Webgiornale 1-15 giugno
2023
Alluvione Emilia Romagna, il decreto:
tutte le misure del governo
Il presidente del Consiglio Meloni annuncia uno "stanziamento di oltre
2 miliardi di euro". Tasse, bollette, esami di maturità: le novità
Alluvione in Emilia Romagna, ecco le misure del decreto per fronteggiare le
conseguenze dell'emergenza maltempo di maggio 2023. Dalle tasse alle bollette,
dalla cassa integrazione al fondo per le imprese: il provvedimento da 2
miliardi è stato approvato dal Consiglio dei ministri con, spiega il presidente
del Consilio Giorgia Meloni, "i primi interventi che consideriamo
urgenti". "Questo primo provvedimento complessivamente prevede uno
stanziamento di oltre 2 miliardi di euro per le zone colpite
dall'alluvione". "In passato, interventi di emergenza da 2 miliardi
di euro non so se si erano visti...". "Nella situazione attuale
trovare 2 miliardi di euro in qualche giorno non è una cosa facile. Penso vada
dato atto a tutto il governo di essersi dedicato a questa emergenza con il
massimo della concentrazione, della disponibilità e della operatività
possibile". Un provvedimento, ha rimarcato la presidente del Consiglio,
che offre "prime importanti risposte ai territori colpiti dall'alluvione
in Emilia Romagna".
TASSE E MUTUI
"Sospensione dei termini relativi agli adempimenti e ai versamenti
tributari e contributivi fino al 31 agosto, quindi, con ripresa dei pagamenti
fino al 20 novembre" dice Meloni a proposito del decreto alluvioni.
"Il decreto prevede, inoltre, il differimento per i comuni e le province
del pagamento dei mutui nei confronti di Cassa depositi e prestiti".
"Per quello che riguarda i mutui" dei privati "non c'è bisogno
di una norma perché su questo fa fede il protocollo di intesa che già esiste
tra governo e Abi per la sospensione del pagamento dei mutui in caso di eventi
calamitosi".
STATO DI EMERGENZA
Il governo ha approvato "un'ordinanza di Protezione Civile che estende
lo stato d'emergenza a tutti i comuni che sono stati colpiti dalla seconda
ondata dell'alluvione e che non erano previsti nella prima, con riserva di
estendere lo stato d'emergenza anche ai comuni colpiti nelle Marche e in
Toscana, che però necessitano di un altro percorso".
BOLLETTE
"Sul tema delle utenze, è già stata deliberata la sospensione del
pagamento da parte di Arera, ma c'è una norma che rafforza questa
previsione".
BIGLIETTI MUSEI
"Il ministro della Cultura Sangiuliano prevede l'aumento temporaneo di
un euro dei biglietti di ingresso ai musei. I proventi che arriveranno da
questa misura serviranno a ripristinare i beni culturali interessati
dall'alluvione".
RINVIO PROCESSI
"Prevediamo, per quello che concerne la giustizia, il rinvio dei processi
civili e penali, quando una delle parti o l'avvocato difensore risiedano nelle
zone colpite e la sospensione fino al 31 agosto per quello che riguarda i
giudizi amministrativi, contabili, militari e tributari".
ESAMI DI MATURITA'
Il decreto legge approvato dal governo prevede "un fondo da 20 milioni
di euro per la continuità didattica". "Abbiamo dato facoltà al
ministro dell'Istruzione, con ordinanza, di lavorare con una certa flessibilità
per l'adempimento degli esami di maturità in base alle necessità degli istituti
coinvolti. Anche il ministro dell'Università prevede la possibilità di
didattica ed esami a distanza". "Stiamo lavorando - ha proseguito
Meloni - per l'acquisto di computer da mettere a disposizione di quegli
studenti che dovessero operare con didattica a distanza e che non ne fossero in
possesso".
CASSA INTEGRAZIONE
"Prevediamo una cassa integrazione in deroga per tutti i dipendenti
fino a 90 giorni" dice Meloni. "Questa misura complessivamente è
coperta fino a 580 milioni di euro. Prevediamo anche una tantum fino a 3mila
euro per i lavoratori autonomi costretti a interrompere l'attività. Questa
misura ha una copertura che arriva fino a 300 milioni di euro", ha inoltre
spiegato il presidente del Consiglio.
FONDO PER LE IMPRESE
"Prevediamo un rafforzamento dell'accesso al fondo di garanzia per le
piccole e medie imprese, con previsione di un aumento della garanzia anche fino
al 100%" con copertura di "110 milioni di euro".
Il Ministero degli Affari Esteri ha previsto, inoltre, "contributi a
fondo perduto per le imprese esportatrici danneggiate dall'alluvione, a valere
sul fondo Simest, con una copertura di ulteriori 300 milioni di euro".
Sempre la Farnesina ha predisposto "la creazione di una quota riservata di
400 milioni di euro" dedicata "all'erogazione di finanziamenti a
tassi agevolati con quote a fondo perduto del 10%", ha inoltre spiegato
Meloni.
"Il Ministero della sovranità alimentare e dell'agricoltura ha
stanziato 100 milioni di euro per interventi di indennizzo a favore delle aziende
agricole e ulteriori 75 milioni di euro, a valere sul fondo innovazione, per
l'acquisto di macchinari per le aziende danneggiate".
SANITA'
"Il Ministero della Salute ha messo a disposizione 8 milioni di euro
per i primi interventi di ripristino delle strutture sanitarie e prevediamo il
riconoscimento di crediti formativi al personale sanitario che opera nei comuni
interessati".
LOTTO E SUPERENALOTTO
"Ci sono alcune proposte formulate dal Ministero dell'Economia, come
la vendita dei mezzi confiscati dall'Agenzia delle dogane, con proventi
destinati a questo fine; e abbiamo anche autorizzato estrazioni straordinarie
del Lotto e del Superenalotto interamente dedicate all'emergenza".
L'Agenzia delle dogane e dei monopoli istituirà nel 2023 "estrazioni settimanali
aggiuntive del gioco del Lotto e del gioco del Superenalotto", per
finanziare "interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi
metereologici" in Emilia-Romagna. È quanto si legge nella bozza del
decreto approvato oggi dal Consiglio dei Ministri, che Agipronews ha potuto
visionare. Adm istituirà le estrazioni speciali "con propri decreti
dirigenziali adottati entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto" e le maggiori entrate saranno "destinate a un fondo da
istituire presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia".
Inoltre, per "finanziare gli interventi di protezione civile
conseguenti agli eventi alluvionali, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli è
autorizzata a disporre la vendita" all'asta "dei beni mobili oggetto
di confisca amministrativa" oppure "oggetto di abbandono allo Stato
ai sensi delle vigenti disposizioni doganali". Adnkronos 23
La competizione strategica del futuro sarà
“underwater”
Grazie all’innovazione tecnologica e all’importanza strategica delle
infrastrutture critiche posate sui fondali marini come gasdotti, oleodotti e
cavi internet, il dominio subacqueo, o underwater, è divenuto una frontiera di
grande rilevanza nella competizione fra Stati, rinnovando e ampliando i termini
delle operazioni militari sottomarine. Se ne discuterà il 30 maggio nel webinar
IAI “L’Italia, il Mediterraneo allargato e il dominio subacqueo”.
Infrastrutture subacquee: vitali e vulnerabili
L’economia globale e il benessere delle società occidentali dipendono
largamente dal funzionamento di un grande e crescente numero di infrastrutture
critiche sottomarine, a partire dai cavi subacquei per internet e le
telecomunicazioni, i gasdotti e gli oleodotti. Senza contare che il mare è
ovviamente fonte di nutrimento essenziale per miliardi di persone e, da
migliaia di anni, ospita le più importanti vie di comunicazione per lo scambio
di merci.
Ad oggi, oltre il 97 per cento del traffico internet globale attraversa più
di 400 cavi in fibra ottica appoggiati sui fondali marini, per una lunghezza
complessiva che supera il milione di chilometri. Inoltre, circa il 30 per
cento degli idrocarburi sono estratti da piattaforme offshore, mentre una
porzione significativa di tutti gli idrocarburi è trasportata via mare per mezzo
di oleodotti, gasdotti o navi prima di arrivare al consumatore. Se cavi
subacquei e condotti sottomarini sono ormai in uso da più di ottanta anni e
hanno sempre sofferto di un certo grado di vulnerabilità – specialmente in
acque basse e costiere – storicamente hanno potuto contare sull’opacità e
inaccessibilità del mare come prima linea di difesa.
Oggi, vista la crescente dipendenza delle economie europee – inclusa quella
italiana – da queste infrastrutture e grazie sia all’innovazione tecnologica
che rende i fondali e le grandi profondità più accessibili a operatori civili e
militari, esse diventano obiettivi strategici e dunque più vulnerabili che mai
al sabotaggio. Si può dire in altre parole che ci sia stata, negli ultimi
decenni, una graduale convergenza fra le capacità operative a disposizione e la
volontà di diversi attori di colpire tali obiettivi, come dimostrato nel 2022
dal sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico.
Fra le principali potenze, la Russia è quella che più di tutte ha investito
nella capacità di sabotaggio in profondità, dotandosi di mezzi specializzati in
alcuni casi unici nel loro genere. L’approccio di Mosca a questo dominio
rientra in una dottrina che dà grande valore alla difficile attribuzione di
attacchi situati nella ‘zona grigia’ fra la guerra e la pace. Attacchi che non
sono affatto nuovi guardando alla storia della guerra sottomarina.
Un secolo e mezzo di guerra sottomarina
Il 17 febbraio del 1864, a Charleston in South Carolina durante la Guerra
Civile americana, un sommergibile colpiva e affondava per la prima volta nella
storia una nave. L’H.L. Hunley era stato progettato e costruito dalle forze
confederate nel disperato tentativo di spezzare il blocco navale al quale la
marina americana sottoponeva i maggiori porti secessionisti. Nell’impossibilità
di affrontare la US Navy, in condizioni di assoluta inferiorità navale, si
intuì che un sommergibile operante sotto il pelo dell’acqua e nel buio della
notte avrebbe potuto avvicinarsi abbastanza alle navi avversarie per poterle
colpire con una carica esplosiva. Il battello era lungo dodici metri e si
muoveva a propulsione ‘muscolare’, grazie alle braccia del suo equipaggio che
agivano su un lungo albero a gomiti collegato all’elica. Nonostante il successo
dell’affondamento della nave nemica, tutti i membri dell’equipaggio persero la
vita durante l’azione. Fu però evidente la potenziale efficacia dello
sfruttamento del dominio subacqueo in operazioni militari – soprattutto in
situazioni di asimmetricità, come nel caso del fronte navale del conflitto
americano.
A poco meno di un secolo dall’azione del H.L.Hunley, la US Navy prendeva in
consegna il primo sottomarino a propulsione nucleare, l’USS Nautilus. Lungo
quasi cento metri e capace di un’autonomia in immersione impensabile con i
sottomarini convenzionali usati fino a quel punto, rappresentò una rivoluzione
copernicana nella guerra sottomarina. Se nei primi anni della Guerra Fredda i
sottomarini erano strumenti utilizzati principalmente per colpire navi di
superfice, pochi anni dopo l’introduzione in servizio del Nautilus gli
americani testarono con successo il lancio di missili balistici da un
sottomarino in immersione.
Il rapido progresso tecnologico che ha caratterizzato la seconda metà del
secolo scorso ha reso i sottomarini convenzionali e nucleari piattaforme
estremamente complesse, silenziose e capaci, diversificando anche i compiti che
potevano svolgere. I sottomarini rimangono uno strumento essenziale per la
deterrenza navale poiché ancora oggi mantengono la loro caratteristica
elusività garantita dall’inaccessibilità e opacità del mare. Non a caso,
infatti, con l’intensificarsi della competizione geo-strategica fra Stati,
sempre più marine vogliono dotarsi di questa capacità per la prima volta – una
tendenza particolarmente evidente nell’Indo-Pacifico.
L’innovazione presente e futura tra tecnologie emergenti e dual-use
In aggiunta alla realtà consolidata dei sottomarini, tra le nuove
tecnologie più abilitanti in un’ottica sia di offesa che quindi di protezione e
sorveglianza delle infrastrutture subacquee vi sono senza dubbio i veicoli
subacquei senza equipaggio, meglio noti anche in Italia come uncrewed
underwater vehicles (UUV), che possono essere pilotati remotamente (remotely
operated uncrewed vehicles – ROUV) oppure autonomi (autonomous underwater
vehicle – AUV). Gli UUV infatti non sono limitati dalla presenza a bordo di esseri
umani e perciò possono scendere a migliaia di metri sotto la superficie senza
dover risolvere una delle problematiche più complesse della navigazione
subacquea, ossia la protezione dell’equipaggio dall’altissima pressione.
Le proprietà fisiche dei corpi d’acqua inoltre fanno sì che le
comunicazioni wireless maggiormente usate in superficie siano impraticabili o
quantomeno subottimali, rendendo la facoltà di svolgere diversi compiti in
autonomia, senza il bisogno di una connessione in tempo reale, una capacità
preziosissima nel campo degli AUV. Ricerca e sviluppo sia nel campo militare
che in quello civile stanno portando a forti progressi in questo ambito, anche
in Italia.
È evidente tuttavia che l’efficacia di soluzioni autonome in contesti
operativi debba avanzare in parallelo con l’applicazione dell’intelligenza
artificiale, il machine learning e altre tecnologie emergenti e dirompenti
utili non soltanto in un’ottica di difesa. Il dominio underwater, infatti,
condivide molte caratteristiche con quello spaziale, a partire dall’ostilità
all’essere umano. Ma, come nello spazio, le attività in mare vedono in primo
piano sia le forze armate che operatori civili come i gestori dei gasdotti,
delle piattaforme di estrazione o degli scali commerciali. Ne consegue che
l’innovazione in questo campo non può prescindere da un approccio consono alla
vocazione duale di molte delle tecnologie necessarie per operare sottacqua.
In conclusione, i veicoli subacquei senza equipaggio si aggiungono ai
sottomarini, senza sostituirli, aumentando le capacità offensive e difensive in
un dominio sempre più strategico e conteso. Elio Calcagno, AffInt 29
Il ruolo del G7 nella cooperazione allo sviluppo
Lo scorso 21 maggio si è concluso il summit dei leader G7 a Hiroshima e la
maggior parte dell’attenzione mediatica sembra essersi concentrata sul dossier
Ucraina e sulla risposta coordinata nei confronti della Cina. Il G7 è però
anche un forum in cui i tradizionali donatori di Aiuto Pubblico allo Sviluppo
(APS) elaborano strategie congiunte per rafforzare la cooperazione con i paesi
in via di sviluppo o Global South di fronte a sfide esistenziali.
Come si è mosso a riguardo il G7 negli ultimi quattro anni? E quale ruolo
può avere nel prossimo futuro per ristabilire i rapporti con il Global South?
Questo il tema dell’incontro pubblico organizzato dall’Istituto Affari
Internazionali, in partnership con Focus 2030 e la Fondazione Compagnia di San
Paolo, il prossimo 29 maggio 2023, con la partecipazione dello Sherpa G7/G20
per il Governo, Amb. Luca Ferrari.
Cooperazione in era pandemica
Nel 2020, i lavori del G7 furono assorbiti dalla risposta economica e
sanitaria alla pandemia di Covid-19. Tuttavia, il tema dell’accesso universale
ai vaccini Covid-19 e le iniziative per gestire la nascente crisi del debito
sovrano emersero dai comunicati.
Questi temi furono approfonditi dalla presidenza inglese del 2021. Il
comunicato del summit di Carbis Bay reiterava la volontà di terminare la
pandemia il prima possibile, vaccinando il più ampio numero di persone il più
velocemente possibile. A questo scopo, il supporto all’Acceleratore ACT e a
COVAX era cruciale, assieme alla necessità di aumentare la capacità produttiva
per vaccini e trattamenti sanitari fuori dai paesi G7.
Oltre alla salute, il tema del debito e delle risorse finanziarie per la
ripresa delle economie più povere fu affrontato con più dettagli rispetto al
2020. Fu rinnovato l’impegno ad utilizzare il Common Framework for Debt
Treatments e fu richiesta maggiore trasparenza nei dati. In aggiunta, i paesi
G7 chiesero alle Banche Multilaterali di Sviluppo (BMS) di sondare ogni opzione
per fornire risorse addizionali al Global South; e supportarono la nuova
emissione di Special Drawing Rights (SDRs) da parte del Fondo Monetario
Internazionale per supportare vaccinazioni e ripresa sostenibile, specialmente
nel continente africano. A sostegno della ripresa, i paesi G7 lanciarono la
propria iniziativa di sviluppo infrastrutturale, Build Back Better World
(B3W).
Il G7 a presidenza tedesca del 2022 fu invece marcato dalla guerra di
aggressione russa contro l’Ucraina. I ministri per la cooperazione allo
sviluppo rilasciarono una dichiarazione sull’impatto della guerra nei paesi del
Global South, evidenziando le ricadute negative sulla sicurezza alimentare e le
iniziative lanciate per contrastarle, come la Global Alliance for Food
Security.
La lotta al cambiamento climatico ebbe inoltre una posizione di rilievo nel
comunicato dei leader, che si impegnarono a fornire quantità maggiori di
finanza per l’adattamento, per il rischio di disastri naturali, e per le
transizioni verdi – queste ultime supportate tramite partenariati ad hoc (Just
Energy Transition Partnerships). La sostenibilità fu riaffermata come principio
anche della nuova iniziativa infrastrutturale, la Partnership for Global
Infrastructure and Investment (PGII).
In ambito finanziario, il supporto alla Debt Service Suspension Initiative
e al Common Framework fu rinnovato con maggiore urgenza, visto il deteriorarsi
della crisi del debito sovrano nei paesi in via di sviluppo, e alcuni creditori
furono chiamati a contribuire più costruttivamente alla risoluzione della
crisi. Sulla linea del 2022, i leader G7 chiesero nuovamente di allocare i
nuovi SDRs a supporto della ripresa dei paesi in via di sviluppo, assieme a una
revisione dei meccanismi delle BMS per aumentare la capacità di sostegno
finanziario.
In maniera simile, furono rinnovati gli impegni del 2021 in tema di salute
globale, ponendo maggiore attenzione però al legame tra finanza e salute e alla
capacità produttiva locale.
Il summit 2023
Gli impegni del 2022 sono stati generalmente riaffermati al vertice di
Hiroshima del 2023. I leader del G7 hanno preso atto delle molteplici crisi che
stanno colpendo particolarmente i paesi a basso reddito, e hanno reiterato la
volontà di mobilitare le risorse necessarie per aiutarli nella ripresa. Queste
risorse comprendono finanza per lo sviluppo in generale – APS incluso – ma
anche finanza per il clima, Just Energy Transition Partnerships e investimenti
infrastrutturali tramite PGII. Attenzione è stata data anche alla sicurezza
alimentare, con un piano d’azione per aumentarne la resilienza.
I temi finanziari sono stati discussi sia in relazione alla struttura per
la salute globale e preparazione alle pandemie, sia in connessione con la
finanza per il clima come forma di ristrutturazione del debito sovrano. In
merito alla crisi del debito, i leader G7 hanno reiterato la necessità e
l’impegno a risolvere le crisi del debito sovrano tramite le iniziative
esistenti. Si sono anche espressi in favore della riforma delle BMS, in linea
con l’agenda della presidenza indiana del G20.
La presidenza giapponese prevede ulteriori incontri ministeriali nei
prossimi mesi – la G7 Africa Roundtable di ottobre, ad esempio, discuterà di
come rafforzare gli investimenti privati verso il continente. La presidenza
italiana del 2024, tuttavia, si avvicina. Quali prospettive per il G7 italiano
e la cooperazione con il Global South? Il 29 maggio alcune risposte iniziali.
Irene Paviotti, AffInt 25
Prigozhin, Wagner e la possibilità di una “guerra di tutti contro tutti”
Il plot più avvincente di questi giorni, per chi segue le vicende intorno al
Cremlino, è la sorte di Evgeny Prigozhin, più precisamente l’osservazione di
quella spada di Damocle invisibile che sembra oscillare sopra la sua testa. Il
capo del gruppo Wagner ha superato tutte le “red lines” possibili e
immaginabili della politica russa: ha minacciato di abbandonare il campo di
battaglia a Bakhmut, insultato il ministro della Difesa Sergey Shoigu e il capo
dello Stato Maggiore Valery Gerasimov, incitato i soldati russi a ribellarsi ai
loro comandanti inetti e infine ha preso in giro nel suo stile volgare e
irriverente il “nonno felice” che potrebbe rivelarsi “un completo stronzo”. Di
nonno, nel gergo politico informale russo, ce n’è uno solo, e da quando
Prigozhin se ne è uscito con questa metafora, utilizzata finora in pubblico soltanto
da Alexey Navalny e dai suoi sostenitori, molti hanno trattenuto il fiato in
attesa dell’imminente fine di un uomo che dal sicario più fedele del regime
putiniano sembrava essersi trasformato nel suo critico più violento.
Un triplo gioco al Cremlino?
Un ammutinamento, almeno a livello verbale, talmente inusuale nel sistema
putiniano, da aver fatto nascere le ipotesi più stravaganti, incluso il “leak”
pubblicato dal Washington Post, secondo il quale il capo dei Wagner avrebbe
offerto all’intelligence ucraina le coordinate delle posizioni delle truppe
russe. Se vero, potrebbe essere il sintomo di una disperazione estrema di un
uomo che si è infilato in un gioco più grande di lui: ansioso di portare al
Cremlino la vittoria a Bakhmut, si è fatto incastrare dai generali, molto più
esperti di lui nei giochi di potere, perdendo sia la maggior parte del suo
esercito semiprivato che il potere che ne derivava.
Se falso, spiegherebbe perché Prigozhin non è ancora stato fulminato
dall’ira di Putin: in realtà, la sua “ribellione” sarebbe in questo caso un
depistaggio concordato con il Cremlino, una trappola per convincere gli ucraini
che la faida nei vertici moscoviti è ormai talmente profonda da permettere di
attaccare le truppe russe, esauste, disorganizzate e demotivate. Senza contare
la possibilità che il “leak” sull’ipotetico tradimento del capo dei Wagner
fosse stato in realtà opera degli stessi generali russi per screditare l’uomo
che, con il suo esercito di mercenari e galeotti, rischiava di portare a Putin
la tanto agognata conquista di Bakhmut.
Le reazioni dell’opinione pubblica
Le ipotesi di un triplo gioco però non tengono conto dell’impatto
devastante che le esternazioni di Prigozhin hanno avuto sull’opinione pubblica
russa e internazionale. Il padre della “fabbrica dei troll” non è nuovo alle
operazioni di disinformazione, e le sue rivendicazioni di conquista di Bakhmut
sono state fatte ormai talmente tante volte da non risultare credibili. Ma le
sue denunce di “reparti di parà in fuga” e di “ucraini che ci sgretolano ai
fianchi” sembrano venire confermate anche da fonti indipendenti, e la violenza
delle sue accuse ai vertici militari russi, accompagnata da montagne di
cadaveri di soldati, distrugge con la sua estetica macabra il trionfalismo
della propaganda ufficiale. Il vero “tradimento” di Prigozhin, al di là dei
suoi giochi sempre più azzardati con Shoigu e Gerasimov, è proprio quello di
aver svelato il segreto che tutti sapevano, ma nessuno aveva il coraggio di
ammettere: la Russia non sta vincendo la guerra e non riesce a vincere nemmeno
una battaglia.
In Russia, oggi, si viene arrestati per molto meno. Ma chi liquida
Prigozhin soltanto come una marionetta che vuole spezzare i fili che la levano
al Gru, lo spionaggio militare russo cui spesso viene collegata la nascita dei
Wagner, si dimenticano dell’altro mestiere del “cuoco di Putin”, che da
ristoratore pietroburghese con trascorsi criminali è diventato un peso massimo
della politica russa grazie all’uso spregiudicato dei media e in particolare
della rete. Prigozhin è il primo esponente della nomenclatura del regime a non
rivolgersi soltanto a Putin, da due decenni motore, arbitro e pubblico di ogni
iniziativa.
Parla all’opinione pubblica, e il proliferare di sondaggi sui social sulle
sue prospettive alle presidenziali del 2024, le vendite del merchandising dei
Wagner, e l’attenzione quasi spasmodica dei media internazionali per ogni sua
esternazione, dimostrano che almeno l’operazione mediatica gli è riuscita
benissimo: il “cuoco di Putin” ha acquisito una popolarità in proprio,
conquistando quell’elettorato – valutato tra il 15 e il 25% circa – di
ultranazionalisti militaristi che si sentono delusi da Putin. L’estetica pulp
di Prigozhin, che si mostra tra i cadaveri al fronte mentre lancia insulti ai generali,
appare a questo segmento come molto più autentica del sempre più artefatto e
distante presidente. Arrestare o uccidere Prigozhin potrebbe in questo momento
squilibrare la tenuta già fragile del comando russo, proprio alla vigilia della
controffensiva ucraina.
Wagner e le debolezze dell’esercito regolare
Controffensiva sui cui esiti disastrosi per i russi peraltro Prigozhin
dichiara di avere pochi dubbi. E questa potrebbe essere un’altra spiegazione
del perché il Golem si è ribellato al suo creatore. Il modello Wagner – un
esercito di fatto privato che però beneficia della protezione e delle forniture
privilegiate del ministero della Difesa – viene ora copiato non solo dai
pretoriani del leader ceceno Ramadan Kadyrov, ma da tanti altri. Singole regioni
ed enti – tra cui Gazprom, il consorzio statale del metano – si stanno facendo
i propri gruppi di contractor, e anche il ministero della Difesa sta arruolando
mercenari nelle carceri russe, rubando il brevetto a Prigozhin. Difficile che
questa corsa sia finalizzata a intestarsi un pezzo di vittoria in Ucraina,
soprattutto alla luce delle carenze logistiche sempre più evidenti dell’ente di
Shoigu.
L’esercito regolare semplicemente non possiede abbastanza risorse da
distribuire tra gli eserciti privati, nessuno dei quali riuscirà a conseguire
quella vittoria che perfino il più consolidato, attrezzato e numeroso di queste
armate (la Wagner appunto) non è riuscito a ottenere. L’unico motivo plausibile
per l’improvvisa concorrenza di strat-up di eserciti privati, degna di un
failed state spartito tra clan rivali, è la consapevolezza dell’imminente
crisi, sul fronte come a Mosca. Prigozhin e i suoi concorrenti non si stanno
contendendo la vittoria con i favori che ne conseguono: si stanno attrezzando
per la guerra di tutti contro tutti che potrebbe scaturire da una sconfitta.
Anna Zafesova, AffInt 23
Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina
Vi è da chiedersi se, nel decidere l’aggressione dell’Ucraina, Putin avesse
tenuto conto, al di là delle tragiche conseguenze militari e umanitarie, delle
possibili ripercussioni globali della sua azione. Ad esempio se egli avesse
immaginato che due paesi neutrali come la Finlandia e la Svezia avrebbero
chiesto di aderire all’Alleanza Atlantica. La Finlandia è ora ammessa, lo sarà
probabilmente anche la Svezia e ciò cambierà il rapporto di forze in Europa
decisamente a sfavore della Russia.
Certo il presidente russo non poteva prevedere che egli stesso sarebbe
divenuto l’oggetto di un mandato di arresto da parte della Corte Penale
Internazionale, il che lo costringerà a limitare i suoi viaggi all’estero. È
già umiliante per la Russia che il Sudafrica, paese ospitante del prossimo
vertice BRICS, abbia pensato di revocare la propria adesione alla Corte per
permettere la partecipazione all’evento del proprio rappresentante.
È noto che la violazione del divieto della “minaccia o uso della forza
contro l’integrità territoriale degli Stati” sancito dalla Carta dell’Onu,
costituisce una delle poche circostanze in cui è prevista l’espulsione di uno
stato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nessuno ha finora invocato tale
clausola nella crisi attuale, ma non si può escludere che ciò possa
avvenire.
La questione della difesa nucleare
Una delle lezioni che si trae dall’intervento russo è la triste e crescente
realtà che gli stati sprovvisti dell’arma nucleare o di un “ombrello nucleare”
non riescono da soli a salvaguardare la propria integrità territoriale ed
indipendenza politica e che neppure gli organismi internazionali a ciò preposti
possono proteggerli. Ciò succede in particolare quando, come nel caso
dell’Ucraina, la violazione avviene da parte di uno dei cinque membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza: in tal caso questi ultimi si trovano
nella situazione assurda di essere al tempo stesso imputati e giudici di
se stessi, con in più il diritto di veto. Il principio stesso dell’egemonia di
questi cinque stati in seno all’ONU potrebbe essere rimesso in
questione.
Ancora più preoccupante è il pericolo che, a seguito del caso Ucraina,
altri paesi seguano l’esempio della Corea del Nord che nel 2002 si ritirò
dal Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP) dotandosi poi essa stessa
dell’arma nucleare. Si realizzerebbe così, a sessanta anni dal suo assassinio,
l'”incubo nucleare” paventato dal presidente Kennedy: quello di un mondo in cui
decine di paesi sarebbero in possesso dell’arma atomica. Più è alto il numero
di tali paesi e maggiore è il rischio che tale arma venga impiegata.
Questa serie di sconvolgenti conseguenze appare essere contraria agli
interessi di tutti, in primo luogo agli interessi della stessa Russia. Carlo
Trezza, AffInt 18
Elezioni europee: si vota dal 6 al 9 giugno 2024
BRUXELLES - Europei al voto nel 2024: ieri gli ambasciatori dell'Ue hanno
annunciato che le prossime elezioni del Parlamento europeo si terranno dal 6 al
9 giugno 2024.
“L'Unione europea non è perfetta, è in costante evoluzione. Il mondo cambia
e noi dobbiamo tenere il passo. Abbiamo anche bisogno di riforme. Non dobbiamo
temere i cambiamenti, ma accoglierli e continuare a restare in ascolto, a dare
chiarimenti e a mantenere gli impegni”, le parole della presidente del
Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Alle prossime elezioni europee, non
restate a guardare. Partecipate al più grande esercizio democratico d'Europa.
Non lasciate che qualcun altro scelga per voi. Votate”.
COME VOTANO GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Alle elezioni europee, gli italiani residenti – stabilmente o
temporaneamente – in uno dei Paesi dell’Unione possono votare all’estero, i
residenti nei paesi extra Ue, invece, per esercitare il loro diritto devono
tornare in Italia.
Le modalità di voto per i residenti nei paesi Ue sono descritte nel
Decreto-legge 408/1994, che stabilisce che possono votare all’estero per
l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo i cittadini
italiani residenti in uno Stato dell’Unione europea e regolarmente iscritti
all’AIRE; i cittadini italiani ed i familiari con essi conviventi che si
trovano temporaneamente nei Paesi UE per motivi di studio o di lavoro,
presentando – entro i termini di legge – apposita domanda al Sindaco del Comune
italiano nelle cui liste elettorali sono iscritti.
Contrariamente alle elezioni politiche – dove il voto dall’estero si
esercita per corrispondenza – alle elezioni europee si vota nei seggi
appositamente istituiti dagli Uffici consolari.
L’elettore riceve a casa da parte del Ministero dell’Interno italiano il
certificato elettorale, con l’indicazione del seggio presso il quale votare,
della data e dell’orario delle votazioni.
Qualora l’elettore non riceva il certificato elettorale entro il 5° giorno
antecedente quello delle votazioni, potrà contattare l’Ufficio consolare competente
per verificare la propria posizione elettorale e richiedere il certificato
sostitutivo per l’ammissione al voto.
L’elettore italiano residente all’estero o temporaneamente in un Paese
dell’UE per motivi di studio o lavoro (che abbia presentato domanda di voto
all’estero nei termini previsti), se rientra in Italia, può votare presso il
proprio Comune di iscrizione elettorale: in tal caso deve farne esplicita
richiesta, entro il giorno precedente quello della votazione, al Sindaco del
suddetto Comune.
L’elettore italiano residente all’estero può anche optare per il voto per i
candidati del Paese in cui risiede; in tal caso voterà presso i seggi istituiti
dalle Autorità del Paese di residenza estera.
Ovviamente è vietato il doppio voto: se si vota a favore di un candidato
italiano non si potrà esprimere il voto anche per il candidato locale e
viceversa. (aise 18)
Ita Airways batte bandiera tedesca. Contratto alla firma: a Lufthansa il
40%
In queste ore verrà formalizzata l'intesa dopo quasi 5 mesi di trattativa
in esclusiva. Nelle casse del Tesoro oltre 320 milioni. I rapporti tra il socio
pubblico e il compratore regolati da un testo separato. Che cosa cambia per
utenti e dipendenti – di Aldo Fontanarosa
ROMA - Ita Airways si prepara a battere anche bandiera tedesca. In queste
ore, il nostro ministero dell'Economia - finora proprietario della compagnia
aerea nazionale al 100% - ne cede una quota di minoranza a Lufthansa,
attraverso un contratto preliminare di compraventita. L'annuncio, probabilmente,
già domani.
Ad oggi il compratore Lufthansa ne rileverà solo il 40 percento (grazie a
un aumento di captale riservato). Ma l'obiettivo è arrivare alla totalità delle
azioni entro due anni, come previsto da un meccanismo di opzioni. Sembra
escluso che lo Stato italiano possa conservare una quota minimale in
prospettiva.
I rapporti tra i due azionisti (Lufthansa al momento ferma al 40 percento e
il ministero dell'Economia, al 60) saranno regolati da uno Shareholders’
agreement (Sha). Questi patti parasociali assegnano la gestione operativa di
Ita Airways ai tedeschi, anche se soci solo di minoranza.
Verso un nuovo Cda
Il Consiglio di amministrazione di Ita - che sarebbe dovuto decadere già il
30 marzo 2023 con l'approvazione del bilancio annuale per il 2022 - si prepara
a uscire di scena.
L'ad Fabio Lazzerini lascerà la cloche a un manager di assoluta fiducia del
nuovo socio tedesco. Invece il presidente andrà al governo italiano, almeno
fino a quando il ministero dell'Economia conserverà la maggioranza delle azioni
(il 60%).
Concessioni sulla valutazione
Ora, il contratto preliminare di compravendita dovrà superare l'esame di tre
soggetti istituzionali. La nostra Corte dei conti valuterà la congruità del
prezzo che i tedeschi pagano.
A proposito del prezzo, è su questo punto che i tedeschi hanno fatto delle
concessioni. Se fino a un mese fa Lufthansa ha provato a comprare il 40% di Ita
per 250 milioni, adesso la cifra versata si aggira intorno ai 325 milioni di
euro.
Al tavolo del negoziato, il governo e il gruppo tedesco hanno concordato
sul percorso che può condurre all'utile la compagnia italiana, nata dalle
ceneri di Alitalia. Nessun miracolo. Lufthansa però vuole lavorare da subito
per un ritorno all'utile in tempi ragionevoli. LR 24
Più che Ita, Lufthansa: i tedeschi con 300 milioni si prendono il 40% della
società
Il vettore sottoscriverà un aumento di capitale riservato per rilevare il
40%. I nuovi soci chiedono garanzie per evitare eventuali contenziosi legali
futuri - Giuliano Balestreri
Per il matrimonio di Ita Airways e Lufthansa è questione di ore. Domani o
venerdì, al più tardi, il ministero dell'Economia annuncerà l'ingresso del
vettore tedesco nel capitale dell'ex Alitalia. Un'operazione che chiuderà
definitivamente la fase di start up e avvierà il processo d'uscita dello Stato
dalla compagnia aerea. Un passaggio travagliato e sofferto. Prima il governo
Draghi ha concesso - a settembre 2022 - l'esclusiva al fondo americano
Certares, poi il governo Meloni, appena insediato, ha lasciato cadere i termini
dell'offerta riaprendo la strada alla cordata Msc-Lufthansa che però, nel
frattempo, aveva perso l'appoggio della famiglia Aponte lasciando i tedeschi da
soli a trattare con il Tesoro. Un negoziato non semplice che ha chiesto più
tempo del previsto: da metà aprile si è arrivati a fine maggio. Un'estensione
dovuta ad aspetti legali e alla valutazione di Ita.
Se è vero che il valore della compagnia tricolore è sceso molto rispetto al
miliardo e duecento milioni di inizio 2022 è altrettanto vero che i numeri dei
primi mesi di quest'anno, insieme alle prospettive per l'estate, sono migliori
delle attese. Abbastanza perché l'esecutivo chiedesse un rilancio della
proposta economica. L'intesa è stata raggiunta su una valorizzazione che
oscilla tra 750 e 800 milioni di euro, più dei 600 milioni ipotizzati a inizio
anno. L'ingresso nel capitale avverrà attraverso un aumento di capitale
riservato: versando tra i 300 e i 320 milioni di euro, quindi, Lufthansa salirà
al 40% del capitale di Ita.
E se sul fronte della valutazione economica i tedeschi hanno accolto la
richiesta italiana, su quello legale sono stati irremovibili chiedendo una
serie di garanzie che tutelino i nuovi azionisti di fronte a eventuali vertenze
future. In particolare temono il rischio - remoto - che possa essere
riconosciuta una qualche continuità con la vecchia Alitalia e che possano
emergere contenziosi non previsti. Un pericolo dal quale Ita si proteggerà
sottoscrivendo una polizza assicurativa ad hoc. Inoltre, anche sulla
valutazione della compagnia, pesano alcune incognite. Come a dire che Lufthansa
vuole mettersi al riparo da ogni rischio. Dopo la firma del contratto passerà
qualche mese prima del closing, mentre per la salita al 51% di Lufthansa
bisognerà aspettare il ritorno all'utile della compagnia, entro un paio d'anni:
il Mef, invece, uscirà definitivamente dal capitale entro cinque anni. Intanto,
i numeri iniziano a dare ragione all'azienda guidata dall'ad Fabio Lazzerini:
nel primo trimestre del 2023, la compagnia è tornata a generare cassa. Non
abbastanza per raggiungere il pareggio già a fine anno, ma un segnale positivo.
Inoltre, i ricavi sono ammontati a 345 milioni di euro, l'1,5% in più rispetto
alle stime precedenti, con una previsione di 2,5 miliardi per la fine
dell'anno, 2,2 dei quali dai passeggeri. LS 24
ROMA- Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti e il
Ceo di Deutsche Lufthansa Carsten Spohr si sono incontrati nei giorni scorsi al
MEF per confermare la conclusione dell’accordo di investimento di Lufthansa in
Ita Airways per rilevarne una quota di minoranza dopo aver già condiviso un
piano industriale della compagnia che prevede una crescita di ricavi di 2,5
miliardi di euro attesi per quest’anno e 4,1 miliardi di euro previsti nel
2027. Presente all’incontro anche il presidente di Ita, Antonino Turicchi. Dopo
la firma, l’accordo sarà sottoposto al vaglio della Corte dei Conti e
notificato alla direzione generale concorrenza della Commissione europea. La
strategia di sviluppo di Ita Airways continuerà a essere condivisa tra i due
azionisti (MEF e Lufthansa). Questi risultati consentiranno la crescita e il
rinnovo della flotta, che a fine 2027 conterà su 94 aeromobili rispetto ai 71
attuali, con un’età media di cinque anni, e garantirà l’ottimizzazione dei
consumi e dell’impatto ambientale. L’organico, per il quale è prevista
quest’anno una crescita fino a 4.300 dipendenti per effetto delle 1.200
assunzioni in corso di finalizzazione, salirà a oltre 5.500 unità al termine
del Piano. La strategia di ITA Airways è di affermarsi come protagonista tra i
full service carrier nei tre settori intercontinentale, internazionale e
domestico, con un’attenzione particolare al traffico di lungo raggio. Questo
riposizionamento strategico permetterà inoltre di alimentare al meglio il
traffico dell’hub di Roma Fiumicino, che andrà così a inserirsi con un ruolo
centrale nel modello multi-hub del Gruppo Lufthansa. ITA Airways continuerà ad
essere la Compagnia di riferimento del Paese e a rappresentare orgogliosamente l’Italia
in tutto il mondo, garantendo collegamenti all’interno del Paese e con il resto
del mondo, a supporto dello sviluppo dei flussi turistici e di business.
Carsten Spohr, amministratore delegato di Deutsche Lufthansa, afferma:
“L’accordo di oggi porterà a una situazione vantaggiosa per l’Italia, ITA
Airways e Lufthansa Group. È una buona notizia per i consumatori italiani e per
l’Europa, perché una ITA più forte rafforzerà la concorrenza nel mercato
italiano. Come giovane compagnia, con una flotta moderna e con un suo hub
efficiente e in espansione a Roma, ITA è la soluzione perfetta per il Gruppo
Lufthansa. A Milano, ITA copre un ampio bacino di utenza che offre anche
potenzialità di crescita. Come parte della famiglia del Gruppo Lufthansa, ITA
può trasformarsi in una compagnia aerea sostenibile e redditizia, collegando
l’Italia con l’Europa e il mondo. Allo stesso tempo, questo investimento ci
consentirà di continuare la nostra crescita in uno dei nostri mercati più
importanti”. Il Ministro Giorgetti dichiara: “Oggi si chiude un percorso che ha
contraddistinto la storia della compagnia di bandiera nazionale con la
prospettiva di integrazione con un importante vettore europeo. Con questo
governo si scioglie oggi un nodo che da trent’anni condiziona il mercato del
trasporto aereo in Italia. Siamo convinti che questa decisione permetterà al
mercato aereo di svilupparsi nell’interesse dell’Italia”. (Inform/dip 29)
Monaco di Baviera – L’ambasciatore d’Italia in Germania Armando
Varricchio è stato in visita a Monaco di Baviera, dove si svolge in questi
giorni la “Transport Logistic Fair”, evento di primo livello internazionale in
tema di logistica, mobilità, IT e gestione delle catene di approvvigionamento.
Il sistema Italia garantisce all’appuntamento una presenza robusta, che conta
su 158 espositori e sullo stand istituzionale di ICE, realizzato in
collaborazione con Assotrasporti in rappresentanza di 16 autorità portuali.
Importante anche la presenza istituzionale dall’Italia, che vede partecipare
alla fiera il viceministro delle Infrastrutture e della Mobilità Edoardo
Rixi, il presidente della regione Friuli-Venezia Giulia Massimiliano
Fedriga, il sindaco di Genova Marco Bucci e l’assessore a mobilità e
trasporti, infrastrutture, turismo, commercio della Regione
Emilia-Romagna Andrea Corsini.
L’ambasciatore Varricchio, che in questa occasione ha incontrato il vice
ministro Rixi, ha partecipato alla conferenza “From Italy to Germany and
back again: How we can make our joint supply chains more sustainable and safer
in the future”, organizzato dalla Camera di commercio italo-tedesca ITALCAM con
la partecipazione dei Presidenti delle autorità portuali di Trieste, Genova e
Venezia. Nell’incontro si sono affrontati i cambiamenti in corso nel mondo
della logistica e delle catene di approvvigionamento, in relazione a nuove
sfide e opportunità per il trasporto di merci. Un fenomeno che riguarda da
vicino anche le connessioni tra Italia e Germania, con nuove possibilità di
sviluppo dei collegamenti intermodali e il crescente ruolo delle piattaforme
logistiche distribuite nel Nord Italia.
Per Varricchio la globalizzazione sta vivendo in questi anni una profonda
trasformazione, con un impatto sempre maggiore degli eventi geopolitici
nell’andamento delle dinamiche globali. I governi e il settore privato – ha
rilevato – “devono adattare le loro strategie a un contesto globale
caratterizzato da trasformazioni radicali e non sempre predicibili:
‘friendshoring’, ‘nearshoring’, politiche economiche basate sulla
diversificazione e sul ‘de-risking’ sono ormai elementi essenziali della
pianificazione economica”. In questo contesto per l’Ambasciatore una più stretta
collaborazione tra i paesi europei e in particolare tra Italia e Germania,
anche nel settore logistico e portuale, è di fondamentale importanza: “il
comparto portuale italiano si è posto obiettivi ambiziosi anche di
sostenibilità, i porti italiani potrebbero in futuro
diventare hub per il trasporto di idrogeno verde verso la Germania –
ha detto Varricchio. (Inform/dip 15)
Riunito a Wolfsburg l’Intercomites Germania
L’Intercomites Germania si è riunito a Wolfsburg sabato 13 e domenica 14
maggio scorsi. I temi principali affrontati nella prima giornata di lavoro sono
stati il forte taglio dei finanziamenti ai Comites per l’anno 2023 e la
situazione dei servizi consolari con particolare riferimento ai tempi d’attesa
per ottenere un appuntamento per il rinnovo dei documenti (passaporto e carta
d’identità elettronica) che continuano a rimanere ancora troppo lunghi, come
confermato da molti presidenti Comites.
La precaria situazione finanziaria in cui i Comites versano, in seguito al
taglio del 25% rispetto a quanto stanziato nel 2022 dei finanziamenti relativi
al Cap. 3103, ha imposto una riflessione sul ruolo stesso di questi comitati,
sostenuti - occorre ricordarlo - dall'impegno a titolo gratuito delle
consigliere e dei consiglieri eletti. Senza un’integrazione finanziaria molti
Comites si vedranno costretti a sospendere le attività e chiudere le proprie
sedi. La maggioranza dei presidenti ha pertanto confermato la decisione di
presentare la domanda di finanziamento integrativo al MAECI confidando che il
Ministero possa riuscire a trovare le risorse finanziarie necessarie per la
copertura delle richieste.
Per quanto riguarda i servizi consolari è stato ricordato dai consiglieri
del CGIE come la rete consolare italiana in Germania sia stata tra le più
colpite dall’ondata di chiusure dopo il 2010, con la soppressione dei Consolati
di Amburgo, Norimberga, Saarbrücken e dell’Agenzia Consolare di Mannheim. Solo
nel 2021 è stato riaperto lo Sportello Consolare a Saarbrücken con 2 impiegati
a contratto: una formula ripetibile in ogni altro centro, già sede di
Consolato, se a costo zero. Il “modello Saarbrücken” prevede l’apertura di
unità distaccate (sportelli consolari) con poche unità di personale (2-3
persone) in locali gratuiti e messi a disposizione dalle autorità locali. I
compiti affidati agli Sportelli Consolari comprendono i servizi che richiedono
la presenza fisica dell’utente (prelievo dati biometrici per passaporto e CIE,
autentiche di firma, certificazione esistenza in vita e quant’altro). Possibili
vantaggi di questa soluzione sono l’accorciamento delle distanze verso le sedi
consolari centrali, l’aumento delle disponibilità di appuntamenti e la
decentralizzazione dei servizi con il conseguente alleggerimento del lavoro per
le sedi consolari. Ai responsabili del MAECI e al sottosegretario Silli viene
richiesta la valutazione di una celere riapertura degli sportelli consolari in
quei centri dove erano già operativi regolari Consolati poi soppressi: Amburgo,
Mannheim e Norimberga.
Tutte queste riflessioni e proposte sono state comunicate al direttore
generale della DGIT, Luigi Maria Vignali, che ha partecipato all’assemblea
nella prima giornata, potendo così interloquire con i presidenti dei Comites e
i rappresentanti del CGIE in modo diretto. Un’importante occasione di confronto
tra le rappresentanze delle comunità italiane in Germania e i vertici del
Ministero che ha visto il direttore Vignali favorevole alla riapertura degli
sportelli consolari indicati se si riuscirà effettivamente a farlo a costo
zero.
Per quanto concerne l’assistenza ai connazionali bisogna tenere in
considerazione che in Germania ogni realtà ha sue specificità dovute al tipo di
migrazione e di integrazione, perciò anche le esigenze sono differenti. I
Comites, pur nelle ristrettezze economiche in cui si ritrovano attualmente,
continuano a essere un punto di riferimento per l’associazionismo e un
interlocutore per tutti coloro che necessitano di informazioni e di un primo
orientamento. Cercare una maggiore integrazione con le realtà tedesche, in
particolare con le istituzioni e i gruppi associativi, diventa sempre più
importante. Numerose sono state le proposte per aumentare la visibilità dei
comitati: per esempio il creare partenariati tra enti locali e associazioni
italiane e tedesche e rivedere uno strumento come la guida “Primi passi in
Germania”, che andrebbe aggiornata e resa fruibile anche online e fatta
circolare il più possibile per contrastare il fenomeno della disinformazione
che, soprattutto nei gruppi social, ma anche nelle reti informali, è
particolarmente diffusa.
La complessità della realtà delle italiane e degli italiani in Germania
impone una cooperazione più forte tra i Comites, il CGIE e la rete
diplomatico-consolare con lo scopo di dare corpo a progetti comuni.
L’Intercomites si è interrogato anche sul contributo che può essere dato
allo sviluppo di una "cittadinanza attiva", all’acquisizione, cioè,
di maggiore consapevolezza circa il nostro essere cittadine e cittadini
italiani all’estero, nonché sul tema della doppia-cittadinanza e
sull’importanza di una presenza italiana anche nel mondo politico tedesco.
Wolfsburg, con la sua esperienza, ha fatto da cornice a questa discussione. La presenza
di connazionali eletti nei livelli amministrativi distrettuali o comunali, nei
consigli di fabbrica e nel sindacato esprime bene la necessità di un maggiore
coinvolgimento nella vita sociale e politica della comunità locale.
Al termine della riunione sono state proposte dai consiglieri del CGIE
delle azioni pubbliche di protesta in relazione alla situazione dei servizi
consolari in Germania. La prima proposta è la pubblicazione di un appello al
presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affinché voglia
intervenire a salvaguardia dei diritti civili dei connazionali in Germania, i
quali, con tempi di attesa per il rilascio di un documento di viaggio e
d’identità che arrivano anche a quasi un anno, si vedono lesi nei loro diritti.
La seconda proposta è l’indizione di pubbliche assemblee e dimostrazioni
autorizzate, davanti all’Ambasciata d’Italia a Berlino e ai Consolati, con il
coinvolgimento della stampa locale alla quale sarà denunciato il senso di
abbandono da parte dello Stato italiano percepito dalla comunità italiana in
Germania. I presidenti, con alcune perplessità, hanno accolto le proposte
previa consultazione, coinvolgimento e approvazione dei rispettivi Comites.
La due giorni dell’Intercomites a Wolfsburg ha rappresentato per i presidenti
Comites, i consiglieri del CGIE, le rappresentanze diplomatico-consolari, i
parlamentari eletti all'estero e il MAECI un ulteriore opportunità di confronto
e collaborazione.
Sulla base della decisione presa a Wolfsburg, la prossima riunione dell’Intercomites
si terrà a Friburgo dal 29 al 30 settembre 2023.
L’Intercomites Germania ringrazia il console generale di Hannover, David
Michelut, l’agente consolare di Wolfsburg, Fabio Dorigato, il direttivo della
IG Metall, nella persona di Christian Matzedda, i consiglieri, il tesoriere e
il presidente del Comites di Wolfsburg, Gianfranco Di Ruberto, per la
disponibilità e il contributo dato all’organizzazione della riunione.
Simonetta Del Favero, coordinatrice Intercomites Germania
Le ultime puntate di COSMO italiano, ex-radio Colonia
22.05.2023 I Verdi tedeschi in calo di popolarità. Crolla la popolarità dei
Verdi in Germania che perdono circa un terzo dei loro consensi dall'estate
scorsa. Tra scandali e scelte politiche poco convincenti, i motivi della crisi
ripercorsi da Cristina Giordano. Il commento dell’eurodeputata dei Verdi
Alexandra Geese: «da noi ci si aspetta coerenza». Un’italiana si fa strada tra
i Verdi tedeschi, Carlotta Rainoldi. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/crisi-verdi-germania-100.html
19.05.2023. Studenti in difficoltà per il caro affitti, anche in Germania
Studenti degli atenei di Milano e Roma dormono in tenda per protestare
contro gli affitti troppo alti. Sentiamo le loro ragioni da Marta Ghidòli,
presidente del Consiglio studentesco del Politecnico di Milano. Poi Vivien
Hagner dell'AStA, il Consiglio studentesco dell'Università di Colonia, ci
spiega la situazione per gli universitari in Germania. Infine Enzo Savignano fa
il punto sul mercato degli affitti in Germania: prezzi in aumento, misure per
frenarli e previsioni.
17.05.2023. La Germania ha un problema con l'alcol. Il consumo di alcolici
continua ad essere molto tollerato e accettato dalla società tedesca e si sta
diffondendo sempre di più tra giovani e giovanissimi, un problema che riguarda
anche l’Italia: tutti i dati e gli aggiornamenti sul tema alcol con Enzo
Savignano. Poi abbiamo riportato le testimonianze di personaggi del mondo dello
spettacolo tedesco sulla loro dipendenza dall’alcol. Infine Emanuele Scafato,
direttore dell’osservatorio alcol dell’ISS, ci spiega quanto gli alcolici siano
realmente nocivi per la salute. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/alcol-germania-consumo-problema-dipendenza-alcolismo-100.html
16.05.2023. C'è bisogno di un limite di velocità sulle autostrade tedesche?
È uno dei grandi dilemmi in Germania riguardo al tema della mobilità e dei
trasporti. Uno studio svedese-tedesco spiega quali vantaggi deriverebbero
dall’introduzione di un limite generalizzato di 130 km/h sulla rete
autostradale tedesca: il punto di Enzo Savignano. Con il giornalista di
Quattroruote, Emilio Deleidi, parliamo dei limiti di velocità in Italia. Infine
Axel Gruhler dell’associazione Stop-Tempo-130 ci spiega il suo no
all’introduzione dei limiti di velocità in Germania. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/limiti-autostrade-germania-100.html
15.05.2023. Accoglienza profughi: Bund e Länder in cerca di soluzioni
Il vertice sui profughi a Berlino dà il via libera a nuove risorse per
Länder e Comuni: il punto di Enzo Savignano. Ma non mancano le critiche ai
risultati del vertice Bund-Länder: ne abbiamo parlato con Karl Kropp di Pro
Asyl. Infine il caso Upahl: piccolo paesino del Meclemburgo-Pomerania che si è
ribellato alla realizzazione di un centro di accoglienza per profughi.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/rifugiati-vertice-100.html
12.05.2023. Italia e Germania all'Eurovision Song Contest
Costumi colorati, balli scatenati, tanto spettacolo e tanta musica:
l'Eurovision Song Contest (ESC) attira ogni anno quasi duecento milioni di
spettatori davanti al televisore. Quest'anno avrebbe dovuto aver luogo in
Ucraina, perché l'edizione dell'anno scorso a Torino è stata vinta dalla Kalush
Orchestra. A causa della guerra ancora in corso, tuttavia, la 67° edizione
dell'ESC ha invece luogo a Liverpool. Con Giulio Galoppo ripercorriamo le tappe
della storia di questa kermesse canora. Tom Petersen, redattore musicale di
WDR4, ci rivela chi sono i Lord of the Lost, la band tedesca che porta in
finale il brano "Blood & Glitter".
11.05.2023. Il futuro dei Comites con la metà dei fondi. Che cosa
significano i tagli di quasi il 50% dei fondi decisi dal governo per il lavoro
dei Comitati per gli italiani all’estero? i Comites riusciranno a funzionare lo
stesso, e come? Quali progetti erano stati programmati e quali potranno essere
portati a termine? Per rispondere a queste domande Agnese Franceschini ha
contattato alcuni presidenti dei Comites in Germania e ha chiesto loro di
raccontare la loro situazione attuale e futura. Ne parliamo anche con Simonetta
del Favero, presidente dell'Intercomites Germania e del Comites di Colonia.
Mentre Delfina Licata ci parla invece della presenza e della funzione dei
Comites sul territorio tedesco.
10.05.2023. Famiglie Arcobaleno in Italia e Germania. Il Parlamento europeo
ha recentemente condannato le decisioni del Governo Meloni di vietare la
trascrizione degli atti di nascita di bambini di coppie omosessuali. La
genitorialità di coppie omosessuali è da diversi anni protagonista suo malgrado
di una certa propaganda elettorale, il cui obiettivo è quello di
stigmatizzarla. Qual è la situazione in Germania? Ce ne parla Giulio Galoppo,
che di questi temi si occupa da tempo. Margherita Fiengo Pardi ha 21 anni, vive
a Milano e ha due mamme. A COSMO Italiano racconta cosa significano per lei e i
suoi fratelli i divieti del Governo Meloni. Di "gestazione per
altri", vietata anche in Germania, abbiamo poi parlato con Tobias Devooght
che, insieme al marito, vi è ricorso negli USA.
09.05.2023. Germania e Italia divise sul debito pubblico in UE
Le regole europee sul debito pubblico esistono di fatto solo sulla carta.
Sono pochi gli Stati che le rispettano. Non per niente la Commissione le ha
sospese quando è scoppiata la pandemia. Dalla fine di quest'anno, però,
torneranno in vigore. È quindi necessaria una riforma, presentata lo scorso 26
aprile. Ma qui le cose si complicano. Perché gli obiettivi che gli Stati membri
perseguono sono chiaramente divergenti. Come venirne a capo? Ce ne parla Giulio Galoppo. La sfida è
trovare parametri comuni che mettano d’accordo tutti, come sottolinea Beda
Romano, corrispondente da Bruxelles de Il Sole 24 Ore. Mentre Federico Fubini,
giornalista economico de Il Corriere della Sera, ci spiega quali conseguenze
può avere tale riforma sugli investimenti del Pnrr.
08.05.2023. Intelligenza artificiale: il dibattito sui rischi. Da settimane
ormai si discute molto di intelligenza artificiale (IA). Il dibattito sociale è
stato acceso dal lancio del software ChatGPT. L'IA è senza dubbio una delle
tecnologie più innovative e promettenti degli ultimi decenni e solleva proprio
per questo alcune preoccupazioni. Renderà superfluo il lavoro degli esseri
umani? Ce ne ha parlato Giulio Galoppo. In Italia, ChatGPT ha riaperto dopo che
il Garante per la protezione dei dati personali ne aveva ordinato il blocco lo
scorso 30 marzo. Cosa è cambiato? Ce lo rivela Luca Zorloni, giornalista della
rivista online Wired. Del mondo che si cela dietro all’IA parliamo, invece, con
un cosiddetto “Cleaner”.
Vivere in Germania Scopri il nostro formato video per rispondere alle
domande più frequenti degli italiani che vivono in Germania. O che stanno
pensando di trasferirsi. Guarda i video con Luciana Mella sulle cose più
importanti da sapere sull’AIRE, sull’assicurazione sanitaria - la Krankenkasse
-, sul sistema scolastico ma anche sul mondo del lavoro, su Hartz IV e altri
sussidi e sulla ricerca di una casa: https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/dossier-e-speciali/vivere-in-germania-100.html
Musica italiana non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti
offre due ore di musica non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra
pagina internet, sulla app di COSMO e su Spotify.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/channels/italia-channel-100.html
Ascolta COSMO italiano. Podcast:
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/index.html
Streaming e radio: https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/livestream-radio-colonia-100.html
Facebook 23https://www.facebook.com/cosmoitalienisch CI/De.it.press
All’IIC di Amburgo film e documentari su alcuni dei più importanti designer
italiani
AMBURGO – Nell’ambito del Festival dell’architettura di Amburgo, giunto
quest’anno alla sua X edizione, l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo, in
collaborazione con il Milano Design Film Festival, presenta film e documentari
dedicati ad alcuni dei più importanti designer italiani – da Angelo Mangiarotti
a Enzo Mari – e ai più interessanti progetti di architettura contemporanea. I
film in programma sono stati premiati all’ultima edizione del Milano Design
Film Festival.
Le proiezioni sono tutte in lingua italiana con i sottotitoli in inglese.
La partecipazione agli eventi è gratuita, previa iscrizione tramite il portale
Eventbrite.
Il primo film documentario è stato proiettato martedì 30 maggio alle ore
19. Si tratta di “Sinceramente, Gae” di Didi Gnocchi & Matteo Moneta ed è
dedicato all’architetto e designer italiana Gae Aulenti, che ha indirizzato il
suo lavoro in particolare ai temi dell’allestimento e del restauro
architettonico. Aulenti è considerata una dei migliori architetti della sua
generazione e ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del design
internazionale
Martedì 6 giugno 2023 alle ore 19 verrà proiettato invece il film
documentario “Alfabeto Mangiarotti” di Davide Maffei, che ripercorre il genio
di Mangiarotti, soffermandosi sulla sua capacità di creare e progettare, senza
mai perdere di vista l’artigianalità della creazione e della realizzazione
delle opere. Architetto, designer, scultore, urbanista e docente,
dall’interpretazione chiara ed essenziale, Mangiarotti è stato in grado di
eliminare il confine tra architettura e design. Mangiarotti è una delle figure
di spicco tra i designer e architetti che hanno lavorato a Milano.
Martedì 13 giugno 2023 alle ore 19 sarà la volta dei documentari
“Desertions, con Enzo Mari in America” realizzato da Giovanna Silvia in
collaborazione con Studio Mare, e “Palazzo Luce” di Alessandra Galletta.
“Desertions” nasce a partire dal viaggio intrapreso nel 2007 dal designer
Enzo Mari, imbarcatosi in un lungo itinerario attraverso i principali deserti
statunitensi assieme a Gianluigi Ricuperati e Giovanna Silva. Dalla California
al Nevada, da Los Angeles a Las Vegas, Enzo Mari affronta il deserto con
l’intento di collezionare i materiali che l’ambiente genera e offre per poi
trasformarli in veri e propri oggetti di design.
“Palazzo Luce” racconta l’insolita ristrutturazione di un palazzo nobiliare
a Lecce, Palazzo dei Conti, voluto da Anna Maria Enselmi come sede ideale della
sua importante collezione di design storico, e di opere di arte contemporanea
con progetti site-specific che hanno trasformato la dimora storica di Maria
D’Enghien, Regina consorte di Napoli dal 1407 al 1414, contessa di Lecce
(1367-1446), in un nuovo spazio espositivo di grande interesse. L’opera diventa
essa stessa un importante momento di riflessione sull’arte contemporanea, una
chiave di lettura delle dinamiche che sottendono le connessioni tra
collezionista, gallerista, artista, allestitore e architetto, fino all’opera
che vediamo esposta nello spazio, in questo caso, del palazzo stesso.
Ogni proiezione è introdotta dall’architetta Veronica Scortecci milanese,
che vive e lavora da parecchi anni ad Amburgo. (Inform/dip 30)
Kempten. La festa del Primo Maggio
Il 1° Maggio scorso – in occasione della Festa dei Lavoratori –
secondo la Confederazione dei Sindacati Tedeschi (DGB), 290.000 sono
state le persone che hanno preso parte – a livello federale – a manifestazioni,
da essi organizzate all'insegna del motto "UNGEBROCHEN
SOLIDARISCH" "COSTANTE SOLIDARIETÀ".
la Confederazione dei Sindacati ha raccomandato a tutti di rimanere uniti,
anche in questo tempo di crisi, evitando fatali divisioni di parte. Con questa
costante solidarietà si sono potuti ottenere e si otterranno: un freno ai
prezzi dell'energia, un salario minimo di 12 euro, un equo assegno sociale per
i più bisognosi, e migliori condizioni sul posto di lavoro, in cui dovrà venir
coinvolta maggiormente la voce dei dipendenti.
Si dovrà sperare in una progressiva e soddisfacente riuscita della transizione
climatica e in un potenziamento dell'utilizzo delle energie rinnovabili; in
modo da affrancarsi dalla dipendenza da fonti energetiche inquinanti o esterne.
Costante Solidarietà significherà pure un imprescindibile aumento
della tassazione dei patrimoni più ricchi. Si potrà sperare così – e con
più serenità – in un futuro pacifico e sicuro; con l'auspicio che cessi al più
presto la micidiale aggressione all'Ucraina da parte della Russia, a cui si
dovrà chiedere con decisione di ritirare le sue truppe, consentendo, in tal
modo, all'Ucraina di ripristinare la sua integrità territoriale.
I Sindacati hanno chiesto, inoltre, un disarmo controllato a livello
mondiale, il controllo degli armamenti e la realizzazione della pace e della
libertà nello spirito della comprensione internazionale.
Molte di queste intenzioni dichiarate in campo federale sono state
espresse alla manifestazione di Kempten (Allgäu), in occasione della Festa dei
Lavoratori del 2023, che, – iniziata alle ore 10:00 e durata sino al primo
pomeriggio – si è svolta nella Markthalle, nella Königspklatz. Si sono
succeduti sul palco, tra gli altri: il Presidente Distrettuale della
Federazione dei Sindacati, DGB, Ludwin Debong, che ha aperto l'incontro,
ribadendo, tra l'altro, quanto richiesto – da sempre – dai Sindacati: Non
interrompere la solidarietà evitando le divisione di parte.
Subito dopo Luise Klemens, della Direzione Distrettuale dei Ver-di, nel suo
lungo e articolato intervento, ha infiammato, poi, il pubblico, facendo
diverse considerazioni, tra cui quella sull'invasione dell'Ucraina e,
soprattutto, sul ruolo che la Germania e il popolo tedesco devono assumere in
questo pericolosissimo coinvolgimento internazionale. Ma
soprattutto sull'attuale condizione dei lavoratori, dei pensionati
(ricordando loro le attuali consultazioni elettorali); dei cittadini, dei
giovani, soffermandosi sugli ultimi scioperi. In un periodo reso ancora più
difficile anche a causa del vertiginoso aumento del costo della vita. Un
discorso – frequentemente – interrotto da scroscianti
applausi a motivo degli scottanti argomenti trattati; tra cui il ricordo degli
attacchi ai Sindacati negli Anni Trenta.
Coinvolgenti anche gli altri interventi. Tra cui quello di due giovani
sindacalisti, che hanno fatto interessanti considerazioni dal punto di vista
delle giovani generazioni e di ciò che esse si augurano per il loro futuro.
Non è mancato altresì un irruento intervento da parte di un membro della
Commissione Interna del grande magazzino Galeria Karstadt Kaufhof, che,
dopo essere passato in questi decenni – insieme alle altre filiali
– per molte mani – cambiando anche nome – all'inizio del nuovo
anno, chiuderà i battenti insieme ad altre decine di filiali dello stesso
gruppo, lasciando senza lavoro centinaia di dipendenti. Per protestare
contro queste chiusure, in aprile, ha avuto luogo una manifestazione anche a
Kempten.
Durante l'incontro – inframmezzato da momenti musicali offerti dal
Duo Bettina e Reinhold Ohmayer – gli
intervenuti hanno avuto modo di gustare alcuni piatti tipici del Ristorante
Smoker Deifi, accompagnati da qualche dissetante boccale di birra, e di
commentare con i vicini quanto appena ascoltato. La Festa si è protratta ancora
sino al primo pomeriggio.
A questa manifestazione – tra il numeroso pubblico intervenuto e alle
persone precedentemente nominate, erano presenti: il Vicepresidente del
Parlamento Bavarese, Thomas Gehring, la Signora Erna-Kathrein Groll, terzo
Sindaco di Kempten, e alcuni Consiglieri Comunali, anche delle Amministrazioni
precedenti. Inoltre, hanno preso parte all'evento: il Presidente
Circoscrizionale del KAB, Signor Manfred Stick e Signora, il Signor Ewald
Lorenz-Haggenmüller, già Assistente Spirituale del KAB e tuttora molto attivo
in diversi progetti come nel Weltladen e il Vicepresidente Vicario
delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani della
Baviera e Presidente del Circolo locale (ACLI), nonché Corrispondente Consolare
per il Circondario di Kempten, Dr. Fernando A. Grasso e tanti altri
rappresentanti di Enti e Organizzazioni.
Grasso, in questa occasione, oltre ad avere avuto il piacere di incontrarsi
con le persone di cui sopra – persone, alcune delle quali conosce personalmente
e apprezza da tempo – ha avuto la piacevole sorpresa di ritrovare tra i molti
giovani del Sindacato Verdi uno dei suoi allievi più affezionati degli Anni
Novanta: Daniele Lupo. Fernando A. Grasso, de.it.press 4
AMBURGO – Giovedì 15 giugno alle ore 19:00, nell’ambito della X edizione
dell’HamburgerArchitecture Summer 2023 (il Festival dell’architettura e della
cultura edilizia di Amburgo) l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo inaugura
la mostra Visioni dispotiche della città con opere di Alessandro Cemolin.
All’inaugurazione, alla presenza dell’artista, il compositore e sound designer
Giorgio Ricci eseguirà dal vivo estratti dal suo album “Templezone – Sottili
polveri”.
La partecipazione all’evento è gratuita, previa registrazione tramite il
portale Eventbrite. La mostra può essere visitata fino al 21 luglio, prima e
dopo gli eventi dell’Istituto, inoltre da lunedì a giovedì dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 14.00 alle 16.00; venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Durante la
permanenza nei locali dell’Istituto si consiglia di indossare una mascherina
(chirurgica o FFP2).
Le opere di Alessandro Cemolin riguardano il paesaggio urbano, realizzato a
volte come una visione distopica, a volte come un ambiente da sogno mozzafiato.
I materiali utilizzati vanno dal caffè ai coloranti alimentari, dalla colla al
cartone. La ricreazione di ponti, strade, passaggi e architetture moderne è
curata nei minimi dettagli e con una cura quasi maniacale. Le sue metropoli
sono una grande metafora urbana della vita, della sua relativa complessità e
transitorietà. I labirinti di Cemolin sono portatori di emozioni e messaggi che
suggeriscono una nuova dimensione contemporanea legata al paesaggio urbano
sempre più esasperato, alla ricerca di una rinnovata reinterpretazione dello
spazio. Alessandro Cemolin cerca una nuova dimensione di estrema sintesi tra
pittura e scultura. La metropoli emerge dalla tela e acquista corpo e
profondità grazie all’uso del cartone, materiale riciclato all’80%. In occasione
dell’inaugurazione, il compositore e sound designer Giorgio Ricci eseguirà dal
vivo alcuni brani tratti dal suo album “Templezone – Sottili polveri”, la cui
copertina è stata disegnata da Alessandro Cemolin.
Nato nel 1974 a Treviso, dopo la laurea in design all’Accademia di Belle
Arti di Venezia ha iniziato a lavorare nel settore della grafica.
Nel 2008 si è trasferito a Berlino, dove attualmente vive e lavora come
artista visivo. Nelle sue opere il tema ossessivo del paesaggio urbano passa da
visioni distopiche a sogni mozzafiato. La tecnica, basata su materiali semplici
e senza età come la penna e le macchie di caffè, riconnette il passato al
futuro. (Inform 29)
Brevi di politica e cronaca tedesca
Legge sul riscaldamento: la coalizione semaforo davanti a un bivio La
prima discussione sul divieto degli impianti di riscaldamento a gas, prevista
al Bundestag questa settimana, verrà rinviata a causa della disputa in corso
tra i partiti di coalizione. Da un lato i Verdi accusano i liberali di “boicottaggio”
e di “rifiuto di lavorare” danneggiando così l’operato del governo, dall’altro
l’opposizione dell’FDP si è mostrata più forte che mai. La capacità di azione
della coalizione semaforo perde colpi, e il ministro dell’Economia Robert
Habeck (Verdi) ha anche incolpato l’FDP per non aver tenuto fede alla parola
data. A detta dei Verdi è chiaro che una discussione in merito dovrà ancora
avere luogo, ma per farlo è necessario portare la legge al Bundestag: “Come si
dimostra, invece, non vi è alcun interesse a discuterne, ma solo a rinviarla”.
L’FDP all’inizio della settimana aveva chiesto una legge completamente nuova:
“Non servono cambiamenti estetici, ma un nuovo disegno di legge”, questa la
richiesta del Segretario generale dell’FDP Bijan Dijr-Sarai: “La legge non è
pronta per essere discussa”, per cui “serve soprattutto una maggiore apertura
verso le tecnologie”.
Tutto ciò appare quindi come un regalo fatto all’opposizione. Il capogruppo
della CDU/CSU e leader della CDU Friedrich Merz ha esortato intanto il
Cancelliere Scholz a fare uso del suo potere di direttiva: “Ritiri questa legge
completamente sbagliata e raffazzonata”. Il Vice-capogruppo parlamentare
Alexander Dobrindt (CSU), sostenendo le parole di Merz, ha affermato che la
coalizione semaforo è completamente divisa e confonde i cittadini, per cui ha
esortato la coalizione a “porre fine alla cooperazione”. Il governo aveva già
approvato il disegno di legge secondo il quale a partire dal 2024 tutti i nuovi
impianti di riscaldamento dovranno essere alimentati per il 65% con energia
proveniente da fonti rinnovabili, il che varrà per tutti i proprietari fino
all’età di 80 anni. Anche gli esperti manifestano dubbi su come si possa
realizzare in un periodo di tempo così breve.
Il ministro delle Finanze pronto ai tagli alle spese
La Germania ha i conti in rosso. Il Cancelliere Scholz (SPD) e il
ministro delle Finanze Christian Lindner (FDP) stanno lavorando a un piano per colmare
una lacuna da 20 miliardi di euro nel bilancio 2024 con tagli alla spesa che
riguarderanno tutti i ministeri, a eccezione della Difesa. Come riportato da
fonti governative, il Cancelliere Scholz e il ministro Lindner hanno concordato
tagli di spesa lineari compresi tra il 2-3%, percentuale sufficiente a ottenere
circa la metà dei risparmi richiesti, per cui resta da vedere come il governo
si procurerà il denaro restante.
Il leader dell’FDP Lindner ha intenzione d’imporre tagli anche alla spesa
sociale, perché a detta dei Liberali questo è l’unico modo per ottenere un
bilancio solido. I Socialdemocratici vogliono evitare una tale mossa ed
esentare i sussidi destinati ai bambini a rischio povertà. Qualunque sarà la
loro scelta, ci saranno problemi con i Verdi, il terzo partner della
coalizione. Il ministro dell’Economia Robert Habeck ha invece chiesto tasse più
alte per colmare il divario, in particolare per i percettori di reddito
elevato, ma si esclude che una tale richiesta possa essere avallata da Lindner.
Per di più, nelle ultime settimane il ministro Habeck ha perso influenza
all’interno della coalizione dopo aver presentato una legge severa per ridurre
le emissioni di CO? provenienti dal riscaldamento domestico, che resta
fortemente controversa, e anche per le dimissioni del Segretario di Stato,
Patrick Graichen, a seguito delle accuse di nepotismo.
Scholz critica gli attivisti del clima
Il Cancelliere Scholz ha parlato chiaro prendendo nette distanze
dagli attivisti ambientali di “Ultima generazione” (Letzte Generation): “Trovo
del tutto assurdo attaccarsi a un quadro o incollarsi alla strada”, ha
dichiarato durante una visita a una scuola in occasione della giornata del
progetto europeo in classe. “E ho l’impressione che tali azioni non
contribuiscano affatto a far cambiare idea a qualcuno, ma fa invece arrabbiare
tutti”. Il Cancelliere sottolinea comunque come sia del tutto giustificabile
che si organizzino manifestazioni, si manifesti e si difendano i propri obiettivi,
ma, prosegue, “non credo che azioni di questo genere contribuiscano alla
causa”. Gli attivisti per il clima danno sempre più fastidio anche in Germania,
e secondo i sondaggi i cittadini tedeschi manifestano poca comprensione per i
disturbi che arrecano alla vita pubblica. Alla domanda posta dagli studenti in
merito al proprio impegno per la protezione del clima, il Cancelliere ha
risposto in tono ironico di non andare “in Giappone in bicicletta (...)”.
Nel fine settimana scorso il Cancelliere Scholz ha partecipato al vertice
del G7 in Giappone e poi si è recato in visita in Corea del Sud. Con i suoi
viaggi, il suo stesso bilancio di CO? risulta essere del tutto negativo. Le
auto con cui viene portato in giro sono pesanti perché sono blindate e quindi consumano
molto carburante. In risposta alle dichiarazioni del Cancelliere, i vandali di
“Ultima generazione” hanno imbrattato l’ingresso della sede del partito SPD.
Ieri in tutta la Germania c’è stato un blitz contro l’organizzazione che viene
accusata dalla magistratura di “costituzione di organizzazione criminale”. I
beni degli attivisti sono stati sequestrati e i flussi finanziari del gruppo
saranno ora oggetto d’indagine da parte degli investigatori.
Emergenza abitativa in Germania
La Germania ha sempre più problemi con la mancanza di alloggi. La
politica lo ha capito da tempo, ma finora poco è stato fatto. Lo scorso anno il
numero di appartamenti di nuova costruzione è leggermente aumentato dello 0,6%,
arrivando a 295.300 unità, nonostante l’aumento dei prezzi e le difficoltà
nelle consegne, ma il precedente obiettivo del governo di raggiungere le
400.000 nuove abitazioni all’anno è stato chiaramente mancato, e – come ha
comunicato l’Ufficio federale di statistica – non è stato raggiunto nemmeno il
livello del 2020 di 306.400 abitazioni. Nel migliore dei casi, per l’anno in
corso l’industria edile prevede la costruzione di 250.000 appartamenti da
ultimare entro la fine dell’anno.
Anche per il 2024 non si intravedono miglioramenti. I dati relativi ai
lavori di completamento sono destinati a diminuire ulteriormente a causa del
crollo delle licenze edilizie. Nonostante la domanda di alloggi, il numero di
permessi è infatti in costante calo: per via del forte aumento dei tassi di
interesse sui prestiti e degli elevati prezzi delle costruzioni, molti
costruttori sospendono i progetti o li annullano, e ciò riguarda sia i
costruttori di case private sia i grandi investitori. I sindacati, le
associazioni imprenditoriali e gli economisti manifestano la loro
preoccupazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi di edilizia
abitativa e lanciano il campanello d’allarme alla politica.
Il monito del Presidente della Conferenza episcopale tedesca: “La
Chiesa non deve diventare una setta”
Il Presidente della Conferenza episcopale tedesca (DBK), il vescovo
di Limburgo Georg Bätzing, ha espresso ancora una volta il suo accordo verso il
“Cammino sinodale” tedesco, causa di controversie nella Chiesa cattolica,
mettendo però in guardia dai rischi che il sinodo tedesco possa divenire “una
setta cattolica”, cosa non conciliabile con la sua missione di vescovo. “Ci
sono gruppi che già parlano di una spaccatura all’interno della Chiesa, di uno
scisma incombente ma io non vedo questo pericolo”.
A suo avviso, “la stragrande maggioranza dei fedeli, concorda con gli
obiettivi e le scelte di una Chiesa che si rinnova” e auspica di costruire
“ponti con le realtà sociali e culturali del nostro tempo”. Il vescovo Bätzing,
ha poi espresso la sua preoccupazione per una Chiesa chiusa e isolata: “Non si
adatta alla mia concezione di essere cattolico il fatto di considerarci un
piccolo, raffinato e separato gruppo all’interno della nostra società e di
crearci una nostra vita autonoma che non cerca più alcun legame con i grandi
bisogni sociali e le esperienze di vita di molte persone”.
Luoghi in Germania: Paulskirche di Francoforte
In questo edificio circolare di stampo neoclassico realizzato in
arenaria rossa, che ricorda architettonicamente il Pantheon di Roma, è stata
scritta la storia tedesca. “Ha rappresentato il momento in cui i sudditi sono
diventati cittadini”, queste le parole del Presidente della Repubblica
Frank-Walter Steinmeier con cui ha reso omaggio al Parlamento di Francoforte
(Frankfurter Nationalversammlung) in occasione di una cerimonia tenutasi a
Francoforte sul Meno. 175 anni fa, il 18 maggio 1848, l’Assemblea costituente
si riunì per la prima volta nella Paulskirche di Francoforte per elaborare una
costituzione liberale valida per tutta la Germania. La prima seduta di un
parlamento eletto in tutta la Germania ha rappresentato “un passo
insostituibile nel lungo cammino verso la democrazia e la libertà in un’unica
Germania”, ha dichiarato il Presidente Steinmeier. Ma l’anniversario non può
non rammentare anche le avversità e le difficoltà nel costruire e mantenere un
ordine democratico: infatti la costituzione elaborata nella Paulskirche non
entrò mai in vigore a causa della resistenza della nobiltà e, come la storia
insegna, solo nel 1871 la Germania divenne uno stato nazionale unitario.
La Paulskirche è oggi considerata la culla della democrazia tedesca. La
costituzione imperiale sviluppata al suo interno con i suoi “diritti
fondamentali del popolo tedesco” plasmò la Costituzione di Weimar del 1919 e la
Grundgesetz, la Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania del
1949. L’edificio della Paulskirche venne distrutto dai bombardamenti nel 1944 e
fu uno dei primi edifici di Francoforte sul Meno a essere ricostruito.
La Germania si inchina davanti agli ucraini Il Cancelliere dell’Unità
Tedesca, Helmut Kohl (CDU), si sarebbe espresso così: Volodymyr Zelensky è
stato “sfiorato dal mantello della storia”. Ad Aquisgrana, il Presidente
ucraino è stato insignito del Premio Internazionale Carlo Magno. Zelensky ha
ricevuto il premio insieme al popolo ucraino per la resistenza e il coraggio
dimostrati nel respingere la guerra di aggressione russa. “Tutti gli ucraini
sono eroi. E tutti gli ucraini dovrebbero essere in questa sala oggi”, ha
sottolineato il Presidente Zelensky nel suo discorso di ringraziamento.
L’Ucraina renderà l’Europa più forte, ma prima, ha detto Zelensky, è essenziale
conseguire la vittoria militare contro la Russia: “Per avere un’eredità di
pace, dobbiamo giungere insieme a voi al giorno in cui potremo dire di aver
concluso questa guerra con la nostra vittoria comune”. L’aggressione di Putin
non è rivolta solo contro il suo Paese, ma anche contro la storia europea degli
ultimi 70 anni e la sua civiltà. Il Presidente russo deve quindi essere
processato: “Ci troviamo di fronte a un aggressore capace di compiere ogni
crudeltà. Ma non abbiamo paura”.
La laudatio è stata tenuta in precedenza dal Cancelliere Olaf Scholz (SPD),
che ora intrattiene un buon rapporto con Zelensky. Il Cancelliere ha
ringraziato il Presidente e il suo popolo per “la difesa dei valori comuni
europei” ricordando come alla mattina dell’attacco russo Zelensky abbia scelto
“parole forti” a sostegno della sua resistenza: “State difendendo con grande
coraggio la vostra patria dalla brutale aggressione della Russia e tutti gli
ucraini sfidano quotidianamente con immensa forza gli invasori russi. L’Europa
deve moltissimo al popolo ucraino e, personalmente, al Presidente Zelensky”.
L’Ucraina, con la sua “volontà di libertà e la sua capacità di resistenza” è
“speranza e ispirazione” per l’Europa intera, e la guerra, ha proseguito il
Cancelliere Scholz, indica per l’Ucraina e l’Unione Europea che “siamo uniti e
che ci apparteniamo. E la nostra storia comune proseguirà sullo stesso solco”.
Anche la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha voluto
rendere omaggio agli ucraini: “Gli ucraini combattono letteralmente per la
libertà, l’umanità e la pace, assicurando con il loro sangue e la loro vita il
futuro dei loro e dei nostri figli”. Zelensky, ha chiosato la Presidente von
der Leyen, “crede fermamente che coloro che combattono per qualcosa siano
sempre più forti di coloro che vogliono imporre il loro giogo agli
altri”.
Schröder getta ombre sull’SPD
I Socialdemocratici non riescono a liberarsi del loro “vecchio
imbarazzante zio”. L’ex Cancelliere Schröder, nonostante i suoi stretti legami
con la Russia, potrà continuare a rimanere definitivamente all’interno
dell’SPD. Le istanze di appello contro la delibera della commissione arbitrale
SPD di Hannover sono state respinte in ultima istanza in quanto inammissibili,
per cui la procedura si considera conclusa. Schröder, cancelliere dal 1998 al
2005 è stato Presidente del partito dal 1999 al 2004. Dopo la fine del suo
governo terminato con elezioni anticipate nel 2005, Schröder ha lavorato per
molti anni per le compagnie energetiche russe ed è ancora considerato grande
amico del Presidente russo Putin, dal quale non ha preso le distanze nemmeno
dopo l’attacco all’Ucraina. Nelle settimane successive allo scoppio della
guerra, l’ex Cancelliere fece persino visita a Putin a Mosca, per quello che
venne considerato un tentativo di mediazione da parte sua. I vertici del
partito sottolineano da tempo che l’ex Cancelliere è una figura isolata
all’interno dell’SPD.
Nel frattempo, la quinta moglie di Schröder, Soyeon Schröder-Kim, pare aver
perso il suo lavoro presso la società di investimento regionale "NRW.
Global Business". “La signora Schröder-Kim è stata licenziata con effetto
immediato e il rapporto di lavoro cessa senza preavviso”, ha reso noto il
ministro dell’Economia del Land Renania Settentrionale-Vestfalia, Mona Neubaur
(Verdi). Il motivo sembra essere la partecipazione della 55enne a un
ricevimento per l’anniversario della vittoria russa nella Seconda guerra
mondiale presso l’ambasciata russa di Berlino. Oltre all’ex Cancelliere Gerhard
Schröder e alla moglie, al ricevimento hanno partecipato esponenti politici di
estrema destra dell’AfD ed ex leader della DDR, disciolta nel 1990.
Habeck licenzia il sottosegretario dello scandalo
È il tentativo di un contrattacco: il ministro dell’Economia Robert
Habeck (Verdi), messo sotto pressione a causa dell’ “affaire parenti”, ha
licenziato il suo confidente Patrick Graichen, sottosegretario responsabile
della transizione ecologica, colpevole di aver voluto concedere la carica di
amministratore delegato dell’Agenzia tedesca per l’energia al suo testimone di
nozze, senza per questo rivelare il rapporto di vicinanza che li legava.
Secondo quanto riportato, sono emersi altri due casi in cui le regole di
conformità non sono state rigorosamente osservate.
Oggetto delle critiche sono anche diversi legami all’interno del personale
del ministero dell’Economia. La sorella di Graichen, sposata con il suo
collega, Segretario di Stato Michael Kellner, lavora, come anche suo fratello,
presso l’Öko-Institut, un istituto di ricerca che riceve contratti milionari
dal governo federale. Le rivelazioni avevano messo Habeck e il suo partito in
grave difficoltà e li avevano visti affondare nei sondaggi. Ma il capro espiatorio
di Habeck potrebbe essere arrivato troppo tardi: il Parlamento minaccia infatti
una commissione d’inchiesta.
I Verdi sconfitti a Brema
I cittadini del più piccolo Land tedesco hanno eletto i Socialdemocratici
principale partito nel nuovo parlamento regionale di Brema. I Socialdemocratici
hanno ottenuto il 29,8% dei voti, seguiti dalla CDU che ha riportato il 25,7%
delle preferenze. I Verdi, finora partito di governo, hanno subito un crollo e
hanno ottenuto soltanto l’11,9% di preferenze, quasi alla pari con i
postcomunisti della Sinistra (11,1%), mentre i Liberali sono riusciti a
superare, di poco, la soglia di sbarramento del 5%. L’AfD, partito di estrema
destra, non ha potuto partecipare per via di errori nella compilazione delle
liste. Al suo posto si è affermato invece il gruppo di populisti dei “Cittadini
in collera” (Bürger in Wut) che è riuscito a fare il salto e conquistare il
9,5% dei voti. Governare quindi sarà probabilmente meno facile per il sindaco
in carica, Andreas Bovenschulte, e alla fine potrebbe nascere una grande
coalizione tra SPD e CDU, almeno da quanto si apprende dalla reazione del
sindaco, che ha annunciato di voler tenere maggiormente conto del bisogno di
sicurezza espresso dai cittadini: “Con ciò non intendo soltanto la sicurezza
interna e l’ordine, ma soprattutto la questione legata alla sicurezza sociale,
quindi il fatto che le persone possano sentirsi in buone mani all’interno della
società”. Un buon sviluppo economico, posti di lavoro ben retribuiti e una
riduzione della disoccupazione, ha aggiunto il sindaco in carica,
“rappresentano le basi su cui realizzare una sicurezza sociale, un’istruzione e
un’integrazione migliori”. Intanto, sono ormai 77 anni che i Socialdemocratici
governano ininterrottamente “Brema la rossa”.
In Germania i turchi votano per Erdogan
Nelle recenti elezioni presidenziali in Turchia, tra i turchi che
vivono in Germania c’è stata ancora una volta una netta maggioranza a favore
del Presidente uscente Recep Tayyip Erdo?an, che ha ricevuto all’incirca il 65%
delle preferenze, mentre il leader dell’opposizione Kemal K?l?çdaro?lu ha
raggiunto solo il 33%. Già nelle ultime elezioni del 2018, il Presidente
Erdo?an aveva ottenuto risultati superiori alla media tra i turchi residenti in
Germania. Il Presidente della Commissione per gli Affari esteri del Bundestag,
Michael Roth (SPD), ha definito l’esito “deludente per tutti coloro che
desiderano una Turchia democratica e basata sullo stato di diritto”.
Visti i risultati, anche il ministro dell’Agricoltura Cem Özdemir (Verdi)
non guarda con grande fiducia al futuro. Pur nel caso in cui il candidato
dell’opposizione Kemal K?l?çdaro?lu dovesse vincere al ballottaggio contro
Erdo?an, si troverà a governare “un Paese profondamente diviso”. Le elezioni
parlamentari, che hanno avuto luogo nello stesso periodo, hanno intanto reso
l’Assemblea Nazionale più conservatrice. Critiche riguardo l’esito delle
elezioni sono giunte anche dall’esperto di politica estera dell’FDP Alexander
Graf Lambsdorff, il quale ha affermato che da anni la Turchia sta perseguendo
una linea autoritaria e che la campagna elettorale è stata “tutt’altro che
equa”: “Da tempo il Presidente Erdo?an e il suo AKP dominano i media e le
istituzioni statali, anche quelle presumibilmente indipendenti”, ha dichiarato
il politico dell’FDP. Il deputato della CDU Serap Güler ha definito il
risultato una “cattiva notizia”.
Arabia Saudita: Il ministro Baerbock cerca gli equilibri
In occasione della sua visita in Arabia Saudita, il ministro degli
Esteri Annalena Baerbock (Verdi) si è espressa per un approfondimento delle
relazioni economiche, appellandosi allo stesso tempo al rispetto dello stato di
diritto e dei diritti umani. Secondo quanto affermato dal ministro Baerbock
durante la sua visita alla città portuale di Jeddah, l’Arabia Saudita ha “un
potenziale incredibile” per avviare una partnership climatica nel campo delle
energie rinnovabili, come l’idrogeno verde e l’energia eolica, ma la
cooperazione economica non può ritenersi “slegata dallo stato di diritto, dai
diritti umani e dalla tutela delle libertà”.
Oggetto del colloquio con il ministro degli Esteri saudita, il principe
Faisal bin Farhan, sono stati anche i conflitti regionali in Sudan e Yemen,
Paesi in cui l’Arabia Saudita tenta con sforzo il ruolo di mediatrice. Il
ministro Baerbock ha promesso il sostegno diplomatico e umanitario da parte
della Germania. Particolarmente urgente quindi la situazione in Sudan:
“Dobbiamo fare tutto il possibile affinché questo conflitto non si trasformi in
un conflitto su scala regionale”, ha dichiarato il ministro. La Germania è
quindi pronta a fornire aiuti umanitari, ad esempio attraverso un maggiore
sostegno al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.
Luoghi in Germania: Wieskirche
Il santuario di Wies (Wieskirche), nei pressi di Steingaden, nella
diocesi di Augusta, è considerato un esempio unico e forse l’opera
architettonica più bella del rococò, la fase tardiva dell’architettura barocca
che si può ammirare soprattutto nella Baviera meridionale. Questo magnifico
luogo di culto è patrimonio mondiale dell’UNESCO da esattamente 40 anni. Ogni
anno decine di migliaia di pellegrini e visitatori giungono in questo luogo per
ammirare la basilica del santuario e pregare davanti alla statua del “Cristo
flagellato”, fulcro della venerazione.
Già la pianta ellittica dell’edificio testimonia la sua eccezionalità; al
suo interno, i visitatori vengono sopraffatti dalla ricchezza degli ornamenti
in stucco e oro e dagli affreschi eseguiti dagli allora architetti di corte dei
monarchi bavaresi, i fratelli Dominikus e Johann Baptist Zimmermann. La chiesa
è nota anche per la sua acustica: durante i concerti vi è uno dei più grandi organi
ecclesiastici della Germania. Nell’odierna solennità dell’Ascensione (giorno
festivo in Germania), durante la messa la figura del Redentore risorto viene
fatta ascendere nel cielo barocco attraverso un’apertura nascosta. Kas 25
Bronzi del Benin, la restituzione divide la Germania
Il il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha deciso di donare il
risarcimento nei confronti delle ex colonie al monarca dell’ex regno di Benin,
che potrebbe anche rivenderseli. E a Berlino è polemica - di Paolo Valentino
È passata alla storia come uno dei più orribili atti dell’era coloniale,
l’invasione militare di Benin City ad opera di una forza di spedizione punitiva
britannica nel febbraio 1897, con la distruzione della città africana e il
saccheggio della preziosa collezione di bronzi della famiglia reale. Migliaia
di piatti, oggetti e statue in ottone, legno e avorio, forse gli oggetti
artistici più belli mai realizzati in Africa, vennero strappati dalle sale del
palazzo e venduti a collezionisti privati e musei in tutto il mondo.
Per questo, negli ultimi due anni, l’impegno a restituire i Bronzi del
Benin firmato da numerose istituzioni museali e università in America, Francia,
Gran Bretagna e Germania, è stato accolto come risarcimento pur tardivo ma
giusto e dovuto nei confronti delle ex colonie. Il governo tedesco, in
particolare, ha già iniziato a consegnare alla Nigeria oltre 1100 artefatti
custoditi a Berlino, Lipsia, Colonia, Amburgo e Stoccarda.
Ora però, a un mese dalla fine del suo mandato, il presidente nigeriano
Muhammadu Buhari ha annunciato che tutti i bronzi restituiti e quelli che lo
saranno in futuro diventeranno proprietà privata di Ewuare II, l’Oba di Benin
City, capitale dello Stato nigeriano di Edo, monarca che incarna la cultura e
la tradizione dell’ex regno. La decisione ha ridato voce a quanti si oppongono
alle restituzioni: «Quello che si voleva come il ritorno di un patrimonio
culturale, si rivela invece il regalo a una famiglia reale», ha scritto sulla
FAZ l’etnologa Brigitta Hauser-Schäublin, secondo la quale c’è anche il rischio
che Ewuare II decida di rivendere i bronzi sul mercato dell’arte. Il tema
spacca la comunità culturale tedesca: «Il senso della restituzione – ha scritto
Die Zeit - è che in futuro sarà lo Stato sovrano della Nigeria a decidere sul
destino di questi tesori. Non possono esserci condizioni paternalistiche in
questa cessione. E dobbiamo accettare anche decisioni che non ci piacciono».
CdS 16
Germania, il ministro Habeck silura il braccio destro per nepotismo
Berlino. Fine corsa per Patrick Graichen, sottosegretario e braccio destro
del ministro dell’Economia e vicecancelliere Robert Habeck, che lo ha rimosso
dalla carica.
Graichen, il vero Zar dell’agenda Verde, è stato travolto da uno scandalo
di familismo nepotista, che sta ulteriormente danneggiando i Grünen e
intaccando la popolarità di Habeck, fino a pochi mesi fa l’esponente di governo
più gradito ai tedeschi. La causa immediata del licenziamento è stato il
finanziamento a fondo perduto di 600 mila euro accordato dal viceministro a
Bund Berlin, una ong ambientalista del cui cda fa parte nient’altri che sua
sorella. «Un errore di troppo», ha detto il vicecancelliere in una conferenza
stampa, spiegando di aver agito «per proteggere la fiducia nel lavoro di questo
ministero in quanto istituzione».
La regalia a Bund Berlin segue infatti le rivelazioni sul ruolo cruciale
avuto da Graichen nel processo di nomina del nuovo capo dell’agenzia federale
per l’Energia, dove la scelta è caduta su Michael Schäfer, un esperto
competente, ma anche l’amico di una vita e testimone di nozze del
sottosegretario, circostanza che questi si è ben guardato dal rivelare.
Di più, anche l’altro segretario di Stato al ministero dell’Economia,
Michael Kellner, è imparentato con Graichen avendone sposato la sorella Verena,
la quale a sua volta lavora per l’Öko-Institut, un istituto indipendente di
ricerca ambientale che ha fra i suoi maggiori committenti proprio il ministero
dell’Economia.
Finora Habeck aveva fatto quadrato intorno al suo principale collaboratore.
Ma ora è stato costretto a silurarlo, dopo che un’indagine interna ha svelato
la vicenda del contributo a Bund Berlin, di cui la sorella di Graichen è stata
anche direttore esecutivo fino al maggio 2022. Il ministro ha però spiegato che
nessuna somma è stata ancora versata alla Ong.
Lo scandalo conferma le difficoltà in cui si dibattono i Verdi tedeschi nel
governo e nell’opinione pubblica. Costretti dalla crisi energetica a frenare
sull’agenda verde, sempre più identificati come il partito dei divieti, non più
in sintonia con il cancelliere Scholz che si è avvicinato molto ai liberali,
gli altri alleati della coalizione, i Grünen sono in piena crisi identitaria e
soprattutto in forte caduta nei sondaggi, come ha mostrato domenica scorsa la
pesante sconfitta nelle elezioni regionali di Brema. CdS 18
Usa 2024: De Santis in campo, una cattiva notizia per Trump e Biden
La macumba di Trump funziona. Se la buona campagna si vede dai primi
tweets, quella di DeSantis è cominciata proprio male: problemi tecnici hanno
ritardato e rovinato la festa annunciata, iniziata quasi mezz’ora più tardi del
previsto e dopo diversi tentativi falliti perché l’elevato numero di collegamenti
a Twitter Space mandava i server in tilt.
Di sicuro, il magnate ex presidente gongola: il lancio della candidatura
del governatore della Florida alla nomination repubblicana per Usa 2024 è stato
“un disastro come lo sarà la sua campagna”, scrive su Truth, il suo social.
Anche la campagna di Joe Biden, presidente democratico, che punta al secondo
mandato, ironizza. E diversi media titolano con un gioco di parole ‘DeSantis
Desaster’.
Più male che bene, Ron DeSantis, 44 anni, ha comunque annunciato la sua
candidatura, dialogando su Twitter con il vulcanico e controverso boss del
social Musk, personaggio ambiguo, che presta a DeSantis, 4,5 milioni di
followers, la sua platea di 140 milioni, ma contestualmente nega, parlando al
Wall Street Journal, di volerlo sostenere nella corsa alla Casa Bianca. Prima
del duetto su Twitter il governatore della Florida aveva depositato i documenti
necessari alla sua candidatura.
DeSantis entra in scena. Ma Trump non ne esce: anzi, nei sondaggi lo
doppia. Per un rilevamento della Cnn recentissimo, il 53% degli elettori
repubblicani punta su Trump candidato, solo il 26% sceglie il governatore della
Florida. Ma l’elettorato è ancora fluttuante e appare disposto a prendere in
considerazione altri candidati: l’ex rappresentante Usa alle Nazioni Unite
Nikki Haley, l’ex vice di Trump Mike Pence – entrambi al 6% -, il senatore nero
della South Carolina Tim Scott e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie
– entrambi al 2% -. Altri cinque candidati sono all’1% o meno. La lista è però
destinata ad allungarsi e le posizioni a rimescolarsi.
DeSantis, un’alternativa repubblicana, né con l’establishment né con Trump
La decisione di DeSantis di lanciare la sua campagna dialogando con Musk su
Twitter viene letta dai media Usa come un tentativo di conquistare la fiducia
degli influencer di destra. Ora, gli esperti prevedono che il governatore
cercherà di presentarsi come una scelta alternativa per il suo partito, né con
establishment né con Trump.
DeSantis, considerato il più formidabile sfidante repubblicano che il
magnate abbia mai affrontato, ha ottenuto sostegno dai conservatori e critiche
dai progressisti limitando la possibilità di parlare nelle scuole di
orientamento sessuale e identità di genere, ridicolizzando le chiusure causa
pandemia e antagonizzando la ‘woke ideology’ e la ‘cancel culture’, nei media e
in aziende come la Disney.
L’entrata in scena di DeSantis, un campione delle cause di destra che da
anni punzecchia la sinistra, segna – scrive il Washington Post – “una svolta
per il Partito repubblicano”, che, per la prima volta dal 2016, sembra disporre
di un’alternativa a Trump. L’Ap, scrive che DeSantis, che finora s’è solo
misurato con la realtà elettorale della sua Florida, deve superare “il test del
suo appeal nazionale”, mentre i repubblicani dovranno dimostrare la volontà “di
distanziarsi dall’ex presidente”.
Se otterrà la nomination, DeSantis, che contrappone al MAGA di Trump un suo
‘Make America Florida’, diventerà il primo italo-americano candidato alla Casa
Bianca. La bisnonna materna, Maria Nolfi, nacque a Bugnara, in provincia
dell’Aquila, nel 1901 ed emigrò giovanissima.
Assediato da inchieste e processi, Trump tenta contromosse
Fiutato il pericolo, Trump ha subito aperto il fuoco di sbarramento contro
DeSantis, suo ex pupillo: lo critica per la scelta di lanciare la campagna su
Twitter, lui che di Twitter è stato il massimo fruitore; dice che è sleale e
che non può vincere le elezioni. In realtà, l’ex presidente è preoccupato: le
inchieste lo assediano, i processi si susseguono.
I suoi avvocati chiedono un incontro al ministro della Giustizia Merrick
Garland: lamentano che, nell’ indagine condotta dal procuratore speciale Jack
Smith sui documenti sottratti alla Casa Bianca, l’ex presidente, “a differenza
della famiglia Biden, è trattato in modo scorretto“: “Nessun presidente degli
Stati Uniti, nella storia del nostro Paese, é mai stato indagato senza
fondamento in modo così vergognoso e illegale”, scrivono. I media ne deducono
che Smith stia per chiudere la sua inchiesta, che riguarda anche il ruolo del
magnate nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Ci sono, poi, i processi in corso a New York. In quello in cui è imputato
per cospirazione, il giudice lo ha pubblicamente ammonito a non intimidire i
testimoni e ha fissato l’udienza al 25 marzo, cioè durante le primarie. E
quello in cui è già stato condannato a risarcire la scrittrice E. Jean Carroll,
che l’accusa d’una violenza sessuale di quasi trent’anni or sono, potrebbe
avere un seguito, dopo commenti diffamatori del magnate nei confronti della
donna.
Una cattiva notizia per Biden, alla prese con il rischio di default
La discesa in campo di DeSantis è una cattiva notizia anche per Joe Biden,
impegnato in queste ore a cercare di sventare il default degli Usa il primo
giugno: se un match con Trump è alla sua portata, uno con DeSantis, più giovane
– ha 44 anni -, più vigoroso e meno polarizzante dell’ex presidente, non lo
vede affatto favorito in partenza.
Secondo la Cnn, la campagna di Biden si stava preparando da tempo con
discrezione ad affrontare DeSantis: ha già cominciato a spendere in Florida e
deve decidere se continuare a farlo. Possono anche essere soldi buttati: sulla
mappa dei Grandi Elettori di Usa 2024, la Florida è uno Stato perso per i
democratici, se DeSantis sarà il candidato repubblicano.
Un sondaggio Ap-Norc mostra che gli Stati Uniti restano una nazione divisa
e che molti cittadini – non sempre elettori – ne attribuiscono la
responsabilità ai media, piuttosto che a leader che cavalcano il populismo e la
polarizzazione. L’ennesima conferma del solco lasciato da Trump nella società
Usa.
Non solo DeSantis e Trump: il resto del campo repubblicano
La mossa di DeSantis ha oscurato quella di Tim Scott, l’unico senatore nero
repubblicano, che s’è ufficialmente candidato alla nomination con il sostegno
del numero due dei senatori repubblicani, John Thune, South Dakota, e avendo
già raccolto 22 milioni di dollari per la sua campagna. Scott, 57 anni, ha una
visione più ottimistica del futuro degli Stati Uniti, rispetto a Trump e a
DeSantis.
Anche il governatore repubblicano della Virginia Glenn Youngkin sta
riconsiderando se candidarsi, dopo essersi fatto da parte di fronte allo
strapotere nei sondaggi di Trump: lo scrive Axios. Youngkin, 56 anni, ha
battuto nelle elezioni del novembre 2022 il governatore democratico uscente
Terry McAuliffe: è cristiano e conservatore, ma si considera alternativo al
magnate e a DeSantis. Giampiero Gramaglia, AffInt. 25
La psicologa. Come superare la paura del giudizio degli altri
La paura del giudizio degli altri è un'esperienza comune che può
influenzare profondamente la nostra vita quotidiana. Questa forma di ansia
sociale può ostacolare la nostra autostima, relazioni interpersonali e persino
le opportunità di crescita personale e professionale. In questo articolo,
esploreremo alcune strategie efficaci per superare questa paura e vivere una
vita più autentica e soddisfacente.
Comprendere la paura del giudizio
La paura del giudizio degli altri ha radici profonde nella nostra natura
umana. È spesso alimentata dalla nostra necessità innata di appartenenza e
approvazione sociale. Capire le radici di questa paura ci aiuta a
contestualizzarla e a trattarla in modo più efficace.
Esaminare le credenze limitanti
Spesso, la paura del giudizio degli altri è alimentata da credenze
limitanti su noi stessi. Esaminare e mettere in discussione queste credenze è
un passo fondamentale per superarle. Possiamo iniziare a identificare i
pensieri negativi che ci attraversano la mente quando siamo preoccupati del
giudizio altrui e lavorare su nuove prospettive più positive e realistiche.
Coltivare l'autostima
Un'alta autostima è una difesa potente contro la paura del giudizio degli
altri. Sviluppare un senso di autostima sano richiede tempo e impegno, ma può
fare una grande differenza nella nostra capacità di affrontare le opinioni
altrui. Concentrarsi sulle nostre qualità positive, riconoscere i nostri
successi e nutrire una visione amorevole di noi stessi sono modi efficaci per
coltivare l'autostima.
Sfide graduali all'ansia sociale
Superare la paura del giudizio degli altri richiede spesso una progressiva
esposizione alle situazioni che ci provocano ansia sociale. Sfidarci
gradualmente, affrontando piccoli passi verso il nostro obiettivo, ci aiuta a
costruire fiducia e a superare i nostri limiti. Possiamo iniziare con azioni
piccole, come partecipare a eventi sociali o condividere le nostre opinioni con
persone di fiducia, per poi progredire verso sfide più significative.
Lavorare sulla consapevolezza di sé
Sviluppare la consapevolezza di sé è fondamentale per superare la paura del
giudizio. Spesso, siamo così preoccupati di come gli altri ci percepiscono che
perdiamo di vista la nostra autenticità. Prendere consapevolezza delle nostre
emozioni, dei nostri bisogni e dei nostri valori ci permette di vivere in linea
con chi siamo veramente, riducendo l'impatto del giudizio altrui.
Costruire una rete di supporto
Affrontare la paura del giudizio può essere un percorso complesso, ma avere
una solida rete di supporto può fare la differenza. Condividere le nostre
preoccupazioni e i nostri timori con amici fidati, familiari o un
professionista della salute mentale può fornirci un sostegno emotivo e
prospettive diverse. Sentirsi compresi e accettati da persone che ci supportano
ci dà il coraggio di affrontare la paura del giudizio degli altri.
Celebrare l'individualità
Accettare e celebrare la nostra individualità è un modo potente per
superare la paura del giudizio. Ognuno di noi è unico, con i propri interessi,
valori e opinioni. Abbracciare ciò che ci rende speciali e abbandonare la
necessità di conformarsi agli standard altrui ci dà la libertà di essere noi
stessi senza paura di essere giudicati.
Concentrarsi sui propri obiettivi
Mettere il focus sui nostri obiettivi personali e sulle nostre aspirazioni
ci aiuta a ridurre l'importanza del giudizio degli altri. Concentrarsi su ciò
che vogliamo realizzare nella vita ci dà uno scopo e una direzione chiara.
Quando siamo concentrati sui nostri obiettivi, le opinioni altrui diventano
meno rilevanti e meno influenti.
Rinforzare l'autenticità
Infine, ricordiamoci sempre di rimanere autentici. Essere onesti con noi
stessi e vivere in linea con i nostri valori ci porta a una maggiore coerenza e
integrità. Quando siamo autentici, il giudizio altrui perde potere perché
sappiamo di essere fedeli a noi stessi.
La paura del giudizio degli altri può limitare la nostra felicità e
realizzazione personale, ma con le giuste strategie e un impegno costante,
possiamo superarla. Esaminando le nostre credenze limitanti, coltivando
l'autostima, affrontando gradualmente l'ansia sociale e costruendo una rete di
supporto, possiamo vivere una vita più autentica e soddisfacente.
Ricorda sempre di concentrarti sulla tua individualità e sui tuoi
obiettivi, e di abbracciare la tua autenticità. Il giudizio degli altri non
deve definire chi siamo.
Claudia Bassanelli, CdI giugno
Preparazione e opzioni della controffensiva ucraina
Per certi versi, l’attesa per la controffensiva ucraina in cantiere da
alcuni mesi è tanto spasmodica quanto speculativa. A differenza degli invasori
russi, le forze armate ucraine sono riuscite a imporre il massimo riserbo sui
movimenti delle unità sul campo e sulle intenzioni dello stato maggiore, mentre
è continuata l’azione politica e diplomatica di Kyiv sul piano internazionale –
compresa la visita del presidente Zelensky a Roma. Ironicamente, al di là delle
cronache quotidiane, le uniche informazioni a disposizione per valutare i
prossimi sviluppi al fronte provengono dai leaks del Pentagono, che a distanza
di settimane sono ormai diventati in buona parte obsoleti, e dal rumoreggiare
proveniente dalla bolla informativa russa.
Le mosse preparatorie di Kyiv e Mosca
L’ansia fra i military bloggers russi, ma anche nelle dichiarazioni dei
portavoce della Difesa e nelle parole del capo della compagnia di mercenari
Wagner, Evgenii Prigozhin, riflette le azioni intraprese da Mosca per
prepararsi alla controffensiva ucraina. Nelle ultime settimane sono tornate a
intensificarsi le campagne di bombardamenti contro le città e lungo la linea
del fronte. L’uso prettamente terroristico di imprecisi droni iraniani Shahed
136/Geran 2 contro i centri urbani è affiancato da attacchi missilistici contro
snodi logistici e infrastrutture ucraine che verrebbero verosimilmente usate
per il lancio della controffensiva.
Anche gli ucraini stanno conducendo operazioni preparatorie: fra di esse si
contano numerose incursioni in Crimea contro depositi di carburante e
munizioni, sortite di piccole truppe nel delta del fiume Dnepr a Kherson, ma
anche sabotaggi alla rete ferroviaria sul territorio della Federazione Russa e
raid aerei contro le concentrazioni di truppe russe. Nei giorni scorsi è anche
avvenuto con successo un contrattacco locale nella zona di Bakhmut, che ha
fatto arretrare di un paio di kilometri le forze armate russe schierate ai
fianchi della compagnia Wagner impegnata nel centro urbano.
La direttiva della controffensiva ucraina potrebbe provenire da qualsiasi
settore di un fronte lungo centinaia di chilometri. Nella situazione di
incertezza, il ministero della Difesa russo sta ridistribuendo unità e
munizioni sull’intera linea del fronte e ha deciso di de-prioritizzare la
guerra di posizione a Bakhmut. Così facendo, i vertici delle forze armate sono
entrate in contrasto con Prigozhin, che ha investito molto capitale politico e
importanti risorse militari nella presa della cittadina, puntando a una
vittoria simbolica che ancora gli sfugge grazie all’eroica resistenza
ucraina.
Tale frammentazione e politicizzazione della catena di comando russa e la
continua ri-negoziazione di posizioni e risorse potrebbe rallentare una
risposta efficace alla futura iniziativa ucraina. Non a caso, da dati
satellitari open source sembrerebbe che i russi abbiano investito pesantemente
in una serie di impianti difensivi come trincee, bunker e casematte,
specialmente nella regione di Zaporizhia e negli accessi alla Crimea. Si tratta
di un approccio statico che suggerisce scarsa fiducia nelle reclute mobilitate
e nella capacità russa di montare una difesa flessibile e mobile.
Forze e opzioni a disposizione dell’Ucraina
Rimane l’incognita di se e quanto il supporto occidentale sia stato
sufficiente a preparare le truppe ucraine. Dai leaks del Pentagono si deduce
che Kyiv avrà a disposizione almeno dodici brigate equipaggiate con carri armati,
mezzi meccanizzati e artiglieria di produzione occidentale. Esse dovranno
dimostrare di poter eseguire complesse manovre coordinate sotto il fuoco nemico
e di saper mantenere un certo grado di coesione anche nell’eventualità che le
unità russe non si ritirino disordinatamente, come era successo nell’autunno
del 2022 a Lyman, e impegnino le forze ucraine in combattimenti prolungati, su
larga scala e ad alta intensità dalle proprie postazioni di difesa.
Tale incognita e il suddetto, comprensibile e legittimo, riserbo ucraino
sulla controffensiva impongono cautela nel ragionare sulle sue chance e
caratteristiche. In teoria, Kiev ha diverse opzioni a disposizione, di cui
alcune meno praticabili di altre. In termini geografici e operativi, la Crimea
è un bastione facilmente difendibile dalla Russia, il che rende molto
improbabile un massiccio attacco ucraino alla penisola. La parte terminale e la
foce del fiume Dniepr, per la loro ampiezza, rappresentano una barriera
naturale che le forze russe potrebbero sfruttare per difendere più
efficacemente la parte meridionale della regione di Kherson. Le pianure da
Zaporizhia al Donbass rendono invece le grandi manovre di mezzi pesanti più
agevoli, specie dalla metà di maggio in poi con il cambiamento delle condizioni
del terreno.
Quale vittoria militare?
In questo fronte pianeggiante lungo centinaia di chilometri, un eventuale
sfondamento in profondità che permettesse alle forze ucraine di raggiungere la
costa del Mar d’Azov, e interrompere così la continuità territoriale tra i
territori occupati dai russi in Crimea e nel Donbass, rappresenterebbe una
vittoria militare per l’Ucraina, limitata ma significativa. Infatti, segnerebbe
un importante avanzamento del fronte dopo lo stallo degli ultimi sei mesi,
indebolirebbe la capacità russa di tenere le aree di Kherson e Zaporizhia, e
metterebbe in discussione il controllo russo dello stesso Mar d’Azov. Per gli
stessi motivi, un tale arretramento rappresenterebbe una sconfitta militare per
la Russia, la terza dalla scorsa estate dopo la rotta di Lyman e il ritiro di
Kherson – per non parlare del fallimento del blitzkrieg russo su Kyiv, Kharkiv
e Odessa oltre un anno fa.
Quanto e come un’eventuale, limitata ma significativa vittoria militare
ucraina, e la speculare sconfitta russa, influenzerebbero le scelte politiche
delle rispettive leadership sul proseguimento del conflitto, è ancora più arduo
da prevedere della stessa controffensiva in cantiere, entrando in gioco molte
più variabili. In termini militari conterà anche come le due forze armate
arriveranno alla fine della controffensiva, ad esempio in termini di rispettive
perdite umane e materiali, della capacità logistica ucraina di mantenere la
nuova linea del fronte, e della tenuta del morale e della catena gerarchica russa
di fronte ad un’eventuale sconfitta. Michelangelo Freyrie - Alessandro Marrone
AffInt 16
Elezioni comunali: in 6 su 7 città capoluogo vince il centro destra
Dai ballottaggi delle elezioni comunali emerge un risultato numericamente
inequivocabile: in 6 su 7 città capoluogo hanno vinto candidati di centro
destra, compreso l’unico capoluogo di Regione di questa tornata, vale a dire
Ancona. Resta il macigno dell’astensionismo. Ai ballottaggi ha partecipato
meno della metà degli aventi diritto (il 49,64%), nove punti in meno del primo
turno - Stefano De Martis
Dai ballottaggi delle elezioni comunali emerge un risultato numericamente inequivocabile:
in 6 su 7 città capoluogo hanno vinto candidati di centro destra, compreso
l’unico capoluogo di Regione di questa tornata, vale a dire Ancona. Il centro
sinistra si è affermato solo a Vicenza. Nel primo turno in Sicilia, dove si è
votato domenica scorsa, già eletti i sindaci di Catania e Ragusa
(centro-destra) e di Trapani (centro-sinistra), mentre a Siracusa si andrà al
ballottaggio.
Ad Ancona Daniele Silvetti ha ottenuto il 51,7%. A Brindisi Giuseppe
Marchionna si è affermato con il 54% e a Massa Francesco Persiani con il 54,4%.
A Pisa Michele Conti è stato rieletto con il 52,3%, a Siena il nuovo sindaco è
Nicoletta Fabio con il 52,2%. A Terni Stefano Bandecchi ha vinto riportando il
54,6% dei voti. A Vicenza, come si accennava, l’unico successo del
centro-sinistra con Giacomo Possamai (50,5%).
Venendo al primo turno in Sicilia, Enrico Trantino è stato eletto sindaco
di Catania (la più grande delle città coinvolte nelle amministrative di questa
primavera) con ampio margine: 68,5% a scrutinio non ancora completato. A Ragusa
Giuseppe Cassì è stato confermato con il 62,9%. Conferma anche a Trapani:
Giacomo Tranchida ha ottenuto il 42,5% e per la legge elettorale siciliana il
quorum richiesto è il 40%, non la maggioranza assoluta. A Siracusa tra due
settimane si svolgerà il ballottaggio tra il candidato del centro-destra
Ferdinando Messina (32,3%) e il sindaco uscente Francesco Italia (23,8%),
sostenuto da quattro liste civiche.
Liste civiche che ancora una volta dimostrano a livello comunale una notevole
capacità di aggregare consensi. Spicca per esempio il risultato di Terni.
Bandecchi (personaggio molto popolare nella città umbra, tra l’altro è il
presidente della Ternana calcio) ha battuto il candidato “ufficiale” del
centro-destra, schieramento che pure esprimeva il sindaco uscente. Sull’altro
versante, a Vicenza, anche il centro-sinistra di Possamai è privo di simboli di
partito e il neo-sindaco ha voluto che nella città berica non si tenessero
comizi di leader nazionali.
Un altro elemento di analisi “di sistema” è il ribaltamento della tendenza
che vedeva il centro-sinistra prevalere sistematicamente nei ballottaggi, al
punto che in Parlamento il centro-destra sta cercando di modificare la legge
elettorale dei Comuni che pure in trent’anni ha dato ottime prove. Questo
dimostra che oltre e talvolta più dei sistemi elettorali sono i comportamenti
dei partiti a fare la differenza. Evidentemente, al di là degli inevitabili
riflessi delle tendenze nazionali (ed europee), il centro-destra ha saputo stabilizzare
il quadro delle alleanze e ha affinato la capacità di scelta delle candidature,
come già alcuni politologi hanno sottolineato.
Resta il macigno dell’astensionismo. Ai ballottaggi ha partecipato meno
della metà degli aventi diritto (il 49,64%), nove punti in meno del primo
turno. L’ulteriore calo tra le due tornate non è una tendenza nuova ma andrebbe
meglio approfondita. Se il problema della partecipazione fosse legato
soprattutto alla percezione dell’efficacia del proprio voto, i ballottaggi dovrebbero
registrare un’affluenza massiccia. In realtà i problemi sono molto più
complessi e riguardano in misura decisiva la qualità dell’offerta politica. Sir
30
Il reshoring europeo come occasione d’investimento per la Cina
Negli anni Ottanta e Novanta era l’Europa ad andare in Cina. Ora sarà la
Cina ad andare in Europa? La pandemia, le instabilità sui mercati energetici e
la trade war tra Pechino e Washington sono solo alcune delle motivazioni che
oggi stanno alla base al fenomeno di reshoring di molte attività strategiche.
Ispirate da questo fenomeno, le aziende cinesi stanno guardando con attenzione
il Vecchio continente come un’occasione di investimento greenfield.
L’impegno della Cina sulla mobilità elettrica
Questa tendenza sembra confermata dai dati. Secondo l’ultimo report
congiunto del Mercator Institute for China Studies di Berlino (MERICS) e
Rhodium Group gli investimenti cinesi sono in generale contrazione (-22%
rispetto al 2021), tranne nel settore delle batterie. “Le aziende cinesi stanno
investendo miliardi nella catena di fornitura dei veicoli elettrici in Europa.
Sono diventati i principali attori della transizione verde europea”, ha
dichiarato Agatha Kratz, che dirige il gruppo di ricerca dedicato alle
relazioni Cina-UE.
Proprio il mercato della mobilità elettrica è al centro del fenomeno dei
piani di investimento cinesi. Ad aprile la cinese SVOLT Energy Technology Co ha
annunciato di aver pianificato l’allocazione di almeno cinque stabilimenti in
Europa. Meta privilegiata rimane la Germania, dove SVOLT costruirà anche un
impianto di assemblaggio dedicato all’automotive nel Brandeburgo, lo stato che
ospita la gigafactory di Tesla. L’azienda punta a una capacità produttiva di
almeno 50 gigawattora entro il 2030, sufficienti a produrre circa 100 milioni
di celle all’anno che saranno capaci di alimentare oltre un milione di veicoli
elettrici con batterie da 40 kilowattora.
Prima di SVOLT è stato il gigante delle batterie CATL ad annunciare la
costruzione di uno stabilimento ad Arnstadt, nella Turingia. Le sei linee di
produzione previste in Germania si aggiungono al primo stabilimento di Erfurt e
all’enorme impianto da 100 gigawattora in Ungheria. CATL, che attualmente è il
più grande produttore di batterie al mondo, è stato definito da molti una vera
e propria potenza in ascesa nel settore delle automobili elettriche in Europa.
Come riporta il documento del MERICS, gli investimenti diretti esteri
annunciati dalla Cina nella supply chain delle auto elettriche sono aumentati
vertiginosamente, passando dai 605 milioni di dollari del 2016 ai 24 miliardi
del 2022. Secondo le stime, le aziende asiatiche avranno occupato il 44% del
mercato Ue entro il 2030.
Pro e contro dell’impegno cinese nel reshoring europeo
Facilitate dal mercato dell’Unione, le aziende cinesi del settore avranno
un effettivo vantaggio commerciale non appena gli stabilimenti entreranno in
completa operatività. A ciò si aggiunge il divieto alla vendita di auto a
diesel e benzina a partire dal 2035, una scelta che richiederà una completa
riconversione dell’industria automotive europea in tempi rapidi con tutto ciò
che essa comporta in termini di risorse umane e tecnologie. Una problematica
che non è nuova alla leadership europea, che dal 2019 definisce la Cina un
“rivale sistemico” per la poca trasparenza in materia di sussidi e agevolazioni
verso le sue imprese all’estero.
La catena di approvvigionamento dei materiali necessari alla produzione
delle auto elettriche, però, è complessa. Il ritorno delle attività industriali
sul suolo europeo richiede una “regionalizzazione” della filiera difficile da
attuare, ma necessaria a una nuova logica di mercato che non può più contare
esclusivamente sul vantaggio economico delle attività offshore. Non più
affidarsi a un modello di stoccaggio dei materiale “just in time” (lo
stoccaggio dei materiali sufficienti a coprire un ordine già convalidato),
bensì adottare una logica “just in case”. In altre parole, le imprese che
stanno cercando di riavvicinare gli impianti al mercato di destinazione iniziano
ora a ragionare in termini di facilità di approvvigionamento dei materiali
sulla base di uno stoccaggio capace di sopperire agli imprevisti.
Un tale approccio potrebbe condizionare anche l’operato delle aziende
cinesi nell’Unione anche se le dinamiche delle catene di approvvigionamento
sono spesso più complesse e le informazioni poco trasparenti. È quanto ha
raccontato a Bloomberg il presidente e amministratore delegato di Manuli Rubber
Industries SpA Dardanio Manuli nel momento in cui ha realizzato che rientrando
dalla Cina e affidandosi ai fornitori UE aveva reso la sua azienda dipendente
da una filiera che – in realtà – aveva origine in Ucraina.
Il settore dei semiconduttori
Nel quadro delle tecnologie chiave per l’industria del futuro a zero emissioni
rientra anche il discorso sui microchip. Complici le recenti manovre
statunitensi per contenere l’espansione cinese in tale ambito, l’Europa è
diventata un luogo di interesse per aziende come il gigante taiwanese TSMC, che
hanno già annunciato la costruzione di nuovi impianti dedicati ai
semiconduttori per il mercato europeo. A ciò si aggiunge uno scrutinio più
attento da parte dei decisori europei, che hanno frenato delle acquisizioni
ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. Tra i casi più eclatanti emerge
quello di Wafer Fab, l’impresa di microchip con sede a Newport che era stata
acquisita dalla cinese Nexperia. Ora il governo britannico ha chiesto
all’impresa asiatica di vendere almeno l’86% delle quote per evitare la fuga di
know-how verso la Repubblica popolare. Anche l’acquisizione della Elmos
Semiconductor di Dortmund, Germania, è finita in un nulla di fatto a fronte di
un intervento diretto del governo tedesco.
L’Italia per ora rimane un approdo lontano per le aziende cinesi,
soprattutto quando si tratta di investire in progetti su larga scala e
potenzialmente di media-lunga durata. Se si parla di iniziative legate alle
componenti strategiche per la transizione energetica, in particolare, lo
stivale rimane più un mercato che un nodo industriale da cui far passare la
filiera tech di domani. Regno Unito, Francia e Germania rimangono le mete
predilette dai capitali cinesi, un orizzonte a cui si è recentemente
consolidato il ruolo dell’Ungheria. Ne è un esempio il caso del gruppo
Stellantis, che oggi detiene una parte significativa del mercato italiano tanto
nel comparto privato che quello dedicato ai veicoli commerciali. SVOLT è
ufficialmente entrata nella rosa dei fornitori di batterie al litio con un
accordo sulle forniture a partire dal 2025, e altri negoziati sono in corso con
i diversi attori coinvolti nella produzione e nell’assemblaggio dei veicoli. Un
reshoring con caratteristiche cinesi. Sabrina Moles - China Files, AffInt. 23
Il sistema politico nazionale vive ancora una sorta di “malessere”. Ora
basterà la tenacia del nuovo Esecutivo per un Paese alla ricerca di un suo
equilibrio socio/economico. Molti schieramenti politici hanno perso
l’originaria compattezza e affidabilità. I partiti sembrerebbero delegittimati.
In verità, tali li sentiamo; con la differenza che non tutti abbiamo
l’obiettività d’ammetterlo. L’agonia delle idee non consente, però, diverse
opinioni. Intanto, il Paese è allo sbando.
Ci sono ancora troppi punti d’ombra che chiedono d’essere illuminati. Prima
di tutto, almeno a parer nostro, si dovrebbero mettere a fuoco i parametri su i
quali puntare per frenare la recessione. Chi s’illude di tornare agli Esecutivi
del “buon governo” è un utopista in partenza. La teoria dei “poli” non
convince.
Meglio riconoscere che tutti i partiti, anche quelli che ci hanno
accompagnato in Pandemia sono in stallo. Una realtà che non dovrebbe, però,
implicare confusioni del quadro istituzionale nazionale. I tempi ci hanno fatto
capire che politica ed economia, pur convivendo, marciano su binari che non
dovrebbero incrociarsi più. Il Paese non ha bisogni d’altri confronti per
tenare di frenare la sua discesa. L’isolamento, che ancora condiziona tanti
politici, affossa anche il buon tratto di chi sarebbe meritevole. Del resto,
cambiare al “buio” non giova e la Democrazia è un bene troppo prezioso perché
si giochi su posizioni sconsiderate. Così, pur muovendoci verso il nuovo, non
ci sentiamo di sminuire le nostre perplessità per l’immediato futuro. Se è vero
che la speranza è l’ultima a morire, non vorremmo che fossimo privati anche di
questa. La via del recupero nazionale è ancora da percorrere ed è in salita.
Lo abbiamo capito. L’importante, a questo punto, è che la politica, che resta
sempre il più inquietante polo di diatriba, non vada a complicarsi. Anche
perché altri “apparentamenti” non avrebbero futuro se applicati alla solita
maniera. Lo abbiamo già scritto: la riabilitazione nazionale dovrebbe avere
differenti parametri da evidenziare. Di promesse, rimaste ancora tali, il Paese
non ne ha proprio più bisogno. Giorgio Brignola, de.it.press
Le guerre cambiano rapidamente. Ma molti – nella discussione pubblica –
usano gli stilemi della guerra di resistenza per sostenere chi viene aggredito
o il precedente dell’invasione americana dell’Iraq per relativizzare le
responsabilità di chi invade.
Ma le guerre sono cambiate profondamente. Gli Stati Uniti si sono ritirati
da molti conflitti mediorientali, ma Russia, Libia, Siria, Iran, Arabia
Saudita, Turchia, molti Stati africani, Francia (in Africa) stanno combattendo
utilizzando direttamente gruppi che ricorrono ai metodi propri del “terrorismo”
– piuttosto che quelli degli eserciti regolari -, dando parvenza di minimizzare
i traumi a cui sottopongono intere comunità o riducendo le responsabilità della
grande politica. Intanto abbondano armi chimiche, decapitazioni, eserciti di
mercenari, assedi medievali, sequestri e deportazioni di massa, città
annichilite: perché così, di fatto, funzionano le guerre del terzo millennio,
oggi.
Trasformazione delle guerre
Ciò non avviene, penso, per accresciuta crudeltà delle parti. È piuttosto
l’epoca del trionfo del potere dei servizi segreti e delle nuove élites
politico-militari, capaci di spacciare per vere realtà quelle capovolte, o
creare mostri indispensabili, come quando Hitler favorì l’incendio del
Reichstag per incolparne gli avversari.
Nell’Ottocento le grandi battaglie – quali Magenta, Austerlitz o Waterloo –
si svolgevano lontano dai centri abitati. Dalla II Guerra Mondiale non è stato
più così. In questi termini, nessuno può negare che gli Stati Uniti abbiano
svolto un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione dei conflitti,
ormai costruiti sulla distruzione e il terrore: l’uso della bomba atomica in
Giappone, del napalm in Vietnam e dell’uranio impoverito in Iraq, stanno a
testimoniare.
Mi sembra evidente che il problema è sentirsi sicuri di ciò che si ascolta,
si vede e si legge. Ci si trova, infatti, facilmente trascinati in dinamiche
tanto superate quanto manichee: “vittime contro carnefici”, “buoni contro
cattivi” e via di questo passo. Certamente esistono torti e ragioni, ma le
vittime non sono sempre buone, eroiche, innocenti. E poi, come potrebbero oggi
i “buoni” restare immuni dall’uso dei “cattivi” sistemi?
Nelle nuove guerre si percepiscono spesso complicità inconfessabili,
intrecci globali di malavite, trafficanti di armi, di droga e di esseri umani.
Se non si prende atto di tutto questo marciume, ci si può trovare a coprire i
grandi poteri dell’oggi, intrappolati nelle categorie del passato. Con queste
guerre non si può ragionare come nel Novecento, sebbene il cuore non cessi di
battere, e fatalmente batta più da una parte che dall’altra.
Guerre e società
Più le guerre divengono feroci, più trasformano le società coinvolte,
perché creano nuove narrazioni e nuove cerchie di ultra-ricchi. Le storie dei
popoli costruivano una psicologia collettiva, e questa emergeva nei conflitti.
È ancora così. Ma ora i nuovi poteri usano l’odio, i traffici e il terrore
non solo in relazione ad interessi e territori più o meno circoscritti, bensì
in ragione di ideologie fanatiche al servizio di élites miliardarie, operanti
su scala mondiale, che facilmente usano anche le religioni per legittimarsi.
Porto qui qualche ricordo – da giornalista – sperando possa giovare alla
ricostruzione della enormità del cambiamento.
La guerra libanese – quella che cominciò nel 1975 e si protrasse fino alla
fine degli anni Ottanta/inizi Novanta – ha contenuto in sé tante guerre: la
principale è stata la trasformazione di un conflitto territoriale in un
conflitto religioso che interessava all’ Iran. L’ho vista nella sua “coda”
quella guerra.
Ho cominciato a capirla quando mi sono chiesto perché il centro di Beirut
fosse polverizzato, mentre i quartieri limitrofi erano in piedi. Almeno una
parte di quel conflitto, dunque, è stata volutamente rivolta contro il centro
di Beirut e il suo stile architettonico, intenzionalmente promiscuo. I
falangisti cristiani lo volevano solo “occidentale”, ieri: oggi gli Hezbollah
sciiti lo vorrebbero solo “orientale”.
Beirut anni ’90
Ricordo benissimo quella sera in cui mi sono trovato davanti alla
“resistenza della cultura borghese”. Cerco di spiegarmi. Erano gli anni Novanta
quando giunsi a Beirut. Una sera, appunto, ero ad Hamra, il cuore del
cosiddetto versante musulmano di Beirut.
Camminare di sera, senza illuminazione stradale, era complicato: le persone
sembravano ombre, le strade erano piene di pozzanghere sulla cui natura era
meglio non indagare. Una donna, velata, varcò un portoncino: scoprii che lì
c’era un negozio. Entrai anch’io: la vidi chiedere senza esitazioni una
bottiglietta di Chanel n.5. Ho vissuto quei minuti come un momento di
rivelazione della rivoluzione borghese del Libano.
Chanel – simbolo francese per eccellenza della Francia prediletta dai
cristiani maroniti – era la scelta borghese di una donna musulmana, sicura di
quel che faceva, quindi cosmopolita, quindi libanese nel senso profondo di una
identità condivisa nelle diversità. Forse non amava le truppe francesi, ma quel
Chanel lo chiese a voce alta, in un emporio affollato da musulmani.
Sempre a Beirut, città allora senza telefoni, alcuni libanesi presero i
cavi delle linee telefoniche di Cipro e, con un’operazione sottomarina, li
portarono in città, con le prolunghe: con pochi dollari fu possibile chiamare
ovunque nel mondo da cabine create allo scopo.
Con questi ricordi ben fissi, mi sono convinto che il sistema tribale del
tiranno siriano Bashar al-Assad abbia continuato a combattere la cultura
borghese e cosmopolita di Beirut, anche dopo la fine della guerra. Oggi,
infatti, la borghesia libanese è scomparsa.
Baghdad-Belgrado
Mi servì tempo per capire poi che in Iraq stava accadendo la stessa cosa,
in termini persino più gravi. Vi resisteva, un poco, la vecchia élite, colta e
di gran qualità, ma la borghesia mi sembrava ormai svanita, dopo un ventennio
della cura infernale del satrapo Saddam.
All’inizio del nuovo millennio, a Baghdad, i negozi delle grandi firme
c’erano, ma solo in un noto quartiere periferico, quello in cui viveva parte
dell’élite, un po’ di alta burocrazia e i tanti arricchitisi con i contrabbandi
di regime. A Beirut invece i negozi di stampo occidentale si trovavano in tanti
quartieri.
Pure a Belgrado, nei terribili anni di Milosevic, c’era una vera,
preparatissima borghesia, europeista e nemica giurata del regime che voleva
creare la Grande Serbia, a tutti i costi. Quella borghesia non credeva al mito
nazionalista, parlava volentieri francese, pensava all’Europa. Ha vinto? No, ma
ha sfidato Milosevic, senza aiuti dall’estero.
Cos’altro c’era se non la stessa forza rivoluzionaria nella donna che, dal
sedile posteriore di un’auto saudita, aveva deciso di voltarsi verso di me,
abbassare il velo che le copriva la bocca e sorridermi per un solo momento,
prima che le rispettive auto si allontanassero? Ho pensato: «Paese che vai,
resistenza che trovi!».
Sebbene poco ci si creda, ho visto le borghesie saper sfidare – almeno in
parte – le verità etniche e confessionali della guerra che vuole fare
dell’altro il nemico assoluto.
Cultura contadina
Ho visto scendere in campo, peraltro, anche la cultura contadina. Mi ha
sorpreso, dallo stesso punto di vista, l’alterità culturale contadina, forse la
più atavica. Nel deserto iracheno, nel 1990, un plotone dell’esercito di Saddam
uscì dal nulla per arrendersi nelle braccia del collega del Tg3, Filippo Landi:
e ciò prima ancora che la guerra per liberare il Kuwait fosse cominciata: erano
soldati ed erano tutti vestiti di stracci.
Una diserzione – così davvero popolare – da una guerra che apparteneva al
regime, l’ha potuta raccontare solo Landi. Quando incontrai il collega – che mi
mostrò il filmato – provai una grande ammirazione per quel gruppo di contadini,
improvvisati guerrieri, per la forza rivoluzionaria del loro gesto solo
apparentemente senza coraggio, se non quello di indicare che il loro re era
nudo. Forza contadina!
Le guerre imposte da ideologie perverse odiano i loro stessi popoli, usati
e gettati. Ma il loro punto di vista poco o per nulla, però, tuttora ci
interessa. La guerra, dunque, cambia e trasforma le società, con i soldi,
l’odio e le ideologie. Eppure, il racconto degli inviati rimane
prioritariamente un racconto di “trincee”, di questi o di quelli, degli uni
contro gli altri armati.
A occhi aperti
Ma certo, è importante distinguere e sostenere la guerra difensiva da quella
offensiva: nei comportamenti, nei valori, nei metodi. È qui che la nonviolenza
può diventare un prezioso alleato di chi “resiste”. Chi combatte la mafia
raramente riserva ai mafiosi gli stessi trattamenti da loro applicati alle loro
vittime. Se lo dimentichiamo, la disumanizzazione dilaga.
Faccio allora un ultimo esempio. Un giorno volevo raggiungere il cosiddetto
versante serbo di Sarajevo, arrivando da Belgrado. La “Sarajevo serba” ha un
suo nome che non ricordo: è un agglomerato di case abbastanza lontano da
Sarajevo città. Partii e fu un viaggio lungo, in un paesaggio agreste, tra
covoni di fieno e contadini al lavoro. Improvvisamente mi apparve una casa
bucata al suo centro da una cannonata: evidentemente ci doveva abitare una
famiglia dell’etnia “sbagliata”.
Superata la fittizia capitale serbo bosniaca di Pale, imboccai la strada
che conduce sul monte Igman, che sovrasta Sarajevo: dal suo fianco i cetnici –
i miliziani serbi – tenevano sotto assedio la città. Uno di loro mi ha invitato
alla sua postazione e mi ha “offerto” la “ghiotta” possibilità di sparare un
colpo di mortaio su Sarajevo. Mi guardava ridendo, felice di offrire allo
straniero un simile privilegio. Sono tornato in macchina col cuore in tumulto.
Tanti discorsi sulla NATO, sugli errori o sugli orrori degli americani mi sono
spariti dalla testa.
Non dimenticherò mai lo sguardo di quel cetnico che mi ha inviato a
lanciare un colpo di mortaio su Sarajevo: per certi versi, mi ha aperto gli
occhi, “per sempre”, sugli ideologismi. Proprio quello sguardo mi ha riportato
in me stesso, quasi legandomi a quelle piccole sagome nere – umane – che
vedevo, da lontano, muoversi in quella città: per vivere, per
sopravvivere. Non ero forse chiamato a custodire il loro diritto di
difesa? Parlarne voleva dire anche aiutarli a non odiare nello stesso modo.
Riccardo Cristiano, Sett.News 12
Assegno di inclusione e supporto per il lavoro negati agli italiani che
rientrano
ROMA - “Il Decreto legge n. 48/2023 entrato in vigore lo scorso 5 maggio
prevede misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del
lavoro. Queste nuove misure che dal 2024 sostituiranno il RDC (Reddito di
cittadinanza) sono “l’Assegno di inclusione” e il “Supporto per la formazione e
il lavoro”. Si tratta di due benefici economici: il primo è in pratica una
integrazione al reddito familiare per famiglie povere; il secondo è uno
strumento teso a favorire l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a
rischio di esclusione sociale e lavorativa mediante la partecipazione a progetti
di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di
orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro”.
Così Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, che in una nota spiega
perché delle due misure non potranno beneficiare gli italiani che rientrano
dall’estero.
“Con la legge di bilancio per l’anno finanziario 2023 – ricorda Porta – è
stata disposta l’abrogazione dal 1° gennaio 2024 del Reddito e della
Pensione di cittadinanza. Purtroppo entrambe le nuove misure sono subordinate
(come il RDC d’altronde) a requisiti di residenza in Italia che escludono
praticamente tutti i nostri connazionali emigrati i quali dovessero rientrare e
trovarsi in una situazione di disagio economico e lavorativo. Infatti per aver
diritto ai due benefici economici ed occupazionali bisognerà far valere almeno
5 anni di residenza in Italia (e questo requisito non rappresenta ovviamente un
ostacolo per gli italiani che rientrano in patria) di cui due immediatamente
prima della presentazione della domanda (ed è questo il requisito che non potrà
essere fatto valere dai nostri emigrati iscritti all’Aire che rientreranno in
Italia), come stabilito dagli articoli 2 e 12 del Decreto”.
“Paradossalmente – aggiunge il deputato – i requisiti di residenza di cui
sopra che escluderanno dai due benefici gli italiani che rientrano in
patria sono stati introdotti (in effetti sono stati “ribaditi” perché
mutuati dalla normativa sul RDC) proprio dopo che la Commissione europea (come
ho denunciato a più riprese e anche in una mia recente interrogazione al
Ministro del Lavoro) ha avviato due procedure di infrazione nei confronti
dell’Italia, inviando lettere di costituzione in mora all'Italia, in ragione
del fatto che le normative sul RDC e sull’AUU non sono in linea con il diritto
dell'UE in materia di libera circolazione dei lavoratori e dei diritti dei
cittadini”.
“Con riferimento al requisito della residenza, infatti, l’istituto del
reddito di cittadinanza prevede, tra gli altri, quale condizione per accedervi,
l’aver soggiornato in Italia per 10 anni, di cui 2 consecutivi, immediatamente
prima della presentazione della domanda”, annota Porta. “A norma del
regolamento (UE) n. 492/2011 e della direttiva 2004/38/CE, la Commissione
ricorda infatti che “le prestazioni di sicurezza sociale come il "reddito
di cittadinanza" dovrebbero essere, invece, pienamente accessibili ai
cittadini dell'UE che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso
il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato. Inoltre, i
cittadini dell'UE non impegnati in un'attività lavorativa per altri motivi
dovrebbero poter beneficiare della prestazione alla sola condizione di essere
legalmente residenti in Italia da almeno tre mesi”.
“Insomma, il nuovo Governo ora conferma i pasticci di quello precedente in
materia di compatibilità dei requisiti di residenza richiesti per le
prestazioni di sicurezza sociale con la normativa comunitaria sulla libera
circolazione e i diritti sociali dei cittadini. Aspettiamoci perciò nuove
procedure di infrazione della Commissione europea contro l’Italia a causa dei
requisiti di residenza ora richiesti nel Decreto Lavoro ai fini del diritto
all’Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione e il lavoro che –
conclude – come ho ricordato sono ritenuti illegittimi dalla Commissione
europea e che penalizzerebbero (con l’esclusione dal diritto) anche e
soprattutto – se l’Italia non si adeguerà ai rilievi della Commissione europea
– i nostri connazionali che rientrano in Italia”.
(aise/dip 17)
Nel lessico corrente, “meta” esprime la nozione d’obiettivo che s’intende raggiungere.
Nessun vocabolario, però, riporta “come”. Con questa premessa, intendiamo
considerare la situazione nazionale. A nostro avviso, però, più che la “meta”
da raggiungere, ci sembrano interessanti i “modi” con i quali potrebbero essere
attivata.
Anche perché le “mete”, alla fine,
si sorpassano, mentre restano, per anni, i meccanismi utilizzati per il loro
mutamento. Per questo motivo, le nostre riflessioni si limitano ai fatti
recenti. Le previsioni non avrebbero pregio.
Intanto, l’Italia ha bisogno di
fiducia. Su quest’assioma, riteniamo che nessuno discordi. Il difficile, se non
impossibile, è trovare i mezzi per dare consistenza a un termine che, se resta
effimero, che non crediamo possa essere utile a nessuno. Se fosse sufficiente
la buona volontà, il nostro spazio di stima varierebbe. Sarebbe preferibile; ma
non è così.
La politica del “quotidiano” resta sempre in primo piano, ma gli effetti
d’ottimizzazione per il Paese stanno ancora confinati nel limbo di ciò che
poteva essere e non è stato.
Non avendo altre opportunità, la nostra linea resta sul fronte
dell’osservazione. Tenteremo, pur nei nostri limiti, d’essere propositivi.
Anche se non avremo la convinzione d’essere condivisi in toto.
Il traguardo da raggiungere resta, quindi, subordinato dalle scelte che il
Paese farà. Altre strade non ne vediamo. Anche perché non ce ne sono.
Giorgio Brignola, de.it.press
"L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli" in 42
sedi italiane all’estero
ROMA - In occasione della Giornata dell’Europa, che si celebra ogni anno il
9 maggio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
e la Fondazione Torino Musei hanno presentato la mostra “Europa.
L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli” in 42 sedi della rete
diplomatica-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura nel mondo, per
illustrare attraverso il linguaggio universale delle immagini i valori fondanti
dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa.
Prendendo avvio dal progetto espositivo realizzato dalla Fondazione Torino
Musei a Palazzo Madama in occasione della 132ma Sessione del Comitato dei
Ministri degli Esteri del Consiglio d’Europa, svoltasi a Torino a maggio 2022,
il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha fatto
propria questa iniziativa commissionando due nuove illustrazioni: la prima
dedicata al concetto di comunità, ispirata ai Trattati di Roma del 1957, e la
seconda al Manifesto di Ventotene.
È nata così una mostra che rende omaggio all’Europa e ai suoi valori con esposizioni
ed eventi, nel mese di maggio 2023, nei cinque continenti.
Gli illustratori coinvolti e i temi trattati sono: Matteo Berton, Palazzo
Madama; Rita Petruccioli, I trattati di Roma; Gio Quasirosso, Ventotene;
Camilla Falsini, Libertà; Elisa Seitzinger, Rispetto della dignità umana;
Andrea Serio, Uguaglianza; Anna Parini, Democrazia; Francesco Poroli, Stato di
diritto; Irene Rinaldi, Rispetto dei diritti umani; Lucio Schiavon,
Fratellanza; Ale Giorgini, Lavoro; Emiliano Ponzi, Cultura; Bianca Bagnarelli,
Pace; Marina Marcolin, Ambiente; Gianluca Folì, Scienza; Giulia Conoscenti,
Inclusione.
Ripartendo dal significato latino del verbo “illustrare” – far luce,
rischiarare, spiegare –, ogni autore ha proposto un distillato della propria
visione, per raffigurare e rendere comprensibili i diversi valori a qualsiasi
pubblico, di qualunque età e formazione, tramite un messaggio potenzialmente
chiaro, immediato e adeguato alla rapidità della sua percezione. Con pochi
segni e colori si sono riassunti fiumi di parole o di azioni nella semplicità
iconica di immagini che possano restare impresse nella memoria di ciascuno di
noi.
Una memoria che risale a quel lontano 9 maggio del 1950 quando l’allora
ministro degli Esteri francese Robert Schuman proponeva la creazione di una
Comunità europea del carbone e dell’acciaio. In quegli anni, le devastanti
conseguenze della Seconda Guerra Mondiale incombevano sulle nazioni europee e
Schuman aveva immaginato che la fusione delle produzioni di carbone e acciaio
avrebbe reso impensabile un nuovo conflitto. La sua storica dichiarazione è
considerata l’atto di nascita di quella che oggi è l’Unione Europea: “La pace
mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi,
proporzionali ai pericoli che la minacciano”.
“Il 18 ottobre 1961 a Palazzo Madama a Torino viene firmata quella Carta
Sociale Europea che apre alla piena integrazione dei diritti nel continente”,
ricorda Giovanni Carlo Federico Villa, curatore della mostra. “Quei diritti
che, con il linguaggio universale delle immagini, grandi illustratori italiani
hanno saputo narrare in modo del tutto originale, dimostrandosi pieni eredi
della tradizione dell'umanesimo e veri interpreti di un nuovo rinascimento
visivo”. (aise/dip 16)
ROMA - Si è tenuto ieri, 16 maggio, alla Farnesina, l’incontro tra i
parlamentari eletti all’estero e il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Presente anche la Senatrice del Pd eletta in Centro e Nord America, Francesca
La Marca, che ha commentato: “è stato un incontro fruttuoso e per questo
ringrazio il Ministro per avermi invitata. Con l’occasione ho voluto portare
alla sua attenzione alcune tematiche di notevole importanza per i nostri
connazionali residenti all’estero, oltre che far luce su alcune criticità della
mia ripartizione elettorale”. In primis, il “funzionamento dell’unità di crisi
per i connazionali all’estero” e la “situazione drammatica, dovuta a una
carenza di personale, nelle Sede Consolari”.
“Nonostante nell’ultima Legge di Bilancio, grazie al lavoro del Partito
Democratico, ci sia stato un aumento di 3.150 unità da destinare alle Sede
Consolari, purtroppo il numero è ancora inferiore alla soglia necessaria per un
adeguato funzionamento dei servizi – ha aggiunto ancora la senatrice dem -.
Inoltre ho sottolineato anche alcune criticità che mi sono state sottoposte dai
nostri connazionali per quanto riguarda le attese, spesso annuali, nel
richiedere un appuntamento per ottenere la cittadinanza. Un tempo elevatissimo
che deve assolutamente essere ridotto. Il Ministro mi ha poi anche ascoltato
sulla spinosa questione degli Enti Gestori di Lingua Italiana nel mondo. Ho
fatto l’esempio del Canada dove, su 7 enti gestori, ben 6 sono rimasti tagliati
fuori dai finanziamenti, o perché non hanno fatto richiesta o perché non sono
riusciti a ottenere i fondi necessari per i loro progetti. Questo crea un
rallentamento per quanto riguarda la promozione della lingua e della cultura
italiana nel mondo che non è assolutamente accettabile”.
“Un’altra tematica che ho posto all’attenzione del Ministro Tajani- ha
continuato la senatrice La Marca - è quella relativa al finanziamento per i
Consoli Onorari nel mondo. Nonostante, con un mio emendamento alla Legge di
Bilancio, sia riuscita a triplicare la dotazione dei suddetti fondi, essi non
sono ancora assolutamente sufficienti. Bisogna intervenire quindi sul capitolo
di bilancio per quanto riguarda i Consoli Onorari. Così come bisogna
intervenire per semplificare la prenotazione, per le pratiche relative al
rilascio dei passaporti, della cittadinanza e dello stato civile, che avviene
tramite il sito “prenot@ami” che, dal suo lancio datato giugno 2021, spesso è
stato al centro di molte lamentele che mi sono state sottoposte. Tempi di
prenotazione troppo lunghi sul sito, e spesso malfunzionamento di quest’ultimo,
sono le problematiche su cui bisogna prendere provvedimenti”.
La senatrice La Marca ha anche sottolineato la necessità di una maggiore
chiarezza sul progetto del “Turismo delle Radici” e su come e quando i fondi
destinati ad esso verranno utilizzati.
“Le richieste che ho sottoposto al Ministro hanno trovato la sua piena
attenzione, e per questo lo ringrazio. Sono sicuro che questo sarà solo il
primo di una lunga serie di incontri finalizzati a prendere coscienza, e a
trovare delle soluzioni rapide, alle problematiche che preoccupano gli italiani
all’estero” ha concluso la senatrice Francesca La Marca.
All’incontro hanno partecipato, oltre a 10 eletti all’estero e a il
Ministri Tajani, anche il Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari
Esteri e della cooperazione internazionale, Giorgio Silli, il Direttore
Generale per gli Italiani all’estero, Luigi Maria Vignali, e il direttore
generale per le risorse e l’innovazione, Renato Varriale. (aise/dip 17)
Dopo qualche settimana di “silenzio” abbiamo ricevuto alcune valutazioni da
Connazionali che ci leggono dalla Germania. Una presa d’atto gradita, proprio
perché evidenzia l’interesse degli Italiani “altrove” per il fronte
socio/politico nazionale che, ne abbiamo preso atto, continua a degradare. Noi
non ci siamo schierati a favore di nessuno, ma i risultati politici li
analizzeremo. E’ una promessa.
Le esternazioni di circostanza le lasceremo, però, a chi è competente. Noi
prenderemo, se ci saranno, in esame le reazioni del nostro Potere Legislativo
in quest’autunno molto “difficile”. Che, comunque, sarà chiamato a elaborare
una nuova legge elettorale. Ogni previsione, ora, sarebbe poco utile per fare
chiarezza su quanto succederà.
Non mancheranno qualificati commenti
che saranno interessanti da leggere e sui quali avremo l’opportunità di
riflettere. Sul fronte delle “scelte”, le congetture già si sprecano e ci
sembra inutile esprimere anche nostre “sensazioni” che, ovviamente, ci
sarebbero. Questo periodico internazionale ospiterà, sicuramente, Opinionisti;
quando avranno motivo d’intervenire. Le questioni politiche da chiarire, ora,
non sono marginali e di ciò s’è reso ben conto anche questo Esecutivo che
continua, forse unico nella storia della nostra Repubblica, a “vivere” sulla
fiducia di partiti nati per “garantire” una seria opposizione. Quella che,
oggi, non c’è. Giorgio Brignola, de.it.press
Le origini abruzzesi di Ron DeSantis, in corsa per la Casa Bianca
"E' una grande notizia: un bugnarese di seconda generazione in corsa
per la Casa Bianca, speriamo di poterlo ospitare qui al più presto". Un
lontano cugino ricostruisce l'albero genealogico del governatore: "Qui
anche altri parenti"
Ha salde origini abruzzesi Ron DeSantis, 44 anni, governatore della
Florida, aspirante candidato alla Casa Bianca, alle presidenziali 2024. E’
ritenuto il più probabile sfidante di Donald Trump all'interno del Partito
repubblicano. La bisnonna materna Maria Nolfi, classe 1901, emigrata negli Usa
da giovanissima e morta a soli 43 anni, era di Bugnara, piccolo centro
dell’Aquilano.
“E’ una grande notizia - dice ad Adnkronos il neo sindaco di Bugnara,
Domenico Taglieri, eletto lo scorso 15 maggio - un bugnarese di seconda
generazione in corsa per la Casa Bianca. Speriamo, naturalmente, che la
candidatura si concretizzi. Aspettiamo con trepidazione. Comunque siamo
orgogliosi di lui, un orgoglio tutto italiano”.
Il primo cittadino ricorda come il paese, agli inizi del ‘900, contasse
circa 3mila abitanti. “Ci furono - spiega - due importanti ondate migratorie, a
cavallo tra la prima e la Seconda Guerra mondiale e nel secondo dopoguerra. In
tanti partirono per gli Usa ma anche per il Venezuela a cercare fortuna”.
Attualmente sono circa 1.100 i residenti. “Tifiamo per De Santis, sperando di
poterlo ospitare qui al più presto”.
A Bugnara l'attuale governatore della Florida e aspirante candidato alla
Casa Bianca ha anche un lontano cugino che ha ricostruito l’albero genealogico,
partendo dai suoi avi per arrivare a Ron (all’anagrafe Ronald Dion) DeSantis,
classe 1978. E' Osvaldo Lupi, ex assessore comunale a Bugnara (Aq): era in
carica, con deleghe Bilancio e Urbanistica, fino a pochi giorni fa, quando in
paese si è rivotato e non si è ricandidato. Ha ricostruito le discendenze di
DeSantis, scartabellando negli archivi comunali di Bugnara e non solo, dal
1889.
“Maria Nolfi - riferisce Lupi ad Adnkronos - la bisnonna di Ron, era la
sorella di mio nonno Domenico. Entrambi sono emigrati in America. Lei
(1901—1944) è morta giovane dopo aver sposato Nicola De Santis (1898-1971). Da
loro è nato, negli Usa dove si erano stabiliti, Daniel James DeSantis
(1923-1979), nonno del governatore, che ha sposato Viola Petrella (1923-2016),
anch’ella di origini abruzzesi, figlia di Salvatore e Maria Dominique
Casasanta. Da loro - continua Lupi - è nato Ronald Daniel DeSantis, papà
dell’aspirante candidato presidente degli Stati Uniti. Questo da parte paterna.
La mamma si chiama Karen Ann Rogers, e discende da Rogers-Delisio,
Ruggiero-Storti-DeOto. Anche dall’altra parte, da quella materna, ci sono origini
italiane, ma non saprei indicarne la provenienza”.
Un tuffo nel passato. “Maria Nolfi - spiega ancora Lupi ad Adnkronos -
abitava in quella strada che un tempo era Vico Torrione. Qui ci sono anche
altri parenti del governatore. Più volte, ma inutilmente, ho cercato di
contattare DeSantis per chiedergli una visita in Abruzzo o comunque un
incontro. Siamo contenti del ruolo che ricopre e del fatto che ambisca a
diventare il Presidente. Gli auguriamo tutta la fortuna possibile. Comunque è
uno dei governatori più votati ed è un ottimo punto di partenza”. Adnkronos 25
Tra alluvione e crisi della politica
In questi giorni siamo tutti sconvolti dai drammatici eventi alluvionali
che hanno colpito la Romagna. Tutti ci chiediamo se non fosse possibile fare di
più: se le amministrazioni, la politica hanno mancato nella prevenzione.
Certo, è chiaro che gli eventi erano assolutamente estremi. Storicamente
rari. Ma, in futuro, rischiano di esserlo sempre meno.
Molti esperti hanno spiegato in questi giorni che occorrerebbe una diversa
politica della gestione del territorio, capace non solo di assicurare
l’ordinaria manutenzione dei corsi d’acqua (a volte, sarebbe già tanto), ma
soprattutto di ripensare criticamente e radicalmente il modo in cui, per
decenni, abbiamo edificato, irregimentato, ristretto gli alvei fluviali.
Insomma, servirebbe una visione nuova del territorio: il che vuol dire
spostare migliaia di costruzioni, rivedere ponti e strade, costruire opere di
contenimento che siano in grado di sostenere gli eventi metereologici estremi
cui andiamo incontro a causa del cambiamento climatico. Mentre cerchiamo di
arrestarlo, ovviamente. Con una enorme riconversione economica e culturale.
È chiaro che una sfida come questa comporta, da un lato, enormi risorse; ma
– soprattutto – richiederebbe una capacità di governo, di decisione, a volte di
imposizione estremamente elevata ed efficace.
Facciamo un esempio molto concreto. Chi di noi, oggi, accetterebbe di buon
grado l’ordinanza di un sindaco che, prendendo sul serio il cambiamento
climatico, gli imponesse di non abitare più la sua casa perché costruita –
legalmente, si badi – nel raggio di azione di un fiume? O di rilocalizzare la
propria azienda, per lo stesso motivo? E con quali poteri, peraltro, questo
sindaco potrebbe agire? Andando incontro a quale via crucis di polemiche,
ricorsi, sentenze, con l’ovvio rischio di non essere mai più rieletto?
Ecco allora che, dai drammatici fatti di Romagna, si può forse trarre
qualche riflessione sulla crisi dei nostri sistemi amministrativi e, più in
generale, della politica italiana, intesa per quello che dovrebbe essere: la
capacità di gestire i fenomeni, di fronteggiare – se non indirizzare – la
società e l’evoluzione della storia collettiva.
Ma perché non puliscono i fiumi?
Ecco la domanda che abbiamo sentito ripetere mille volte in queste
occasioni, in modo sconsolato. Tecnicamente, ha una risposta precisa, che
affidiamo ad un testo giuridico preso come puro esempio dal web
(www.lexambiente.it). Se avete la pazienza di scorrerlo vi renderà l’idea –
meglio di qualsiasi nostra riflessione – su cosa voglia dire oggi in Italia
“dragare il fondo di un fiume”. E amministrare la cosa pubblica.
«L’utilizzo dei fanghi di dragaggio – quali materiali costituiti da limi,
argille, sabbie e ghiaie misti ad acqua, provenienti dalle attività di
dragaggio di fondali di laghi, dei canali navigabili o irrigui e corsi d’acqua,
pulizia di bacini idrici – è disciplinato dall’art. 184-quater del D. Lgs. n.
152/2006, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. Decreto
Competitività), come convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n.
116. 1
I materiali dragati, sottoposti ad operazioni di recupero in casse di
colmata o in altri impianti autorizzati, cessano di essere rifiuti, qualora,
all’esito di operazioni di recupero, soddisfino una serie di requisiti e siano
utilizzati in conformità a determinate condizioni, diversi a seconda che i
materiali di dragaggio siano utilizzati in un sito o direttamente all’interno
di un ciclo produttivo.
Secondo il disposto di cui all’art. 184-quater, commi 1 e 2, se utilizzati,
in un sito, occorrerà che i materiali di dragaggio:
* non superino i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc)
di cui alle colonne A e B della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della
Parte IV, D.L.gs n. 152/2006, con specifico riferimento alla destinazione
urbanistica del sito di utilizzo;
* siano utilizzati direttamente, presso un sito di destinazione certo,
anche a fini di riuso o di rimodellamento ambientale, senza rischi per le
matrici ambientali interessate e, in particolare, senza determinare
contaminazione delle acque sotterranee e superficiali;
* siano sottoposti a specifici test di cessione, secondo le metodiche e i
limiti di cui all’Allegato 3 del D.M. 5 febbraio 1998…».
Proviamo a tradurre in linguaggio comune. Il materiale che togliete da un
fiume per “pulirlo” – secondo la legge italiana – non è semplice ghiaia o
sabbia: è un rifiuto. E come tale va smaltito, coi conseguenti (iperbolici)
costi e (ipertrofici) pezzi di carta. Cessa di essere un rifiuto solo a
determinate condizioni: dopo analisi chimiche, in base a dove lo si impiega,
secondo infinte possibilità, casi, tabelle, allegati.
In altri termini: un sindaco che (ammesso fosse suo compito) prendesse un
camion e una ruspa e pulisse il fiume dai detriti che ostacolano il deflusso
sotto il ponte che attraversa il suo paese, magari riportando il materiale
scavato sull’argine per innalzarlo, andrebbe immediatamente incontro ad una
denuncia per un illecito ambientale. Avrebbe infatti scaricato dei rifiuti
nell’ambiente. Gli scarriolanti emiliani di fine ’800, insomma, oggi sarebbero
degli ecocriminali.
È già chiaro dove vogliamo arrivare. C’è un intero sistema
legislativo/amministrativo che non funziona, alle spalle delle mancate
prevenzioni. C’è un’amministrazione retta da migliaia di leggi interferenti,
non sempre sensate, ma comunque gestite da soggetti diversi e spesso
conflittuali. Cosicché la domanda è inevitabile. Siamo governati da degli incompetenti
menefreghisti, oppure governare, in Italia, è ormai diventato quasi
impossibile? E, se è quasi impossibile fare le cose più semplici (come dragare
un fiume), chi mai avrà la capacità (se anche ci fossero i soldi) di affrontare
le enormi trasformazioni richieste dal cambiamento climatico?
La crisi della politica e dell’amministrazione italiana
I cittadini, giustamente, pensano che chi hanno eletto abbia tutti gli
strumenti per decidere e per fare. Si aspettano risposte. Ma spesso non si
rendono conto che la nostra politica – a prescindere dai colori – è diventata
una slot machine: metti dentro la moneta, ma quasi sempre non esce niente.
Il punto è che una democrazia funzionante non è solo un sistema dove si va
a votare, e poi chi ha preso più voti decide e “governa”. La democrazia, come
un tavolo, per stare in piedi ha bisogno di quattro gambe:
1. Rappresentanza
2. Poliarchia (o divisione del potere)
3. Stato di diritto
4. Partecipazione
Se qualcosa nel gioco di questi quattro principi si inceppa, la politica
democratica perde efficacia.
È quello che sta succedendo, per molti aspetti, in Italia. Con la crisi dei
partiti storici, i leader sono portatori di una rappresentanza quasi solo personale.
Eleggiamo sindaci come persone, non come esponenti di partito, specie nei
comuni minori. L’unica forza politica che hanno per “imporre” decisioni –
spesso – è la loro credibilità personale, assieme alla coercizione legale.
Ovviamente, una democrazia è tale se il potere non è tutto nelle mani di
una sola persona, per quanto eletta. Ergo, esso si divide – giustamente – tra
diverse istituzioni, diversi livelli amministrativi, diverse agenzie tecniche e
branche dell’amministrazione centrale che gestiscono i singoli aspetti: fiumi,
acque, urbanistica, beni paesaggistici, rifiuti, opere pubbliche… Tutti temi
interlacciati, ma gestiti da soggetti distinti, con legislazioni settoriali a
loro volta interferenti e che hanno al loro interno una enorme complessità,
frutto di sedimentazione storica.
Qui entra in ballo un tema annoso ma mai veramente risolto: la
semplificazione. Quasi sempre teorizzato da ogni parlamento e governo, e quasi
mai realizzato. Anzi, spesso, peggiorato. Perché in Italia la tecnica legislativa
– conseguenza anche della debolezza del Parlamento e delle maggioranze – è
fatta di norme “spot”, spesso emesse d’urgenza in risposta a pressioni
dell’opinione pubblica, raramente frutto di procedure accuratamente meditate e
organiche.
Rari i “testi unici” e comunque, anch’essi, soggetti a costanti revisioni e
complessificazioni da parte di norme occasionali, “milleproroghe”, regolamenti
comunitari, per tacere di interpretazioni, circolari, sentenze che spesso si
affastellano sui testi normativi.
In molti campi la risposta a una FAQ (= domande frequenti) su un sito
ministeriale vale più di una legge troppo generica. Col risultato che nessuno
ha mai la sicurezza di operare nella legalità e nella certezza del diritto,
quando deve farlo valere in tribunale. Tribunale che, come sappiamo, si potrà
pronunciare in modo molto diverso per vari livelli e gradi, e comunque mai
celermente: altro tema che reca paralisi. Insieme all’amara certezza che,
magari tra anni, molti dei sindaci che oggi vediamo spendersi eroicamente per
le loro comunità nel fango, finiranno indagati per l’inevitabile mancato
rispetto di qualche norma, nel cuore dell’emergenza o nei tempi precedenti. Il
che rende il mestiere del sindaco uno dei più “pericolosi” d’Italia. E sempre
meno ambìto: in molti paesi cominciano a mancare persino i candidati.
Infine, la partecipazione. Una buona decisione, in democrazia, dovrebbe
essere una decisione partecipata: il che riporta al dilemma tra decisioni
rapide ma imprecise o lente ma più condivise dalla comunità e quindi efficaci.
Basti dire TAV in Val di Susa, per capire di cosa parliamo. Senza dimenticare
che il confronto produce scelte più rispondenti ai bisogni (a volte emotivi)
dei cittadini, ma spesso non condivise dai tecnici delle amministrazioni che
dovranno attuarle.
Crisi “a quattro gambe” di rappresentanza, poliarchia, stato di diritto e
partecipazione. Ciò che ne consegue – in questo quadro seppure sommario di
tanti fattori – è spesso la paralisi. Non è nemmeno questione di fondi (che
pure spesso non sono sufficienti): è soprattutto questione di impossibilità a
condurre percorsi amministrativi e politici corretti, in tempi ragionevoli, in
una normale dialettica democratica.
Questo è il male italiano e questo è il male che ci espone a rischi ordinari,
e ancora di più a rischi straordinari di fronte alle sfide epocali. E,
ovviamente, questo non vale solo per fiumi e clima: che si parli di scuola, di
insediamenti produttivi, di infrastrutture, di energia, di beni culturali o di
reti telematiche, i processi decisionali si frazionano, le scelte necessarie –
anche quando evidenti e condivise da tutti – si allungano e, alla fine, il
sistema-paese si fa trovare sistematicamente impreparato alle sfide di settore,
storiche o quotidiane che siano.
L’esempio del PNRR
Non è solo questione di mancanza di soldi, quindi. Né di cattiva volontà
dei decisori o di liti tra partiti. In Italia spesso le cose non si fanno
perché non ci sono le condizioni per farle. Una serie di norme e di regolamenti
si affastellano e il loro “combinato disposto” (per usare una locuzione ormai
epica) determina l’impossibilità o l’estrema difficoltà ad agire. Una norma
mette risorse e le vincola a dei tempi. Un’altra, però, impone autorizzazioni o
procedure che, con quei tempi, non sono compatibili. Risultato: o si procede
per deroghe e proroghe, a proprio rischio e pericolo, o si rinuncia
all’investimento, pure possibile.
Anche perché la complessità del procedimento e delle norme affastellate
richiede una capacità dei funzionari amministrativi sempre maggiore. Invece, le
nostre amministrazioni sono sempre più fragili, carenti di giovani competenze,
ferme come sono state per anni nel turn-over per il “Patto di stabilità” che
bloccava le assunzioni.
E, in più, con un malinteso terrore delle responsabilità amministrative che
porta, per quanto possibile, a far firmare sempre prima gli altri, o a firmare
solo quando si è sicurissimi di non violare la legge: cioè, praticamente, mai.
Un fenomeno ormai evidentissimo, in un Paese del resto afflitto da “ricorsite
acuta”.
Un esempio ottimale di queste dinamiche lo offre il PNRR. Le risorse, nel
caso, non mancano. Per spenderle, si sono pure tentate semplificazioni
amministrative. Ma, nei fatti, molte misure del PNRR sono ferme. E lo sono
perché sono quasi “inspendibili” nel “combinato disposto” delle condizioni
giuridiche, organizzative, amministrative del nostro Paese. Che – infatti – da
decenni spende male i fondi comunitari, senza che nulla cambi.
Non a caso, il PNRR doveva essere preparato da una serie di riforme: e così
è stato, in parte. Ma quella che manca è una riforma radicale del nostro
sistema amministrativo, delle sue filosofie giuridiche e – per certi versi – di
tutta la filosofia del diritto e della legislazione italiana, ormai
insostenibile nei fatti e a fronte delle sfide che ci attendono.
Ripensare da zero il modello amministrativo
L’amministrazione italiana è un tipico esempio di “amministrazione
orientata alla norma”. Nata da quella sabauda, è da sempre improntata alla
cultura giuridica kantiana e napoleonica, dove il funzionario amministrativo è
un esecutore neutrale della norma, considerata unica garanzia dell’universale e
della liberazione dall’interesse particolare.
Il controllo, quindi, avviene quasi esclusivamente sul rispetto della norma,
presupponendo che l’applicazione della legge come “universale kantiano” porti
alla tutela dell’interesse comune. Sarebbe così, forse, se le leggi italiane
fossero “universali”: mentre ormai sono l’orgia del caso specifico e del
dettaglio. Il modello “orientato alla norma” ha avuto enormi pregi storici, ma
oggi oggettivamente non regge più.
I tentativi fatti negli anni ’90 e 2000 per evolvere l’amministrazione
italiana verso un modello manageriale sono sostanzialmente falliti. La nuova
“dirigenza” che doveva avere un rapporto di mandato con la politica si è invece
stabilizzata, mentre ministri, sindaci e assessori ruotavano rapidamente,
perdendo presa sulle macchine amministrative.
Nessun reale controllo sui risultati, nel frattempo, è venuto avanti, mentre
la lotta alla corruzione, la privacy, la programmazione hanno finito per
trovare soluzioni puramente “sulla carta”, che aumentano burocrazia e
inefficacia, senza incrementare le tutele e i risultati.
Sarebbe quindi necessario fermarsi davvero per tentare una riforma organica
dell’amministrazione italiana, prendendo atto dell’ampio fallimento della
“Bassanini”, peraltro ormai vecchia e precedente l’era digitale, che offrirebbe
spunti per un modello totalmente diverso di gestione di molti processi (appalti,
rapporti coi cittadini ecc.). Non che manchino leggi ed esperienze virtuose in
questo senso: ma sono isole in un mare stagnante. E non certo per colpa di chi
vi opera quotidianamente, spesso con enorme dedizione al bene comune. Le
energie migliori del paese se ne vanno in autorizzazioni pro-forma e in carte
bollate.
Servirebbe un’idea organica e radicale di riforma amministrativa, non più
centrata sul mero controllo formale normativo, ma sul controllo di risultato e
di efficacia: dove si va in galera se si sprecano soldi e non si fanno le opere
a regola d’arte, non se si omette un marginale atto d’ufficio.
Un’amministrazione dove valutazione e controllo sul campo siano sistematici,
contro malversazioni e corruzione, che le pure norme oggettivamente non stanno
fermando. Una rivoluzione copernicana, di modello idealtipico, con ampie dosi
di digitalizzazione e corredata da una – a questo punto, possibile – massiccia
semplificazione e delegificazione.
Tuttavia, il dibattito politico tocca questi temi in modo episodico o,
peggio, ideologico. Il regionalismo differenziato ne è un tipico esempio:
sposta risorse, risponde alle esigenze di qualche elettorato del centro-nord,
ma di certo non modifica i fattori che sono alla base dell’impasse
amministrativa italiana, che tocca ormai anche molte delle regioni e dei comuni
più efficienti. Come abbiamo visto – drammaticamente – in Romagna, ma come
avviene – obiettivamente – dappertutto.
Che si tratti di fiumi, fondi europei, opere pubbliche, termovalorizzatori,
autostrade, energie alternative, la risposta è sempre la stessa. Il sistema
pubblico non produce risultati, o troppo lenti, perché è malato nei suoi
presupposti normativi e organizzativi.
Se la nostra politica – anch’essa bisognosa di riforme – non saprà produrre
una riforma strutturale del nostro sistema amministrativo, rischiamo di
rimanere sommersi, ancora e ancora, non solo dal fango dei fiumi, ma anche da
quello della storia e del cambiamento epocale che, altrove, invece, avanza
inesorabile. Giuseppe Boschini, Sett.News 22
Difficile intesa sulle riforme. E’ necessario evitare sia le paure che le
ipocrisie
Il confronto sul tema delle riforme di qualche settimana fa, com’era prevedibile,
è partito male, è successo altre volte, anzi, ogni qualvolta il tema
costituzionale, presenzialismo, premierato, elezione diretta del premier è
stato riproposto dal governo di turno.
Si ha l’impressione che le forze politiche usino il tema costituzionale per
pura propaganda, per rabbonire un’opinione pubblica poco interessata al
problema, perché sempre più divisa e disorientata. Come dimostra la sempre più
scarsa affluenza alle urne in caso di voto.
Non si va oltre l’enunciazione del problema senza dare o almeno ricercare
una soluzione; ci si limita a dire che si tratta di mettere fine alla endemica
instabilità dei governi, vera piaga della nostra Repubblica fin dalla sua
nascita.
Le uniche due rilevanti riforme costituzionali che finora ci sono state,
quella del titolo Quinto e quella della riduzione del numero dei parlamentari,
sono passate senza grosse resistenze, ma solo perché gradite alla maggior parte
delle forze politiche in quanto portavano ad un ulteriore indebolimento sia del
governo che del Parlamento , già di per sé deboli.
Altrettanto dicasi del tentativo di riforma voluto da Renzi e bocciato dal
referendum del 2016 che, non prevedeva l’elezione diretta del presidente della
Repubblica o del premier ma, il supermanto del bicameralismo simmetrico, due
camere con uguali poteri e del titolo Quinto.
Il governo ne sarebbe uscito rafforzato ma, il progetto renziano era
destinato a fallire, come in effetti fu, per l’opposizione di un gran numero di
forze politiche, eterogenee nella loro natura, ma timorose di perdere, con un
governo più forte, il loro potere di veto sulle decisioni pubbliche e sulle
politiche del Paese.
I padri costituenti, dopo il ventennio fascista, lavorarono ad una
Costituzione che favorisse la formazione di governi deboli e quindi un sistema
istituzionale non già di “ pesi e contrappesi ” ma di soli contrappesi, in modo
da bloccare più facilmente l’azione dei governi, anziché favorirla e
sostenerla.
L’instabilità e l’inefficienza dei governi furono per molto tempo, almeno
fino agli anni ’90, bilanciate da un sistema di partiti forti e radicati nel
Paese.
Finita la Prima Repubblica, combinazione di governi deboli e partiti forti,
la Repubblica di oggi vede non solo governi deboli a rappresentarla ma anche
partiti senza più la solidità e la forza di una volta, chiaro segno
dell’indebolimento della politica rappresentativa e del rafforzamento, invece,
di apparati amministrativi con poteri di interdizione e di veto, che lontano da
ogni forma di visibilità, nell’ombra, possono esercitare ogni giorno a scapito
della politica rappresentativa.
Sarebbe il caso, vista la situazione presente, di fare in modo che sia
all’interno del governo, come anche nelle file dell’opposizione, la differenza
fra chi vuole veramente rafforzare la politica rappresentativa e chi invece si
lascia attrarre da pressioni e lusinghe, alimentate da interessi sempre più
numerosi e poteri di veto sempre più radicati, sappia finalmente porsi
all’attenzione di tutti.
Altro fallimento fu, proprio agli inizi degli anni Novanta, il cambiamento
della legge elettorale, nel vano tentativo di riformare l’assetto
costituzionale e quindi la forma di governo. Entrambe le riforme, legge
elettorale e governo, devono procedere insieme, altrimenti lo stallo è
inevitabile.
L’unico sistema di governo che una società divisa e frammentata si può oggi
permettere è quello che abbiamo, trasformistica che, nel tempo, ha garantito
alla nostra democrazia l’adattabilità necessaria a fronteggiare ogni genere di
pressione. Verissimo quanto detto ma, senza dimenticare che proprio perché
questo è il sistema di governo che abbiamo, le generazioni future si
ritroveranno a dover fare i conti con un debito pubblico che si
preannuncia stratosferico, come pure a
sprecare la grande occasione rappresentata dai fondi del PNRR, stante l’attuale
situazione. Prof.ssa Angela Casilli, dip 20
Francesco Giacobbe (Pd): “Serve sforzo condiviso per gli italiani
all’estero”
“Se c’è volontà bipartisan, è possibile raggiungere traguardi importanti,
non solo per la nostra comunità emigrata, ma per l’Italia. Gli italiani
all’estero non sono un problema ma una risorsa che deve essere utilizzata per
il sistema Paese”.
Così il senatore Pd Francesco Giacobbe, eletto nella circoscrizione Estero
Africa-Asia-Ocenia-Antartide, ai margini dell’incontro con il Ministro degli
Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Antonio Tajani, il Sottosegretario
con delega agli Italiani all’estero Giorgio Silli, alti dirigenti del MAECI e i
parlamentari eletti nella circoscrizione Estero.
Nel suo intervento nel corso dell’incontro, il sen. Giacobbe ha ringraziato
il Ministro per avere voluto ascoltare dai parlamentari quelle che sono le
priorità delle comunità di italiani nel mondo e i loro suggerimenti.
“Ci sono molti progetti in cantiere sui quali, personalmente, lavoro da
tempo. Ora i tempi sono maturi e se c’è una volontà politica bipartisan di
impegno e valorizzazione degli italiani nel mondo, allora possiamo raggiungere
traguardi importanti”, ha detto il senatore aggiungendo: “Gli italiani nel
mondo sono una risorsa immensa della quale, purtroppo, spesso non tutti si
rendono conto. Il contributo che hanno apportato le nostre comunità per
l’affermazione del Made in Italy nel mondo, ad esempio, è inestimabile. Ma oggi
servono interventi e investimenti mirati perché gli italiani all’estero si
sentano coinvolti e valorizzati nella ripresa economica e sociale del Paese. E,
soprattutto, bisogna cominciare a parlare ai giovani emigrati e ai
naturalizzati all’estero usando un linguaggio più vicino alla loro generazione.
Per raggiungere questo obiettivo, sport, arte e Turismo di ritorno,
rappresentano dei punti essenziali”.
Fra gli argomenti che sono stati toccati dal senatore nel suo intervento:
riacquisto della cittadinanza per chi l’ha persa prima del 1992; assistenza
sanitaria in Italia per gli iscritti all’AIRE; istituzione Settimana dello
Sport Italiano nel mondo; coinvolgimento dei giovani nelle politiche
dell’emigrazione; Turismo di ritorno; adeguamento dei contratti per personale
consolare che tengano in considerazione il costo della vita dei paesi dove sono
impiegati; investimenti per migliorare la rete di servizi ai cittadini italiani
nel mondo. (Inform/dip 16)
Gli eletti all’estero incontrano il ministro Tajani
Ho partecipato, insieme ai colleghi parlamentari eletti nelle varie
circoscrizioni estere Franco Tirelli, Toni Ricciardi, Christian Di Sanzo,
Andrea Crisanti, Francesco Giacobbe, Francesca La Marca, Simone Billi e Andrea
Di Giuseppe, alla riunione con il Ministro degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani alla quale era presente anche il
Sottosegretario agli Affari Esteri con delega per gli italiani all’estero,
Giorgio Silli. Ognuno di noi ha affrontato dei temi particolari
difendendo e supportando il personale e le retribuzioni dei contrattisti,
l’internazionalizzazione, la promozione delle aziende italiane con la possibile
formazione di Joint venture e il trasferimento del know how senza
delocalizzare. Abbiamo affrontato il tema del riconoscimento dei titoli di
studio, di incentivare il turismo delle radici, del riacquisto della
cittadinanza, di ottenere finanziamenti per gli enti gestori e i Comites. Ci
siamo soffermati anche sulla diplomazia parlamentare, sul ruolo delle
Ambasciate come punto di incontro diplomatico-commerciale- politico, delle
Camere di commercio italiane all’estero come punto snodale per le comunità
d’affari locali e il grande lavoro di complementarità che le camere possono
svolgere per la promozione degli investimenti. Abbiamo chiesto assistenza
sanitaria in Italia per gli iscritti all’AIRE, il coinvolgimento dei giovani
nelle politiche dell’emigrazione. Gli italiani residenti all’estero sono una
grande risorsa e hanno bisogno di sentirsi italiani di serie A, soprattutto le
seconde e terze generazioni che possono influire tantissimo per la promozione
del Made in Italy. Dall’incontro è venuto fuori che siamo uniti nella difesa
degli italiani all’estero, e sul ruolo che giustamente esse debbano avere“.
Cosi‘ Nicola Carè, deputato del Pd eletto all’estero.
Daniela Caprino, dip
Commissioni, la palla al piede del turismo
Sempre più il settore turistico incatenato dalle commissioni è affetto da
sofferenza e stasi. Prenotazioni, imprenditori, tasse, sviluppo, turisti,
incoming, economia, cultura, arte, finanza, viaggiatori, flussi, innovazione,
portali di prenotazioni, piattaforma turistica, host: tutte parole che
rischiano allo stato attuale di suonare vuote, di portare danno e non
beneficio, di essere un boomerang per la nostra amata Patria, per l'Italia che
portiamo nel cuore, per tutto il comparto turistico che ha ampiamente sofferto
anche a causa delle chiusure anti Covid. Il turismo in Italia rappresenta l'1,2%
del PIL nazionale, ma potrebbe fare molto di più, pensando che in termini di
valore aggiunto generato dalle presenze turistiche nel 2022 si sono superati
gli 89,1 miliardi di euro contro i 99,9 miliardi del 2019, causa
Covid compresa. l sistema turistico di prenotazioni, in Italia e nel mondo, è
fortemente malato, è avvelenato, è svuotato. Il sistema così concepito e così
gestito non è benefico né per il turista, né per l'imprenditore che opera
all'interno del sistema turismo, concepito a 360°, né per le associazioni di
categoria, né tantomeno per lo Stato italiano.
E' necessario porre immediato rimedio! E' necessario riflettere sulla
motivazione di questa malattia. E' necessario svolgere una ricerca
approfondita, uno studio e una successiva azione che ponga fine, da adesso in
avanti, a tutto questo, a questa perdita di denaro, a questo continuo e
infinito aiuto alle multinazionali straniere e ai sistemi di prenotazione
turistica esteri. Porre fine a questa falla economica. Da oggi però abbiamo
un'arma in più. Si sono poste le basi per rivoluzionare il mercato turistico,
aiutando gli imprenditori, le associazioni di categoria e lo Stato Italiano.
Ricerca, studio, innovazione tecnologica, conoscenza del mercato turistico,
finanza applicata al settore dei viaggi: dopo anni di studio dedicati a questo
fenomeno, si è trovato il responsabile di questo degrado finanziario e di
questo freno al vero sviluppo turistico italiano a danno dei turisti, degli
imprenditori e alle finanze dello Stato. Una piattaforma turistica tutta
italiana ha un concetto innovativo che mette al centro due priorità specifiche.
Da una parte le Strutture Alberghiere Italiane, gli Hotel, i B&B, gli
Agriturismi, i Musei, i Ristoranti, le Pizzerie e tutte le aziende coinvolte
nel settore ricettivo che fino ad oggi hanno pagato e pagano anche fino al 20%
di commissioni su tutte le prenotazioni che ricevono dalle principali
piattaforme turistiche on line (a titolo di esempio: Booking.com, Airbnb,
Expedia, TripAdvisor). Ecco allora la novità: queste aziende, questi
imprenditori potranno risparmiare ben 1,5 miliardi di Euro – sì, ha letto bene
- 1,5 miliardi di Euro, aumentando così il loro fatturato, e non di poco, e
saranno anche in grado di migliorare sia le strutture stesse, sia il servizio offerto
al cliente, al turista/viaggiatore. Dall'altro lato abbiamo lo Stato Italiano
che potrà così incassare molto di più e avere un graduale gettito derivante
dalle tasse e il 25% di IVA in più, in riferimento ai suddetti dati.
Ecco allora la soluzione, quella cui si accennava poco fa: AdviceTourism
promette che nessuna struttura, nessuna e mai, pagherà le commissioni. La
percentuale che pagheranno gli imprenditori dei vari campi legati al turismo,
in tutte le sue sfaccettature, sarà pari a zero. L'imprenditore, pur avendo la
forte necessità di affidarsi ai portali turistici internazionali online non
dovrà corrispondere nessuna somma relativamente agli affari conclusi: la
trattativa e lo scambio di denaro avverrà direttamente tra cliente e
imprenditore, con l'ulteriore vantaggio che questa trattativa diretta, questo
diretto scambio di necessità in termini di date libere, di strutture ed
esigenze specifiche porterà a un miglioramento dei servizi offerti e del
rapporto con il turista, turista che oggi ha una visione diversa, si tratta
infatti del cosiddetto "Turista 2.0".
Vediamo gli studi condotti sul turismo, tradotti in termini numerici molto
semplici. Il fatturato totale mondiale delle prime 7 piattaforme è di ben 64,96
miliardi di Euro, lo ripetiamo 64.960.000.000 di Euro. Altri 15 miliardi
vengono fatturanti dalle cosiddette piattaforme minori, ma è necessario tenere
conto che alcune di queste sono state assorbite dalle più grandi sul mercato.
Ben il 50% di questo fatturato annuale arriva dal mercato europeo, la stessa
Europa di cui fa parte l'Italia. Adesso arriva il bello o per meglio dire il
brutto, la delusione, il tallone di Achille a cui però per tutto quanto sopra
esposto, si può benissimo porre rimedio.
Il profitto netto di queste cifre da capogiro viene assorbito nella quasi
totalità da una parte dagli USA, principale Paese dove si trovano le società di
appartenenza delle suddette multinazionali, e dall'altra dai Paradisi fiscali
dove hanno sede alcune delle Piattaforme principali, ad esempio Airbnb, che,
guarda caso, ha contenziosi con i principali Stati europei. Perché? Perché non
paga le tasse sui propri guadagni nello Stato in cui li guadagna, ovvero nei
singoli Stati in cui conclude la prenotazione stessa.
Cosa cambierebbe non facendo pagare nessuna commissione?
Cambierebbe tutto: nessuna commissione/percentuale da riconoscere, maggior
guadagno per gli addetti al settore turistico, fatturati e guadagni che
rimarrebbero sul territorio europeo e italiano, maggiori investimenti, maggiore
pagamento delle tasse, maggiori sviluppi commerciali e successivi maggiori
occupati nel mondo del lavoro. Gli albergatori sostengono da sempre che per
prenotare una stanza su internet ormai ci sia sempre un “portiere” tra la
struttura e il cliente. Questo “portiere” però ha un vizio, un difetto,
un'arroganza: impone una catena, impone una schiavitù che ormai nel lungo
termine è divenuta insostenibile.
Questo “portiere” impone ad entrambi (imprenditore e turista/viaggiatore)
il prezzo che vuole lui senza che le due parti possano svincolarsi. A supporto
di questa attività di intermediazione c'è quella che oggettivamente possiamo
definire una straordinaria capacità di indicizzazione sui motori di ricerca
come Google, al prezzo di forti investimenti di digital marketing, che però
hanno finito per porre, secondo la tesi degli imprenditori del settore, un
limite alla concorrenza perché comparire tra le prime segnalazioni in rete è
diventato impresa impossibile per una piccola struttura ricettiva priva dei
capitali necessari, a tutto ed esclusivo vantaggio delle multinazionali del
settore.
D’altronde succede da anni che la gran parte della ricerca delle camere avvenga
su internet scavalcando non solo le agenzie turistiche tradizionali, ma anche
gli stessi alberghi, e questo è il problema principale, la vera schiavitù e
mancanza di libertà di azione. Quella libertà di azione che è aria pura, che è
il segno distintivo dell'imprenditore, in qualsiasi mercato e settore esso
operi. Peccato che il mercato sia di fatto monopolizzato da grandi piattaforme
come Booking.com, Airbnb ed Expedia in grado di comparire stabilmente nella
prima pagina di Google se sei alla ricerca di una camera per qualche giorno.
D’altronde la varietà degli hotel segnalati è infinita, come la scelta per il
cliente finale che sente di poter toccare con mano la libera concorrenza
scegliendo il miglior rapporto qualità/prezzo: questo è un servizio a valore
aggiunto difficilmente sostituibile.
Questo “portiere” ha però un costo e che costo: il prezzo di questa
attività di intermediazione oscilla tra il 15 e il 20%. Un margine che gli
albergatori hanno sempre ritenuto eccessivo ma si sa... combattere contro i
giganti, contro le multinazionali del settore turistico e contro un sistema che
schiavizza non è facile da soli. L'imprenditore, il piccolo imprenditore,
l'esercito dei piccoli e medi imprenditori che sono la vera ricchezza della
nostra Italia, coloro che sono la linfa vitale della cultura e dell'economia
italiana, da soli non riescono a combattere. Per meglio dire possono farlo, ma
la sconfitta è assicurata, non solo della guerra ma anche della singola
battaglia. Gli imprenditori denunciano che nessuno di loro ha il potere
negoziale per ottenere, per spuntare un trattamento migliore a meno di pagare
il prezzo più alto, ovvero quello di sparire dal principale distributore
internazionale del comparto turistico, la rete internet. Ma come si fa nel 2023?
Nel 2019 le cosiddette «online travel agencies» hanno fatto da
intermediazione in Italia su prenotazioni per circa 5 miliardi di Euro,
riscuotendo commissioni per oltre un miliardo e mezzo di euro (1.500.000.000 di
Euro) sulle quali non vengono pagate, è la tesi accusatoria, tutte le tasse che
dovrebbero. La procura di Genova ha fatto richiesta di rogatoria all’Olanda,
dove c’è la sede europea di Booking.com, perché ipotizza un’evasione Iva per
oltre 250 milioni di Euro (250.000.000 di Euro). Cifre pazzesche!
Adesso è il momento di agire. E' necessario rivedere tutte quelle regole e
sotterfugi legali che permettono alle grandi piattaforme straniere di
guadagnare sulla pelle degli albergatori e alle spalle dello Stato, quello
Stato italiano che se introitasse quanto sopra esposto potrebbe attivare
politiche sociali e creazione di posti di lavoro, permettendo così di far
rimanere in Italia i maggiori guadagni, che si tramuterebbero in maggiori
gettiti e tasse. Queste azioni rivoluzionerebbero il modo di fare turismo e
prenotazioni, con un totale appoggio, ringraziamento e memoria a lungo termine
di tutta la classe alberghiera: un esercito di persone che secondo le ultime
stime ammonta a ben 1.621.000 persone pari al 7% degli italiani impiegati.
E' il momento di dire basta, basta a questo diktat, basta a questa
schiavitù, basta agli affari a tasse zero: per risolvere questi impedimenti e
problemi, oggi difficilmente superabili dato il contesto di assoluta imparità,
nasce la start up AdviceTourism, l'Unica Piattaforma Turistica Internazionale
Senza Commissioni.
Massimiliano Ferrara, de.it.press 24
Da oltre sessant’anni monitoriamo il flusso migratorio italiano nel mondo.
Milioni di Connazionali hanno lasciato, e continueranno a lasciare, la Penisola
per trovare altrove dignità e lavoro. Insomma, per costruire un loro futuro
meno incerto. Quello che in Patria è sempre più incerto. Di questa nostra
umanità non s’è mai trattato a sufficienza e nel modo opportuno. L’italianità
nel mondo s’è diffusa con i suoi pochi mezzi e la nostra Gente s’è fatta
stimare in tutte le contrade ove s’è sviluppata una Comunità italiana.
E’ da parecchio tempo che abbiamo proposto al mondo della politica una
“Giornata Internazionale degli Italiani nel Mondo”. Sembrerebbe, infatti,
opportuno accrescere l’immagine di tutti gli italiani all’estero che, se pure
integrati nei Paesi ospiti, continuano ad avere un rapporto con la Madre
Patria. Intendiamo suggerire, a chi spetta, il varo della “Giornata Internazionale
degli Italiani nel mondo”. Un riconoscimento all’impegno della nostra Gente
“altrove”. Però, l’idea è stata posta nel “dimenticatoio” delle cose non
sostanziali.
Ora ci riproviamo. Orgoglio d’essere italiani si può onorare con una data
commemorativa. L’iniziativa potrebbe essere assunta anche da questo Parlamento.
Ultimo con i “numeri” alla vecchia maniera.
La “giornata” potrebbe essere gestita in Patria dalle Prefetture.
All’estero, dai nostri Consolati, e dai Com.It.Es.
Pur se a costo “zero”, l’idea è rimasta ancora tale. Ora, la ripresentiamo.
Sicuri che si andrà a identificare una data per la “Giornata Internazionale
degli Italiani nel Mondo”. Fare delle proposte sarebbe già un segnale di
condivisione.
Giorgio Brignola, de.it.press
Assemblea parlamentare Nato, Carè (Pd): guerra in Ucraina e cybersicurezza
La delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della Nato di cui
faccio parte ha partecipato alla sessione primaverile dell'Assemblea in
Lussemburgo. La sessione si è aperta con la riunione congiunta della
Commissione permanente, l'organo decisionale dell'Assemblea, con la Commissione
Nato-Ucraina, nel corso della quale il co-presidente ucraino Kornyenko ha
richiamato in particolare l'attenzione sulla necessità, da parte ucraina, di
potenziare l'azione difensiva, con il sostegno dei paesi dell'Alleanza.
Successivamente, si è svolta la riunione della Commissione permanente, seguita
il 20 e 21 maggio da quella delle 5 Commissioni dell'Assemblea: Difesa,
Economica, Scienza e Tecnologia, Politica e Democrazia e Sicurezza, alle quali
hanno partecipato i parlamentari italiani. Tra i temi al centro del dibattito:
la guerra in Ucraina, il ruolo globale della Cina, l'approvvigionamento alleato
alla luce della nuova postura in materia di sicurezza e resilienza, il prossimo
Vertice di Vilnius, la tutela delle infrastrutture marittime critiche, le nuove
tecnologie, la sicurezza energetica e alimentare. Il 22 maggio ha avuto luogo
la sessione plenaria, durante la quale si è svolta, come di consueto, una
sessione di domande e risposte al vice segretario generale della Nato, Mircea
Geoana. La delegazione italiana ha presentato un emendamento - laddove si
chiedono nuovi impegni di spesa e investimento per la difesa oltre il 2024,
superando un livello minimo di investimento del 2% del PIL per la difesa -
volto a chiarire quali spese possano rientrare nei livelli minimi richiesti, a
fronte delle nuove sfide che si affacciano, quali la minaccia cyber,
ambientale, alimentare o ancora il terrorismo.” Cosi in una nota Nicola Carè,
deputato del Pd eletto all’estero che insieme a Lorenzo Cesa (Presidente)
Andrea Orsini (Vicepresidente) e insieme ai colleghi Calovini, Cantone, Crippa,
Formentini, Tremonti, Barcaiuolo, Losacco, Malpezzi, Marcheschi, Orsomarso e
Paroli fa parte della delegazione Italiana. De.it.press 23
Carta d’identità elettronica più semplice e veloce
ROMA – La Carta d’Identità Elettronica (CIE) è ancora più semplice, veloce
e sicura. Tutti i cittadini in possesso della CIE potranno, infatti, accedere
ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione e dei privati semplicemente
impostando on line una password e senza aver più bisogno della carta fisica a
portata di mano.
Dopo una fase di sperimentazione con alcune amministrazioni, ora per
l’accesso ai servizi digitali abilitati, si potrà scegliere se continuare ad
utilizzare la carta fisica oppure in modo più semplice inquadrare un QR Code
tramite l’App CieID o inserire email e password con un codice temporaneo
ricevuto per SMS.
La Carta di Identità Elettronica (CIE), il documento d’identità emesso dal
Ministero dell’Interno con la collaborazione del Dipartimento per la
Trasformazione Digitale e realizzato dal Poligrafico e Zecca dello Stato, è già
nelle mani di oltre 35 milioni di italiani e consente la verifica dell’identità
sia fisica che digitale del titolare.
La CIE può essere rilasciata fin dalla nascita e viene utilizzata da una
platea di utenti molto ampia: dai minori agli anziani fino ai cittadini
stranieri residenti in Italia.
La Carta d’identità Elettronica è l’identità più sicura: – Specifici
elementi di anticontraffazione congiuntamente alla presenza di un microchip
integrato, garantiscono l’autenticità dei dati del titolare al massimo livello
di sicurezza; – É l’unico strumento che permette il riconoscimento fisico di
una persona; – Attraverso l’utilizzo della carta fisica è garantito l’accesso
con il massimo livello di sicurezza previsto in ambito comunitario.
Più facile da usare. Con l’App CieID o con un codice temporaneo ricevuto
per SMS è possibile accedere velocemente ai servizi online. Una facile chiave
per utilizzare, in pochi minuti, comodamente e con qualsiasi dispositivo, i
servizi digitali delle amministrazioni che hanno già reso disponibile per i
propri utenti questa nuova funzionalità, come ad esempio Agenzia delle Entrate
e INPS.
Più servizi disponibili. La CIE permette di firmare un documento digitale
attraverso una firma elettronica avanzata sia in ambito pubblico che privato; i
cittadini che hanno comunicato in fase di rilascio della CIE l’email o il
cellulare e avessero smarrito il PUK possono recuperarlo in modo semplice
attraverso l’App CieID.
È possibile attivare l’identità digitale CIE con le nuove funzionalità
attraverso il sito www.cartaidentita.it
anche subito dopo la richiesta di rilascio del documento. (Inform/dip
16)
Nel caos in cui s’è trovata la
nostra politica, i partiti di maggioranza e d’opposizione, non sono stati in
grado, almeno in prima battuta, d’assumere una linea conforme all’emergenza che
si è presentata come incontenibile. Le manovre politiche del passato sono
crollate al cospetto di una realtà che non dava il tempo di tentare
“aggiustamenti” atti a tamponare una situazione che si aggravava ogni giorno di
più. Poi, è stato il “momento” di Draghi.
Ci siamo resi conto che il mito del
Sovranismo sarebbe rimasto solo un concetto teorico per il quale non avrebbe
più avuto senso investire il nostro futuro. La situazione è difficile e lo
rimarrà ancora per molto. Pur senza pretendere d’esorcizzare il nostro futuro,
si dovrà trovare un provvedimento capace, entro l’anno, di dare concreti
benefici a chi ne ha bisogno.
Sempre che i rigurgiti nazionalisti
non riemergano dal mare delle incomprensioni. Per quanto possa contare, siamo
per provvedimenti di sostegno generalizzato; anche se a fondo perduto. Perché
se un Paese “arretra”, non avrà più un suo ruolo indipendente e andrebbe a
coinvolgere anche gli altri. In questa primavera sibillina, intendiamo
ricordare anche i milioni di Connazionali all’estero che sono l’Italia
“altrove”.
Anche la solidarietà giocherà un suo
ruolo primario se non sarà dispersa nei “rivoli” dei conformismi nazionali. Il
dramma del Covid-19, tra l’altro, ci ha fatto intendere che la solidarietà
internazionale può avere una sua logica proprio in questa fase d’emergenza
globale. A nostro avviso, questo potrebbe essere un veicolo per stimolare la
cooperazione, Con la consapevolezza che, diversamente, ci vorrebbe poco per
deludere, irreversibilmente, le umane aspirazioni del nostro Paese. Giorgio
Brignola, de.it.press
Lucani nel mondo: Approvati i Programmi 2023 e 2023/2025
Potenza – Nella prestigiosa ‘Villa Nitti’ ad Acquafredda di Maratea
l’assemblea regionale dei Lucani nel mondo ha approvato, all’unanimità, il
Programma annuale 2023 e il Programma triennale 2023-2025. Previsti per il 2023
circa 270.000 euro per il “Piano delle attività a favore dei Lucani nel mondo”.
Dopo un 2020 che ha registrato un numero inferiore di italiani che ha
lasciato l’Italia per andare all’estero, a causa della pandemia, il 2021 ha
fatto registrare un nuovo aumento delle iscrizioni all’AIRE. Al 31.12.2021 gli
italiani iscritti all’AIRE sono 5.806.068; un numero ben maggiore dei 5.288.281
fattosi registrare nel 2018, di cui oltre 2,8 milioni risultavano residenti in
Europa, ed invece ad oggi risultano così distribuiti: 3.187.011 in Europa,
70.171 ini Africa, 73.887 in Asia, 2.311.871 in America, 163.054 in Oceania e
74 in Antartide.
Le comunità lucane più numerose sono in Argentina (33.074) Germania
(18.843) e Svizzera (18.365). I comuni più rappresentati sono Marsico Nuovo
(3.289), Potenza (3.079), San Fele (3.066) e Lauria (3.029). In termini
percentuali, l’incidenza maggiore tra emigrati e residenti, è quella di
Castelgrande (166,6 %), davanti a Montemurro (146,9%) e Pescopagano
(120,0%). (fonte: Migrantes, rapporto del 2021).
Tante le iniziative in programma che hanno ottenuto il via libera dalla
Commissione regionale dei Lucani nel mondo.
Alla Federazione delle Associazioni e Circoli Lucani In Piemonte – Torino
assegnati 9mila euro, alla Federazione associazioni lucane in Germania
assegnati 14mila euro, al comune di Pisticci 4mila euro per l’integrazione
Progetto scambio culturale Pisticci Toronto, già finanziato con l’annualità
2022 concernente azioni di presentazione di un’offerta turistica in grado di
attrarre i Pisticcesi residenti in Canada attraverso una riscoperta delle loro
radici con il coinvolgimento delle aziende turistiche della fascia costiera
ionica. All’Associazione La Lucania Maasmechelen (Belgio) destinati 20mila. Al
Comune di Calvera 19mila euro per il progetto: “ricordando “José Libertella”,
al Comitato murese per la promozione ed accoglienza turistica 14mila euro per
il progetto promosso dal Comitato Murese soggetto attuatore e l’associazione di
Karlsfeld Germania, con la collaborazione dei comuni di Muro Lucano e
Karlsfeld. Ai Comuni di Tito e Satriano di Lucania 18mila euro per lo scambio
di giovani socio culturale Tito, Satriano di Lucania e Uruguay.
Al Comune di Tolve 4mila euro per la prima edizione della “Giornata del
migrante”, al Comune di Accettura 4mila euro per la Giornata degli Accetturesi
nel mondo incontri e racconti, al circolo culturale Giustino Fortunato di Roma
2mila euro, all’Associazione “Tarantella Lucana” A.S.D – di Reggio Emilia 4mila
euro, all’Associazione culturale Amici della Lucania di Chieri, 3mila euro,
all’Associazione culturale dei lucani a Trieste assegnati 2mila euro,
all’Associazione Famiglia Basilicata (Lucania) Rosario, Argentina, assegnati
8mila euro, al circolo culturale lucano Parma assegnati 4mila euro, per la
Federazione lucana d’America stanziati 5mila euro. Previsti poi 1.550 euro per
il rimborso delle spese al Comune di Tramutola per il rientro delle salme degli
emigrati deceduti all’estero e contributi a favore di emigrati lucani rientrati
definitivamente in Basilicata nel Comune di Maratea (3mila euro), Muro Lucano
(3mila euro) e Pignola (3mila euro).
Per l’Associazione socio culturale Siamo Lucani di Brescia previsti 2mila
euro, all’Associazione dei lucani a Genova assegnati 4mila euro, per
l’Associacion dei lucanos in Colombia stanziati 10mila euro, all’Associazione
lucani di Siena assegnati 3mila euro, all’Associazione regionale Famiglia
Lucana Winterthur 3mila euro.
All’Associazione lucani in Toscana, sede Empoli 2mila euro,
all’Associazione lucana Emanuele Gianturco di Settimo Torinese 3mila euro, per
l’Associazione Lucania Viva Centro culturale R.Scotellaro Rivoli stanziati
4mila euro, per l’Associazione Campus Major di Cesano Maderno 2mila euro,
all’Associazione culturale Presenza Lucana di Taranto assegnati 2mila euro, al
Vatra Arbereshe di Chieri assegnati 3mila euro, al Comitato pro San Fele in
Svizzera Winterthur (ZH) assegnati 2mila euro, alla Federazione delle
Associazioni lucane in Germania assegnati 5mila euro. Previsto anche un
rimborso spese per operatori di sportelli Basilicata all’estero Stati Uniti,
Brasile, Canada e Svizzera (5mila euro), al Centro Studi Internazionali lucani
nel Mondo 2mila euro, all’Associazione culturale Alma Latina 3mila euro, Comune
di San Martino d’Agri 10.450 euro per iniziative inerenti l’emigrazione,
all’Associazione dei lucani a Pisa 3mila euro, all’Associazione lucana
G.Fortunato di Salerno 2mila euro, all’Associazione lucani di Borgaro torinese
Orazio Flacco 2mila euro.
All’Associazione lucani nel Veneto P.Setari 2mila euro, all’Associazione
amici della Basilicata in Lombardia Ets 7mila euro, per l’Associazione lucana
in Umbria Raffaele Nigro 3mila euro, all’Associazione lucani a Berlino
assegnati 1500 euro, all’Associazione lucana Bubikon e dintorni (Svizzera) 2mila
euro, all’Associazione lucana di Stoccarda 2mila euro, alla Federazione delle
Associazioni lucane in Germania 2mila euro, al Circolo lucano di Zurigo 2mila
euro, all’Associazione regionale famiglia lucana di MüNSINGEN (CH) 2mila euro,
all’Associazione lucani in Lussemburgo 2mila euro, all’Associazione lucana
Viggianesi in Svizzera 3mila euro, all’Associazione lucana di Olten (CH) 2mila
euro, all’Associazione lucana nel mondo di Singen (DE) 3mila euro,
all’Associazione Lucania del Western Australia 10mila euro, alla Federazione
delle Associazioni della Basilicata in Brasile Rio De Janeiro 5mila euro, alla
Federazione Epson Londra U.K. assegnati 3.500 euro, associazione culturale
Magna Grecia Lucana mille euro.
Per quanto riguarda la programmazione di questo triennio a venire, essa si
pone nella direzione di restituire le giuste forze a tutti i sodalizi, affinché
nessuno possa restare indietro. Ricostituire una base di partenza comune per
raggiungere obiettivi comuni, senza dimenticare che il recente sviluppo della
contestualità virtuale, resa possibile da avanzati sistemi di
video-web-meeting, può costituire un involontario trampolino ad un
rafforzamento del network tra i circoli di tutto il mondo, ovvero la
costituzione di rapporti umani che trascendono la territorialità in nome di un
unico interesse comune: fare rete e creare relazioni tra tutte le associazioni
lucane presenti nei quattro continenti. Sviluppare dunque nuovi network
operativi, quel network fatto di intese e di incontri anche fortuiti ma operativi
per rinsaldare i rapporti e rilanciare il ponte comune verso gli altri mondi
lucani. La sostanziale differenza rispetto agli ultimi e più recenti programmi
verte su una presa di coscienza dei cambiamenti globali a seguito degli eventi
che hanno sovvertito le priorità in tutto il mondo tra il 2020 e il 2022: prima
la pandemia, poi la guerra in Ucraina e gli sviluppi sulla crisi energetica del
vecchio continente che possono influenzare equilibri a livello mondiale.
Tra le altre iniziative, ci sono progettualità afferenti la promozione,
formazione e scambio di esperienze tra operatori nel settore del commercio, del
turismo e dell’enogastronomia; la comunicazione “strutturata” relativa a
natura, prodotti, saperi, stili di vita, nuovi opportunità di scoperte e
stimoli per i visitatori da tutto il mondo; il “turismo delle Radici”,
fondamentale per rinsaldare i legami tra vecchie e nuove generazioni di lucani
altrove e regione. Le loro esperienze di vita e di lavoro, la loro immagine di
Basilicata, la conoscenza di altre realtà potrebbero fornire utilissimi spunti
di riflessione sulla loro percezione della contemporaneità lucana, anche dopo
un breve soggiorno in regione; le relazioni inter-studentesche, tirocini
curriculari o extracurriculari, con il patrocinio di Unibas e delle
Associazioni Lucane. In questo modo potrebbe essere possibile anche realizzare
periodi di studio della lingua locale, o periodi di lavoro all’estero; la
valorizzazione dei rapporti con gli Enti locali di promozione del turismo in Basilicata,
con gli Enti locali di valorizzazione del territorio lucano: Comuni, GAL,
Associazioni culturali, Musei e Distretti culturali e produttivi, siti in
Basilicata; la promozione di eventi culturali
inter-associativi/inter-federativi e di respiro internazionale, che vedano
appunto coinvolte due o più Associazioni Lucane o Federazioni; la promozione di
studi, ricerche sull’emigrazione lucana. Progetti utili a mantenere viva la
memoria dei lucani del passato e renderne edotte le generazioni presenti e future.
Tante le storie di partenze, meno, purtroppo, le storie di ritorno, il cui
approfondimento, tenendo però conto dei mutamenti di contesto, potrà aiutare a
creare condizioni per contrastare, sperabilmente, l’emigrazione che
impoverisce, quella fatta da intelligenze e operosità che partono e che non
ritornano dopo l’acquisizione di esperienze.
Rilevante l’attenzione alle pari opportunità e significativa considerazione
ai giovani. Per questo saranno tenuti in forte considerazione quei progetti che
mirano ad attrarre sempre più giovani all’interno delle Associazioni Lucane,
attraverso specifici eventi culturali innovativi e attrattivi per le nuove
generazioni. (LC/Inform/dip 15)
Israele, Nicola Carè eletto Vicepresidente del Transatlantic Friends of
Israel (TFI)
Roma - “Sono stato eletto Vicepresidente del Transatlantic Friends of
Israel (TFI). E’ un gruppo interparlamentare interpartitico dedicato all'ordine
postbellico di sicurezza e cooperazione. In occasione del 75° Anniversario
dell'Indipendenza dello Stato d'Israele ho incontrato l'Ambasciatore d'Israele
Alon Bar e partecipato alle celebrazioni. La missione è quella di promuovere i
diritti umani e i valori democratici e promuove stretti legami transatlantici
basati su interessi condivisi. Il Transatlantic Institute coinvolge i decisori
di tutto lo spettro politico in tutte le istituzioni e i servizi europei
pertinenti, nonché la NATO e le missioni diplomatiche presso l'UE, gruppi di
riflessione, giornalisti e altri nel settore della società civile.” Così Nicola
Carè deputato del Pd eletto all’estero. Dip16
A Pratola Peligna la prima edizione del premio “Migranti d’Abruzzo”
PESCARA - Si è tenuto venerdì scorso, 12 maggio, presso la sala consiliare
del comune di Pratola Peligna, la prima edizione del Premio “Migranti
d’Abruzzo” 2023, iniziativa dedicata al tema dell’emigrazione, con la consegna
di riconoscimenti a personalità di origini abruzzesi che oltre i confini
regionali, in Italia e nel mondo, si sono distinti per professionalità e
prestigio in ambito scientifico, sociale, culturale, sportivo.
Un nuovo Premio, dunque, che si inserisce nel solco aperto negli anni
Settanta del secolo scorso dal sulmonese Angelo De Bartolomeis, che fu
fondatore e direttore del mensile “La Voce dell’Emigrante” e presidente del
“Premio Internazionale Emigrazione”. A De Bartolomeis, venuto a mancare nel
2009, è dedicata questa prima edizione dell’evento, per aver saputo
riconnettere emigrati e “restanti” creando un collante culturale fatto di
emancipazione e riappropriazione del bagaglio delle origini.
Il Premio è stato assegnato ad Emilio Colaiacovo, giudice della Corte
Suprema dello Stato di New York; Giuseppe Santeusanio, docente di anatomia
patologica all’Università “Tor Vergata”, presidente del sodalizio di abruzzesi
“S. Camillo de Lellis” di Roma, coordinatore delle associazioni abruzzesi in
Italia come membro del Cram (Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo); Venanzio
Porziella, docente presso l’Università “Cattolica” e responsabile dell’Unità
Operativa Semplice di chirurgia esofagea del Policlinico “Gemelli”; Vincenzo
Salini, responsabile dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia dell’Istituti di
Ricovero e Cura dell’ospedale “San Raffaele”; Giovanni Zavarella, professore,
autore, giornalista, Cavaliere della Repubblica; Antonio Cippo, neo campione
italiano di Tennis in carrozzina; Caterina Fantauzzi, dirigente del polo
scolastico “Ovidio” di Sulmona, di cui fa parte il liceo “G. Vico” promotore
del progetto che ha dato vita al volume “Voci d’Abruzzo”, recentemente
presentato anche in Canada.
Dopo i saluti istituzionali di Antonella Di Nino, sindaca di Pratola
Peligna, e di Roberto Santangelo, vicepresidente del Consiglio regionale
dell’Abruzzo e consigliere CRAM, interverranno Francesco Di Nisio, presidente
dell’associazione “Corfinium Onlus”; Luciano Visconti, presidente del comitato
festa “Madonna Ss. della Libera” 2023; Maurizio Ferrini, presidente
dell’associazione “Il Manto. Insieme per Barbara Micarelli”; Massimo Tardio,
presidente della Fondazione “Pascal D’Angelo”; Aldo Pace, rappresentante della
comunità abruzzese in venezuela; Francesco De Bartolomeis, figlio del prof.
Angelo De Bartolomeis; Maxi Manzo, coordinatore regionale per l’Abruzzo per il
progetto Pnrr “Turismo delle Radici”, artista italo argentino di origini
abruzzesi; Laura Di Russo, giornalista esperta di emigrazione, che modererà
l’incontro.
(aise/dip 16)
Bergamaschi Bruxelles e Centro D.L.C.M.: Migrazioni, Mobilità e Turismo
delle Radici
Bruxelles - Nell'anno celebrativo di Bergamo-Brescia Capitale della Cultura
Italiana, il Centro di Ricerca D.L.C.M. (Centro di Ricerca e di Risorse in
Didattica/Didattologia delle Lingue-Culture e delle Migrazioni-Mobilità) vuole
offrire il suo contributo, in collaborazione con il Circolo di Bruxelles
dell'Ente Bergamaschi nel Mondo, pianificando in modalità itinerante l'annuale
Convegno Internazionale sul fenomeno migratorio ampliando così la platea
coinvolta.
La seconda tappa di questa tournée promozional-culturale ha visto
protagonista, dal 22 al 24 aprile scorsi, la città di Lucerna. Tre giornate con
tre eventi concomitanti: il Convegno, la presentazione e la proiezione del documentario
"2020. Bergamo De Fò. Un anno per Bergamo dal Mondo" e il
"Viaggio nella/della Memoria" di discendenti di emigrati rimpatriati.
Nella sua seconda tappa itinerante, il Convegno "Migrazioni e
Mobilità. Ieri, oggi e domani", ormai giunto alla sua decima edizione, si
è svolto al Centro di Formazione Professionale ENAIP a Littau-Lucerna grazie al
prezioso contributo della presidente delle ACLI di Lucerna, Antonia Cianciulli,
del presidente del Circolo dei Bergamaschi di Lucerna, Palmiro Oprandi, e di don
Egidio Todeschini, coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche per gli
emigrati in Svizzera.
Tra i saluti istituzionali quello di Michele Schiavi, sindaco di Onore, che
sabato 27 maggio ospiterà la successiva tappa del Convegno Itinerante, come
pure quello del sindaco di Clusone, Massimo Morstabilini, che a sua volta
ospiterà un'altra tappa il 4 novembre.
L'"Emigrazione italiana in Svizzera" è stato il fil rouge che ha
legato gli interventi dei relatori partendo dal "Viaggio nella/della
memoria: i bambini dell'emigrazione in contesto migratorio svizzero" della
direttrice del Centro DLCM, Silvana Scandella. In effetti, la ricerca
dell'emigrazione si è già occupata del tema dei bambini nascosti e invisibili,
ma qui la professoressa Scandella ha voluto focalizzare l'attenzione sul
vissuto di quei bambini "separati" dai loro genitori e affidati a
nonne, balie o messi in collegio in attesa di quel rientro definitivo la cui
scadenza però si procrastinava nel tempo. Una separazione che, pur nella consapevolezza
del sacrificio dei genitori per assicurare un futuro migliore ai propri figli,
ha lasciato strascichi ancora non metabolizzati. Ne hanno dato voce le
testimonianze dirette di Laura Bertocchi e Mara Bombana, suscitando profonda
commozione tra i presenti. Come pure la lettura in dialetto del percorso
autobiografico della stessa direttrice Silvana Scandella: "Lé... basta
andà...(Lei...basta andare...). Ruolo del dialetto di origine nei racconti di
vita migratoria".
Uno sguardo alla diffusione della lingua e cultura italiana è stato
proposto dalla testimonianza di Maria Sestito, docente a Lucerna dal 1969 al
1972: "L'esperienza di insegnamento dell'italiano nei Corsi di Lingua e
Cultura Italiana in contesto migratorio svizzero germanofono agli albori della
Legge 153 del 3 marzo 1971". Rientrata in Italia come docente di ruolo
Maria Sestito rivive il bel rapporto con i suoi scolaretti tanto motivati
nonostante le provate difficoltà e le forti amicizie nate in emigrazione il cui
legame persiste anche dopo decenni.
Dall'emigrazione all'immigrazione si è occupato l'intervento di Sabrina
Alessandrini, dottore di ricerca P.E.F.Li.C. dell'Università di Macerata,
membro di TRANSIT-lingua e Do.Ri.F.-Università e del Comitato
Scientifico-Organizzativo del Centro D.L.C.M.: "Storia e memoria
familiare: il racconto migratorio parentale di adolescenti provenienti dalla
migrazione". Una significativa analisi dei condizionamenti dell'ambiente
familiare immigrato e inserito nel tessuto sociale provinciale marchigiano.
La seconda parte del Convegno è stata dedicata alla presentazione e alla
proiezione commentata del documentario "2020 Bergamo De Fò. Un anno per
Bergamo dal Mondo". Un docufilm di 52 minuti che raccoglie sei video
realizzati durante la pandemia come testimonianza di affetto, vicinanza e
incoraggiamento alla terra bergamasca che in quella fase stava pesantemente
soffrendo.
Il silenzio tra il pubblico non è riuscito a tradire l'emozione suscitata
rivivendo quella drammaticità amplificata dalla lontananza dai prorpi cari,
dalla prorpia gente, dalla propria Terra. L'interazione con i presenti ha
consentito di condividere emozioni e valori incoraggiando il progetto di
proseguire nella tourneé del documentario itinerante per non far cadere questa
testimonianza nell'oblìo proprio in occasione di Bergamo-Brescia Capitale della
Cultura Italiana 2023. Ad arricchire il valore del filmato concorrono anche
immagini di promozione dei paesaggi della terra bergamasca con messaggi che
sollecitano la scelta della destinazione bergamasca quale meta del turismo
postpandemico.
La tappa del Convegno è stata anche l'occasione per effettuare il viaggio
“nella” memoria e “della” memoria da parte di figli e nipoti di emigrati
proprio a Lucerna negli anni '50-'60.
Era la fine degli anni '50 e il boom economico che aveva interessato le
principali aree urbane in Italia stentava a far risentire i propri benefici
nelle province periferiche. Così la Lombardia e in particolare la provincia di
Bergamo e le sue valli hanno vissuto un massiccio esodo di forza lavoro.
L'ondata migratoria ha interessato dapprima Svizzera, Francia e Belgio. La
Svizzera si prospettava come meta prescelta soprattutto per la vicinanza con il
miraggio di un buon trattamento economico. Si trattava prevalentemente di un
progetto temporaneo, giusto il tempo di consolidare la propria posizione,
racimolare un tesoretto quanto basta per farsi la casa, far studiare i figli e
poi "rientrare". A volte però questi tre obiettivi non si sono potuti
concretizzare e quei pochi anni preventivati all'estero sono diventati
"una vita": venti, trenta o addirittura non si è più rientrati.
Le partenze all'estero si sono susseguite nella modalità "a
catena" interessando compaesani o ancora "a grappolo"
coinvolgendo intere famiglie. Da San Lorenzo di Rovetta, nell'Alta Valle
Seriana, la famiglia Maninetti ha visto partire per la vicina Svizzera ben
sette tra sorelle e un fratello su undici figli. Tutti e sette hanno realizzato
il progetto di rientro, chi dopo sette/otto anni chi dopo una trentina. E tutte
le sette famiglie hanno vissuto la sofferenza della separazione, pur se
contenuta nel tempo, dei figli. Le nonne, le balie, i collegi hanno sostituito
i genitori per periodi che hanno segnato l'identità e la personalità di quei
bimbi ora uomini e donne mature.
Tornare a Lucerna è stato vissuto come una sorta di turismo delle radici a
rovescio. Tornare cioè sulle orme dell'emigrazione vissuta dai genitori e
famigliari e anche in prima persona. Ritrovare l'atmosfera dell'attuale
comunità italiana partecipando alla S. Messa domenicale nella Chiesa dei
Gesuiti è stato un tuffo nel passato. Così come il tour a piedi nel centro
storico accompagnati dall'esperto Carlo Bracchi ha fatto scoprire una
dimensione nuova della città che è cambiata. Sono affiorati ricordi, volti,
nomi e abitazioni che non esistono più, rimpiazzate da palazzi o parcheggi. Ma
è stata anche un'opportunità per approfittare dell'offerta turistica della
città di Lucerna a bordo del trenino turistico e apprezzando un caratteristico
spettacolo gastronomico-folcloristico.
Il "Viaggio delle Radici di Ritorno" si è poi concluso con una
crociera sul lago dei quattro Cantoni assaporando la bellezza dell'ambiente in
cui mamme e papà hanno lavorato sodo per assicurare anche questo ritorno. A tal
proposito un grazie sentito per la partecipazione a Emanuela e Maria Grazia
Bombana e a Silvia e Marco Maninetti.
Appuntamento quindi alla terza tappa del Convegno Itinerante che si
svolgerà nel Municipio di Onore sabato 27 maggio 2023 in concomitanza della
Quarta Edizione del Ritrovo della famiglia Scandella e affini, Onoresi nel
Mondo, sulle tracce delle proprie origini.
Mauro Rota, presidente del Circolo di Bruxelles dell'Ente Bergamaschi nel
Mondo
Tirocini in Ambasciata: il nuovo bando
ROMA - Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale, in convenzione con il Ministero dell’Università e della Ricerca
– MUR, e con la Fondazione CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università
Italiane), ha aperto un nuovo bando per 329 tirocini presso oltre 190 Sedi
estere.
Il “Programma di tirocini MAECI-MUR-Università Italiane” mira a integrare
il percorso formativo universitario degli studenti con un’esperienza concreta
che permetta una conoscenza diretta delle attività istituzionali del MAECI
all’estero. È inoltre possibile svolgere un tirocinio curriculare presso la
Sede centrale del MAECI a Roma. A tal fine è necessaria l’attivazione di una
Convenzione tra un singolo Ateneo e la Direzione Generale o Servizio di
interesse.
Il bando relativo al terzo ciclo di tirocini per l’anno 2023 – in programma
dal 18 settembre al 15 dicembre 2023 - è stato pubblicato sul sito
www.tirocinicrui.it. Le candidature potranno essere inviate entro il prossimo
16 giugno.
Dato il preminente collegamento dei tirocini curriculari con le carriere
internazionali, i tirocini presso le Ambasciate, i Consolati e le
Rappresentanze permanenti presso le Organizzazioni Internazionali sono
destinati agli studenti – di età non superiore ai 28 anni – iscritti ai corsi
di laurea magistrale o a ciclo unico che consentono l’accesso alla carriera
diplomatica. I tirocini curriculari presso gli Istituti italiani di Cultura
sono invece estesi anche agli studenti iscritti ad altri corsi di laurea, come
verrà specificato da ciascun bando.
Gli studenti hanno diritto a un rimborso spese, corrisposto dalle
Università di appartenenza, nella misura minima di 300 euro al mese, salvo
diversamente disposto dal bando.
Il testo del bando e l’elenco degli atenei partecipanti sono disponibili
qui: https://www.tirocinicrui.it/329-tirocini-bando-maeci-mur-crui/ (dip)
La mostra “Da nord a sud”. Studi e contaminazioni degli artisti trentini
Trento – È quasi un’antologia dell’arte trentina del ‘900, quella che la
rassegna “Da nord a sud” propone fino al 24 giugno presso la sede del Consiglio
provinciale di Trento. Sottotitolo: Studi e contaminazioni degli artisti
trentini tra Italia, Tirolo e Germania fra le due guerre. Si scorrono i nomi
dei ventotto artisti (per 64 opere totali) e si apprezza immediatamente lo
spessore dell’evento, che Walter Kaswalder ha voluto ospitare a palazzo
Trentini e poco fa ha inaugurato assieme a Mara Dalzocchio (Ufficio di
Presidenza), prima di rientrare di corsa in aula consiliare per la trattazione
della variazione di bilancio Pat.
L’ideatore e curatore dell’esposizione – Warin Dusatti, direttore
responsabile di Arte Trentina – ha sviluppato un taglio assai stimolante:
ricostruendo le formazioni accademiche di pittori e scultori trentini del
”secolo breve”, infatti, si va a raccontare in profondità di un territorio come
il nostro, che è sempre stato in costante dialogo da un lato con i grandi
centri culturali dell’alta Italia e dall’altro con l’area del Tirolo storico e
più su fino a Monaco e Vienna. Nell’anno e nel momento in cui l’assemblea
legislativa trentina organizza l’assise biennale con Bolzano e Innsbruck (il
Dreier Landtag 2023 di Riva del Garda, che si terrà il 14 e 15 giugno),
l’obiettivo è stato quello di approfondire e mettere in luce una cultura e
un’arte figurativa trentina non autoreferenziali e asfittiche, ma alimentate e
maturate proprio attraverso i fitti rapporti interregionali e transfrontalieri.
“Scopriamo in particolare – scrive Kaswalder aprendo il catalogo – quanto
intimo sia stato il rapporto tra gli ingegni creativi della nostra terra e
l’area tirolese di lingua tedesca, una plastica rappresentazione di come
l’euroregione corrisponda a un solido trascorso e a un bisogno di relazioni che
è di lunga data e ha dato nel tempo frutti importanti.
Anche grazie ai testi in catalogo, ecco dunque un apprezzabile contributo
alla descrizione di quella “identità trentina” che sappiamo essere così
complessa, composita e bicipite, rivolta contemporaneamente e da sempre a nord
e a sud, al mondo italiano e al mondo tedesco e mitteleuropeo”.
Marcello Nebl poco fa ha ben messo in luce i significati della rassegna,
soffermandosi ad esempio sull’importanza culturale rivestita nel Novecento
dalla Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, dove studiano tra i molti Luigi Bonazza
e Oddone Tomasi, prima di proseguire la loro alta formazione a Vienna, dove
approda anche Luigi Ratini (poi docente alla stessa scuola elisabettina). Da
questa mostra escono ben ricostruiti i percorsi accademici di una autentica
teoria di grandi firme trentine: Armani, Balata, Polo, Rasmo, Lasta, Wenter
Marini (e altri) diretti a nord, Iras Baldessari, Casetti, Disertori, Bonacina,
Garbari, Melotti, Pancheri, Gigiotti Zanin (e altri) diretti a sud, come anche
il rivano Luigi Pizzini di cui è in corso una grande antologica tra il Mag
gardesano e Casartisti a Canale di Tenno. Si respira in queste connessioni la
temperie culturale di un Trentino combattuto tra Impero e irredentismo, un
Trentino ricco di creatività e in prima linea, tanto che Annamaria Targher poco
fa ha voluto sottolineare che questi maestri si sono espressi allo stesso
livello dei maggiori nomi nazionali. Erminia Bruni Menin tiene alta la bandiera
del gentil sesso, evitando una carrellata tutta al maschile. Una mostra da
vedere, questa, che ci illumina percorsi di vita fecondi, come quello di
Umberto Moggioli che va a vivere a Burano e lì intreccia legami con altri
pittori conterranei come appunto il Pizzini, Mario Disertori e Benvenuto
Disertori.
Ingresso libero a palazzo Trentini di Trento fino al 24 giugno, dalle 9.30
alle 18.30 nei feriali, dalle 9.30 alle 12.30 il sabato, con chiusura la
domenica.
Luca Zanin, Inform/dip 25
Gli italiani all’estero durante la pandemia: a Roma il documentario di
Martina
ROMA - Prima tappa romana per “Sospesi” il documentario di Martina Dall'Ara
sugli italiani all’estero durante la primavera del 2020, in piena pandemia da
covid.
Il documentario e stato presentato venerdì 26 maggio, al Nuovo Cinema
Aquila, alle 21.00: insieme all’autrice interverranno la consigliera Maria
Luisa Lapresa, capo ufficio I della Direzione generale per gli italiani
all’estero della Farnesina, e il produttore Lamberto Mongiorgi.
Al termine le due protagoniste del documentario, Agata Brazzorotto e Lia
Aurora Oblitas Lazarte, hanno risposto alle domande del pubblico presente in
sala con le testimonianze dalla Turchia e dal Perù. Modera Fabio Meloni,
Direttore del Nuovo Cinema Aquila.
L'evento era aperto a tutti e gratuito, grazie alla collaborazione con il
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Esordio nell'opera di lungometraggio per l'autrice romagnola, il film porta
a compimento ambiziosi presupposti: raccogliere testimonianze da tutto il
pianeta per sondare la percezione dell'isolamento da parte degli italiani che
si trovavano all'estero quando ogni cosa si è fermata durante la primavera del
2020.
Ne è scaturito un racconto a più voci complesso, intenso, emotivamente e
tematicamente stratificato.
Sospesi raccoglie volti, voci e storie da 50 paesi del mondo. Attraverso
un’imponente ricerca e lo sguardo sociologico della regista: cento esperienze
di vita di italiani in luoghi stranieri svelano percezioni e stati d’animo di
un isolamento del tutto inaspettato, tra incertezza e fiducia nel futuro.
Finestre sul mondo, che ricostruiscono il fenomeno più importante e travolgente
del XXI secolo.
Il film è prodotto dalla Manufactory Productions di Lamberto Mongiorgi,
casa di produzione indipendente con sede a Bologna, di recente in sala con il
documentario Cinematti - Una storia folle (2020) di Giacomo R. Bartocci.
Il progetto è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Comune di Cesena, e tramite le
sponsorizzazioni di Consorzio Romagna Iniziative, General System, Fondazione
F.o.r, Brodino, Progetto Arredo, Foodstation, Gelateria Leoni, Ubik Cesena e
Teleromagna.
Premiere Film è distributore ufficiale per il mercato festivaliero
nazionale e internazionale.
Il film ha ricevuto il riconoscimento di "Finalist" nella sezione
Covid Film allo Stafford Film Festival in UK e "Best Original Score"
al Mindfield Film Festival ad Albuquerque, arrivando in selezione ad Hollywood
al Los Angeles Italia Film Fashion and Art Festival 2023. (aise/dip 27)
Bologna la riunione della Consulta emiliano-romagnoli nel mondo
Bologna - Raccolta fondi delle singole associazioni e invito a contribuire
a quella organizzata dalla Regione a sostegno delle popolazioni colpite
dall’alluvione. Un lungo applauso ha testimoniato la vicinanza degli
emiliano-romagnoli nel mondo ai corregionali alluvionati: l’abbraccio è
arrivato dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo che proprio oggi ha
iniziato i propri lavori nella sede dell’Assemblea legislativa, a Bologna. Si
tratta della seconda riunione in presenza dopo quella di Piacenza dell’anno
scorso e a cui prendono parte 32 consultori e consultrici provenienti da tutto
il mondo e dalle province regionali in rappresentanza delle associazioni del
Sud America del Nord America, dell’Europa, degli enti locali italiani, delle
associazioni di promozione sociale sul territorio regionale e delle Università.
Scorrendo il bilancio delle attività realizzate dalla Consulta si vede
che nel 2023 sono stati finanziati tre bandi per circa 380mila euro, che hanno
portato alla realizzazione di una quarantina di progetti, e sono state
finanziate sei borse di studio dedicate a giovani emiliano-romagnoli residenti
all’estero per la frequenza del master in Relazioni internazionali, Europa,
America Latina nella sede di Buenos Aires dell’Università di Bologna.
“Sentiamo la vicinanza degli emiliano-romagnoli nel mondo verso la nostra
regione colpita dalla tragedia dell’alluvione: viviamo momenti drammatici, ma
il vostro calore è per noi importante”, spiega il presidente della Consulta,
Marco Fabbri, che nella sua relazione ha fatto il punto sull’attività della
consulta elencando numeri e progetti portati a termine in questi anni. Fabbri
ha anche annunciato che il prossimo 2 luglio si celebrerà la Giornata
dell’emigrante emiliano-romagnolo, e lo si farà con numerose iniziative fra cui
una mostra fotografica e una raccolta di storie via Internet per fa sì che i
giovani nipoti e pro-nipoti di emigranti raccontino in streaming le storie dei
loro nonni e bisnonni. “Per noi è importante avere degli ambasciatori nel mondo
come i consultori e tutti coloro che operano nelle associazioni o collaborano
con la Consulta”, sottolinea Fabbri, per il quale “abbiamo realizzato molte
iniziative e dobbiamo far sapere il valore del nostro lavoro. Il nostro impegno
in questo difficile momento è anche sostenere il nostro turismo e continuare il
lavoro per la riscoperta dei borghi del nostro Appennino”.
Sulla stessa linea di Fabbri la vicepresidente della Consulta Valentina
Stragliati per la quale “questi incontri ci offrono numerosi spunti di
riflessione, molte suggestioni e suggerimenti di cui fare tesoro: sono molto
soddisfatta anche perché questi eventi sono l’occasione per fare promozione territoriale
della nostra regione, ricca di bellezze paesaggistiche, culturali ed
enogastronomiche. In particolare mi rivolgo ai giovani sperando che sempre di
più siano quelli che si avvicinano alla Consulta, perché così continuerà a
essere una realtà viva”.
Alla Consulta sono arrivati i saluti della vicepresidente dell’Assemblea
legislativa Silvia Zamboni: “Gli emiliano-romagnoli nel mondo sono ambasciatori
della nostra cultura, fanno un grande lavoro per far conoscere la nostra
regione dimostrando di avere salde radici ben piantate nella nostra storia.
L’Assemblea legislativa -spiega la vicepresidente- vi sosterrà sempre. Oggi,
alla luce della tragica alluvione che ci ha colpito, vi chiediamo di essere
anche testimoni dell’importanza che riprenda il turismo sulla Riviera
adriatica, vista anche la sua importanza per tutta Italia”.
A dar voce ai pensieri e alla passione dei consultori è stata l’altra
vicepresidente della Consulta, Marilina Bertoncini. “Operiamo per valorizzare
la nostra identità emiliano-romagnola nel mondo. Siamo reduci da un’importante
missione a Buenos Aires che è stata ancora una volta l’occasione per presentare
i nostri progetti. Essere oggi a Bologna -spiega- significa confermare il
nostro impegno: abbiamo 90 associazioni nel mondo che lavorano con noi, siamo
molto attivi e siamo molto felici di ciò che facciamo e di come lo facciamo. Le
sfide più importanti che dobbiamo affrontare è quello del ricambio
generazionale delle nostre associazioni: abbiamo fatto un questionario per
sapere cosa si aspettano i nostri giovani. Loro sono il nostro futuro, dobbiamo
coinvolgerli e capirli. Vogliamo programmare le attività delle nostre
associazioni in modo da coinvolgere i nostri giovani”. (aise/dip 29)
La XIV edizione del Premio Nazionale Pratola. La premiazione
L’AQUILA – La grande sala del Cinema Igioland di Corfinio (L’Aquila), nel
pomeriggio di sabato 27 maggio, non è riuscita a contenere in tutti gli ordini di
posti la magnifica cornice di pubblico, in parte è restata in piedi pur di
assistere alla cerimonia di premiazione della XIV edizione del Premio Nazionale
Pratola. Un evento ormai di rilevanza nazionale, organizzato alla perfezione
dall’Associazione Futile Utile guidata da Pierpaolo ed Ennio Bellucci. Lo hanno
sottolineato nei loro saluti d’apertura Antonella Di Nino, sindaco di Pratola
Peligna, Angelo Caruso, presidente della Provincia dell’Aquila, la consigliera
regionale Antonietta La Porta e in chiusura il presidente della Regione Abruzzo
Marco Marsilio. Numerose le autorità civili e militari intervenute, presente
all’evento anche il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, Stefano
Pallotta, che ha inserito l’evento nell’ambito dei crediti formativi.
La cerimonia, iniziata alle 17:15 e condotta dal giornalista Enrico
Giancarli con il giusto governo dei tempi, in un’ora e mezza ha proposto
notevoli spunti d’interesse e procurato buone dosi d’emozione con le
motivazioni dei riconoscimenti e le dichiarazioni delle Personalità premiate.
Aperta dalla splendida voce della soprano Chiara Tarquini e accompagnata dagli
intriganti brani della Little Swing Band, sestetto di autentici virtuosi, la
manifestazione ha colto subito l’anima del pubblico con la prima consegna del
riconoscimento, relativo alla Sezione Pace e Solidarietà, conferito
all’Associazione Mama Sofia e alla sua infaticabile Presidente, Zakia Seddiki,
vedova dell’Ambasciatore Luca Attanasio, barbaramente ucciso due anni fa in
Congo mentre era in missione per conto dello Stato italiano.
Nata come associazione umanitaria nel 2017 a Kinshasa, capitale del Congo,
per iniziativa dell’Ambasciatore d’Italia Luca Attanasio e di sua moglie Zakia
Seddiki, nel 2021 Mama Sofia è stata costituita come Fondazione italiana. Da
allora è impegnata in iniziative umanitarie rivolte all’infanzia e a sopperire
alle condizioni di disagio, avviando nel Paese numerosi progetti in ambito
sociale e sanitario. Attualmente è impegnata su scala più vasta per la tutela dei
diritti umani, civili, sociali e politici dei minori e dei giovani socialmente
ed economicamente svantaggiati. Intensa la testimonianza resa da Zakia Seddiki
Attanasio, che ha motivato le attività di Mama Sofia come il miglior modo per
ricordare l’Ambasciatore Attanasio e onorarne la memoria.
E’ seguita la consegna del premio per la Sezione Impegno Civile, conferito
al Generale di Corpo d’Armata con Incarichi Speciali, Francesco Paolo
Figliuolo. Impossibilitato per motivi di servizio a presenziare l’evento, è
stato comunque presente con un videomessaggio nel quale ha richiamato il suo
impegno come Commissario della Campagna nazionale di vaccinazione contro la
pandemia e ha voluto dedicare il riconoscimento all’intera catena dei
collaboratori sanitari e del volontariato che in tutta Italia hanno
accompagnato l’impegnativa opera anti Covid, un modello esemplare che tutto il
mondo ci ha riconosciuto. Per la Sezione Musica il premio è stato conferito al
M° Paco Suarez, compositore e direttore d’orchestra, noto in tutta Europa per
il suo estro, la creatività e la sua indiscussa bravura. Nell’imminenza d’un
intervento chirurgico Paco Suarez non è potuto venire dalla Spagna a ritirare
il riconoscimento, che è stato consegnato al M° Santino Spinelli, amico e partner
di Suarez in tante manifestazioni internazionali sulla cultura Rom.
Per la Sezione Sport sono stati premiati il campione olimpionico di bob a 2
Antonio Tartaglia, vincitore della medaglia d’oro in coppia con Günther Huber a
Nagano (Giappone). Abruzzese di Casalbordino, da qualche anno è tornato a
vivere con la famiglia nel paese d’origine, anche con il proposito d’impegnarsi
in progetti di sviluppo in seno alla sua comunità. Altro riconoscimento è stato
conferito alla campionessa di atletica Gaia Sabbatini, anche lei abruzzese, che
in un videomessaggio ha espresso gratitudine e soddisfazione, rinviando a
successiva occasione il ritiro del premio, impedita da impegni di preparazione
per un’importante gara. Identico motivo ha riguardato il tennista abruzzese Lorenzo
Musetti, astro nascente del circuito mondiale ATP, già in partenza per Parigi
per partecipare al torneo internazionale Roland Garros.
In grande smalto la Sezione Giornalismo, con il premio consegnato a
personalità di primo piano della televisione e della carta stampata. Aldo
Cazzullo, giornalista e scrittore tra i più autorevoli del panorama italiano,
ha sottolineato l’onore di ricevere il riconoscimento parlando dell’Abruzzo,
una regione che conosceva poco, prima d’essersene interessato quando da giornalista
seguiva la presidenza Ciampi. E Carlo Azeglio Ciampi amava l’Abruzzo e la sua
gente – giovane ufficiale, fu accolto e ospitato a Scanno dopo l’8 settembre
1943 e poi aiutato a raggiungere attraverso i sentieri della Maiella le truppe
Alleate oltre la linea Gustav -. E ancor più nel 2009 quando il giornalista
seguì il terremoto dell’Aquila, ammirando la dignità e la compostezza della
popolazione così duramente segnata dal sisma.
E’ stata poi la volta di Stefania Battistini, inviata speciale del Tg1 Rai,
impegnata in Ucraina. Ha affidato ad un videomessaggio il ringraziamento per il
premio a lei conferito che in altro momento ritirerà, nell’impossibilità
d’essere presente perché impegnata a documentare quella terribile guerra che
oppone il popolo ucraino alla Russia che ha invaso il paese. C’è stata quindi
la consegna del premio a Francesco Giorgino, giornalista Rai e docente
universitario, per molti anni caporedattore del Tg1, da qualche giorno nominato
direttore dell’Ufficio Studi Rai. Giorgino, da par suo, ha evidenziato la
rilevanza del mezzo televisivo e l’esigenza, per l’azienda di Stato, d’essere
sempre al passo con l’innovazione nel mondo dell’informazione e con i mutamenti
del linguaggio televisivo come dei sistemi diffusi della comunicazione, per
assolvere al meglio al dovere di servizio pubblico da parte di una grande
azienda qual è la Rai. Infine la consegna del premio a Maria Antonietta
Spadorcia, vicedirettore del Tg2 Rai. Tutto familiare per lei, abruzzese di
Sulmona. Un riconoscimento che onora non solo lei, ma la terra peligna e la sua
gente.
Per Sezione Solidarietà l’assegnazione del Premio è stata tributata a Mons.
Michele Fusco, Vescovo di Sulmona-Valva, quale riconoscimento per come il
presule interpreta la sua missione pastorale, tra la gente, dalla parte degli
ultimi, degli esclusi e dei più bisognosi. A loro, agli ultimi, egli ha voluto
rivolgere la sua attenzione, ricordando l’opera di don Lorenzo Milani nel
centenario della nascita, per l’autenticità della testimonianza che il priore
di Barbiana ha lasciato all’Italia. Ha quindi voluto dedicare il riconoscimento
a tutti i collaboratori che nella diocesi lo accompagnano nell’opera pastorale.
Per la Sezione Economia e Lavoro il riconoscimento è stato tributato a
Serenella Pizzoferrato, dirigente Consob, che proprio a Pratola Peligna è nata.
Nel ringraziare, l’insignita del premio ha incentrato il suo intervento sul
legame che la unisce alla terra d’origine, alla comunità di Pratola, per quanto
ormai da molti anni lei viva a Roma (dove dirige l’Ufficio di Segreteria
tecnica dell’Arbitro delle controversie finanziarie della Consob, ndr). Ha
voluto perciò dedicare alla gente peligna, ai valori di tenacia e spirito di
sacrificio tramandati dalle generazioni precedenti, il premio conferitole,
quale condivisione proprio di quei valori che hanno ispirato la sua condotta di
vita.
Qualche considerazione conclusiva. La manifestazione ha confermato la sua
grande presa sul territorio, ma soprattutto l’interesse e il prestigio che
ormai l’accompagna hanno da tempo travalicato l’Abruzzo facendola assurgere
sempre più ad evento di grande respiro e di rilevanza nazionale. Un’occasione
annuale, peraltro, in grado d’essere vetrina d’eccellenza posta all’attenzione
delle insigni personalità alle quali nel corso degli anni il Premio è stato
tributato. E gli insigniti del 2023 certamente vanno a consolidare ed
impreziosire il cospicuo Albo d’Oro del Premio Nazionale Pratola che nelle
precedenti edizioni ha visto tributare il riconoscimento, tra le altre, a personalità
di rilievo quali Sergio Zavoli, Gianni Letta, Ferruccio De Bortoli, Federico
Buffa, Gian Antonio Stella, Oliviero Beha, Enrico Mentana, Marcello Sorgi,
Luciano Fontana, Antonio Padellaro, Moni Ovadia, Lina Palmerini, Alessandro De
Angelis, Giuseppe Guastella, Angelo Figorilli, Adriano Buzzetti Colella, Enzo
Romeo, Lino Guanciale, Myrta Merlino, Gabriele Gravina, Giorgio Pasotti,
Edoardo Siravo, Maurizio Gentile, Hafez Haidar, Arrigo Sacchi, Luigi Di Biagio,
Roberto Di Jullo, Santino Spinelli, Davide Cavuti, Giovanni Legnini e anche chi
scrive, solo per ricordarne alcuni. Appuntamento dunque al prossimo anno, per
la XV edizione.
Goffredo Palmerini, dip 30
U-Ethikgremium
wird wohl ein zahnloser Tiger
Das neue
EU-Ethikgremium wird die Transparenzstandards für EU-Politiker in neun
EU-Institutionen harmonisieren. Eigenständige Ermittlungs- und
Sanktionsbefugnisse wird das Gremium allerdings nicht haben, so eine Quelle der
Europäischen Kommission gegenüber EURACTIV. Von: Benjamin Fox und Eleonora Vasques
Der Vorschlag für das neue
Gremium soll Ende Juni veröffentlicht werden. Es soll Standards für die
Institutionen definieren und überwachen, ob diese in allen Fällen „in gleicher
Weise“ angewendet werden.
Wenn das Ethikgremium
feststellt, dass ein Verstoß gegen die Regeln vorliegt, ist die betreffende
EU-Institution für die Verfolgung des Falles mit ihrem eigenen unabhängigen
Sanktionssystem verantwortlich.
Dies liegt daran, dass es
„rechtlich nicht möglich“ ist, dem Gremium rechtsverbindliche Befugnisse für
seine Entscheidungen zu geben, so die Quelle.
Die Debatte über das
EU-Ethikgremium steht seit dem Katargate-Korruptionsskandal, der die
EU-Institutionen im vergangenen Dezember erschütterte, ganz oben auf der
Tagesordnung der EU. Mehrere Mitglieder des Europäischen Parlaments und Beamte
wurden verhaftet, weil sie mutmaßlich Geld aus Marokko und Katar im Austausch
für politischen Einfluss angenommen hatten.
Dem Beamten der Kommission
zufolge kann das Gremium keine eigenen Ermittlungen durchführen oder Sanktionen
verhängen, da die Gefahr besteht, dass es zu Überschneidungen mit anderen
Gremien wie den nationalen Institutionen und anderen EU-Einrichtungen wie dem
EU-Gerichtshof, dem Rechnungshof, der Europäischen Staatsanwaltschaft und dem
Europäischen Amt für Betrugsbekämpfung kommen könnte.
Die anzuwendenden Standards
werden jedoch für die Institutionen „rechtsverbindlich“ sein, sobald der
Vorschlag zu einem Rechtsakt wird, und sie werden wie andere
EU-Rechtsvorschriften angewendet werden.
„Die Institutionen halten
sich an die Gesetzgebung“, sagte der Kommissionsbeamte. Sollte eine Institution
die Regeln des Ethik-Gremiums nicht anwenden, würde der Fall an den
Europäischen Gerichtshof gehen.
Das Gremium wird
Mindeststandards festlegen, an die sich die Institutionen halten müssen, wobei
sie die Möglichkeit haben, über die Ethikregeln hinauszugehen und sie zu
verschärfen, wenn sie dies wünschen.
Sie wird über einen
Überwachungs- und Transparenzmechanismus verfügen, um zu überprüfen, ob die
Standards eingehalten werden, und um die Öffentlichkeit über ihre Aktivitäten
zu informieren.
Nach Angaben des
Kommissionsbeamten wird sich das Ethikgremium vor allem auf
Vermögenserklärungen, externe Aktivitäten, die Annahme von Geschenken,
Bewirtungen und Reisen, die Annahme von Auszeichnungen, Ehrungen oder anderen
Formen von Preisen, Aktivitäten ehemaliger Mitglieder und Treffen mit
Interessenvertretern konzentrieren.
Die Einrichtung eines Ethikgremiums
ist seit dem Skandal eine der Hauptforderungen des Europäischen Parlaments an
die Kommission.
Die EU-Transparenzbeauftragte
Vera Jourová, die für die Ausarbeitung der neuen Gesetzgebung zuständig ist,
mahnte jedoch zur Geduld.
„Um das Vertrauen der
Menschen nach dem Katargate wiederzugewinnen, wird es einige Zeit dauern“,
sagte Jourová am Wochenende den Delegierten des ALDE-Kongresses in Stockholm,
der die liberalen Parteien Europas versammelt.
„Ich arbeite jetzt an der
Ethikkommission für die EU-Institutionen und werde mein Bestes tun, um etwas
Sinnvolles zu schaffen oder dabei zu helfen“, sagte sie.
„Aber ich hasse es, einigen
zuzuhören, vor allem Mitgliedern des Europäischen Parlaments, die sagen, dass
wir uns ohne das Ethikgremium nicht ethisch verhalten können.“
Nächsten Schritte
Der Vorschlag wird bis Ende
Juni veröffentlicht und muss dann von den Abgeordneten des Europäischen
Parlaments und den nationalen Ministern genehmigt werden.
Die Kommission geht davon
aus, dass der Vorschlag vor den nächsten EU-Wahlen, die Anfang Juni 2024
stattfinden werden, angenommen wird. Das Ethikgremium wird seine Arbeit
dementsprechend mit der neuen EU-Legslativperiode aufnehmen. EA 31
Kliniken
begrüßen Vorstoß. Ministerin Schulze will Fachkräfte aus Entwicklungsländern
anwerben
Entwicklungsministerin Svenja
Schulze setzt sich für mehr Zuwanderung auf den deutschen Arbeitsmarkt ein. Die
Krankenhausgesellschaft begrüßt den Vorstoß, fordert aber eine schnellere
Arbeitserlaubnis für ausländische Kräfte.
Krankenhausgesellschaft-Chef
Gerald Gaß begrüßt die weitere Anwerbung ausländischer Fachkräfte für den
deutschen Arbeitsmarkt. Schon jetzt beschäftigten die Kliniken viele
ausländische Kräfte, sagte der Vorstandsvorsitzende der Deutschen
Krankenhausgesellschaft der Düsseldorfer „Rheinischen Post“. Gaß forderte
zugleich schnellere Freigaben durch die deutschen Ausländerbehörden.
Als Maßnahme gegen den
Fachkräftemangel in Deutschland will Entwicklungsministerin Svenja Schulze
(SPD) verstärkt auf Zuwanderung setzen. „Bei der Suche nach Fachkräften sollten
wir die Entwicklungsländer stärker in den Blick nehmen“, sagte Schulze den
Zeitungen der Funke Mediengruppe. Viele dieser Länder stünden vor der
Herausforderung, genügend Jobs für ihre junge, wachsende Bevölkerung zu
schaffen.
Schulze: Keinen Schaden
anrichten in armen Ländern
Die Ministerin warnte
zugleich davor, Konkurrenz um Fachkräfte auf dem internationalen Arbeitsmarkt
zu schaffen. Deutschland dürfe keinen Schaden anrichten in ärmeren Ländern, die
ihre Fachkräfte selbst brauchten, betonte sie. In Ländern wie Indien oder Ghana
sei die Arbeitslosigkeit allerdings so hoch, dass sie in der
Fachkräfte-Migration einen Nutzen für sich und ihre Bevölkerung sähen.
Unterdessen beklagte
Krankenhausgesellschaft-Chef Gaß, dass Kliniken und Mitarbeiter teilweise
Monate warten müssten, bis es eine Arbeitserlaubnis gebe. „Was nützen uns 500
neue Mitarbeiter, die der Bundesarbeitsminister in Brasilien anwirbt, wenn es
dann 16 verschiedene Anerkennungsverfahren gibt, in denen kleinteilig die
Abschlüsse geprüft werden? Die deutsche Bürokratie lähmt die Krankenhäuser.“
(epd/mig 31)
Nordkosovo:
NATO-Soldaten durch serbische Demonstranten verletzt
Bei Zusammenstößen mit
serbischen Demonstranten wurden mindestens 34 NATO-Friedenstruppen, Angehörige
der kosovarischen Polizei und Bürger verletzt. Sowohl der Kosovo, als auch
internationalen Organisationen verurteilten den Zwischenfall. Von: Alice Taylor
und Bojana Zimonjic
Belgrad hat seinerseits die
internationale Gemeinschaft aufgefordert, einzugreifen und Druck auf den Kosovo
auszuüben, warnte jedoch: „Wenn der albanische Eindringling schießt, wird die
Situation anders sein.“
Am Freitag verschlechterte
sich die Lage im mehrheitlich serbischen Norden des Kosovo. In vier Gemeinden
übernahmen albanische Bürgermeister das Amt, nachdem serbische Beamte Ende 2022
massenhaft zurückgetreten waren. Die Serben im Land enthielten sich
größtenteils ihrer Stimme, nachdem sie von Serbien dazu aufgefordert worden
waren.
Am Freitag hatte Serbiens Präsident
Alexander Vucic die Armee näher an die Grenze verlagert und sie in höchste
Alarmbereitschaft versetzt. Nach einigen Tagen relativer Ruhe hatte sich die
Lage am Montagabend in Leposavic, Zubin Potok und Zvecan verschlechtert, als
Serben Molotowcocktails mit Nägeln, Feuerwerkskörpern und Steinen warfen, wie
das italienische Verteidigungsministerium mitteilte.
Die Polizei berichtete, dass die
Demonstranten Tränengas einsetzten und versuchten, „die Sicherheitsabsperrungen
zu überwinden, um gewaltsam in die Gemeinde einzudringen.“
Die Serben im Norden des
Landes weigern sich, die Souveränität von Pristina anzuerkennen. Daher
akzeptieren sie auch nicht die neuen Bürgermeister, die mit der niedrigsten
Wahlbeteiligung in der Geschichte des Landes gewählt wurden.
Internationale Organisationen
bezeichneten die Wahlen als rechtmäßig, forderten den Kosovo jedoch auf, keine
kommunalen Gebäude zu betreten, in denen sie „nicht willkommen“ seien.
Der kürzlich gewählte
Bürgermeister von Leposavic, Lulzim Hetimi, hat Berichten zufolge die Nacht im
Gemeindehaus verbracht, da es für ihn zu unsicher war, es zu verlassen.
In einer Erklärung gab die
Friedenstruppe der NATO im Kosovo, die kurz KFOR genannt wird, weitere
Einzelheiten der Situation bekannt: „Einige Soldaten des italienischen und
ungarischen KFOR-Kontingents, die sich den aktivsten Teilen der Menge
entgegenstellten, wurden Opfer unprovozierter Angriffe und erlitten durch die
Explosion von Brandbomben traumatische Verletzungen mit Knochenbrüchen und
Verbrennungen.“
Der Befehlshaber der KFOR,
Generalmajor Angelo Michele Ristuccia, erklärte, er verfolge die Lage und halte
unprovozierte Angriffe auf NATO-Einheiten für inakzeptabel.
Der kosovarische
Premierminister Albin Kurti äußerte sich besorgt über die Gewalt und erklärte,
seine Streitkräfte würden ihre Arbeit fortsetzen.
„Heute hatte ich ein Treffen
mit den Botschaftern von QUINT und dem Botschafter. Ich bin besorgt über die
Gewalt und verurteile die Angriffe auf die kosovarische Polizei und KFOR.
Serbische ultranationalistische Graffiti auf NATO-Fahrzeugen sind eine dunkle
Mahnung an uns. Wir schützen Frieden und Sicherheit“, schrieb Kurti auf Twitter.
Der Premierminister
behauptet, dass es sich bei den Demonstranten im Norden um „Extremisten“
handelt, die vom „offiziellen Belgrad“ angeführt werden und „gewalttätige und
kriminelle Aktionen“ gegen Polizei, KFOR und Journalisten durchführen.
Kurti sprach mit dem
italienischen Außenminister Antonio Tajani, da sich unter den Verletzten
mindestens 12 NATO-Friedenstruppen aus seinem Land befinden.
„In einem zweiten Telefonat
mit dem italienischen Außenminister Antonio Tajani übermittelte [Ich] heute die
tiefe Dankbarkeit der Regierung und des Volkes der Republik Kosovo für den
mutigen Einsatz der Soldaten der KFOR zur Erhaltung des Friedens im Angesicht
des gewalttätigen Extremismus. Ich wünsche den Verletzten eine vollständige und
rasche Genesung“, schrieb Kurti auf seinem Social-Media-Konto.
Tajani wies darauf hin, dass
neben italienischen Soldaten auch ungarische und moldawische Soldaten schwer
verletzt wurden.
„Italienische und ungarische
KFOR-Soldaten wurden unprovoziert angegriffen und erlitten durch die Explosion
von Brandbomben Traumata mit Knochenbrüchen und Verbrennungen“, so Tajani. Die
Soldaten wurden von medizinischen Einheiten der KFOR behandelt.
„Die NATO verurteilt aufs
Schärfste die unprovozierten Angriffe auf die KFOR-Truppen im Norden des Kosovo,
bei denen viele von ihnen verletzt wurden. Solche Angriffe sind inakzeptabel.
Die Gewalt muss sofort aufhören. Wir rufen alle Seiten auf, von Handlungen
Abstand zu nehmen, die die Spannungen weiter anheizen, und in einen Dialog
einzutreten,“ hieß es aus NATO-Kreisen.
Auch die italienische
Ministerpräsidentin Giorgia Meloni äußerte sich: „Was hier geschieht, ist
absolut inakzeptabel und unverantwortlich. Wir werden weitere Angriffe auf die
KFOR nicht dulden.“
Die NATO hat die
KFOR-Friedenstruppe nach dem Krieg zwischen Serbien und dem Kosovo 1998-1999
und der anschließenden Unabhängigkeitserklärung des Kosovo im Jahr 2008
aufgestellt.
Die von der NATO geführten
multinationalen Kontingente waren in vier Gemeinden eingesetzt worden, um
„gewalttätige Demonstrationen“ einzudämmen, als „neu gewählte Bürgermeister in
den letzten Tagen versuchten, ihr Amt anzutreten“, so die KFOR.
„Wenn der albanische
Angreifer schießt, wird die Situation anders sein“
Unterdessen rief Vucic die
Serben im Norden öffentlich dazu auf, sich nicht auf einen Konflikt mit der
NATO einzulassen. Er fügte hinzu, dass 52 Serben verletzt worden seien. Serbien
sei für die Aufrechterhaltung des Friedens, aber: „Wenn der albanische
Angreifer schießt, dann wird die Situation anders sein“, betonte Vucic.
Der Staatssekretär des
Verteidigungsministeriums, Nemanja Starovic, sagte, dass „viele“ Demonstranten
verletzt worden seien und beschuldigte die KFOR, Blendgranaten eingesetzt zu
haben. Er fuhr fort, dass die „friedlichen“ Demonstranten sich zerstreut hätten
und „morgen früh weiter protestieren“ würden.
Der serbische Außenminister
Ivica Dacic warnte die internationale Gemeinschaft vor einem Versteckspiel.
„Lasst uns nicht Verstecken
spielen und so tun, als könnten sie Kurti nicht beeinflussen. Was ist Kurti?
Eine Supermacht? Warnungen mögen uns in den Ohren klingen, aber von Warnungen
kann man nicht leben. Wenn die USA Pristina nicht dazu zwingen können, dies zu
respektieren, weiß ich nicht, welches Vertrauen wir in die internationale
Gemeinschaft und in diejenigen haben können, die die Schirmherren dieses
gefährlichen Kriegsabenteurertums in Pristina sind“, so Dacic.
Er fügte hinzu, dass Kurti
allein für die Eskalation in Zusammenarbeit mit der internationalen
Gemeinschaft verantwortlich ist. „Das Ergebnis ist ein heimtückischer Plan –
Kurti darf etwas tun, die internationale Gemeinschaft tut so, als würde sie
protestieren“, so Dacic.
Dacic erwähnte auch, dass
Pristina vor kurzem eine Visaliberalisierung und die Öffnung des
Aufnahmeprozesses in den Europarat erhalten hat.
„Es heißt, ein konstruktiver
Ansatz müsse belohnt werden. Ist dies also ein konstruktiver Ansatz? Es darf
nur nicht sein, dass sich später herausstellt, dass Serbien an so etwas
schuldig ist. Das darf nicht passieren, und Serbien wird das nicht zulassen“,
betonte Dacic.
Er fügte hinzu, dass die
Rolle der KFOR nicht darin bestehe, sich vor kommunale Gebäude zu stellen und
die serbische Bevölkerung daran zu hindern, in die Gebäude zurückzukehren. Er
beschuldigte die KFOR, die neuen Bürgermeister zu schützen und behauptete, die
kommunalen Gebäude gehörten den Serben.
„In den serbischen Gemeinden
können nicht diejenigen Bürgermeister sein, die keiner der Serben gewählt hat“,
fügte er hinzu, ohne allerdings darauf einzugehen, dass Belgrad die Serben
aufgerufen hat, nicht zu wählen. Im Vorfeld der Wahl gab es mehrere Berichte,
dass Serben unter Druck gesetzt wurden, nicht an der Wahl teilzunehmen.
„Die Botschaft Serbiens war
immer dieselbe: Es ist besser, 100 Jahre lang zu verhandeln, als einen Tag lang
Konflikte und Krieg zu haben“, sagte der serbische Außenminister Dacic. EA 30
Die Europäische Politische Gemeinschaft
wurde durch den russischen Angriff auf die Ukraine ermöglicht. Doch wie einig
ist Europa geopolitisch? Florent Marciacq & Denis Cenusa
Als Emmanuel Macron am 9. Mai
2022 in Straßburg die Gründung einer Europäischen Politischen Gemeinschaft (EPG)
anregte, reagierte er damit auf die geopolitischen Herausforderungen, die der
Großangriff der Russischen Föderation auf die Ukraine für Europa mit sich
bringt. Seit die EPG am 6. Oktober 2022 in Prag aus der Taufe gehoben wurde,
entfaltet sie in Europas Hauptstädten eine zunehmende Dynamik. Ein zweites
Gipfeltreffen soll am 1. Juni in der Nähe von Chi?in?u in der Republik Moldau
stattfinden. Dass die Initiative vorangetrieben werden soll, ist inzwischen
Konsens. Doch welches Profil soll sie bekommen? Welche strategischen Ziele soll
sie verfolgen, und wie wird sich ihre konkrete Arbeit gestalten? Hier gibt es
noch viel zu tun.
Für die meisten Länder
Europas kam Frankreichs Vorschlag zur Gründung der EPG überraschend. Von den
osteuropäischen Staaten, die Frankreichs Beziehungen zu Russland ebenso mit
Argwohn betrachten wie seine zögerliche Haltung in der Frage der
EU-Erweiterung, wurde sie zunächst kritisch beäugt; Deutschland, das kaum
konsultiert worden war, enthielt sich jeden Kommentars, und einige Länder
vermuteten hinter dem Vorstoß den Versuch eines weiteren Störmanövers gegen die
EU-Beitrittspolitik.
Der großflächige Krieg in der
Ukraine und die neue geopolitische Sachlage, die er geschaffen hat, machten
beherztere Schritte erforderlich, um die europäische Familie und ihre
gleichgesinnten Mitglieder zusammenzuführen. Dass der Europäische Rat im Juni
2022 unter französischer Präsidentschaft der Ukraine und der Republik Moldau
den Kandidatenstatus gewährte, half, die Befürchtungen zu zerstreuen, mit der
EPG werde das Ende der EU-Erweiterung eingeläutet. Auch durch die Einbindung
Großbritanniens machte die EPG deutlich, dass es ihr um etwas anderes geht als
um Beitrittspolitik. Das alles trug dazu bei, dass die EPG mit ihrem Ziel,
Europa politisch neu zu organisieren und dabei über den Tellerrand der EU
hinauszuschauen, allmählich mehr Zugkraft entwickelte.
Am ersten Treffen der EPG,
das am 6. Oktober 2022 in Prag stattfand, nahmen 44 Länder teil. Das dringende
Verlangen nach Sicherheit war der entscheidende Grund, warum die EPG über die
Grenzen einer Wertegemeinschaft hinaus ausgeweitet wurde und auch autoritär
regierte Länder wie Aserbaidschan und die Türkei mit ins Boot geholt wurden.
Der Prager Gipfel sendete ein
starkes Signal geopolitischer Einigkeit aus und legte den Grundstein für eine
EPG, die sich als zwischenstaatliches und themenoffenes Forum versteht und sich
vom Grundsatz der souveränen Gleichheit leiten lässt. Bei dem Gipfel konnten
Vertreterinnen und Vertreter aus EU- und Nicht-EU-Staaten sich auf Augenhöhe
über eine Reihe von Fragen austauschen und informelle Gespräche führen – unter
Einbindung von Armenien und Aserbaidschan, Serbien und dem Kosovo. Vor allem
dieses Prinzip des informellen Austauschs und der Gleichberechtigung machte den
Mehrwert des Gipfels aus, bei dem zum Abschluss eine Liste mit sieben
Herausforderungen formuliert wurde: Energiesicherheit, kritische
Infrastrukturen, Cybersecurity, Jugend, Migration, regionale Zusammenarbeit im
Kaukasus und in der Schwarzmeerregion sowie Finanzierungsoptionen für die
Resilienzbildung.
Am zweiten EPG-Gipfel werden
Staats- und Regierungschefs aus 47 Staaten und die Spitzen der EU-Institutionen
teilnehmen. Logistisch ist die größte und hochkarätigste Veranstaltung, die je
in der Republik Moldau stattfand, eine große Herausforderung, die das Land
jedoch mit Begeisterung annimmt. Für die Republik Moldau, die sich mit Blick
auf die „Agenda 2030“ ein ehrgeiziges Reformprogramm vorgenommen hat und den
EU-Beitritt anstrebt, ist dieser Gipfel eine Gelegenheit, ihre Rolle als
seriöser Partner zu festigen und sich in die europäischen Debatten
einzubringen.
Die EPG-Gipfeltreffen sollen
zweimal jährlich stattfinden, abwechselnd in dem Land, das zum betreffenden
Zeitpunkt die – halbjährlich rotierende – EU-Ratspräsidentschaft innehat, und
in einem Staat, der nicht EU-Mitglied ist. Der Gipfel in Chi?in?u bietet der
EPG durch die unmittelbare Nachbarschaft zum Kriegsschauplatz Ukraine eine gute
Gelegenheit, ein Zeichen der Solidarität zu setzen und zu demonstrieren, dass
sie sich bereitwillig auch dort engagiert, wo Gegensätze am heftigsten
aufeinanderprallen.
Bei den hochrangigen
Gesprächen, die in vier Themenkreise gegliedert werden, geht es vor allem um
Sicherheit (zum Beispiel um die Abwehr von hybriden Bedrohungen und
Desinformation), um Energie (unter anderem um Investitionen in
Energieinfrastruktur und die Förderung umweltfreundlicher Investitionen), um
Vernetzung (zum Beispiel um intensivere Verflechtung in den Bereichen
Digitalisierung, Verkehr und Wirtschaft) und um Migration (intern und extern).
Daneben bietet das Treffen Raum für informelle Gespräche in minilateralen
Formaten und macht damit deutlich, dass die EPG bilaterale Streitfragen auf dem
Schirm hat.
Um wirklich durchzustarten
und ihren Mehrwert unter Beweis zu stellen, muss die EPG sich mit etlichen
strukturellen Veränderungen auseinandersetzen und in der komplexen
Konstellation, die sich durch die nationalen Interessen der 47 teilnehmenden
Staaten ergibt, den richtigen Mittelweg finden. Das wird keine leichte Übung.
Der Hauptzweck der EPG ist
nach wie vor vage, weil ihr Anspruch, Europa eine politische Struktur zu geben,
zum Teil auf inkongruenten Fundamenten aufbaut. Einerseits erscheint die EPG
als Versuch, die Nachbarn der EU nach allerlei unguten geopolitischen
Entwicklungen – wie dem Brexit, dem Auseinanderdriften der Östlichen
Partnerschaft und den stockenden Beitrittsverfahren der Westbalkanstaaten –
wieder zusammenzubringen. Eine formelle Rolle ist der EU im Rahmen des Forums
nicht zugedacht, aber in der Agenda und Kommunikationsarbeit der EPG ist sie
auf Schritt und Tritt präsent.
Das gilt besonders für die
Vernetzungsbemühungen der EPG, denn Vernetzung ist seit Jahren ein
Schlüsselbegriff des Berliner Prozesses in den westlichen Balkanstaaten und
besitzt für die EU eine hohe Priorität bei der Gestaltung ihrer
Nachbarschaftsbeziehungen. Die EPG könnte man als – geografische und
thematische – Ausweitung dieser Agenda betrachten.
Andererseits sind führende
Politiker Europas dafür, die EPG stärker geopolitisch auszurichten und zu einer
Allianz gegen Russland aufzubauen. Nach ihren Vorstellungen soll die EPG
Europas Geschlossenheit demonstrieren und den Einfluss Russlands und seiner
Satellitenstaaten in Europa zurückdrängen. Minsk und Moskau wurden von
vornherein ausgeschlossen, und die symbolische Dimension der Gipfel von Prag
und Chi?in?u legt den Akzent deutlich auf die Solidarität mit der Ukraine. Doch
da die EPG nicht einfach nur ein antirussischer Zusammenschluss ist, gehören zu
ihren Mitgliedstaaten auch Länder wie Serbien, die ihre Bindungen zu Moskau
nicht gekappt haben.
In ihrem bisherigen Format
verfolgt die EPG diese beiden Stoßrichtungen: Sie soll den Beziehungen zwischen
der EU und ihren Nachbarn eine Struktur geben und die europäische Familie gegen
Russland mobilisieren. Diese Ziele richtig zu formulieren und auszubalancieren,
wird für die EPG nicht leicht. Ein Stolperstein, den es aus dem Weg zu räumen
gilt, ist zum Beispiel die Frage, ob und wie stark die EPG institutionalisiert
werden sollte – ob sie also ein Sekretariat, eigene finanzielle Mittel und ein
gewisses Maß an funktioneller Eigenständigkeit bekommen soll.
Mehr und mehr teilnehmende
Staaten sprechen sich für eine maßvolle Institutionalisierung aus und wollen
die EPG mit der Rolle, den Möglichkeiten und Ressourcen der EU verzahnen. Dies
wäre wichtig, damit die Arbeit der EPG Kontinuität bekommt und die Realisierung
von Vorhaben möglich wird, die große Investitionen erfordern. Andere
teilnehmende Staaten wie Großbritannien, Frankreich und die Schweiz widersetzen
sich diesem Institutionalisierungsdrang und sehen den besonderen Wert der
Initiative gerade darin, dass sie flexibel, informell und dem
Gleichberechtigungsgrundsatz verpflichtet ist.
Beim Thema Sicherheit muss es
der EPG vorrangig darum gehen, die Resilienz in den Bereichen Cyber- und
Informationssicherheit und Strategische Kommunikation zu stärken, um den Schutz
vor böswilligen Einflüssen zu verbessern. Sie könnte zur Plattform werden, auf
der Staaten, die mit ähnlichen Herausforderungen konfrontiert sind, ihre
Ressourcen bündeln und Wissen austauschen können. Die Republik Moldau, die
Ukraine und andere Staaten könnten zum Beispiel ausloten, wie sie den
russischen Informationskrieg mit gemeinschaftlichen Projekten bekämpfen können.
Beim Thema Energiesicherheit
eröffnet das Format der EPG die Möglichkeit, Fortschritte in bestimmten
Bereichen stärker unter strategischen Aspekten zu beurteilen – so zum Beispiel
bei der gemeinsamen Erdgasbeschaffung und bei der Versorgung mit kritischen
Rohstoffen, bei der Diversifizierung des europäischen Energiemixes und seiner
Abkopplung vom russischen Gas, bei der stärkeren Vernetzung der europäischen
Infrastrukturen und wichtigen Versorgungsketten sowie beim Vorantreiben des
ökologischen Wandels in Europa. Hierfür wird die EPG flexible
Zugangsmöglichkeiten zu den Mitteln und zur Expertise der EU brauchen und sich
nach zusätzlichen Finanzierungsquellen umsehen müssen.
Die EPG könnte auch zur
Modernisierung und zum Ausbau der gesamteuropäischen Transportwege und zur
Verbesserung der grenzüberschreitenden Infrastrukturen beitragen. Das ist
besonders in Osteuropa wichtig, das seine Wirtschaftsbeziehungen wieder stärker
auf den Westen ausrichtet, könnte aber auch der Nord-Süd-Integration zugutekommen.
Um eine Verbesserung auf zwischenmenschlicher Ebene geht es bei der
schrittweisen Senkung der Roaming-Gebühren für die Republik Moldau, die die EPG
auf die Tagesordnung gesetzt hat. In dieser Frage wird beim Gipfel in Chi?in?u
möglicherweise eine Entscheidung fallen. Sollte die Republik Moldau eine solche
Roaming-Vereinbarung erreichen, könnte als nächstes Land die Ukraine folgen.
Wenn die EPG sich in den
Bereichen Sicherheit, Energie und Vernetzung verstärkt strategisch engagiert,
wird sie wohl ein gewisses Maß an Institutionalisierung brauchen, und die EU
wird sich stärker einbringen müssen. Um ihren Mehrwert zu bewahren, muss die
EPG ihre flexiblen informellen Formate beibehalten, in denen die Akteure
sensible Themen auf Augenhöhe besprechen und teilnehmende Staaten sich
zusammentun und innovativ tätig werden können, indem sie die EPG zum Beispiel
als innovationspolitisches Experimentierfeld nutzen, um die europaweite
Mobilität im Sekundarschulbereich voranzubringen und bei Schülerinnen und Schülern
das europäische Wir-Gefühl zu stärken. Mit einer entsprechenden Leitinitiative
für die Vernetzung von Schulen und Lernenden würde die EPG einen wichtigen
Beitrag zur Stärkung der europäischen Identität leisten. IPG 30
Zum 30. Jahrestag des rassistischen
Brandanschlags von Solingen – einer der dunkelsten Tage – sind die Spitzen des
Staates in die Stadt gekommen für einen demonstrativen Schulterschluss gegen
Rassismus und rechte Gewalt.
30 Jahre nach dem
rassistischen Brandanschlag von Solingen hat Bundespräsident Frank-Walter
Steinmeier einen wachsamen und wehrhaften Staat gegen rechten Terror gefordert.
„Als Bundespräsident kann ich nicht dazu schweigen, in welchem Klima diese
Anschläge gediehen sind“, sagte Steinmeier am Montag bei einer Gedenkveranstaltung
in Solingen.
„Unmittelbar nach dem
Brandanschlag waren hier in Solingen alle Strickleitern ausverkauft“, erinnerte
Steinmeier. „Die Menschen hatten Angst, sich im Notfall sonst nicht mehr aus
dem oberen Stockwerk ihres Hauses retten zu können. In den Wohnungen standen
damals Wassereimer bereit, um bei einem Feuer schnell löschen zu können. An den
Klingelschildern und Briefkästen wurden alle fremd klingenden Namen
abmontiert.“
Viel zu lange habe das Land
der Behauptung von den verblendeten Einzeltätern aufgesessen, sagte Steinmeier.
Die Strukturen und die Ideologie der Täter seien lange ignoriert worden. „Ich
spreche von Rechtsextremismus. Von Rassismus. Von Menschenfeindlichkeit.“
Steinmeier: „Ich nenne das
Terror“
Rechtsextreme und Rassisten
entmenschlichten den Einzelnen und verbreiteten damit Angst und Schrecken. „Ich
nenne das: Terror. Dieser rechte Terror ist verantwortlich für die Toten hier
in Solingen. Diesen rechten Terror gab es vor Solingen, und es gibt ihn nach
Solingen“, sagte der Bundespräsident. „Ich bin fassungslos, wenn ich höre, dass
einzelne Angehörige von Sicherheitsbehörden, die rechtsextreme Anschläge
verhindern sollen, sich in rechten Chatgruppen organisieren. Das können und das
dürfen wir nicht dulden“, forderte Steinmeier.
Vor 30 Jahren, am 29. Mai
1993, starben fünf türkische Mädchen und Frauen, als Rechtsradikale das
Wohnhaus der Familie Genç anzündeten: Saime Genç (4), Hülya Genç (9), Gülüstan
Öztürk (12), Hatice Genç (18) und Gürsün Ince (27). Der Anschlag gilt als eines
der schwersten rassistischen Verbrechen in der Geschichte der Bundesrepublik.
Faeser beklagt Versäumnisse
Kurz nach der Tat waren vier
junge rechtsradikale Solinger im Alter zwischen 16 und 23 Jahren festgenommen
worden. Sie waren der rechten Szene zuzuordnen und wurden 1995 wegen Mordes
verurteilt. Sie sind längst wieder auf freiem Fuß.
„Auch 30 Jahre nach der
grausamen Tat von Solingen sind wir noch immer fassungslos, zornig, traurig“,
sagte Steinmeier. Aber: Wir sind nicht eingeschüchtert, nicht hilflos, nicht
tatenlos.“ „Wichtig ist in solchen Situationen immer, dass sich die Politik
geschlossen gegen diese rassistische Stimmung stellt“, sagte
Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD), die ebenfalls nach Solingen gekommen
war. „Damals sind wir nicht früh genug entgegengetreten, damals haben wir die
Zusammenhänge nicht gesehen. Das war ein Versäumnis der damaligen Politik, das
muss man ganz klar auch so benennen“, sagte Faeser am Rande der
Gedenkveranstaltung. „Deswegen bin ich froh, dass alle drei Ebenen hier sind.
Die Kommune macht einen tollen Job, die Landesregierung ist gut vertreten, der
Bund ist gut vertreten, der Bundespräsident selbst ist da. Das sind die
richtigen Signale an einem solchen Tag des Gedenkens.“
Wüst: „Einer der dunkelsten
Tage“
„Der 29. Mai ist einer der
dunkelsten Tage in der Geschichte unseres Landes“, sagte NRW-Ministerpräsident
Hendrik Wüst (CDU). „Es war ein Anschlag, begangen aus Hass. Wie kann jemand
Hass auf eine Vierjährige haben?“
Solingens Bürgermeister Tim
Kurzbach (SPD) erinnerte an die Worte der im vergangenen Oktober gestorbenen
Mevlüde Genç, die bei dem Anschlag mehrere Familienmitglieder verlor: „Der Tod
meiner Kinder soll uns dafür öffnen, Freunde zu werden.“ In der Stadt war am
Sonntag ein Platz nach der Bundesverdienstkreuzträgerin benannt worden.
Viel Prominenz
Für die Türkei dankte deren
stellvertretender Außenminister Yasin Ekrem Serim den Verantwortlichen der
Stadt Solingen dafür, dass sie das Gedenken an den Anschlag zur „DNA der Stadt“
habe werden lassen. Auch die Hilfe aus Deutschland für die Opfer des schweren
Erdbebens in der Türkei sei in seinem Land sehr dankbar aufgenommen und
registriert worden.
An der Gedenkveranstaltung
nahmen neben Bundes- und Landesministern, der Bundestagspräsidentin Bärbel Bas (SPD)
und dem Landtagspräsidenten André Kuper (CDU) auch die überlebenden
Familienmitglieder und Angehörige der Todesopfer teil.
Özlem Genç: „Der Hass bringt
den Tod“
Schließlich ergriff eine
Enkelin von Mevlüde Genç am Ende der Veranstaltung das Wort: Ihre Großmutter
habe Deutschland nach dem Anschlag nicht verlassen, sondern zu Liebe und
Besonnenheit aufgerufen und bewusst die deutsche Staatsangehörigkeit beantragt,
sagte Özlem Genç.
„Der Hass bringt den Tod“,
habe ihre Großmutter gesagt und so den triumphalen Sieg des Guten über das Böse
verkörpert. Man müsse sich heute aber auch fragen, ob die laute Minderheit das
Problem sei, die das Internet mit Hass überflute, oder die breite Mehrheit, die
nicht in der Lage sei, das Richtige zu sagen. (dpa/mig 30)
EU: Kurschus gegen zu hartes Asylrecht
In der Debatte um eine
europäische Asylrechtsreform hat sich Annette Kurschus gegen verpflichtende
Asylverfahren an den EU-Außengrenzen gewandt.
Damit würden das Recht auf
internationalen Schutz und die Genfer Flüchtlingskonvention ausgehöhlt. Das
sagte die Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) nach
politischen Gesprächen am Donnerstagabend in Brüssel. Der Zugang zu fairen und
effektiven Asylverfahren auf europäischem Boden müsse ebenso gewahrt bleiben
wie menschenwürdige Aufnahmebedingungen.
Die EKD-Ratsvorsitzende
kritisierte damit ein Konzept, das besonders von christdemokratischen Parteien
befürwortet wird und darauf zielt, den Grenzschutz zu erhöhen und Asylgründe
schon zu prüfen, bevor die Betreffenden überhaupt EU-Territorium betreten.
„Aus Flüchtlingsschutz droht
Schutz vor Flüchtlingen zu werden“
„Aus Flüchtlingsschutz droht
Schutz vor Flüchtlingen zu werden, Inhaftierungen und Menschenrechtsverletzungen
werden an der Tagesordnung sein“, warnte Kurschus. „Europa darf sich nicht aus
seiner humanitären Verantwortung stehlen.“ Die EU-Asylrechtsreform dürfe nicht
auf Kosten der Menschenrechte gehen.
Kurschus äußerte sich mit
Blick auf das EU-Innenministertreffen am 8. und 9. Juni in Luxemburg, bei dem
wichtige Gesetzesvorhaben aus dem geplanten Asyl- und Migrationspaket auf der
Tagesordnung stehen. Die EKD-Vorsitzende betonte, ihre Kirche unterstütze jede
Bemühung um mehr sichere und reguläre Wege in die EU. Dazu brauche es einen
verpflichtenden Verteilungsmechanismus, um Staaten an den EU-Außengrenzen vor
Überlastung zu schützen. Als vorbildhaft auch für eine Asylreform lobte sie die
unbürokratische Aufnahme ukrainischer Flüchtlinge.
Lieferkettengesetz: Für eine
europäische Regelung
Zum bereits weiter
fortgeschrittenen Verfahren für ein europäisches Lieferkettengesetz sagte
Kurschus, auch hier müsse aus Sicht der evangelischen Kirche „alles getan
werden, um nachteilige Auswirkungen auf Menschenrechte, Klima und Umwelt zu
vermeiden“. Erfahrungen zeigten, dass freiwillige Selbstverpflichtungen von
Unternehmen nicht ausreichten.
„Wir setzen uns für eine
europäische Regelung ein, die alle Unternehmen und den Finanzsektor erfasst,
die gesamte Wertschöpfungskette in den Blick nimmt, die Rechte Betroffener
durch eine zivilrechtliche Haftung stärkt und betroffene Interessensgruppen wie
Gewerkschaften und Menschenrechtsverteidiger einbindet“, so die
EKD-Ratsvorsitzende. (kna 26)
Der Angriff von
Freiwilligentruppen in der Region Belgorod offenbart Russlands
Defensivschwächen. Doch wer sind die Einheiten und was wollen sie? Nikolay
Mitrokhin
Gegen 9 Uhr morgens griff
eine bis zu 100 Mann starke Infanterieeinheit den Grenzübergang Graiworon an
der Grenze zwischen der Region Belgorod in Russland und der Region Sumy in der
Ukraine an. Sie operierte unter der Flagge des Russischen Freiwilligenkorps
(RDK) und der Freien Russland-Legion (LSR). Die Angreifer reisten in
amerikanischen Hummer-Fahrzeugen und modernisierten sowjetischen
Schützenpanzerwagen. Trotz des Widerstands der russischen Grenzschutzbeamten
und des Militärs wurde ein riesiger Komplex aus mehreren großen
Grenzübergangsgebäuden und ein großes Gebiet um ihn herum erobert.
In den nächsten drei bis vier
Stunden wanderte die aus der Ukraine kommende Gruppe, ohne auf großen
Widerstand zu stoßen, über eine leere Autobahn und Landstraßen etwa acht
Kilometer bis zum Rand des Bezirkszentrums Graiworon. Sie übernahmen die
Kontrolle über das Territorium von drei angrenzenden Dörfern, die zwischen der
Grenze und dem regionalen Zentrum liegen. Erst mittags begannen die
herannahenden russischen Truppen und Flugzeuge, die Stellungen der Angreifer zu
beschießen. Am Abend zogen sich die Angreifer dann schließlich in das Grenzdorf
Kozinovo zurück, auf dessen Territorium sich ein Grenzübergang befindet. Dort
erlitten sie Verluste durch russischen Artilleriebeschuss und Bombenangriffe
mit schweren Fliegerbomben. Bis zum Morgen wagten die russischen Truppen jedoch
nicht, dort eine „Säuberung“ durchzuführen, und daher wurde der Aufenthalt der
ukrainischen Armeekämpfer formell auf dem nach internationalen Standards als
russisch anerkannten Territorium fortgesetzt – für etwa einen Tag lang.
Infolge des Angriffs wurden
14 Zivilisten verletzt (möglicherweise auch durch den russischen Beschuss von
Graiworon). Mehrere russische Soldaten und Grenzsoldaten wurden getötet
(mindestens einer ist sicher bekannt, die russischen Behörden geben die
Gesamtverluste allerdings nicht bekannt), einer wurde von den Angreifern
gefangen genommen. Eine ukrainische Rakete schoss einen russischen Hubschrauber
ab, der versuchte, den Angriff abzuwehren. Die Verluste der Angreifer werden
nicht bekannt gegeben, sind aber mit Sicherheit vorhanden. Mehrere zerstörte
Hummer und ein Pickup blieben am Unfallort zurück.
Viele der Autos, mit denen
die Angreifer fuhren, blieben im Schlamm stecken, der nach dem Regen auf den
Feldern entstanden war. Infolgedessen beteiligte sich nur ein kleiner Teil der
geplanten Kräfte am Angriff auf den Grenzposten. Und die Vorhut, die sich auf
den Weg nach Graiworon machte, erhielt keine Verstärkung und konnte daher das
regionale Zentrum nicht wie geplant erobern. Im Erfolgsfall hätten Graiworon
und die umliegenden Dörfer, die in einer Art „Tasche“ an der Grenze liegen und
auf drei Seiten von ukrainischem Territorium umgeben sind, tatsächlich zu einem
Sprungbrett für die ukrainische Armee auf russischem Territorium werden können.
Nach den Maßstäben des bisherigen
Krieges könnte die Operation eigentlich als gewöhnlich angesehen werden. Denn
bis zur Stabilisierung der Front im November kam es im Kampfgebiet mehrmals pro
Woche zu solchen Aktionen. Das Ereignis erregte jedoch die Aufmerksamkeit der
Medien, Behörden und der Öffentlichkeit beider verfeindeter Länder. Warum?
Erstens ist dies tatsächlich
der erste große Durchbruch des ukrainischen Militärs in das international
anerkannte Territorium Russlands. Seit März wurden ähnliche Razzien der RDF
zwar bereits mehrmals durchgeführt (hauptsächlich in der Region Brjansk), aber
an den Aktionen waren jeweils nur bis zu zwei Dutzend militante Kräfte
beteiligt. Nachdem sie durch den Wald ein russisches Dorf in der Grenzzone
erreicht hatten, machten sie in der Regel Fotos am Schild am Eingang, gingen
durch das Dorf, verteilten Flugblätter und versteckten sich nach dem Erscheinen
russischer Grenzschutzbeamten oder Militärkräfte sofort wieder.
Zweitens lieferten sich
zumindest teilweise aus russischen Bürgern gebildete Abteilungen zum ersten Mal
eine echte Schlacht auf russischem Territorium. Ukrainische Soldaten und
Politiker versuchten dies als „den Beginn der wahren Befreiung Russlands“ durch
russische Bürger darzustellen.
Drittens zeigte dieser
Einsatz deutlich die Schwäche der russischen Armee und ihren Mangel an
operativen Reserven auf dem möglicherweise gefährlichsten Abschnitt der
russisch-ukrainischen Grenze. Auch im nahen Hinterland konnten diese Reserven
nicht gefunden werden. Den vorliegenden Informationen zufolge mussten Truppen
aus verschiedenen Teilen der Region zusammengezogen werden, um den Angriff
abzuwehren, doch am Ende spielten Einheiten der motorisierten Schützendivision,
die aus der Reserve der Luhansker Frontlinie – aus dem besetzten Gebiet der Ukraine
– verlegt wurden, eine Schlüsselrolle. Videoaufnahmen, die den
stellvertretenden Befehlshaber der Vereinigten russischen Streitkräftegruppe
(in der Ukraine) Oleksandr Lapin zeigen, der nach der Rückkehr von Graiworon
persönlich als Verkehrskontrolleur für Panzer und Infanterieeinheiten
fungierte, erhielten in sozialen Netzwerken viele bissige Kommentare – sowohl
von Gegnern als auch von Unterstützern der Fortsetzung des Krieges.
Viertens wurde deutlich, dass
das seit etwa einem Jahr auf der russischen Seite der Grenze errichtete System
technischer Verteidigungsanlagen überhaupt nicht funktioniert, sondern eine
ganze Kolonne feindlicher Truppen durchgelassen hat. Nutzer sozialer Netzwerke
gingen davon aus, dass die dafür bereitgestellten Gelder ebenfalls veruntreut
wurden, wie bereits in der Region Brjansk. Dort verloren nach dem ersten
Durchbruch der RDK im März zwei stellvertretende Gouverneure, die für die
Verteidigung der Region zuständig waren, ihre Posten.
Und schließlich zeigte der
Angriff deutlich die Gefahr für die Bevölkerung in den Grenzgebieten der
russischen Regionen auf, die seit etwa einem Jahr unter Beschuss ukrainischer
Artillerie stehen. Auf dem Territorium ihrer Dörfer können jederzeit
Feindseligkeiten beginnen, auf die die Führung der Region sowie die lokalen
Bezirksbehörden nicht vorbereitet sind. Allerdings wäre die Umsiedlung von
zehntausenden Menschen aus mindestens drei russischen Regionen ein schwieriges
und dazu ein sehr kostspieliges Problem.
Trotz allem konnten die
Organisatoren des Angriffs ihr Ziel erreichen. Die russischen Behörden mussten
und werden weiterhin immer mehr Reserven von der Front verlegen, um dreihundert
Kilometer der Grenze zu verteidigen. Für den Bau von Verteidigungsanlagen
werden Soldaten, gepanzerte Fahrzeuge, Artillerie sowie finanzielle und
materielle Ressourcen benötigt. Dinge, die am Vorabend der ukrainischen
Gegenoffensive an der Front bereits fehlten. Das russische Kommando verfügt
möglicherweise nicht über genügend Divisionen, von denen einige jetzt auch noch
gezwungen sind, in die Regionen Belgorod, Brjansk und Kursk zu ziehen.
Obwohl die ukrainischen
Behörden sowie die Mitglieder des RDK und der LSR selbst weiterhin öffentlich
auf der absoluten Unabhängigkeit ihrer Aktionen zur „Befreiung Russlands“ bestehen,
sind diese Einheiten in Wirklichkeit Teil der ukrainischen Armee. Sie gehören
zum Stab der Einheit Nr. A3449 der Hauptnachrichtendirektion des
Verteidigungsministeriums der Ukraine, der die „Fremdenlegion“, bestehend aus
Gruppen wie des RDK und der LSR, unterstellt ist. Sie bringen ideologisch
motivierte ausländische Bürger zusammen.
Die Besonderheit der aus
Russen bestehenden Einheiten (RDK und LSR) besteht jedoch darin, dass sie sehr
klein sind. Nach Kriegsausbruch wurde ein Einreiseverbot für Bürger der
Russischen Föderation in die Ukraine verhängt. Potenzielle Freiwillige können
den Truppen nicht beitreten, selbst wenn sie ein Visum für die Einreise in die
Schengen-Staaten haben. Daher wurden beide Einheiten vom ukrainischen
Militärgeheimdienst aus zwei Gruppen russischer Emigranten geschaffen, die vor
2022 ankamen. Ergänzt werden sie durch Bürger der Russischen Föderation, die
aus unpolitischen Gründen bereits in der Ukraine gelebt haben und diese
verteidigen möchten. Daher waren bis März 2023 auf den Sammelfotos des RDK
weniger als zehn Personen (inklusive derjenigen, die ihr Gesicht bedeckten) zu
sehen, auf dem Foto der LSR nicht mehr als drei. Nach dem Einsatz in der Region
Belgorod veranstalteten RDK und LSR eine gemeinsame Pressekonferenz für Journalistinnen
und Journalisten. An der Veranstaltung nahmen 27 Personen in Uniform teil, die
diesen Einheiten zugeteilt waren. Insgesamt waren es aber nicht einmal 150
Personen, die wirklich an den Operationen teilgenommen hatten. Dies bedeutet,
dass die beiden Divisionen nur ein bestimmtes „Bild“ der russischen Beteiligung
an den Aktionen liefern sollten.
Ein weiterer politischer
Punkt ist, dass beide Einheiten mehr oder weniger ausschließlich aus bekannten
russischen Rechtsextremisten bestehen, die nach schweren Gewaltverbrechen aus
Russland in die Ukraine geflohen sind. Insbesondere der Anführer des RDK, Denis
Kapustin (Tichonow), ist in Deutschland als einflussreicher Neonazi bekannt. Er
musste Deutschland verlassen (wohin er als Flüchtling kam) und in die Ukraine
auswandern. Ein Militant mit dem Spitznamen „Caesar“, ein ehemaliger
Militärausbilder der Russischen Kaiserlichen Bewegung, vertrat offiziell die
LSR auf einer Pressekonferenz am 25. Mai. Diese NS-monarchistische Organisation
aus Sankt Petersburg wird in den USA als Terrororganisation eingestuft, weil
sie Rechtsextremisten aus ganz Europa für die Durchführung von Kampfeinsätzen
ausgebildet hatte.
Es ist offensichtlich, dass
das ukrainische Militär die ihm zur Verfügung stehenden und kampfbereiten
Russen für seine eigenen Zwecke einsetzt. Doch die russische Linke und die
liberale Opposition (einschließlich derjenigen im Exil) distanzierten sich
bereits im März größtenteils von solchen „Befreiern Russlands“. IPG 26
Strompreiszone: Länderstreit könnte in Brüssel entschieden werden
Die Gespräche über die
deutsche Strompreiszone werden immer härter geführt. Dabei warten alle
Streitparteien auf eine wichtige Analyse der Netzbetreiber. Gleichzeitig droht
Brüssel implizit damit, die deutsche Gebotszone aufzuteilen. Von: Nikolaus J.
Kurmayer
Derzeit zahlen alle Deutschen
den gleichen Strompreis, egal ob sie im windreichen Norden oder im
industrialisierten Süden leben.
Doch der Druck für
Veränderungen wird immer größer. Während Frankreich ebenfalls noch einen
einheitlichen Stromtarif für Haushaltskunden anwendet, wird in anderen großen
europäischen Ländern wie Italien oder Schweden der Strompreis je nach Standort
festgelegt.
Kleinere Strompreiszonen
gelten als wirtschaftlich effizienter, weil sie lokale Gegebenheiten wie die
Verfügbarkeit von Stromerzeugungskapazitäten oder die Netzinfrastruktur
widerspiegeln.
So ist beispielsweise das
energieintensive Bayern, das seit jeher gegen Windparks und
Hochspannungsleitungen auf seinem Territorium ist, auf die Übertragung von
Windstrom aus dem Norden des Landes angewiesen.
Dies führt zu Netzengpässen
und Übertragungsverlusten, deren Kosten von allen deutschen Stromverbrauchern
getragen werden müssen.
Die Lage Deutschlands im
Zentrum Europas hat auch auf EU-Ebene zu Bedenken geführt, da das
unterdimensionierte Netz des Landes zu Spannungen mit den benachbarten
EU-Mitgliedstaaten führt.
So hat die massive
Stromnachfrage in Süddeutschland zu „Ringflüssen“ in Polen geführt, da die
deutsche Übertragungskapazität nicht ausreicht, um die Nachfrage zu decken. Als
Nebeneffekt behindert dies auch die Fähigkeit Polens, Strom beispielsweise nach
Tschechien zu übertragen.
Die
EU-Energieregulierungsbehörde ACER stellte den politischen Konsens im vergangenen
Jahr infrage, als sie vorschlug, den deutschen Großhandelsmarkt in mehrere
Gebotszonen aufzuteilen.
Nord gegen Süd
Nach dem ACER-Vorschlag
startete der Norden Deutschlands – wo ein Großteil der Windenergie des Landes
installiert ist – eine Offensive zur Aufteilung des deutschen Strommarktes.
„Wenn ich da lebe oder
produziere, wo auch die Energie produziert oder angelandet wird, muss diese
Energie dort auch günstiger sein“, sagte damals der niedersächsische
Energieminister Olaf Lies am Ende des letzten Jahres der Welt am Sonntag.
Unterstützt wurde Lies von
seinem Kollegen Reinhard Meyer aus Mecklenburg-Vorpommern.
„Die Höhe der
Stromnetzentgelte belastet die Letztverbraucher und benachteiligt den
norddeutschen Wirtschaftsstandort“, stellte er fest.
Sowohl Lies als auch Meyer
sind SPD-Minister – genau wie Bundeskanzler Olaf Scholz, der aus Hamburg
stammt.
Die süddeutschen Bundesländer
reagierten mit einer gemeinsamen Erklärung, in der sie betonten, dass eine
einheitliche Strompreiszone „ein zentraler Ausdruck des einheitlichen deutschen
Wirtschaftsraums“ sei.
Die Erklärung wurde von
Bayern, Baden-Württemberg, Hessen, dem Saarland, Rheinland-Pfalz und
Nordrhein-Westfalen unterzeichnet.
Gemeinsam argumentieren sie,
dass größere Märkte mit breiteren Gebotszonen die Marktliquidität verbessern
und somit effizienter sind. Bayern verweist zudem gerne auf die 9 Milliarden
Euro, die es jährlich an andere, weniger wohlhabende Länder abführt.
Auch in Berlin ist man nicht
einig
Wirtschaftsminister Habeck
hat derweil wenig Bereitschaft gezeigt, in den Ring zu steigen.
Der Bundesminister „hat
bereits mehrfach betont, dass für ihn die Schaffung einer neuen Gebotszone
derzeit keine Priorität hat, insofern führen wir auch keine Debatte zu einem
Gebotszonensplit“, betonte das Ministerium.
Die Grünen sind in dieser
Frage scheinbar gespalten, während die SPD trotz großzügiger Fristsetzung einer
Anfrage nicht nachkam.
Die FDP hat sich vorsichtig
für eine Aufteilung ausgesprochen.
„Marktbasierte Preissignale
sind wichtig, um günstige Strompreise für Verbraucher zu ermöglichen und die
Netzauslastung zu optimieren. Eine einheitliche Preiszone für ganz Deutschland
kann das nur begrenzt leisten“, so Michael Kruse, energiepolitischer Sprecher
der FDP.
Einig sind sich BMWK und FDP
aber über eine schnelle Lösung: die Anpassung der Netzentgelte an den
Verbundgrad und die Stromerzeugungskapazität einer Region.
Die Bundesregierung wird noch
in diesem Jahr Vorschläge vorlegen, wie die „Kosten der Energiewende gerechter
verteilt werden können“, heißt es in einem Werkstattbericht von Habecks
Ministerium für Wirtschaft und Klimaschutz.
Der Bericht bestätigt, dass
die Verbraucher in Regionen mit hohem Anteil an erneuerbaren Energien oft
höhere Netzentgelte zahlen. Von der FDP wird erwartet, dass sie diesen Vorstoß
unterstützt.
Einmischung aus Brüssel droht
Da Deutschland in der Frage
der Strompreisreform klar gespalten ist, richten sich nun alle Augen auf die
vier deutschen Netzbetreiber, die bis zum nächsten Jahr den ACER-Vorschlag
prüfen müssen.
Im Frühjahr 2024 werden die
vier deutschen Übertragungsnetzbetreiber – TenneT, 50 Hertz, TransnetBW und
Amprion – voraussichtlich einen Bericht vorlegen, in dem sie Empfehlungen
aussprechen werden.
Die Berichte der deutschen
Netzbetreiber und ihrer mitteleuropäischen Kollegen werden von dann der Ampel
und den Regierungen der Nachbarländer Deutschlands geprüft.
Diese haben sechs Monate
Zeit, eine gemeinsame Entscheidung über eine mögliche Neuordnung zu treffen. Zu
diesen Ländern gehören Österreich, Belgien, Kroatien, Tschechien, Frankreich,
Ungarn, die Niederlande, Polen, Rumänien, die Slowakei und Slowenien.
Sollten sich diese Länder
nicht einigen können, wird die Kommission als letztes Mittel und nach Anhörung
von ACER innerhalb von sechs Monaten entscheiden, ob die
Gebotszonenkonfiguration geändert oder beibehalten wird.
Die Stromverordnung für 2019
ermächtigt nämlich die EU-Kommission, langfristige strukturelle Engpässe zu
beseitigen, um die wirtschaftliche Effizienz und den Stromhandel zwischen den
Gebotszonen zu maximieren.
„Rechtlich hätte es in
Deutschland längst zwei Preiszonen geben müssen, aber die EU-Kommission ist
politisch nicht stark genug“, erklärt Holger Schneidewindt,
Energierechtsexperte bei der Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen.
Zeitlich würde ein Eingreifen
aus Brüssel in die Zuständigkeit der neuen EU-Kommission fallen, die nach den
EU-Wahlen 2024 gebildet wird.
Doch schon jetzt signalisiert
man in Berlin Unwillen, dass sich die Europäische Kommission in den
langjährigen Konsens über die Stromgebotszonen einmischt.
„Europa kann nicht einseitig
über eine Aufteilung der deutschen Strompreiszone entscheiden“, sagt Ingrid
Nestle, energiepolitische Sprecherin der Grünen.
In Brüssel heißt es, man
könne den Ergebnissen der laufenden Überprüfung der Gebotszonen nicht
vorgreifen.
Es wäre jedoch nicht das
erste Mal, dass die Europäische Kommission erfolgreich eine Gebotszone
aufteilt. Nach jahrelangem Druck trennte sich Österreich von der deutschen
Gebotszone und wurde 2018 zu einer einzigen Strompreiszone.
Aber Deutschland oder
Frankreich eine Aufteilung aufzuzwingen, wäre politisch ein ganz anderes Spiel.
„Die Kommission wäre sehr
mutig, wenn sie das tun würde“, heißt es aus Brüsseler Kreisen. EA 26
Fünf kostenfreie Online-Veranstaltungen für Menschen mit Krebs, Angehörige und Interessierte
Berlin - Vom 3. Juni bis zum
8. Juni können Menschen mit Krebs, ihre Angehörigen und Interessierte an den
kostenfreien Online-Veranstaltungen der German Cancer Survivors Week 2023
teilnehmen. Unter dem Motto „Stark für ein Leben trotz Krebs“ bietet das
Programm jeden Tag ein anderes Schwerpunktthema. Interessierte haben die
Möglichkeit, Online-Vorträge und Diskussionsveranstaltungen zu verfolgen und
ihre Fragen an Expert*innen zu richten.
Die Auftaktveranstaltung am
3. Juni trägt den Titel „Krebsforschung – was bringt mir das?“ und wird von der
Deutschen Krebsstiftung in Kooperation mit der Berliner Krebsgesellschaft e. V.
organisiert. Die nachfolgenden Veranstaltungen richten die
Landeskrebsgesellschaften in Bayern, Hamburg, Mecklenburg-Vorpommern und
Sachsen aus. Die German Cancer Survivors Week der Deutschen Krebsstiftung steht
unter der Schirmherrschaft von Bundesgesundheitsminister Prof. Dr. Karl Lauterbach.
„Krebsforschung trägt
wesentlich dazu bei, das Überleben mit der Erkrankung zu verbessern, die
Lebensqualität der Betroffenen zu erhöhen und den Alltag mit Krebs zu
erleichtern. Doch klinische Studien am Menschen werden in der Öffentlichkeit
oft skeptisch gesehen. In der Eröffnungsveranstaltung in Berlin greifen wir
deshalb, ausgehend von dem Erfahrungsbericht einer Krebspatientin, Fragen auf,
die in diesem Zusammenhang häufig gestellt werden“, erklärt Margret Schrader,
Vorstandsvorsitzende der Deutschen Krebsstiftung. Die Teilnehmer*innen erfahren
unter anderem, was sie wissen sollten, wenn sie sich für eine Studienteilnahme
interessieren, wie Erkenntnisse aus der Forschung rasch in die Versorgung
gelangen und wie man geeignete Studien finden kann. Außerdem werden
verschiedene Studien aus der onkologischen Versorgungsforschung vorgestellt.
Die Auftaktveranstaltung
„Forschung - was bringt mir das?“ in der Berlin-Brandenburgischen Akademie der
Wissenschaften in Berlin wird am Samstag, dem 3 Juni, ab 11.00 Uhr im
Livestream übertragen.
Die Programmdetails sind
unter dieser URL abrufbar: https://www.deutsche-krebsstiftung.de/projects/eroeffnungsveranstaltung-der-german-cancer-survivors-week-2023/.
Den Link zur Online-Teilnahme
am 3. Juni finden Sie hier: https://us02web.zoom.us/j/85858994097.
Eine Anmeldung ist nicht
erforderlich.
Auch im weiteren Verlauf der
German Cancer Survivors Week 2023 stellen wir Studien mit einem unmittelbaren
Nutzen für Krebsbetroffene vor und informieren über spezielle
Krebsberatungsangebote.
Montag, 5. Juni, 17.30 -
19.00 Uhr: „Von der Krebsprävention bis zur virtuellen Wohngemeinschaft“
Online-Teilnahme unter dem
Link:
https://us02web.zoom.us/j/89284131809
Drei Projekte stehen im
Mittelpunkt dieser Online-Veranstaltung der Sächsischen Krebsgesellschaft e.
V.: (1) das Präventionsprojekt „Kinderleicht – Sonnenschutz im Kindesalter“, an
dem bereits über 100 Kitas in Sachsen teilnehmen; (2) das Beratungsmobil, von
dem vor allem Krebsbetroffene auf dem Land profitieren; und (3) die Plattform
Telmacare – die virtuelle Wohngemeinschaft hilft bei der Suche nach
Informationen, Gesprächspartnern, Freizeitangeboten und interessanten
Veranstaltungen.
Dienstag, 6. Juni, 17.30 -
19.00 Uhr: „Chronische Erschöpfung bei Krebs“
Online-Teilnahme unter dem
Link:
https://us02web.zoom.us/j/87970997796
Eine tumorbedingte Fatigue
hat nichts mit der „normalen Müdigkeit“ gesunder Menschen zu tun und ist auch
keine seelische Erkrankung. Mögliche Ursachen, Gegenmaßnahmen und den Ablauf
einer Fatigue-Sprechstunde der Bayerischen Krebsgesellschaft erklärt Dr. phil.
Irene Fischer vom Institut für Tumor-Fatigue-Forschung, Vorstandsmitglied der
Deutschen Fatigue Gesellschaft und wissenschaftliche Leiterin der
Tumor-Fatigue-Sprechstunde der Bayerischen Krebsgesellschaft in ihrem
Onlinevortrag. Im Anschluss beantwortet sie Fragen der Zuschauer*innen.
Mittwoch, 7. Juni, 17.30 -
19.00 Uhr: „Krebsforschung und -versorgung in einem Flächenland“
Online-Teilnahme unter dem
Link:
https://us02web.zoom.us/j/86843821480
Flächenländer sind bei der
Organisation von Beratungsleistungen besonders gefordert. In
Mecklenburg-Vorpommern stehen den Betroffenen seit 2021 mobile ambulante
Beratungsteams zur Seite. Wie sie Krebskranke und ihre Angehörigen wohnortnah
unterstützen, ist Thema dieser Online-Veranstaltung der Krebsgesellschaft
Mecklenburg-Vorpommern. Wir stellen Ihnen außerdem eine Bewegungsstudie an der
Universitätsmedizin Rostock zur Wirksamkeit individueller Trainingsprogramme
für Krebspatient*innen vor und diskutieren dabei die Herausforderungen beim
Transfer wissenschaftlicher Erkenntnisse in die Versorgung.
Donnerstag, 8. Juni, 17.30 -
19.00 Uhr: „Von der Forschung in die Praxis“
Online-Teilnahme unter dem
Link:
https://us02web.zoom.us/j/84271994862
Was können Patient*innen von
der Krebsforschung erwarten? Im Fokus dieser Online-Veranstaltung der Hamburger
Krebsgesellschaft stehen zwei Studien mit einem unmittelbaren, praktischen
Nutzen: In einer komplementärmedizinischen Untersuchung geht es um brandneue
Ergebnisse aus der Achtsamkeitsforschung. Außerdem stellen wir die im Rahmen
der „WAG_ES-Studie“ entwickelten männerspezifischen Angebote, u.a. eine
Online-Männergruppe für Krebspatienten, vor. Unser Online-Yoga-Schnupperkurs
ermuntert zum Mitmachen.
Zugang zum gesamten Programm
und nähere Informationen erhalten Sie hier:
https://www.deutsche-krebsstiftung.de/projects/german-cancer-survivors-week-2023/
Die German Cancer Survivors
Week
Die Deutsche Krebsstiftung
möchte den Erfahrungsaustausch von Krebsbetroffenen fördern; zugleich möchte
sie das Thema „Leben mit Krebs“ in die Gesellschaft tragen und darüber
aufklären. Deshalb veranstaltet sie seit 2015 den German Cancer Survivors Day
(GCSD), bei dem Betroffene und Expert*innen in der Öffentlichkeit über die
Herausforderungen sprechen, die das Leben mit Krebs bereithält. 2021 wurde der
German Cancer Survivors Day zur German Cancer Survivors Week. GA 26
EU-Parlament will ehemaligen Abgeordneten Pension kürzen
Das Europäische Parlament
plant, sein Pensionsprogramm für ehemalige Abgeordnete um 50 Prozent zu kürzen,
um das Defizit des Pensionsfonds von 310 Millionen Euro auf 86 Millionen Euro
zu reduzieren. Dies wurde am Montagabend von der Parlamentsleitung beschlossen.
Von: Eleonora Vasques
Das System zahlt ehemaligen
Abgeordneten 3,5 Prozent ihres Gehalts für jedes volle Jahr ihrer Amtszeit, bis
zu einer Obergrenze von 70 Prozent ihres Gehalts. Derzeit liegt das monatliche
Gehalt der Abgeordneten nach Steuern bei 7.647 Euro, wobei 914 ehemalige
Abgeordnete derzeit von der Regelung profitieren.
Mit der Vereinbarung werden
die Ruhegehälter um 50 Prozent gekürzt, die automatischen Indexierungen
eingefroren, das Renteneintrittsalter von 65 auf 67 Jahre angehoben und eine
Klausel über den freiwilligen Austritt aus dem Rentensystem in Form einer
einmaligen Zahlung eingeführt, deren Höhe von der Dauer der Zugehörigkeit zum
Parlament abhängt.
Die Einigung wurde in einer
nichtöffentlichen Sitzung des Parlamentspräsidiums erzielt, in dem die
Präsidentin Roberta Metsola und die 14 Vizepräsidenten des Parlaments vertreten
sind und das für die interne Funktionsweise der Versammlung zuständig ist.
Abgeordnete, die jünger als
63 Jahre sind und eine Legislaturperiode im Parlament verbracht haben, haben
Anspruch auf eine Abfindung von 50.900 Euro vor Steuern.
Das Defizit war zuvor zu einem
großen Problem geworden. Da die jährlichen Rentenzahlungen bis zum Jahr 2030 23
Millionen Euro pro Jahr kosten werden, wäre der Fonds in der ersten Hälfte des
Jahres 2025 erschöpft.
Nach dem neuen Vorschlag
wurde die gesamte künftige Zahlungsverpflichtung von 353 auf 130 Millionen Euro
gesenkt. Der Fonds wird voraussichtlich in der zweiten Hälfte des Jahres 2027
kein Geld mehr haben.
Ohne die Reform werden die
Verbindlichkeiten des Parlaments im Rahmen des Rentensystems bis 2047 auf über
20 Millionen Euro geschätzt, heißt es in einem Dokument, das vor der
Präsidiumssitzung verteilt wurde und EURACTIV vorliegt.
Die Vereinbarung, die noch
von den Abgeordneten formell genehmigt werden muss, würde jedoch immer noch ein
Defizit von 86 Millionen Euro hinterlassen, das wahrscheinlich von den
europäischen Steuerzahlern gedeckt werden müsste. Sollte das Parlament die
Rentenzahlungen einfach ausfallen lassen – eine Option, die vom Präsidium
erörtert wurde – würde es mit einer rechtlichen Anfechtung rechnen müssen.
Die Pensionsregelung trat
nach den Europawahlen 2009 in Kraft, bei denen ein neues Statut für die
Abgeordneten des Europäischen Parlaments als Teil einer umfassenderen
Überarbeitung der Vorschriften über die Bezüge und Leistungen für das Personal
des Parlaments eingeführt wurde.
Das Europäische Parlament
erklärte jedoch, dass weitere Maßnahmen in dieser Angelegenheit ergriffen
werden können.
„Die beschlossenen Maßnahmen
würden, sobald sie abgeschlossen sind, die Interessen der Allgemeinheit und der
EU-Steuerzahler schützen und gleichzeitig das EU-Recht einhalten und ein
Mindestmaß an Unterhaltszahlungen an die Begünstigten sicherstellen“, erklärte
ein Pressesprecher des Parlaments gegenüber EURACTIV.
„Es wurde außerdem
vereinbart, die Situation und die Auswirkungen dieser Entscheidungen im Jahr
2024 zu überprüfen. Falls nötig, können weitere Maßnahmen ins Auge gefasst
werden“, hieß es.
In der Zwischenzeit haben
einige Europaabgeordnete, darunter die grüne Vizepräsidentin Heidi Hautala,
besser gestellte Abgeordnete aufgefordert, das System zu verlassen.
Im Jahr 2024 wird sich nach
den Europawahlen, die zwischen dem 6. und 9. Juni stattfinden, ein neues
Europäisches Parlament konstituieren. EA 25
NRW-Regierungschef Wüst zum 30. Jahrestag des Brandanschlags von Solingen
Rechtsextremismus ist nach
Einschätzung von NRW-Ministerpräsident Hendrik Wüst „die größte Gefahr für
unsere Demokratie“. Der rassistische Brandanschlag von Solingen vor 30 Jahren
sei kein Einzelfall gewesen, sagte der CDU-Politiker im Gespräch. Das Erinnern
an diese Tat dürfe nie enden. Von Ingo Lehnick
Am 29. Mai jährt sich zum 30.
Mal der rechtsextrem motivierte Brandanschlag von Solingen, bei dem fünf
Mädchen und Frauen ums Leben kamen. Wie wichtig ist die Erinnerung drei
Jahrzehnte nach der Tat?
Hendrik Wüst: Der 29. Mai
1993 war einer der dunkelsten Tage in der Geschichte Nordrhein-Westfalens. Auch
30 Jahre nach dieser menschenverachtenden Tat bleiben Fassungslosigkeit und
Trauer. Fünf Menschen wurden durch den rechtsextremen Anschlag aus dem Leben
gerissen. Für die Familie Genç hat sich in jener Nacht alles verändert. Für
mich ist klar: Das Erinnern an diese Tat darf nie enden. Erinnern an Solingen
bedeutet, niemals zu vergessen, was passiert ist. Erinnern bedeutet auch, aus
der Vergangenheit zu lernen und jeden Tag dafür einzustehen, dass Hass, Hetze
und Fremdenfeindlichkeit keinen Platz in unserer Gesellschaft haben. Das bleibt
eine immerwährende Aufgabe.
Damals herrschte im Zuge
einer Asyldebatte eine aufgeheizte Stimmung, es gab den Anschlag von Mölln und
die Übergriffe in Rostock-Lichtenhagen. Rassismus und rechtsextreme Gewalt sind
aber bis heute gegenwärtig, dafür stehen etwa die NSU-Morde und die Anschläge
von Halle und Hanau. Wird trotz der vielen Gewalttaten nicht genug gegen Ausländerfeindlichkeit
und Rechtsextremismus getan?
Hendrik Wüst: Leider wissen
wir, dass Solingen kein Einzelfall war. Rechtsextremismus ist die größte Gefahr
für unsere Demokratie. Darum müssen wir als Gesellschaft zusammenstehen und
deutlich machen, dass Rassismus, Hass und Hetze hier keinen Platz haben. Als
Landesregierung sind wir uns unserer Verantwortung bewusst. Darum unterstützen
wir Beratungsstellen gegen Rechtsextremismus und haben das Förderprogramm
„NRWeltoffen“ entwickelt, um die Kommunen in der Präventionsarbeit gegen
Rechtsextremismus und Rassismus zu stärken. Zudem werden wir Schutzlücken in
einem Antidiskriminierungsgesetz schließen und so die Rechte der Betroffenen
stärken.
Der Kampf gegen Rassismus und
Rechtsextremismus ist eine gesamtgesellschaftliche Aufgabe. Deshalb freut mich
der unermüdliche Einsatz der Menschen in Nordrhein-Westfalen ganz besonders.
Seit 2018 verleiht das Land Nordrhein-Westfalen jährlich die
Mevlüde-Genç-Medaille an Menschen, die sich für Verständigung und Toleranz einsetzen
und so zu einem friedlichen Miteinander in unserer Gesellschaft beitragen. Die
Medaille soll so die vorbildliche Haltung von Mevlüde Genç für uns alle in
Erinnerung halten. Ihr wurde durch den Brandanschlag das Wichtigste im Leben
genommen: Kinder, Enkelkinder und eine Nichte. Ein Schicksalsschlag, von dem
sich die meisten Menschen nie wieder erholt hätten.
Doch Mevlüde Genç hat den Frieden
und die Versöhnung immer an erste Stelle gesetzt. Sie verstand es, den
unermesslichen Schmerz, der ihr zugefügt wurde, in die Kraft umzuwandeln, sich
für andere Menschen einzusetzen. Nach ihrem Tod im vergangenen Jahr ist es umso
mehr unsere Verantwortung und Pflicht, ihr Wirken lebendig zu halten. In diesem
Jahr verleihe ich die Mevlüde-Genç-Medaille darum an das Informations- und
Dokumentationszentrum für Antirassismusarbeit in Nordrhein-Westfalen. Vor allem
im Bereich der Jugendarbeit setzen sich die Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter
für eine umfassende Präventionsarbeit ein. Das ist vorbildlich und verdient
unsere Anerkennung.
Die Zahl der Schutzsuchenden
in Deutschland ist 2022 stark gestiegen, vor allem durch den russischen Krieg
gegen die Ukraine. Auch Straftaten gegen Flüchtlinge und deren Unterkünfte
nahmen im vergangenen Jahr zu. Gibt es nach Ihrer Einschätzung eine wachsende
Fremdenfeindlichkeit?
Hendrik Wüst: Am 24. Februar
2022 hat Putin den Krieg zurück nach Europa gebracht. Von Beginn an war klar:
Wer vor Putins Krieg flieht, ist bei uns in Nordrhein-Westfalen herzlich
willkommen. Viele Menschen im ganzen Land haben ihre Häuser und ihre Herzen
geöffnet, sich haupt- und ehrenamtlich engagiert und klargemacht, was wir
Putins Krieg entgegensetzen: Nächstenliebe, Mitmenschlichkeit und Solidarität!
Unsere Sicherheitsbehörden beobachten, dass Rechtsextremisten die Krisen der
vergangenen Jahre für ihre Zwecke instrumentalisieren – seien es
Corona-Beschränkungen, steigende Energiepreise oder der Ukraine-Krieg. Deshalb
sage ich: Lassen wir nicht zu, dass diejenigen, die Ängste schüren und Hass
verbreiten, Erfolg haben. Wir leben in einer gefestigten, aber auch in einer
wehrhaften Demokratie. Es liegt an uns allen, diese Demokratie lebendig zu halten.
Amnesty International beklagt
„verbale Entgleisungen“ in der aktuellen Flüchtlingsdebatte. Welche Rolle
spielt eine polemische Rhetorik in der Politik, etwa wenn im Blick auf
Flüchtlinge von „Sozialtourismus“ die Rede ist?
Hendrik Wüst: Der russische
Angriffskrieg gegen die Ukraine verursacht unfassbares Leid. Millionen Menschen
mussten ihre Heimat verlassen, haben alles verloren. Derzeit leisten unsere
Städte, Gemeinden und Kreise Herausragendes bei der Aufnahme, Unterbringung und
Integration Geflüchteter. Für mich ist klar: Als Demokratien müssen wir gerade
jetzt zusammenzuhalten und zusammenrücken. Dafür setzt sich das Land
Nordrhein-Westfalen auch weiterhin ein.
Wie müsste eine langfristig
angelegte Strategie gegen Rassismus und rechte Gewalt aussehen?
Hendrik Wüst:
Rechtsextremisten stellen unser demokratisches Gemeinwesen infrage. Das dürfen
wir nicht dulden. Staat und Zivilgesellschaft müssen zusammenarbeiten und
entschlossen für ein respektvolles gesellschaftliches Miteinander eintreten. Es
ist unsere Pflicht, die Erinnerung und das Wissen über menschenverachtende
Gräueltaten lebendig zu halten und sie in Zukunft zu verhindern. In
Nordrhein-Westfalen leistet die Landeszentrale für Politische Bildung hier
bereits hervorragende Arbeit. Darüber hinaus ist das „Integrierte
Handlungskonzept gegen Rechtsextremismus und Rassismus“ der Landesregierung
seit Jahren ein wichtiger Baustein, um Maßnahmen gegen Rechtsextremismus und
Rassismus noch besser aufeinander abzustimmen, weiterzuentwickeln und
insbesondere die präventive Arbeit zu stärken.
(epd/mig 25)
„Moderne Sklaverei" wächst weltweit
Der „Global Slavery Index
2023“ stellt eine erhebliche Verschlechterung der Situation von Menschen
weltweit fest, die unter sklavenähnlichen Bedingungen leben müssen.
Die Menschen in Nordkorea,
Eritrea und Mauretanien sind weltweit am stärksten von moderner Sklaverei
betroffen, schreibt die Menschenrechtsorganisation „Walk Free“ in ihrem
aktuellen Bericht, der an diesem Mittwoch veröffentlicht wurde. Demnach haben
im Jahr 2021 schätzungsweise 50 Millionen Menschen in „moderner Sklaverei“
gelebt, davon etwa 28 Millionen Menschen, die Zwangsarbeit verrichten, und 22
Millionen, die in Zwangsheirat leben. 2016 lag die Gesamtzahl bei zehn
Millionen.
Der Bericht definiert moderne
Sklaverei als „Zwangsarbeit, Zwangs- oder sogenannte Untergebenenehe,
Schuldknechtschaft, erzwungene kommerzielle sexuelle Ausbeutung,
Menschenhandel, sklavereiähnliche Praktiken und den Verkauf und die Ausbeutung
von Kindern". Das Kernprinzip der Sklaverei betrifft demnach „die
systematische Beseitigung der Freiheit einer Person" vom Recht, Arbeit
anzunehmen oder abzulehnen, bis hin zur Freiheit zu entscheiden, ob, wann und
wen man heiratet.
Erschütternde Weltrangliste
Daran gemessen führt
Nordkorea den Bericht „moderner Sklaverei“ an. Es folgen Eritrea und
Mauretanien, das 1981 als letztes Land der Welt die vererbbare Sklaverei für
illegal erklärte. Ebenfalls unter den Top 10 der Weltrangliste finden sich
Saudi-Arabien, die Vereinigten Arabischen Emirate, Kuwait, die Türkei,
Tadschikistan, Russland und Afghanistan.
Die zehn Länder mit der
höchsten Prävalenz moderner Sklaverei weisen einige gemeinsame Merkmale auf,
darunter „begrenzter Schutz der bürgerlichen Freiheiten und
Menschenrechte". Während Zwangsarbeit in Ländern mit niedrigem Einkommen
häufiger vorkommt, ist sie eng mit der Nachfrage aus Ländern mit höherem
Einkommen verbunden", so der Bericht, der feststellt, dass zwei Drittel
aller Fälle von Zwangsarbeit mit globalen Lieferketten in Zusammenhang stehen.
Die Situation verschlechtert
sich unter anderem vor dem Hintergrund zunehmender und komplexerer bewaffneter
Konflikte, politischer Instabilität, weit verbreiteter Umweltzerstörung und der
Auswirkungen der Corona-Pandemie, so die Untersuchunng. (ucanews 24)
Gericht: Rumänien muss gleichgeschlechtliche Partnerschaft anerkennen
Der Europäische Gerichtshof
für Menschenrechte in Straßburg hat festgestellt, dass Rumänien verpflichtet
ist, gleichgeschlechtliche Partnerschaften angemessen anzuerkennen und zu
schützen, da das Land das Recht auf Familienleben von 21 gleichgeschlechtlichen
Paaren verletzt hat. Von: Catalina Mihai
21 gleichgeschlechtliche Paare
verklagten Rumänien vor dem Straßburger Gericht und machten geltend, dass es
ihnen unmöglich sei, in Rumänien irgendeine Art von rechtlich anerkannter
Verbindung einzugehen, und dass sie keine Möglichkeit hätten, ihre Beziehungen
rechtlich abzusichern.
Der Gerichtshof stellte
insbesondere fest, dass Rumänien verpflichtet ist, gleichgeschlechtliche
Beziehungen angemessen anzuerkennen und zu schützen, auch wenn es „einen
Ermessensspielraum hinsichtlich der Form und des gewährten Schutzes“ hat.
Keines der Argumente der
Regierung in Bezug auf die gleichgeschlechtliche Ehe könne das Interesse der
Kläger an der Anerkennung ihrer Lebensgemeinschaft aufwiegen, so das Gericht
weiter.
Der Präsident des Nationalen
Rates zur Bekämpfung von Diskriminierung (CNCD), Csaba Asztalos, zeigte sich
wenig überrascht. Er erklärte gegenüber HotNews.ro, dass Rumänien ein Gesetz
zur zivilen Lebenspartnerschaft annehmen sollte.
Er zeigte sich jedoch
skeptisch, dass die Parteien dieses Thema vor einem Wahljahr in Angriff nehmen werden.
Die Entscheidung kam auch für
Cristi Danilet, einen Richter in der Stadt Cluj, nicht überraschend, der
EURACTIV von ähnlichen Entscheidungen gegen andere Staaten erzählte.
„Jetzt sind zwei Menschen,
die zusammenleben, einfach zwei Ausländer, die im selben Haus leben. Wenn einem
von ihnen etwas zustößt, kann der andere ihn nicht im Krankenhaus besuchen,
wenn einer stirbt, kann der andere nichts erben, weil es keine Beziehung gibt,
sie sind keine Verwandten, sie sind keine Ehegatten“, erklärte Danilet.
Umsetzung vor der Wahl
unwahrscheinlich
Die Entscheidung des
Straßburger Gerichts ist bindend, aber der rumänische Staat wird versuchen, die
Umsetzung zu vermeiden, „besonders vor einer Wahlkampagne, weil es ein
sensibles Thema ist, die rumänisch-orthodoxe Kirche und die Extremisten werden
wieder aufspringen“, so Danilet.
Die nächste Parlamentswahl in
Rumänien findet 2024 statt.
„Sie werden es als Mittel
gegen die Demokratie einsetzen. Aber in Wirklichkeit ist diese Entscheidung ein
Ergebnis der Demokratie. In einer Demokratie sind die Menschen gleich. Sie
können nicht gezwungen werden, zu heiraten, um vom Staat beschützt zu werden“,
fügte Danilet hinzu.
Die Menschenrechtsanwältin
Iustina Popescu erklärte, die Entscheidung bestätige, was das Verfassungsgericht
2018 im Fall Coman gesagt habe: Gleichgeschlechtliche Paare seien auch Familien
und müssten rechtlich geschützt werden.
„Es gibt noch Fälle beim EGMR
[Europäischen Gerichtshof für Menschenrechte] und es wird weitere
Verurteilungen gegen Rumänien geben, wenn der Staat diese Familien nicht
anerkennt“, sagte Popescu.
Sie sieht keinen Grund für
den Staat, die Entscheidung anzugreifen, da der rumänische Staat vor dem
Gerichtshof nicht bestritten hat, dass gleichgeschlechtliche Paare rechtlich
geschützt werden müssen.
Nach Ansicht der rumänischen
Behörden könnten diese Rechte durch private vertragliche Vereinbarungen
nachgebildet werden.
Ein weiteres Argument war die
negative Einstellung der heterosexuellen Mehrheit, die vom Europäischen
Gerichtshof für Menschenrechte jedoch zurückgewiesen wurde. Dies könne das
Interesse der Antragsteller an der Anerkennung ihrer Beziehungen nicht außer
Kraft setzen, und die Anerkennung gleichgeschlechtlicher Partnerschaften würde
der Institution der Ehe nicht schaden, da andersgeschlechtliche Paare weiterhin
heiraten könnten, so das Gericht.
Kritik aus Politik und Kirche
„Die Entscheidung des EGMR,
Rumänien zu verpflichten, gleichgeschlechtliche Familien anzuerkennen,
widerspricht den Idealen, die wir hochhalten. Sie haben sich entschieden, das
Herzstück der jüdisch-christlichen Zivilisation nicht zu respektieren, die
Familie, die aus einem Mann und einer Frau besteht und seit Jahrhunderten die
Säule unserer Gemeinschaften ist“, sagte Robert Sighiartau, Generalsekretär der
Partei PNL (EVP).
Andere Politiker haben es
vermieden, sich zu der Entscheidung zu äußern.
Die rumänisch-orthodoxe
Kirche reagierte jedoch heftig und lehnte jede Art von ziviler Vereinigung oder
Partnerschaft ab.
Die Kirche, die bei
Politikern sehr einflussreich ist, ist der Ansicht, dass die zivile
Partnerschaft „ein Ersatz für die Ehe und ein zerstörerisches Element der
geistigen und moralischen Ordnung in der Gesellschaft“ ist.
Sie verteidigte die
„kulturellen und historischen Traditionen“ und erklärte, dass „kein
europäischer oder internationaler Text die Staaten dazu verpflichten kann,
einen besonderen Status für Personen zu schaffen, die zusammenleben, egal ob
sie verschieden- oder gleichgeschlechtlich sind.“ EA 24
CDU verbreitet „Fake-News“. Streit um Einbürgerungsreform
Kaum liegen die
Regierungspläne für die Staatsbürgerschaft-Reform vor, gibt es Streit. Die CDU
kritisiert erleichterte Einbürgerungen von Sozialhilfebeziehern. Tatsächlich
werden die Regeln für Leistungsbezieher massiv verschärft. FDP kontert: CDU
verbreitet Fake-News.
Die CDU/CSU-Opposition im
Bundestag wendet sich gegen Pläne der Regierungskoalition für leichtere
Einbürgerungen. Ihr Erster Parlamentarischer Geschäftsführer Thorsten Frei
sprach in der „Rheinischen Post“ von „falschen Signalen in die Welt“. Das
Vorhaben von SPD, Grünen und FDP werde einen bestehenden „Migrationsdruck“ noch
verstärken. „Welches Land vergibt die Staatsbürgerschaft auf die Schnelle an
Menschen, die noch nicht einmal ihren Lebensunterhalt aus eigenen Kräften
bestreiten können?“, sagte Frei.
Der Parlamentarische
Geschäftsführer der FDP-Bundestagsfraktion, Stephan Thomae, entgegnete: „Wir wollen
Menschen schneller einbürgern, die von ihrer eigenen Hände Arbeit leben können
und sich gut integriert haben“. Dies sei kein falsches Signal, sondern ein
„echter Anreiz, Arbeit aufzunehmen und etwas zu unserer Gesellschaft
beizutragen“. Die Union verkenne, dass zu einem modernen Einwanderungsland auch
ein modernes Staatsangehörigkeitsrecht gehöre, kritisierte Thomae.
Vogel: CDU verbreitet
Falschnachrichten
Der Erste Parlamentarische
Geschäftsführer der FDP-Fraktion, Johannes Vogel, warf dem CDU-Politiker vor,
Falschnachrichten zu verbreiten. Die Behauptung, die deutsche
Staatsbürgerschaft solle an Einwanderer vergeben werden, die ihren
Lebensunterhalt nicht aus eigener Kraft bestreiten könnten, „ist genau das
Gegenteil von dem, was passiert“, sagte er in Berlin.
Die Bundesregierung hatte
sich vergangene Woche in Grundzügen auf ein neues Staatsbürgerschaftsrecht
geeinigt. Kern sind kürzere Mindestaufenthalte für Einbürgerungen – statt acht
Jahren sollen fünf Jahre reichen, bei besonderen Integrationsleistungen auch
nur drei. Ausgeschlossen sein soll der deutsche Pass für Menschen, die aus
antisemitischen oder rassistischen Motiven Straftaten begangen haben.
Voraussetzung soll auch sein, den Lebensunterhalt in der Regel ohne
Sozialleistungen bestreiten zu können.
Massive Verschärfungen bei
Lebensunterhaltssicherung
Bei der
Lebensunterhaltssicherung sieht die Reform im Vergleich zur aktuell geltenden
Rechtslage massive Verschärfungen vor. Bisher besteht laut
Staatsbürgerschaftsgesetz ein Anspruch auf Einbürgerung, wenn man den
„Lebensunterhalt für sich und seine unterhaltsberechtigten Familienangehörigen
ohne Inanspruchnahme von Leistungen … bestreiten kann oder deren
Inanspruchnahme nicht zu vertreten hat“. Die Ausnahme im zweiten Halbsatz gilt
beispielsweise dann, wenn der Antragssteller Bürgergeld unverschuldet bezieht,
etwa wegen einer Krankheit oder Behinderung. Von der Einbürgerung
ausgeschlossen sind zudem Alleinerziehende, Schüler oder pflegende Angehörige,
die nicht Vollzeit arbeiten können. Die für diese Personengruppen geltende
Ausnahme im zweiten Halbsatz fällt weg. Eine Ausnahme von der
Unterhaltssicherung gilt nur noch für die erste „Gastarbeiter-“ oder
Vertragsarbeiter-Generation.
Frei hingegen sagte, es
brauche keine Erleichterungen. „Für Menschen, die gut qualifiziert sind und
gern in Deutschland leben und arbeiten wollen, stehen die Türen längst offen.“
Mit den bestehenden Gesetzen „brauchen wir den Vergleich zu anderen
Industrienationen, die sich ebenfalls um kluge Köpfe aus aller Welt bemühen,
nicht zu scheuen“. Nach Angaben des Innenministeriums lebten Ende 2021 rund
10,7 Millionen Ausländer in Deutschland – mehr als die Hälfte seit mindestens
zehn Jahren. (dpa/mig 24)
Mitgliedstaaten geeint: Unverkaufte Waren dürfen nicht vernichtet werden
Nach zähen Verhandlungen
haben sich die EU-Mitgliedstaaten auf ihre Positionen in der Ökodesign-Reform
geeinigt. Neu ist dabei ein Verbot der Vernichtung von unverkauften Textilien
und Schuhen. Von: Nikolaus J. Kurmayer
Normale Konsumgüter wie
Kleidung gelten allgemein als klimabelastend, wobei einige fragwürdige
Schätzungen besagen, dass bis zu 10 Prozent der weltweiten CO2-Emissionen auf
die Textilindustrie zurückzuführen sind.
Um den mit Konsumgütern
verbundenen Abfall zu reduzieren und ihre Wiederverwendung in irgendeiner Form
zu fördern, hat die EU-Kommission im Jahr 2022 eine Reform der
Produktvorschriften auf den Weg gebracht – am besten bekannt als die
Ökodesign-Vorschriften.
Am Montag (22. Mai) einigten
sich die EU27 im Vorfeld der Verhandlungen mit dem Europäischen Parlament auf
eine gemeinsame Position zur Reform.
„Die Ökodesign-Verordnung
wird dafür sorgen, dass die auf dem EU-Markt verkauften Produkte fit und bereit
für den grünen Übergang sind“, sagte die schwedische Ministerin Ebba Busch, die
für die Verhandlungen zwischen den Mitgliedstaaten der EU zuständig ist.
Die Kompromissfindung wurde
allerdings durch einen deutsch-französischen Vorstoß, die Vernichtung von
unverkauften Textilien, Schuhen und Kleidung zu verbieten, erheblich erschwert.
Die deutliche Abweichung vom
ursprünglichen Kommissionsvorschlag verzögerte die Verhandlungen auf
Botschafterebene in Brüssel, sodass ein Kompromiss übrig blieb, der den meisten
Ländern Grund für Beschwerden gab.
Das Herzstück der
Ökodesign-Vorschriften wird der neue digitale „Produktpass“ sein, der
Informationen über die ökologische Nachhaltigkeit eines bestimmten Produkts
enthält. Brüssel argumentiert, dass dies den Verbrauchern helfen wird, besser
informierte Entscheidungen zu treffen.
Das Gesetz selbst enthält
keine eigentlichen Produktanforderungen, sondern schafft stattdessen einen
breiten Rahmen für künftige Produktstandards, die in Brüssel verabschiedet
werden sollen. Ausnahmen wurden für Fahrzeuge, Medikamente und Lebensmittel
geschaffen.
„Künftig müssen Produkte
energieeffizient und darüber hinaus langlebig, reparierbar, wiederverwendbar
und recycelbar sein, um auf dem EU-Binnenmarkt angeboten zu werden“, erklärte
Sven Giegold, ehemals ein grüner EU-Abgeordneter der mittlerweile Staatsekretär
im Bundesministerium für Wirtschaft und Klimaschutz.
Er beklagte jedoch, dass die
öffentliche Aufmerksamkeit trotz der Bedeutung der Regeln für die Klimaziele
der EU woanders lag.
Das Europäische Parlament
muss noch seinen eigenen Standpunkt zu dem Gesetz festlegen, danach können die
Verhandlungen hinter verschlossenen Türen beginnen.
Ein geteilter Rat
Die 27 Mitgliedsstaaten
einigten sich nur in groben Zügen auf ihre Position, zum Teil aufgrund des
Vorstoßes, die Vernichtung unverkaufter Waren zu verbieten, wobei viele Länder
ein gewisses Maß an Unzufriedenheit äußerten.
„Es ist zwar ein sehr heikler
Kompromiss, aber wir glauben, dass er einen fairen Ausgleich zwischen den
verschiedenen von den Delegationen geäußerten Wünschen bietet“, sagte der
schwedische Minister Busch.
Beim Thema Umwelt wurde der
Ehrgeiz allerdings hochgehalten.
„Der Rat hat insgesamt das Niveau
der Ambitionen im Bereich der ökologischen Nachhaltigkeit beibehalten“, sagte
Umweltkommissar Virginijus Sinkevi?ius.
Während einige
Mitgliedstaaten die vorgeschlagene Ermächtigung der Europäischen Kommission zur
alleinigen Festlegung von Standards als Eingriff in ihr Hoheitsgebiet
empfinden, versuchte Sinkevi?ius, die Gemüter zu beruhigen.
„Das bedeutet nicht, dass wir
die Welt ohne die Mitgliedsstaaten vorbereiten“, fügte er hinzu.
Der Rat, der die
Mitgliedsstaaten vertritt, möchte stattdessen ein faires Mitspracherecht bei
der Schaffung von Regeln für nachhaltige Produkte haben: Die 27 haben sich
darauf geeinigt, eine Gruppe von Experten einzurichten, die von den
Hauptstädten ausgewählt werden, um am Entscheidungsprozess teilzunehmen.
Doch die Einigung hat Italien
und einige seiner Verbündeten zutiefst verstimmt.
„Wir haben aktiv zu den
Verhandlungen über den Text beigetragen“, sagte Adolfo Urso, der italienische
Minister für Wirtschaft und „Made in Italy“ (FDI/EKR).
Italien beherbergt eine große
Anzahl von Textilproduzenten und Modeunternehmen, welche vor der Pandemie einen
Umsatz von etwa 56 Milliarden Euro erwirtschaftet haben – viele davon sind
kleine und mittlere Unternehmen.
Der Minister beklagte, dass
das Abkommen trotzdem „nicht ganz das Gleichgewicht zwischen den verschiedenen
Interessen widerzuspiegeln scheint, die im Spiel sind.“
Ein Bürokratieabbau – ein
definitiver Ausschluss mittelständischer Unternehmen von den
Nachhaltigkeitsregeln anstelle einer Übergangszeit von vier Jahren – würde die
Wettbewerbsfähigkeit der Branche „gerade jetzt“ erhöhen, so Urso.
Er legte dem Rat seine
Beschwerden als besonderen Zusatz während der öffentlichen Diskussionen vor,
der EURACTIV zur Verfügung gestellt wurde. Der gesamte Text ist als Position
unter dem Artikel einsehbar. Mehrere Mitgliedstaaten der EU haben sich der
italienischen Position angeschlossen, darunter Rumänien, Bulgarien und
Kroatien.
Deutschland war seinerseits
auch nicht ganz glücklich mit der Vereinbarung, weshalb es ein spezielles
Addendum mit zusätzlichen Wünschen einreichte. „Deutschland sieht weiteren
Verbesserungsbedarf im Rahmen der anstehenden Verhandlungen mit dem Parlament“,
heißt es in der Erklärung.
Zu den vorgeschlagenen
Änderungen gehören strengere Nachhaltigkeitsstandards für das öffentliche
Beschaffungswesen sowie ein härteres Vorgehen gegen den Bauproduktsektor – den
Mitgliedstaaten der EU sollte es untersagt werden, Bauprodukte von den
Produktvorschriften auszunehmen, argumentiert Deutschland.
Auf die Frage, warum die 27
einem Kompromiss zugestimmt haben, mit dem sie offensichtlich nicht zufrieden
waren, erklärte Staatssekretär Giegold: „So etwas nennt man Kompromiss.“
Alle Augen richten sich nun
auf das Europäische Parlament, wo die italienische sozialistische
EU-Abgeordnete Alessandra Moretti den Plenarsaal auf ihre Seite ziehen muss, um
die abschließenden Verhandlungen mit dem Rat zu beginnen. EA 23
Die Zahl der Abgeordneten mit
Einwanderungsgeschichte in den Parlamenten steigt. Doch in einigen Landtagen
gibt es deutliche „Repräsentationslücken“. Das gilt auch für die
Unionsparteien, die FDP und AfD. Das geht aus einer aktuellen Erhebung hervor.
Der Anteil von Parlaments-Abgeordneten
mit einem Migrationsgeschichte nimmt zu, im Bundestag stärker als in den
Landtagen. Aus einer am Montag in Berlin veröffentlichten Studie des
Mediendienstes Integration geht hervor, dass 2021 im Bundestag 11,3 Prozent
oder 83 Abgeordnete einen Migrationshintergrund hatten, in allen Landtagen
zusammen 7,2 Prozent oder 136 der Parlamentarier und Parlamentarierinnen.
Anfang der 90er Jahre gab es bundesweit lediglich drei Landtagsabgeordnete aus
Einwandererfamilien.
Zwischen den Bundesländern stellten
die Wissenschaftler erhebliche Unterschiede fest. In den Stadtstaaten sind die
Zahlen deutlich höher als in einigen Flächenländern. In der Hamburger
Bürgerschaft haben Abgeordnete mit einem Migrationshintergrund einen Anteil von
21 Prozent, in Bremen von 19 Prozent, im Berliner Abgeordnetenhaus (2021) von
17 Prozent. Im saarländischen Landtag gab es 2021 keinen Parlamentarier mit
Migrationshintergrund, in Sachsen, Sachsen-Anhalt, Brandenburg,
Mecklenburg-Vorpommern und Rheinland-Pfalz waren es ein bis zwei Prozent. Bei
den Flächenländern liegt Baden-Württemberg mit elf Prozent vorn. Alle anderen
Länder bewegen sich zwischen knapp neun Prozent (Hessen) und gut drei Prozent
(Thüringen).
In Rheinland-Pfalz,
Nordrhein-Westfalen, Bayern, Hessen und im Saarland ist die Lücke zwischen dem
Anteil der politischen Repräsentanten und dem Bevölkerungsanteil mit
Migrationshintergrund besonders groß.
Deutliche
Repräsentationslücken bei CDU/CSU, FDP, AfD
Schaut man auf die Parteien,
hat die Linke im Bundestag mit mehr als einem Viertel (28 Prozent) mit Abstand
die meisten Angeordneten aus Einwandererfamilien in ihren Reihen, die Union mit
vier Prozent die wenigsten. Sowohl für den Bundestag als auch für die
Landesparlamente lässt sich der Studie zufolge ein Links-Rechts-Gefälle
erkennen: Während die Anteile bei Grünen, SPD und Linken Ende 2021 zwischen
etwa zehn und 28 Prozent lagen, waren es bei CDU/CSU, FDP und AfD zwischen rund
zwei und sieben Prozent.
Für die von der Bosch
Stiftung geförderte Studie haben die Forscher und Forscherinnen die Daten über
Abgeordnete mit Migrationshintergrund in allen deutschen Landesparlamenten für
den Zeitraum von 2012 bis 2021 aktualisiert und dabei Kriterien wie
Parteizugehörigkeit, Geschlecht und Herkunftsland berücksichtigt. (epd/mig 23)
Ukraine erzürnt: Polen fordert Weltkrieg-Entschuldigung von Selenskyj
Die Aufforderung an den
ukrainischen Präsidenten sich für die Ermordung tausender Polen durch die Ukrainische
Aufständische Armee (UPA) während des Zweiten Weltkriegs zu entschuldigen, sei
„inakzeptabel“, so der ukrainische Botschafter. Von: Aleksandra Krzysztoszek
Mit Blick auf den
bevorstehenden 80. Jahrestag der Tragödie in Wolhynien und Ostgalizien sagte
Außenministeriumssprecher Lukasz Jasina gegenüber Onet, dass historische
Meinungsverschiedenheiten zwischen Polen und der Ukraine gelöst werden sollten,
vorzugsweise indem sich Selenskyj bei Polen für die Ermordung tausender Polen
durch die UPA während des Zweiten Weltkriegs entschuldigt.
„Jegliche Versuche, dem
ukrainischen Präsidenten oder dem ukrainischen Staat vorzuschreiben, was wir in
Bezug auf unsere gemeinsame Vergangenheit zu tun haben, sind inakzeptabel und
unglücklich“, antwortete der ukrainische Botschafter Vasyl Zvarych am Samstag
auf Twitter.
Er fügte hinzu, dass die
Ukraine sich an die gemeinsame Geschichte erinnere und zu Dialog und
gegenseitigem Verständnis bereit sei, aber „zu Respekt und Ausgewogenheit in
den Erklärungen aufrufe, insbesondere angesichts der komplexen Realität der
völkermörderischen russischen Aggression gegen das ukrainische Volk.“
Am nächsten Tag milderte
Zvarych seine Botschaft ab und löschte den Beitrag. Stattdessen erklärte er,
dass er Jasinas Vorschläge im Hinblick auf die ukrainisch-polnischen
Beziehungen für „unangemessen“ halte.
Dennoch sagte der
Botschafter, er wolle, dass Kiew mit Warschau in historischen Fragen
zusammenarbeite und dabei die Bedeutung der Geschichte verstehe und die Opfer
respektiere.
„Gemeinsam sind wir stärker“,
schloss der Botschafter und fügte Emojis mit polnischen und ukrainischen
Flaggen hinzu.
Zwischen 1943 und 1945 führte
die UPA in den mehrheitlich ukrainischen Gebieten Wolhyniens und Galiziens, die
vor dem Krieg zum polnischen Staat gehörten, eine ethnische Säuberungsaktion
durch, der 50 000 bis 100 000 Polen, darunter auch Frauen und Kinder, zum Opfer
fielen.
Das „Wolhynien-Massaker“, wie
es in Polen oft genannt wird, ist nach wie vor ein Zankapfel zwischen Warschau
und Kiew.
Dennoch äußerte der polnische
Ministerpräsident Mateusz Morawiecki die Hoffnung, dass der russische Einmarsch
in der Ukraine eine Chance zur Versöhnung über die Massaker biete, und
Zelenskyy soll ihm versprochen haben, dass die Ukraine die Exhumierung der Opfer
erlauben werde.
Zu Beginn des Jahres
verurteilte Polen das ukrainische Gedenken an den nationalistischen
Kriegsführer Stepan Bandera – ein Mann, von dem der ehemalige ukrainische
Botschafter in Deutschland sagte, er sei „kein Massenmörder von Juden und Polen.“
EA 22
Erleichterungen und Verschärfungen. Bundesregierung einigt sich auf Reformgesetz zur Einbürgerung
Die Ampel-Koalition hat sich
über die Reform des Staatsangehörigkeitsrechts verständigt. Neben
Erleichterungen soll es aber auch strengere Regeln geben, etwa beim Nachweis
des eigenen Lebensunterhalts. Für Gastarbeiter und DDR-Vertragsarbeiter gibt es
Ausnahmen.
Die Bundesregierung hat sich
über die Reform des Staatsangehörigkeitsrechts verständigt.
Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) erklärte am Freitag in Berlin, damit
werde eines der wichtigsten Vorhaben der Ampel-Koalition umgesetzt.
Künftig soll eine
Einbürgerung schon nach fünf statt wie bisher nach acht Jahren möglich sein.
Wer besonders gut integriert ist, soll bereits nach drei Jahren Aufenthalt den
deutschen Pass beantragen können. Zu den besonderen Integrationsleistungen
zählen gute Sprachkenntnisse, besondere Leistungen im Job oder ehrenamtliches
Engagement.
Außerdem wird die
Mehrstaatigkeit erlaubt. Faeser sagte, einbürgerungswillige Menschen würden
„künftig nicht mehr gezwungen sein, einen Teil ihrer Identität aufzugeben“.
Über den sogenannten Doppelpass hatte es immer wieder politische
Auseinandersetzungen gegeben.
Antisemitismus verhindert
Einbürgerung
Gegenüber Faesers erstem
Entwurf zur Modernisierung des Staatsangehörigkeitsrechts gibt es einige
Änderungen, etwa, dass menschenfeindliche, antisemitische oder rassistische
Handlungen eine Einbürgerung verhindern. Darauf hatte vor allem die FDP
gedrungen. Die Staatsanwaltschaften werden verpflichtet, den
Einbürgerungsbehörden Informationen über die Motive für eine Straftat
mitzuteilen. Damit werden auch Bagatellstrafen erfasst, wenn ein
antisemitisches oder rassistisches Motiv vorliegt.
FDP-Generalsekretär Bijan
Djir-Sarai sagte dem Boulevardblatt „Bild“: „Wer die deutsche
Staatsbürgerschaft erhalten möchte, muss klare Kriterien erfüllen. Dazu gehört
die Beherrschung der deutschen Sprache, die eigenständige Sicherung des
Lebensunterhalts ebenso wie Straffreiheit und das eindeutige Bekenntnis zu
unseren Werten und der freiheitlich-demokratischen Grundordnung des
Grundgesetzes.“
Keine Einbürgerung für
Bürgergeld-Bezieher
Das Innenministerium erklärte,
der zwischen dem Innen- und dem Justizministerium sowie dem Kanzleramt
abgestimmten Gesetzentwurf werde nun zur Abstimmung an die Bundesländer und die
Verbände geschickt. Erst danach wird er vom Bundeskabinett beschlossen und geht
dann in den Bundestag und Bundesrat.
Interessenten für den
deutschen Pass müssen demnach wie bisher selbst für ihren Lebensunterhalt
aufkommen. Wer Bürgergeld bezieht, kann grundsätzlich nicht eingebürgert
werden. Davon gibt es Ausnahmen: Wer seit knapp zwei Jahren in Vollzeit
arbeitet, kann den Einbürgerungsantrag auch dann stellen, wenn er oder sie
zusätzlich auf staatliche Leistungen angewiesen ist. Das gilt auch für Ehe-
oder Lebenspartner und -partnerinnen und minderjährige Kinder.
Ausnahmen für Gastarbeiter
und DDR-Vertragsarbeiter
Aus dem Justizministerium
verlautete, die Rechtslage werde gleichwohl insgesamt strenger. Anders als
bisher soll nicht mehr berücksichtigt werden, ob jemand unverschuldet in die
Lage geraten ist, staatliche Leistungen beantragen zu müssen, etwa weil er oder
sie trotz aller Bemühungen keine Arbeit findet oder beispielsweise kleine
Kinder zu betreuen hat.
Die Lebensumstände und die
Lebensleistung der sogenannten Gastarbeitergeneration in der Bundesrepublik und
der Vertragsarbeiter in der DDR werden hingegen berücksichtigt. Ein
unverschuldeter Verlust des Arbeitsplatzes etwa ist kein Hinderungsgrund für
die Einbürgerung. Angehörige dieser Generation sollen künftig für den deutschen
Pass auch nicht mehr den Einbürgerungstest und schriftliche Sprachtests
absolvieren müssen, weil sie nicht die gleichen Integrationschancen hatten wie
später ins Land gekommene Menschen. Schließlich sollen öffentliche
Einbürgerungsfeiern zur Regel werden, um die Bedeutung des Vorgangs als
Bekenntnis zu Deutschland zu unterstreichen.
CDU kritisiert Pläne,
Türkische Gemeinde lobt sie
Unions-Innenexperte Alexander
Throm (CDU) nannte die Gesetzespläne ein falsches Signal. „Eine
Staatsangehörigkeit wird für die Ewigkeit verliehen.“ Drei bis fünf Jahre halte
er für eine Prüfung für zu kurz. Durch das Gesetz steige das Risiko, dass
vorschnell Personen eingebürgert würden, die nicht ausreichend integriert sind.
Unionsfraktionsgeschäftsführer Thorsten Frei (CDU) sagte den Zeitungen der
Funke Mediengruppe, das Gesetz breche mit bisherigem Recht. „Es führt zu einer
Entwertung der deutschen Staatsangehörigkeit.“
Grünen-Innenexpertin Lamya
Kaddor betonte, Deutschland sei seit langem ein Einwanderungsland. „Es ist
allerhöchste Zeit, dieser Realität durch ein zeitgemäßes, modernes Staatsangehörigkeitsrecht
Rechnung zu tragen.“ Die Zeit dränge. Es sei gut, dass nun Länder und
Zivilgesellschaft beteiligt würden. Laut Bundesinnenministerium lebten Ende
2021 rund 10,7 Millionen Menschen mit ausländischer Staatsangehörigkeit in
Deutschland, von denen 5,7 Millionen schon seit mindestens zehn Jahren hier
sind.
Der Bundesvorsitzende der
Türkischen Gemeinde (TGD), Gökay Sofuo?lu, lobte die geplante doppelte
Staatsbürgerschaft. Sie entspreche dem Lebensgefühl und der -realität vieler
Menschen mit Migrationsgeschichte. Mit Blick auf den Ausschlussgrund
antisemitischer oder rassistischer Handlungen warnte der TGD-Chef davor, die
Überprüfung dürfe nicht zu „einem generellen Gesinnungstest“ werden. Zugleich
mahnte er an, mit dem Gesetz auch die Behörden personell besser auszustatten.
Sie seien jetzt schon überlastet. (epd/dpa/mig 22)
Fragen und Antworten. Staatsangehörigkeitsrecht: Die Pass-Pläne der Koalition
Die Pläne der Bundesregierung
zur Vereinfachung der Einbürgerung werden konkret. Was plant die Koalition? Wer
lässt sich derzeit einbürgern? Und wie halten es andere Länder mit dem Pass?
MiGAZIN beantwortet die wesentlichen Fragen: Von Corinna Buschow
Wer kann sich derzeit in
Deutschland einbürgern lassen?
Aktuell kann sich einbürgern
lassen, wer seit acht Jahren in Deutschland lebt, ein dauerhaftes
Aufenthaltsrecht hat und eine Reihe weiterer Voraussetzungen erfüllt. Dazu
gehören unter anderem Sprachkenntnisse, die selbstständige Sicherung des
Lebensunterhalts und ein erfolgreich absolvierter Einbürgerungstest. Wer
sogenannte besondere Integrationsleistungen vorweist, etwa ein besonders gutes
Sprachniveau oder gute schulische oder berufliche Leistungen, kann sich nach
sechs Jahren einbürgern lassen. Wer den deutschen Pass hat, hat dann alle Rechte
eines deutschen Staatsbürgers, kann etwa auch den Bundestag wählen.
Was will die Ampel-Koalition
verändern?
SPD, Grüne und FDP haben im
Koalitionsvertrag vereinbart, die Hürden für die Einbürgerung zu senken. Sie
wollen die Wartezeit bis zur möglichen Einbürgerung von acht auf fünf Jahre
senken, bei besonderen Integrationsleistungen auf drei Jahre. An den weiteren
Bedingungen für eine Einbürgerung will die Koalition im Kern nichts ändern,
etwa dass die Betroffenen ihren Lebensunterhalt selbst bestreiten. Zudem sind
Erleichterungen für die sogenannte Gastarbeitergeneration und eine Zulassung
des sogenannten Doppelpasses geplant.
Was hat es mit dem Doppelpass
auf sich?
Das deutsche Recht verlangt
bislang, dass vor einer Einbürgerung in Deutschland die ursprüngliche
Staatsbürgerschaft „grundsätzlich“ aufgegeben werden muss. Dies gilt aber
bereits jetzt in vielen Fällen nicht, etwa für EU-Bürger oder für Staaten, bei
denen die Staatsbürgerschaft nicht aufgegeben werden kann. Das ist aktuell bei
25 Staaten der Fall, darunter Iran, Afghanistan und Syrien. Im vergangenen Jahr
hat das Bundesinnenministerium zudem verfügt, auch bei ukrainischen
Staatsangehörigen auf die Aufgabe des anderen Passes zu verzichten, weil wegen
des Krieges dieser Verwaltungsakt faktisch nicht möglich ist.
Die vielen Ausnahmen sorgen
dafür, dass nach Angaben des Bundesinnenministeriums 2021 bei mehr als zwei
Dritteln der Einbürgerungen (69 Prozent) die sogenannte Mehrstaatigkeit
zugelassen wurde. Die Koalition will deshalb den Doppelpass künftig generell
erlauben.
Wie viele Menschen lassen
sich in Deutschland einbürgern?
Viel weniger, als es
wahrscheinlich könnten: 2021 ließen sich nur 2,45 Prozent der seit mindestens
zehn Jahren in Deutschland lebenden Ausländer einbürgern. Gleichzeitig erreichten
die Einbürgerungen in dem Jahr laut Migrationsbericht der Bundesregierung einen
Höchststand: 131.595 Menschen erhielten den deutschen Pass. Grund dafür ist
eine hohe Anzahl von Einbürgerungen syrischer Flüchtlinge, die seit 2015 in
großer Zahl nach Deutschland gekommen sind und 2021 beim Nachweis besonderer
Integrationsleistungen erstmals von der Einbürgerung nach sechs Jahren Gebrauch
machen konnten. Rund 19.000 Syrerinnen und Syrer wurden 2021 eingebürgert, 28
Prozent von ihnen bereits nach sechs Jahren. Vor allem ließen sich aber
Menschen aus anderen europäischen Staaten – inklusive Türkei – einbürgern (rund
63.000).
Wie regeln es andere Länder?
Nach einer Analyse der
CDU-nahen Konrad-Adenauer-Stiftung liegt Deutschland mit der aktuellen Frist
von acht beziehungsweise sechs Jahren bis zur möglichen Einbürgerung im
internationalen Vergleich im „oberen Mittelfeld“. Viele Staaten, darunter
Frankreich, Finnland und die USA haben demnach eine Frist von fünf Jahren. In
Irland und Kanada reichen sogar drei Jahre. Einige Länder wie die Schweiz,
Litauen und Spanien hätten dagegen längere Fristen. Der Doppelpass ist der
Analyse zufolge im Großteil Europas zulässig. Neben einzelnen Ländern wie
Österreich, Estland oder den Niederlanden gehört Deutschland mit der bisherigen
Pflicht zur Aufgabe der anderen Staatsbürgerschaft eher zur Ausnahme.
(epd/mig 21)
Hilfswerke zum G7-Milliardenpaket gegen humanitäre Krisen
Die G7-Staaten haben zugesagt,
in diesem Jahr 21 Milliarden US-Dollar zur Bewältigung humanitärer Krisen
bereitzustellen. Laut einem Kommunique des Gipfeltreffens im japanischen
Hiroshima soll damit auch auf eine sich verschärfende Nahrungsmittelknappheit
in vielen Teilen der Welt reagiert werden.
Die G7-Gruppe, deren Staats-
und Regierungschefs seit Freitag in Japan beraten, ist der Zusammenschluss der
zum Gründungszeitpunkt sieben wichtigsten Industrieländer, darunter auch
Deutschland.
Bundesentwicklungsministerin
Svenja Schulze (SPD) lobte die Ergebnisse des Treffens: „Die G7 bleiben dran im
Einsatz gegen den Hunger auf der Welt. Während die Folgen von Russlands
Angriffskrieg Millionen Menschen in Entwicklungsländern in den Hunger getrieben
haben, arbeiten wir in der G7 an Lösungen.“
Es gelte nun, die
Entwicklungsländer unabhängiger zu machen von den Unwägbarkeiten des
Weltmarktes. Vor allem der Globale Süden brauche dafür die Unterstützung der
G7-Staaten. „Nur eine klimaangepasste, nachhaltige Landwirtschaft, die die
biologische Vielfalt erhält, kann die Grundlage für eine langfristige
Versorgung mit gesunden Nahrungsmitteln für alle Menschen sicherstellen“, so
Schulze.
Hilfsorganisationen
enttäuscht
Internationale
Hilfsorganisationen äußerten sich indes enttäuscht über die Gipfel-Beschlüsse.
Mit Blick auf anhaltende Waffenlieferungen an die Ukraine erklärte Oxfam: „Sie
können unzählige Milliarden bereitstellen, um Krieg zu führen“, aber nicht
einmal die Hälfte dessen, was die Vereinten Nationen zur Bewältigung der
schlimmsten humanitären Krisen benötigten. Die UN hatten den Bedarf im Vorfeld
des Gipfels auf 55 Milliarden Dollar beziffert.
Oxfam warf den G7-Ländern
deshalb entwicklungspolitisches Versagen vor: „Sie haben den Globalen Süden im
Stich gelassen.“ Bemängelt wurde außerdem, dass es in Hiroshima weder einen
Schuldenerlass für arme Länder noch einen überzeugenden Lösungsansatz für die
weltweite Hungerkrise gegeben habe.
Forderung nach Schuldenerlass
Katholische Bischöfe, die im
humanitären und entwicklungspolitischen Bereich der Kirche in Afrika tätig
sind, hatten an den Gipfel appelliert, über Wege zur Unterstützung der mit
Armut kämpfenden afrikanischen Länder zu beraten und über einen Schuldenerlass
zu sprechen. Sie wurden nicht erhört.
(kna/aciafrica – 21)
G7: Bischöfe fordern Abschaffung von Atomwaffen
Zwei japanische Bischöfe und
zwei amerikanische Bischöfe haben an die Staats- und Regierungschefs der G7
geschrieben. Ihre Forderung: „konkrete Schritte" zur Beendigung des
Einsatzes von Atomwaffen.
„Wir fordern die Staats- und
Regierungschefs auf dem G7-Gipfel nachdrücklich auf, mit gutem Beispiel
voranzugehen und zu zeigen, dass die internationale Führung bereit, willens und
in der Lage ist, mit Atomwaffen- und Nicht-Atomwaffenstaaten
zusammenzuarbeiten, um sicherzustellen, dass kein Land und keine Stadt jemals
wieder die Schrecken eines Atomkriegs erleidet", formulierten Erzbischof
Peter Michiaki Nakamura von Nagasaki, Bischof Alexis Mitsuru Shirahama von
Hiroshima, Erzbischof Paul D. Etienne von Seattle und Erzbischof John C. Wester
von Santa Fe, New Mexico, in dem Brief.
Vier Stimmen gegen Atomwaffen
Die Bischöfe lobten den
japanischen Premierminister, Fumio Kishida, dafür, dass er Hiroshima, Stadt der
ersten Atomkatastrophe, als Tagungsort des Gipfels gewählt hat. Das sei bereits
eine starke Botschaft. Gerade deshalb betonten sie, dass sie „als
römisch-katholische geistliche Führer der Diözese mit den meisten Ausgaben für
Atomwaffen in den Vereinigten Staaten, der Diözese mit den meisten
strategischen Atomwaffen in den Vereinigten Staaten und den beiden einzigen
Diözesen der Welt, die Opfer von Atomangriffen wurden“, sich verpflichtet
fühlen, „ihre Stimme zu erheben.“
In ihrem Schreiben ermutigten
die Bischöfe die Staats- und Regierungschefs der G7-Staaten, das „ungeheure,
lang anhaltende Leid" der Atombombenabwürfe von 1945 und der Produktion
und Erprobung von Atomwaffen anzuerkennen, die Sinnlosigkeit und Unzulässigkeit
eines Atomkriegs zu bekräftigen und sich für eine weltweite nukleare Abrüstung
einzusetzen.
„Sinnlosigkeit eines
Atomkriegs“
Sie gingen auch auf Russlands
Angriffskrieg gegen die Ukraine ein und die wiederholte Drohung von Präsident
Wladimir Putin, eventuell Atomwaffen einzusetzen. Die Staats- und
Regierungschefs sollten der Gipfel nutzen, „um die internationale
Aufmerksamkeit auf die Bedeutung der nuklearen Rüstungskontrolle und Abrüstung
zu lenken.“
Dialogbereitschaft gefordert
Die Bischöfe bekräftigten auch,
dass ernsthafte Gespräche zwischen den USA und Russland wieder aufgenommen
werden sollten, um den neuen Vertrag zur Reduzierung strategischer Waffen zu
erneuern, dessen Teilnahme von Putin im Februar ausgesetzt wurde, und forderten
die Staats- und Regierungschefs auf, „ernsthafte multilaterale Verhandlungen
aufzunehmen, die zu nuklearer Abrüstung führen".
Die Staats- und
Regierungschefs der G7, also USA, Japan, Deutschland, Großbritannien,
Frankreich, Kanada und Italien, beraten noch bis zum 21. Mai in Hiroshima, der
Heimatstadt des japanischen Premierministers Fumio Kishida.
(ucan 20)
Bilaterale Steuerabkommen
zwischen reichen und armen Ländern sollen Fairness garantieren, bevorteilen
aber Industrieländer massiv. Jayati Ghosh
Oberflächlich betrachtet,
sind Abkommen, die eine doppelte Besteuerung verhindern, natürlich eine faire
Idee: Warum sollte eine Einzelperson oder ein Unternehmen auf ein und dieselben
Einkünfte zweimal Steuern zahlen? Ertragssteuern werden in der Regel von
lokalen oder nationalen Behörden auf Einkünfte erhoben, die innerhalb ihres
Zuständigkeitsbereichs erwirtschaftet werden.
Kompliziert wird es, wenn
diese Einkünfte mit dem grenzüberschreitenden Handel von Waren und
Dienstleistungen erzielt werden oder im Rahmen von grenzüberschreitenden
Transaktionen anfallen. Das ist insbesondere bei ausländischen Investitionen
der Fall. Bei diesen könnten sowohl das Heimat- als auch das Zielland das Recht
auf die Besteuerung der Erträge für sich beanspruchen. Das Problem dieser
konkurrierenden Ansprüche wird vermeintlich von den meist bilateralen
Doppelbesteuerungsabkommen gelöst.
Diese Abkommen genießen bei
Regierungen und in der Allgemeinheit eine breite Akzeptanz und werden wenig
hinterfragt. Doch wie hinter vielen anderen internationalen
Wirtschaftsverträgen verbergen sich auch hinter den Doppelbesteuerungsabkommen
erhebliche Ungleichheiten, die den Interessen der einkommensschwächeren Länder
schaden. Diese Ungleichheiten legt Martin Hearson in seinem Buch Imposing Standards ausführlich
und in schonungsloser Deutlichkeit offen. Er zeigt auf, dass das Geflecht
der bilateralen Steuerabkommen inzwischen zu einem weiteren Instrument geworden
ist, mit dem dringend benötigte Ressourcen aus einkommensschwächeren Ländern
abgezogen und in reichere Kapitalexportländer umgelenkt werden.
Gegenwärtig gibt es weltweit
mehr als 3 000 dieser Abkommen, durch die 82 Prozent der weltweiten
ausländischen Direktinvestitionen geregelt werden. Sie haben beinahe
unausweichlich Vorrang vor dem innerstaatlichen Recht, obwohl sie von
Verwaltungsorganen ohne Gesetzgebungsbefugnis ausgehandelt werden – häufig
hinter verschlossenen Türen.
Gemeinhin gelten
Steuerabkommen als ein Instrument, das einkommensschwache Länder im Wettbewerb
um ausländische Investitionen stärkt, indem diese Länder ihre Attraktivität für
Investoren erhöhen und dafür auf einen Teil der Steuereinnahmen verzichten, die
sie aus diesen Investitionen erzielen könnten. In Wahrheit gibt es kaum Belege
für den positiven Effekt von Besteuerungsabkommen auf die Investitionstätigkeit
in einkommensschwächeren Ländern. Empirisch fällt die Bilanz durchwachsen aus
und deutet darauf hin, dass der Effekt minimal oder bedeutungslos ist im
Vergleich zu anderen Faktoren, die wirklich eine Schubwirkung für den Zustrom
von Investitionen aus dem Ausland haben.
Viele Abkommen werden
erfolgreich so gestaltet, dass sie die Besteuerungsrechte des Ziellandes
gegenüber ausländischen Investoren einschränken. Erreicht wird das zum Beispiel
durch „Betriebsstättenregelungen“: Sie legen fest, wie intensiv ein
ausländisches Unternehmen im Zielland geschäftlich tätig sein muss, um dort
überhaupt besteuert werden zu können, und setzen diese Grenze relativ hoch an.
Die Mongolei zum Beispiel darf chinesische Bauunternehmen erst besteuern, wenn
sie 18 Monate im Land sind. Diese Regelung führt dazu, dass viele dieser Firmen
in der Mongolei gar keine Steuern zahlen.
In vielen Fällen werden
Einkünfte wie Lizenzgebühren, Pensionszahlungen und bestimmte Formen von
Kapitalgewinnen nur im Heimatland des betreffenden multinationalen Unternehmens
besteuert. Wenn beispielsweise ein in Uganda ansässiger Niederländer dort eine
Beteiligungsgesellschaft verkauft, kann der ugandische Staat darauf keine
Kapitalertragssteuer erheben.
Die Steuersätze für
grenzüberschreitende Geschäfte – etwa die Quellensteuer auf Dividenden,
Zinserträge, Lizenz- und Dienstleistungsgebühren – werden häufig gedeckelt. Die
Philippinen erheben auf Dividendenausschüttungen im Ausland pauschal 30 Prozent
und auf Zinseinkünfte ebenso pauschal 20 Prozent Quellensteuer, doch einige
Doppelbesteuerungsabkommen, die das Land abgeschlossen hat, drücken diese
Steuersätze auf fünf oder sogar null Prozent.
Zudem wird oft genau
geregelt, wie Unternehmensgewinne steuerlich berechnet werden dürfen. Dadurch
verringert sich die Bemessungsgrundlage im Vergleich zu einheimischen
Unternehmen. Besonders große Sorgen bereitet das Machtgefälle bei der
Steueraufteilung zwischen Quellenstaat und Ansässigkeitsstaat vieler Rohstoff
exportierender Länder. Hinzu kommt: Wenn ein Staat ein solches
Doppelbesteuerungsabkommen unterzeichnet, hat er bei der Berechnung der
Steuerschuld jede sonstige Doppelbesteuerung der im eigenen Land Ansässigen zu
beseitigen.
Hearsons Fazit aus all dem:
Die „tatsächliche Wirkung“ von Steuerabkommen bestehe oft nicht darin, die
doppelte steuerliche Belastung zu vermindern, sondern einen Teil der Kosten aus
dem Kapitalexportland in das Kapitalimportland zu verlagern oder den effektiven
Steuersatz für Investoren, die länderübergreifend operieren, zu verringern.
Untersuchungen des Internationalen Währungsfonds (IWF) ergaben: Mit jedem
weiteren Doppelbesteuerungsabkommen, das ein afrikanisches Land abschließt,
schrumpft das Körperschaftssteueraufkommen um drei Prozent. Der IWF rät daher
Ländern, die solche Abkommen in Erwägung ziehen, zu „großer Vorsicht“.
Man könnte vermuten, die
Initiative zu bilateralen Steuerabkommen würde naheliegenderweise von beiden
Seiten ausgehen, doch bei den Verhandlungen sind meistens die Kapitalexportländer
die treibende Kraft. Die Heimatländer multinationaler Konzerne machen sich
untereinander regelrecht Konkurrenz, wenn es darum geht, den eigenen
Unternehmen durch vorteilhafte Besteuerungsabkommen einen Wettbewerbsvorteil zu
verschaffen.
Die Folge: Die
einkommensschwächeren Länder sind häufig die „Rule-Taker“ und nicht die
„Rule-Maker“, und die Kosten der Doppelbesteuerungsentlastung werden durch
solche steuerlichen „Kooperationen“ zum Teil oder sogar zum größten Teil vom
Kapitalexportland auf den Kapitalimporteur abgewälzt. Politisch und technisch
funktionieren Doppelbesteuerungsabkommen so, dass die Besteuerung in den
Kapital importierenden Staaten limitiert wird und diese somit den Löwenanteil
der fiskalischen Belastung zu schultern haben.
Verbrämt wird das Ganze in
technokratischen Konstrukten und Standards, die wiederum in Musterabkommen
verpackt werden. Doch Hearson warnt: „Das Expertenwissen im internationalen
Steuerwesen ist alles andere als neutral.“ Vor diesem Hintergrund stellt sich
die Frage: Warum unterzeichnet ein Land überhaupt ein solches Abkommen, wenn es
eine solche Einengung bedeutet, wenn es erhebliche fiskalische Kosten mit sich
bringt und wenn es ihm nur ungewisse, relativ geringe und oftmals fragwürdige
Einkünfte beschert? Die Antwort lautet: Die Motivation besteht aus einer
Mischung aus Unwissenheit, Konkurrenzdenken, Überredung und Zwang.
Viele Regierungen
einkommensschwächerer Länder – vor allem solcher Länder, die schlechtere
technische Voraussetzungen mitbringen und wenig Erfahrung mit solchen Abkommen
haben – lassen sich aus Unwissenheit auf Doppelbesteuerungsabkommen ein, ohne
sie genau unter die Lupe zu nehmen, weil sie hoffen, sich als „marktfreundlich“
präsentieren und ein positives Signal an weltweit agierende Investoren
aussenden zu können. Das Konkurrenzdenken geht mit dieser Unwissenheit oft
unmittelbar Hand in Hand: Viele einkommensschwächere Länder unterschreiben
einfach deswegen, weil andere Länder in ihrer Region oder Länder auf einem
ähnlichen Entwicklungsstand es genauso machen.
Die Überredung geschieht oft
indirekt. Bei der Ausarbeitung der Musterabkommen spielen seit den 1920er
Jahren einkommensstärkere Länder die dominierende Rolle – zuerst im Rahmen des
Völkerbundes und später in der Organisation für wirtschaftliche Zusammenarbeit
und Entwicklung (OECD) – und verschaffen sich damit einen massiven
„Erstanbietervorteil“. Das Musterabkommen der OECD ist mittlerweile Standard.
Trotz der Schieflage zuungunsten der einkommensschwächeren Länder gilt es allgemein
als „annehmbarer“ Weg zur Besteuerung multinationaler Unternehmen und hat sich
gegen das Musterabkommen der Vereinten Nationen durchgesetzt, das etwas weniger
Schlagseite hat.
Der Druck kann vielerlei
Formen annehmen. Berichten zufolge drohen manche Kapitalexportländer bei
Verhandlungen über Doppelbesteuerungsabkommen damit, das Anlageland in
Steuerfragen technisch nicht mehr zu unterstützen – oder sogar Hilfsfonds
einzustellen. Auch die Drohung, den Steuerbehörden wesentliche Informationen
vorzuenthalten, ist ein wirksames Druckmittel. Laut Hearson sehen manche Länder
sich offenbar gezwungen, Doppelbesteuerungsabkommen mit sogenannten „secrecy
jurisdictions“ zu unterzeichnen – also mit Ländern, die das Steuergeheimnis
ganz besonders hochhalten – und damit ihre eigenen Besteuerungsrechte zu
beschneiden, nur damit sie von diesen weniger kooperativen Ländern überhaupt
Informationen bekommen. Damit steht dem „Treaty Shopping“ nichts mehr im Wege –
also der missbräuchlichen Ausnutzung der durch Doppelbesteuerungsabkommen
ermöglichten Steuervorteile. So verhält es sich bei Abkommen mit den
Niederlanden, den USA (wo es etliche Bundesstaaten gibt, die als Steueroasen zu
bezeichnen sind), mit Singapur und den Seychellen.
Es gibt jedoch Anzeichen,
dass die Dinge sich ändern könnten. Einige Länder – Indonesien, Senegal,
Südafrika, Ruanda, Argentinien, die Mongolei, Sambia und Malawi – kündigen ihre
Doppelbesteuerungsabkommen oder handeln sie neu aus, und Uganda ist offenbar
gerade dabei, seine Abkommen auf den Prüfstand zu stellen. Es ist höchste Zeit,
dass viel mehr einkommensschwächere Länder erkennen: Mit dem
wirtschaftspolitischen Konstrukt dieser Abkommen wurden und werden sie (einmal
mehr) übers Ohr gehauen. IPG 19
Das Goethe-Institut bei der Eröffnung des Deutschen Pavillons in Venedig
München. Das Goethe-Institut
beteiligt sich an der Eröffnung des Deutschen Pavillons bei der 18.
Internationalen Architekturausstellung – La Biennale di Venezia mit einer
ortsspezifischen Tanzperformance und einer performativen Befragung zu den
Bedingungen der Kulturarbeit in Venedig.
Mit PERFORMING
ARCHITECTURE ist das Goethe-Institut Programmpartner des diesjährigen Deutschen
Pavillons. Bei der heutigen Eröffnung sprachen neben dem Kurator*innenteam von
ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB auch Klara Geywitz, Bundesministerin
für Wohnen, Stadtentwicklung und Bauwesen, sowie Joachim Bernauer, Leiter des
Goethe-Instituts Rom und Länderdirektor Italien.
„Mit PERFORMING ARCHITECTURE
wollen wir auf das aufmerksam machen, was durch die Architektur unserer
Gesellschaft allzu oft unsichtbar bleibt", so Joachim Bernauer.
„Barrierefreiheit ist ein großes Thema, doch meist endet es im Zuschauerraum,
denn Inklusion auf der Bühne ist leider nicht vorgesehen, weder
gesellschaftlich noch architektonisch. PERFORMING ARCHITECTURE interessiert
sich daher für das, was hinter den Fassaden der kulturellen Mauern passiert
oder verhindert wird. Mit unseren Beiträgen Sulle Sponde und Biennalocene werden
überraschende Einsichten durch künstlerische Interventionen sichtbar gemacht.“
Im Kontext der Biennale in
Venedig blickt das Goethe-Institut mit PERFORMING ARCHITECTURE auf die
performative Dimension von Architektur, auf ihre Schnitt- und Nahtstellen mit
Choreografie und darstellender Kunst. Seit 2014 haben zahlreihe renommierte
Künstler*innen an der Programmreihe Mit PERFORMING ARCHITECTURE mitgewirkt, wie
etwa William Forsythe, Florian Malzacher, Sandra Oehy, Rimini Protokoll, Meg
Stuart und Sasha Waltz.
Unter dem Titel Open for
Maintenance – Wegen Umbau geöffnet, kuratiert von ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO
JULIANE GREB, widmet sich der deutsche Beitrag bei der diesjährigen
Architekturbiennale den Themen der Inklusion, Pflege, Wartung, Reparatur und Erneuerung.
Zu den Kurator*innen gehören Anne Femmer, Franziska Gödicke, Juliane Greb,
Christian Hiller, Petter Krag, Melissa Makele, Anh-Linh Ngo und Florian Summa.
Mehr Informationen zur
Programmreihe PERFORMING ARCHITECTURE finden Sie unter www.goethe.de/performingarchitecture
GI/Dip 19
Deutschlands Wirtschaftsmodell. It's a Match!
Deutschlands
Wirtschaftsmodell stößt an seine Grenzen. Um stark zu bleiben, ist Partnersuche
angesagt. Thorben Albrecht
Das deutsche
Wirtschaftsmodell ist seit der zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts im Großen
und Ganzen erfolgreich. Es basiert auf der Produktion von Industriegütern für
den Export in Kombination mit einem – im internationalen Vergleich –
umfassenden Wohlfahrtsstaat, weit verbreiteten Branchentarifverträgen mit Blick
auf Löhne und Arbeitsbedingungen und einer starken Mitsprache der
Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmer in den Unternehmen. Die erfolgreiche, wenn
auch immer wieder von Krisen unterbrochene, Entwicklung der deutschen
Wirtschaft ging mit der Errichtung und Vertiefung des europäischen
Binnenmarktes einher. Dabei war die europäische Integration ein entscheidender
Faktor für Deutschlands Erfolgsgeschichte.
Doch während Deutschland die
anderen europäischen Länder immer als politische Partner betrachtete,
behandelte es diese wirtschaftlich als Konkurrenten. Dies war die „Logik“ des
Binnenmarktes, und andere Länder handelten genauso, aber Deutschlands enormer
Exportüberschuss war dennoch eine Herausforderung für das Funktionieren dieses
Marktes. Während Deutschland also das wirtschaftliche Kraftzentrum Europas war,
bedrohte es gleichzeitig die europäische Wirtschaftsdynamik, nicht zuletzt
durch seine auf ganz Europa projizierte Sparpolitik während und nach der
Bankenkrise von 2008.
Heute muss Deutschland sein
Geschäftsmodell neu erfinden, da Klimaschutz, neue digitale Technologien und
die sich verändernde Geoökonomie die Rahmenbedingungen verändert haben.
Deutschland, und das gilt auch für seine Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmer,
ist bestrebt, das verarbeitende Gewerbe zu erhalten. Schließlich wird es – zu
Recht – als Kern der Wertschöpfung angesehen, welcher auch für die
Aufrechterhaltung und den Ausbau einer starken Daseinsvorsorge und guter Löhne
und Arbeitsbedingungen erforderlich ist. Um den starken industriellen Kern zu
erhalten, sind jedoch Veränderungen im deutschen Wirtschaftsmodell
erforderlich. Diese können insbesondere in den drei zuvor genannten Bereichen
nicht im Alleingang bestritten werden. Deutschland braucht für diese
Veränderungen Europa und muss einen europäischen wirtschaftspolitischen Ansatz
vertreten, statt weitere Alleingänge zu bestreiten.
Nach dem russischen Einmarsch
in die Ukraine ist es Deutschland zwar gelungen, russisches Gas schnell durch
Gas aus anderen Quellen zu ersetzen, doch für die Bekämpfung des Klimawandels
bedarf es langfristig eines massiven Ausbaus der erneuerbaren Energien. Dabei
hat Deutschland jedoch deutlich mit Blick auf seine selbstgesteckten Ziele beim
Ausbau von Wind- und Solaranlagen einen großen Rückstand. Selbst wenn das Tempo
schnell erhöht wird, werden in Zukunft Importe erneuerbarer Energien aus Nord-
und Südeuropa sowie aus Ländern der europäischen Nachbarschaft nötig sein, um
deutsche Fabriken mit ausreichend bezahlbarem Strom und grünem Wasserstoff zu versorgen.
Potenzielle Lieferanten und Transitländer, wie beispielsweise Spanien, werden
sich jedoch nicht auf den bloßen Export von Energie beschränken, sondern
versuchen, ihren komparativen Vorteil für die Ansiedlung von Industrien im
eigenen Land zu nutzen. Deutschland braucht daher Partnerschaften, die über
eine reine Im- und Exportlogik hinausgehen, und sollte mit seinen europäischen
Partnern eine gemeinsame Energie- und Industriepolitik entwickeln. Diese muss
auch europäische Mittel einschließen, wenn sie von den südeuropäischen
Regierungen unterstützt werden soll.
Darüber hinaus braucht
Deutschland im Bereich der digitalen Technologien europäische Partner. Denn
dort müssen ausreichend Ressourcen, Kompetenzen und Innovationskräfte gebündelt
werden, um sich in Bereichen wie der künstlichen Intelligenz nicht gänzlich von
den USA oder China abhängig zu machen. Dabei geht es nicht so sehr um die
Plattformwirtschaft, in der der Vorsprung anderer Kontinente kaum mehr
einzuholen ist. Vielmehr werden digitale Technologien auch für den Erhalt
traditioneller Industrien, wie der Autoindustrie, entscheidend sein. Es reicht
nicht aus, die Batterieproduktion in Europa zu haben, um die Wertschöpfung der
Automobilindustrie in Europa zu halten. Noch wichtiger werden Softwaresysteme
sein. Jedoch sind einige deutsche Autohersteller im Begriff, in diesem Bereich
aufzugeben und diese aus dem außereuropäischen Ausland zu beziehen. Dies wäre
eine sehr gefährliche Entwicklung für das deutsche Geschäftsmodell. Auch hier
sollte Deutschland versuchen, europäische Partnerschaften aufzubauen, um
zumindest in den Bereichen der digitalen Technologien, die für Branchen wie
Maschinen, Chemie und Mobilität entscheidend sind, mit außereuropäischen
Wettbewerbern mithalten zu können.
Schließlich zwingt die
zunehmend multipolare Welt Deutschland dazu, seine Rolle in der Welt neu zu
definieren, da Machtpolitik immer mehr Einfluss auf die Wirtschaftsbeziehungen
nimmt und multilaterale Ansätze unter Druck geraten. Weil die Lieferketten
anfälliger werden und Exportmärkte, wie insbesondere China, unsicherer werden,
muss die deutsche Industrie ihre vor- und nachgelagerten Wertschöpfungsketten
diversifizieren. Dazu müssen neue Partnerschaften mit Ländern wie Indien, aber
auch in Lateinamerika und Afrika aufgebaut werden. Deutschland wird dies nur im
Rahmen eines europäischen Ansatzes tun können, insbesondere angesichts der
chinesischen Konkurrenz in diesem Bereich und der Tatsache, dass die
Handelspolitik in die Zuständigkeit der Europäischen Union fällt.
All diese Veränderungen sind
dringend notwendig, wenn Deutschland ein sozioökonomisches Modell
aufrechterhalten will, das gleichzeitig Wohlstand und Wohlfahrt sichert. Sie
erfordern massive Investitionen in grüne und digitale Technologien sowie eine
aktive Industriepolitik. Sie erfordern auch eine Neuausrichtung der Rolle, die
Deutschland in Europa spielt. Deutschland muss seine politischen und
industriellen Partnerschaften innerhalb Europas vertiefen, nicht zuletzt als
Grundlage für Partnerschaften außerhalb Europas. Um seine wirtschaftliche
Stärke zu bewahren, muss Deutschland eine neue Arbeitsteilung in Europa
akzeptieren und das Wachstum auch durch europäische Finanzmittel für die
anstehende Transformation fördern. Wenn Deutschland wirtschaftlich stark
bleiben will, sind solche Veränderungen unumgänglich. IPG 19
Solinger Anschlag. Aus Mercimek-Platz wird Mevlüde Genç-Platz
Ende Mai jährt sich der rassistische
Brandanschlag von Solingen zum 30. Mal. Die Familie Genç appelliert an Politik
und Gesellschaft, mehr gegen Rassismus zu tun. Zum Gedenktag wird der nach dem
Heimatdorf der Familie Genç benannte Mercimek-Platz umbenannt.
30 Jahre nach dem rassistischen
Brandanschlag von Solingen bleibt der Kampf gegen Fremdenhass und Rassismus
nach Ansicht der betroffenen Familie Genç weiter eine wichtige Aufgabe für
Politik und Gesellschaft. Man habe in Deutschland nach wie vor „ein
Rassismusproblem“, das Sorgen bereite, sagte Hatice Genç anlässlich des
Jahrestages des Anschlages, der sich an Pfingstmontag (29. Mai) zum 30. Mal
jährt. Deshalb müsse der Fremdenhass weiterhin auf „allen Ebenen“ bekämpft
werden. Wichtig ist es nach Ansicht der Familie auch, Themen wie Rassismus und
Fremdenhass gerade unter Kinder und Jugendlichen konsequent zu bekämpfen und
etwa im Schulunterricht immer wieder zu thematisieren.
Bei dem Anschlag auf das
Wohnhaus der Familie Genç waren am 29. Mai 1993 fünf Frauen und Mädchen getötet
worden – darunter zwei Töchter des Ehepaares Hatice und Kamil Genç. Der Schmerz
über den Verlust der Kinder dauere auch 30 Jahre nach der Tat an, betonte
Hatice Genç. Um die Verstorbenen zu würdigen und an ihr Schicksal zu erinnern,
wünscht sich die Familie, die Namen der verstorbenen Mädchen und Frauen in der
Öffentlichkeit bekannter zu machen. Sinnvoll wäre es nach Ansicht der
Angehörigen etwa, die Namen der Toten im Schulunterricht zu nennen oder
öffentliche Einrichtungen wie Schulen nach ihnen zu benennen.
Nach dem Tod von Mevlüde Genç
findet der Gedenktag in diesem Jahr erstmals ohne das im vergangenen Oktober
verstorbene Familienoberhaupt statt. Mevlüde Genç war trotz des gewaltsamen
Tods von zwei Kindern, einer Nichte und zwei Enkeln als Versöhnerin und
Mahnerin für Toleranz und Verständigung zwischen den Menschen bekannt geworden.
Seine Mutter sei eine „sehr starke Person gewesen, die unsere Gefühle am besten
zum Ausdruck gebracht hat“ erklärte Kamil Genç. Diese Aufgabe müsse nun auf
mehrere Schultern innerhalb der Familie verteilt werden.
Aus Mercimek-Platz wird
Mevlüde Genç-Platz
Positiv anzumerken sei, dass
beim Gedenken nun stärker die Opfer in den Mittelpunkt rückten, erklärten die
Angehörigen. So ist unter anderem eine Ausstellung im Zentrum für verfolgte
Künste geplant, in der die Biografien der Opfer vorgestellt werden.
Ausdrücklich würdigt die Familie auch, dass zum Gedenktag führende Politiker
aus Deutschland und der Türkei ihr Kommen zugesagt hätten. Das sei ein
„wichtiges Zeichen“, sagte Hatice Genç.
Zur Gedenkfeier am 29. Mai
werden in diesem Jahr auch Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier und weitere
Vertreter von Bund und Land erwartet – unter anderem NRW-Ministerpräsident
Hendrik Wüst (CDU). Zudem soll bereits am Vortag der Solinger Mercimek-Platz in
Mevlüde Genç-Platz umbenannt werden. Der Mercimek-Platz wurde bereits 2012 nach
dem Heimatdorf der Familie Genç in der türkischen Provinz Amsya benannt, wo die
Verstorbenen begraben wurden. (epd/mig 19)
Afrika: Bischöfe appellieren vor G7-Gipfel für Schuldenerlass
Katholische Bischöfe, die im
humanitären und entwicklungspolitischen Bereich der Kirche in Afrika tätig
sind, appellieren an die Staats- und Regierungschefs der G7-Staaten, beim im
japanischen Hiroshima stattfindenden Gipfel über Wege zur Unterstützung der mit
Armut kämpfenden afrikanischen Länder zu beraten. Es solle auch die Möglichkeit
eines Erlasses von Schulden zur Sprache kommen, die die Bischöfe als
„unbezahlbar“ bezeichnen.
Die katholischen Bischöfe,
die 23 afrikanische Länder vertreten, haben in ihrer Erklärung im Vorfeld des
am 19. Mai beginnenden G7-Gipfels die Teilnehmer des Treffens aufgefordert,
Maßnahmen gegen die Schuldenkrise, zur Reform der Entwicklungsbanken und zur
Hilfe für den „von mehreren Krisen betroffenen“ Kontinent zu ergreifen.
„Wir, die katholischen
Bischöfe aus Afrika, die für die Caritas und die Pastoralmission für die Armen
verantwortlich sind, schreiben Ihnen, den Führern der G7-Staaten, um Maßnahmen
zur Unterstützung Afrikas zu erbitten, das in den letzten Jahren von mehreren
Krisen schwer getroffen wurde“, schreiben die katholischen Kirchenführer.
Sie fügen hinzu: „Wir fordern
die Gruppe der Sieben auf, mutige Maßnahmen zu ergreifen, um Afrika in dieser
Zeit der Not zu unterstützen, einschließlich eines Schuldenerlasses,
verstärkter Hilfe und einer gerechteren Handelspolitik.“
Die Bischöfe bringen ihre
tiefe Besorgnis darüber zum Ausdruck, dass die Armut in Afrika nach der
COVID-19-Pandemie weiter zugenommen habe und immer mehr Menschen auf dem Kontinent
in Ernährungsunsicherheit gerieten. Das hohe Maß an Ernährungsunsicherheit, so
die Bischöfe weiter, verschärfe die Spannungen und die Unsicherheit in den
afrikanischen Ländern.
300 Millionen Menschen vom
Hunger bedroht
„Im vergangenen Jahr waren mehr
als 300 Millionen Menschen von Ernährungsunsicherheit betroffen, was die
Ursachen für Konflikte und soziale Spannungen in vielen afrikanischen Ländern
verschärft und die Regierungsführung noch instabiler macht“, so die Bischöfe.
Die katholischen Bischöfe
bekräftigen die Botschaft von Papst Franziskus, der die Notwendigkeit wirksamer
und verlässlicher Verfahren zur Begleichung unbezahlbarer Schulden betont
hatte. Nach Ansicht der Bischöfe erfordern wirksame und verlässliche Verfahren
zur Verringerung unbezahlbarer Schulden, dass der Schuldenerlass wieder mit den
Erfordernissen der menschlichen Entwicklung verknüpft werde, dass alle
Gläubiger einbezogen würden, dass ein automatischer Schuldenstopp gewährleistet
werde und dass der Schuldenerlass allen bedürftigen Entwicklungsländern
zugänglich gemacht werde.
Die katholischen Bischöfe
stellen angesichts der Tatsache, dass mehr als 60 Prozent der Schulden privaten
Gläubigern geschuldet seien, fest, dass diese nicht ohne deren Beteiligung
abgebaut werden könnten. Sie stellen weiter fest, dass ohne neue Quellen
erschwinglicher Entwicklungsfinanzierung und angesichts der immensen sozialen
und ökologischen Herausforderungen, vor denen die afrikanischen Länder stehen,
die Gefahr bestehe, dass sie in die Schuldenfalle zurückfallen würden.
Die Schuldenfalle der
Sonderziehungsrechte (SZR)
„Es ist daher unerlässlich,
die sogenannten Sonderziehungsrechte (SZR) als Finanzierungsinstrument zu
überdenken und einen beträchtlichen Teil der von den reichen Ländern gehaltenen
SZR nach Afrika umzuleiten“, so die Caritas-Bischöfe der afrikanischen Länder.
Sie würdigen die Zuteilung von 650 Milliarden Dollar an den SZR mit
Unterstützung der G7-Länder als „einen bedeutenden Schritt, um pandemische
Krisenhilfe zu leisten, ohne die Schuldenlast der Länder zu erhöhen“.
Die katholischen
Kirchenführer betonen jedoch, dass der Papst das Gemeinwohl und die
ganzheitliche Entwicklung aller Völker, unabhängig von ihrem Einkommensniveau,
in den Vordergrund stellen müsse. Papst Franziskus, so erinnern sie an das
Apostolische Schreiben Evangelii Gaudium (Nr. 203) des Papstes vom November
2013, hat erklärt, dass „die Würde jedes Menschen und das Streben nach dem
Gemeinwohl Anliegen sind, die die gesamte Wirtschaftspolitik prägen sollten“
und dass „eine Finanzreform nach ethischen Gesichtspunkten notwendig ist, die
ihrerseits eine Wirtschaftsreform zum Nutzen aller nach sich ziehen würde“.
Hintergrund
Auf dem G7-Gipfel, der sich
mit einer breiten Palette von Themen wie Klimawandel, internationaler Frieden
und Sicherheit sowie globaler Gesundheit befasst, kommen die Staats- und
Regierungschefs aus Frankreich, Deutschland, Italien, Japan, dem Vereinigten
Königreich, den Vereinigten Staaten und Kanada zusammen. (aciafrica 18)
EU-Wahlen 2024 werden zwischen dem 6. und 9. Juni stattfinden
Die nächsten Wahlen zum
Europäischen Parlament werden zwischen dem 6. und 9. Juni 2024 stattfinden.
Dies geht aus einem Brief der schwedischen Ministerin für EU-Angelegenheiten,
deren Land die rotierende EU-Ratspräsidentschaft innehat, an
Parlamentspräsidentin Roberta Metsola hervor. Von: Eleonora Vasques
Der Brief von Jessika
Roswall, der am 12. Mai verschickt wurde und von EURACTIV eingesehen werden
konnte, ist eine Antwort auf Metsolas Vorschlag, die Wahlen im Zeitraum vom 23.
bis 26. Mai abzuhalten.
In dem Brief wird erklärt,
dass das derzeitige EU-Wahlrecht die Wahltage standardmäßig auf Anfang Juni
festlegt, da die Mitgliedstaaten keine einstimmige Entscheidung über den
Wahltermin treffen konnten.
„Wie Sie wissen, sieht das
EU-Wahlgesetz vor, dass eine Änderung der Termine einen einstimmigen Beschluss
des Rates nach Konsultation des Europäischen Parlaments erfordert. Da keiner
der alternativen Termine die erforderliche Unterstützung fand, werden die im
EU-Wahlgesetz festgelegten Termine gelten“, so Roswall in dem Brief an Metsola.
Zeitmangel
Die Entscheidung könnte
einige Schwierigkeiten mit sich bringen, beispielsweise für die Abgeordneten,
die weniger Zeit haben werden, sich einzuleben, eine funktionierende Mehrheit
zu bilden und wichtige Entscheidungen über die neue Zusammensetzung der
Europäischen Kommission zu treffen.
Bei den Wahlen 2019 waren
etwa 60 Prozent der 705 Abgeordneten zum ersten Mal ins Parlament gewählt
worden. Es wird erwartet, dass bei den nächsten Wahlen mehr als die Hälfte der
EU-Abgeordneten ihr erstes Mandat antreten werden.
Ein altes Wahlgesetz
Besonders kritisch äußerten
sich die Abgeordneten der Europäischen Volkspartei (EVP) und der Sozialisten
und Demokraten (S&D), Danuta Maria Hubner und Domenec Ruiz Devesa, die sich
beide mit dem Thema befasst haben.
Das Gesetz ist seit 1976 in
Kraft und legte die Bedingungen für die ersten Direktwahlen zum Europäischen
Parlament im Jahr 1979 fest. Es ist jedoch trotz mehrerer Jahrzehnte stetiger
europäischer Integration unverändert geblieben.
Devesa war der
Berichterstatter des Vorschlags, transnationale Listen auf EU-Ebene
einzuführen, welche den EU-Bürgern die Möglichkeit geben würde, eine kleine
Anzahl von Abgeordneten aus anderen Ländern auf einer EU-weiten Liste zu
wählen. Der Vorschlag würde auch das sogenannte Spitzenkandidaten-Verfahren,
also die Wahl eines Kandidaten für die Kommissionspräsidentschaft, der die
europäische politische Partei vertritt, die die meisten Sitze erhält,
rechtsverbindlich machen.
Das Parlament hat dem
Vorschlag im Mai 2022 zugestimmt, aber die Mitgliedstaaten müssen noch ihre
eigene Abstimmung über den Vorschlag abhalten und werden dies wahrscheinlich
auch nicht vor den nächsten Wahlen tun, was bedeutet, dass der Gesetzentwurf
verworfen wird.
Unzufriedenheit in Portugal
Laut einer offiziellen Quelle
aus einer Fraktion des Europäischen Parlaments wird die Wahl Anfang Juni in
Portugal besonders problematisch sein, da das Land in dieser Woche Feiertage
hat, was zu einer geringen Wahlbeteiligung führen könnte.
Der Rat hat jedoch keine
anderen Alternativen dazu gefunden, da einige Mitgliedstaaten ähnliche Probleme
in anderen Zeiträumen haben. EA 18
Vatikan/Europarat: Kardinal Parolin erinnert an Ukraine-Krieg
Zum ersten Gipfel des
Europarats seit fast 20 Jahren sind am Dienstag rund 30 europäische Staats- und
Regierungschefs ins isländische Reykjavik angereist. Für den Vatikan ist
Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin anwesend, der an diesem Mittwoch eine
kurze Rede hielt.
Angekündigt haben sich unter
anderem der französische Präsident Emmanuel Macron, der deutsche Bundeskanzler
Olaf Scholz und die italienische Ministerpräsidentin Giorgia Meloni. Österreich
wird von Bundespräsident Alexander Van der Bellen vertreten.
In der Erklärung dieses
Gipfels werde daran erinnert, dass der Europarat „ein Friedensprojekt“ sei, so Kardinal
Parolin. Leider zeige uns der Krieg in der Ukraine, dass das „leidenschaftliche
Streben nach einer Politik der Gemeinschaft und der Stärkung der multilateralen
Beziehungen eine wehmütige Erinnerung an eine ferne Vergangenheit zu sein
scheint“, fügte Parolin an. „Wir scheinen Zeuge des traurigen Untergangs dieses
Chortraums vom Frieden zu werden“, sagte er weiter. Deshalb sollten wir uns im
Geiste der Gründer dieser Organisation und gemeinsam mit Papst Franziskus
fragen, „wenn wir nicht zuletzt an die vom Krieg zerrissene Ukraine denken: „Wo
bleiben die kreativen Bemühungen um den Frieden?“
Wir könnten nicht tatenlos
hinnehmen, dass der Angriffskrieg „in diesem gepeinigten Land“ weitergehe,
sagte er zur Lage in der Ukraine. „Wir müssen immer an das ukrainische Volk
denken, das leidet oder stirbt“, fügte er an. Jetzt sei es an der Zeit, zu
handeln und einen endgültigen und gerechten Frieden in der Ukraine und in allen
anderen so genannten „grauen“ Zonen Europas zu schaffen. „Ich versichere Ihnen,
dass der Heilige Stuhl auch weiterhin seinen Teil dazu beitragen wird“, so
Parolin abschließend. (vn 17)
Im Ruhestand gut versorgt. Viele Angestellte fürchten sich vor Altersarmut.
Doch gerade für sie gibt es
viele Möglichkeiten gegenzusteuern. Ein neuer Ratgeber der Stiftung
Warentest fasst überschaubar, verständlich und leicht umsetzbar zusammen, wie
sich auch in unsicheren Zeiten und trotz Inflation ein sicheres Polster
aufbauen lässt. Spielräume werden ausgelotet, passende Produkte ausgewählt und,
wo es geht, auch Rückenwind vom Staat genutzt.
Ist eine Rentenlücke
identifiziert, heißt es aktiv werden. Autorin Annika Krempel verspricht: „In
fünf Schritten ist die Rentenlücke geschlossen.“ Zunächst gibt sie mit
Vorsorge-Steckbriefen und Übersichten einen leicht nachzuvollziehenden Einstieg
ins Thema. Das geschieht mit der Ermittlung des eigenen Vorsorgestands und
finanziellen Spielraums. Krempel zeigt: Irgendwo findet sich immer eine
Möglichkeit für die Altersvorsorge, selbst in Zeiten von Inflation und niedrigen
Zinsen.
Der Ratgeber liefert alle
notwendigen Informationen zu Betriebsrente, Eigenheim, Aktien-ETF und
freiwilligen Beitragszahlungen in die gesetzliche Rente. Ob Berufseinsteigerin,
junge Familie oder älterer Angestellter – konkrete Produktempfehlungen und
Vorsorge-Steckbriefe helfen dabei, schnell und unkompliziert eine persönliche
Vorsorgestrategie zu entwickeln. Diese ist in jedem Fall angepasst an die
eigene Lebenssituation und kann entsprechend sogar nachhaltig sein, denn auch
hier gibt es längst gute Renditen. Alle Empfehlungen basieren auf den
Erkenntnissen des Finanztest-Teams der Stiftung Warentest.
Autorin Annika Krempel ist
gelernte Wirtschafts- und Verbraucherjournalistin. Sie hat mehrere Jahre bei
einem Online-Verbraucherratgeber vor allem über Versicherungsthemen und
Altersvorsorge geschrieben, immer mit dem Anspruch, auch komplizierte Themen
verständlich aufzubereiten, wovon auch dieser Ratgeber profitiert.
Der Ratgeber Altersvorsorge
für Angestellte (160 Seiten) ist ab sofort für 22,90 Euro im Handel erhältlich
oder kann online bestellt werden
unter www.test.de/altersvorsorge-angestellte. Die Lieferung ist kostenlos.
Dip 17
Behörden schlecht
ausgestattet
Einbürgerung in Dresden „vor
dem Kollaps“
Die Einbürgerungsbehörden in
Dresden stehen laut sächsischem Ausländerbeauftragten Mackenroth „praktisch vor
dem Kollaps“. Die Überlastung führen zu überlangen Wartezeiten von mehreren
Jahren. Er fordert mehr Digitalisierung und bessere Ausstattung.
Der sächsische
Ausländerbeauftragte Geert Mackenroth fordert angesichts des Staus bei
Einbürgerungsverfahren eine bessere Ausstattung der zuständigen Behörden. Ihnen
müssten überflüssige Arbeit abgenommen werden, ebenso den Ausländerbehörden,
sagte er in Dresden. Die Behörden müssten fit gemacht werden für die Zukunft.
Viele Prozesse und Verfahren seien digital gestaltbar. Nun müssten
Schnittstellen und einheitliche Fachverfahren auf Ebene des Freistaats
geschaffen werden.
Laut Mackenroth steht die
Einbürgerung in Dresden, Leipzig und Chemnitz „praktisch vor dem Kollaps“ wegen
überlanger Wartezeiten und erheblicher Überlastung. Wartezeiten von mehreren
Jahren bis zur Bearbeitung von Anträgen seien nicht hinnehmbar. Jede
Einbürgerung sei Meilenstein einer erfolgreichen Integration und das Verfahren
bis dahin eine Visitenkarte für den Freistaat. „Auf dieser Visitenkarte fehlt
derzeit das Wort „Willkommenskultur“ trotz des professionellen Zupackens der
dort Beschäftigten.“
Mackenroth erwartet
perspektivisch gesetzgeberische Aktivitäten, die Einbürgerungen weiter
verlängern. Die Verkürzung der Einbürgerungsfristen von acht auf fünf Jahre und
die Hinnahme der Mehrstaatlichkeit in den weitaus meisten Fällen schafften
weiteren erheblichen Arbeits- und Fortbildungsaufwand in den
Einbürgerungsbehörden. (dpa/mig 17)
Erweiterungskommissar: 2023 ist Schlüsseljahr für EU-Erweiterung
Dieses Jahr wird
wahrscheinlich ein Schlüsseljahr für die EU-Erweiterung sein, da sich die Art
und Weise, wie sie durchgeführt und akzeptiert wird, ändert. Neue Mitglieder
bringen neue Möglichkeiten, so EU-Erweiterungskommissar Oliver Varhelyi. Von:
Antoinia Kotseva
Das diesjährige Forum „EU
Meets the Balkans“ in Sofia war dem 50. Jahrestag der ersten EU-Erweiterung
gewidmet. Ganz oben auf der Agenda stand erneut der Beitrittsprozess der
Westbalkanstaaten.
„Die Wahrnehmung von Europa
wurde erneut auf die Probe gestellt. Die russische Aggression in der Ukraine
hat in einigen europäischen Ländern zu Komplikationen geführt. Sie sind der
Meinung, dass nur der Beitritt zur EU ihnen Frieden und Wohlstand garantieren
kann, und die EU-Mitgliedschaft führt genau dazu“, sagte Varhelyi, der
zuständige EU-Kommissar.
Er fügte hinzu, dass dabei
alle Länder zu mutigen Entscheidungen bereit sein müssten.
Seiner Meinung nach besteht
der wichtigste Schritt darin, die Menschen und die Wirtschaft der Länder des
westlichen Balkans so schnell wie möglich zu integrieren. Der Grund dafür sei,
dass die Entwicklung der westlichen Balkanländer vor ihrem Beitritt zur EU
ihnen später eine viel erfolgreichere Integration ermöglichen wird.
Varhelyi merkte zudem an,
dass die Balkanländer immer mehr Investitionen in Europa anziehen und
geografisch günstig gelegen seien.
Allerdings seien Reformen im
Westbalkan dringend notwendig. Der Kommissar nannte als Beispiel den
Energiesektor, der veraltet und stark von der Kohle abhängig sei, was Fragen zu
schädlichen Emissionen und Gesundheitsrisiken aufwerfe.
„Es gibt historische
Defizite, bei denen es zum Teil überhaupt keine Fortschritte gibt. Wir müssen
für eine bessere Konnektivität, eine digitale Wirtschaft und
Direktinvestitionen sorgen, um neue Arbeitsplätze zu schaffen. Die EU muss alle
Entscheidungen, ob groß oder klein, für die Expansion in Richtung Westbalkan
treffen“, so Varhelyi.
Er hob weitere Prioritäten
hervor, darunter die Rechtsstaatlichkeit und die Bekämpfung der Korruption.
Seiner Meinung nach gibt es gute Beispiele wie Albanien, das eine umfassende
Reform des Justizsystems eingeleitet hat. Im Allgemeinen sei der Weg aber noch
lang und es gebe viele Probleme zu lösen.
„Der Kampf gegen Korruption
und organisierte Kriminalität sowie die Rechtsstaatlichkeit sind wesentliche
Elemente eines jeden Investitionsklimas“, fügte der Kommissar hinzu.
Das Forum wurde vom Europäischen
Liberalen Forum organisiert, das von der ALDE und dem Atlantic Club in
Bulgarien unterstützt wird.
Die Exekutivdirektorin des
Europäischen Liberalen Forums, Alva Finn, erklärte, die Länder des westlichen
Balkans dürften nicht länger warten.
„Der Prozess sollte
dynamischer sein und die Länder sollten nicht jahrelang warten“, forderte sie.
Die Erweiterung sei nicht nur für die Ukraine und die westlichen Balkanländer
von entscheidender Bedeutung, sondern auch für die Vollendung des europäischen
Projekts.
Nach Ansicht des
Europaabgeordneten und Ko-Vorsitzenden der ALDE-Partei, ?lhan Küçük, sollte die
Diskussion über die Erweiterungspolitik der Europäischen Union viel gründlicher
geführt werden.
Küçük zufolge steht auch die
Balkanregion vor großen Herausforderungen.
Im Anschluss an das Forum
traf Varhelyi mit Präsident Rumen Radew zusammen, der sich über die mangelnden
Fortschritte in der Frage der Änderung der Verfassung der Republik
Nordmazedonien und der Registrierung der Bulgaren beklagte.
Die Aufnahme der bulgarischen
Minderheit in die Verfassung ist eine zwingende Voraussetzung für die Aufnahme
von Verhandlungen über den Beitritt Nordmazedoniens zur EU. EA 17
Studie. Gegen Polizeigewalt haben Betroffene „kaum eine Chance“
Nicht immer werden Polizisten
als Freunde und Helfer empfunden. Eskalation bei Einsätzen und Vorwürfe
überzogener Gewalt lösen immer wieder Kontroversen aus. Besonders oft betroffen
sind nicht deutsch gelesene Personen. Abschiebe-Situationen ergeben laut
Forscher ein besonderes Konfliktpotenzial.
Wenn Polizisten Gewalt
ausüben, kann das als letztes Mittel mit einem Einsatz zusammenhängen. Doch es
gibt auch immer wieder Vorwürfe nach Vorfällen, bei denen der Einsatz von
Gewalt überzogen oder gar unprovoziert erscheint. Im August vergangenen Jahres
etwa löste der Fall eines 16-jährigen Asylbewerbers eine große öffentliche
Debatte aus, nachdem der Jugendliche in Dortmund von Polizeibeamten mit einer
Maschinenpistole bei einem Einsatz erschossen worden war.
Hat die Polizei ein
Gewaltproblem? Und wie ist Gewalt überhaupt zu definieren? Einigen dieser
Fragen ist der Polizeiforscher Tobias Singelnstein in seinem neuen Buch
nachgegangen. Der Jurist, der an der Frankfurter Goethe-Universität lehrt und
forscht, sprach dazu mit Betroffenen von Polizeigewalt ebenso wie mit
Polizisten, Führungskräften der Polizei und internen Ermittlern, die sich mit
der Aufklärung von Gewaltvorwürfen in den eigenen Reihen befassen.
„Gewalt fängt nicht erst beim
Schießen an“
„Die Gewalt fängt nicht erst
beim Schießen an, sondern eigentlich schon bei einfachen
Überwältigungshandlungen“, sagte Singelnstein der „Deutschen Presse-Agentur“.
Man müsse sich klar machen: „Für Leute, die von diesem Gewalteinsatz betroffen
sind, ist es immer eine relativ drastische Erfahrung – auch wenn jemand nur mit
einfacher körperlicher Gewalt zu Boden gebracht wird und auch wenn das
rechtmäßig erfolgt.“
Zwar hat die Polizei aufgrund
ihrer Aufgaben ein Gewaltmonopol – doch auch die Beamten dürften Gewalt „nur
ausnahmsweise einsetzen“ sagte Singelnstein. „Auf der anderen Seite sehen wir,
dass es innerhalb der Polizei eine gewisse Normalisierung der Gewalt gibt, weil
es für die Beamten zu ihrem beruflichen Alltag gehört.“
Erhöhtes Risiko polizeilicher
Gewaltanwendung bei Abschiebung
So hätten sich aus dem
gesammelten Material Hinweise darauf ergeben, dass Abschiebungen sowie
Kontrollsituationen in sogenannten Gefahrengebieten ein erhöhtes
Konfliktpotenzial und Risiko polizeilicher Gewaltanwendungen bergen, heißt es
in dem Buch.
Zugleich wird betont: Die
Grenzen zwischen angemessener und übermäßiger polizeilicher Gewalt seien
fließend und nicht immer leicht zu ziehen, auch wenn es mitunter klar zu
beurteilende Fälle gebe.
Schwelle zur Strafbarkeit bei
Bürgern schnell überschritten
Situationen, in denen ein
Gewalteinsatz stattfinde, seien komplexe und häufig sehr dynamische
Geschehensabläufe, fanden Singelnstein und sein Team bei ihren Untersuchungen
heraus. Man kenne das aus „normalen“ Konfrontationen, in denen ein Wort das
andere ergebe, oder eine Handlung Reaktionen erzeuge.
Für Bürgerinnen und Bürger
sei dabei relativ schnell die Schwelle zur Strafbarkeit überschritten – auch passive
Haltungen könnten bei Demonstrationen und Räumungen wie Anfang des Jahres im
Fechenheimer Wald bei Frankfurt als Widerstandshandlungen gewertet werden und
zu Anzeige und Strafverfahren führen.
Mehr Ermittlungen gegen
Polizisten, aber kaum Verurteilung
„Es gibt keine dramatische
Zuspitzung in dem Bereich“, so Singelnstein zu Fällen von Polizeigewalt. „Im
Vergleich etwa zu Demonstrationsgeschehen in den 1980er Jahren sind wir heute
auf einem wirklich ganz anderen Level der Gewalt bei Auseinandersetzungen
zwischen Bürgern und der Polizei. Allerdings sind wir heute als Gesellschaft
viel sensibler gegenüber Gewalterscheinungen und auch für polizeiliche
Gewaltausübungen gilt ein anderer Rechtfertigungsbedarf.“
Ähnlich sehen es
Polizeigewerkschafter: Ermittlungen im eigenen Bereich gebe es in den
vergangenen Jahren häufiger, sagt der Geschäftsführer der Polizeigewerkschaft
in Hessen, Alexander Glunz. Doch die Zahl der tatsächlichen Verurteilungen sei
dagegen niedrig geblieben. „Natürlich sehen wir die Vorbildfunktion der Polizei
und erlauben daher keine Rechtsbrecher in den eigenen Reihen“, sagt Glunz.
Verfahren gegen Polizisten
werden oft eingestellt
Daher werde für jeden Vorwurf
eine lückenlose Aufklärung gefordert. Es zeige sich aber auch, wie Glunz weiter
ausführt, dass sehr viele Verfahren wieder eingestellt würden, da entweder die
Unschuld oder kein ausreichender Tatverdacht vorliege.
Das sehen die Forscher
anders: Laut Studienzusammenfassung werden mehr als 90 Prozent der Verfahren
eingestellt. „Nur äußerst selten“ werde Anklage gegen Polizeikräfte erhoben,
heißt es. Laut Staatsanwaltschaftsstatistik passiere das nur in zwei Prozent
aller Fälle. „Das ist ungewöhnlich wenig, denn im Durchschnitt landen 22
Prozent aller Verfahren vor Gericht“, sagte der Kriminologe dem WDR. „Diese
Chancenlosigkeit ist auch einer der Hauptgründe, warum nur ein geringer Teil
der Betroffenen überhaupt Anzeige erstattet.“
Die niedrige Anklagequote sei
nicht nur auf unberechtigte Anzeigen zurückzuführen, sondern auch auf strukturelle
Besonderheiten, heißt es in den Ergebnissen. Denn Polizei und Justiz verbinde
„ein institutionelles Näheverhältnis, das durch eine alltägliche Kooperation
bei der gemeinsamen Aufgabe der Kriminalitätsbearbeitung gekennzeichnet ist“.
Geringes Problembewusstsein
bei Polizei und Staatsanwaltschaft
Das Problembewusstsein in
Polizei und Staatsanwaltschaften sei zudem gering, erklärte Singelnstein. Die
Schwelle „für ernsthafte Ermittlungen und eine Anklageerhebung“ gegen
Polizistinnen und Polizisten sei „deutlich höher als in anderen
Strafverfahren“. Zudem könne problematisch sein, dass die Ermittlungen gegen
Polizeikräfte von deren Kolleginnen und Kollegen geführt werden. So werde nur
ein Bruchteil der Verdachtsfälle von Polizeigewalt überhaupt erfasst. Die
Forscher gehen von einem sehr großen Dunkelfeld aus.
Ein Sprecher des hessischen
Innenministeriums sagte, als Reaktion auf ein polizeiliches Einschreiten seien
„in Einzelfällen Gegenanzeigen des polizeilichen Gegenübers zu verzeichnen.“
Die hessische Polizei habe bereits unterschiedlichste Anlaufstellen für
Bürgerinnen und Bürger, um Beschwerden und Anliegen gegen Beamtinnen und Beamte
der Polizei vorzubringen. Hierzu zähle unter anderem das Beschwerdemanagement
der Polizeipräsidien sowie der Ansprechpartner der Polizei, der bewusst
außerhalb der Polizeiorganisation angesiedelt ist.
Linke: „Polizeigewalt ein
reales Problem“
„Die nun veröffentlichten
Ergebnisse der Studie machen deutlich, dass Polizeigewalt ein reales Problem
ist“, sagte dagegen Torsten Felstehausen, innenpolitischer Sprecher der
Linken-Fraktion, am Dienstag. Seine Partei sehe durch die Untersuchungen
bestätigt, was sie schon seit Jahren problematisiere. Die Linke fordere schon
lange die Einrichtung einer unabhängigen polizeilichen Beschwerde- und
Ermittlungsstelle. Der Posten des hessischen Polizeibeauftragten, welcher auf
Wunsch der Grünen geschaffen und mit vollkommen unzureichenden Kompetenzen
ausgestattet wurde, sei seit seiner Einrichtung unbesetzt, kritisierte
Felstehausen.
Jörg-Uwe Hahn,
innenpolitischer Sprecher der FDP im hessischen Landtag, sprach sich für eine
Stellungnahme von Innenminister Peter Beuth (CDU) zu den Ergebnissen der
Wissenschaftler bereits in der Sitzung des Innenausschuss am Mittwoch aus.
„Aufklärung tut not im Hinblick auf die notwendigen Reformen der Fehler- und
Führungskultur bei der Polizei, aber auch im Interesse der Polizistinnen und
Polizisten, die sonst unter Generalverdacht gestellt werden.“
Forscher vermisst Datenbasis
für Polizeigewalt
Singelnstein beklagt, dass es
in Deutschland nicht wie in anderen Ländern transparent statistisch erfasst
wird, wie häufig und in welcher Form die Polizei in Deutschland Gewalt ausübt
oder wie häufig Menschen im Kontext von Polizeieinsätzen zu Tode kommen. „So
eine Datenbasis, so eine statistische Erfassung wäre schon mal ein erster
wichtiger Schritt.“
Hinzu komme, dass in den
Gesetzen nicht explizit stehe, welche „einfache körperliche Gewalt“ Polizisten
erlaubt sei. „Aktuell wird sehr intensiv über Schmerzgriffe diskutiert und man
sieht, dass die verschiedenen Polizeien in den verschiedenen Ländern da
unterschiedliche Linien haben“, nennt der Wissenschaftler ein Beispiel. „Manche
sagen, wir wenden gar keine Schmerzgriffe an, andere haben das sehr stark in
die Praxis übernommen.“
Forscher fordert mehr
Kommunikation in der Polizeiausbildung
Doch abgesehen von
Gesetzesregeln und Transparenz: Damit es gar nicht erst zu einer Eskalation und
Gewalt komme, sei Kommunikation sehr wichtig. „Es gibt Beamte, die können das
sehr gut, die haben eine sehr starke soziale Kompetenz, solche Situationen im
Einsatz zu klären und zu deeskalieren“, sagt Singelnstein. „Und es gibt
Menschen, die können es einfach nicht so gut – und da funktioniert es dann
vielleicht in der Praxis auch einfach nicht so gut.“
Der Polizeiforscher meint
daher, dass Kommunikation in der Ausbildung von Polizeibeamten eine noch viel
größere Rolle spielen sollte. „Und es wäre wichtig, die Resilienz zu
trainieren, mit einer Infragestellung von polizeilicher Praxis durch Bürger in
Einsatzsituationen umzugehen.“ Denn längst nicht alle Polizisten kämen damit
klar, dass Bürger ihre Anordnungen in Frage stellten und erst einmal
diskutieren wollten. (dpa/epd/mig 17)
Europarat in Reykjavik: Erhöhte Bedrohung durch Cyberangriffe
Im Vorfeld des am Dienstag
beginnenden Gipfeltreffens des Europarats ist es zu einer Häufung von
versuchten Cyberangriffen auf die isländische Infrastruktur gekommen, die
bisher jedoch nicht zu größeren Zwischenfällen geführt haben. Von: Charles
Szumski
CERT-IS, das isländische
Cybersicherheitsteam, hat im Vorfeld des Europaratsgipfels, der am Dienstag und
Mittwoch in Islands Hauptstadt Reykjavik stattfindet, eine ungewöhnlich hohe
Zahl von Computerangriffen auf isländische Unternehmen und Einrichtungen gemeldet.
Ziel dieser Angriffe sei
nicht unbedingt der Diebstahl von Daten oder die Zerstörung von Systemen,
sondern vielmehr die Ausübung eines immensen Drucks auf die Systeme, der zu
einem vorübergehenden Zusammenbruch führt, erklärte Guðmundur Arnar Sigmundsson,
Direktor des CERT-IS. Er bezeichnete diese Angriffe als Distributed Denial of
Service (DDoS)-Angriffe.
Die Wiederholung solcher Angriffe
scheint den ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj zu verfolgen, wie sich
bei seinen jüngsten Reisen durch Deutschland, Frankreich und das Vereinigte
Königreich zeigte. Zwar ist die Teilnahme des ukrainischen Präsidenten am
Gipfel in Island noch ungewiss, aber es ist klar, dass das Thema Ukraine im
Vordergrund der Diskussionen stehen wird.
Guðmundur vermutet, dass
diese Anschläge von Gruppen verübt werden, die mit Russland sympathisieren und
deren Hauptziel es ist, Chaos zu stiften.
„Dies ist das typische
Muster, das bei ähnlichen internationalen Treffen zu beobachten ist. Vor der
Veranstaltung wird versucht, in die Systeme einzudringen, und sobald die
Treffen beginnen, werden die Angriffe verstärkt“, erklärte er.
Zu den jüngsten Opfern von Cyberangriffen
gehören die Supermarktkette Krónan und die Stadt Dalvíkurbyggð. Beide Vorfälle
werden jedoch als nicht schwerwiegend eingestuft, und es kam zu keinem
Datenverlust.
Bereitschaft und Wachsamkeit
seien wichtig, um die Auswirkungen solcher Angriffe abzumildern. Guðmundur
betonte, dass die Netzsicherheitsteams und die Betreiber kritischer
Netzinfrastrukturen sich gewissenhaft vorbereitet haben. Dazu gehören
Systemüberprüfungen, die Erstellung von Protokollen für die Reaktion auf
Vorfälle und die Sicherstellung der Verfügbarkeit von Schlüsselpersonal im
Bedarfsfall.
Obwohl es keinen
unmittelbaren Grund zur Beunruhigung der Öffentlichkeit gibt, rief Guðmundur
Unternehmen, Institutionen und Website-Betreiber zur Wachsamkeit auf.
„Es gibt einen vernünftigen
Grund dafür, die Schwelle für die Reaktion auf etwas Verdächtiges zu senken“,
sagte Guðmundur. Er fügte hinzu, dass die Menschen schon beim geringsten
Verdacht auf einen Angriff das Cybersicherheitsteam benachrichtigen sollten.
Die isländische Präsidentschaft
des Ministerkomitees des Europarates ist Gastgeber eines Gipfels der Staats-
und Regierungschefs, der 46 Mitgliedstaaten am 16. und 17. Mai in Reykjavik
versammelt. Dies ist das 4. Gipfeltreffen des Europarates seit seiner Gründung
im Jahr 1949.
Im Mittelpunkt des Gipfels
stehen die Grundwerte des Europarats, sein Auftrag angesichts neuer Bedrohungen
für Menschenrechte und Demokratie sowie die Unterstützung der Ukraine durch
konkrete Maßnahmen, um den Opfern des russischen Angriffs Gerechtigkeit zu verschaffen.
EA 16
„Sozial selektiv“. Ehegattennachzug scheitert in über 13.000 Fällen an Sprachkenntnissen
Mehr als 13.000 Menschen
haben im vergangenen Jahr kein Visum für den Ehegattennachzug erhalten, weil
sie durch den Sprachtest gefallen sind. Das teilt die Bundesregierung mit.
Linke Politikerin Akbulut kritisiert die Sprachanforderungen. Sie seien „sozial
selektiv“.
Wegen mangelnder
Sprachkenntnisse ist im vergangenen Jahr der Ehegattennachzug in mehr als
13.000 Fällen gescheitert. Das geht aus einer Antwort der Bundesregierung auf
eine schriftliche Frage der Linken-Bundestagsabgeordneten Gökay Akbulut hervor,
die dem „MiGAZIN“ vorliegt. Zuerst hatte die „Neue Osnabrücker Zeitung“ darüber
berichtet.
Wie aus den Zahlen des
Auswärtigen Amtes hervorgeht, haben im vergangenen Jahr 13.607 Menschen den für
den Nachzug notwendigen Sprachtest an einem Goethe-Institut im Ausland nicht
bestanden. Insgesamt wurden demnach 40.165 Prüfungen absolviert. Somit fiel
etwa ein Drittel der Menschen bei dem Test durch.
In Äthiopien war die
Durchfallquote mir rund 61 Prozent am höchsten. In absoluten Zahlen scheiterten
in dem ostafrikanischen Land 310 von insgesamt 507 Menschen an dem Test. Auch
in Ghana (55,5 Prozent) und dem Senegal (52,4 Prozent) war die Durchfallquote
überdurchschnittlich hoch.
71.000 Menschen erhielten
Visum
Für den Nachzug aus dem
Ausland müssen Eheleute in der Regel bereits vor der Einreise „einfache“
Grundkenntnisse der deutschen Sprache nachweisen. Ausnahmen gibt es etwa für
hoch qualifizierte Fachkräfte, Personen also, denen es ohnehin leichtfällt,
eine Sprache zu lernen. Für bildungsferne Personen sind die Tests nach
Experteneinschätzung jedoch oft zu schwer. Die Sprachanforderung sei in erster
Linie ein Instrument, unerwünschte Zuwanderung zu verhindern, so Kritiker.
Insgesamt haben im Jahr 2022
nach Angaben des Auswärtigen Amtes 71.127 Menschen ein Visum zum
Ehegattennachzug erhalten. Die meisten von ihnen kamen aus Indien (8.930
Personen), gefolgt von der Türkei (8.778 Personen) und dem Libanon (5.006
Personen).
Akbulut: Sprachanforderungen
„sozial selektiv“
Die Linken-Abgeordnete
Akbulut sagte der NOZ, die Sprachanforderungen beim Ehegattennachzug seien
„sozial selektiv“. Vor allem in afrikanischen Ländern seien die
Misserfolgsquoten bei Sprachtests inakzeptabel hoch. „Damit ist die Regelung
auch ganz klar europarechtswidrig, weil das Recht auf Familiennachzug
unzumutbar erschwert wird.“
Die Ampel-Koalition hat
vereinbart, die Sprachregelung zu ändern und Sprachtest in Deutschland zu
ermöglichen. Mehr als ein Jahr später wartet dieses Versprechen auf ihre
Einlösung. (epd/mig 16)