Vi incoraggio a promuovere una ecologia della comunicazione nei territori, nelle scuole, nelle famiglie, tra di voi”, l’invito: “Voi avete la vocazione di ricordare, con uno stile semplice e comprensibile, che, al di là delle notizie e degli scoop, ci sono sempre dei sentimenti, delle storie, delle persone in carne e ossa da rispettare come se fossero i propri parenti”.

Nel campo della comunicazione, “è fondamentale promuovere strumenti che proteggano tutti, soprattutto le fasce più deboli, i minori, gli anziani e le persone con disabilità, e li proteggano dall’invadenza del digitale e dalle seduzioni di una comunicazione provocatoria e polemica”. “Nella comunicazione digitale si vuole mostrare tutto ed ogni individuo diventa oggetto di sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera anonima”, la denuncia contenuta nella “Fratelli tutti”, ricordata dal Papa durante l’udienza: “Il rispetto verso l’altro si sgretola e in tal modo, nello stesso tempo in cui lo sposto, lo ignoro e lo tengo a distanza, senza alcun pudore posso invadere la sua vita fino all’estremo”.

“Le vostre realtà, impegnate in questo settore, possono far crescere una cittadinanza mediale tutelata, possono sostenere presidi di libertà informativa e promuovere la coscienza civica, perché siano riconosciuti diritti e doveri anche in questo campo”, la tesi di Francesco, secondo il quale si tratta di “una questione di democrazia comunicativa”. “E questo, per favore, fatelo senza paura, come Davide contro Golia”, l’incoraggiamento del Papa: “Non giocate solo in difesa ma, rimanendo piccoli dentro, pensate in grande, perché a un compito grande siete chiamati: tutelare, attraverso le parole e le immagini, la dignità delle persone, specialmente la dignità dei piccoli e dei poveri, i preferiti di Dio”.

“La fedeltà al Vangelo postula la capacità di rischiare nel bene. E di andare controcorrente: di parlare di fraternità in un mondo individualista; di pace in un mondo in guerra; di attenzione ai poveri in un mondo insofferente e indifferente”, la ricetta finale per il mondo della comunicazione. “Ma questo si può fare credibilmente solo se prima si testimonia ciò di cui si parla”, il monito sulla scorta del beato Carlo Acutis, che “sapeva molto bene che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati, dipendenti dal consumo e dalle novità che possiamo comprare, ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività. Lui però ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, per comunicare valori e bellezza”. Sir 23

 

 

 

Myanmar: mons. Kung (Hakha), “la guerra è un suicidio politico”

 

“La guerra è un suicidio politico”. È il “messaggio” arrivato oggi al Sir del vescovo di Hakha, mons. Lucius Hre Kung, di rientro da una visita pastorale nelle aree più remote della sua diocesi “dove non c’è internet”. Riesce quindi a rispondere solo oggi alle parole pronunciate domenica scorsa da Papa Francesco che ha lanciato un appello per il Myanmar dove – ha detto – la popolazione “continua a soffrire a causa di violenze e soprusi”. “La violenza e i soprusi derivanti dai conflitti politici gettano un’ombra oscura, lasciando le comunità fratturate e gli individui alle prese con il profondo impatto di tali disordini. In seguito a questi conflitti, le vite vengono sconvolte, le famiglie distrutte e il tessuto stesso della società messo a dura prova”. Ad Hakha che è la capitale dello Stato Chin, “le nostre chiese non sono state distrutte” ma durante l’operazione militare alcune sono state distrutte in diversi luoghi. “Dopo l’invasione della Russia in Ucraina e la guerra a Gaza si dice e si sente che il Myanmar è stato dimenticato dai leader mondiali e dalle organizzazioni umanitarie”, testimonia il vescovo Kung. “Solo Papa Francesco dimostra di essere un rappresentante del Padre Celeste ricco di misericordia”. Ma la situazione del Paese è drammatica. “La popolazione colpita ha bisogno di cibo, alloggio, assistenza medica e istruzione per i giovani. Le persone necessitano di supporto psicosociale, anche le infrastrutture devono essere risistemate per poter fornire servizi di base, ripristinare un senso di normalità e fornire servizi essenziali. In questo tempo di conflitto, occorre mettere in atto la promozione di iniziative di costruzione della pace, il sostegno ai mezzi di sussistenza e la cooperazione internazionale e la diplomazia”. La voce del Papa è importante, osserva il vescovo birmano. “Chiedo che sia ascoltata. Lo chiedo a nome del popolo, per la pace e la riconciliazione del Paese”. “La guerra sempre, sempre, sempre è una sconfitta”, ha detto Francesco all’Angelus di domenica. “È vero al cento per cento”, risponde il vescovo. “Oggi è con i nostri occhi che testimoniamo quanto affermato dal Santo Padre. Le conseguenze durature della guerra, che influiscono non solo sugli obiettivi immediati ma anche sulla stabilità e sul benessere a lungo termine, sottolineano l’idea che entrambe le parti ne escono sconfitte. La guerra, a mio avviso, è un suicidio politico”.

Era il 1° febbraio 2021, quando l’esercito del Myanmar, chiamato Tatmadaw, ha imposto un cambio di regime nel Paese. Gli ultimi due anni nel Myanmar sono stati caratterizzati da una ferma repressione da parte dell’esercito di ogni forma di protesta, procedendo con arresti, torture e uccisioni su una base del tutto arbitraria, sino ad arrivare ad attacchi terrestri e aerei sulla popolazione civile. Amnesty International ha contato circa 3.000 vittime in questi due anni di agitazioni, oltre ad aver stimato che le persone in stato di detenzione sono 13.000 e che si possa parlare di circa 1 milione e mezzo di sfollati. M.Chiara Biagioni, Sir 23

 

 

 

Formazione, tutela e testimonianza le linee guida per la stampa cattolica

 

Il Papa incontra esponenti delle sigle dei settimanali cattolici e delle associazioni media. Tre linee guida, la necessità di formare alla cura a seguito delle cronache di violenza, e in particolare di violenza sulle donne - Di Andrea Gagliarducci

 

Città del Vaticano. Formazione, tutela e testimonianza: sono le tre linee guida che Papa Francesco dà alla stampa cattolica, che lo incontra oggi al Palazzo Apostolico. Dal Papa sono le Delegazioni della Federazione Italiana Settimanali Cattolici (FISC), dell’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI), dell’Associazione “Corallo” e dell’Associazione “Aiart – Cittadini mediali”. Papa Francesco approfitta per un discorso sul senso dei media cattolici, e sul loro ruolo in società, chiedendo di promuovere una “ecologia della comunicazione”, e sottolineando come “dalle tristissime cronache di questi giorni, dalle terribili notizie di violenza contro le donne” si noti “quanto sia urgente educare al rispetto e alla cura: formare uomini capaci di relazioni sane”.

Guardando alle sigle che si presentano da lui, Papa Francesco ne approva il “radicamento capillare”, sottolinea che la comunicazione è “mettere in comune, tessere trame di comunione, creare ponti senza alzare muri”, ricorda che le innovazioni che richiedono un continuo rinnovamento dell’impegno “per la promozione della dignità delle persone, per la giustizia e la verità, per la legalità e la corresponsabilità educativa”.

La prima linea guida è quella della formazione, “questione vitale”, perché “in gioco c’è il futuro della società”, ispirandosi al passo del Vangelo che chiede di essere “prudenti come i serpenti e semplici come colombe”.

Quindi, dice Papa Francesco, “prudenza e semplicità”, la prima è una virtù che “aiuta a vedere lontano”, ed è quello cui sono chiamati i settimanali cattolici, i quali “portano questo sguardo sapiente nelle case della gente: non danno solo la notizia del momento, che si brucia facilmente, ma veicolano una visione umana e, una visione cristiana volta a formare le menti e i cuori, perché non si lascino deformare dalle parole urlate o da cronache che, passando con curiosità morbosa dal nero al rosa, trascurano la limpidità del bianco”.

Papa Francesco chiede dunque di promuovere una “ecologia della comunicazione” nei territori, nelle scuole, nelle famiglie, tra di voi, ricordando “con uno stile semplice e comprensibile, che, al di là delle notizie e degli scoop, ci sono sempre dei sentimenti, delle storie, delle persone in carne e ossa da rispettare come se fossero i propri parenti”.

Quindi, Papa Francesco parla della tutela. È fondamentale, dice Papa Francesco, “promuovere strumenti che proteggano tutti, soprattutto le fasce più deboli, i minori, gli anziani e le persone con disabilità, e li proteggano dall’invadenza del digitale e dalle seduzioni di una comunicazione provocatoria e polemica”.

Il Papa chiede che le realtà cattoliche sono chiamate a far crescere “una cittadinanza mediale tutelata”, sostenendo “presidi di libertà informativa e promuovere la coscienza civica, perché siano riconosciuti diritti e doveri anche in questo campo”, per “questione di democrazia comunicativa”.

Infine, la testimonianza. L’esempio è il Beato Carlo Acutis, un giovane che “non è caduto in trappola, ma è diventato un testimone della comunicazione”.

“La testimonianza – afferma Papa Francesco - è profezia, è creatività, che libera e spinge a rimboccarsi le maniche, a uscire dalle proprie zone di tranquillità per rischiare. Sì, la fedeltà al Vangelo postula la capacità di rischiare nel bene”.

Il cattolico, aggiunge il Papa, va controcorrente, parla “di fraternità in un mondo individualista; di pace in un mondo in guerra; di attenzione ai poveri in un mondo insofferente e indifferente. Ma questo si può fare credibilmente solo se prima si testimonia ciò di cui si parla”. Aci 23

 

 

 

Ritrovare il senso

È molto difficile in questi giorni trovare la giusta prospettiva da cui guardare l’orizzonte. Le notizie di cronaca sembrano sopraffare qualsiasi spiraglio. Ed è proprio questa complessità a dare senso a quanti sono impegnati nel mondo della comunicazione e dell’informazione. C’è un messaggio da cogliere e trasmettere: ogni forma di violenza è negazione dell’umanità. Senza appello! Soprattutto quando questa viene esercitata su chi trasmette la vita. Ed ecco la forza del silenzio, spezzato anche dal rumore, che ha unito le diverse manifestazioni. Silenzio e rumore non sono in contraddizione, ma si intersecano quasi a tracciare un percorso che conduce all’intimità del cuore. È quella la sede da curare e custodire per poter tornare a guardare l’orizzonte.

Vincenzo, uncs 22

 

 

 

Papa Francesco incontra israeliani e palestinesi. "Soffrono tanto, questo è terrorismo"

 

Il Papa ha dedicato l'udienza di oggi al tema dell'annuncio. Prima di arrivare in piazza San Pietro, come ha rivelato lui stesso ai fedeli, ha ricevuto, in due momenti distinti, i parenti degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas a Gaza dal giorno del terribile attacco del 7 ottobre e un gruppo di familiari di palestinesi che soffrono per il conflitto nella Striscia - M. Michela Nicolais

 

“Non dimentichiamo di perseverare nella preghiera per quanti soffrono a causa delle guerre in tante parti del mondo, specialmente per le care popolazioni dell’Ucraina, la martoriata Ucraina, di Israele e della Palestina”. È l’appello di Papa Francesco al termine dell’udienza di oggi, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana. “Questa mattina ho ricevuto due delegazioni, una di israeliani che hanno parenti con ostaggi a Gaza e un’altra di palestinesi che hanno dei parenti prigionieri in Israele”, ha rivelato il Papa ai fedeli riguardo a quanto è accaduto prima dell’udienza del mercoledì. “Loro soffrono tanto”, ha proseguito: “E ho sentito come soffrono ambedue”.

“Le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le guerre”, la denuncia del Papa: “Questo non è guerreggiare, è terrorismo”. “Per favore, andiamo avanti per la pace, pregate tanto per la pace”, l’invito ai fedeli: “Che il Signore metta mano lì, che il Signore ci aiuti a risolvere i problemi e a non andare avanti con le passioni che alla fine uccidono tutti. Preghiamo per il popolo palestinese, preghiamo per il popolo israeliano, perché venga la pace”.

“L’annuncio cristiano è gioia per tutti”, e i cristiani non sono dei “privilegiati”, l’esordio della catechesi pronunciata in piazza San Pietro e dedicata a questo tema. “Quando incontriamo veramente il Signore Gesù, lo stupore di questo incontro pervade la nostra vita e chiede di essere portato al di là di noi”, ha spiegato Francesco: “Questo egli desidera, che il suo Vangelo sia per tutti. In esso, infatti, c’è una potenza umanizzatrice, un compimento di vita che è destinata ad ogni uomo e ogni donna, perché per tutti Cristo è nato, è morto, è risorto. Per tutti, nessuno escluso”. Poi la citazione dell’Evangelii gaudium, che in questi giorni compie dieci anni: “Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”.  “Sentiamoci al servizio della destinazione universale del Vangelo – è per tutti – e distinguiamoci per la capacità di uscire da noi stessi”, l’invito del Papa, secondo il quale “un annuncio, per esser vero annuncio, deve uscire dall’egoismo proprio” e deve avere “la capacità di superare ogni confine”.

“I cristiani si ritrovano sul sagrato più che in sacrestia, e vanno per le piazze e per le vie della città”,

ha raccomandato Francesco: “I cristiani devono essere aperti ed espansivi, i cristiani devono essere estroversi, e questo loro carattere viene da Gesù, che ha fatto della sua presenza nel mondo un cammino continuo, finalizzato a raggiungere tutti, persino imparando da certi suoi incontri”. A questo proposito, il Papa ha citato l’episodio evangelico che narra “il sorprendente incontro di Gesù” con una donna cananea che lo supplica di guarire la figlia malata. “Questo incontro con questa donna ha qualcosa di unico”, ha spiegato il Papa: “Non solo qualcuno fa cambiare idea a Gesù, e si tratta di una donna, straniera e pagana; ma il Signore stesso trova conferma al fatto che la sua predicazione non debba limitarsi al popolo a cui appartiene, ma aprirsi a tutti”.

“Noi non possiamo dire che siamo privilegiati nei confronti degli altri: la chiamata è per un servizio, e Dio sceglie uno per arrivare a tutti”, il monito a braccio, insieme all’esortazione a “prevenire la tentazione di identificare il cristianesimo con una cultura, con un’etnia, con un sistema. Non è un gruppetto di eletti di prima classe: Dio sceglie qualcuno per chiamare tutti. Questo orizzonte dell’universalità.

Il Vangelo non è solo per me, è per tutti, non lo dimentichiamo”. “La Bibbia ci mostra che quando Dio chiama una persona e stringe un patto con alcuni il criterio è sempre questo: elegge qualcuno per raggiungere altri”, ha ricordato il Papa: “Questo è il criterio di Dio, della chiamata di Dio. Tutti gli amici del Signore hanno sperimentato la bellezza ma anche la responsabilità e il peso di essere scelti da lui. Tutti hanno provato lo scoraggiamento di fronte alle proprie debolezze o la perdita delle loro sicurezze. Ma la tentazione più grande è quella di considerare la chiamata ricevuta come un privilegio: per favore no, la chiamata non è un privilegio, mai!”. Sir 22

 

 

 

 

Europa, cresce l’odio anti-cristiano

 

Preoccupanti numeri diffusi dall’Osservatorio sull’Intolleranza e la Discriminazione Anti-Cristiana in Europa. Aumento esponenziale degli attacchi anti-cristiani. In crescita di crimini di odio - Di Andrea Gagliarducci

 

Vienna. Nel 2022, i crimini di odio contro i cristiani hanno raggiunto 748 casi documentati, con un aumento del 44 per cento rispetto al 2021, quando si erano registrati 519 crimini di odio. In aumento esponenziale anche i casi di incendio doloso alle chiese, che ha registrato un più 75 per cento tra il 2021 e il 2022. Sono i dati del Rapporto Annuale dell’Osservatorio per l’Intolleranza e la Discriminazione contro i Cristiani in Europa.

Basato a Vienna, diretto da quest’anno da Anja Hoffman, l’osservatorio fornisce una fotografia potente e reale della situazione dei cristiani in Europa. Ogni settimana, raccoglie notizie di episodi di discriminazione e intolleranza, utilizzando fonti aperte, e mettendo in luce una realtà sotto gli occhi di tutti, eppure poco conosciuta. I cristiani sono, alla fine, la religione più perseguitata al mondo, come dicono i vari rapporti sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre o Open Doors, e lo confermano anche i dati dell’ultimo Rapporto Annuale dell’OSCE sui Crimini di Odio, che ha documentato 792 casi di odio anticristiano in 34 Paesi europei.

Preoccupante la crescita dei casi di incendio doloso, passati dai 60 del 2021 ai 105 del 2022, con un aumento del 75 per cento. Questi attacchi si concentrano soprattutto in Germania, e poi in Francia, Italia e Regno Unito.

Secondo Anja Hoffman, i crimini di odio, soprattutto quelli vandalici, sono collegati all’estremismo che deriva anche da una maggiore accettazione dell’attacco alle chiese nella società. “Mentre – racconta il direttore dell’Osservatorio – le motivazioni degli atti vandalici e della profanazione delle Chiese sono rimasti poco chiari, ora invece notiamo che sempre più perpetratori lasciano messaggi che rivelano l’appartenenza a frange estremiste e rivendicano persino orgogliosamente la paternità dei crimini commessi. Si tratta spesso di membri radicalizzati di gruppi che seguono una narrazione anti-cristiana”.

Regina Polak, rappresentante OSCE per la lotta al razzismo, alla xenofobia e alla discriminazione, ha espresso preoccupazione per il sempre più crescente numero di casi di odio anticristiano denunciati dall’Osservatorio, e ha sottolineato che “è altamente necessario aumentare la consapevolezza sia del governo che della società per affrontare e combattere questo problema con decisione”.

Il rapporto affronta anche il tema delle diverse forme di discriminazione religiosa. Nell’ultimo anno, diversi cristiani hanno perso il lavoro, sono stati sospesi o addirittura hanno affrontato cause penali per aver espresso in pubblico opinioni religiose non violente, in particolare sui temi del matrimonio e della famiglia allorquando si affermava in pubblico che il matrimonio è tra uomo e donna e che l’identità sessuale è costituita da uomo e donna.

Sono tutte opinioni passabili di procedimento penale, ed è un fatto, ha detto Hofmann, “altamente grave”, anche perché le legislazioni dei Paesi “usano un linguaggio molto vago o definizioni poco chiare sull’incitamento all’odio”.

L’Osservatorio ha segnalato in particolare i licenziamenti degli insegnanti Ben Dybowski e Joshua Sutcliffe, nonché del reverendo Bernard Randall, cappellano di una scuola. Tutti i licenziamenti sono avvenuti per le loro convinzioni sull’identità di genere e sulla famiglia.

Anja Hoffman denuncia che “silenziare le voci cristiane in pubblico mina la pluralità delle società democratiche occidentali e rende impossibile un discorso libero”.

Altre limitazioni alla libertà religiosa vengono dai progetti di legge sulle cosiddette “zone cuscinetto” (le cosiddette buffer areas), che si trovano soprattutto nel Regno Unito e che criminalizzano la preghiera e le manifestazioni religiose, come per esempio le iniziative di preghiera intorno alle critiche per l’aborto.

L’Osservatorio ha descritto come “particolarmente sorprendente” l’arresto Isabel Vaughan-Spruce, arrestata in una delle zone cuscinetto e interrogata se stesse pregando nella sua mente. L’arresto è esemplificativo della preoccupazione per la criminalizzazione di episodi di “odio non violento” nel Regno Unito.

Altre forme di discriminazione sono quelle che violano il diritto dei genitori di educare i bambini in conformità con le proprie convinzioni religiose e la limitazione della libertà di coscienza attraverso l’eliminazione delle clausole di coscienza dalle disposizioni esistenti nelle leggi mediche. Aci 22

 

 

 

 

Papa Francesco: “La povertà è uno scandalo”

 

La Giornata Mondiale dei poveri, l’omelia del Papa - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. L’omelia del Papa in questa VII Giornata Mondiale dei Poveri parte dal Vangelo odierno. “Tre uomini si ritrovano nelle mani un’enorme ricchezza, grazie alla generosità del loro signore che è in partenza per un lungo viaggio. Quel padrone, però, un giorno ritornerà e chiamerà nuovamente quei servi, nella speranza di poter gioire con loro per come nel frattempo hanno fatto fruttare i suoi beni”.

Francesco, nella Basilica di San Pietro, invita i fedeli a soffermarsi su due percorsi: il viaggio di Gesù e il viaggio della nostra vita.

Il viaggio di Gesù. “All’inizio della parabola, Egli parla di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. Questo “viaggio” fa pensare al mistero stesso di Cristo, Dio fatto uomo, alla sua risurrezione e ascensione al Cielo. Egli, infatti, che è disceso dal seno del Padre per venire incontro all’umanità, morendo ha distrutto la morte e, risorgendo, è ritornato al Padre. Ci ha lasciato se stesso nell’Eucaristia…In nostro favore. Gesù ha vissuto per noi, in nostro favore. Ecco che cosa ha animato il suo viaggio nel mondo prima di tornare al Padre”, dice il Pontefice.

“E allora, dobbiamo chiederci: come ci troverà il Signore quando tornerà? Come mi presenterò all’appuntamento con Lui? Questo interrogativo ci porta al secondo momento: il viaggio della nostra vita. Quale strada percorriamo noi, quella di Gesù che si è fatto dono oppure la strada dell’egoismo? Quella delle mani aperte verso gli altri o quella delle mani chiusi ? Il grande “capitale” che ci è stato messo nelle mani è l’amore del Signore, fondamento della nostra vita e forza del nostro cammino. E allora dobbiamo chiederci: che ne faccio di un dono così grande lungo il viaggio della mia vita?”Io come cristiano so’ rischiare o mi chiudo in me stesso? sottolinea ancora Francesco.

“In questa Giornata Mondiale dei Poveri la parabola dei talenti è un monito per verificare con quale spirito stiamo affrontando il viaggio della vita”, dice il Papa a San Pietro.

Il messaggio del Papa è chiaro. “Colmati di doni, siamo chiamati a farci dono. Le immagini usate dalla parabola sono molto eloquenti: se non moltiplichiamo l’amore attorno a noi, la vita si spegne nelle tenebre”.

“Pensiamo allora alle tante povertà materiali, culturali e spirituali del nostro mondo, alle esistenze ferite che abitano le nostre città, ai poveri diventati invisibili, il cui grido di dolore viene soffocato dall’indifferenza generale di una società indaffarata e distratta. La povertà è pudica, si nasconde. Dobbiamo cercarla noi con coraggio. Pensiamo a quanti sono oppressi, affaticati, emarginati, alle vittime delle guerre e a coloro che lasciano la loro terra rischiando la vita; a coloro che sono senza pane, senza lavoro e senza speranza. Tante povertà quotidiane. Sono moltitudine. Pensando a questa immensa moltitudine di poveri, il messaggio del Vangelo è chiaro: non sotterriamo i beni del Signore!”, aggiunge ancora il Papa.

“Mettiamo in circolo la carità, condividiamo il nostro pane, moltiplichiamo l’amore! La povertà è uno scandalo”, conclude il Papa.

Quest’anno la Giornata mondiale dei Poveri vedrà una più diretta partecipazione del Dicastero per il Servizio della Carità. Infatti il Santo Padre ha accolto la richiesta perché i molteplici gesti di carità nella Diocesi di Roma venissero svolti dal Dicastero per il Servizio della Carità insieme all’organizzazione del pranzo con i Poveri che Papa Francesco ospiterà come sempre nell’Aula Paolo VI dopo la celebrazione eucaristica. Il Pranzo quest’anno sarà offerto da Hilton Hotels in Italia. Aci 19

 

 

 

Papa Francesco: "Più veterinari che pediatri, non è un bel segnale". La replica: "Cani e gatti curano la solitudine"

 

"L'Italia purtroppo è un Paese che invecchia: speriamo che si possa invertire la tendenza, creando condizioni favorevoli perché i giovani abbiano più fiducia e ritrovino il coraggio e la gioia di diventare genitori". Così Papa Francesco ricevendo i membri dell'Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani (Aooi) e della Federazione Italiana Medici Pediatrici (Fimp). "Forse questo non dovrei dirlo - ha poi aggiunto a braccio il Pontefice -, ma lo dico: oggi si preferisce avere un cagnolino che un figlio. Il vostro compito è molto limitato, ma cresce quello dei veterinari! E questo non è un buon segnale". 

Frasi che fanno insorgere i veterinari: ''La società è cambiata, anche le esigenze, e cani e gatti oggi sono diventati ormai indispensabili. Specie nelle grandi città, dove regna l'anonimato, sono un antidoto alla solitudine. Per rimanere nella battuta - osserva all'Adnkronos Zaccaria Di Taranto, a capo della Federazione Medici veterinari e vice segretario del Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica - per noi è tutt'altro che un brutto segnale''.

Il veterinario, fuori di battuta, considera: ''Ormai in ogni famiglia, principalmente per le persone anziane, c'è un cane. E poi le esigenze sono notevolmente cambiate rispetto a tanti anni fa. C'è anche più cura nei confronti degli animali domestici. Ed e vero, il nostro lavoro e' cresciuto in modo esponenziale''.

Di Taranto osserva: ''Le persone sono sempre più sole, l'animale da compagnia diventa indispensabile. Un discorso che vale soprattutto in riferimento alle grandi città: nei condomini, dove quasi non ci si saluta, non ci si conosce, c'è molto anonimato e a volte una riservatezza esagerata rispetto a come eravamo abituati tanti anni fa''. Il presidente della Federazione Medici veterinari rileva ancora: ''Ormai anche nei ristoranti si porta il cane o il gatto. Sono pochi quelli che espongo il divieto oramai impopolare''. 

Anche l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) ha commentato le parole del Pontefice: "Una delle varie esternazioni di questo papa che sembra ritenere l’amore come limitato quantitativamente, come se, dandolo a un animale, lo si tolga ad altri. Contrapporre i figli a cani e gatti rivela la poca empatia nei confronti degli animali di un pontefice che pure ha preso il nome di Francesco, come il Santo d’Assisi che chiamava tutte le creature 'fratelli” e sorelle'".

L'associazione sottolinea come sia "evidente che per Francesco la vita animale è meno importante della vita umana. Ma chi sente che la vita è sacra ama la vita al di là delle specie" e l'OIpa ricorda "infine come sia preziosa la presenza degli animali nelle nostre esistenze, animali che collaborano inoltre nella società come il cane molecolare della Protezione civile che ha trovato il corpo senza vita di Giulia Cecchettin". LS 19

 

 

 

 

Battesimo, transessuali, coppie omogenitoriali

 

Le persone transessuali possono essere battezzate e anche i figli di coppie omogenitoriali. È quanto afferma il recente documento della Congregazione per la dottrina della fede e approvato da papa Francesco, rispondendo ad alcune domande poste al dicastero dal vescovo di Santo Amaro (Brasile), José Negri.

Le risposte «ripropongono, in buona sostanza, i contenuti fondamentali di quanto, già in passato, è stato affermato in materia da questo Dicastero».

„Il battesimo «è la porta che permette a Cristo Signore di stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero» . Questo implica concretamente che «nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo […] la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa»“. 

Queste le questioni del vescovo brasiliano sottoposte al dicastero:

1. Un transessuale può essere battezzato?

Un transessuale – che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso – può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli. Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il Battesimo.

Nel contempo, occorre considerare quanto segue, specialmente quando vi sono dei dubbi sulla situazione morale oggettiva in cui si trova una persona, oppure sulle sue disposizioni soggettive verso la grazia. Nel caso del Battesimo, la Chiesa insegna che, quando il sacramento viene ricevuto senza il pentimento per i peccati gravi, il soggetto non riceve la grazia santificante, sebbene riceva il carattere sacramentale. Il Catechismo afferma: «Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa».

San Tommaso d’Aquino insegnava, infatti, che quando l’impedimento alla grazia scompare, in qualcuno che ha ricevuto il Battesimo senza le giuste disposizioni, il carattere stesso «è una causa immediata che dispone ad accogliere la grazia». Sant’Agostino di Ippona richiamava questa situazione dicendo che, anche se l’uomo cade nel peccato, Cristo non distrugge il carattere ricevuto da questi nel Battesimo e cerca (quaerit) il peccatore, nel quale è impresso questo carattere che lo identifica come sua proprietà.

Così possiamo comprendere perché Papa Francesco ha voluto sottolineare che il battesimo «è la porta che permette a Cristo Signore di stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero» . Questo implica concretamente che «nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo […] la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».

Allora, anche quando rimangono dei dubbi circa la situazione morale oggettiva di una persona oppure sulle sue soggettive disposizioni nei confronti della grazia, non si deve mai dimenticare quest’aspetto della fedeltà dell’amore incondizionato di Dio, capace di generare anche col peccatore un’alleanza irrevocabile, sempre aperta ad uno sviluppo, altresì imprevedibile. Ciò vale persino quando nel penitente non appare in modo pienamente manifesto un proposito di emendamento, perché spesso la prevedibilità di una nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del proposito». In ogni caso, la Chiesa dovrà sempre

richiamare a vivere pienamente tutte le implicazioni del battesimo ricevuto, che va sempre compreso e dispiegato all’interno dell’intero cammino dell’iniziazione cristiana.

2. Un transessuale può essere padrino o madrina di battesimo?

A determinate condizioni, si può ammettere al compito di padrino o madrina un transessuale adulto che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso. Non costituendo però tale compito un diritto, la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale.

3. Un transessuale può essere testimone di un matrimonio?

Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale che proibisca ad una

persona transessuale di essere testimone di un matrimonio.

4. Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che

deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero

in affitto?

Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica (cf. can. 868 § 1, 2 o CIC; can. 681, § 1, 1o CCEO).

5. Una persona omoaffettiva e che convive può essere padrino di un battezzato?

A norma del can. 874 § 1, 1o e 3o CIC, può essere padrino o madrina chi ne possegga l’attitudine (cf. 1o ) e «conduce una vita conforme alla fede e all’incarico che assume» (3o; cf. can. 685, § 2 CCEO). Diverso è il caso in cui la convivenza di due persone omoaffettive consiste, non in una semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio, ben conosciuta dalla comunità. In ogni caso, la debita prudenza pastorale esige che ogni situazione sia saggiamente ponderata, per salvaguardare il sacramento del battesimo e soprattutto la sua ricezione, che è bene prezioso da tutelare, poiché necessaria per la salvezza.

Nello stesso tempo, occorre considerare il valore reale che la comunità ecclesiale

conferisce ai compiti di padrino e madrina, il ruolo che questi hanno nella comunità e la considerazione da loro mostrata nei confronti dell’insegnamento della Chiesa. Infine, è da tenere in conto anche la possibilità che vi sia un’altra persona della cerchia famigliare a farsi garante della corretta trasmissione al battezzando della fede cattolica, sapendo che si può comunque assistere il battezzando, durante il rito, non solo come padrino o madrina ma, altresì, come testimoni dell’atto battesimale.

6. Una persona omoaffettiva e che convive può essere testimone di un matrimonio?

Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale che proibisca ad una

persona omoaffettiva e che convive di essere testimone di un matrimonio. Udep

 

 

 

 

Castagnata alla Missione di Kempten

 

Kempten. Sabato, 18 Ottobre 2023, nella Sala Parrocchiale di St. Anton di Kempten, si è svolta la tradizionale Castagnata, organizzata dal Consiglio Pastorale della Missione Cattolica Italiana di Kempten.

 

Dopo le vacanze estive questo è stato il primo incontro conviviale della Comunità Cattolica Italiana di Kempten e dintorni, che ha avuto luogo dopo la S. Messa prefestiva, celebrata – come ogni sabato – dal Rettore della Missione, Padre Bruno Zuchowski, nella chiesa di St. Anton. Celebrazione, durante la quale sono stati ricordati tutti i defunti; dei quali resteranno esposti ai piedi dell'altare le foto per tutto il mese di novembre. Si è inoltre pregato per le necessità e la salute di tutti e la pace nel mondo.

Subito dopo la S. Messa, il Rettore ha ringraziato i fedeli per la loro partecipazione al Servizio Divino e li ha invitati a recarsi nella sala parrocchiale per prendere parte alla Festa.

 

Come sempre, encomiabile la preparazione della sala curata dalla Segretaria della Missione, Signora Pina Baiano, dai Coniugi Giampiero e Gisella Trovato e dai loro Collaboratori. Appetitosi – veramente sfiziosi – i manicaretti portati dalle Famiglie; altrettanto speciali le caldarroste, il vino brulé (anche a base analcolica) e le diverse bevande, a disposizione degli intervenuti, offerti dalla Missione.

 

Intervenuti, ai quali è stato ripetuto un cordiale saluto dal Padrone di casa, Padre Zuchowski, che si è rallegrato per i numerosi presenti e che ha fatto alcuni paralleli, ricordando il brano evangelico sui Talenti, da lui commentato un'ora prima nella sua Omelia). Saluti rivolti ai presenti anche dai Corrispondenti Consolari, nonché Membri del Consiglio Pastorale: Comm. Antonino Tortorici (Memmingen) e Dr. Fernando A. Grasso (Kempten); che hanno portato il saluto del Console Generale d'Italia a Monaco di Baviera, Dr. Sergio Maffettone e brevemente illustrato le ultime novità riguardanti l'espletamento dei documenti, a Monaco e nei loro uffici; ricordando che gli ultrasettantenni possono accedere ai servizi consolari, presentandosi direttamente al Consolato il mercoledì e il giovedì, usufruendo di una corsia preferenziale.

 

Dopo i saluti, poi, del Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato e della Segretaria della Missione, Signora Pina Baiano, i convenuti sono stati invitati a guardare con attenzione un video girato durante l'estate dai Trovato. Una documentazione commentata anche da Baiano in cui sono visibili le condizioni di tanti immigrati,  assistiti fraternamente da un Centro di Aggregazione Sociale (Il Cenacolo), nel Comune di Maropati (Calabria). Per questa Associazione Trovato, prima di invitare i presenti di servirsi del magnifico e variegato buffet e del vino brulé e delle caldarroste, non ha mancato di chiedere un'offerta a sostegno dell'Aggregazione: richiesta accolta con generosità da molti dei presenti. Poi ha annunciato il proseguimento del programma della serata.

 

Serata   che è continuata quindi in allegria con musica e giochi preparati, organizzati e diretti dal Presidente, validamente coadiuvato dalla Moglie Gisella, dai Figli Ruben e Désirée e da altri Membri della Comunità Cattolica. Notevoli i risultati ottenuti da alcuni partecipanti, tra cui un Confratello del Rettore della Missione e da uno dei Collaboratori della Comunità.

 

Giochi, ai quali hanno preso parte attivamente, giovani e meno giovani, prima dell'inizio di diversi balli, moderni e classici, nei quali si sono cimentati numerosi presenti, da come si può vedere dalle foto che seguono.

La serata – veramente ben riuscita – e per la quale si ringraziano di cuore gli organizzatori, si è protratta sin dopo le 21:00 passate.

 

Tra i presenti, oltre alle persone già nominate: la Signora Silvana Tortorici, Moglie del Corrispondente Tortorici; la Signora Maria Mangano, Vedova del compianto Cav. Corrado Mangano; la Signora Emma Grenci, Vedova del caro Amico Ilario, scomparso da anni; la Signora Leanza;  il Rag. Paolo Franco; il Signor Sergio Grimaldi;  le Famiglie: Emanuele,  Mastrostefano, Cecere; la giovane Aurora Polverino; il Signor Nicola Trifilio... e tanti, tanti altri.

Fernando A. Grasso, Membro del Consiglio Pastorale (dip 19)

 

 

 

Papa Francesco: “La fiducia libera, la paura paralizza”

 

Città del Vaticano. Come per l’Omelia tenuta durante la Messa nella Giornata Mondiale dei poveri, anche l’Angelus odierno guidato da Papa Francesco in Piazza San Pietro parte dal Vangelo di oggi.

“Un padrone parte per un viaggio e affida ai servi i suoi talenti, ovvero i suoi beni: i talenti erano una moneta. Li distribuisce in base alle capacità di ciascuno. Al ritorno chiede conto di ciò che hanno fatto. Due di loro hanno raddoppiato quanto ricevuto e il signore li loda, mentre il terzo, per paura, si è seppellito il suo talento e può solo restituirlo, ragione per cui riceve un severo rimprovero. Guardando a questa parabola, possiamo imparare due modi diversi di accostarci a Dio”, dice il Papa in piazza San Pietro.

Il primo modo commentato dal Papa “quello di colui che seppellisce il talento ricevuto: non sa vedere le ricchezze, egli non si fida, né del padrone né di sé stesso”.

“Nei suoi confronti prova paura. Non vede la stima e la fiducia che il signore ripone in lui, ma l’agire di un padrone che pretende più di ciò che dà, di un giudice. Questa è la sua immagine di Dio: non riesce a credere alla sua bontà”, dice il Pontefice.

Poi il secondo modo negli altri due protagonisti, che ricambiano la fiducia del loro signore fidandosi a loro volta di lui. “Investono tutto quello che hanno ricevuto, anche se non sanno in partenza se tutto andrà bene, studiano vedono le possibilità , accettano il rischio”, spiega il Papa.

“Ecco il bivio che abbiamo di fronte a Dio: paura o fiducia. Come i protagonisti della parabola, anche noi – tutti noi abbiamo ricevuto dei talenti, ben più preziosi del denaro. Ma molto di come li investiamo dipende dalla fiducia nei confronti del Signore, che ci libera il cuore, ci fa essere attivi e creativi nel bene. La fiducia libera, sempre, la paura paralizza”, sottolinea il Papa.

Perché “la paura paralizza, la fiducia libera. E chiediamoci: credo che Dio è Padre e mi affida dei doni perché si fida di me? E io, confido in Lui al punto da mettermi in gioco, senza scoraggiarmi, anche quando i risultati non sono certi né scontati? So dire ogni giorno nella preghiera: “Signore, io confido in te!”?”, dice il Papa prima della recita dell’Angelus.

Subito dopo il Papa passa ai consueti saluti. "Rinnova la vicinanza al Myanmar che continua a soffrire a causa di violenza e soprusi, non si scoraggi”, dice il Papa.

“ Continuiamo a pregare per la martoriata Ucraina e popolazioni di Palestina e Israele, la pace è possibile, ci vuole buona volontà ! La guerra sempre è una sconfitta, soltanto guadagnano i fabbricatori armi”, sottolinea ancora una volta il Pontefice.

“Oggi celebriamo la VII giornata mondiale dei poveri, ringrazio le diocesi che hanno promosso iniziative di solidarietà con le famiglie che fanno fatica ad andare avanti, ricordiamo anche le vittime della strada, preghiamo per loro e impegniamoci a prevenire incidenti”, conclude così il Papa questo angelus domenicale. Veronica Giacometti, Aci 19

 

 

 

Giornata mondiale dei poveri: mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi

 

Mettere la vita con la vita dei piccoli, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, ci aiuta a vivere questa vicinanza ai poveri come via di santificazione. Essere famiglia di chi non ha famiglia, mettere al centro la persona e non il suo limite sono gli ingredienti di una proposta di vita aperta a tutti, in particolare alle famiglie. Don Benzi ripeteva che "per stare in piedi bisogna stare in ginocchio", bisogna entrare in sintonia con il Signore- di Matteo Fadda, responsabile della Comunità Giovanni XXIII

Per introdurci nella settima Giornata mondiale dei poveri il Santo Padre ci propone la Parola di Dio tratta dal libro di Tobia “Non distogliere lo sguardo da ogni povero” (Tb, 4, 7). Questa Parola non lascia spazio all’indifferenza, infatti “quando siamo davanti a un povero – spiega Papa Francesco – non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù”. L’esperienza dell’incontro con Gesù contribuisce a muovere tanti uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi nell’accoglienza dei poveri “eppure non basta” ci avverte il Pontefice, perché “un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte”. Questo messaggio ci scuote e ci dà un orientamento e una chiave di lettura precisa: è la realtà, sempre più drammatica, che stiamo vivendo in questi ultimi mesi. Il ritorno della guerra in Europa in seguito all’invasione russa dell’Ucraina; centinaia di migliaia di persone che emigrano in fuga da conflitti e povertà; il massacro di innocenti in Israele ed i bombardamenti nella Striscia di Gaza. Davvero un fiume che straripa e che sembra travolgerci. Situazioni che si aggiungono alle realtà di povertà che abbiamo vicino alle nostre case.

L’urgenza di rimuovere le cause di tali ingiustizie, sprona ed esorta la Comunità Papa Giovanni XXIII a “seguire Gesù, povero e servo e a condividere la vita degli ultimi” secondo il suo specifico carisma, ricevuto dal Signore, attraverso il fondatore don Oreste Benzi, come strumento di evangelizzazione e come dono per tutta la Chiesa. Questa scelta vocazionale interiore si traduce in una scelta di vita visibile che consiste proprio nel condividere direttamente la vita con gli ultimi. Mettere la vita con la vita dei piccoli, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, ci aiuta a vivere questa vicinanza ai poveri come via di santificazione. Essere famiglia di chi non ha famiglia, mettere al centro la persona e non il suo limite sono gli ingredienti di una proposta di vita aperta a tutti, in particolare alle famiglie. Don Benzi ripeteva che “per stare in piedi bisogna stare in ginocchio”, bisogna entrare in sintonia con il Signore. La condivisione diretta si regge sulle ginocchia perché è una scelta di fede e non un impegno. È in sé una proposta di giustizia, perché camminare al passo del migrante, del disabile, dell’anziano fa vivere sulla propria pelle le ingiustizie che loro vivono e fa prendere coscienza dell’importanza di provare a rimuovere tali ingiustizie per una società più giusta.

Il Santo Padre lo spiega bene nel suo messaggio: “Tobi, nel momento della prova, scopre la propria povertà, che lo rende capace di riconoscere i poveri. È fedele alla Legge di Dio e osserva i comandamenti, ma questo a lui non basta. L’attenzione fattiva verso i poveri gli è possibile perché ha sperimentato la povertà sulla propria pelle”.

Cinquant’anni fa il sacerdote dalla tonaca lisa, infaticabile apostolo della carità come lo ha definito Benedetto XVI, aprì la prima casa famiglia per accogliere prima i disabili, poi i bambini senza famiglia. Una rivoluzione che di recente il Santo Padre ha spiegato ricevendoci in udienza. “Oggi, qui con voi, – ha detto il Papa – voglio sottolineare che le ‘case famiglie’ sono nate dalla mente e dal cuore di Don Oreste Benzi. Lui era un prete che guardava i ragazzi e i giovani con gli occhi di Gesù, con il cuore di Gesù. E stando vicino a quelli che si comportavano male, che erano sbandati, ha capito che a loro era mancato l’amore di un papà e di una mamma, l’affetto dei fratelli. Allora Don Oreste, con la forza dello Spirito Santo e il coinvolgimento di persone a cui Dio dava questa vocazione, ha iniziato l’esperienza dell’accoglienza a tempo pieno, della condivisione della vita; e da lì è nata quella che lui ha chiamato ‘casa famiglia’. Un’esperienza che si è moltiplicata, in Italia e in altri Paesi, e che si caratterizza per l’accoglienza in casa di persone che diventano realmente i propri figli rigenerati dall’amore cristiano. Un papà e una mamma che aprono le porte di casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita. In essa c’è posto per tutti: minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi. La famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni persona”.

La relazione, “il bisogno innato di relazione”, ci porta a mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi, dei diseredati, degli scartati.

Quando si fa questo, allora non c’è tanto bisogno di spiegare, di parlare. È un linguaggio universale che può essere applicato a tutte le culture e nei più variegati contesti, è lo stile della nonviolenza che disinnesca la violenza, è il regno della Pace che rende inutile e insensata la guerra. Sir 18

 

 

 

 

Giornata mondiale dei poveri. Centinaia di iniziative nelle diocesi italiane

 

“Non distogliere lo sguardo dal povero” è il tema della settima edizione della Giornata mondiale dei poveri che si celebra il 19 novembre, per volontà di Papa Francesco. Caritas italiana ha messo a disposizione un sussidio e rilancia sul suo sito tutte le iniziative organizzate dalle diocesi italiane: convegni, pranzi o cene con le persone in situazione di povertà, visite alle persone sole o negli ospedali, campagne di raccolta fondi, perfino una app utile agli operatori dei centri di ascolto – di Patrizia Caiffa

 

Pranzi o cene con i poveri, l’offerta di un pasto a chi è in difficoltà, veglie di preghiera, convegni e incontri di approfondimento, visite agli anziani soli, alle persone sole negli ospedali, ai giovani con fragilità, campagne di raccolta fondi, perfino una app con informazioni utili per gli operatori dei centri di ascolto: sono innumerevoli le iniziative che si stanno organizzando in tutte le diocesi italiane in occasione della settima edizione della Giornata mondiale dei poveri, voluta da Papa Francesco, che si celebra il 19 novembre. Il tema di quest’anno è: “Non distogliere lo sguardo dal povero” (Tb 4,7).  Caritas italiana ha messo a disposizione un sussidio (scaricabile qui) e segnala sul suo sito tutte le iniziative nelle diocesi italiane.

Papa Francesco: “Momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e aiuto concreto”. “Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata mondiale dei poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi – scriveva Papa Francesco il 13 giugno 2017 presentando questa iniziativa -. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata mondiale dei poveri, si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto. In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo”.

Nel sussidio di Caritas italiana vengono proposti testi e testimonianze per strutturare un dialogo all’interno delle proprie comunità, tra cui pregare il rosario nella comunità e animare la celebrazione eucaristica domenicale con preghiere dei fedeli attinenti alla giornata e una catechesi per i giovani e i ragazzi sulla povertà. I ragazzi vengono invitati a scoprire chi sono i poveri che incontrano nella quotidianità: chi vive ai margini o in situazioni disagio, chi non ha relazioni né amicizie a scuola.

Alcune iniziative nelle diocesi. Impossibile elencare tutto il fervore che c’è nelle varie diocesi, da Nord a Sud. Ne segnaliamo alcune. La Caritas diocesana di Asti ha organizzato per domenica 19 novembre al Foyer delle famiglie un pranzo di fraternità con 110 commensali, tra cui persone in situazione di povertà e volontari. A pranzo ci sarà anche padre Marco Prastaro, vescovo di Asti. A Reggio Emilia il 18 novembre è tenuto il convegno delle Caritas parrocchiali (ore 9, nella parrocchia del Sacro Cuore in via Mons. Baroni, 1), con la presenza del vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Giacomo Morandi. La Caritas reggiana ha accolto l’invito della Pallacanestro Reggiana e 10 persone fra volontari e persone accolte nelle Locande andranno a vedere la partita di basket insieme. A Pescara-Penne, sempre il 18 novembre, dalle 9 presso la Sala Tosti del centro Aurum si è tenuto il convegno “Raccontare le povertà”, organizzato e promosso dalla Caritas diocesana in collaborazione con il Banco Alimentare d’Abruzzo.  La Caritas diocesana di Faenza-Modigliana lancia la nuova campagna “Aiutaci ad aiutare!” a favore delle azioni che ogni giorno la Caritas svolge a favore delle persone in povertà. Tramite donazioni materiali e disponibilità di tempo da dedicare al volontariato tutti possono dare un importante contributo ai servizi che ogni giorno la Caritas offre: dalla mensa alla distribuzione viveri e vestiti fino al dormitorio notturno o all’ambulatorio medico.

A Cassano all’Jonio, dopo un primo incontro il 7 novembre sulla figura di don Lorenzo Milani e il suo impegno contro la povertà educativa, si svolgerà il 19 novembre alle ore 11, presso la parrocchia di San Girolamo, la messa presieduta dal vescovo, mons. Francesco Savino. A seguire ci sarà un pranzo di condivisione e di solidarietà. A Lamezia Terme il 23 novembre, alle ore 17, presso il complesso interparrocchiale San Benedetto, la Caritas diocesana celebrerà la Giornata insieme al vescovo, mons. Serafino Parisi, don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, e don Fabio Stanizzo, direttore della Caritas diocesana, per poi inaugurare i locali del Centro diurno. A Como si è svolto il 18 novembre il convegno “Come la carità costruisce comunità” (ore 9, al Centro Cardinal Ferrari di viale C. Battisti 8).  A Iglesias si terranno adorazioni eucaristiche, veglie di preghiera diocesane in diverse parrocchie presiedute dal card. Arrigo Miglio. A Gorizia ci sarà una veglia con il vescovo (ore 20.30) presso la chiesa di Santa Maria Assunta (Padri Cappuccini) in piazza San Francesco, con riflessioni sul tema della povertà educativa. Al termine verrà consegnato il mandato agli animatori della carità delle varie parrocchie. La Caritas della diocesi di Vittorio Veneto ha pensato ad alcune iniziative e sussidi e domenica 19 novembre, alle ore 13, organizza un pranzo presso la Casa dello Studente con le persone seguite dalla Caritas diocesana. Sempre in Veneto, tra le varie iniziative, sarà lanciata Ehilapp!, una app per smartphone realizzata in collaborazione con le Caritas di Verona e Vicenza, grazie alla quale è possibile cercare – in base al proprio Comune di residenza – bandi, eventi, proposte, agevolazioni, ecc. a vantaggio di ogni cittadino. L’app può essere scaricata da tutti, ma risulta particolarmente utile per gli operatori dei Centri di ascolto. Sir 18

 

 

 

 

 

Udienza ai medici: la sanità pubblica deve essere al servizio dei più deboli

 

Nella udienza i medici il Papa ricorda che i figli sono un dono e la proposta della morte non è la soluzione - Di Angela Ambrogetti

 

Città del Vaticano. "L’Italia purtroppo è un Paese che invecchia: speriamo che si possa invertire la tendenza, creando condizioni favorevoli perché i giovani abbiano più fiducia e ritrovino il coraggio e la gioia di diventare genitori. Forse questo non dovrei dirlo, ma lo dico: oggi si preferisce avere un cagnolino che un figlio. Il vostro compito è molto limitato, ma cresce quello dei veterinari! E questo non è un buon segnale". Questa la riflessione di Papa Francesco che oggi ha ricevuto i membri dell’Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani (AOOI) e della Federazione Italiana Medici Pediatrici (FIMP).

A loro il Papa ha detto: "Voi pediatri, in particolare, siete punti di riferimento per le giovani coppie. Li aiutate nel loro compito di accompagnare i bambini nella crescita. I figli sono sempre un dono e una benedizione del Signore".  Il Papa ricorda la pandemia: "a distanza di tre anni, la situazione della sanità in Italia si trova ad attraversare una nuova fase di criticità che sembra diventare strutturale. Si registra una costante carenza di personale, che porta a carichi di lavoro ingestibili e alla conseguente fuga dalle professioni sanitarie. La perdurante crisi economica incide sulla qualità della vita dei pazienti e dei medici: quante diagnosi precoci non vengono fatte? Quante persone rinunciano a curarsi? Quanti medici e infermieri, sfiduciati e stanchi, abbandonano o preferiscono andare a lavorare all’estero?".

Per Francesco è fondamentale il diritto alla salute "sancito dalla Costituzione italiana quale diritto dell’individuo, cioè di tutti – nessuno escluso –, specialmente dei più deboli, e quale interesse della collettività, perché la salute è un bene comune. La sanità pubblica italiana è fondata sui principi di universalità, equità, e solidarietà, che però oggi rischiano di non essere applicati. Per favore, conservate questo sistema, che è un sistema popolare nel senso di servizio al popolo, e non cadete nell’idea forse troppo efficientista – alcuni dicono “moderna” –: soltanto la medicina pre-pagata o quella a pagamento e poi nient’altro. No. Questo sistema va curato, va fatto crescere, perché è un sistema di servizio al popolo".

Il Papa mette poi in guardia da due rischi: "da un lato la ricerca della salute a tutti i costi, l’utopia dell’eliminazione della malattia, rimuovendo l’esperienza quotidiana della vulnerabilità e del limite; dall’altro, l’abbandono di chi è più debole e fragile, in alcuni casi con la proposta della morte come unica via. Ma una medicina che rinuncia alla cura e si trincera dietro procedure disumanizzate e disumanizzanti non è più l’arte del curare".

La parola chiave invece "è compassione, che non è compatimento, no, compassione, è un con-patire. È uno strumento diagnostico insostituibile! Del resto, Gesù è il medico per eccellenza, non è vero? Sono tre i tratti di Dio che ci aiutano sempre ad andare avanti: la vicinanza, la compassione e la tenerezza. A me piace pensare che tutti noi curatori della salute – noi, curatori della salute spirituale, voi, della salute fisica e anche psichica e spirituale in parte – dobbiamo avere questi tre atteggiamenti: vicinanza, compassione e tenerezza. E questo aiuta tanto, questo costruisce la società".

Infine il Papa ricorda che "chi è chiamato a prendersi cura degli altri, non deve trascurare di avere cura di sé. In questi ultimi anni, la resistenza dei medici, degli infermieri, dei professionisti sanitari è stata messa a dura prova. Sono necessari interventi che diano dignità al vostro lavoro e favoriscano le migliori condizioni perché possa essere svolto nel modo più efficace. Tante volte voi siete vittime!".

L'udienza avviene proprio mentre in Vaticano ha preso il via la iniziativa “Grazie, dottore”, un’iniziativa dell’associazione no-profit di medici SOMOS Community Care,che riunisce più di 2.200 medici a New York per servire in particolare pazienti immigrati, ed è sostenuta dalla Pontificia Accademia per la Vita, oltre che da altre organizzazioni mediche, infermieristiche, civiche e accademiche. L'idea è anche di far firmare una “Dichiarazione per la riscoperta del medico di famiglia” che intende ricordare ai governi, alle istituzioni pubbliche e ai sistemi sanitari la necessità di rimettere al centro la figura del medico di base. Aci 18

 

 

 

 

Una challenge per tutti

Vorremmo che questa newsletter potesse attivare una vera e propria “challenge”, raccogliendo l’invito di Papa Francesco nel messaggio per la XXXVIII Giornata mondiale della gioventù e promuovendo una “sfida” comunicativa in chiave positiva. “Sui social media – osserva il Papa – sembra più facile condividere cattive notizie che notizie di speranza. Pertanto, vi faccio una proposta concreta: provate a condividere ogni giorno una parola di speranza”. In un tempo pressato dal buio possiamo e dobbiamo accendere luci che riscaldino e aprano orizzonti di senso. La comunicazione, specialmente quella social, passa soprattutto attraverso la condivisione. Facciamo circolare la speranza per non cadere nella rete della disperazione. È questa la sfida aperta a tutti, anche perché “la speranza non delude” (Rm 5,5). Vincenzo, uncs 17

 

 

 

 

Tutela dei minori: una cultura della cura e della protezione nella Chiesa

 

Oltre 150 referenti territoriali si sono riuniti a Roma per il primo incontro nazionale dei referenti territoriali del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. “Non operiamo nella periferia della Chiesa per riparare danni esterni, ma lavoriamo al cuore della nostra vita ecclesiale, dove si sono prodotte ferite che le persone si portano dentro”, ha detto mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna e presidente del Servizio - Riccardo Benotti

 

“Fare rete è la chiave per poter portare avanti questa missione che ci ha affidato il Papa di creare una cultura della cura e della protezione dentro la Chiesa. Innanzitutto, grazie di cuore per il vostro lavoro!”. Padre Andrew Small, segretario della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ha aperto i lavori del primo incontro nazionale dei referenti territoriali del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Oltre 150 referenti territoriali si sono riuniti nel Cento congressi Augustinianum di Roma, per una giornata di lavori guidata da Emanuela Vinai, coordinatrice del Servizio. Alla tavola rotonda che ha aperto la mattinata è intervenuto mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei: “Non possiamo tollerare che i bambini soffrano a causa nostra e in ambienti che dovrebbero essere sicuri e accoglienti. Anche un solo caso è troppo”. Per il vescovo, “non è possibile dire seriamente una parola sui bambini senza ascoltare il loro grido” e “la Chiesa oggi deve ascoltare il grido di chi spesso non ha neanche la fiducia per esprimerlo, liberando da una sofferenza ingiusta che impedisce la possibilità della felicità”. Quindi mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna e presidente del Servizio, ha ricordato che “non operiamo nella periferia della Chiesa per riparare danni esterni, ma lavoriamo al cuore della nostra vita ecclesiale, dove si sono prodotte ferite che le persone si portano dentro”. “La Chiesa universale si sta muovendo per ripensare se stessa in senso sinodale e forse ci si aspetta che alcune strutture cambino in un’ottica più missionaria. Dentro questo cambiamento ci siamo noi – ha precisato mons. Ghizzoni -, con un ministero che sta cambiando la vita e il volto della Chiesa a poco a poco e partendo dal basso”.

All’incontro ha partecipato anche Gianfranco Costanzo, capo del Dipartimento delle politiche per la famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha sottolineato la “centralità della prevenzione” e il “costante impegno di tutti coloro che sono coinvolti nella tutela dei minori”. Costanzo ha presentato l’attività dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e il nuovo Piano nazionale orientato alla realizzazione di interventi funzionali a rispondere agli obiettivi connessi alla prevenzione, protezione e promozione: “I più piccole e vulnerabili si affidano e si fidano di noi. Abbiamo una grande responsabilità”. Un messaggio è stato inviato anche da Carla Garlatti, autorità garante per l’infanzia e la adolescenza: “Ascoltare diventa ancora più importante per noi adulti, per poter tutelare e prevenire. Non solo attraverso i centri di ascolto, che restano comunque uno spazio importante per la raccolta di segnalazioni e l’attivazione delle conseguenti tutele, ma anche realizzando interventi che pongano al centro il minore permettendogli di esprimersi in contesti protetti e ricettivi, con personale formato, in grado di cogliere gli indicatori di eventuali situazioni di abuso o vulnerabilità e di intervenire per fornire il necessario supporto e assistenza”.

Dopo la presentazione della seconda rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili promossa dalla Cei, è stata la volta di due buone pratiche. La prima è un percorso di formazione umana dedicato ai sacerdoti e alle religiose della Toscana nei primi dieci anni di ordinazione o consacrazione. Realizzato in collaborazione con Scuola di alta formazione in Antropologia Medica della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale il percorso, la cui prima edizione si è svolta da maggio a novembre, ha come obiettivo quello di riflettere su alcune aree del vissuto e aspetti della pastorale che hanno bisogno di particolare cura e attenzione. “La priorità è stata prendersi cura delle singole persone, della loro formazione per una crescita di maturità. Altrimenti si rischia di passare i contenuti che poggiano su strutture umane profondamente immature”, ha spiegato la responsabile del progetto suor Tosca Ferrante, coordinatrice del Servizio regionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Nei quattro appuntamenti che hanno scandito il percorso si è parlato di diritti e doveri dei sacerdoti e delle religiose, di solitudine e dipendenze, di consapevolezza e della sua gestione, dei nuovi legami familiari. Hanno partecipato oltre 150 persone, con un’età media di 35/40 anni: “C’erano molti parroci e sacerdoti impegnati in parrocchie, ma anche le religiose che operano nelle strutture educative. Tanti preti e suore giovani si sentono sopraffatti dai messaggi che veicolano i media, un’accusa generalizzata nei confronti della Chiesa. Quasi che tutti fossero abusatori. Abbiamo creato una alleanza educativa, spiegando che la cura della nostra vocazione personale è una responsabilità verso le persone che serviamo. E i vescovi della Toscana sono molto soddisfatti questo percorso, che vogliamo riproporre”.

Dall’Abruzzo, invece, è arrivata la testimonianza di una buona prassi interistituzionale con la presentazione di un protocollo d’intesa promosso dalla diocesi di Sulmona-Valva con il Servizio sociale territoriale, le Forze dell’Ordine, i Servizi sanitari, gli enti del Terzo settore e la realtà scolastica. Il protocollo mira a creare una rete di coordinamento in tema di maltrattamento e abuso a danno dei minori tra i diversi attori presenti sul territorio, promuovendo interventi finalizzati a prevenire, rimuovere e monitorare tale fenomeno, formando gli operatori dei servizi presenti sul territorio sulle tematiche inerenti l’abuso e il maltrattamento dei minori e favorendo iniziative di sensibilizzazione sulla problematica rivolte alla cittadinanza. “Abbiamo avviato un progetto interno alla diocesi, coinvolgendo gli uffici pastorali, che fosse anche aperto alle istanze del territorio – racconta Lucia Colalancia, psicoterapeuta e referente del Servizio diocesano per la tutela dei minori -. Siamo da sempre radicati nella vita della società civile, dunque è stato naturale stringere rapporti con le istituzioni del territorio. Mancava un collegamento, una prassi consolidata rispetto alla tutela dei minori in caso di abuso. Ognuno si muoveva autonomamente, non c’era una rete. Abbiamo voluto mettere in circolo le tante risorse. Le lentezze burocratiche e la carenza di personale pubblico ha rallentato l’attuazione del protocollo. Ma siamo pronti a partire”. Sir 17

 

 

 

Francia, primi passi per il diritto all'aborto nella Costituzione. Il no dei vescovi

 

Il presidente Macron ha annunciato la sua volontà di inserire il diritto all’aborto nella Costituzione. Dura presa di posizione dei vescovi di Francia: “Non è progresso” - Di Andrea Gagliarducci

 

Lourdes. “Il diritto all’aborto sarà irreversibile”. A fine ottobre, il presidente francese Emmanuel Macron ha spiegato così la sua intenzione di avviare le procedure per inserire il diritto all’aborto nella costituzione francese. Dopo la legge sull’eutanasia, ancora da dipanare e la cui presentazione fu rinviata perché non accadesse durante il viaggio del Papa in Francia, il presidente francese impartisce un altro duro colpo alla cultura della vita. E i vescovi francesi non stanno a guardare.

Riuniti in plenaria a Lourdes lo scorso 7 novembre, i vescovi di Francia hanno espresso la loro preoccupazione e riaffermato che “ogni vita è un dono per questo mondo, un dono fragile e prezioso, infinitamente degno, da accogliere e servire dal suo inizio fino alla sua fine naturale”.

Nella nota diffusa dalla Conferenza Episcopale Francese si legge che “nel 2022, in Francia ci sono state 723.000 nascite e più di 234.000 aborti. Si tratta di un triste primato per l'Unione europea, un dato che non diminuisce ma anzi aumenta”. 

Si tratta di una “drammatica realtà” che “va oltre la semplice questione dei diritti delle donne. Non è progresso. La nostra società dovrebbe vedere questo soprattutto come un segno del suo fallimento nell’educazione, nell’accompagnamento e nel sostegno sociale, economico e umano di coloro che ne hanno bisogno. Dovrebbe essere preoccupato per il suo futuro, notando il prevedibile calo della sua popolazione”.

I vescovi ricordano che il comandamento “Non Uccidere” è iscritto nelle coscienze non solo dei credenti, ma di tutti gli esseri umani, e questo significa che “ogni essere umano è affidato alla cura di tutti gli altri”. Per questo, aggiungono “non dobbiamo indebolire la forza di tale punto di riferimento. Siamo, in un certo senso, tutti responsabili di questi bambini non ancora nati. Pertanto, il vero progresso sta nella mobilitazione di tutti, credenti e non credenti, affinché l’accoglienza della vita sia meglio aiutata e sostenuta”. 

Secondo i vescovi, “la vera urgenza è aiutare almeno le coppie o le donne che, oggi, non hanno realmente scelta e sentono di non poter tenere il proprio figlio a causa dei vincoli sociali, economici e familiari che gravano su di loro, e troppo spesso sulle sole donne”.

La Conferenza Episcopale Francese sottolinea inoltre che “i diritti delle donne devono essere ulteriormente promossi e garantiti. Una reale parità retributiva, la tutela contro la violenza, nella vita sociale e nella privacy delle famiglie, il sostegno sociale al loro ruolo nell’educazione dei figli, soprattutto per le donne sole, sono progressi altamente auspicabili per le nostre società”. 

Includere l’aborto tra questi diritti fondamentali “significherebbe danneggiare il loro intero equilibrio”.

I vescovi scrivono anche che “insieme agli altri credenti, uomini e donne di buona volontà, i cattolici si sentono chiamati a servire questi diritti e questa dignità dei più deboli. Pregano per le coppie e le donne che affrontano il dramma dell'aborto”, e ribadiscono gratitudine a quanti si impegnano a “far avanzare la cultura della vita”. Aci 17

 

 

 

 

Come è possibile scoprire Gesù nei poveri? “Bisogna conoscerli e parlarci"

 

Fra Marcello Longhi, presidente OSF rilegge il messaggio per la VII Giornata dei Poveri - Di Simone Baroncia

 

Roma. “Soffermarci sul Libro di Tobia, un testo poco conosciuto dell’Antico Testamento, avvincente e ricco di sapienza, ci permetterà di entrare meglio nel contenuto che l’autore sacro desidera trasmettere. Davanti a noi si apre una scena di vita familiare: un padre, Tobi, saluta il figlio, Tobia, che sta per intraprendere un lungo viaggio. Il vecchio Tobi teme di non poter più rivedere il figlio e per questo gli lascia il suo ‘testamento spirituale’. Lui è stato un deportato a Ninive ed ora è cieco, dunque doppiamente povero, ma ha sempre avuto una certezza, espressa dal nome che porta: ‘il Signore è stato il mio bene’. Quest’uomo, che ha confidato sempre nel Signore, da buon padre desidera lasciare al figlio non tanto qualche bene materiale, ma la testimonianza del cammino da seguire nella vita”.

Questo ha scritto Papa Francesco nel messaggio ‘Non distogliere lo sguardo dai poveri’ in occasione della VII giornata mondiale dei poveri, che si svolgerà domenica 19 novembre, sottolineando che lo sguardo di un povero cambia direzione alla vita di chi lo incrocia, ma bisogna avere il coraggio di restare su quegli occhi e poi agire aiutando, non secondo le nostre necessità o il nostro volerci liberare dal superfluo, ma in base a quello che serve all’altro.

Partendo da questo passaggio a fra Marcello Longhi, presidente OSF, abbiamo chiesto di spiegare il motivo per cui nel messaggio papa Francesco invita a non distogliere lo sguardo dal povero: “Papa Francesco ci ricorda che se non distogliamo lo sguardo dal povero, non distogliamo nemmeno lo sguardo da Lui, perché le persone in povertà sono il volto di Gesù. Nello stesso tempo, tenendo lo sguardo aperto su chi è in povertà, non ci dimentichiamo nemmeno chi siamo e teniamo lo sguardo anche su noi, perché siamo di fronte a Dio, tutti poveri. Allora la compagnia dei poveri ricorda anche chi siamo noi. Oltre a darci la possibilità di vedere il volto di Dio ci ricorda anche il nostro essere. Stare vicino ai poveri a me aiuta a leggere bene anche me stesso ed a non ‘buttare’ via la vita; per cui credo che sia per questo che il papa ci invita a non distogliere lo sguardo dai poveri”.

Per quale motivo nel messaggio il papa ha scelto di raccontare la storia di Tobia?

“Credo che la storia di Tobia sia una storia di un uomo tanto giusto e concreto, anche tanto umile, che ha saputo pagare senza paura il ‘prezzo’ delle sue scelte di amore; tra l’altro, questo gesto di carità, che è quello di seppellire i morti, non scontato e pieno di umanità, ci dice che Tobia era un uomo veramente buono e pieno di Dio. E’ anche un uomo che ha sperimentato un prezzo amaro per questa sua bontà; il papa racconta che, nonostante facesse il bene, è capitata anche la ‘sventura’ di diventare cieco. Eppure Tobia non rinuncia ad essere un uomo di carità e di amore; sa attraversare anche una prova brutta, che è quella della cecità, ma senza rinnegare la sua scelta di carità. In questo Tobia è un compagno di vita; è un uomo concreto, che invita a non disperare, perché ha saputo attraversare momenti molto duri, come capita a tanti”.

Come è possibile scoprire Gesù nei poveri?

“Bisogna conoscerli e parlarci; bisogna non avere paura di farci raccontare la loro vita. Bisogna decidere di essere amici delle persone in povertà e di presentarci a loro con lo stesso rispetto con cui ci presentiamo ai nostri amici ‘normali’. Si ‘scopre’ Gesù nei poveri nel momento in cui apriamo con loro canali di amicizia. Allora ci accorgiamo che anche nei poveri Gesù si rivela. Stando con loro possiamo capire cose che i ricchi non capiranno mai. E’per questo che Gesù desiderava stare con loro”.

La povertà è in crescita anche tra gli italiani: in quale modo è possibile arginarla?

“Credo che soprattutto è possibile prevenire le situazioni di povertà. Questo significa avvicinare le persone a rischio di povertà, aiutandole a non cadere in povertà. La prevenzione verso quelle situazioni che generano povertà è la prima cosa da fare: questo certamente le comunità cristiane, le associazioni e la politica. La povertà si argina prevenendola. Poi, certamente, bisogna anche decidere di accompagnare chi è caduto in povertà e di riportarlo in una situazione di dignità e di autonomia. Poi credo che un indice di progresso sia quello di una società che sa sostenere i suoi membri, che fanno fatica, perché quando una parte della società marcisce è come quando una parte del corpo che marcisce: alla fine tutto il corpo va in grave sofferenza. E’ un segno di grandissima civiltà quello di saperci prendere cura anche di quei cittadini che vivono nella povertà; essere vicino ai poveri è la forma più bella di carità cristiana e di vivere il Vangelo; ed è un’avventura che dona tantissimo a chi sceglie di viverla, perché la compagnia con i poveri dona tantissimo e chi ha donato lo sa. Se uno compie la propria parte la povertà può essere arginata”.

Quale è la missione dell’Opera di San Francesco?

“La missione è quella di dare una mano ad ogni persona tutti i giorni, riconoscendo in lei la presenza di Gesù. La nostra missione è quella di fare compagnia alle persone in povertà con l’obiettivo di riportarle ad una vita di dignitosa autonomia. La nostra missione è quella di non negare a nessuno la possibilità di non affondare nella povertà degradante. Il nostro obiettivo è di impedire questo ed accompagnare ogni persona a vivere bene. Facciamo tutto ciò con la delicatezza di san Francesco di Assisi. Vogliamo realizzare questa presenza, dando la possibilità ai volontari di rendere concreto questo amore per le persone. L’Opera di San Francesco può contare su 1300 volontari e su 70 dipendenti, che insieme fanno in modo che ogni giorno sia possibile offrire qualcosa di bello e di buono a chi si rivolge a noi in situazioni di difficoltà”.   

Aci 16

 

 

 

 

Zehn Jahre Gotteslob. Gesamtauflage von rund sieben Millionen Büchern

 

Am ersten Adventssonntag 2013 – vor nun genau zehn Jahren – haben die Bischöfe Deutschlands, Österreichs und der Diözese Bozen-Brixen das neue Gotteslob eingeführt. Damit löste das Gebet- und Gesangbuch nach fast 40 Jahren seinen gleichnamigen Vorgänger von 1975 ab, seinerzeit das erste derartige bistums- und länderverbindende Buch überhaupt im deutschen Sprachgebiet.

„Allein für die Erstauflage des neuen Gotteslob sind unglaubliche 3,6 Millionen Exemplare in Druck gegangen“, erklärt Bischof Dr. Stephan Ackermann, Vorsitzender der Liturgiekommission der Deutschen Bischofskonferenz, „und nun, zehn Jahre nach der Einführung, sehen wir eine Gesamtauflage von rund sieben Millionen Büchern“. Aktuell gibt es 30 Diözesan- bzw. Diözesanverbundausgaben in etwa 115 verschiedenen Ausführungen: Standard, Großdruck, Kunstleder, Echtleder, mit oder ohne Goldschnitt bzw. Goldprägung, dazu verschiedene Farben. Auch gibt es das Gotteslob inzwischen in Leichter Sprache. Unter dem Titel „Gemeinsam bunt – Leichtes Gotteslob“ leistet das „LeiGoLo“ mit über 200 Liedern in Leichter Sprache und leichter Melodieführung einen Beitrag zum inklusiven Musizieren. 

„Es erforderte viel Mut, ein Projekt von solcher Dimension und Tragweite anzugehen“, erinnert sich Bischof Ackermann, „ein katholisches Gebet- und Gesangbuch für weiteste Teile des Sprachgebiets, in einer Zeit rasanter Säkularisierung und gesellschaftlicher Ausdifferenzierung, ganz zu schweigen von der organisatorischen Herausforderung. Eigentlich damals, als die Entscheidung fiel, ein echtes Wagnis. Aber, es ist gelungen.“

Das Gotteslob ist ein Gemeinschaftswerk von 37 Diözesen. Auf seinen ca. 1.200 Seiten, je nach Ausgabe, verbinden sich hier ein bistums- und länderverbindender Stammteil mit diözesan bzw. regional kolorierten Eigenteilen. „Ohne den unermüdlichen Einsatz des damaligen Vorsitzenden der Liturgiekommission und der Unterkommission für das Gotteslob, Bischof Dr. Friedhelm Hofmann, ohne sein Team und, natürlich, ohne die rund hundert Experten aus Liturgie, Kirchenmusik, Pastoral, Bibelexegese, Dogmatik, Spiritualität und Kunst wäre das Buch nie möglich geworden“, so Bischof Ackermann.

Das Gotteslob bietet Lieder und Gesänge in reicher Auswahl, Gebete und liturgische Texte quer durch das Kirchenjahr, es führt kompakt durch Inhalt und Liturgie der Sakramente und anderer Feiern, gibt Hinführungen, entsprechende Hilfestellungen und Informationen. Das Gotteslob ist ein Gottesdienst- und Glaubensbuch – ein Fundus für die gemeinsame Feier der Liturgie und ein Begleiter auf dem persönlichen Glaubensweg.

Daher ist Bischof Ackermann überzeugt: „Das große, vielfältige Angebot, der gelungene Mix aus Überregionalität und Lokalität, aus Alt und Neu, eine wertige, zeitgemäße Aufmachung, Praxisnähe und, ganz wichtig, das klare Konzept – das alles zusammen macht das Gotteslob zu diesem einzigartigen Erfolgsmodell.

Hinweise: Eine Übersicht der verschiedenen Ausgaben des Gotteslob sowie Bestellmöglichkeiten sind auf der Internetseite des Katholischen Bibelwerks unter www.bibelwerk.shop/gotteslob verfügbar. Dbk 30

 

 

 

 

Misereor fordert weltweiten Ausstieg aus fossilen Energien

 

Das Hilfswerk Misereor appelliert vor Beginn der 28. Klimakonferenz der Vereinten Nationen (COP28) in Dubai an die Bundesregierung, sich für einen weltweiten Ausstieg aus fossilen Energieträgern einzusetzen.

Es brauche eine gerechte Energiewende hin zu 100 Prozent erneuerbarer Energien weltweit, so das Hilfswerk in einer am Mittwoch veröffentlichen Pressemittelung. Die Förderung und Nutzung fossiler Brennstoffe verschärfe nicht nur die weltweite Klimakrise, die sich gerade in Afrika durch massive Dürren, Überschwemmungen und Wirbelstürme offenbare. Sie habe auch negative Auswirkungen auf die Gesundheit, Ernährung, Bildung und Wasserversorgung der lokalen Bevölkerung. Um dies zu stoppen „ [...] ist es dringend geboten, dass auch Deutschland seine Investitionen in internationale, fossile Energieprojekte umleitet in eine erneuerbare Energieversorgung, die viel besser geeignet ist, um Energiearmut zu lindern und gerechten Zugang zu modernen Energieträgern weltweit zu gewährleisten", hebt Madeleine Wörner, Energieexpertin bei Misereor, hervor.

Verantwortung des Vatikans

„Papst Franziskus hat in ‚Laudate Deum‘ betont: ‚Die Situation wird immer dringlicher‘ und ‚Niemand rettet sich allein‘", sagt Pirmin Spiegel, Hauptgeschäftsführer von Misereor. Die Teilnahme des Papstes hätte einen bedeutenden Schritt in seinem Aufruf für verstärkten Klimaschutz markiert. Misereor erwarte dennoch eine aktivere Rolle des Vatikans bei dieser Konferenz, besonders im Einsatz für Klimagerechtigkeit und gegen kurzfristige Wirtschaftsinteressen.

Das katholische Hilfswerk begleitet die Klimaverhandlungen seit 2007 und unterstützt die Teilnahme von Organisationen aus dem Globalen Süden an der COP28, die sich für erneuerbare Energien und menschenrechtsbasierte Klimapolitik einsetzen. (pm 29)

 

 

 

Absage: Papst Franziskus fliegt doch nicht nach Dubai

 

Eigentlich wollte Papst Franziskus am kommenden Wochenende an der UN-Klimakonferenz COP28 in Dubai teilnehmen. Doch jetzt hat er seine Reise in die Vereinigten Arabischen Emirate abgesagt.

Das teilte das vatikanische Presseamt am Dienstagabend mit. Grund ist die Infektion, die sich der Papst am Wochenende zugezogen hat. Sie macht seinem Plan, als erster Papst überhaupt an einer UN-Klimakonferenz teilzunehmen, einen Strich durch die Rechnung.

Das dürfte Franziskus schmerzen: Er ist Autor der ersten Umweltenzyklika eines Papstes überhaupt. In „Laudato si‘“ warnte er 2015 eindringlich vor den Folgen des Klimawandels. In seinem Schreiben „Laudato Deum“ hat er vor kurzem, auch mit Blick auf die Beratungen von Dubai, nachgelegt.

„Mit großem Bedauern“

„Obwohl sich das allgemeine klinische Bild des Heiligen Vaters in Bezug auf seinen grippeähnlichen Zustand und die Entzündung der Atemwege verbessert hat, haben die Ärzte den Papst gebeten, die für die kommenden Tage geplante Reise nach Dubai abzusagen.“ Das teilte der Leiter des Pressebüros des Heiligen Stuhls, Matteo Bruni, am Dienstagabend mit. „Papst Franziskus hat der Bitte der Ärzte mit großem Bedauern entsprochen, so dass die Reise also abgesagt wird.“

Franziskus und der Heilige Stuhl seien allerdings weiterhin daran interessiert, „sich an den Gesprächen der kommenden Tage zu beteiligen“, fährt das Statement aus dem Vatikan fort. Es solle „so bald wie möglich“ geklärt werden, wie das in die Tat umgesetzt werden könne.

Franziskus wollte Rede auf Klimakonferenz halten

Papst Franziskus wollte am 1. Dezember nach Dubai reisen, um am Samstag, 2. Dezember, eine Rede auf der Klimakonferenz zu halten. Für den darauffolgenden Tag, den Sonntag, war außerdem die Einweihung eines interreligiösen „Faith Pavillon“ geplant. Eine Messe für die katholischen Gläubigen der Emirate war nicht vorgesehen.

Am vergangenen Samstag hatte der Papst aus gesundheitlichen Gründen alle Audienzen abgesagt. Am frühen Nachmittag hatte er sich dann im Krankenhaus auf der römischen Tiberinsel einer Computertomographie unterzogen, bei der zwar eine Lungenentzündung ausgeschlossen, aber doch eine Entzündung im Lungenbereich diagnostiziert wurde, die ihm einige Atembeschwerden verursachte. Am Sonntag hatte Franziskus angesichts des kalten Wetters in Rom den Angelus von der Kapelle der Casa Santa Marta aus gebetet und nicht, wie üblich, vom Fenster des Apostolischen Palastes aus.

Generalaudienz soll offenbar stattfinden

Um die Genesung des Papstes zu erleichtern, wurden einige wichtige Termine, die für diese Tage geplant waren, verschoben, andere hingegen beibehalten. Seit Montag befindet sich der 86-Jährige auf dem Weg der Besserung. Die Generalaudienz an diesem Mittwochmorgen soll offenbar stattfinden.

Die UN-Klimakonferenz von Dubai will evaluieren, ob die internationale Gemeinschaft die auf dem Klimagipfel von Paris 2015 beschworenen Ziele einhalten kann. Für Franziskus wäre es die 45. Auslandsreise in seiner über zehnjährigen Amtszeit gewesen. (vn 29)

 

 

 

 

Trotz Grippe: Papst hält Generalaudienz

 

Trotz seiner Grippeerkrankung hat Franziskus an diesem Mittwoch seine übliche Generalaudienz gehalten. Zwölf Stunden, nachdem seine Reise zum Klimagipfel von Dubai krankheitshalber abgesagt wurde, empfing der Papst Pilger und Touristen. Stefan von Kempis – Vatikanstadt

 

Allerdings fand die Audienz diesmal nicht auf dem Petersplatz statt, über den ein kalter Wind fegte, sondern in der vatikanischen Audienzhalle. „Mir geht es noch nicht gut“, sagte Franziskus einleitend, „ich habe immer noch die Grippe, meine Stimme ist nicht gut.“ Darum werde ein Monsignore seinen vorbereiteten Redetext verlesen – und so geschah es auch.

Der Papst-Text beschäftigte sich erneut mit den Freuden des Evangelisierens; er betonte, dass die christliche Botschaft „für heute“ ist und nicht für eine ideal gedachte Zeit, irgendwann mal später. Heute: Das bedeutet, dass die Freude des Evangeliums in eine durchaus schwierige Zeit hinein zu vermitteln ist.

Kriege, Klimawandel, Migrationen: Viele Gründe zur Besorgnis

„Wir hören fast immer schlechte Dinge über das Heute. Natürlich gibt es zwischen Kriegen, Klimawandel, Ungerechtigkeiten und Migrationen auf der Erde, neben Familien- und Hoffnungskrisen keinen Mangel an Gründen zur Besorgnis. Generell scheint es heute eine Kultur zu geben, die den Menschen über alles und die Technologie in den Mittelpunkt stellt… Dabei führt diese Kultur des technisch-individuellen Fortschritts zur Verfestigung einer Freiheit, die keine Grenzen anerkennen will und gegenüber den Zurückgebliebenen gleichgültig erscheint.“

Hier brachte der verlesene Papst-Text auch eine neuerliche, heftige Kritik am derzeitigen Wirtschafts- und Finanzsystem unter: Die „oft unersättliche Logik der Wirtschaft“ habe eine „Vision des Lebens, die diejenigen ausschließt, die nichts produzieren“. Und sie habe „Mühe, über das Immanente hinauszuschauen“.

Die platten Städte mit ihren Wolkenkratzern

„Wir könnten sogar sagen, dass wir uns in der ersten Zivilisation der Geschichte befinden, die weltweit versucht, eine menschliche Gesellschaft ohne die Gegenwart Gottes zu organisieren, und sich dabei auf riesige Städte konzentriert, die horizontal bleiben, auch wenn sie schwindelerregende Wolkenkratzer haben.“

Das ließ den Papst in seinem verlesenen Katechesentext an den Turmbau von Babel denken (siehe Gen 11,1-9). Auch damals sei versucht worden, ein globales Einheitsdenken durchzusetzen; Gott aber habe die Unterschiede wiederhergestellt und die Vielfalt wiederbelebt. Eine interessante, anti-globalistische Lesart des alten Bibeltextes.

Turmbau von Babel - eine neue Lesart

„Diese Geschichte scheint wirklich aktuell zu sein: Auch heute basiert Zusammenhalt oft nicht auf Geschwisterlichkeit und Frieden, sondern eher auf Ehrgeiz, auf Nationalismus, auf Standardisierung, auf technisch-wirtschaftlichen Strukturen, die die Überzeugung einprägen, dass Gott unbedeutend und nutzlos ist: Nicht so sehr, weil wir nach mehr Wissen streben, sondern vor allem nach mehr Macht. Es ist eine Versuchung, die die großen Herausforderungen der heutigen Kultur prägt.“

So weit, so düster. Und exakt diese verworrene Welt bietet die Folie für die, ja doch, Freude des Evangeliums. „Man kann Jesus nur verkünden, indem man in der Kultur seiner jeweiligen Zeit lebt; und immer im Herzen die Worte des Apostels Paulus für den heutigen Tag trägt: ‚Jetzt ist der günstige Augenblick, jetzt ist der Tag des Heils!‘ (2 Kor 6,2). Es besteht daher keine Notwendigkeit, alternative Visionen aus der Vergangenheit der Gegenwart gegenüberzustellen. Es reicht auch nicht aus, einfach erworbene religiöse Überzeugungen zu wiederholen, die, so wahr sie auch sein mögen, mit der Zeit abstrakt werden. Eine Wahrheit wird nicht dadurch glaubwürdiger, dass man die Stimme erhebt, wenn man sie sagt, sondern weil man sie mit dem eigenen Leben bezeugt.“

„Eine Wahrheit wird nicht dadurch glaubwürdiger, dass man die Stimme erhebt“

Apostolischer Eifer sei nie „eine einfache Wiederholung eines erworbenen Stils“, so der Katechesen-Text von Franziskus. Vielmehr gehe es um „ein Zeugnis dafür, dass das Evangelium für uns heute lebendig ist“. In diesem Bewusstsein könne man unsere Zeit und unsere Kultur „als Geschenk betrachten“.

„Sie gehören uns, und sie zu evangelisieren bedeutet nicht, sie aus der Ferne zu beurteilen, auch nicht, auf einem Balkon zu stehen und den Namen Jesu auszurufen, sondern auf die Straße zu gehen, zu den Orten zu gehen, an denen man lebt, die Orte aufzusuchen, an denen man leidet, arbeitet, studiert und reflektiert…“ Nur dann sei die Kirche wirklich „Sauerteig“.

Ein Papst in Dubai – das wäre die perfekte Illustration zu diesen Gedanken über den Turmbau von Babel gewesen… (vn 29)

 

 

 

Das globale Gemeinwohl als oberste Priorität

 

Die Vertreter der katholischen Kirchen in Deutschland haben gemeinsam dazu aufgerufen, die Klimakonferenz in Dubai als Chance für eine Umkehr zu nutzen. Am kommenden Donnerstag, 30. November 2023, beginnt in Dubai in den Vereinigten Arabischen Emirate die 28. UN-Klimakonferenz COP28. Auch Papst Franziskus nimmt daran teil.

Gemeinsam appellieren der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken, Irme Stetter-Karp, die Präsidentin des Deutschen Caritasverbandes, Eva Maria Welskop-Deffaa, und der Vorsitzende der Deutschen Ordensobernkonferenz, Bruder Andreas Murk OFMConv, an die Teilnehmerinnen und Teilnehmer, zusammen mit allen Menschen guten Willens Verantwortung zu übernehmen. In einer an diesem Dienstag, 28. November, veröffentlichten gemeinsamen Erklärung betonen sie: „Das globale Gemeinwohl muss jetzt unsere oberste Priorität sein!“

In ihrem Appell beziehen sich die Kirchenvertreterinnen und Kirchenvertreter vor allem auf das jüngste Schreiben von Papst Franziskus, Laudate Deum, in dem dieser die Dringlichkeit des Handelns bekräftigte und daran erinnerte, dass sich niemand alleine retten könne.

Verbindliche Form der Energiewende

Die Notwendigkeit einer verbindlichen Form der Energiewende betont die gemeinsame Erklärung ebenso wie eine angemessene finanzielle Ausstattung für die notwendigen Anpassungen zum Klimawandel. „Dabei sind wir alle in der Pflicht, die Schöpfung zu bewahren und unseren Planeten zu schützen. Die Natur darf nicht einfach als Mittel für unseren Wohlstand missbraucht werden. Letztlich sägen wir an dem Ast, auf dem wir selbst sitzen, wenn wir Natur und Klima bedenkenlos zerstören“, so Bischof Bätzing, Irme Stetter-Karp, Eva Maria Welskop-Deffaa und Bruder Andreas Murk OFMConv. Mit Blick auf die finanziellen Mittel und die bisherigen Erfahrungen zurückliegender Klimakonferenzen kritisieren sie, dass für den 2022 auf der COP27 beschlossenen Fonds für klima- und umweltbedingte Schäden und Verluste bisher jede Konkretisierung fehle: „Es muss unter Mitwirkung aller Akteure geklärt werden, wer in welchen Fällen mit Mitteln aus dem Fonds unterstützt wird und wer für dessen finanzielle Ausgestaltung verantwortlich ist.“ Gleichzeitig fordern die Unterzeichnenden einen Blick auf alle Länder der Erde: „Der Schutz des Klimas kann nur gelingen, wenn alle Länder weltweit gleichberechtigt in ihren Kompetenzen anerkannt und in die Lage versetzt werden, ihren Teil beizutragen … Die wirtschaftlich starken Staaten dieser Erde müssen ihrer Verantwortung gerecht werden und diese Länder tatkräftig unterstützen“. (pm 28)

 

 

 

Sant'Egidio kritisiert Anwendung der Todesstrafe

 

In vielen Ländern auf der Welt gilt noch die Todesstrafe. Diese Woche wird mit einem weltweiten Aktionstag dagegen protestiert. Er wurde vom Sant'Egidio-Netzwerk „Cities for Life“ ins Leben gerufen. Das Domradio sprach darüber mit Pfarrer Matthias Leineweber, dem zweiten Vorsitzenden der Gemeinschaft Sant'Egidio.

Einmal im Jahr dokumentiert die Menschenrechtsorganisation Amnesty International die Situation mit Blick auf die Todesstrafe weltweit. Die aktuellsten Zahlen stammen aus dem Jahr 2021. Demnach ist die Zahl der Hinrichtungen 2021 um rund 20 Prozent gegenüber dem Vorjahr gestiegen - ein Grund dafür sind auch Lockerungen von Corona-Beschränkungen. Für welche Delikte werden Menschen zum Tode verurteilt?

Pfarrer Matthias Leineweber: Das ist sehr unterschiedlich. In Demokratien sind das überwiegend Kapitalverbrechen. Aber es gibt auch viele Länder, die ganz andere Vergehen mit dem Tod bestrafen. Regimekritische Äußerungen können das sein, Drogendelikte, im Iran kann auch Homosexualität mit dem Tod bestraft werden. Die Palette ist sehr umfangreich.

„Die Kirche positioniert sich ganz klar gegen die Todesstrafe“

Bei sehr schlimmen Verbrechen gibt es bei dem einen oder anderen auch den Impuls einen Mörder oder einen Vergewaltiger mit dem Tod bestrafen zu wollen. Die Kirche lässt da aber keine Luft für Spielraum und der Papst ist auch klar positioniert, oder?

Leineweber: Die Kirche positioniert sich ganz klar gegen die Todesstrafe. Das hat sich in den letzten Jahrzehnten immer deutlicher abgezeichnet, auch wenn die Todesstrafe im Katechismus noch vor Jahren vorgesehen war. Jetzt ist das nicht mehr so. Papst Franziskus hat das jetzt noch mal, ganz eindeutig klar gemacht, dass die Todesstrafe nicht mit zulässig ist, in keiner Weise und unter keinen Umständen.

Die Methoden sind sehr unterschiedlich, wie die Leute getötet werden. Gerade kam aus den USA, wo die Todesstrafe auch noch vollzogen wird, die Meldung, dass dort jemand erstickt worden ist.

Leineweber: Das ist der Fall von dem Herrn Kenneth Smith, ein Mörder aus dem US-Bundesstaat Alabama. Er wurde vor 35 Jahren zum Tode verurteilt und sitzt seitdem im Todestrakt.

Er sollte im vergangenen Jahr mit der „üblichen Todesspritze“ hingerichtet werden. Das hat bei ihm aber versagt. Also hat er diese Hinrichtung überlebt. Jetzt hat man die Erstickungsmethode mit Stickstoff vorgesehen. Das ist etwas sehr Inhumanes. Dagegen gibt es auch einen weltweiten Protest. Auch Sant'Egidio protestiert dagegen. Diese Methode ist nicht einmal zulässig, um Tiere einzuschläfern.

„In nur einem Drittel der Länder, in 55 Ländern, wird die Todesstrafe noch praktiziert“

Welchen Erfolg gibt es auf dem Weg zur Abschaffung der Todesstrafe?

Leineweber: Wir sind seit 25 Jahren aktiv. Die Initiative gegen die Todesstrafe „Cities for Life“ gibt es seit 2002. Und die Tendenz hat sich ins Positive verändert. Mittlerweile haben 144 Länder, über zwei Drittel aller Länder, die Todesstrafe im Gesetz entweder abgeschafft oder seit zehn Jahren niemanden mehr hingerichtet. Ein Land, dass seit zehn Jahren niemanden mehr hingerichtet hat, gilt als Land, in dem die Todesstrafe de facto abgeschafft ist. In nur einem Drittel der Länder, in 55 Ländern, wird die Todesstrafe noch praktiziert. Das sind deutlich weniger als noch vor zwei Jahrzehnten. Und wir hoffen, dass das auch so weitergeht.

An diesem Donnerstag ist der Tag der Abschaffung der Todesstrafe weltweit. Welche Aktionen wird es da geben?

Leineweber: In Rom, das ist auch das Zentrum von Sant'Egidio, wird es am Kolosseum eine große Kundgebung geben, mit ehemaligen Todeskandidaten und Aktivisten der Allianz gegen die Todesstrafe. Es gibt ein internationales Aktionsbündnis und es gibt weltweit in vielen Städten kleinere Aktionen der Initiative „Cities for Life“, Infostände, Beleuchtungen von Denkmälern wie zum Beispiel in Würzburg, wo die Festung angestrahlt wird. In Berlin wird der Rathausturm grün angestrahlt, um auch die Öffentlichkeit darauf aufmerksam zu machen. Das Interview führte Tobias Fricke. (domradio 28)

 

 

 

D/Polen: Der schwierige Dialog

 

Zwischen den Vorsitzenden der deutschen und der polnischen Bischofskonferenz ist ein Streit ausgebrochen. Dabei geht es um das Reformprojekt der deutschen Katholiken, den „Synodalen Weg“.

Der Erzbischof von Posen, Stanis?aw G?decki, hatte in einem Brief an den Papst, der Mitte November veröffentlicht wurde, scharfe Kritik am „Synodalen Weg“ geübt. Mehrere Vorhaben des „Synodalen Wegs“ seien aus seiner Sicht „extrem inakzeptabel und unkatholisch“; er habe den Eindruck, dass es den Deutschen um eine von „linksliberalen Ideologien“ inspirierte „Revolution“ in der Kirche gehe. G?decki ist Vorsitzender der polnischen Bischofskonferenz.

Das polnische Nachrichtenportal rp.pl hat nun eine Antwort von Bischof Georg Bätzing veröffentlicht; der Limburger Bischof ist Vorsitzender der deutschen Bischofskonferenz. In dem Text attestiert Bätzing seinem polnischen Amtskollegen ein „sehr unsynodales und unbrüderliches Verhalten“ und fragt, mit welchem Recht sich G?decki ein Urteil über die Katholizität einer anderen Ortskirche anmaße. Der Brief Bätzings wurde von der deutschen Bischofskonferenz nicht veröffentlicht.

„Sie leben in zwei unterschiedlichen Welten“

Für rp.pl, den Internetauftritt der Tageszeitung „Rzeczpospolita“, zeigt der Briefwechsel, „in welch unterschiedlichen Welten die beiden Ortskirchen und die beiden Bischöfe leben“. In seinem Brief erinnert Bätzing auch an den jahrzehntelangen Dialog zwischen beiden Bischofskonferenzen nach dem Zweiten Weltkrieg und bekräftigt, an diesem Dialog „auch jetzt, in dieser kritischen Lage“, festhalten zu wollen.

Sowohl G?decki als auch Bätzing werden diese Woche an einer Konferenz europäischer Bischöfe auf Malta teilnehmen. Dabei könnte sich die Gelegenheit zu einer Aussprache der beiden Bischöfe bieten. (rp.pl 27)

 

 

 

 

Für den Waffenstillstand der Gefühle: So blickt die Kirche auf den Nahost-Krieg

 

Die Freilassung der ersten Gruppen von israelischen Geiseln durch die Terrorgruppe Hamas ist „ein Zeichen der Hoffnung“, denn sie zeigt, „dass Verhandlungen möglich sind“: Das betont im Interview mit Radio Vatikan Francesco Patton, der Kustos des Heiligen Landes. In den letzten Tagen sind mehr als 50 Geiseln im Gazastreifen freigelassen worden, während Israel im Gegenzug Frauen und Minderjährige auf freien Fuß gesetzt hat, die in israelischen Gefängnissen eine Haftstrafe verbüßten. Amedeo Lomonaco und Christine Seuss

 

Vatikanstadt. „Der Heilige Vater hat mehrmals darum gebeten, sogar in offiziellen Appellen beim Angelus, bei den Mittwochskatechesen und bei den Generalaudienzen. Der Waffenstillstand selbst ist also ein Lichtblick, denn nach über 14.000 Toten in Gaza als Reaktion auf die deutlich über tausend Toten, die der Hamas-Angriff verursacht hat, ist es klar, dass ein Moment des Waffenstillstands an sich schon eine gute Nachricht ist“, meint der Franziskaner Francesco Patton, Kustos des Heiligen Landes, in einem Interview mit Radio Vatikan.

„Die andere gute Nachricht ist die Freilassung der Geiseln“, so der Kustos mit Blick auf die mittlerweile über 50 Geiseln, die im Gegenzug zur Entlassung von 150 palästinensischen Häftlingen freigekommen sind. Damit bezieht er sich nicht nur auf die Freilassung der Geiseln, an sich schon „eine absolut gute Nachricht“. Doch diese Freilassungen wurden auf dem Verhandlungsweg erreicht. „Und das ist der andere Lichtblick. Es bedeutet, dass eine Verhandlung möglich ist. Wir müssten darauf hinwirken, dass der Waffenstillstand hält und dass alle Geiseln nach und nach freigelassen werden.“

Um dies zu schaffen, müsse man jedoch vor allem dafür sorgen, dass die Beteiligten „von der Sprache der Waffen zur Sprache der Verhandlungen“ übergingen, so der Kustos, der in Jerusalem lebt. In diesem Zusammenhang komme der internationalen Gemeinschaft und insbesondere einigen Staaten mit besonderen Beziehungen zu den Akteuren eine tragende Rolle zu, so Patton: „Das bedeutet, dass es möglich ist, einen anderen Weg als den der Waffen zu beschreiten, wenn der Wille dazu vorhanden ist“.

 

Verhandlungen sind möglich, wenn der Wille dazu besteht

Der aktuelle viertägige Waffenstillstand war durch Vermittlung Katars, Ägyptens und der Vereinigten Staaten für eine Freilassung israelischer Geiseln und humanitäre Hilfe erreicht worden und sollte an diesem Montag enden. Wie ein Sprecher der israelischen Regierung am selben Tag ankündigte, hat die Hamas jedoch die Option, den Waffenstillstand zu verlängern, wenn weitere Geiseln freigelassen werden.

Doch unabhängig davon bestehe die Lösung letztlich „nicht einfach darin, Geiseln oder Gefangene freizulassen“, betont der Kustos: „Sondern die Lösung muss, wie in den letzten Tagen mehrfach gesagt wurde, politisch sein, das heißt, es muss eine Lösung sein, bei der es einerseits eine gegenseitige Anerkennung des Existenzrechts Israels und der Palästinenser gibt, und andererseits diese gegenseitige Anerkennung des Existenzrechts dann auch eine politische - und ich würde sagen, staatliche Ausgestaltung - erfährt.“

Der Heilige Stuhl setzt sich wie auch die Vereinigten Staaten für eine Zwei-Staaten-Lösung ein, die den Palästinensern das Recht auf einen international anerkannten, eigenen Staat einräumen würde. Weltweit ist der Heilige Stuhl eines der wenigen Völkerrechtssubjekte, die Palästina offiziell als Staat anerkannt haben.

Stimme des Gewissens

Doch bei allem politischen Kalkül darf der humanitäre Aspekt nicht in den Hintergrund treten, appelliert Patton: „Ich würde sagen, dass die humanitäre Stimme aus einem ganz einfachen Grund absolut unerlässlich ist. Sie ist die Stimme des menschlichen Gewissens, während die diplomatische und politische Stimme auch Mittel und Wege findet, um Lösungen zu entwickeln, also die Existenz zweier Völker anzuerkennen. Die humanitäre Stimme ist jedoch die Stimme, die uns an den unvergleichlichen Wert eines jeden Menschen erinnert. Ohne die humanitäre Stimme kommen wir nicht weiter, weil sich alles nur auf Kalkül, Interessenabwägung oder Gewaltanwendung reduziert.“

Christen leisten wichtigen Beitrag

In diesem Prozess sei der Beitrag der Christen, ungeachtet ihrer geringen Anzahl im Heiligen Land, enorm wichtig und ähnlich demjenigen von humanitären Organisationen, meint Patton. „Sie müssen irgendwie das Gewissen repräsentieren, gerade weil sie eine kleine Realität sind. Die Rolle der Christen im Heiligen Land ist auch, eine Brücke zwischen zwei Realitäten zu sein, denn die Christen des Heiligen Landes gehören zu beiden. Wir haben Christen im Heiligen Land in Israel, wir haben Christen im Heiligen Land in Gaza, wir haben Christen im Heiligen Land im Westjordanland, in Palästina, wir haben also Christen auf der einen wie auf der anderen Seite. Es ist klar, dass die Christen eine Rolle spielen können, wenn auch eine begrenzte. Ich will nicht übertreiben, aber es ist dennoch eine wichtige Funktion. Wenn wir die Kategorien des Evangeliums verwenden wollen, ist es eher eine Funktion von Salz und Sauerteig als eine unmittelbar politische Funktion. Die Christen leiden doppelt unter diesem Problem, denn sie leiden einerseits intern unter einer Spaltung, unter einem Riss, und sie leiden andererseits unter den Folgen von Feindseligkeiten und sogar Kriegshandlungen auf beiden Seiten.“

Internationale Vermittlung in einem schwierigen Moment

Es brauche jedoch einflussreiche Stimmen nicht nur von christlicher, sondern auch von muslimischer Seite vor allem in Palästina, um einen gemeinsamen Weg der Versöhnung einzuschlagen, auch wenn eine solche momentan, unter dem Einfluss der starken Emotionen, noch in weiter Ferne scheine.

„In der Zwischenzeit ist es wichtig, dass der Waffenstillstand hält, dass die Geiseln freigelassen werden, dass auch die Zivilbevölkerung im Gazastreifen respektiert wird und dass diese Zeit des Schweigens der Waffen es den verschiedenen, nennen wir sie mal so, internationalen Influencern ermöglicht, so weiterzuarbeiten, dass der Waffenstillstand verlängert und zu einer Art von Waffenruhe wird, und dann so schnell wie möglich zu einer Form von internationalem Schutz zu gelangen, um die Sicherheit beider Seiten zu garantieren.“

Ohne politische Lösung fängt alles von vorne an

Damit sei es allerdings nicht getan, erinnert Patton, denn wenn es nicht unter internationaler Vermittlung zu einer politischen Lösung komme, dann werde sich die „gleiche Situation in ein paar Jahren wiederholen“:

„Der Abgrund, dem wir uns gegenüber sehen, hat einmal mehr das Grundproblem des Scheiterns einer politischen Lösung der palästinensischen Frage offenbart, die sich über Jahrzehnte hingezogen hat. Die palästinensische Frage und die israelische Frage sind eng miteinander verflochten, das heißt, es geht gerade darum, zu einer gegenseitigen Anerkennung des Existenzrechts zu kommen. Und ich würde sagen, es geht um zwei Völker, die im Laufe der Geschichte viel gelitten haben. Und ich glaube, dass gerade diese enormen Leidenserfahrungen die beiden Völker zur Anerkennung des gegenseitigen Leidens sowohl auf persönlicher als auch auf kollektiver Ebene führen sollte.“

„Wir müssen lernen, ihr Leiden anzuerkennen, und sie müssen lernen, unser Leiden anzuerkennen“

Ähnlich habe sich auch eine Vertreterin der Familien der israelischen Geiseln, Rachel Goldberg-Polin, in einem Interview mit dem L'Osservatore Romano geäußert, erinnert Patton: „Sie sagte: ,Wir müssen lernen, ihr Leiden anzuerkennen, und sie müssen lernen, unser Leiden anzuerkennen‘. Und auf diese Weise gibt es einen Schritt nach vorn, und ich glaube, dass die konkrete Lösung - ich kann nicht sagen, ob es die beiden Staaten sind oder etwas anderes - eine Lösung sein muss, die das Recht auf Existenz anerkennt. Von beiden Seiten muss es eine Anerkennung des anderen geben, eine Anerkennung des Existenzrechts des anderen, eine Anerkennung des Leidens des anderen.“

Sonst, so die Mahnung des Franziskaners, komme es nur zu weiteren „Verhärtungen“ auf beiden Seiten. Unterstützung von außen, durch die Vereinten Nationen und die Mächte, die den Konfliktparteien am nächsten stünden, sei dabei jedoch dringend geboten.  

„Und natürlich muss dies auch durch eine Form von, ich wage es zu sagen, progressiver Begleitung geschehen, denn man kann nicht von nichts zu allem übergehen, ohne dass es eine Form des Übergangs gibt. Denn es ist klar, dass sich in der Haltung eines Teils der israelischen Politik etwas grundlegend ändern muss, und es muss auch eine Änderung der Herangehensweise geben, die auf Seiten der palästinensischen Welt konkreter werden muss.“ (vn 27)

 

 

 

 

Papst zu Christkönig: Das Königtum Jesu ist Barmherzigkeit

 

Wegen eines grippalen Infekts wurde das Angelusgebet mit Papst Franziskus diesen Sonntag per Videoschalte aus dem vatikanischen Gästehaus Santa Marta übertragen. In dem von einem Priester aus dem Staatssekretariat verlesenen Text erinnerte Franziskus am Christkönigssonntag an das, was jeden Christen auszeichnen sollte: Solidarität mit unseren notleidenden Brüdern und Schwestern.  Silvia Kritzenberger – Vatikanstadt

 

„Heute kann ich mich nicht vom Fenster (des Apostolischen Palasts) an euch wenden, weil ich dieses Problem mit einer Entzündung im Lungenbereich habe. Mons. Braida wird die Katechese verlesen. Er ist ja auch derjenige, der diese Katechesen immer so gut schreibt. Vielen Dank, dass ihr heute mit dabei seid.“

Mit diesen Worten wandte sich Franziskus diesen Sonntag im Video an die Gläubigen, die sich über die verschiedenen Kommunikationskanäle zum Angelusgebet zugeschaltet hatten. Die Pilger, die auch diesen Sonntag wieder zahlreich auf den Petersplatz gekommen waren, konnten den Papst über Großbildschirme sehen. Die Auslegung des Tagesevangeliums und die abschließenden Papstappelle wurden von Mons. Paolo Braida aus dem vatikanischen Staatssekretariat verlesen. Den Engel des Herrn betete Papst Franziskus selbst.

Das Jüngste Gericht und der Maßstab der Nächstenliebe

Mit dem Christkönigssonntag, an dem wir unseren Herrn Jesus Christus als König des Weltalls feiern, klingt das Kirchenjahr aus. An diesem Hochfest sind wir eingeladen, über die endgültigen Fragen am Jüngsten Tag nachzudenken. Im Bibeltext zum Jüngsten Gericht, den der Evangelist Matthäus vorlegt, scheidet der Christkönig und Weltenrichter die Guten von den Bösen. Und der entscheidende Maßstab dabei wird die Nächstenliebe sein.

„Nach den Kriterien der Welt sollten die Freunde des Königs diejenigen sein, die ihm Reichtum und Macht verliehen haben, die ihm geholfen haben, Gebiete zu erobern, Schlachten zu gewinnen, sich über andere Herrscher zu erheben, ja vielleicht auf den Titelseiten der Zeitungen oder in den sozialen Medien wie ein Star gefeiert zu werden,“ begann der Text des Papstes zum Tagesevangelium am Christkönigssonntag. „Zu ihnen sollte er sagen: Danke, denn ihr habt mich reich und berühmt gemacht, beneidet und gefürchtet.“

Jesus urteilt nicht nach den Maßstäben der Welt

Jesus aber urteile nicht nach den Maßstäben dieser Welt, sondern sei ein König ganz anderer Art, „ein König, der die Armen "Brüder" nennt, sich mit den Hungernden und Dürstenden, den Fremden, Kranken und Gefangenen identifiziert und sagt: "Was ihr für einen meiner geringsten Brüder getan habt, das habt ihr mir getan",“ hieß es im von Mons. Braida verlesenen Text weiter. „Er ist ein König, der sensibel ist für das Problem des Hungers, das Bedürfnis nach einem Zuhause, für Krankheit und Gefangenschaft: alles Realitäten, die leider noch immer allgegenwärtig sind. Hungrige, obdachlose Menschen, die sich kleiden so gut sie eben können, bevölkern unsere Straßen: Wir begegnen ihnen jeden Tag. Und auch was Krankheit und Gefängnis betrifft, so wissen wir alle, was es bedeutet, krank zu sein, Fehler zu machen und dafür bezahlen zu müssen.“

Nicht wegschauen, sondern konkrete Hilfe leisten

Liebe und Dienst – darauf komme es an. So wurde in der Katechese auf den Punkt gebracht, was einen Christen auszeichnet. Mit der leidenden Menschheit konfrontiert, dürfe man nicht wegschauen, sondern müsse dieser Not Abhilfe schaffen, in dem man Bedürftigen konkrete Hilfe leistet.

Der Stil Jesu: Mitleid, Barmherzigkeit, Zärtlichkeit

„Jesus, unser König, der sich Menschensohn nennt, findet seine liebsten Brüder und Schwestern in den Schwächsten. Sein "Königssaal" ist dort, wo Menschen leiden und Hilfe brauchen. Das ist der 'Hofstaat' unseres Königs. Und der Stil, durch den sich seine Freunde auszeichnen sollen – jene, die Jesus zum Herrn haben –, ist der Stil des Herrn selbst: Mitleid, Barmherzigkeit, Zärtlichkeit. Sie veredeln das Herz und sind wie Öl, das auf die Wunden der vom Leben Verwundeten tropft.“

Nächstenliebe: Der königlichste Ausdruck des Menschen

Abschließend lud Franziskus in seinem Text wie immer zur Gewissenserforschung ein: „Glauben wir, dass das wahre Königtum in der Barmherzigkeit besteht? Glauben wir an die Macht der Liebe? Glauben wir, dass die Nächstenliebe der "königlichste" Ausdruck des Menschen und eine unabdingbare Voraussetzung für einen Christen ist? Und schließlich: Bin ich ein Freund des Königs: fühle ich mich also von den Bedürfnissen der leidenden Menschen, die meinen Weg kreuzen, persönlich betroffen? (vn 26)

 

 

 

 

Bischof Fürst tritt zurück

 

Der Rottenburg-Stuttgarter Bischof Gebhard Fürst tritt von seinem Bischofsamt zurück. Der Papst habe seinen Amtsverzicht angenommen, teilte er am Samstagabend mit.

Fürst bezog sich auf ein Schreiben des päpstlichen Nuntius in Deutschland, Nikola Eterovic. Darin akzeptiere Franziskus den Rücktritt von Bischof Fürst zu dessen 75. Geburtstag. Das Kirchenrecht sieht vor, dass Ortsbischöfe bei ihrem 75. Geburtstag ein Rücktrittsgesuch beim Papst einreichen.

Fürst war der am längsten amtierende deutsche Ortsbischof; sein Rücktritt zum 2. Dezember war schon länger bekannt, doch erst jetzt erfolgte die offizielle Mitteilung durch ihn selbst. Der Vatikan hat die Annahme des Rücktritts noch nicht offiziell bestätigt. Am 2. Dezember will Fürst in der Rottenburger Festhalle Abschied nehmen. (pm 26)

 

 

 

Malta: Europas Bischöfe beraten über synodale Kirche

 

Die Vorsitzenden aller katholischen Bischofskonferenzen Europas kommen ab Montag in Malta zu ihrer jährlichen Vollversammlung zusammen.

Ein Monat nach Ende der Synodenversammlung im Vatikan steht das dreitägige Treffen in Valletta unter dem Titel „Neue Schritte für eine synodale Kirche in Europa“, wie der Rat der Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) mitteilte.

Zwei der zentralen kirchlichen Persönlichkeiten im Rahmen des vom Papst ausgerufenen weltweiten Synodalen Prozesses der Kirche sind als Hauptreferenten vorgesehen: Kardinal Jean-Claude Hollerich, Erzbischof von Luxemburg und Generalrelator der „Synode über Synodalität“, sowie der im Vatikan für die Organisation der Weltsynode zuständige maltesischen Kardinal Mario Grech.

Beratung über die Vorbereitungen zum zweiten Teil der Weltsynode

Nach CCEE-Angaben soll es bei den Beratungen auch Hinweise auf die Vorbereitungsarbeiten für den zweiten Teil der Weltbischofs-Synode geben, der im Oktober 2024 im Vatikan stattfinden wird.

Ein weiteres Thema der Vollversammlung ist die laufende Überarbeitung der „Charta Oecumenica“ der christlichen Kirchen Europas. Der Rat der katholischen Bischofskonferenzen und die Konferenz Europäischer Kirchen (KEK) haben dazu eine Arbeitsgruppe gebildet. Der polnische Kardinal Grzegorz Rys wird in Valletta über den aktuellen Stand berichten.

Die Charta Oecumenica war 2001 von CCEE und KEK unterzeichnet worden. Das Dokument enthält Leitlinien für eine verstärkte Zusammenarbeit in kirchlicher, sozialer, ökologischer und menschenrechtlicher Hinsicht. (kap 25)

 

 

 

Ja zur Satzung des Synodalen Ausschusses

 

Vonseiten des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) kann der Reformdialog der katholischen Kirche in Deutschland wie geplant weitergehen.

Der Laiendachverband stimmte am Samstag auf seiner Vollversammlung in Berlin fast einstimmig für die Annahme der Satzung des Synodalen Ausschusses. Dieses gemischte kirchliche Leitungsgremium aus Laien und Bischöfen soll den weiteren Weg für mögliche kirchliche Reformen im Rahmen eines Synodalen Rats vorbereiten, unter anderem hin zu mehr Mitbestimmung und Gleichberechtigung.

Nur drei Gegenstimmen

Nur drei der rund 160 anwesenden ZdK-Mitglieder stimmten nach einer leicht kontroversen Debatte dagegen. Zuvor hatte ZdK-Präsidentin Irme Stetter-Karp von dem auch psychologisch anstrengenden Ringen um die Satzung mit den Bischöfen berichtet. Claudia Lücking-Michel, die ebenfalls die Satzung mitverhandelt hatte, sagte: „Die Satzung ist das Beste, was wir aushandeln konnten. Ein bisschen ist es wie der Spatz in der Hand - aber den sollten wir nicht loslassen.“

„Ein bisschen ist es wie der Spatz in der Hand“

Bei seiner konstituierenden Sitzung hatte der Synodale Ausschuss am 10. und 11. November in Essen einstimmig Satzung und Geschäftsordnung für seine künftige Arbeit verabschiedet. In Kraft treten kann die Satzung jedoch erst endgültig, wenn auch die Deutsche Bischofskonferenz sie ratifiziert. Die Bischöfe stimmen auf ihrer Frühjahrsvollversammlung am 19. bis 22. Februar in Augsburg darüber ab.

„Wir Ortsbischöfe stehen zu der Satzung des Synodalen Rates“

Der Berliner Erzbischof Heiner Koch, der erstmals als Geistlicher Assistent des ZdK an der Vollversammlung teilnahm, erklärte: „Wir Ortsbischöfe stehen zu der Satzung des Synodalen Rates. Das ist kein psychologischer Vorgang, das ist ein bewusstes Ja!“ Er räumte ein, dass es unter den Weihbischöfen andere Meinungen gebe. Deshalb sei das Votum des ZdK für die Satzung auch für die Bischöfe und ihre finale Abstimmung im Frühjahr „ein ganz, ganz wichtiges Zeichen“.

Anfang der Woche war ein Antwortbrief von Papst Franziskus an vier konservative deutsche Katholikinnen bekanntgeworden, in dem er einen Synodalen Ausschuss klar ablehnt. Zuvor hatte sich der Vatikan bereits mehrfach gegen die Gründung eines Synodalen Rates ausgesprochen. Rom sieht die Gefahr, dass die Autorität der Bischöfe dadurch unzulässig eingeschränkt werden könnte.

(kna 25)

 

 

 

 

Papst an Erdbebenopfer: Aus Trümmern wächst Neues

 

Papst Franziskus hat Italienern, die vom Erdbeben 2016/2017 getroffen wurden, Mut gemacht. Es gebe „bedeutende Fortschritte beim Wiederaufbau", sagte das katholische Kirchenoberhaupt diesen Freitag bei einer Audienz für Delegationen aus den betroffenen Gebieten. Franziskus versicherte zugleich erneut seine geistliche Nähe und Gebete für alle Opfer. Er mahnte zudem Nachhaltigkeit und Umweltfreundlichkeit an.

Die schweren Erdbeben in Mittelitalien hatten unter anderem die Ortschaft Amatrice und Accumoli fast komplett zerstört; auch l`Aquila wurde stark beschädigt; mehrere hunderte Menschen starben, viele verloren ihr Heim. 

„Ihr kommt aus den Gebieten, die zwischen dem 24. August 2016 und Januar 2017 von Erdbeben getroffen wurden und Tod und Zerstörung brachten. Viele Menschen und Familien wurden getroffen, Arbeitsstätten, Häuser und Kulturdenkmäler zerstört. Die Wirtschaft brach in vielen Bereichen ein. Ein Erdbeben ist eine verheerende Erfahrung, seelisch wie körperlich. In kürzester Zeit bricht weg, wofür Generationen gearbeitet haben, man fühlt sich klein und machtlos, das hat jeder von euch erlebt", sagte Papst Franziskus den Erdbebenopfern. Zugleich würdigte er die Fortschritte beim Wiederaufbau und machte allen Mut:

„Wir wollen heute, während wir mit Schmerzen an diese Tragödie denken und uns der Opfer erinnern - allen Angehörigen versichere ich erneut meine Nähe - auch über die bedeutenden Fortschritte beim Wiederaufbau sprechen, die Dank eurer Voraussicht und des Durchhaltevermögens sichtbar sind. In diesen Jahren habt ihr bewiesen, dass der Gemeinschaftsgeist Hindernisse und Unsicherheiten überwinden kann, wenn wir uns zusammenschließen in einem ,Wir`, welches das gemeinsame Haus bewohnt (Vgl. „Fratelli tutti", 17), damit aus den Trümmern Neues erwächst."

Nachaltiger Aufbau, Umwelt und Klimawandel bedenken

Mit Blick auf den Wiederaufbau betonte der Papst besonders, dass dieser in nachhaltiger und umweltfreundlicher Weise erfolgt sei. Es sei sehr wichtig, Nachhaltigkeit, Natur und den Klimawandel zu bedenken, unterstrich das katholische Kirchenoberhaupt. Papst Franziskus, der Anfang Dezember zum Klimagipfel COP 28 nach Dubai reist, sagte wörtlich:

„Nachhaltige Kriterien anzuwenden, ist ein wichtiger Akt der Gerechtigkeit und Nächstenliebe“

„Nachhaltige Kriterien anzuwenden, ist ein wichtiger Akt der Gerechtigkeit und Nächstenliebe, denn es zielt darauf ab, die Bedürfnisse zu erfüllen ohne die Sicherheit und das Überleben derer zu gefährden, die nach uns kommen.  Es ist tröstlich zu sehen, wie ihr beim Wiederaufbau Ressourcenverschwendung vermieden habt und auf eine gleiche Verteilung geachtet habt, auf die besonders Schutzbedürftigen Rücksicht genommen habt und auf den Abbau architektonischer Barrieren", lobte Franziskus die Italiener. Er bekräftigte, es gelte den Menschen ins Zentrum zu stellen und technische und wirtschaftliche Fortschritte mit guter Lebensqualität zu verbinden. 

„Neben dem Einsatz für die Geburtenrate ist es auch lebenswichtig, hydrogeologische Sicherheit zu gewährleisten, die durch die Beschleunigung des Klimawandels noch mehr bedroht ist. Beide Fronten sind zukunftsweisend und für heute und morgen unerlässlich“

Das katholische Kirchenoberhaupt mahnte zudem legale Vergabekriterien bei Aufträgen an sowie Sicherheit für alle Arbeiter. Der Papst prangerte außerdem eine sinkende Geburtenrate in Italien an und beklagte erneut, man könne den Eindruck haben, den Leuten sei es wichtiger, Haustiere zu haben, als Kinder. 

„Ich ermutige euch also, den Wiederaufbau zu nutzen, um den Fehlern der Vergangenheit gegenzusteuern, und neue Wachstumspläne für die Zukunft zu schaffen. Das ist, denke ich, für ganz Italien wichtig. Neben dem Einsatz für die Geburtenrate ist es auch lebenswichtig, hydrogeologische Sicherheit zu gewährleisten, die durch die Beschleunigung des Klimawandels noch mehr bedroht ist. Beide Fronten sind zukunftsweisend und für heute und morgen unerlässlich."

„Neben dem Einsatz für die Geburtenrate ist es auch lebenswichtig, hydrogeologische Sicherheit zu gewährleisten, die durch die Beschleunigung des Klimawandels noch mehr bedroht ist“

Es gebe keinen Zweifel daran, dass die Auswirkungen des Klimawandels das Leben vieler Menschen und Familien zunehmend beeinträchtigen werden, so Franziskus. Mit Blick auf den Klimawandel verwies der Papst auch auf sein jüngstes Schreiben zu diesem Thema, „Laudate Deum" und gab konkrete Tipps:

„Es geht zum Beispiel darum, Wälder, Fluss- und Bachbetten sorgfältiger zu säubern, die Überbauung von Grundstücken zu reduzieren und zu verhindern, in der Landwirtschaft neue Kulturarten und Züchtungen einzuführen, mit entsprechenden Investitionen für die kommenden Jahre. Auch hier gilt es, den Blick offen zu halten, aufmerksam für die anderen und für die zu sein, die nach uns kommen, und sich nicht von Kritik und Unzufriedenheit entmutigen zu lassen", so der Appell des Papstes.

Papst Franziskus reist vom 1. bis zum 3.12.2023 nach Dubai. Dort wird er am 2. Dezember 2023 auf der Klimakonferenz COP28 sprechen und danach zahlreiche bilaterale Treffen wahrnehmen. Am Tag darauf wird er den „Faith Pavillon“ auf dem Expo-Gelände einweihen, bevor er nach Rom zurückfliegt. In seinem Schreiben „Laudate Deum" vom Oktober 2023 geht das katholische Kirchenoberhaupt besonders auf den Klimawandel ein und fordert dringendes Handeln. (vn 24)

 

 

 

Kirchenmitgliedschaft: ein Auslaufmodell?

 

Die Kirchen befinden sich im freien Fall. Zweidrittel der Evangelischen und Dreiviertel der Katholiken sind auf dem Weg zum Kirchenaustritt. Nur ein geringer Teil der Kirchenmitglieder betet noch oder liest in der Bibel. Ist die Religion auf dem Rückzug oder ist die Kirchenmitgliedschaft für die eigne Religiosität nicht mehr gefragt?

Die Evangelische Kirche hat, unter Beteiligung der katholischen Bischofskonferenz eine Befragung durchgeführt. Kirchenmitgliedschaft ist für die Mehrheit der Kirchenmitglieder obsolet? Was ist dann mit der Religion, für die die Kirchen bisher das Monopol hatten und das der Islam ihnen nicht nehmen kann. Ordnet sie sich neu oder verschwindet sie. Das wird von Kirchenleuten wie Journalisten einfach aus den Daten abgeleitet. Das geben die Daten jedoch nicht her. Die Befragten geben ja nicht Auskunft über ihre Vorstellung von der Welt, sondern regieren auf Fragen, die die Kirchen formuliert haben. Es könnten die falschen Fragen sein. die über 500 Fragen geben daher nur Auskunft über beide Kirchen: Diese werden noch viele Mitglieder verlieren, vielleicht bleibt ein Rest – oder Religion könnte sich, was Kirchenkritiker sich schon seit 200 Jahren wünschen, anders organisieren.

Die Ergebnisse der Untersuchung sind übersichtlich und mit Grafiken unter dem Titel KMU, Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung zusammengestellt. https://kmu.ekd.de/

Die Vorstellungen von Gott

Die zentrale Frage, wie die Menschen sich Gott vorstellen, erbrachte folgende Selbsteinschätzung der 5282 Befragten. Sie haben die für die Kirchen zentralen Fragen so angekreuzt:

19% Ich glaube, dass es einen Gott gibt, der sich in Jesus Christus zu erkennen gibt. 29% Ich glaube, dass es ein höheres Wesen oder eine geistige Macht gibt.

20% Ich weiß nicht richtig, was ich glauben soll. 33% Ich glaube nicht, dass es einen Gott, irgendein höheres Wesen oder eine geistige Macht gibt.

Nur noch 19% können sich mit dem identifizieren, was die Kirchen über ein höheres Wesen vermitteln. 29 % gehen davon aus, dass es ein solches Wesen gibt, können aber ihre religiösen Vorstellungen, ihre Ahnungen, dass es mehr gibt als das, was den Alltag bestimmt, nicht mehr mit den Kirchen in Zusammenhang bringen. Hinzu kommen auch die 20%, die das Statement „Ich weiß nicht so richtig.“ ankreuzen

Diese Ergebnisse sind in Bezug auf die Kirchen eindeutig. Sie können nicht mehr bestimmen, wie man sich Gott und seine Beziehung zu den Menschen vorzustellen hat. Auch die Mehrheit der Kirchenmitglieder findet in den Gottesdiensten nicht mehr das, warum für frühere Generationen der Kirchgang selbstverständlich war. Es gibt auch keine andere Institution, die eine religiöse Vorstellung anbietet, mit der die Mehrheit der Deutschen sich identifizieren könnten. Der Marxismus als letzter Großversuch, mit dem Materialismus eine Weltsicht zu etablieren, hat schon länger ausgedient. Der Islam hat nach der Umfrage ähnlich viele Distanzierte wie die Kirchen. Die Studie stellt erst einmal nicht fest, dass die Religiosität „verdunstet“, sondern nur, dass die Kirchen die Menschen mit ihrer Deutung nicht mehr erreicht.

Ein Fragebogen kommt nicht an die Religiosität heran

Methodische Grenzen des Fragebogens: Die Methodik, 5.000 Bürger zu befragen, zwingt zu Fragebögen, die nur ein Ankreuzen von vorformulierten Fragen ermöglichen. Damit kommt man aber nicht an die tatsächlichen religiösen Fragen heran. Dafür muss man einfühlsame, längere Gespräche ohne vorgegeben Formulierungen führen. Non-direktive Interviews wird diese Methodik genannt.

Die Frage zur Kirchenmitgliedschaft ist zu „churchy“ formuliert: Die Kirchenmitgliedschaft wird mit einem Ja zu dieser Formulierung erhoben:

 „dass es einen Gott gibt, der sich in Jesus Christus zu erkennen gibt.“ 

 

Nach meiner Erfahrung geht „zum Glauben kommen“ heute anders. Die Menschen, die ich zur Taufe begleitet habe, würden diese von Theologen formulierte Aussage als fremd empfinden. Sie nähern sich nicht mit einem durchformulierten theologischen Satz dem Glauben, sondern mit Ahnungen und aus der Reflexion auf tiefgehende Erfahrungen. Ob sie die Kirchen auf diesem Weg als hilfreich erleben, ist nach den Ergebnissen der Umfrage zu bezweifeln. Auch setzen die Gottesdienste beider Kirchen Menschen voraus, die diese Predigten hören und diese Lieder singen wollen.

Zuerst eine Geisterfahrung, dann die Erkenntnis Christi: Aus kirchlicher Sicht sind solche Lehrsätze notwendig, damit sich nicht nur die Theologen, sondern auch die Gläubigen auf Inhalte einigen. Das führt zum Glaubensbekenntnis. Aber jeder und jede, auch die Theologen müssen bis zu solchen Sätzen einen Weg zurücklegen. Der Weg beginnt nicht mit festgelegten Formulierungen, sondern mit religiösen Erfahrungen, die eine Deutung brauchen. Erst dann können Menschen in das Glaubensbekenntnis einstimmen. Wer sich seinem inneren religiösen Erfahrungsraum annähert, hat zuerst eine Geisterfahrung, die dann zu Jesus führt, wenn die Kirchenleute wie Paulus diese Geisterfahrung aufgreifen. Das mit einem Fragebogen abzufragen, heißt, Viele, die noch nicht ein formuliertes Glaubensbekenntnis erreicht haben, werden die Aussage eines Fragebogens nicht ankreuzen.

Die Predigten deuten die religiösen Erfahrungen nicht: Das geschieht auch nicht in den üblichen Predigten. Diese erklären den Evangelientext, der für den Sonntag vorgesehen ist oder nur eine Aussage aus der Bibel. Damit werden nicht die Geisterfahrungen aufgegriffen. Die Zuhörer müssen sich in eine ganz andere Kultur hineindenken, weil entsprechend der Bibelwissenschaft die Texte aus der damaligen Kultur und nicht in Bezug auf die Erfahrungen heute gedeutet werden. Die Menschen brauchen jedoch eine Erklärung der Gegenwart und ihrer religiösen Erfahrungen in der heutigen Kultur. In den Gesangbüchern beider Kirchen finden sich hauptsächlich Melodien des 16. und 17. Jahrhunderts.

Es gibt sicher noch andere Eigenarten beider Kirchen, die sie nicht mehr an den tiefergehenden Erfahrungen der Zeitgenossen andocken lässt. Dass die Religion aus dem Horizont der Menschen verschwinden wird, scheint unwahrscheinlich. Sie bildet sich in der magischen Phase des Kleinkindes und muss aber dann über mehrere Krisen in den Erwachsenenglauben gelangen.

Vom Kinderglauben zum Erwachsenenglauben

Die Unsicherheit, wie die höhere Macht mit dem eigenen Leben zusammenhängt, ist für Kinder in der magischen Phase fraglos. Allerdings entspricht ihre Vorstellungswelt eher der Religiosität des Alten Testaments. Fritz Oser hat gezeigt, wie sich diese Religiosität durch Krisen des Gottesbildes weiterentwickelt und dafür plädiert, diese Krisen zu thematisieren, um zu einem neuen Gottesbild zu kommen. Für die Heranwachsenden kommen beängstigende Erkenntnisse der Kosmologie hinzu. Wenn Schüler hören, dass es Milliarden Milchstraßen gibt, die aus einem raumlosen Punkt mit dem Big Bang entstanden sind, werden kindliche religiöse Vorstellungen fraglich. Fraglich wird auch die Gottesvorstellung der vorausgegangenen Generationen. Wird Gott nicht wie im Hinduismus zu einem Teil dieses riesigen Weltalls oder haben die Prediger eine Vorstellung im Hinterkopf, die Gott größer denkt als ein Kosmos, der sich auch noch ausdehnt? Wenn man bedenkt, dass für die Griechen Zeus und seine Familie auf einem benachbarten Berg „wohnte“, soll der Gläubige heute Gott größer denken als das riesige Weltall. Die Bedrohungen durch Finanzkrisen und immer neue Kriege machen die Versprechungen der Kirche, Gott sei den Menschen nahe, eher unglaubwürdig.

 

Nicht dem Verdunsten des Religiösen das Wort reden

Die Befragung sollte nicht so interpretiert werden, dass die Deutschen auf eine Gesellschaft bauen wollen, die von Religiosität "desinfiziert" wurde. Diese Gesellschaft hat keine neuen Antworten auf die Fragen, denen sich die Religion eigentlich stellt. Dass die Theologie beider Kirchen das nicht mehr verspricht, zeigt sich an der Generation Z. Diejenigen, die in diesen Jahren Abitur machen, wählen fast nicht mehr Theologie als Studienfach. Wenn man sie fragt und nicht bloß Statements ankreuzen lässt, äußern sie sich positiv zum Christentum, mit der Einschränkung allerdings, es sei für frühere Generationen sehr hilfreich gewesen, die neue Kultur, die im Werden sei, brauche eine neue Weltanschauung. Damit machen sie eine wichtige Aussage über Theologie wie Philosophie: Beide sind vom Menschen "gemacht" und kann deshalb in Prüfungen abgefragt werden. Wenn die Menschenwelt sich ändert, gibt es neue Intuitionen, wie das in den Ahnungen und Erfahrungen sich zeigende religiöse Phänomen gedeutet werden kann. Ich bin gespannt, was die Zwanzigjährigen wie auch die Dreißigjährigen über Religiosität herausfinden werden. Nach den Umfrageergebnissen werden sie das erst einmal nicht in den Kirchen versuchen.

Gottesdienste in der Katholischen Kirche: Sie wirken oft abgestanden, ohne etwas Besonderes auszustrahlen. Das war in den siebziger und auch noch achtziger Jahren anders. Noch davor hatte die Messe eine heilige Aura. Die Gläubigen konnten nur bis zur Kommunionbank vorgehen und haben kniend die Hostie empfangen. Diesen Charakter hat die Messe verloren. Das korrespondiert mit der Architektur. Wenn man heute bei einem Rundgang durch eine Stadt Hausfassaden betrachtet, dann wirken die aus den sechziger und siebziger Jahren unscheinbar, während die Altbauten meist in neuem Glanz erstrahlen. Auch die heute nicht mehr gefeierte, sondern eher absolvierte Liturgie ist in diesen Jahren entstanden und wirkt wie deren Architektur. Weder die Häuser noch die Liturgie sind offen für Kunst.

Ein Blick nach Rom zeigt, dass Erfahrungen das Medium sind, in dem man auf den Geist stößt. Der Papst beginnt jeweils mit einem Erfahrungsaustausch, der dauerte bei der Synode über die Familie eine Woche. Jeder in der Sprachgruppe erzählte den anderen seine eigene Familiengeschichte. Das schafft den Humus, auf dem Neues entstehen kann. Erfahrungen lösen auch das Autoritätsproblem, denn nicht mehr nur ein Prediger erklärt den Gläubigen, was zu glauben ist, sondern die Gläubigen erzählen sich untereinander, wie glauben „geht“. Das typische Rechthabenwollen in streng religiösen Gruppen hat da viel weniger Entfaltungsmöglichkeiten.

Literaturhinweis: Die religiöse Entwicklung hat Fritz Oser parallel zu den Forschungen von Piaget zur kognitiven und von Kohlberg zur moralischen Entwicklung mit sehr intelligenten Untersuchungsmethoden erforscht. Wer diese Ergebnisse studiert hat, wird nicht mehr mit einem einzigen Fragebogen alle Bürger „über einen Kamm scheren“. Fritz Oser, Paul Gmünder: „Stufen des religiösen Urteils“. Der amerikanische Autor James Fowler hat in gleicher Richtung Studien betrieben. Eckhard Bieger, ktah.de 24

 

 

 

Papst: Auf den Schrei der Armen hören, um Probleme der Menschheit zu lösen

 

Es ist die Pflicht eines Papstes, die Armen in den Mittelpunkt zu stellen, wobei es „nicht um Politik, nicht um Soziologie, nicht um Ideologie, sondern schlicht und einfach um die Forderung des Evangeliums“ geht: Das schreibt Papst Franziskus an die Teilnehmer einer Konferenz, die aus Anlass des zehnten Jahrestages seines Schreibens Evangelii Gaudium auf Einladung des Dikasteriums für ganzheitliche Entwicklung zu einer Konferenz in Rom zusammengekommen sind. Christine Seuss - Vatikanstadt

Auch einen Post auf X setzte das Kirchenoberhaupt zu dem Jubiläum des Apostolischen Schreibens, das das Datum 24. November 2013 trägt, ab: „Die Freude aus dem Evangelium kann nichts und niemand uns je nehmen. Die Übel unserer Welt und die der Kirche dürften niemals Entschuldigungen sein, um unseren Einsatz und unseren Eifer zu verringern. Betrachten wir sie als Herausforderungen, um zu wachsen. #EvangeliiGaudium“, so der Papst von seinem Account @pontifex_de.

In seiner mehrseitigen Botschaft an die Konferenzteilnehmer, die sich in diesen Tagen mit Evangelii Gaudium auseinandersetzen, wird er noch deutlicher: auch in der heutigen Zeit sähen sich die Christen bei der Verkündigung des Evangeliums zahlreichen Widerständen ausgesetzt, vielleicht nicht so offen und direkt gefährlich wie in frühchristlicher Zeit, doch der menschliche Hang zum Egoismus und zur Bequemlichkeit seien immer präsent:

„Die Verkündigung des Evangeliums in der heutigen Welt erfordert von uns weiterhin einen prophetischen, gegenkulturellen Widerstand, (...) Widerstand gegen ein System, das tötet, ausgrenzt, die Menschenwürde zerstört; Widerstand gegen eine Mentalität, die isoliert, entfremdet, das innere Leben für die eigenen Interessen verschließt, uns vom Nächsten, von Gott entfernt“, so Franziskus. Dabei komme der Aufmerksamkeit für die Armen eine Schlüsselrolle zu, zeigt er sich angesichts der Tatsache, dass der „ganze Weg unserer Erlösung (…) von Armen geprägt“ sei, überzeugt: „Die Botschaft ist so klar, so direkt, so einfach und aussagekräftig, dass keine kirchliche Hermeneutik das Recht hat, sie zu relativieren, denn es geht um unser Seelenheil“

„Die Botschaft ist so klar, so direkt, so einfach und aussagekräftig, dass keine kirchliche Hermeneutik das Recht hat, sie zu relativieren, denn es geht um unser Seelenheil. Deshalb kann der Papst nicht umhin, die Armen in den Mittelpunkt zu stellen. Es geht nicht um Politik, nicht um Soziologie, nicht um Ideologie, sondern schlicht und einfach um die Forderung des Evangeliums“, so der Papst, der mit seinem Apostolischen Schreiben, in dem er eine Abkehr von einer Wirtschaft, die „tötet“, forderte, auch deutlichen Widerstand eingefahren hatte. Dies sei jedoch ein „nicht verhandelbares Prinzip“, das für alle Geltung haben müsste, wiederholte Franziskus. Er habe in Evangelii Gaudium zwar nicht den Anspruch erhoben, eine allgemeingültige Interpretation der sozialen Wirklichkeit zu liefern, doch er sei überzeugt davon, dass die radikale Lösung der Probleme der Arme die Voraussetzung dafür sei, auch alle anderen sozialen Übel zu beheben.

Probleme der Armen lösen

Dazu sei ein Mentalitätswandel nötig, mit dem besser gestellte Menschen anerkennten, dass Solidarität nur Ausdruck dessen sei, den Armen das zurückzugeben, was ihnen „rechtmäßig gehört“. „Diese Überzeugungen und Gewohnheiten der Solidarität, wenn sie Fleisch werden, öffnen den Weg für andere strukturelle Veränderungen und machen sie möglich. Ein Strukturwandel ohne neue Überzeugungen und Haltungen wird früher oder später dazu führen, dass dieselben Strukturen korrupt, schwerfällig und unwirksam werden“, so der Papst, der in diesem Zusammenhang auf den „Schrei ganzer Völker, der ärmsten Völker der Erde“ hinwies, der gehört werden müsste.

Im Zug dieses Mentalitätswandels sei es allerdings auch nötig, „auf die absolute Autonomie der Märkte und der Finanzspekulation“ zu verzichten und „die strukturellen Ursachen der Ungleichheit“ zu bekämpfen, so der Papst, der wiederholt gefordert hat, dass die Wirtschaftspolitik den Einzelnen in den Mittelpunkt zu stellen habe. Doch Ethik, weltweite Solidarität oder Güterverteilung seien dem System offenbar mittlerweile „lästig“ geworden, ebenso wie der Hinweis darauf, Arbeitsplätze zu erhalten statt ungehemmt zu rationalisieren. Die Berufung eines Unternehmers sei jedoch eine „edle“, wenn er seine Aktivitäten der Gütervermehrung mit Blick auf das Gemeinwohl vornehme, so Franziskus.

Güter vermehren, aber Gemeingut im Blick haben

„Wir können uns nicht länger auf blinde Kräfte und die unsichtbare Hand des Marktes verlassen“, fordert der Papst erneut, der unterstreicht, dass es ihm nicht auf „unverantwortlichen Populismus“ ankomme, sondern darum, dass die Wirtschaft nicht länger zu Mitteln greife, die ein „neues Gift“ sind, indem dem Wachstum zuliebe neue Ausgegrenzte in Kauf genommen würden:

„Wenn es uns nicht gelingt, diesen Mentalitäts- und Strukturwandel herbeizuführen, sind wir dazu verurteilt, dass sich die Klima-, Gesundheits- und Migrationskrisen und vor allem Gewalt und Kriege verschärfen und die ganze Menschheitsfamilie gefährden, Arme und Nicht-Arme, Integrierte und Ausgeschlossene, denn ,wir sitzen alle im selben Boot und sind aufgerufen, gemeinsam zu rudern‘“, zitiert Franziskus einen gern genutzten Gedanken.

Armut erzeugt Gewalt

Die Behebung von Ausgrenzung und Ungleichheit sei jedoch der einzige Weg, auch mehr Sicherheit und weniger Gewalt zu schaffen, denn „ohne Chancengleichheit werden die verschiedenen Formen von Aggression und Krieg einen Nährboden finden, der früher oder später explodieren wird“, betont der Papst. Zwar fördere die aktuelle Wirtschaft eine „Verschärfung des Konsums“, doch zeige sich, dass „ungezügelter Konsum in Verbindung mit Ungleichheit dem sozialen Gefüge doppelt schadet“, gibt Franziskus zu bedenken: „So führt die Ungleichheit früher oder später zu Gewalt, die durch Wettrüsten nicht gelöst werden kann und auch nicht wird“. Dies diene nur dazu, „diejenigen zu täuschen, die mehr Sicherheit fordern, als ob wir heute nicht wüssten, dass Waffen und gewaltsame Unterdrückung, anstatt Lösungen zu bieten, neue und schlimmere Konflikte schaffen“, so der Papst mit Blick auf die traurige Aktualität.

Ebenso komme es zu „unzulässigen Verallgemeinerungen“, wenn Arme für ihre eigene Situation verantwortlich gemacht und die Lösung in „Erziehungsmaßnahmen“ zu deren Ruhigstellung gesucht würden, während in vielen Ländern doch das „soziale Krebsgeschwür der tief sitzenden Korruption“ grassiere, „unabhängig von der politischen Ideologie der Machthaber“. Doch auch die Klima-, Gesundheits- und Migrationskrisen hätten ihre Wurzeln in der „Ungerechtigkeit dieser Wirtschaft“ und „in der egoistischen Mentalität, die sie aufrechterhält“, so der Papst mit Blick auf seine Ausführungen in seiner Enzyklika „Laudato Sí“: „Diejenigen, die glauben, sie könnten sich allein retten, in dieser oder in der nächsten Welt, irren sich“. Einer Lösung der „schwerwiegenden Probleme der Menschheit“ könnten wir nur dann näher kommen, wenn wir „auf den oft verstummten Schrei der Erde und der Armen hören“, schließt der Papst mit einem Dank an die Konferenzteilnehmer seine Botschaft, die im Original auf Spanisch verfasst ist. (vn 24)

 

 

 

Papst Franziskus kritisiert erneut Synodalen Weg

 

Neue Kritik zum Reformprozess der Kirche in Deutschland: In einem Brief schreibt Papst Franziskus, er sei besorgt darüber, dass sich die katholische Kirche in Deutschland immer weiter von der Weltkirche entferne. Von Eckhart Querner, BR24 Redaktion

 

Papst Franziskus hat sich erneut kritisch zu Reformen der katholischen Kirche in Deutschland geäußert. Am 10. November nahm der Synodale Ausschuss seine Arbeit auf. In diesem Gremium sollen die Beratungen zwischen Laien und Bischöfen zu Reformen in der katholischen Kirche fortgesetzt werden.

Ein auf deutsch geschriebener Brief des Papstes stammt ebenfalls vom 10. November. Franziskus schreibt darin, er teile die "Sorge über die inzwischen zahlreichen konkreten Schritte, mit denen sich große Teile dieser Ortskirche immer weiter vom gemeinsamen Weg der Weltkirche zu entfernen drohen."

Armenhilfe statt Reformprozess?

Das handschriftlich mit "Franziskus" unterzeichnete Dokument ist an vier frühere Delegierte des Reformprozesses Synodaler Weg gerichtet. Sie hatten ihre Mandate im Februar dieses Jahres gemeinsam niedergelegt mit der Begründung, der Synodale Weg könne einen Bruch mit Rom provozieren. In seinem Brief an die vier Frauen, darunter zwei Theologieprofessorinnen, appelliert Franziskus unmissverständlich, auf die Armen und Kranken zuzugehen, statt "das Heil in immer neuen Gremien zu suchen und in einer gewissen Selbstbezogenheit die immer gleichen Themen zu erörtern."

Nach einem Bericht der Tageszeitung "Welt" reagiert der Papst damit auf ein vorangegangenes Schreiben der vier Katholikinnen. Darin brachten die Theologinnen Katharina Westerhorstmann und Marianne Schlosser, die Journalistin Dorothea Schmidt und die Religionsphilosophin Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz angesichts des deutschen Reformkurses ihre Sorge um die Einheit mit Rom zum Ausdruck.

Synodaler Ausschuss soll Weg für Reformen ebnen

Der Papst bezieht sich in dem Brief auf ein Ergebnis des Reformprozesses Synodaler Weg, den die Deutsche Bischofskonferenz und das Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZdK) vor vier Jahren gemeinsam gestartet haben. Ein inzwischen konstituierter Synodaler Ausschuss soll die Einrichtung eines Synodalen Rates vorbereiten. In diesem Gremium wollen Bischöfe und katholische Laien ihre Beratungen über die Themen Macht, Rolle der Frau, Sexualmoral und priesterliche Lebensform fortsetzen.

Dieses Vorgehen könne die Deutschen von der kirchlichen Einheit entfernen, heißt es in dem Brief. Ein "Beratungs- und Entscheidungsgremium", wie es derzeit vorbereitet werde, sei "mit der sakramentalen Struktur der katholischen Kirche nicht in Einklang zu bringen".

Bischofskonferenz will Papst-Schreiben nicht kommentieren

Die Deutsche Bischofskonferenz teilte mit, der Brief des Papstes sei nicht an sie gerichtet, man habe davon aus den Medien erfahren. Deshalb werde man das Schreiben nicht kommentieren.

Das ZdK erklärte zum wiederholten Mal, der Synodale Ausschuss stehe auf der Grundlage des geltenden Kirchenrechts. Papst Franziskus habe als Neuerung bei den Beratungen der Weltsynode eine offizielle Beteiligung und Mitentscheidung von Laien eingeleitet: "Wir danken dem Papst für dieses deutliche Zeichen für mehr Synodalität, in dem wir uns eng mit ihm verbunden fühlen."

Mit Informationen von KNA. BR.de 24

 

 

 

Der Papst auf der Datenautobahn. Udienz an FISC

 

Es ist schon paradox mit den „großen kommunikativen Autobahnen von heute“: Sie sind einerseits „immer schneller“ und andererseits oft „verstopft“. Das sagte Papst Franziskus, der auf der medialen Autobahn selbst immer wieder für Stau sorgt, an diesem Donnerstag.

Im Vatikan empfing er katholische Medienmacher aus Italien, um sie an den eigentlichen Sinn von Kommunikation zu erinnern, nämlich „Verbindungen herstellen, Brücken bauen, nicht Mauern hochziehen“. Man könne gar nicht oft genug die Kompassnadel auf „Förderung der Menschenwürde, der Gerechtigkeit und des Friedens“ einstellen, auch im Medienbereich.

Eilmeldungen veralten schneller

Wie er sich gute katholische Medienarbeit vorstellt, umriss der Papst so: „Sie bietet nicht nur die neueste Nachricht, die schnell wieder veraltet, sondern transportiert auch eine menschliche, eine christliche Vision, um Geist und Herz zu bilden, damit diese sich nicht von lauten Parolen oder Skandalmeldungen verformen lassen. Ich ermutige euch zu einer Ökologie der Kommunikation… Denkt daran, dass es jenseits der Nachrichten und Scoops immer Gefühle gibt, Geschichten, Menschen aus Fleisch und Blut, die man respektieren sollte.“

Der Fall Giulia

Er konnte sich dann aber doch nicht verkneifen, auf eine traurige, aktuelle Nachricht dieser Tage Bezug zu nehmen: Eine 22-Jährige ist unlängst im Venezianischen von ihrem früheren Freund, der das Ende der Beziehung nicht hinnehmen wollte, ermordet worden; der „Caso Giulia“ beschäftigt die italienischen Medien in diesen Tagen ausgiebig und hat in der Berichterstattung vieles andere (etwa den größten Mafiaprozess Italiens der letzten dreißig Jahre) in den Hintergrund gedrängt.

„An den traurigen Nachrichten dieser Tage, den furchtbaren Meldungen über Gewalt gegen Frauen, ersehen wir, wie dringend es ist, zu Respekt und Sorgfalt zu erziehen: Menschen bilden, die zu gesunden Beziehungen imstande sind. Kommunikation ist Menschenbildung. Kommunizieren heißt, die Gesellschaft aufzubauen. Verlasst diesen Pfad des Bildens nicht, denn er wird euch weit bringen.“

Gegen das „Eindringen des Digitalen“

Noch etwas lag dem Papst am Herzen: Heutzutage entblößten sich viele Menschen online oder würden an einem digitalen Pranger vorgeführt: So zerbrösele der Respekt vor dem anderen. Vor allem Kinder, alte und schwache Menschen und Behinderte bräuchten mehr Schutz vor dem „Eindringen des Digitalen und vor den Verführungen einer provokanten, polemischen Kommunikation“.

„Das ist eine Frage der kommunikativen Demokratie! Bitte seid in diesem Bereich furchtlos, wie David gegen Goliat, der mit einer kleinen Schleuder den Riesen zu Fall brachte… Ihr seid zu einer großen Aufgabe berufen: in Wort und Bild die Würde der Menschen schützen, vor allem der Kleinen und Armen, die Gottes Bevorzugte sind.“

 „Ein Schwimmen gegen den Strom“

Carlo Acutis – ein italienischer Schüler, der 2006 im Alter von nur 15 Jahren starb – sei ein Meister darin gewesen, die „Mechanismen der Kommunikation, der Werbung und der sozialen Medien“ zur Weitergabe des Evangeliums zu nutzen. Franziskus hat Carlo 2020 feierlich seliggesprochen.

„Dieser Jugendliche ist nicht in die Falle gegangen, sondern ein Zeuge der Kommunikation geworden. Zeugnis ist Prophetie, Kreativität, die befreit… Ja, die Treue zum Evangelium verlangt die Fähigkeit, für das Gute auch etwas zu riskieren. Es ist ein Schwimmen gegen den Strom: von Geschwisterlichkeit sprechen in einer individualistischen Welt; von Frieden in einer Welt des Kriegs; von Hinhören auf die armen in einer gleichgültigen Welt. Aber das kann man nur glaubwürdig tun, wenn man erst selbst das lebt, wovon man redet.“ (vn 23)

 

 

 

 

Kirchen fordern Klimapass für Klimaflüchtlinge

 

Wer vor den katastrophalen Folgen des Klimawandels flieht, soll nach einer Forderung der Kirchen in Baden-Württemberg in weniger betroffenen, reichen Staaten Zuflucht finden. Es brauche neue legale Wege für Klimaflüchtlinge, forderten die Bischöfin und die Bischöfe im Südwesten in einer am Donnerstag veröffentlichten Erklärung.

Betroffene aus dem globalen Süden sollten einen Klimapass erhalten, der ihnen Staatsbürgerrechte in den Aufnahmestaaten garantiere. „Ein Klimapass gäbe den Menschen die Chance, nicht fliehen zu müssen, wenn es zu spät ist, sondern in Würde ein neues Leben zu planen und zu beginnen, in ihrem Heimatland oder auch in einem anderen Aufnahmeland“, sagte der katholische Rottenburger Bischof Gebhard Fürst.

Der katholische Freiburger Erzbischof Stephan Burger sagte, weil die reichen Industriestaaten maßgeblich den menschengemachten Klimawandel verursacht hätten, stünden sie bei den Hilfen für die Betroffenen in besonderer Verantwortung.

Die evangelische badische Landesbischöfin Heike Springhart sagte, die Lasten und Folgen der Klimaveränderungen müssten fair verteilt werden. Und der evangelische württembergische Landesbischof Ernst-Wilhelm Gohl sagte, Christen müssten an der Seite der Opfer stehen. „Dies bedeutet hier, Klimavertriebenen Wege in ein sicheres Leben zu eröffnen.“

Entsprechende Fortschritte und Garantien erhoffen sich die Kirchen von der 28. Weltklimakonferenz, die in einer Woche in Dubai beginnt. Dort will erstmals auch Papst Franziskus sprechen. (kna/pm 23)

 

 

 

 

Papst: Das Evangelium ist nicht für wenige Privilegierte

 

Bei seiner Generalaudienz an diesem Mittwoch hat Franziskus die universale Bestimmung des Evangeliums herausgestellt. Die Frohe Botschaft dürfe nicht als Privileg einer kleinen Gruppe von Auserwählten betrachtet werden, sondern sei für alle bestimmt. „Alle haben das Recht, das Evangelium zu empfangen und wir Christen haben die Pflicht, es ausnahmslos allen zu verkünden,“ stellte Franziskus klar. Silvia Kritzenberger - Vatikanstadt

 

Auf einem sonnigen Petersplatz hat Franziskus diesen Mittwochvormittag seine Katechesenreihe zur Leidenschaft für die Evangelisierung fortgesetzt. Bunt gekleidete Fahnenträger aus Italien standen Spalier, als das päpstliche Papamobil auf dem Petersplatz vorfuhr. Wie vergangene Woche angekündigt, will sich Franziskus in den kommenden Wochen mit Aspekten befassen, die für die Verkündigung wesentlich sind.

„Die christliche Verkündigung ist Freude für alle. Wenn wir Jesus wirklich begegnen, durchdringt das Staunen über diese Begegnung unser ganzes Leben, will über uns selbst hinausgetragen werden. Der Herr möchte, dass sein Evangelium allen gilt. Darin liegt nämlich eine „humanisierende Kraft“, eine Erfüllung des Lebens, die für jeden Menschen bestimmt ist, denn Christus ist für alle geboren, gestorben und auferstanden. Für alle ohne Ausnahme.“

Aus seinem Apostolischen Schreiben Evangelii gaudium zitierend, stellte der Papst heraus, dass die Christen die Pflicht hätten, das Evangelium ausnahmslos allen zu verkünden, dass sie „extrovertiert“ und „aufgeschlossen“ sein müssten, weil die Kirche durch Anziehung wachse und nicht durch Proselytismus.

Offenbar wird diese universale Dimension der Sendung Jesu auch in der Begegnung des Herrn mit der Kanaanäerin (Mt 15,21-28): Der unerschütterliche Glaube dieser fremden und heidnischen Frau, der es gelang, Jesus umzustimmen, mache deutlich, dass die Botschaft Jesu nicht nur einem Volk, sondern allen Menschen gelte, so der Papst.

„Die Bibel zeigt uns, dass Gott, wenn er einen Menschen beruft und einen Bund mit ihm schließt, dies immer nach folgendem Kriterium tut: Er erwählt einen, um andere zu erreichen. Das ist das Kriterium Gottes, der Berufung durch Gott.“

Kein Privileg einiger weniger Auserwählter

Doch die Berufung dürfe nicht als Privileg für den Einzelnen verstanden werden, das ihn über andere erhebt, warnte Franziskus. Sie bestehe nämlich darin, freies und mutiges Werkzeug der Liebe Gottes zu sein und so den Glauben im Gebet und im Dienst für die anderen zu bezeugen.

Wörtlich sagte Franziskus: „Bitte nicht! Die Berufung ist kein Privileg, niemals! Wir können nicht sagen, dass wir im Vergleich zu anderen privilegiert seien, nein - die Berufung ist Berufung zu einem Dienst. Und Gott wählt einen aus, um alle zu lieben, um alle zu erreichen. Auch um der Versuchung vorzubeugen, das Christentum mit einer ethnischen Gruppe, einem System zu identifizieren. Denn dann verliert es sein wahrhaft katholisches Wesen, also für alle, universal zu sein: Es ist kein Grüppchen von Auserwählten erster Klasse. Wir dürfen nicht vergessen, dass Gott einige erwählt, um alle zu lieben. Dieser Horizont der Universalität. Das Evangelium ist nicht nur für mich, es ist für alle - vergessen wir das nicht!“ (vn 22)

 

 

 

Papst traf Palästinenser und Israelis: Beide leiden sehr

 

Papst Franziskus hat diesen Mittwoch Delegationen aus Palästina und Israel im Vatikan empfangen. Das katholische Kirchenoberhaupt hatte vor seiner Generalaudienz Israelis getroffen, deren Angehörige als Geiseln in Gaza sind, und eine Delegation von Palästinensern aus dem Gaza-Streifen, die unter dem Gaza-Krieg leiden. Bei der Generalaudienz auf dem Petersplatz berichtete der Papst kurz davon und erklärte, beide Seiten litten sehr und er mahnte erneut Frieden an. Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt

 

Der Papst empfing kurz vor 7.30 Uhr im Gästehaus Santa Marta zwölf Familienangehörigen israelischer Geiseln und kurz vor 8.00 Uhr mit zehn Familienangehörigen von Palästinensern aus Gaza, und zwar Christen und Muslimen, zusammen. Der Gemeindepfarrer von Gaza, Pater Gabriel Romanelli, und ein griechisch-orthodoxer Priester waren ebenfalls anwesend. Die Palästinenser wurden in der Audienzhalle empfangen. Der Papst drückte beiden Delegationen sein Mitgefühl und seine Anteilnahme an ihrer Trauer aus:

„Sie leiden sehr, ich habe zugehört, wie beide leiden: Kriege sind dafür verantwortlich, aber hier sind wir über Kriege hinausgegangen, dies ist kein Krieg, dies ist Terrorismus. Bitte, lasst uns für Frieden wirken, betet für Frieden, betet intensiv für Frieden. Möge der Herr dort eingreifen, möge der Herr uns helfen, die Probleme zu lösen und nicht mit den Leidenschaften weiterzumachen, die am Ende alle töten. Lasst uns für das palästinensische Volk beten, lasst uns für das israelische Volk beten, dass Friede kommt", so der eindringliche Appell des katholischen Kirchenoberhaupts. Papst Franziskus hatte zuvor zudem bereits Gebete gefordert „für alle Menschen, die aufgrund der vielen Kriege auf der Welt leiden, besonders für das geliebte Volk in der Ukraine, in Israel und Palästina." 

„Möge der Herr dort eingreifen, möge der Herr uns helfen, die Probleme zu lösen und nicht mit den Leidenschaften weiterzumachen, die am Ende alle töten“

Hier im Audio: Papst Franziskus traf Palästinenser und Israelis: Beide leiden sehr (Audio-Beitrag von Radio Vatikan)

Die Begegnung des Papstes mit den Delegationen aus Israel und Palästina an diesem Mittwoch hatte der Vatikan bereits am Wochenende angekündigt. Es werde am 22. November am Rand der Generalaudienz zwei getrennte Treffen geben, hatte Vatikansprecher Matteo Bruni erklärt. Es handele sich um einen rein humanitären Akt: „Franziskus möchte die geistliche Nähe zum Leiden eines jeden bekunden", so Bruni. 

„Lasst uns für das palästinensische Volk beten, lasst uns für das israelische Volk beten, dass Friede kommt“

Papst Franziskus hatte zuvor bereits mehrfach appelliert, die Geiseln freizulassen und beide Kriegsparteien aufgerufen, sich auf einen Waffenstillstand zu einigen und Schritte für Dialog und Frieden zu unternehmen. 

Gefangenenaustausch und Feuerpause

Unterdessen hat laut Medienberichten die israelische Regierung diesen Mittwoch einem Abkommen zugestimmt, das die Freilassung von 50 von der Hamas verschleppten Geiseln vorsieht. Im Gegenzug sollen 150 palästinensische Gefangene freigelassen und ein Waffenruhe eingehalten werden, hieß es in der offiziellen Erklärung aus dem Büro von Ministerpräsident Benjamin Netanyahu. 

Demnach ist eine Feuerpause von zunächst vier Tagen vorgesehen. Die Hamas soll in diesen Tagen 50 der rund 240 in den Gazastreifen verschleppten Geiseln freilassen. Laut Medienberichten handelt es sich um 30 Kinder und 20 Frauen. „Die Freilassung jeweils weiterer zehn Geiseln hat einen weiteren Tag Feuerpause zur Folge", heißt es in der Erklärung der Regierung. Im Gegenzug will Israel 150 palästinensische Häftlinge freilassen. Sowohl Israel als auch die radikalislamische Palästinenserorganisation sagten, nach der viertägigen Waffenruhe wolle man die Kämpfe fortsetzen.

Patriarch Pizzaballa erleichtert über Waffenruhe

Der Lateinische Patriarch von Jerusalem, Kardinal Pierbattista Pizzaballa, das Oberhaupt der Katholiken im Heiligen Land, sagte der katholischen Nachrichtenagentur KNA: „Wir hoffen, dass die Vereinbarung den Weg für eine weitere positive Entwicklung freimacht und zu einer Lösung des Konflikts beiträgt". 

„Wir hoffen, dass die Vereinbarung den Weg für eine weitere positive Entwicklung freimacht und zu einer Lösung des Konflikts beiträgt“

Auch EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen freute sich über die Waffenruhe und die geplante Freilassung von Geiseln. Jeder Tag, den Mütter und Kinder durch Terroristen gefangengehalten würden, sei zu viel, erklärte sie am Mittwoch in Brüssel. Sie rief die Hamas zur Freilassung aller Entführten auf. Zugleich kündigte von der Leyen an, die Europäische Union werde ihr Möglichstes tun, um die Waffenpause für eine Verstärkung der humanitären Hilfe zu nutzen. Der zuständige Kommissar Janez Lenarcic solle so schnell wie möglich weitere Lieferungen nach Gaza veranlassen, um die Krise dort zu lindern.

 

Ähnlich äußerte sich auch EU-Ratspräsident Charles Michel. Man müsse die Pause in den Feindseligkeiten zu nutzen, um ein Maximum an humanitärer Hilfe für die Bedürftigen zu ermöglichen, schrieb er auf dem Kurznachrichtendienst „X". Dabei dankte er Katar und Ägypten für die Vermittlung bei der jetzt ausgehandelten Vereinbarung.

Hintergrund

Am 7. Oktober hatten Terroristen auf Geheiß der Hamas im Süden Israels ein Massaker mit rund 1.200 Toten angerichtet und rund 240 Menschen in den Gazastreifen verschleppt. Daraufhin erklärte die israelische Armee, sich im „Krieg" zu befinden und reagierte mit massiven Luftschlägen; später folgten auch Bodeneinsätze israelischer Truppen im Gazastreifen. Dort ist die humanitäre Lage prekär: Es fehlt an Lebensmitteln, Wasser und Medikamenten, Hilfslieferungen kommen nur schleppend durch. Auch zivile Einrichtungen und Krankenhäuser wurden bei den Kämpfen getroffen.  (vn/kna/diverse 22) 

 

 

 

 

 

Katholisches Büro in Berlin und die Debatte einer außerstrafrechtlichen Regelung des Schwangerschaftsabbruchs

 

Im März 2023 haben die Bundesminister für Gesundheit und Justiz sowie die Bundesministerin für Familie, Senioren, Frauen und Jugend die Kommission für reproduktive Selbstbestimmung und Fortpflanzungsmedizin berufen. Die mit der Frage einer möglichen Neuregelung des Schwangerschaftsabbruchrechts befasste Arbeitsgruppe der Kommission hat ein Anhörungsverfahren eingeleitet. Die deutschen Bischöfe haben sich mit dem Thema in der gestrigen (20. November 2023) Sitzung des Ständigen Rates in Würzburg befasst. In der nun nach den Beratungen im Ständigen Rat seitens des Kommissariats der deutschen Bischöfe (Katholisches Büro in Berlin) abgegebenen Stellungnahme wird auf folgende Aspekte hingewiesen, die bei der Debatte aus kirchlicher Sicht zu berücksichtigen sind:

 

Zu Recht werden in der gegenwärtigen Debatte um den Schwangerschaftsabbruch die Rechte der schwangeren Frau betont. Die gesetzliche Regelung des Schwangerschaftsabbruchs berührt neben dem Selbstbestimmungsrecht der Frau, ihrer Personalität und Würde ein weiteres existenzielles Interesse: das Recht des Ungeborenen auf Leben, das nach der ständigen Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts ebenfalls in der Menschenwürde wurzelt.

 

Eine gesetzliche Regelung des Schwangerschaftsabbruchs muss sowohl die Grundrechtsposition der Frau als auch die des ungeborenen Lebens in verfassungsrechtlich gebotener Weise berücksichtigen. Dabei ist die besondere Beziehung von Mutter und Kind in der Schwangerschaft zu beachten: Die schwangere Frau trägt das ungeborene Leben in sich („Zweiheit in Einheit“). Es kann nur mit ihr geschützt werden. Zugleich ist aber auch zu berücksichtigen, dass ein Schwangerschaftsabbruch zum Tod des ungeborenen menschlichen Lebens führt.

 

Die Befürworter einer Regelung des Schwangerschaftsabbruchs außerhalb des Strafrechts argumentieren, dass die geltende Regelung dem Selbstbestimmungsrecht der Frau nicht hinreichend Rechnung trägt. Sie regen eine Verortung der Regelung des Schwangerschaftsabbruchs außerhalb des Strafrechts an. Die deutschen Bischöfe haben die große Sorge, dass damit der Anspruch auf gleichen Schutz von ungeborenem wie geborenem menschlichem Leben aufgegeben wird: Beim vorgeburtlichen Leben handelt es sich von Anfang an um individuelles Leben, das nach christlicher Auffassung Anspruch auf den gleichen Schutz seines Lebens hat und dem die gleiche Würde zukommt. Auch das Bundesverfassungsgericht betont, dass spätestens mit der Nidation von einem menschlichen Leben auszugehen ist, das „in seiner genetischen Identität und damit in seiner Einmaligkeit und Unverwechselbarkeit“ bereits festgelegt ist und dem der verfassungsrechtlich gebotene Schutz unabhängig vom Entwicklungsstadium zu gewähren ist. Es ist nicht ersichtlich, wie nach Entwicklungsstufe und Lebensfähigkeit des Menschen abgestufte Lebensschutzkonzepte diesem ethischen Anspruch und dieser Wertentscheidung unserer Verfassung gerecht werden.

 

Das Strafrecht ist regelmäßig der Ort, an dem wichtige Rechtsgüter – wie das Rechtsgut Leben – nach der geltenden Rechtsordnung geschützt werden. Die deutschen Bischöfe halten die Einschätzung, dass die geltenden Regelungen zum Schwangerschaftsabbruch ungewollt Schwangere sowie Ärztinnen und Ärzte kriminalisieren beziehungsweise stigmatisieren, rechtlich nicht für zutreffend. Das geltende Beratungskonzept setzt auf die letztverantwortliche Entscheidung der Frau nach dem Beratungsgespräch und trägt damit ihrem Selbstbestimmungsrecht Rechnung. Der beratene Schwangerschaftsabbruch ist ausdrücklich straffrei gestellt.

 

Vor diesem Hintergrund halten die deutschen Bischöfe an einer Regelung des Schwangerschaftsabbruchs im Strafgesetzbuch fest. Ein abgestuftes Schutzkonzept eröffnet zudem die Gefahr, die Schutzwürdigkeit menschlichen Lebens auch in anderen Lebenssituationen abzustufen und damit aufzuweichen. Außerdem betonen die Bischöfe, dass sie nicht erkennen können, dass sich durch die Streichung der §§ 218 ff. StGB die rechtliche und tatsächliche Situation von ungewollt schwangeren Frauen verbessert. Hierfür bedarf es anderer Anstrengungen der Gesellschaft und des Sozialstaats, für die es keiner Änderung des Strafrechts bedarf.

 

In der Stellungnahme des Katholischen Büros wird angeregt, bei der Diskussion um §§ 218 ff. StGB in den Blick zu nehmen, dass die geltende Regelung dem Lebensschutz bei einer vermuteten oder diagnostizierten Behinderung des ungeborenen Kindes nicht hinreichend Rechnung trägt.

Hinweis: Die ausführliche Stellungnahme des Katholischen Büros finden Sie als PDF-Datei in der Anlage sowie zum Herunterladen unter www.kath-buero.de. Dbk 21

 

 

 

Kurschus-Rücktritt: Verlust für die Ökumene

 

Der Leiter des katholischen Büros NRW, Antonius Hamers, bedauert den Rücktritt von Annette Kurschus von Spitzenämtern in der Evangelischen Kirche.* Der Verlust für die Zusammenarbeit katholischer und evangelischer Kirche sei immens, sagt er im Interview mit dem Domradio.

DOMRADIO.DE: Was genau wirft man Annette Kurschus vor?

Dr. Antonius Hamers (Leiter des katholischen Büros NRW): Es geht um Vorwürfe aus den 90er Jahren. Es geht darum, dass ein Mitarbeiter des Siegener Kirchenkreises gegenüber jungen Männern sexuelle Übergriffe vorgenommen hat. Frau Kurschus ist damals als Kollegin darüber informiert worden.

Jetzt stellt sich die Frage, ob sie damals und vor allem auch im Nachgang in einer angemessenen Weise damit umgegangen ist. Hat sie diese Vorwürfe aufgegriffen oder hat sie damals und auch heute vertuscht? Und wie hätte eine angemessene und eine gute Weise des Umgangs damit ausgesehen?

DOMRADIO.DE: Wie bewerten Sie den Rücktritt von ihren Ämtern als Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland und westfälische Präses?

„Es ging ihr darum, Schaden von der evangelischen Kirche (EKD) abwenden.“

Hamers: Ich habe die persönliche Erklärung von Frau Kurschus gehört. Da ging es ihr vor allem darum, Schaden von der Evangelischen Kirche (EKD) abzuwenden, gerade auch im Hinblick darauf, dass die EKD zu Beginn des nächsten Jahres ihren Missbrauchsbericht vorlegen wird.

Da ist es natürlich schwierig, wenn jemand, der selber dem Vertuschungs-Vorwurf ausgesetzt ist, an der Spitze der Organisation steht und damit auch mit ein Gesicht für diesen Aufarbeitungsprozess ist.

DOMRADIO.DE: Sie arbeiten als Leiter des Katholischen Büros NRW eng mit der Landespolitik und auch mit der evangelischen Seite zusammen. Wie haben Sie persönlich Frau Kurschus in diesem Zusammenhang erlebt?

Hamers: Ich schätze Frau Kurschus persönlich sehr. Ich habe sie als sehr profunde Theologin kennengelernt. Sie ist eine hoch integre Persönlichkeit und eine überzeugte Ökumenikerin. Insofern ist das für uns auch auf nordrhein-westfälischer Ebene auf jeden Fall ein Verlust, wenn Frau Kurschus jetzt vor allem nicht mehr westfälische Präses ist.

DOMRADIO.DE: Ist der Rücktritt trotzdem angemessen?

Hamers: Das ist als Außenstehender immer sehr schwer zu beurteilen. Sie hat es sich offensichtlich mit dieser Entscheidung nicht leicht gemacht. Wenn man ihre Worte, wenn man ihre Erklärung verfolgt hat, war es schon bewegend. Gerade, weil sie es sich nicht leicht gemacht hat.

Ob das angemessen war, sei dahingestellt. Das kann ich nicht sagen. Dazu kenne ich wiederum auch zu wenige Hintergründe.

Schade finde ich, dass es wie so häufig bei Vertuschungsgeschehen vor allem um die Kommunikation geht. Natürlich ist man im Nachgang immer klüger. Aber ich hätte mir gewünscht, dass besser kommuniziert worden wäre, dann wäre dieser Rücktritt vielleicht überflüssig gewesen.

DOMRADIO.DE: Was bedeutet der Rücktritt für die Evangelische Kirche? Welche Führungspersönlichkeit verliert sie dadurch?

[ Das ist ein sehr schwerer Schlag. ]

Hamers: Das ist ein sehr schwerer Schlag für die EKD, aber vor allem auch für die westfälische Landeskirche. Gerade in der westfälischen Landeskirche hatte Frau Kurschus nach meinem Dafürhalten einen sehr großen Rückhalt und eine sehr hohe Akzeptanz.

Das ist insofern sowohl für die Landeskirche wie für die EKD eine schwierige Situation. Natürlich ist es auch eine Herausforderung, jemanden zu finden, der diese Aufgabe gerade im Blick auf die Aufarbeitung sexuellen Missbrauchs übernehmen kann. Das wird schwer. Und im nächsten Jahr steht der große Untersuchungsbericht für die EKD in dieser Frage an.

DOMRADIO.DE: Gibt es jetzt schon Anwärter? Wer könnte den Platz von Annette Kurschus als Ratsvorsitzender oder Ratsvorsitzende einnehmen?

Hamers: Kirsten Fehrs übernimmt zumindest jetzt kommissarisch den Vorsitz. Damit ist sie wahrscheinlich auch eine der Anwärterinnen.

Das Interview führte Dagmar Peters. (domradio 21)

 

 

 

Nach dem Kurschus-Rücktritt leitet Kirsten Fehrs die EKD

 

Nach dem Rücktritt von Annette Kurschus steht Kirsten Fehrs kommissarisch an der Spitze der Evangelischen Kirche in Deutschland. Mit der Aufarbeitung sexualisierter Gewalt hat die Hamburgerin bereits Erfahrung. Als Kirsten Fehrs 2011 Bischöfin in Hamburg wurde, war ihre Vorgängerin Maria Jepsen wegen eines Missbrauchsfalls zurückgetreten. Ihr wurde vorgeworfen, über Fälle sexualisierter Gewalt in einer Kirchengemeinde informiert worden zu sein, ohne ausreichende Konsequenzen gezogen zu haben. Nun übernimmt Fehrs kommissarisch auch den Vorsitz des Rates der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) und beerbt eine Frau, der es ähnlich wie Jepsen ging: Annette Kurschus geriet wegen möglicher Vertuschung eines Falls sexuell übergriffigen Fehlverhaltens massiv unter Druck und legte am Montag ihre Kirchenämter nieder.Die Aufarbeitung von Fällen sexualisierter Gewalt dürfte Fehrs, die bisher stellvertretende Ratsvorsitzende war, in ihrem neuen Amt weiter beschäftigen.

(kna 21)

 

 

 

Papst: „Sorge“ über deutschen Reformkurs

 

Papst Franziskus hat von neuem Sorge über die Reformvorstellungen der katholischen Kirche in Deutschland geäußert. In einem Brief, über den die Tageszeitung „Die Welt“ berichtet, erklärt er erneut, dass der geplante Synodale Rat in der geplanten Form „mit der sakramentalen Struktur der katholischen Kirche nicht in Einklang zu bringen ist“.

Das Schreiben mit Datum 10. November ist – mit Franziskus‘ eigenhändiger Unterschrift – die Antwort auf ein Schreiben von vier deutschen Katholikinnen, unter ihnen zwei Theologie-Professorinnen. Der Papst geht auf ihre, wie er referiert, „Bedenken angesichts der aktuellen Entwicklungen der Kirche in Deutschland“ ein. Wörtlich schreibt Franziskus: „Auch ich teile diese Sorge über die inzwischen zahlreichen konkreten Schritte, mit denen sich große Teile dieser Ortskirche immer weiter vom gemeinsamen Weg der Weltkirche zu entfernen drohen“. 

Dazu gehöre auch die vor kurzem erfolgte Bildung eines Synodalen Ausschusses, der einen Synodalen Rat vorbereiten soll, um die Beschlüsse des „Synodalen Wegs“ der katholischen Kirche in Deutschland zu verstetigen. Genannter Ausschuss wurde am 10. November - dem Datum des Briefes - in Essen gebildet. Ein Synodaler Rat sei jedoch „in der im entsprechenden Beschlusstext umrissenen Form mit der sakramentalen Struktur der katholischen Kirche nicht in Einklang zu bringen“, darum habe der Heilige Stuhl dessen Einrichtung mit einem Brief vom 16. Januar 2023, den er, Franziskus, ausdrücklich gebilligt habe, „untersagt“. 

„Das Heil nicht in immer neuen Gremien suchen“

Der Papst rät den Katholiken in Deutschland, mehr auf Gebet, Buße, Anbetung und das Herausgehen zu den Menschen zu setzen, „anstatt das ‚Heil‘ in immer neuen Gremien zu suchen und in einer gewissen Selbstbezogenheit die immer gleichen Themen zu erörtern“. Der Brief des Papstes ist auf Deutsch verfasst und bittet seine Adressatinnen auch noch um Gebet „für unser gemeinsames Anliegen der Einheit“.

Schnelle Antwort auf Brief von vier Katholikinnen

Nach Angaben der Tageszeitung „Die Welt“ antwortet der Brief des Papstes auf ein Schreiben vom 6. November. Darin hätten die Theologinnen Katharina Westerhorstmann und Marianne Schlosser, die Journalistin Dorothea Schmidt sowie die Religionsphilosophin Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz sich angesichts des „Synodalen Wegs“ besorgt über die Einheit der Ortskirche in Deutschland mit Rom geäußert. Franziskus hat schon mehrfach deutliche Skepsis gegenüber dem Reformkurs der katholischen Kirche in Deutschland gezeigt; in einem „Brief an das pilgernde Volk Gottes in Deutschland“ vom Juni 2019 hatte er schon vor dem eigentlichen Start des „Synodalen Wegs“ vor der Vorstellung gewarnt, „die beste Antwort angesichts der vielen Probleme und Mängel bestehe in einem Reorganisieren der Dinge, in Veränderungen und in einem ‚Zurechtflicken‘.

(vn 21)

 

 

 

Hilfswerk missio. Neues Modell der Entwicklungs-Zusammenarbeit

 

Das katholische Hilfswerk missio Aachen teilt in seiner Auslandsprojektarbeit mehr Verantwortung mit den Ortskirchen im globalen Süden.

Dafür werden in den Partnerländern Regionalteams mit einheimischen Mitarbeitenden aufgebaut, die von der Antragstellung bis zur Auswertung Projekte der missio-Partner begleiten. Das teilte das Hilfswerk an diesem Montag in Aachen mit.

Die Teams übernehmen damit Aufgaben, die bisher allein von der deutschen missio-Zentrale wahrgenommen wurden. Ein entsprechendes Pilotprojekt startet mit Teams in Kamerun, der Demokratischen Republik Kongo, Burundi und der Zentralafrikanischen Republik. Dazu zählen neun Laien, Ordensschwestern und Priestern aus diesen Ländern, die jetzt vier Wochen lang bei missio Aachen auf ihre Aufgaben vorbereitet wurden.

„Entscheidungsfindung und Projektbegleitung stärker in unsere Partnerländer selbst verlagern“

„Wir wollen die Zusammenarbeit auf Augenhöhe verbunden mit dem Sozialprinzip der Subsidiarität noch mehr stärken. Deshalb strukturieren wir unsere Auslandsprojektarbeit um, indem wir die Entscheidungsfindung und Projektbegleitung stärker in unsere Partnerländer selbst verlagern“, sagte Pfarrer Dirk Bingener, Präsident von missio Aachen. „Die Regionalteams kennen die Verhältnisse vor Ort am besten, um die Notwendigkeit, Fragen der finanziellen Ausstattung und Wirksamkeit von Projekten gut beurteilen zu können“, so Bingener weiter.

Die Regionalteams sollen zudem Partnerinnen und Partner von missio begleiten, denen personellen Ressourcen für Projektanträge und deren Abwicklung fehlen. „Wir hoffen, dass wir damit kirchliche Akteure in politisch und ökonomisch prekären Regionen noch mehr ermutigen, Projekte mit uns durchzuführen“, sagte Pfarrer Bingener weiter. „Solche Projekte erreichen ja oft gerade die Menschen, die am nötigsten Hilfe brauchen.“

Die Menschen erreichen, die am nötigsten Hilfe brauchen

Die Regionalteams sollen zudem künftig auch Ansprechpartnerinnen und Partner für die Aufklärungs- und Bildungsarbeit von missio Aachen in Deutschland sein. „Die Authentizität von Informationen wird heute immer wichtiger, damit wir für unsere Partner Lobby und Sprachrohr in Deutschland sein können“, sagte Pfarrer Bingener.

 

Da die Auslandsprojektarbeit in der weltkirchlichen Zusammenarbeit in den vergangenen Jahren immer stärker digitalisiert wurde, sollen die neuen Regionalteams nicht zuletzt die Partnerinnen und Partner bei der digitalen Projektabwicklung beraten und unterstützen.

 

Die Regionalteams sind an den Bischofskonferenzen oder Ordensoberen-Konferenzen in den jeweiligen Ländern angegliedert. Die betreffenden Ortskirchen und missio Aachen teilen sich die Finanzierung des Pilotprojekts.

 

2022 konnte missio Aachen insgesamt rund 42,2 Millionen Euro für Auslandsprojektarbeit sowie für die Aufklärungs- und Bildungsarbeit in Deutschland einsetzen. (missio aachen 20)

 

 

 

 

Rücktritt der Ratsvorsitzenden der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Präses Annette Kurschus

 

Zum heutigen (20. November 2023) Rücktritt der Ratsvorsitzenden der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Präses Annette Kurschus, erklärt der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing:

 

„Mit großem Bedauern habe ich die Nachricht zur Kenntnis genommen, dass die Ratsvorsitzende der EKD, Präses Annette Kurschus, heute von ihrem Amt zurückgetreten ist. Die Gründe und die im Vorfeld geführten Debatten kann und werde ich nicht beurteilen. Mit dem Rücktritt von Annette Kurschus verliert der ökumenische Motor in unserem Land einen wesentlichen Antrieb. Ich bin dankbar für die Zeit, in der wir miteinander die ökumenische Verantwortung in Deutschland geteilt haben. Annette Kurschus habe ich nicht nur in der Ausübung des Amtes geschätzt, sondern auch als theologische Denkerin mit einer prägenden geistlichen Kraft und mutigen Visionen für ihre Kirche. Den persönlichen engen Kontakt auf kurzen Wegen werde ich ebenso vermissen wie ihr weites Herz, dass sie der katholischen Kirche stets entgegengebracht hat.

 

Ich bin dankbar für die Fragen, die Annette Kurschus in ihrer Amtszeit – auch mit mir als Vorsitzendem der Deutschen Bischofskonferenz – gestellt hat: politisch und gesellschaftlich, theologisch und seelsorglich. Gerade der jüngste gemeinsame Auftritt bei einer Kundgebung vor dem Brandenburger Tor gegen den Terror der Hamas und einen neuen Antisemitismus in Deutschland ist nur eines von vielen Beispielen.“ Dbk 20

 

 

 

 

Papst am Welttag der Amen: Plädoyer für mehr Menschlichkeit

 

Gott hat uns mit besonderen Talenten ausgestattet und jeder hat die Möglichkeit und auch die Pflicht, diese Gaben für seine Mitmenschen einzusetzen. Das legte der Papst den Gläubigen bei der Messe zum Welttag der Armen ans Herz, der diesen Sonntag zum siebten Mal gefeiert wurde. Angesichts der „vielen materiellen, kulturellen und geistlichen Nöte unserer Welt" erteilte er der Gleichgültigkeit der Gesellschaft eine Absage und rief zu mehr Nächstenliebe auf. Silvia Kritzenberger - Vatikanstadt

 

In seiner Predigt orientierte sich Franziskus am Gleichnis von den anvertrauten Talenten aus dem Matthäusevangelium (25,14-30), der Erzählung von dem Herrn also, der seinen Knechten sein Vermögen anvertraut, sich dann auf Reisen begibt und nach seiner Rückkehr Abrechnung hält.

Das Gleichnis lade uns ein, über „die Reise Jesu“ - seine Auferstehung und Himmelfahrt - und über „unsere Lebensreise“ nachzudenken, begann der Papst vor den rund 5.000 Messeteilnehmern seine Auslegung des Bibeltextes:

 

„Jesus hat uns sein Vermögen anvertraut, ein echtes Kapital: er hat uns sich selbst in der Eucharistie hinterlassen, sein Wort des Lebens, er hat seine heilige Mutter auch uns zur Mutter gegeben und er hat die Gaben des Heiligen Geistes ausgeteilt, damit wir sein Werk in der Welt fortsetzen können.“

Nicht nur an sich selbst denken…

Doch wie der Herr im Gleichnis werde auch Jesus am Ende der Zeiten wiederkommen, um uns „einer Rechnungsprüfung zu unterziehen“ und uns „in die Freude des ewigen Lebens zu führen.“ Wir müssten uns also fragen, was wir mit diesem so großen Geschenk auf unserer Lebensreise anfangen würden: ob wir „das, was wir empfangen haben, vervielfachen, indem wir unser Leben aus Liebe für die anderen hingeben“. Oder ob wir, „durch ein falsches Gottesbild gelähmt, den Schatz, den wir empfangen haben, in der Erde vergraben, indem wir nur an uns selbst denken, ohne uns für irgendetwas anderes zu begeistern als für unsere eigenen Annehmlichkeiten und Interessen und ohne uns einzubringen.“

Wenn wir die Liebe um uns herum nicht vermehren, erlischt das Leben in der Dunkelheit

Am Welttag der Armen sei das Gleichnis von den Talenten also eine Einladung, die Gesinnung zu überprüfen, mit der wir unsere Lebensreise angehen:

„Wenn wir die Liebe um uns herum nicht vermehren, erlischt das Leben in der Dunkelheit; wenn wir die Talente, die wir erhalten haben, nicht in Umlauf bringen, endet unser Dasein unter der Erde, es ist also so, als ob wir bereits tot wären,“ gab Franziskus zu bedenken. 

Konkret forderte er: „Denken wir an die vielen materiellen, kulturellen und geistlichen Nöte unserer Welt, an die verwundeten Menschen, die unsere Städte bevölkern, an die Armen, die unsichtbar geworden sind und deren Schmerzensschrei von der allgemeinen Gleichgültigkeit einer geschäftigen und zerstreuten Gesellschaft erstickt wird. (...) Denken wir an die Unterdrückten, die Erschöpften, die Ausgegrenzten, an die Opfer von Kriegen und an diejenigen, die ihr Land unter Lebensgefahr verlassen; an diejenigen, die ohne Brot, ohne Arbeit und ohne Hoffnung sind.“ Armut sei scheu, so der Papst, und deshalb müssten wir selbst es sein, die aktiv und mutig nach ihr suchen.

Die Armut ist ein Skandal

Mit Blick auf die unzähligen Armen dieser Welt brachte Franziskus die Botschaft des Evangeliums abschließend wie folgt auf den Punkt:

„Lasst uns die Güter des Herrn nicht vergraben! Verbreiten wir Nächstenliebe, teilen wir unser Brot, vervielfachen wir die Liebe! Die Armut ist ein Skandal. (...) Wenn der Herr wiederkommt, wird er von uns Rechenschaft verlangen und – wie der heilige Ambrosius schreibt – sagen: »Warum habt ihr geduldet, dass so viele Arme vor Hunger sterben, wo ihr doch Gold besaßt, mit dem ihr ihnen zu essen geben konntet? Warum sind so viele Sklaven verkauft und von Feinden misshandelt worden, ohne dass jemand etwas unternommen hat, um sie freizukaufen?«

Hintergrund

Den Welttag der Armen führte Papst Franziskus zum Ende des Heiligen Jahres der Barmherzigkeit 2016 ein. Gefeiert wird er Mitte November, zwei Wochen vor dem ersten Advent. Der Gedenktag soll laut Franziskus das Thema Armut als „Herzensanliegen des Evangeliums" stärker in den Blick rücken und zu einer Glaubenserneuerung in den Kirchengemeinden beitragen.

Der diesjährige Welttag der Armen steht unter dem alttestamentlichen Leitwort: „Wende dein Angesicht von keinem Armen ab“  (Tob 4,7). 

Auch dieses Jahr waren bei der feierlichen Messe im Petersdom in Rom wieder zahlreiche Arme, Obdachlose, Migranten und Mitglieder verschiedener Hilfsorganisationen anwesend. Kurienerzbischof Rino Fisichella, Pro-Präfekt des Dikasteriums für Evangelisierung und verantwortlich für die Organisation des Welttages, zelebrierte am Altar; Konzelebranten waren der päpstliche Almosenmeister, Kardinal Konrad Krajewski, und Bischof Franz-Peter Tebartz-van Elst, der am Dikasterium für Fragen der Katechese verantwortlich ist. Mittags werden auch in diesem Jahr auf Einladung des Dikasteriums für Nächstenliebe wieder rund 1.200 Bedürftige zum gemeinsamen Mittagessen mit dem Papst in der Audienzhalle erwartet. (vn 19)

 

 

 

Papst: Frieden ist möglich, nur Waffenfabrikanten verdienen am Krieg

 

Mit einem eindringlichen Appell für den Frieden hat Franziskus sich beim Mittagsgebet an diesem Sonntag an die Pilger gewandt, die auf dem Petersplatz zusammengekommen waren. „Frieden ist möglich“, so der Papst mit Blick auf die Konflikte weltweit, darunter vor allem in der Ukraine und im Heiligen Land. Auch die Situation der Menschen in Myanmar war in seinen Gedanken.

Er wolle alle einladen, weiter für die Menschen in der „gequälten“ Ukraine, ebenso wie in Palästina und Israel zu beten, so der Papst am Fenster des Apostolischen Palastes: „Frieden ist möglich! Es braucht guten Willen. Frieden ist möglich. Finden wir uns nicht mit dem Krieg ab! Und vergessen wir nicht, dass Krieg immer, immer eine Niederlage ist: nur die Waffenhersteller verdienen.“

Erinnerung an Konflikt in Myanmar

Außerdem wolle er seine „Verbundenheit mit dem geliebten Volk Myanmars“ erneuern, das „leider weiterhin unter Gewalt und Missbrauch zu leiden hat“, kam Franziskus auf eine Situation zu sprechen, die nach anfänglicher weltweiter Anteilnahme seit 1. Februar 2021, als die Militärs in Myanmar sich an die Macht geputscht haben, mittlerweile unter dem Radar der Weltöffentlichkeit schwelt. In den vergangenen Tagen kam es erneut zu einer Intensivierung der Kämpfe zwischen Myanmars Armee und den Rebellen von der Arakan Army in Rakhine, aufgrund derer seit Montag nach offiziellen Angaben rund 26.000 Menschen vertrieben wurden. „Ich bete, dass sie sich nicht entmutigen lassen und immer auf die Hilfe des Herrn vertrauen“, so Franziskus weiter.

In einem Statement vom Freitag hatte das UN-Büro zur Koordinierung humanitärer Angelegenheiten (UNOCHA) mitgeteilt, dass mit der jüngsten Flüchtlingswelle die Anzahl von Binnenvertriebenen seit Beginn des Konfliktes auf beiden Seiten auf rund 90.000 anwachse. Diese Zahl summiere sich jedoch zu den rund 150.000 Rohingya, die aufgrund der lang andauernden ethnischen Spannungen in Rakhine vertrieben seien. Elf Menschen seien getötet und mehr als 30 verletzt wurden, seit ein vor einem Jahr informell vereinbarter Waffenstillstand an diesem 13. November gebrochen wurde, geht aus dem Statement weiter hervor.

Gedenken an Märtyrer und Welttag der Armen

Bei seinem Mittagsgebet erinnerte er auch an Manuel Gonzales-Serna, einen Diözesanpriester, und neunzehn weitere Priester und Laien, die am Samstag in Sevilla seliggesprochen wurden. 1936 waren sie im Klima der religiösen Verfolgung während des spanischen Bürgerkriegs getötet worden. „Diese Märtyrer haben bis zum Ende Zeugnis für Christus abgelegt. Möge ihr Beispiel die vielen Christen trösten, die in unserer Zeit wegen ihres Glaubens diskriminiert werden. Lasst uns den neuen Seligen applaudieren!“, lud Franziskus die Pilger auf dem Petersplatz ein.

Mit Blick auf den Welttag der Armen, den die Weltkirche an diesem Sonntag begeht, dankte er all jenen, „die sich in den Diözesen und Pfarreien für Initiativen der Solidarität mit Menschen und Familien eingesetzt haben, die um ihr Auskommen kämpfen“. Er selbst wurde nach dem Mittagsgebet in der Audienzhalle erwartet: dort hatte das Dikasterium für Nächstenliebe aus Anlass des Welttages der Armen wie auch schon in den Vorjahren ein Mittagessen für Bedürftige organisiert. (vn 19)

 

 

 

Vatikan: Ökumene heißt, „mit den Augen des anderen zu sehen“

 

Im Päpstlichen Orientale-Institut in Rom ist eine ökumenische Konferenz zu Ende gegangen, an der Theologen der katholischen und orthodoxen Ostkirchen aus Europa, dem Libanon und den Vereinigten Staaten teilnahmen. Für Kardinal Kurt Koch, den Präfekten des Dikasteriums für die Förderung der Einheit der Christen, war dies „ein wichtiges Zeichen der Hoffnung und des Vertrauens in der heutigen, von schrecklichen Kriegen gezeichneten Welt“. Svitlana Duckhovych

 

Vatikanstadt - Theologen aus verschiedenen Ländern, darunter Italien, Deutschland, Libanon, Österreich, USA, Frankreich, Ukraine, Ungarn und Rumänien, nahmen am 15. und 16. November an der internationalen Konferenz „Die ökumenische Vision der Ostkatholiken im Dialog mit den Orthodoxen“ in der Aula Magna des Päpstlichen Orientale-Instituts teil. Im Vordergrund stand dabei die Situation in der Ukraine und im Nahen Osten.

Die Initiative wurde vom Institut für Ökumenische Studien der Katholischen Universität Lemberg (Ukraine) in Zusammenarbeit mit dem Päpstlichen Orientale-Institut und mit Unterstützung der Vereinigungen L'Œuvre d'Orient und CNEWA (Catholic Near East Welfare Association) ins Leben gerufen, um über die Rolle zu diskutieren, die die katholischen Ostkirchen in der Ökumene und insbesondere im Dialog mit den orthodoxen Kirchen spielen können.

Die Verantwortung der katholischen Ostkirchen für die Einheit

„Aus ökumenischer Sicht ist diese Konferenz ein wichtiges Zeichen der Hoffnung und des Vertrauens in der heutigen Welt, die von schrecklichen Kriegen und einer ökumenischen Situation geprägt ist, die unter den schmerzhaften Folgen dieser Kriege leidet“, sagte Kardinal Kurt Koch, Präfekt des Dikasteriums zur Förderung der Einheit der Christen, bei der Eröffnung der Veranstaltung.

Diese sei ein Zeichen der Hoffnung, auch weil die orthodoxen Kirchen unter allen christlichen Kirchen und Gemeinschaften der katholischen Kirche am nächsten stünden: „Beide haben die eucharistische und bischöfliche Grundstruktur der Urkirche bewahrt und leben sie weiter“, so der Schweizer Kurienkardinal. Er betonte, dass die katholischen Ostkirchen „eine besondere Verantwortung in diesem ökumenischen Versöhnungsprozess haben“, und zitierte das Konzilsdekret über die katholischen Ostkirchen Orientalium Ecclesiarium: „Die Ostkirchen, die in Gemeinschaft mit dem Römischen Apostolischen Stuhl stehen, haben die besondere Aufgabe, die Einheit aller Christen, insbesondere der Christen des Ostens, gemäß den Grundsätzen des von diesem heiligen Konzil verkündeten Dekrets ,Über den Ökumenismus' zu fördern“, so Kardinal Koch.

Lernen, mit den Augen des anderen zu sehen

Nach Ansicht der Teilnehmer seien Konferenzen wie die aktuelle und der ökumenische Dialog im Allgemeinen eine Gelegenheit, den Dialog zu lernen. Frieden und Versöhnung erfordern bestimmte Fähigkeiten: die Fähigkeit zuzuhören und die Fähigkeit zum Dialog. In gewisser Weise sei der katholisch-orthodoxe Dialog, insbesondere der Dialog zwischen den katholischen Ostkirchen und der orthodoxen Kirche, ein Dialog, der die Erinnerung an den Konflikt in sich trage, eine Erinnerung, die dieselben Fähigkeiten des Zuhörens und des Dialogs erfordere, sowie die Fähigkeit, die Situation mit den Augen des anderen zu sehen, „mit dem man vielleicht nicht übereinstimmt, so dass die Beteiligung am ökumenischen Dialog auch eine Möglichkeit ist, zu lernen, wie man im Krieg lebt und wie man in diesem Konflikt Christ bleibt“, sagte einer der Teilnehmer.

(vn 18)

 

 

 

Papst: Missbrauch in der Kirche darf nicht vertuscht werden

 

Die Teilnehmer eines von der italienischen Bischofskonferenz geförderten Treffens zum Schutz von Minderjährigen und gefährdeten Personen wurden an diesem Samstag vom Papst in Audienz empfangen. Dabei nahm er auch die Ergebnisse der im vergangenen Jahr durchgeführten Umfrage über die Aktivitäten der territorialen Meldezentren entgegen. Jede Art von Vertuschung im Zusammenhang mit Missbrauch sei inakzeptabel, betonte Franziskus vor seinen rund 400 Gästen in der Sala Clementina im Vatikan. Christine Seuss

 

Vatikanstadt. Dabei handele es sich um „tiefe Wunden“, die versorgt werden müssten, außerdem sei es wichtig, dass das gesamte Volk Gottes dabei einbezogen werde: „Das ist der Weg, um Vertrauen zu schaffen, das Vertrauen, das zu einer wirklichen Erneuerung führt“, so der Papst zu den Teilnehmern am ersten nationalen Treffen der Referenten für Schutzmaßnahmen und Meldestellen in Italien. Es gelte, unermüdlich jede Form von Missbrauch zu bekämpfen, sexuellen ebenso wie Macht- und Gewissensmissbrauch, betonte der Papst. In diesem Zusammenhang schlug er insbesondere drei Verben zur Reflexion vor: „Schützen, zuhören und heilen“.

Denn wer ernstgemeint schütze, dem sei sehr wohl bewusst, dass „kein Schweigen oder Vertuschung im Zusammenhang mit Missbrauch akzeptiert werden kann“, paraphrasierte Franziskus die Richtlinien der italienischen Bischofskonferenz in Sachen Missbrauchsprävention und Aufarbeitung: „Das ist nicht verhandelbar! Und (wer schützt, Anm.) weiß auch, dass es wichtig ist, die Wahrheitsfindung und die Wiederherstellung der Gerechtigkeit innerhalb der kirchlichen Gemeinschaft zu verfolgen“. Dies gelte auch für die Fälle, die staatlicherseits nicht verfolgbar, aber nach kanonischem Recht als Vergehen gälten, so der Papst zu seinen Gästen. Schutz bedeute letztlich auch, „das Böse zu verhindern“, und dies müsse – sowohl im kirchlichen wie auch in anderen Kontexten - durch ständige Fortbildungsmaßnahmen erreicht werden, die für erhöhte Sensibilität und Aufmerksamkeit für den Schutz der Schwächsten sorgten.

Keine Vertuschung von Missbrauch

Für den Schutz brauche es auch die Fähigkeit, zuzuhören, ohne eigene Interessen in den Vordergrund zu stellen, so Franziskus weiter. „Nur wenn man sich den Schmerz der Menschen anhört, die diese schrecklichen Verbrechen erlitten haben, kann man sich solidarisch zeigen und alles tun, damit sich der Missbrauch nicht wiederholt.“ Nur so könne man das, was im Leben eines Betroffenen geschehen sei, „wirklich teilen“, so der Papst, der in diesem Zusammenhang zu einer „persönlichen und gemeinschaftlichen Erneuerung“ aufruft: „Wir sind zu einer moralischen Reaktion aufgerufen, um die Nähe zu denjenigen zu fördern und zu bezeugen, die durch Missbrauch verletzt worden sind. Zuhören zu können bedeutet, sich um die Opfer zu kümmern.“

Schützen, zuhören, heilen

Diese beiden Akte seien grundlegende Voraussetzung dafür, dass eine Heilung überhaupt erst möglich sei, kam Franziskus zum dritten Punkt seiner Aufzählung. Angesichts einer Umwelt, in der sich die Kultur der Aussonderung verbreitet habe, müssten katholische Gemeinschaften mit der Fähigkeit, sich den Fehlern der Vergangenheit zu stellen und neue Wege zu gehen, eine „gesunde Provokation“ für die Gesellschaft darstellen, appellierte Franziskus: „Die ,Heilung‘ von Wunden ist auch ein Werk der Gerechtigkeit. Gerade deshalb ist es wichtig, diejenigen strafrechtlich zu verfolgen, die solche Verbrechen begehen, umso mehr, wenn sie in kirchlichen Kontexten begangen werden. Und sie selbst (die Täter, Anm.) haben die moralische Pflicht einer tiefen persönlichen Bekehrung, die zur Anerkennung ihrer eigenen beruflichen Untreue, zur Wiederaufnahme ihres geistlichen Lebens und zur demütigen Bitte an die Opfer um Vergebung für ihre Taten führt.“

Plage der Pädopornographie im Netz

Angesichts der immer mehr grassierenden Plage der Kinderpornographie im Internet war es Franziskus, der den Meldestellen für ihren Einsatz dankte, ein Anliegen, sie auch auf die Bekämpfung dieses Phänomens einzuschwören: „Wo werden diese Filme gedreht? Wer ist dafür verantwortlich? In welchem Land? Bitte arbeiten Sie daran: Es ist ein Kampf, den wir führen müssen, denn die schlimmsten Dinge werden über Handys verbreitet.“

Abschließend ermunterte Franziskus seine Gäste, für die Ausbildung so viele – für das Thema sensible - Seelsorger wie möglich auszubilden: „Auf diese Weise fördern Sie einen echten kulturellen Wandel, der die Kleinsten und Schwächsten in den Mittelpunkt der Kirche und der Zivilgesellschaft stellt. Ihr kirchliches Handeln kann dazu beitragen, dass die Aufmerksamkeit der gesamten italienischen Gesellschaft auf diese Geißel gelenkt wird, die leider so viele, zu viele Minderjährige und Erwachsene, betrifft.“

Dank für den Einsatz

An diesem Samstag, dem Europäischen Tag zum Schutz von Kindern vor sexueller Ausbeutung und sexuellem Missbrauch, findet in Italien zum dritten Mal der Gebetstag für Betroffene von sexuellem Missbrauch statt. Der Papst hatte einen solchen Gebetstag für die lokalen Bischofskonferenzen 2016 angeregt. Zu Beginn des Treffens hatte Franziskus den Vertretern der Dienst- und Meldestellen für Missbrauch im kirchlichen Bereich ausdrücklich auch für die Erhebung gedankt, die sie im vergangenen Jahr durchgeführt hatten und deren Ergebnisse jetzt vorgestellt wurden. Darin werde der Einsatz deutlich, mit dem sie sich an die Seite derjenigen stellten, die „schwere Wunden“ erlitten hätten, so Franziskus: „Was aus diesen Seiten hervorgeht, ist das Zeugnis eines konstanten und gemeinsamen Engagements. Dies ist der Weg, um Vertrauen zu schaffen, das Vertrauen, das zu einer echten Erneuerung führt.“

In diesem Zusammenhang würdigte der Papst auch die Hilfestellung, die die Kommission für den Schutz Minderjähriger und Schutzbedürftiger im Vatikan, ebenso wie auch die italienische Bischofskonferenz, anderen Bischofskonferenzen anböten, die aus eigener Kraft nicht die Mittel dafür aufbringen können, das Thema strukturiert anzugehen. So hat die Kommission im Rahmen des Memorare-Projektes mittlerweile einige Partnerschaften auf den Weg gebracht, um die Einrichtung und den Betrieb von Schutzstrukturen in Entwicklungsländern zu unterstützen. (vn 18)

 

 

 

Behütet - eine Herbst-Meditation

 

Es ist nebelig und nass - Novembergrau. Ich breche trotzdem auf. Ich brauche nur ein paar Schritte zu gehen, dann bin ich schon in der Natur. Am Wegrand ein großer Parasolpilz, der den Schirm bereits geöffnet hat und ein kleiner, der sich darunter im Schutze entwickeln kann. Ein Bild das mich in meiner Seele anrührt.

Eigentlich nicht mein bevorzugtes Wetter zum Laufen. Aber mich drängt es raus in den Wald. Weg von Häusern und dem Verkehr. Meine Füße tragen mich mit jedem Schritt weiter den Berg hinauf durch eine frisch gemähte Wiese, die vom Regen in der Nacht noch ganz feucht ist. Die Wassertropfen legen sich auf meine Schuhe. Was bin Ich froh, dass sie wasserdicht sind, ich würde sonst mit nass, quietschenden Füßen in den Schuhen gehen. Meine Walkingstöcke helfen mir, auch an rutschigen Stellen gut vorwärts zu kommen.

Samtiger Waldboden

Der Weg geht in ein großes Waldstück über. Der samtige, weiche Moosboden ist bedeckt mit buntem bereits ein wenig abgetrocknetem Laub. Seit ein paar Tagen lassen die Bäume ihr Laubkleid fallen. Sie wollen in den wohlverdienten Winterschlaf. Ein paar Windböen bewegen die Äste der Esskastanien, deren Früchte den Weg stellenweise bedecken. Die stacheligen Schalen sind bereits aufgebrochen. Kleine braune Spitzen schauen an den offenen Stellen heraus. Zwei, manchmal drei kleine Früchte verbergen sich in dieser genialen Schutzhülle. Sie sind mir aber zu stachelig und zu klein, um sie einzusammeln.

Alles hängt mit allem zusammen

Ich gehe weiter bergan, mein Blick ist auf den Weg gerichtet. Das Laub ist schon fast knöchelhoch, es raschelt bei jedem Schritt. Ein Knistern aus Kindertagen. Ich liebte es schon damals, mit den Füßen das Laub vor mir her in kleine Hügel zu schieben. Dabei kann Ich den modrigen, erdigen Duft der Blätter noch intensiver riechen. Erinnerungen an eine sorglose, unbeschwerte Zeit als Kind werden ganz präsent. Die Natur mit ihren Wiesen und Wäldern, den Beeren und Pilzen, den Vögeln und kleinen Kriechtieren war mein tägliches Spielzimmer in dem ich soviel entdecken, beobachten, aufnehmen konnte. Mit dieser Natur habe ich schon als Kind Freundschaft geschlossen, die von einem tiefen Gefühl der Zugehörigkeit, Geborgenheit und Gemeinsamkeit geprägt ist. Ein Gefühl von Schutz und Vertrauen. Hier kann ich spüren, wie alles mit allem zusammenhängt. Wie sich Pflanzen, Bäume und die Tierwelt untereinander verständigen, sich gegenseitig unterstützen, wenn es notwendig wird. Wir kennen die Symbiose der Pilze mit den Wurzeln der Bäume. Meine Gedanken holen meine Erfahrungen ein, vermischen sich mit dem Geruch des Waldes. Ich spüre große Dankbarkeit für diese Naturerfahrung, die auch mich lebendig hält.

Eine zweite Vegetationszeit

Der noch relativ warme November in diesem Jahr lockt den Parasolpilz ein zweites Mal in dieser Saison aus der Erde. Er hat schon im August mit seinen schönen runden gemusterten Köpfen und später mit den ausgebreiteten Schirmen den Wald geschmückt. Mir auch so manches Mittagessen geschenkt. Wunderschöne Exemplare stehen auch heute am Wegesrand. Ich bringe es nicht über das Herz diese beiden mitzunehmen. Ich mache nur ein Foto. Lasse sie aber auch zur Freude anderer stehen.

Dem Geist der Natur nahekommen

Im Gehen kreisen meine Gedanken um die Frage nach dem Geist, der in der Natur wirksam ist. Er ist nicht direkt zu sehen, ich kann ihn nicht anfassen, aber ich spüre ihn. Ich spüre seine Kraft, seine Lebendigkeit, ganz besonders wenn die verschiedenen Jahreszeiten im Wandel sind. Jetzt im Übergang vom Sommer zum Herbst, kann ich es wieder gut beobachten. Der Nebel lichtet sich gerade, um ein paar blassen Sonnenstrahlen Platz zu machen. Die Blätter verändern sich in verschiedene Farbnuancen, Stürme fegen durch die Baumwipfel, damit das Sommerkleid fallen kann. Windböen lassen abgestorbene Äste brechen, damit sich die Bäume verjüngen. Der Wald lichtet sich, um Platz für Licht und Sonne zu schaffen, damit die neue Saat im Frühling nach der Winterpause, wachsen kann. Nur noch einzelne Vögel singen ihr Lied zum Abschied in die Winterruhe. Der Eichelhäher ruft im Vorbeigehen.  

In dieser Lebendigkeit muss Intelligenz stecken. Eine Intelligenz, die Zukunft will, die Entwicklung unterstützt, die Kraft hat, jedes Jahr neu aufzustehen, um für mich da zu sein, damit ich leben kann. Sie nährt mich, beschützt mich vor Einsamkeit, gibt mir die Luft zum Atmen, die Freude an Farben, zeigt mir einen Frieden wie er auch unter uns Menschen sein könnte. Ich danke für diese Erfahrungen, verbinde mich mit ihr innerlich. Da kommt der Geist mir ziemlich nahe. Jutta Mügge, kath.de 17

 

 

 

Warum der Friede unsere Gebete braucht

 

Eine Ideologie kann man militärisch nicht besiegen. So der frühere israelische Geheimdienstchef Schin Bet. Die Ideologie besagt: Der Andere muss weg, damit ich leben kann. Seit Kain und Abel geht es so bei den Menschen zu. Gott weiß darum. Sich an ihn zu wenden, heißt beten, Gebet um Frieden.

Die Erzählung von dem Brüderpaar geht noch weiter. Gott warnt Kain und trotzdem bringt er seinen Bruder um. Das passiert im Palästinakonflikt. Es wird immer schlimmer, weil "das Böse vor der Tür lauert". Im 4. Kapitel des ersten Buches der Bibel ist zu lesen, was wir in der Ostukraine und im Gazastreifen beobachten.  

Wenn du nicht recht tust, lauert an der Tür die Sünde als Dämon. Auf dich hat er es abgesehen, doch du werde Herr über ihn!

Kain tötet daraufhin Abel. Diese tödliche Konstellation, die die Bibel entwirft, wurde oft als historische Erzählung über die erste Familie interpretiert. Sie ist jedoch ein Mythos, d.h. sie beschreibt den Menschen und wird heute als Mobbing bezeichnet, das auf den sozialen Tod des Opfers zielt. Israel wie die Hamas wollen die Vernichtung des anderen. Russland braucht die Ukraine, um zur alten Größe der Sowjetunion zurückzukehren. Es scheint nur so, dass die Russen um Land kämpfen. Davon haben sie genug, es geht um die 40 Millionen Menschen in der Ukraine, gut ausgebildet, inzwischen auch als Informatiker. Nicht zufällig lag der industrielle Schwerpunkt der Sowjetunion in der Ukraine. Weil die Ukrainer sich nicht unterwerfen, werden sie vernichtet. Russland bräuchte diese Menschen dringend, nicht als Unterworfene, sondern um ein demokratischer und damit entwicklungsfähiger Staat zu werden. Wie Israel müsste es die Köpfe gewinnen.

 

Die Kriege kommen nicht zu einem Ende

Russland kann nur das besetzte Land einigermaßen verteidigen. Der Kampf läuft in einen Stellungskrieg hinaus, der lange dauern kann und nicht nur viele Granaten braucht, sondern viele Menschenopfer fordert. Israel und die Hamas werden auch nach diesem Krieg zu keinem friedlichen Nebeneinander finden. Jeder weitere Tag kostet in der Ostukraine wie im Gazastreifen jungen Menschen das Leben. Weil diese Toten nicht umsonst sterben durften, kann nur ein Sieg dieses Sterben rechtfertigen. So hat der Krieg beide Seiten fest im Griff. Wer dem Gutes entgegensetzen will, kann nur die Verletzten versorgen und die Angehörigen der Toten trösten. Es scheint niemand dem Krieg Einhalt gebieten zu können. Wenn es Naturkräfte wären, die das Geschehen weitertreiben, dann könnte es z.B. mit einem Medikament gestoppt werden. Weil es eine Geisteshaltung ist, die die Kriegsmaschine mit Energie beliefert, braucht es andere Kräfte.

 

Etwas Dämonisches ist wirksam

Frühere Epochen und auch Kulturen heute sehen Dämonen als Verursacher des Geschehens, das so vielen Menschen den Tod bringt. Dämonisch ist das, was die Zivilbevölkerung in den Kriegsgebieten bedroht. Von dämonischen Kräften zu sprechen ist eine zutreffendere Erklärung als einfach zu sagen "Die können nicht anders". Sie können tatsächlich nicht. Wir Deutsche haben an uns dasselbe erlebt. Der Zweite Weltkrieg war mit Stalingrad bereits Anfang Februar 1943 bereits verloren, endgültig mit der erfolgreichen Landung der Amerikaner und Engländer bereits im Juni 1944. 11 Monate sollte es noch bis zur Kapitulation dauern, mit noch mehr Toten als in den vorausgegangenen Kämpfen. Ob wir diese Vernichtung dem Einfluss von Dämonen zuordnen oder nicht, es gibt eine Kraft, die auf Vernichtung aus ist und die Kämpfenden in dieser Dynamik fesselt. Die Deutschen waren nicht in der geistigen Verfassung, sich aus der Ukraine, aus Polen, aus Frankreich zurückzuziehen, sie suchten auch dann noch nicht einen Waffenstillstand, als die Armeen mehrerer Länder anfingen, Deutschland selbst zu besetzen. Auch dann noch wurden deutsche Soldaten erschossen, die den Sieg deutscher Truppen infrage stellten. Die Realität, die mit jedem Luftangriff auch der Zivilbevölkerung deutlich gemacht wurde, führte nicht zu der Einsicht, dass der Krieg nicht zu gewinnen war. "Wie verhext" sagen wir, oder doch "wirklich verhext". Der Mensch kann diese Verhexung nicht auflösen, sondern opfert noch viele junge Menschen, eine ganze Generation junger Männer, die eigentlich für den Wiederaufbau gebraucht würden. Das Böse braucht daher eine andere Realitätsbewältigung. Psychologisch lässt sich das Festhalten am Töten kaum erklären, es ist gegen jede Vernunft. Psychologie oder die Philosophie können erklären, haben aber bisher keinen Ausweg aufgezeigt, wie das Unvernünftige entmachtet werden kann.

Die Religion stellt sich direkter dem Bösen

Religion gibt es wegen der Erlösung vom Bösen, es muss allerdings eine sein, die sich dem Frieden verpflichtet hat. Die nur einen Gott kennt, der in gleicher Weise Gott der Palästinenser wie der Juden ist. Nicht die Götter, deren Herrschaftsgebiet das des Stammes oder des Volkes ist. Diese Götter waren dazu da, die eigenen Truppen über die des Nachbargottes siegen zu lassen. Das gilt für Juden und Palästinenser faktisch noch, ist aber durch ihre Tradition nicht gerechtfertigt. Sie könnten und müssten gemeinsam zu Gott beten, dessen Gebote Moses überbracht hat, der im Koran als Prophet geschildert wird. Allah leitet sich von Elohim her, ein Gottesname, mit dem neben Jahwe Gott in der Bibel der Juden angesprochen wird.

Noch absurder verhält sich der Moskauer Patriarch. Er war Oberhaupt der meisten orthodoxen Bistümer der Ukraine, die Mehrzahl fühlt sich immer noch dem Moskauer Patriarchat zugehörig.

 

Das Böse ist in diesen Tagen in seiner Vernichtungsdynamik sehr erfolgreich. Wenn Gott seinen versöhnenden Geist senden will, braucht er möglichst Viele, die sich ihm öffnen. Es braucht viel mehr Beter, die sich nicht vom Dämonischen vereinnahmen lassen. Eckhard Bieger, explizit.de 17

 

 

 

 

Radio Vatikan-Adventsaktion: Mitmachen und gewinnen!

 

Auch in diesem Jahr haben wir zum Advent in Zusammenarbeit mit YOUPAX, dem jungen Glaubensportal des Erzbistums Paderborn, und dem Freundeskreis von Radio Vatikan wieder eine Adventsaktion organisiert. Fokus in diesem Jahr: Das Thema Freundschaft. Stefanie Bross und Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt

 

Mit Christian Städter, Spiritual des Priesterseminars in Paderborn haben wir einen Blick hinter die Kulissen von YOUPAX geworfen und ihn gefragt, was hinter dem katholischen Jugend-Portal steht und was es mit dem neuen Adventsbegleiter von YOUPAX auf sich hat.

„YOUPAX ist zunächst einmal ein Portal, ein Glaubensportal, in dem verschiedenste Glaubens- und Lebensthemen vorgestellt werden, angeregt werden, und das im Internet einsehbar ist auf youpax.de. Es versucht durch verschiedene Methoden - sei es durch Podcast, kleine Videos, längere Berichte etc. -, den Glauben ins Gespräch zu bringen und immer wieder zu schauen, was gibt es für eine Verbindung zwischen meinem Glauben und meinem Leben und den Fragen, die mich in meinem Leben beschäftigen. YOUPAX kann dabei helfen, Menschen ins Gespräch zu bringen, in Austausch. Dafür eignet sich, glaube ich, dieses Portal wunderbar. "

„Mindestens zwei Exemplare bestellen - damit man eines verschenken kann und sich darüber austauschen kann, was man für Erfahrungen macht“

Inhalt mit solider theologischer Grundlage

Für YOUPAX geht es dabei nicht nur um eine ansprechende Form, sondern auch um Inhalte. Eine solide theologische Grundlage sei unerlässlich, sagt Spiritual Christian Städter im Interview mit uns. Städter ist auch selbst als Autor und Berater bei YOUPAX aktiv: „Mich verbindet mit YOUPAX, dass ich immer mal wieder angefragt werde als Autor für verschiedene Themen. Ich hatte einmal, das war noch recht zu Beginn, etwas längeres geschrieben zum Thema Gebet, verschiedene Gebetsformen. Auch bei anderen Projekten, wie bei unserem Adventsbegleiter oder unserem Workbook, stehe ich unseren Journalisten auch inhaltlich mit Rat und Tat zur Seite", berichtet der Theologe im Interview mit Radio Vatikan.

Der Adventsbegleiter: Spirituelle Reise durch den Advent

Der Adventsbegleiter von YOUPAX ist in besonderes Angebot zur Vorbereitung auf Weihnachten. Das kleine Heftlein richtet sich besonders an junge Leute und erscheint dieses Jahr bereits zum vierten Mal:

„Es geht einfach darum, dass wir - bei all der Hektik, die es ja auch gerade im Advent gibt, der Atemlosigkeit - junge Menschen dazu einladen möchten, dass man mal einmal am Tag für fünf Minuten, oder für zehn Minuten oder vielleicht eine Viertelstunde, innehält und sich ganz klassisch das Tagesevangelium vornimmt, das einmal liest. Dann haben wir für jeden Tag immer eine kleine, kurze Meditation, einen Impuls zu diesem Evangelium. Einen Gedanken, den man vielleicht ganz konkret mitnehmen kann in den Tag und ein Gebet.“

„Also ich selbst höre auch eher immer, wenn ich morgens dann aufstehe und mich frisch mache, dann läuft der Adventsbegleiter im Podcast dann immer im Hintergrund.“

Den Adventsbegleiter gibt’s jedoch nicht nur zum Lesen, sondern auch zum Hören:

„Das kann man in der klassischen Printversion natürlich lesen. Und dann gibt es dazu auch einen Podcast, so dass man auch täglich das Tagesevangelium dann hörend sozusagen meditieren kann. Also ich selbst höre auch eher immer, wenn ich morgens dann aufstehe und mich frisch mache, dann läuft der Adventsbegleiter im Podcast dann immer im Hintergrund“, verrät Städter. Und er hat noch einen weiteren Tipp für alle:

„Man kann den Adventsbegleiter über die Homepage von YOUPAX oder auch auf der Homepage unseres Erzbistums bestellen. Der ist kostenlos, wird überall nach Deutschland hin versandt und: Am besten sagen wir immer, ist, wenn man sich nur nicht nur einen bestellt, sondern mindestens zwei, damit man einen verschenken kann und sich dann mit der anderen Person darüber austauschen kann, was man so für Erfahrungen macht.“

Unser Freundschafts-Gewinnspiel: Sei dabei!

Das mit dem Verschenken an Freunde finden wir hier bei Radio Vatikan auch eine super Idee. Bei unserer diesjährigen Adventsaktion geht’s daher ums Verschenken und um Freundschaft: Wir verlosen insgesamt 6 Adventsbegleiter und weitere Überraschungen an dich und deinen Lieblingsmenschen.  Wer gewinnt, bekommt jeweils zwei Preise – einmal als Geschenk von uns an euch und einmal zum Verschenken an eure Freunde.

 

Diese und mehr Preise kannst du gewinnen! Das gibt`s zu gewinnen:

Vatican News -Tassen, -Notizbücher und -Trinkflaschen, Rosenkränze, unsere Rosenkranz-Gebets-CD mit Papst Franziskus in Fatima und unsere CD „In Memoriam Benedikt XVI.". Außerdem verlosen wird Adventsbegleiter „Achtung Advent!“,  das Workbook „Zweifeln und Staunen“, einen Spiele-Block „Stadt, Land, Glaube“ sowie Postkarten und Aufkleber von YOUPAX.

Die Adventsbegleiter, das Workbook, den Spieleblock sowie die Postkarten und Sticker stellt YOUPax/ das Erzbistum Paderborn zur Verfügung, die weiteren Preise der Verein „Freunde von Radio Vatikan“. Vielen Dank und viel Glück!

Teilnahmebedingungen: 

Gehe auf unsere Facebook Seite und kommentiere unter dem Post mit diesem Beitrag, mit wem du durch den Advent gehen willst. Vielleicht ist diese Person auch auf Facebook – markiere sie und verrate uns, warum sie unbedingt einen Advents-Begleiter oder einen der anderen Preise bekommen sollte. 

Wer kein Facebook hat: Schreibt eine Email an Feedback@radiovatikan.de, Betreff: Adventsaktion. In der Email schreibst du dann mit wem du durch den Advent gehen willst und warum diese Person unbedingt einen Advents-Begleiter oder einen der anderen Preise bekommen sollte.

Teilnahmeschluss: Die Radio-Vatikan-Adventsaktion endet am 22. November 2023. Der Rechtsweg ist ausgeschlossen. (vatican news 17)

 

 

 

Italiens Bischöfe: 54 mutmaßliche Missbrauchsopfer 2022 gemeldet

 

Die Bischofskonferenz hat ihren Jahresbericht über nationale Maßnahmen zum Schutz vor Missbrauch vorgelegt. Demnach seien im vergangenen Jahr 54 mutmaßliche Fälle sexuellen Missbrauchs gemeldet worden, der Großteil der Betroffenen (44) seien dabei weiblich gewesen.?

 

Knapp die Hälfte der Betroffenen (25) seien zum Zeitpunkt der Tat zwischen 15 und 18 Jahren alt gewesen. Die Zahl der mutmaßlichen Täter liege bei 32, davon 31 Männer. Jeweils zu einem Drittel würden Priester, Ordensleute und Laien der Taten beschuldigt.

Knapp über die Hälfte der mutmaßlichen Fälle (56,8 Prozent) seien in der Vergangenheit geschehen. Insgesamt handle es sich bei 90,6 Prozent um reale Übergriffe, 9,4 Prozent seien über das Internet erfolgt.

108 „Hörzentren“

Die Zahlen beziehen sich auf Meldungen an die 108 sogenannten „Hörzentren“ der Kirche in Italien. Diese Einrichtungen dienen als Anlauf- und Informationsstellen für Betroffene und Fragen zu sexuellem Missbrauch. Knapp 80 Prozent der Diözesen im ganzen Land verfügen über Zugang zu solch einem Zentrum. An sie wandten sich im Vorjahr 374 Menschen, 2021 waren es 48. 2022 erfolgte die Mehrheit der Kontakte durch Dritte (87,7 Prozent), mutmaßlich Betroffene machten 12,3 Prozent aus.

Keine umfassende Untersuchung geplant

Die Erhebung folgt auf eine erste Studie aus dem Jahr 2022. Sie war die erste Analyse der nationalen Präventionsmaßnahmen in den Jahren 2020 und 2021. Angekündigt hatte die Bischofskonferenz zudem eine Untersuchung der Fälle, die in den vergangenen 20 Jahren von Italiens Diözesen bei der Glaubensbehörde im Vatikan eingereicht wurden.

Eine umfangreiche, unabhängige Untersuchung von sexuellem Missbrauch im Umfeld der katholischen Kirche in Italien ist bislang nicht geplant. (kna 17)

 

 

 

Das Projekt „Meet a Jew“

 

Um antisemitische Vorurteile auszuräumen, setzt ein Projekt des „Zentralrats der Juden in Deutschland“ auf Austausch auf Augenhöhe. Seit dem Hamas-Angriff suchen deutlich mehr Gruppen den direkten Kontakt zu Jüdinnen und Juden.

Das erfuhr das Kölner Domradio jetzt bei einem Interview mit Mascha Schmerling, der Koordinatorin von „Meet a Jew“. Das Projekt existiert seit 2020 und ist aus zwei ähnlichen Projekten hervorgegangen, die sich zusammengeschlossen haben. Die Idee hinter dem Projekt: Jüdisches Leben in Deutschland durch die Begegnung mit jüdischen Gläubigen kennenlernen, nicht abstrakt, sondern konkret. Der Schwerpunkt der Arbeit liegt in Schulen, Universitäten und Sportvereinen, aber auch Begegnungen in anderen Einrichtungen wie einer JVA hat es schon gegeben.

Interview

Seit 2020 organisiert der Zentralrat der Juden in Deutschland das Projekt „Meet a Jew“. Wie funktioniert es?

„Bei ‚Meet a Jew‘ machen über 500 jüdische Ehrenamtliche ab 14 Jahren mit. Sie gehen zu zweit in Begegnungen an Schulen, in Sportvereinen, an Universitäten, in Kirchengruppen, in Gruppen der Erwachsenenbildung etc. und erzählen in einem lockeren Gespräch, in einem Stuhlkreis aus ihrem Alltag. Was bedeutet es heute überhaupt, jüdisch zu sein? Welche Themen beschäftigen sie? Und vor allem beantworten sie auch alle möglichen Fragen der Gruppen. Wir sagen auch ganz bewusst: Man darf alle Fragen stellen bei ‚Meet a Jew‘, das ist uns ganz wichtig. Uns geht es um den Dialog, um den Austausch auf Augenhöhe. Und darum, dass nichtjüdische Menschen überhaupt Jüdinnen und Juden persönlich kennenlernen und sich mit ihnen austauschen können.“

„Man darf alle Fragen stellen“

Wie haben die Hamas-Angriffe vom 7. Oktober Ihre Arbeit verändert?

„Das war natürlich auch für unser Projekt erst einmal ein großer Schock, weil natürlich auch unsere Ehrenamtlichen als Jüdinnen und Juden und Menschen, die vielleicht selbst Freunde und Verwandte in Israel haben, betroffen sind. Wir mussten uns erst einmal sortieren und besprechen, wie wir weitermachen können. Es ist uns sehr wichtig, weiterzumachen. Wir haben dann auch beschlossen, dass wir auf jeden Fall weitermachen wollen in der aktuellen Situation. Aber wir haben auch beschlossen, dass wir jetzt noch genauer hinschauen, in welche Gruppen wir gehen und was sind die gegenseitigen Erwartungen sind. So dass es für alle Seiten wirklich eine gewinnbringende Begegnung, eine gute Begegnung wird.“

Sie erleben, dass die Nachfrage nach Ihren ‚Meet a Jew‘-Begegnungen aktuell noch größer geworden ist…

„Tatsächlich ist es so, dass wir im Moment sehr viele Anfragen bekommen, noch deutlich mehr als ohnehin schon in dieser Jahreszeit. Denn im November und Dezember wird unser Angebot in der Regel stark nachgefragt. Und in der aktuellen Lage jetzt eben umso mehr. Das zeigt, dass die Menschen, die sich engagieren wollen – wofür wir sehr dankbar sind – also Lehrkräfte vor allem, nach Möglichkeiten suchen, wie sie mit der aktuellen Situation umgehen können. Und da wenden sie sich häufig an uns.“

„Wir sind kein Projekt, das intervenieren kann“

Ihre Aufgabe ist es, Präventionsarbeit zu leisten. Wie ist das dann, wenn Sie jetzt angefragt werden, um sozusagen Feuer zu löschen?

„Ich glaube, das ist eine strukturelle Herausforderung. Wir sind ein Projekt, das in erster Linie jüdisches Leben in Deutschland vorstellt und versucht, damit auch Vorurteilen vorzubeugen und aufzuklären. Wir sind kein Projekt, das intervenieren kann. Das heißt, wenn jetzt in einer Klasse aufgrund des aktuellen Krieges die Stimmung sehr aufgeheizt ist, dann können wir nicht, wie Sie sagen, Feuer löschen und ganz detailliert über den Konflikt reden oder ihn gar lösen. Das wäre schön, wenn wir das in einer Doppelstunde in der Schule hinbekommen könnten. Das ist nicht der Ansatz unseres Projekts. Nichtsdestotrotz versuchen wir dann natürlich, an andere Projekte zu vermitteln, an Projekte, die Interventionen machen, die sich für den jüdisch- muslimischen Dialog engagieren. zum Beispiel machen. Wir schauen, was die Schulen in der aktuellen Situation brauchen.“

Was erzählen denn die Ehrenamtlichen, die jetzt in die Begegnungen gehen?

„Das aktuelle Aufflammen im Nahostkonflikt ist natürlich Thema. Das wird angesprochen und das darf es bei uns auch. Es ist uns sehr wichtig, dass nichts ausgeklammert wird, weil wir ein authentisches, ehrliches Gespräch wollen. Wir machen aber auch gleichzeitig deutlich, dass Jüdinnen und Juden nicht gleich Repräsentanten der Politik eines Staates sind, also in dem Fall des Staates Israel. Und dass auch nicht alle Jüdinnen und Juden Experten sind für die Nahostpolitik.

„Wir vermitteln, dass es wichtig ist, zu differenzieren“

Wir vermitteln, dass es wichtig ist, zu differenzieren. Genauso wie sich ja auch nicht alle muslimischen Menschen mit allen Konflikten auskennen, die in muslimisch oder arabisch geprägten Regionen stattfinden und nicht automatisch jeder von ihnen zu einem bestimmten Konflikt Stellung beziehen kann. Gleichzeitig ist es uns wichtig, dass wir natürlich an einer friedlichen Lösung für alle Seiten interessiert sind und dass uns menschliches Leid, egal auf welcher Seite, sehr nahe geht. Und schließlich, dass wir uns mit unserem Projekt für den Dialog einsetzen und dafür, dass dieser Konflikt nicht auch noch in deutschen Klassenzimmern in der deutschen Gesellschaft ausgetragen wird und zu noch mehr Hass führt.“

Inwieweit lassen sich in einem Klima aufgeheizter Gefühle überhaupt grundsätzliche Missverständnisse klären und Fake News zurechtrücken?

„In der Bildungspolitik sind wir manchmal gefühlt schon fast an der Abfahrt ‚Prävention‘ vorbeigefahren. Wir haben es viele Jahre versäumt, Bildungsarbeit zum Nahostkonflikt zu machen, der schließlich viele Schülerinnen und Schüler beschäftigt. Aber auch im Bereich Medienbildung: Wie checke ich meine Quellen? Wie erkenne ich, ob es sich um eine seriöse Quelle handelt?

Jugendliche sind im Moment ganz vielen ungefilterten Informationen über TikTok oder andere Social-Media-Kanäle ausgesetzt. Es braucht Menschen, die das mit ihnen gemeinsam einordnen, die Räume schaffen, zum Beispiel in der Schule, um das zu besprechen. Das ist gerade sehr akut und da besteht ein sehr großer Bedarf. Wir haben nicht genügend Ressourcen dafür.“

„Wir haben mittlerweile über 30.000 Menschen erreicht“

Wie optimistisch sind Sie, dass Sie mit Ihrer Arbeit wirklich etwas erreichen?

„Wir waren in den letzten vier Jahren sehr oft im Gespräch, wir haben mittlerweile über 30.000 Menschen erreicht. Und wir haben erlebt, dass, wenn wir erst einmal ins Gespräch kommen sind, die Gespräche auch gut werden. Ich werde immer wieder gefragt, wie es denn speziell mit muslimischen Gruppen läuft. Und auch da sage ich immer wieder, dass wir wirklich gute Gespräche haben, weil wir über Gemeinsamkeiten sprechen können. Und wenn wir den Raum dafür schaffen, ist das sehr positiv.

Nichtsdestotrotz sind wir uns auch bewusst, dass wir eine sehr kleine Minderheit sind. In den jüdischen Gemeinden gibt es in Deutschland um die 100.000 Mitglieder und im Projekt ‚Meet a Jew‘ machen 500 Ehrenamtliche mit, das ist sehr viel für ein jüdisches Projekt. Aber auf das ganze Land gesehen, ist das natürlich trotzdem nicht viel. Deswegen brauchen wir auch die Unterstützung der Mehrheitsgesellschaft. Aber wir brauchen andere Projekte, und es gibt auch ganz andere tolle Projekte. Es gibt ganz viele nicht-jüdische Menschen und auch aus der muslimischen Community, die sich gegen Antisemitismus einsetzen. Aber wir brauchen das wirklich auf einer breiteren Basis und auch nachhaltig.“

(domradio 17)

 

 

 

 

Siebter Welttag der Armen am 19. November 2023

 

Am Sonntag, 19. November 2023, begeht die katholische Kirche zum siebten Mal den Welttag der Armen, den Papst Franziskus ins Leben gerufen hat. Zu diesem Tag erklärt der Vorsitzende der Kommission für caritative Fragen der Deutschen Bischofskonferenz, Erzbischof Stephan Burger (Freiburg):

Papst Franziskus hat den Welttag der Armen in diesem Jahr unter ein Wort aus dem Buch Tobit gestellt: „Wende dein Gesicht von keinem Armen ab“ (Tob 4,7). In seiner Botschaft bringt er uns die Geschichte von Tobit im gleichnamigen Buch des Alten Testaments und die Mahnungen an seinen Sohn Tobias näher. Tobit lebt in der assyrischen Gefangenschaft ein Leben in Gottesfurcht und Nächstenliebe. Er hilft Menschen mit Nahrung und Kleidung und kümmert sich um die Begräbnisse von achtlos auf die Straße geworfenen Verstorbenen seines Volkes. Als er nach einem solchen Begräbnis erschöpft im Hof einschläft, verliert er durch ein Unglück sein Augenlicht. Dieser Schicksalsschlag lässt Tobit jedoch nicht verzweifeln, sondern – so beschreibt es uns der Heilige Vater – „wird zu seiner Stärke, sodass er die vielen Formen der Armut um ihn herum noch besser erkennen kann“. Bevor er seinen Sohn Tobias nach Medien aussendet, gibt er ihm seine Lebenserfahrungen mit auf den Weg. Er ermahnt ihn, ein Leben zu führen, das ausgezeichnet wird von der Hilfe für die Armen. In dieser Situation fällt der zentrale Satz: „Wende dein Gesicht von keinem Armen ab“.

Unsere Zeit ist geprägt von vielen Unwägbarkeiten, Sorgen und Krisen. Kriege, Katastrophen und wirtschaftliche Schieflagen haben globale Auswirkungen und betreffen eine Vielzahl von Menschen. Hinzu kommen die Schicksalsschläge und Herausforderungen, die jeden Einzelnen individuell treffen und oftmals gravierende Auswirkungen haben können. Ein unbeschwertes Leben ist für viele Menschen derzeit nur schwer möglich. Manche leben bereits seit Jahren in Not und Elend. Wir alle werden beschäftigt von unseren eigenen Problemen und Herausforderungen unterschiedlicher Schwere und wir versuchen, diese so gut es geht zu bewältigen. Die Worte des Papstes sollen uns dazu anhalten, auch in diesen Phasen der eigenen Belastung den Blick für den Nächsten nicht zu verlieren, ihn nicht zu übersehen und schon gar nicht bewusst wegzusehen. Er fordert uns auf, weiterhin füreinander da zu sein und selbst tätig zu werden in der Hilfe für die Ärmsten und Bedrängten.

Er richtet damit keinen geringen Anspruch an uns. Gleichzeitig ist diese Mahnung richtig und notwendig. Verdecken unsere eigenen Herausforderungen doch allzu leicht die Sorgen und Nöte der anderen. Solidarität und Mitgefühl mit unserem Nächsten werden gerade in schwierigen Zeiten gebraucht. Sie sind ein wichtiger Bestandteil dessen, was wir als Mitmenschlichkeit bezeichnen. Denn wenn jeder an sich selbst denkt, ist eben nicht an alle gedacht. Und niemand ist niemals auf andere angewiesen. Der Papst verlangt dabei nicht von uns, über unsere Kräfte hinauszugehen, um zu helfen, aber die Kräfte einzusetzen, die wir haben. Papst Franziskus weist darauf hin, dass diese Nächstenliebe allen Menschen, ungeachtet der Hautfarbe, des sozialen Status oder der Herkunft, zu gelten hat und jedem Armen und jeder Armut zu begegnen ist. Ich möchte ebenfalls betonen, dass christliche Nächstenliebe sich ausschließlich an der Bedürftigkeit des Nächsten orientieren darf und nicht daran, wie nah uns bestimmte oder vermeintliche Eigenschaften oder Zuschreibungen des Nächsten sind. Es geht darum, dass wir uns dem Bedrängten zum Nächsten machen, nicht darum, wie vermeintlich nah uns dieser Nächste ist.

Besonders betont der Papst die Notwendigkeit, sich Kindern und Jugendlichen zuzuwenden, die „dem gegenwärtig stattfindenden kulturellen Wandel am schutzlosesten gegenüberstehen“. Auch in Katastrophen und Kriegen sind es die Jüngsten, „die einer unbeschwerten Gegenwart und einer würdigen Zukunft beraubt sind“. Ich unterstütze den Papst in seinem Aufruf, alles zu versuchen, „damit sich der Friede als Geschenk des auferstandenen Herrn und als Frucht des Einsatzes für Gerechtigkeit und Dialog behaupten kann“ und weiß viele Gläubige vereint im Gebet für Frieden und Versöhnung in den Kriegs- und Konfliktregionen dieser Welt. Das Heilige Land und die Ukraine sind dabei zurecht besonders in unserem Blick, doch gibt es zahlreiche weitere Regionen und Orte, die von Gewalt erschüttert werden und die wir nicht übersehen sollten.

Gemeinsam mit dem Papst bin ich dankbar dafür, dass viele Menschen in Deutschland und der Welt bereits heute tagtäglich für Menschen in Armut da sind. Sie tun dies in den Pfarrgemeinden oder unserer Caritas, im Haupt- oder Ehrenamt, dauerhaft oder zu einem konkreten Anlass. Sie leisten einen wertvollen Liebesdienst für die Armen und für die gesamte Gesellschaft, deren Zusammenhalt im besonderen Maß vom Engagement ihrer Mitglieder für die Schwachen und Geplagten abhängt. Manches geschieht dabei sichtbar, vieles jedoch in Stille und ohne Applaus. Als Gesellschaft, die auf diese Menschen angewiesen ist, tun wir gut daran, sie in ihrer Arbeit zu unterstützen und in Staat und Kirche kontinuierlich zu überprüfen, welche Hemmnisse bestehen, die andere davon abhalten, sich ebenfalls zu engagieren, obwohl sie die Sorgen und Nöte der Menschen sehen und handeln möchten.

In der zweiten Jahreshälfte und insbesondere in diesen Wochen vor Weihnachten gedenken wir verschiedener Heiliger, die durch ihre Taten gegenüber Armen und Benachteiligten beispielhaft für uns sein können – der hl. Elisabeth, deren Gedenktag in diesem Jahr mit dem Welttag der Armen zusammenfällt, aber auch der hl. Teresa von Kalkutta, dem hl. Vinzenz von Paul, dem hl. Franziskus, dem hl. Martin oder dem hl. Nikolaus. Sie alle zeichnet auf ihre je eigene Art aus, dass sie ihre Augen und Herzen nicht vor dem Leid verschlossen haben, das sie sahen. Sie haben stattdessen die Herzen und Arme geöffnet und Hilfe geleistet. Ihre Taten können uns zusammen mit den Worten des Papstes inspirieren, dass auch wir unsere Augen nicht von den Armen abwenden, sondern ihre Nöte sehen und dann handeln. 

Hinweis: Weitere Informationen sind unter www.dbk.de auf der Themenseite Welttag der Armen verfügbar. Dbk 17

 

 

 

Studie: Soziales Engagement der Kirchen bindet Gläubige

 

Die Mitgliedszahlen der christlichen Kirchen werden sich bis 2040 womöglich halbieren. Laut einer neuen Studie würden aber radikale Reformen und mehr politisches Engagement Gläubige zum Bleiben bewegen. Und: Gerade sozialer Einsatz sorgt für Ansehen. Von Andrea Neumeier

 

"Wie hältst du's mit der Kirche?" lautet der Titel der Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung, die nun auf der EKD-Synode in Ulm vorgestellt worden ist. Für die evangelische Kirche ist es bereits die sechste Studie dieser Art, die katholische Kirche hat erstmals daran teilgenommen. Auf 94Seiten wird analysiert, wie eng die Bindung an die beiden christlichen Kirchen in Deutschland ist. Dafür wurden rund 5.000 Personen befragt.

Das Ergebnis ist ernüchternd: Kirchenbindung und Religiosität gehen noch stärker zurück als bisher angenommen. Auf den Kirchen lasten enorme Reformerwartungen angesichts "multipler Krisen". Und während sich in der Vergangenheit Katholiken und Protestanten stärker unterschieden haben, gleichen sie sich in ihren Erwartungen immer mehr an. Aber es gibt auch eine gute Nachricht: Trotz ihrer Krisen genießen die Kirchen auch bei Nicht-Mitgliedern nach wie vor großes Ansehen für die gesellschaftliche Rolle, die sie übernehmen.

Prognose: Mitgliederzahlen werden sich schneller halbieren

Sowohl in der katholischen als auch in der evangelischen Kirche knacken die Austrittszahlen jedes Jahr neue Rekorde. 2023 waren erstmals weniger als 50 Prozent der Menschen in Deutschland Mitglied der beiden christlichen Kirchen. Zwei Drittel der evangelischen Kirchenmitglieder und drei Viertel der katholischen Kirchenmitglieder schließen einen Kirchenaustritt als Option nicht aus. Das ist eine deutliche Zuspitzung im Vergleich zu früheren Befunden.

Und dieser Trend wird sich wohl noch verstärken: Zwischen 2023 und 2025 beispielsweise werden wohl fast eine Million evangelischer Kirchenmitglieder aus der Kirche austreten. Nicht nur die Austritte lassen die Mitgliederzahlen sinken, auch der demographische Wandel und die sinkende Taufquote tragen dazu bei.

In der Freiburger Studie aus dem Jahr 2021 war noch prognostiziert worden, dass sich die Mitgliederzahlen der Kirchen bis 2060 halbieren. Die Ergebnisse der aktuellen Untersuchung deuten aber darauf hin, dass es weitaus schneller geht, und zwar schon zehn bis 20 Jahre früher. "Wenn Religion aus dem Leben von Einzelnen verschwinden kann, dann kann sie sogar aus Gesellschaften verschwinden", befürchten die Kirchen.

Katholiken vertrauen evangelischer Kirche mehr als der eigenen

Deutliche Unterschiede gibt es zwischen Katholiken und Protestanten, warum sie aus der Kirche austreten. Protestanten treten vor allem dann aus, wenn ihnen "das Thema Religion und Kirche in einem längeren biografischen Prozess gleichgültig geworden ist". Bei den Katholiken ist es anders: Dort treten viele nicht aus Gleichgültigkeit aus, sondern aus Zorn und Wut über die eigene Kirche. Der Vertrauensschwund der Kirchen ist demnach auf viele verschiedene Probleme zurückzuführen und nicht auf "einzelne Skandale".

Für Führungspersonen in der katholischen Kirche dürfte eine Erkenntnis aus der Studie besonders bitter sein: "Katholische vertrauen der evangelischen Kirche mehr als ihrer eigenen Kirche." Evangelische und katholische Kirchen sehen sich laut der Studie gerade an einem "Kipppunkt", der in den nächsten Jahren zu "erheblichen Instabilitäten" führen werde. Viele Landeskirchen und Diözesen befinden sich ohnehin schon auf Sparkurs, um sich finanziell zu konsolidieren.

Fast 90 Prozent der Gläubigen gehen nicht mehr regelmäßig in den normalen Sonntagsgottesdienst, sondern besuchen die Kirche nur noch zu besonderen Anlässen wie Taufe, Konfirmation, Erstkommunion, Beerdigung und dem Weihnachtsgottesdienst. Von Generation zu Generation beobachte man eine nachlassende Religiosität. Überraschend ist dabei die hohe Anzahl an Katholiken, die immer noch täglich beten: 13,8 Prozent. Von den Protestanten beten nur 2,1 Prozent jeden Tag.

Kirchen müssten sich "deutlicher" zur eigenen Schuld bekennen

Auf die Frage, was die Kirchen tun können, um die Mitglieder zum Bleiben zu animieren, sagen 77 Prozent, dass sich die Kirche "deutlicher" zur eigenen "Schuld" bekennen müsste. 66 Prozent würden bleiben, "wenn sich die Kirche radikal reformiert". 45 Prozent sagen aber auch: "Die Kirche kann tun, was sie will, irgendwann trete ich ohnehin aus."

In der evangelischen Kirche zeigt sich, dass die "religiöse Sozialisation und die längerfristige kirchliche Bindung" in der Konfirmationszeit stattfindet. Deshalb gebe es aktuell "verstärkte Bemühungen um die Konfirmandenarbeit und ihre Verknüpfung mit der kirchlichen Jugendarbeit", um "anschließende Formen der Vernetzung und Gemeinschaftsbildung aufzubauen und zu stärken". Die Teilnahmequoten an Konfirmation, Religionsunterricht, kirchlichen Kindergärten und kirchlichen Jugendgruppen seien stabil, heißt es in der Studie.

Gläubige wünschen sich mehr gesellschaftlich-politisches Engagement

Menschen, die nach wie vor in der Kirche bleiben wollen, halten vor allem soziale Motive: "Ich bin in der Kirche, weil sie etwas für Arme, Kranke und Bedürftige tut." Sowohl Protestanten als auch Katholiken wäre es wichtig, dass das Führungspersonal durch die Kirchenmitglieder demokratisch gewählt wird. 43 Prozent wünschen sich von ihrer Kirche sogar noch mehr gesellschaftlich-politisches Engagement, was sie dann auch zum Bleiben bewegen würde. Dazu passt auch, dass sich zwei Drittel der katholischen und evangelischen Kirchenmitglieder nicht wünschen, dass sich ihre Kirche mehr mit religiösen Fragen beschäftigt.

Gerade die Rolle der Kirchen als gesellschaftliche Akteure genießt nach wie vor ein "respektables Ansehen". Sogar Menschen, die mit Religion wenig anfangen können, schreiben den Kirchen eine "wichtige soziale Aufgabe" zu. Die Zahlen belegen außerdem, dass sich Katholiken (49 Prozent) und Protestanten (46 Prozent) stärker ehrenamtlich engagieren als Konfessionslose (32 Prozent). Etwas Positives abgewinnen können die Studienschreiber auch den andauernden Reformdiskussionen in den beiden Kirchen. Solche Erwartungen bedeuteten auch: "Es gibt in dieser Hinsicht keine Gleichgültigkeit. Das ist ein Pfund, mit dem Kirchen wuchern können und müssen." Br.de 17

 

 

 

 

Zuppi: Nicht untätig bleiben angesichts des Krieges

 

Mit einem Appell, sich „von den gefährlichen Polarisierungen zu befreien, die Konflikte nähren, und stattdessen den Frieden mit Überzeugung, Intelligenz und Kraft zu wählen“, wandte sich der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz (CEI), Kardinal Matteo Maria Zuppi, am Mittwochabend bei einer Messe in der Unterkirche der Basilika San Francesco in Assisi an die italienischen Bischöfe. Sie sind derzeit in dem umbrischen Dörfchen zur Außerordentlichen Generalversammlung versammelt. Mario Galgano

 

Vatikanstadt. „Eine schreckliche Lepra, die die Körper der Menschen und Völker verzehrt und sie ihre Seelen verlieren lässt, so dass sie nicht mehr fähig sind zu lieben, gezeichnet von Hass, von den Wunden der Gewalt.“ Das sei es, „was Krieg ist“, so der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz (CEI) und Erzbischof von Bologna, Kardinal Matteo Maria Zuppi, in seiner Predigt während der Messe für den Frieden, die in der Unterkirche der Basilika San Francesco in Assisi mit den italienischen Bischöfen gefeiert wurde.

Der Kardinal rief dazu auf, sich „von den gefährlichen Polarisierungen zu befreien, die den Konflikt nähren, und mit Überzeugung, Intelligenz und Kraft die einzige Seite zu wählen, die die des Friedens ist“.

Die Seite des Friedens wählen

Mit Blick auf die Konflikte, die Millionen von Menschen im Heiligen Land, in der Ukraine und in anderen Teilen der Welt betreffen, forderte der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz die Menschen auf, sich den Schrei der Mütter zu eigen zu machen, die im Nahen Osten, in der Ukraine und in anderen Kriegsgebieten um ihre Kinder trauern. „Unser Friede ist uns nicht gegeben, um für uns selbst zu leben, sondern um mit dem Glauben zu arbeiten, der Speere in Sicheln verwandelt und Wolf und Lamm zusammenleben lässt“, fügte er hinzu.

Seit April 2023 ist Kardinal Zuppi Sonderbeauftragter des Papstes zur Beilegung des russisch-ukrainischen Kriegs. In dieser Funktion hat er unter anderem Russland, die Ukraine, Deutschland, Polen und Frankreich sowie China bereist. Zuppi war als Friedensbeauftragter des Papstes bereits in Kyiv, Moskau und Washington. (vn 16)

 

 

 

Vatikan: Programm für nachhaltige Mobilität gestartet

 

Das Governatorat hat den Start einer Reihe von Energiesparinitiativen und Strategien zum Schutz der Umwelt angekündigt, die im Einklang mit den Schreiben „Laudato si'“ und „Laudate Deum“ stehen. Zu den Zielen gehören ein verantwortungsvoller Umgang mit den Ressourcen, Projekte zur Energieeffizienz, Wiederaufforstung und Abfallentsorgung. Der Plan sieht auch Veränderungen im Fuhrpark des Kleinstaates vor, um die CO2-Emissionen dank einer Partnerschaft mit der Volkswagen-Gruppe zu reduzieren. Mario Galgano - Staat Vatikanstadt

Der Staat Vatikanstadt engagiert sich seit vielen Jahren für die Förderung einer nachhaltigen Entwicklung durch ökologische Maßnahmen zum Schutz der Umwelt und für energiesparende Strategien. Wie das vatikanische Governatorat – also die Regierung des Kleinstaates – jetzt mitteilte, soll die Anwendung die Grundsätze der Enzyklika „Laudato si'“ und des Apostolischen Schreibens „Laudate Deum“ dafür sorgen, dass der Vatikan zu den ersten Staaten der Welt gehören soll, die die Nachhaltigkeitsprojekte tatsächlich umsetzen.

Dafür will der Vatikan nach innovativen Lösungen suchen, die dazu beitragen sollen, die Arbeitsweise auf Nachhaltigkeit zu ändern und gleichzeitig für den Schutz des „Gemeinsamen Hauses“ zu sorgen, indem im Kleinstaat Projekte gefördert werden, die, „auch durch den Einsatz zuverlässiger und umweltfreundlicher Technologien“, die Auswirkungen menschlicher Aktivitäten auf die Umwelt konkret verringern. Die Ratifizierung des Rahmenübereinkommens der Vereinten Nationen über Klimaänderungen und das Pariser Abkommen bilden die Brücke zwischen der Umweltpolitik und den Hinweisen und Empfehlungen des Papstes, teilte das Governatorat mit.

Das Governorat sei bestrebt, durch den verantwortungsvollen Umgang mit natürlichen Ressourcen, die Umsetzung von Energieeffizienzprojekten und die Modernisierung unserer technischen Anlagen, nachhaltige Mobilität, Diversifizierung und Beschaffung sauberer oder alternativer Energieprodukte für den Verkehr, Abfallentsorgung und die Entwicklung konkreter zukünftiger Aufforstungsprojekte Klimaneutralität zu erreichen, hieß es weiter.

Elektrofahrzeuge im Fuhrpark des Vatikans

Um die CO2-Neutralität zu erreichen, seien Investitionen in technologische Anlagen erforderlich, die erneuerbare Energien nutzen, die Emissionen in einem Bereich ausgleichen und in einem anderen reduzieren, aber vor allem die Elektro- und Hybridmobilität fördern würden. Aus diesem Grund habe die Vatikan-Regierung ein Programm zur Entwicklung einer nachhaltigen Mobilität mit der Bezeichnung „Ökologischer Umbau 2030“ ins Leben gerufen, mit dem auch die CO2-Belastung des Fuhrparks reduziert werden soll. Zu diesem Zweck beabsichtigt sie, die Fahrzeuge des Staates schrittweise durch Elektrofahrzeuge zu ersetzen, um ihren Fuhrpark bis 2030 CO2-neutral zu machen, ein eigenes Aufladenetz auf dem vatikanischen Staatsgebiet und in den extraterritorialen Gebieten einzurichten und dessen Nutzung auf ihre Mitarbeiter auszudehnen sowie sicherzustellen, dass ihr Energiebedarf ausschließlich aus erneuerbaren Energiequellen stammt.

Ein strategischer Partner für nachhaltige Mobilität

Der Volkswagen-Konzern, der sich zum Ziel gesetzt hat, bis 2050 ein klimaneutrales Unternehmen zu werden und den sogenannten CO2-Fußabdruck seiner Fahrzeuge bis 2030 um 30 Prozent zu reduzieren, ist der erste strategische Partner für das Projekt zur Erneuerung des vatikanischen Fuhrparks mit Fahrzeugen der Marken Volkswagen und Škoda durch die mittel- und langfristige Mietformel. In diesen Tagen wird im Rahmen des Programms zur Entwicklung einer nachhaltigen Mobilität ein Partnerschaftsabkommen mit dem Volkswagen-Konzern unterzeichnet. Dies ist einer der Schritte, die das Governatorat unternommen hat, um die Auswirkungen menschlicher Aktivitäten auf die Umwelt konkret zu verringern. (vn 16)

 

 

 

 

Kohlgraf: Deutsche Kirchenstudie zeigt ungeschminkt Probleme

 

Für den Mainzer katholischen Bischof Peter Kohlgraf zeigt die neue Studie zur Kirchenmitgliedschaft in Deutschland ein „ungeschminktes und sehr facettenreiches Bild der aktuellen Lage von Religion und Kirche in Deutschland“. Dadurch werde auch eine ehrliche Bestandsaufnahme der großen Probleme möglich.

Die Bischöfe wollten auf Basis der ernüchternden Ergebnisse zu Debatten über Konsequenzen einladen, erklärte der Vorsitzende der Pastoralkommission der Bischofskonferenz am Dienstag bei einer Online-Pressekonferenz.

Aus seiner Sicht dürfe sich Kirche nicht als „heiliger Rest“ verstehen, „der sich schmollend zurückzieht und abschottet“, so der Bischof. Auch eine massiv schrumpfende Kirche müsse ein wichtiger Faktor in gesellschaftlicher wie religiöser Hinsicht bleiben. In einer Zeit, in der sich für immer mehr Menschen die Gottesfrage gar nicht mehr stelle, müsse die Kirche ihre Rolle neu bestimmen: „Die Diskussion darüber, was Kern der Kirche und ihres Auftrags ist - und was vielleicht wegfallen kann oder muss -, muss ernsthaft geführt und weiter vertieft werden.“

„Die Diskussion darüber, was Kern der Kirche und ihres Auftrags ist - und was vielleicht wegfallen kann oder muss -, muss ernsthaft geführt und weiter vertieft werden“

Neben der Familie hätten laut der Studie Angebote wie Erstkommunion- und Firmvorbereitung sowie Jugendverbände und Ministrantenarbeit einen nachweisbar positiven Einfluss auf die spätere Einstellung zu Religion und Kirche, so Kohlgraf weiter: „Kirchliche Angebote sind also nicht wirkungslos. Wer an kirchlichen Angeboten teilnimmt, erlebt diese meistens als positiv und wirksam.“

Zudem habe Kirche bei der Kindererziehung und in Krisen und schwierigen Lebenssituationen eine hohe Relevanz für das Leben aller Befragten. Außerdem gebe es große Erwartungen an die Kirche und keine Gleichgültigkeit: „Die Reformerwartungen, auch hinsichtlich der Themen des Synodalen Weges, werden mit übergroßer Mehrheit geäußert. Reformbemühungen können sich durch die Daten gestärkt wissen.“

Umgang mit Schuld noch lückenhaft

Dabei erinnerte Kohlgraf auch an den Missbrauchsskandal als Ausgangspunkt des Synodalen Weges: Wenn 82 Prozent derjenigen, die einen Austritt erwägten, sagten, sie würden nicht austreten, wenn Kirche deutlicher ihre Schuld bekennen würde, habe die Kirche ihr Versagen offensichtlich nicht ehrlich genug bekannt: „Wir haben noch keinen glaubwürdigen Weg gefunden, mit unserer Schuld, aber auch der Heilung und Versöhnung (persönlichen wie institutionellen) umzugehen.“

Die Kirchen hätten immer noch eine hohe zivilgesellschaftliche Bedeutung, fügte der Bischof hinzu: „Sie verbürgen ein überdurchschnittliches Maß an ehrenamtlichem Engagement. Sie haben eine höhere Reichweite in die Gesellschaft als von Experten prognostiziert; es bestehen nach wie vor zahlreiche Kontakte der Bevölkerung zu kirchlichen Einrichtungen und kirchlichem Personal, die als hilfreich für das eigene Leben angesehen werden.“

(kap/kna 15)

 

 

 

Vatikan: Katholiken dürfen auch künftig nicht den Freimaurern beitreten

 

Die vom Papst gebilligte Antwort des Dikasteriums für die Glaubenslehre geht auf die Anfrage eines philippinischen Bischofs ein: Die Unvereinbarkeit zwischen dem Beitritt zu Logen und dem katholischen Glauben wird bekräftigt.

Katholiken ist es weiterhin verboten, den Freimaurern beizutreten. Das wird in einer von Kardinal Victor Fernandéz unterzeichneten und von Papst Franziskus genehmigten Antwort des Dikasteriums für die Glaubenslehre vom 13. November 2023 bekräftigt. Fernandéz ist Präfekt der Glaubensbehörde.

Das Dikasterium reagiert damit auf eine Anfrage von Julito Cortes, Bischof von Dumanguete auf den Philippinen. Cortes habe „mit Besorgnis die Situation in seiner Diözese geschildert, die durch den ständigen Anstieg der Zahl der Freimaurer entstanden ist, und um Vorschläge gebeten, wie man mit dieser Realität aus pastoraler Sicht angemessen umgehen und dabei auch die Auswirkungen auf die Lehre berücksichtigen kann“: Mit diesen Worten schildert die Antwort aus dem Vatikan die Situation, in der die Frage aufgekommen ist.

Für eine koordinierte Strategie

Das Dikasterium beschloss, auch die philippinische Bischofskonferenz einzubeziehen. Ihr sei mitgeteilt worden, „dass es notwendig sei, eine koordinierte Strategie unter den einzelnen Bischöfen umzusetzen, die zwei Ansätze umfasst“, heißt es weiter.

Die älteste Ton-Aufnahme eines Papstes überhaupt: Leo XIII. verurteilt 1884 die Freimaurerei

Der erste betrifft die lehrmäßige Ebene: Das Dikasterium bekräftigt, dass „die aktive Mitgliedschaft eines Gläubigen in der Freimaurerei wegen der Unvereinbarkeit zwischen der katholischen Lehre und der Freimaurerei verboten ist (vgl. die Erklärung der Glaubenskongregation von 1983)“. Dabei verweist die Behörde auch ausdrücklich auf die Leitlinien zu dem Thema, die von der philippinischen Bischofskonferenz im Jahr 2003 veröffentlicht wurden - neben zahlreichen anderen Erklärungen über die Jahre.

„Das gilt auch für Kleriker“

Weiter stellt der Vermerk klar, dass „diejenigen, die formell und bewusst Mitglieder von Freimaurerlogen sind und sich die freimaurerischen Grundsätze zu eigen gemacht haben, unter die Bestimmungen der oben genannten Erklärung fallen. Diese Maßnahmen gelten auch für alle in der Freimaurerei eingeschriebenen Kleriker“.

Der Vatikan verbietet Katholiken die Mitgliedschaft bei den Freimaurern - ein Bericht von Radio Vatikan

Der zweite Ansatz betrifft den Pastoralplan: Das Dikasterium schlägt den philippinischen Bischöfen vor, „in allen Pfarreien eine Volkskatechese über die Gründe für die Unvereinbarkeit zwischen dem katholischen Glauben und der Freimaurerei durchzuführen“. Die Bischöfe der Philippinen werden schließlich aufgefordert, zu prüfen, ob sie sich öffentlich zu diesem Thema äußern sollten.

Die Erklärung von 1983

Die Erklärung vom November 1983 wurde am Vorabend des Inkrafttretens des neuen Kodex‘ des Kirchenrechts veröffentlicht. Der Kodex ersetzte den von 1917, und zu den Neuerungen, die von einigen mit Genugtuung, von anderen mit Besorgnis zur Kenntnis genommen wurden, gehörte das Fehlen der ausdrücklichen Verurteilung der Freimaurerei und der Exkommunikation ihrer Mitglieder, die im alten Text enthalten war. Die Erklärung, die vom damaligen Kardinal Joseph Ratzinger und dem Sekretär der Kongregation, Jérôme Hamer, unterzeichnet und von Johannes Paul II. gebilligt wurde, bekräftigt, dass Katholiken, die Freimaurerlogen angehören, sich „in einem Zustand schwerer Sünde“ befinden. Vn 15