Webgiornale 1-15 giugno 2025
Come votare all’estero per i referendum di giugno. Cosa si vota e perché
votare
Vediamo i quesiti
del referendum dell’8 e 9 giugno. I referendum sono abrogativi, cioè votare SÌ
significa cancellare una legge o una parte di una legge. Votare NO significa
lasciare le cose come stanno.
COME SI VOTA
Il voto all’estero
è riservato agli iscritti/e AIRE e per chi è fuori da almeno 3 mesi
dall’Italia, in questo caso bisogna fare richiesta al comune di residenza.
Il plico
elettorale ti arriverà a casa entro il 21 maggio all’indirizzo che hai
depositato nell’elenco AIRE.
Se entro il 21
maggio non ricevi il plico, puoi richiedere un duplicato al tuo consolato entro
il 25 maggio.
Vediamo i quesiti
del referendum. I referendum sono abrogativi, cioè votare SÌ significa
cancellare una legge o una parte di legge. Votare NO significa lasciare le cose
come stanno.
CHE COSA SI VOTA:
I QUESITI
Quesito 1.
Abrogazione del decreto legislativo n.23/2015: REINTEGRO
Attualmente è
così:
se chi lavora in
un’impresa con più di 15 dipendenti viene licenziato/a senza un motivo valido e
fa ricorso per avere giustizia e il giudice gli dà ragione, succede però che
non può riprendere il suo posto di lavoro se è stato assunto dopo il 7 marzo
2015, viene reinserito sul posto di lavoro se invece l’assunzione è avvenuta
prima del 7 marzo 2015.
Vota SÌ se vuoi
che il reintegro sia indipendente dalla data di assunzione.
Vota NO se vuoi
lasciare le cose come stanno.
Quesito 2.
Abrogazione dell’art. 8 della legge n. 604/1966: RISARCIMENTO
Attualmente è
così:
se chi lavora in
un’impresa con meno di 16 dipendenti viene licenziato/a senza giustificato
motivo, fa ricorso alla giustizia e il giudice gli dà ragione, riprende il suo
posto di lavoro e riceve un indennizzo di sei mensilità. Per le piccole imprese
che in Italia sono tantissime, si parla di oltre 3 milioni e 700.000 unità, la
tutela delle lavoratrici e lavoratori è limitata sia nel tempo, soltanto per
sei mesi, ma anche l’indennità è inferiore a quella data dalle grandi imprese.
Quindi questo quesito vuole equiparare la tutela delle piccole imprese a quella
delle grandi imprese
Vota SÌ se vuoi
che sia il giudice a stabilire il risarcimento.
Vota NO se vuoi
lasciare che siano sono le sei mensilità.
Quesito 3.
Abrogazione dell’art.19 del decreto legislativo n.81/2015: LIMITAZIONE
CONTRATTI A TERMINE
Attualmente è
così:
si possono fare
contratti di lavoro a termine di 12 mesi per quasi tre anni senza darne la
motivazione, mantenendo più a lungo in condizioni di precariato il lavoratore o
la lavoratrice. In Italia, rispetto a quanto indicato dall’Unione europea il
lavoro precario è stato aumentato a 32 mesi: mentre la normativa europea
prevede 24 mesi.
Inoltre non è
stato sempre così: in passato bisognava i motivi previsti dalla legge per
stipulare un contratto a termine di 12 mesi.
Vota SÌ per
limitare l’uso dei contratti a termine.
Vota NO per
lasciare le cose come stanno.
Quesito 4.
Abrogazione dell’art. 26 comma 4 del decreto legislativo 81/2008: SICUREZZA
Attualmente le
regole degli appalti sono così:
un committente
appalta dei lavori a un’impresa X che a sua volta subappalta dei lavori
un’altra impresa Y. Questa subappalta a sua volta una parte dei lavori a
un’impresa Z. Quando succede un incidente di solito la responsabilità per la
tutela del lavoratore ricade sull’ultima azienda nella quale sta operando il
lavoratore mentre invece quello che si chiede è che la possibilità vada rimessa
all’azienda capofila, quindi a chi ha vinto l’appalto e a chi dopo subappalta.
Molto spesso coloro che sono state vittime di incidenti sul lavoro non possono
rifarsi sulla ditta subappaltatrice perché magari è già stata chiusa.
Vota SÌ per
responsabilizzare il committente che appalta.
Vota NO per
lasciare le cose come stanno.
Quesito 5.
Abrogazione dell’art. 9 della legge n91/199: TEMPO PER RICHIESTA CITTADINANZA
Attualmente è
così:
un/a cittadino/a
proveniente da un paese extra UE già legalmente soggiornante in Italia, paga le
tasse, non ha pendenze con la giustizia, conosce la lingua italiana e ha un
reddito non al di sotto di 16.000 euro OGGI può fare domanda per avere la
cittadinanza se ha vissuto legalmente e continuativamente 10 ANNI in Italia.
Sono pochissime nell’Unione europea i Paesi che hanno un limite così alto, la
maggior parte con tre o cinque anni possono avere accesso.
Il referendum
chiede che siano sufficienti 5 ANNI di residenza legale per fare domanda di
cittadinanza, che non significa ottenerla automaticamente.
Vota Sì se vuoi
abbassare a 5 anni il tempo richiesto prima di fare domanda di cittadinanza.
Vota No se vuoi
mantenere i 10 anni prima che si possa fare domanda di cittadinanza.
PERCHÉ ANDARE A
VOTARE
Il referendum è
uno strumento di democrazia diretta, dove gli aventi diritto al voto, si
esprimono spesso su quesiti tecnici, su pezzetti di leggi, a volte di difficile
decifrazione. I referendum abrogativi stralciano un pezzo della legge senza
intaccarne il resto, per questo i quesiti possono risultare tecnici o
complicati. I quesiti dell’8 e 9 giugno sono invece semplici e comprensibili.
Il referendum poi sarà valido se parteciperanno al voto la metà degli aventi
diritto al voto più uno.
Leggiamoli e
comprendiamone il senso. Viviamo in Germania, a noi queste norme non toccano
direttamente. Però come cittadini e cittadine italiane siamo chiamati a
esprimerci su temi che possono significare il bene di nostri concittadini in
Italia. Non è questo un motivo sufficiente per andare a votare?
La nostra
repubblica è fondata sul lavoro: il lavoro è un aspetto imprescindibile per la
vita e per garantire una prospettiva di vita dignitosa. Se il lavoro è
precario, non tutelato, addirittura pericoloso per l’incolumità della persona,
i lavoratori e le lavoratrici diventano soggetti ricattabili in una spirale
verso il basso di lavori sempre più precari, sempre meno protetti e, a volte,
anche meno dignitosi.
HAI BISOGNO DI
ALTRE INFORMAZIONI?
In Germania si è
formato un comitato per il SÌ ai referendum di diversi soggetti presenti sul
territorio il cui scopo è far conoscere i quesiti in incontri pubblici. Puoi
fare domande ed esprimere i tuoi dubbi.
Queste le città e
gli appuntamenti per gli incontri informativi: il 14 maggio c’è stato a
Wolfsburg; il 16 a Colonia; il 17 a Francoforte; il 27 sulla cittadinanza a
Monaco; a Stoccarda non c’è ancora una data.
Sui social
instagram: https://www.instagram.com/referendum5si_germania/
e https://www.facebook.com/profile.php?id=61575941426579&locale=de_DE
si possono avere più informazioni sugli
incontri dei comitati.
Il comitato in
Germania per promuovere il SÌ al referendum è costituito da diversi soggetti
promotori: Filef (Federazione italiana lavoratori emigranti e famiglie), i
patronati Inca-Cgil, Acli, Ital-Uil, le quattro sezioni ANPI Germania, Rete
Donne, i circoli PD, il Movimento 5 Stelle, l’associazione Possibile, il tavolo
e il comitato NOAD (no autonomia differenziata) a cui hanno aderito diversi
comitati territoriali.
Non è giunta
finora conoscenza in redazione che esista un comitato in Germania che sostenga
il NO, né esiste, sempre per quanto ne siamo finora a conoscenza, un comitato
in Germania che sostenga l’astensione. Paola Colombo, CdI on. 15
Referendum all’estero: al consolato le schede votate devo arrivare entro il
5 giugno
Da domenica 25 maggio i connazionali che non hanno ancora
ricevuto il plico elettorale per il voto per corrispondenza in occasione dei
referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno al proprio indirizzo di residenza
possono richiederne un duplicato all’ufficio consolare.
La richiesta di
duplicato potrà essere presentata di persona presso l’Ufficio consolare o
inviata via posta, oppure via posta elettronica agli indirizzi indicati dalle
sedi consolari. La richiesta dovrà essere accompagnata da un valido documento
di riconoscimento.
Gli elettori che
richiederanno il duplicato del plico elettorale dovranno dichiarare di essere
consapevoli delle responsabilità penali conseguenti al doppio voto, previste
dall’art. 18, comma 2, della Legge 459/2001, secondo il quale: “Chiunque, in
occasione delle elezioni delle Camere e dei referendum, vota sia per
corrispondenza che nel seggio di ultima iscrizione in Italia, ovvero vota più
volte per corrispondenza è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la
multa da 52 euro a 258 euro”.
Effettuate le
opportune verifiche, il Consolato competente fornirà le necessarie indicazioni
agli interessati per il rilascio del duplicato. Il duplicato potrà essere
spedito all’indirizzo di residenza dell’elettore richiedente (se sussistono i
tempi per la ricezione del plico) o rilasciato di persona, negli orari di
apertura dell’Ufficio consolare.
Le sedi consolari
hanno anche previsto delle aperture straordinarie esclusivamente per il
rilascio dei duplicati dei plichi elettorali.
Le buste
preaffrancate contenenti le schede votate dovranno pervenire ai Consolati
tassativamente entro le ore 16:00 di giovedì 5 giugno 2025.
(aise/dip
22)
Economia Ue, previsioni in chiaroscuro. Crescita moderata, contesto incerto
Valdis Dombrovskis
ha presentato le Previsioni economiche di primavera. Qualche elemento positivo,
ma l'orizzonte preoccupa. “Non possiamo abbassare la guardia. I rischi - ha
affermato - per le prospettive rimangono orientati al ribasso, quindi l'Ue deve
adottare misure decisive per rafforzare la nostra competitività". Fra le
incognite i dazi di Trump – di Gianni Borsa
“L’economia
dell’Unione europea ha iniziato il 2025 con una base leggermente più solida del
previsto. Si prevede che continuerà a crescere a un ritmo modesto quest’anno,
con un’accelerazione prevista nel 2026, nonostante l’accresciuta incertezza
politica globale e le tensioni commerciali”. Questo è l’orizzonte complessivo
che emerge dalle oltre 200 pagine delle Previsioni economiche di primavera,
illustrate il 19 maggio a Bruxelles da Valdis Dombrovskis, commissario per
l’economia.
Schiarita (forse)
nel 2026. La Commissione prevede una crescita del Pil reale dell’1,1% nel 2025
nell’Ue e dello 0,9% nell’area dell’euro, sostanzialmente allo stesso ritmo
registrato nel 2024. Nel 2026, si prevede un’accelerazione della crescita
all’1,5% nell’Ue e all’1,4% nell’area dell’euro. Si ritiene che l’inflazione
complessiva nell’area dell’euro rallenterà dal 2,4% nel 2024 a una media del
2,1% nel 2025 e dell’1,7% nel 2026. Nell’Ue27, l’inflazione dovrebbe seguire
una dinamica simile. Valdis Dombrovskis ha affermato, commentando i numeri:
“L’economia dell’Ue sta dimostrando resilienza in un contesto di forti tensioni
commerciali e di un’impennata dell’incertezza globale. Sostenuta da un mercato
del lavoro solido e da salari in aumento, si ritiene che la crescita continuerà
nel 2025, seppur a un ritmo moderato. L’inflazione sta diminuendo più
rapidamente di quanto previsto ed è sulla buona strada per raggiungere
l’obiettivo del 2% quest’anno”. Ma il commissario ha subito aggiunto: “Non
possiamo abbassare la guardia. I rischi per le prospettive rimangono orientati
al ribasso, quindi l’Ue deve adottare misure decisive per rafforzare la nostra
competitività”.
Dazi e incertezza
dei mercati. A ben guardare, le Previsioni economiche diffuse dalla Commissione
europea non segnalano prospettive rosee. La frenata dell’economia Ue è dovuta
“in gran parte all’indebolimento delle prospettive del commercio globale e alla
maggiore incertezza sulle politiche commerciali”. Le Previsioni di primavera si
basano su alcune ipotesi relative ai dazi commerciali, che potrebbe turbare –
fortemente – l’economia mondiale. “Una revisione al ribasso” dei dati economici
globali “riflette in gran parte un indebolimento delle prospettive sia per gli
Stati Uniti che per la Cina. Il rallentamento del commercio globale è ancora
più marcato”.
Creazione di posti
di lavoro. “Nel 2024, la continua espansione dell’occupazione ha portato alla
creazione di 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro nell’Ue, raggiungendo così un
nuovo record per il numero di posti di lavoro nell’Unione”. In un quadro previsionale
piuttosto fosco, la Commissione segnala dunque una nota positiva in relazione
all’occupazione. Nonostante la modesta crescita economica, “si prevede che
l’occupazione aumenterà di altri 2 milioni di posti di lavoro entro la fine
dell’orizzonte di previsione”. Si immagina cioè che il tasso di disoccupazione
scenderà a un nuovo minimo storico del 5,7% nel 2026. Sui salari si legge:
“Dopo essere aumentata del 5,3% nel 2024, la crescita dei salari nominali
rallenterà nel 2025 e nel 2026”. L’aumento dei salari non riguarda però tutti i
Paesi: ad esempio l’Italia ne è esclusa.
Qualche auspicio.
Sono molteplici le osservazioni macroeconomiche proposte dalla Commissione:
riguardano appunto l’inflazione in calo, il lavoro in aumento, il deficit in
lievitazione. D’altro canto, ciò che preoccupa maggiormente la Commissione
rimane il “clima generale”. “Un’ulteriore frammentazione del commercio globale
potrebbe mitigare la crescita del Pil e riaccendere le pressioni
inflazionistiche. Anche le catastrofi legate al clima sono più frequenti e
rimangono una fonte persistente di rischio al ribasso per la crescita”. Sul
fronte positivo, un’auspicabile “distensione delle tensioni commerciali tra Ue
e Stati Uniti o una più rapida espansione degli scambi commerciali dell’Ue con
altri Paesi, anche attraverso nuovi accordi di libero scambio, potrebbero
sostenere la crescita” economica dell’Europa a 27.
Focus sui dati
italiani. Tornando all’analisi dei numeri contenuti nelle Previsioni
economiche, è possibile qualche affondo sull’economia italiana e comparazioni
su scala europea. Il dato del Pil segnala che l’Italia crescerà (stando alle
attuali previsioni di Bruxelles) dello 0,7% quest’anno (come nel 2024), per
salire allo 0,9% nel 2026. Dati molto negativi per la Germania: in recessione
lo scorso anno (-0,2%), stagnante nel 2025 (0,0%) per riprendersi solo nel 2026
(1,1%). Meglio la Francia: rispettivamente, sui tre anni, 1,2% nel 2024, poi
0,6 quest’anno e quindi 1,3 nel 2026. Risultati migliori per le altre due
principali economie europee, ossia Spagna e Polonia (crescita del Pil tra il 2
e il 3%). Per quanto riguarda ancora l’Italia: il deficit passerà dal 3,3% sul
Pil quest’anno al 2,9 nel 2026; il debito continuerà a crescere: 136,7% nel
2025 (era al 135,3 lo scorso anno), raggiungendo il 138,2 nel 2026. Sir 23
Perché Washington non è riuscita a porre fine alla guerra russo-ucraina
All’inizio del XIX
secolo, uno dei padri fondatori degli studi moderni sulla guerra, il generale e
storico militare tedesco Carl von Clausewitz, commentò le guerre napoleoniche
con queste parole: “Il conquistatore è sempre amante della pace; preferirebbe
di gran lunga entrare tranquillamente nel nostro Stato”. Questa osservazione
rimane valida per la maggior parte delle aggressioni militari. Tuttavia, l’idea
di base di Clausewitz è stata ignorata dalla maggior parte degli europei nella
loro interpretazione del comportamento di Mosca dopo l’inizio della guerra
russo-ucraina nel 2014.
Gran parte della
diplomazia e dei commenti europei fino al 2022 si sono invece basati sul
presupposto che l’insistenza pubblica del Cremlino sulla pacificità delle
proprie intenzioni nei confronti di Kyiv implicasse che si potessero e si
dovessero negoziare e moderare gli obiettivi e il comportamento della Russia in
Ucraina. Questo presupposto inappropriato ignorava che Putin preferiva
semplicemente una rapida e facile resa dell’Ucraina alla Russia piuttosto che
una campagna militare dall’esito incerto contro Kyiv. Quando, undici anni fa,
la Russia ha annesso la Crimea e invaso segretamente l’Ucraina orientale
continentale, la guerra in quanto tale non comportava alcun vantaggio per Putin
e il suo entourage. Il metodo preferito era invece una sovversione ibrida
dell’Ucraina tramite agenti russi e forze minori piuttosto che un’occupazione
violenta della maggior parte del territorio ucraino da parte di decine di
migliaia di soldati russi regolari.
Negli ultimi tre
anni, tuttavia, sia il ruolo dell’invasione militare russa dell’Ucraina, ora su
vasta scala, per il regime di Putin, sia la comprensione europea delle
motivazioni e del comportamento di Mosca, sono cambiati. Da un lato, la guerra
stessa ha acquisito una funzione stabilizzante per il sistema politico russo,
che si basa su un’ideologia sempre più estremista, un’economia militarizzata e
una società mobilitata. Dall’altro lato, la maggior parte dei politici,
diplomatici ed esperti europei, in questo contesto così cupo, nutrono oggi
molte meno illusioni rispetto a dieci anni fa sul presunto amore di Putin per
la pace.
Al contrario, la
percezione finora largamente adeguata della strategia di Mosca a Washington è
stata sostituita, dal gennaio 2025, da un approccio escapista alla guerra
russo-ucraina. Il grado di ingenuità politica, indifferenza morale e
dilettantismo diplomatico della nuova amministrazione statunitense nei suoi
primi quattro mesi di mandato è stato sorprendente. Anche alla luce delle
aberrazioni della prima presidenza Trump del 2017-2021, l’inadeguatezza delle
dichiarazioni e delle azioni della Casa Bianca negli ultimi mesi riguardo alla
guerra russo-ucraina ha provocato onde d’urto in Europa e altrove. Si sospetta
che non solo l’infantilismo strategico, ma anche il rispetto politico e persino
la simpatia personale dell’amministrazione Trump per Putin abbiano guidato i
recenti zigzag degli Stati Uniti.
Quattro mesi di
diplomazia itinerante e tentativi di mediazione da parte degli Stati Uniti
hanno ottenuto ben poco. Anche i risultati della conversazione di due ore di
questa settimana tra Trump e Putin sono stati scarsi. Certo, dopo la loro
telefonata, entrambi i presidenti hanno parlato di successo.
Tuttavia, non ci
sono risultati tangibili delle intense trattative trilaterali tra Washington,
Mosca e Kyiv, né delle interazioni dirette tra i presidenti degli Stati Uniti e
della Russia. Putin ha chiarito che non c’è e non ci sarà presto alcun cessate il
fuoco. Trump ha annunciato che dovrebbero esserci negoziati diretti tra Russia
e Ucraina, come se i due paesi non stessero già negoziando tra loro, in diversi
formati, da più di undici anni.
Nel suo commento
orale alla telefonata di lunedì, Putin ha di fatto provocato l’Ucraina, gli
Stati Uniti e l’intero Occidente in due modi. In primo luogo, il termine che la
Russia ha recentemente introdotto e che Putin ha utilizzato per definire
l’obiettivo primario da raggiungere nei prossimi negoziati è “memorandum”.
Chiunque conosca la storia delle relazioni russo-ucraine nel periodo
post-sovietico sa che esiste già un “memorandum” storico in materia di
sicurezza firmato da Mosca e Kyiv (nonché da Washington e Londra) nella
capitale ungherese più di 30 anni fa. Si tratta del famigerato “Memorandum
sulle garanzie di sicurezza in relazione all’adesione dell’Ucraina al Trattato
di non proliferazione delle armi nucleari”, fornito nel dicembre 1994 dai tre Stati
depositari di questo trattato all’Ucraina.
Nel Memorandum di
Budapest, Mosca aveva garantito che non avrebbe attaccato l’Ucraina in cambio
dell’accordo di Kyiv di consegnare tutte le sue testate atomiche alla Russia.
Washington e Londra, a loro volta, avevano assicurato a Kyiv il rispetto dei
confini e della sovranità ucraini. Dopo aver palesemente calpestato la lettera
e lo spirito del Memorandum di Budapest per undici anni, il Cremlino offre ora
di firmare un altro “memorandum” russo-ucraino.
In secondo luogo,
Putin non ha escluso, nel suo commento dopo aver parlato con Trump, che i
futuri negoziati con Kyiv possano portare a una tregua. Tuttavia, il presidente
russo ha aggiunto che, anche “se saranno raggiunti accordi adeguati”, un
“possibile cessate il fuoco” sarebbe solo “per un certo periodo di tempo”.
Anche se i negoziati avranno successo, l’armistizio sarà quindi solo
temporaneo.
Questa avvertenza
di Putin è un’ammissione appropriata: l’economia di guerra russa e la
mobilitazione militare della popolazione sono ormai così avanzate che non
possono essere facilmente fermate. Mosca non è più in grado di interrompere
bruscamente e in modo permanente le operazioni belliche. Cosa accadrebbe alle
centinaia di migliaia di soldati arruolati, alla produzione di armi su larga
scala, al bellicismo sistematico e alle intense campagne ucrainofobiche in
molti ambiti della vita sociale russa (istruzione, media, cultura, ecc.) se
improvvisamente si instaurasse una pace permanente?
Questi e altri
segnali simili provenienti da Mosca consentono di trarre un’unica conclusione:
per porre fine alla guerra russo-ucraina, la Russia deve subire una sconfitta
umiliante sul campo di battaglia. La lezione del passato è inoltre che i
fallimenti militari russi hanno innescato una liberalizzazione interna, come le
Grandi Riforme dopo la guerra di Crimea del 1854-1856 o l’introduzione del
semicostituzionalismo dopo la guerra russo-giapponese del 1904-1905. Uno dei
fattori determinanti della Glasnost e della Perestrojka fu il disastroso
fallimento dell’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979-1989.
L’imperialismo
russo non sarà neutralizzato da negoziati, compromessi o concessioni. Al
contrario, tali approcci non fanno che promuovere un ulteriore avventurismo
estero da parte di Mosca e un’escalation militare lungo i confini della Russia.
Un giorno il Cremlino porrà fine alle guerre espansionistiche della Russia e al
terrore genocida contro i civili in Ucraina e altrove. Ma affinché ciò avvenga,
il popolo russo deve prima iniziare a credere che tale comportamento non può
portare alla vittoria, può innescare il collasso interno e sarà punito con
determinazione. Andreas Umland, AffInt 21
Gli europei si fidano dell’Ue più che dei propri governi
E in Italia il
divario è ancora più netto, secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro
L’Unione Europea
convince sempre di più. A dirlo non sono solo gli addetti ai lavori, ma milioni
di cittadini europei. Secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro il 52% degli
europei si fida dell’Ue, la percentuale più alta dal 2007. In un contesto
globale instabile, con guerre alle porte e sfide interne ancora irrisolte, la
fiducia nei confronti delle istituzioni europee cresce. A crederci di più sono
i giovani, con il 59% degli under 25 che esprime fiducia nell’Unione.
È un’inversione di
tendenza significativa. Nonostante le crisi degli ultimi anni — dal Covid alla
guerra in Ucraina — Bruxelles viene vista sempre più come un attore affidabile,
capace di reagire, di mediare e di rappresentare un punto fermo. La Commissione
europea ottiene la stessa percentuale di fiducia (52%), ben al di sopra dei
governi nazionali (36%) e dei parlamenti nazionali (37%).
L’Italia segue
questa linea, ma con una particolarità: la fiducia verso l’Ue è alta (49%), ma
il distacco dalle istituzioni italiane è ancora più netto. Solo il 34% degli
italiani si fida del governo, e appena il 28% del sistema giudiziario
nazionale. La Commissione europea raccoglie quasi il doppio del consenso. È un
divario profondo che segnala un problema interno serio: quando Roma vacilla,
Bruxelles rassicura.
Eppure, l’Italia
non è un’eccezione: il 75% degli europei si sente cittadino dell’Ue, e il 62% è
ottimista sul futuro dell’Unione. Nonostante le divisioni politiche, l’Europa
si dimostra un’ancora di stabilità in tempi di turbolenza.
L’euro convince
(quasi) tutti
C’erano tempi —
nemmeno troppo lontani — in cui l’euro era il bersaglio facile di ogni
malessere economico. Oggi, i numeri raccontano una realtà capovolta. Il 74%
degli europei sostiene la moneta unica, l’83% nell’area euro. Mai così in alto.
L’euro ha smesso di essere il capro espiatorio per diventare una certezza
economica e politica.
In Italia, Paese
storicamente diviso sull’euro, il consenso è al 71%. Più basso della media, ma
comunque stabile e decisamente superiore a quello espresso durante gli anni
della crisi del debito. Anche tra i più critici, l’euro è ormai percepito come
una garanzia. Il segnale è chiaro: chi ha la moneta unica, oggi, non la vuole
più cambiare.
Nonostante una
visione ancora pessimista dell’economia (48% degli europei la giudica
negativa), l’euro non viene più associato alla recessione, ma alla stabilità.
Il 44% dei cittadini ritiene che l’economia dell’Ue sia in buona salute. E il
43% prevede che resterà stabile nei prossimi 12 mesi. In un contesto globale in
cui le economie emergenti guadagnano terreno e le tensioni commerciali si
moltiplicano, l’euro rappresenta una piattaforma comune credibile. Non è solo
una questione monetaria. L’euro è diventato un simbolo dell’identità europea,
un pilastro dell’integrazione. Facilitazioni nei viaggi, nei pagamenti, nelle
transazioni internazionali: i vantaggi sono concreti, visibili. E in Italia,
dove l’instabilità politica ed economica resta alta, l’euro è visto come
un’àncora.
Il dibattito
sull’uscita dall’euro è sparito dai radar. Gli italiani, come gli altri
europei, sanno bene che senza la moneta unica saremmo più esposti, più deboli,
più isolati. E oggi non se lo possono permettere.
Difesa europea? Sì
e subito
L’81% degli
europei chiede una politica di difesa e sicurezza comune. È la percentuale più
alta da vent’anni. Il motivo? I cittadini vogliono un’Europa capace di contare,
anche sul piano militare. La guerra in Ucraina ha accelerato questa richiesta,
ma non è solo una reazione emotiva: è la presa di coscienza che da soli, i
Paesi europei non bastano più.
Il 78% degli
intervistati è preoccupato per la sicurezza dell’Ue nei prossimi cinque anni. E
il 77% considera l’invasione russa dell’Ucraina una minaccia diretta alla
stabilità europea. La guerra non è lontana: è percepita come un rischio reale.
Per questo cresce il sostegno a un’Europa che non solo parla di pace, ma è
anche in grado di difenderla. Gli europei approvano in massa le misure adottate
finora: l’80% è favorevole all’accoglienza dei rifugiati ucraini, il 76% agli
aiuti finanziari e umanitari, il 72% alle sanzioni contro Mosca. Anche la
fornitura di materiale militare a Kiev, un tema delicato, è approvata dal 59%
dei cittadini. Bruxelles ha agito con decisione, e l’opinione pubblica ha
risposto.
La difesa comune
non è più una questione di principio, ma una priorità. Per il 43% dei cittadini
europei, è il primo settore su cui l’Ue dovrebbe investire di più, davanti a
sanità, occupazione e transizione energetica. In Italia, il 44% degli
intervistati vede nella garanzia della pace e della sicurezza il fattore con
maggiore impatto positivo sulla propria vita.
Più cooperazione,
meno egoismi nazionali
Il 69% degli
europei considera l’Ue un’isola di stabilità in un mondo incerto. E l’88%
chiede più cooperazione internazionale basata su regole comuni. Un dato
altissimo, che riflette una nuova consapevolezza: da soli, i Paesi europei
contano poco. Insieme, possono difendere interessi, valori e sicurezza.
Crolla anche la
fiducia nelle politiche commerciali protezioniste: l’86% è contrario
all’aumento dei dazi doganali. Ma l’80% è pronto a sostenere misure di
ritorsione se altri Paesi alzano barriere contro i prodotti europei. L’Europa,
insomma, deve restare aperta, ma non ingenua. Serve una politica commerciale
assertiva, capace di reagire senza esitazioni. In questo scenario, l’Italia si
muove in linea con l’Ue. Il 74% degli italiani si sente cittadino europeo, un
dato stabile che indica un’identità europea ben radicata. Anche sui valori, le
scelte sono chiare: pace (42%), democrazia (31%) e diritti fondamentali (27%)
sono i concetti che meglio rappresentano l’Ue secondo gli italiani.
Guardando al
futuro, i cittadini europei indicano la difesa (39%) e l’economia (29%) come le
aree in cui l’Ue dovrebbe agire di più. Clima e immigrazione seguono, ma il
messaggio è inequivocabile: la politica estera e di sicurezza deve diventare
centrale. Il tempo dell’Europa “tecnica” è finito. I cittadini vogliono
un’Europa che prende posizione, che agisce, che protegge. Adnkronos 28
Cittadinanza italiana: la stretta è legge, ecco cosa cambia
La Camera dei
deputati ha approvato in via definitiva il decreto sulla cittadinanza, con 137
voti favorevoli, 83 contrari e 2 astenuti. Il provvedimento, già approvato dal
Senato lo scorso 15 maggio restringe notevolmente l’acquisizione della
cittadinanza italiana, in particolare per i discendenti di italiani emigrati
all’estero.
La fine della
cittadinanza “senza limiti”
La novità
principale riguarda la trasmissione della cittadinanza per discendenza (ius
sanguinis). Fino ad oggi, l’Italia permetteva l’acquisizione della cittadinanza
senza limiti generazionali per i discendenti di italiani emigrati all’estero.
Con la nuova legge, diventerà automaticamente italiano alla nascita solo chi ha
almeno un genitore o al massimo un nonno nato in Italia.
Questa stretta,
fortemente voluta dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, mira a garantire un
“vincolo effettivo” con l’Italia. Come spiegato nella relazione introduttiva,
l’obiettivo è “allinearsi con gli ordinamenti di altri Paesi europei e
garantire la libera circolazione nell’Unione Europea solo da parte di chi
mantenga un legame effettivo col Paese di origine”.
Retroattività e
salvaguardie
Un aspetto
particolarmente controverso della riforma è la sua retroattività. La legge
stabilisce che non ha mai acquisito la cittadinanza italiana chi è nato
all’estero ed è contemporaneamente in possesso della cittadinanza di un altro
Stato, anche se nato prima dell’entrata in vigore del decreto.
Sono tuttavia
previste alcune importanti deroghe. Mantengono la cittadinanza coloro che hanno
già presentato domanda all’ufficio consolare o al sindaco entro il 27 marzo
2025, o che hanno ricevuto entro questa data una comunicazione di appuntamento. Questa
salvaguardia è fondamentale per evitare situazioni paradossali, come quella
denunciata in Parlamento: “Non è tollerabile che due fratelli, figli dello
stesso padre emigrato, possano trovarsi in due situazioni diverse solo perché
uno ha presentato la domanda il 26 marzo del 2025 e l’altro il 28 marzo”.
Riacquisto della
cittadinanza
Durante la
discussione in Senato è stata inserita una disposizione che prevede la
possibilità di riacquisto della cittadinanza per chi sia nato in Italia o vi
sia stato residente per almeno due anni consecutivi e l’abbia persa per
l’acquisto della cittadinanza di un altro Stato. Per accedere a questa
opportunità è previsto il pagamento di un contributo di 250 euro.
L’articolo 1-ter
del decreto stabilisce che chi sia nato in Italia o vi abbia risieduto per
almeno due anni continuativi, e abbia perduto la cittadinanza in applicazione
di norme precedenti, può riacquistarla presentando una dichiarazione in tal
senso. I termini per il riacquisto sono riaperti per un periodo specifico,
offrendo così una seconda possibilità a chi aveva rinunciato alla cittadinanza
italiana in passato.
Nuove opportunità
per minori e oriundi
La riforma non si
limita a introdurre restrizioni, ma apre anche nuove possibilità. Per i minori
stranieri o apolidi discendenti da cittadini italiani per nascita, è prevista
la possibilità di diventare cittadini italiani se i genitori o il tutore ne dichiarano
la volontà. In questo caso, è necessario che il minore risieda legalmente
e continuativamente in Italia per almeno due anni dopo la dichiarazione, oppure
che la dichiarazione sia presentata entro un anno dalla nascita o dal momento
in cui è stabilita la filiazione con un cittadino italiano.
Un’altra novità
significativa riguarda gli oriundi italiani. La legge consente l’ingresso e il
soggiorno per lavoro subordinato, al di fuori delle quote previste dal decreto
flussi, agli stranieri residenti all’estero discendenti da cittadini italiani e
in possesso della cittadinanza di uno Stato meta di rilevanti flussi di
emigrazione italiana. Gli Stati interessati verranno definiti con un
apposito decreto del ministro degli Esteri.
Il vincolo di
residenza per i figli minori
Un’altra modifica
importante riguarda i figli minori di persone che acquisiscono o riacquistano
la cittadinanza italiana. Secondo le regole precedenti, se un genitore
acquisiva o riacquistava la cittadinanza italiana, i suoi figli minori e
conviventi la ottenevano automaticamente. Con la nuova legge, affinché i figli
conviventi ottengano la cittadinanza, devono aver risieduto legalmente e
ininterrottamente in Italia per almeno due anni prima della data in cui il
genitore acquisisce o riacquista la cittadinanza. Per i bambini con meno di due
anni, il requisito si considera soddisfatto se sono nati in Italia. Questa
disposizione rafforza ulteriormente il principio del “legame effettivo” con il
territorio italiano come base per l’acquisizione della cittadinanza.
Il caso dei
brasiliani a Bologna
La riforma della
cittadinanza segna un punto di svolta nella concezione giuridica
dell’appartenenza nazionale italiana. Da un sistema basato principalmente sul
principio dello ius sanguinis senza limiti generazionali, si passa a un modello
che richiede un legame più concreto con il territorio e la cultura italiana.
Ad attirare
l’attenzione sul tema è stata (anche) una curiosa richiesta arrivata al
tribunale di Bologna lo scorso settembre. Allora, 12 brasiliani chiesero la
cittadinanza italiana pur non avendo nessun parente stretto nel Paese e senza
essere mai stati in Italia. La domanda si basava su un’antenata in comune, nata
a Marzabotto nel 1876.
Una richiesta
formalmente legittima, ma di dubbia ragionevolezza giuridica, tanto che, con
ordinanza, il tribunale di Bologna “ha sollevato d’ufficio l’eccezione
di illegittimità costituzionale della disciplina italiana in materia
di cittadinanza, nella parte in cui prevede il riconoscimento della
cittadinanza iure sanguinis senza alcun limite temporale”. Come spiegato dal
presidente del tribunale Pasquale Liccardo, i giudici chiedono se sia legittimo
riconoscere la cittadinanza anche se l’avo di riferimento sia nato molte
generazioni prima (in questo caso quasi 150 anni fa) e i discendenti non
abbiano alcun legame con la cultura, le tradizioni e la lingua italiana.
Per approfondire:
Bologna, 12 brasiliani chiedono la cittadinanza perché hanno un’antenata nata
in Italia nel 1876
La riforma della
cittadinanza appena approvata evita che si ripetano situazioni analoghe.
Questa
trasformazione riflette una tensione presente in molti paesi tra diverse
concezioni di cittadinanza: quella basata sulla discendenza e quella fondata
sulla partecipazione effettiva alla vita sociale, economica e culturale di un
Paese. La nuova legge italiana cerca di bilanciare questi due principi,
richiedendo un “vincolo effettivo” anche per chi può vantare origini italiane.
Per milioni di
discendenti di italiani nel mondo, questa riforma rappresenta un limite alla
loro possibilità di riconnettersi giuridicamente con il Paese di origine dei
loro antenati. Per l’Italia, rappresenta una ridefinizione dei confini della
sua comunità nazionale, in un momento in cui le questioni di identità e
appartenenza sono al centro del dibattito pubblico in tutto il mondo.
Il contesto
sociale e il referendum di giugno
Il decreto sulla
cittadinanza si inserisce in un dibattito più ampio sul tema dell’appartenenza
nazionale e dell’integrazione. Mentre il governo introduce restrizioni sulla
cittadinanza per discendenza, la questione dell’accesso alla cittadinanza per
chi vive già in Italia da molti anni rimane aperta.
Almeno 2 milioni e
500mila persone si troverebbero in questa condizione: “Molti giovani stranieri
spesso non capiscono perché non possono diventare italiani, dato che
sono qui da piccoli e non si identificano con il loro Paese d’origine. Si trovano
in una sorta di apolidia. E siccome la cittadinanza è una cosa seria, non solo
dà un senso di appartenenza, ma permette di evitare problemi concreti, come
quelli legati ai viaggi all’estero o alla ricerca di opportunità”, ha ricordato
ai microfoni di Demografica Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia
all’Università di Padova e già senatore.
La questione è al
centro di uno dei cinque quesiti del referendum abrogativo per cui gli italiani
sono chiamati a votare nelle giornate dell’8 e del 9 giugno 2025. Il quesito
propone di ridurre a cinque gli anni di residenza continuativa necessari per ottenere
la cittadinanza italiana, dimezzando i dieci anni attuali, che rappresentano
uno dei requisiti più rigidi d’Europa. La normativa italiana privilegia
lo ius soli temperato o ius culturae, ossia il diritto di cittadinanza per
discendenza, mentre lo ius soli — che lega la cittadinanza alla nascita o alla
lunga permanenza in un Paese — è molto limitato.
Il referendum
interviene proprio su questo aspetto, proponendo un allineamento con pratiche
più inclusive e più in linea con i tempi, dove il contributo degli immigrati
tiene a galla la produttività e la demografia del Paese.
Trattandosi di un
referendum abrogativo (dove l’oggetto da abrogare è il limite dei dieci anni),
chi ritiene congrua la durata dei dieci anni (che spesso diventano di più a
causa delle lungaggini burocratiche) deve mettere la X sul ‘no’. Chi, invece,
vuole portare da dieci a cinque gli anni di residenza consecutivi per ottenere
la cittadinanza deve votare ‘sì’. Adnkronos 21
La Germania
effettuerà più controlli alla frontiera e rifiuterà l’ingresso a molti
richiedenti asilo, come ha annunciato la scorsa settimana il nuovo ministro
degli Interni tedesco, Alexander Dobrindt. Chi sarà colpito esattamente da
questo provvedimento? E questa politica è davvero legale? Il governo tedesco
sostiene che lo è in base alle leggi tedesche e dell’UE. InfoMigrants ne ha
parlato con due avvocati specializzati in diritto d’asilo, Matthias Lehnert che
lavora a Lipsia, nella Germania orientale; ed Engin Sanli che lavora a
Stoccarda, nel sud della Germania.
InfoMigrants: Chi
si aspetta che sarà più colpito da questi nuovi provvedimenti?
Matthias Lehnert:
Tutti coloro che vogliono entrare in Germania con lo scopo di fare richiesta di
asilo. Le persone vulnerabili dovrebbero essere esentate dai respingimenti alla
frontiera, ma non è ancora chiaro come esattamente le persone saranno classificate
o riconosciute come vulnerabili. Questo include non solo persone con passaporto
di Paesi che la Germania considera “sicuri”, ma anche persone provenienti da
altri Paesi. Il governo ha già ammesso che dei richiedenti asilo sono stati
respinti al confine.
Engin Sanli: Penso
che saranno colpiti soprattutto i richiedenti asilo provenienti da Paesi che il
Parlamento tedesco ha ritenuto sicuri [n.d.r.: Stati membri dell’UE, Albania,
Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Moldavia, Senegal,
Serbia]. La nuova politica si basa in gran parte su un articolo della legge
tedesca sul diritto d’asilo, l’articolo 18. Esso stabilisce che i richiedenti
asilo possono essere respinti alla frontiera se provengono da un Paese sicuro o
se un altro Paese è responsabile della loro richiesta di asilo. In pratica, la
verifica della responsabilità di un altro Paese europeo per la richiesta di
asilo di una persona – misure come l’inserimento delle sue impronte digitali in
un database dell’UE – non può essere effettuata alla frontiera, quindi è
probabile che le persone vengano comunque portate in centri di accoglienza e
non respinte alla frontiera.
Le nuove
disposizioni riguardano anche i richiedenti asilo che sono già in Germania?
E.L.: No.
Riguardano solo le persone che attraversano il confine per chiedere asilo, non
le persone che sono già nel Paese.
M.L.: Una volta
entrati in Germania, una volta superati i varchi di frontiera, è ancora
possibile chiedere asilo.
Da oggi dunque
tutti saranno fermati al confine?
E.S.: No. In
teoria la nuova politica può essere applicata ovunque lungo il confine tedesco,
ma in pratica la polizia si concentrerà molto probabilmente sui punti di
passaggio più frequentati dai migranti. Il governo tedesco vuole aumentare da
10.000 a 14.000 il numero di agenti di polizia che effettuano i controlli di
frontiera, ma questo non è sufficiente per controllare ogni punto del confine.
Il ministro degli
Interni tedesco ha dichiarato che i richiedenti asilo più vulnerabili
dovrebbero essere esentati da questa politica. Ha elencato donne incinte e
bambini. Esistono criteri giuridicamente vincolanti per stabilire chi è
considerato vulnerabile?
M.L.: C’è una
direttiva europea sulla richiesta di asilo che elenca diversi tipi di gruppi
vulnerabili, come le donne sole e incinte, i minori, alcune famiglie con
bambini piccoli e le persone con problemi medici o psicologici. A mio parere,
la polizia federale al confine non è in grado o non è qualificata per
riconoscere realmente se una persona è vulnerabile; non è stata addestrata per
questo, non ha alcuna qualifica per farlo. A volte è evidente che qualcuno è
vulnerabile, come quando la gravidanza è evidente o si tratta di una donna sola
con tre figli. Ma spesso, ad esempio con le vittime di traumi, è molto
difficile applicare questi criteri per persone che non hanno una formazione e
una valutazione adeguata.
Ci sono molte
domande sulla tenuta legale di queste norme. Secondo lei, è legale che la
Germania respinga i richiedenti asilo al confine?
E.S.: Secondo la
legge tedesca, ciò è consentito – i richiedenti asilo possono essere respinti,
se provengono da un altro Stato dell’UE o da un altro Paese sicuro, ai sensi
dell’articolo 18 della legge sull’asilo e dell’art. 16a della Costituzione. Ma
secondo il diritto europeo, in particolare il regolamento Dublino III, ogni
richiedente asilo deve essere esaminato, anche se un altro Paese è
responsabile, prima di essere inviato in un altro Paese.
E poi c’è la
questione se la Germania sia autorizzata a effettuare controlli di frontiera a
lungo termine in base all’accordo di libera circolazione della zona Schengen;
estendere continuamente i controlli di frontiera potrebbe anche violare
l’accordo di Schengen.
M.L.: Ritengo che
questa politica non sia lecita. Il governo tedesco ha invocato una norma del
diritto dell’UE che consente di sospendere il regolamento di Dublino in caso di
emergenza. Ma non siamo in una situazione di emergenza: se si guarda ai numeri dell’asilo,
sono diminuiti, non c’è un afflusso massiccio di migranti. È importante notare
che il diritto UE è più importante del diritto tedesco. C’è anche una decisione
della Corte europea dei diritti dell’uomo che dice che ogni richiedente asilo
ha diritto a una procedura di asilo adeguata, cosa che a mio avviso la politica
di rimandare indietro le persone al confine viola.
Ci sono
possibilità per i richiedenti asilo di contestare un rifiuto alla frontiera?
E.S.: Se a
qualcuno viene rifiutato l’ingresso alla frontiera tedesca, può opporsi
legalmente e intentare una causa contro la decisione. I tribunali tedeschi di
solito trasmettono il caso alla Corte di giustizia europea.
Prevede che ci
siano ricorsi in tribunale da parte di organizzazioni a favore dei rifugiati
per quanto riguarda il respingimento dei richiedenti asilo alla frontiera
tedesca?
E.S.: Queste
organizzazioni possono contestare questi provvedimenti in due modi. Il primo è
quello di intentare una causa contro le nuove norme, affermando che esse sono
incostituzionali. Penso che sia improbabile che ciò accada, perché la
Costituzione tedesca consente di respingere alle frontiere, come ho detto. La
seconda opzione sarebbe che le organizzazioni sostenessero legalmente e
finanziariamente le persone respinte alla frontiera per impugnare il
respingimento in tribunale. Penso che questo probabilmente accadrà, alcune
organizzazioni come Amnesty International e ProAsyl hanno detto che intendono
agire in questo modo.
M.L.: Mi aspetto
che questa politica venga contestata nei tribunali.
(InfoMigrants –
traduzione Migrantes)
L’UE e le tensioni con Israele: revisione diplomatica
L’UE ha ordinato
una revisione dell’accordo di cooperazione con Israele e la Gran Bretagna ha
interrotto i colloqui commerciali con il paese, mentre le nazioni europee hanno
adottato una linea più dura sulla guerra di Gaza.
La Francia ha
rinnovato il suo impegno a riconoscere uno Stato palestinese, un giorno dopo
che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha reagito con rabbia alle
dichiarazioni di Gran Bretagna, Francia e Canada che minacciavano di
intervenire a causa dell’offensiva militare e del blocco di Gaza da parte del
suo Paese.
L’Alta
Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, ha dichiarato che
“una forte maggioranza” dei 27 Stati membri, durante una riunione dei ministri
degli Esteri, ha appoggiato questa iniziativa nel tentativo di fare pressione
su Israele.
“I Paesi ritengono
che la situazione a Gaza sia insostenibile e ciò che vogliamo è aiutare
concretamente la popolazione e… sbloccare gli aiuti umanitari affinché
raggiungano la gente”, ha detto Kallas ai giornalisti.
La spinta a
riesaminare l’Accordo di associazione UE-Israele, che costituisce la base dei
rapporti commerciali, è cresciuta da quando Israele ha ripreso l’offensiva
militare a Gaza dopo la scadenza del cessate il fuoco.
I diplomatici
hanno riferito che 17 Stati dell’UE hanno fatto pressione per la revisione in
base a un articolo dell’accordo che richiede il rispetto dei diritti umani, con
i Paesi Bassi in prima linea nell’ultima iniziativa.
L’Unione europea
divisa agisce
L’UE è da tempo
divisa tra i Paesi che sostengono Israele e quelli considerati più
filo-palestinesi. A dimostrazione di questa spaccatura, in un’azione separata,
l’Ungheria ha bloccato l’imposizione di ulteriori sanzioni ai coloni israeliani
nella Cisgiordania occupata.
Il ministro degli
Esteri belga Maxime Prevot ha dichiarato di non avere “alcun dubbio” sulla
violazione dei diritti a Gaza e che la revisione potrebbe portare alla
sospensione dell’intero accordo.
Nel frattempo la
Gran Bretagna ha sospeso i negoziati di libero scambio e ha convocato
l’ambasciatore di Israele. Il ministro degli Esteri David Lammy ha accusato il
governo di Netanyahu di “azioni ed espressioni vergognose” per l’espansione
delle operazioni militari nel territorio palestinese.
Lammy ha
dichiarato al Parlamento britannico che il governo sta imponendo nuove sanzioni
a individui e organizzazioni coinvolti negli insediamenti in Cisgiordania.
“Il mondo li sta
giudicando, la storia li giudicherà. Bloccare gli aiuti, espandere la guerra,
ignorare le preoccupazioni dei vostri amici e partner. Tutto questo è
indifendibile e deve finire”, ha affermato.
Ha aggiunto che la
Gran Bretagna “rivedrà la cooperazione” con Israele nell’ambito della
cosiddetta tabella di marcia 2030 per le relazioni tra Regno Unito e Israele.
“Le azioni del governo Netanyahu hanno reso necessario questo passo”, ha
dichiarato Lammy.
La risposta di
Israele
Israele ha
risposto affermando che le “pressioni esterne” non impediranno al Paese di
“difendere la propria esistenza e sicurezza contro i nemici che cercano la sua
distruzione”.
“Se, a causa
dell’ossessione anti-israeliana e di considerazioni di politica interna, il
governo britannico è disposto a danneggiare l’economia britannica, questa è una
sua prerogativa”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri
israeliano Oren Marmorstein.
Anche la Francia
ha rinnovato le sue critiche diplomatiche a Israele, con il ministro degli
Esteri Jean-Noel Barrot che ha ribadito l’impegno a riconoscere uno Stato
palestinese.
“Non possiamo
lasciare ai bambini di Gaza un’eredità di violenza e odio. Tutto questo deve
finire ed è per questo che siamo determinati a riconoscere uno Stato
palestinese”, ha dichiarato Barrot alla radio France Inter.
Il presidente
francese Emmanuel Macron si è unito al primo ministro britannico Keir Starmer e
al primo ministro canadese Mark Carney in una rara dichiarazione congiunta su
Gaza lunedì, che ha irritato Israele.
I tre hanno
minacciato “azioni concrete” se Israele avesse continuato a bloccare gli aiuti.
Netanyahu ha dichiarato che la dichiarazione rappresenta un “enorme premio” per
Hamas, che ha scatenato la guerra di Gaza con gli attacchi del 7 ottobre 2023
contro Israele. Agence France-Presse, AffInt 21
Istat. 156mila italiani all’estero nel 2024 (+36,5 per cento sul 2023)
ROMA -
Trasformazioni profonde, che attraversano generazioni, territori e gruppi
sociali caratterizzano la dinamica demografica e sociale dell’Italia. Continua
il calo della popolazione residente e le famiglie diventano sempre più piccole:
cresce il numero di persone che vivono da sole, aumentano le libere unioni, le
famiglie monogenitore e quelle ricostituite, mentre si riduce la presenza dei
nuclei familiari con figli. Questa la fotografia scattata dal 33° Rapporto
dell’Istat - Rapporto Annuale 2025. La situazione del Paese – che esamina i
cambiamenti economici, demografici e sociali che hanno interessato il Paese
nell’anno appena trascorso.
Il Rapporto è
articolato in quattro capitoli: Economia e ambiente; Popolazione e società; Una
società per tutte le età; Il sistema economico tra vincoli e opportunità: un
confronto tra le generazioni.
IL QUADRO
DEMOGRAFICO
Al 1° gennaio
2025, la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 934mila unità, in
lieve diminuzione (-0,6 per mille) rispetto al 1° gennaio 2024. Prosegue il
processo di decremento della
popolazione, in
atto dal 2014 e ormai strutturale. Il numero di decessi (651mila nel 2024) è
superiore a quello delle nascite (370mila), generando un saldo naturale pari a
-281mila unità. Diminuiscono le donne in età feconda (15-49enni) e cala la
fecondità.
Aumenta la
speranza di vita: per gli uomini raggiunge gli 81,4 anni e per le donne 85,5,
quasi cinque mesi di vita in più rispetto al 2023, superando i livelli
pre-pandemici.
La dinamica
migratoria compensa in parte il deficit dovuto al saldo naturale negativo. Nel
2024 le immigrazioni dall’estero (435mila) sono state più del doppio delle
emigrazioni (191mila) e il saldo migratorio è pari a +244mila unità.
Le immigrazioni
dall’estero crescono rispetto al periodo pre-pandemico a causa dei flussi di
cittadini stranieri (382mila, +1,0 per cento sul 2023). Tra le emigrazioni
verso l’estero spiccano gli espatri dei cittadini italiani (156mila unità,
+36,5 per cento sul 2023).
Nel 2023 si è
registrato un nuovo slancio degli espatri di giovani laureati, 21mila ragazzi
tra 25 e 34 anni (+21,2 per cento sul 2022). I rientri in patria di giovani
laureati sono contenuti, pari a 6mila unità, e in calo (-4,1 per cento sul
2022). Ne deriva una perdita netta di 16mila giovani risorse qualificate
(97mila in 10 anni).
Continua l’invecchiamento
della popolazione: circa un quarto della popolazione (24,7 per cento al 1°
gennaio 2025) ha almeno 65 anni. Tra questi, cresce in particolare il numero di
persone di 80 anni e più (4 milioni e 591mila).
I cittadini
stranieri e i nuovi cittadini italiani sono l’unico segmento in crescita della
popolazione. Al 1° gennaio 2025, i cittadini stranieri residenti sono 5,4
milioni (+3,2 per cento sul 2024), pari al 9,2 per cento della popolazione. Gli
stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel corso del 2024 sono
217mila, in crescita rispetto all’anno precedente (214mila).
Le previsioni
demografiche indicano che l’Italia continuerà ad affrontare un calo delle
nascite e un aumento della mortalità, con un saldo naturale sempre più
negativo. L’incertezza sulle dinamiche migratorie, che potrebbero contribuire a
contrastare la crisi demografica, rimane alta, legata a fattori economici e
geopolitici. La popolazione residente in Italia, secondo lo scenario mediano, è
destinata a diminuire, passando da circa 59 milioni al 1° gennaio 2023 a 58,6
milioni nel 2030 e a 54,8 milioni nel 2050. (aise/dip 21)
Un nuovo inizio per la Germania di Merz
Riforme
economiche, sicurezza e rigore: cosa cambia davvero per chi vive in Germania
Con il suo
discorso inaugurale al Bundestag, il nuovo Cancelliere federale Friedrich Merz
ha segnato l’avvio di una nuova fase politica per la Germania. Dopo anni di
coalizioni instabili e una crescita economica rallentata, il leader della CDU
promette una svolta netta: meno burocrazia, più efficienza, investimenti mirati
e una politica estera improntata alla fermezza e alla coesione europea.
Europa, sicurezza
e difesa: la Germania torna protagonista
Merz ha subito
ribadito la fedeltà della Germania ai suoi alleati principali: l’Unione
Europea, la NATO, l’Ucraina e Israele. “La nostra sicurezza inizia a Kiev e si
riflette a Tel Aviv”, ha detto, richiamando la dottrina della Ragion di Stato
tedesca per Israele. Il governo intende rafforzare la Bundeswehr con nuovi
fondi e attrezzature, e sta valutando il ritorno di un servizio militare
volontario.
La scossa
all’economia: meno tasse, più impresa
Soffocata da una
stagnazione prolungata, l’economia tedesca è al centro del piano Merz. Il nuovo
governo annuncia tagli fiscali per i redditi medio-bassi, incentivi agli
investimenti privati e una riduzione dell’IVA su settori strategici come la
ristorazione e l’elettricità. Il cosiddetto “super ammortamento del 30%” punta
a rilanciare la competitività delle aziende, anche piccole, alleggerendo i
costi degli investimenti. Il tutto sarà accompagnato da un vasto programma di
semplificazione burocratica, con prime misure già dal 2025.
Lavoro: più
incentivi e meno vincoli
Sul fronte
occupazionale, Merz propone una linea chiara: merito, flessibilità e
produttività. Oltre a meno tasse sugli straordinari e orari più flessibili, il
Cancelliere ha proposto di alzare il salario minimo a 15 euro l’ora, pur
lasciandolo fuori da vincoli normativi diretti. Le riforme sociali annunciate
riguardano anche le pensioni, il sistema di assistenza per i disoccupati (il
Bürgergeld, che sarà rivisto) e l’edilizia popolare, per contenere l’impennata
degli affitti.
Immigrazione: tra
apertura e rigore
Merz non nega che
la Germania sia ormai un Paese di immigrazione, ma la sua politica sarà più
selettiva: più controlli, rimpatri più rapidi e una netta distinzione tra chi
arriva per lavorare e chi non ha i requisiti. La priorità sarà l’ingresso di
manodopera qualificata, ma a condizione di integrarsi pienamente. Nessun
accenno, almeno per ora, a modifiche nelle leggi sulla cittadinanza, ma la
direzione sembra chiara: apertura sì, ma a chi dimostra di voler contribuire.
Transizione verde
e digitalizzazione: una Germania moderna
Il piano più
ambizioso del governo Merz riguarda la modernizzazione complessiva del Paese.
Un investimento straordinario da 500 miliardi di euro sarà destinato a
infrastrutture, energia pulita, digitalizzazione e innovazione tecnologica. La
Germania vuole diventare leader nelle tecnologie verdi, puntando su idrogeno,
eolico e cattura della CO?, ma anche sull’intelligenza artificiale e le reti
digitali.
Un programma
ambizioso, ma non privo di rischi
Il nuovo corso
promesso da Merz segna una rottura con il passato recente, soprattutto con la
gestione economica e migratoria dei governi di coalizione precedenti. Il suo
messaggio è chiaro: meno Stato assistenziale, più responsabilità individuale.
Tuttavia, il
rischio è che questa svolta possa acuire le disuguaglianze sociali e creare
nuove tensioni tra inclusione e rigore. Anche la promessa di risultati visibili
già nell’estate 2025 sembra ottimistica, visti i tempi della macchina statale
tedesca. L.L.D., CdI on 15
Merz: la Germania avrà l’esercito più forte d’Europa. “La forza scoraggia
l’aggressività”
Nel suo primo
discorso al Bundestag da cancelliere, il leader dei cristiano-democratici si è
impegnato a “fornire tutte le risorse finanziarie necessarie” per rendere la
Bundeswehr di nuovo grande. E non è l'unica ardua sfida che ha davanti a sé
Si vis pacem, para
bellum, dicevano i latini. Se vuoi la pace, preparati alla guerra. E
sembrerebbe proprio questa l’aria che tira in Europa e in Germania, come
confermano le parole del leader cristiano-democratico Friedrich Merz durante il
suo primo discorso da neocancelliere davanti al Bundestag, il Parlamento
tedesco. “La forza scoraggia l’aggressività, la debolezza la invita”, ha detto
infatti Merz ieri. E per questo motivo, la Germania trasformerà il suo esercito
convenzionale in quello più forte d’Europa, in modo da potersi assumere
maggiori responsabilità nella difesa del continente: sullo sfondo, le minacce
russe.
“Rafforzare la
Bundeswehr (le forze armate della Repubblica, ndr) è la nostra massima
priorità”, ha promesso il cancelliere, sottolineando che questo è “ciò che il
Paese più popoloso e potente d’Europa si aspetta. Anche i nostri amici e
partner se lo aspettano da noi. Anzi, lo pretendono praticamente”.
Per raggiungere
questo obiettivo non facile – l’esercito tedesco esce da anni di disarmo e
sottofinanziamento – Merz si è impegnato a “fornire tutte le risorse
finanziarie necessarie”, forte del fatto che a marzo è riuscito a far approvare
in Parlamento una riforma storica che consente di sforare il debito,
rigidamente regolato, per le spese per la difesa superiori all’1% del Pil.
Superato il tradizionale freno al debito, potranno essere messi in campo
centinaia di miliardi.
Cosa significa in
pratica
Una legge del
dicembre del 2024 prevede che entro il 2031 l’esercito tedesco raggiunga le
203mila unità, dai circa 181mila soldati attuali (dati del difensore civico per
le forze armate). Un obiettivo pensabile solo reintroducendo il servizio militare
obbligatorio, sospeso nel 2011 ma ancora previsto dalla Costituzione tedesca.
Attualmente, sul
tema è in corso un acceso dibattito politico. L’anno scorso il ministro della
Difesa Boris Pistorius, che ha mantenuto il suo ruolo nel governo Merz, ha
proposto un modello ispirato ai Paesi scandinavi: tutti i diciottenni
riceveranno un questionario digitale per valutare la loro disponibilità al
servizio militare o alla difesa civile. La compilazione sarà obbligatoria per
gli uomini e volontaria per le donne. I candidati più idonei e motivati saranno
invitati a partecipare a un servizio militare di sei mesi, con la possibilità
di estenderlo fino a 23 mesi per ruoli più specializzati.
Secondo un
sondaggio YouGov, il 58% dei tedeschi è favorevole alla reintroduzione della
coscrizione, ma secondo Die Welt la maggioranza (61%) dei giovani di età
compresa tra i 18 e i 29 anni è contraria.
Numeri a parte, il
governo dovrà affrontare carenze strutturali, professionali e pratica, e
differenti visioni sulla questione all’interno della stessa maggioranza.
Il mantra di Merz:
“Responsabilità”
Nel suo discorso
Merz ha usato 18 volte la parola ‘responsabilità’, cominciando fin dalle
primissime battute. Responsabilità per la difesa del Vecchio Continente, sì, ma
alcuni osservatori ci hanno visto un messaggio implicito alla sua stessa
maggioranza. Due settimane fa, infatti, il cristiano democratico ha subito
un’onta, non venendo eletto al primo turno di votazioni al Bundestag a causa di
alcuni franchi tiratori. Un caso unico nella storia della Germania, che ha
gettato un’ombra sull’inizio del suo mandato. Ancora non è chiaro chi sia stato
a votare contro, anche se in questi giorni le ipotesi si sono sprecate.
Dunque il
riferimento insistente alla responsabilità è suonato come un richiamo ai suoi
alleati di governo, ma forse anche ai suoi stessi compagni di partito. Merz ha
promesso “affidabilità e prevedibilità” all’Europa e di impegnarsi per
recuperare la fiducia dei connazionali.
Anche questi
obiettivi tuttavia non saranno semplicissimi da centrare: la politica tedesca è
segnata da una frattura, quella con l’estrema destra di Alternative für
Deutschland (Afd), che non è più relegabile a fenomeno di nicchia. Il partito
radicale, recentemente designato dai servizi segreti federali come forza
antisistema e minaccia alla democrazia, è secondo i sondaggi il primo partito
nel Paese, rimanendo comunque soggetto al BrandMauer, il muro tagliafuoco che
storicamente ha impedito ai movimenti più radicali di entrare nelle stanze dei
bottoni.
Un equilibrio
sempre più complesso, visti i 151 parlamentari di cui è forte il partito e la
loro combattività, e come dimostrano i commenti della co-leader di Afd, Alice
Weidel, al discorso di Merz.
Nel suo
intervento, Weidel ha lanciato un duro attacco alla leadership del capo
dell’esecutivo: “Debolezza e instabilità sono i segnali che lei, signor Merz,
ha mandato con la sua storica falsa partenza. Lei è un cancelliere di seconda
scelta. E non si libererà mai di questo stigma”.
La leader
dell’opposizione ha poi ribadito alcune delle storiche battaglie del suo
partito: ritorno all’energia nucleare, ripresa delle importazioni di gas dalla
Russia e stretta sulla politica migratoria. “I respingimenti alle frontiere
possono essere solo un primo passo”, ha affermato, denunciando un presunto
aumento delle criminalità collegata all’immigrazione: “Gli omicidi, gli
accoltellamenti e gli stupri continuano, giorno dopo giorno, settimana dopo
settimana”.
L’immigrazione
Di immigrazione ha
parlato anche il cancelliere, che ha confermato l’intenzione di operare una
stretta, precisando allo stesso tempo che “la Germania è un Paese
d’immigrazione”, che lo è stato e che lo rimarrà, peraltro suscitando applausi
diffusi nell’Aula.
Anche qui tuttavia
Merz cammina sulle uova, dovendo fare i conti con l’opposizione degli alleati
socialdemocratici a un irrigidimento eccessivo delle politiche di accoglienza,
e con le pressioni di Afd a una chiusura radicale.
D’altronde, lo
stesso cancelliere è consapevole del fatto che gli immigrati servono per
mandare avanti l’economia, anche se ha affermato che dopo il 2015 le maglie
sono state troppo larghe e sono entrate troppe persone non qualificate, senza
operare controlli.
L’economia, e
Donald Trump
Merz ha anche
fatto riferimento all’economia, altro dossier molto complicato che il suo
governo dovrà affrontare, con il Paese in recessione da due anni. La Germania
in crisi “può tornare ad essere una locomotiva economica che il mondo ammira”,
ha detto, promettendo che farà “ogni cosa” per tornare sulla “strada della
crescita”. “La nostra economia è ancora in gran parte competitiva ma le
condizioni quadro non lo sono più”, ha dichiarato ancora.
Ua di queste
‘condizioni quadro’ è il presidente Usa Donald Trump con la sua politica estera
aggressiva, altalenante, che ha messo in discussione la tradizionale alleanza
tra le due sponde dell’Atlantico e gettato le basi per uno sconvolgimento del
commercio globale tramite la ‘guerra dei dazi’. Da Coimbra, Mario Draghi
proprio ieri ha avvisato: nulla sarà come più come prima, e la lenta agonia
dell’economia europea rischia di diventare un vero tracollo.
Merz da una parte
concorda con l’ex banchiere sulla necessità di allentare i vincoli rimasti nel
mercato europeo per rintuzzare i problemi sulle piazze extra-Ue. Dall’altra
intende anche instaurare un rapporto con Trump: durante la conferenza economica
della Cdu ha fatto sapere di aver invitato Trump a visitare la città di origine
dei nonni nel distretto di Bad Duerkheim, da cui emigrarono a New York alla
fine del 1800. Il cancelliere ha anche confermato che si recherà “presto” in
visita del presidente a Washington.
Ucraina
Capitolo Ucraina:
Merz ha rifiutato ogni “pace imposta” da Mosca e ha assicurato che “ogni sforzo
per continuare a raggiungere la massima unità possibile tra i nostri partner
europei e americani” sulla guerra. Il cancelliere ha ribadito che è “di fondamentale
importanza che l’Occidente politico non si lasci dividere”, mentre i leader
europei minacciano sanzioni più severe contro Mosca.
“Non siamo parte
in causa nella guerra e non vogliamo diventarlo“, ha chiarito aggiungendo però
che “non siamo attori terzi indipendenti o mediatori neutrali, per così dire,
tra i fronti”, e che la Germania si schiera dalla parte degli ucraini “senza se
e senza ma“. Adnkronos 15
Giugno 2025: nuove regole in Germania
Il mese di giugno
2025 porterà diverse novità legislative in Germania che toccheranno da vicino
la vita quotidiana dei residenti, incluse migliaia di connazionali italiani.
Dalle tutele per le donne alla digitalizzazione accessibile, dalla
sostenibilità dei nostri dispositivi elettronici alla sicurezza nei viaggi in
camper, fino al riconoscimento ufficiale dei veterani: ecco cosa cambia, a
partire da quando e perché è importante saperlo.
Cambiare fornitore
di energia sarà più facile e veloce
Dal 6 giugno 2025,
cambiare gestore dell’elettricità sarà molto più semplice: basterà un giorno
lavorativo per completare il passaggio.
Un grande
miglioramento rispetto ai tempi attuali, che possono arrivare fino a tre
settimane.
Obiettivo? Più
concorrenza e tariffe migliori per i consumatori.
Accessibilità
obbligatoria per servizi digitali e bancomat
A partire dal 28
giugno, tutti i bancomat, distributori di biglietti, app bancarie e siti web
dovranno essere accessibili anche per le persone con disabilità.
Una misura che
rappresenta un passo fondamentale verso una società più inclusiva, e che
riguarda direttamente chi utilizza quotidianamente questi servizi, anche fra di
noi.
Tutela per le
donne dopo una perdita in gravidanza
Una novità di
grande rilievo per le donne: dal 1° giugno, in caso di aborto dopo la 12ª
settimana di gravidanza, sarà previsto un periodo di congedo retribuito
(Mutterschutz).
Un riconoscimento
importante per il dolore fisico ed emotivo che questa esperienza comporta.
I nuovi diritti
prevedono:
– 2 settimane di
congedo dalla 13ª settimana;
– 6 settimane
dalla 17ª;
– 8 settimane
dalla 20ª.
Una misura attesa
da tempo, che riguarda anche molte donne italiane che vivono e lavorano in
Germania.
Novità per chi
viaggia in camper
Attenzione per chi
ama viaggiare con camper o roulotte: dal 19 giugno 2025 diventa obbligatorio il
controllo periodico dell’impianto a gas da parte di un tecnico esperto.
Il controllo costa
tra 40 e 80 euro e dura circa 30 minuti.
Senza il
certificato di sicurezza, si rischiano multe e problemi con il TÜV.
Smartphone più
resistenti e meno rifiuti elettronici
Dal 20 giugno,
nuove norme europee obbligheranno i produttori di telefoni cellulari a
garantire:
– batterie più
durature (almeno 800 cicli di ricarica mantenendo l’80% della capacità),
– disponibilità
dei pezzi di ricambio per fino a 7 anni dopo la fine della vendita del modello,
– dispositivi più
robusti e sostenibili.
Una buona notizia
per l’ambiente – e per le nostre tasche.
Il 15 giugno:
nasce la Giornata nazionale dei veterani
Per la prima
volta, la Germania celebrerà il Veteranentag, la Giornata nazionale dei
veterani, il 15 giugno. Un’occasione per ricordare e onorare il servizio
prestato dai membri delle forze armate tedesche, sia all’estero che sul
territorio nazionale. In programma: una cerimonia ufficiale a Berlino e
iniziative in tutto il Paese.
Le nuove leggi che
entreranno in vigore a giugno 2025 mostrano una Germania che si muove verso
maggiore efficienza, inclusività, tutela dei diritti e sostenibilità. Per noi
italiani che viviamo qui, è importante essere aggiornati: conoscere i propri
diritti e doveri è il primo passo per sentirsi parte della società in cui
viviamo. CdI on. 22
Berlino: la riunione annuale del Sistema Italia e di coordinamento
consolare
Berlino - Il 23 e
il 24 maggio, l’Ambasciata d’Italia a Berlino ha ospitato la riunione annuale
di promozione del Sistema Italia e di coordinamento consolare in Germania.
Un appuntamento
importante per definire le strategie e iniziative con le quali promuovere le
eccellenze italiane nei settori politico, economico, culturale, scientifico e
dell’istruzione, nonché per lavorare insieme per assicurare all‘ampia
collettività italiana in Germania un servizio sempre più efficiente.
A guidare i lavori
è stato l’ambasciatore Fabrizio Bucci, affiancato dal vice capo Missione Luigi
Estero, dai capi dei Consolati, dai direttori e dalle direttrici degli Istituti
Italiani di Cultura, insieme ai rappresentanti di ICE, ENIT, Banca d’Italia,
Guardia di Finanza, Polizia di Stato, sistema camerale e mondo scolastico.
All’incontro di
venerdì 23 maggio sono stati presentati i progetti di promozione in corso e in
programma per il 2025, in un’ottica di sempre maggiore sinergia e impatto della
rete italiana in Germania.
“È fondamentale
fare squadra per raccontare e valorizzare al meglio la presenza italiana in
Germania: dalle imprese alla cultura, dalla scienza all’educazione”, ha detto
l’ambasciatore Bucci, introducendo i lavori. “In quest’ottica, le riunioni di
coordinamento che si svolgono in questi giorni costituiscono una preziosissima
occasione di confronto, particolarmente utili per redigere e affinare le linee
programmatiche dell’attività di promozione e consolare dei prossimi mesi, con
l’apporto di tutte le articolazioni del Sistema Italia, nonché dei
rappresentanti delle collettività”.
Sabato 24 maggio,
alla presenza dei rappresentanti della collettività italiana, tra cui i
presidenti dei Comites e i consiglieri del CGIE eletti in Germania, i lavori
sono proseguiti con la riunione di coordinamento consolare, occasione per fare
il punto sulle attività della rete consolare e scolastica e raccogliere
esigenze dal territorio per rafforzare l’efficienza e la qualità dei servizi
dedicati alla comunità italiana in Germania.
La Germania ospita
la seconda comunità italiana più numerosa al mondo e una presenza istituzionale
italiana nel Paese, tra le più articolate a livello internazionale, con ben 8
uffici consolari, 5 Istituti italiani di cultura e diverse articolazioni del Sistema
Italia. (aise/dip 26)
Cosmo Italiano. I temi delle ultime puntate
Speciale: Fabrizio
Bucci, il nuovo ambasciatore si racconta
(23.05)Da gennaio
Fabrizio Bucci è il nuovo capo della diplomazia italiana in Germania. Romano,
61 anni, Bucci, prima di Berlino è stato ambasciatore a Tirana e ha svolto
importanti incarichi al Cairo e a Washington. Ai microfoni di Luciana Caglioti
ci racconta questi suoi primi mesi in Germania, il suo rapporto con la lingua
tedesca e sottolinea l'importanza delle relazioni bilaterali nel contesto
europeo. Ma ci parla anche di come ama trascorrere il tempo libero e come ha
deciso di intraprendere la carriera diplomatica.
Muoversi in treno
tra Germania e Italia
(22.05) A partire
dalla fine del 2026 verranno realizzati i collegamenti ad alta velocità
Monaco-Roma e Monaco-Milano. Ma intanto le ferrovie tedesche continuano ad
andare a rilento, ci aggiorna Cristina Giordano. Sulle tratte ferroviarie già
esistenti tra Italia e Germania ci informa Marco Kamp di Deutsche Bahn. Andrea
Giuricin, docente di Economia dei Trasporti all’Università Bicocca di Milano,
ci parla dell'impatto ambientale delle reti ferroviarie ad alta velocità in
Europa.
Affitti alti in
Germania: quali aiuti e quali politiche?
(21.05) Cosa
prevede il nuovo governo tedesco per contrastare il caroaffitti che da anni
affligge soprattutto le maggiori città tedesche? E che ne sarà della
"Mietpreisbremse" in scadenza? Ce ne parla Cristina Giordano. Con
Luciana Mella parliamo invece di chi ha diritto ad una casa popolare in
Germania, del certificato WBS e del sussidio Wohngeld. E poi l'emergenza case a
Berlino e le sue conseguenze sociali nel documentario "Born to die in
Berlin" del regista Maurizio Spagliardi.
Tutto sui
referendum sul lavoro dell'8 e 9 giugno
(20.05) Dalla
Germania voteremo per corrispondenza ai referendum dell'8 e 9 giugno: entro
quando riceveremo il plico e dovremo restituirlo al Consolato? E che cosa
chiedono di abrogare i quattro quesiti sul mondo del lavoro? Ce lo spiega
Cristina Giordano. Parliamo poi delle ragioni del "sì" e del
"no" con, rispettivamente, Salvatore Marra del sindacato CGIL e
Claudio Armeni della Confederazione S.E.L.P. Del quinto quesito sulla
cittadinanza abbiamo parlato nella puntata del 16 aprile.
Il governo Merz e
i migranti
(19.05) Il
Ministro dell'Interno Dobrindt ha stabilito controlli più severi verso i
richiedenti asilo, ma la misura rimane controversa: ci aggiorna Cristina
Giordano. Qual è la situazione reale dei respingimenti ai confini tedeschi? Lo
abbiamo chiesto ad Andreas Roßkopf del sindacato tedesco della polizia. A
Eleonora Celoria, avvocata dell'Associazione studi giuridici sull’immigrazione,
abbiamo chiesto una valutazione delle politiche europee sui respingimenti alla
luce del diritto vigente.
Speciale: Leonora,
la voce italotedesca del soul-pop
(16.05) Quest'anno
all'Eurovision Song Contest c'è molta Italia: da Lucio Corsi a Tommy Cash, a
Gabry Ponte. E per poco anche la Germania non è stata rappresentata da
un'artista italotedesca: Leonora Huth, 24 anni e una potentissima voce
soul-pop. Leonora è arrivata in finale alla selezione di "Chefsache
ESC", il programma che - come Sanremo per l'Italia - decide chi
rappresenta la Germania all'Eurovision. Leonora ci è venuta a trovare nei
nostri studi e con lei abbiamo parlato di musica, di Germania e di Italia.
Sfide spaziali:
un'astronauta e un'ingegnera raccontano
(15.05) In
Germania la corsa allo spazio è arrivata al governo: se ne occuperà
esplicitamente il Ministero della Ricerca, della Tecnologia e dello Spazio. Ma
con quali progetti e obiettivi? Ce ne parla Agnese Franceschini. E ad andare un
giorno nello spazio potrebbe essere Anthea Comellini: l'ingegnera ci parla del
suo addestramento da astronauta al centro ESA di Colonia. Un'altra ingegnera
aerospaziale in Germania è Anna Marcellan, con cui parliamo fra l'altro di
sostenibilità.
Il boom dei
campeggi e le differenze fra Italia e Germania
(14.05) È record
di presenze nei campeggi tedeschi, una forma di vacanza sempre più apprezzata
negli ultimi anni: i numeri da Agnese Franceschini. Ma quali sono i motivi di
questo trend? Lo abbiamo chiesto a Frank Schaal, presidente dell'Associazione
federale dei campeggi in Germania. Ma c'è anche chi del campeggio ha fatto una
scelta di vita: l'intervista a Paolo Goglio.
È pensabile un
mega blackout in Germania? E come difendersi?
(13.05) Dopo il
massiccio blackout che ha paralizzato la Spagna a fine aprile, e mentre si
indaga ancora sulle cause, in tutti i Paesi europei si riflette su quanto le
reti elettriche siano vecchie e potenzialmente attaccabili. Agnese Franceschini
riassume la vicenda. Con Michele Governatori di ECCO proviamo a capire se le
fonti rinnovabili costituiscano un problema per reti di vecchia concezione.
Mentre con Luigi D'Angelo della Protezione civile chiariamo cosa si deve fare
in caso di blackout.
AfD partito
estremista? Non ancora
(12.05) L'Ufficio
federale per la difesa della costituzione (BfV) dopo aver classificato l'AfD
come partito "estremista di destra" fa un passo indietro e mette in
standby la decisione in attesa di una sentenza del tribunale amministrativo di
Colonia, i dettagli da Agnese Franceschini. Delle ricadute pratiche di questa
vicenda e dell'impatto sulla politica tedesca abbiamo parlato con il giudice
Alessandro Bellardita e con il politologo Giovanni de Ghantuz Cubbe.
Cosmo
It./De.it.press 27
Brevi di politica e cronaca tedesca
La Germania adotta
una linea più dura contro PutinDurante la visita di Zelenskyj a Berlino, il
Cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha avviato un cambiamento radicale annunciando
importanti novità nel sostegno tedesco all’Ucraina. Entrambi i Paesi hanno firmato
un protocollo d’intesa sull’acquisto di sistemi d’arma a lunga gittata di
produzione ucraina: “Questo è l’ingresso in una nuova forma di cooperazione
militare-industriale dei nostri Paesi, che ha un grande potenziale”, ha
dichiarato il Cancelliere. “I dettagli non sono stati discussi pubblicamente
per mantenere Mosca deliberatamente all’oscuro”, questa la chiosa del
Cancelliere Merz. Anche ciò rientra nella nuova strategia di Berlino. Il
Cancelliere Merz ha spiegato ancora una volta che non ci saranno limiti di
gittata nell’uso delle armi fornite: “L’Ucraina può quindi difendersi
completamente anche contro obiettivi militari al di fuori del proprio
territorio”. La Germania finanzierà inoltre “una parte considerevole” della
copertura Starlink in Ucraina.
Secondo il
Cancelliere Merz, Germania e Ucraina dovranno incontrarsi per consultazioni
governative entro la fine dell’anno. “La guerra ha avvicinato le società
tedesca e ucraina, ma anche i governi”. Oggi i ministri dei due Stati lavorano
a stretto contatto, per cui “desideriamo consolidare ciò”. Il Cancelliere Merz
ha inoltre escluso l’uso del gasdotto del Mar Baltico Nord Stream 2 per le
forniture di gas dalla Russia. “Il governo farà tutto il possibile per impedire
che Nord Stream 2 ritorni in funzione”. Di fronte ai massicci attacchi russi
sull’Ucraina, la Germania continuerà inoltre ad aumentare ulteriormente la
pressione sulla Russia. Il Cancelliere ha parlato senza giri di parole:
“L’obiettivo dichiarato è quello di indebolire la macchina da guerra di Mosca”.
Allo stesso tempo, “si tratta anche di aprire la strada verso negoziati per un
cessate il fuoco”.
Il Cancelliere
Merz preoccupato per l’aggressione russa nel Mar Baltico
Il Cancelliere
Friedrich Merz si è recato in Finlandia per incontrare i partner NATO dei Paesi
nordici e assicurare il suo sostegno. A Turku il Cancelliere ha condannato gli
attacchi ibridi su cavi sottomarini e gasdotti definendoli “una minaccia per la
nostra sicurezza” e ha annunciato di voler continuare a fare pressione sul
Cremlino nella sua guerra di aggressione contro l’Ucraina.
Durante il suo
incontro, il Cancelliere Merz ha anche parlato delle sue recenti dichiarazioni
sulla fine delle restrizioni sulla gittata delle armi a lungo raggio. Tali
dichiarazioni avevano suscitato scalpore. A ogni modo, non vi è certezza sui
tipi di armi e se la Germania sia effettivamente disposta a fornire missili da
crociera Taurus. In un’intervista, il Cancelliere aveva precedentemente
dichiarato: “Non ci sono più restrizioni di gittata per le armi fornite
all’Ucraina, né da parte degli inglesi, né da parte dei francesi, né da parte
nostra, né da parte degli americani”. “L’Ucraina potrebbe quindi anche
attaccare obiettivi militari in Russia”. Inoltre, al momento dell’insediamento
il Cancelliere aveva annunciato che d’ora in poi non avrebbe più discusso
pubblicamente di aiuti militari a Kiev, per lasciare deliberatamente Mosca
all’oscuro.
Il Cancelliere ha
inoltre constatato una mancanza di disponibilità al dialogo da parte del
Cremlino. L’ Europa è quindi ancora lontana dalla fine della guerra:
“Probabilmente dobbiamo mettere in conto una durata più lunga”. Se il Cremlino
non dovesse accettare l’offerta di mediazione del Vaticano – come pare al
momento – ciò dimostrerebbe che Mosca “non ha alcun interesse” a un cessate il
fuoco o a un accordo di pace. Anche il ministro degli Esteri Johann Wadephul
(CDU) mantiene un basso profilo sulla questione di una possibile consegna dei
missili Taurus: “Il governo sta agendo in modo tale da non essere prevedibile
per Putin“, aggiungendo che “l’Ucraina sarà equipaggiata in modo tale da
potersi difendere, ma la Germania agirà con piena responsabilità. (…) La
coalizione composta da CDU, CSU e SPD è molto compatta anche su questa
questione”. Il ministro Wadephul si è nel frattempo recato a Washington per la
sua visita inaugurale.
Cresce
l’indignazione per la condizione di Gaza
Le dure azioni
israeliane nella Striscia di Gaza suscitano sempre più critiche anche in
Germania. Il Cancelliere Friedrich Merz ha espresso ciò che in molti a Berlino
pensano: “Detto francamente, non capisco più quale sia l’obiettivo
dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza”. Il Cancelliere ha quindi
affermato che la lotta ai terroristi di Hamas non può più giustificare le
perdite nella popolazione civile, sempre più frequenti, soprattutto negli
ultimi giorni. “La Germania, come nessun altro Paese al mondo, deve esercitare
la massima moderazione possibile nel dare consigli pubblici a Israele”, ha
aggiunto. “Ma se si superano i limiti, oltre i quali il diritto umanitario
internazionale viene chiaramente violato, allora anche la Germania non può
rimanere in silenzio”.
Il Cancelliere
Merz ha comunque sottolineato la stretta collaborazione tra i due Stati: “Ma il
governo israeliano non deve fare nulla che i suoi migliori amici non siano più
disposti ad accettare”. Andando nel concreto, il Cancelliere Merz ha definito
un attacco del fine settimana scorso, durante il quale è stata colpita una
scuola, “una tragedia umana e una catastrofe politica”. Il Cancelliere ha
inoltre annunciato che ne parlerà con il capo del governo israeliano Netanyahu.
Stretta alla
politica migratoria da CDU/CSU-SPD
Il governo
nero-rosso ha deciso di sospendere il ricongiungimento familiare dei rifugiati
di guerra civile. I partner di governo hanno inoltre convenuto di abolire la
procedura di naturalizzazione più veloce dei migranti particolarmente ben
integrati. Entrambi i progetti, su cui CDU-CSU e SPD avevano raggiunto
un’intesa nell’accordo di coalizione, necessitano ancora dell’approvazione da
parte del Bundestag.
Secondo il
ministro dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU), la cosiddetta “naturalizzazione
turbo” viene abolita senza alcuna sostituzione, il ricongiungimento familiare
per i beneficiari di protezione sussidiaria viene sospeso per due anni. Il
ministro Dobrindt sostiene quindi che l’obiettivo di “limitare la migrazione”
dovrà essere ripristinato anche nel diritto di soggiorno. La decisione contro
il ricongiungimento di famiglie separate nei Paesi in guerra civile è una
misura necessaria “per mettere nero su bianco il cambiamento politico nella
politica migratoria”, ha dichiarato il politico della CSU. La cosiddetta
naturalizzazione turbo era stata introdotta solo un anno fa dall’allora governo
della coalizione semaforo. Ciò ha permesso di naturalizzare gli immigrati
particolarmente ben integrati dopo tre anni. In futuro, questo sarà di nuovo
possibile dopo i cinque anni.
Studio Ifo: i
bavaresi più soddisfatti dei tedeschi dell’Est
Secondo un’analisi
condotta a livello nazionale, i cittadini del sud della Germania sono più
felici e valutano al meglio le condizioni per famiglie e bambini rispetto
all’intero territorio nazionale. L’istituto di ricerca Ifo ha analizzato i dati
del governo nel merito. La Baviera ha quindi ottenuto il punteggio più alto, il
Land di Brema è risultato fanalino di coda. Cinque i settori oggetto
dell’analisi: economia, società e tempo libero, infrastrutture e servizi di
interesse generale, clima e ambiente nonché istruzione.
Le maggiori
differenze tra le regioni si riscontrano nei settori dell’economia, società e
tempo libero. Si tratta di aspetti come le condizioni del mercato immobiliare,
le prospettive di lavoro, in particolare per quanto riguarda la conciliazione
tra lavoro e famiglia, nonché le condizioni attinenti alla società come
attività ludiche, allo sport e al tempo libero. Ma anche le prospettive future
per i giovani. Lo studio IFO mostra infine che la situazione nella Germania
Est, dove l’ AfD è particolarmente forte, per i cittadini intervistati è
peggiore rispetto al resto della Germania.
Nuova concorrenza
per le ferrovie tedesche
Le ferrovie
tedesche – Deutsche Bahn – sono sempre più incalzate dalla concorrenza, e gli
utenti ne sono felici. L’operatore nel settore viaggi Flix prevede di ampliare
in modo significativo la propria offerta nel trasporto ferroviario a lunga
distanza. La società di Monaco ha comunicato di aver ordinato al produttore di
treni spagnolo Talgo 65 nuovi treni ad alta velocità. Il gruppo stima costi di
acquisto e manutenzione per un valore di 2,4 miliardi di euro. I nuovi treni,
le cui potenti locomotive sono prodotte da Siemens, possono percorrere fino a
230 chilometri all’ora e dispongono di un accesso senza barriere. Flix ha
intenzione inoltre di offrire in futuro collegamenti ferroviari
transfrontalieri in Europa, ad esempio verso l’Italia. Resta comunque ancora
incerto il termine di consegna dei treni.
Nel trasporto
ferroviario a lunga distanza, Flix è con il marchio Flixtrain uno dei pochi
concorrenti delle ferrovie tedesche. Finora, la flotta è composta soltanto da
13 treni regionali, che di norma sono gestiti da società partner e servono 50
città tedesche. Con l’acquisto dei treni ad alta velocità, Flix risponde alla
crescente domanda di viaggi in treno veloci ed economici.
Luoghi in
Germania: Schrobenhausen
È tempo di
asparagi in Germania. Una delle zone di coltivazione più famose si trova a
circa 50 chilometri a nord di Monaco di Baviera, intorno alla cittadina di
Schrobenhausen in der Hallertau (16.000 abitanti, Land Baviera). Gli asparagi
di Schrobenhausen sono un marchio protetto (DOP) e sono considerati una
prelibatezza, inoltre il sito ospita il Museo europeo degli asparagi. Ora gli
abitanti della cittadina bavarese temono un attacco missilistico russo.
Dall’inizio della guerra, la televisione di Stato russa ha ripetutamente
minacciato la Germania e altri Stati europei di attuare primi attacchi o azioni
di rappresaglia.
Ciò che è poco
noto è che oltre al pregiato ortaggio, a Schrobenhausen è presente anche lo
stabilimento di produzione dei missili da crociera Taurus. La stampa di
propaganda ha fatto riferimento alle dichiarazioni del Cancelliere Friedrich
Merz, secondo cui presto i missili da crociera Taurus potranno essere
consegnati all’Ucraina senza limiti di gittata: “L’uso di missili da crociera
Taurus contro la Russia significherebbe che la Germania prenderebbe parte alle
ostilità contro la Federazione Russa. Poiché il produttore di questi missili da
crociera si trova in un’area remota e lontana dai centri urbani, basta un solo
attacco di rappresaglia“.
CDU-CSU e SPD
puntano all’armonia
Nel suo esordio il
nuovo Cancelliere Friedrich Merz e la sua nuova coalizione di governo CDU-CSU e
SPD ha affrontato una serie di ostacoli: la fallita prima elezione del
Cancelliere, le promesse elettorali non mantenute da entrambe le parti e
divergenze pubbliche. Ora i partner assicurano che “tutto andrà diversamente”.
È la quinta volta nella storia tedesca dal Dopoguerra che si forma una
coalizione di governo “nero-rossa”.
Un matrimonio
politico fondato sull’amore non lo è di certo, a Berlino si parla infatti di
“matrimonio di convenienza”. Perché non c’è alternativa: i due gruppi
parlamentari sono l’unico insieme politico che detiene la maggioranza nel
Bundestag, a esclusione dell’estrema destra dell’AfD, con 328 seggi su 630
deputati. E con questa maggioranza risicata, i partner di governo vogliono far
avanzare di nuovo il Paese, risolvere problemi urgenti, assumersi la
responsabilità per il futuro del Paese: ecco perché hanno dato al loro accordo
di coalizione il titolo di “Responsabilità per la Germania”.
I deputati di
entrambi gli schieramenti sottolineano che è stato concordato un cambiamento di
politica in termini di contenuti. Ora si tratta anche di portare avanti un
cambiamento di stile nella convivenza tra i partiti. Si ricorda che scontri
aperti, attacchi personali e minacce erano stati gli ingredienti che portarono
al crollo della coalizione semaforo (SPD, Verdi e Liberali). Si andò poi a
nuove elezioni, con i cittadini esasperati dalle polemiche interminabili – il
risultato è noto. I nero-rossi vogliono assolutamente evitare uno scenario del
genere. Un parlamentare della coalizione ha affermato: “Abbiamo visto come
nella coalizione semaforo tutto sia iniziato con molto ottimismo e poi tutto si
sia perso completamente, con molta rapidità, per via delle controversie
interne. Un quadro del genere è fatale e tutti devono pretendere che una
situazione di questo tipo non si crei proprio in questa coalizione“.
Ma nonostante
l’accordo di coalizione congiunto, ci sono questioni in cui le posizioni di
CDU-CSU e SPD restano divergenti, come il salario minimo, la pensione o il
freno all’indebitamento. Non tutti i temi sono stati regolamentati nello
specifico nell’accordo di coalizione, perché la situazione internazionale
pressava non poco sui tempi. Su molti punti vi è ancora una notevole necessità
di coordinamento. “Un cambiamento politico è sempre un cambiamento a livello di
fiducia”, spiega il nuovo capogruppo parlamentare CDU-CSU, Jens Spahn. Né
CDU-CSU né SPD hanno il partner di governo che avrebbero sognato, ma, afferma,
CDU-CSU manterranno un comportamento costruttivo: “Senza dubbio non saremo
sempre d’accordo, ma troveremo sempre una soluzione praticabile”. Altrimenti,
si concretizzerebbe la minaccia di un’ascesa dell’AfD al potere.
La delegazione
tedesca colpita da Leone XIV
Chi della sua
cerchia ristretta ha potuto incontrarlo, dopo la cerimonia in Piazza San
Pietro, ha percepito quanto il grande evento storico lo avesse commosso. Il
Cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha definito la cerimonia di insediamento di
Papa Leone XIV di domenica scorsa un “momento edificante”. Di fronte ai
rappresentanti della stampa in Vaticano, ha dichiarato: “Penso che oggi abbiamo
rappresentato bene la Germania in questo evento davvero grandioso. E tutti noi
non solo auguriamo prosperità alla Chiesa cattolica, ma soprattutto auguriamo
al nuovo Papa Leone XIV di poter agire nel bene e nella gioia nella sua
missione per la Chiesa universale nei prossimi anni“. Il Cancelliere Merz
guidava la delegazione tedesca che ha presenziato alla messa di inizio pontificato
di Leone XIV. Accanto a lui hanno partecipato il Vicecancelliere nonché
ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD), la Presidente del Bundestag Julia
Klöckner (CDU), la Presidente del Bundesrat Anke Rehlinger (SPD) e il
Presidente della Corte costituzionale federale Stephan Harbarth.
La Presidente del
Bundestag Klöckner (seconda carica dopo il Presidente dello Stato) ha augurato
che la voce di Leone XIV venga ascoltata nei dibattiti sociali globali. “Il
nuovo Papa esprime un’attenzione speciale verso le persone, sostenuta dalla sua
particolare personalità. Credo che sarà in grado di costruire e unire ponti in
modo speciale e con mite autorità“, ha spiegato Klöckner dopo l’insediamento di
Leone XIV. “Il grande sostegno per il nuovo Papa e l’immensa partecipazione
alla cerimonia mostrano che la Chiesa rappresenta giustamente valori universali
e di convivenza pacifica (…) Il nuovo Pontefice si presenta in una veste
potente, autorevole e decisa”. Nella sua solenne omelia, Leone XIV ha esortato
ad affrontare i conflitti globali con umiltà e carità sulla scorta dei precetti
di Gesù. “Non sono il dominio e la prepotenza, ma l’amore e la convivenza
paritaria a portare soluzioni”, ha dichiarato la Presidente Klöckner,
descrivendo la sua impressione.
Il ministro delle
Finanze Klingbeil esorta i colleghi al risparmio
Con un fondo
speciale per gli investimenti nelle infrastrutture e nella difesa, la
coalizione nero-rossa si è data a priori spazio per gli investimenti. Tuttavia,
il nuovo ministro delle Finanze Klingbeil (SPD) richiama alla disciplina in
materia di bilancio. La bozza di bilancio per il 2025 dovrebbe essere
disponibile entro la fine di giugno. Il ministro Klingbeil ha esortato tutti i
ministeri al risparmio. Il leader dell’SPD ha quindi dichiarato: “Adagiarsi
sugli allori, perché abbiamo escluso il fondo speciale di 500 miliardi per le
infrastrutture e le spese per la difesa dal freno all’indebitamento, non può
funzionare con me”.
Gli appelli
all’austerità da parte di un ministro delle Finanze non sono certo insoliti, ma
il nuovo governo si trova in una situazione particolarmente spiacevole: per
l’anno in corso il Bundestag non ha approvato un bilancio – e proprio nella
discussione sui conti del governo la coalizione semaforo era collassata lo
scorso novembre, con l’allora ministro delle Finanze e leader dell’FDP
Christian Lindner che aveva fatto la sua mossa politica d’azzardo, sordo a
qualsiasi compromesso sul freno all’indebitamento, gettando poi la spugna. Un
atto irresponsabile, che gli elettori hanno punito con la pena più severa:
nelle elezioni anticipate i Liberali sono stati spazzati via dal parlamento.
Nei mesi che hanno
preceduto le nuove elezioni, quindi, non è stato approvato alcun bilancio.
L’attuale governo federale sta affrontando il lavoro con una cosiddetta
gestione finanziaria provvisoria, che permette allo Stato di poter agire nelle
questioni più importanti. Ora il tempo stringe. Il 25 giugno il ministro
Klingbeil ha intenzione di presentare al governo il suo progetto di bilancio
2025. Il Bundestag delibererà sulla questione per la prima volta prima della
pausa estiva, mentre la votazione finale è prevista per settembre. Anche il
bilancio per il 2026 non tarderà ad arrivare: dovrà infatti essere approvato
entro la fine dell’anno. “Ciò che desidero è presentare alla fine un bilancio
calcolato e coerente”, ha sottolineato il ministro Klingbeil. Con la modifica
costituzionale sul freno all’indebitamento, la coalizione ha creato margini di
manovra per investire nel futuro del Paese: “Con questo si guarda avanti per
rendere la Germania forte, non per riempire buchi nel bilancio”.
Le autorità di
sicurezza in crisi per la violenza politica
La violenza
politica in Germania preoccupa sempre di più. Nel 2024 il numero di reati a
sfondo politico in Germania è aumentato di oltre il 40% rispetto all’anno
precedente. È quanto emerge da una nuova indagine statistica presentata a
Berlino dal ministro dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU). Complessivamente,
lo scorso anno sono stati registrati 84.172 reati. Rispetto al 2022, già nel
2023 i casi erano aumentati in quasi tutti i settori d’indagine. Gli sviluppi
sottolineano “l’urgente necessità di un’offensiva di sicurezza congiunta tra
governo e Länder”, ha ammonito il ministro Dobrindt, parlando di un livello
massimo raggiunto dall’inizio delle registrazioni nel 2001. Gli sviluppi sono
anche “guidati dalla polarizzazione all’interno della nostra società”. Per
contrastare le tendenze riconoscibili nelle statistiche, il ministro Dobrindt
ha annunciato una doppia strategia del suo ministero e delle autorità di
sicurezza: “Più competenze per la polizia e più conseguenze per i criminali”.
Ciò include, tra le altre cose, la memorizzazione annunciata degli indirizzi
IP.
Nelle statistiche,
i reati registrati sono assegnati alle cosiddette “aree fenomeniche”: sinistra,
destra, “ideologia di matrice estera”, ideologia di matrice religiosa e altre.
I casi di estrema destra, in totale 42.788 reati, costituiscono la percentuale
più alta. Rispetto all’anno precedente, si tratta di un aumento di quasi il
48%. Gli atti di violenza con “ideologia di matrice estera” sono aumentati del
42% arrivando a 7.343 reati, i reati di estrema sinistra di oltre il 28%
raggiungendo quasi i 10.000. Anche i reati riconducibili all’ideologia
religiosa, per lo più di origine islamica, sono aumentati del 28%.
Il Land della
Bassa Sassonia sostituisce il governatore
Il politico
dell’SPD Olaf Lies è il nuovo governatore della Bassa Sassonia. Il Landtag di
Hannover ha votato a maggioranza a favore del 58enne, che intende continuare la
coalizione rosso-verde del suo predecessore Stephan Weil. Nelle elezioni a
scrutinio segreto, Lies ha ottenuto 80 voti a favore alla prima votazione. La
maggioranza richiesta è stata di 74 voti. SPD e Verdi rappresentano insieme 81
dei 146 deputati del parlamento regionale. Lies, originario di Wilhelmshaven e
gestore di un’azienda agricola per hobby, ha una reputazione ad Hannover di
politico vicino alla gente e abile oratore. Per dodici anni ha sempre fatto
parte dei governi regionali guidati da Weil.
Dal 2013 al 2017 è
stato ministro dell’Economia, dal 2017 al 2022 ministro dell’Ambiente e da
allora di nuovo ministro dell’Economia. Nelle trattative della coalizione a
Berlino, poche settimane fa ha presieduto il gruppo di lavoro dell’SPD nel
settore del clima e dell’energia. Il prossimo fine settimana, Lies assumerà
anche la presidenza regionale dell’SPD da Weil. In qualità di governatore,
entrerà anche nel consiglio di vigilanza di Volkswagen: il Land della Bassa
Sassonia detiene come da tradizione il 20% dei diritti di voto nel gruppo VW.
Frecciarossa
avvicina la Germania e l’Italia
In treno dalla
Germania direttamente nelle amate città italiane? O viceversa, per un lungo
weekend nella “città più settentrionale d’Italia”, come Goethe una volta definì
Monaco di Baviera? Tra non molto tutto ciò sarà possibile. Deutsche Bahn ha
pianificato infatti collegamenti espressi da Monaco a Milano e Roma senza
cambi. I primi collegamenti diretti partiranno da dicembre 2026. I treni
italiani Frecciarossa saranno quindi utilizzati per la prima volta in Germania.
Il tempo di percorrenza tra Monaco e Milano dovrebbe essere di circa sei ore e
mezza e tra Monaco e Roma di circa otto ore e mezza. Ciò consentirebbe ai
viaggiatori di risparmiare ben 75 minuti rispetto al tempo di percorrenza
attuale, compresi i cambi sulla tratta per Milano. Per Roma il tragitto si
accorcia addirittura di 105 minuti.
Con l’apertura
della galleria di base del Brennero prevista per la fine del 2032, i tempi di
percorrenza si ridurranno di circa un’altra ora. Ulteriori soste tra Monaco e
Milano previste sono Bolzano, Trento, Rovereto, Verona e Brescia. Sul
collegamento tra Monaco e Roma sono previste fermate a Innsbruck, Bolzano,
Trento, Rovereto, Verona, Bologna e Firenze. Inizialmente si prevede un
collegamento al giorno, per poi arrivare a un’offerta di cinque viaggi di
andata e ritorno al giorno. Anche altre mete sono già in programma. A partire
da dicembre 2028 si realizzeranno le tratte tra Milano e Berlino e tra Napoli e
Berlino. Tutto ciò è dovuto ai piani della Commissione Europea volti al
miglioramento dei collegamenti ferroviari tra le principali metropoli europee.
Luoghi in
Germania: Blaichach im Allgäu
A metà maggio i
prati di montagna nel borgo di Gunzesried nei pressi di Blaichach (Baviera), a
900 metri sull’ alta valle dell’Algovia, sono di nuovo verdi. Ma la presunta
pace del villaggio con i suoi 790 abitanti stenta da mesi a decollare. Il
motivo è una disputa in corso sull’alloggiamento di 45 rifugiati in un hotel di
montagna vuoto. I primi migranti avrebbero dovuto essere trasferiti nel
“Heubethof” diverse settimane fa. Ma quando l’amministrazione provinciale
competente ha informato gli abitanti di Blaichach e della frazione di
Gunzesried dell’imminente sistemazione, si è formata subito una forte
opposizione.
Due settimane
dopo, i cittadini hanno presentato una petizione con 700 firme al Landtag della
Baviera, in cui si opponevano al soggiorno dei rifugiati, provenienti
principalmente dal Vicino Oriente e dall’Africa. La motivazione era che le
possibilità di integrazione erano troppo scarse per un numero troppo elevato di
rifugiati in un luogo troppo piccolo. Dopo diverse consultazioni, il governo
bavarese ha sospeso la sistemazione per rivalutare il progetto.
Il Cancelliere
Merz sceglie una linea dura contro Mosca
Il nuovo
Cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU) insiste su un cessate il fuoco nella
guerra in Ucraina come condizione per i negoziati tra le due parti. “Ci
aspettiamo che Mosca approvi ora un cessate il fuoco che possa rendere
possibili veri colloqui”, ha spiegato il Cancelliere Merz. “Prima le armi
devono tacere, poi possono iniziare i colloqui”. La disponibilità al dialogo
espressa da Putin è “per prima cosa un buon segno, ma è lungi dall’essere
sufficiente”, “perché l’Ucraina ha già accettato il cessate il fuoco senza se e
senza ma”, per cui “ora la palla spetta solo alla Russia”. Sabato scorso il
Cancelliere Merz si era recato a Kiev insieme al Presidente francese Emmanuel
Macron, al Primo ministro britannico Keir Starmer e al Primo ministro polacco
Donald Tusk per incontrare il Presidente Volodymyr Zelenskyj.
Anche in termini
di aiuti militari, in futuro la Germania seguirà una nuova linea. “Sotto la mia
guida, il dibattito sulle forniture di armi, sul calibro e sui sistemi d’arma
non sarà più di dominio pubblico”, ha annunciato il Cancelliere a Kiev. Il motivo
ha un nome ed è noto agli esperti come “ambiguità strategica”: in futuro Mosca
non dovrà più sapere quali e quante armi fornisce la Germania. “Non ha molto
senso che la controparte nemica apprenda i dettagli del sostegno europeo o
tedesco”, ha spiegato il nuovo portavoce del governo Stefan Kornelius.
Dirigenti militari e funzionari pubblici sostengono la nuova linea. Le liste
pubbliche delle armi sono state un errore tattico, afferma un generale di alto
rango, aggiungendo: “Il nemico ha riso di gusto per le informazioni gratuite
fornite”.
Cambio di
leadership nella SPD
Cambio ai vertici
per i Socialdemocratici. Il ministro del Lavoro Bärbel Bas diventerà il nuovo
Copresidente dell’SPD come confermato dai vertici della SPD dopo le
consultazioni sul nuovo organico. Tim Klüssendorf, dell’ala sinistra del
partito, è stato proposto come nuovo Segretario generale. Alla fine di giugno
la convention di partito dell’SPD si occuperà dell’approvazione delle nomine.
Bas, che rappresenta la circoscrizione elettorale di Duisburg nella Renania
Settentrionale-Vestfalia, è stata Presidente del Bundestag nella scorsa
legislatura. “La decisione non è stata facile, perché di fronte al pessimo
risultato elettorale di febbraio, guidare il partito è un compito storico”. Il
ministro Bas si dice comunque pronta ad assumersi questa grande responsabilità
e ha annunciato di voler mettere la sicurezza sociale, l’uguaglianza nella
formazione e anche l’impegno per una società moderna e diversificata al centro
del suo lavoro.
La
riorganizzazione si è resa necessaria dopo che l’ormai ex Copresidente dell’SPD
Saskia Esken aveva annunciato le sue dimissioni per le forti critiche ricevute,
“colpevole” di dichiarazioni infelici e apparizioni televisive che le sono
costate la sua posizione. Alcuni critici addebitano principalmente a lei la
dura sconfitta elettorale dell’SPD alle ultime elezioni. Klüssendorf, poco
noto, succederà come Segretario generale a Matthias Miersch, che è stato eletto
capogruppo parlamentare dei Socialdemocratici. Al prossimo congresso di partito
Bas si candiderà insieme a Lars Klingbeil per il ruolo di doppio vertice
dell’SPD.
Commemorazione
della Seconda guerra mondiale: il monito del Presidente Steinmeier
Con parole nette
contro il populismo e l’oblio della storia, il Bundestag ha commemorato la fine
della Seconda guerra mondiale di 80 anni fa. Il Presidente dello Stato
Frank-Walter Steinmeier ha messo in guardia da nuovi pericoli all’orizzonte e
ha utilizzato il suo discorso per tracciare una chiara linea di demarcazione
rispetto alla politica di guerra russa. “Il Cremlino ridicolizza la storia
quando presenta l’attacco all’Ucraina come una continuazione della ‘lotta
antifascista’”. (…) La guerra di aggressione di Putin non ha nulla a che vedere
con la lotta contro la tirannia nazista”. Allo stesso tempo, il Capo dello
Stato ha reso omaggio alle vittime dell’Armata Rossa, la cui azione fu
determinante per la liberazione dell’Europa, e molte delle quali parteciparono
alla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz.
Il Presidente
Steinmeier ha anche espresso preoccupazione per gli sviluppi negli Stati Uniti
sotto la presidenza di Donald Trump: “Il fatto che proprio gli Stati Uniti si
allontanino dal diritto internazionale è uno shock di nuove dimensioni”. Il
Presidente Steinmeier ha messo in guardia dalla velocità con cui anche le
democrazie solide possano essere messe in pericolo “se la separazione dei
poteri e la scienza vengono attaccate”. Allo stesso tempo, il Presidente ha
espresso critiche verso le forze populiste in Germania che mettono in
discussione la cultura della memoria: chi parla di “culto della colpa” o chiede
di “mettere un punto” mette in discussione la responsabilità storica della
Germania.
Nel suo discorso,
la nuova Presidente del Parlamento Julia Klöckner (CDU) ha rivolto lo sguardo
alle sofferenze delle donne, spesso trascurate, ricordando la violenza sessuale
e la sopravvivenza nelle peggiori condizioni. Anche lei ha tracciato un parallelo
con il presente: in Ucraina, ancora una volta, le donne sono vittime mirate di
violenza, “utilizzate come arma di guerra”. L’8 maggio si commemora la
capitolazione della Germania nazista nello stesso giorno del 1945. In
considerazione della guerra della Russia contro l’Ucraina, gli ambasciatori di
Russia e Bielorussia non sono stati invitati alla cerimonia commemorativa al
Bundestag.
Al bando i
“Reichsbürger”: il ministro dell’Interno contro la setta politica
Il nuovo ministro
dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU) ha messo al bando l’associazione
Königreich Deutschland, “Regno di Germania”. Secondo il ministero degli
interni, lo scopo e le attività dell’organizzazione violavano il diritto penale
ed erano indirizzati contro la legalità costituzionale e l’idea di comprensione
tra i popoli. Il “Königreich” è la più grande associazione tedesca del
cosiddetto ambiente dei cittadini del Reich, i Reichsbürger. La messa al bando
riguarda anche le numerose sub-organizzazioni dell’associazione.
Il ministro
Dobrindt ha parlato di un colpo significativo inferto a una setta politica in
crescita da anni. “I membri di questa associazione hanno creato uno stato
antagonista nel nostro Paese e hanno costruito strutture organizzate intorno
all’economia criminale”, ha spiegato il ministro Dobrindt motivando la sua
azione. “In questo modo minerebbero costantemente l’ordinamento giuridico e il
monopolio della Repubblica Federale di esercitare la forza. La loro presunta
pretesa di potere è corroborata da teorie cospirative antisemite”.
Durante un raid in
tutta la Germania, le forze di sicurezza hanno perquisito gli immobili
dell’associazione e gli appartamenti di membri di spicco per sequestrare i beni
dell’associazione e raccogliere ulteriori prove degli obiettivi e delle
attività anticostituzionali. Vari leader del gruppo sono stati arrestati.
Elezione del Papa:
la Chiesa tedesca si congratula con Leone XIV
A nome della
Conferenza episcopale tedesca, il suo Presidente, il vescovo Georg Bätzing di
Limburgo, si è congratulato con il nuovo Papa Leone XIV per la sua elezione. Il
Pontefice incoraggia tutti a “un’azione missionaria della Chiesa, che sia
aperta a tutti”. Al contempo, il vescovo Bätzing ha ricordato i lunghi anni
della sua attività in America Latina e ha sottolineato in modo esemplare le
“esperienze sinodali” nella Chiesa locale. “Proprio le sue parole chiare su una
Chiesa sinodale che guarda avanti e vuole essere presente per tutte le persone
sono un’affermazione che dona a noi, come Chiesa in Germania, molta forza”.
Robert Francis
Prevost, come ex prefetto della Congregazione per i Vescovi, è stato uno dei
cardinali che hanno dialogato con i vescovi tedeschi da parte romana in merito
ai tentativi di riforma del controverso Cammino sinodale tedesco. In Vaticano
vi era il timore che l’interpretazione tedesca con solidi organi decisionali
sinodali portasse a una “specie di parlamentarismo” e potesse minare la facoltà
insegnamento dei vescovi. In un incontro intercorso tra i vescovi tedeschi e i
rappresentanti della curia vaticana di marzo scorso si è aperta una discussione
sfociata poi in un comunicato stampa congiunto: “I vescovi tedeschi hanno
garantito che questo lavoro servirà a sviluppare forme concrete di sinodalità
nella Chiesa in Germania, che saranno in conformità con l’ecclesiologia del
Concilio Vaticano II, con le disposizioni del diritto canonico e con i
risultati del Sinodo mondiale, e successivamente saranno sottoposte
all’approvazione della Santa Sede”.
Proprio questo
compromesso, a cui l’attuale Papa Leone ha contribuito in modo determinante,
gli avrebbe procurato anche i voti dei tre cardinali tedeschi. Uno dei
“kingmaker” che hanno fatto campagna per Prevost è il cardinale Reinhard Marx
di Monaco, che è anche Presidente del Consiglio di vigilanza per gli affari
economici e finanziari della Santa Sede. Domenica 18 maggio, alla messa del
nuovo Papa, la Germania sarà rappresentata dal Cancelliere Friedrich Merz e
dalla Presidente del Parlamento Julia Klöckner, entrambi cattolici.
Morta a Berlino
Margot Friedländer, testimone della Shoah
Margot Friedländer
è morta a Berlino alla veneranda età di 103 anni. Sopravvissuta all’Olocausto,
unica nella sua famiglia, Margot Friedländer è stata la “versione tedesca” di
Liliana Segre. Dedicò la sua vita a una missione, ossia che non si ripetessero
mai più i crimini della Germania nazista, tenendo centinaia di letture,
conferenze, facendosi portavoce per tutti quelli della sua generazione che non
potevano più esprimersi: per sua madre, suo padre, suo fratello diciassettenne,
e per i sei milioni di ebrei sterminati.
Lei stessa fu tra
i pochi sopravvissuti al campo di concentramento.
Successivamente
emigrò a New York e tornò a Berlino solo in età avanzata. Per Friedländer
“poter dare voce ai morti” fu grande motivo di rassicurazione, ma il suo scopo
non fu soltanto quello di condividere, bensì di lasciare anche un messaggio per
il futuro: “Noi siamo vecchi ormai. Adesso passo ai giovani il compito di
essere testimoni del nostro tempo”. Una frase resta quale suo testamento
speciale: “Sono venuta a tendervi la mano. Lo faccio per voi. Siate esseri
umani“. Un appello alla riconciliazione oltre ogni tempo e confine.
Luoghi in
Germania: Bad Dürkheim
La “Strada del
Vino” nel Palatinato è una delle zone più belle della Germania. I vigneti si
estendono sulle colline, nel percorso si trovano romantiche rovine di fortezze,
castelli, cantine vinicole e graziosi villaggi con case a graticcio. E proprio
in questa zona si terrà presto un importante incontro politico. Il nuovo
Cancelliere Friedrich Merz ha invitato il Presidente degli Stati Uniti Donald
Trump in Germania, per la precisione a Bad Dürkheim (20.000 abitanti).
L’invito riguarda
proprio gli antenati del Presidente Trump, originari della piccola località
vinicola di Kallstadt sulla Strada del vino nel Land della Renania-Palatinato,
appartenente al distretto di Bad Dürkheim. Anche il Cancelliere Merz ha un
legame con la stazione termale: fu infatti di stanza presso la caserma locale
durante il servizio militare. Kas 22/30
Comites Saar. Il legame inscindibile tra gli italiani all’estero e la loro
terra d’origine
In un momento
storico in cui il rapporto tra l’Italia e le sue comunità all’estero è messo
alla prova da nuove sfide legislative e sociali, Patrizio Nicola Maci,
presidente del Com.It.Es Saar, prende la parola con fermezza e passione per
dare voce a milioni di italiani nel mondo
Il suo intervento
è un richiamo forte all’identità, alla dignità e al valore dell’appartenenza:
un legame che va oltre le distanze geografiche e le barriere burocratiche. Con
parole cariche di significato, Maci denuncia il rischio di un progressivo allontanamento
istituzionale e chiede con determinazione il riconoscimento pieno del ruolo che
gli italiani all’estero svolgono ogni giorno nel tenere viva l’anima del nostro
Paese. Un discorso che è, al tempo stesso, dichiarazione d’amore per l’Italia e
richiesta di rispetto per chi continua a rappresentarla con orgoglio fuori dai
suoi confini. Qui il discordo di Patrizio Nicola Maci:
Oggi prendo la
parola in nome di tutti i miei colleghi, per parlare di un legame che non
conosce confini, né distanze, né barriere burocratiche: il legame tra gli
italiani all’estero e la loro terra d’origine.
L’Italia non è
solo un territorio, un insieme di città e paesaggi. L’Italia è un’anima,
un’identità che si tramanda da generazioni e che, lontano dalla Penisola, si
rafforza, si carica di significato, diventa bandiera e senso di appartenenza.
Paradossalmente,
siamo proprio noi italiani all’estero a sentire l’italianità con una forza e
una consapevolezza spesso più intensa di chi vive ogni giorno dentro i confini
nazionali. L’Italia, per noi, non è solo un luogo sulla carta geografica, ma un
faro che guida le nostre vite, che ispira il nostro lavoro e il nostro impegno
quotidiano.
Eppure, troppo
spesso l’italiano all’estero viene trattato come un cittadino di seconda
categoria. Troppo spesso il suo sacrificio, la sua dedizione, il suo contributo
vengono ignorati o ridotti a una questione burocratica. Questo non possiamo
accettarlo. Questo non deve più accadere.
Gli italiani nel
mondo non sono semplici spettatori della storia nazionale, né un numero da
conteggiare nelle statistiche. Siamo ambasciatori dell’Italia, siamo custodi
della sua cultura, siamo il ponte che lega la nostra madrepatria al resto del
mondo. E ogni giorno, con impegno e sacrificio, portiamo avanti un’eredità che
merita rispetto e riconoscimento.
Il nuovo Decreto
Legge sulla cittadinanza rischia di spezzare questo legame. Limitare il
riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis oltre la seconda generazione
significa non considerare il valore reale dell’appartenenza, significa creare
una distanza tra lo Stato e chi da sempre ha mantenuto vivo il proprio legame
con l’Italia.
Ma se l’Italia
vuole rafforzare davvero il suo legame con i suoi cittadini nel mondo, non può
limitarsi a ricordarsi di noi solo quando conviene. Deve riconoscerci,
valorizzarci e coinvolgerci. Non siamo un’appendice della nazione, siamo parte
integrante del suo presente e del suo futuro.
Eccellenza, il
legame con gli italiani all’estero non è solo una questione di diritti, è una
questione di identità, di dignità, di visione. Investire su di noi significa
investire sulla forza globale dell’Italia, su una comunità che non ha mai
smesso di amare e rappresentare con fierezza la propria terra d’origine.
Non chiediamo
privilegi, chiediamo rispetto. Non chiediamo concessioni, chiediamo
riconoscimento. Perché essere italiani non dipende dalla distanza geografica.
Essere italiani è un impegno che portiamo nel cuore, ovunque nel mondo.
Patrizio Nicola
Maci Presidente Com.It.Es. Saar, CdI on 28
In morte di Falcone. Le Acli Baviera sulla strage di Capaci
Il 23 maggio 1992,
a Capaci, il Giudice Falcone, la sua scorta ed innocenti, cadevano vittime
della cruenta mano della mafia, una strage annunciata, un affronto all’intera
Cittá, una sfida allo Stato. Le ACLI Baviera, in occasione del 33° anniversario di un atroce delitto che
, a distanza di qualche mese, avrebbe riproposto la crudeltá e
l’efferatezza dell’attentato, a Palermo
al Giudice Borsellino, di criminali mafiosi senza scrupoli e rispetto,
richiamano la societá civile, tutta, ad un’opposizione senza tregua, a
mantenere alti i valori e le finalitá di giustizia e legalitá che in Sicilia, e
non solo, Magistrati del rango di Falcone e Borsellino con elevato senso del
bene comune hanno sempre proposto ed affermato.
Qualche anno fa,
si registrava il gesto infamante dello sfregio al monumento eretto dai Genitori
del giovane Giudice Livatino, nella periferia di Agrigento, a ricordo, nel
luogo della sua morte per mano della mafia. Tutti questi avvenimenti, sacri
alla memoria, sollecitano tutti i Cittadini animati da rettitudine e probitá ad
armarsi di coraggio e fermezza nella
lotta contro le disgraziate ed insensate
ordalie mafiose.
Risuonano ancora
nella Valle dei Templi di Agrigento le
parole abbaglianti, di contagiosa commozione di Papa Giovanni Paolo II, a cento
anni dalla sua nascita: “Mafiosi ,pentitevi! Verrá il giorno del giudizio di Dio!
“ Un urlo agghiacciante , di tremenda, definitiva punizione.
Il Giudice
Falcone, anche convinto che la mafia fosse usata come paravento per celare
inadempienze, inefficienze, atti illeciti, propugnava un movimento antimafia
che favorisse la crescita sociale, eliminasse le disuguaglianze, diffondesse
lavoro e benessere. La mafia si combatte mostrando la sua vera identitá
liberticida e carogna per affermare che piú ancora della militanza, bisogna
estirpare e debellare i comportanti che appartengono alla mentalitá mafiosa.
L’intera classe
politica siciliana di oggi e domani, e non solo, avrá il compito, con lucida
determinazione, di superare gli atteggiamenti prevaricatori, da parassiti, tipici della cultura mafiosa diffusa e,
ancora percepibile nella corruzione prevaricante, nella gestione clientelare
della politica, nella mancata difesa e protezione dell’ambiente e
nell’inadeguata proposta turistica e valorizzazione del patrimonio culturale.
Spesso i luoghi in
cui si nasce impongono sugli esseri umani quasi un’irredimibile tirannia,
un’inesorabile dittatura dalla quale non tutti riescono a salvarsi. Neanche i
Giudici Falcone e Borsellino! Ma in
tutti, tali esempi di vita e di sacrificio impongono il risveglio delle
coscienze! Carmine Macaluso, Acli
Baviera, dip 23
A Wolfsburg l’Ambasciatore Fabrizio Bucci
Wolfsburg.
L’Ambasciatore d’Italia a Berlino Fabrizio Bucci ha fatto tappa a
Wolfsburg per una significativa visita istituzionale, all’insegna dei legami
storici e culturali tra Italia e Germania, e per incontrare la vivace comunità
italiana che da decenni contribuisce in modo straordinario allo sviluppo non
soltanto della città di Wolfsburg, ma dell’intera regione e all’economia
tedesca.
La giornata
dell’Ambasciatore è iniziata con un incontro con il personale dell’Agenzia
Consolare. A seguire, accompagnato dall’Agente Consolare Chiara Felicelli, ha
visitato lo storico stabilimento e la “Autostadt” della Volkswagen e incontrato
numerosi rappresentanti e membri della collettività italiana. La visita si è
conclusa al municipio, dove l’Ambasciatore è stato ricevuto dal Sindaco Dennis
Weilmann e ha firmato il Libro d’Onore della città.
“Wolfsburg non è
solo la città dell’industria automobilistica, ma è un esempio e un modello di
integrazione riuscita. Abbiamo comunità italiane in tante parti del mondo, ma
in poche altre città l’impegno civico è stato – e continua ad essere – così
profondo e sentito. L’affetto e il senso di riconoscenza che uniscono Wolfsburg
e l’Italia sono davvero esemplari. Ringrazio il sindaco Weilmann non solo per
la calorosa accoglienza di oggi, ma anche per l’impegno che ogni giorno
l’amministrazione cittadina dimostra nei confronti della comunità italiana“,
così l’Ambasciatore. Wolfsburg, simbolo dell’emigrazione italiana in Germania,
ha visto arrivare i primi “Gastarbeiter” italiani nei primi anni ’60, molti dei
quali trovarono impiego alla Volkswagen, contribuendo in modo determinante allo
sviluppo economico della città e diventando protagonisti attivi della sua vita
sociale, sindacale e istituzionale.
La visita si
inserisce anche nel contesto delle celebrazioni per il 50° anniversario del
gemellaggio tra Wolfsburg e la città di Pesaro, un legame che sarà celebrato
ufficialmente il 19 settembre 2025 con una serata di grande prestigio:
l’esecuzione dell’opera di Giacomo Rossini Il viaggio a Reims, a cura
dell’ensemble del Rossini Opera Festival di Pesaro, presso il rinomato Teatro
Sharoun di Wolfsburg, alla presenza di una delegazione ufficiale guidata dal
Sindaco di Pesaro. (Inform/dip 23)
A Francoforte e Darmstadt il “Galileo Galilei Science&Space Festival”
Francoforte. - Dal 12 al 14 giugno prossimi avrà luogo a
Francoforte e a Darmstadt la quinta edizione del “Galileo Galilei
Science&Space Festival”, un festival dedicato alla divulgazione della
cultura e dei temi scientifici e alla valorizzazione della straordinaria rete
di professori e ricercatori italiani presenti in Italia e all’estero.
La rassegna,
ideata e organizzata da Michele Santoriello dell’Ufficio culturale presso il
Consolato Generale d’Italia a Francoforte sul Meno, gratuita e aperta al
pubblico, vuole essere anche quest’anno testimonianza concreta del ruolo di
primissimo piano svolto dall’Italia nel campo della scienza di base e della
ricerca tecnologica.
La quinta
edizione, che si svolge nell’ambito della Giornata della Ricerca Italiana nel
mondo, presenta alcune importanti novità.
Si inizia giovedì
12 giugno, alle ore 19:00, al Physikalischer Verein di Francoforte con la
celebrazione dei 50 anni dell’ESA e una lectio magistralis in inglese di Ian
Carnelli, direttore del Dipartimento Sistemi del Centro Europeo di Tecnologie
Spaziali ESA-ESTEC (Noordwijk), che parlerà delle “Planetary Defense Activities
at the European Space Agency – Working Towards Protecting the Earth from the
Asteroids Threat”. Modererà l’incontro, in lingua inglese, Paolo Ferri del Club
culturale italiano ESOC-EUMETSAT. L’ingresso è gratuito e non è necessaria la
prenotazione.
Sabato 14 giugno
le relazioni del Festival si è terranno a Darmstadt, questa volta presso il
Presse Centre di ESA-ESOC, dove, a partire dalle 17:15, si avrà modo di
ascoltare Annalisa Dominoni e Benedetto Quaquaro, docenti presso il
Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, che terranno una conferenza
in italiano su “Design spaziale italiano – Abitare lo Spazio”. Introduce e
modera Silvia Sangiorgi.
Successivamente è
in programma una breaking news in italiano a cura di Elia Maestroni, ingegnere
dell’ESA, su “Biomass: an exceptional LEOP for an exceptional mission”. Modera
l’intervista Paolo Ferri.
Infine
l’intervento, in inglese, degli ingegneri Claudia Tranquilli e Enrique Ordas di
EUMETSAT su “Meteosat Third Generation Sounder – Objectives of MTG-S mission”,
con l’introduzione e la moderazione di Flavio Murolo.
Sempre sabato,
presso ESA-ESOC, un programma speciale in italiano sarà dedicato esclusivamente
agli studenti delle scuole bilingui.
A fine giornata il
pubblico sarà infine invitato dal Consolato Generale di Francoforte ad un
momento conviviale con i conferenzieri del Festival per degustare insieme
prodotti italiani e continuare a parlare di scienza.
Per partecipare
agli eventi gratuiti di sabato 14 giugno presso ESA-ESOC è obbligatoria la
prenotazione entro il 10 giugno, scrivendo all’indirizzo email
francoforte.culturale@esteri.it. (aise/dip 28)
Dachau. Una giornata indimenticabile…per non dimenticare
Una visita
al campo di concentramento di Dachau non rientra esattamente
nell’immaginario delle gite in compagnia, eppure, un gruppo di 50
persone della comunità italiana di Stoccarda ha accolto l’invito a
trascorrere una giornata al memoriale del campo di sterminio di Dachau, nei
pressi di Monaco. Promotore dell’evento, su iniziativa del gruppo terza età di
Vaihingen-Cristo Re, è stato Pino Tabbì, presidente delle ACLI di Stoccarda che
già più volte e sempre con positivo riscontro del pubblico, ha organizzato gite
e manifestazioni in collaborazione con i responsabili della comunità cattolica
italiana.
La giornata di
martedì 13 maggio si presenta fin dall’alba radiosa e calda e così, 50 persone
si avviano in autobus allegre e festanti fino ai cancelli di Dachau. Alla
scritta „Arbeit macht frei“ il clima di spensieratezza scompare per lasciare
spazio alla riflessione individuale. Ognuno elabora a modo proprio le
informazioni fornite dai pannelli sospesi come lenzuola al
vento nella baracca dell’economato del campo, che funge da museo
multimediale. Ci si immerge in una storia che sembra lontana, ma che a 80
anni dalla liberazione, è ancora presente nei ricordi trasmessi dai nostri
genitori. Apprendiamo la crudeltà umana giustificata dall’alibi
dell’obbedienza e della fede politica. Già dalla salita al potere del nazismo
del 1933 si programma, prima la deportazione e poi lo sterminio degli
avversari politici, dei socialisti, sinti e roma, degli omosessuali,
dei testimoni di Geova, dei clerici disobbedienti, degli „asociali“, dei
malati psichici, dei „vagabondi“, degli italiani non aderenti alla Repubblica
di Salò fino all’eclatante eliminazione dell’intero popolo ebraico. Reperti,
fotografie, biografie e la visita alle baracche ricostruite ci accompagnano per
tutta la mattinata.
Lasciato il campo
alle spalle, confinante con graziose villette e campi sportivi che accentuano
la contraddizione tra storia passata e presente, ci rechiamo a
pranzo in un folcloristico locale bavarese, con pietanze tipiche e camerieri
in costume. Dell’ottimo pranzo e delle torte di pasticceria ringraziamo il
contributo economico delle ACLI e della Comunità cattolica che hanno reso
possibile l’evento con un modico contributo da parte dei
partecipanti. Nel pomeriggio abbiamo visitato l’antica e ridente città
alta di Dachau, altrimenti sempre offuscata dal toponimo del lager,
che invece ci ha piacevolmente sorpresi passeggiando tra i fiori
del giardino panoramico attorno al castello barocco, con una vista
meravigliosa sullo skyline di Monaco, tra grattacieli e lo stadio in
lontananza.
Il viaggio di
ritorno, fortunatamente senza alcun traffico, ha concluso questa giornata,
per la cui realizzazione ringraziamo nuovamente i collaboratori
della missione e la comunità dei partecipanti , che ha dimostrato ancora
una volta il desiderio di trascorrere momenti insieme, non solo di preghiera o
svago, ma anche di storia e cultura. Paola Griffini, CdI on 19
Dresda. L’ambasciatore Bucci visita il nuovo laminatoio Feralpi Stahl a
Riesa
Dresda - Feralpi
Group, leader nella produzione di acciai, investe in Germania inaugurando il
nuovo laminatoio a Riesa presso Dresda, in Sassonia. All’evento, tenutosi ieri,
15 maggio, ha partecipato anche l’ambasciatore d’Italia a Berlino, Fabrizio
Bucci, assieme a personalità di spicco e rappresentanti istituzionali sia
italiani sia tedeschi, tra i quali il ministro per gli Affari europei, Tommaso
Foti, il ministro presidente della Sassonia Michael Kretschmer, Giangiacomo
Calovini della Commissione Affari esteri e comunitari della Camera, il ministro
di Stato della Sassonia per affari economici Dirk Panther e il presidente
Giuseppe Pasini di Feralpi Group e di Confindustria Lombardia.
“L’investimento di
Feralpi rappresenta un chiaro esempio della rilevanza delle relazioni
economiche bilaterali tra Italia e Germania, due delle maggiori economie
manifatturiere d’Europa”, ha detto l’ambasciatore Bucci. “Questo investimento,
simbolo di una lunga tradizione di collaborazione, sottolinea l’importanza
strategica del mercato tedesco per le imprese italiane. La cooperazione tra
Italia e Germania è uno dei principali motori per il rilancio della
competitività economica e industriale dell’intero continente europeo, in grado
di garantire sviluppo sostenibile e occupazione di qualità, tutelando nel
contempo il benessere dei cittadini”.
Feralpi Group è
tra i principali produttori siderurgici in Europa, specializzato nella
produzione di acciai. Con impianti in sette Paesi (Italia, Germania, Francia,
Spagna, Repubblica Ceca, Ungheria e Algeria) e circa 2.000 dipendenti, produce
annualmente 2,5 milioni di tonnellate di acciaio. In Germania è tra i
principali attori che producono acciaio da forni elettrici (con la controllata
Feralpi Stahl a Riesa, in Sassonia) e, in particolare, è il decimo produttore
di acciaio del Paese con una produzione di circa 1 milione di tonnellate di
acciaio l’anno che si apprestano a raggiungere 1,3 milioni di tonnellate l’anno
grazie a questo nuovo e importante investimento.
Il settore
siderurgico italiano è leader nel G7 per la produzione di “acciaio verde”
(circa l’86% della produzione totale) tramite il ciclo a forno elettrico.
L’industria italiana è anche all’avanguardia in termini di efficienza
energetica, con consumi per unità di prodotto ampiamente al di sotto della
media europea. Questo è un esempio virtuoso del nesso tra decarbonizzazione e
competitività industriale, fondamentale per affrontare le sfide della
transizione ecologica.
La Germania
continua ad essere il primo partner commerciale per l’Italia (interscambio di
ca. 156 miliardi di euro nel 2024) e il principale mercato di riferimento per
le esportazioni italiane, di circa 71 miliardi di euro (oltre 6 miliardi
derivanti dai prodotti metallurgici). La Germania rappresenta anche il
principale fornitore per l’Italia, con una quota di mercato del 14,9%, e il
principale cliente, con una quota dell’11,4%. Attualmente operano in Germania
oltre 2.100 imprese italiane, con un fatturato complessivo di quasi 90 miliardi
di euro e che forniscono lavoro a circa 146.000 persone. Con uno stock di
investimenti italiani che supera i 52 miliardi di euro, esse contribuiscono in
modo significativo alla crescita dell’economia tedesca e al rafforzamento delle
relazioni economiche tra i due Paesi. (aise/dip 16)
Würzburg e Siracusa unite da un gemellaggio ufficiale
Un’alleanza nata
nel 2018 diventa ufficiale il 17 maggio 2025: le due città rafforzano amicizia,
cooperazione e scambi culturali nel segno dell’Europa - Di Giuseppe Arena
Würzburg. Dal 17
maggio 2025, è ufficiale: la città tedesca di Würzburg e la città siciliana di
Siracusa sono gemellate. Questa partnership è il frutto di un’amicizia di lunga
data, iniziata nel 2018.
Questo evento
rappresenta un momento significativo che suggella il gemellaggio tra Würzburg e
Siracusa, promuovendo ulteriormente la collaborazione e la comprensione
reciproca tra le due comunità.
Il gemellaggio è
stato suggellato con una cerimonia nella Sala Wenzel del Municipio di Würzburg,
un luogo di grande storia e significato. Il sindaco di Würzburg, Christian
Schuchardt, ha espresso la sua convinzione che queste partnership siano un
segnale importante contro il nazionalismo e l’isolazionismo.
La cerimonia
solenne ha rappresentato un momento importante per rafforzare i legami di
amicizia e cooperazione tra le due città. Anche Alessandro Di Mauro, presidente
del Consiglio comunale di Siracusa, ha sottolineato che, nonostante la distanza
geografica di circa 2000 chilometri, ci sono molte affinità.
All’evento erano
presenti le alte cariche della città di Würzburg, tra cui il sindaco Christian
Schuchardt, il secondo sindaco Martin Heilig e il terzo sindaco Judith
Roth-Jörg. Erano accompagnati dai consiglieri comunali e dai sostenitori della
partnership, Nuccio Pecoraro ed Emanuele La Rosa.
Tra gli illustri
ospiti presenti vi erano il Console italiano di Francoforte, Massimo Darchini,
e personalità di spicco del panorama politico e istituzionale locale tedesco.
Una delegazione
ufficiale di Siracusa ha preso parte alla cerimonia per commemorare questo
momento storico e per esplorare le future prospettive del gemellaggio. Il
legame tra Würzburg e Siracusa potrebbe potenzialmente favorire lo scambio
culturale, la cooperazione economica e la stretta collaborazione in vari
settori della società.
Già prima della
partnership ufficiale, erano stati avviati numerosi programmi di scambio tra le
due città. Gli studenti del liceo Wirsberg di Würzburg hanno visitato Siracusa,
così come gli studenti di architettura dell’Università di Scienze Applicate di
Würzburg-Schweinfurt, che hanno tratto ispirazione dall’architettura della
città siciliana. Si prevede inoltre un ampliamento di questi programmi per
promuovere il dialogo interculturale.
„Un gemellaggio
può esprimere appieno il suo potenziale solo quando le persone lo vivono
pienamente“, ha suggerito Schuchardt.
Con questa
partnership, Würzburg e Siracusa lanciano un forte segnale a favore della
cooperazione europea e dello scambio culturale, evidenziando l’importanza delle
amicizie internazionali e del potere della cooperazione municipale al di là dei
confini nazionali. Dopo la firma dell’accordo di partenariato, i consiglieri
comunali Emanuele La Rosa e Antonino Pecoraro hanno ricevuto la medaglia del
partenariato della città di Würzburg per il loro impegno. CdI on 22
In Ambasciata a Berlino esponenti di GITEX Europe
Berlino -
L’Ambasciata d’Italia a Berlino ha ospitato ieri, 20 maggio, l’evento “Italian
Innovation Ecosystem – Shaping the future in Berlin”, organizzato in apertura
di GITEX Europe, la nuova fiera tecnologica internazionale che si tiene sino al
23 maggio presso il centro fieristico Messe Berlin.
L’evento,
organizzato da Italian Tech Alliance, ha riunito oltre 140 ospiti, provenienti
da ambiti diversi quali startup, venture capital, incubatori, e società di
consulenza, con l’obiettivo di promuovere la crescita delle startup,
rafforzando il corridoio innovativo transfrontaliero.
“Stasera è
l’occasione per ribadire qualcosa di strategicamente cruciale: Italia e
Germania sono pronte ad elevare il loro livello di cooperazione in tecnologia,
innovazione e venture capital. Condividiamo una comune ambizione, quella di
plasmare insieme il futuro dell’innovazione europea”, ha detto l’ambasciatore
Bucci, accogliendo gli ospiti. “L’Italia porta con sé un ecosistema di startup
vibrante e in rapida crescita, ricerca di livello mondiale e una tradizione di
ingegneria creativa. La Germania contribuisce con la sua scala industriale,
forza tecnologica e solida infrastruttura di capitale. Queste sono forze
complementari e, quando allineate, diventano un potente motore di crescita,
resilienza e trasformazione”.
La serata è stata
introdotta dagli interventi di: Massimo Carnelos, direttore dell’Innovazione
Tecnologica e delle Startup presso il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale; Ferdinando Fiore, direttore dell’Agenzia ICE di
Berlino; Gianluca Dettori, fondatore ed ex presidente dell’Italian Tech
Alliance; ed Eliomaria Narducci, segretario generale di ITKAM.
L’evento si è poi
articolato in due panel incentrati rispettivamente su Deeptech e ClimateTech,
nonché in una pitching session, con numerosi speaker dell’articolato panorama
delle startup e del venture capital italiano e tedesco.
Al panel sulla
Deeptech, con la moderazione dell’addetto scientifico dell’Ambasciata,
Piergiorgio Alotto, hanno contribuito: Jan Borgstädt di Join Capital; Costanza
Carissimo di Cathay Innovation; Giorgio Dell’Erba della Fondazione Chips-IT;
Gianluca Dettori di Primo Capital; e Stefano Peroncini di EUREKA! Venture. Nel
panel sulla ClimateTech, moderati da Doris Polli di Kiez by Science &
Statups, sono intervenuti: Luisa Candido di Terna; Leonardo Massa di Mito
Technology; Laura Möller di Kiez; Cristina Tomassini di CDP Venture Capital;
Danijel Viševic di World Fund.
Alla pitching
session, moderata da Matteo Picariello dell’Agenzia ICE, hanno partecipato:
Selene Micheletti di DAM; Edoardo Pasta di Mespac; Lorenzo Luce di
BigProfiles.ai; e Alain Baburgian di Contents.
GITEX Europe è la
versione europea di GITEX Global, uno dei maggiori eventi tecnologici a livello
internazionale, con focus su temi quali la digitalizzazione dell’economia
europea, innovazione e trasformazione digitale nelle industrie tradizionali,
cooperazione tecnologica tra Paesi UE e attori globali, promozione delle
startup europee verso mercati internazionali.
L’iniziativa, che
si inserisce anche nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile, è stata
realizzata con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale, dell’Agenzia ICE, di Kiez e di Join Capital.
(aise/dip 22)
“Identità oltre confine”: la Collezione Farnesina festeggia i 25 anni a
Berlino
Per festeggiare i
25 anni della sua Collezione d’arte contemporanea, che raccoglie opere di tutto
rilievo dell’arte italiana dagli anni Cinquanta ad oggi, la Farnesina promuove
una grande mostra itinerante per l’Europa.
Il progetto
espositivo, intitolato “Identità oltre confine” e curato da Benedetta Carpi De
Resmini, esplora il rapporto tra essere umano e natura, indagando i concetti di
identità, conflitto e coesistenza in un contesto segnato da crisi ambientali,
globalizzazione e trasformazioni sociali.
Promosso dal
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il progetto
si articola in tre mostre realizzate in collaborazione con gli Istituti
Italiani di Cultura di Berlino, Vilnius e La Valletta.
“Identità oltre
confine”, spiega Marco Maria Cerbo, capo dell’Unità per il coordinamento degli
Istituti Italiani di Cultura, “racchiude molti degli elementi essenziali della
diplomazia culturale: la circuitazione in luoghi importanti dello scenario
internazionale, il valore delle sinergie con i partner del comparto culturale,
la promozione all’estero di artisti italiani anche emergenti, che si
concretizza grazie alla rete diplomatico-culturale del Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale”.
La scelta
curatoriale si concentra sulle artiste presenti nella Collezione Farnesina. “Le
opere presenti in mostra”, evidenzia la curatrice Benedetta Carpi De
Resmini, “non sono state selezionate in base al genere, bensì individuate a
seguito di un’analisi approfondita della Collezione Farnesina, condotta nel
quadro della tematica che avevo scelto di affrontare inizialmente. Da tale
analisi è emerso come questi argomenti siano affrontati prevalentemente da
artiste donne. Il focus nasce dalla consapevolezza del legame profondo e
simbolico che storicamente unisce le donne alla natura. Tradizionalmente
associate alla fertilità, alla cura e alla Madre Terra, le donne offrono una
prospettiva sensibile e critica sui temi della sostenibilità, della crisi
ecologica e dell’identità”.
Le opere
selezionate riflettono quindi non solo la relazione tra essere umano e
ambiente, ma anche la posizione della donna nel discorso contemporaneo su
rigenerazione, ecologia e giustizia sociale. In un momento di crescente urgenza
planetaria, “Identità oltre confine” propone l’arte come strumento di
consapevolezza e cambiamento.
Le opere in mostra
offrono prospettive molteplici: da visioni intime e personali del rapporto con
la natura, a potenti critiche delle politiche estrattive e delle dinamiche di
potere globali. In questo dialogo tra arte, natura e società, si apre la possibilità
di una nuova narrazione, fondata non più sul dominio, ma su una coesistenza
armoniosa e rispettosa dei cicli vitali del pianeta.
Il percorso
espositivo riflette il rapporto dell’essere umano con l’“altrove”, spesso
percepito come ignoto o minaccioso. La mostra diventa così anche un momento di
riflessione sull’evoluzione della Collezione Farnesina, valorizzando il
contributo di artiste di diverse generazioni, con un focus sulle voci
emergenti. Il dialogo intergenerazionale che ne scaturisce arricchisce la
riflessione culturale, offrendo nuove chiavi di lettura per interpretare le
grandi trasformazioni del nostro tempo.
Il progetto si
articola in tre sezioni tematiche. La prima, Geografie del distacco, esplora
come la globalizzazione abbia trasformato il senso di identità e il legame con
la natura, generando crisi di appartenenza e distacco dall’ambiente. Le opere
offrono visioni alternative di identità in trasformazione tra radici e
adattamenti globali.
La seconda
sezione, Ecologie instabili, analizza le connessioni tra crisi ambientali e
disuguaglianze sociali, ponendo l’accento sulle conseguenze della
globalizzazione, dei conflitti geopolitici e delle nuove forme di protesta.
Radici di
resistenza, la terza sezione tematica, affronta il tema della natura come luogo
di resistenza e rinascita per l’identità femminile. Le opere denunciano la
mercificazione della natura e del corpo femminile, in un confronto con la
cultura patriarcale.
Al di fuori del
percorso espositivo, sarà esposta l’opera Fibonacci (1975) di Mario Merz,
recentemente acquisita nella Collezione Farnesina. La sequenza di Fibonacci,
metafora della crescita naturale, rappresenta l’intersezione tra ordine
matematico e processi organici, diventando simbolo di un sapere che supera i
confini identitari per abbracciare una prospettiva universale e interculturale.
Le artiste
presenti in mostra sono Carla Accardi, Letizia Battaglia, Elena Bellantoni,
Tomaso Binga, Silvia Camporesi, Gea Casolaro, Sarah Ciracì, Martina della
Valle, Loredana Di Lillo, Paola Gandolfi, Silvia Giambrone, Ketty La Rocca,
Maria Lai, Elena Mazzi, Rä di Martino, Elisa Montessori, Laura Pugno, Agnese
Purgatorio, Marta Roberti e Marinella Senatore.
Il progetto
prevede tre mostre internazionali, ospitate in altrettanti Istituti Italiani di
Cultura di tre capitali europee.
Prima tappa
Berlino, simbolo dell’Europa Centrale, crocevia di riconciliazione e
innovazione culturale e contesto ideale per riflettere sulle trasformazioni
identitarie post-globalizzazione. Qui la mostra debutterà il 19 giugno e sarà
allestita sino al 21 luglio. La mostra sarà accompagnata da un programma di
eventi collaterali, conferenze e momenti di dialogo con il pubblico. (aise/dip
20)
Amburgo: al “Caffè Letterario” dell’IIC il 3 giugno incontro letterario
Amburgo – Martedì 3 giugno alle ore 19:00 presso l’Istituto Italiano di
Cultura di Amburgo si terrà l’incontro della rubrica “Caffè Letterario”,
dedicato agli appassionati di letteratura italiana. Gli incontri del “Caffè
Letterario” si tengono in italiano e tedesco – generalmente una volta al mese –
e danno la possibilità a chi legge volentieri libri italiani di incontrarsi per
discutere su un libro letto a casa e scelto durante il precedente incontro,
scambiarsi opinioni, cercare nuove ispirazioni, decidendo insieme i prossimi
libri da leggere e discutere. La partecipazione agli incontri del Caffè Letterario
è sempre gratuita, ma è richiesta la registrazione sul portale
Eventbrite. Per l’incontro del 3 giugno prenotazioni su Eventbrite Gli
incontri del Caffè Letterario riprenderanno a settembre. Il tema dell’incontro
del 3 giugno sarà il nuovo romanzo di Andrea Bajani, candidato al Premio Strega
2025, edito dalla casa editrice Feltrinelli. Il romanzo dell’autore è un grido
di liberazione dal totalitarismo familiare; il ritratto che ne emerge è intenso
e chiarissimo: una donna a perdere, che ha sacrificato ogni cosa pur di contare
qualcosa per il marito, mentre lui tiene lei e i figli imprigionati in un
sistema dove il possesso e la richiesta d’amore si intrecciano in un vincolo
inscindibile.
È stato proposto da Emanuele Trevi al Premio Strega 2025 con la seguente
motivazione: “È una storia eccezionale, quella di Bajani, che infrange un vero
e proprio tabù: nelle prime pagine del libro incontriamo il protagonista che ci
racconta dell’ultima volta che ha visto i suoi genitori, prima di voltare le
spalle per sempre alla sua famiglia, disgregata dalla violenza del
padre-padrone e dalla muta, disperata sottomissione della madre. Per delineare
un’immagine credibile di questo inferno domestico e della fuga senza ritorno
del protagonista, il narratore ricorre alle risorse del romanzo per mettere
ordine nei dati dell’esperienza, spiccando quel salto mortale capace di
condurlo dall’informità del “reale” alla consistenza e alla leggibilità del
“vero”. Ed è solo così che una vicenda singola si trasforma in uno specchio in
cui tutti i lettori possono intravedere qualcosa che non conoscevano
direttamente, eppure li riguarda. L’anniversario è un romanzo avvincente e
originalissimo, che colpisce chi legge come un pugno nella testa e nella
pancia. Bajani non sente il bisogno né di condannare, né di perdonare, e ci
racconta quanto sia impervia e necessaria la via del riscatto”. Andrea Bajani è
uno scrittore italiano noto per la sua produzione di romanzi, racconti,
reportage, opere teatrali e traduzioni dal francese e dall’inglese. Nel corso
della sua carriera ha ricevuto importanti riconoscimenti: nel 2008 ha vinto il
Premio Super Mondello, il Premio Recanati e il Premio Brancati con il romanzo
Se consideri le colpe; nel 2011 si è aggiudicato il Premio Bagutta grazie al
romanzo Ogni promessa. Dopo aver collaborato con «L’Indice» e con
l’Osservatorio Letterario Giovanile del Comune, Bajani è diventato consulente
editoriale per la casa editrice Codice. I suoi articoli sono apparsi su diverse
testate, sia italiane che internazionali, tra cui La Stampa, l’Unità, il
manifesto, il supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore e il quotidiano francese
Libération. (Inform/dip 30)
Psichiatria. Eredità e impulsi fra Germania e Italia
“Come diceva
Basaglia, occorrono servizi che si confrontino con la “vita vera” delle
persone, che cambia continuamente, perché nulla rimane com’era nel passato. La
risposta deve essere flessibile, capace di cogliere il disagio reale delle
persone” (Luciana Degano Kieser).
Basaglia.
Radikales Denken, optimistisches Handeln, è un omaggio a Franco Basaglia (1924
– 1980) con un ampio ventaglio di contributi sulla psichiatria oggi in Germania
e in Italia alla luce della rivoluzione copernicana che lui ha operato.
Franco Basaglia è
stato un riformatore radicale della psichiatria nel senso di essere andato alla
radice di come affrontare la malattia mentale: il suo è stato un approccio
umanistico, convinto che la salute mentale non potesse essere considerata
separatamente dalle condizioni sociali. In un tempo nel quale i malati venivano
isolati, rinchiusi in manicomi dove si faceva anche ricorso alla violenza, il
lavoro di Basaglia sfociò in una legge che porta il suo nome, la 180/1978, la
prima al mondo ad aver portato alla chiusura degli istituti psichiatrici.
Il libro Basaglia.
Radikales Denken, optimistisches Handeln fa luce sull’impatto del suo pensiero
e sugli effetti delle sue azioni. Uscito lo scorso autunno per Psychiatrie
Verlag, nel centenario della nascita di Basaglia, solleva inoltre nuove
questioni che saranno discusse alla presentazione del libro.
Quando: il 20
maggio dalle 18:00 alle 20:00. Dove: presso la Heinrich-Schulz-Bibliothek,
Otto-Suhr-Allee 98, 10585 Berlino
Alla
presentazione, lettura e discussione interverranno: Luciana Degano Kieser,
psichiatra e curatrice del volume; Gudrun Weißenborn, pedagogista della
riabilitazione, ApK Berlin (associazione dei familiari di persone con problemi
mentali), e autrice; Lisa Schmidt-Herzog, dottoranda all’Institut IMGWF
(istituto di storia della medicina e della ricerca scientifica), Università di
Lubecca e autrice.
Ne parliamo con
Luciana Degano Kieser*, psichiatria e cocuratrice del volume.
Qual è la genesi
del libro che mette insieme contributi dalla Germania e dall’Italia sulla
psichiatria nel “dopo Basaglia”?
Innanzitutto il
libro è edito da una casa editrice molto nota in Germania, che di solito
si rivolge a un pubblico informato, quindi professionisti ma anche familiari e
persone con problemi di salute mentale. Dobbiamo precisare che l’organizzazione
sanitaria tedesca è profondamente diversa da quella italiana; la discussione su
questi temi avviene solitamente in fori specifici, gestiti dalle organizzazioni
professionali o di autoaiuto (Selbsthilfe), sia di utenti che di familiari, ma
anche da associazioni di persone con interessi specifici in questo ambito o da
imprese. Quindi la discussione sulla psichiatria, sulla sua storia e le sue
istituzioni non fa parte del dibattito pubblico. In Italia invece, dagli anni
’60, il dibattito ha avuto luogo nella società, nel suo insieme e ha portato a
diverse riforme. Si pensi all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale
(1978), alla legge sulla riforma psichiatrica dei servizi (legge Basaglia
180/1978), avvenute in un’epoca in cui abbiamo avuto anche la riforma della scuola.
L’ Italia è stata a lungo uno dei pochi Paesi ad avere scuole completamente
integrate per l’inserimento di alunni diversamente abili. Era il 1977. In
quegli anni c’è stata anche la riforma del diritto di famiglia (1975) che
eliminava la disparità di genere tra i coniugi.
Molte personalità
della cultura hanno partecipato al dibattito pubblico su questi temi in italia,
non solo sulla qualità dei servizi, ma anche sull’inclusione sociale e sul suo
impatto nella società. In Germania il dibattito è stato molto specialistico, anche
molto intenso, ma condotto prevalentemente tra esperti, persone con esperienza
diretta di problemi di salute mentale, operatori e professionisti, ma
anche corporazioni e produttori/ fornitori di servizi.
Questa è la
differenza fondamentale nel dibattito sulla psichiatria fra i due Paesi: Per
questo il libro vuole, per la prima volta dopo le pubblicazioni degli anni ’80,
cercare di aprire un discorso transnazionale, che, al di là delle rispettive
strutture sanitarie, proponga di ragionare insieme sui temi sollevati da Franco
Basaglia, figura di spicco nel movimento di riforma europeo.
L’eredità di
Basaglia è imprescindibile negli attuali dibattiti in psichiatria?
Il libro si
propone di riaprire il discorso sui temi della salute mentale, a partire dal
pensiero di Basaglia, sottolineandone l’attualitá e la rilevanza nel dibattito
contemporaneo sulla e nella psichiatria. Bisogna tener presente che,
mentre in Italia, negli ultimi 20 anni, si registra un aumento del numero delle
pubblicazioni e dell’interesse pubblico relativi alla figura di Basaglia, in
Germania la discussione è rimasta un po‘ ancorata a qualche pubblicazione degli
anni ’80, fortemente connotata dalle ideologie dell’epoca. Va detto anche che
allora, in quasi tutti i Paesi occidentali, è iniziata una grande ondata di
riforme in psichiatria, gestite con modelli attuativi molto diversi. Allora era
possibile definire dei fronti opposti, i sostenitori e i detrattori del
manicomio. In Germania prevalse la linea dei sostenitori, anche se di fatto i
manicomi di allora non ci sono più neanche in Germania, con l’eccezione della
psichiatria forense. In Germania, ad esempio a Berlino, abbiamo ancora manicomi
criminali, in cui le gli spazi di vita e di cura ricordano i manicomi dl secolo
scorso. Nel libro ci sono anche testi di Franco Basaglia, di Franca Ongaro
Basaglia e di Franco Rotelli, tradotti per la prima volta in tedesco e che ci
introducono nelle diverse sezioni del libro. Ciascun autore scrive dal suo
punto di vista. Nel mio contributo affronto il tema del prendersi cura che è,
secondo me, uno degli aspetti più interessanti dell’eredità di Basaglia e che
va anche al di là delle strutture dell’assistenza, ma è un’etica del prendersi
carico dei problemi degli altri, che cambiano nel corso del tempo. Paola
Colombo, CdI on 16
Da Brexit al riavvicinamento: il vertice UE–Regno Unito riaccende il
dialogo
Il vertice fra
Unione Europea e Regno Unito del 19 maggio ha sancito il reset delle relazioni
bilaterali. Il riavvicinamento fra Bruxelles e Londra, fortemente voluto dalla
Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier
laburista Keir Starmer, si svolge alla luce dei cambiamenti internazionali
forzati dalla nuova amministrazione americana di Donald Trump, che hanno
evidenziato le sfide comuni alle quali i due partner europei devono far fronte.
Tuttavia, UE e Regno Unito hanno rischiato di incagliarsi su annose questioni,
come l’accesso alle risorse ittiche e l’immigrazione, superate con un
compromesso dell’ultimo minuto. Si tratta però di una svolta chiave che inverte
la rotta delle relazioni dopo la Brexit.
I contenuti
dell’accordo
Dopo un’intensa
fase negoziale, il summit si è concluso con l’adozione di tre documenti. Il
primo, un Geopolitical Preamble, individua le principali sfide comuni che
Londra e Bruxelles si trovano ad affrontare, a partire dalla minaccia
rappresentata dalla Russia per la sicurezza europea. Tuttavia, i documenti di
maggiore rilevanza politica sono gli altri due: il Security and Defence
Partnership (SDP), un accordo in materia di sicurezza e difesa, e il Common
Understanding, che apre la strada a negoziati approfonditi sui principali
dossier economici.
Il primo documento
rappresenta l’architrave dell’accordo, segnando il superamento della dimensione
strettamente bilaterale tra Stati membri e aprendo la strada a una prima forma
di cooperazione strutturata tra UE e Regno Unito. L’intesa prevede l’istituzione
di dialoghi semestrali a livello ministeriale, oltre alla partecipazione
reciproca a vertici di alto livello inclusi i Consigli Europei. È inoltre
previsto un dialogo annuale sulla difesa, oltre alla possibilità per il Regno
Unito di prendere parte a esercitazioni di crisis management nell’ambito della
Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC). Sul fronte della cooperazione
nell’industria della difesa, viene delineata la possibilità di un
coinvolgimento del Regno Unito — e delle sue imprese — nell’iniziativa SAFE,
subordinato a un contributo finanziario da parte di Londra e alla firma di un
ulteriore accordo che sancisca i dettagli della partecipazione britannica.
Resta inoltre aperta l’opzione di un accordo amministrativo con l’Agenzia
Europea per la Difesa (EDA), che consentirebbe la partecipazione a progetti
militari congiunti anche nel quadro della PESCO.
Il Common
Understanding apre la strada a piccoli, ma significativi progressi nella
relazione economica e commerciale, delineando un ampio quadro di cooperazione
futura su temi quali pesca, mobilità, agroalimentare ed energia. Tra i punti
principali figura l’estensione fino al 2038 dell’attuale accordo che consente
l’accesso delle imbarcazioni europee alle acque britanniche. In cambio, Londra
potrà esportare prodotti agroalimentari senza ulteriori controlli veterinari e
fitosanitari, una misura che, secondo le stime britanniche, potrebbe recuperare
circa 9 miliardi di interscambio entro il 2040. Questo comporta però un
allineamento dinamico alle normative UE e, in ultima istanza, la possibilità di
ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE. Sul piano energetico, Bruxelles si
impegna a valutare l’adesione del Regno Unito al mercato elettrico interno,
mentre entrambe le parti esploreranno il possibile allineamento dei rispettivi
sistemi di scambio delle emissioni (ETS), una soluzione che esenterebbe Londra
dalla carbon tax europea in vigore dal 1° gennaio 2026.
Più limitati i
progressi sul fronte della mobilità, che riguarda studenti, giovani, artisti e
turisti. L’intesa si limita infatti a prevedere l’avvio di un dialogo verso un
possibile accordo, senza però assumere impegni vincolanti. Il tema resta
particolarmente delicato per il governo britannico, preoccupato che un aumento
degli ingressi possa tradursi in un rialzo dei dati sull’immigrazione, con
possibili contraccolpi sull’opinione pubblica interna.
Le ragioni
dell’accordo
Non è casuale che
un simile accordo sia stato siglato ora e che, dopo anni di tensioni
post-Brexit, Regno Unito e UE siano tornati a parlarsi con profitto. L’intesa
si inserisce infatti in un momento di profondo cambiamento per l’Europa,
nell’ambito del quale Bruxelles e Londra riconoscono di essere partner
naturali. In particolare, la presidenza Trump ha messo in dubbio i capisaldi
della cooperazione transatlantica e del sostegno occidentale all’Ucraina.
Proprio il fermo sostegno mostrato da UE e Regno Unito a Kyiv a fronte delle
pressioni americane e la stretta cooperazione fra Londra e alcuni partner
europei per il lancio di una “coalizione dei volenterosi” che garantisca un
possibile accordo di pace hanno probabilmente favorito un riallineamento più generale
fra le due sponde della Manica. Il capitale politico generato in questo modo è
stato poi utilizzato per superare, almeno parzialmente, le divergenze più
settoriali.
Inoltre, sullo
sfondo rimane il tema del possibile disimpegno americano dalla difesa
dell’Europa, che rende indispensabile un approfondimento della cooperazione in
materia di sicurezza e difesa. Il Regno Unito rimane infatti una delle
principali potenze militari europee, è membro chiave della NATO e del Consiglio
di Sicurezza dell’ONU, e dispone di un’industria della difesa comunque già
integrata con quella di paesi europei come Germania e Italia. Non è casuale che
proprio questi due paesi abbiano spinto per l’apertura del fondo SAFE anche a
paesi terzi, in modo da salvaguardare le cooperazioni in corso e potenzialmente
rilanciarle. È stata invece la Francia a premere per l’introduzione di clausole
che leghino l’utilizzo di queste risorse all’acquisto di prodotti dell’UE. Il
compromesso raggiunto prevede quindi che il 65% dei fondi venga utilizzato
nell’UE, ma che le risorse possano anche essere utilizzate per acquisti da
compagnie di paesi terzi che abbiano firmato patti di sicurezza con l’UE. Per
questo, l’accordo con Londra è di vitale importanza, sia per la difesa europea,
sia per gli interessi economici britannici.
Un primo passo
nella giusta direzione
La cooperazione
fra Regno Unito e UE è più che mai necessaria alla luce del contesto
internazionale, che vede in questi giorni i leader britannici ed europei
lavorare a stretto contatto per mantenere un ruolo nei negoziati sull’Ucraina.
Il reset certamente garantisce più credibilità a questa collaborazione e
riporta le due parti sulla strada del dialogo. Rimangono tuttavia delle sfide
aperte. Da un lato, per l’UE si tratta di cooperare con efficacia con Londra su
temi chiave, pur mantenendo il punto sulla supremazia del diritto UE, una delle
principali ragioni che aveva spinto il Regno Unito fuori dall’Unione. L’intesa
sull’allineamento dinamico alle norme UE costituisce un primo assaggio dei
compromessi politicamente sensibili che le due parti sono chiamate ad
accettare.
Dall’altro, il
governo Starmer dovrà affrontare profonde pressioni politiche domestiche.
L’ascesa del movimento politico Reform di Nigel Farage indica come le istanze
isolazioniste siano ancora molto forti. Il premier laburista è stato quindi
costretto a non cedere eccessivamente su temi caldi come quello migratorio,
rischiando di compromettere l’accordo. Allo stesso tempo, Starmer deve anche
salvaguardare la relazione speciale con Washington, uno dei capisaldi della
politica estera britannica, nel momento in cui l’amministrazione USA si
dimostra profondamente ostile alle istituzioni UE.
L’accordo del 19
maggio costituisce, al momento, un’intesa quadro destinata a essere precisata
attraverso negoziati lunghi e complessi, in particolare sui dossier più
sensibili, e l’esito di queste trattative sarà determinante nel definire i
contorni futuri della relazione tra UE e Regno Unito. Nonostante queste sfide,
tuttavia, questo accordo costituisce il primo passo di un’inversione di rotta
necessaria che riavvicina due partner inevitabili. Luca
Cinciripini | Luca Barana, AffInt 27
Una vita senza
crisi è veramente vissuta o semplicemente sopravvissuta? Una domanda che ha
risuonato nei corridoi del tempo, del pensiero e della coscienza. Un quesito
forse retorico nel tono, ma profondamente esistenziale nella riflessione.
Esistere, senza aver mai conosciuto la crisi, significa trovarsi in un vuoto:
sicuro, ma sterile. La vita, nel suo massimo splendore, non si apprezza per la
sua facilità, ma per la profondità del cambiamento che la crisi comporta.
Avendo percorso
una distanza intellettuale, emotiva ed esistenziale come pochi avrebbero potuto
immaginare nel mio viaggio filosofico, io, Dr. Sethi K.C., posso testimoniare
che la crisi non è un’eccezione alla vita, ma una certezza attraverso la quale
l’anima si carica. Questo articolo è un tentativo di discernere la natura
multidimensionale delle crisi della vita in termini di esperienza vissuta,
principi filosofici, intuizioni psicologiche ed esempi paradigmatici.
Comprendere la
crisi: un preludio filosofico
La parola
"crisi" deriva dal greco "krisis", che significa decisione
o punto di svolta. Filosofi come Socrate e Kierkegaard (teologo e filosofo
danese) l’hanno definita come una necessità esistenziale, un momento in cui
decisione, verità e identità si incontrano. In psicologia, è una condizione di
massima esposizione che può distruggere o costruire la psiche. Ho sempre
creduto che la vita, essendo poesia, tragga il suo ritmo non dalla continuità,
ma dalle interruzioni, dai silenzi e dagli scoppi. Le crisi, per i nostri fini,
sono i segni di punteggiatura della vita: ognuna è una virgola, un punto e
virgola o un punto esclamativo che richiede introspezione e revisione.
Le sette Crisi
della vita: un’Odissea di sviluppo interiore
Ci incamminiamo
ora in un viaggio attraverso le sette grandi crisi, considerando ciascuna da un
punto di vista filosofico, psicologico e esperienziale.
1. La Crisi del
quarto di vita: l’infrangersi delle illusioni
Filosoficamente,
la crisi del quarto di vita è un conflitto tra le realtà socialmente costruite
e il sé appena scoperto dell’individuo. Verso i 25 anni, le persone si sentono
disilluse dopo aver completato gli studi ed essere entrate nel mondo del lavoro.
L’identità costruita dai genitori, dalle istituzioni e dai media non è più
applicabile.
Esempio: Una volta
consigliai uno studente di talento che lasciò un lavoro ben retribuito per
insegnare ai bambini svantaggiati. La sua crisi lo condusse all’autenticità.
Intuizione
psicologica: Questa è una crisi di diffusione dell’identità, ansia e
interrogativi esistenziali. Il psicoanalista tedesco-americano Erik Erikson la
definì come la fase "Identità contro confusione di ruoli".
2. La Crisi di
mezza età: lo specchio della mortalità
A metà della vita,
si prende coscienza del tempo limitato. Filosoficamente, è un richiamo ad
abbandonare obiettivi superficiali e a riportare la vita in sintonia con un
significato profondo.
Esperienza di
vita: Raggiunti i 40 anni e il successo professionale, sentii un vuoto profondo
in me. Solo attraverso l’indagine filosofica e l’immaginazione mi sentii di
nuovo completo.
Illustrazione: Un
uomo guarda la propria immagine nello specchio, vedendo non solo il proprio
volto, ma i sogni abortiti.
Intuizione
psicologica: Carl Jung (psichiatra e psicoterapeuta svizzero) considerava la
crisi di mezza età come l’inizio dell’individuazione, in cui si integrano tutti
gli aspetti del sé, incluso l’ombra.
3. La Crisi
esistenziale: danza con il vuoto
La crisi
esistenziale non nasce da cambiamenti esterni, ma da una disintegrazione
interna quando la vita appare priva di significato.
Paradigma
filosofico: La "teoria dell'abisso" del filosofo tedesco Nietzsche e
"l’assurdo" di Camus lo descrivono perfettamente. La crisi
esistenziale ci costringe alla disperazione o alla creazione di senso.
Osservazione
personale: Mi capitò durante una malattia. Il corpo crollò, lo spirito si
interrogò, ma l’anima divenne più consapevole.
Comprensione
psicologica: Spesso è l’effetto post-traumatico, la depressione o un grande
cambiamento. Il neurologo e psicologo austriaco Viktor Frankl considerava la
creazione di significato come antidoto al vuoto esistenziale.
4. La Crisi del
nido vuoto: la chiusura di un capitolo
Quando i figli
crescono e lasciano il nido, le madri soffrono facilmente una perdita
d’identità.
Illustrazione: Un’amica,
madre lavoratrice, ha sofferto profondamente fino a quando iniziò a dipingere,
usando il dolore come arte.
Intuizione
filosofica: Questa crisi ricorda il distacco, richiamando l’insegnamento del
distacco della Bhagavad Gita.
Intuizione
psicologica: È una ridefinizione dello scopo e dell’autostima al di fuori del
ruolo di cura.
5. La Crisi da
trauma o malattia: il corpo come indovino
Malattie o traumi
gravi ci ricordano la nostra mortalità. Per me, una stretta vicinanza alla
morte fu un’epifania.
Prospettiva
filosofica: Gli Stoici affermavano che riconoscere la morte purifica i valori.
Le emergenze mediche distruggono i miti dell’onnipotenza e invulnerabilità.
(Gli stoici sono seguaci dello Stoicismo, scuola di filosofia ellenistica che
enfatizza la virtù e il vivere secondo natura).
Illustrazione: Una
donna paralizzata dalla malattia scopre una quiete e una purezza che non aveva
mai conosciuto.
Prospettiva
psicologica: Il trauma può generare PTSD ma anche una Crescita Post-Traumatica
(PTG), cioè l’emergere di resilienza, compassione e nuova visione.
6. La Crisi del
pensionamento: l’ultima danza dell’Ego
La cosiddetta
pensione, riconosciuta socialmente, è in realtà una tempesta interiore. Il
lasciare un’identità strutturata comporta una sensazione di sparizione
esistenziale.
Il mio
pensionamento dal lavoro a tempo pieno fu difficile, ma in quel silenzio
scoprii la profondità dell’esistenza.
Parallelo
filosofico: La filosofia buddista insegna la disintegrazione dell’ego come via
all’illuminazione. Il pensionamento rappresenta la prova.
Intuizione
psicologica: Questa crisi può portare depressione o perdita di autostima a meno
che non venga trasformata in nuove attività come volontariato o mentoring.
7. La Crisi
d’identità: il mutante interiore
Innescata da
trasferimenti, transizioni di genere, cambi di carriera o conversioni
religiose, questa crisi costringe a un esame profondo della propria identità.
Esempio: Una donna
da me consigliata si convertì a una nuova religione e sperimentò conflitto
interiore ed esclusione sociale. Ma ne uscì rafforzata.
Intuizione
filosofica: L’identità non è statica. Come disse il filosofo greco Eraclito,
"Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume."
Intuizione
psicologica: In altre parole, si tratta di gestire la dissonanza cognitiva e
ricostruire il sé narrativo.
La Crisi
universale: una convergenza filosofica
Ciascuna di queste
crisi condivide un elemento essenziale: la rimozione della maschera, lo scontro
con la propria realtà.
Come dico spesso:
"Il dolore rivela ciò che il conforto nasconde." C’è uno specchio,
una porta, una fucina dentro ogni crisi. Naturalmente, solo i coraggiosi ci
entreranno, ma non solo saranno cambiati: saranno trasformati.
Navigare nella
Crisi: un cammino verso la comprensione
1. Accogli
l’incertezza: Adotta un atteggiamento di "non-sapere" come terreno
fertile per la comprensione.
2. Interrogati:
Chi sono oltre i ruoli? Quali sono le cose che contano davvero?
3. Riscrivi la
storia: Vedi la crisi come maestra, non come tiranna.
4. Coinvolgi il
corpo: Movimento, respiro, quiete ancorano la mente.
5. Cerca
compagnia: La guarigione non è solitaria. Condividi, crea legami, comunica.
Illustrazione: Mio
padre diceva spesso: "Come l’oro si affina nel fuoco, l’anima si affina
nella crisi."
Conclusione: la
Crisi come catalizzatore della Coscienza
Galleggiare sulla
superficie della vita senza toccare profondità né divinità è esistere in una
condizione senza crisi. La crisi, con tutto il suo tumulto e fragore, è stata
per me una chiamata divina a immergermi nel pozzo del sé, a stare di fronte
alle ombre e a irradiarne la luce.
La mia esistenza è
stata una lotta nel superare una sequenza di crisi, non come battaglie vinte o
perse, ma come iniziazioni a una consapevolezza più ampia. La poesia che
scrivo, la filosofia che vivo e l’eredità che spero di lasciare sono tutte
temprate nel fuoco di questo cambiamento.
Non temiamo dunque
la crisi, ma rispettiamola. Avviciniamoci alla sua tempesta non con paura, ma
con apertura. Perché nella crisi, non moriamo: ci rivitalizziamo.
Krishan Chand
Sethi, dip 20
Il complesso allargamento europeo verso i Balcani
L’invasione russa
dell’Ucraina ha spinto l’Unione Europea ad agire in diversi ambiti: da una
maggior diversificazione dell’approvvigionamento energetico alla definizione di
un massiccio piano di investimenti in difesa. Nel contempo, le mire
espansionistiche di Putin — unite ai tentativi della Cina di espandere la sua
sfera di influenza — hanno riportato in primo piano il tema dell’allargamento
dell’UE, in particolare verso i Paesi dei Balcani occidentali. L’apertura di
Bruxelles verso queste nazioni, da tempo candidate a divenire parte dell’UE,
continua però a palesare degli elementi critici che, allo stato attuale,
rendono ardua un’accelerazione del loro processo di integrazione nell’Unione.
Queste
problematiche, in larga parte, sono legate alla situazione
politico-istituzionale dell’area, che si è fatta negli ultimi anni più
complessa, con massicce proteste di piazza, aspri scontri tra poteri dello
Stato e rinnovate tensioni tra diverse etnie. In questo contesto appare
particolarmente problematica la situazione della Bosnia-Erzegovina, Paese che
continua a vivere sulla base del precario equilibrio stabilito dagli Accordi di
Dayton del 1995. Qui, da anni, i vertici della Repubblica Srpska contestano
l’ordine costituzionale definito su base internazionale e portano avanti
un’agenda indirizzata a separare la componente serbo-bosniaca dal resto del
Paese. Gli atti di aperta sfida all’assetto costituzionale sono stati negli
ultimi mesi di tale gravità da indurre la magistratura di Sarajevo a
spiccare un (finora inefficace) mandato d’arresto nei confronti dei leader
della Repubblica Srpska: il Presidente Dodik, il Primo Ministro Viskovic e il
Presidente del Parlamento, Nenad Stevandic. Una secessione appare improbabile —
vista anche la condanna delle azioni dell’esecutivo della Repubblica Srpska da
parte dell’amministrazione Trump — ma una Bosnia ancora frammentata e dalla
sovranità limitata non ha dinanzi a sé una prospettiva di accesso all’Unione
Europea in tempi brevi. Particolare attenzione merita anche la situazione della
Serbia. Sotto la presidenza di Aleksandar Vu?i?, Belgrado ha mantenuto solide
relazioni con la Russia e non ha compiuto passi significativi verso un
autentico sistema liberaldemocratico capace di garantire la tutela dei diritti
fondamentali della persona e dello stato di diritto. Le ampie proteste degli
ultimi mesi a seguito del crollo di una pensilina nella stazione ferroviaria di
Novi Sad — incidente che ha causato la morte di 15 persone e che è stato visto
come emblematico del malfunzionamento dell’amministrazione pubblica — hanno
aperto una frattura senza precedenti nel rapporto tra il leader del Partito
Progressista Serbo e la cittadinanza. Tuttavia, assumere che questo possa
aprire la strada a un più stretto legame tra Belgrado e Bruxelles appare, al
momento, eccessivamente ottimistico.
Anche dal lato
dell’Unione Europea ci sono però elementi che non facilitano l’avvicinamento
alla regione balcanica. In primo luogo, i 27 Paesi membri — che devono
deliberare all’unanimità l’accesso di uno Stato nell’UE e poi ratificarlo
a livello nazionale — attribuiscono diversi gradi di rilevanza all’integrazione
dell’area: alcuni, come Germania e Paesi Bassi, spingono verso un rapido
percorso di integrazione, altri, come Bulgaria e Grecia, frenano, anche per
dispute storiche. In secondo luogo, sussistono legittime preoccupazioni in
merito al funzionamento delle istituzioni e dei meccanismi decisionali
euro-unitari. Un ingresso accelerato di questi Paesi nell’UE al fine di
includerli rapidamente nella sfera di influenza comunitaria aumenterebbe
infatti il rischio di portare all’interno della casa europea degli Stati
istituzionalmente fragili (come avvenuto nel caso di altre nazioni dell’est)
che, su dossier fondamentali, potrebbero ad esempio esercitare un deleterio
potere di veto, vista la perdurante esistenza su molte materie del requisito
dell’unanimità.
Alcuni Stati della
regione, come Albania e Montenegro — già membri della NATO e politicamente più
stabili rispetto a quelli sopra menzionati — potrebbero anche nel breve-medio
periodo riuscire ad accedere all’UE ma, per altri, questa strada sembra, almeno
per il momento, difficilmente percorribile. Ecco, dunque, che sui Balcani
occidentali, come su altre aree, torna inevitabilmente in rilievo il dibattito
su altri modi con cui l’Unione Europea potrebbe cercare di allargare la propria
sfera di influenza. È l’ingresso nella (attuale) UE l’opzione più valida per
perseguire questo obiettivo?
La proposta di dar
vita a un’Europa a cerchi concentrici, caratterizzata da diversi livelli di
integrazione, potrebbe rappresentare una valida soluzione alternativa: in
quest’ottica, gli Stati più istituzionalmente (ed economicamente) “avanzati”
potrebbero procedere con un’integrazione sempre più federale, mentre gli altri,
almeno temporaneamente, sarebbero coinvolti in una cornice istituzionale più
affine al modello confederale. Questa possibile riforma del progetto di
integrazione europea — sostenuta, fra gli altri, dal presidente francese
Emmanuel Macron — stenta però a decollare e, per ora, neppure l’invasione russa
dell’Ucraina è riuscita a darle una particolare spinta propulsiva. Chissà se la
nuova leadership tedesca, unita a un rinnovato asse Parigi-Berlino, riuscianno
però a mettere (finalmente) la questione sul tavolo delle cancellerie europee.
Matteo Bursi
L’articolo è stato
elaborato nell’ambito di “Focus Geofinanza. Osservatorio IAI-Intesa Sanpaolo
sulla geofinanza. AffInt.27
Addio alla carta d’identità cartacea dal 2026
Cosa devono sapere
gli italiani all’estero
Dal 3 agosto 2026,
la carta d’identità cartacea non avrà più alcun valore legale. La notizia,
diffusa recentemente dai consolati italiani all’estero, rappresenta un
cambiamento importante per centinaia di migliaia di cittadini italiani
residenti fuori dai confini nazionali, molti dei quali ancora in possesso
esclusivo del vecchio documento cartaceo.
Indipendentemente
dalla scadenza stampata sul documento, la validità cesserà automaticamente ad
agosto 2026. I consolati invitano dunque chi non possiede anche un passaporto
valido a prenotare al più presto un appuntamento per il rilascio della nuova
Carta di Identità Elettronica (CIE). Il vecchio documento verrà ritirato il
giorno stesso dell’appuntamento.
Ma cosa comporta
davvero questo cambiamento? E quali sono i passi da seguire per ottenere la
nuova CIE se si risiede all’estero?
La Carta di
Identità Elettronica è un documento di riconoscimento personale in formato
tessera plastificata, dotata di microchip, che sostituisce a tutti gli effetti
la vecchia versione cartacea.
Ha la stessa
validità legale in Italia, permette di viaggiare nei Paesi dell’Unione Europea,
nei Paesi Schengen (come Norvegia, Islanda, Svizzera), e in alcune altre
nazioni con cui esistono accordi bilaterali. Ma la vera novità è che la CIE
consente l’accesso sicuro ai servizi digitali della pubblica amministrazione
italiana, come l’INPS, l’Agenzia delle Entrate, il Fascicolo Sanitario
Elettronico e molto altro.
A chi può essere
rilasciata la CIE all’estero?
La CIE può essere
richiesta esclusivamente dai cittadini italiani residenti all’estero che:
– sono
regolarmente registrati all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti
all’Estero);
– risiedono nella
circoscrizione consolare del consolato presso cui fanno domanda;
– hanno i dati
anagrafici correttamente registrati presso il Comune italiano di riferimento.
Chi non è ancora
iscritto all’AIRE dovrà prima regolarizzare la propria situazione anagrafica
accedendo al portale consolare Fast It e attendere che il Comune italiano
competente completi l’iscrizione. Solo dopo sarà possibile fare domanda per la
CIE.
Particolare
attenzione devono prestarla i cittadini italiani nati all’estero: affinché la
loro situazione sia regolarizzata, l’atto di nascita deve essere già trascritto
nei registri di Stato civile del Comune italiano di riferimento.
Infine, se si è
cambiato indirizzo di residenza rispetto a quello comunicato al consolato, è
necessario aggiornare i dati attraverso il portale Fast It prima di richiedere
la nuova CIE.
Validità della
CIE: quanto dura e quando scade
La durata della
CIE dipende dall’età del titolare:
– 3 anni per
bambini da 0 a 3 anni;
– 5 anni per i
minori da 3 a 18 anni;
– 10 anni per gli
adulti dai 18 anni in su.
Va ricordato che
la CIE non è un documento di residenza o di stato civile. Pertanto, non può
riportare aggiornamenti sull’indirizzo o sullo stato civile (ad esempio il
cognome del coniuge per le donne sposate).
CIE e identità
digitale: l’app CieID
Uno degli aspetti
più innovativi della Carta di Identità Elettronica è il suo impiego per
accedere ai servizi online grazie all’applicazione CieID, disponibile per:
– Android 6.0 e
superiori
– iOS 13 e
superiori
Con la CieID si
possono attivare diversi livelli di sicurezza per l’accesso ai servizi
digitali:
Livello 1 e 2: si
attiva il dispositivo e si crea un codice di sicurezza (codice app CieID). Gli
accessi si autorizzano scansionando un QR code o tramite riconoscimento
biometrico.
Livello 3 (massima
sicurezza): disponibile per chi ha uno smartphone dotato di tecnologia NFC,
consente la lettura del microchip della CIE e l’inserimento del PIN di 8 cifre
fornito al momento della consegna della carta.
Un’ulteriore
funzionalità utile è il recupero del codice PUK, attivabile tramite email o
numero di cellulare associati alla propria identità digitale.
Cosa fare subito
se si possiede ancora la carta cartacea
Chi ha soltanto la
carta d’identità cartacea e non dispone di un passaporto in corso di validità,
è invitato a prenotare quanto prima un appuntamento con il proprio consolato di
riferimento per evitare disagi.
Poiché le agende
consolari in molte città europee sono spesso piene, attendere l’ultimo momento
potrebbe significare non riuscire ad ottenere il documento in tempo.
In sintesi: cosa
devono fare gli italiani all’estero
– Verificare la
propria iscrizione all’AIRE
– Aggiornare
eventuali cambi di indirizzo tramite il portale Fast It
– Prenotare un
appuntamento presso il consolato per richiedere la CIE
– Portare con sé
la vecchia carta cartacea (che verrà ritirata)
– e se si vuole
attivare l’identità digitale tramite l’app CieID
Con l’entrata in
vigore di questa riforma, l’Italia si allinea agli standard europei più
avanzati nella gestione dell’identità digitale, garantendo maggiore sicurezza e
una semplificazione nei rapporti con le istituzioni. Per i cittadini italiani
nel mondo, è un’opportunità per consolidare la propria identità civica anche da
lontano, con strumenti moderni ed efficienti. Per ulteriori dettagli o
chiarimenti, è sempre consigliabile consultare il sito del proprio consolato
italiano di riferimento o il portale ufficiale del Ministero degli Affari
Esteri. CdI 26
E’ vano sperare
nella stabilità politica italiana e, nella conseguente, governabilità del
Paese. Se, per il passato, gli Esecutivi avessero operato in un ambito meno
condizionato, parecchi problemi del Bel Paese non ci sarebbero stati. Per anni,
è sempre venuto meno il “dialogo" con effetti dirompenti. Da una parte
rimane, quindi, l’Italia degli impegni economici/sociali da realizzare e
dall’altra una sorta di “incertezza” parlamentare.
Come e con quali possibilità resta, per noi,
un impenetrabile mistero. Se è vero, come già abbiamo scritto, che i nostri
politici hanno più “anime”, dobbiamo anche riconoscere che, a livello alleanze
certe incoerenze ci sono. Le intenzioni, in apparenza, sono tutte buone. I
risultati assai meno. L’inconcludente atteggiamento dei singoli, non favorisce
lo stabilirsi di propizie condizioni per intravedere cosa ci aspetterà per il
futuro. I poli di “convergenza” non hanno fatto altro che accentuare le dispute
politiche. Come primo passo, sarebbe stato opportuno favorire una “pax”
politica. Soprattutto per ridare fiducia a tutti quelli che l’hanno perduta. Lo
“zoccolo duro”, quello delle “Maggioranze” forti, è finito.
C’è da ritrovare i fondamenti di una nuova
equità che consenta di poter concorrere al futuro d’Italia. L’ipotesi di un
Esecutivo a “contratto”, tanto cara alla formazione di Centro/Destra, potrebbe
essere possibile. Si sono, però, perdute di vista certe priorità da esaminare e
alcune realtà da rivalutare. Insomma, c’è tutto uno stato politico che ha da
ritrovare un’identità. Sono aumentati solo i sacrifici dei più deboli, mai
compensati dal benessere di chi non ha dovuto rinunciare. Solo una prova di
maggiore serietà politica, che oggi ancora ci sfugge, potrebbe consentire
d’andare oltre il “ginepraio”. L’incongruenza resta, in ogni caso, sempre la
stessa: in Italia ci si dimentica con facilità del passato che vincola il
nostro presente e, probabilmente, anche il nostro futuro.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Rapporto Istat 2024. Povertà, accesso alle cure ed emergenza abitativa:
“tre bombe sociali”
Il Rapporto Istat
2024 conferma un’Italia stabile ma in grave difficoltà sul fronte della
povertà. Il 23,1% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale. A
crescere sono le disuguaglianze: colpiti soprattutto giovani, famiglie numerose
e anziani soli. Tre le priorità individuate da Caritas italiana: un reddito
minimo universale, accesso equo alle cure sanitarie e risposta all’emergenza
abitativa. “Non bastano più misure settoriali: serve un intervento strutturale
e universale”, afferma Nunzia De Capite, responsabile del servizio advocacy.
Allarme anche per l’emergenza abitativa, l'esclusione digitale e le disparità
legate al livello d’istruzione. di Patrizia Caiffa
Grave povertà
abitativa, esclusione sanitaria, mancanza di un reddito minimo universale: sono
queste le tre priorità su cui serve intervenire con urgenza, secondo l’analisi
dei dati contenuti nel Rapporto annuale dell’Istat 2024 presentato oggi, basato
sugli indicatori europei. Secondo il rapporto il 23,1% della popolazione
italiana è a rischio povertà o esclusione sociale (+0,3% rispetto al 2023).
Aumenta la povertà di +2,8% per le coppie con almeno tre figli, i genitori
single (+2,9%) e gli over65 che vivono soli (+2,3%). C’è inoltre un picco nella
crescita della povertà tra le famiglie giovani: la percentuale passa dal 28,4%
al 30,5% del totale. “Non bastano più misure settoriali e selettive”,
sottolinea al Sir Nunzia De Capite, responsabile del servizio advocacy di
Caritas italiana, “serve un intervento universale che consideri l’ampliamento
delle vulnerabilità oggi diffuse in tutto il tessuto sociale: famiglie,
giovani, anziani e singoli”. Se i dati fotografano un Paese in cui
l’occupazione apparentemente cresce e i redditi aumentano, a una lettura più
attenta emergono criticità strutturali: salari troppo bassi, lavoro
discontinuo, crisi abitativa e rinuncia alle cure per motivi economici. Non
solo: aumenta il rischio povertà per i giovani e si conferma l’esclusione
digitale e sanitaria tra le fasce meno istruite della popolazione. Un quadro
stabile ma allarmante, che non può essere lasciato alla sola risposta del terzo
settore.
Qual è la
fotografia che emerge dal nuovo rapporto Istat sulla povertà in Italia?
Si conferma
purtroppo la stabilità di una povertà grave e persistente, su livelli molto
alti. Questo è ormai da alcuni anni un elemento di forte preoccupazione, sia a
livello familiare che individuale. Si conferma anche il gravissimo svantaggio
dei cittadini stranieri: i dati sono gli stessi dell’anno scorso.
Giovani, famiglie
numerose e anziani soli sono i tre profili più colpiti.
La povertà,
insomma, si sta generalizzando. Istat presenta due indicatori: uno è quello
europeo, che consente il confronto con gli altri Paesi, e l’altro è
l’indicatore italiano della povertà assoluta. La povertà assoluta, unica nel
contesto europeo, si basa sulla spesa per consumi e su un paniere di beni e
servizi considerati essenziali per una vita dignitosa, in base al contesto
geografico. È un indicatore stabile, non soggetto alle crisi o alle recessioni,
proprio perché definito su valori monetari fissi: se vuoi vivere in un certo
contesto, devi affrontare determinate spese – casa, salute, alimentazione ecc.
Ed è per questo che viene ritenuto molto affidabile: infatti, in genere si
utilizza per comprendere l’andamento reale della povertà in Italia. L’indicatore
europeo invece è più complesso: include il reddito, la spesa per beni
essenziali (simile alla nostra povertà assoluta) e l’intensità lavorativa, cioè
quanto si lavora rispetto al massimo lavorabile in una famiglia.
Perché è
interessante l’indicatore europeo?
Perché, pur
mostrando stabilità, ci rivela che per due componenti – reddito e lavoro –
l’Italia è sotto la media europea.
Questo significa
che nel nostro Paese il livello delle retribuzioni e la capacità lavorativa
sono più bassi rispetto ad altri Paesi Ue.
Si confermano
dunque fragilità strutturali del nostro sistema economico, che conosciamo da
tempo, e che spiegano alcune apparenti contraddizioni nei dati del rapporto
annuale. Ad esempio, il rapporto parla di un aumento dell’occupazione (+350
mila unità) e di un incremento dei redditi da lavoro. Tuttavia, il problema è
che, nonostante più persone siano occupate, i salari orari restano bassi e le
ore lavorate sono poche. Quindi le persone sono più esposte a problemi
economici. Anche con più occupati, se non si lavora abbastanza o si guadagna
poco, il rischio povertà resta alto. È un problema strutturale, tipico del
nostro Paese, legato anche al part-time involontario (diffuso, soprattutto tra
le donne) e alle basse retribuzioni in settori come i servizi alla persona. Chi
lavora poco e viene pagato poco rientra nella categoria dei lavoratori poveri –
il fenomeno dei working poor.
Cosa ci dicono i
dati sulla povertà assoluta?
Il dato sulla
povertà assoluta è un indicatore tutto italiano, basato sulla spesa minima
necessaria per vivere dignitosamente. Non è influenzato da crisi o recessioni,
ed è molto affidabile. Purtroppo, anche qui si registra una stabilità
preoccupante: i livelli restano alti, in particolare per le famiglie numerose e
con minori, ma cresce anche la quota di over 65 in difficoltà economica.
Quali sono le
maggiori criticità emerse dal Rapporto Istat?
Tre: povertà
abitativa, difficoltà di accesso alle cure, e assenza di un reddito minimo
universale.
La crisi abitativa
colpisce in particolare i giovani: tra gli under 35, il tasso di grave
deprivazione abitativa è salito al 12%, contro una media nazionale del 5,6%.
Infine, l’attuale assegno di inclusione non copre tutti: esclude ad esempio le
persone sole, soprattutto over 65.
Che ruolo ha
l’istruzione in questo scenario?
Enorme. Chi ha un
livello di istruzione più alto è più protetto dal rischio povertà, lavora di
più, guadagna meglio e ha accesso più facile ai servizi. I dati lo confermano
anche per la salute: nel 2021, chi aveva solo la licenza elementare ha avuto un
tasso di mortalità doppio rispetto ai laureati. Questo è un dato che fa
riflettere. Negli USA era noto da tempo, ma ora succede anche da noi. Altro
dato allarmante: il 9% degli italiani rinuncia a visite o esami specialistici
per motivi economici o per le lunghe liste d’attesa. E stavolta non ci sono
forti differenze tra Nord e Sud
Quanto pesa la
mancanza delle competenze digitali sul rischio povertà?
Questo è un dato
gravissimo. L’Italia è 22ª su 27 in Europa. Non ci sono miglioramenti dal 2021.
È una vulnerabilità futura che può tradursi in esclusione sociale anche
nell’accesso ai servizi e alle misure di sostegno. Questo è un rischio serio di
esclusione sociale futura.
Cosa non funziona
nell’attuale Assegno di inclusione?
È troppo
selettivo. Si concentra su famiglie con minori, disabili o persone non
autosufficienti. Ma lascia fuori intere fasce: persone singole, anziani,
lavoratori poveri. Non possiamo immaginare che un over 65 si reinserisca
facilmente nel mercato del lavoro. Serve un reddito minimo universale.
Che proposte
avanza la Caritas per il futuro?
Tre sono le
priorità: ripristinare un sostegno economico universale per tutti coloro in
povertà, senza divisioni rigide per categoria. Affrontare strutturalmente il
tema dell’accesso alle cure, superando le disuguaglianze e le liste d’attesa.
Intervenire sull’emergenza abitativa, soprattutto nelle grandi città, dove il
costo della casa è ormai insostenibile. Il terzo settore non può farsi carico
di questi problemi perché si tratta di diritti fondamentali che devono essere
garantiti dallo Stato.
Non possiamo
delegare alla solidarietà ciò che spetta alle politiche pubbliche. I tempi per
intervenire sono stretti: il rischio è che alcune crisi diventino
irreversibili. Sir 21
Cittadinanza: l’esame alla Camera
ROMA - Approvato
dal Senato, ieri il decreto-legge sulla cittadinanza ha iniziato l’iter in
Commissione Affari Costituzionali alla Camera, dove verrà esaminato in seconda
lettura. Alla presenza del sottosegretario all'interno, Nicola Molteni, il
relatore Emilio Russo (Fi) ha illustrato il testo ai colleghi, soffermandosi in
particolare sulle modifiche alla prima stesura apportate durante l’esame a
Palazzo Madama.
Obiettivo del
provvedimento è “rendere più stringente il principio di effettività del vincolo
con l'Italia del richiedente la cittadinanza, limitando l'automatismo
dell'acquisto della titolarità del diritto alla cittadinanza per discendenza (o
adozione o altra causa di legge)”.
Con il decreto si
modifica la legge 91/92 stabilendo una preclusione all'acquisto automatico
della cittadinanza per i nati all'estero in possesso di cittadinanza di Stato
estero. L’articolo 3 bis del decreto, dunque, “in deroga a determinate
disposizioni applicabili alla materia, stabilisce che debba considerarsi non
aver mai acquistato la cittadinanza italiana colui il quale sia nato all'estero
e sia in possesso di altra cittadinanza, anche prima dell'entrata in vigore
della disposizione in esame”, con alcune eccezioni: “la norma fa salvi,
anzitutto, i casi in cui lo stato di cittadino sia riconosciuto o sia accertato
giudizialmente in seguito, rispettivamente, a domanda o a domanda giudiziale
(presentata entro le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025). È fatto salvo
altresì – a seguito di una modifica introdotta dal Senato – il caso di domanda
presentata (all'ufficio consolare o al sindaco) in tempo successivo, purché
dietro appuntamento di cui sia stata data comunicazione all'interessato entro
il medesimo termine sopra indicato. Si applica in tal caso la normativa vigente
al 27 marzo 2025. Ulteriori eccezioni alla preclusione sono rappresentate dal
caso in cui un ascendente di primo o di secondo grado possieda (o possedesse al
momento della morte) “esclusivamente” la cittadinanza italiana o dal caso in
cui uno dei genitori o degli adottanti sia stato residente in Italia per almeno
due anni continuativi dopo l'acquisto della cittadinanza italiana e prima della
data di nascita o di adozione del figlio”.
Altra modifica
alla legge 91/92 riguarda la previsione che “il minore straniero o apolide,
discendente da padre o madre cittadini italiani per nascita, divenga cittadino
italiano qualora i genitori medesimi ovvero il tutore, dichiarino la volontà di
acquisto di tale status, purché, successivamente a tale dichiarazione, il
minore risieda legalmente e continuativamente per almeno due anni in Italia
ovvero, in alternativa, tale dichiarazione di volontà sia presentata entro un
anno dalla nascita del minore o dalla successiva data in cui sia stabilita la
filiazione con un cittadino italiano, anche per adozione”. Divenuto cittadino
italiano, il minore straniero o apolide può rinunciare alla cittadinanza
italiana, una volta raggiunta la maggiore età.
Nel corso
dell'esame in Senato è stato aggiunto al testo originario un altro comma che
“prescrive il requisito della residenza continuativa biennale in Italia per
l'acquisto della cittadinanza da parte di figli minori di genitore che acquisti
o riacquisti la cittadinanza italiana, se conviventi”. Citate le modifiche alla
disciplina della prova relativa alle controversie in materia di accertamento
della cittadinanza italiana, Russo ha segnalato anche i nuovi commi sulle
quote-ingresso riservate agli italodiscendenti e sulla concessione della
cittadinanza, “che è modalità di acquisto distinta dal riconoscimento del
diritto alla cittadinanza”, ha spiegato. Il decreto “enumera una serie di casi
in cui la cittadinanza può essere concessa con decreto del Presidente della
Repubblica (sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro
dell'interno). La novella in esame interviene sul caso dello straniero il cui
genitore o ascendente in linea retta di secondo grado sia o sia stato cittadino
per nascita, riducendo a due anni (da tre anni) il periodo di legale residenza
in Italia, prescritto per la concessione della cittadinanza. È invece mantenuto
il requisito dei tre anni di legale residenza in Italia per la eventuale
concessione della cittadinanza allo straniero nato nel territorio della
Repubblica”.
Il decreto prevede
anche che “chi sia nato in Italia o vi sia stato residente per almeno due anni
continuativi, ed abbia perduto la cittadinanza in applicazione di alcune
disposizioni della legge n. 555 del 1912, la riacquisti se effettui una
dichiarazione in tal senso, tra il 1° luglio 2025 e il 31 dicembre 2027. Al
contempo, il contributo per il riacquisto della cittadinanza pari a 250 euro,
come nella disciplina vigente, è annoverato tra i diritti da riscuotersi dagli
uffici consolari”. Il decreto-legge, ha concluso il relatore, è in vigore dal
29 marzo 2025. L’esame in Commissione proseguirà nella seduta di lunedì 19
maggio.
(aise/dip
16)
Il diritto di famiglia compie 50 anni. Mattarella sugli attuali problemi
La legge sulla
riforma del diritto di famiglia celebra il suo cinquantesimo anniversario. Un
appuntamento, questo, che ricorda i diritti acquisiti e quelli ancora mancanti
nell’istituto giuridico familiare. È il presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, che ha sottolineato, in tale occasione, le carenze
dell’applicabilità della riforma e che dal 1975 ancora faticano a trovare
supporto: “Rimangono tuttora laceranti le violenze perpetrate sulle donne,
sovente in ambito familiare, sino agli abusi che si registrano nei confronti
dei minori”, ha spiegato Mattarella.
Il Capo dello
Stato ha sottolineato, inoltre, l’importanza di un sostegno istituzionale per
le fragilità familiari, promuovendo una cultura basata sul rispetto dei diritti
e della dignità delle persone, specialmente quelle più vulnerabili. Ma perché è
così importante parlare ancora di “diritto di famiglia”?
Riforma del
diritto di famiglia
Il presidente
Mattarella ha evidenziato come la legge, approvata con ampio consenso
parlamentare ormai 50 anni fa, abbia reso l’Italia un Paese più giusto e
libero, riconoscendo pari dignità tra uomini, donne e figli. La tutela dei
diritti, però, non può limitarsi alle norme astratte, “ma deve tradursi in
consapevolezza, coscienza sociale, rigore”, ha aggiunto.
Vediamo nel
dettaglio come era costituito il diritto di famiglia prima e dopo il 1975.
Il cambiamento
della struttura familiare
Prima della legge
19 maggio 1975, n.151, la famiglia era caratterizzata da un’impostazione
patriarcale sancita dal Codice Civile del 1942, che attribuiva al marito una
posizione di superiorità rispetto alla moglie e ai figli.
L’introduzione
della Costituzione nel 1948 aveva già anticipato alcuni principi di
uguaglianza. L’Articolo 29, infatti, sancisce il dovere della Repubblica a
riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio: “Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
Ma è solo dopo la riforma del diritto di famiglia – un iter durato nove anni e
il susseguirsi di tre legislatura – che si è segnata la svolta decisiva.
Tra le principali
novità:
* Abolizione della
potestà maritale, che subordinava la moglie al marito.
* Riconoscimento
di pari diritti e doveri per entrambi i coniugi.
* Decisioni
familiari prese congiuntamente dai coniugi.
* Patria potestà
sostituita dalla responsabilità genitoriale, condivisa tra padre e madre.
* Introduzione del
diritto del figlio a essere mantenuto, educato e istruito da entrambi i
genitori.
* Comunione dei
beni introdotta come regime ordinario (salvo diversa scelta dei coniugi).
* Tutela del
contributo economico e domestico della donna nel matrimonio.
* Possibilità di
separazione per intollerabilità della convivenza, senza necessità di colpa di
uno dei coniugi.
* Modifiche alle
norme sul divorzio, semplificando le procedure e definendo nuovi criteri di
assegnazione degli alimenti e dell’affidamento dei figli.
* Possibilità per
la moglie di mantenere il proprio cognome dopo il matrimonio.
* Eliminazione
dell’obbligo di seguire il marito in caso di trasferimento.
* Parità tra
coniugi nel diritto successorio.
* Tutela del
coniuge economicamente più debole in caso di separazione o divorzio.
* Maggiore tutela
per donne e bambini in situazioni di disagio familiare.
Negli anni
successivi, ulteriori riforme hanno ampliato i principi introdotti nel 1975. La
Riforma della filiazione e la disciplina delle unioni civili e della convivenza
hanno perfezionato il quadro normativo, promuovendo un’idea di famiglia più
inclusiva e in linea con le trasformazioni della società.
Le parole di
Mattarella
Il presidente
Mattarella ha definito la legge del 1975 “un momento fondamentale
nell’applicazione dei principi costituzionali di uguaglianza”, affermando che
essa ha ridefinito i rapporti all’interno della famiglia. Ha evidenziato
l’eliminazione della “potestà maritale” e della “patria potestà” esclusiva,
rafforzando la pari responsabilità tra coniugi. Inoltre, ha sottolineato come
l’istituzione della comunione dei beni e la valorizzazione dell’impresa
familiare abbiano contribuito a tutelare il lavoro delle donne e dei figli.
“Si attuava un
modello di famiglia – ha sottolineato il capo dello Stato – basato sulla pari
condizione tra marito e moglie e sulla libera volontà dei coniugi nella
gestione del vincolo matrimoniale. A rafforzare il rispetto della volontà delle
parti, veniva, altresì, elevata l’età per contrarre matrimonio, si sopprimeva
la ‘potestà maritale’ sulla moglie e la esclusiva ‘patria’ potestà sui figli;
così come ogni altra previsione che sanciva il predominio della volontà del
marito rispetto alla moglie e ai figli. Misure tutte dirette a rendere concreta
ed effettiva la pari responsabilità tra i coniugi, intervenendo anche sui
rapporti patrimoniali della famiglia. Realizzando come regime ordinario la
comunione dei beni si è valorizzato il lavoro della donna all’interno della
famiglia così come la disciplina dell’impresa familiare consentiva di tutelare
il lavoro prestato dalla moglie e dai figli. Anche il regime successorio veniva
modificato, affermando i diritti della moglie e dei figli naturali”.
Ma non basta. “Ai
vari livelli – ha concluso Mattarella- occorre che le istituzioni sappiano
offrire sostegno ai contesti familiari e alle fragilità che si manifestano,
promuovendo anche una cultura e comportamenti sempre più rispettosi dei diritti
e della dignità delle persone, specie dei soggetti più deboli, rafforzando così
la coesione sociale”. Adnkronos 19
Pur con la
“vittoria” dello schieramento politico di centro/destra, i “conti” potrebbero
non tornare. I provvedimenti governativi, se ci saranno, serviranno solo a
tamponare una situazione che, sotto la superficie, continua a erodersi.
Chi ne capisce più di noi, ha calcolato che,
con l’attuale indirizzo, si potrà tirare avanti per poco tempo. Poi, le
pensioni resteranno un sogno nel cassetto per tanti italiani; oggi relegati
alla disoccupazione o al precariato. Le soluzioni, per evitare d’utilizzare
oggi le risorse che avrebbero dovuto servire per il futuro, ci sarebbero.
Prevedono però, una serie d’interventi che
avrebbero leso coinvolgimenti politici nell’immediato. I dati e le percentuali
parlano chiaro: nel Bel Paese la disoccupazione è ancora a due cifre. Il
precariato langue e i cassintegrati sono sospesi alla corda di un infelice
destino. La politica italiana ha sempre un costo insostenibile.
Il nostro Paese ha bisogno di programmi per
risanare l’economia. Interessati all’evoluzione politica nazionale,
continueremo a monitorare i cambiamenti della Penisola che ha da rimuovere i
pasticci di questa Terza Repubblica, ancora in “fasce”, che già si presenta,
però, con parecchi problemi socio/politici che ne andranno a condizionare
l’incerto futuro.
Giorgio Brignola,
de.it.press
La Camera ha approvato il cosiddetto “decreto Albania”. Il testo passa ora
al Senato
Con 126 sì, 80 no
e 1 astenuto l’aula della Camera ha approvato ieri il decreto legge recante
disposizioni urgenti per il contrasto dell’immigrazione irregolare, il
cosiddetto “decreto Albania”, su cui ieri era arrivato l’ok alla fiducia. Il
testo passa ora al Senato.
Il decreto di
fatto estende la categoria di persone che possono essere condotte nelle
strutture di trattenimento realizzate in Albania, includendovi coloro i quali
sono destinatari di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati. Di
fatto, così, le strutture in Albania diventerebbero come i Cpr già presenti in
Italia.
Nell’ambito della
procedura del trattenimento dello straniero, spiega la legge, è fatta salva la
facoltà di disporre il trasferimento dello stesso in altro centro, senza che
venga meno il trattenimento adottato e che sia richiesta una nuova convalida.
Nel corso
dell’esame in sede referente sono state introdotte rispetto al testo originario
del decreto le seguenti disposizioni: lo straniero trasferito nelle strutture
in Albania
vi permane anche
se ha presentato domanda di asilo, se vi sono fondati motivi per ritenere che
la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire
l’esecuzione del respingimento o dell’espulsione; in caso di mancata convalida
del provvedimento di trattenimento in presenza di una domanda di asilo di cui
si sospetta che sia stata presentata a scopo dilatorio, si prevede la
possibilità di emanare un nuovo provvedimento di trattenimento per un altro dei
motivi previsti dalla legge; viene estesa l’applicazione della procedura
accelerata di esame delle domande di asilo alla frontiera.
Inoltre si
autorizza la cessione a titolo gratuito di due motovedette all’Albania; viene
estesa al 2026 la facoltà, per la realizzazione, la localizzazione nonché
l’ampliamento dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR), di derogare alle
disposizioni di legge ad eccezione di quelle penali, antimafia e dell’Unione
europea.
Con l’approvazione
del cosiddetto “decreto Albania” da parte della Camera dei Deputati e in attesa
del passaggio definitivo al Senato, il Tavolo Asilo e Immigrazione (Tai)
esprime forte preoccupazione (fonte: SIR) per la legittimazione di un sistema
di confinamento extraterritoriale che, secondo quanto documentato da varie
delegazioni in loco, risulta “opaco, privo di garanzie e incompatibile con i
principi dello Stato di diritto”.
Una delegazione
del Tai, al quale aderiscono numerose organizzazioni che si occupano di
immigrazione, si trova in questi giorni a Gjadër, in Albania, insieme a
parlamentari del gruppo di contatto.
Dopo aver da mesi
segnalato lo spreco di denaro pubblico investito nelle strutture
extraterritoriali in Albania, S.E. mons. Gian Carlo Perego, già in marzo a
Napoli, a proposito della prospettiva di trasformare i centri in Cpr, aveva
parlato soprattutto di una mancanza di realismo: “Ditemi voi se sia tale una la
soluzione all’irregolarità nel nostro Paese – dove si stimano tra 300 e i 400
mila irregolari – quella dei 1.000 posti totali dei centri in Albania”.
Aldilà delle
numerose preoccupazioni sul rispetto dei diritti elementari e sulle condizioni
di vita di coloro che vi sono trattenuti all’interno, i Cpr – come spiegato
recentemente anche su Migranti Press – soprattutto sono inutili.
Migr.on 16
Referendum cittadinanza: sono 1,4 milioni i potenziali beneficiari,
tra cui 284 mila minori
Il Centro Studi e
Ricerche IDOS presenta la prima stima scientifica sugli effetti del quesito che
sarà votato l’8-9 giugno. Se vincesse il Sì, potrebbe diventare italiano più di
1 ogni 4 stranieri regolarmente residenti in Italia e un quinto di questi sarebbe
under 18.
Ma altri 700 mila
migranti rischierebbero di restare esclusi solo perché “troppo poveri”
Se l’8 e 9 giugno
vinceranno i Sì al referendum sulla cittadinanza, la quota più probabile di
potenziali beneficiari della riforma sarebbe costituita da 1 milione e 420 mila
cittadini non comunitari, pari a oltre 1 ogni 4 stranieri regolarmente
residenti in Italia.
In particolare,
gli adulti sarebbero 1 milione e 136 mila, tutti titolari di un permesso di
soggiorno di lunga durata, e i minori sarebbero 284 mila, dei quali 229 mila
soggiornanti di lunga durata e 55 mila che, pur non avendo maturato in proprio
il requisito minimo previsto dalla riforma, diventerebbero italiani per
automatica trasmissione della cittadinanza da parte dei genitori che si saranno
naturalizzati grazie alla modifica referendaria.
La prima stima
scientifica sull’argomento è stata realizzata dal Centro studi e ricerche Idos,
che in un breve report riporta in dettaglio il metodo seguito, per un
calcolo che deve considerare diversi fattori.
Come è noto, il
quesito referendario chiede che sia abrogata la disposizione contenuta nella
legge 91/1992 (art. 9) in base alla quale un cittadino straniero può acquisire
la cittadinanza italiana per naturalizzazione dopo 10 anni di residenza
continuativa nel Paese, riportando così il limite a 5 anni, come era già
previsto nella legge precedente (varata nel 1912 e rimasta in vigore per 80
anni).
Rispetto alle
prime proiezioni dei promotori del referendum, riferite a una platea generica
di potenziali beneficiari, la stima di Idos ne quantifica la quota più
probabile, partendo dagli immigrati con permesso di soggiorno di lunga durata,
che a fine 2023 erano 2.139.000, di cui 347.000 minori.
Oltre a escludere
i cittadini di Paesi Ue, non toccati dalla riforma perché possono già
richiedere la cittadinanza italiana dopo soli 4 anni di residenza, la stima dei
potenziali beneficiari effettivi decurta dal computo anche una consistente
quota di cittadini di Paesi non Ue che non ammettono la doppia nazionalità.
Attraverso altri
calcoli, il report arriva a determinare una ipotesi massima e una minima,
indicando infine come più probabili i valori mediani indicati sopra.
Una delle più
importanti barriere che limitano l’accesso alla cittadinanza italiana resta la
debole situazione economica della popolazione straniera. Il referendum,
infatti, non modifica gli altri requisiti necessari per la naturalizzazione,
tra cui (oltre alla conoscenza della lingua e all’assenza di condanne penali)
il possesso di un reddito adeguato: una condizione che – in base ai dati Istat
sulla popolazione a rischio di povertà e di esclusione sociale – anche con il
successo del referendum non sarebbe soddisfatta da una ampia fascia di
stranieri residenti: fino a 700 mila persone nell’ipotesi massima. Senza
contare il costo per avviare la pratica, che è stato recentemente aumentato
fino a un massimo di 600 euro a testa. Una situazione, dice il report, che
rende quello alla cittadinanza per naturalizzazione “un diritto limitato
di fatto attraverso una discriminazione indiretta basata sul censo”.
“In un Paese
civile e con una politica attenta a quel che succede nella realtà - afferma
Luca Di Sciullo, presidente di Idos - non ci sarebbe stato bisogno di un
referendum per varare questa modifica legislativa sulla naturalizzazione.
Basterebbe constatare che la popolazione italiana diminuisce in media di oltre
300 mila unità all’anno, tra decessi che surclassano le nascite e l’incremento
dell’emigrazione all’estero, e che negli ultimi 5 anni l’Italia ha inanellato
altrettanti record negativi, arrivando al minimo storico di appena 370 mila
nascite nel 2024, mentre oltre 1 milione di minorenni stranieri, quasi tutti in
Italia dalla nascita, e altrettanti adulti che risiedono da almeno 5 anni nel
Paese, ancora non accedono alla cittadinanza italiana”. Idos 16
Cittadinanza. ACLI: tagliare le radici non ci renderà più forti
Roma - "In
un’epoca in cui il valore della diplomazia culturale e delle relazioni
internazionali è sempre più riconosciuto, l’Italia sembra orientarsi in una
direzione opposta, scegliendo di indebolire uno dei pochi strumenti di soft
power di cui dispone: la sua vasta e storica diaspora. Milioni di connazionali
nati all’estero, figli e nipoti di emigrati, rappresentano da sempre un ponte
naturale tra culture, un capitale umano e sociale capace di promuovere l’Italia
nel mondo meglio di qualunque campagna istituzionale. Eppure, la proposta di
riforma sulla cittadinanza sembra andare nella direzione opposta, specialmente
dopo il passaggio al Senato". Questo è quanto espresso da Matteo
Bracciali, Vicepresidente FAI - Federazione ACLI Internazionali, in una nota in
cui è intervenuto sul DL Cittadinanza, oggi all'esame dell'aula alla Camera
dopo essere stato in Senato.
"Se approvata
così com’è - ha aggiunto Bracciali - rischia di tagliare questo legame
prezioso. In particolare, l’impossibilità per gli italiani con doppia
cittadinanza di trasmettere la cittadinanza ai propri figli segnerebbe un punto
di rottura. Una scelta che, nel lungo periodo, rischia di cancellare la nostra
presenza nel mondo".
Secondo il
Vicepresidente FAI, "le motivazioni addotte per sostenere questa riforma
meritano una riflessione attenta, oltre il pregiudizio".
Bracciali ha poi
ricordato un'osservazione che definisce "leggittima", ossia "C’è
chi ottiene la cittadinanza senza conoscere l’italiano".
Ma a chi sostiene
questa leggittima osservazione è stata già proposta una soluzione:
"richiedere una certificazione linguistica e culturale a chi richiede la
cittadinanza, come già avviene per altri casi. Una proposta costruttiva,
tuttavia rimasta senza risposta".
In seguito,
l'esponente delle ACLI ha cercato di rispondere anche a un'altra domanda: “In
caso di guerra, con chi starebbero le persone con doppia cittadinanza?”
Questa, secondo
lui, è "una domanda che sembra più figlia della paura che della ragione.
Davvero crediamo che saremmo più forti rinunciando a cittadini italiani, ben
integrati all’estero, solo perché detengono un secondo passaporto? L’idea che
si possa fare “guerra all’Italia” è inquietante, ma ancor più lo è immaginare
che l’unica risposta sia escludere, non includere".
E infine un'altra
osservazione alla quale ha voluto rispondere Bracciali: “Ci sono truffe nel
sistema.”
"Come in ogni
ambito amministrativo - ha spiegato -, esistono tentativi di frode. Ma è
proprio per questo che esistono controlli e sanzioni. È giusto colpire gli
abusi, non privare milioni di persone oneste del proprio diritto. Certo, porre
un limite generazionale alla trasmissione della cittadinanza può essere un
passaggio equilibrato. Ma ciò che si sta prospettando va ben oltre: rischia di
interrompere un filo che ci lega a comunità vive, orgogliose delle proprie
radici italiane, spesso più attente e innamorate dell’Italia di quanto lo siamo
noi stessi".
"Rafforzare i
criteri sì - ha concluso Bracciali -, ma senza perdere il senso profondo di
cosa significa essere italiani nel mondo. Perché scegliere di tagliare le
radici non ci renderà più forti. Al contrario, ci renderà più soli".
(aise/dip 20)
Dl cittadinanza, Carè (Pd): non una riforma, ma ferita profonda contro
italiani all'estero
Roma. ”A nome mio
e di chi crede nella giustizia e nella dignità del nostro popolo, la più ferma
e profonda opposizione al decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025, recante
disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. E lo faccio con il cuore, con
la voce e con la coscienza dei milioni di italiani residenti all’estero, e dei
milioni di oriundi che da generazioni mantengono vivo l’amore per l’Italia,
nonostante la distanza, nonostante l’oblio a cui troppo spesso le istituzioni
italiane li condannano. Questo decreto non è una riforma. questo decreto è una
ferita. una ferita profonda, dolorosa, ingiusta. Lo è nella forma, lo è nel
metodo, lo è nella sostanza. È una ferita inferta con urgenza artificiosa, con
il volto burocratico di chi vuole nascondere una scelta politica dietro un
presunto pericolo amministrativo. Dove sarebbe, chiedo, l’urgenza? Dov’è la
catastrofe che giustifica questa fretta? Forse nel fatto che qualche migliaio
di persone l’anno richiede il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza?
Questo decreto non nasce per gestire un’emergenza, ma per costruire una
barriera. Una barriera contro chi ha sangue italiano, ma vive altrove. Una
barriera contro chi, invece di essere accolto e valorizzato, viene visto come
una minaccia. E qui la sostanza è ancora più amara. Perché questo
provvedimento, lo diciamolo chiaramente, colpisce in pieno petto il principio
dello ius sanguinis. Ne limita la trasmissibilità, ne restringe l’applicabilità
retroattiva, lo svuota di significato. Non si tratta di una modernizzazione del
diritto: si tratta di un colpo secco, mirato, chirurgico a un principio che ha
fondato la coesione dell’identità italiana nel mondo. Sapete chi saranno le
vittime? Non i cosiddetti “furbi del passaporto”, come si cerca di raccontare
con una retorica pomposa. No, i veri colpiti saranno le famiglie. Saranno i
figli e i nipoti di italiani emigrati che, dopo decenni di sacrifici, si vedono
improvvisamente dire: “Tu non sei abbastanza italiano per meritare la
cittadinanza di tuo nonno”. E questo mentre il mondo intero guarda con
ammirazione alle comunità italiane all’estero. Quelle stesse comunità che hanno
contribuito con lavoro, cultura e capitale umano alla reputazione dell’Italia.
Quelle stesse comunità che mantengono viva la lingua, le tradizioni, le
relazioni culturali e commerciali con la nostra nazione. Chi ha scritto questo
decreto dimostra di non conoscere, o peggio, di voler cancellare la storia
della nostra emigrazione. Una storia fatta di valigie di cartone, di miniere,
di fatica e dignità. Una storia fatta di famiglie spezzate, di lettere scritte
a mano e di un amore per l’Italia che non si è mai sopito allora io dico con
forza: non potete spezzare questo legame. Non potete cancellare l’identità. Non
potete negare a chi ha sangue italiano il diritto a sentirsi parte della
Repubblica. Abbiamo visto negli anni i risultati di politiche illuminate: il
voto all’estero, la rappresentanza parlamentare, l’impegno dell’associazionismo
italiano nel mondo, i programmi di formazione, gli scambi culturali. Questo
decreto invece compie un balzo all’indietro. Disconosce tutto. È una legge che
nega la fiducia, che rifiuta il passato e compromette il futuro. E lo dico con
orgoglio istituzionale, ma anche con un’emozione personale: non è tollerabile
che due fratelli, figli dello stesso padre italiano emigrato, possano trovarsi
in due situazioni diverse solo perché uno ha presentato la domanda il 26 marzo
e l’altro il 28. Questo non è diritto: è arbitrio. È iniquità. È crudeltà
amministrativa. Ma c’è di più, ed è forse ancora più grave: questa norma rompe
il patto tra Stato e cittadino. Il patto che garantisce certezza del diritto,
rispetto delle regole, uguaglianza di trattamento. Perché, lo sappiamo tutti,
la cittadinanza non è solo un pezzo di carta: è un legame morale, culturale e
giuridico. È un’eredità che non può essere amputata per calcolo politico o
ideologico. Ecco la verità: questo non è un decreto sulla cittadinanza. È un
decreto sull’esclusione. Io difendo un’Italia aperta, giusta, consapevole della
sua storia e del suo destino globale. Un’Italia che non ha paura dei suoi figli
all’estero, ma li accoglie, li onora, li ascolta perché sono parte di noi,
perché senza di loro, l’Italia è più povera. Noi no e continueremo a batterci,
dentro e fuori quest’aula, per un’Italia che non taglia i suoi legami, ma li
rafforza. per un’Italia che riconosce e abbraccia tutti i suoi figli.” Cosi’
Nicola Carè, deputato eletto all’estero, intervenendo in aula. Dip 20
L’industria italiana alla sfida verde: il dilemma tra competitività e
decarbonizzazione
Il Green Deal
europeo è ormai entrato in una nuova fase cruciale, in cui competitività e
sicurezza economica assumono maggior rilevanza. Con la presentazione del Clean
Industrial Deal, la Commissione Europea ha delineato le sue nuove priorità
dettate dall’interazione tra politica industriale, competitività e
decarbonizzazione alla luce della competizione geopolitica e le crisi
energetiche e climatiche.
Oltre a favorire
le nuove tecnologie, i governi devono considerare misure per trasformare e
proteggere le proprie industrie esistenti in conformità con gli obiettivi di
zero emissioni nette, preservando al contempo la competitività e garantendo la
sicurezza economica attraverso la capacità manifatturiera. Per far tutto ciò, i
dibattiti (e le divisioni) riguardo alla disciplina fiscale e alla creazione di
fondi comuni europei riemergono.
Il dilemma è
particolarmente evidente per le industrie ad alta intensità energetica. La loro
trasformazione sarà essenziale per il raggiungimento della decarbonizzazione,
rappresentando circa il 22% delle emissioni di gas serra dell’UE, ma i governi
stanno lottando per garantire anche la loro competitività rispetto ai
concorrenti internazionali a causa dei prezzi più elevati dell’energia e alla
presenza dell’Emission Trading System europeo.
Anche nel contesto
italiano, le industrie difficili da decarbonizzare, le cosiddette hard to
abate, giocano un ruolo decisivo dal punto di vista sociale, economico ed
energetico-ambientale. Per questo, per poter trasformare tali industrie,
l’Italia deve perseguire una combinazione di soluzione: favorendo
l’elettrificazione laddove possibile, riducendo le emissioni di metano relative
al consumo di gas, il crescente utilizzo sostenibile di idrogeno e lo sviluppo
della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS).
Elettrificazione:
il vantaggio competitivo dell’Italia in Europa
L’elettrificazione
copre già una quota rilevante del consumo energetico industriale in Italia. Nel
2022, l’elettricità è stata la principale fonte per il settore industriale,
rappresentando il 44% del consumo, seguita dal gas naturale (33%). Grazie ai più
alti livelli di elettrificazione tra i maggiori paesi europei, l’industria
italiana ha uno dei posizionamenti migliori tra i paesi UE27 rispetto
all’intensità energetica e carbonica finale per unità di valore aggiunto.
Tuttavia, l’Italia deve accelerare l’installazione di impianti rinnovabili,
rimuovendo i ritardi autorizzativi e fornendo un quadro normativo chiaro e
coerente.
Gas naturale:
dipendenza e opportunità nella transizione
Poiché la maggior
parte delle emissioni del settore industriale proviene dalla combustione, è
necessaria una valutazione del ruolo dell’approvvigionamento energetico e in
particolare del gas naturale. Il gas gioca un ruolo centrale all’interno del
sistema energetico italiano, rappresentando il 40% del consumo energetico e il
50% del consumo elettrico. Tale ruolo è previsto che rimarrà rilevante in base
all’ultima versione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).
Tuttavia, l’Italia deve scontare una forte dipendenza dalle importazioni.
Dunque è necessaria una strategia internazionale che tenga conto delle
emissioni di metano – una delle azioni più rapide, efficaci e meno costose per
l’Italia per accelerare la transizione rafforzando, allo stesso tempo, anche la
propria competitività industriale. La riconfigurazione dei flussi e la
crescente rilevanza dei paesi MENA (Medio Oriente e Nord Africa) offre
un’opportunità per affrontare questa pressante questione ambientale in un’area
strategica come il Mediterraneo.
La scommessa
dell’idrogeno: sviluppo sostenibile nel Mediterraneo
Per decarbonizzare
le molecole nel lungo periodo, l’Italia deve dare priorità all’uso
dell’idrogeno pulito dove l’elettrificazione più efficiente non è fattibile. A
novembre 2024, l’Italia ha adottato la sua prima strategia nazionale per
l’idrogeno, che prevede diverse traiettorie data l’incertezza sul suo sviluppo
e le potenziali migliori prestazioni di altre tecnologie.
Nello sviluppare
le necessarie rotte ed infrastrutture per l’approvvigionamento dell’idrogeno, è
necessario che l’Italia tenga conto ed affronti i potenziali impatti climatici
dell’idrogeno. Infatti, è cruciale limitare non solo le emissioni di anidride carbonica
e metano, ma anche le emissioni di idrogeno, poiché l’idrogeno stesso è un gas
serra indiretto con potenti impatti di riscaldamento. Infine è doveroso ridurre
quanto possibile i rischi ambientali e socioeconomici associati ai sistemi a
idrogeno (anche nei paesi terzi). Questo è ancora più rilevante se si tiene
conto della possibilità di trasferimenti di capacità manifatturiera fuori
dall’Europa a causa delle già citate sfide energetiche. Tuttavia, tale sfida
può presentare un’opportunità per l’Italia nel guidare la cooperazione
Euro-mediterranea garantendo progetti volti allo sviluppo industriale e
l’integrazione delle catene del valore.
CCS: colmare il
divario con il Nord Europa partendo da Ravenna
Lo sviluppo della
cattura e stoccaggio del carbonio ha riacquistato una rinnovata rilevanza
politica perché i governi mirano ad accelerare la transizione energetica
preservando al contempo le capacità industriali esistenti. La tecnologia CCS
(Carbon Capture and Storage) permette di catturare l’anidride carbonica
prodotta da impianti industriali e centrali elettriche prima che venga
rilasciata nell’atmosfera, per poi trasportarla e immagazzinarla
permanentemente nel sottosuolo.
A livello europeo
si può notare un certo divario tra il Mare del Nord e il Mediterraneo in
termini di sviluppi CCS; divario che l’Italia ha la possibilità di ridurre. Il
PNIEC infatti riconosce un ruolo strategico al progetto di Ravenna, che
dovrebbe catturare le emissioni dei settori hard-to-abate.
Strategie per il
futuro: sussidi mirati e fondi europei
L’Italia avrà
bisogno di una combinazione di misure che favorisca la trasformazione delle
industrie energivore esistenti all’interno dei confini europei e nazionali alla
luce delle possibili soluzioni tecnologiche ed economiche. Allo stesso tempo,
l’Italia deve definire una politica industriale ed estera capace di gestire in
maniera ordinata il possibile outsourcing della produzione verso regioni con
costi energetici più bassi.
L’allocazione di
sussidi volti alla protezione dei produttori nazionale dovrà essere
attentamente valutata in base a criteri chiari, come la rilevanza economica
(effetti cluster) e la resilienza economica (evitando nuove dipendenze su
settori/prodotti critici) – anche alla luce delle ristrettezze fiscali.
Nel trovare un
nuovo equilibrio, l’Italia deve lavorare con l’UE nella definizione di
priorità, standard e nella creazione di nuovi strumenti, anche relativi agli
investimenti, in modo da evitare la frammentazione del mercato europeo.
L’Italia deve lavorare alla costruzione di criteri e standard per proteggere i
produttori nazionali e esternalizzare parte della produzione. Gli sviluppi
positivi e gli sforzi in termini di riduzione dell’intensità di CO2 dovrebbero
essere riconosciuti e valorizzati nella progettazione delle caratteristiche per
i mercati verdi. Dati i diversi spazi fiscali e gli investimenti necessari per
raggiungere la decarbonizzazione, saranno necessari fondi comuni e stabili a
livello UE – specialmente per l’Italia. Per poter ottenere ciò, la politica
industriale ed energetica dovrà essere definita in maniera chiara, oltre che
dimostrare la propria capacità di spendere adeguatamente i fondi esistenti.
Pier Paolo
Raimondi, AffInt 21
Questo Esecutivo
potrebbe dimostrare una valenza politica durevole. Certo che la guida politica
nazionale, forse, è nelle mani giuste. Insomma, una crisi di Governo oggi non
sarebbe pensabile. Anche se per mantenere la “fiducia”, ci sono poche strade e
tutte in pericolosa salita. Questo Governo è atipico. Con la speranza, però,
che il concetto d’equità non resti un termine solo teorico. Sarebbe un male
maggiore.
Se tutto dovesse andare per il meglio, questo
Governo potrebbe reggere sino alle elezioni generali del 2026. Già questo ci
sembrerebbe molto; dopo, saranno gli elettori a mutare le carte in tavola e i
giochi di potere.
Questi primi venticinque anni del XXI Secolo,
pur con segnali premonitori, sono precursori di un cambiamento. Ora c’è da
ponderare su ciò che questa politica saprà garantire.
Senza una nuova
Legge Elettorale, però, resta irrazionale continuare a far conto su una
politica impercorribile. Siamo proprio sicuri che non si possa fare
meglio? L’interrogativo s’è fatto
palese; ma senza il riscontro di un differente impegno da parte di chi sarebbe
chiamato ad assumerlo. Draghi, però, potrebbe chiarire tanti legittimi dubbi.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Cittadinanza: il Senato approva la riforma in prima lettura
Roma - Il Senato
ha approvato oggi in prima lettura il decreto-legge 36/2025 in materia di
cittadinanza.
Il testo è stato
approvato con i voti dei partiti di maggioranza. Contrari tutti gli altri. 81 i
voti a favore, 37 i contrari.
Nelle
dichiarazioni finali hanno annunciato voto favorevole Occhiuto (FI) sostenendo
che il decreto ha promosso il modello di ius Italiae, sostenuto da Forza
Italia, basato su integrazione reale, scuola e lingua, rifiutando automatismi e
valorizzando il radicamento; Daisy Pirovano (Lega), secondo la quale si è
cercato un equilibrio tra il rispetto del legame di sangue con l'Italia e la
necessità di riformare con urgenza, pur in mancanza di un vero dibattito
parlamentare nell'auspicio che per il futuro non si ricorra ai decreti-legge
per regolare materie così complesse; e Roberto Menia (FdI), che ha richiamato
la visione "sacrale" dell'italianità: non solo sangue o suolo, ma
spirito, identità e doveri, denunciando il business delle cittadinanze facili.
Hanno dichiarato
voto contrario i senatori Lombardo (Azione), che ha accusato il Governo di
incoerenza: dice di valorizzare gli italiani all'estero, ma toglie loro il
diritto alla cittadinanza iure sanguinis, anche retroattivamente; Spagnolli
(Aut), che ha proposto lo ius culturae come cittadinanza inclusiva: il decreto
manca di visione e metodo, serve una riforma sistemica e non un provvedimento
d'urgenza che spacca persino la maggioranza; Dafne Musolino (IV), che ha
contestato l'introduzione di un balzello da 250 euro sulle domande e l'assenza
di un disegno riformatore inclusivo, invocando un'evoluzione normativa verso
ius soli e ius scholae.
In dissenso dal
suo gruppo ha votato contro Mario Borghese (Maie), che ha contestato la logica
emergenziale usata per giustificare la norma, che colpisce anche chi ha diritto
legittimo alla cittadinanza, chiedendo una riforma organica e inclusiva. Contrario
anche Magni (Misto-AVS), che ha denunciato l'assenza di visione storica
sull'emigrazione italiana e richiamato la necessità di riconoscere la
cittadinanza come diritto, non come concessione, ribadendo l'importanza
dell'inclusione in una società ormai multietnica.
Cataldi (M5S) ha
richiamato la ricchezza storica e culturale delle comunità italiane all'estero,
che vanno valorizzate e non trattate come un problema amministrativo; mentre
Parrini (Pd) ha definito il decreto frutto di malafede politica: il Governo ha
adottato un modo di legiferare ritorsivo, colpendo categorie scomode come gli
italiani residenti all'estero, accusandoli ingiustamente di speculazione,
trascurando legami che meritano rispetto e non provvedimenti frettolosi.
Il testo passa ora
alla Camera per la seconda lettura. (aise/dip 15)
I figli degli italiani nati all’estero? Non più automaticamente italiani
Angela Schirò, già
deputata del Partito Democratico nella scorsa legislatura, commenta la riforma
della cittadinanza approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 20
maggio 2025.
"Se ci
pensiamo bene, la nuova riforma della cittadinanza italiana sembra pensata per
non fare rumore. È tecnica, sobria, poco raccontata. Eppure, i suoi effetti
saranno profondi e duraturi. Non tanto per ciò che cambia oggi, quanto per ciò
che costruisce (o distrugge) domani.
Da un lato, questa
legge porterà nel tempo alla graduale estinzione della circoscrizione estero.
Il diritto di voto e la rappresentanza politica degli italiani residenti
all’estero – già oggi fragili – verranno erosi lentamente, generazione dopo
generazione. Perché? Perché i figli dei nostri figli, nati e cresciuti
all’estero, non saranno più automaticamente cittadini italiani, anche se
educati nella cultura, nella lingua e nei valori italiani. Verranno tagliati
fuori. E con loro si spegneranno anche l’influenza e il legame di milioni di
italiani all’estero con il proprio Paese d’origine.
Dall’altro lato,
questa legge colpisce in modo subdolo l’idea stessa di Europa come spazio
condiviso, in cui la doppia cittadinanza è una possibilità concreta e
legittima. Oggi, molti cittadini europei – nati magari da un genitore italiano
– vivono, studiano e lavorano in altri Paesi dell’Unione. La nuova normativa,
tuttavia, penalizza chi possiede già una cittadinanza straniera: per loro
ottenere (o mantenere) quella italiana sarà sempre più difficile, se non
impossibile. Come se la doppia appartenenza fosse un tradimento, e non una
ricchezza.
Questa scelta
politica non è neutra. Non è “meramente tecnica”. È un atto ideologico. Perché
decidere chi è italiano e chi non lo è significa anche decidere chi ha diritto
a partecipare, a contare, a esistere nella narrazione collettiva del Paese. E
restringere questi criteri equivale a chiudere le porte, non solo agli
stranieri che chiedono inclusione (ius soli, ormai completamente abbandonato),
ma anche agli italiani che l’Italia l’hanno portata nel mondo.
Saremo sempre
meno. E sarà tutto perfettamente legale."
Angela Schirò, dip
22
Camera. Alla Commissione Affari Costituzionali il dl sulla cittadinanza
Roma – Dopo il sì
dell’Aula del Senato la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei
Deputati ha avviato l’esame del disegno di legge di conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, recante disposizioni
urgenti in materia di cittadinanza 19 marzo 2025, n. 27. Nel suo intervento il
relatore Paolo Emilio Russo (FI-PPE) ha rilevato come il decreto-legge,
composto dopo le modifiche apportate dal Senato da quattro articoli, introduca
disposizioni urgenti in materia di cittadinanza italiana iure sanguinis, nelle
more dell’entrata in vigore di una riforma organica della materia. Per il
relatore il provvedimento mira a rendere più stringente il principio di
effettività del vincolo con l’Italia del richiedente la cittadinanza, limitando
l’automatismo dell’acquisto della titolarità del diritto alla cittadinanza per
discendenza o adozione. Entrando nel merito del testo Russo ha evidenziato come
il comma 1 dell’articolo 1 introduca nella legge 5 febbraio 1992, n. 91 nuove norme
in materia di cittadinanza: l’articolo 3-bis che stabilisce una preclusione
all’acquisto automatico della cittadinanza per i nati all’estero in possesso di
cittadinanza di Stato estero. Tale articolo, in deroga a determinate
disposizioni applicabili alla materia, stabilisce che debba considerarsi non
aver mai acquistato la cittadinanza italiana colui il quale sia nato all’estero
e sia in possesso di altra cittadinanza, anche prima dell’entrata in vigore
della disposizione in esame, individuando nel contempo una serie di eccezioni
alla suddetta preclusione. In proposito dal relatore è stato segnalato che la
norma fa salvi, anzitutto, i casi in cui lo stato di cittadino sia riconosciuto
o sia accertato giudizialmente in seguito, rispettivamente, a domanda o a
domanda giudiziale (presentata entro le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025).
È fatto salvo altresì, a seguito di una modifica introdotta dal Senato, il caso
di domanda presentata (all’ufficio consolare o al sindaco) in tempo successivo,
purché dietro appuntamento di cui sia stata data comunicazione all’interessato
entro il medesimo termine sopra indicato. Si applica in tal caso la normativa
vigente al 27 marzo 2025. Ulteriori eccezioni alla preclusione sono
rappresentate dal caso in cui un ascendente di primo o di secondo grado
possieda (o possedesse al momento della morte) “esclusivamente” la cittadinanza
italiana o dal caso in cui uno dei genitori o degli adottanti sia stato
residente in Italia per almeno due anni continuativi dopo l’acquisto della cittadinanza
italiana e prima della data di nascita o di adozione del figlio .
Il relatore ha poi
spiegato come nel corso dell’esame da parte del Senato sia stato introdotto il
nuovo comma 1-bis, che interviene sull’articolo 4 della richiamata legge n. 91
del 1992, inserendovi i commi 1-bis e 1-ter. Nel dettaglio, il comma 1-bis prevede
che il minore straniero o apolide, discendente da padre o madre cittadini
italiani per nascita, divenga cittadino italiano qualora i genitori medesimi
ovvero il tutore, dichiarino la volontà di acquisto di tale status, purché,
successivamente a tale dichiarazione, il minore risieda legalmente e
continuativamente per almeno due anni in Italia, ovvero, in alternativa, tale
dichiarazione di volontà sia presentata entro un anno dalla nascita del minore
o dalla successiva data in cui sia stabilita la filiazione con un cittadino
italiano, anche per adozione. Il nuovo comma 1-ter dell’articolo 4 della
legge n. 91 del 1992 prevede che il minore straniero o apolide divenuto
cittadino italiano ai sensi del precedente comma 1-bis, il quale sia in
possesso della cittadinanza di altro Stato, possa rinunciare alla cittadinanza
italiana, una volta raggiunta la maggiore età. Evidenziato inoltre da Russo
come da Senato sia stato aggiunto all’articolo 1 anche il comma 1-ter, al fine
di prevedere, per i minorenni alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge in esame, figli di soggetti riconosciuti
cittadini ai sensi delle lettere a), a-bis) e b) del comma 1 dell’articolo
3-bis della legge n. 91 del 1992, che la dichiarazione di volontà sia presentata
entro le 23:59, ora di Roma, del 31 maggio 2026. Sempre nel corso
dell’esame presso il Senato all’articolo 1 è stato aggiunto anche il comma
1-quater che prescrive il requisito della residenza continuativa biennale in
Italia per l’acquisto della cittadinanza da parte di figli minori di genitore
che acquisti o riacquisti la cittadinanza italiana, se conviventi. Segnalato
inoltre dal relatore da parte del Senato sia stato introdotto l’articolo 1-bis,
il cui comma 1 modifica l’articolo 27 del testo unico dell’immigrazione
(decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), aggiungendovi il comma 1-octies
che consente l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, al di fuori
delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro,
per lo straniero residente all’estero, discendente di cittadino italiano e in
possesso della cittadinanza di uno Stato di destinazione di rilevanti flussi di
emigrazione italiana. La determinazione di tali Stati di destinazione è rimessa
ad un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e del lavoro e delle
politiche sociali. Il comma 2 dell’articolo 1-bis novella invece l’articolo 9
della richiamata legge n. 91 del 1992, in materia di concessione della
cittadinanza, che è modalità di acquisto distinta dal riconoscimento del
diritto alla cittadinanza. In proposito dal relatore è stato ricordato che tale
articolo 9 enumera una serie di casi in cui la cittadinanza può essere concessa
con decreto del Presidente della Repubblica (sentito il Consiglio di Stato, su
proposta del Ministro dell’interno). La modifica in esame interviene sul caso
dello straniero il cui genitore o ascendente in linea retta di secondo grado
sia o sia stato cittadino per nascita, riducendo a due anni (da tre anni) il
periodo di legale residenza in Italia, prescritto per la concessione della
cittadinanza. È invece mantenuto il requisito dei tre anni di legale residenza
in Italia per la eventuale concessione della cittadinanza allo straniero nato
nel territorio della Repubblica. L’articolo 1-ter, anch’esso introdotto dal
Senato, intervenendo sulla legge n. 91 del 1992, prevede che chi sia nato in
Italia o vi sia stato residente per almeno due anni continuativi, ed abbia
perduto la cittadinanza in applicazione di alcune disposizioni della legge n.
555 del 1912, la riacquisti se effettui una dichiarazione in tal senso, tra il
1° luglio 2025 e il 31 dicembre 2027. Al contempo, il contributo per il
riacquisto della cittadinanza sopra ricordato (pari a 250 euro, come nella
disciplina vigente) è annoverato tra i diritti da riscuotersi dagli uffici
consolari. L’esame del provvedimento in Commissione, che è già stato
calendarizzato nell’Aula della Camera per il 20 maggio, proseguirà in
Commissione nella giornata di lunedì 19 maggio. (Inform/dip 18)
XVI Congresso dell’Unione dei Consoli Onorari d’Italia nel Mondo
ROMA - Francesca
La Marca, senatrice Pd eletta all’estero, venerdì scorso ha partecipato, presso
il Circolo degli Esteri di Roma, alla XLV Assemblea dell’Unione dei Consoli
Onorari in Italia (UCOI) e al XVI Congresso dell’Unione dei Consoli Onorari
d’Italia nel Mondo (UCOIM), due importanti appuntamenti di confronto annuali
dedicati al ruolo e alle prospettive della rete consolare onoraria.
L’iniziativa, che
ha visto la partecipazione di numerose autorità istituzionali e diplomatiche,
ha rappresentato un momento di confronto sull’importanza della diplomazia
consolare onoraria, sia per l’Italia all’estero, sia per i numerosi consoli
stranieri presenti nel nostro Paese che svolgono una preziosa funzione di
collegamento tra le comunità e le istituzioni. Nel corso della conferenza, la
senatrice ha ricevuto una medaglia in riconoscimento dell’impegno e
dell’attenzione che da sempre pone nei confronti della comunità dei consoli
onorari nel mondo, un attestato di profonda stima che l’associazione riconosce
a chi si contraddistingue nella promozione del ruolo e delle prerogative dei
consoli onorari.
Nel suo saluto, La
Marca ha ringraziato i due Presidenti per il riconoscimento e ha illustrato i
contenuti del disegno di legge da lei recentemente presentato volto a riformare
e aggiornare la normativa sui consoli onorari, ormai ferma al 1967. Un’iniziativa
normativa che intende rafforzare l’efficienza, la trasparenza e la meritocrazia
del sistema, riportando a livello legislativo i principi fondamentali in
materia di nomina, funzioni, valutazione e supporto operativo ai consoli
onorari, figure centrali nei territori in cui la rete consolare di carriera è
carente.
“Sostenere e
riformare la rete dei Consoli onorari significa rafforzare l’Italia nel mondo”,
ha dichiarato La Marca. “Il disegno di legge a mia prima firma vuole rispondere
a un’esigenza concreta: dotare il sistema consolare onorario, il nostro primo
biglietto da visita nel mondo, di una cornice normativa stabile, moderna e
adeguata alle nuove sfide poste dalla mobilità globale e dalla crescente
domanda di servizi da parte delle nostre comunità all’estero”.
“In ogni legge di
bilancio – ha ricordato la senatrice – da quando svolgo il ruolo di
parlamentare, ho presentato almeno un emendamento a beneficio dei consoli
onorari e alcuni anni fa sono riuscita a far triplicare il capitolo a loro
dedicato nei fondi del Ministero degli Esteri destinati alla rappresentanza
diplomatico-consolare nel mondo”.
Auspicando il
sostegno della rete dei consoli onorari sul provvedimento, La Marca ha infine
ribadito il proprio impegno a valorizzare, anche in sede parlamentare, il
lavoro svolto quotidianamente dai consoli onorari al servizio dei cittadini
italiani nel mondo e ha espresso l’auspicio che si possa avviare al più presto
un confronto costruttivo in Commissione per esaminare la proposta legislativa.
(aise/dip 19)
I genitori italiani…non trasmettono più la cittadinanza?
Passano tutti col
rosso? Eliminiamo i semafori!
La cittadinanza a
tutti e ai nostri nipoti no?
La nuova legge
sulla cittadinanza comincia così: L’articolo 1, comma 1, stabilisce che
i nati all’estero, in possesso di un’altra cittadinanza, non
acquisiscano automaticamente quella italiana. Questa preclusione si
applica anche a coloro che sono nati all’estero prima dell’entrata in vigore
della disposizione.
Da qui
scaturiscono varie domande che ci riguardano da vicino. Quel “ci” si riferisce
a noi italiani figli e nipoti di emigrati negli anni Cinquanta e Sessanta verso
la Germania, Francia, Belgio e altri bacini industriali.
Cosa significa
questo articolo 1 comma1?
Significa forse
che un bambino nato in Francia, dove vige lo “Jus Soli”, ed è pertanto francese
dalla nascita, perde il diritto alla cittadinanza italiana dei genitori?
Significa forse
che un figlio di italiani nato in Germania perde la cittadinanza giacché è
tedesco dalla nascita se i genitori sono qui residenti da più di otto anni?
Mamma e papà
italiani e bambini di altre nazionalità?
Il primo e secondo
fratello italiani e il terzo appena nato solo tedesco?
Cosa accade se
qualcuno non ha chiesto la registrazione del proprio figlio prima dell’entrata
in vigore di questa legge, giacché recita all’art.1: “Questa preclusione si
applica anche a coloro che sono nati all’estero prima dell’entrata in vigore
della disposizione”?
E, peggio ancora,
cosa succede se il comune tedesco ha inviato al consolato il certificato di
nascita di un neonato italiano e il consolato lo ha semplicemente dimenticato
in un cassetto, tralasciandone la trascrizione al comune italiano?
Comunque sia, la
sensazione che aleggia nelle comunità italiane all’estero è univoca:
arrivederci e grazie alla “cara e amata madrepatria”, quella del nodo alla gola
quando senti l’Inno nazionale, quella di “Dagli Appennini alle Ande” per dirla
in stile deamicisiano e con parole di altri tempi.
Negli Stati Uniti,
la nuova legge ha scosso profondamente gli italoamericani. Il Financial Times
titola: «Meloni fa arrabbiare gli italoamericani con le regole più severe sulla
cittadinanza.»
Nel frattempo, gli
italiani all’estero osservano come in Italia sia sempre più agevolato
l’acquisto della cittadinanza italiana da parte degli immigrati.
Da qui scaturisce
una pericolosissima domanda con il rischio di nuove spaccature in una società
già disarmonizzata dai nostri governanti: cornuti e bastonati? La cittadinanza
a loro sì e ai nostri nipoti no?
Ma la domanda
delle domande è un’altra: da cosa derivano tutta questa necessità e
quest’urgenza da parte dei nostri governanti di mettere mano a una legge che
scuote nel profondo l’emigrazione italiana?
Dal sito ufficiale
della Camera dei deputati si apprende che: “La normativa attuale sulla
cittadinanza è disciplinata dalla legge n. 91 del 1992, che si basa
primariamente sul principio dello ius sanguinis (trasmissione della
cittadinanza per discendenza). Il nuovo decreto non modifica questo principio
fondamentale, ma, come riportato nella relazione illustrativa del disegno di
legge di conversione mira a temperarlo collegandolo alla sussistenza di vincoli
effettivi e attuali con la comunità nazionale”.
Hai capito? Questi
hanno voluto “temperare” (meglio dire annacquare) il principio della vecchia
legge e lo hanno voluto collegare ai “vincoli effettivi e attuali” con la
comunità nazionale.
Eh già! Perché
negli ultimi vent’anni i vari governi italiani hanno fatto veramente di tutto
per stringere questi nostri vincoli di emigrati con la “comunità nazionale”.
Ci hanno chiuso in
faccia, per esempio, le porte dei consolati, sopprimendoli in massa e dove
oggi, per ottenere un servizio, ti devi mettere in fila telematica per mesi e
mesi.
Poi ci hanno
imposto di pagare la tassa sulla prima casa, anche se vuota, mentre tutti gli
altri, quelli della “comunità nazionale” ne sono felicemente esonerati.
E l’AIRE,
l’anagrafe degli italiani all’estero? Grande invenzione l’A.I.R.E., grazie alla
quale sei subito cancellato dal servizio sanitario nazionale e guai a te se non
ti iscrivi, se no ti arriva pure la multa.
Nel frattempo,
hanno pure ridotto all’osso l’insegnamento della lingua e della cultura
italiana ai figli degli emigrati poiché soldi sprecati per gente che forse in
Italia non metterà mai piede.
Però hanno fatto
tanto per il “Turismo alle radici”, riconoscendo l’esistenza di radici, anche
se solamente utili a far lasciare qualche migliaio di dollari in qualche
albergo italiano al classico italoamericano nostalgico?
Sembra proprio che
il taglio del cordone ombelicale tra gente che ha dovuto lasciare l’Italia e
l’Italia stessa non sia cosa nuova e che questa nuova legge ne sia solo una
logica, se pur cinica, conseguenza.
Il ministro degli
Esteri Antonio Tajani ha tentato qualche spiegazione, dichiarando che la nuova
legge è anche necessaria per porre fine all’ondata di latinoamericani che
ottengono passaporti italiani non per emigrare in Italia, ma per viaggiare più
facilmente negli Stati Uniti e in Europa.
Il ministro è
preoccupato per gli interessi degli Stati Uniti e di altri Paesi europei
vittime di questo tsunami di italiani posticci.
Ministro altruista
il nostro e anche generoso che aggiunge: «La concessione della cittadinanza è
una questione seria» e poi «Non deve essere uno strumento per andare in viaggio
a Miami o in altri luoghi con un passaporto europeo».
La cittadinanza
una questione seria? Ma guarda un po’! Credevamo fosse una barzelletta.
Troppi italiani
taroccati a Miami? Giusto! Era proprio ora che il nostro Governo si occupasse
del sovraffollamento del comune di Miami invaso da pseudo italiani con la
faccia latino-americana e il sigaro cubano in bocca stile Al Pacino-Scarface…
Ma il nostro
Governo, oltre a preoccuparsi della sicurezza urbana di Miami, farà anche
qualche considerazione sul concetto della famiglia considerata “unità
giuridica” con eguali diritti e doveri verso lo stesso Stato?
Questa legge è
veramente costituzionale al momento in cui infrange questa unità di diritto (e
di doveri) verso la stessa Costituzione all’interno di una famiglia?
La doppia
cittadinanza consente il giuramento di fedeltà verso due stati.
Questa nuova legge
Made in Italy mette invece genitori contro i figli, ora costretti a essere
fedeli a due differenti ordinamenti statali.
Ma, sicuramente,
riusciranno anche a “temperare” il concetto di unità di diritto, di cultura, di
storia, di radici e di interessi in seno alla famiglia.
Del resto, hanno
già dimostrato che per loro tutto è “temperabile”, addirittura il concetto
civile e democratico di “antifascismo”.
E allora
temperate, temperate pure come un politico che gli italiani all’estero (quelli
autentici, fasulli e quelli senza vincoli con la comunità nazionale) hanno
mandato in Senato, certo Marco Lisei di Fratelli d’Italia, il quale ha
dichiarato al Financial Times: «La destra conservatrice ha sempre considerato
gli italiani all’estero i migliori ambasciatori dell’Italia… una risorsa
straordinaria. Ma poi è emerso un vero e proprio traffico di cittadinanze, che
ha costretto il governo a intervenire».
Bravo Senatore
Lisei! Vero e proprio traffico di cittadini e tutti passano col rosso. E
allora: eliminiamo i semafori! CdI on 26
Il 14 giugno a Sulmona il premio nazionale Pratola
Sulmona (L’Aquila)
- Una kermesse, uno spettacolo organizzato dall'Associazione Culturale
"Futile Utile" magistralmente diretta con passione e competenza dai
giornalisti ENNIO e PIERPAOLO BELLUCCI, che nonostante la scarsa disponibilità
di mezzi economici a disposizione si conferma come una delle più importanti e
significative manifestazioni dell'intero Abruzzo e non solo. Questa XVI
edizione dedicata alla memoria dell'Artista aquilano MARCELLO MARIANI, un
autentico Maestro, una delle figure più rappresentative del movimento pittorico
informale, avrà come madrina d'eccezione la bravissima Inviata del TG1-Rai
STEFANIA BATTISTINI, sempre puntuale ed obiettiva con i suoi reportage dai
maggiori teatri di guerra del mondo.
Testimonial sarà
il prof. HAFEZ HAIDAR, eminente figura di poeta-scrittore, più volte candidato
al Premio Nobel per la Pace e la Letteratura. Mentre lo spazio dedicato alla
poesia sarà affidato al noto attore-doppiatore di cinema, teatro e televisione
EDOARDO SIRAVO, una delle "voci" più coinvolgenti ed apprezzate del
panorama italiano. La manifestazione si svolgerà, per la prima volta,
all'interno dell'Abbazia di SANTO SPIRITO AL MORRONE, luogo celestiniano per
eccellenza, un posto di struggente, incomparabile bellezza e spiritualità,
testimonianza di un'arte altissima e di fede profonda.
Prestigioso e
rappresentativo di varie realtà internazionali, nazionali e regionali il
“parterre" dei Premiati nelle diverse sezioni in cui si articola il
Premio: Letteratura, Cultura, Medicina e Ricerca Scientifica, Giornalismo,
Solidarietà, Televisione, Poesia. In buona sostanza, una manifestazione tutta
da seguire in presenza e anche attraverso la diretta TV per Abruzzo e Molise di
Rete 8, integrata dalle riprese della squadra di Massimo Scafati per il sito di
APK, affidata alla brillante presentazione del giornalista di Rete 8 ENRICO
GIANCARLI e che sarà caratterizzata anche dagli interventi e dalle
sottolineature musicali del Soprano dalla voce inconfondibile CHIARA TARQUINI,
dal bravo chitarrista EUGENIO CARONNA e dagli estrosi e creativi MASSIMO DOMENICANO
al pianoforte e GIANNI FERRERI alla tromba. Questo l'elenco completo di coloro
che riceveranno i "Premi Speciali":
MAURIZIO DE
GIOVANNI - Letteratura e Cultura
ANDREA LO CICERO -
Sport e Spettacolo
LUCA TELESE -
Giornalismo e Tv
AURORA RUFFINO -
Letteratura e Cinema
ALESSANDRO
ANTINELLI - Giornalismo Sportivo
ANTONIO DEL
GIUDICE - Giornalismo e Cultura
GIOVANNI
D'ALESSANDRO - Letteratura e Cultura
DANIELA D'ALIMONTE
- Cultura e Poesia
ASJA VARANI -
Sport
CHARLES
L.CASTIGLIONE - Medicina e Ricerca Scientifica
RICCARDO LETTERIO
- Economia e Lavoro
LUCA ZAVARELLA -
Economia e Lavoro
MARCELLO D'ANDREA
- Medicina e Ricerca Scientifica
SANTE VENTRESCA -
Solidarietà e impegno civile
E veniamo al
nutrito elenco delle personalità che riceveranno l'ambito riconoscimento
partendo da MAURIZIO DE GIOVANNI, affermato SCRITTORE, sceneggiatore,
drammaturgo e autore televisivo. Suoi i romanzi "Il Commissario
Ricciardi", ”I bastarti di Pizzofalcone", "Mina Settembre"
da cui sono state tratte serie televisive di successo interpretate da Lino
Guanciale, Alessandro Gassman, Serena Rossi. L'ultima sua pubblicazione da poco
in libreria è "L'antico amore".
ANDREA LO CICERO
VAINA detto "Barone" per via delle ascendenze nobiliari della sua
famiglia. Già RUGBISTA pilone sinistro con 103 presenze nella Nazionale
italiana e ben 4 edizioni della Coppa del Mondo. Attualmente CHEF molto
apprezzato, conduttore tv Gambero rosso, Ambasciatore UNICEF.
LUCA TELESE, noto
e affermato GIORNALISTA, Direttore del quotidiano dell'Abruzzo “IL
CENTRO". Saggista, è autore e conduttore televisivo.
ALESSANDRO
ANTINELLI, GIORNALISTA e telecronista sportivo tra i più conosciuti ed
apprezzati, Caporedattore centrale di RAI-SPORT.
AURORA RUFFINO,
giovane ma già affermata ATTRICE e SCRITTRICE, in testa alle classifiche
letterarie con il suo libro "Volevo salvare i colori".
ASJA VARANI,
pescarese, CAMPIONESSA Europea e Mondiale, orgoglio d'Abruzzo, vera regina del
Pattinaggio corsa.
ANTONIO DEL
GIUDICE, per anni ha diretto il quotidiano "Il Centro", GIORNAIISTA e
SCRITTORE sensibile e straordinario uomo di cultura.
Una proiezione
internazionale con CHARLES L. CASTIGLIONE, americano legato all'Abruzzo, MEDICO
CHIRURGO, per il suo elevato contributo alla chirurgia plastica ricostruttiva
ed il suo impegno nella ricerca. Ma anche, soprattutto, per il suo lato umano,
il suo sostegno ai più deboli, prestando servizio gratuito in Ecuador per
aiutare chi ne ha più bisogno.
Non mancano
Riconoscimenti a diversi autorevoli Rappresentanti dell'ABRUZZO che vale, che
portano in alto il nome della nostra regione con il loro lavoro, la loro
intelligenza, la loro competenza nei rispettivi campi di azione.
GIOVANNI
D'ALESSANDRO, uomo di grande cultura, SCRITTORE più che affermato e celebrato,
tornato recentemente in libreria, dopo qualche anno di assenza, con il suo
nuovo romanzo "Lo sperduto", una storia d'amore a cerchi concentrici,
edito da Città Nuova.
DANIELA
D'ALIMONTE, POETESSA, dialettologa, Ricercatrice e profonda conoscitrice degli
usi e dei costumi abruzzesi, come nella migliore tradizione deniniana.
RICCARDO LETTERIO,
nato a Rocca Pia, giovane e brillante INGEGNERE che lavora per la Dumarey
Group, Azienda leader nella mobilità sostenibile, specializzata in sistemi di
propulsione, trasmissioni e soluzioni energetiche avanzate, con particolare
attenzione sulle tecnologie a idrogeno ed elettriche. È Business Assistant al
CEO, ruolo strategico di supporto all'Amministratore delegato dell'entità
italiana.
MARCELLO D'ANDREA,
pratolano di origine, NEUROCHIRURGO altamente qualificato, specializzato in
Neurochirurgia vascolare, vero punto di riferimento per soluzioni chirurgiche
avanzate. Responsabile della struttura semplice Neurochirurgica presso
l'ospedale "M.Bufalini" dell'Ausl della Romagna, dove è anche vice
direttore dell'Unità complessa.
LUCA ZAVARELLA, di
Pratola Peligna, INGEGNERE, che, per iCubed, lavora come responsabile dell'area
Data e Al, coordinando i team che si occupano di dati e intelligenza
artificiale, favorendo collaborazione, scambio di competenze e sviluppo di
soluzioni alternative.
SANTE VENTRESCA,
docente e SCULTORE, oltre mezzo secolo amorevolmente dedicato alle persone con
disabilità. Con coraggio, encomiabile costanza, grandi sacrifici e caparbietà è
riuscito a creare la residenza per il "Dopo di Noi"-Villa Gioia e il
Centro Diurno di Torrone, strutture fondamentali per la vasta area peligna.
Alle Personalità
insignite saranno consegnati in omaggio i disegni caricaturali realizzati
dall’artista Franco Pasqualone. Appuntamento, dunque, al pomeriggio di sabato
14 giugno presso l’incantevole Abbazia di Santo Spirito al Morrone o alla
diretta televisiva di RETE 8.
Goffredo
Palmerini, Dip 20
Camera. Parere favorevole della Commissione Esteri al DL sulla cittadinanza
ROMA – La
Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati ha espresso parere
favorevole alla Commissione Affari Costituzionali, sul disegno di legge C.
2402, approvato dal Senato, di conversione del decreto-legge 28 marzo 2025, n.
36, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. “Preso atto – si
legge nel parere – che l’articolo 1, comma 1, introduce nella disciplina
vigente limitazioni al riconoscimento della cittadinanza per coloro che siano
nati all’estero, disponendo che debba essere considerato non aver mai
acquistato la cittadinanza italiana colui il quale sia nato all’estero e, al
contempo, sia in possesso della cittadinanza di un altro Stato, e prevedendo,
nel contempo una serie di limitate eccezioni; evidenziato che il comma 1-quater delimita
l’acquisto della cittadinanza italiana ai figli conviventi di chi acquisti o
riacquisti la cittadinanza italiana al caso che, alla data di acquisto o
riacquisto genitoriale, quei minori risiedano in Italia legalmente da almeno
due anni continuativi – o dalla nascita, se di età inferiore ai due anni; preso
atto che l’articolo 1-bis, al comma 1 consente l’ingresso e il soggiorno per
lavoro subordinato, al di fuori delle quote massime di stranieri da ammettere
nel territorio dello Stato per lavoro, per lo straniero residente all’estero,
discendente di cittadino italiano e in possesso della cittadinanza di uno Stato
di destinazione di rilevanti flussi di emigrazione italiana; rilevato che il
comma 2 del medesimo articolo 1 interviene su taluni profili della prova
relativa alle controversie in materia di accertamento della cittadinanza
italiana; in particolare, prevede che non siano ammessi, quali mezzi di prova,
il giuramento e la prova testimoniale e che colui il quale chieda
l’accertamento dello stato di cittadino sia tenuto ad allegare e a provare
l’insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita della cittadinanza
previste dalla legge. La Commissione – conclude il testo – esprime parere
favorevole” Nel corso del dibattito in III Commissione il relatore Andrea
Di Giuseppe (FdI- ripartizione America Settentrionale e Centrale) ha ricordato
come le disposizioni vigenti in Italia in materia di cittadinanza accordino
alle persone nate all’estero la facoltà di chiedere il riconoscimento della cittadinanza
senza alcun limite temporale o generazionale, né oneri finalizzati a dimostrare
la sussistenza o il mantenimento di vincoli effettivi con la Repubblica. Per il
relatore questo assetto ha determinato, in particolare negli ultimi anni, la
crescita esponenziale della platea di potenziali cittadini italiani che
risiedono al di fuori del territorio nazionale e che, anche in ragione del
possesso di una o più cittadinanze diverse da quella italiana, sono
prevalentemente legati ad altri Stati da vincoli profondi di cultura, identità
e fedeltà. Venendo al merito del provvedimento il relatore ha evidenziato come
l’articolo 1, comma 1, introduca nella legge vigente sulla cittadinanza (legge
n. 91 del 1992) una nuova norma che stabilisce limitazioni al riconoscimento
della cittadinanza per coloro che siano nati all’estero. In particolare,
stabilisce una preclusione all’acquisto automatico della cittadinanza per i
nati all’estero in possesso di cittadinanza di uno Stato estero. Al
contempo, la disposizione individua, alle lettere da a) a d),
una serie di eccezioni alla disciplina introdotta, tra loro alternative. È
dunque sufficiente che ricorra una sola di esse affinché la cittadinanza si
trasmetta automaticamente anche a chi sia nato all’estero e sia in possesso di
altra cittadinanza. In proposito Di Giuseppe ha fatto presente che la
lettera a) fa salvo il caso in cui lo stato di cittadino del soggetto
interessato sia riconosciuto, a seguito di domanda, corredata della necessaria
documentazione, presentata all’ufficio consolare o al sindaco competenti entro
le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025, nel rispetto della normativa
applicabile alla medesima data. Rilevato inoltre come la
lettera a-bis), introdotta nel corso dell’esame presso il Senato,
faccia salvo altresì il caso in cui entro il termine sopra ricordato – le
23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025 – l’interessato abbia ricevuto
comunicazione di appuntamento presso l’ufficio competente, per la presentazione
della domanda di acquisto della cittadinanza. Osservato poi dal relatore come
la lettera b) faccia salvo il caso in cui lo stato di cittadino del
soggetto interessato sia accertato giudizialmente, a seguito di domanda
giudiziale presentata non oltre le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025, nel
rispetto della normativa applicabile alla medesima data. Sottolineato inoltre
che le lettere c) e d) prevedono eccezioni riferite ai
genitori (ascendenti di primo grado) e agli adottanti, nonché ai nonni
(ascendenti di secondo grado). In particolare, per attivare l’eccezione
(rispetto alla preclusione dell’acquisto della cittadinanza) la
lettera c) dispone che genitori o nonni devono possedere (o dovevano
possedere al momento della morte, avendosi qui riguardo al caso di loro premorienza
rispetto alla nascita del figlio o nipote) “esclusivamente” la cittadinanza
italiana; pertanto, in caso di doppia cittadinanza dell’ascendente di primo e
secondo grado, l’eccezione non si applica. Segnalato inoltre da Di Giuseppe
come la lettera d) introduca un’ulteriore eccezione nel caso in cui
uno dei genitori o degli adottanti sia stato residente in Italia per almeno due
anni continuativi prima della data di nascita o di adozione del figlio. In base
alla specificazione introdotta nel corso dell’esame presso il Senato, la
residenza continuativa almeno biennale in Italia deve essersi realizzata
successivamente all’acquisto della cittadinanza italiana. Rilevata poi dal
relatore come la tipizzazione di eccezioni alla preclusione miri, come
evidenziato dalla relazione illustrativa che correda il disegno di legge, a
connettere la trasmissione della cittadinanza alla sussistenza di un legame
effettivo con l’Italia, sia in capo agli ascendenti cittadini sia al
discendente al quale è trasmessa la cittadinanza. Senza modificare il principio
di fondo della trasmissione della cittadinanza, che resta £saldamente ancorato
allo jus sanguinis, quale elemento costitutivo della comunità nazionale”,
si mira a coniugare tale principio con la sussistenza di vincoli effettivi ed
attuali con la comunità nazionale, sicch锫solo in presenza di tali vincoli
oggettivi, perduranti nel tempo ed espressione di un legame formale e
sostanziale con la Repubblica, potrà essere garantito l’accesso al complesso
indissolubile di diritti e di doveri propri dei cittadini che formano il popolo
cui l’articolo 1 della Costituzione attribuisce la sovranità”. Evidenziato poi
da Di Giuseppe come il comma 1-bis del medesimo articolo 1, introdotto nel
corso dell’esame presso il Senato, disponga che il minore straniero o apolide,
discendente da padre o madre che abbiano acquistato la cittadinanza italiana
per nascita, divenga cittadino italiano al ricorrere di due condizioni.
Anzitutto, è necessario che i genitori medesimi ovvero il tutore, dichiarino la
volontà di acquisto dello status di cittadino da parte del minore. La
disposizione richiede poi il soddisfacimento di almeno uno dei seguenti
requisiti alternativi: successivamente alla suddetta dichiarazione di volontà,
il minore risieda legalmente e continuativamente per almeno due anni in
Italia; la dichiarazione di volontà sia presentata entro un anno dalla
nascita del minore, o altrimenti decorrente dalla successiva data in cui sia
costituito il rapporto di filiazione con un cittadino italiano, anche in
seguito ad adozione. Rilevato inoltre dal relatore che il minore straniero o
apolide che sia divenuto cittadino italiano ai sensi del comma 1-bis, ha la
facoltà, a decorrere dal raggiungimento della maggiore età, di rinunciare alla
cittadinanza italiana, qualora sia in possesso della cittadinanza di altro
Stato. Inn proposito il comma 1-ter prevede una deroga al regime appena
descritto, con esclusivo riferimento allo straniero o all’apolide il quale: sia
minorenne alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto legge; e, al contempo, sia figlio di genitori i quali, pur essendo nati
all’estero e in possesso di altra cittadinanza, abbiano acquistato la
cittadinanza italiana per nascita. Per tale categoria di minori, la sopra
citata dichiarazione di volontà può essere presentata entro le 23:59, ora di
Roma, del 31 maggio 2026. Di Giuseppe ha poi osservato come il comma
1-quater delimiti l’acquisto della cittadinanza italiana ai figli
conviventi di chi acquisti o riacquisti la cittadinanza italiana, al caso che
alla data di acquisto o riacquisto genitoriale, quei minori risiedano in Italia
legalmente da almeno due anni continuativi – o dalla nascita, se di età
inferiore ai due anni. Sottolineato anche come il comma 2 del medesimo articolo
1 intervenga su taluni profili della disciplina della prova relativa alle
controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana,
stabilendo, in primo luogo, che nelle suddette controversie non siano ammessi
il giuramento e la prova testimoniale, e in secondo luogo, che nelle medesime
controversie l’onere di provare l’insussistenza delle cause di mancato acquisto
o di perdita della cittadinanza previste dalla legge ricada su colui il quale
chiede l’accertamento della cittadinanza. Segnalato anche l’articolo 1-bis,
introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, che al comma 1 consente
l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, al di fuori delle quote
massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro, per lo
straniero residente all’estero, discendente di cittadino italiano e in possesso
della cittadinanza di uno Stato di destinazione di rilevanti flussi di
emigrazione italiana. La determinazione di tali Stati di destinazione è rimessa
ad un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale, di concerto con il Ministro degli interni e con il Ministro del
lavoro e delle politiche sociali. Evidenziato poi dal relatore come l’articolo
1-bis, comma 2 riduca da tre a due anni il periodo di legale residenza in Italia,
prescritto per la concessione della cittadinanza allo straniero il cui genitore
o ascendente in linea retta di secondo grado sia o sia stato cittadino per
nascita. Rilevato anche come l’articolo 1-ter, introdotto nel corso dell’esame
presso il Senato, preveda che chi sia nato in Italia o vi sia stato residente
per almeno due anni continuativi, ed abbia perduto la cittadinanza italiana –
ad esempio, a seguito dell’acquisto della cittadinanza straniera – la
riacquisti se effettua una dichiarazione in tal senso tra il 1° luglio 2025 e
il 31 dicembre 2027. Precisato infine dal relator che il contributo per il
riacquisto della cittadinanza (pari a 250 euro) è annoverato tra i diritti da
riscuotersi dagli uffici consolari.
Nel corso del
dibattito è intervenuto il deputato Fabio Porta (Pd- ripartizione Europa) che
ha preannunciato il voto contrario del proprio Gruppo sulla proposta di parere
del relatore, e, in generale sul provvedimento in esame. Porta, dopo aver
criticato l’uso del decreto legge per una materia così delicata, ha
sottolineato come il provvedimento stravolga il principio dello ius
sanguinis e cancelli di fatto, la fattispecie della doppia cittadinanza.
Per Porta questo decreto legge, che non coincide con gli annunci della
maggioranza di presentazione di un provvedimento recante una riforma organica
della cittadinanza, che tenesse conto del ruolo significativo delle nostre
comunità di connazionali all’estero, rischia di alimentare il clima di sfiducia
nella politica da parte dell’opinione pubblica e di generare numerosi
contenziosi che creeranno ulteriori problemi alle amministrazioni. Dopo
l’intervento di Dimitri Coin (Lega ) che ha annunciato il voto contrario,
a titolo personale, sulla proposta di parere presentata dal relatore, ha preso
la parola il deputato Andrea Orsini (FI- PPE) che ha preannunciato il voto
favorevole di Forza Italia sia sulla proposta di parere sia, in generale, sul
provvedimento. Per il deputato il decreto legge contribuirà a valorizzare
ancor di più il ruolo degli italiani all’estero, eliminando ogni forma di abuso
nei procedimenti di concessione della cittadinanza. (Inform/dip 20)
Referendum. FIEI: Votiamo tutti, votiamo sì
Roma - “Votiamo
tutti. Votiamo SI a tutti i 5 referendum Contrastare gli appelli all’astensione
e impegnarsi convintamente perché questa volta ognuno voti liberamente. È
questo l’appello della nostra rete associativa. Con responsabilità come
cittadini italiani che vivono e lavorano all’estero e che, come gli italiani
nella madrepatria, vogliono far valere la loro volontà e determinare i giusti,
utili e necessari cambiamenti”. Così Rino Giuliani e Rodolfo Ricci, della
Segreteria FIEI, nell’invito rivolto a tutti i connazionali all’estero che in
questi giorni stanno ricevendo il plico elettorale per votare ai referendum
abrogativi dell’8 e 9 giugno.
“Con il voto –
sottolineano Giuliani e Ricci – possiamo cambiare direttamente disposizioni di
legge che non hanno funzionato; riteniamo sia il momento di sostituirle con
altre che servono a migliorare la condizione di chi lavora e di chi vuole
lavorare. Nei mesi scorsi – ricordano – le associazioni aderenti alla FIEI, i
referenti presenti nei paesi di accoglienza hanno svolto una attività
d’informazione sul merito dei quesiti referendari”.
“Principali
esponenti di governo e alcune alte cariche dello Stato fanno dichiarazioni a
sostegno della campagna di astensione”, aggiungo Ricci e Giuliani, secondo cui
“questi appelli a far fallire il referendum minano la nostra democrazia
segnalando una cultura politica autoritaria che si vorrebbe imporre sugli
assetti che ci siamo dati con la nostra Costituzione”.
Gli italiani
all’estero, proseguono, “hanno pienamente diritto ad una informazione chiara e
completa che ci siamo impegnati a dare in modo da poter decidere in piena
autonomia al momento di esprimersi democraticamente con il voto. Dalle
istituzioni questa informazione sta arrivando in ritardo, non dappertutto e in
modo inadeguato. Ciò avviene anche per responsabilità del governo che invita a
non votare, in un clima mediatico e istituzionale ostile. Con la raccolta delle
firme nello scorso anno e con l’informazione durante i mesi passati il tema del
lavoro tutelato e dignitoso, il contrasto deciso agli incidenti e alle morti
sul posto di lavoro, un accesso più rapido alla cittadinanza – motivi
sacrosanti ovunque ci si trovi a vivere – sono ritornati al centro nel
dibattito pubblico italiano”.
Per Ricci e
Giuliani “è molto positivo che questo avvenga anche fra i cittadini italiani
nel mondo e tra coloro che stanno subendo in questi mesi un attacco
inaccettabile al loro diritto al riacquisto della cittadinanza italiana. Un
risultato significativo, da consolidare con questo voto che, all’estero, si
svolge tra fine maggio e i primi giorni di giugno”.
L’invito ai
connazionali, dunque, è di “non sprecare il voto”: “scrivendo un “sì” su ogni
quesito, miglioreranno i rapporti di lavoro, oggi diseguali, fra aziende e
lavoratori. Un miglioramento che riguarda chi è in Italia e quanti, oggi
residenti all’estero, vogliano ritornare. Come FIEI vi chiediamo di partecipare
con il vostro voto al cambiamento di una legislazione che ha peggiorato negli
anni le condizioni di lavoro di milioni di persone in Italia e delle centinaia
di migliaia di giovani che ogni anno, dal 2010 in poi, per poter dignitosamente
lavorare sono dovuti di nuovo emigrare. Se il lavoro è povero, ricattabile e
insicuro, è una situazione ingiusta per tutti. Ognuno facendo la sua parte,
facendolo insieme, votando, - concludono – può cambiare e cambia la realtà
delle cose”.
(aise/dip
21)
A Cosenza la 34ª Convention Mondiale delle Camere di Commercio Italiane
all’Estero
Cosenza - Circa
200 delegati provenienti da 63 paesi. Saranno loro ad animare la 34ª Convention
Mondiale delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, che si svolgerà a
Cosenza dal 21 al 23 giugno.
L’evento è
promosso e ospitato dalla Camera di Commercio della città calabrese in
collaborazione con Assocamerestero, Unioncamere e il supporto di Promos Italia.
I 200 delegati
rappresenteranno dunque le 86 Camere italiane nel mondo e avvieranno in
Calabria dialoghi, confronti, scambi di esperienze e sinergie con il sistema
imprenditoriale locale.
La Convention è
stata presentata ufficialmente oggi, 22 maggio, presso la sede della Camera di
Commercio di Cosenza, alla presenza del Presidente di Assocamerestero, Mario
Pozza.
Presente anche il
Presidente della Camera di Commercio di Cosenza, Klaus Algieri, che ha
spiegato la volontà di accogliere la Convention: “è un atto di visione e
responsabilità. Significa credere nel valore della nostra imprenditoria, che
merita di affermarsi anche fuori dai confini nazionali. È un’opportunità unica
per amplificare il nostro potenziale, rafforzare la cultura dell’export e
consolidare la proiezione internazionale della provincia di Cosenza e quindi
anche della Calabria”.
“Le 86 Camere di
Commercio Italiane all’Estero sono una risorsa strategica per
l’internazionalizzazione delle PMI - ha dichiarato il Presidente di
Assocamerestero, Mario Pozza – punto di connessione con le comunità d’affari
italo-estere. Il loro radicamento nei contesti economici locali permette di
supportare le imprese nell’interpretare e governare i continui cambiamenti
dello scenario globale. Il raccordo con le Camere di commercio in Italia è
centrale per giocare di squadra, offrendo alle PMI informazioni in anteprima
sull'evoluzione dei mercati mondiali”. Pozza ha quindi ringraziato la CCIAA di
Cosenza e il Presidente Algieri “per aver fortemente voluto questa edizione
della Convention Mondiale”. E si è detto anche certo che “sarà foriera di nuove
sinergie e opportunità per questo territorio e per le sue imprese”.
Il momento
centrale della tre giorni sarà il convegno istituzionale “Destinazione
Calabria: investimenti e talenti per lo sviluppo della Calabria all’estero”, in
programma lunedì 23 giugno dalle 10 alle 13.30. Parteciperanno rappresentanti
delle istituzioni nazionali e locali, tra cui il Ministro delle Imprese e del
Made in Italy Adolfo Urso, il Presidente di Assocamerestero, Mario Pozza, il
Presidente di Unioncamere, Andrea Prete, insieme al sindaco di Cosenza, Franz
Caruso, alla Presidente della Provincia, Rosaria Succurro, e al Presidente
della Regione Calabria, Roberto Occhiuto.
Saranno previste
due tavole rotonde con uno spazio di approfondimento su internazionalizzazione,
turismo delle radici, innovazione e sostenibilità, con la partecipazione di
delegati dalle CCIE di Stati Uniti, India, Germania, Francia, Argentina e
Brasile, accademici calabresi e rappresentanti del mondo imprenditoriale.
Nel pomeriggio
dello stesso giorno si svolgeranno gli incontri B2B tra oltre 140 imprese
locali e i rappresentanti delle 86 Camere italiane all’estero. L’obiettivo
della Convention, dichiarato da Assocamerestero, è “facilitare l’avvio di nuovi
progetti di collaborazione e promuovere l’apertura verso nuovi mercati, in
un’ottica di crescita strutturata e duratura”. (aise/dip 22)
A Bruxelles la XIX Conferenza dei Ricercatori Italiani nel Mondo
Ministro Tajani:
Il lavoro di squadra è la chiave del nostro successo e la Conferenza
contribuisce a promuovere l’immagine di un’Italia all’avanguardia
BRUXELLES –
La XIX Conferenza dei ricercatori italiani nel mondo è stata
aperta a Bruxelles da Gabriele Andreoli, president of Institute Advance Studies
and Cooperation , che ha moderato la sessione in cui si sono succeduti gli
interventi istituzionali del vicepresidente del Parlamento Europeo Antonella
Sberna, del Vice-Rettore dell’Université Libre de Bruxelles Anne
Weyembergh, del Presidente della Texas Scientific Italian Community Andrea
Giuffrida, dal coordinatore dell’evento al Parlamento Europeo Antonio Cenini,
dell’Ambasciatore d’Italia in Belgio Federica Favi e del Ministro della
Salute Orazio Schillaci con un video messaggio. Per l’occasione sono
arrivati i messaggi di saluto del Presidente del Senato Ignazio La Russa, della
Camera dei Deputati Fontana, del Ministro degli Esteri e della cooperazione
internazionale Antonio Tajani, del Ministro della Università e Ricerca, del
Ministro Anna Maria Bernini, delle imprese e del Made in Italy Adolfo
Urso. “Mi unisco molto calorosamente – ha scritto nel suo Messaggio il
Ministro degli Esteri Tajani – a tutti i partecipanti a questa nuova
edizione della Conferenza dei Ricercatori italiani nel Mondo. Un’occasione per
valorizzare il lavoro dei nostri talenti all’estero e per fare squadra attorno
all’obiettivo del progresso scientifico e della crescita. Sono per questo
molto grato agli organizzatori di questo appuntamento, anche per la scelta di
tenerlo presso il Parlamento Europeo”. “Per il Governo e per me personalmente –
ha continuato il Ministro – il vostro lavoro è fondamentale! Nei centri di
ricerca più avanzati del mondo o nei Paesi emergenti, date grande lustro
all’Italia e alla qualità del nostro sistema accademico e della ricerca.
Un’eccellenza che ha una ricaduta immediata nella capacità dei nostri territori
di attrarre investimenti dall’estero da parte delle imprese più innovative, per
esempio nel settore farmaceutico dove siamo tra i primi esportatori mondiali.
Penso anche ai molti supercomputer che fanno del nostro Paese il primo in
Europa per potenza di calcolo installata e il terzo al mondo e che sono un
cruciale motore di innovazione. Tutto questo si traduce in eccezionali
risultati per le nostre imprese, che sono ad esempio in prima linea nella corsa
allo spazio. Penso alla tecnologia italiana a bordo della sonda lunare Blue
Ghost, o alla collaborazione italiana con la NASA nel programma Artemis.
L’azione del Governo a favore dell’internazionalizzazione della ricerca e
dell’innovazione – ha proseguito Tajani – punta a mettere l’Italia al centro
dei flussi della ricerca mondiale, grazie alla presenza di prestigiose
organizzazioni scientifiche internazionali e attraendo nel nostro Paese grandi
infrastrutture di ricerca internazionale. Su tutte penso all’Einstein
Telescope, che vogliamo ospitare in Sardegna e con il quale gli scienziati
potranno studiare lo spazio più profondo analizzando le onde gravitazionali.
Mettendo a sistema le capacità più avanzate nel campo della scienza e
tecnologia, il nostro Paese dimostra di saper giocare un ruolo da protagonista
anche in questi ambiti cruciali. L’obiettivo – scrive infine il Ministro – è
mettere la scienza e la tecnologia al servizio della persona, della crescita,
dell’occupazione e dello sviluppo. Questo anche grazie al ruolo delle
nostre Ambasciate nella promozione delle eccellenze italiane della ricerca ed a
quello dei nostri Addetti Scientifici, che lavorano per una diplomazia
scientifica come strumento prezioso di pace e crescita. Il lavoro di squadra è
la chiave del nostro successo e la Conferenza dei Ricercatori Italiani nel
Mondo contribuisce a promuovere l’immagine di un’Italia all’avanguardia, capace
di distinguersi anche alla frontiera del progresso scientifico e tecnologico,
dalla fisica alla biologia fino alla ricerca in ambito spaziale. Contate su di
me, contate sul Governo! Buon lavoro a tutti!”.
Sono inoltre
intervenuti rappresentanti delle associazioni di ricercatori italiani nel
mondo: Cristina Bettin (Israele), Ilaria Pagani (Australia), Rossana De Angelis
(Francia), Carla Molteni (Regno Unito), Fabio Pinna (Belgio) e Simone Lucatello
(Messico), quest’ultimo sottolineando che bisognerebbe avere un rapporto
pratico, chiaro, organizzato, e con un segnale di maggior interesse e
visione dalle Istituzioni Italiane. Il programma scientifico della
Conferenza si è articolato su quattro sezioni tematiche, dedicate
rispettivamente all’aerospazio, alla ricerca di base, includendo
la robotica, l’alta tecnologia , ed intelligenza artificiale, alla
medicina, ed alle scienze umanistiche. Sono intervenuti scienziati e
ricercatori italiani di prestigio internazionale, che svolgono rilevanti ruoli
di responsabilità in Istituzioni di ricerca con sedi in Paesi Europei, nel Nord
e Sud America,in Cina, in Australia ed in Giappone.
Nella sezione
aerospazio, moderata da Stefano Boccaletti, sono intervenuti Adriano Ghedina,
Cesare Brava e Claudia Paladini che hanno descritto i fondamentali contributi
dei ricercatori italiani nei grandi progetti astronomici e di osservazione
dello spazio che caratterizzano la ricerca dell’Agenzia Spaziale Europea e
quella della NASA. La sezione successiva è stata moderata da Timoteo Carletti e
Simone Napolitano. I temi trattati sono stati la teoria delle reti
complesse (con interventi di Riccardo Muolo, Charo del Genio e Ludovico
Minati), i materiali amorfi (attraverso l’intervento di Itamar Procaccia), la
bioeconomia circolare, la spettroscopia fotoacustica e le applicazioni dei
digital twins (con interventi di Alessandro Parente, David Cannella, Luca
Fiorani, Elio Tuci, Simone Lucatello ed Angelo Pinto). A seguire, si è svolta
una lunga sezione scientifica, moderata da Andrea Giuffrida e Maddalena
Parafati, dedicata alla ricerca medica, durante la quale si sono succeduti gli
interventi di Antonio Colaprico, Pietro Coletti, Enkelejda Miho, Eleonora
Leucci, Viviana Vella, Antonella Fioravanti, Sara Piccirillo, Casimiro
Gerarduzzi. Le relazioni hanno chiaramente mostrato che il lavoro dei
ricercatori italiani all’estero fornisce un contributo di fondamentale
importanza in temi chiave per la salute pubblica quali la medicina omica e
traslazionale, la neuroinformatica e la moderna ricerca sul cancro. Infine, si
è svolta una sezione dedicata alle scienze umanistiche, moderata da Andrea
Giuffrida, che ha visto la partecipazione di Michele Vincenti su temi
riguardanti l’interazione tra intelligenza artificiale e spiritualità, e la
giovane Eugenia Cenini che ha descritto approcci integrati per il benessere e
la qualita’ della vista posti in essere in alcune regioni del Brasile. Ha
chiuso i lavori l’intervento del fondatore e Chairman della Conferenza,
Vincenzo Arcobelli.
“Questa
edizione invita a riflettere sulla valorizzazione del capitale umano
italiano all’estero e il rafforzamento della ricerca scientifica, priorità
strategica per la competitività globale. Azioni chiave sono: più risorse per la
ricerca, stabilizzazione dei ricercatori, meritocrazia, sinergie tra università
e imprese, modernizzazione infrastrutture, semplificazione amministrativa, uso
di Horizon Europe. La fuga di 120.000 ricercatori italiani (15.000 negli USA)
ha causato per l’Italia perdite economiche, che negli ultimi tredici anni si
traducono in 134 miliardi di euro. Servono politiche coordinate per un
ecosistema di ricerca attrattivo. Si nota inoltre, una inversione di tendenza,
mentre negli USA si riducono i fondi, l’Italia investe 50 milioni di
euro per infrastrutture e rientro talenti. Investire nei giovani e nella
scienza è cruciale per un’Europa e un’Italia competitive”. Arcobelli ha infine
annunciato, che la ventesima edizione dell’evento si svolgerà in Italia.
(Inform/di 26)
Cittadinanza: la legge in Gazzetta Ufficiale
ROMA - È stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio scorso la legge 74/2025
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2025, n.
36, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza” approvata in via
definitiva dalla Camera la scorsa settimana.
La legge che
limita lo ius sanguinis a due generazioni (un genitore o un nonno nato in
Italia) per i nati all'estero entrerà in vigore il 24 maggio 2025. Di
seguito la sintesi contenuta nel Dossier pubblicato dalla Camera.
CITTADINANZA PER I
NATI ALL'ESTERO
L'articolo 1,
comma 1, stabilisce che i nati all'estero in possesso di un'altra cittadinanza
non acquisiscono automaticamente quella italiana (Non ha mai acquistato la
cittadinanza italiana chi è nato all’estero ed è in possesso di altra
cittadinanza). Questa preclusione si applica anche a coloro che sono nati
all'estero prima dell'entrata in vigore della disposizione.
Previste alcune
eccezioni.
Si applica la
disciplina previgente:
se lo stato di
cittadino è stato riconosciuto o l'interessato ha ricevuto comunicazione di
appuntamento per la presentazione della domanda entro il 27 marzo 2025;
se lo stato di
cittadino è stato accertato giudizialmente a seguito di domanda giudiziale
presentata entro il 27 marzo 2025;
se uno dei
genitori o dei nonni possedeva esclusivamente la cittadinanza italiana;
se uno dei
genitori o adottanti ha risieduto legalmente e continuativamente in Italia per
almeno due anni dopo l'acquisto della cittadinanza italiana e prima della
nascita o adozione del figlio.
ACQUISTO DELLA
CITTADINANZA DA PARTE DEL MINORE STRANIERO O APOLIDE
L'articolo 1,
commi 1-bis e 1-ter introduce nuovi casi di acquisto "per beneficio di
legge" e non "per nascita". Si stabilisce che il minore
straniero o apolide, discendente da genitori cittadini italiani per nascita,
diviene cittadino italiano se i genitori o il tutore dichiarano la volontà di
acquisto. Richiede anche che, successivamente a tale dichiarazione, il minore
risieda legalmente e continuativamente per almeno due anni in Italia, oppure
che la dichiarazione di volontà sia presentata entro un anno dalla nascita o
dalla data di riconoscimento/adozione da parte di un cittadino italiano. Il
minore che diviene cittadino italiano per volontà dei genitori e che possiede
un'altra cittadinanza, può rinunciare alla cittadinanza italiana al
raggiungimento della maggiore età.
Il comma 1-quater
stabilisce inoltre che il figlio minore di un genitore che acquista la
cittadinanza può a sua volta acquisirla solo se risiede legalmente in Italia da
almeno due anni continuativi alla data di acquisto della cittadinanza da parte
del genitore (o dalla nascita, qualora il minore abbia meno di due anni).
STRANIERI
DISCENDENTI DA ITALIANI E INGRESSO PER LAVORO
L'articolo 1-bis,
comma 1 prevede che lo straniero residente all'estero, discendente di un
cittadino italiano e cittadino di uno stato di storica emigrazione italiana,
possa entrare e soggiornare in Italia per lavoro subordinato al di fuori delle
quote massime previste dal decreto flussi. L'individuazione di tali Stati è
rimessa a un decreto interministeriale.
CONCESSIONE DELLA
CITTADINANZA A STRANIERI DISCENDENTI DA ITALIANI
L'articolo 1-bis,
comma 2 riduce da tre a due anni il periodo di residenza legale in Italia
richiesto per la concessione della cittadinanza allo straniero il cui genitore
o nonno sia o sia stato cittadino italiano per nascita.
RIACQUISTO DELLA
CITTADINANZA A FAVORE DI EX CITTADINI
L'articolo 1-ter
prevede che chi sia nato in Italia o vi abbia risieduto per almeno due anni
continuativi, e abbia perduto la cittadinanza in applicazione di specifiche
disposizioni della legge n. 555 del 1912 la riacquisti se effettua, tra il 1°
luglio 2025 e il 31 dicembre 2027, una dichiarazione in tal senso. (aise/dip
26)
Sardegna: approvato il piano triennale per l’emigrazione
Cagliari - La
Giunta della Regione Sardegna ha approvato nei giorni scorsi due delibere in
tema di immigrazione ed emigrazione: il piano triennale per l’emigrazione
2025/2027 e i due programmi annuali per l’emigrazione e l’immigrazione 2025.
Ad illustrarle è
stata Desirè Manca, assessora regionale al Lavoro, che ha spiegato come, con la
legge 7/1991, in tema di emigrazione, “intendiamo rispondere in maniera più
efficace alle esigenze di mobilità transnazionale e al tempo stesso promuovere
e favorire il mantenimento e il rafforzamento del ruolo di riferimento per la
promozione della Sardegna e dei suoi valori”.
La legge dispone
“la predisposizione di un Piano triennale e di un piano annuale. Nel triennio
precedente durante la scorsa legislatura non si è proceduto ad approvare il
piano triennale 2023-2025, che oggi, grazie a questa Giunta ha ripreso
regolarità con l’approvazione del piano 2025-2027 e del programma annuale 2025,
contente la ripartizione delle risorse e due rilevanti novità rispetto al
passato: la destinazione delle risorse a vantaggio di una progettualità
improntata a criteri di maggiore trasparenza e opportunità di partecipazione e
il ripristino delle percentuali di ripartizione delle risorse destinate al
funzionamento dei Circoli e alle attività portate avanti dalle comunità sarde
fuori dell’isola”.
“Per quanto
riguarda il Programma annuale immigrazione 2025 – sottolinea l’assessora del
Lavoro - disposto dalla L.R. 46/1990, una delle novità per quest’anno riguarda
l’attivazione di un progetto di tirocinio in favore di disoccupati/inoccupati
stranieri richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale con
l’obiettivo di favorire l'acquisizione di competenze pratiche e specifiche”.
Altre due novità
annunciate dall’esponente della Giunta riguardano l’organizzazione della Prima
Conferenza Regionale dell’Immigrazione, in programma a Olbia il 3 e 4 luglio, e
della Convention dei giovani emigrati (o discendenti di emigrati), in programma
ad Alghero dal 21 al 24 ottobre.
“Puntiamo a una
società più inclusiva e il nostro obiettivo resta quello di ragionare,
confrontarci e costruire le linee programmatiche utili a definire e favorire
percorsi di inclusione, da trasformare poi in iniziative concrete da parte
della Giunta regionale”, ha concluso Manca. (aise/dip 26)
Assegno di inclusione negato agli italiani che rimpatriano
ROMA - “Negare
l’Assegno di inclusione (e quindi anche il Supporto pe la formazione e il
lavoro) ai nostri emigrati che rientrano in Italia – dopo aver cancellato a
partire da quest’anno con un colpo di spugna anche l’indennità di
disoccupazione che veniva erogata sin dal lontano 1975 - per ragioni legate
esclusivamente a requisiti residenziali, non solo è una aberrazione giuridica
ma è anche e soprattutto un ulteriore oltraggio e una ingiustizia contro il
mondo dell’emigrazione da parte di questo Governo”. Così Fabio Porta, deputato
Pd eletto all’estero, che ha presentato una interrogazione in merito al
Ministro del Lavoro Calderoni.
Nella premessa,
spiega Porta, “ho evidenziato che sono decine di migliaia i lavoratori italiani
iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) i quali
rientrano in Italia dopo un periodo di permanenza all’estero e si trovano in
una situazione di disoccupazione e di disagio socio-economico. Come è noto
dallo scorso anno è stato istituito l’Assegno di inclusione (ADI) come misura
nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale delle fasce deboli
attraverso la concessione di un assegno economico e l’avviamento di un percorso
di inclusione sociale professionale che teoricamente avrebbe potuto
rappresentare un iniziale strumento di inserimento socio-economico e poi
lavorativo per un numero consistente di nostri connazionali rientrati
dall’estero dopo aver perso il posto di lavoro”.
Il parlamentare ha
quindi ricordato al Governo che “tuttavia e paradossalmente i nostri
connazionali iscritti all’AIRE i quali rientrano definitivamente in Italia non
possono usufruire dell’ADI perchè il richiedente (e i suoi familiari) al
momento della presentazione della domanda, in base al disposto della legge
istitutiva, deve essere residente in Italia da almeno cinque anni di cui gli
ultimi due in modo continuativo prima della presentazione della domanda”.
Insomma, secondo
Porta, “per limitare la platea degli aventi diritto tra gli extracomunitari,
questo Governo penalizza invece soprattutto i nostri emigrati che rimpatriano”.
Con
l’interrogazione, il deputato Pd chiede al Ministro “se sia consapevole che né
l’Assegno di inclusione né il Supporto per la formazione e il lavoro – i nuovi
strumenti post Reddito di cittadinanza - sono accessibili agli italiani che
rientrano in quanto i connazionali che rientrano sono ovviamente sprovvisti del
requisito di residenza richiesto dalla legge e cioè dei due anni di residenza
continuativa in Italia nel periodo immediatamente precedente la presentazione
della domanda avendo in questo periodo vissuto all’estero”. A calderone Porta
chiede anche di sapere “se non ritenga ingiusto e penalizzante per i nostri
connazionali che rimpatriano, e ai quali è stato recentemente abrogato il
diritto all’indennità di disoccupazione, precludere l’accesso all’ADI anche e
soprattutto in considerazione del fatto che subordinare le prestazioni di
contrasto alla povertà e all’esclusione sociale come prima il Reddito di
cittadinanza e ora l’Assegno di inclusione (e il Supporto per la formazione ed
il lavoro) a specifici requisiti di residenza viola i principi dei Trattati
europei e dei relativi regolamenti”. Infine, conclude Porta, “ho chiesto al
Ministro se non ritenga perciò necessario, pena una ennesima procedura di
infrazione contro l’Italia da parte della Commissione europea, modificare i
requisiti di residenza per l’accesso all’ADI in modo da garantire anche ai
nostri connazionali che rimpatriamo e alle loro famiglie il diritto a tale
sostegno economico e occupazionale”. (aise/dip 27)
Eletti all’estero Pd: niente detrazioni figli a carico dal governo.
Italiani all’estero penalizzati
ROMA - “L'assegno
unico universale, che ha sostituito l'assegno unico familiare e le detrazioni
per i figli a carico di età inferiore ai 21 anni, è vincolato alla residenza in
Italia. L'abrogazione dei benefici precedenti, dunque, ha penalizzato esclusivamente
i contribuenti italiani residenti all'estero, pensionati e soprattutto
lavoratori (i cosiddetti “non residenti Schumacher” che producono reddito in
Italia per almeno il 75 per cento del loro reddito complessivo)”. Lo scrivono
in una nota congiunta i deputati del Pd eletti all’estero, Toni Ricciardi,
Fabio Porta e Christian Di Sanzo, commentando la risposta del Ministero
dell’Economia e Finanza alla loro interrogazione urgente dove si è evinto che
il Governo non ha intenzione di ripristinare le detrazioni per i figli a
carico. Ciò rappresenta, secondo loro, “l’ennesimo attacco ai connazionali che
vivono all’estero” da parte dell’esecutivo Meloni che “disprezza il diritto
Ue”.
“Nonostante
numerose sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e due procedure
di infrazione in corso – hanno spiegato gli eletti all’estero dem -, il governo
oggi ci ha comunicato candidamente che non intende intervenire. Del resto,
l’esecutivo Meloni disprezza il diritto Ue ed è completamente disinteressato a
garantire pieni diritti ai cittadini italiani residenti all'estero”.
“Deve essere
chiaro che ai nostri connazionali – hanno aggiunto -, stante il mancato accesso
ai benefìci derivanti dall'assegno unico universale, nelle more di un'azione
del Governo volta a conformare l'ordinamento italiano alle direttive UE e
sanare le procedure di infrazione in corso, l’esecutivo italiano non intende
colmare questa ingiusta e insopportabile discriminazione. La destra non
ripristinerà le detrazioni familiari per i figli a carico di età inferiore ai
21 anni a favore dei contribuenti residenti in Italia ma con nucleo familiare a
carico residente all'estero. L’ennesimo attacco ai nostri connazionali che
vivono all’estero”. (aise/dip 28)
Turismo delle Radici. Tavolo tecnico: il progetto è un’eccellenza italiana
ROMA- Il progetto
Turismo delle Radici è una “eccellenza”, che dimostra la “leadership mondiale”
italiana in questo settore, in cui “non esistono paragoni a livello di impegno
sistemico per lo sviluppo del sistema turistico” e le cui “potenzialità sono enormi”.
Per questo il Ministero degli Affari Esteri intende continuare a collaborare
con tutti i partner che hanno voluto prendervi parte e con quelli che in futuro
vorranno aderirvi. Ha esordito così Luigi Maria Vignali, direttore generale per
gli Italiani all’estero e le Politiche migratorie della Farnesina, che ha
aperto il tavolo tecnico di coordinamento del Turismo delle Radici, riunito
questa mattina in videoconferenza.
Obiettivo:
condividere le modalità di sviluppo e lo stato di avanzamento dei progetti di
promozione del Turismo delle Radici.
A moderare i
numerosi interventi il consigliere d’Ambasciata e responsabile del progetto
Giovanni Maria de Vita.
Il bilancio è già
positivo, anche se bisognerà attendere il prossimo anno per avere numeri certi.
Come ha sottolineato il dg Vignali, “insieme abbiamo creato servizi e un metodo
di lavoro che prima non c’era, che ha dato luogo a nuove figure professionali e
a una interlocuzione nuova con i viaggiatori delle radici, offrendo loro
opportunità che prima non esistevano”.
“Abbiamo
contribuito a far conoscere ancora di più in tutto il mondo la straordinaria
bellezza dei nostri borghi e dei piccoli comuni”, ha continuato Vignali, “con
una serie di ricadute positive in termini economici oltre che turistici”.
Al centro di
questo percorso, ha ricordato il direttore generale, c’è la rete Italea,
iniziativa multiforme lanciata nel marzo 2024 e che ”pian piano si è sviluppata
grazie anche ai centri di coordinamento regionale”. Il portale Italea.com ad
oggi ha oltre 1,5 milioni di visite registrate, ha riferito Vignali, e “un
numero crescente di famiglie italiane è stato messo in contatto con le proprie
radici”. Il programma include inoltre una “Italea Card” virtuale, che offre ai
turisti sconti e vantaggi speciali con oltre 720 partner commerciali e più di
12mila viaggiatori iscritti.
Ci sono poi le
Italee regionali, che, ha assicurato il dg Vignali, “continueranno a svolgere
un ruolo di raccordo tra istituzioni e realtà territoriali”, così come il
Ministero degli Affari Esteri intende mantenere il suo “ruolo di raccordo e di
monitoraggio delle attività”, fungendo da “guida” per un “ulteriore sviluppo”
del progetto.
Non è al momento
previsto un nuovo bando, ha detto oggi de Vita, poiché i fondi a disposizione
erano quelli erogati dal PNRR e sono stati utilizzati; la Farnesina si sta però
adoperando in tal senso, per dare seguito al progetto e alla collaborazione con
Regioni e Comuni, che hanno segnato, come ha detto Luigi Vignali, un “successo
collettivo”. Gli oltre 800 Comuni italiani che hanno partecipato al primo bando
e sono stati destinatari di risorse per sviluppare il progetto hanno realizzato
circa 750 eventi destinati ai turisti delle radici con oltre 150mila
partecipanti in tutta Italia, ha riferito sempre Vignali. Diverse anche le
iniziative all’estero, 19 in tutto il mondo: da Melbourne a Toronto e New York.
Il dg Vignali ha parlato di “impegno eccezionale da parte delle Regioni”, che
hanno permesso di “mostrare le nostre eccellenze” e dare “lustro al Paese
intero”, con “un’eco magnifica tra le nostre comunità”.
“Vogliamo
mantenere questo raccordo con le entità territoriali”, ha detto Vignali,
ricordando che proprio con i Comuni “il ministro Tajani ha fortemente voluto e
firmato un protocollo di collaborazione per sviluppare lo scambio di
informazioni e di idee, la promozione dei borghi e la formazione”. Anche la
formazione ha la sua importanza in questo progetto, ha confermato il
rappresentante della Farnesina. Per questo, ha annunciato, “stiamo realizzando
delle pillole formative che diffonderemo dal mese di giugno a tutta la rete dei
comuni” e, insieme ad esse, “un ciclo di videoconferenze con tutti gli 816
comuni che hanno partecipato al bando”.
Sempre in tema di
rete, Luigi Vignali ha reso noto che a breve sarà lanciata quella dei Musei
dell’emigrazione, ospitata sul portale Italea.com; così come sono in corso
“contatti stretti” con Ministero dell’Istruzione “per far sì che la storia
dell’emigrazione italiana sia studiata negli istituti scolastici secondari”.
“Tutto questo
dovrà poi essere valutato in termini di risultati”, si è avviato a concludere
il dg, monitorando quale sarà l’impatto sull’Italia e i suoi territori. Il
prossimo anno ci saranno “evidenze statistiche complete”, intanto però le prime
stime parlano di 5milioni di presenze in più di turisti delle radici tra il
2025 e il 2026, con una spesa da parte degli stessi turisti di 5,5 miliardi di
euro – Confcommercio sale sino a 8 miliardi in più anni – e una ricaduta sul
territorio stimata in 1 miliardo di euro e 99mila nuovi posti di lavoro.
“Un impatto
importante già nelle stime”, che per Vignali dimostra “l’importanza di questo
settore”. Occorre dunque “continuare a crescere insieme” e “promuovere il
turismo delle radici in Italia e nel mondo”, ha concluso, dicendosi certo che
il confronto odierno offrirà “feedback e nuove idee per andare avanti”.
Numerose in
effetti sono state le buone pratiche e gli spunti emersi durante il dibattito
che è seguito e a cui sono intervenuti rappresentanti di associazioni, comuni,
università, musei, operatori turistici e culturali...
Non è mancata
qualche polemica, come quella del consigliere Cgie Tommaso Conte, che dalla
Germania ha lanciato un allarme: con la riforma della cittadinanza “fra
trent’anni gli italiani all’estero non ci saranno più”; e ha rivolto un appello
ai comuni italiani affinché si mobilitino per “correggere” la nuova legge. Il
consigliere de Vita ha però rassicurato: “il turismo delle radici si rivolge
all’italianità e non ha a che fare con la cittadinanza”.
Sempre per il Cgie
è intervenuto anche il vice segretario generale Gianluca Lodetti, il quale ha
anticipato che nella plenaria di giugno si parlerà di “iniziative di rientro” e
“turismo delle radici”, auspicando una “maggiore sinergia con le politiche strategiche
del Paese”, come pure il coinvolgimento del Ministero dell’Istruzione e uno
“spostamento dell’attenzione dal fronte italiano a quello estero”.
D’accordo il
consigliere de Vita: “l’obiettivo di fondo”, ha detto, “è lanciare una nuova
stagione di relazioni con le nostre comunità all’estero, che sia basata su una
conoscenza di cosa queste comunità siano” e sulla volontà di “attuare insieme
una strategia” che “valorizzi entrambe le parti” e continui ad essere vincente,
“uscendo dall’ottica che gli italiani all’estero siano solo ambasciatori del
made in Italy”. (r.aronica, aise/dip 29)
Kabinett beschließt Verschärfungen
für geflüchtete Familien und schnell Integrierte
Der Familiennachzug für eine Gruppe von Flüchtlingen wird
ausgesetzt, die kürzere Einbürgerungsfrist für gut Integrierte gestrichen: Die
Bundesregierung hat Änderungen in der Asyl- und Migrationspolitik auf den Weg
gebracht. Es gibt viel Kritik.
Die Bundesregierung hat Verschärfungen in der Asyl- und
Migrationspolitik auf den Weg gebracht. Das Bundeskabinett billigte am Mittwoch
in Berlin die Aussetzung des Familiennachzugs zu Kriegsflüchtlingen für zwei
Jahre und die Abschaffung der kurzen Einbürgerungsfrist für besonders gut
integrierte Ausländer. Es geht um jeweils verschiedene, kleinere Gruppen von
Migranten und Flüchtlingen. Bundesinnenminister Alexander Dobrindt (CSU) wird
daher unter anderem Symbolpolitik vorgeworfen. Er selbst ist dagegen überzeugt,
damit „den Politikwechsel bei der Migrationspolitik deutlich zu machen“, wie er
es formulierte.
Flüchtlinge mit dem subsidiären Schutzstatus haben bereits
seit 2016 keinen rechtlichen Anspruch mehr auf den Familiennachzug. Seit 2018
gibt es ein Kontingent mit 12.000 Plätzen im Jahr, um einigen von ihnen das
Nachholen von Kindern, Ehepartnern oder Eltern zu ermöglichen. Das soll nun
gestrichen werden. Dies bringe direkte Entlastungen bei den Kommunen, sagte
Dobrindt. Nachzüge soll es nur noch in Härtefällen geben, wenn laut Dobrindt
etwa eine dringend notwendige medizinische Versorgung im Herkunftsland nicht
möglich ist.
Scharfe Kritik von Menschenrechtler
Menschenrechtsorganisationen, Sozialverbände und Kirchen
hatten bis zuletzt die Regelung scharf kritisiert. Für Zehntausende sei der
Familiennachzug der letzte Hoffnungsschimmer, erklärte Amnesty International.
„Das Ziel, Migration zu reduzieren, darf nicht zulasten von Familien gehen –
Familien gehören zusammen“, sagte Diakonie-Vorständin Elke Ronneberger. „Save
the Children“ erklärte, der Familiennachzug sei „einer der wenigen sicheren,
planbaren und legalen Wege für Kinder, um gemeinsam mit ihren engsten
Angehörigen in Sicherheit zu leben“.
Über den Nachzug konnten im vergangenen Jahr überwiegend
Kinder nach Deutschland kommen. Subsidiären Schutz erhalten Flüchtlinge, wenn
sie keine individuelle Verfolgung nachweisen können, im Heimatland aber
trotzdem einer Gefahr für Leib und Leben etwa wegen eines Krieges ausgesetzt
wären. Dobrindt setzt auf eine schnelle Beratung seiner Regelung. Ziel sei es,
dass nach dem Bundestag auch der Bundesrat noch vor der Sommerpause im Juli
darüber entscheiden könne. Damit könnte der Stopp des Nachzugs bereits im
Spätsommer kommen.
Hintergrund: Anders als anerkannte Flüchtlinge haben
Menschen mit dem sog. subsidiären Schutz keinen Rechtsanspruch auf das
Nachholen ihrer Familie. Dieses Recht wurde für diese Gruppe nach der großen
Fluchtbewegung 2016 ausgesetzt. 2018 wurde ein Kontingent eingeführt, über das
bis zu 1.000 enge Angehörige pro Monat einreisen können. Die neue
Bundesregierung will es wieder für zwei Jahre aussetzen. Zahlen des Auswärtigen
Amts zeigen, dass das Kontingent vor allem Kindern die Einreise nach
Deutschland ermöglicht. Den subsidiären Schutz erhalten Flüchtlinge, wenn sie
keine individuelle Verfolgung nachweisen können, ihnen aber dennoch Tod, Folter
oder unmenschliche Behandlung im Heimatland droht, etwa wegen eines Krieges.
Vor allem syrische Flüchtlinge erhielten ab 2015 diesen Schutzstatus. Ende
vergangenen Jahres lebten rund 380.000 subsidiär Geschützte in Deutschland. Im
Koalitionsvertrag haben Union und SPD vereinbart, den Familiennachzug für diese
Gruppe erneut befristet auszusetzen. Nach einem Urteil des Europäischen
Menschenrechtsgerichtshofs aus dem Jahr 2021 ist das möglich. Das Gericht
verlangt allerdings eine Prüfung der Einzelfälle nach spätestens zwei Jahren.
Längere Einbürgerungsfrist trifft schnell integrierte
Der Wegfall der verkürzten Einbürgerungsfrist wird dagegen
eher Menschen treffen, die schon nach kurzer Zeit in Deutschland gute
Sprachkenntnisse haben und ihren Lebensunterhalt selbst sichern können. Die
schwarz-rote Koalition macht damit einen Teil der Ende Juni 2024 in Kraft
getretenen Einbürgerungsreform wieder rückgängig.
Die damalige Mehrheit von SPD, Grünen und FDP hatte die
Wartezeit bis zur Einbürgerung von früher acht auf fünf Jahre, die für eine
Einbürgerung bei besonderen Integrationsleistungen von sechs auf drei Jahre
gesenkt. Dieser zweite Teil soll wieder gestrichen werden. Den deutschen Pass
gäbe es dann für alle nach frühestens fünf Jahren.
Polat: „Weder fair noch klug“
Dobrindt schaffe damit eine Regelung ab, die sich unter
anderem gerade an Hochqualifizierte richte, kritisierte die Grünen-Abgeordnete
Filiz Polat. „Das ist weder fair noch klug – vor allem nicht in Zeiten, in
denen Deutschland Fachkräfte braucht“, sagte sie. Auch die Linken-Abgeordnete
Bünger sprach von einem „integrationsfeindlichen Signal“.
Die Einbürgerung nach bereits drei Jahren dürfte in der
Praxis keine große Bedeutung haben. In Berlin waren nach Auskunft des dortigen
Landesamts seit der Reform gerade einmal 500 von knapp 30.000 Einbürgerungen
Ermessenseinbürgerungen nach drei Jahren. Die bundesweite
Einbürgerungsstatistik liegt noch nicht vor. Der Vorsitzende der Türkischen
Gemeinde in Deutschland, Gökay Sofuo?lu, sagte dem „RedaktionsNetzwerk
Deutschland“, die Regelung betreffe nicht sehr viele Menschen. „Und diejenigen,
die sie betrifft, warten einfach noch zwei Jahre“, ergänzte er. (epd/mig 30)
In Israel wächst der Widerstand gegen den Krieg – quer durch
alle politischen Lager. Wie lange kann Netanjahu den Unmut noch ignorieren? Von
Thomas L. Friedman
Ich habe gerade eine Woche in Israel verbracht. Auch wenn es
auf den ersten Blick so wirkt, als hätte sich seit dem 7. Oktober 2023 wenig
verändert – der zähe Krieg im Gazastreifen zieht sich unvermindert hin –, so
war diesmal doch etwas anders. Zum ersten Mal seit Kriegsbeginn spürte ich dort
eine neue Stimmung. Noch ist es zu früh, um von einer breit angelegten
Anti-Kriegs-Bewegung zu sprechen – eine solche wird wohl erst entstehen, wenn
alle israelischen Geiseln zurückgekehrt sind. Aber es gibt deutliche Signale:
Immer mehr Israelis, von links über die politische Mitte bis hin zu Teilen der
Rechten, kommen zu dem Schluss, dass dieser Krieg für Israel ein moralisches,
diplomatisches und strategisches Desaster ist.
Aus der politischen Mitte meldete sich der ehemalige
Premierminister Ehud Olmert mit einem Essay in der Zeitung Haaretz zu Wort.
Darin rechnet er mit Premierminister Benjamin Netanjahu und dessen Koalition
ab: „Die israelische Regierung führt derzeit einen Krieg ohne Ziel, ohne
Planung und ohne Aussicht auf Erfolg“, so Olmert. „Was wir in Gaza tun, ist ein
Vernichtungskrieg: wahllos, grenzenlos, grausam und kriminell gegenüber der
Zivilbevölkerung.“ Seine Schlussfolgerung: „Ja, Israel begeht Kriegsverbrechen.“
Auch innerhalb der rechten Likud-Partei regt sich Kritik:
Amit Halevi, ein erklärter Kriegsbefürworter und Mitglied von Netanjahus
Partei, wurde nach seiner Gegenstimme zur Verlängerung der Notfall-Einberufung
von Reservisten aus dem Verteidigungs- und Außenausschuss der Knesset
ausgeschlossen. In einem Interview mit Yediot Ahronot sprach Halevi Klartext:
„Dieser Krieg ist ein Betrug. Man hat uns über seine Erfolge belogen.“ Seit 20
Monaten führe Israel einen Krieg mit gescheiterten Plänen – und die Hamas sei
nach wie vor nicht besiegt.
Auf der linken Seite sprach Yair Golan, Vorsitzender der
liberalen Allianz „Demokraten“, im israelischen Rundfunk von einer drohenden
internationalen Isolation: „Israel droht ein Paria-Staat zu werden, wie es
einst Südafrika war, wenn wir nicht wieder anfangen, uns wie ein normales Land
zu verhalten. Ein normales Land kämpft nicht gegen Zivilisten, tötet keine
Babys als Hobby und setzt sich nicht das Ziel, Bevölkerungen zu vertreiben.“
Auf Kritik wegen seiner Wortwahl reagierte Golan mit einer Klarstellung: Er
richte sich nicht gegen das Militär, sondern gegen die Politiker, die den Krieg
aus Gründen fortsetzen, die nichts mehr mit Israels Sicherheitsinteressen zu
tun hätten.
Golan hat wohl ein unglückliches Wort gewählt, aber seine
Warnung ist berechtigt. Solange keine unabhängigen ausländischen Journalisten
aus Gaza berichten dürfen, bleibt das volle Ausmaß der Zerstörung verborgen.
Doch wenn der Krieg endet und Reporter frei berichten können, wird der Schock
über das menschliche Leid groß sein – für Israel und für Jüdinnen und Juden
weltweit. Golan fordert daher: einen sofortigen Waffenstillstand, die
Rückführung der Geiseln, internationale – auch arabische – Truppen nach Gaza,
die Reste der Hamas später bekämpfen. Wer in einem Loch steckt, sollte aufhören
zu graben. Netanjahu aber gräbt weiter – aus der Überzeugung, die Hamas durch
Bomben zur Herausgabe der Geiseln zwingen zu können, und weil ihm seine
religiös-nationalistische Koalition signalisiert hat: Stoppt der Krieg, ist
seine Regierung am Ende.
Der Preis dafür: täglich neue zivile Opfer in Gaza. Der
Haaretz-Militärexperte Amos Harel erklärt den Hintergrund vieler Angriffe:
„Viele Bombeneinsätze sind in Wirklichkeit Attentatsversuche auf Hamas-Führer –
oft während sie mit ihren Familien zusammen sind. Diese Funktionäre leben nicht
mehr in Privathäusern oder Wohngebäuden – sie befinden sich in der Regel in
überfüllten Zeltlagern mit Tausenden von Zivilisten. Selbst wenn das Militär
mehrere Vorsichtsmaßnahmen ergreift, führen diese Angriffe zu massenhaften
Tötungen.“ Doch es ist nicht allein die Zahl der toten Zivilistinnen und
Zivilisten, die die Stimmung in Israel kippen lässt. Es ist die Erschöpfung der
Gesellschaft insgesamt. Harel nennt Selbstmorde (die vom Militär nicht gemeldet
werden), zerbrechende Familien, ruinierte Existenzen. Die Regierung verspricht
derweil weiterhin den „Sieg“.
Der Krieg dringt bis in die Kinderzimmer vor. Die
Nachrichtensprecherin Lucy Aharish, die erste israelische Muslimin im
hebräischsprachigen Hauptprogramm, erzählte mir eine Geschichte über ihren
vierjährigen Sohn Adam. Während einer Gedenkminute für gefallene Soldatinnen
und Soldaten ertönte das charakteristische Sirenensignal. Adam, auf dem Boden
spielend, reagierte panisch und begann, seine Spielsachen einzusammeln – bereit
für den Schutzraum. Aharish erklärte ihm: „Diese Sirene ist anders. Dafür stehen
wir still – zum Gedenken an Helden, die uns beschützt haben.“ Wenn Kinder
zwischen Sirenentönen unterscheiden lernen müssen – jenen, bei denen man stehen
bleibt, und jenen, bei denen man sich in Sicherheit bringen muss –, dann dauert
ein Krieg schon viel zu lange.
Auch in Gaza regt sich leiser Protest, trotz der
Lebensgefahr durch die Hamas. Laut einer Umfrage des unabhängigen
palästinensischen Meinungsforschungsinstituts PSR in Ramallah unterstützen 48
Prozent der Befragten die jüngsten Anti-Hamas-Proteste. Die Hamas wird sich am
Ende ebenso verantworten müssen. Sie griff am 7. Oktober 2023 israelische
Grenzgemeinden an, provozierte damit die absehbare israelische Reaktion – und
opferte die eigene Zivilbevölkerung, um internationale Sympathie zu gewinnen.
Ihre Führer versteckten sich in Tunneln oder im Ausland. Gaza ist heute
unbewohnbar, doch die Hamas verlangt weiter einen vollständigen israelischen
Rückzug und einen unbefristeten Waffenstillstand als Preis für die Freilassung
der Geiseln. Ein Pyrrhussieg – wäre die Hamas erfolgreich, hätte sie alles
zerstört, um den Status quo vom 6. Oktober 2023 wiederherzustellen.
Paradoxerweise hat Netanjahu mit seinem brutalen Vorgehen
das „Widerstandsnetzwerk“ des Iran geschwächt. Libanon, Syrien, der Irak, die
Palästinensische Autonomiebehörde – sie alle wären heute offener für eine
Annäherung an Israel und die Abraham-Abkommen. Doch Netanjahu nutzt diese
historische Chance nicht. Er verweigert jegliche Initiative in Richtung einer
Zwei-Staaten-Lösung mit einer reformierten Autonomiebehörde. Stattdessen hält
er an einer Koalition mit rechtsextremen Siedlern und Ultraorthodoxen fest, die
ihn nur stützen, solange ihre Interessen gewahrt bleiben. Die Fragen, die mir
Israelis stellten, wenn ich Kritik an Netanjahu äußerte, waren bezeichnend:
„Glaubst du, Trump kann uns retten?“ – das wohl deutlichste Indiz für den
Zustand einer angeschlagenen Demokratie.
Nach meiner Rückkehr aus Israel hatte ich das Gefühl,
dieselbe politische Tragödie wie dort nun auf der „Hauptbühne“ zu sehen – in
den USA. Trump und Netanjahu bedienen sich derselben Methoden zur Aushöhlung
demokratischer Institutionen: Angriffe auf Justiz und Deep State,
Machtsicherung durch Polarisierung. Trump, um sich zu bereichern und Eliten zu
stärken. Netanjahu, um Korruptionsprozesse zu entgehen und Macht an Siedler und
Ultraorthodoxe zu übertragen.
Schon am Tag nach Netanjahus Wahlsieg 2022 schrieb ich: „Das
Israel, das wir kannten, ist verschwunden.“ Ich hoffe, ich lag falsch. Und ich
hoffe noch mehr, dass ich nicht bald dasselbe über Amerika schreiben muss. Das
Jahr 2026 wird entscheidend sein: Dann stehen in Israel Wahlen an, und in den
USA Zwischenwahlen. Alle, denen an Demokratie und Anstand gelegen ist, haben
bis dahin eine Aufgabe: Organisieren, organisieren, organisieren – um die Macht
zu gewinnen.
Denn nichts anderes zählt. Und alles steht auf dem Spiel.
TNYT/IPG 28
Schuldenreport 2025. Viele arme
Länder leiden unter hoher Schuldenlast
Viele arme Länder drohen zunehmend in eine Schuldenfalle zu
geraten – mit Folgen auch für die Armutsbekämpfung und Migration. Zur
Veröffentlichung des Schuldenreports 2025 dringen Hilfswerke auf Reformen der
internationalen Finanzarchitektur.
Länder im globalen Süden sind laut einem Bericht durch eine
steigende Schuldenlast gefährdet. Mehr als die Hälfte der Länder mit niedrigen
Staatseinnahmen sind inzwischen „hoch oder sehr hoch“ belastet, wie aus dem am
Montag von Misereor und erlassjahr.de veröffentlichten Schuldenreport 2025
hervorgeht. Um arme Länder besser vor dem finanziellen Aus zu schützen, fordern
die Hilfsorganisationen eine Reform der internationalen Finanzarchitektur.
Als besonders stark verschuldet gelten 47 Länder, darunter
Pakistan, Kenia, Libanon und Sri Lanka. Sie alle müssen dem Bericht zufolge in
den kommenden drei Jahren im Schnitt mindestens 15 Prozent ihrer
Staatseinnahmen für Zins- und Tilgungszahlungen aufwenden. Als Folge übersteigt
der Schuldendienst in vielen Fällen die nationalen Ausgaben für Bildung und
Gesundheit. Der fiskalpolitische Handlungsspielraum dieser 47 Länder sei damit
„massiv eingeschränkt“.
Armut führt zu Flucht und Migration
Der finanzielle Engpass hat auch Folgen für die
Armutsbekämpfung. In den 47 stark verschuldeten Ländern seien etwa 231
Millionen Menschen und damit 18 Prozent der Bevölkerung von extremer Armut
betroffen, sagte Misereor-Experte Klaus Schilder. Das seien doppelt so viele
wie im weltweiten Durchschnitt. Verschärfend kommt laut Bericht hinzu, dass
viele der Schuldnerstaaten aus eigener Kraft nicht mehr aus der Schuldenfalle
herauskommen. Sie hätten oft keinen Zugang mehr zu Krediten oder nur noch zu
deutlich höheren Zinsen.
Armut zählt zu den Hauptursachen für Migration weltweit.
Viele Menschen verlassen ihre Heimat, weil sie dort keine wirtschaftliche
Perspektive sehen und andernorts bessere Lebensbedingungen suchen. Laut dem
Weltentwicklungsbericht 2023 der Weltbank sind weltweit etwa 184 Millionen
Menschen als Migranten unterwegs, wobei wirtschaftliche Gründe wie Armut und
fehlende Einkommensmöglichkeiten zu den zentralen Beweggründen zählen. Aktuelle
Daten zeigen, dass rund 712 Millionen Menschen – etwa 8,8?% der Weltbevölkerung
– in extremer Armut leben.
Internationale Konferenz Ende Juni
Die globale Schuldenkrise ist Ende Juni auch Thema einer
internationalen Konferenz für Entwicklungsfinanzierung im spanischen Sevilla.
Die neue Bundesregierung müsse sich mit Blick auf die Zusammenkunft jetzt
positionieren und beispielsweise auf Reformvorschläge aus dem globalen Süden
eingehen, heißt es in dem Bericht. Dazu zählt insbesondere die Einführung eines
international anerkannten, verbindlichen Insolvenzverfahrens für Staaten, um
besser mit einer Staatsschuldenkrise umzugehen.
Der Schuldenreport wird jährlich vom katholischen Hilfswerk
Misereor und dem deutschen Entschuldungsbündnis erlassjahr.de herausgegeben.
Erlassjahr.de wird von 500 Organisationen aus Kirche, Politik und
Zivilgesellschaft bundesweit getragen und ist eingebunden in ein weltweites
Netzwerk nationaler und regionaler Entschuldungsinitiativen. (epd/mig 28)
Parolin: Frieden für Gaza und die
Ukraine
„Was in Gaza geschieht, ist inakzeptabel“:
Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin hat in einem Interview mit den
Vatikanmedien zu einem Gewaltstopp im Heiligen Land aufgerufen. Das Humanitäre
Völkerrecht müsse „zu jeder Zeit und für alle gelten“, betonte er in dem
Gespräch, in dem es auch um den Krieg in der Ukraine und den Pontifikatsbeginn
von Leo XIV. ging. Andrea Tornielli
Die schrecklichen Bilder aus Gaza, der antisemitische
Anschlag in Washington, die Hypothese eines Friedensgipfels zur Ukraine und der
Beginn des Pontifikats von Leo XIV.: Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin
spricht in Interview mit den Vatikanmedien über die Themen, die den Heiligen
Stuhl im Moment am meisten beschäftigen. Das Interview führte Andrea Tornielli,
Chefredakteur der Vatikanmedien.
„Was in Gaza geschieht, ist inakzeptabel.“
In Gaza hungern Kinder und die Bevölkerung ist erschöpft,
Bomben fallen auf Schulen und Krankenhäuser. Dennoch scheint es keine Absicht
zu geben, das Bombardement zu beenden…
Was in Gaza geschieht, ist inakzeptabel. Das Humanitäre
Völkerrecht muss zu jeder Zeit und für alle gelten. Wir fordern, dass die
Bombardierungen eingestellt werden und die notwendige Hilfe für die Bevölkerung
ankommt: Ich glaube, die internationale Gemeinschaft muss alles tun, um dieser
Tragödie ein Ende zu setzen. Gleichzeitig wiederholen wir nachdrücklich unsere
Forderung an die Hamas, alle Geiseln, die sie noch immer gefangen hält,
unverzüglich freizulassen und die Leichen derjenigen zurückzugeben, die nach
dem barbarischen Angriff auf Israel am 7. Oktober 2023 getötet wurden.
„Wachsam sein, dass das Krebsgeschwür des Antisemitismus
nicht wieder ausbricht.“
Wie haben Sie auf den jüngsten Anschlag in Washington
reagiert, bei dem zwei israelische Botschaftsmitarbeiter getötet wurden?
Was dort am 7. Oktober passierte, hat mich zutiefst
erschüttert. Denn es handelte sich um unschuldige Opfer, die sich auch für
Frieden und humanitäre Initiativen eingesetzt haben. Wir müssen wachsam sein
und dafür sorgen, dass das Krebsgeschwür des Antisemitismus, das nie endgültig
besiegt wurde, nicht wieder ausbricht.
„Ein stabiler, gerechter und dauerhafter Frieden, der von
beiden Seiten akzeptiert und vereinbart wird.“
Nach den schlechten Ergebnissen des Istanbuler Treffens zu
einer Befriedung der Ukraine war von der Möglichkeit neuer Verhandlungen im
Vatikan die Rede, obwohl von russischer Seite ein „Nein“ kam. Können Sie uns
sagen, was sich in dieser Hinsicht bewegt?
Papst Leo hat die volle Bereitschaft des Heiligen Stuhls
bekundet, mögliche Verhandlungen aufzunehmen, und einen neutralen, geschützten
Ort angeboten. Es handelte sich also nicht um eine Mediation, denn eine
Vermittlung muss von den Parteien beantragt werden. In diesem Fall gab es
lediglich das öffentliche Angebot, ein mögliches Treffen auszurichten.
Inzwischen ist auch von anderen möglichen Orten die Rede, etwa Genf. Auf jeden
Fall ist es nicht wichtig, wo die Verhandlungen zwischen Russen und Ukrainern,
auf die wir alle hoffen, stattfinden werden. Wichtig ist nur, dass diese
Verhandlungen endlich beginnen können, denn es ist dringend notwendig, den
Krieg zu beenden. Zunächst einmal ist ein Waffenstillstand dringend notwendig,
um den Verwüstungen, den zerstörten Städten, den Zivilisten, die ihre Leben
verlieren, ein Ende zu setzen. Und dann ist es dringend notwendig, zu einem
stabilen, gerechten und dauerhaften Frieden zu gelangen, der von beiden Seiten
akzeptiert und vereinbart wird.
„Der Papst und der gesamte Heilige Stuhl setzen sich für die
Schaffung von Frieden ein und unterstützen jede Initiative für Dialog und
Verhandlung.“
Das Wort „Frieden“ klang von den ersten Augenblicken an auf
den Lippen des neuen Papstes, am Tag seiner Wahl.
Ja, Leo XIV. folgt ganz in der Tradition seiner Vorgänger.
Ich war beeindruckt von der Tatsache, dass Papst Leo in seinem ersten Regina
Coeli von der zentralen Loggia der Vatikanbasilika aus - also von dort aus, wo
Papst Franziskus die Gläubigen zum letzten Mal gesegnet und über Frieden und
Abrüstung gesprochen hatte - die Worte des Heiligen Paul VI. an die UNO
wiederholte: „Nie wieder Krieg!“. Der Papst und der gesamte Heilige Stuhl
setzen sich für die Schaffung von Frieden ein und unterstützen jede Initiative
für Dialog und Verhandlung.
Manche sprechen von einem neuen „Protagonismus“ des Vatikans
auf der Weltbühne...
Ich würde lieber auf die tiefsinnigen Worte Leos XIV. in
seiner Predigt bei der Messe mit den Kardinälen in der Sixtinischen Kapelle und
in der Predigt bei der Messe zum Beginn des Pontifikats zurückgreifen: Wir
müssen verschwinden, denn die Hauptperson ist Christus. Christen fühlen sich
den anderen nicht überlegen, sondern sind vielmehr dazu berufen, ein „kleiner
Sauerteig im Teig“ zu sein, um Zeugnis für die Liebe, die Einheit und den
Frieden abzulegen. Anstatt von „Protagonismus“ zu sprechen, würde ich es daher
vorziehen, diplomatische Initiativen in den Kontext des Dienstes am Frieden und
an der Brüderlichkeit zu stellen.
„Der Friede beginnt
in jedem von uns.“
Beim Empfang von Journalisten rief Papst Leo zu einer
„anderen Kommunikation“ auf. Gibt es auch einen „Krieg der Worte“?
Journalisten und Kommunikatoren im Allgemeinen spielen eine
wertvolle Rolle, die in Zeiten des Krieges noch wertvoller ist. Der Papst rief
zu einer Kommunikation auf, die sich „nicht in aggressive Worte kleidet“ und
„niemals die Suche nach der Wahrheit von der Liebe trennt, mit der wir sie
demütig suchen müssen“. Auch Worte können zu Instrumenten des Krieges werden,
oder sie können uns helfen, einander zu verstehen, einen Dialog zu führen und
uns gegenseitig als Brüder anzuerkennen. Der Friede beginnt in jedem von uns,
und wir sind aufgerufen, ihn gerade dadurch zu schaffen, wie wir mit anderen
kommunizieren. Wie Papst Leo erklärte, müssen wir „das Paradigma des Krieges
zurückweisen“, auch in der Kommunikation.
„Die von den zuständigen Behörden durchgeführten Kontrollen
haben keine Unregelmäßigkeiten im Handeln der Diözesanbischöfe ergeben.“
Apropos Wahrheitssuche: In den letzten Tagen von Papst
Franziskus bis hin zu den Tagen vor dem Konklave gab es Kommentare zu den
vergangenen Handlungen mehrerer Leiter von Kurienämtern in Bezug auf Berichte,
die sie über Missbrauchsfälle erhielten. Sind diese analysiert worden?
Hinsichtlich der Kommentare und Gerüchte über das Vorgehen
einiger Dikasterienleiter der Römischen Kurie in Bezug auf Berichte über
Missbrauchsfälle, zu der Zeit, als sie Diözesanbischöfe waren - dazu haben die
von den zuständigen Behörden durchgeführten Untersuchungen durch eine Prüfung
objektiver und dokumentarischer Daten ergeben, dass die Fälle ,ad normam
iuris‘, das heißt gemäß geltender Normen, behandelt und von den damaligen
Diözesanbischöfen an das zuständige Dikasterium zur Prüfung und Bewertung der
Vorwürfe weitergeleitet wurden. Die von den zuständigen Behörden durchgeführten
Kontrollen haben keine Unregelmäßigkeiten im Handeln der Diözesanbischöfe
ergeben.
Der neue Papst, der den Namen Leo trägt, steht in der
Kontinuität mit dem Papst von Rerum Novarum: Ende des 19. Jahrhunderts gab es
die industrielle Revolution, heute leben wir in der Zeit der digitalen
Revolution und der Herausforderungen durch die künstliche Intelligenz. Wie
sollen wir auf diese Herausforderungen reagieren?
Wir warten auf die Überlegungen, die der Nachfolger Petri
dazu anstellen wird. Ich glaube, dass der richtige Weg weder der der
unkritischen Akzeptanz noch der der Verteufelung ist. Die immer ausgefeilteren
und leistungsfähigeren Möglichkeiten, die uns die Technik bietet, müssen
Werkzeuge bleiben und immer zum Guten eingesetzt werden, ohne jemals zu
vergessen, dass wir einer Maschine keine Entscheidungen übertragen können, die
das Leben oder den Tod von Menschen betreffen. Wir müssen wachsam sein, um zu verhindern,
dass die digitale und damit auch die künstliche Intelligenz als
Propagandawerkzeug eingesetzt wird, um die öffentliche Meinung mit falschen
Botschaften zu beeinflussen, wie es leider manchmal geschieht. Mit Blick auf
die inhaftierten Journalisten sprach Leo XIV. vom Mut „derjenigen, die die
Würde, die Gerechtigkeit und das Recht der Völker auf Information verteidigen,
denn nur informierte Völker können freie Entscheidungen treffen. (vn 27)
Bürgerentscheide zu Geflüchteten: Mehrheit stimmt für
Unterkünfte
Wenn Bürger über Flüchtlingsunterkünfte entscheiden, fällt
das Votum in der Mehrheit positiv aus – entgegen dem Eindruck, den mediale
Schlagzeilen häufig vermitteln. Eine neue Studie zeigt, wie differenziert
kommunale Bürgerentscheide in Deutschland tatsächlich sind.
In Deutschland finden statistisch gesehen an jedem
Wochenende drei Bürgerentscheide statt. Das bedeute, in drei Städten, Gemeinden
und Kreisen stimmten die Bürgerinnen und Bürger über ein konkretes
lokalpolitisches Thema ab, heißt es in dem Bürgerbegehren-Bericht für das Jahr
2025 des Fachverbandes „Mehr Demokratie“.
Ein zentrales Thema der vergangenen Jahre in der
Öffentlichkeit war dabei die Unterbringung von Geflüchteten. Medien berichteten
über solche Verfahren oft nur dann, wenn Bürgerinitiativen gegen
Geflüchtetenunterkünfte mobilisieren oder rechtliche Auseinandersetzungen
folgten. Das erweckte den Eindruck, als sei die anfängliche Solidarität mit
Geflüchteten gesunken, die Willkommenskultur verschwunden.
Der neue Bericht zeichnet jedoch ein differenzierteres Bild:
Von 2015 bis 2024 wurden bundesweit 94 Verfahren zu Flüchtlingsunterkünften
initiiert. Das entspricht gerade einmal rund drei Prozent aller Bürgerbegehren
in diesem Zeitraum. In 27 Fällen kam es zu einem Bürgerentscheid, bei dem die
Mehrheit in 16 Fällen ein flüchtlingsfreundliches Votum abgab. Zehn
Entscheidungen fielen flüchtlingsunfreundlich aus, ein Entscheid blieb neutral.
Regionale Unterschiede und rechtliche Grenzen
Die Mehrheit der Verfahren verteilte sich auf
Nordrhein-Westfalen (26), Bayern (19) und Baden-Württemberg (19). Gerade in den
westlichen Bundesländern stimmten 16 von 23 Kommunen für den Bau oder Erhalt
einer Flüchtlingsunterkunft, was einem Anteil von knapp 70 Prozent entspricht.
In Ostdeutschland dagegen gab es vier Entscheide, alle in
Mecklenburg-Vorpommern, die ausnahmslos flüchtlingsunfreundlich ausgingen. In
zwei Fällen lehnten Bürger Ratsreferenden zur Verpachtung kommunaler Flächen
für Unterkünfte ab.
Auffällig sei, so der Bericht, dass sich einige
Bürgerbegehren grundsätzlich gegen die Aufnahme von Geflüchteten richteten –
ein Anliegen, das laut Aufenthaltsgesetz nicht in den kommunalen
Entscheidungsbereich fällt und damit unzulässig ist. Insgesamt wurden 43
Verfahren als unzulässig eingestuft.
Warnung vor Missbrauch direkter Demokratie
Die Studienautoren warnen davor, die direkte Demokratie für
populistische oder fremdenfeindliche Ziele zu instrumentalisieren. Initiatoren
solcher Verfahren trügen Verantwortung dafür, nicht bewusst falsche Erwartungen
zu wecken. Ein Bürgerbegehren könne nicht darüber entscheiden, ob eine Kommune
Geflüchtete aufnimmt – nur darüber, wo und wie sie untergebracht werden.
Trotz einzelner flüchtlingsunfreundlicher Entscheidungen
überwiegt laut Bericht der Eindruck, dass Bürgerentscheide oft differenzierter
ausfallen als die öffentliche Wahrnehmung nahelegt. Es sei eine Frage der
politischen Verantwortung, der Polarisierung mit Information und Beteiligung zu
begegnen. Frühzeitige Dialogformate, wie etwa kommunale Bürgerräte oder das
Projekt „Sprechen & Zuhören“ von Mehr Demokratie, könnten dazu beitragen,
Konflikte zu entschärfen und demokratische Teilhabe zu stärken.
Bürgerbeteiligung bleibt stabil – trotz Pandemie
Im vergangenen Jahr sind laut dem Bericht 229
direktdemokratische Verfahren in deutschen Kommunen 2024 angestoßen worden. 179
Mal sei es zu einem Bürgerentscheid gekommen. Damit sei die Praxis seit der
Corona-Pandemie leicht rückläufig.
Die lebendigste Praxis verzeichne nach wie vor Bayern mit 93
Verfahren, gefolgt von Baden-Württemberg (31) und Nordrhein-Westfalen (30).
Vieles hänge von den Regeln und Hürden ab, die die Politik der direkten
Demokratie setze, sagte der Bundesvorstandssprecher von Mehr Demokratie,
Ralf-Uwe Beck. Je besser die Regeln seien, umso häufiger machten die Menschen
von der direkten Demokratie Gebrauch.
Appell für bundesweite Volksentscheide
Beck sagte, die direkte Demokratie habe sich auf kommunaler
und auch auf Landesebene bewährt. Es sei überfällig, auch den bundesweiten
Volksentscheid einzuführen. Das wäre eine vertrauensbildende Maßnahme, die den
Bürgerinnen und Bürgern das gute Gefühl gebe, „dass ‚die da oben‘ eben nicht
einfach machen können, was sie wollen“, so der Bundesvorstandssprecher.
Laut Fachverband hat es in den vergangenen knapp 70 Jahren
in Deutschland 9.453 Bürgerbegehren gegeben. 7.839 der direktdemokratische
Verfahren wurden durch die Bürgerinnen und Bürger „von unten“ eingeleitet.
1.614 Ratsreferenden seien „von oben“ durch den jeweiligen Gemeinderat
initiiert worden. In 4.768 Fällen sei es letztlich zu einem Bürgerentscheid
gekommen.
Missbrauch von Rechtsextremisten
Die Gefahr, dass direktdemokratische Verfahren von
Rechtsextremisten massiv missbraucht werden, sieht der Verband eher nicht.
„Fremdenfeindlichkeit und direkte Demokratie – die Vermählung gelingt nur
selten“, sagte Beck.
So hätten beispielsweise die Menschen im
nordrhein-westfälischen Sprockhövel im Jahr 2015 darüber abstimmen können, ob
sie gegen eine Flüchtlingsunterkunft neben einer Grundschule sind. Eine
Mehrheit sprach sich für die Unterkunft am geplanten Ort aus. (epd/mig 27)
AfD-Verbot: Jeder zweite Deutsche
für Parteiverbotsverfahren
Hamburg – Anfang Mai stufte das Bundesamt für
Verfassungsschutz die Alternative für Deutschland (AfD) als gesichert
rechtsextremistisch ein. Dieser Schritt hat eine erneute Diskussion darüber
entfacht, ob die Partei verboten werden sollte. Laut einer aktuellen Umfrage
des Markt- und Sozialforschungsinstituts Ipsos würden 46 Prozent der Deutschen
ein Parteiverbotsverfahren gegen die AfD begrüßen. Etwa ebenso viele (44 %)
lehnen es hingegen ab. Bei der Beurteilung zeigen sich starke Unterschiede
zwischen Ost- und Westdeutschen sowie zwischen den verschiedenen politischen
Lagern. Nachdem die AfD dagegen geklagt hatte, wurde die Einstufung des
Verfassungsschutzes am 8. Mai vorerst ausgesetzt. Diese „Stillhaltezusage“
gilt, bis ein eindeutiges Gerichtsurteil vorliegt.
Große Unterschiede zwischen Ost und West
Ostdeutsche stehen einem Verbotsverfahren gegen die AfD
deutlich kritischer gegenüber als Menschen in Westdeutschland. In den
ostdeutschen Bundesländern würde weniger als ein Drittel (32 %) der Befragten
ein Verbotsverfahren gegen die AfD begrüßen. Eine Mehrheit von 57 Prozent lehnt
es ab. Im Westen hingegen befürwortet die Hälfte (50 %) der Befragten ein
Verbotsverfahren, während sich 41 Prozent dagegen aussprechen.
Grüne und Linke für Verbotsverfahren, Unions-Wähler
unentschlossen
Die Anhänger der Grünen (82 %) und der Linken (81 %) sind
sich in ihrer Meinung weitgehend einig: Sie befürworten ein
Parteiverbotsverfahren gegen die AfD. Auch drei Viertel (72 %) der SPD-Wähler
würden diesen Schritt begrüßen. Anders sieht es bei den Unterstützern der Union
aus: Während die Hälfte (50 %) ein Verbotsverfahren positiv bewertet, sprechen
sich mit 41 Prozent ähnlich viele dagegen aus. Noch kritischer wird ein Verbot
der AfD von den Anhängern der FDP (61 % Ablehnung, 29 % Zustimmung) und des BSW
(57 % Ablehnung, 21 % Zustimmung) bewertet. Die Wählerschaft der AfD spricht
sich erwartungsgemäß fast einstimmig (97 %) gegen ein Verbotsverfahren aus.
Frauen und Jüngere eher für AfD-Verbotsverfahren als Männer
und Ältere
Während sich 50 Prozent der weiblichen Befragten für ein
Verbotsverfahren aussprechen, sind es bei den Männern nur 42 Prozent.
Gleichzeitig fällt der Anteil derjenigen, die ein Verbotsverfahren gegen die
AfD ablehnen, bei den männlichen Befragten (50 %) deutlich höher aus als bei
den Frauen (39 %).
Auch zwischen den Generationen zeigen sich Unterschiede. In
der Gruppe der 18- bis 39-Jährigen spricht sich eine Mehrheit (54 %) für die
Einleitung eines Parteiverbotsverfahrens gegen die AfD aus. In den
Altersgruppen der 40- bis 59-Jährigen und der 60- bis 75-Jährigen fällt dieser
Anteil mit 41 bzw. 44 Prozent deutlich geringer aus. Ipsos 27
Israels neue Offensive in Gaza führt zu einer
Hungerkatastrophe und der Vertreibung der Bevölkerung. Deutschland darf nicht
länger tatenlos zusehen. Von Muriel Asseburg
Seit 18. Mai läuft die aktuelle israelische Offensive im
Gazastreifen. Mit „Gideons Streitwagen“ soll die Armee die Hamas endlich
besiegen, die Geiseln befreien und dafür sorgen, dass aus dem Gazastreifen
keine Gefahr mehr für Israel ausgeht. Dazu möchte Premier Benjamin Netanjahu
das Küstengebiet langfristig wiederbesetzen und unter die Sicherheitskontrolle
Israels stellen, die Hamas entwaffnen, ihre Führung verbannen und den Plan von
US-Präsident Donald Trump umsetzen: die zwangsweise Umsiedlung der Palästinenser.
Die einheimische Bevölkerung soll zunächst im Süden des Küstengebiets in einer
„sterilen Zone“ auf rund zehn Prozent der Fläche zusammengepfercht werden – mit
dem letztendlichen Ziel einer „freiwilligen“ Emigration. Von Freiwilligkeit
kann angesichts der Zerstörung der Lebensgrundlagen allerdings nicht die Rede
sein.
Trump hatte das Kriegsverbrechen der Vertreibung salonfähig
gemacht, als er Anfang Februar 2025 seine Vision für den Gazastreifen
präsentierte. Das Küstengebiet sollte zu einer „Riviera des Nahen Ostens“
entwickelt werden, die lokale Bevölkerung permanent in Länder wie Ägypten und
Jordanien – zwischenzeitlich waren auch Sudan, Somaliland, Somalia und Libyen
im Gespräch – umgesiedelt werden. Damit unterminierte er die weitere Umsetzung
des Abkommens über eine Waffenruhe sowie einen Austausch von Geiseln und Gefangenen,
für das er selbst noch vor Amtsantritt sein politisches Kapital in die
Waagschale geworfen hatte. Dieses hätte den Einstieg in einen dauerhaften
Waffenstillstand und die Rückkehr zur Diplomatie bieten können. Selbst wenn
Trumps Vorschlag lediglich dazu dienen sollte, die arabischen Staaten unter
Druck zu setzen und mehr Verantwortung zu übernehmen: Er legitimierte den
Nullsummenansatz der israelischen Regierung und belebte alte Positionen der
zionistischen Rechten, nun neu verpackt als vermeintlich unkonventionelles
Denken.
Ohnehin hatte seit den Massakern vom 7. Oktober 2023 die
Forderungen nach einer neuen „Nakba“ (gemeint ist die Flucht und Vertreibung
der palästinensischen Bevölkerung aus dem Staatsgebiet Israels 1948) und einer
israelischen Wiederbesiedlung des Küstengebiets im nationalreligiösen Spektrum
des Landes Auftrieb erhalten. Trumps Vorstoß verstärkte die Unnachgiebigkeit
Netanjahus, der aus innenpolitischen Gründen kein Interesse an einem Einstieg
in Phase zwei des Waffenstillstandabkommens hatte und Trumps Vision fortan als
die „einzig gangbare Option“ bezeichnete. Ende März wurde im israelischen
Verteidigungsministerium eine Migrationsabteilung eingerichtet, welche die
„freiwillige“ Auswanderung der palästinensischen Bevölkerung des Gazastreifens
organisieren soll.
Schon Anfang März verhängte Israel eine vollständige
Abriegelung über den kriegszerstörten Gazastreifen und ließ keine Hilfs-,
Wasser- oder Stromlieferungen mehr zu, um die Hamas unter Druck zu setzen.
Seitdem hat sich dort die humanitäre Situation dramatisch zugespitzt. Die
während des Waffenstillstands erzielten Fortschritte bei der Versorgung der
Bevölkerung wurden zunichtegemacht. Die Bevölkerung leidet unter massiver
Unterversorgung. Es droht eine Hungerkatastrophe. Auch das Aushungern der
Zivilbevölkerung ist ein Kriegsverbrechen.
In den kommenden Tagen will Israel das System der
humanitären Hilfe im Gazastreifen neu umbauen. Die Regierung begründet den
Schritt mit dem Vorwurf, die Hamas habe bisher Hilfslieferungen abgefangen und
sich daraus finanziert – stichhaltige Belege dafür wurden bislang nicht
vorgelegt. Auch die Vereinten Nationen und andere Hilfsorganisationen
bestätigen diese Darstellung nicht. Künftig sollen Lebensmittel und
unentbehrliche Versorgungsgüter an wenigen Ausgabestellen – vorerst sind vier
Zentren geplant – im Süden Gazas direkt an die Bevölkerung verteilt werden. Die
Ausgabe soll durch spezialisierte NGOs erfolgen, von privaten
Sicherheitsdienstleistern begleitet. Für den Schutz der Zonen ist die
israelische Armee zuständig.
Die Menge der Hilfsgüter bleibt jedoch auf das absolute
Minimum zum Überleben beschränkt, die vorgesehene Kalorienzahl pro Person liegt
dabei deutlich unter dem humanitären Mindeststandard. Die Bevölkerung im Norden
hätte keine Möglichkeit, die Ausgabestellen zu erreichen. Und auch im Süden
wären Hilfsempfänger großen Gefahren ausgesetzt, um zu den Verteilzentren zu
gelangen. Zudem würde künftig nicht nur, wie bislang, die Einfuhr der
Hilfslieferungen nach Gaza, sondern auch der Zugang der Bevölkerung zur humanitären
Hilfe durch die israelische Armee kontrolliert.
Weder die Finanzierung des Vorhabens noch zentrale
logistische Fragen sind bislang geklärt – etwa, wie ein Familienoberhaupt
Essensrationen für zwei Wochen von einer Ausgabestelle in die eigene Unterkunft
transportieren soll. Wer versorgt zudem Kriegswaisen, Alte und Verwundete?
Nicht zuletzt verfügt die für diesen Zweck gegründete Gaza Humanitarian
Foundation (GHF) im Gegensatz zu den UN-Organisationen und versierten NGOs
weder über Erfahrung vor Ort noch über Beziehungen zur lokalen Bevölkerung.
Eine adäquate und bedarfsgerechte Versorgung wird unter diesen Bedingungen kaum
möglich sein.
Stattdessen droht humanitäre Hilfe zum Instrument
israelischer Kriegsziele zu werden. Damit steht der neue Ansatz im Widerspruch
zu den humanitären Grundprinzipien der Unparteilichkeit, Neutralität und
Unabhängigkeit. Die Vereinten Nationen und die bisher beteiligten
Hilfsorganisationen lehnen ihn daher entschieden ab. Die GHF scheint bereits
vor dem Scheitern zu stehen.
Die Bundesregierung sollte sich jetzt dringend und mit
Nachdruck für einen bedingungslosen humanitären Zugang zum Gazastreifen
einsetzen – um das Blutvergießen zu beenden, weitere Zerstörung von
Lebensgrundlagen zu verhindern und eine Vertreibung der Bevölkerung zu
unterbinden. Dazu gehört, Israel unmissverständlich klarzumachen, dass
Deutschland die von Premierminister Netanjahu formulierten Kriegsziele – eine
langfristige Wiederbesetzung und die Vertreibung der Bevölkerung – ebenso
ablehnt wie die angewandten Methoden der Kriegsführung, insbesondere das
Aushungern und unterschiedslose Angriffe auf Zivilisten.
Ein sofortiger Lieferstopp von Waffen, die im Gazastreifen
oder im Westjordanland eingesetzt werden können, sowie die Unterstützung einer
Überprüfung des EU-Israel-Assoziierungsabkommens würden ein klares politisches
Signal senden. Gemeinsam mit europäischen und nahöstlichen Partnern sollte sich
die Bundesregierung zudem aktiv für eine dauerhafte Konfliktregelung im
Einklang mit dem Völkerrecht im Nahen Osten einsetzen. Die von Frankreich und
Saudi-Arabien für Juni geplante Konferenz zur Unterstützung einer
Zweistaatenlösung bietet die Chance, einen konkreten Fahrplan aus der
Gewaltspirale zu entwickeln. Dabei wird es auch darauf ankommen, den arabischen
Wiederaufbauplan für Gaza nicht nur rhetorisch zu unterstützen, sondern konkret
auszuarbeiten, wie seine politische Umsetzung gelingen kann. Nicht zuletzt
deshalb sollte Deutschland sich dort konstruktiv einbringen.
Dieser Beitrag ist eine aktualisierte Fassung des Artikels
„Ein Kriegsverbrechen vor den Augen der Welt“,der bei Focus+ erschienen ist.
IPG 26
NGOs fordern Systemreformen für
faire Entwicklung
Laut dem aktuellen Schuldenreport 2025 sind über die Hälfte
der einkommensschwachen Länder weltweit durch ihre Auslandsschulden extrem
belastet. Misereor und erlassjahr.de sehen die Ursache im ungerechten
Finanzsystem und fordern umfassende Reformen, um Menschenrechtsverletzungen und
extreme Armut zu bekämpfen.
Die weltweite Schuldenkrise hat ein dramatisch hohes Niveau
erreicht und droht, die Entwicklung in zahlreichen Ländern des Globalen Südens
zu strangulieren. Das geht aus dem an diesem Montag veröffentlichten
Schuldenreport 2025 hervor, der gemeinsam von Misereor und dem deutschen
Entschuldungsbündnis erlassjahr.de herausgegeben wird. Die Analyse zeigt, dass
das Problem weit über bloße finanzielle Engpässe hinausgeht: Die hohe
Schuldenlast führt in vielen Fällen zu einer massiven Einschränkung des fiskalpolitischen
Handlungsspielraums und gefährdet die Einhaltung grundlegender Menschenrechte.
Zum Nachhören - ein Statement von Klaus Schilder, Referent
Verantwortliches Wirtschaften/Asien bei Misereor
„In mindestens 47 der 198 untersuchten Ländern müssen wir
davon ausgehen, dass aufgrund der hohen Schuldenlast Menschenrechte verletzt
werden“, erläutert Malina Stutz, Politische Referentin bei erlassjahr.de. Sie
nennt als Beispiele Länder wie Pakistan und Kenia, die
Umschuldungsverhandlungen bisher vermeiden, sowie Sri Lanka und Suriname, die
trotz abgeschlossener Umschuldungen weiterhin unter einer sehr hohen
Auslandsschuldenlast leiden. Weitere 28 Länder seien hoch belastet, und in 13
Ländern bestehe ein latentes Risiko.
Was die Zahlen aussagen
Die Zahlen sprechen eine deutliche Sprache: In den kommenden
drei Jahren müssen die 47 am stärksten belasteten Länder durchschnittlich
mindestens 15 Prozent ihrer Staatseinnahmen für Zins- und Tilgungszahlungen an
ausländische Gläubiger aufwenden. „Ihr fiskalpolitischer Handlungsspielraum ist
dadurch massiv eingeschränkt“, beschreibt Klaus Schilder, Experte für
Entwicklungsfinanzierung bei Misereor, die gravierenden Folgen. Dies habe
direkte Auswirkungen auf die Bevölkerung: „In diesen Ländern sind etwa 231
Millionen Menschen von extremer Armut betroffen. Das sind rund 18 Prozent der
Bevölkerung und damit gut doppelt so viele wie im weltweiten Durchschnitt. Das
ist ein echtes Armutszeugnis im 21. Jahrhundert.“ In vielen Fällen übersteigt
der Schuldendienst sogar die Ausgaben für Bildung und Gesundheit, was die
langfristige Entwicklung der betroffenen Länder massiv behindert.
Der Schuldenreport 2025 analysierte erstmals alle Länder
weltweit und macht deutlich, dass insbesondere Staaten des Globalen Südens
einem erhöhten Risiko ausgesetzt sind, in eine öffentliche
Auslandsschuldenkrise zu geraten. Malina Stutz kritisiert, dass nationale
Reformanstrengungen der Schuldnerstaaten allein das Krisenrisiko kaum
verringern könnten. Sie seien weiterhin massiv benachteiligt, da ihr Zugang zu
Kreditfinanzierungen im Vergleich zu Ländern mit höherer Bonität, wie
Deutschland, deutlich erschwert sei. Hinzu komme die „untergeordnete Rolle
ihrer Währungen in der internationalen Währungshierarchie“, die ein großes
Hemmnis darstelle.
Tiefgreifende Reformen gefordert
Vor diesem Hintergrund fordern Misereor und erlassjahr.de
„tiefgreifende Reformen der internationalen Finanzarchitektur“, um dauerhaft
wirksame Lösungen zu schaffen. Sie sehen im Jahr 2025 eine „einmalige Chance
zur Überwindung der globalen Schuldenkrise“, insbesondere mit Blick auf die 4.
Internationale Konferenz für Entwicklungsfinanzierung (FfD4) vom 30. Juni bis
3. Juli 2025 in Sevilla. Schilder und Stutz appellieren an die neue
Bundesregierung, sich klar zu positionieren und „Reformvorschläge aus dem Globalen
Süden aufzugreifen.“ Dazu gehöre insbesondere die Unterstützung eines
zwischenstaatlichen Prozesses unter dem Dach der Vereinten Nationen, „mit dem
endlich ein faires Staateninsolvenzverfahren auf den Weg gebracht werden kann.“
Der jährlich erscheinende Schuldenreport analysiert die
Belastung durch Auslandsschulden weltweit und beleuchtet die Rolle Deutschlands
in der internationalen Entschuldungspolitik. Die diesjährige Veröffentlichung
ist Teil der globalen zivilgesellschaftlichen Kampagne „Erlassjahr 2025 – Turn
Debt into Hope“ (www.erlassjahr2025.de), die sich für eine gerechtere globale
Finanzordnung einsetzt.
Der inzwischen verstorbene Papst Franziskus hatte für das
laufende Heilige Jahr der Hoffnung seinen Appell zu einem Schuldennachlass für
arme Länder erneuert.
(pm/misereor 26)
Statistikamt. Jeder vierte Mensch
in Deutschland hat Einwanderungsgeschichte
In Deutschland hat gut jeder vierte Mensch eine
Einwanderungsgeschichte. Wie das Statistikamt mitteilt, hat in einer bestimmten
Altersgruppe sogar jeder Dritte Wurzeln im Ausland.
Rund 21,2 Millionen Menschen mit Einwanderungsgeschichte
haben im vergangenen Jahr in Deutschland gelebt. Das waren etwa vier Prozent
mehr als im Vorjahr, wie das Statistische Bundesamt in Wiesbaden mitteilte. Ihr
Anteil stieg leicht auf 25,6 Prozent. „Damit hatte gut jede vierte Person in
Deutschland eine Einwanderungsgeschichte“, hieß es.
Laut den Angaben zählen zu Menschen mit
Einwanderungsgeschichte solche, die entweder selbst (erste Generation) oder
deren beide Elternteile (zweite Generation) seit 1950 nach Deutschland
eingewandert sind.
Fast jeder fünfte Mensch in Deutschland ist selbst
eingewandert
Die Zahl der selbst Eingewanderten stieg um 4 Prozent auf
knapp 16,1 Millionen Menschen, ihr Anteil an der Bevölkerung lag bei 19,6
Prozent. Zudem waren knapp 5,2 Millionen Menschen (plus 6 Prozent) direkte
Nachkommen – also in Deutschland geborene Kinder von zwei seit 1950
eingewanderten Elternteilen. Bei weiteren 4,1 Millionen der in Deutschland
Geborenen war nur einer der beiden Elternteile eingewandert. Sie werden der
Definition nach nicht zur Bevölkerung mit Einwanderungsgeschichte gerechnet.
Auffällig ist das vergleichsweise junge Alter: So hat in der
Gruppe der 20- bis 39-Jährigen etwa jeder Dritte (34 Prozent) eine
Einwanderungsgeschichte. In der Gruppe der über 65-Jährigen waren es nur 14
Prozent. Und – so erklärten die Statistiker: „Die Bevölkerung mit
Einwanderungsgeschichte war 2024 mit einem Durchschnittsalter von 38,2 Jahren
etwa 9 Jahre jünger als die Bevölkerung ohne Einwanderungsgeschichte (47,4
Jahre).“
6,5 Millionen Menschen wanderten seit 2015 ein
Im Jahr 2024 lebten in Deutschland knapp 6,5 Millionen
Menschen, die seit 2015 nach Deutschland eingewandert sind. Die
Hauptherkunftsländer waren die Ukraine und Syrien. Die Gründe waren nach
Angaben der Befragten vor allem Flucht, Asyl und internationaler Schutz (31
Prozent), Erwerbstätigkeit (23 Prozent) sowie Familienzusammenführung (21
Prozent). (dpa/mig 26)
„Täglich wird der Ukraine
Ungerechtigkeit angetan“
Erzbischof Burger beendet Reise in der Kriegsregion
Mit einem Appell, in der solidarischen Unterstützung für die
leidgeprüfte Bevölkerung in der Ukraine nicht nachzulassen, hat heute (24. Mai
2025) Erzbischof Stephan Burger (Freiburg), Vorsitzender der Kommission für
caritative Fragen der Deutschen Bischofskonferenz, seine Reise in die Ukraine
beendet. „Besonders eindrücklich waren für mich die Besuche auf dem Maidan und
dem Soldatenfriedhof in Lwiw (Lemberg). Hier wurde spürbar, welches Leid aber
auch welcher Durchhaltewillen in der ukrainischen Bevölkerung herrschen. Diese
Orte, die Kriegsversehrten, denen man auf den Straßen begegnet und die
nächtlichen Alarme führen immer wieder vor Augen, welche Ungerechtigkeit der
Ukraine täglich angetan wird. In dieser Situation den Einsatz der
Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter der Caritas erleben zu dürfen, beeindruckt
mich tief.“
In Kiew traf Erzbischof Burger sowohl den Apostolischen
Nuntius in der Ukraine, Erzbischof Visvaldas Kulbokas, als auch den
römisch-katholischen Erzbischof von Kyjiw-Schytomyr, Vitaliy Krywyzkiy. In den
Gesprächen wurde deutlich, wie sehr sich die Kirche in der Ukraine mit den
Partnern aus Deutschland verbunden fühlt. Die Solidarität und die caritative
Hilfe seien spürbar und ein wichtiges Zeichen der Verbundenheit mit der unter
dem Angriffskrieg nach wie vor leidenden Bevölkerung. Zugleich baten die Gesprächspartner,
in dieser Verbundenheit nicht nachzulassen, da nur eine europäische
Geschlossenheit zu einem gerechten Frieden führen könne.
Im Laufe der Reise, die Erzbischof Burger seit vergangenem
Sonntag in die Ukraine geführt hat, wurden verschieden Projekte der Caritas
Ukraine (ukrainisch-katholisch) und Caritas Spes (römisch-katholisch) besucht.
Vor allem beeindruckten die Projekte für Kriegsversehrte und ihre Familien. Die
Caritas bietet hier Unterstützung für Leib und Seele vor allem
Rehabilitationsmaßnahmen und psychosoziale Betreuung stehen im Vordergrund.
Männer, Frauen und Kinder werden im Umgang mit den nicht nur körperlichen Veränderungen,
ihrer Trauer und ihrem Schmerz begleitet. Berührend ist auch die aufsuchende
Hilfe für ältere und kranke Menschen, deren soziale Netze durch den Krieg
zerstört wurden. „In 67 Zentren im Land erreicht die Caritas Notleidende. Dabei
gehen die Mitarbeitenden oft große Risiken ein. Die Caritas wird ihr Angebot in
Sozialzentren weiter ausbauen, vor allem auch für Kriegstraumatisierte und ihre
Familien“, so Oliver Müller, Leiter von Caritas international und Vorstand des
Deutschen Caritasverbandes für Internationales, Migration und
Katastrophenhilfe. Auch das vielfältige Angebot für Kinder vor allem mit
Behinderungen ist wichtiger denn je. Dass die Caritas seit Jahren sehr gute
Arbeit leistet, wurde auch bei der Einweihung eines Sozialzentrums in Lwiw deutlich.
Mehrere Vertreter städtischer und politischer Institutionen brachten ihren Dank
für bisherige und Hoffnung auf künftige Kooperationen zum Ausdruck.
Erzbischof Burger erklärte abschließend: „Ich bewundere den
Mut und die Hingabe, mit der die Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter der Caritas
hier täglich den Menschen zur Seite stehen. Wir haben als Kirche in Deutschland
die Verantwortung, immer wieder Zeugnis davon abzugeben, welche Ungerechtigkeit
und welches Leid durch den russischen Angriffskrieg den Menschen zugefügt wird
und wie wichtig die Arbeit aller caritativen Partner ist. Dem selbstlosen
Einsatz aller in der Caritas Tätigen ist es zu verdanken, dass Not gelindert
und Zukunftsperspektiven eröffnet werden können.“ Dbk 24
Hilfe für Gaza: Kirchenvertreter
schließen sich Papstappell an
Kirchenvertreter und Hilfsorganisationen haben sich dem
Papstappell zu einem Waffenstillstand in Gaza und Hilfslieferungen für die
notleidende Bevölkerung angeschlossen.
Das katholische Hilfswerk Caritas international
forderte ein sofortiges Ende der Gaza-Blockade. Den Menschen dort fehle es an
allem, mahnte Leiter Oliver Müller in einem Gastbeitrag für „Die Tagespost“ vom
Freitag: „Ein Großteil der Kinder dort hungert, zwei Millionen Menschen und
damit die gesamte Bevölkerung ist auf humanitäre Hilfe angewiesen.“
Die nun verkündete zeitlich begrenzte Zulassung von
Hilfslieferungen sei zwar dringend notwendig, aber völlig unzureichend und „für
humanitäre Organisationen wie Caritas international keine hinnehmbare Lösung“.
Die von den USA und Israel beschlossene Methode, Hilfe für Gaza ausschließlich
über einen durch das israelische Militär kontrollierten Mechanismus zu
koordinieren, könne weder gewährleisten, „dass Menschen in Not ausreichend
versorgt werden, noch entspricht der Verteilungsmechanismus den im Völkerrecht
vorgeschriebenen humanitären Prinzipien von Menschlichkeit, Neutralität und
Unparteilichkeit“.
Täglich unschuldige Opfer
Die Schweizer Bischofskonferenz schloss sich dem Appell von
Leo XVI. an, damit „die unentbehrliche Hilfe die leidende Bevölkerung rasch
erreicht“, wie die Bischöfe in einer Mitteilung schreiben. Die Gewalt, die
täglich unschuldige Opfer fordere, „insbesondere unter Kindern, Alten und
Kranken“, müsse endlich aufhören. Die internationale Gemeinschaft solle „ihre
menschliche und politische Verantwortung für die Einhaltung der Konventionen
wahrnehmen“, Antisemitismus verurteilen und die sofortige Freilassung der noch
gefangenen Geiseln fordern. Die Bischöfe verurteilten zudem den Terrorismus.
Kein Frieden ohne Gerechtigkeit
„Wir wollen Gerechtigkeit und Frieden für die Menschen in
Israel und Palästina, die volle Achtung aller Menschenrechte an den Orten, an
denen unser Herr Jesus Christus gewandelt ist, und in der ganzen Welt.“
Die Kommission für Gerechtigkeit und Frieden der spanischen
Bischofskonferenz mahnte in einem Aufruf zu einem „entwaffneten und
entwaffnenden Frieden“ im Heiligen Land. „Wir wollen nicht, dass Attila den
Gazastreifen durchquert, wir wollen keine Bomben oder Geiseln: wir wollen
Gerechtigkeit und Frieden für die Menschen in Israel und Palästina, die volle
Achtung aller Menschenrechte an den Orten, an denen unser Herr Jesus Christus
gewandelt ist, und in der ganzen Welt“.
Angesichts der Eskalation, die „das Überleben der Menschen
in Gaza bedroht“, forderte die Kommission die Einhaltung des humanitären
Völkerrechts, die uneingeschränkte Zulassung von Hilfsgütern und die
Aktivierung humanitärer Korridore. „Es gibt keinen Frieden ohne Gerechtigkeit,
und es gibt keine Gerechtigkeit ohne Wiedergutmachung“, warnen sie und fordern
ein Ende der Belagerung, einen Stopp der Bombardierung und einen Stopp der
Wiederaufrüstung. „Wir sind aufgerufen, Brücken der Toleranz, des Dialogs und der
Gerechtigkeit für alle Völker und Verhältnisse zu bauen“, so die Kommission.
Niederlage der Menschlichkeit
Eine „Niederlage der Menschlichkeit" stellt
dem Abt der Jerusalmer Dormitio-Abtei, Nikodemus Schnabel, zufolge die
Situation in Gaza dar. „Ich mag nicht glauben, dass es keine
Alternative zum Töten gibt", sagte der seit 22 Jahren in Jerusalem lebende
Ordensmann im Interview mit der Linzer „KirchenZeitung". Als Teil der
christlichen Minderheit sei er nicht parteiisch: „Wir sind nicht pro Israel,
wir sind nicht pro Palästina. Wir sind pro Mensch." Es ist zwar
herausfordernd, Christ im Heiligen Land zu sein, „aber es verbietet sich eine
Schwarz-Weiß-Malerei", so Schnabel.
„Viele Aussagen von Politikern sind eine billige Ausrede,
sich nicht an den Verhandlungstisch zu begeben.“
Drohender Hungertod
Laut UNO-Angaben droht im Gazastreifen aktuell 14.000 Kinder
der Hungertod, wenn nicht sofort lebensrettende Hilfe eintrifft. Nahezu 2,1
Millionen Menschen, die Hälfte davon Kinder, lebten in einer Situation schwerer
Ernährungsunsicherheit. „Die wenigen Lastwagen, die gekommen sind, reichen
nicht aus“, merkte die Hilfsorganisation Save the Children an. Sie forderte
einen „vollständigen und sicheren Zugang für humanitäre Hilfe“ und
„Finanzierung“. „Jedes Kind hat das Recht zu überleben. Sogar im Krieg“, betonte
Daniela Fatarella, die Generaldirektorin von Save the Children für Italien.
Friedensappelle des Papstes
Am Sonntag und am Mittwoch hatte Papst Leo XIV. erneut ein
Ende des Gaza-Kriegs gefordert und auf die katastrophale Situation verwiesen. (vn
23)
Kommission fordert neue Strategie
im Umgang mit dem Globalen Süden
Deutschland droht, ohne neue Allianzen und eine
strategischere Entwicklungspolitik den Anschluss zu verlieren – davor warnt
eine Expertenkommission. Ihr Bericht fordert konkrete Reformen im Umgang mit
Ländern des Globalen Südens.
Eine unabhängige Expertenkommission hat eine grundlegende
Neuausrichtung der deutschen Außen- und Entwicklungspolitik zu Ländern des
Globalen Südens gefordert. „Die Welt wartet nicht. Deutschland muss sich jetzt
klug aufstellen und klären, welche Rolle es in der Zukunft spielen will“, sagte
die Vorsitzende und ehemalige Verteidigungsministerin Annegret
Kramp-Karrenbauer (CDU) bei der Vorstellung des Abschlussberichts am Mittwoch
in Berlin. Sie sprach von „massiven geopolitischen Verschiebungen“, bei denen die
Länder des Globalen Südens an Bedeutung gewinnen, während der Westen in die
Defensive gerate.
Die zehnköpfige Expertenkommission „Welt im Umbruch –
Deutschland und der Globale Süden“ betont in ihrem Bericht, dass Deutschland
ohne neue Allianzen, diversifizierte Märkte und eine strategische
Einwanderungspolitik für Fachkräfte den Anschluss zu verlieren drohe.
Fast jeder vierte Arbeitsplatz in Deutschland hänge vom
Export ab und jeder zweite Euro werde im Ausland verdient. Gleichzeitig
entfielen bereits heute etwa 35 Prozent der weltweiten Wirtschaftsleistung auf
die BRICS-Staaten (Brasilien, Russland, Indien, China, Südafrika), während die
G7-Länder nur noch 30 Prozent erwirtschafteten.
Empfehlung: Einrichtung einer Einwanderungsagentur
Zu den zentralen Empfehlungen des Berichts gehören unter
anderem eine strategischere Ausrichtung der Entwicklungszusammenarbeit, die
Aufwertung des Bundessicherheitsrates, die Förderung privater Investitionen im
Globalen Süden, sowie die Einrichtung einer nationalen Einwanderungsagentur,
die Arbeitsmigration vereinfachen soll. Zudem fordern die Expertinnen und
Experten neue politische Initiativen, um verschuldeten Ländern unter die Arme
zu greifen.
Dabei geht es laut dem Exekutivdirektor der Weltbankgruppe
für Deutschland, und Kommissionsmitglied, Michael Krake, darum, private
Gläubiger mit gesetzlichen Regelungen stärker zur Verantwortung zu ziehen.
Digitale Agentur für Fachkräfteeinwanderung
Im Bereich der internationalen Klimafinanzierung schlagen
die Expertinnen und Experten die Einrichtung sogenannter Steuerclubs vor. Diese
könnten durch eine gemeinsame Besteuerung etwa des internationalen Flug- und
Schiffsverkehrs erhebliche Mittel für die Klimafinanzierung generieren. So
würden einseitige Belastungen etwa für den Wirtschaftsstandort vermieden,
erläuterte Kramp-Karrenbauer.
Bereits im Januar vor der Bundestagswahl hat die Kommission
einige Handlungsempfehlungen veröffentlicht. Einige der Vorschläge finden sich
in ähnlicher Form im Koalitionsvertrag von Union und SPD wieder. So will die
Bundesregierung einen nationalen Sicherheitsrat und eine digitale Agentur für
Fachkräfteeinwanderung („Work-and-stay-Agentur“) einrichten.
Experten für Einhaltung von Menschenrechten
Die Expertengruppe spricht sich zudem dafür aus, nicht nur
Deutschlands Werte wie die Einhaltung der Menschenrechte, sondern auch die
eigenen Interessen im Umgang mit den Ländern des Globalen Südens deutlich zu
benennen. Für viele Länder sei das eine „Frage des Respekts und der Augenhöhe“,
sagte Kramp-Karrenbauer.
Die Kommissionsmitglieder wollten den Bericht am
Mittwochnachmittag an Kanzleramtsminister Thorsten Frei (CDU) überreichen. Die
zehnköpfige Expertenkommission besteht aus führenden Persönlichkeiten aus
Politik, Wirtschaft und Wissenschaft und Zivilgesellschaft, darunter auch der
ehemalige Außenminister Joschka Fischer (Grüne). Die Expertengruppe wurde von
dem Thinktank „Global Perspectives Initiative“ einberufen. Der Abschlussbericht
basiert auf umfangreichen Recherchen und Gesprächen mit Expertinnen und Experten
aus Afrika, Asien, Lateinamerika und Europa. (epd/mig 23)
Rechtsterrorismus. „Letzte
Verteidigungswelle“ plante Anschläge auf Asylunterkünfte
Fünf junge Rechtsextremisten sollen sich an einer rechten
Terrorzelle beteiligt haben. Die Bundesanwaltschaft geht mit Festnahmen und
Durchsuchungen gegen die Gruppe vor. Vorwurf: Anschläge auf Asylunterkünfte
geplant. Von Anne-Béatrice Clasmann und Jacqueline Melcher
Er soll sich als jüngstes Mitglied an einer mutmaßlichen
rechten Terrorgruppe beteiligt haben, jetzt ist ein 14-jähriger Jugendlicher
aus dem Raum Haiger in Mittelhessen in Untersuchungshaft genommen worden. Die
Bundesanwaltschaft war am frühen Mittwochmorgen in mehreren Bundesländern gegen
die mutmaßliche Terrorgruppe vorgegangen.
Insgesamt fünf Verdächtige zwischen 14 und 18 Jahren hatte
die oberste Strafverfolgungsbehörde festnehmen lassen, darunter auch den
Jugendlichen aus dem Lahn-Dill-Kreis. Neben ihm sind zwei weitere der
Jugendlichen bereits in Untersuchungshaft. Der Ermittlungsrichter am
Bundesgerichtshof eröffnete ihnen die Haftbefehle und setzte diese in Vollzug,
wie eine Sprecherin der Bundesanwaltschaft mitteilte. Die zwei übrigen
Beschuldigten sollen am Donnerstag ebenfalls in Karlsruhe vorgeführt werden.
Verteidiger der „Deutschen Nation“?
Die Jugendlichen seien Mitglieder – in einem Fall
Unterstützer – einer rechtsextremistischen Terrorvereinigung, die sich „Letzte
Verteidigungswelle“ nennt, so der Vorwurf der Bundesanwaltschaft. Mit
Brandanschlägen auf Asylbewerberheime und linke Einrichtungen wollte die Gruppe
demnach das demokratische System der Bundesrepublik zum Zusammenbruch bringen.
Sie verstehe sich als letzte Instanz zur Verteidigung der „Deutschen Nation“,
heißt es in einer Mitteilung der Karlsruher Behörde.
An den Festnahmen und Durchsuchungen waren den Angaben
zufolge mehr als 220 Polizeibeamte von Bundeskriminalamt (BKA) und
Bundespolizei sowie Polizeikräfte aus Brandenburg, Sachsen,
Mecklenburg-Vorpommern, Thüringen und Mittelhessen beteiligt.
Hessische Linke besorgt
Aus Sicht der hessischen Partei Die Linke zeigt die
Zerschlagung einer mutmaßlichen rechten Terrorzelle und die Festnahme in Hessen
„einmal mehr auf besorgniserregende Art und Weise, wie groß die Gefahr von
rechts ist“, wie Linke-Landesvorsitzender Jakob Migenda laut Mitteilung
erklärte. Die Hintergründe müssten vollumfänglich aufgeklärt werden. Besonders
erschreckend sei, dass die mutmaßlichen Mitglieder der Gruppe teils noch
minderjährig gewesen seien. „Insgesamt erleben wir aktuell eine massive Zunahme
bei rechtsextremen Straftaten. Hierauf gibt die schwarzrote Landesregierung
bislang keine Antwort“, so Migenda.
Brandanschläge auf Asylbewerberheime
Drei brutale Anschläge und Anschlagspläne rechnet die
Bundesanwaltschaft der Gruppe zu. Teils sollen sie von den jüngst
Festgenommenen geplant oder begangen worden sein, teils von drei weiteren
Beschuldigten, die schon in Untersuchungshaft sitzen. Es geht um einen
Brandanschlag auf ein Kulturhaus in Altdöbern im Süden Brandenburgs, einen
versuchten, aber erfolglosen Anschlag auf ein Asylbewerberheim in Schmölln in
Thüringen und Anschlagspläne für eine Asylunterkunft im brandenburgischen
Senftenberg.
Der Anschlag in Senftenberg konnte wohl dank Hinweise eines
Reporterteams von „stern“/RTL verhindert werden. Im Februar hatten Ermittler in
Sachsen nach Angaben der Generalstaatsanwaltschaft Dresden eine Wohnung und
eine weitere Immobilie durchsucht und dabei Sprengstoff in Form von zwei
Kugelbomben, Schlagringe, Einhandmesser, Munition, Schreckschuss- und
Softairwaffen gefunden. Ein 21-jähriger Deutscher wurde festgenommen. Die
Recherchen des Reporterteams halfen auch bei der Aufklärung des Anschlags auf das
Kulturhaus in Altdöbern.
Richter entscheidet über Untersuchungshaft
Die fünf am Mittwoch Festgenommenen wurde laut
Bundesanwaltschaft in Mecklenburg-Vorpommern (Wismar und Landkreis Rostock),
Brandenburg (Landkreis Oberspreewald-Lausitz) und Hessen (Lahn-Dill-Kreis)
gefasst. Die Polizei durchsuchte dort ebenso wie in Sachsen (Landkreis Leipzig)
und Thüringen (Landkreis Altenburger Land und Ilm-Kreis) insgesamt 13 Objekte.
Die Jugendlichen sollten noch im Laufe des Tages nach
Karlsruhe gebracht und dort dem Ermittlungsrichter am Bundesgerichtshof
vorgeführt werden. Dieser entscheidet, ob sie in Untersuchungshaft kommen. Bis
auf einen sind alle Beschuldigten Minderjährige. Aufgrund ihres Alters müssen
einige von ihnen mit ihren Eltern vor dem Ermittlungsrichter in Karlsruhe
erscheinen.
Zeitgleich zu den Maßnahmen der Bundesanwaltschaft
durchsuchten rund 100 Polizeikräfte im Zusammenhang mit Ermittlungen zu einer
rechtsextremen Chatgruppe junger Menschen in Mecklenburg-Vorpommern sechs
Objekte in den Landkreisen Nordwestmecklenburg und Rostock. In der Gruppe
sollen mehrere Menschen rechtsextreme Inhalte ausgetauscht und zu Straftaten
aufgerufen haben, wie das Landeskriminalamt (LKA) mitteilte. Bei den
Beschuldigten handelt es sich den Angaben zufolgae mehrheitlich um
Heranwachsende und vereinzelt um Jugendliche. (dpa/mig 22)
Vatikan und Italien erörtern
Möglichkeiten für Ukraine-Friedensdialog
Italiens Regierungschefin Giorgia Meloni hat das
Vermittlungsangebot des Vatikans im Ukraine-Krieg bestätigt. Laut dem Palazzo
Chigi, dem Büro der Ministerpräsidentin, führte Meloni am Dienstag ein
Telefonat mit Papst Leo XIV., in dem sie die Bereitschaft des Heiligen Stuhls
für mögliche Verhandlungen erörterte.
Meloni erklärte, dass das Telefonat mit Papst Leo XIV.
direkt auf ihre Gespräche mit US-Präsident Donald Trump und anderen
europäischen Staatschefs gefolgt sei. Dabei sei sie gebeten worden, die Option
des Vatikans als Verhandlungsort zu prüfen – eine Möglichkeit, die der Papst
bestätigte.
Bereits am Montagabend hatte Donald Trump nach einem
Gespräch mit Russlands Präsident Wladimir Putin die Aussicht auf baldige
Verhandlungen zwischen Russland und der Ukraine im Vatikan in den Raum
gestellt.
Internationale Reaktionen auf das Angebot des Vatikans
Der Kreml-Sprecher Dmitri Peskow bestätigte gegenüber der
staatlichen Nachrichtenagentur Tass, dass Russland sich dieses Angebots bewusst
sei und dass der Vatikan eine entsprechende Erklärung abgegeben habe.
Allerdings gebe es bisher keine konkreten Vereinbarungen über den tatsächlichen
Austragungsort zukünftiger Gespräche.
Auch die Ukraine prüft verschiedene Optionen für direkte
Verhandlungen. Präsident Wolodymyr Selenskyj schrieb auf X, dass sein Land zu
Verhandlungen in jedem Format bereit sei, das zu Ergebnissen führe. Wörtlich
schrieb er. „Die Türkei, der Vatikan, die Schweiz – wir prüfen alle möglichen
Orte.“
Selenskyj dankte Papst Leo XIV. ausdrücklich für dessen
Bereitschaft, den Vatikan als möglichen Ort für Verhandlungen zwischen Moskau
und Kyiv bereitzustellen.
Der Vatikan selbst äußerte sich bislang nicht offiziell zu
dem Angebot.
(kap/ansa 21)
Global Report on Food Crises. Zahl der Hungernden 2024 auf neuem
Höchststand
Immer mehr Menschen sind weltweit von akutem Hunger
betroffenen. Damit setzt sich der negative Trend weiter fort. Besonders in Gaza
und im Sudan ist einem aktuellen Bericht zufolge die Not unvorstellbar.
Kürzungen von Hilfen verstärken die Not zusätzlich.
Weltweit hungern laut einem Experten-Bericht der EU, der UN
und verschiedener Organisationen zunehmend mehr Menschen. Im vergangenen Jahr
seien 295 Millionen Menschen in 53 Ländern von akuter Ernährungsunsicherheit
betroffen, heißt es in dem „Global Report on Food Crises 2025“. Das seien 13,7
Millionen hungernde Menschen mehr als im Vorjahr. Diese Zahl markiere einen
neuen Höchststand und setze den alarmierenden Trend der zurückliegenden sechs
Jahre fort, warnte die Hilfsorganisation „Aktion gegen den Hunger“.
Jan Sebastian Friedrich-Rust, Geschäftsführer der Aktion
gegen den Hunger in Deutschland, sagte: „Besonders besorgniserregend ist, dass
sich die Zahl der Menschen, die sich in akuter Notlage oder sogar in Hungersnot
befinden, innerhalb eines Jahres verdoppelt hat.“
Große Not in Gaza und im Sudan
Betroffen seien insbesondere Menschen in Kriegs- und
Konfliktregionen, heißt es in dem Bericht. In Gaza und im Sudan habe die Not
von Kindern und Erwachsenen ein schier unvorstellbares Ausmaß angenommen. Auch
in Myanmar und in Haiti verhindere anhaltende Gewalt, dass Menschen Zugang zu
Nahrung erhielten.
Die Klimakrise verschärfe ebenso die Hungerkrise. Dürren,
Überschwemmungen und Extremwetter bedrohten die Existenzen von Millionen
Menschen in Äthiopien, Pakistan oder Afghanistan.
Kürzung von Hilfen gefährden Programme
Zudem gefährdeten die „dramatischen Kürzungen humanitärer
Hilfe“ durch die USA und anderer Geberländer das Fortführen lebenswichtiger
Programme. Mindestens 14 Millionen Kinder könnten den Zugang zu Ernährungshilfe
verlieren. Die Finanzierung für Ernährungshilfe drohe weltweit um bis zu 45
Prozent zurückzugehen.
Der Bericht wurde im Auftrag des Global Network Against Food
Crises erstellt, in dem verschiedene Hilfsorganisationen der UN, die Weltbank
und nationale Institutionen zusammengeschlossen sind. (epd/mig 21)
Was ändert sich im Migrationsrecht
- und was sagen Fachleute?
Asyl, Migration, Flüchtlinge, Integration - die Thematik
spielte eine zentrale Rolle im Bundestagswahlkampf in Deutschland. Der neue
Bundeskanzler Friedrich Merz von der CDU hat angekündigt, ein viel
restriktiveres Migrationsrecht in Deutschland umzusetzen. Die Spannung war
deshalb groß, was sich von seinen Vorstellungen im Koalitionsvertrag von CDU,
CSU und SPD wiederfinden würde. Michael
C. Hermann - Stuttgart
„Wir wollen mehr in Integration investieren (…) Damit sorgen
wir für eine Integration von Anfang an. Eine verpflichtende
Integrationsvereinbarung soll künftig Rechte und Pflichten definieren.“ So
schreiben es CDU/CSU und SPD in ihrer Vereinbarung. Ein Kongress in der
katholischen Akademie in Stuttgart beschäftigte sich mit der Ausgangssituation
und mit dem, was kommen soll. Die Formulierung finde Zustimmung bei kirchlichen
Akteuren, sagt Alexander Kalbarczyk von der Deutschen Bischofskonferenz am Rand
der Konferenz gegenüber unserem Korrespndenten Michael Hermann. Man freue sich,
„dass es verstärkte Maßnahmen geben soll zur Verbesserung der Integration, dass
die Integrationsdienste auch auskömmlich finanziert werden sollen. Das sind
positive Signale. Auch dass Deutschland sich insgesamt als Einwanderungsland
sieht und humanitären Verpflichtungen nachkommen will. Das sind alles positive
Signale.“
Nicht in die Koalitionsvereinbarung geschafft hat es die
Forderung, das individuelle Recht auf Asyl abzuschaffen. Diese Idee wurde zuvor
von einigen Politikern, beispielsweise vom neuen Kanzleramtsminister Thorsten
Frei von der CDU, stark gemacht. Alexander Kalbarczyk: „Wir freuen uns über das
klare Bekenntnis zum individuellen Asylrecht. Da zählen wir auch darauf, dass
sich die Koalitionäre zu diesem Bekenntnis gebunden fühlen, dass es dabei
bleibt“.
Nicht sichergestellt, dass Schutzbedürftige bleiben dürfen
Weiter aus dem Koalitionsvertrag: „Abgelehnte Asylbewerber
müssen unser Land wieder verlassen. Wir wollen die freiwillige Rückkehr besser
unterstützen, indem wir Anreize und die Rückkehrberatung stärken. Wenn dies
nicht freiwillig geschieht, muss die Ausreisepflicht staatlich durchgesetzt
werden. (…) Die Bundesregierung wird umfassende gesetzliche Regelungen
erarbeiten, um die Zahl der Rückführungen zu steigern.“
Eine solche reformatorische Transformation fordert
beispielsweise der Konstanzer Rechtsprofessor und Migrationsexperte Daniel Thym
und meint damit: „Das Asylrecht in Deutschland und in Europa sieht so aus, dass
wir die Einreise extrem schwierig und gefährlich machen. Aber alle, die dann
nach Europa kommen, dürfen dann meistens faktisch auch bleiben, auch wenn sie
gar kein Schutzbedarf haben.“ Das sei wirklich unbefriedigend. Es sei nicht
sichergestellt, dass diejenigen in Deutschland bleiben dürften, die den Schutz
am nötigsten haben, so Thym.
Rückführungsprogramme stoßen dagegen auf wenig Begeisterung
bei den Kirchen. Alexander Kalbarczyk: „Wir haben große Fragezeichen, wenn es
darum geht, Rückführungsoffensiven zu starten. Die Frage wird einfach nur sein:
Wenn man auf bestimmte restriktive Maßnahmen setzt und dadurch das
migrationspolitische Klima verschärft, wie soll es dann gelingen, auch für
Einwanderer attraktiv zu sein und Migration menschenwürdig zu gestalten?“
Gerichtsentscheide bleiben wirkungslos
Sorge macht den Migrationsexperten auch, dass gerichtliche
Entscheidungen nicht mehr die Autorität entwickeln wie früher. Hier lässt die
Trump-Administration grüßen, die bekanntlich auch gegen den expliziten Wortlaut
von Gerichten Abschiebungen vornimmt. Ulrich Maidowski vom
Bundesverfassungsgericht: „Wir beobachten in den letzten zwei, drei Jahren,
dass sich allmählich mehr Fälle einstellen, wo wir feststellen müssen, dass
eine Gerichtsentscheidung von der Verwaltung einfach nicht beachtet worden ist,
dass das autoritäre Urteil eines Gerichts nicht mehr befolgt wird.“
Und wieder ein Blick in den Koalitionsvertrag: „Wir setzen
den Familiennachzug zu subsidiär Schutzberechtigten befristet für zwei Jahre
aus. Härtefälle bleiben hiervon unberührt. Danach prüfen wir, ob eine weitere
Aussetzung der zuletzt gültigen Kontingentlösung im Rahmen der Migrationslage
notwendig und möglich ist.“
Die Aussetzung des Familiennachzugs in Deutschland und
ebenso in Österreich wird von den Kirchen recht kritisch gesehen, sagt Kerstin
Düsch-Wehr vom Katholischen Büro Berlin: „Die sich daran anschließende Prüfung,
ob der Familiennachzug auch dauerhaft ausgesetzt wird, sehen wir auch
verfassungsrechtlich bedenklich. Für eine Familie ist eine dauerhafte oder
langfristige Trennung ein Hindernis. Familien werden zerstört. Wenn Eltern und
Kinder für lange Zeit getrennt werden, ist das für beide Seiten sehr schmerzlich“,
so Kerstin Düsch-Wehr.
Weitere Informationen zur Konferenz finden Sie hier:
Albaniens Ministerpräsident Edi Rama will in die EU – und
setzt auf Abschiebelager für Italien, um sich Melonis Unterstützung zu sichern.
Katharina Hofmann De Moura
Edi Rama ist nicht nur frisch wiedergewählter
Premierminister Albaniens, sondern auch Künstler, ehemaliger Kulturminister,
und einst Bürgermeister der Hauptstadt Tirana. Er weiß, wie man Politik
psychologisch und visuell inszeniert – und nutzt dieses Talent gezielt. Er ist
Meister darin, sein Land nach außen als fortschrittlich und EU-kompatibel
darzustellen. Beim jüngsten Gipfel der Europäischen Politischen Gemeinschaft in
Tirana kniet er auf dem roten Teppich vor Giorgia Meloni – derzeit die
mächtigste Frau Europas. Rama weiß warum, die Geste war kalkuliert: Albanien
will unbedingt in die Europäische Union und gilt derzeit als aussichtsreichster
Kandidat. Die Eröffnung des ersten Clusters zur EU-Erweiterung im Oktober 2024
und die Zusage der Aufnahme bis 2030 löste Euphorie aus. Weitere vier Cluster
sollen dieses Jahr folgen, eine Art „High-Speed-Integration“. Die albanische
Bevölkerung befürwortet den Beitritt und sieht sich in jeder Hinsicht als Teil
des westlichen Bündnisses, Albanien ist Mitglied der NATO. Das ist viel wert in
Zeiten abnehmender geopolitischer und wirtschaftlicher Macht Europas und vor
allem im Kontext des Krieges gegen die Ukraine.
Kurz vor dem Gipfel fand am 11. Mai die albanische
Parlamentswahl statt – die europäische Öffentlichkeit schenkte ihr relativ
wenig Beachtung. Dabei war das Ergebnis bemerkenswert: Edi Rama und seine
Sozialistische Partei gewannen die Wahl mit sagenhaften 53 Prozent der Stimmen
und sicherten sich damit 83 von 140 Sitzen. Rama sitzt damit fester denn je
zuvor im Zentrum der Macht des kleinen Landes mit nur zwei Millionen
Einwohnern. In den kommenden vier Jahren wird sich die Frage klären, ob die EU
einen autokratischen Führer „light“ oder einen „Stabilokraten“ aus dem Balkan
in der EU haben möchte. Es spricht einiges dafür und auch einiges dagegen. Edi
Rama hat aber einen Trumpf in der Tasche: eine vermeintliche Lösung für das
europäische Migrationsdilemma. Denn die extraterritorialen Abschiebezentren
Italiens in Albanien schaffen einen Präzedenzfall für die Auslagerung von
Asylverfahren in ein EU-Partnerland. Dabei blicken Italien und
Albanien auf eine lange Geschichte der Migrationskooperation zurück. In den
1990er Jahren erlebte das postkommunistische Albanien eine Massenauswanderung
u.a. nach Italien. Italien unterstützte die verarmten Albaner und so entstand
eine Beziehung, die Rama als „historische Freundschaft“ bezeichnet. Auf dieser
Grundlage sollten Asylverfahren von Italien nach Albanien ausgelagert werden.
Das bilaterale Abkommen erlaubt es Italien, jährlich bis zu
36 000 Menschen zur Bearbeitung ihrer Asylanträge in zwei von Italien
betriebene Zentren nach Albanien zu überstellen – so der Plan. Das Abkommen
wurde von seinen Befürwortern als „unkonventionelle“ Lösung für das Problem der
irregulären Migration angepriesen, birgt aber erhebliche juristische und
menschenrechtliche Risiken. Trotz Bedenken, dass die Unterbringung von
Migranten aus Drittstaaten gegen die albanische Verfassung und das Völkerrecht
verstoßen könnte, wurde es in beiden Ländern ratifiziert. Die italienische
Rechtsregierung begrüßte dies als „historischen Schritt“. Die EU-Institutionen
wurden zwar informiert, waren aber nicht beteiligt. Die ersten Überstellungen
fanden im Oktober 2024 statt: Ein Schiff der italienischen Marine brachte 16
Migranten nach Albanien. Gemäß italienischem Recht muss jede Inhaftierung von
Asylsuchenden richterlich bestätigt werden; der zuständige Richter verweigerte
jedoch die Genehmigung. Italien hatte die Herkunftsländer der Betroffenen –
Bangladesch und Ägypten – als „sicher“ eingestuft, was ein grundsätzlich
verkürztes Asylverfahren ermöglicht. Nur zwei Wochen zuvor hatte der
Europäische Gerichtshof entschieden, dass ein Land jedoch nicht als „sicher“
gelten kann, wenn es Ausnahmen gibt. Unter Berufung auf dieses Urteil erklärte
das Gericht in Rom die Schnellverfahren für unzulässig. Die Asylsuchenden
wurden aus dem beschleunigten Offshore-Verfahren entfernt und in das reguläre
italienische Asylverfahren überführt. Ein herber Rückschlag für Giorgia Meloni
wie auch für Edi Rama.
Die italienische Regierung legte umgehend Berufung gegen die
Entscheidung ein und bemühte sich, den Rechtsrahmen anzupassen. Doch auch bei
den nächsten Überstellungen – Ende 2024 und im Januar 2025 – lehnten
italienische Gerichte die Inhaftierung der insgesamt 73 Asylsuchenden in
Albanien ab. Innerhalb weniger Tage wurden sie zurück nach Italien gebracht.
Ende März 2025 kündigte Meloni schließlich an, dass die albanischen
Einrichtungen künftig als Abschiebehaft-Zentren für Personen genutzt werden,
deren Schutzanträge in Italien bereits abgelehnt wurden. Mit dieser Umstellung
sind im April 40 Männer unterschiedlicher Nationalitäten in Albanien angekommen
– alle waren zuvor rechtskräftig abgelehnt worden. Nach italienischem Recht
können sie nun bis zu 18 Monate inhaftiert werden, bis ihre Abschiebung möglich
ist. Erstmals verlegte damit ein EU-Mitgliedstaat abgelehnte Asylbewerber in
ein Drittland, das weder Herkunfts- noch Transitstaat ist.
EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen begrüßte den Pakt zwischen
Italien und Albanien als Beispiel für „gerechte Aufgabenteilung“ zwischen der
EU und Partnerstaaten.
Melonis Machterhalt hängt von der Migrationssteuerung ab.
Mit dem Versprechen, die illegale Einwanderung an der Küste Italiens zu
stoppen, hatte sie den Wahlkampf gewonnen – bisher aber keine sichtbaren
Erfolge erzielt. Edi Rama könnte ihr zu einem erneuten Sieg verhelfen und sie
ihm im Gegenzug sein Wahlversprechen verwirklichen lassen – den EU-Beitritt.
Dieser wäre in der aktuellen Verfasstheit Albaniens alles andere als
selbstverständlich, denn die institutionellen Schwächen des Landes sind
gravierend. So war die Verhaftung des Bürgermeisters von Tirana im Februar ein
sehr schattiger Moment für die regierende Sozialistische Partei (SP).
Erion Veliaj – Vorstandsmitglied der SP und Vertrauter Ramas – wurde von der
Sonderstaatsanwaltschaft für Korruption und organisierte Kriminalität angeklagt
und inhaftiert. Ihm werden Bestechungsannahme in neun Fällen, Geldwäsche und
Verschleierung von Einkünften vorgeworfen. Berichte renommierter Organisationen
belegen, dass Albanien ein „Hub“ der internationalen organisierten Kriminalität
ist, auch hier ist die geografische Lage zentral.
Albaniens Zugang zur Adria und damit zum globalisierten
maritimen Güterverkehr schafft die Voraussetzung für den illegalen Handel.
Insbesondere Kokain aus Ecuador wird als Geldquelle der albanischen kriminellen
Netzwerke identifiziert. Das Geld wird im Bausektor gewaschen, was in Form
moderner und oft leerstehender Gebäude für die Bevölkerung sichtbar ist – und
zu surrealen Immobilienpreisen führt. Auch Benzin und Lebensmittel sind teuer,
die Löhne hingegen niedrig. Der aufblühende Tourismus ist zwar positiv für die
Wirtschaft, führt aber auch zu steigenden Preisen und schafft kaum lokale
Arbeitsplätze. Die soziale Absicherung bleibt schwach – ein entscheidender
Indikator für die EU-Erweiterung, der bislang klar verfehlt wird. Hinzu kommt
ein dramatischer Braindrain. Vor allem gut ausgebildete junge Menschen
verlassen das Land – ein Verlust an menschlichem Kapital, der sich selbst
verstärkt: Ohne Ärztinnen und Ärzte, Pflegekräfte und Fachkräfte sinkt die
Lebensqualität weiter. Albanien mag politisch auf dem Weg nach Europa sein.
Doch ökonomisch, sozial und rechtsstaatlich steht das Land vor einer
Zerreißprobe – und damit auf wackligem Grund für einen glaubwürdigen
EU-Beitritt.
Aber in Zeiten politischer Deals à la Trump verlieren
innenpolitische Glaubwürdigkeit und rechtsstaatliche Standards zunehmend an
Gewicht. Auch in Europa dominiert die Logik „eine Hand wäscht die andere“: Der
Pakt zwischen Giorgia Meloni und Edi Rama folgt genau diesem Muster. Migration
wird zum politischen Tauschmittel, internationale Normen werden dabei flexibel
ausgelegt. Auch die neue deutsche Bundesregierung hat im Koalitionsvertrag zur
EU-Erweiterung lediglich formuliert, dass eine Reform des Einstimmigkeitsprinzips
Vorrang haben müsse. Wie diese Reform gelingen soll, wird jedoch nicht
aufgezeigt. Für Albanien bleibt also nur, sich als lösungsorientierter Partner
auf dem Feld der Migrationspolitik anzubieten, um so in die EU zu gelangen.
Dass es dabei um Menschen geht und internationales Recht uminterpretiert wird,
wird offensichtlich in Kauf genommen. Besonders bitter ist dabei die Ironie des
albanischen Kurses: Ein Land, das selbst unter enormer Abwanderung leidet,
nimmt nun andere Migranten auf – nicht aus humanitären Gründen, sondern aus
geopolitischem Kalkül. Die Formel lautet dabei: Andere müssen raus aus der EU,
damit wir rein können. IPG 20
Kriminalisierung von Seenotrettung
Italiens Verfassungsgericht prüft umstrittenes Gesetzes, das
zivile Rettungsaktivitäten massiv bestraft
Berlin. Am 21. Mai wird das italienische Verfassungsgericht
erstmals Argumente zur Verfassungsmäßigkeit eines Gesetzes prüfen, das
Sanktionen gegen Seenotrettungsorganisationen vorsieht. Das berichteten heute Human Rights Watch (HRW) und das
European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR). Beide
Organisationen haben an diesem historischen Verfahren mitgewirkt und
schriftliche Stellungnahmen zu den völkerrechtlichen Verpflichtungen Italiens
eingereicht.
„Die Entscheidung des Verfassungsgerichts könnte
weitreichende Auswirkungen auf Italiens maritime Politik und den Schutz der
Menschenrechte an den Grenzen Europas und auf See haben“, sagte Judith
Sunderland, stellvertretende Direktorin für Europa und Zentralasien bei HRW.
„Unsere Organisationen haben sich an diesem Fall beteiligt, weil grundlegende
Rechte und Prinzipien auf dem Spiel stehen – es geht darum, auf See Leben zu
retten und Menschen vor traumatisierenden Übergriffen zu schützen.“
Im Mittelpunkt des Verfahrens stehen italienische
Regierungsmaßnahmen, die Rettungskapazitäten im zentralen Mittelmeer – einer
der tödlichsten Migrationsrouten der Welt – stark beschränken. Im Oktober 2024
wandte sich das Gericht in Brindisi mit drei Fragen an das Verfassungsgericht.
Sie betreffen das sogenannte Piantedosi-Dekret. Es ermöglicht italienischen
Behörden, Rettungsschiffe mit Geldstrafen zu belegen und festzusetzen. Als eine
der zahlreichen Begründungen dafür führt das Dekret die angebliche Nichtbefolgung
von Anweisungen der libyschen Küstenwache an.
Zu klären ist nun, ob Bestimmungen des Piantedosi-Dekrets
gegen Grundsätze der italienischen Verfassung wie Verhältnismäßigkeit,
Angemessenheit und Rechtsklarheit verstoßen. Gleichzeitig geht es um die Frage,
ob sie verbindlichen völkerrechtlichen Verpflichtungen sowie dem EU-Recht
entsprechen. Diese Einwände waren ursprünglich von der
Nichtregierungsorganisation SOS MEDITERRANEE vorgebracht worden, in einer Klage
gegen die mit dem Dekret begründete Festsetzung ihres Rettungsschiffs Ocean
Viking durch italienische Behörden.
In separaten, vom Verfassungsgericht zugelassenen, Amicus
Curiae-Stellungnahmen argumentieren HRW und ECCHR, dass die Verpflichtung von
Rettungsschiffen, den Anweisungen der libyschen Küstenwache zu folgen, gegen
den Grundsatz der Nichtzurückweisung verstößt. Dieser Grundpfeiler des
Völkerrechts verbietet die Zurückführung von Personen an Orte, an denen ihnen
ernsthafte Gefahren drohen. Libyen, wo Migrant*innen und Geflüchtete
systematisch willkürlicher Inhaftierung, unmenschlichen Haftbedingungen, Folter,
Misshandlung, Ausbeutung, Erpressung und sexueller Gewalt ausgesetzt sind, kann
nicht als sicherer Ort für aus Seenot gerettete Menschen bezeichnet werden.
Das ECCHR argumentiert in seiner Stellungnahme, dass die
Befolgung libyscher Such- und Rettungsanweisungen die Gefahr birgt, sich an
Verbrechen gegen die Menschlichkeit, einschließlich Versklavung, zu beteiligen.
HRW betont in seinem Rechtsgutachten die eindeutig
bewiesenen Misshandlungen von Migrant*innen in Libyen. Verbunden mit der
Zusammenarbeit libyscher Küstenwachen-Einheiten und anderer
Quasi-Sicherheitskräfte mit Schmugglergruppen folgt daraus, dass die libysche
Küstenwache in Such- und Rettungsoperationen kein zuverlässiger Akteur mit
Weisungsbefugnis sein kann.
Seit 2017 unterstützen Italien und die Europäische Union die
libysche Küstenwache finanziell, technisch und operativ, obwohl immer wieder
Berichte über ihre Beteiligung an Menschenrechtsverletzungen vorliegen. Im Jahr
2023 stellte die unabhängige Untersuchungsmission der Vereinten Nationen zu
Libyen fest, dass „erhebliche Gründe zu der Annahme bestehen“, dass
Migranten*innen und Geflüchtete in Libyen Opfer von Verbrechen gegen die
Menschlichkeit sind, darunter Folter, Versklavung und willkürliche
Inhaftierung.
Nach Angaben der Internationalen Organisation für Migration
sind seit 2014 fast 32.000 Menschen bei dem Versuch, nach Europa zu gelangen,
im Mittelmeer ums Leben gekommen oder verschwunden. Seit Libyen 2018 mit
Unterstützung Italiens seine eigene Seerettungszone einrichtete, haben dortige
Küstenwache-Einheiten mehr als 132.000 Menschen abgefangen und nach Libyen
zurückgebracht.
„Humanitäre Rettungskräfte sollten nicht dafür bestraft
werden, dass sie Befehle verweigern, die Verbrechen gegen die Menschlichkeit
zur Folge hätten“, sagt Allison West, Senior Legal Advisor beim ECCHR. “Das
Völkerrecht verpflichtet Italien, solche Menschenrechtsverletzungen zu
verhindern, statt sie zu ermöglichen.“
Weitere Berichte von Human Rights Watch über Italien finden
Sie hier:
https://www.hrw.org/de/europe/central-asia/italien
HRV 20
DAAD-Jahresbericht.
Wissenschaftsaustausch trotzt weltweiter Unsicherheit. Positive Bilanz für 2024
Der Deutsche Akademische Austauschdienst (DAAD) hat heute in
Bonn seinen Jahresbericht 2024 vorgestellt. DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato
Mukherjee hob die Rolle des akademischen Austauschs für die deutschen
Hochschulen und die ungebrochene Attraktivität Deutschlands als
Wissenschaftsstandort hervor. Trotz großer globaler Herausforderungen sei das
Jahr 2024 für den DAAD erfolgreich verlaufen. Bonn. „Das vergangene Jahr war
kein einfaches für den internationalen Wissenschaftsaustausch und den DAAD –
und dennoch ein erfolgreiches“, erklärte Mukherjee bei der Vorstellung des
Berichts. „Die geopolitische Lage hat sich verändert, Kooperationen mit China
wurden herausfordernder und beratungsintensiver, Russlands Krieg gegen die
Ukraine dauerte an und die erneute Wahl von Donald Trump zum US-Präsidenten war
ein Signal für unabsehbare Entwicklungen in der Zukunft. Zugleich konnten wir
im DAAD 104 Hochschulen Zusagen für die Förderung ihrer Fachkräfte-Projekte
erteilen, gemeinsam mit Partnern ein EU-Programm für bedrohte Forschende ins
Leben rufen und auf die Erfolge eines Vierteljahrhunderts Bologna-Reformen
zurückblicken“, so der DAAD-Präsident.
Deutschland bleibe in diesen Zeiten ein gefragtes Ziel für
internationale Studierende und Forschende: Rund 400.000 Studierende und
Promovierende sowie rund 75.000 Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler aus
dem Ausland unterstrichen diesen Erfolg und seien ein Gewinn für den
Wissenschaftsstandort. „Deutschland liegt damit weltweit bei internationalen
Studierenden auf Rang 3, bei Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftlern sogar
auf Rang 2, übertroffen nur von den USA“, fügte Mukherjee hinzu.
Dem DAAD und seinen Mitgliedshochschulen sei es in dieser
Lage erneut gelungen, den akademischen Austausch und die wissenschaftliche
Zusammenarbeit auf hohem Niveau zu halten. „Das ist ein starkes Signal“,
betonte er.
Stabile Förderzahlen in unruhigen Zeiten
Im Jahr 2024 unterstützte der DAAD weltweit 140.925
Studierende, Graduierte, Forschende und Hochschulbeschäftigte – ein Wert auf
dem hohen Niveau des Vorjahres. Die meisten Geförderten erhielten finanzielle
Unterstützung über das EU-Programm Erasmus+ (rund 50.200 Personen), gefolgt von
Programmen finanziert vom Bundesforschungsministerium (BMFTR, 38.300 Personen),
des Auswärtigen Amts (36.800 Personen) und des Bundesentwicklungsministeriums
(BMZ, 14.700 Personen).
Insgesamt förderte der DAAD 73.394 Personen aus Deutschland
und 67.531 aus dem Ausland. Die beliebtesten Zielländer von DAAD-Geförderten
aus Deutschland waren Spanien, Frankreich und Italien. Die meisten
internationalen Geförderten kamen aus der Ukraine, Indien und Ägypten. Der
Frauenanteil lag bei 51?Prozent bei den ausländischen, und 60?Prozent bei den
deutschen Geförderten.
China, Ukraine und Fachkräfteprogramm im Fokus
Anfang 2024 veröffentlichte der DAAD ein Strategiepapier zu
China – angelehnt an die China-Strategie der Bundesregierung. Es benennt fünf
Leitprinzipien für einen außenwissenschaftsrealpolitischen Umgang mit der
aufstrebenden Wissenschaftssupermacht und gibt Hochschulen Leitlinien zur
konkreten Umsetzung an die Hand.
Ein weiterer Schwerpunkt lag 2024 auf der Ukraine: Der DAAD
verkündete die Förderung von zwei neuen Ukraine-Zentren in Deutschland,
sammelte rund eine Million Euro an privaten Spenden für seine Ukraine-Projekte,
eröffnete Ende August sein Büro in Kyjiw wieder und startete die Ausschreibung
für ein neues Deutsch-Ukrainisches Hochschulnetzwerk (Die Auswahlergebnisse vom
Mai 2025 finden Sie hier).
Gleichzeitig nahm die vom BMFTR geförderte
DAAD-Fachkräfteinitiative Fahrt auf: Mit fast 12.000 Geförderten war sie 2024
bereits das teilnehmerstärkste Einzelprogramm des DAAD. Die Initiative soll
internationale Studierende fit machen für den deutschen Arbeitsmarkt – und in
Zusammenarbeit mit Hochschulen und Wirtschaft mehr internationalen
Absolventinnen und Absolventen einen Karrierestart in Deutschland ermöglichen.
DAAD in Zahlen
2024 arbeiteten 1.220 Beschäftigte in Bonn, Berlin und 56
DAAD-Auslandsbüros für den akademischen Austausch. Etwa 350 Lektorinnen und
Dozenten lehrten mit einer DAAD-Förderung an Hochschulen weltweit. Der
DAAD-Haushalt lag im vergangenen Jahr bei rund 753 Millionen Euro. Seit 1950
hat der DAAD insgesamt 1,8 Millionen Studierende und Forschende aus Deutschland
und 1,3 Millionen Menschen aus dem Ausland bei ihrer wissenschaftlichen
Karriere unterstützt. Daad 20
„Report Globale Flucht 2025“. Migrationsexperten
kritisieren nationalen Kurs deutscher Asylpolitik
Die Bundesregierung setzt in der Asylpolitik auf nationale
Maßnahmen. Als „Alleingänge“ und „kontraproduktiv“ kritisieren das
Migrationsforscher. Ihr „Report Globale Flucht 2025“ ist ein Plädoyer für
internationale Zusammenarbeit.
Deutsche Migrationsexperten haben an die Bundesregierung
appelliert, in der Flüchtlingspolitik auf einen Kurs der Abstimmung mit anderen
Ländern zurückzukehren. Deutschland konzentriere sich aktuell auf Effekte, die
in Deutschland ankommen, sagte der Bonner Wissenschaftler Benjamin Etzold am
Montag bei der Vorstellung des „Reports Globale Flucht 2025“ in Berlin. Die
menschenrechtlichen Konsequenzen der „Alleingänge“ würden dabei zu wenig
bedacht, kritisierte der Forscher am Bonn International Centre for Conflict
Studies. Echte Lösungen könnten nur in internationaler Zusammenarbeit gelingen.
Etzold legte gemeinsam mit Kolleginnen und Kollegen zum
dritten Mal den vom Forschungsnetzwerk „Flucht und Flüchtlingsforschung“
erarbeiteten Report vor, der sich zum Ziel gesetzt hat, die Diskussion über
Flucht und Migration zu versachlichen. Etzold sagte, die deutsche
Flüchtlingspolitik stehe mit ihrer „nationalen Engführung“ wirklichen Lösungen
im Weg. Die mangelnde internationale Verständigung führe etwa dazu, dass
inzwischen viele Flüchtlinge in Lagern festgesetzt und „verwaltet“ würden.
Wegen mangelnder Perspektive zögen diese Flüchtlinge weiter, auch nach
Deutschland.
Konkret kritisierte er auch die Ankündigung der neuen
Bundesregierung, legale Zugangswege nach Deutschland über humanitäre
Aufnahmeprogramme oder den Familiennachzug beenden zu wollen. Dies alles sei
„kontraproduktiv“, könne in der Folge sogar irregulärer Migration Vorschub
leisten, die die Bundesregierung eigentlich bekämpfen will.
Zurückweisung von Asylsuchenden: „Rechtsbruch“
Die Nürnberger Migrationsforscherin Petra Bendel verwies auf
die von Bundesinnenminister Alexander Dobrindt (CSU) erlaubten Zurückweisungen
Asylsuchender an den deutschen Grenzen, die sie als „Rechtsbruch“ vonseiten
Deutschlands bezeichnete. Sie stünden im Widerspruch zum europäischen
Dublin-Abkommen, dem Schengener Grenzkodex und der EU-Rückführungsrichtlinie.
„EU-Recht hat Vorrang und ist bindend“, kritisierte sie. Werde das ignoriert,
öffne man „Willkür Tür und Tor“, sagte sie.
Der Osnabrücker Wissenschaftler Franck Düvell erinnerte an
die Geschichte. Die Verständigung auf eine globale Teilung der Verantwortung
für Flüchtlinge sei eine Lehre aus dem Jahr 1938, als sich die internationale
Staatengemeinschaft bei einer Konferenz nicht auf eine Aufnahme der von den
Nazis verfolgten Juden habe einigen können. Ein „Rollback von dieser nationalen
Verantwortung“ sei auch vor diesem Hintergrund „der falsche Weg“, sagte er.
Integration von Geflüchteten: Deutschland gut im
Ländervergleich
Der Report, der Ende Mai als Buch erscheint, widmet sich in
Beiträgen verschiedener Expertinnen und Experten der Situation in
Flüchtlingslagern und an den Grenzen, macht historische Exkurse zur Entstehung
des Asylrechts und blickt auf die Integration von Flüchtlingen in Deutschland.
Die sei besser als oft angenommen, resümieren die Wissenschaftler. Im
Ländervergleich stehe Deutschland gut da, sagte Bendel. Dies gelte vor allem
für die Integration männlicher Geflüchteter in den Arbeitsmarkt.
Das Forschungsnetzwerk wird vom Bundesforschungsministerium
gefördert. Die Wissenschaftler erhoffen sich, dass ihre Erkenntnisse in der
Politik auch berücksichtigt werden. Die aktuellen Vorhaben im Koalitionsvertrag
seien „wenig an Fakten und wissenschaftlichen Erkenntnissen orientiert“, sagte
Etzold. Das zuständige Bundesinnenministerium kommentierte den Report am Montag
nicht. Ein Sprecher kündigte aber an, man werde den Bericht lesen. (epd/mig 20)
Vatikan/UNO: Erneuerung und
Zusammenarbeit
Zu einem erneuerten gemeinsamen Einsatz für Frieden und
Gerechtigkeit in der Welt hat Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin anlässlich
der Wahl des neuen Papstes vor den Vereinten Nationen aufgerufen.
„Die Wahl eines neuen Papstes ist ein Anlass zur Erneuerung,
nicht nur für die Katholiken, sondern für alle, die eine Welt mit mehr
Gerechtigkeit, Solidarität und Frieden anstreben“, sagte der Kardinal am Montag
bei einem Empfang in New York, der anlässlich der Wahl von Robert Francis
Prevost zum neuen Papst ausgerichtet worden war. „Mögen wir gemeinsam dem
Aufruf des Heiligen Vaters folgen und diejenigen werden, die Frieden säen, der
die Geschichte überdauert, und nicht diejenigen, die Opfer säen“, betonte
Parolin.
Diplomatie der Begegnung
„In einer Welt, die von Spaltung, Konflikten und drängenden
globalen Problemen - vom Klimawandel bis zur Migration und künstlichen
Intelligenz - geprägt ist, ruft uns Papst Leo zu einer Diplomatie der Begegnung
auf“, führte der Kardinal laut Redetext aus. Dies sei eine Diplomatie, „die mit
Demut zuhört, mit Mitgefühl handelt und vor allem das Gemeinwohl anstrebt“, so
Parolin, der zu gemeinsamen Anstrengungen aufrief.
Zusammenarbeit
Der Heilige Stuhl verpflichte sich zur Zusammenarbeit mit
den Vertretern der Nationen, „um die Menschenwürde zu fördern, die Schwachen zu
schützen und Brücken zu bauen, wo sonst Misstrauen herrschen könnte“.
Unerschütterlich werde der Heilige Stuhl dabei die Aufgabe der Vereinten
Nationen unterstützen, „ein Forum zu sein, in dem die Staaten in einen Dialog
treten, die Stimmen ihrer Völker zur Geltung bringen und Lösungen für die
größten Herausforderungen der Menschheit erarbeiten“ können.
Frieden, Gerechtigkeit, Wahrheit
Die Vision von Leo XIV. stimme mit dem „edlen Streben“ nach
Frieden und Gerechtigkeit der Vereinten Nationen überein, führte Parolin weiter
aus. Ausdrücklich dankte Kardinalstaatssekretär Parolin den Staatenvertreter
für ihr Wirken. Leo XIV. gebe einer Diplomatie den Vorzug, „die auf den Säulen
des Friedens, der Gerechtigkeit und der Wahrheit beruht“. Der Heilige Stuhl,
der sich der Wahrheit und der Gerechtigkeit verpflichtet fühle, werde so „auch
weiterhin seine moralische Stimme zur Verteidigung der Armen und Bedürftigen
und für das Streben nach Frieden und ganzheitlicher menschlicher Entwicklung
erheben“.
Organisiert hatte den Empfang der Vatikanvertreter in New
York, Erzbischof Gabriele Caccia. (vn 19)
Aktionstag gegen den Schmerz am 3.
Juni 2025
Schmerz lass nach! – Hilfe und Beratung für Millionen
BetroffeneInformationsveranstaltungen an rund 130 Standorten bundesweit +++
Kostenfreie Patientenhotline 0800 1818120 am 3. Juni geschaltet +++
Patientenflyer online verfügbar
Berlin – Wer ständig Scherzen hat, leidet oft doppelt:
körperlich – und seelisch. Viele Betroffene fühlen sich allein gelassen. Genau
das möchte der bundesweite Aktionstag gegen den Schmerz ändern: Am 3. Juni 2025
stehen wieder Patientinnen und Patienten mit chronischen Schmerzen sowie deren
Angehörige im Mittelpunkt. Rund 130 Einrichtungen beteiligen sich mit
Vorträgen, Beratungsangeboten und offenen Türen. Begleitet wird der Tag von
einer kostenfreien Patientenhotline unter 0800 18 18 120, die zwischen 9:00 und
18:00 Uhr besetzt ist. Außerdem findet eine Online-Pressekonferenz statt. Das
Programm und der Anmeldelink sind unten angefügt.
Etwa 23 Millionen Deutsche berichten über chronische
Schmerzen. Die Beschwerden gehen bei rund 6 Millionen Betroffenen sogar mit
Einschränkungen im Alltag wie Ängsten, Schlafstörungen und sozialem Rückzug
einher. Jährlich am ersten Dienstag im Juni ruft die Deutsche
Schmerzgesellschaft e. V. Kliniken, ärztliche oder psychologische Praxen,
schmerztherapeutische Einrichtungen, Apotheken sowie Pflegedienste, Heime und
Physiotherapiepraxen auf, das Thema „Schmerz“ in den Fokus zu rücken. „Es ist
wichtig, über die Entstehung von Schmerz aufzuklären und Betroffenen Wege
daraus aufzuzeigen“, so Thomas Isenberg, Geschäftsführer der Deutschen
Schmerzgesellschaft e. V. „Denn Schmerz wird häufig unterschätzt: Wird er nicht
ernst genommen und behandelt, kann er sich schnell chronifizieren, zu einer
großen Einschränkung im Alltag werden und die Lebensqualität erheblich
mindern“, gibt Isenberg zu bedenken. Bei mehr als der Hälfte aller Menschen mit
chronischen Schmerzen dauert es über 2 Jahre, bis sie eine wirksame Schmerzbehandlung
erhalten.
Persönliche Beratung – wohnortnah und niederschwellig
„Ziel des Aktionstags ist es, Menschen mit chronischen
Schmerzen konkrete Hilfe zu bieten – wohnortnah, niederschwellig und
verständlich“, so Isenberg weiter. Vor Ort beraten Schmerzexpertinnen und
-experten über moderne Therapieansätze wie multimodale Schmerztherapie, über
neue Wege in der Physiotherapie oder psychologische Unterstützung.
Eine Übersicht aller teilnehmenden Einrichtungen und Aktionen ist
unter www.aktionstag-gegen-den-schmerz.de zu finden.
Hotline für Fragen und Orientierung
Parallel steht am Aktionstag von 9:00 bis 18:00 Uhr die
kostenfreie telefonische Patientenhotline 0800 1818120 zur Verfügung.
Wer anruft, erreicht erfahrene Fachleute, die aufklären, zuhören und Wege aus
der Schmerzspirale aufzeigen. Sie geben Tipps zur besseren Behandlung und
erklären, wie geeignete Therapieeinrichtungen gefunden werden können.
Gemeinsam gegen Schmerz – früher erkennen, besser behandeln
Laut Studien vergehen bei mehr als der Hälfte der
Betroffenen über zwei Jahre bis zum Beginn einer wirksamen Behandlung. Dabei
ist der frühe Beginn entscheidend: Je eher gezielt behandelt wird, desto
geringer ist das Risiko, dass Schmerzen chronisch werden. Auch psychische
Belastungen, übermäßiger Medikamentenkonsum oder Vermeidungsverhalten können
zur Chronifizierung beitragen – und sollten in einer ganzheitlichen
Schmerztherapie unbedingt berücksichtigt werden
Online-Pressekonferenz: Neues aus der Schmerzversorgung
Am 3. Juni 2025 um 11:00 Uhr findet begleitend zum
Aktionstag eine Online-Pressekonferenz statt. Hier sprechen
Expertinnen und Experten aus Medizin, Pflege, Psychologie, Physiotherapie und
Selbsthilfe über aktuelle Entwicklungen in der Schmerztherapie und erläutern,
welche Strukturen für die Schmerzversorgung in Deutschland notwendig sind, um
persönliches Leid zu verhindern oder zu reduzieren. GA 19
Asylpolitik. Merz: Italienisches
Albanien-Modell eine Option für Deutschland
Italiens Rechtsregierung ist bislang mit dem Vorhaben
gescheitert, Asylverfahren nach Albanien auszulagern. Für Kanzler Merz ist das
Thema trotzdem nicht erledigt – trotz mehrerer Gerichtsentscheidungen gegen das
italienische Albanien-Modell.
Bundeskanzler Friedrich Merz kann sich zur Eindämmung
irregulärer Migration nach Europa auch Asylverfahren in Staaten außerhalb der
EU vorstellen. Mit Blick auf den einstweiligen Stopp entsprechender Pläne
Italiens durch die dortige Justiz sagte der CDU-Vorsitzende bei seinem
Antrittsbesuch in Rom, er kenne die Entscheidungen der Gerichte. „Aber dies
kann natürlich nach wie vor eine Option sein“, fügte er nach einem Treffen mit
der rechtskonservativen Ministerpräsidentin Giorgia Meloni hinzu.
Die Koalition in Rom aus drei rechten und konservativen
Parteien will Asylverfahren für im Mittelmeer aufgegriffene Migranten in
Albanien abwickeln, was durch die Justiz jedoch mehrfach unterbunden wurde.
Derzeit prüft der Europäische Gerichtshof, ob ein solcher Umgang mit Migranten
mit europäischem Recht vereinbar ist. Die eigens errichteten Lager in dem
Nicht-EU-Land Albanien stehen seit Monaten weitgehend leer. Bislang hat das
Modell noch nie funktioniert.
Massive Kritik am Albanien-Modell
Rechtsexperten sowie Menschenrechtsorganisationen äußern
seit Langem verfassungs- und menschenrechtliche Bedenken gegen die Auslagerung
von Asylverfahren in Drittstaaten. Zentraler Kritikpunkt ist, dass
Schutzsuchende dadurch faktisch vom Zugang zu einem fairen Asylverfahren in der
EU ausgeschlossen werden könnten. Nach der Genfer Flüchtlingskonvention darf
jedoch niemand in ein Verfahren verwiesen werden, bei dem unklar ist, ob dort
die vollen Verfahrensrechte und der Schutz vor Zurückweisung gewährleistet
sind. Auch das EU-Recht sieht vor, dass Geflüchtete innerhalb der EU Zugang zu
einem rechtsstaatlichen Verfahren erhalten müssen. Die geplanten Lager in
Albanien, so die Kritik, würden diesem Anspruch kaum gerecht werden – sie
stünden unter italienischer Verwaltung, aber außerhalb des Geltungsbereichs
europäischer Grundrechte.
Menschenrechtsorganisationen werfen der italienischen
Regierung zudem Symbolpolitik auf dem Rücken besonders schutzbedürftiger
Menschen vor. Ministerpräsidentin Meloni versuche, mit derlei populistischen
Maßnahmen Handlungsfähigkeit zu demonstrieren. Statt tragfähiger Lösungen für
Fluchtursachen und gerechte Verfahren werde ein repressives Signal gesetzt, das
nicht zuletzt der innenpolitischen Profilierung diene. Die weitgehende Leere
der Lager in Albanien spreche dabei für sich.
Merz: „Wir werden nicht mehr auf der Bremse stehen“
Merz sagte, man werde die Auslagerung von Asylverfahren
trotz der Erfahrungen in Italien prüfen. Das sei „sicherlich nicht die Lösung
des Problems“. „Es ist ein Beitrag, um das Problem kleiner zu machen.“
Merz pochte zudem darauf, die europäische Asylreform rasch
umzusetzen und die Zusammenarbeit in der EU bei der Bekämpfung irregulärer
Migration auszuweiten. „Wir werden nicht mehr auf der Bremse stehen, wenn es
jetzt um die Lösung der Probleme in der Europäischen Union geht.“ (dpa/mig 19)
Bevölkerung offen für
Pflichtversicherung gegen Klimaschäden
München – Die gesellschaftliche Akzeptanz für eine
verpflichtende Elementarschadenversicherung in Deutschland ist größer als
angenommen. Das zeigt eine neue Studie des ifo Instituts. „Vor allem aus
Gründen der Fairness sind viele Haushalte bereit, ein solidarisches
Versicherungssystem mitzutragen – selbst dann, wenn sie selbst kaum direkt
davon profitieren würden“, sagt ifo Expertin Marie-Theres von Schickfus.
Knapp die Hälfte der Haushalte (39?Prozent Zustimmung,
34?Prozent neutral) befürwortete eine Pflichtversicherung, ohne dass sie dazu
spezifische Informationen bekam. Durch gezielte Information über die reale Höhe
staatlicher Hilfen – bis zu 80?Prozent der Schäden nach der Flut wurden
öffentlich kompensiert – stieg die Zustimmung weiter an. Besonders stark fiel
der Effekt bei bislang nicht versicherten Haushalten in Gebieten aus, in denen
das Risiko von Überflutungen gering ist. Hier zeigte sich eine neue Haltung der
Bevölkerung: Eine allgemeine Pflichtversicherung wurde als fairer und
gesellschaftlich kosteneffizienter empfunden als staatliche Ad-hoc-Hilfen.
„Die Bevölkerung erkennt zunehmend, dass eine
privatwirtschaftlich organisierte Pflichtversicherung nicht nur ökonomisch
effizienter, sondern auch gerechter ist“, sagt ifo Forscherin von Schickfus.
„Das eröffnet Handlungsspielraum für eine politische Neuordnung der
Katastrophenvorsorge.“
Die 2021er Flutkatastrophe richtete Schäden in Höhe von über
40 Milliarden Euro an – nur etwa die Hälfte der Wohngebäude war damals
versichert. Dies zeigte, wie lückenhaft für die finanzielle Vorsorge für
klimabedingte Schäden bisher war. Vor diesem Hintergrund befragten die
Forschenden über 8.000 Haushalte und 639 Unternehmen zu ihren Erwartungen
gegenüber staatlicher Hilfe sowie zu ihrer Haltung zu einer
Pflichtversicherung. Die Erkenntnisse aus Deutschland könnten auch für andere
europäische Länder nützlich sein, denn im Schnitt sind europaweit nur 15
Prozent der klimabedingten Schäden versichert, in Deutschland sind es immerhin
25 Prozent.
„In Zeiten wachsender Extremwetterrisiken könnte ein
verpflichtendes Versicherungssystem ein sinnvoller Schritt hin zu einem
vorsorgenden Schutz vor den Auswirkungen des Klimawandels sein und staatliche
Haushalte entlasten. Eine stärkere Berücksichtigung von Klimarisiken bei
Investitionsentscheidungen setzt allerdings voraus, lokale Risiken in den
Versicherungsprämien adäquat einzupreisen“, sagt Karen Pittel, Leiterin des ifo
Zentrums Energie, Klima und Ressourcen. Auch eine offene Diskussion über staatliche
und private Anpassungsmaßnahmen im Rahmen des Klimawandels hält sie für
sinnvoll.
Ifo 19
Bundeskanzler Merz: Vatikan als
Friedensvermittler
Mehr als 150 diplomatische Delegationen und Kirchenvertreter
aus aller Welt sind zur Amtseinführung von Papst Leo XIV. nach Rom gereist. Das
Kirchenoberhaupt grüßte die Delegationen im Anschluss im Petersdom. Staatschefs
und Politiker sprachen im Anschluss von einem „erhebenden Augenblick“ und
betonten die diplomatische Vermittlerrolle des Heiligen Stuhls – auch die
Vertreter aus dem deutschsprachigen Raum. Birgit Pottler – Vatikanstadt
Mehr als 150 diplomatische, ökumenische und religiöse
Delegationen aus aller Welt sind zur Amtseinführung von Papst Leo XIV. nach Rom
gereist. Das Kirchenoberhaupt grüßte die Delegationen im Anschluss im
Petersdom. Staatschefs und Politiker sprachen im Anschluss von einem
„erhebenden Augenblick“ und betonten die diplomatische Vermittlerrolle des
Heiligen Stuhls – auch die Vertreter aus dem deutschsprachigen Raum.
Bundeskanzler Friedrich Merz stand an der Spitze der
deutschen Delegation, zu der Politiker verschiedener Parteien sowie
Kirchenvertreter gehörten.
Vatikan als Friedensvermittler
Merz unterstrich: „Es ist eine gute Tradition, dass die
katholische Kirche und der Vatikan sich immer wieder als Friedensvermittler
und auch als Orte solcher Gespräche anbieten. Diese Gespräche haben
hier stattgefunden. Ich hatte Gelegenheit, mit Präsident Selinskyj längere Zeit
zu sprechen, als wir in den Petersdom hineingegangen sind.“
Unweit des Petersdoms bestätigte der Bundeskanzler die
Absprache der Staats- und Regierungschefs von Deutschland, Frankreich und
Großbritannien, vor dem für Montag geplanten Telefonat zwischen den Präsidenten
Donald Trump (USA) und Wladimir Putin (Russland) mit dem US-Präsidenten Kontakt
aufzunehmen. „Wir können nur hoffen, dass es jetzt weitere Fortschritte gibt.
Mein fester Eindruck ist, dass sowohl die Europäer als auch die Amerikaner fest
entschlossen sind, zusammen, aber auch zielorientiert dafür zu sorgen, dass
dieser schreckliche Krieg bald aufhört.“
Themen für globale Kirche
Friedrich Merz würdigte die Aussagen von Papst Leo XIV. zur
Soziallehre und verwies dabei auf Ausbeutung von Ressourcen und
Herausforderungen in der globalen Welt. „Ich fühle mich mit dem, was wir
soziale Marktwirtschaft in Deutschland nennen, damit nur sehr begrenzt
angesprochen. … Das alles sind Themen, die für die große, globale katholische
Kirche Themen sein müssen, und deswegen ist das sicherlich voll und ganz
richtig, dass er das getan hat.“
In seinem Statement vor Journalisten unterstrich der
deutsche Bundeskanzler die guten Verbindungen zum Vatikan. „Wir alle wünschen
nicht nur der katholischen Kirche ein gutes Gedeihen, sondern wir wünschen vor
allem dem neuen Papst Leo XIV. eine gute und glückliche Hand in dem, was er für
diese große Kirche in den nächsten Jahren tun wird.“
Ort der Zusammenarbeit
Die Pressebegegnung fand auf dem Gelände des Campo Santo
Teutonico statt. Der Gebäudekomplex liegt innerhalb der Vatikanmauern, aber auf
italienischem Staatsgebiet, mit mehreren Einrichtungen. Dazu gehört ein
deutscher Friedhof mit Kirche, eine Erzbruderschaft, ein deutschsprachiges
Priesterkolleg, das Römische Institut der Görres-Gesellschaft sowie ein
Wissenschafts- und Tagungsbereich.
„Dies ist ein Ort der jahrhundertelangen Begegnung zwischen
Deutschland und dem Heiligen Stuhl“, sagte Merz. „Die Bundesrepublik
Deutschland wird diesen Platz hier auch in den nächsten Jahren weiter
unterstützen, weil es ein wichtiger Ort der Begegnung ist, ein Ort des
Glaubens, ein Ort der Begegnung und ein Ort der Zusammenarbeit hier im
Vatikan.“ (vn 18)
Appell an Bundesregierung. Familiennachzug
verbessern statt stoppen
Hilfswerke appellieren an die Bundesregierung, den
Familiennachzug für Geflüchtete weiter zu gewähren. Die Aussetzung hätte
demzufolge einen hohen menschlichen Preis und brächte kaum Entlastung für
Kommunen.
Zahlreiche Hilfs- und Menschenrechtsorganisationen haben zum
Tag der Familie am Donnerstag an die Bundesregierung appelliert, die
Möglichkeit zum Familiennachzug für Geflüchtete zu erhalten. „Familiennachzug
ist eine planbare, integrationsfördernde und rechtssichere Möglichkeit, um
Schutzsuchende aus Kriegs- und Krisengebieten aufzunehmen“, heißt es in einem
am Donnerstag verbreiteten Aufruf der Verbände. Statt den Familiennachzug noch
weiter einzuschränken als bereits geschehen, sollte die neue Bundesregierung
von Kanzler Friedrich Merz (CDU) die Legislaturperiode nutzen, den
Familiennachzug effizienter zu gestalten.
Initiiert haben den Aufruf das International Rescue
Committee, Save the Children und Terre des Hommes. Zu den 31 Mitunterzeichnern
gehören unter anderen die kirchlichen Wohlfahrtsverbände Diakonie und Caritas
sowie Amnesty International Deutschland, der Paritätische Gesamtverband und Pro
Asyl. Auch die Evangelische Kirche in Deutschland (EKD) forderte am Donnerstag
großzügige Regelungen beim Familiennachzug.
Im Koalitionsvertrag haben CDU/CSU und SPD vereinbart, den
Familiennachzug zu Flüchtlingen mit subsidiärem Schutzstatus für zwei Jahre
auszusetzen. Derzeit gibt es für diese Gruppe ein Kontingent. Bis zu 1.000 enge
Angehörige von in Deutschland anerkannten Schutzsuchenden dürfen darüber
kommen.
Aussetzung führt zu schmerzhaften Trennungen von Familien
Die Aussetzung des Familiennachzugs führe zu langjährigen
und schmerzhaften Trennungen von Familienmitgliedern, hieß es im Aufruf. Die
Trennung von den Eltern und Geschwistern könne bei Kindern erhebliche
psychische Belastungen und Traumata verursachen, die langfristige Auswirkungen
auf sie und das Familiengefüge nach sich ziehen könnten. Vom Aussetzen des
Familiennachzugs wären insbesondere Frauen und Kinder betroffen, die allein in
Konfliktregionen zurückbleiben oder sich auf gefährliche Fluchtrouten begeben
müssten.
„Ein Aussetzen hätte einen erheblichen menschlichen Preis,
jedoch keine signifikanten Auswirkungen auf die Auslastung der Kommunen“, hieß
es weiter. Erfahrungen mit dem Aussetzen der Nachzugsmöglichkeit seit 2016
zeigten, dass das weder Gerichte noch Behörden entlaste, sondern zu
„erheblicher Mehrbelastung durch unzählige Eilverfahren und Verfahren zur
Aufnahme im Einzelfall“ führe. Zudem gehörten der Wert von Familie sowie der
Schutz von Kindern „zum Fundament unserer Gesellschaft“. Völker- und Europarecht
sowie das Grundgesetz schützten das Recht auf Familie und definierten das
Kindeswohl als vorrangig.
„Familien geben Geborgenheit und Halt“
Das Verbändebündnis machte auch Verbesserungsvorschläge:
Wartezeiten an den Auslandsvertretungen sollten verkürzt und digitale Anträge
ermöglicht werden. Minderjährige Geschwister, die zurzeit „mit hohen Hürden“
beim Familiennachzug konfrontiert seien, müssen dem Appell zufolge ein
Nachzugsrecht haben.
Der EKD-Flüchtlingsbeauftragte Christian Stäblein erklärte,
wer mit seinen Nächsten in Sicherheit leben dürfe, finde schneller Halt, lerne
die Sprache leichter und könne sich besser integrieren. „Familien geben
Geborgenheit und Halt. Daran erinnert uns der Internationale Tag der Familie“,
sagte der Berliner Bischof.
EKD: „Eltern und Kinder gehören zusammen“
Stäblein unterstrich: „Als evangelische Kirche sagen wir
klar und unmissverständlich: Eltern und Kinder gehören zusammen.“ Es sei ein
Gebot der Nächstenliebe, dass alle Menschen, gerade auch Geflüchtete und
subsidiär Schutzberechtigte, nicht über Jahre hinweg von ihren engsten
Angehörigen getrennt blieben. Es brauche „großzügige Regelungen beim
Familiennachzug“ für eine Gesellschaft, die menschlich bleiben wolle und sich
an christliche Werte erinnere, forderte der Bischof.
Der Internationale Tag der Familie wird jährlich am 15. Mai
begangen. Dieser Aktionstag wurde von den Vereinten Nationen mit einer
Resolution im Jahr 1993 eingeführt und im Jahr 1994 erstmalig gefeiert.
(dpa/mig 15)
Afrika: Bischöfe werfen EU
Ausnutzung vor
Europäische und afrikanische Bischöfe werfen der EU vor,
Afrika als „Müllhalde" für eigene ökologische Ziele zu missbrauchen. „Wir
sind besonders beunruhigt über die zunehmende Nutzung afrikanischer Gebiete als
Standort für Europas Ressourcenbedarf und Klimaziele", heißt es in einer
an diesem Donnerstag veröffentlichten Erklärung. Verfasser sind die katholische
EU-Bischofskommission (COMECE) und das afrikanische Pendant SECAM.
Anlass für die gemeinsame Stellungnahme ist das
Außenministertreffen zwischen der Afrikanischen Union und der EU am 21. Mai. In
ihrem Schreiben äußern die Bischöfe Unmut und Besorgnis: Man beobachte eine
„tiefgreifende Verschiebung der europäischen Prioritäten", bei der
geopolitische und wirtschaftliche Interessen im Vordergrund stünden. Trotz
lobenswerter Absichten hinter einigen Entwicklungsprojekten falle Europa allzu
oft in alte Muster zurück: Interessen europäischer Unternehmen und eigene strategische
Ziele würden höher gewichtet als die Bedürfnisse der afrikanischen Bevölkerung.
„Das ist keine Partnerschaft. Das ist keine Gerechtigkeit“
„Land, Wasser, Saatgut und Mineralien - die Grundlagen des
Lebens - scheinen wieder einmal als Waren für ausländische Profite behandelt zu
werden und nicht als Gemeingüter", kritisieren die Bischöfe. Afrika werde
aufgefordert, seine Ökosysteme und Gemeinschaften zu opfern, um Europa zu
helfen, die eigenen Klimaziele zu erreichen. Als Beispiel werden unter anderem
„massive Landgeschäfte" genannt, die „angeblich grünen
Energieprojekten" dienten. Zugleich würden giftige Abfälle aus der industriellen
Landwirtschaft auf den afrikanischen Kontinent verlagert, und der Hunger nehme
zu. „Das ist keine Partnerschaft. Das ist keine Gerechtigkeit", so die
Erklärung der Bischöfe. Für eine echte Partnerschaft auf Augenhöhe müsse die EU
auf die Stimmen der afrikanischen Gesellschaft hören. (pm/kap/kna 15)
Der italienische Film VERMIGLIO
kommt ins Kino!
Sehr geehrte Damen und Herren,
ein verschneites Bergdorf in Trentino-Südtirol, drei
Schwestern, ein fremder Soldat – und eine Regisseurin, die aus leisen Tönen
großes Kino macht.
Vermiglio, Maura Delperos zweiter Spielfilm, war in Italien
ein überraschender Programmkino-Erfolg und wurde gerade erst zum großen Sieger
bei der Verleihung der italienischen Filmpreise "David di Donatello"
2025: mit sieben Auszeichnungen, darunter Bester Film und Beste Regie. Maura
Delpero selbst schreibt Geschichte als erste Frau, die den Preis für die Beste
Regie erhält, und als dritte Preisträgerin überhaupt in der Königskategorie
"Bester Film".
Der Film ist ein Hochgenuss für alle Freund*innen des
italienischen Kinos und der Berglandschaft des Trentino und geht auch auf
regionale Besonderheiten wie den ladinischen Dialekt ein. Maura Delpero stammt
selbst aus der Gegend, sie erzählt mit ethnografischer Genauigkeit und
filmischer Zärtlichkeit eine Reflexion über Herkunft, Zugehörigkeit und
Veränderung. > zum internationalen Trailer
Am 24. Juli kommt der Film deutschlandweit ins Kino.
An vielen Orten wird auch die italienische Originalfassung
mit deutschen Untertiteln zu sehen sein.
Machen Sie mit uns zusammen Ihre italienische Community auf
den Film aufmerksam! Dafür bestehen verschiedene Möglichkeiten: wir
stellen Kinokarten für eine Verlosung in Ihren Social Media Kanälen bereit,
liefern Ihnen Texte und Hintergründe für Ihren Newsletter, Pressematerial für
eine Rezension in Ihrer Mitgliederzeitung und vieles mehr.
Für eine Veranstaltung mit Filmgespräch im Kino vermitteln
wir gerne den Kontakt zu den Kinos vor Ort und stellen Flyer, Plakate und
Online Material zur Verfügung.
Melden Sie sich mit Ihrer Idee bei: Julia Arika, Piffl
Medien, arika@pifflmedien.de, Tel 030 29361624. Dip 26