Webgiornale 16-30 settembre 2023

Inhaltsverzeichnis

Migranti a Lampedusa. Tempo di cambiare. 1

Stato dell’Unione: è tempo di una nuova leadership. 1

Stop di Francia e Germania agli immigrati dall’Italia: ma dove vanno i migranti dopo l’approdo?. 1

Terremoto Marocco, 2.862 i morti e 2.562 feriti 1

Migranti in Europa in aumento: +28% di richieste asilo rispetto al 2022. 1

“Migranti, non rispettata l’intesa di Dublino”: ecco perché Roma è sotto accusa. 1

“Fuori dal tunnel”. Come l’Europa può superare la grande crisi 1

Salvataggi nel Mediterraneo. Prima si salva, poi si discute. 1

Censimento 2023, chi deve farlo e come si svolge: tutte le informazioni 1

La ventunesima Regione. Cosa chiedono alla politica circa 6 milioni di italiani all’estero. 1

Il G20 visto dai BRICS e dai paesi emergenti 1

Campagna di verifica dell’esistenza in vita dei pensionati italiani residenti in Germania. 1

Braccio di ferro sul Niger 1

Gli scienziati italiani in Germania. 1

A Berlino la visita di una delegazione della Sezione di Amicizia bilaterale Italia-Germania dell’Unione Interparlamentare. 1

Alle ACLI la primogenitura dei patronati italiani in Germania. 1

Brevi di politica e di cronaca tedesca. 1

Le recenti puntate di Cosmo, ex Radio Colonia. 1

Torna “Bravo Bravissimo!”: 6 edizione del premio per gli studenti italiani in Germania. 1

Saarbrücken/Francoforte. Pasquale Marino è andato in pensione. 1

“Monaco Italia - Newcomers networking” a Monaco di Baviera con il Comites e il Consolato Generale. 1

Berlino: l’ambasciatore Varricchio riceve gli Allievi Ufficiali dell’Accademia della Guardia di Finanza. 1

Cinema! Italia! Edizione 2023. “Festival itinerante del cinema italiano” in Germania. 1

La Germania esonera Flick: contro la Francia in panchina Rudi Voeller 1

La migrazione dagli occhi di chi migra, alla Mostra di Venezia. 1

Gli ostacoli globali per un’Europa a impatto zero. 1

Alfabetizzazione, 763 milioni di persone non hanno le competenze di base. 1

L’incrocio pericoloso fra legge di bilancio e riforma del Patto di Stabilità. 1

Uno su tre. 1

Ue, Mattarella: nessun Paese può pensare al futuro da solo. 1

Gli errori da non ripetere della Banca Centrale Europea. 1

La violenza sulla donna. Orrore senza confini 1

Chi siamo. 1

Governo-Ue, Paolo Gentiloni non replica a Giorgia Meloni e Matteo Salvini 1

L’incoerenza della politica nelle scelte della Premier. 1

Lo scontro tra governo e magistratura. 1

Non solo la popolazione, anche la demografia delle imprese è in crisi 1

I muri 1

Criminalità minorile: la nuova “Zes” per il Sud e il rinvio blocco dei diesel euro 5. 1

Calano ancora le nascite, ma l’inverno demografico dell’Italia arriva da lontano. 1

“Bel Paese. L'arte italiana si promuove nel mondo”: al via il nuovo progetto del MiC. 1

Giovani italiani ‘bamboccioni’? Lasciano casa a 30 anni, la media in Europa è 26,4. 1

L’Italia altrove. 1

Il divario di genere penalizza le donne anche nel lavoro, in Italia è doppio rispetto all’Ue. 1

Che cos’è il RepowerEu. 1

Berlino: macchina per caffè espresso automatica italiana vince il premio DesignEuropa. 1

Contro il tormentone “astensionista” di Fedez: “Gli italiani all’estero votano eccome”. 1

Nasce la “Piazza Estero” dell’associazione Schierarsi 1

Una crepa nella soletta, chiuso il tunnel del San Gottardo: deviazioni e code. 1

Al via il programma di Alta formazione della Farnesina per le Scuole italiane all’estero. 1

La Via Maestra, in Italia e all’estero. La Filef alla manifestazione del 7 ottobre. 1

Mezzogiorno. 506 pensionati esteri hanno usufruito del regime fiscale agevolato. 1

La Consulta apre il bando per contributi alle Associazioni di emiliano-romagnoli nel mondo. 1

 

 

1.     Lampedusa ruft Notstand aus, Deutschland setzt Aufnahme aus. 1

2.     Klima-Studie. Sechs von neun planetaren Belastungsgrenzen überschritten. 1

3.     Berliner Friedensappell: „Kein Krieg ist ewig“. 1

4.     Europäische Integration. Krisenfest?. 1

5.     Rede zur Lage der Europäischen Union. Analyse von EUD-Generalsekretär Christian Moos. 1

6.     Kampf gegen Fluchtursachen auf Eis. UN warnen vor dramatischen Einschnitten bei humanitärer Hilfe. 1

7.     „Illegal, geflüchtet, schutzbedürftig“ – wie sprachliche Ausdrucksweise unsere Meinung beeinflussen kann. 1

8.     Studie. Vielfalt spiegelt sich in Organisationen nur unzureichend wider. 1

9.     Nur sieben Prozent sehr zufrieden mit Bundesregierung. 1

10.  Rede von Bundeskanzler Scholz bei dem Internationalen Friedenstreffen der Gemeinschaft Sant’Egidio am 12. September 2023 in Berlin. 1

11.  Pandemie will gelernt sein. 1

12.  Qualitativ hochwertige Versorgung mit medizinischen Hilfsmitteln sichern!. 1

13.  Stuttgart. Flüchtlingsrat kritisiert Chaos bei Ausländerbehörde. 1

14.  Zuppi: Ukraine wird entscheiden, wie sie den Frieden erreichen will 1

15.  „Schindlers Liste“ von Rom: Fragen an einen Jesuiten. 1

16.  Mehrheit der Deutschen gegen Industriestrompreis. 1

17.  Der Internationale Literaturpreis 2023 geht an Mohamed Mbougar Sarr, Holger 1

18.  Streit um Abayas. Frankreich verbannt lange Gewänder aus Schulen. 1

19.  40 Jahre Kirchenasyl: Schutz vor Abschiebung. 1

20.  Kräfte bündeln. 1

21.  Künstliche Intelligenz. Ataman: Gesetz sollte vor digitaler Diskriminierung schützen. 1

22.  Fachkräftemangel: Wie kleine und mittlere Unternehmen von Robotik und Automation profitieren. 1

23.  Kabinett beschließt Gesetz. Einbürgerungen sollen künftig schneller möglich sein. 1

24.  Seit 2012 sanken die Scheidungen kontinuierlich. 1

 

 

Migranti a Lampedusa. Tempo di cambiare

 

Sono certamente giorni difficili quelli che stiamo vivendo sul fronte immigrazione. Le immagini che arrivano da Lampedusa, ci raccontano le tensioni, le fatiche e le paure di queste ultime ore ma ci riportano a immagini già viste e ci dicono che è tempo di cambiare, di fare altre scelte coraggiose e condivise perché questo momento non diventi l’ennesimo già visto ma sia un punto di partenza, rappresenti una svolta nel percorso che noi tutti, insieme, possiamo e dobbiamo fare per scrivere una pagina nuova nella storia delle politiche migratorie italiane

Sono certamente giorni difficili quelli che stiamo vivendo sul fronte immigrazione. Le immagini che arrivano da Lampedusa, ci raccontano le tensioni, le fatiche e le paure di queste ultime ore ma ci riportano a immagini già viste e ci dicono che è tempo di cambiare, di fare altre scelte coraggiose e condivise perché questo momento non diventi l’ennesimo già visto ma sia un punto di partenza, rappresenti una svolta nel percorso che noi tutti, insieme, possiamo e dobbiamo fare per scrivere una pagina nuova nella storia delle politiche migratorie italiane.

In più occasioni abbiamo sottolineato come non si possa più parlare di emergenza poiché ormai il fenomeno è sistematico. Ciclicamente registriamo da anni fasi di picco e le tragedie che hanno devastato alcuni Paesi dell’Africa di recente, ma anche i tanti drammi, le carestie e le guerre civili che si vivono in altri sono un elemento che influisce sugli sbarchi e su questi picchi di arrivo. Sono persone che fuggono perché i loro diritti e la loro vita sono in pericolo costante e persone il viaggio nel deserto e in mare sembra meno pericoloso che rimanere in certi contesti. Ma queste considerazioni, che tutti conosciamo, ci dicono che possiamo realmente incidere e produrre un cambiamento se invertiamo la narrazione e scegliamo di avviare una svolta nella costruzione delle politiche di accoglienza e inclusione in Italia e in Europa.

Un percorso che ci deve vedere tutti uniti, ed in cui tutti possono dare il proprio contributo uscendo dalle logiche di contrapposizione. La Chiesa non si è tirata mai indietro e non lo ha fatto in questi mesi e in queste ultime settimane: un lavoro costante e prezioso che ci permette da anni di accompagnare le persone che arrivano ma anche le comunità verso un percorso di conoscenza reciproca e di ospitalità fiduciosa dell’altro.

Comprendiamo la fatica e siamo consapevoli degli sforzi delle autorità tutte, degli enti locali ed anche delle altre organizzazioni ma è evidente ed è necessario lavorare insieme e non divisi, valorizzare il lavoro e le buone pratiche già attive che ci dicono che è possibile costruire vie di ingresso dignitose e sicure, percorsi di inclusione e azioni di empowerment efficaci i cui risultati ci fanno crescere e migliorare insieme, sostenersi e dialogare in tavoli istituzionali ad hoc e sui territori, in un’ottica di solidarietà ma anche di reale ed efficace sussidiarietà che non si esauriscano con il finire della bella stagione, che non siano una risposta temporanea ma che siano un punto di partenza nuovo, un passo verso il cambiamento.

Marco Pagniello, direttore Caritas italiana (sir 15)

 

 

 

Stato dell’Unione: è tempo di una nuova leadership

 

Oggi la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha pronunciato il suo discorso sullo Stato dell’Unione annuale al Parlamento europeo di Strasburgo, probabilmente ignorato dalla gran parte dei cittadini europei, ma molto atteso dal mondo della politica, dagli esperti e dagli osservatori europei e internazionali. Questo è stato l’ultimo discorso prima delle prossime elezioni europee di giugno 2024, e come era prevedibile la Presidente ha prima di tutto illustrato i risultati del suo mandato per la realizzazione di un’Unione verde, digitale e geopolitica, rivendicando un tasso di successo del 90% rispetto agli impegni presi nel 2019.

Il bilancio della Commissione 2019-2024

Tra le pietre miliari, von der Leyen ha citato la risposta all’aggressione russa dell’Ucraina, la reazione alla competizione della Cina, soprattutto attraverso le iniziative per rendere l’Ue più indipendente nel settore delle materie prime e dei semi-conduttori, il Green Deal, l’avvio della transizione digitale, il Next Generation EU, le iniziative sull’uguaglianza di genere e contro la violenza sulle donne. Nel suo discorso, la Presidente ha parlato alle giovani generazioni, ha dedicato un commosso ricordo all’attivista e scrittrice ucraina Victoria Amelina uccisa dalle bombe russe a luglio scorso a Kramators’k, ha cercato più volte la sponda del Parlamento europeo per le future battaglie politiche e legislative.

Sono stati molti i temi affrontati, ma tre aspetti in particolare sono degni di nota per capire cosa si propone la Commissione europea per i prossimi 300 giorni che ci separano dalle elezioni, ma forse anche nella prossima legislatura se, come è sembrato dal tono e dall’orizzonte del suo discorso, Ursula von der Leyen dovesse ricandidarsi a guidare l’esecutivo europeo.

I tre punti chiave del programma von Der Leyen

Il primo riguarda il tono assertivo e le proposte in materia di competitività per contrastare l’offensiva economica e commerciale cinese. Tenendo fermo l’obiettivo della transizione ecologica, von der Leyen ha molto insistito sulla necessità di sostenere l’industria europea, in particolare quella tecnologica, ma anche il settore agricolo e manifatturiero, e di rafforzare il dialogo per un processo equo e giusto, valorizzando il ruolo degli attori sociali e aiutando le piccole e medie imprese semplificando le procedure europee e nazionali.

Ovviamente, questa strategia richiede anche sostanziosi investimenti comuni, a partire dalla piattaforma STEP per rafforzare la produzione delle tecnologie strategiche con un finanziamento potenziale di 160 miliardi di euro già lanciata dalla Commissione europea, ma soprattutto attraverso nuove risorse per il bilancio dell’Unione per le quali serve non soltanto il sostegno del Parlamento europeo, ma anche un difficile accordo tra gli Stati membri.

Spunta di nuovo il nome di Mario Draghi, al quale viene affidato un importante rapporto sul futuro della competitività europea. Le accuse rivolte alla Cina sono state durissime, e accompagnate dall’annuncio di un’investigazione sui sussidi ai veicoli elettrici per limitare la distorsione del mercato globale e tutelare il mercato europeo. L’Ue punta anche ad un rafforzamento delle alleanze in funzione anti-cinese, in particolare con Stati Uniti, Australia e Giappone, con nuovi accordi di libero scambio dall’America Latina all’Indo-Pacifico, e con il nuovo corridoio economico tra India, Medio Oriente e Europa firmato ai margini dei lavori del G20 a Nuova Delhi.

Il secondo riguarda la proiezione europea verso il vicinato sud, che la Presidente declina essenzialmente in due priorità. In primo luogo, ha riaffermato un approccio securitario europeo nella regione del Sahel, sottolineando la necessità di reagire all’instabilità segnata di recente dal colpo di Stato in Niger, alla crescente influenza russa e alla minaccia terroristica con la stessa unità d’intenti mostrata verso l’Ucraina. Ha anche annunciato, senza meglio specificarlo, un nuovo approccio strategico per l’Africa da presentare al prossimo vertice tra Ue e Unione Africana. In secondo luogo, ha sottolineato l’importanza della dimensione esterna del fenomeno migratorio, annunciando una conferenza per la lotta al traffico degli esseri umani e contemporaneamente elogiando il recente accordo con il governo autoritario di Tunisi, definendolo un modello per futuri partenariati. L’accordo, promosso insieme a Giorgia Meloni e al premier olandese Mark Rutte, è in realtà criticabile sotto molti profili, da quello dell’efficacia (con un picco di partenze dalla Tunisia registrato negli ultimi due mesi) a quello del rispetto dei diritti umani (in particolare con i respingimenti nel deserto tra Tunisia e Libia). Sul fronte interno, ha sollecitato la ratifica del Nuovo Patto per la Migrazione e l’Asilo e l’entrata di Bulgaria e Romania nello spazio Schengen.

Il terzo riguarda il cambio di passo sulla prospettiva dell’allargamento a Ucraina, Moldova, Balcani occidentali e potenzialmente Georgia, che viene rilanciato e definito come un interesse strategico dell’Unione. Sono lontani i tempi dell’incertezza sulla necessità di offrire una prospettiva europea ai paesi del vicinato est e della regione balcanica, e la Presidente stigmatizza l’approccio binario tra approfondimento e allargamento. Quest’ultimo può infatti diventare un catalizzatore di cambiamento per l’Unione, che va messa nelle condizioni di funzionare anche con più di 30 Stati membri. Per farlo, la Commissione condurrà un esame delle politiche di pre-allargamento per valutarne l’impatto anche dal punto di vista di bilancio, ma la Presidente non esclude un processo più radicale di modifica dei Trattati attraverso la convocazione di una convenzione.

L’esortazione finale di von der Leyen è stata quella di pensare in grande, ma le ricette che propone sembrano andare nella direzione di un’Europa che ancora fatica a trovare una sua autonomia dal punto di vista strategico e una collocazione internazionale efficace e sostenibile. Forse è tempo di un cambiamento anche di leadership. Nicoletta Pirozzi, AffInt 14

 

 

 

Stop di Francia e Germania agli immigrati dall’Italia: ma dove vanno i migranti dopo l’approdo?

 

Gli sbarchi sull’isola di Lampedusa si succedono a un ritmo mai visto, ma Francia e, soprattutto, Germania dicono stop agli immigrati che arrivano dall’Italia.

Berlino ha bloccato la procedura di selezione dei migranti in arrivo dalla penisola, ovvero il “meccanismo di solidarietà” volontario. Il quotidiano Die Welt riporta la decisione della ministra degli Interni tedesca Nancy Faeser, notificata all’Italia, e spiega: la Germania rifiuta i migranti che arrivano dall’Italia perché sta fronteggiando una forte pressione migratoria.

La gravità della situazione diventa ancora più palese se si pensa che è stata proprio la ministra bavarese a spingere per il meccanismo volontario di solidarietà secondo cui gli Stati si sarebbero impegnati nella rapida redistribuzione di 10mila migranti dalle nazioni di primo approdo, Italia in primis.

Lo stop tedesco è il più deciso, ma non l’unico. La Francia ha annunciato di voler sigillare il confine tra Mentone e Ventimiglia e per giustificare la decisione, il ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, nel corso di una visita a Mentone, ha detto che nelle ultime settimane si è registrato un aumento del 100% dei flussi, “che colpisce le Alpi marittime e l’intera regione alpina”.

Ma come funziona il sistema dell’accoglienza migranti dopo il decreto Cutro e quanti immigrati restano in Italia?

Come funziona l’accoglienza dei migranti in Italia

Ecco quali sono le fasi dell’accoglienza in Italia secondo il decreto Cutro di marzo 2023, come spiega Openpolis.it.

La prima fase consiste nel portare gli immigrati negli hotspot, centri localizzati vicini alle aree di sbarco per la prima assistenza sanitaria, il fotosegnalamento e la pre-identificazione.

Il sistema “hotspot”, nato nel 2015 in seguito agli impegni assunti dal governo italiano con la commissione europea, si applica in determinati centri sulle frontiere esterne dell’Unione dove gli sbarchi sono molto frequenti. Qui si procede a registrare i dati personali dei cittadini stranieri appena sbarcati, fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal loro arrivo, eccezionalmente prorogabili a 72 ore. Nel caso in cui si rifiutino di farsi identificare, vengono trasferiti nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione prima chiamati Centri di permanenza temporanea) per essere identificati e rimpatriati.

Obiettivo fondamentale dell’hotspot è l’identificazione e la distinzione immediata tra quanti hanno diritto a fare domanda di protezione e i cosiddetti “migranti economici”, che saranno avviati ai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare.

In una seconda fase, chi manifesta la volontà di richiedere asilo in Italia viene trasferito nei centri governativi dove viene avviata la procedura di esame della richiesta di protezione. In questi centri vengono anche accertate le condizioni di salute degli ospiti per verificare eventuali situazioni di vulnerabilità. Il decreto 20/2023 ha eliminato dai centri governativi i servizi di assistenza psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio. Quindi, dopo il decreto Cutro, in questi centri rimangono attivi l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale, oltre all’accoglienza materiale.

Qualora si esaurissero i posti disponibili nei centri governativi, quindi di natura pubblica, le prefetture possono prevedere l’istituzione di Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che vengono affidati a soggetti privati mediante le procedure previste per i contratti pubblici. Anche nei Cas, analogamente a quanto avviene nei centri governativi, i richiedenti asilo vengono accolti con servizi molto ridotti.

Il decreto Cutro ha anche creato un nuovo tipo di Cas a disposizione delle prefetture qualora i centri governativi non siano sufficienti. Rispetto agli altri Centri di accoglienza straordinaria e ai centri privati, questi Cas offrono ancora meno servizi, dato che i migranti non possono accedere neanche all’assistenza sociale.

La situazione cambia nei centri appartenenti al Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), dove, però, sempre meno migranti riescono ad accedere.

Qui la struttura è organizzata su due livelli: il primo è riservato ai richiedenti asilo ed è basato sull’assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica; il secondo è riservato ai titolari di protezione e offre anche servizi di integrazione e orientamento lavorativo.

A differenza dei centri governativi, gestiti esclusivamente dal ministero dell’interno, il Sai è coordinato dal Servizio centrale, a sua volta gestito dall’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) con il supporto operativo della fondazione Cittalia.

Il ruolo degli enti locali è dunque fondamentale nel Sistema di accoglienza e integrazione: la titolarità dei progetti è assegnata a quegli enti che, su base volontaria, attivano e realizzano iniziative di accoglienza e integrazione. Più nel dettaglio, il Sai è costituito dalla rete degli enti locali che – per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata – accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

Il decreto Cutro ha ridotto drasticamente l’accesso al Sai che torna ad essere un sistema dedicato quasi esclusivamente ai titolari di protezione. Solo ad alcune categorie di richiedenti asilo, infatti, sarà ancora permesso di accedere al Sai: minori stranieri non accompagnati (Msna); persone che si trovano in particolari condizioni di vulnerabilità; migranti entrati in Italia tramite corridoi umanitari o sistemi analoghi. Infine, per effetto di norme specifiche, l’accesso al Sistema di accoglienza e integrazione è consentito anche ai richiedenti asilo ucraini e afghani.

Dove si stabiliscono gli immigrati arrivati in Europa?

Ieri, 12 settembre, sull’isola di Lampedusa ci sono stati oltre 110 sbarchi e sono arrivate più di 5000 persone in un solo giorno.

In questo contesto è arrivato lo stop della Germania all’accoglienza dei migranti dal Belpaese. Un rifiuto che può irrigidire i rapporti tra i due Stati ma che non incide quasi per niente sui numeri dell’immigrazione in Italia. A quanto apprende l’Adnkronos, sono 1.042 i migranti ricollocati in terra tedesca dall’ottobre 2022 a oggi a fronte degli oltre 100mila arrivi (118.436) in Italia solo da gennaio 2023.

Passando alla Francia, secondo dati Eurostat, tra il 2008 e il 2022 Oltralpe sono stati accolti in media circa 82mila richiedenti asilo ogni anno, 31mila in più dell’Italia (che è a quota 51mila). I dati sugli arrivi dei migranti in Italia e le domande d’asilo in Francia si equivalgono: in entrambi i casi si tratta di 202 casi ogni 100mila abitanti, mentre Parigi ha rifiutato il 76% delle richieste di asilo, contro il 60% di Roma (dati al 2022).

Il numero di sbarchi non può essere l’unica statistica da considerare quando si parla di immigrazione. Un dato interessante per comprendere meglio le prospettive demografiche dei vari Paesi e le dinamiche politiche tra gli Stati Ue riguarda le richieste di asilo.

Ecco allora quali sono gli Stati europei con più richieste di asilo nel 2022 (dati Eurostat):

* Germania: 243.835

* Francia: 156.455

* Austria: 112.245

* Spagna: 117.945

* Italia: 84.290

* Grecia: 37.375

* Paesi Bassi: 37.020

* Belgio: 36.740

* Cipro: 22.190

* Bulgaria: 20.390

* Svezia: 18.605

Il dato dell’Austria assume ancora maggior rilievo se confrontato alla popolazione totale, pari a poco più di 9 milioni di abitanti nel 2022.

Risulta a maggior ragione interessante ai fini demografici quanti immigrati abbiano acquisito la cittadinanza nei vari Stati membri.

In base ai dati Eurostat 2021, è la Svezia il Paese comunitario con il più alto tasso annuo di acquisizione di cittadinanza, pari a 1 ogni 10 stranieri residenti, seguita dai Paesi Bassi (1 ogni 19) e dalla Romania (1 ogni 22). In questa speciale classifica l’Italia si posiziona al nono posto e dal 2014 al 2021 è sempre oscillata fra il quinto e il decimo posto per rapporto tra stranieri residenti e stranieri che acquisiscono la cittadinanza.

Nel 2021 2,3 milioni di persone sono immigrate nell’Unione europea da Paesi extracomunitari e 1,4 milioni di persone che precedentemente risiedevano in uno Stato membro Ue si sono trasferite in un altro Stato membro, per un totale di 3,7 milioni di immigrati internazionali.

Per avere più chiaro lo scenario demografico futuro e come funzioni l’accoglienza nella penisola, l’Istat ha realizzato un sondaggio tra gli studenti immigrati in Italia. Nonostante in molti casi il Belpaese rappresenti un (ovvio) upgrade rispetto alla situazione di partenza, spesso fatta di povertà e violenza, la percentuale degli studenti stranieri di scuole superiori che vuole vivere all’estero è del 59% contro il 42% degli italiani. Questo desiderio è molto più diffuso tra le ragazze (66,3%) rispetto ai coetanei maschi (52%).

Tutti i dati visti finora impongono una riflessione sul sistema di integrazione. È di tutta evidenza, al tempo stesso, che gli sbarchi record di questi mesi non consentano una gestione serena dei flussi e dell’accoglienza. Le tragedie in Marocco e Libia rischiano di aggravare una situazione già fuori controllo, che può risolversi solo con una ampia e strutturale cooperazione tra gli Stati di approdo. Adnkronos 13

 

 

 

Terremoto Marocco, 2.862 i morti e 2.562 feriti

 

Continua a salire il bilancio delle vittime del devastante terremoto che ha colpito il Marocco. Secondo l'ultimo bilancio reso noto dal ministero degli Interni di Rabat, sono 2.862 le persone che hanno perso la vita a causa del sisma e 2.562 i feriti.

Rabat accetta aiuti solo da Spagna, Gb, Qatar ed Emirati

Il ministero degli Interni marocchino ha chiarito in un comunicato di aver accettato solo l'aiuto offerto da Spagna, Regno Unito, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. "Le autorità marocchine hanno risposto favorevolmente, in questa fase specifica, alle offerte di sostegno dei paesi amici Spagna, Qatar, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti, che si erano offerti di mobilitare squadre di ricerca e soccorso", ha precisato il ministero un comunicato ufficiale raccolto dalla televisione marocchina 2M.

Rabat giustifica la sua decisione con la "valutazione precisa" dei bisogni e "tenendo conto che la mancanza di coordinamento in tali situazioni potrebbe essere controproducente". In ogni caso, il governo marocchino non esclude di chiedere aiuto ad altri Paesi, se necessario: "Con l'avanzamento delle operazioni di intervento, la valutazione dei possibili bisogni potrebbe evolversi, il che consentirebbe di sfruttare le offerte di sostegno presentate da altri paesi amici, secondo le esigenze specifiche di ogni fase".

La Francia ha stanziato cinque milioni di euro per le organizzazioni non governative che stanno operando in Marocco, in modo da poter aiutare la popolazione colpita dal sisma, contribuire nei soccorsi e nelle ricerche. Lo ha annunciato la ministra degli Esteri francese Catherine Colonna che, a proposito della mancata richiesta ufficiale di aiuti da parte di Rabat a Parigi, parla di ''scelta sovrana''.

"Il Marocco è sovrano, è l'unico in grado di determinare quali siano le sue esigenze. Una sessantina di Paesi hanno fatto offerte e il Marocco decide in modo sovrano", ha dichiarato la responsabile della diplomazia francese intervistata da Bfmtv.

L'Algeria ha offerto al Marocco l'invio di 80 soccorritori specializzati delle sue forze di protezione civile per aiutare il Paese nei soccorsi. Il pacchetto di aiuti comprende un'unità cinofila, personale medico e forniture di emergenza sotto forma di tende, letti e coperte, ha detto un portavoce del governo di Algeri.

Sabato il ministero degli Esteri dell'Algeria aveva già detto che avrebbe aperto lo spazio aereo ai voli che trasportavano aiuti umanitari, nonostante avesse interrotto le relazioni con il Marocco due anni fa.

"Qui tutti sono morti o in ospedale", voci da villaggio distrutto

"In questo villaggio la gente è morta o in ospedale". Sono le parole con cui il corrispondente della Bbc è stato accolto al suo arrivo a Tafeghaghte, un villaggio nella regione dell'Atlante completamente raso al suolo dal sisma. Dei 200 abitanti, 90 sono morti accertati, ma la maggior parte degli altri sono feriti o dispersi.

A parlare è Hassan, uno dei pochi sopravvissuti. "Abbiamo bisogno dell'aiuto del governo. Sono molto in ritardo, in ritardo nel venire ad aiutare la gente", aggiunge l'uomo, mentre cammina fra le macerie di quelle che prima erano case tradizionali in pietra e mattoni. "La gente non aveva la possibilità di uscire, non ha avuto tempo di mettersi in salvo", aggiunge. Suo zio è sotto le macerie, ma Hassan sa già che nessuno scaverà per cercarlo, perché non ci sono i macchinari necessari. Secondo lui il Marocco dovrebbe accettare aiuto dall'esterno, ma il suo timore è che venga rifiutato per orgoglio. Adnkronos 11

 

 

 

Migranti in Europa in aumento: +28% di richieste asilo rispetto al 2022

 

Roma – Le domande di asilo registrate nei paesi dell’Unione europea e in Norvegia e in Svizzera nella prima metà del 2023 sono aumentate del 28% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ha annunciato l’Agenzia dell’Ue per l’asilo (Euaa). Tra gennaio e la fine di giugno sono state presentate in questi 29 paesi circa 519.000 domande d’asilo, ha affermato l’Euaa stimando che “sulla base delle tendenze attuali le domande potrebbero superare il milione entro la fine dell’anno”.  Siriani, afghani, venezuelani, turchi e colombiani sono i principali richiedenti, rappresentando il 44% delle domande. La richiesta per il primo semestre è la più alta in questo periodo dell’anno dal 2015-2016. In quel periodo, durante l’afflusso di rifugiati in Europa causato in particolare dallo stallo del conflitto in Siria, il numero di domande di asilo aveva raggiunto 1,3 milioni nel 2015 e 1,2 milioni nel 2016. Nel 2022 sono state 994.945. La Germania è il paese che ha ricevuto il maggior numero di domande: il 30% del totale, quasi il doppio di Spagna (17%) e Francia (16%). L’agenzia sottolinea, riferisce l’Ansa,  che a causa di questo aumento molti paesi europei “sono sotto pressione nel trattare le domande” e che il numero di fascicoli in attesa di decisione è aumentato del 34% rispetto al 2022. Circa il 41% delle domande di prima istanza ha ricevuto una risposta positiva. Inoltre, circa 4 milioni di ucraini in fuga dall’invasione russa beneficiano attualmente di protezione temporanea in Ue.

 

Frontex: in aumento le migrazioni verso l’Ue. Per il 2023/2024 “è probabile” che le rotte del Mediterraneo orientale e del Mediterraneo centrale “vedranno una maggiore attività migratoria e una proporzione più elevata dei flussi migratori complessivi verso le frontiere esterne dell’Ue”. Lo si legge nell’analisi sui rischi per l’anno che verrà di Frontex. “Parte di questo fenomeno – prosegue il rapporto – sarà probabilmente l’uso crescente dei corridoi dalla Turchia, dal Libano e dalla Siria verso il Mediterraneo centrale, che segnerà un’ulteriore sfumatura tra le rotte del Mediterraneo orientale e centrale: questo fenomeno sarà esacerbato dall’aumento dei collegamenti aerei tra le due aree geografiche, che hanno già portato alla registrazione di migranti, come i siriani, tradizionalmente presenti solo nel Mediterraneo orientale, sulle rotte provenienti dalla Libia”. “Ai flussi verso nord dalla Libia e dalla Tunisia si aggiungerà un numero crescente di migranti nordafricani e da vari Paesi subsahariani, i cui Paesi devono affrontare previsioni economiche, di sicurezza, di diritti umani e climatiche preoccupanti per il 2023/2024. I fattori che mitigano i flussi di migranti irregolari sono una maggiore cooperazione attraverso il Mediterraneo e un rinnovato impegno bilaterale e multilaterale per consentire alle autorità dei Paesi terzi di prevenire il traffico di migranti sul loro territorio”, si legge nel rapporto. Mig.on 5

 

 

 

 

“Migranti, non rispettata l’intesa di Dublino”: ecco perché Roma è sotto accusa

 

E adesso rischia di saltare anche il nuovo Patto Ue su cui l’Italia fonda la sua strategia per la gestione dei profughi - di Alessandra Ziniti

 

ROMA – Nessuna replica alle inattese sortite di Francia e Germania ma il Viminale conferma: «È vero, non accettiamo più riammissioni di migranti da altri Paesi in virtù dello straordinario afflusso a cui l’Italia è chiamata a far fronte da mesi. La vecchia logica della responsabilità del Paese di primo ingresso del regolamento di Dublino è ormai superata dalla bozza del nuovo Patto approvato a giugno a Lussemburgo con una prospettiva assolutamente diversa di politica continentale. Andiamo avanti con il piano Mattei e in una cornice europea. L’interesse dell’Italia è che il nuovo Patto venga approvato al più presto».

La (nuova) resa dei conti con Francia e Germania sarà il 28 settembre a Bruxelles alla ripresa del negoziato tra i ministri dell’Interno sul tanto atteso Patto asilo e immigrazione. E a complicare il quadro c’è che anche il Memorandum tra Unione europea e Tunisi che Giorgia Meloni considera un successo personale sembra sempre più fragile, attaccato ieri a Strasburgo da sinistra ma anche da destra. I soldi europei a Tunisi non arrivano. E i barchini in partenza da Sfax fanno la coda per entrare nel porto di Lampedusa scaricando migliaia di persone.

La blindatura della Francia e la decisione della Germania di sospendere le redistribuzioni dall’Italia a fronte del mancato rispetto da parte di Roma delle regole di Dublino (comunque ancora vigenti e che l’Italia ha sottoscritto) non sembrano preoccupare più di tanto. Al Viminale si limitano a dare dei numeri: nell’ultimo anno, sono stati appena 1.042, su 3.500 totali, i migranti che la Germania ha accolto dall’Italia all’interno del piano di redistribuzione volontario. Numeri talmente piccoli da rendere il rifiuto di Berlino a nuovi ricollocamenti irrilevante da un punto di vista concreto, ma certo non sul piano politico.

All’incontro del 28 settembre a Bruxelles, Matteo Piantedosi si presenterà con una strategia che verrà elaborata nei prossimi giorni dal Comitato interministeriale per i migranti coordinato dal sottosegretario dell’Interno Alfredo Mantovano a cui, da qualche settimana, la premier ha affidato la gestione complessiva della questione migranti. Che vede l’Italia sempre più all’angolo, tra i flussi dalla Tunisia che paiono inarrestabili, la prospettiva di migliaia di nuovi arrivi dalla Cirenaica colpita dall’uragano e l’agognata svolta europea che non arriva. La strategia prevede comunque che l’Italia spinga sull’acceleratore per portare al traguardo il nuovo Patto per l’asilo e l’immigrazione prima della fine della legislatura. Traguardo niente affatto scontato, visto che la campagna elettorale per le Europee sembra già partita e, come sempre accaduto fin qui, gli interessi dei singoli Paesi e dei diversi schieramenti politici potrebbero ancora una volta prevalere sulla visione d’insieme.

A minare il terreno dell’accordo ci sono anche i nuovi numeri sulle richieste di asilo che confermano come l’Italia, sebbene decisamente in affanno sulla gestione della prima accoglienza dei migranti con quasi 120.000 sbarchi nel 2023, non sia affatto il Paese che sopporta l’onere maggiore. Non solo non è ai primi posti della classifica europea dei Paesi che accolgono più rifugiati (persino dopo la crisi ucraina) ma — guardando ai numeri in rapporto alla popolazione — è solo settima tra i Paesi membri in quanto a richieste di asilo: oltre a Germania, Francia e Spagna (che anche in numeri assoluti sono i Paesi con più richieste) anche Grecia, Paesi Bassi e Olanda accolgono più richiedenti asilo. Stando a questi numeri, dovrebbe essere l’Italia a offrire solidarietà agli altri Paesi e non viceversa. Questo dato di fatto — specie alla vigilia del voto per il rinnovo del Parlamento europeo — rischia di far saltare il nuovo Patto europeo, che è la carta su cui l’Italia gioca il tutto per tutto nell’ottica di “difesa dei confini”, nella speranza di frenare a breve flussi migratori che non possono aspettare i tempi lunghi del cosiddetto “Piano Mattei” fatto su aiuti e accordi con i Paesi di origine e di transito dei migranti.

Toccherà a Matteo Piantedosi riannodare i fili del dialogo con i suoi omologhi, il francese Gérard Darmanin e la tedesca Nancy Faeser, in vista dell’incontro di Bruxelles. Mentre in Germania a fine mese si recherà anche il ministro degli Esteri Tajani per un business forum a Berlino con le tre Confindustrie di Italia, Francia e Germania già in agenda da maggio. LR 13

 

 

 

 

“Fuori dal tunnel”. Come l’Europa può superare la grande crisi

 

Per Solferino Editore, è in libreria “Fuori dal tunnel”, il nuovo saggio di Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto Affari Internazionali, che affronta il panorama dell’Europa “multicrisi”: la crisi finanziaria, quella dei flussi migratori, l’ondata nazional-populista, la pandemia, la guerra e la crisi energetica. L’Italia e l’Europa appaiono sempre più schiacciate da una catena di emergenze legate tra loro a doppio filo e da quella più devastante di tutte, la crisi climatica, così drammatica da indurci a ignorarla, ma che segnerà le nostre vite e soprattutto quelle dei nostri figli.

Spento un incendio ci si affretta ad arginare il fuoco successivo, adottando spesso soluzioni contraddittorie tra loro. L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato in primo piano la questione della sicurezza energetica, con il rischio di accantonare la transizione ecologica, pilastro cardine del Green Deal europeo. Ma, come spiega Nathalie Tocci, è proprio riconciliando sicurezza e transizione energetica che l’Unione europea sta rilanciando il processo di integrazione dopo quasi vent’anni di stagnazione.

La transizione ci sarà e non sarà l’ultima, è solo più complessa e richiede una visione strategica che tenga conto degli impatti sociali ed economici. E consideri le conseguenze geopolitiche: sul piano interno (il rischio di diseguaglianze crescenti con impatto sui populismi in Europa), a livello regionale (nel Mediterraneo, soprattutto con Paesi vicini nel Nord Africa), e a livello planetario (con le tensioni tra Usa e Cina destinate ad aumentare). Una “missione possibile” con cui l’Italia può tornare a essere protagonista internazionale e l’Europa uscire rafforzata.

Nathalie Tocci presenterà il suo libro “Fuori dal tunnel. Come l’Europa può superare la grande crisi” al festival Pordenonelegge domenica 17 settembre alle 17, intervistata da Elisabetta Pozzetto; e presso l’Istituto Affari Internazionali il 27 settembre dalle ore 17.30. Aff.int. 11

 

 

 

Salvataggi nel Mediterraneo. Prima si salva, poi si discute

 

Intervista a don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans sull’attività della ong italiana. “Prima si salva, poi si discute” è la filosofia di Mediterranea Saving Humans la prima ong italiana nata nel 2018 per portare soccorso in mare con l’imbarcazione Mar Jonio. Mediterranea Saving Humans si occupa anche del soccorso in terra. Le cronache degli ultimi mesi hanno fatto emergere quanto la tragedia dei migranti cominci prima dell’imbarco, in Libia, in Tunisia con i respingimenti (la foto di qualche settimana fa della giovane donna con la sua bambina riverse senza vita nel deserto l’abbiamo ancora davanti agli occhi), le detenzioni in campi disumani, dove avvengono le più atroci torture. Di fronte a questo orrore l’Unione europea non volti lo sguardo altrove, quando sigla accordi con questi paesi. Parliamo ora di Mediterranea Saving Humans con don Mattia Ferrari, giovane prete, cappellano di bordo della ong e studente di scienze sociale con indirizzo di dottrina sociale della chiesa ed etica pubblica presso la Pontificia Università Gregoriana. Lo abbiamo raggiunto al telefono - di Paola Colombo

 

Come è arrivato a Mediterranea, don Mattia?

Mediterranea nasce nel 2018 da alcune realtà, prevalentemente dei centri sociali, ma con l’obiettivo di chiamare a raccolta tutta la società civile in questa missione. Sono stato coinvolto dai centri sociali bolognesi TBO e Làbas. Questo perché negli anni del seminario prestavo servizio il sabato e la domenica presso la parrocchia di sant’Antonio da Padova a Modena, una parrocchia molto vicina ai poveri e agli ultimi. All’epoca (2016), erano anni di grandi sbarchi, la parrocchia era diventata un punto di fraternità per molti, anche per i migranti. Nell’inverno 2017 un ragazzo di diciotto anni proveniente dal Gambia, richiedente asilo e di religione musulmana, ci telefona una sera dicendo di trovarsi nella stazione di Bologna dove aveva trovato un ragazzo, Youssufa, anche lui diciottenne del Gambia, richiedente asilo e completamente solo, senza casa. “Vorrei aiutare questo ragazzo ma da solo non so come fare, potete aiutarmi ad aiutarlo”. Le donne della parrocchia il giorno dopo vanno alla stazione di Bologna e mi portano con loro. Abbiamo conosciuto Youssufa e il problema era trovare posto per lui, perché era inverno e i centri di accoglienza erano strapieni. L’ultimo posto della lista a cui abbiamo bussato erano i centri sociali bolognesi Tpo e Làbas, per noi un altro mondo. Loro lo hanno accolto Youssufa, con loro è rinato, si è sentito amato, ha trovato una famiglia, perché la dignità si trova quando si è insieme. Io sono stato evangelizzato dal ragazzo musulmano della stazione, dalle donne della mia parrocchia e dai centri sociali bolognesi che, notoriamente, per la maggior parte, sono atei o agnostici. In questa vicenda c’è già in nuce lo spirito di Mediterranea; infatti un anno e mezzo dopo i ragazzi di TPO e Làbas mi dicono di aver concepito un sogno, il desiderio di fondare una piattaforma che chiami a raccolta tutta la società civile per andare insieme in mare a soccorrere le persone migranti. Mi chiedono di entrare nella piattaforma perché l’obiettivo non è di fare la nave di alcuni ma la nave di tutti e di coinvolgere anche la Chiesa in questa missione.

Dall’attività di soccorso in mare con la Mar Jonio Lei e il giornalista Nello Scavo avete raccontato nel libro Pescatori di uomini (Garzanti, 2020). Poi in un suo articolo apparso alcune settimane fa sul quotidiano torinese La Stampa e riportato sul sito di Mediterranea racconta dei respingimenti e delle violenze in Libia e in Tunisia. Che cos’è il movimento Refugees in Lybia e che cosa fa Mediterranea Saving Humans per sostenerlo?

A un certo punto la nostra azione si è estesa anche alla Libia perché siamo partiti fin da subito con l’idea che i protagonisti veri sono loro, sono i migranti, noi ci facciamo prossimi a loro, alla loro lotta e, quando nel 2021 è nato Refugees in Lybia, movimento di oltre 2.700 accampati davanti alle UNHCR (l’agenzia Onu per i rifuguiati) di Tripoli, ci hanno chiamati chiedendoci di supportarli, di aiutarli, abbiamo subito risposto di sì perché ci è sembrata la cosa più coerente con quello che Mediterranea è sempre stata. Quindi all’azione di ricerca e soccorso, di monitoraggio e denuncia per violazione dei diritti umani in mare si è affiancata questa azione di supporto e di sostegno in Libia. Siamo in contatto e lavoriamo con Refugees in Lybia e anche in occasione del vertice che c’è stato dei capi di stato a Roma (23 luglio, conferenza internazionale sull’emigrazione, n.d.r.), abbiamo organizzato con Refugees il controvertice per dare voce ai migranti.

Avete ottenuto qualcosa? C’è la possibilità di dialogare?

Siamo sempre pronti al dialogo ma la politica fa fatica a riconoscere la soggettività politica dei poveri, degli esclusi, degli ultimi, dei migranti che vengono sempre trattati come oggetto e mai come soggetto. Questo è un punto centrale sul quale insiste il Papa ed è ripreso anche nell’enciclica Fratelli tutti. Solo se si riconosce l’altro come soggetto è possibile la fraternità; ma fintanto che qualcuno è soggetto e l’altro è oggetto non c’è fraternità. La fraternità è fondamentale perché solo la fraternità incarnata può cambiare le cose, può cambiare il sistema e può portare a delle soluzioni. È difficile immaginare oggi una soluzione completa alla crisi migratoria; invece non è affatto difficile pensare alla via per trovare una soluzione. La via è molto facile ed è riconoscere la soggettività politica di tutti e quindi anche dei poveri, dei migranti e coinvolgerli come soggetti.

L’intervento di Mediterranea è stato fondamentale per liberare all’inizio di luglio 225 migranti detenuti a Ain Zara (sud di Tripoli). Che cosa era successo?

Sono stati liberati quelli che erano stati catturati e deportati nei lager di Ain Zara il 10 gennaio 2022. Che cosa era successo: i migranti avevano fatto un presidio rivolgendosi a tutte le autorità internazionali e Mediterranea era con loro per sostenere i loro appelli. Sono stati per noi giorni terribili, giorni di lotta, di angoscia e pieni di speranza perché questi migranti erano lì accampati, circondati dalle milizie. Ci sono state tre vittime, di cui una forse morta per un incidente, le altre due probabilmente assassinate. Noi eravamo costantemente in videochiamata con loro giorno e notte. Tiziano Schiena, di Mediterranea, è uno di quelli cha lavorato molto con Refugees in Lybia per aiutarli. L’unico leader mondiale che ha risposto ai loro appelli è stato papa Francesco. Per il resto, la politica, le istituzioni non hanno avuto il coraggio di riconoscere la soggettività di queste persone, li hanno ignorati. E così il 10 gennaio 2022 di notte le milizie del Dcim, il Dipartimento per il contrasto dell’immigrazione illegale, capitanate da Mohamed al-Khoja (aveva gestito la prigione di Tariq al-Sikka a Tripoli, teatro documentato di crimini orrendi sui migranti lì detenuti, n.d.r.), li hanno rastrellati, ne hanno deportato la gran parte nel lager di Ain Zara. Mohamed al-Khoja, nonostante sia indicato da tutti i report internazionali come boss della mafia libica, è ora direttore del Dcim, di quindici “lager”, finanziati dall’Unione europea. Ad Ain Zara sono successe due cose significative: la prima è che a un certo punto sono comparse immagini religiose, perché una parte di loro sono cattolici. Vantiamo una identità cristiana e respingiamo esseri umani che oltretutto sono cristiani e che nei lager pregano. Ora, come si faccia a definirsi cristiani nel momento in cui si sostengono queste politiche, dimostra veramente quanto il nostro comportamento sia non solo ipocrita ma sia offensivo dell’identità cristiana che proclamiamo. L’altra cosa che abbiamo subito è che un nostro amico si è suicidato perché non ne poteva più, non vedeva più speranza davanti ai suoi occhi. È stata una grande sofferenza per tutti noi. Poi sono continuate le trattative, un lavoro politico che Tiziano Schiena ha seguito più da vicino che me, e che alla fine ha portato al rilascio di questi migranti deportati. È stato un grande successo di Mediterranea Saving Humans, e di altre realtà che hanno collaborato con noi.

A proposito di mafia libica, don Mattia, Lei è stato minacciato in passato. Dopo la denuncia, le indagini erano state archiviate ma ora sono nuovamente aperte. A che punto sono?

Sono sotto tutela dalla parte delle forze dell’ordine e sotto vigilanza privata. In seguito alle minacce da un account twitter (ora X, n.d.r.) @RGowan facemmo denuncia; dopo un anno e due mesi il pm di Modena chiese l’archiviazione con una richiesta strana in cui diceva praticamente che il prete che non eserciti in modo tradizionale, cioè riservato e silenzioso, deve accettare queste minacce, omettendo completamente tutto il discorso della mafia libica. L’avvocato ha fatto ricorso e il gip (il giudice per le indagini preliminari) ha riaperto l’inchiesta: le indagini sono in corso perché c’è rilievo penale nell’attacco di @RGowan a don Mattia Ferrari. Nel frattempo il collettivo LJProject è riuscito a scoprire l’identità del gestore di quel profilo. Questo account pubblica dal 2017, dall’entrata in vigore degli accordi Italia-Libia, quasi quotidianamente, materiale per conto delle milizie libiche e, periodicamente, pubblica foto materiale top secret di apparati militari europei. Questo account ha fatto minacce nei miei confronti e nei confronti di Nello Scavo. Hanno scoperto che l’account è gestito da un certo Robert B., il cognome non l’hanno reso pubblico ma è stato consegnato alla procura e il ministro Nordio rispondendo a un’interrogazione parlamentare, lo ha rivelato. Il cognome è Brytan, si tratterebbe di un cittadino canadese che è stato giornalista e vice capo della guardia costiera canadese, che avrebbe lavorato come assistente di un europarlamentare tedesco e attualmente si troverebbe in Polonia. Questo personaggio avrebbe amicizie con i miliziani ed è un nome e cognome identici a quello del direttore dei servizi informatici dell’agenzia dei servizi informatici di Frontex, con accesso a tutta la documentazione militare segreta. È stato chiesto a Frontex se si tratti della stessa persona oppure di un caso di omonimia. È passato un anno e mezzo e Frontex non ha dato altra risposta che un “stiamo verificando”. Se si trattasse della stessa persona significa che persone di alto livello, che gestiscono documentazione militare europea top secret dell’Europa e di vari paesi, avrebbero rapporti strettissimi con i capi della mafia libica. Se così fosse, Frontex e l’Unione Europea dovrebbero rendere ragione.

Speriamo che si faccia chiarezza su questo. Un’altra domanda, don Mattia. Luca Casarini, di Mediterranea, è stato invitato da papa Francesco al sinodo a ottobre. Che significato ha questo invito?

Papa Francesco è veramente cristiano e ci tiene che in un evento importante come il sinodo dei vescovi che discuterà temi importantissimi per la Chiesa e per il mondo, sia presente anche Luca Casarini, perché lui e con lui, tutta Mediterranea Saving Humans, ama visceralmente. Mi spiego. Nel vangelo l’amore di Gesù non è un sentimentalismo astratto, il verbo splandizomai indica l’amore viscerale. Gesù ama con le viscere, per questo si fa prossimo, interviene davanti ai poveri, ai peccatori, alle moltitudini affamate. Nella parabola del buon samaritano, Gesù usa questo verbo in riferimento al buon samaritano, una persona che può essere considerata uno straniero, un eretico, uno che non ha la stessa fede. Il samaritano passando accanto all’uomo ferito, rispetto al sacerdote levita che passa davanti indifferente, vede e ha compassione. Il samaritano ama visceralmente per questo si fa prossimo, per questo crea una rete di solidarietà con l’albergatore e insieme salvano l’uomo ferito. Questo amore viscerale è quello che muove Luca Casarini. Se ad alcune persone non piacciono certe decisioni di papa Francesco, allora per coerenza non se la prendano con papa Francesco ma se la prendano con Gesù di Nazareth. Bergoglio non sta facendo altro che incarnare quello che oggi è e che è sempre stato l’insegnamento di Gesù. CdI sett.

 

 

 

Censimento 2023, chi deve farlo e come si svolge: tutte le informazioni

 

Partirà il prossimo 2 ottobre il Censimento 2023 permanente della popolazione e delle abitazioni, che coinvolgerà 2531 Comuni e circa 1 mln 46mila famiglie. In Italia il primo censimento ufficiale risale al 1861 e da allora si è svolto ogni 10 anni con le eccezioni del 1891 (per cause economiche), del 1941 (a causa della guerra) e del 1936 (svoltosi a 5 anni dal precedente). Dal 2018 il Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni si svolge ogni anno prendendo un campione di famiglie, scelte in modo casuale dall’Istat.

Il Censimento ha diversi obiettivi principali, che sono anche la ragione per cui è importante parteciparvi:

• fornire le statistiche sulle principali caratteristiche strutturali demografiche, socio-economiche e abitative della popolazione

• dispensarle frequentemente

• contenere i costi, il disturbo statistico sulle famiglie e l’impatto organizzativo sulla rete di rilevazione

• definire per ogni Comune i residenti che costituiscono la ‘popolazione legale’ che serve ad esempio per determinare i posti letto negli ospedali, il numero delle farmacie, delle scuole, ecc…

• mettere a disposizione dati utili all’aggiornamento e alla revisione delle anagrafi comunali della popolazione residente.

Quando viene fatto il Censimento

Quest’anno il censimento si svolge dal 2 ottobre al 22 dicembre e fotografa la situazione alla data del 1° ottobre 2023. Quindi tutte le risposte devono essere riferite alla propria situazione personale in quel giorno. I primi risultati saranno diffusi a dicembre 2024.

Per avere assistenza, dal 2 ottobre al 22 dicembre ci si potrà rivolgere al Numero Verde Istat 800.188.802 tutti i giorni, compresi sabato e domenica, dalle ore 9 alle ore 21. Nelle stesse date saranno anche in funzione i Centri Comunali di Rilevazione (CCR).

Cos’è il censimento e a cosa serve

Il Censimento è una fotografia del Paese che punta a delineare le principali caratteristiche strutturali e socio-economiche della popolazione che vi dimora abitualmente, a livello nazionale, regionale e locale. La rilevazione rende quindi disponibili informazioni sull’evoluzione della società e sulle trasformazioni in corso, e consente di effettuare confronti sia con il passato sia con la situazione di altri Paesi. In definitiva serve per conoscere il Paese, e aiuta i decisori pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni) ad effettuare scelte consapevoli e basate sui dati.

Il censimento 2023 si svolge a campione attraverso due tipi di rilevazione – ‘da Lista’ e ‘Areale’ – e viene integrato con i dati delle fonti amministrative per fornire un risultato tempestivo, esaustivo e più economico rispetto al censimento generale che coinvolgeva l’intera popolazione.

La rilevazione ‘da Lista’ interessa solo alcuni nuclei familiari, nel 2023 circa 998.500, all’interno dei comuni selezionati per l’indagine, e serve per acquisire informazioni sulle famiglie, i componenti e gli alloggi in cui vivono.

La rilevazione ‘Areale’ invece riguarda tutte le persone e le abitazioni delle aree individuate da censire in base ad una rotazione stabilita dall’Istat: nel 2023 coinvolge circa 48 mila rispondenti. L’indagine restituisce dati utili a calcolare il numero dei residenti in ciascun Comune italiano poiché rileva tutti gli alloggi e le persone che ci vivono, li utilizzano nel corso dell’anno o sono occasionalmente presenti.

Come funziona il censimento

Il censimento 2023 consiste nel rispondere a un questionario predisposto dall’Istat. Vi partecipano tutti i componenti delle famiglie scelte per il campione, che vengono avvisate dall’Istat tramite lettera. Il questionario deve essere compilato dalla persona a cui è stata inviata la lettera, con la collaborazione di tutti i membri della famiglia. Se la persona è impossibilitata, potrà farlo un altro componente maggiorenne della famiglia o anche una persona di fiducia.

L’indagine valuterà sia la famiglia anagrafica, intesa come l’insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune, sia le convivenze anagrafiche, ovvero l’insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.

Saranno anche censite le popolazioni speciali residenti nel comune (senza tetto, senza fissa dimora e coloro che vivono nei campi attrezzati, tollerati o spontanei, definiti come ‘altro tipo di alloggio’).

Quanto a come si svolge il censimento, ci sono tre casistiche possibili:

• la famiglia rientra nella rilevazione “Areale”: sarà avvisata tramite lettera non nominativa e affissione di locandina sul portone del domicilio e poi sottoposta ad intervista presso la propria abitazione da un rilevatore che registrerà le risposte al questionario su un tablet. Oppure, sempre in presenza del rilevatore, potrà compilare autonomamente il questionario sul tablet stesso. Oppure ancora potrà recarsi presso i Centri Comunali di Rilevazione per un’intervista faccia a faccia o per compilare autonomamente il questionario con il supporto di un operatore.

• la famiglia rientra nella rilevazione ‘’da Lista’’: riceverà una lettera nominativa con le informazioni, le istruzioni per la compilazione e le credenziali di accesso al sito Istat nella parte dedicata. Dovrà compilare autonomamente il questionario online ma potrà anche rivolgersi al CCR, per compilare il questionario con l’aiuto di un operatore. Le famiglie che non avranno ancora compilato il questionario online o che lo avranno fatto in maniera incompleta riceveranno già a ottobre un promemoria dall’Istat che ricorderà loro l’obbligo di rispondere. In caso di mancata compilazione, la famiglia verrà contattata da un ‘rilevatore censuario’ comunale per procedere a un’intervista tramite tablet. L’operatore ha un tesserino ufficiale con foto e timbro del Comune ed è tenuto a fornire il proprio documento d’identità in caso di richiesta

• la famiglia non fa parte del campione: non riceve alcuna lettera e quindi non deve fare niente.

 Cosa viene chiesto al censimento

Il censimento 2023 raccoglie dati utili a conoscere le caratteristiche demografiche e socio-economiche del Paese. Vengono chieste in particolare informazioni su:

• le persone abitualmente dimoranti nell’alloggio

• le loro caratteristiche demografiche (sesso, anno di nascita, stato civile, relazione di parentela con la persona di riferimento della famiglia, ecc.)

• il tipo di alloggio

• caratteristiche delle abitazioni

• caratteristiche dell’edificio (numero di piani, numero di interni, epoca di costruzione, ecc.)

• titolo di studio

• condizione occupazionale

• per gli occupati: settore di attività economica, professione e spostamenti abituali tra comuni per ragioni di studio e di lavoro.

E’ importante notare che i dati raccolti nel Censimento sono trattati in modo anonimo e che l’Istat utilizza le informazioni solo a fini statistici. La riservatezza infatti è garantita dal segreto statistico, dalla normativa europea GDRP e dalla legge italiana (Codice in materia di protezione dei dati personali e successive integrazioni).

Il censimento è obbligatorio?

Partecipare alla rilevazione è obbligatorio secondo la legge (art. 7 del d.lds 6 settembre 1989 n. 322 e successive modificazioni), e se non si fa il censimento si va incontro a delle sanzioni pecuniarie (art. 11 del d.lds 6 settembre 1989 n. 322 e successive modificazioni). L’obbligo riguarda i singoli componenti delle famiglie censite, che devono compilare e trasmettere, in modo completo e veritiero, nei tempi e nelle modalità previsti, il questionario Istat. Adnkronos 13

 

 

 

 

La ventunesima Regione. Cosa chiedono alla politica circa 6 milioni di italiani all’estero

 

Così viene ormai definita la comunità internazionale degli italiani sparsi per il mondo. E con i suoi quasi 6 milioni di residenti all’estero, ne rappresenta una delle più popolose.

 

Il rapporto annuale sulle migrazioni della Fondazione Migrantes ne raccoglie i numeri, sempre importanti, e le motivazioni che spingono i nostri connazionali a cercare altrove, nel mondo, quel che la madrepatria stenta o proprio non riesce ad offrire.

 

Ma c’è un momento particolare in cui l’attenzione della politica si rivolge a loro: le campagne elettorali, quando questi italiani diventano improvvisamente necessari a tutti i partiti, riscoprendo così le loro necessità, le loro richieste, i loro diritti.

 

Per poter fruire delle loro scelte in cabina, le comunità sono suddivise in quattro ripartizioni geografiche – Europa (compresi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia); America meridionale; America settentrionale e centrale; Africa, Asia, Oceania e Antartide, che eleggono 8 deputati e 4 senatori.

 

Tuttavia, anche in questo ambito, è emerso, nell’ultima consultazione elettorale del 25 settembre 2022, un forte astensionismo. I dati Eligendo del Ministero dell’Interno, dicono che i votanti sono stati   il 26,37% degli aventi diritto. È evidente quindi, anche tra gli italiani all’estero, la disaffezione alla politica, la cui origine scaturisce probabilmente dalla mancata efficace comunicazione tra le parti in causa.

 

Nonostante le “buone intenzioni” e promesse che ogni campagna elettorale porta con sé, di fatto le richieste e le aspettative rimangono spesso disattese.

 

In una lettera aperta alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, da “semplice cittadina italiana che vive negli Stati Uniti”, la signora Silvana Mangione (Vice Segretario Generale Consiglio Generale degli Italiani all'estero (CGIE) peri Paesi Anglofoni extraeuropei) rivolge un accorato appello a riportare l’attenzione sul valore che la ventunesima regione rappresenta, e sollecita azioni ormai necessarie e non più procrastinabili.

 

Ma quanti sono gli italiani all’estero?

Secondo l’ultimo Rapporto Italiani nel Mondo (RIM 2022) della Fondazione Migrantes, al 1° gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’AIRE sono 5.806.068, il 9,8% degli oltre 58,9 milioni di italiani residenti in Italia. Tutte le regioni italiane – si legge nel testo – perdono residenti aumentando, però, la loro presenza all’estero. Dal 2006 al 2022 la presenza degli italiani all’estero è cresciuta del 87% passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni.

 

E cosa chiedono in particolare?

A questa domanda risponde l’On. Toni Ricciardi*, eletto nella circoscrizione estero Europa per il PD-IDP (partito particolarmente premiato dagli elettori esteri nelle loro preferenze), quale Componente del Comitato Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes che ha curato la ricerca. 

 

“Le richieste maggiori riguardano i servizi consolari, fiscalità, il riacquisto della cittadinanza e in genere una più ampia comunicazione e vicinanza con le istituzioni – spiega l’On. Ricciardi -; purtroppo queste necessità trovano gli ostacoli maggiori nella mancanza di adeguate risorse finanziarie e carenza di personale nei Consolati. Al momento tuttavia c’è una calendarizzazione in Commissione parlamentare, per questi argomenti, sperando di riuscire ad ottenere qualche risultato”.

 

In generale tutti i governi dell’ultimo decennio, da Monti in poi, hanno guardato a questo bacino elettorale con interesse, e anche nel programma di quello attuale Antonio Tajani auspicava un ministero ad hoc con l’obiettivo di offrire più servizi ai cittadini,  gli altri sodali  di  favorire, ad esempio,  il riacquisto della cittadinanza e il loro maggiore  coinvolgimento nella promozione del Made in Italy, la parità fiscale con i cittadini che vivono in Italia, l’assistenza sanitaria in caso di soggiorno nel paese, la diffusione della lingua e della cultura italiana, la semplificazione delle procedure per il riconoscimento dei titoli di studio e iniziative utili a favorire il rientro degli italiani altamente specializzati.

 

Nella scorsa legislatura si ipotizzò anche l’istituzione di una commissione bicamerale specificatamente dedicata, ma l’On. Ricciardi sostiene che “Non è necessario creare altre sovra o sottostrutture che finirebbero per ghettizzare ancora di più le questioni collegate”. Ma oltre alla rinuncia al Ministero dedicato “mancano all’appello anche 78 milioni di euro di stanziamenti, necessari per potenziare gli uffici consolari. Bisogna ricordare – aggiunge Ricciardi – che gli italiani all’estero comunicano essenzialmente con due istituti: il Comune di residenza e appunto il Consolato, dove attualmente si lavora troppo con circolari e poco con leggi adeguate ai tempi e ai cambiamenti sociali. I meccanismi legislativi sono inoltre molto complicati e richiedono tempi lunghi, basti pensare ai decreti attuativi che devono fare seguito ad una qualsiasi legge. Tuttavia – conclude l’Onorevole Ricciardi – la 21esima regione è una comunità come tutte le altre, in cui occorre profondere impegno e perseveranza”.

 

*Toni Ricciardi, è storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra. Condirettore della collana «Gegenwart und Geschichte/Présent et Histoire», componente del Comitato scientifico del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, membro del Comitato editoriale di «Studi emigrazione» e «Altreitalie». Nel 2011 ha vinto il Premio «Sele d’Oro-Mezzogiorno», Rai-Svimez, per gli studi sullo sviluppo nel Mezzogiorno.

Mira Carpineta, de.it.press 11

 

 

 

 

Il G20 visto dai BRICS e dai paesi emergenti

 

L’incontro del Gruppo dei 20 tenutosi a Nuova Delhi ha fornito spunti di riflessione e rappresentato un’occasione per misurare lo stato attuale delle posizioni diplomatiche di molti paesi emergenti e di alcune delle organizzazioni che ne sono divenute il riferimento negli ultimi anni, come i BRICS (fra i quali sono in atto profondi e significativi cambiamenti) e l’Unione Africana (accettata a tutti gli effetti nel consesso del G20 al pari dell’Unione Europea).

Le aspettative e i segnali

I BRICS si sono presentati a New Delhi, come ad un primo banco di prova dall’annuncio dell’invito a far parte del gruppo esteso ufficialmente a Argentina, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran e anche quindi alla dimostrazione concreta della volontà di essere una guida politica ed economica per i Paesi in un certo qual modo esclusi dalla governance globale di una guida per il sud del mondo.

L’assenza di Xi Jinping al vertice G20 in India, servita all’opinione pubblica internazionale come conseguenza del rimontare delle tensioni frontaliere, ha avuto, secondo alcuni analisti e secondo un’interpretazione che si confà alla sottigliezza dei metodi della diplomazia cinese, anche l’intenzione di ridimensionare la crescente potenza indiana ed il suo accresciuto ruolo di comprimario alla guida dei BRICS e, segnatamente, del sud globale. Quindi se i BRICS sono destinati a emergere definitivamente saranno presto destinati a dover risolvere in maniera positiva il rapporto fra India e Cina.

Unione Africana e BRICS

Per ciò che concerne il rapporto fra BRICS e Unione Africana questo non è sempre stato piano e, ad esempio, il fatto che Russia, India e Cina abbiano adottato politiche di sfruttamento delle risorse naturali in determinati paesi dell’Africa ha portato a delle tensioni all’interno dell’Unione. Sinora sembrava che grossa parte di queste questioni passasse attraverso la posizione che la Repubblica sudafricana si attagliava: potenza regionale in sé o potenza emergente in seno al proprio continente. Con l’apertura del gruppo dei BRICS all’Egitto e soprattutto all’Etiopia (dove hanno sede alcune importanti istituzioni dell’UA) gli equilibri saranno per forza di cose differenti.

In seno alla riunione dei BRICS il Presidente brasiliano Lula aveva già caldeggiato l’ingresso dell’Organizzazione Internazionale africana nel G20. Questo orientamento aveva trovato il consenso degli altri membri: a partire dal 2024 l’Egitto e l’Etiopia potranno armonizzare l’orientamento dei BRICS a quello dell’Unione e, con la presenza di quest’ultima nel G20, accrescere il peso del sud globale nel palcoscenico internazionale.

La riprova delle potenzialità di questa dinamica è nel peso dato all’Africa nel documento finale del summit di Nuova Delhi ma anche nel ruolo attivo del Sud Africa a sostegno delle necessità del sud globale. Ma le potenzialità di questo nuovo equilibrio potranno essere sfruttate appieno solo se l’Unione prima ancora di presentarsi sul palcoscenico internazionale, riuscirà ad armonizzare le proprie divisioni interne colmando i conflitti che talvolta hanno lacerato l’organizzazione (come quelli per la questione del Sahara occidentale) con la diplomazia.

La dichiarazione sulla guerra 

La dichiarazione sul conflitto russo ucraino, al punto otto del documento conclusivo,  non ha soddisfatto le aspettative dei paesi occidentali e dei loro alleati non facendo diretta menzione della Russia e non utilizzando ad esempio i termini di “aggressione” e “militare”, e questo è certo dipeso dal peso specifico dell’India come paese organizzatore e dei BRICS in generale. L’orientamento dei BRICS, con la presenza di Russia, India e Cina, come noto e naturale da un punto di vista geopolitico, non è di piena condanna di Mosca, e la blanda dichiarazione sulla guerra (così definita nel documento) in Ucraina appare alla maggioranza dei commentatori come una vittoria del gruppo e di Mosca in particolare.

Tuttavia, il fatto che una dichiarazione sia stata emessa con gli sforzi del Paese ospitante e che raccomandi di adattarsi a predisposizioni di diritto internazionale, in particolare alle Risoluzioni ES-11/1 del 2 marzo 2022 e ES-11/6 del 23 febbraio 2023 (dal voto delle quali, paradossalmente, l’India si era astenuta) costituisce più una vittoria della diplomazia di Nuova Delhi che dei BRICS in generale.

Il valore del vertice per l’India 

Narendra Modi, non a caso ha deciso di qualificare il proprio paese al G20 con il nome di Bharat (che riveste un significato tradizionale e allo stesso tempo inclusivo di tutto il Subcontinente), ha ottenuto un buon successo. In India il summit è già stato presentato da più voci come un grande evento, e se il “Times of India” titola: Global consesus made in India, il governo si stringe attorno alla figura del Primo ministro nazionalista celebrandone le capacità organizzative e di guida.

Si tratta di una celebrazione interna più che di un risultato vero e proprio, dal momento che rimangono insoluti vari nodi per la politica internazionale indiana, come il già citato rapporto con la Cina nel rinnovato gruppo dei BRICS, che non potrà che giovare al partito del Primo ministro nelle vicine elezioni della più grande “democrazia” del mondo (che pure sta perdendo il suo appeal democratico).

In ambito internazionale per Modi il vertice G20 lascia però molti più interrogativi che risposte. Come si definirà il rapporto fra potenze con Pechino? Fino a che punto il leader nazionalista di un partito nazionalista riuscirà a porsi a capo o comprimario capo di un fronte internazionale che raggruppi la maggioranza dei paesi emergenti per ottenere un più equo ordine internazionale? L’economia indiana, incamminatasi su una traccia lusinghiera, riuscirà a sostenere risultati degni del ruolo di potenza di Nuova Delhi? Francesco Valacchi, Aff.int.11

 

 

 

Campagna di verifica dell’esistenza in vita dei pensionati italiani residenti in Germania

 

Il modulo da compilare sarà inviato dall’Inps a partire dal 20 settembre. Dovrà essere restituito a Citabank entro il 18 gennaio 2024

 

BERLINO – L’Ambasciata d’Italia in Germania segnala che a partire dal 20 settembre 2023 l’Inps invierà ai pensionati residenti in loco il modulo della richiesta di attestazione dell’esistenza in vita (si veda il fac-simile allegato 1).

Il modulo dovrà essere restituito a Citibank entro il 18 gennaio 2024 utilizzando la busta acclusa insieme ad una copia del documento d‘identità. Prima di essere restituito, il modulo dovrà essere controfirmato da un “testimone accettabile”, cioè o dalla Cancelleria consolare italiana o da un’autorità locale abilitata a confermare l’esistenza in vita. Nel caso in cui l’attestazione non sia prodotta in tempo utile, il pagamento della rata di febbraio 2024 avverrà in contanti presso gli sportelli Western Union. In caso di mancata riscossione personale o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 febbraio 2024, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di marzo 2024. Nel caso in cui il pensionato si trovi in stato di infermità fisica o mentale, o si tratti di pensionati che risiedono in istituti di riposo o sanitari, pubblici o privati, o di pensionati affetti da patologie che ne impediscano gli spostamenti o di soggetti incapaci o reclusi in istituti di detenzione, è necessario contattare il Servizio di supporto di Citibank, che renderà disponibile il modulo alternativo di certificazione di esistenza in vita (si veda il fac-simile allegato 2).

Con l’occasione si informa che per l’accertamento dell’esistenza in vita l’accesso alla Cancelleria consolare a Berlino (Hildebrandstrasse 1) è consentito anche senza appuntamento.

 

Questo un fac-simile della lettera dell’INPS/Citi: “Gentile Signore/a,

Con la presente Le ricordiamo che l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) ha affidato a Citi l’obbligo contrattuale di

verificare l’esistenza in vita di tutti i pensionati residenti all’estero almeno una volta l’anno.

In allegato a questa comunicazione troverà il Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita. Il completamento di questa dichiarazione e la sua consegna a Citi, secondo le istruzioni fornite, farà sì che continuerà a ricevere il pagamento della pensione fino alla prossima campagna di Dichiarazione di Esistenza in Vita.

Il Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita è unico per ciascun pensionato e destinato ad essere utilizzato esclusivamente dallo stesso. Non può essere fotocopiato o condiviso. Qualora abbia bisogno di ricevere un ulteriore Modulo di Dichiarazione

di Esistenza in Vita, La preghiamo di contattare il Servizio di Supporto ai Pensionati INPS di Citi. Non è necessario recarsi presso una filiale Citi. Il Servizio di Supporto ai Pensionati INPS è disponibile a fornirle qualsiasi chiarimento, anche con riferimento ai moduli richiesti.

Il mancato ricevimento da parte di Citi del Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita debitamente compilato, firmato, datato e corredato dalla Documentazione di Supporto (fotocopia di un documento d’identità valido munito di foto, come un passaporto, carta d’identità o patente di guida) potrebbe causare la sospensione del pagamento della sua pensione a partire dalla data sotto citata. Le istruzioni per il corretto completamento del Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita sono specificate qui di seguito.

Il Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita deve essere firmato in presenza di un Testimone Accettabile. Anche il Testimone Accettabile deve sottoscrivere il modulo ed apporre il suo timbro, compilando le parti a lui riservate. I testimoni abilitati ad

autenticare la sua Dichiarazione di Esistenza in Vita sono: Giudici e Magistrati, Funzionari del Comune e della Regione, Consolati e Ambasciate Italiane, e altri Pubblici Ufficiali nel Suo Paese di residenza autorizzati a convalidare una Dichiarazione di Esistenza in Vita. La lista completa dei testimoni abilitati ad autenticare la sua Dichiarazione di Esistenza in Vita nel suo paese di residenza è

disponibile sul nostro sito internet (www.inps.citi.com).

IMPORTANTE: Ai fini della corretta esecuzione da parte di Citi dei Suoi futuri pagamenti pensionistici, Le chiediamo di compilare e far pervenire il modulo allegato a questa comunicazione entro il DD.MM.YYYY Il Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita debitamente compilato, firmato, datato e corredato dalla Documentazione di Supporto dovrà essere spedito utilizzando la busta allegata, con indirizzo pre-stampato (in alternativa, potrà spedire quanto precede al

seguente indirizzo: PO Box 4873, Worthing BN99 3BG, United Kingdom).

La invitiamo a NON inviare alcun tipo di richiesta presso la casella postale denominata “PO BOX 4873” sopra menzionata, in quanto non verrà presa in considerazione.

Con la presente Le ricordiamo che può avvalersi del supporto del Patronato o Consolato abilitato ad accedere al Portale Agenti di Citi a Lei più vicino, per la trasmissione in via elettronica del modulo di esistenza in vita (c.d. Modulo CEV). In tal modo, Lei non dovrà inviare il Modulo CEV per posta e non vi saranno rischi di smarrimento e mancata ricezione. Qualora Lei decidesse di utilizzare la procedura sopra descritta, potrà trovare le informazioni e i contatti del Patronato/Consolato a Lei più vicino nella sezione pensionati del sito web di Citi.

Normativa Privacy: La preghiamo di prendere nota di quanto riportato in Allegato alla presente”. Per maggiori informazioni si può visitare il sito www.inps.citi.com o inviare un’e-mail con la richiesta di informazioni a inps.pensionati@citi.com. 

(inform/dip)

 

 

 

Braccio di ferro sul Niger

 

A più di due mesi dal colpo di Stato in Niger, continua il braccio di ferro tra i golpisti capeggiati dal generale Abdourahamane Tiani, e i paesi che chiedono il ripristino dell’ordine costituzionale e la liberazione di Mohamed Bazoum, il presidente democraticamente eletto nel marzo 2021. Mentre non si intravedono spiragli per un negoziato, rimane ancora elevato il rischio di un conflitto armato che potrebbe coinvolgere diversi Stati dell’Africa occidentale, con effetti destabilizzanti a vasto raggio.

Il fronte antigolpista è ampio – comprende l’Ue, gli Usa e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Economic Community of West African States, Ecowas) – ma incerto e diviso al suo interno sulla strategia per mettere alla corda la giunta di Tiani. La Francia, che ha circa 1.400 militari in Niger, ha finora mantenuto la posizione più ferma. L’ambasciatore francese è ancora al suo posto nonostante dieci giorni fa gli fosse stato ingiunto di lasciare il paese entro 48 ore. In un recente discorso agli ambasciatori francesi, il presidente Emmanuel Macron ha orgogliosamente rilanciato questo guanto di sfida alla giunta golpista.

Accuse alla Francia

Vari sono però i capi di accusa rivolti alla politica della Francia e dei paesi occidentali in Africa occidentale, ma essenzialmente due: di non aver messo in condizione i governi locali di ripristinare il controllo sui propri territori contro le forze secessioniste e l’insorgenza jihadista, nonostante l’assistenza finanziaria e le ripetute operazioni militari; e di aver sostenuto leader locali corrotti e impopolari. I militari che hanno rovesciato i governi civili in Mali (agosto 2020) e Burkina Faso (gennaio 2022) hanno fatto leva su questo diffuso malcontento.

I perché del golpe

Per giustificare il colpo di Stato, la giunta nigerina ha accusato il governo civile di Bazoum di essere responsabile di un “deterioramento continuo della situazione di sicurezza” e di malgoverno. L’esecutivo di Bazoum aveva però ottenuto, per riconoscimento unanime, successi significativi nella lotta anti-jihadista, al contrario dei governi civili rovesciati in Mali e in Burkina Faso.

Più complessa la questione del malgoverno. Nel 2020 Macron aveva lodato il Niger come un “esempio per la democrazia”. Anche sotto il governo di Bazoum e del suo predecessore Mahanadou Issofou erano però molto diffusi corruzione e nepotismo. Lo strapotere e i soprusi del partito dominante – il Partito nigerino per la democrazia e il socialismo – avevano suscitato un forte rancore popolare, generando sfiducia nel sistema democratico.

Stando ai sondaggi, una fetta consistente della popolazione nigerina pensa che i militari possano riportare ordine e, in generale, migliorare la situazione del paese, e auspicano una rottura dei legami con i paesi occidentali, in particolare la Francia.

La questione del malgoverno ha però poco a che vedere con le reali motivazioni del colpo di Stato. L’obiettivo di Tiani e della elite militare che l’ha sostenuto è soprattutto quello di difendere i propri privilegi. Come capo della guardia presidenziale Tiani aveva accumulato una fortuna, che distribuiva ai suoi sodali. Questa base di potere era minacciata dal tentativo di Bazoum di ridurre i fondi a sua disposizione e ottenere maggiore trasparenza sul loro utilizzo.

Truppe francesi nel mirino

La questione delle truppe francesi di stanza in Niger è una delle più scottanti. A inizio agosto la giunta militare ha denunciato gli accordi di cooperazione militare firmati con il governo francese tra il 1977 e il 2020, chiedendo la chiusura delle basi francesi entro l’inizio di settembre. Parigi ha finora spostato solo un numero limitato di effettivi e mezzi nel confinante Ciad, dove ha circa 1.500 uomini. Un ritiro totale sarebbe logisticamente molto impegnativo, non compatibile con i tempi rapidi che vorrebbe imporre la giunta nigerina.

Per ora, comunque, il governo francese tiene duro, e non è disposto a chiudere le basi. I soldati francesi sono già stati costretti, a seguito di golpe militari, a lasciare il Mali (agosto 2022) e il Burkina Faso (febbraio 2023). La presenza in Niger è ora per la Francia di ancor più cruciale rilevanza strategica per la proiezione nell’area del Sahel.

Rischi per la giunta militare

Parigi mantiene questa linea di fermezza anche perché conta su un indebolimento dei golpisti nigerini. Alcuni fattori potrebbero in effetti metterli in crescente difficoltà. Da quando si sono impadroniti del potere si assiste a un peggioramento delle condizioni di sicurezza. Gli attacchi delle milizie jihadiste sono in marcato aumento.

Ci sono poi divisioni all’interno dell’esercito che potrebbero venire progressivamente alla luce. La giunta ha già attuato alcune epurazioni negli alti comandi. Ma la tenuta del governo golpista è a rischio soprattutto per effetto delle sanzioni occidentali e del persistente isolamento internazionale, che hanno già fortemente eroso la capacità del governo militare di fornire servizi essenziali alla popolazione.

L’opzione militare e quella diplomatica

Macron ha ribadito che la Francia è al fianco dell’Ecowas e ne sosterrà le azioni diplomatiche e militari. Nell’eventualità di un intervento armato di Ecowas non è però chiaro se il sostegno sarebbe politico o anche finanziario e logistico. Ecowas aveva fissato un ultimatum al 6 agosto per la liberazione e il reinsediamento al potere di Bazoum, minacciando in caso contrario un intervento militare, a cui si erano dichiarati pronti a partecipare sei Paesi (Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea-Bissau, Nigeria e Senegal). I militari al potere in Burkina Faso e Mali hanno invece reso noto che considereranno ogni intervento in Niger una dichiarazione di guerra contro i loro Paesi.

Allo scadere dell’ultimatum Ecowas non ha dato seguito alla minaccia di intervento. Ha finora prevalso nei paesi Ecowas il timore di rimanere invischiati, nel caso la giunta golpista resistesse, in un conflitto dagli effetti imprevedibili, mentre rimane più che mai incombente la minaccia jihadista. Un governo civile reintegrato grazie a un intervento militare rischierebbe poi di essere visto, ancor di più, come un fantoccio di potenze straniere.

L’opzione militare rimane sul tavolo, ma lo scetticismo sulla possibilità di realizzarla cresce. Gli Usa, che hanno 1.100 soldati in Niger in funzione antijihadista, hanno espresso una netta preferenza per la via diplomatica. La Casa Bianca si è mossa con grande cautela. Il presidente Joe Biden ha persino evitato di definire un colpo di Stato la presa del potere da parte dei militari. Finora Washington non ha peraltro ricevuto richieste di ritirare le truppe dal paese. Molti paesi Ue, incluse la Germania e l’Italia, hanno a loro volta invitato alla prudenza, esprimendo timori per i rischi che potrebbe comportare un intervento militare. Anche il sostegno finanziario a eventuali azioni di Ecowas suscita dubbi e perplessità nell’Unione.

D’altro canto, tutti i tentativi esperiti finora di aprire un dialogo con la giunta nigerina, mentre le si continua a negare il riconoscimento internazionale a cui ambisce, sono falliti.

Lo spazio di azione dei Paesi, in particolare quelli occidentali, interessati a porre fine a quella che Macron ha chiamato l’ “epidemia di putschs” e a ripristinare il governo civile in Niger appare molto limitato anche per la crescente ostilità della popolazione locale e delle altre sfide che si trovano ad affrontare nel Sahel. Il timore di un prolungato conflitto su scala regionale induce a privilegiare la via negoziale. La giunta al potere a Niamey potrebbe però avere crescenti difficoltà a tenere sotto il controllo il paese. Potrebbero scaturirne nuove dinamiche destabilizzanti che chiamerebbero ulteriormente in causa la responsabilità degli attori internazionali. Ettore Greco, AffInt 4

 

 

 

 

Gli scienziati italiani in Germania 

 

Berlino – In occasione del 14simo incontro plenario dell’European Technology Transfer Office (TTO) Circle, il Circolo degli uffici europei per il trasferimento tecnologico, tenuto a Berlino in luglio, l’Ambasciata d’Italia ha ospitato un evento di networking destinato al mondo tecnologico e scientifico tedesco, italiano ed europeo. Presenti, tra gli altri, rappresentanti del Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione Europea, dell’Istituto Fraunhofer, dell’Helmholtz-Zentrum di Berlino, di IMEC (Belgio), MINATEC (Francia) e dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca – oltre a diversi esponenti di SIGN, il network degli scienziati italiani in Germania lanciato nel 2022 con il sostegno dell’Ambasciata.

L’appuntamento ha inteso fornire un’opportunità di contatto e di scambio tra i partecipanti del TTO Circle, in un ambito – quello dell’innovazione e del trasferimento tecnologico – di importanza cruciale per il progresso di economie e società, così come per la tutela dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici. Italia e Germania sono rappresentate all’interno dell’European Technology Transfer Office Circle – che conta in tutto 35 organizzazioni – da CNR, LEIBNIZ Association, Max-Planck-Innovation e dall’Helmholtz Association.

“Quello della scienza è un settore fondamentale di cooperazione intra-europea, cui Italia e Germania garantiscono un contributo di primo ordine – sottolinea l’ambasciatore Armando Varricchio, – indispensabile al percorso verso l’autonomia strategica del continente e per promuovere la competitività futura della nostra industria, ma anche il benessere e la sicurezza delle nostre società”.

La presenza scientifica italiana in Germania – sottolinea la nota diffusa dall’Ambasciata – conta su oltre 3800 scienziati attivi nelle Università e 1100 negli enti di ricerca pubblici (primo gruppo nazionale in ambedue i casi), incluse numerose posizioni apicali, tra cui 300 cattedre universitarie. A queste cifre si aggiungono i moltissimi scienziati e tecnici attivi nella ricerca industriale tedesca o straniera con presenza tedesca e i circa 9.000 studenti italiani attivi in Germania nell’ambito di programmi di scambio. A livello istituzionale si contano oltre 750 accordi individuali in vigore tra Università italiane e omologhe tedesche, oltre alle intese in essere tra il CNR e gli enti pubblici di ricerca tedeschi Max-Planck, Helmholtz, e Fraunhofer. Sono infine circa 1500 i progetti comuni italo-tedeschi promossi all’interno di Horizon 2020. (Inform/dip)

 

 

 

 

A Berlino la visita di una delegazione della Sezione di Amicizia bilaterale Italia-Germania dell’Unione Interparlamentare

 

Berlino - Si è conclusa conclusa l’8 settembre la visita a Berlino di una delegazione della Sezione di Amicizia bilaterale Italia-Germania dell’Unione Interparlamentare, iniziata il 6 settembre. Si tratta della prima visita nella nuova composizione della Sezione, successiva alle elezioni politiche del settembre 2022.

“La diplomazia e il dialogo interparlamentare contribuiscono in modo significativo al partenariato tra Italia e Germania, quale elemento chiave delle nostre rispettive politiche estere e fonte di sempre nuove sinergie”, ha detto l’ambasciatore d’Italia a Berlino, Armando Varricchio, ricevendo la delegazione. “La visita della Sezione di Amicizia Italia-Germania offre l’opportunità per riaffermare la solidità delle nostre relazioni bilaterali ed effettuare uno scambio di vedute sulle principali questioni di comune interesse”.

La delegazione, guidata dall’on. Giangiacomo Calovini, presidente della Sezione di Amicizia, si compone dei deputati Beatriz Colombo, Federica Onori, Roberto Pella e Dieter Steger e delle senatrici Alessandra Maiorino e Simona Flavia Malpezzi.

Il programma della visita è stato denso di appuntamenti. La delegazione ha incontrato al Bundestag il presidente della Commissione Economia, Michael Grosse-Brömer, e la presidente della Commissione Difesa, Marie-Agnes Strack-Zimmermann. Il 7 settembre sono seguiti gli incontri con il ministro di Stato agli Affari Esteri, Anna Lührmann, con rappresentanti del Consiglio consultivo permanente (Ständiger Beirat) e con l’on. Axel Schäfer, presidente del gruppo parlamentare di amicizia italo-tedesco, e una rappresentanza di tale gruppo.

La missione della delegazione si è conclusa con una visita all’EUREF Campus di Berlino, importante nucleo di ricerca e innovazione che ospita oltre 150 imprese, istituzioni e start-up attive nei settori dell’energia, della mobilità e della sostenibilità. (aise/dip 9)

 

 

 

 

Alle ACLI la primogenitura dei patronati italiani in Germania

 

Con la firma dell’accordo italo-tedesco del 20 dicembre 1955 per il reclutamento della manodopera, le Acli, associazione di ispirazione cristiana, percepirono subito di dover accompagnare e tutelare i diritti di migliaia di nostri connazionali che venivano impiegati in Germania principalmente in agricoltura, miniere, edilizia, industria metalmeccanica ed elettrica.

Fu così che già nel 1956 le Acli aprirono le prime due sedi di Patronato a Colonia e a Stoccarda.

Alle Acli hanno fatto poi seguito i patronati di emanazione sindacale: Inas-Cisl (1958), Inca-Cgil ed Ital-UIL fra la fine degli anni ’60 e prima metà degli anni ’70.

Altre sigle con minore ramificazione si sono aggiunte nel corso degli anni: Enas, Enasc, Epas, Enasco, Epasa, Sias/Mcl.

Con il costante aumento del numero di italiani in età pensionabile e l’inserimento nel mondo del lavoro della seconda e terza generazione, nonché il considerevole incremento di nuovi arrivi sono aumentate, di riflesso, anche le necessità di assistenza sociale in virtù di un mondo del lavoro sempre più precario e variegato.

L’operato dei patronati, che non si limita al riordino della posizione assicurativa e a domande di pensione in convenzione internazionale ha fatto registrare, di conseguenza, un considerevole volume di richieste di aiuto per il disbrigo di pratiche riguardanti le malattie, gli incidenti sul lavoro, la disoccupazione, i sussidi sociali e le vertenze in caso di licenziamento.

Un ambito sempre più richiesto è l’opera di consulenza e orientamento ai connazionali di nuova emigrazione in Germania. Tutti questi servizi sono gratuiti poiché, con una legge specifica, lo Stato italiano, attraverso il Ministero del Lavoro, finanzia annualmente le sedi di patronato in Italia e all’estero adottando un criterio di punteggio per pratica espletata.

Oggi le sedi di patronato operanti in Germania sono una sessantina con circa 130 operatori, in parte a tempo pieno ed in parte a tempo parziale. Attualmente si contano in Germania 8 sedi di patronato Acli con 16 collaboratori/collaboratrici in parte a tempo pieno e in parte a tempo parziale.

Il patronato Acli è presente con propri uffici a Stoccarda, Colonia, Monaco, Neu-Ulm, Karlsruhe, Francoforte, Wuppertal e Wolfsburg.

Come un po’ per tutti i patronati così anche per le Acli, la collettività italiana si rivolge ai loro uffici non solo per questioni strettamente subordinate al rapporto col mondo del lavoro, come ci riferisce Daniela Bertoldi di Stoccarda e coordinatrice delle sedi del patronato Acli in Germania:

“Si rivolgono a noi anche persone che hanno incidenti sul lavoro o che sono in fase di divorzio e devono compilare i moduli inviati dal tribunale relativi alla carriera assicurativa. Normalmente se vengono dall’Italia le persone conoscono i nostri servizi e quindi sono grati che ci sia qualcuno che possa aiutarli anche qui. I/le residenti di lunga data hanno fiducia nei nostri servizi e si rivolgono a noi anche per domande che non sono di nostra competenza, ma sanno che nella maggior parte dei casi siamo in grado di indirizzarli.”

Quali sono i requisiti per poter aprire una vostra sede?

L’apertura di una nuova sede è per noi un processo lungo, nel senso che osserviamo e verifichiamo le zone dalle quali pervengono le richieste e valutiamo le possibilità se aprire una sede e/o effettuare delle presenze, cosiddette “esterne”. Nel corso degli anni passati, però, il nostro patronato ha subito una ristrutturazione che ha significato chiusure di uffici, più che aperture. Speriamo in futuro di poter invertire la tendenza.

La nostra prima generazione ricorda con nostalgia che le sedi di patronato erano aperte al pubblico dalle ore 8 alle ore 18. Oggi molti sostengono che il pubblico è ricevuto su appuntamento e soltanto in alcune fasce orarie e neanche tutti i giorni. Perché?

Il patronato Acli si attiene alle aperture che vengono richieste dagli accordi con il Ministero. Nel corso degli anni il numero degli addetti è stato notevolmente ridotto e le modalità di contatto che le persone hanno con il nostro ufficio sono aumentate. Trent’anni fa le persone si presentavano negli uffici e aspettavano anche ore prima di essere ricevuti. I tempi di elaborazione delle pratiche erano molto più lenti, anche per la mancanza della tecnologia di supporto. Oggi consigliamo di prendere un appuntamento per evitare le attese e le discussioni su chi è arrivato prima nelle sale d’attesa (che noi non rimpiangiamo). Un’apertura continua degli uffici significherebbe un’apertura giornaliera di 10 ore, che non terrebbe conto del fatto che nei nostri uffici operano normalmente due persone, che devono attenersi anche ad orari stabiliti dalla legge (vedi pause obbligatorie, orario di lavoro giornaliero ecc.). Quindi un’apertura dell’ufficio oltre a quanto necessario non è pensabile dovendo rispondere all’aumento giornaliero di richieste che sempre più pressantemente ci pervengono per telefono e via telematica (Email, PEC e FB). E poi abbiamo bisogno di tempo per dar corso all’elaborazione delle singole pratiche in modo accurato e responsabile.

Com’è cambiato il vostro lavoro?

Il lavoro del patronato ha registrato nel corso degli anni dei profondi cambiamenti. In passato ci si occupava principalmente del diritto dei lavoratori e delle problematiche di assistenza sanitaria, di disoccupazione e di assegni familiari, cause che hanno avuto un forte significato per l’affermazione dell’Europa del sociale e favorito la mobilità delle persone a livello europeo. Era un lavoro, fatto principalmente con gli strumenti dell’epoca, ovvero poca amministrazione interna e molta carta. Oggi lavoriamo su diversi fronti e siamo in Europa. Siamo chiamati a gestire le problematiche di chi va o è andato in pensione e di chi lavora e perde il lavoro; compilare moduli europei per la disoccupazione, l’assistenza sanitaria, le riunificazioni delle carriere lavorative per chi ha lavorato in diversi Stati. Facciamo tante domande di pensione sia tedesche che italiane ed estere. Ci occupiamo di pensionati che non ricevono la pensione italiana per problemi legati al mal funzionamento dell’INPS, di disoccupati che arrivano da altri Stati e di richiesta di moduli internazionali per l’assicurazione malattia. Inoltre, essendo la vita sempre più cara, molti lavoratori e pensionati si ritrovano a dover presentare domanda di sussidio sociale. Il nostro lavoro di consulenza è quindi estremamente vario e a questo si aggiunge l’amministrazione interna, con l’archiviazione digitale, la corrispondenza cartacea e via mail, che diventa sempre più importante. E per finire: la consulenza a distanza.

Perché in alcune città, come Stoccarda, vi sono 4 sigle di patronato (Acli, Inas-Cisl, Inca-Cgil ed Ital UIL) e in tante altre, per esempio del Baden-Württemberg, non c’è ombra di patronato costringendo così migliaia di connazionali a percorrere grandi distanze?

In città grandi, dove la presenza dei nostri cittadini è alta, si sono insediati diversi patronati. È ovvio che questo avviene dove c’è più richiesta. Le presenze inoltre sono nate decenni fa dove i centri erano il bacino di raccolta delle persone in arrivo dall’Italia. Perciò molte sedi sono sedi storiche. Oggi abbiamo la possibilità di fare sempre più cose a distanza; quindi, non è necessaria la presenza in ogni piccolo centro. Durante la pandemia, con la chiusura temporanea degli uffici, abbiamo comunque continuato a lavorare e a fare le stesse pratiche che si fanno in presenza. Con l’aiuto dei mezzi digitali, ma anche solo con il telefono e la posta si possono elaborare tutte le pratiche.

Perché è ancora importante la vostra presenza all’estero?

La comunità italiana in Germania è in continuo aumento ed essa – sia quella storica, sia la cosiddetta “nuova mobilità” si trova confrontata con i tanti problemi prima elencati ai quali una risposta e una soluzione competente può avvenire attraverso i patronati. La mobilità che c’è a livello europeo è altissima. I problemi che si presentano nel corso della carriera assicurativa e lavorativa possono essere i più disparati. I nostri uffici hanno le competenze e i canali per poterli risolvere. Inoltre, spesso la burocrazia è poco comprensibile anche per chi parla correttamente una lingua. Noi siamo qui per aiutare anche in questo. Ed è uguale in quale lingua essendo presenti in tantissimi paesi del mondo. Siamo uffici di consulenza e tutela, nonché un punto di riferimento per tantissime persone che ci chiamano o contattano anche solo per sapere come muoversi.

C’è un ricambio generazionale anche nel vostro ambito lavorativo?

Sicuramente. La sottoscritta ha iniziato vent’anni fa, sostituendo colleghi, ormai in pensione da tempo e colleghi e colleghe che hanno iniziato da poco ed altri che andranno prossimamente in pensione. Perciò stiamo cercando personale per sostituirli.

Quali requisiti sono richiesti per accedere ad una formazione nel vostro settore?

La formazione avviene da noi nel momento in cui si è assunti. Non abbiamo ancora la possibilità di offrire un percorso di formazione professionale (Ausbildung).

Ospitate nei vostri uffici giovani italiani o di altre nazionalità che manifestano interesse per il vostro lavoro?

I nostri uffici hanno ospitato in passato giovani che avevano scelto di fare un’esperienza come servizio civile in Europa. Attualmente non vi sono richieste.

Quali sono gli aspetti positivi e negativi del vostro lavoro quotidiano?

Uno degli aspetti positivi del nostro lavoro è l’ampiezza del raggio di azione e la varietà delle richieste, anche se limitate al settore previdenziale. Lo studio e la soluzione dei casi sono sicuramente una delle note positive del nostro lavoro. Altro aspetto positivo è il continuo apprendimento. Il lavoro in un patronato non è sicuramente mai noioso. Tra i lati negativi vi sono: la grande frustrazione causata dalla lentezza burocratica di alcuni enti previdenziali e la mole di lavoro arretrato che si accumula. Però, anche se con ritardo, con un pizzico di ottimismo veniamo quasi sempre a capo delle soluzioni.

Per saper quali Patronati operano nelle diverse città della Germania, basta andare sul sito del Consolato della propria Circoscrizione. Per esempio: https://consstoccarda.esteri.it/it/;  https://consmonacodibaviera.esteri.it/de/.

Tony Mazzaro, CdI settembre

 

 

 

 

Brevi di politica e di cronaca tedesca

 

La Germania pronta all’ “ombrello di protezione energetica” per l’inverno           Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock è andata a Kiev per la quarta volta dall’inizio della guerra di aggressione russa nel febbraio 2022. A una settimana dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, la visita mantenuta segreta per motivi di sicurezza è anche un segno concreto di solidarietà. Il ministro Baerbock ha assicurato all’Ucraina un sostegno costante per favorire l’ingresso nell’Unione europea, ma ha anche insistito per ulteriori riforme, ad esempio nella lotta contro la corruzione. “L’Ucraina difende anche la libertà di tutti noi con enorme coraggio e determinazione. Così come l’Ucraina si pone al nostro fianco, anche lei potrà contare su di noi, sul fatto che consideriamo l’allargamento dell’UE una conseguenza geopolitica necessaria della guerra portata avanti dalla Russia. E potrà anche contare sul fatto che desideriamo offrire un sostegno deciso al Paese nel suo cammino verso l’adesione all’Unione europea”. 

Alla luce dei continui attacchi russi alle infrastrutture e alle reti di approvvigionamento energetico del Paese, il ministro ha annunciato un collegamento ancora più stretto della rete energetica con l’Ucraina, un “ombrello di protezione invernale” esteso su tutto il Paese: “Vogliamo fare in modo che le famiglie non debbano temere di ritrovarsi a lume di candela se Vladimir Putin prende di mira le loro stazioni elettriche”. La Germania quindi non cesserà di sostenere l’Ucraina nella sua difesa contro l’aggressione russa, e questo si intende sul piano economico, militare e umanitario, ha aggiunto il ministro Baerbock. Un ulteriore segnale di appoggio è il gemellaggio che Berlino avvierà già questo mese con Kiev. Come annunciato dalla Cancelleria del Senato di Berlino, l’accordo sarà sottoscritto nel municipio di Berlino nella giornata odierna dal sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, già accolto con tutti gli onori dal sindaco in carica, Kai Wegner (CDU), alla Porta di Brandeburgo.

 

NATO: la Germania si offre per ospitare il quartier generale dei Paesi Baltici

La Germania ha offerto alla NATO di ospitare la sede del quartier generale marittimo regionale per la guida delle forze navali nel Mar Baltico. Lo stato maggiore designato condurrà l’esercitazione “Northern Coasts” la prossima settimana, come annunciato dal Capo di Stato maggiore della Marina tedesca, il viceammiraglio Jan Christian Kaack. All’esercitazione che durerà due settimane, parteciperanno più di 3.000 soldati provenienti da 14 Paesi, tra cui, oltre ai Paesi che si affacciano sul Mar Baltico, anche Italia, Francia, Canada e Stati Uniti.

Dopo l’attacco russo all’Ucraina, l’Alleanza aveva rafforzato la propria presenza dispiegando truppe sul suo fianco orientale e nei Paesi Baltici. La Russia, attraverso l’enclave di Kaliningrad, è uno dei Paesi che si affacciano sul Mar Baltico, importante linea di approvvigionamento per varie nazioni della NATO, nel quale passano anche le linee di telecomunicazione e di trasporto energetico. “Il Mar Baltico è un bacino marittimo complesso con punti così stretti, un numero così nutrito di Stati che vi si affacciano che già in tempo di pace è indispensabile sviluppare expertise e coordinarsi strettamente con i partner”, ha spiegato il viceammiraglio Kaack.

 

Elezioni in Polonia: uno spot elettorale del partito di governo irrita la Germania

Le relazioni tedesco-polacche sono sempre un tema spinoso. Per quanto i due Paesi siano strettamente legati tra loro a livello geografico e dalla caduta della cortina di ferro anche sul piano economico, a Varsavia il risentimento antitedesco torna ad affiorare ogniqualvolta sembri politicamente opportuno. In Polonia a suscitare scalpore ora è uno spot elettorale del partito di governo dei conservatori nazionalisti del PiS per le elezioni politiche di ottobre.

Nel video il Presidente del PiS, Jaroslaw Kaczynski, rifiuta una telefonata con il Cancelliere Olaf Scholz e riattacca la cornetta. Il filmato mostra gli interni dell’ambasciata tedesca a Varsavia con il sottofondo musicale della “Cavalcata delle Valchirie” di Richard Wagner: un ambasciatore fittizio prende il telefono e chiama Kaczynski. In un polacco stentato dal forte accento tedesco, il presunto diplomatico dichiara di voler passare al Presidente Kaczynski la chiamata del Cancelliere Scholz, il quale ha intenzione di chiedere che l’età pensionabile in Polonia venga nuovamente innalzata, come ai tempi dell’avversario politico di Kaczynski, l’ex Primo ministro Donald Tusk. Ma il Presidente Kaczynski afferma al telefono che “Tusk se n’è andato e queste abitudini sono finite”, per riattaccare. Il PiS ha infatti a lungo attaccato Tusk insinuando che agisse per conto della Germania.

 

Baviera: nuovi sondaggi sulle regionali preoccupano la CSU

Dopo l’”affaire del volantino” del ministro dell’Economia bavarese Hubertus Aiwanger (ne abbiamo riferito la scorsa settimana), i dati dell’ultimo sondaggio non lasciano dubbi. I Freie Wähler (FW), Liberi elettori, un’associazione di politici locali indipendenti, il cui Presidente è Aiwanger, ottengono quasi la metà dei voti rispetto alla CSU, da sempre abituata al successo nella regione. Secondo i sondaggi demoscopici, i FW si attesterebbero al 17%, il dato più alto mai ottenuto dal movimento in un sondaggio. Da cinque anni la CSU governa assieme ai FW come partner di coalizione. La CSU del Primo ministro bavarese Markus Söder è invece al 36%.

Si tratta del punteggio più basso da oltre un anno e mezzo e inferiore al risultato già storicamente negativo delle elezioni del Landtag bavarese del 2018 (37,2%). Osservando questi risultati, i FW sarebbero quindi il secondo partito più forte in Baviera, davanti ai Verdi (15%) e all’estrema destra dell’AfD (13%). A titolo di confronto, a maggio la CSU era ancora vicino al 40%, i Verdi al 16%, AfD e FW si attestavano al 12%.

 

Antisemitismo: Steinmeier condanna le dichiarazioni del Presidente palestinese Abbas

In Germania non accenna a diminuire l’indignazione contro il Presidente palestinese Mahmoud Abbas, finito sotto accusa per un discorso di incitamento all’odio antisemita davanti ai membri del partito Fatah. Il capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier ha fermamente condannato il suo discorso: “Le dichiarazioni sono profondamente antisemite e riprovevoli”, ha dichiarato il Presidente Steinmeier a margine del vertice dei capi di Stato dei Paesi di lingua tedesca a Eupen, in Belgio. “Credo che con queste dichiarazioni il Presidente Abbas non solo si autodestina alla marginalità, ma danneggia anche gravemente la causa palestinese”.

Nel suo sproloquio il Presidente Abbas aveva affermato che durante il nazionalsocialismo gli ebrei non erano stati perseguitati a causa della loro razza, ma per “l’usura e lo sfruttamento della loro posizione finanziaria”. Non è la prima volta che il Presidente Abbas provoca sdegno con esternazioni antisemite. Già nel 2018 aveva sostenuto che lo sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti non era stato causato dall’antisemitismo, ma per via della loro “posizione sociale”. E per giunta anche lo scorso anno il Presidente aveva fatto scalpore accusando Israele di “olocausto” multiplo contro i palestinesi in occasione di una conferenza stampa congiunta al Cancelliere Olaf Scholz. 

 

A Berlino l’incontro internazionale di Sant’Egidio

All’avvio del 37° incontro internazionale “L’audacia della pace” del movimento laicale Sant’Egidio a Berlino, il Presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, ha dichiarato “che tutte le religioni in diversi momenti della loro storia hanno ceduto ai demoni dell’assenza di pace e della violenza”. Basta volgere lo sguardo al presente per vedere come le religioni vengano abusate politicamente. Il vescovo ha quindi ammonito: “Le religioni devono confrontarsi con le correnti violente ed estremiste presenti all’interno delle proprie file, le quali con la complicità delle organizzazioni terroristiche hanno gettato intere regioni del mondo nel caos. E anche ai giorni nostri si rende evidente come una chiesa cristiana legittimi una guerra contro un Paese confinante. Ciò è intollerabile!”.

La Chiesa deve sempre stare dalla parte della democrazia, ha sottolineato il Cardinale di Monaco Reinhard Marx: “È la stessa visione cristiana dell’essere umano che ce lo impone”. Il vescovo ha quindi espresso la sua preoccupazione per il fatto che la democrazia sia sempre più oggetto di pressioni fortissime in molte parti del mondo. “La religione viene ripetutamente strumentalizzata da più parti”, queste le parole di biasimo del Cardinale Marx. Anche il Cancelliere Olaf Scholz ha preso parte alla conferenza. “Pace senza libertà significa oppressione, e pace senza giustizia si chiama dittatura”, ha messo nero su bianco il Cancelliere, che ha aggiunto: “Ecco perché il governo tedesco sostiene l’Ucraina nella sua richiesta di una pace che rispetti i principi di integrità territoriale e indipendenza”.

 

Luoghi in Germania: il Römer di Francoforte      

Quando a Francoforte si parla di Römer, si intende lo storico municipio della metropoli finanziaria, gravemente distrutto durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e ricostruito in stile tardomedievale. In questo luogo simbolico già gli imperatori tedeschi erano soliti salutare il popolo dal balcone dopo la loro incoronazione. Oggi questa tradizione è riservata alla nazionale di calcio tedesca al ritorno dalle grandi vittorie, anche se ormai da questi momenti di giubilo collettivo è passato molto tempo.

Ai giocatori di pallacanestro tedeschi, diventati campioni del mondo, il gesto simbolico di affacciarsi dal balcone del famoso municipio di Francoforte non è apparso abbastanza significativo: nel momento di massimo trionfo del loro sport in Germania hanno voluto lasciare un segno e distinguersi dal calcio, rispedendo quindi al mittente l’invito, seppur avendo dichiarato di sentirsi “molto onorati” dello stesso. Alla fine è prevalsa l’idea che il balcone e la sala imperiale del municipio medioevale fossero emblemi decisamente superati e vecchi per la squadra nazionale di pallacanestro. “Ci piace stare in un’atmosfera più rilassata, a diretto contatto con i fan, cosa che non è possibile sul balcone.” Ovviamente, l’offesa è il sentimento che prevale nel municipio di Francoforte. KAS 14

 

 

 

 

 

Le recenti puntate di Cosmo, ex Radio Colonia

 

01.09.2023. Quando il gioco è a perdere: la ludopatia. Sta aumentato in modo preoccupante il numero delle persone dipendenti dal gioco d'azzardo. In Germania quasi un milione e mezzo soffre di ludopatia e il numero è in costante aumento negli ultimi anni. Agnese Franceschini riassume i numeri di questa vera e propria bomba sociale spesso sottovalutata dalle istituzioni. La sociologa Norma Mattarei ci racconta la sua esperienza a contatto con famiglie colpite dal problema. Il giornalista Nicolas Lieven (NDR) approfondisce, infine, l'aspetto delle scommesse sportive in Germania.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/perdere-al-gioco-ludopatia-100.html

 

31.08.2023. Vacanze e spiagge troppo care in Italia? Anche nei media tedeschi il tema dell’aumento dei prezzi nelle spiagge italiane ha fatto notizia. Il carovacanze avrebbe spinto molti italiani ad andare in Albania, ma il Belpaese resta la meta preferita, ricorda Agnese Franceschini, mentre con Carlo De Masi, presidente Adiconsum, facciamo un bilancio della stagione e Luciana Caglioti approfondisce l'eterno dilemma delle concessioni per gli stabilimenti balneari, che l'Italia dovrebbe liberalizzare.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/vacanze-spiagge-italia-concessioni-caro-prezzi-albania-100.html

 

30.08.2023. Una strategia per l'acqua, sempre più preziosa in Germania e Italia

La carenza d’acqua è un problema sempre più grande in Germania: con Enzo Savignano il punto sulle dimensioni del fenomeno e su cause e responsabili. Poi parliamo della Wasserstrategie del governo tedesco con lo scienziato Andreas Marx dello Helmoltz Centrum per la ricerca ambientale. Infine uno sguardo all’emergenza idrica in Italia con Erasmo D’angelis, Presidente della Fondazione Earth and Water Agenda, esperto di siccità in Italia e di reti idriche.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/acqua-germania-carenza-scarsita-misure-siccita-italia-100.html

 

29.08.2023. La cultura dello stupro non ha confini. Due casi di stupro di gruppo hanno fatto scalpore in Italia e in Germania. Dalla castrazione chimica alla criminalizzazione degli stranieri, si risponde con proposte populiste alla violenza sulle donne.  Agnese Franceschini ci presenta i dati che rivelano la diffusione di un fenomeno che entra anche nelle mura domestiche. La giornalista Giulia Blasi ci parla di come prevenire e combattere una cultura violenta contro le donne.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/violenza-sessuale-palermo-berlino-social-media-100.html

 

28.08.2023. 35 anni fa la tragedia di Ramstein. Il 28 agosto 1988 nella base aerea statunitense di Ramstein si verifica un gravissimo incidente durante l’esibizione delle Frecce Tricolori. 70 morti e 450 feriti. Agnese Franceschini ricostruisce la dinamica di questo drammatico evento. L'intervista a Giancarlo Nutarelli, fratello di Ivo, pilota che perse la vita nell'incidente, che ha sempre contestato la versione ufficiale dei fatti. Con Hans-Jacob Rausch, autore di un documentario sulla vicenda, parliamo delle conseguenze per i feriti e le famiglie delle vittime.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/ramstein-incidente-nutarelli-ustica-100.html 

 

25.08.2023. Siamo una società sempre più sedentaria. Le persone che vivono in Germania si muovono sempre meno. È quanto emerge da un rapporto dell'Università dello Sport di Colonia e della Deutsche Krankenversicherung (DKV), l'assicurazione sanitaria tedesca. I dettagli dello studio da Giulio Galoppo. Tra gli autori dello studio compare anche Ingo Froböse, docente di sport e autore di svariati libri sul tema, ospite a COSMO Italiano. Ma cosa fare per non cadere nella trappola della sedentarietà? Ce lo spiega il fisioterapista Andrea Pozzi.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/sedentarieta-in-germania-100.html 

 

24.08.2023. Gli scioperi dei migranti in Germania, 50 anni fa. Era il 24 agosto del 1973 e i lavoratori stranieri della Ford a Colonia protestavano per ottenere migliori condizioni di lavoro e parità di retribuzione per tutti, indipendentemente dalla provenienza. Tra loro anche molti italiani. Giulio Galoppo ci accompagna lungo le tappe di quella stagione di lotte per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti. Dell'importanza storica di questi scioperi ci parlano la storica Nuria Cafaro e Giovanni Pollice, per decenni attivo nei sindacati tedeschi.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/scioperi-ford-1973-wilde-streiks-italiani-germania-100.html

 

23.08.2023. Gioie e dolori dell'iscrizione AIRE in Germania. COSMO Italiano torna a parlare di AIRE, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero. È infatti fondamentale sapere che l’iscrizione è obbligatoria. Ce ne parla Luciana Mella. Una connazionale condivide con noi la sua esperienza negativa, dovuta alla mancata registrazione all’AIRE, le cui conseguenze, sono a dir poco, pesanti. Un aiuto per districarsi nel mondo e nei significati dell’iscrizione all’AIRE viene da un gruppo Facebook, AIRE SOS. Ce lo presenta Carmine Manzione.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/aire-iscrizione-italiani-germania-residenza-fiscale-multe-100.html 

 

22.08.2023. Sempre più imprenditori di origine straniera in Germania

Quasi il 20% delle persone con origini straniere residenti in Germania è a capo di un'impresa, piccola o grande che sia. È quanto emerge da studi e statistiche pubblicati di recente. Al contrario, solo l’8,3% della popolazione senza origine migratoria sceglie la via dell’imprenditoria. Giulio Galoppo ci spiega questo fenomeno nei dettagli. Enzo Savignano ci racconta poi le storie di due imprenditori italiani a Colonia. Infine, insieme a Enrico Di Pasquale, cerchiamo di capire se anche in Italia è presente la stessa tendenza.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/imprenditori-migranti-germania-100.html

 

21.08.2023. Pannelli solari sul balcone di casa?

La settimana scorsa il governo tedesco ha approvato il cosiddetto Solarpaket, col quale intende sovvenzionare l'uso dell'energia solare, in particolare dei pannelli da installare sul balcone di casa, i dettagli da Giulio Galoppo. Pro e contro dei pannelli da balcone nell’intervento di Stefan Hoffmann, della Verbraucherzentrale NRW. Del mercato dei pannelli solari in Europa ci ha parlato, invece, Domenicantonio De Giorgio, docente presso l’Università Cattolica di Milano.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/pannelli-solari-balcone-germania-100.html

 

Musica italiana non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla app di COSMO e su Spotify.

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Torna “Bravo Bravissimo!”: 6 edizione del premio per gli studenti italiani in Germania

 

Berlino - Torna anche per l’anno accademica 2022/23 il concorso “Bravo Bravissimo!”, premio scolastico indetto dall’Ambasciata d’Italia a Berlino e dedicato agli studenti italiani che frequentano le scuole in Germania.

Giunto alla sua 6° edizione, “Bravo Bravissimo!” intende premiare gli studenti italiani che abbiano ottenuto i risultati migliori nella scuola primaria, nella scuola secondaria e alla maturità (Allgemeine Hochschulreife).

La partecipazione è completamente gratuita. Possono concorrere al premio tutti gli studenti di cittadinanza italiana regolarmente residenti in Germania e frequentanti la scuola tedesca dalla quarta classe alla maturità.

Per partecipare basta inviare all’Ambasciata d’Italia a Berlino una copia della pagella finale dell’anno scolastico 2022/2023 entro il 30 ottobre 2023.

La copia della pagella dovrà essere spedita per email all’indirizzo scuole.berlino@esteri.it indicando come oggetto “Premio Bravo Bravissimo” e cognome + nome dello studente partecipante. L’email dovrà inoltre contenere obbligatoriamente i recapiti telefonici e l’indirizzo dei partecipanti; allegata dovrà esserci la Dichiarazione di Conformità, debitamente compilata e firmata.

Gli studenti saranno suddivisi in cinque gruppi, per ognuno dei quali sarà selezionato un vincitore: Scuola primaria (dalla quarta classe); Ginnasi fino alla decima classe; Altri tipi di Scuola secondaria fino alla decima classe; Ginnasi e Scuole secondarie dall’undicesima classe; e Diploma di maturità generale (Allgemeine Hochschulreife).

Le pagelle saranno valutate da un’apposita commissione dell’Ambasciata: il criterio principale di valutazione sarà la media più alta o, per la Maturità Generale, il punteggio complessivo (Gesamtpunktzahl) più alto.

I premi, messi quest’anno a disposizione dalla Ferrero S.p.A., consisteranno i 1000 euro per il vincitore di ogni gruppo, ad eccezione del vincitore Abitur che otterrà 1.500 euro. (aise/dip 13)

 

 

 

Saarbrücken/Francoforte. Pasquale Marino è andato in pensione

 

Lascia il servizio consolare una persona veramente fuori dal comune

Ha compiuto 67 anni e ora è pensionato. Pasquale Marino, spalle ancora dritte, capelli a zero, barba brizzolata e una voce che nella pubblicazione edita da Nat-Geo “Italiani di Germania”, di Lorenzo Colantoni e Riccardo Venturi, è stata definita “La voce degli Italiani”.

La radio.

Perché la “Voce degli italiani”? Perché Pasquale Marino è ininterrottamente da quasi quarant’anni al microfono della “Mezz’Ora Italiana”, il programma radiofonico della Saarländische Rundfunk realizzato in collaborazione con il Consolato italiano prima a Saarbrücken poi a Francoforte.

Quando a ottobre del 1984 Marino assume la conduzione di quel programma, si tratta ancora di una sorta di “bollettino radio consolare”. 

Nell’arco di qualche anno, la “Mezz’Ora Italiana” apre lo studio a personaggi della politica, della cultura e dell’imprenditoria italiana e Marino inizia a intrattenersi con personalità del calibro di Antonio Spadolini, Luigi Vittorio Ferraris, Oskar Lafontaine e con i numerosi artisti di passaggio da Domenico Modugno a Zucchero Fornaciari, da James Senese ad Angelo Branduardi, da Umberto Tozzi a Cocciante e Toto Cutugno nonché con grandi personaggi del cinema come Toni Servillo e Marco Risi.

Nel 1992 La SR organizza con il programma “Mezz’Ora Italiana” una serie di concerti Open Air al Lago Bostalsee con l’esibizione dei Big della musica Pop italiana.

Insieme con Manfred Sexauer, mitico presentatore della televisione tedesca con i programmi musicali “Beat-Club” e “Musikladen”, Marino apre lo spettacolo davanti a oltre tredicimila spettatori e inaugura una serie di concerti di musica leggera in Germania, la prima “Festa Italiana” di quella portata.   

Prima della radio, il teatro e la letteratura.

Nel 1988 Pasquale Marino fonda a Saarlouis/Roden il primo gruppo teatrale italiano del Saarland, la “Compagnia di teatro popolare in Saarland”. Negli ambienti letterari Marino era già conosciuto come autore nel filone della “Gastarbeiterliteratur”, insieme con Gino Chiellino, Franco Biondi e tanti altri.

All’epoca, per la prima volta in Germania, autori italiani si distinguono, raccontando in versi e prosa una realtà vista da un’angolatura sino allora sconosciuta. I critici sono tutti d’accordo: è letteratura!

Tullio De Mauro, massimo linguista italiano, cita Pasquale Marino come raro esempio di fusione di due lingue quale strumento di “squarcio letterario” come nelle sue poesie “La neve” e “Amilcare”.

Dal quartiere San Carlo all’Arena di Napoli alle fabbriche del Saarland.

“La mia è una famiglia di artigiani falegnami. Il mio bisnonno, Pasquale Marino, costruiva e riparava carrozze con la manutenzione dei carri sulla tratta Napoli- Piedimonte d’Alife. Poi nel 1913 costruirono la ferrovia, con grande piacere per il progresso e infinito dispiacere per il mio antenato che, tra l’altro, era anche sicuro di essere imparentato con un certo Michele Marino, detto ‘O Pazzo, che fu impiccato a Napoli dopo la rivoluzione contro i Borboni.

Suo figlio, cioè mio nonno Giovanni Marino, capì che l’epoca dei carri e dei cavalli era finita e si specializzò nella costruzione di infissi in legno, finestre, porte ed ebbe la fortuna di ottenere l’appalto per l’allestimento in legno nei restauri della Caserma Garibaldi a Napoli. Il nonno mio si rivelò straordinariamente capace nella costruzione di pedane per la scherma, di fuciliere e di infissi decorati per le sale degli ufficiali. Il nonno fu proposto per l’onorificenza di “Cavaliere del Lavoro”, mori però giovanissimo e sicuramente non per l’emozione del cavalierato.

Suo figlio, Gennaro, cioè mio padre, con il fratello Antonio Marino, si specializzò nella costruzione di imballaggi ortofrutticoli, cioè le casse per la frutta, ma anche per le bibite e imballaggi in legno di vario tipo. Come per la costruzione della ferrovia nel caso del mio bisnonno, anche per mio padre il progresso fu regresso. Arrivò la plastica, il Moplem, e buona notte alla segheria di mio padre dopo che la pazzia collettiva decise di mettere bibite, arance e carciofi in casse di plastica praticamente indistruttibili, talmente indistruttibili che ora ci stiamo affogando dentro.  Mio padre, pace all’anima sua, è stato il primo ecologista inconsapevole che ho conosciuto, quando mi diceva “Guaglione mio bello, a plastica accirarrà o munno”.  

L’emigrazione in Germania.

Pasquale Marino ha ideato la rubrica di questo Giornale e del suo programma radiofonico “Io ce l’ho fatta, storie di successo di italiani in Germania” ed avrebbe avuto tutti i requisiti per esserne protagonista di una puntata, visto il suo difficile percorso. 

Marino arriva, infatti, in Germania nel 1970 all’età di tredici anni e tutti i tentativi di scolarizzazione falliscono miseramente. Il piccolo Pasquale, dopo che il padre era già emigrato in Germania, a Napoli aveva tutt’altro da fare che andare a scuola. “Vendevo sigarette di contrabbando e guadagnavo cinquecento lire a stecca”. Venuto in Germania, solo grazie all’iscrizione alla scuola “Collegio Papa Giovanni XXIII di Stommeln”, Marino riesce a recuperare la scuola dell’obbligo. “Se ne sentono tante sui collegi cattolici e non sempre piacevoli. Io a Stommeln ho incontrato i Padri Pavoniani. Gente tosta, educatori inflessibili, ma di una pulizia d’animo mai vista. In fondo, solo ora capisco che rimettere in riga uno come me, che ormai aveva già scardinato tutte le regole di vita adolescenziale, non è stata cosa facile. Ho meritato tutte le raddrizzate ricevute a Stommeln. Ho perso il trenta per cento di capacità d’udito all’orecchio sinistro per una sberla appioppatami dopo l’ennesimo avvertimento. Ho imparato però a prendere sul serio le minacce di conseguenze, per tutta la mia vita a seguire…”      

La formazione. Il primo “Dipl. Sozialpädagoge” italiano nel Saarland.

Dopo il collegio, Marino inizia un apprendistato e ottiene il diploma in elettromeccanica mentre frequenta contemporaneamente le scuole serali tedesche per la “Mittlere Reife”. Poi la maturità, lo studio universitario alla facoltà di Scienze Sociali alla Katholische Fachhoschule für Sozialwesen di Saarbrücken, il diploma di maturità magistrale a Napoli. Marino è il primo italiano nel Saarland ad ottenere il titolo “Dipl. Sozialarbeiter/ Sozialpädagoge”. Nel 1983 lavora allo “Jugendamt”, l’ufficio per la protezione dei minori di Homburg/Saar. Si specializza nelle perizie per il Tribunale dei Minori, quando sul banco degli imputati si trovano giovani stranieri.    

Dal 1984 in servizio al Consolato d’Italia a Saarbrücken.

Pasquale Marino è assunto dal Consolato d’Italia di prima classe a Saarbrücken nel mese di maggio del 1984. Il Console Giancarlo Valentini gli assegna qualche mese dopo il reparto LAS – Lavoro e Assistenza Sociale- e la conduzione del programma radiofonico “Mezz’Ora Italiana”. All’Ufficio assistenza, Marino naviga in acque conosciute. L’assistenza ai detenuti italiani raggiunge con Marino livelli che fanno esempio in Germania. Mette subito in atto la strategia contro “l’isolamento culturale in stato di detenzione”, che aveva appreso quando da studente era collaboratore del Coasscit di Saarbrücken, presieduto dal Prof. Alessandro Baratta fondatore della “Criminologia Critica” ancora oggi studiata sui suoi testi negli atenei di mezza Europa.  Oltre ai tradizionali pacchi dono a Natale, i detenuti ricevono “in regalo” anche concerti di musica classica e folkloristica che Marino, anno per anno, organizza dietro le sbarre grazie alla generosa collaborazione degli studenti del conservatorio di Saarbrücken e del gruppo siciliano “Trinacria” diretto da Giovanni Di Rosa. Non sono pochi i detenuti che a fine concerto, commossi, raccontano “non avevo mai sentito un pianoforte dal vivo e un tenore che canta davanti a me”. Qualcosa tocca l’anima anche dei più duri. Ma attenzione, Marino è stato apprezzato con riconoscimenti pubblici da parte del Ministero della Giustizia del Saarland proprio per aver messo in atto strategie sempre prive di toni lacrimevoli o di sentimentale compassione. La filosofia di Marino: “La dignità dell’uomo non si ferma davanti alle sbarre”.  I lettori del maggiore quotidiano del Saarland “Saarbrücker Zeitung” eleggono nel 2013 Marino Pasquale “Uomo del Mese” proprio per le sue attività all’interno delle carceri del Saarland: “Er ist die treibende Kraft der italienischen Gemeinschaft an der Saar. Dabei ist Pasquale Marino nicht nur als Kulturvermittler aktiv, sondern kümmert sich auch um Menschen, die oft auf sich allein gestellt sind: Strafgefangene“. Una delle azioni più spettacolari è messa in atto da Marino quando era alla Presidenza dello LSV –Lerchesflur-Sport-Verein” l’associazione sportiva carceraria. Marino organizza nel 1992 una memorabile partita di calcio tra le vecchie glorie del FC Saarbrücken e una squadra di detenuti italiani con il patrocinio di Fritz Walter, Campione del Mondo con la nazionale tedesca del 1956. Marino fa parlare di sé anche quando, grazie alla generosità di uno Sponsor e del Funzionario della Federazione ciclistica tedesca Gerd Hufschmidt, porta in carcere dieci biciclette da corsa. I detenuti, in fase ultima della pena, ricevono le biciclette e un corso per la manutenzione del mezzo. Ogni venerdì si allenano con un’associazione ciclistica per svariati chilometri su strada.

Pasquale Marino e il Sindacato.

È stato per anni responsabile di sede per il sindacato Confsal/Unsa prima a Saarbrücken e poi a Francoforte: “Non ho mai seguito solo la filosofia del lavorare di meno e guadagnare di più. Non ho mai visto il Sindacato solo come strumento per rendersi la vita più comoda sul posto di lavoro. Per me, il Sindacato è stato piuttosto il mezzo più efficace ed entusiasmante per poter difendere e affermare i due principi cardine di chi lavora per un salario: rispetto e dignità. Ringrazio Iris Lauriola, amica mia, collega, compagna di tante battaglie che ancora oggi sono necessarie.

Non sono certo mancati i contrasti con i dirigenti di turno nei consolati, spesso letteralmente abbagliati dalla famosa “proiezione esterna” fatta su misura per la sola edificazione della propria immagine ma con una contemporanea, preoccupante cecità verso i disagi interni dei lavoratori consolari.  A un console in rientro a Roma regalai una bella immaginetta di Santa Lucia, con la speranza che gli facesse riacquistare presto la vista. Non la prese bene”.

 I comunicati più infuocati della Confsal/Unsa esteri portano la firma di Marino, impegnato fino all’ultimo contro la chiusura dei Consolati.

Ultimi anni a Francoforte.

A Francoforte Marino passa nel 2014 dopo la chiusura dello Sportello Consolare a Saarbrücken. Anche qui è addetto al LAS, Ufficio Lavoro e Affari Sociali. Marino trasferisce a Francoforte tutte le esperienze accumulate in trent’anni a Saarbrücken ma in scala quadruplicata. Ora il numero dei connazionali da assistere è ben maggiore. Marino trova ciononostante il tempo per tornare alla sua attività preferita, la scrittura, e assume nel 2016 la cura della pubblicazione “Cinquant’anni di Missione Cattolica Italiana a Francoforte sul Meno”.

“Andai dal mio Console Generale, Maurizio Canfora, ormai abituato alle mie “sparate” e gli dissi: Capo, ho bisogno del saluto del Papa per la mia pubblicazione. Il Console Generale Canfora, come sempre dopo qualche resistenza, mi assecondò e così, qualche sua telefonata e qualche sua mail dopo, arrivò veramente l’augurio Ufficiale del Vaticano per la nostra pubblicazione. Miracoli e poteri della Diplomazia”. Fu sempre Il Console Generale Canfora che accompagnò Marino nella cura dei “Quaderni Francofortesi” una serie di pubblicazioni del Consolato Generale realizzate con David Albamonte e Stefano Liuzzi.

Marino e ancora i carcerati. L’impiego degli assistenti carcerari onorari, la creazione e il rinnovo delle biblioteche italiane nelle carceri tedesche. 

Una volta a Francoforte, Marino intuisce presto che l’assistenza ai carcerati italiani è praticamente impossibile se centralizzata e affidata al piccolo gruppo del reparto sociale e notarile di Francoforte, con i suoi compagni di lavoro Albamonte e Liuzzi.

Il Console Generale Maurizio Canfora gli da carta bianca nella ricerca di un gruppo di volontari italiani che s’impegnano nelle carceri locali, con tanto di nomina ministeriale a “Ehrenamtliche Vollzugshelfer”, Assistenti Carcerai Onorari. E così, nelle maggiori carceri della circoscrizione Marino introduce gli Assistenti Carcerari nel pieno spirito della “Sussidiarietà”. E non finisce qui. Chi conosce Marino, conosce anche la sua allergia contro ogni esibizione culturale di stampo elitario, “Il grave deficit della politica culturale dei consolati è lo scarso coinvolgimento degli operai, dei giovani e degli emarginati in tutto ciò che è definita promozione culturale”.

Nel 2008 Marino approfitta del suo forte legame con un artista napoletano di fama internazionale, lo scultore Luciano Campitelli, il quale dona al Consolato un’opera marmorea dal titolo “Intrecci” e che Marino insieme con la Console Susanna Schlein fanno esporre al sito dell’Unesco “Völklinger Hütte” con la didascalia “In onore del Lavoro italiano in Saarland”.

Ma tornando a Francoforte, la solita passerella di autorità a braccetto con gli scrittori e rappresentanti di case editrici alla Fiera del Libro lo sprona a chiedersi: e perché non ne facciamo approfittare anche i connazionali più emarginati?

 Parte l’operazione “Biblioteche italiane nelle carceri tedesche”. Grazie all’aiuto di Eleonora Di Blasio dell’amministrazione della Fiera del Libro di Francoforte, Marino, Albamonte e Liuzzi si caricano in spalla anno per anno cartoni di libri italiani, li inviano alle carceri della circoscrizione e chiedono l’Istituzione e il rinnovo delle sezioni italiane nelle biblioteche carcerarie. Il colpo riesce e gli italiani in carcere leggono libri freschi di stampa, autori ed editori che hanno regalato i testi hanno la coscienza a posto, tutti felici e tutti contenti.

Poi di nuovo a Saarbrücken dal 2021.

Dietro la riapertura dello Sportello Consolare a Saarbrücken c’è la “capa tosta” cioè l’ostinazione, la caparbietà e l’instancabilità di Marino che non ha mai smesso di gridare all’ingiustizia dopo la chiusura di quell’ufficio. Marino ha sempre avuto ottimi rapporti con i Governatori del Saarland e già nel 2010 furono offerti personalmente a lui i locali gratuiti della Cancelleria di Stato di Saarbrücken per mantenere in vita un Ufficio consolare. L’amministrazione italiana ebbe poi la gloriosa idea di piazzarvi, cinque anni dopo a seguito della chiusura del primo sportello consolare, un console onorario il quale, e bisognava aspettarselo, risultò ben presto completamente sopraffatto dalla domanda di servizi di una collettività di oltre venticinquemila italiani. Marino intuì la stanchezza del console onorario per tornare alla carica, riproponendo con insistenza, caparbietà e voce grossa “sempre al limite dell’insolenza e scostumatezza” la riapertura di Saarbrücken. Al suo fianco molti alleati: il Comites di Saarbrücken, il Sindacato Confsal, l’Intercomites, e la rappresentante del MAIE in Germania, che trovano nel sottosegretario agli esteri Ricardo Merlo quel giusto interlocutore che, quando incontra Marino per un’intervista negli studi della “Mezz’Ora Italiana”, gli rivolge la parola con “Ah… è lei Pasquale Marino… ora ho capito tutto”.      

* Tutto finito?  Sicuramente no. Finito il servizio in Consolato comincia tutto il resto. Pasquale Marino: “finalmente mi posso allenare come si deve al tiro a segno, sport che pratico da trent’anni ma sempre con scarsi risultati. Poi le macchine d’epoca. Devo ultimare il restauro della mia Citroen 11 CV del 1954 e mi devo occupare della mia vecchia lancia Kappa Coupé 2000 Turbo, che è una delle macchine di serie più rare al mondo. E poi la pittura. Devo assolutamente studiare disegno con disciplina giacché con i colori me la cavo abbastanza bene. Sono poi onorato dell’offerta di collaborazione che mi è giunta dalla facoltà di italiano dell’Università del Lussemburgo, dove il Prof, Claudio Cicotti ha ormai raggiunto notorietà internazionale con i suoi seminari dedicati agli autori italiani dell’area Saar-Lor-Lux. Mi è stata confermata la conduzione della mia “Mezz’Ora Italiana”, spero di continuare a scrivere e, naturalmente, di poter essere più spesso con le mie figlie Floriana e Valentina le quali sono state, sono e saranno sempre l’ispirazione di tutto quello che ho fatto e che spero di riuscire ancora a fare”. Licia Linardi, CdI settembre

 

 

 

“Monaco Italia - Newcomers networking” a Monaco di Baviera con il Comites e il Consolato Generale

 

Monaco di Baviera - Giovedì 19 ottobre, dalle 18:30 alle 21:30, presso la Ludwig-Maximilians-Universität a Monaco di Baviera si terrà l’evento “Monaco Italia - Newcomers networking”, organizzato dalla Internationale Forschungsstelle für Mehrsprachigkeit della Ludwig-Maximilians-Universität München con il patrocinio del Com.It.Es. (Comitato degli Italiani all’Estero) di Monaco di Baviera e con il sostegno e patrocinio del Consolato Generale d’Italia di Monaco di Baviera.

L’evento unisce la ricerca scientifica su temi dell’emigrazione italiana con consigli pratici sull’inserimento in Germania e rappresenta un momento di incontro tra le diverse realtà esistenti a Monaco di Baviera e chi vive da poco in città.

La prima parte dell’incontro avrà un carattere scientifico grazie al contributo di Claudia M. Riehl, direttrice dell’Institut für Deutsch als Fremdsprache, Ludwig-Maximilians-Universität München, la quale racconterà l’evoluzione linguistica degli italiani in Germania. Sarà poi possibile ascoltare storie di italiane e italiani arrivati a Monaco di Baviera negli scorsi anni, i quali racconteranno della loro esperienza.

Nella seconda parte della serata avranno luogo due workshop della durata di 45 minuti ciascuno su altrettanti temi importanti della vita in Germania, tenuti da esperti nel settore: “Ricerca casa, agevolazioni abitative e Wohnantrag” e “Il sistema sanitario tedesco”.

Ad accompagnare la serata ci sarà un aperitivo offerto dal Consolato Generale d’Italia a Monaco di Baviera.

La partecipazione è libera e gratuita, ma è gradita un’iscrizione tramite email all’indirizzo newcomers.muenchen@daf.lmu.de indicando il titolo del workshop a cui si intende partecipare. (aise/dip 8)

 

 

 

Berlino: l’ambasciatore Varricchio riceve gli Allievi Ufficiali dell’Accademia della Guardia di Finanza

 

Berlino – L’Ambasciatore d’Italia a Berlino Varricchio, ha ricevuto in Ambasciata gli Allievi Ufficiali del secondo anno dell’Accademia della Guardia di Finanza, in particolare del 121° Corso “Zanzur IV” e del 20° Lupo”, quale ultima tappa del loro viaggio di istruzione in Germania.

Nel corso della visita, agli Allievi Ufficiali sono state illustrate le attività diplomatiche della Missione. L’Ambasciatore Varricchio ha rivolto un caloroso saluto di benvenuto. “Il viaggio di studio in Germania – ha detto l’Ambasciatore – oltre a consentire di rafforzare ulteriormente le sinergie tra Guardia di Finanza e interlocutori tedeschi in campo formativo e operativo, conferma l’eccellente stato della cooperazione bilaterale, contribuendo altresì ad accrescere il ruolo profilato del nostro Paese nella tutela internazionale della legalità e della sicurezza”.

Nell’ambito della missione in Germania, i 65 giovani finanzieri – accompagnati dal Generale di Corpo d’Armata Sebastiano Galdino, Comandante in Seconda nonché Generale Ispettore per gli Istituti di Istruzione della Guardia di Finanza e dal Comandante dell’Accademia, Generale di Divisione, Paolo Kalenda – hanno incontrato i vertici degli organismi fiscali tedeschi. Il programma di viaggio d’istruzione in Germania – che corona il biennio d’Accademia degli Allievi Ufficiali, a pochi giorni dalla nomina a Sottotenenti – ha previsto incontri in Ambasciata e presso il Ministero federale delle finanze, nonché ulteriori tappe a Potsdam e a Monaco di Baviera. Gli Allievi Ufficiali hanno inoltre deposto una corona di fiori al Memoriale del campo di concentramento di Dachau nell’ambito di una cerimonia militare. L’Accademia della Guardia di Finanza, Istituto di formazione militare e di studi a carattere universitario, ha il compito di sviluppare le qualità etiche e l’attitudine militare degli Allievi e far acquisire loro la preparazione professionale necessaria per ben assolvere la funzione di Ufficiale della Guardia di Finanza. Nella moderna sede di Bergamo, inaugurata nell’ottobre 2021, il progetto formativo si struttura in un biennio di Accademia per gli Allievi Ufficiali e un triennio di applicazione per gli Ufficiali Allievi. Il percorso accademico è funzionale ad accrescere in ogni cadetto motivazione, spirito di sacrificio, senso del dovere e, parallelamente, a fornire una preparazione tecnico-professionale approfondita e vasta. (Inform/dip 6)

 

 

 

 

Cinema! Italia! Edizione 2023. “Festival itinerante del cinema italiano” in Germania

 

Ritorna il “Festival itinerante del cinema italiano”, la rassegna CINEMA! ITALIA!, che da 26 anni scandisce la ripresa post estiva per gli appassionati di cinema italiano in Germania

Ritorna il “Festival itinerante del cinema italiano”, la rassegna CINEMA! ITALIA!, che da 26 anni scandisce la ripresa post estiva per gli appassionati di cinema italiano in Germania. Organizzato dalla società Made in Italy, col sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il patrocinio dell’Ambasciata italiana di Berlino, la kermesse parte quest’anno a metà settembre e procederà fino alla metà dicembre, secondo un calendario oramai consolidatosi nel tempo. I film selezionati per questa 26esima edizione (tutti in versione originale con sottotitoli in tedesco) sono sei. La prima proiezione è programmata, come da copione, ad Amburgo, al cinema Metropolis, il giorno 14 settembre, mentre la conclusione è prevista tre mesi dopo a Berlino, al cinema Babylon, con la cerimonia di premiazione della pellicola vincitrice. Nel mezzo le sale di ben 36 città tedesche, da Monaco a Colonia, da Düsseldorf a Francoforte, ospiteranno la proiezione dei film considerati il meglio della produzione cinematografica nostrana.

L’importanza di questa rassegna è data dal fatto che essa offre al pubblico tedesco l’opportunità unica di godere di una serie di nuovi film italiani che altrimenti non sarebbero mai stati proiettati sul grande schermo in Germania. Inoltre, CINEMA! ITALIA! contribuisce a far sì che alcuni di questi film ricevano maggiore attenzione e vengano regolarmente proiettati nei cinema tedeschi. La formula è la medesima che è stata ampiamente collaudata nelle passate edizioni: il pubblico è chiamato alla fine di ogni proiezione a dare un voto al film visto. La pellicola più apprezzata dagli spettatori avrà l’onore di essere distribuita nei circuiti cinematografici tedeschi.

I film che si potranno vedere sugli schermi tedeschi incrociano e mescolano sia registi affermati e giovani esordienti, sia tematiche e generi differenti così da fornire un’immagine attuale dell’Italia in tutta la sua molteplicità e vitalità, un’immagine in cui si evidenziano contrasti vecchi e nuovi come quelli tra ricchi e poveri, giovani e vecchi, speranze e realtà, immigrati e italiani doc. I film di CINEMA! ITALIA! raccontano le ansie individuali e collettive, ma allo stesso tempo mettono in scena la scelta dei protagonisti di reagire e impegnarsi, superando ostacoli e incontrando solidarietà inaspettate.

Antonio (Antonio Albanese), il protagonista di Grazie ragazzi di Riccardo Milani, è un attore in crisi professionale che sbarca il lunario doppiando film porno. Un giorno, un suo ex amico gli offre un’opportunità di lavoro inconsueta: condurre un laboratorio teatrale in carcere. Un compito che accetta a malincuore, soprattutto dopo le difficoltà iniziali e vista la diffidenza dei suoi attori “detenuti”. Antonio decide di mettere in scena Aspettando Godot di Beckett, l’opera con cui aveva debuttato molti anni prima, e improvvisamente la scintilla si accende, gli studenti iniziano a partecipare e lui lotta come un leone contro la burocrazia carceraria e le prime delusioni. Alla fine, il successo arriva, ma ciò che conta è il riscatto di Antonio e dei suoi nuovi amici. Il film si basa su una storia vera, accaduta in Svezia negli anni Ottanta del secolo scorso. È un film sul teatro e sull’opportunità che esso offre di scavare nell’animo umano di chi assiste, ma anche di chi si mette in gioco recitando su un palcoscenico.

Anche i giovani protagonisti di Margini di Niccolò Falsetti amano divertirsi. Edoardo, Iacopo e Michele sono musicisti punk di talento, ma il problema è che vivono in una città di provincia (Grosseto) che offre loro poco spazio e quasi nessuna attenzione. Per creare un po’ di varietà, decidono di organizzare un concerto con i Defense, una famosa band americana in tournée in Europa. Più facile a dirsi che a farsi. Manca tutto. Manca un locale che possa ospitare migliaia di spettatori e manca l’attrezzatura tecnica necessaria; ma i ragazzi non si arrendono, accumulano debiti, fanno rompere amicizie e famiglie e alla fine raggiungono il loro obiettivo. Il concerto è seguito da denunce penali e titoli di giornale, ma loro sono già pronti per la prossima sfida.

Anche Marta (Serena Rossi), regista teatrale e protagonista del film Beata te di Paola Randi, ha un desiderio nascosto nel cuore. Sta festeggiando il suo quarantesimo compleanno con gli amici ed è preoccupata per lo spettacolo di cui è regista; ma il suo vero problema è che il suo desiderio di avere figli si sta allontanando sempre di più. Sembra essersi rassegnata, ma poi avviene il colpo di scena che non ci si aspettava: L’Arcangelo Gabriele in veste bianca e con la voce di Papa Francesco le annuncia che la maternità è imminente. Marta lo allontana infastidita, pensando a un matto, ma quando arriva a casa se lo ritrova in bagno e poi in cucina e poi in salotto. Gabriele annuncia a Marta che darà alla luce un figlio pur non avendo più avuto da molto tempo una relazione con un uomo. Ma Marta si informa e scopre di avere due settimane di tempo per decidere se accettare o meno il miracolo. E insieme a Gabriele inizia a stilare una lista infinita di pro e contro sull’avere o non avere un figlio.

Gabriele Santoro (Silvio Orlando), il protagonista de Il bambino nascosto di Roberto Andò, all’inizio del film sembra soddisfatto della sua vita abitudinaria e priva di emozioni. È un insegnante di pianoforte al conservatorio e vive da solo in un quartiere popolare di Napoli. La camorra opera in modo più o meno occulto nel quartiere, ma a lui non sembra importare, ama i suoi libri e la sua musica. Poi, per caso, si presenta un’opportunità: nel suo appartamento si intrufola Ciro, un bambino figlio dei vicini del piano si sopra che si trova in grave pericolo di vita. In realtà, Gabriele dovrebbe sbarazzarsi di lui al più presto, ma si trattiene, decide questa volta di interrompere la sua monotona quotidianità e di mettere in gioco la sua vita. È una sfida, ma soprattutto un desiderio di riscatto.

Il desiderio di Tarek (Yothin Clavenzani), il giovane protagonista di Notte fantasma di Fulvio Risuleo, è molto più semplice: il ragazzo diciassettenne, figlio di padre egiziano e madre indonesiana, vuole tornare a casa il più velocemente possibile, ma è tardi, non c’è la metropolitana e quindi decide di andare a piedi. Improvvisamente la situazione si complica con un incontro che all’inizio sembra essere sotto il segno della legge: da una parte c’è Tarek, un giovane “perbene” che ha commesso un piccolo reato (ha preso della marijuana per i suoi amici), dall’altra un poliziotto in borghese (Edoardo Pesce) che sembra deciso ad assicurarlo alla giustizia. Avrebbe dovuto portarlo alla stazione di polizia, ma invece si dilunga e guida con lui attraverso una Roma notturna piena di sorprese e pericoli. Dopo una serie di incontri, scontri e inseguimenti, all’alba tutto cambia improvvisamente e l’apparentemente più forte dei due si rivela molto più vulnerabile e in pericolo. Un road movie avvincente che tocca molti temi attuali (immigrazione, degrado urbano e sociale, droga), ma in cui emergono soprattutto la solitudine e l’infelicità di persone indifese.

Il programma di CINEMA! ITALIA! è completato da un omaggio alla grande attrice italiana Anna Magnani, a 50 anni dalla sua scomparsa, e a un maestro del cinema e della letteratura italiana come Pier Paolo Pasolini. La scelta è caduta su Mamma Roma (1962), opera segnata dall’incontro di due straordinarie personalità artistiche.

I film dell’edizione 2021: Il bambino nascosto – Das vesrsteckte Kind (2021) di Roberto Andò; Beata te – Der Erzengel und ich (2022) di Paola Randi; Grazie ragazzi – Alles nur Theater? (2023) di Riccardo Milani; Mamma Roma – Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini<<<<<<, Margini – Am Rand (2022) di Niccolò Falsetti; Notte fantasma – Ghost Night (2022) di Fulvio Risuleo

Il calendario delle proiezioni: 14.09. – 28.09. Amburgo; 14.09. – 20.09. Wiesbaden; 21.09. – 27.09. Braunschweig; 21.09. – 29.09. Colonia; 28.09. – 04.10. Oldenburg; 28.09. – 04.10. Stoccarda; 28.09. – 04.10. Düsseldorf; 05.10. – 11.10. Hannover; 05.10. – 12.10. Brema; 05.10. – 11.10. Lich; 05.10. – 11.10. Reutlingen; 05.10. – 18.10. Monaco; 12.10. – 18.10. Würzburg; 16.10. – 29.10. Augsburg; 19.10. – 25.10. Münster; 19.10. – 25.10 Halle; 19.10. – 25.10 Mannheim; 26.10. – 01.11. Bonn; 02.11. – 08.11. Darmstadt; 02.11. – 08.11. Karlsruhe; 09.11. – 15.11. Kiel; 10.11. – 19.11. Bielefeld; 16.11. – 22.11. Lubecca; 16.11. – 22.11. Regensburg; 23.11. – 29.11. Gottinga; 23.11. – 29.11. Norimberga; 23.11. – 29.11. Bamberga;  24.11. – 13.12. Francoforte; 30.11. – 06.12. Dresda; 30.12. – 06.12. Marburgo; 30.11. – 06.12. Saarbrücken; 30.11. – 06.12. Heidelberg; 07.12. – 13.12. Friburgo; 07.12. – 13.12. Lipsia; 07.12. – 13.11. Kassel; 07.12. – 13.12. Berlino. Gherardo Ugolini, CdI settembre 23

 

 

 

La Germania esonera Flick: contro la Francia in panchina Rudi Voeller

 

Fatale al tecnico la sconfitta con il Giappone, l’ennesima di un periodo negativo. L’ex romanista ad interim per una gara, poi si procederà alla scelta di un nuovo tecnico - di Luigi Panella

 

Hansi Flick non è più il ct della Germania. Esonerato dopo una serie di risultati negativi, come qualunque allenatore di provincia: un comunicato gelido mentre in tutta la nazione risuonavano le note dell’inno per il trionfo della nazionale ai Mondiali di basket. Panchina ad interim, martedì contro la Francia, affidata al team manager Rudi Voeller, quasi a voler risparmiare a Flick una nuova umiliazione dopo i 4 gol incassati a Wolfsburg dal Giappone. La Germania si era affidata a lui dopo il fallimento a Euro 2021: scelta logica, del resto i maliziosi dicevano che la stella di Loew aveva iniziato a offuscarsi quando proprio Flick, suo fedele collaboratore e perno fondamentale nello spogliatoio, era andato a cercare – e trovare – fortuna al Bayern Monaco, dove aveva alzato la Champions del Covid, quella della final eight di Lisbona.

Dopo Loew, tante speranze ma pochi risultati

Ma quando Flick ha gestito da solo il giocattolo ha fallito. I mondiali in Qatar sono stati uno strazio, le amichevoli per la costruzione all’Europeo da giocare in casa il prossimo anno ancora peggio. Joakim Loew si era salvato con il pedigree: c’era inciso il titolo mondiale che aveva riportato in Germania nella notte di Rio 24 anni dopo quella magica di Roma. Il buon Jogi aveva poi campato di rendita centrando la semifinale agli Europei in Francia, quindi era sopravvissuto alla maldestra campagna ai mondiali di Russia, buttato fuori dalla Corea del Sud e alla devastante sconfitta (6-0) beccata in Nations League contro la Spagna, la peggiore dal 1931.

Quattro ko nelle ultime sei partite

Con Flick non c’è stata la stessa pazienza: nelle ultime 6 amichevoli ne ha perse 4 (le ultime 3 in fila), rimediando un pareggio in extremis contro l’Ucraina. Ultimo sorriso nello scorso mese di marzo, un 2-0 al Perù, troppo poco per sperare di restare in sella. Paga la sua gestione (la seconda più corta della storia della Germania, 25 gare contro le 24 di Ribbeck), ma anche un modello tedesco, quello dei centri federali e del lancio dei giovani a trecentosessanta gradi che improvvisamente ha iniziato a fare acqua da tutte le parti. Gli analisti sostengono che i giocatori, dei dottor Jekill nei loro club, hanno iniziato a trasformarsi in tanti mister Hyde ogni volta che arrivava la chiamata nella Mannschaft. Equazione: la qualità c’è ma Flick non la sa sfruttare. Gundogan in effetti ha incantato al Manchester City ed ora è nel Barcellona, Rudiger è un punto fermo della difesa del Real Madrid, Wirtz è l’emergente, e poi ci sono gli Havertz, i Sane, i Gnabry, e chi più ne ha più ne metta.

Non solo colpa di Flick, è il movimento che non convince più

Ma esistono argomenti a contrario. Anzitutto esiste il problema degli esterni di difesa: Nico Schlotterbeck ad esempio, uno dei responsabili della sconfitta in Qatar contro il Giappone, ha piazzato un desolante bis sabato sera a Wolfsburg, sbagliando tutto ciò che era possibile sbagliare. E poi una certa tendenza al narcisismo dei talenti, diabolicamente perseveranti anche quando la partita andrebbe interpretata con la clava. Uno che la usa ad esempio è Niclas Fullkrug, passato in questa stagione dal Brema al Dortmund: non un modello di stile, ma almeno uno che la butta dentro e che si fa notare soprattutto quando non c’è. Non c’era con il Giappone, non ci sarà contro la Francia.

Rudi Voeller, poi ci sarà un nuovo ct

Ci sarà invece Rudi Voeller, ma purtroppo per la Germania non ha più l’età per scendere in campo. Traghetterà insieme a Hannes Wolf e Sandro Wagner, poi ci sarà un nuovo ct. Si fanno i nomi di Julian Nagelsmann, l'ex allenatore del Bayern ancora sotto contratto con i bavaresi, ma anche l'austriaco Oliver Glasner, vincitore dell'Europa League con il Francoforte nel 2022, e Stefan Kuntz, che però sta allenando la Turchia. E poi la grande suggestione, Louis van Gaal: un olandese sulla panchina della Germania, e allora sarebbe vera rivoluzione. LR 10

 

 

 

 

La migrazione dagli occhi di chi migra, alla Mostra di Venezia

 

Venezia – La voce di chi migra ha raggiunto Venezia ed è risuonata alla Mostra del cinema, conclusa sabato sera. È stata interpretata da alcuni degli autori più attesi. È arrivata dal confine meridionale e da quello orientale d’Europa, dai luoghi (non gli unici) dove la politica di chiusura della frontiera infligge dolore alle persone che tentano di attraversarla, le umilia e le uccide. È arrivata dal presente, con urgenza, ed è arrivata dal passato, per risvegliare la memoria di persecuzioni di un tempo e mettere in guardia dal rischio sempre vivo del loro ripetersi. È arrivata con la potenza dell’esperienza diretta, attraverso film costruiti su tante testimonianze personali che ne fanno opere corali, attraverso gli occhi di un ragazzo senegalese e di due genitori siriani, che il tragitto dai Paesi d’origine fino in Europa l’hanno percorso in prima persona.

Sono i protagonisti di Io capitano di Matteo Garrone e Green border di Agnieszka Holland, i due tra i film in concorso in cui la cinepresa è direttamente puntata sulla migrazione, o meglio sugli effetti che la strategia antimigratoria europea produce sui corpi delle persone che migrano. Sulle ferite fisiche e psicologiche inferte durante la detenzione e nell’atto del respingimento, da carcerieri e cacciatori incaricati di presidiare il confine d’Europa. Come succede lungo la rotta del Mediterraneo centrale, dove si compie il viaggio di Seydou e Moussa in Io capitano, da Dakar alle acque italiane passando per il deserto e per la Libia. I due cugini partono adolescenti all’inseguimento dei loro sogni, ma lo fanno a costo della vita: la naturale pretesa di un futuro libero è sottratta ai giovani come loro, nati nel sud del mondo. Matteo Garrone voleva raccontare il tratto che sfugge alla cronaca della migrazione mediterranea, quello che parte da molto lontano e si interrompe in vista delle nostre coste, dove chi ce l’ha fatta riceve soccorso, rifugio e forse l’opportunità di una vita migliore. E voleva raccontarlo dal punto di vista di chi lo percorre, altrettanto dimenticato, nel rifiuto della narrazione comune, che parla di numeri e di masse, che impedisce l’empatia e contribuisce alla deumanizzazione.

Punti di vista inediti, in questo caso più d’uno, sono la scelta anche in Green border, racconto quasi documentaristico in bianco e nero di un’altra frontiera chiusa, la fredda foresta tra Bielorussia e Polonia, dove profughi provenienti in gran parte da Siria e Afghanistan sono attratti dal primo Paese e respinti dal secondo, pedine di una geopolitica che li riduce a merce di scambio. Si gioca qui la stessa battaglia tra dentro e fuori Europa, tra salvezza e morte. Si incontra la stessa sospensione dolorosa, la stessa richiesta di bisogni essenziali e lo stesso incomprensibile rifiuto, anzi la risposta crudele, la stessa violenza. Il film segue una famiglia siriana intrappolata e un gruppo di attivisti che offrono solidarietà, le cui esperienze sono le stesse realmente vissute da alcuni degli attori, e segue una guardia polacca che non riesce a sopire la coscienza, anche questo capitolo ispirato a testimonianze autentiche, come ha raccontato la regista. Raccolte clandestinamente, come clandestine sono state le riprese, perché la zona al confine è da tempo interdetta a chiunque voglia documentare. Nel silenzio la politica disumana può proseguire, e invece deve essere denunciata perché si fermi. Per Agnieszka Holland il cinema ha il compito di affrontare le sfide contemporanee, compresi i risvolti drammatici, deve coinvolgere le coscienze e così scongiurare che l’indifferenza renda possibili nuovi totalitarismi. Il trattamento dei migranti ai bordi d’Europa è l’Olocausto del nostro tempo: alla presentazione del film, Holland ha chiesto un minuto di silenzio per le 60.000 vite perse in questo modo dal 2014.

Davanti a ciò, suona come un monito potente anche un altro tra i film in concorso, Lubo di Giorgio Diritti, ambientato nella Svizzera di inizio Novecento ma la rappresentazione universale delle conseguenze della deumanizzazione del diverso. Il film recupera la storia dimenticata della popolazione nomade degli Jenisch in Svizzera, che subì l’allontanamento forzato dei bambini dai loro genitori, per rieducarli in collegi o in altre famiglie. Una pratica di genocidio, che aveva l’obiettivo di sterminare la comunità cancellandone la cultura e disperdendone il sangue, e che si interruppe solo negli anni Settanta. Secondo Giorgio Diritti, le società di oggi sono tutt’altro che immuni dal rischio di persecuzioni razziali come quella contro gli Jenisch.

Anche Lubo nasce da una testimonianza diretta, quella di Uschi Waser, sottratta da bambina alla sua famiglia Jenisch, è stata la guida linguistica e storica nella preparazione del film. Le opere di Venezia sulla popolazione migrante di ieri e di oggi hanno avuto questa forza: un punto di vista personale e diretto sulle storie raccontate, a tratti spiazzante, la chiave giusta per spiegare un fenomeno, anche il più complesso, riconducendolo all’umanità di cui è fatto. Alla Mostra ha funzionato e sono arrivati i premi: miglior regia per Io capitano e miglior attore emergente il suo protagonista Seydou Sarr, premio speciale della giuria per Green Border. Adesso è importante che questi film raggiungano quanti più possibile, come ha detto Matteo Garrone. Che parlino alle coscienze della cittadinanza europea, pubblico distratto delle ingiustizie che non lo riguardano, che le risveglino, con la voce di chi normalmente non ha diritto di parola, né alcun altro diritto. (Livia Cefaloni) Migr.on 11

 

 

 

 

Gli ostacoli globali per un’Europa a impatto zero

 

Lo scoppio della guerra fra Russia e Ucraina nel febbraio 2022 ha sancito il riemergere dei grandi conflitti geopolitici sullo scenario europeo. Di colpo, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo ha ancora una volta dimostrato la valenza della power politics nello spiegare mai sopiti cleavages di politica internazionale e ha decretato “il ritorno della Storia” in Europa.

La convinzione, fallace, del pensiero liberale secondo cui la globalizzazione e la progressiva interdipendenza economica avrebbero dissuaso gli Stati dall’intraprendere guerre oltremodo dispendiose è deflagrata sotto i colpi di sempiterne tensioni ideologiche e ancestrali rivendicazioni territoriali.

UE a impatto zero

L’inizio del conflitto russo-ucraino ha costretto l’Unione Europea (Ue) a prendere dei provvedimenti che seguissero principalmente due traiettorie strategiche: la prima, nell’immediato, volta a ridurre drasticamente la sua dipendenza dal gas a basso costo del Cremlino; mentre la seconda, nel medio-lungo termine, ha come obiettivo quello di mettere in sicurezza il proprio sistema di approvvigionamento energetico da eventuali ricatti e tentativi da parte russa di usare l’interdipendenza dal gas in modo ostile nei confronti degli Stati europei. Tale obiettivo strategico, però, deve conciliarsi con il più ampio piano di transizione energetica delineato dall’Ue all’interno della cornice strategica dello European Green Deal. Questo vasto programma di iniziative politiche, fondato sui concetti di circolarità e resilienza, ha come obiettivo quello di trasformare l’Unione in una grande economia a impatto zero entro il 2050.

La ricerca di una maggiore sicurezza energetica rientra in una visione già tracciata dall’Ue nel 2016 all’interno del documento strategico denominato Global Strategy, in cui la Commissione ha espresso per la prima volta la volontà di raggiungere una propria strategic autonomy, ovvero di sviluppare la capacità, attraverso l’acquisizione dei mezzi necessari, di perseguire i propri obiettivi strategici in armonia con i principi e i valori sanciti nei trattati. Inizialmente, tale espressione aveva una connotazione prettamente militare per poi estendersi a domini chiave dell’agenda strategica europea soprattutto per ciò che concerne la propria dipendenza economica ed energetica da potenze avverse come Cina e Russia.

Tuttavia, per un’economia votata alle esportazioni come quella europea, aspirare all’autonomia in un’economia altamente globalizzata non è esattamente desiderabile. Infatti, al fine di posizionarsi in un punto intermedio fra la sua naturale predilezione al libero scambio e posizioni più protezionistiche, suscitate dal termine “autonomia”, la Commissione ha iniziato ad usare la nuova espressione di open strategic autonomy. Questo perché nello scenario internazionale odierno l’interdipendenza è percepita negativamente e spesso associata a una condizione di vulnerabilità.

Guerra e supply chain

La pandemia di Covid-19 e la guerra fra Russia e Ucraina hanno mostrato quanto il grado di interdipendenza che caratterizza il mondo in cui gli attori statali si trovano ad interagire oggi, doni a shock localizzati una risonanza globale. Sebbene per ragioni diverse, tali eventi hanno evidenziato le fragilità di un sistema internazionale altamente interconnesso soprattutto da un punto di vista economico.

Ci si è resi conto, ad esempio, di come la concentrazione della produzione di alcuni beni essenziali in poche aree abbia reso le supply chains esposte a molteplici fattori di rischio che possono avere ricadute più o meno gravi sulla capacità di un Paese di reperire materiali vitali per la difesa del proprio interesse nazionale. In tal senso, molti Stati hanno e stanno adottando misure per aumentare la propria sicurezza in filiere chiave, tentando di riportare la produzione di beni strategici (semiconduttori) all’interno dei confini nazionali.

Stati Uniti e Ue, intenzionate a procedere alla decarbonizzazione delle proprie economie in risposta all’emergenza climatica, stanno perseguendo politiche industriali volte alla ricerca dell’autonomia e dell’indipendenza in settori strategici come quello dell’elettrico, in una competizione tecnologica globale che rischia però di vanificare qualsiasi tentativo di cooperazione tra potenze in ambito climatico. Infatti, l’obiettivo di transizione energetica prefissato in Europa non sarebbe raggiungibile in un sistema poco integrato, giacché se ogni Paese cercasse di produrre e consumare solo all’interno dei suoi confini, la produzione di energia pulita nelle quantità e alla velocità necessarie a tale scopo sarebbe insufficiente.

Il ruolo dei minerali critici

Secondo l’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia), il valore globale degli scambi di minerali critici cruciali per la transizione energetica dovrà triplicare per poter raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. Questo significa che, considerando anche l’alta dipendenza dell’Ue dalla Cina per ciò che concerne la produzione di terre rare, Bruxelles, nel cercare di conciliare transizione energetica e sicurezza nel prossimo futuro, dovrà compendiare i propri desideri per una maggiore autonomia e indipendenza con la necessità, allo scopo di portare a compimento la transizione verde, di promuovere una maggiore integrazione dei mercati e degli scambi commerciali a livello globale. Tutto questo, evitando che la competizione tecnologica fra Stati Uniti e Cina inneschi una spirale protezionistica e securitaria fra gli Stati in grado di annullare gli sforzi di qualsiasi diplomazia climatica globale.

Questo articolo è un estratto del saggio sesto classificato dell’edizione 2023 del Premio IAI – “Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”

Davide Ferri, aff.int.11

 

 

 

Alfabetizzazione, 763 milioni di persone non hanno le competenze di base

 

Imparare a leggere e scrivere dovrebbe essere un traguardo significativo per tutti. Eppure, 763 milioni di adulti e giovani non hanno competenze di alfabetizzazione di base.

Dal 1967, l’Unesco celebra l’8 settembre la Giornata internazionale dell’alfabetizzazione (International Literacy Day – ILD) per ricordare l’importanza dell’alfabetizzazione come questione di dignità e diritti umani e per far avanzare l’agenda dell’alfabetizzazione verso una società più alfabetizzata e sostenibile.

Nonostante i costanti progressi compiuti in tutto il mondo, nel 2020 le sfide legate all’alfabetizzazione persistono, con almeno 763 milioni di giovani e adulti privi di competenze di alfabetizzazione di base. La recente crisi del COVID-19 e altre crisi, come il cambiamento climatico e i conflitti, hanno esacerbato le sfide.

Promuovere l’alfabetizzazione per un mondo in transizione

Il contesto globale in rapida evoluzione ha assunto un nuovo significato negli ultimi anni, ostacolando il progresso dell’alfabetizzazione e ampliando le disuguaglianze tra regioni, paesi e popolazioni del mondo. Nei paesi a basso e medio reddito, la percentuale di bambini di 10 anni che non sono in grado di leggere e comprendere un testo semplice è aumentata dal 57% nel 2019 a circa il 70% nel 2022.

In questo contesto, la Giornata internazionale dell’alfabetizzazione di quest’anno sarà celebrata in tutto il mondo con il tema “Promuovere l’alfabetizzazione per un mondo in transizione: costruire le basi per società sostenibili e pacifiche”.

L’ILD2023 vuole essere un’opportunità per unire gli sforzi per accelerare i progressi verso il raggiungimento dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 4 (SDG4) sull’istruzione e l’apprendimento permanente e per riflettere sul ruolo dell’alfabetizzazione nella costruzione di società più inclusive, pacifiche, giuste e sostenibili. In tal modo, abbraccia le relazioni reciproche tra l’alfabetizzazione e altre aree di sviluppo: l’alfabetizzazione è centrale per la creazione di tali società, mentre il progresso in altre aree di sviluppo contribuisce a generare interesse e motivazione delle persone ad acquisire, utilizzare e ulteriormente sviluppare le proprie competenze alfabetiche e matematiche.

Indagine internazionale Pirls

Il 2023 è stato proclamato “anno europeo delle competenze”, aspetto chiave per migliorare le competenze individuali e contribuire alla comunità di appartenenza. Il 2023 è anche l’anno in cui sono presentati i risultati dell’indagini internazionale PIRLS (Progress in International Reading Literacy Study) della IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), un’indagine internazionale periodica (ripetuta ogni cinque anni), che ha come principale obiettivo la valutazione comparativa dell’abilità di lettura degli studenti al quarto anno di scolarità (ovvero, di età compresa tra i nove e i dieci anni).

È tipicamente in questa fase, infatti, che gli studenti passano dall’“imparare a leggere” al “leggere per imparare”. A questa età i bambini e le bambine dovrebbero aver già imparato a leggere e dovrebbero quindi essere in grado di utilizzare la lettura come strumento per apprendere. L’indagine si svolge contemporaneamente in più di 50 Paesi in tutto il mondo ed è giunta, in Italia, al quinto ciclo di realizzazione (2001, 2006, 2011, 2016 e 2021).

L’indagine PIRLS è uno studio basato su un ampio quadro di riferimento e fornisce dati comparabili a livello internazionale sui livelli delle capacità di lettura di bambini e bambine dopo quattro anni di scuola primaria. Attraverso l’uso di questionari di contesto sarà possibile rilevare una serie di variabili associate all’apprendimento della lettura, quali le risorse per la lettura disponibili in casa, il curricolo previsto e il curricolo realizzato nelle scuole, le pratiche didattiche in classe e le risorse a disposizione, per individuare i fattori che maggiormente favoriscono l’acquisizione di tali abilità.

L’Italia nell’ultima rilevazione

Singapore ha ottenuto il risultato medio più alto in assoluto e superiore a quello di tutti gli altri Paesi (587 punti), seguita da Hong Kong (573) i cui studenti, sebbene abbiano ottenuto risultati medi inferiori rispetto agli studenti di Singapore, hanno ottenuto risultati che si collocano significativamente sopra il risultato di tutti i Paesi successivi.

In Italia, gli studenti di quarta primaria ottengono un punteggio medio pari a 537 punti, un risultato superiore a quello medio internazionale di tutti i Paesi partecipanti e superiore al punteggio medio dei Paesi europei partecipanti. Tra i Paesi europei, solo gli studenti di Finlandia (549), Polonia (549) e Svezia (544) ottengono un risultato medio superiore a quello degli studenti italiani.

Differenze tra Nord e Sud

L’Italia è, però, divisa in due raggruppamenti: Nord Ovest, Nord Est e Centro ottengono punteggi medi statisticamente simili tra loro e superiori al punteggio medio delle aree del Sud e del Sud Isole. Inoltre, solo i risultati del Nord Ovest e del Centro sono significativamente più alti del dato medio dell’Italia, mentre il Sud e il Nord Est hanno punteggi medi che non si discostano dal riferimento nazionale. Il Sud Isole ottiene, invece, un punteggio medio significativamente inferiore alla media italiana

Come sono cambiati i risultati in lettura degli studenti nel tempo

Nel considerare i risultati di tendenza PIRLS 2021, va tenuto conto che la pandemia COVID-19, che si è verificata dopo il ciclo 2016, ha certamente influito sull’apprendimento scolastico in molti Paesi. La notevole variazione nella portata e nella risposta alla pandemia all’interno di ciascun Paese e tra i diversi Paesi rende impossibile stimare l’entità di un effetto COVID-19 in modo uniforme tra i Paesi, o Paese per Paese, in questo momento.

Dei 32 Paesi che dispongono dei dati sia del 2016 che del 2021, 21 Paesi hanno registrato risultati medi di lettura inferiori nel 2021 rispetto al 2016, 8 Paesi non hanno avuto variazioni significative e solo 3 Paesi hanno registrato risultati medi superiori.

In Italia, gli studenti ottengono nel 2021 un risultato medio significativamente inferiore di 11 punti rispetto a quello rilevato 5 anni prima riportando i risultati degli studenti italiani nuovamente in linea con quelli di 20 anni fa (PIRLS 2001) e 10 anni fa (PIRLS 2011). Adnkronos 8

 

 

 

L’incrocio pericoloso fra legge di bilancio e riforma del Patto di Stabilità

 

Puntuale, con la fine della pausa estiva e la ripresa dell’attività politica, è ripartito l’ormai rituale dibattito sulla prossima legge di bilancio e relativa manovra. La Presidente del Consiglio e perlomeno due Ministri di peso, come Giorgetti e Fitto, hanno invitato alla prudenza, ricordato che i margini sono ridotti, e confermato la volontà di rispettare i vincoli di bilancio con messaggi chiaramente diretti in primis ai leader politici della coalizione e  agli altri membri del governo. Ma la partita si è appena aperta e sembra difficile che i partiti della maggioranza rinuncino ad avanzare richieste di misure e interventi da inserire nella finanziaria, a tutela delle rispettive constituencies, in un clima da inizio di campagna elettorale per le europee.

I tempi per la presentazione della legge di bilancio per il 2024 sono quelli previsti dalle attuali (e per ora vigenti) regole europee. Per la fine di settembre il governo dovrà presentare la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF); entro la metà di ottobre dovrà sottoporre alla Commissione europea una prima bozza di legge finanziaria; a partire da quella data la Commissione potrà formulare le sue osservazioni; il governo dovrà decidere se e quali osservazioni recepire e poi presentare il disegno di legge al Parlamento avviando così quel complesso iter di approvazione che dovrà intervenire entro la fine dell’anno.

Riforma del Patto di stabilità: un percorso complesso

Quest’anno però la discussione della legge finanziaria coinciderà con la fase conclusiva del negoziato sulla riforma delle regole europee vigenti in materia di disciplina di bilancio (il Patto di Stabilità). Il negoziato in corso a Bruxelles è complesso e divisivo. Ed è per ora difficile prevedere come e quando si concluderà. Ma una cosa è certa. La sospensione delle regole europee (decisa a suo tempo per consentire politiche fiscali nazionali espansive per contrastare la recessione del 2020) scadrà a fine anno. E nel caso non si riesca a trovare un accordo fra i 27 su nuove regole, le vecchie (con le relative criticità) torneranno in vigore per il bilancio 2024.

Sulla riforma del Patto di Stabilità si sta negoziando sulla base di una proposta della Commissione, che aveva l’obiettivo di aggiornare le vecchie regole per renderle più efficaci e più credibili, e di assicurare maggiori margini di manovra per finanziare investimenti pubblici (a sostegno delle transizioni energetica e digitale), sia pure in un quadro di progressiva di riduzione del debito pubblico.

L’aspetto più qualificante della proposta è il passaggio da un sistema di regole e obiettivi in principio uguali per tutti (salvo le flessibilità sperimentate nel corso degli anni) ad un sistema che prevede percorsi di riduzione del debito negoziati fra la Commissione e i singoli governi sulla base di alcuni obiettivi condivisi. La Commissione definirà un quadro di riferimento generale e “traiettorie tecniche” di riduzione del debito per ogni Paese, e i governi negozieranno con la Commissione dei “piani nazionali strutturali di bilancio”.

Questi piani nazionali dovranno contenere la previsione dei saldi di bilancio, ma anche le misure necessarie per affrontare eventuali squilibri macro-economici, e le riforme e gli investimenti necessari per garantire obiettivi definiti in sede europea. Questi piani, dovranno essere approvati dalla Commissione e validati dal Consiglio, e avranno una durata di quattro anni, estensibili fino a sette, su richiesta del Paese interessato. L’evoluzione della spesa pubblica (al netto di spese straordinarie) sostituirà il criterio dei saldi di bilancio nella valutazione delle performances dei singoli Paesi. Dovrebbe essere comunque previsto un impegno di riduzione minima del debito, che la Commissione ha proposto pari all’0,5% del PIL all’anno.

La riforma proposta modifica il quadro esistente in maniera importante, pur mantenendo i limiti del 3% per i deficit di bilancio e del 60% per i debiti pubblici (la cui modifca richiederebbe un intervento sui Trattati con tutte le criticità del caso). E’ una riforma che mira ad assicurare una maggiore responsabilità (ownership) dei governi nella definizione delle politiche di bilancio e nella scelta delle riforme da attuare. Ma che di fatto prevede ampi margini di discrezionalità per la Commissione, e l’utilizzo dello strumento della analisi di sostenibilità dei debiti molto discusso e controverso per la sua scarsa trasparenza e oggettività. Ed è proprio su questa presunta eccessiva discrezionalità della Commissione che si sono concentrate le critiche dei Paesi rigoristi, che preferirebbero mantenere limiti quantitativi chiaramente identificati per la riduzione di deficit e debiti.

Alleati e visioni contrapposte 

La partita a Bruxelles è aperta e la trattativa entrerà nel vivo nelle prossime settimane nel tentativo di trovare un compromesso condivisibile. Come prevedibile, e semplificando al massimo, nel negoziato si confrontano due posizioni contrapposte. Quella dei Paesi rigoristi (prevalentemente del Nord Europa) più preoccupati di garantire regole certe e quantificate di riduzione del debito e magari sanzioni adeguate per chi viola queste regole. E quella dei Paesi più propensi alla spesa (prevalentemente dell’Europa meridionale) piu interessati a ottenere che le nuove regole consentano la flessibiltà necessaria per finanziare investimenti utili per la crescita e politiche espansive.

A fronte di questi schieramenti negoziali, l’Italia può contare su alleati importanti come la Francia e la Spagna, che condividono le nostre posizioni di principio. Sarebbe quindi importante e urgente che il governo, superando diffidenze dovute al colore politico dei due esecutivi al potere a Parigi e Madrid, definisca per tempo una piattaforma comune almeno con questi due Paesi. E cerchi di portare a casa un accordo per quanto possibile ispirato alle proposte della Commissione, evitando che, in assenza di un accordo, torni in vigore il vecchio Patto di Stabilità.

Meglio invece lasciare perdere richieste come quelle relative all’esonero del calcolo del deficit di alcune categorie di investimenti pubblici, una richiesta che l’Italia nel passato ha avanzato in varie occasioni, ma che appare destinata a incontrare le solite resistenze, (come hanno dovuto constatare precedenti governi). Meglio lasciar perdere l’idea di ipotetici pacchetti negoziali nei quali inserire un ulteriore alleggerimento delle regole in materia di aiuti di Stato in cambio di una maggiore disponibilità della Germania a rinunciare a obiettivi quantificati di riduzione del debito. Meglio infine lasciar perdere l’idea di un “trade off” fra ratifica italiana del MES e una soluzione gradita a Roma sul Patto di Stabilità, dato che, almeno nella percezione degli altri Governi europei, l’Italia prima o poi dovrà comunque ratificare il MES. Ferdinando Nelli Feroci, AffInt 31

 

 

 

Uno su tre

 

Inutile fare finta di nulla. Il sentore di una crisi politica c’è. Nonostante la Pandemia e una recessione economica assai grave.  Le poche, “esternazioni” non hanno contribuito a migliorare il processo involutivo che ci coinvolge. Le polemiche, ora, non servono e potrebbero ricadere su chi le utilizza. I problemi nazionali restano evidenti. Come a scrivere che la politica nazionale è priva d’iniziative valide.

 

 Ci sono, ancora, troppe incoerenze da eliminare e concessioni da ridimensionare. Vivere nel Bel Paese è difficile.

A questo punto, con molta obiettività, non siamo in grado di fare delle previsioni. Il “cambiamento”, comunque, dovrà esserci. Il ventiduesimo anno del nuovo millennio potrebbe essere quello della “rinascita”nazionale.

 

Anche il “meccanismo” politico subirà modifiche. Gli effetti avranno il loro ruolo anche su un’economia che ne ha estremo bisogno. Non c’è sfuggito che, accanto ad una crisi economica più che evidente, s’è fatta strada uno scombussolamento dei partiti che, per altro, era ipotizzabile. Entro fine anno, i nodi dovranno arrivare al pettine. Il nostro “sistema” si basa su tre presupposti: Chiarezza, Onestà e Programma. Almeno, se ne prediliga uno su tre.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Ue, Mattarella: nessun Paese può pensare al futuro da solo

 

Roma  – “L’Europa è il quadro entro il quale si costruisce il nostro avvenire, con le lacune che accompagnano il processo di integrazione europea, fattore che trasforma e plasma anche il nostro modello sociale. Pace e sicurezza, così come crescita e benessere dei popoli, passano attraverso la capacità dell’Unione europea di rappresentare un fattore di stabilità e attrazione per chi crede nei valori della libertà, dell’indipendenza, della democrazia”. Lo afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato in occasione del Forum organizzato da The European House.

“Nessun Paese del Continente, neppure i maggiori per dimensioni o reddito – scrive Mattarella – può pensare a un futuro separato da quello degli altri: sarebbe una fuga dalla realtà e, prima ancora di un’illusione, un atto controproducente”.

In questo contesto “il tradizionale Forum, organizzato da The European House – Ambrosetti, chiamando responsabili politici, operatori economici e finanziari, intellettuali e dirigenti di forze sociali a un confronto su scala sovranazionale, costituisce – conclude Mattarella – un’interessante occasione di riflessione sugli scenari posti davanti a noi e sulle linee di azione utili a far avanzare l’intera Unione europea, condizione primaria di sostenibilità per i Paesi membri”. Askanews 1

 

 

 

Gli errori da non ripetere della Banca Centrale Europea

 

Nei prossimi giorni, a Francoforte, falchi e colombe si interrogheranno sugli errori commessi e, si spera, da non ripetere dalla Banca Centrale Europea, dopo la decisione presa all’inizio dell’estate scorsa di cambiare strategia in fatto di politica monetaria.

E’ trascorso un anno e, nella prossima riunione, la BCE si troverà di fronte a un dilemma: ignorare gli errori finora commessi, come fa prevedere la supponenza di Christine Lagarde, o riconoscere di aver sbagliato nel seguire una strategia, quella dell’ambiguità monetaria, risultata fallimentare e provvedere a cambiarla.

A suo tempo, fu proprio la Lagarde ad annunciare che sul futuro percorso dei tassi d’interesse non ci sarebbero stati annunci di nessun genere da parte della banca, ponendo fine alla politica degli annunci introdotta da Draghi, in linea con la migliore analisi economica, sotto il profilo strettamente strategico.

Nelle economie di mercato il motore della crescita sono le aspettative; ne consegue che se una banca centrale è credibile e in anticipo informa su quello che sarà il suo futuro programma, l’economia privata le crederà e saprà orientarsi sulle decisioni da prendere, si ridurrà il margine di incertezza e gli effetti positivi non mancheranno di farsi sentire su crescita e inflazione.

Diversamente, se pur annunciando quello che sarà il suo programma, una banca centrale non risulterà credibile, oppure non farà nessuno annuncio o lo farà in modo poco chiaro, confuso, e quello che dirà sarà suscettibile di svariate interpretazioni, aumentando i rischi di volatilità per i capitali investiti.

Ultimamente la BCE ha lasciato intravvedere nelle conferenze stampa che hanno seguito le comunicazioni ufficiali, un ulteriore restringimento della politica monetaria ed ha consentito ai singoli banchieri centrali un ampio margine di libertà nel fare annunci personali, a volte anonimi, sul futuro percorso dei tassi d’interesse, spingendosi troppo oltre l’ammissibile, vuoi per interessi personali o di carriera.

Grave errore di valutazione che la BCE potrebbe aver fatto per opportunismo, ma segno di irresponsabilità, sicuramente non in linea con l’indipendenza dell’istituto e, soprattutto, espressione di una politica monetaria ambigua, anche se l’obiettivo primario resta quello di mantenere l’inflazione stabile, al due per cento, in un orizzonte di medio termine.  

La speranza è quella di un cambiamento di rotta, che dia nuova fiducia ai mercati e lasci intravvedere una politica monetaria meno restrittiva di quella attuale. Con buona pace dei falchi che non mancano mai.

Angela Casilli, de.it.press 9

 

 

 

La violenza sulla donna. Orrore senza confini

 

La triste storia di una giovane donna vittima di violenza collettiva

Nella società odierna, i casi di violenza sessuale rappresentano una ferita aperta che riflette gli aspetti più oscuri dell’umanità. Ancora più sconcertante è il fatto quando questa violenza viene perpetrata non da un individuo isolato, ma da un gruppo di persone che dovrebbero invece essere un baluardo di sicurezza e rispetto. Il recente caso di una giovane donna violentata da sette giovani uomini è una triste testimonianza di quanto sia profondamente radicata la cultura dell’aggressione sessuale e della degradazione umana.

Il caso, che ha fatto scalpore su scala nazionale, getta una luce cruda sulla violenza della donna e la misoginia ancora presenti nella nostra società. La vittima, una giovane donna che dovrebbe poter godere del suo diritto fondamentale alla sicurezza e all’autodeterminazione, si è trovata in una situazione inimmaginabile di terrore e impotenza. Il fatto che sette giovani, tra cui un minorenne, abbiano partecipato a questo atto di violenza evidenzia l’entità del problema e la necessità di affrontarlo con fermezza.

Tuttavia, mentre la condanna verso gli aggressori è quasi universale, è altrettanto importante indagare sul contesto sociale e culturale in cui tali eventi avvengono. La società gioca un ruolo fondamentale nel plasmare le norme e i valori che definiscono le relazioni tra i generi. Una cultura che normalizza l’oggettificazione delle donne e riduce il loro valore a mera sessualità contribuisce a creare un terreno fertile per la violenza di genere. È essenziale sfidare questa mentalità distorta e promuovere l’educazione e la sensibilizzazione per creare un ambiente in cui la dignità umana sia rispettata senza distinzioni.

Inoltre, il sistema legale deve rispondere con fermezza e tempestività a casi di violenza sessuale collettiva. Le leggi devono essere rigorose e applicate in modo equo per garantire che gli aggressori siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

Tuttavia, è altrettanto importante garantire che le vittime ricevano il sostegno di cui hanno bisogno, sia a livello legale che psicologico. Il trauma derivante da una violenza così atroce può avere effetti duraturi sulla vita delle vittime, e pertanto è essenziale fornire risorse per il loro recupero e la loro guarigione.

Il caso di questa ragazza violentata da sette uomini deve diventare un promemoria del lavoro che deve essere fatto per creare un ambiente in cui ciascun individuo sia rispettato, protetto e libero dalla paura di subire violenza. La strada da percorrere potrebbe essere lunga, ma è fondamentale per il progresso e la giustizia.

Per far fronte a questa sfida, è essenziale adottare un approccio multifattoriale che coinvolga tutti gli strati della società. Le istituzioni governative devono svolgere un ruolo di primo piano nell’attuare politiche e leggi che condannino senza ambiguità la violenza di genere e promuovano l’uguaglianza. I mezzi di comunicazione hanno la responsabilità di rappresentare le donne in modo rispettoso e non sessualizzato, contribuendo così a modificare le percezioni culturali radicate nel tessuto sociale.

Visto che l’istruzione è uno strumento fondamentale per creare un cambiamento a lungo termine, sarebbe opportuno introdurre l’educazione sessuale nelle scuole in modo completo ed equilibrato metodo che potrebbe aiutare a smantellare i miti dannosi e ad affrontare le problematiche legate alla sessualità in modo aperto e informato.

Inoltre, un altro punto importante sarebbe quello di promuovere il rispetto reciproco perché il consenso e la consapevolezza delle conseguenze della violenza può contribuire a creare una cultura di rispetto e responsabilità.

Rendere accessibili servizi di supporto psicologico, consulenza legale e rifugi sicuri per le donne in situazioni di pericolo è essenziale per garantire che le vittime possano fuggire da cicli di abuso e ricostruire le loro vite.

Infine, è fondamentale che gli uomini si uniscano alla lotta contro la violenza di genere. Gli uomini devono assumersi la responsabilità di sfidare i comportamenti tossici e le norme dannose che perpetuano la violenza.

Promuovere una mentalità maschile positiva che includa il rispetto, l’empatia e la promozione dell’uguaglianza di genere può contribuire a creare un ambiente in cui la violenza sessuale sia sempre più inaccettabile.

Nonostante siano state adottate misure significative per affrontare la violenza di genere e proteggere le donne, ci sono ancora molte sfide da affrontare per garantire una tutela completa e efficace.

In generale, affrontare la violenza sulle donne richiede uno sforzo combinato di legislazione forte, educazione, sensibilizzazione e cambiamento culturale.

È un processo che richiede impegno a lungo termine da parte delle istituzioni, della società civile e dei singoli cittadini per creare un mondo in cui le donne possano vivere libere dalla paura di violenza.

La questione delle punizioni per i violentatori è complessa e solleva una serie di questioni etiche, giuridiche e sociali. Le pene dovrebbero essere proporzionate alla gravità del reato e dovrebbero fungere da deterrente per prevenire futuri casi di violenza. Le pene dovrebbero garantire la protezione delle vittime e prevenire il contatto futuro tra il condannato e la vittima.

La punizione da sola potrebbe non essere sufficiente a risolvere il problema della violenza sulle donne. È necessario un approccio multifattoriale che includa interventi legali, educazione, supporto alle vittime e cambiamenti culturali.

In ogni caso, la priorità dovrebbe essere quella di proteggere le vittime, prevenire futuri reati e lavorare verso una società in cui la violenza sulla donna sia una cosa del passato. Licia Linardi, CdI sett.

 

 

 

Chi siamo

 

Da quarantasette anni, ci occupiamo di volontariato informativo anche al servizio dei Connazionali in Germania. Ciò premesso, le nostre analisi non sono mai scontate e neppure, necessariamente, condivisibili.

 

 L’importante è che siano mezzo di informazione tra chi scrive e chi legge. Infatti, giudichiamo tale concetto tra i migliori per mantenere vivo il rapporto tra questo mensile e i suoi Lettori in Germania e nel mondo. Non a caso, c’è stato, più volte, chiesto chi rappresentiamo. Esponiamo solo lo spirito della libera informazione. Ci consideriamo, quindi, “ospiti” della testata che pubblicano i nostri scritti. Nulla di più.

 

 Per il resto, è più semplice scrivere ciò che non siamo. Ci interessa l’obiettività e l’imparzialità. Elogiare non è nel nostro stile e, ne siamo sicuri, se ci provassimo, sarebbe una pessima esperienza. Le informazioni, di qualunque matrice, le riportiamo nella loro sintesi e il commento, se ne vale la pena, lo inseriamo a valle  dei fatti che l’hanno originato.

Non abbiamo mai sentito l’esigenza di modificare il nostro modo d’essere. Ci attiva lo stimolo di informarci, per informare.

 

In buona sintesi, siamo ricambiati con la stima di chi ci legge. Che non è poco. Sicuri d’essere più utili senza le polemiche che, troppo spesso, fanno perdere il contenuto dei veri motivi del contendere. Lo facciamo da tanti anni e intendiamo continuare così. Giorgio Brignola. De.it.press

 

 

 

 

Governo-Ue, Paolo Gentiloni non replica a Giorgia Meloni e Matteo Salvini

 

Il commissario europeo per l'Economia, Paolo Gentiloni, non risponde alle critiche. La Commissione europea "non commenta i commenti" fatti da "partner, interlocutori, portatori d'interesse e altri", ha detto la vice portavoce capo della Commissione europea Dana Spinant, rispondendo, durante il briefing con la stampa a Bruxelles, alle critiche arrivate dal governo italiano a Gentiloni, dopo che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è augurata che accada più spesso che il commissario italiano abbia "un occhio di riguardo" per il proprio Paese.

E' ben noto "come i commissari europei rappresentano gli interessi europei. E lavorano sul proprio portafoglio in modo collegiale", ha aggiunto Spinant. La Commissione è un organo collegiale, che ha al suo interno anime diverse, sia dal punto di vista politico sia geografico: oltre a Gentiloni, c'è anche il lettone Valdis Dombrovskis, che è vicepresidente, è del Ppe ed è ritenuto molto vicino alla Germania. Le posizioni che un commissario esprime sono frutto di compromessi trovati tra le varie anime dell'esecutivo Ue.

COSA HA DETTO PREMIER MELONI

"I commissari europei, pur rappresentando le nazioni, quando sono commissari rappresentano l'Unione europea. Poi, da quando ogni nazione ha il suo commissario accade che questi tengano un occhio di riguardo verso la nazione che rappresentano. Penso sia normale e giusto e sarei contenta se accadesse di più anche per l'Italia", ha detto in conferenza stampa la premier Meloni, in riferimento alla polemica tra il vicepremier Matteo Salvini e il commissario Ue Paolo Gentiloni.

COSA HA DETTO SALVINI

"Ogni tanto ho avuto l’impressione di avere un commissario italiano che giocava con la maglia di altre nazionali”, ha detto Matteo Salvini durante l’evento sull’acqua organizzato dal 'Tempo' a Palazzo Wedekind, riferendosi, senza nominarlo, all'unico esponente italiano nell'esecutivo Ue, ossia quello agli affari economici e monetari Paolo Gentiloni. Adnkronos 8

 

 

 

L’incoerenza della politica nelle scelte della Premier

 

Per alcuni la politica è l’incoerenza dettata dalle convenienze, ovvero il politico dimentica quasi sempre l’ideologia in cui è cresciuto, per fare affermazioni diverse dal suo pensare, in linea con il pubblico che lo ascolta, assecondandolo con l’umore del momento.

Quello che conta per il politico è conquistare il potere e conservarlo il più possibile, quindi è quasi del tutto inutile meravigliarsi delle incoerenze dei politici, a cominciare da quelle della nostra Premier.

Il bilancio di un anno di governo non è dei migliori; la Meloni si è adattata completamente alla logica dell’Unione Europea, dopo averla denunciata come la causa dei nostri problemi, quando tuonava dai banchi dell’opposizione.

Anzi il suo governo lavora ad una legge di bilancio che terrà in “dovuta considerazione” le osservazioni della Commissione Europea: così si è espresso il Ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto.

A chi le chiedeva maggiori investimenti sulle politiche sociali, sempre la Premier ha risposto che non ci sono “le coperture” ma non si era fatta paladina dei bisognosi in epoche passate?

Per non parlare poi della politica migratoria dove non si parla più di uso delle navi da guerra e conseguente “blocco navale” per fermare i migranti ma si cerca l’accordo, discutibile sul piano dei diritti umani, con i governi del Mediterraneo, in primis la Tunisia.

Sull’incoerenza, non c’è molto da aggiungere, tranne che l’elettorato fedele alla Meloni, che per il momento è quello maggioritario, appare confuso, frastornato, critico nei confronti di un governo lontano dal mantenere le promesse elettorali che vanno sempre tenute a mente se si vuole conservare il potere raggiunto. E’anche vero che il politico al governo di un Paese come il nostro, è soggetto a vincoli materiali indifferibili come accade per la legge di bilancio che, se non rispetta i dettami dell’Eurozona, può provocare l’immediata reazione dei mercati finanziari, prima ancora di quella degli altri governi che condividono con il nostro Paese la moneta comune.

L’Italia è un Paese altamente indebitato che non spaventa gli investitori stranieri, tanto che la maggioranza del capitale delle nostre banche è di azionisti stranieri, quindi rivendicare la decisione di tassare gli extra-profitti delle banche come ha fatto la Premier in una recente intervista, non ha molto senso, visto che era già ridimensionata prima ancora di essere formalizzata.

Nel campo poi della politica migratoria, le promesse fatte in campagna elettorale sono andate deluse; gli sbarchi sono triplicati e poiché l’Italia è caratterizzata da un declino demografico  incessante, nell’ultimo decennio la popolazione è diminuita di un milione e mezzo di persone, Confindustria aveva a suo tempo stimato la necessità di 800.000 lavoratori per mantenere in piedi il sistema produttivo, il governo Meloni   ha approvato un decreto che regolarizza  l’immigrazione legale a 830.000 nuovi immigrati per i prossimi tre anni e per lo stesso periodo di tempo a 452.000 per gli stagionali.

Dunque la dura realtà anche questa volta  ha vinto sull’ideologia e il vero politico dimostra la sua sagacia, solo quando sa adattarsi alle condizioni in cui si trova ad operare. 

La politica non è un mercato e il politico non è un imprenditore e gli elettori non sono dei consumatori di prodotti. Le scelte di un capo di governo, quando si trasformano in leggi o in regolamenti, sono vincolanti per tutti i cittadini anche per quelli che non hanno votato chi è al governo. Sarebbe il caso di spiegare a tutti gli italiani le ragioni del cambiamento della propria linea politica, perché la democrazia vive di trasparenza e non di ambiguità o cinismo. Cambiare le scelte politiche senza spiegare il perché, rende sterile e inaffidabile il discorso politico di qualsiasi governante. Angela Casilli, de.it.press 9

 

 

 

 

Lo scontro tra governo e magistratura

 

È destinato a lasciare una crepa nella democrazia la polemica tra il governo e la magistratura dello scorso luglio. Sono bastate le vicende giudiziarie che hanno coinvolto la ministra Santanchè, il sottosegretario Delmastro e il figlio del presidente La Russa per determinare un duro botta e risposta tra i due poteri. Da una parte il governo, in un comunicato, ha accusato la magistratura di «schierarsi faziosamente nello scontro politico», dall’altra Santalucia – presidente dell’Associazione nazionale magistrati a cui appartengono 9.149 magistrati sui 9.657 in servizio – ha ritenuto la posizione del governo “pesantissima” che “delegittima” la magistratura e la colpisce “al cuore”.

In realtà, lo scontro di inizio estate è solo la goccia che fa traboccare il vaso di trent’anni di polemiche con due elementi nuovi: il vuoto lasciato da Berlusconi e la radicale riforma del ministro Nordio che prevede separazioni delle carriere, discrezionalità dell’azione penale e revisione del codice penale e di procedura penale.

Alcuni analisti la definiscono “una guerra a bassa densità”, iniziata nel 1992 con tangentopoli e proseguita con l’abuso degli avvisi di garanzia che condannano prima del processo e la minaccia del “tintinnar di manette”: immagine utilizzata al Csm da Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca presidente della Repubblica e dello stesso Csm. Erano gli anni dell’abolizione dell’immunità parlamentare, del decreto-legge “salva-ladri” dell’allora ministro Biondi e di alcune leggi approvate per limitare il potere giudiziario.

Il rapporto tra potere politico e magistratura inscritta nella Costituzione è come la vedetta sul ponte di comando di una nave per valutare la qualità e la vita della democrazia stessa. Sono l’armonia e l’equilibrio tra i poteri e il rispetto del principio di legalità in un Paese a indicare se l’idea di giustizia è condivisa. Quando, invece, un Paese inizia a dividersi sulle riforme della giustizia, sulle finalità e la cogenza della legge, sul rapporto tra la magistratura e gli altri poteri dello Stato, sul modo di riabilitare i detenuti, allora occorre ripensare, integrare o addirittura fondare di nuovo il significato di giustizia a partire dalle scuole e dal dibattito sociale. La lunghezza dei processi, l’imporsi di forme di giornalismo giustizialista e la situazione in cui versa il sistema carcerario italiano sono tra le conseguenze più evidenti di un modello di giustizia in crisi.

Eppure lo scontro potrebbe ridursi attraverso un dialogo istituzionale maturo, gestendo il potere non come una continua prova di forza ma come un servizio ai cittadini. La classe politica per non temere nulla basterebbe che garantisse credibilità, competenza e onestà. Alla stessa magistratura basterebbe rispettare la forma e la sostanza del mandato costituzionale per amministrare la giustizia con “disciplina e onore”, evitando, per esempio, le fughe di notizie o la strumentalizzazione degli avvisi di garanzia.

Per il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la via maestra per trasformare il potere della magistratura in servizio è il ritorno all’etica personale e professionale. Nei suoi nove discorsi alla magistratura è possibile ricavare sette princìpi guida: 1) anzitutto «coltivare l’etica del dubbio e rifiutare ogni forma di arroganza cognitiva»; 2) curare il rispetto e la correttezza quando si comunica; 3) rifiutare ogni forma di protagonismo e di individualismo giudiziario; 4) dare esempio di sobrietà nella condotta individuale; 5) rispettare il confine tra l’interpretazione della legge e la creazione arbitraria della regola; 6) rispettare la deontologia per la crescita professionale; 7) coltivare la dimensione etica per garantire il rispetto dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio, rispetto della dignità della persona. Francesco Occhetta,

Vita Past. sett.

 

 

 

Non solo la popolazione, anche la demografia delle imprese è in crisi

 

Nel secondo trimestre 2023, in Italia, si è verificata una diminuzione delle nuove imprese pari al 3,7%. Il dato Istat certifica la tendenza dei precedenti anni e riguarda quasi tutti i settori. Gli unici comparti in controtendenza sono l’industria in senso stretto (che ha registrato nuove registrazioni di impresa in una misura pari al +2,7%) e il commercio, che risulta stazionario in linea rispetto al primo trimestre di quest’anno.

I settori che hanno subito la maggiore contrazione sono il comparto dell’informatica e comunicazione (le nuove iscrizioni di impresa registrano un -8,5%) e quello delle costruzioni (nuove imprese -8% rispetto al trimestre precedente) su cui incide pesantemente la stretta sul Superbonus 110%.

Sono soprattutto i fallimenti delle imprese a generare la contrazione della densità commerciale in Italia, come spiega l’Istituto nazionale di statistica.

Le statistiche trovano conferma nell’ultimo e ottavo rapporto di Confcommercio su “città e demografia d’impresa” dove si legge che in 10 anni (tra il 2012 e il 2022) sono sparite oltre 99 mila attività di commercio al dettaglio e 16 mila imprese di commercio ambulante.

Nonostante ci sia stato anche un calo demografico, in questo lasso di tempo la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi ogni mille abitanti (un calo di quasi il 20% negli ultimi 10 anni).

Il presidente di Confcommercio Mariano Bella commenta così i dati: “complessivamente, la doppia crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato i trend di riduzione della densità commerciale già presenti prima di tali shock. L’entità del fenomeno non può che destare preoccupazione”.

La relazione tra demografia e imprese

Anche se al calo demografico di una popolazione non corrisponde necessariamente il calo demografico delle imprese, il primo può influenzare il secondo in diversi modi:

* Riduzione del mercato di riferimento: se la popolazione diminuisce, il mercato di riferimento dell’impresa potrebbe ridursi, con conseguente riduzione delle opportunità di vendita;

* Riduzione della domanda di lavoro: se la popolazione diminuisce, la domanda di lavoro potrebbe diminuire, con conseguente riduzione delle opportunità di lavoro per le imprese;

* Riduzione della concorrenza: se la popolazione diminuisce, può diminuire anche il numero di imprese concorrenti, con conseguente riduzione della concorrenza in un determinato settore;

* Cambiamenti nelle tendenze di consumo: se la popolazione diminuisce, possono verificarsi cambiamenti nelle tendenze di consumo, con conseguente necessità per le imprese di adattarsi a queste nuove tendenze;

* Riduzione delle opportunità di mercato: se la popolazione diminuisce, possono ridursi anche le opportunità di mercato per le imprese, con conseguente riduzione delle opportunità di crescita

Come sottolineato, il calo delle imprese è proporzionalmente maggiore rispetto al calo demografico: questa situazione si verifica anche perché non conta solo quante persone ci siano in uno Stato, ma la loro età. Una popolazione più anziana genera meno consumi e, al tempo stesso, non costituisce domanda di lavoro. L’aumento dell’età media della popolazione italiana è il risultato del calo delle nascite contestuale all’innalzamento della speranza di vita. Il numero di ultranovantenni passerà dagli attuali 820.000 a 2,2 milioni nel 2070 e già oggi in Italia quasi una persona su 4 è over 65 (il 24,1%).

In definitiva, la crisi delle nascite sottrae linfa vitale al sistema economico, generando un circolo vizioso dove l’inverno demografico della popolazione genera l’inverno demografico delle imprese italiane. Adnkronos 9

 

 

 

I muri

 

Quando si vuole “isolare” una parte da un’altra, s’ipotizzano dei muri. Strutture solide, ma che potrebbero essere anche ideologiche, varate per impedire il superamento fisico di un confine o per limitare un certo ordine di “pensiero”. Da noi, ora, è più che palese. Qui la Pandemia non ha pregio.

 

 In Italia, in modo più generale di quanto potrebbe apparire, ci troviamo di fronte a muri di questo tipo. Insomma, i “muri”, concreti o ideologici, servono per dividere, sempre e comunque.

 Dopo la caduta del muro di Berlino nel novembre 1986 e il successivo crollo del comunismo internazionale, i “muri” sono tornati d’attualità anche in Italia e con gli stessi scopi di quelli già in essere nel secolo scorso. Molto meno visibili fisicamente, ma tragicamente presenti.

 

La Democrazia non può essere cinta da “muri” né fisici, né ideologici. Ci sono realtà da verificare e dottrine da raffrontare. Senza questa premessa, i “muri” tendono a dividere senza chiarire le cause per le quali sono stati voluti. La storia, purtroppo, l’ha, più volte, evidenziato. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Criminalità minorile: la nuova “Zes” per il Sud e il rinvio blocco dei diesel euro 5

 

Sono tre i decreti legge approvati dall’ultimo Consiglio dei ministri. In primo piano le “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, poi il “decreto Sud” con l’introduzione di un’unica Zona economica speciale che coinvolge l’intero territorio delle regioni meridionali, mentre il terzo decreto, che interessa in particolare il Piemonte, rinvia al 1° ottobre 2024 il blocco della circolazione delle auto diesel euro 5 - Stefano De Martis

 

Sono tre i decreti legge approvati dall’ultimo Consiglio dei ministri. In primo piano quello innescato dai terribili fatti di Caivano, che sono diventati anche l’occasione per varare più ampie “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile” (questo il titolo del provvedimento), estese all’intero territorio nazionale. Nell’articolato ci sono quindi interventi specifici sulla situazione di Caivano, a partire dalla nomina di un commissario (che sarà il dirigente medico della polizia di Stato Fabio Ciciliano) chiamato a gestire gli investimenti straordinari previsti in tutti gli ambiti, da quello repressivo a quello educativo scolastico, a quello dell’attività sportiva, con l’idea di farne un modello di riscatto replicabile anche in altre situazioni di degrado grave. Molto diversificata e complessa la maglia degli interventi previsti a carattere nazionale, con la sempre doverosa precisazione che bisognerà attendere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per avere elementi assolutamente certi sulle norme introdotte. Tra gli elementi in evidenza la previsione anche del carcere per i genitori inadempienti rispetto all’obbligo scolastico dei figli. Aumentano le possibilità per applicare la custodia cautelare tra i 14 e i 18 anni, con l’abbassamento da 9 anni a 6 dei limiti di pena che consentono questa misura e con l’arresto in flagranza anche per spaccio di droga di lieve entità e per altre fattispecie ora non previste. Previsti percorsi di rieducazione, contemplando anche l’impegno gratuito in lavori socialmente utili.

Si allarga notevolmente l’ambito di applicazione dei provvedimenti di allontanamento (i cosiddetti “daspo”), sia per quanto riguarda gli ambiti che i reati implicati e con l’estensione fino ai 14 anni per il cosiddetto “Daspo urbano”.

Viene valorizzato l’istituto dell’ammonimento da parte del questore, che consente di convocare con il minore anche uno dei genitori, e questo vale anche per i minori compresi nella fascia 12-14 anni. Per i minori dai 14 anni in su, raggiunti da avviso orale da parte del questore e condannati anche in via non definitiva per una serie di reati gravi, può essere disposto il divieto di possesso e utilizzo dei cellulari e di piattaforme online.

Chi è vittima di un reato consumato su internet può chiedere l’oscuramento o la rimozione dei propri dati e può rivolgersi al Garante della privacy se chi deve provvedere non lo fa tempestivamente. In un’ottica di contrasto alla fruizione del porno su internet da parte di minori si potenziano la presenza e la riconoscibilità del parental control su tutti gli strumenti, con un accompagnamento di formazione e informazione per i genitori.

Per quanto riguarda mondo della scuola, il decreto opera nell’ambito del piano Agenda Sud che coinvolge oltre duemila istituti nel Mezzogiorno e si pone tra l’altro l’obiettivo di estendere il tempo-scuola e il tempo pieno.

Nel secondo decreto – ribattezzato “decreto Sud” – spicca l’introduzione di un’unica Zona economica speciale che coinvolge l’intero territorio delle regioni meridionali in luogo delle otto parziali Zes finora operanti. Prevista una revisione complessiva della programmazione e della gestione del Fondo sviluppo e coesione e l’implementazione della Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne. Un investimento straordinario è destinato a Lampedusa.

Il terzo decreto, che interessa in particolare il Piemonte, rinvia al 1° ottobre 2024 il blocco della circolazione delle auto diesel euro 5. Sir 8

 

 

 

Calano ancora le nascite, ma l’inverno demografico dell’Italia arriva da lontano

 

Nel primo quadrimestre del 2023 le nascite sono scese dell’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2022 segnando 117.857 nuovi nati a fronte dei 119.185 del primo quadrimestre dello scorso anno, con una differenza di 1.328 nascite.

Anche se il calo è lieve, i dati dell’aggiornamento Istat continuano nel solco del 2022, anno in cui si è registrato il record minimo di nascite (393.000, per la prima volta sotto la soglia psicologica dei 400.000 nella storia dell’Italia unita).

Allargando l’orizzonte dell’analisi emerge che i nuovi nati nel primo quadrimestre 2023 sono ben il 10,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. L’andamento di questo periodo rispecchia quanto accade ormai dal 2008, l’ultimo anno in cui l’Italia ha registrato un saldo positivo delle nascite.

Anche per effetto della pandemia, nel solo triennio 2019-2022 l’Italia ha perso quasi un milione di persone (957mila unità).

Cresce la speranza di vita

Coerentemente con le tendenze demografiche consolidate, l’età media degli italiani sta aumentando anche grazie a una decisa inversione di tendenza per quanto riguarda i decessi: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno rispetto allo stesso periodo 2022, 42mila in meno rispetto al primo quadrimestre 2020 e quasi 2mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.

Nel 2022 la speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne; solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più.

Nonostante il Covid abbia colpito soprattutto gli anziani e negli ultimi tre anni siano morte oltre 2 milioni e 150mila italiani di cui l’89,7% con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione prosegue: l’età media della popolazione è passata da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023, quando la popolazione over 65 costituisce il 24,1%.  In pratica, in Italia quasi una persona su 4 ha più di 65 anni.

Aumentano anche gli ultraottantenni che rappresentano il 7,7% della popolazione italiana, mentre è record di ultracentenari che al 1° gennaio 2023 sfiorano la soglia delle 22mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente.

Dall’inizio degli anni Duemila, grazie a un incremento di oltre 17 mila persone, il numero di ultracentenari in Italia è triplicato. I dati Istat evidenziano come gli ultracentenari siano per la maggior parte donne, con percentuali superiori all’80% dal 2000 ad oggi. Il Centro e il Nord presentano una proporzione di ultrasessantacinquenni leggermente più alta di quella nazionale, rispettivamente pari al 24,7% e al 24,6%. Nel Mezzogiorno tale proporzione è invece del 23,0 per cento. Gli ultraottantenni costituiscono l’8,2% della popolazione totale nel Nord e nel Centro e il 6,8% nel Mezzogiorno.

La preoccupante dinamica demografica è riassunta molto bene da un dato: secondo le previsioni Istat, nel 2041 la popolazione degli ultranovantenni segnerà un +69,4% rispetto al 2021, superando quota 6 milioni.

Dati e riflessioni sulla fecondità

Mentre una fascia ristretta come quella degli ultrasessantacinquenni è sempre più presente e rappresenta il 24,1% della popolazione, quella molto ampia tra i 15 e i 64 anni risulta in diminuzione e rappresenta il 63,4% della popolazione totale con 37 milioni e 339 mila persone. I ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila, ovvero il 12,5% della popolazione italiana.

Passando all’analisi della fecondità, si aprono alcuni spunti di riflessione. Nel 2022 la fecondità è tornata ai livelli del 2020 (1,24 figli in media per donna), anche se al di sotto del periodo pre-pandemico (1,27 nel 2019). Si discute sempre più frequentemente di questo tema, spesso presentandolo come una assoluta novità nel panorama demografico italiano.

In realtà la persistente bassa fecondità è uno dei tratti distintivi dell’evoluzione demografica del nostro Paese: è dalla metà degli anni Settanta che il numero medio di figli per donna è sceso sotto la soglia di 2,1, valore che sancisce un teorico equilibrio nel ricambio generazionale e la diminuzione è stata continua, fino al minimo storico di 1,19 figli per donna del 1995.

Si noti che, nonostante quest’ultimo dato dimostri una fecondità più bassa di quella attuale, spesso la crisi demografica attuale viene imputata semplicemente ai giovani che non vogliono fare figli. Eppure, se il numero medio di figli per donna è più alto oggi che nel 1995, appare discordante cercare negli ultimi mesi e nelle scelte dei giovani la principale causa della crisi demografica.

Come rileva l’Istat, infatti, il vero nodo è il cosiddetto effetto struttura: a incidere pesantemente sul numero delle nascite è la diminuzione delle donne in età fertile, non le scelte delle stesse. L’effetto struttura, spiega l’istituto, è responsabile per l’80% del calo complessivo di circa 27 mila nascite effettivamente osservato tra il 2019 e il 2022, solo il restante 20% si deve alla minore fecondità registrata negli ultimi anni (da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022).

Infatti, se nel 2022 le donne avessero avuto la stessa fecondità osservata nel 2019, si sarebbe avuto comunque un calo di circa 22 mila nati, attribuibile interamente alla minore numerosità e alla composizione per età delle donne.

Dunque, le radici dell’inverno demografico italiano affondano nella seconda metà degli anni Novanta quando si è passati dal baby boom del 1964 con oltre un milione di nascite alle 526 mila nascite del 1995.

L’erosione del contingente dei potenziali genitori si deve proprio a questa evoluzione storica della fecondità: nel passaggio di un ideale testimone tra una generazione di genitori (i nati del baby boom) e quella dei loro figli (i nati della metà degli anni Novanta) i contingenti si sono pressoché dimezzati. La fecondità ha poi ripreso ad aumentare, arrivando al massimo relativo di 1,44 figli per donna del 2010 sostenuto, in gran parte, dalle nascite con almeno un genitore straniero, arrivate a costituire circa 1/5 del totale dei 562 mila nati del 2010.

Successivamente, dopo le crisi del 2008 e del 2011-2012, è iniziata una nuova fase di rapida diminuzione delle nascite e del numero medio di figli per donna.

In conclusione, come spesso accade, è sbagliato cercare esclusivamente nel proprio tempo le cause delle tendenze, positive o negative che siano. Solo un’analisi equilibrata, ampia ed oggettiva può aiutare a comprendere le dinamiche attuali e a intervenire per migliorarle. Appare quindi condivisibile l’approccio politico che volge in parte al presente, riconoscendo il ruolo fondamentale dell’immigrazione per il futuro demografico italiano e in parte al futuro, con le politiche statali e regionali che incentivino la natalità. Adnkronos 5

 

 

 

 

“Bel Paese. L'arte italiana si promuove nel mondo”: al via il nuovo progetto del MiC

 

ROMA - 6 città italiane, 60 artiste/artisti, 30 curatrici/curatori internazionali saranno coinvolti nei prossimi tre anni nel nuovo programma di networking internazionale “Bel Paese. L'arte italiana si promuove nel mondo”, promosso dal Ministero della Cultura per il tramite della Direzione Generale Creatività Contemporanea e dal Comitato Fondazioni Arte Contemporanea.

L’iniziativa, presentata in luglio al Collegio Romano, nasce nell’ambito del Protocollo di Intesa siglato a luglio del 2021 dallo stesso Ministero con il Comitato Fondazioni Arte Contemporanea con l’obiettivo di promuovere l’internazionalizzazione dell’arte italiana nell’ambito di una virtuosa partnership pubblico/privato.

Dopo la nascita dell’Italian Council, l’interazione tra il Comitato e il Ministero prosegue, dunque, con “Bel Paese” nella definizione e attivazione di processi comuni, atti a valorizzare la ricerca artistica contemporanea italiana nel contesto culturale internazionale.

“Bel Paese” si pone in continuità e come evoluzione del progetto Grand Tour d’Italie, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea con la collaborazione di alcuni dei principali network di residenze italiani per tre edizioni (2016, 2018, 2019) con l’intento di promuovere la mobilità e le relazioni tra artisti italiani mid-career con curatori e direttori di residenze artistiche e centri d’arte contemporanea internazionali. Come in quel caso, “Bel Paese” vuole dare la possibilità ad artiste e artisti italiani di entrare in contatto con alcune delle figure professionali delle più prestigiose realtà internazionali d’arte contemporanea, al fine di creare occasioni di collaborazione e opportunità di sviluppo della carriera attraverso percorsi di promozione e valorizzazione della propria ricerca all’estero.

In quanto progetto strettamente dedicato alla promozione internazionale della cultura contemporanea italiana, “Bel Paese” si inserisce nell’ambito dei principali obiettivi strategici della Direzione Generale Creatività Contemporanea e del Ministero della Cultura e, in tal senso, è uno dei progetti di punta sostenuti dal Fondo per il potenziamento della promozione della cultura e della lingua italiana all’estero per il triennio 2022-2024 nell’ambito delle azioni di diplomazia culturale messe in atto con la Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale.

Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si è detto oggi “felice che questo importante progetto per la promozione internazionale di artisti italiani parta da Napoli e Torino, due città per diversi aspetti capaci di interpretare al meglio la propria identità e la propria relazione con il mondo attraverso il lavoro creativo. Abbiamo il dovere di costruire il passato del nostro futuro. Plasmare ora nuovi percorsi artistici, fatti di linguaggi inediti, che nascono da esigenze moderne e che ci conducono verso ambizioni che si rinnovano, significa lasciare ai posteri la memoria di quello che stiamo vivendo ed elaborando al giorno d’oggi. Ho sempre sostenuto la necessità di far fronte, soprattutto con i giovani, a questo dovere che si configura quasi come una responsabilità morale che abbiamo nei confronti delle future generazioni. Per questo continueremo a dare impulso all’arte contemporanea con iniziative e programmi come “Bel Paese”. In tale direzione stiamo procedendo per istituire annualmente la “capitale dell’arte contemporanea”, iniziativa da affiancare alla capitale della cultura e alla capitale del libro”.

Il Comitato Fondazioni Arte Contemporanea raccoglie le dimensioni sociali, culturali, estetiche del lavoro territoriale che da anni le fondazioni del Comitato valorizzano e condividono, sviluppando un processo collettivo di sostegno dell’arte italiana attraverso le proprie risorse e attività scientifiche. Il progetto “Bel Paese” si pone a supporto delle iniziative di diplomazia culturale messe in atto dal Ministero della Cultura con l’obiettivo di costruire nuove relazioni culturali connesse all’arte contemporanea attraverso figure istituzionali di esperti internazionali invitati ad approfondire la ricerca contemporanea italiana.

“A nome di tutti i membri del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea”, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, si è detta anche lei “felice di condividere con la Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura questo importante percorso a sostegno delle artiste e degli artisti italiani. Bel Paese immagina e costruisce una nuova metodologia culturale che intende espandere i confini dell’arte contemporanea italiana, rafforzandone la ricezione e instaurando relazioni in una costellazione di network d’eccellenza internazionali”.

Nei prossimi tre anni “Bel Paese. Promoting Italian Art Around the World” coinvolgerà 6 città italiane, 60 artiste/artisti, 30 curatrici/curatori internazionali.

Le città scelte sono, per vocazione pubblica, laboratori urbani che integrano riflessività critica e fenomeni globali generando processi socioculturali di inclusione, ascolto, costruzione di nuove strategie determinati a riformulare e implementare il rapporto tra arte contemporanea e società. Nel 2023, per la sua prima edizione, le città coinvolte sono Napoli (10-11-12 luglio 2023) e Torino (22-23-24 settembre 2023), due centri che incorporano un dialogo interculturale tra Mediterraneo ed Europa volto al rafforzamento di valori, pratiche, principi pubblici che fanno dell’arte e della cultura italiane uno strumento globale aperto per rinsaldare la pace, favorire l’eguaglianza socioeconomica, sostenere i diritti di tutte le comunità umane.

Sedi ufficiali delle attività scientifiche e degli incontri di “Bel Paese” saranno la Fondazione Morra Greco a Napoli e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino.

A Napoli, le artiste e gli artisti selezionati sono: Francesco Arena, Stefano Arienti, Betty Bee, Jacopo Benassi, Giulia Crispiani, Caterina De Nicola, Adji Dieye, Raffaella Naldi Rossano, Lina Pallotta, Giulia Piscitelli.

Le curatrici e i curatori internazionali sono Michelle Cotton (Mudam, Luxembourg), Joao Laia (KIASMA, Helsinki), Claudia Segura (MACBA, Barcellona), Fabian Schöneich (CCA, Berlino), Milan Ther (Kunstverein, Amburgo).

Le presenze a Torino sono in via di definizione e saranno rese note in un successivo momento.

Le artiste e gli artisti invitati sono stati selezionati tra le voci italiane considerate più interessanti in questo momento da un comitato curatoriale composto da Anna Mattirolo e Stefano Collicelli Cagol, così come i curatori e le curatrici delle istituzioni internazionali sono stati scelti tra i più rappresentativi a livello europeo e internazionale.

Il gruppo di coordinamento e operativo del progetto, espressione dello Steering Committee istituto dal Protocollo di Intesa tra il Ministero e il Comitato Fondazioni, è composto da: Fabio De Chirico, dirigente del Servizio II - Arte contemporanea, e Matteo Piccioni per la Direzione Generale Creatività Contemporanea; Raffaella Frascarelli e Olivia Fortini per il Comitato Fondazioni Arte Contemporanea. (aise/dip 6)

 

 

 

 

Giovani italiani ‘bamboccioni’? Lasciano casa a 30 anni, la media in Europa è 26,4

 

In media i giovani europei lasciano la casa dei genitori a 26,4 anni; in Italia a 30 anni. Solo i giovani in Croazia (33,4 anni), Slovacchia (30,8), Grecia (30,7), Bulgaria, Spagna (entrambi 30,3) e Malta (30,1) vanno a vivere da soli più tardi di quelli italiani.

I dati Eurostat 2022 hanno registrato le età medie più basse in cui si lascia casa, tutte sotto i 23 anni, in Finlandia (21,3 anni), Svezia (21,4), Danimarca (21,7) ed Estonia (22,7).

Nell’arco di 10 anni, l’età media dei giovani che lasciano la casa dei genitori è aumentata in 14 Paesi dell’Ue, in particolare in Croazia (+1,8 anni), Grecia (+1,7) e Spagna (+1,6). Tra il 2012 e il 2022, l’età media europea è variata leggermente, con la più bassa di 26,2 anni registrata nel 2019 e la più alta di 26,5 registrata nel 2012, 2014, 2020 e 2021.

Le donne lasciano casa prima degli uomini

L’Istituto statistico europeo ha registrato un divario di genere abbastanza netto: in media, gli uomini lasciano la casa dei genitori quasi due anni più tardi delle donne: gli uomini all’età di 27,3 anni e le donne a 25,4 anni nel 2022. Nessun Paese europeo fa eccezione a questo divario, durante lo scorso anno le donne hanno lasciato casa prima degli uomini in tutti i 27 Stati membri. In Italia il gap rispecchia le proporzioni europee: le donne si trasferiscono a 29 anni, gli uomini a 30,9.

Solo in Croazia le donne hanno, in media, lasciato casa dopo i 30 anni. Al contrario, gli uomini si sono trasferiti dopo i 30 anni in 9 Paesi: Croazia, Bulgaria, Grecia, Slovacchia, Spagna, Italia, Malta, Slovenia e Portogallo.

In Finlandia le donne hanno lasciato casa dei genitori in media a 20,5 anni (gli uomini a 22,1), mentre il divario di genere più ampio è stato riscontrato in Romania, dove i giovani uomini hanno lasciato il Paese a 29,9 anni e le donne a 25,4 anni (gap di 4,5 anni), seguita dalla Bulgaria (divario di 4,1 anni), dove gli uomini hanno lasciato il paese a 32,3 anni e le donne a 28,2 anni.

I divari più ridotto sono stati registrati in Lussemburgo (0,5 anni), Svezia (0,6), Danimarca e Malta (entrambi 0,7) hanno registrato i divari più ridotti tra giovani uomini e donne che lasciano la casa dei genitori.

Età in cui i giovani lasciano casa in base al genere – Dati Eurostat

Perché gli italiani lasciano tardi la casa dei genitori?

Rispetto alla precedente rilevazione, relativa al 2021, l’età media in cui i giovani europei lasciano casa è lievemente diminuita (26,5 anni contro i 26,4 attuali), mentre quella italiana è di poco aumentata (29,9 anni contro i 30 attuali).

Molto eloquente è l’incremento che si è avuto dal 2010, quando i giovani italiani si trasferivano a circa 25 anni, al 2022, quota 30: negli ultimi 12 anni l’età media in cui gli italiani hanno fatto il passo verso la propria autonomia è aumentata di 5 anni.

La fatidica domanda “perché gli italiani lasciano casa sempre più tardi rispetto ai coetanei europei?”, ha diverse risposte:

* Stipendi troppo bassi

* Boom immobiliare

* Lunghezza degli studi

* Motivazioni sociali

La causa economica è quella che più impedisce ai giovani italiani di trasferirsi andando a pagare un affitto o un mutuo. L’Italia è l’unico Paese europeo dove gli stipendi sono diminuiti rispetto a 30 anni fa, mentre il boom immobiliare (secondo punto) non accenna ad arrestarsi.

Secondo gli ultimi dati resi disponibile dall’Agenzia delle Entrate sui contratti stipulati nel 2021, i canoni medi per tutte le tipologie di contratto di locazione sono aumentati del 5,8% rispetto al 2020 e del 5,2% rispetto al 2019. Analizzando dati più recenti, riportati dall’Osservatorio mensile di Immobiliare.it Insights, i canoni sono aumentati dell’1,3% da marzo ad aprile 2023 e di quasi il 6% rispetto al 2022. In un anno sono cresciuti del 4,9% a Roma, del 10,8% a Milano, 5,4% a Napoli, del 10,6% a Torino, del 5,9% a Palermo, del 5% a Genova, del 17,8% a Bologna, del 20,2% Firenze, del 14,1% a Venezia. Questi dati, insieme a quelli sugli stipendi, basterebbero per capire perché i giovani italiani lasciano casa sempre più tardi. Ma c’è dell’altro.

Il fatto che gli studi, in Italia, durino mediamente di più rispetto a quelli degli altri Paesi europei ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro e di conseguenza la possibilità di andare a vivere da soli.

Infine, c’è anche una matrice sociale che incide in una doppia direzione: come riporta l’Istat, nel 2021 il 62,7% dei 25-64enni italiani ha almeno un titolo di studio secondario superiore in Italia, contro il 79,3% della media Ue, l’84,8% della Germania e l’82,2% della Francia. Nella stessa fascia di età, anche la percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20%) è più bassa della media europea (33,4%) ed è circa la metà di quella registrata in Francia e Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).

Questo divario comporta una minore occupazione o degli stipendi più bassi, anche se in Italia il gap salariale è ancora molto ridotto e spesso non premia sufficientemente chi ha studiato di più. Il sistema italiano non è abbastanza premiante rispetto ai partner europei, non solo in relazione agli stipendi, ma anche per la ricerca stessa del lavoro: in Italia i tassi di disoccupazione si attestano al 28,7% tra i diplomati e al 15,6% tra i laureati, risultando superiori del 14% e del 6,8% rispetto alla media europea.

In definitiva, l’aspetto sociale degli italiani “bamboccioni” è di gran lunga il meno importante. Nonostante l’opinione pubblica diffusa anche all’estero, i motivi per cui gli italiani si trasferiscono tardi sono molto concreti e vanno ritrovati, ancora una volta, nel nostro sistema economico e di istruzione. Adnkronos 6

 

 

 

L’Italia altrove

 

L’Italia non ha bisogno di nuovi sacrifici proiettati in un’ottica che ben poco andrebbe a migliorare la realtà nazionale. Se i politici dovessero continuare a dare un’importanza marginale agli italiani che vivono altrove, si potrebbe verificare quell’effetto “boomerang” che molti in Patria hanno, da sempre, intuito. I Parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero, però, non hanno fatto nulla per aggiornare una legge sul voto già nata vecchia.

 

 Ovviamente, ci sono stati seguiti politici che hanno fatto slittare il cambiamento. Di ciò, dopo sessant’anni di giornalismo al servizio degli italiani che vivono altrove, prendiamo atto. Per migliorare ciò che riteniamo possibile, certe proposte dovrebbero maturare anche fuori d’Italia. Sempre che ci si creda veramente.

 

 Non è il caso d’aggiungere cenni personali. Chi vive oltre frontiera è già nelle condizioni per partecipare, più attivamente, al futuro della terra d’origine.

 Proprio sotto questo profilo, che riteniamo fondamentale, intendiamo fare chiarezza sullo “status” dei Connazionali nel mondo per coinvolgerli nelle decisioni che potrebbero cambiare il loro ruolo, che non è marginale, nella Penisola. Se lo scriviamo, significa che ci crediamo.

 

 Certe soluzioni, tuttavia, non dovrebbero essere prese senza una più approfondita analisi da parte di chi non vive in Italia; ma ne ha, a pieno diritto, la cittadinanza.

Gli Italiani “altrove” dovrebbero avere la stessa valenza politica che sollecitiamo, da tempo, anche nella Penisola. Particolarmente sotto il profilo della rappresentatività attiva. Ma, ancora una volta, non c’è peggior sordo di chi non ha l'intenzione di sentire. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Il divario di genere penalizza le donne anche nel lavoro, in Italia è doppio rispetto all’Ue

 

Per le donne lavorare è più difficile. Se poi hanno figli, la situazione è ancora peggiore. Nel mondo del lavoro infatti il divario di genere in Italia è molto ampio, il doppio rispetto al resto dell’Europa. Non che negli altri Paesi sia scomparso, ma lungo lo Stivale è particolarmente forte. Il 30,5% delle donne europee è inattivo, quasi il 10% in più degli uomini, oppure sono sottoccupate perché devono occuparsi della casa e della cura familiare, che ricade ancora pesantemente su di loro a causa di antichi retaggi.

In Europa dunque le donne lavorano meno degli uomini, ma non per colpa loro. Da un’elaborazione di Openpolis su dati Eurostat, risulta occupato l’80% dei maschi contro il 69,3% delle femmine. In sostanza, la differenza tra il tasso di occupazione nei due sessi è pari al 10,7%. Un dato medio che ‘nasconde’ differenze importanti tra i vari Paesi.

Il primato spetta alla Grecia con il 21% di differenza di genere rispetto al tasso di occupazione. L’Italia segue a ruota con 19,7% (il doppio rispetto alla media), sopra anche alla Romania che registra il 18,6%. All’altro estremo della classifica, ci sono invece i Paesi Scandinavi e baltici: in testa Lituania (0,8%) e Finlandia (1,2%) e a seguire Estonia (2,9%) e Lettonia (3,1%).

Il peso delle attività domestiche e di cura

Scardinare gli antichi retaggi che vogliono la donna chiusa nella dimensione familiare o il cui lavoro è ‘un di più’ sacrificabile rispetto all’uomo che ‘provvede alla famiglia’, non è una questione di principio ma anzi ha ricadute molto pratiche. Secondo i dati Ocse, citati da Openpolis, le donne impiegano mediamente 4,73 ore al giorno per il lavoro domestico e di cura, gli uomini 1,84 ore. Tralasciando che anche questo tipo di lavoro ha un valore economico quantificabile e che le donne lo svolgono in maniera del tutto gratuita, la sproporzione fra i carichi familiari si traduce nella difficoltà o impossibilità per loro di conciliare vita e lavoro.

E quindi in un tasso di occupazione inferiore e nel maggior ricorso al part time rispetto alla controparte maschile.

In questo contesto non è un caso, dunque, che le più penalizzate siano le donne con figli, per le quali l’equilibrio tra casa e impiego è ancora più complesso. Al contrario, gli uomini con prole sono maggiormente occupati: il 90,1% a fronte dell’81,1% di quelli che non ne hanno, inoltre lavorano meno frequentemente part-time.

Non è un caso nemmeno che, come risulta da una ricerca condotta per l’Economic Innovation Group, lo smart working favorisca la natalità. E che stimoli il desiderio di avere un figlio, aumentato del 10%, secondo l’indagine, nelle donne di età superiore ai 35 anni.

Un basso tasso di occupazione femminile non è un problema che rimane confinato alle mancate aspirazioni personali o all’importanza dell’indipendenza economica; piuttosto, ha effetti concreti a livello pubblico sul benessere delle nazioni e sulla natalità.

La ricerca condotta per l’Economic Innovation Group mostra infatti che un aumento della partecipazione delle donne al lavoro retribuito aumenta il PIL di un Paese, e che la parità di genere a livello globale riduce i conflitti violenti e aumenta la stabilità politica.

E la natalità?

La scarsa partecipazione al mondo del lavoro da parte delle donne non aiuta la natalità, anzi i Paesi con i tassi più bassi di occupazione femminile sono anche quelli con i minori tassi di fecondità.

In base ai dati Inps (analisi ‘Natalità e occupazione femminile: un confronto internazionale’), l’Italia con meno di 1,3 figli per donna è tra i Paesi meno fecondi d’Europa, insieme alla Spagna, mentre la Francia grazie a politiche ad hoc stabili è il Paese europeo col tasso più alto, 1,8 bambini per donna. E ha un divario del tasso di occupazione tra i sessi pari a 5,8%.

Non solo, ma in 22 Stati europei su 27 le donne con 3 figli hanno tassi di occupazione superiori a quelle italiane con un solo figlio. Ad esempio in Slovenia lavora l’82,8% delle madri con 3 figli tra 20 e 49 anni, in Portogallo l’80,4%, in Danimarca il 79,1% e in Svezia il 79%. I Paesi con le peggiori performance di natalità sono anche quelle con i minori tassi di occupazione femminile.

Fonte: Inps

L’Italia sta sprecando risorse importanti che potrebbero contribuire a generare ricchezza, crescita e benessere. Quello che manca, e lo dimostra l’esperienza della Francia, sono politiche specifiche che rendano possibile per le donne conciliare vita e lavoro. Investimenti, servizi all’infanzia (e per la cura degli anziani), maggior coinvolgimento degli uomini nelle attività domestiche: la soluzione per aumentare la natalità passa da qui, come confermato anche dalla ‘vox populi’ in diversi sondaggi, mentre penalizzare le donne che lavorano non porta nessun beneficio. Adnkronos 14

 

 

 

 

 

Che cos’è il RepowerEu

 

Il piano energetico europeo, da integrare nei Pnrr, prevede l’invio di risorse agli stati membri per finanziare progetti sull’energia. Lo scopo, tra gli altri, è quello di ridurre al minimo la dipendenza europea dalle importazioni russe.

Definizione

Per fare fronte alla crisi energetica causata dalla guerra tra Russia e Ucraina, l’Unione europea ha avviato un nuovo programma energetico. È il RepowerEu che, entrato in vigore lo scorso marzo con il regolamento 2023/435, prevede nel breve termine i seguenti obiettivi:

Per finanziare gli interventi, i paesi potranno ricorrere a una parte delle risorse già destinate ai Pnrr, oltre ad altre fonti di finanziamento come le risorse per le politiche di coesione, il fondo europeo per l’innovazione, misure fiscali nazionali e investimenti privati.

Per accedere ai fondi, è necessario che gli stati inseriscano un nuovo capitolo all’interno dei rispettivi piani nazionali, che dovrà prevedere sia investimenti che riforme. Possono essere introdotte nuove misure ma è possibile anche riformularne alcune già presenti, tenendo presente che devono essere poi cambiate anche le relative scadenze. Questi fondi possono inoltre finanziare dei progetti già in essere avviati prima del 1 febbraio 2022.

Un altro aspetto importante di questo piano è il suo carattere transnazionale. È infatti necessario che gli stati membri, nel presentare le modifiche dei relativi Pnrr, specifichino la dimensione e il coinvolgimento dei territori al di fuori dei confini nazionali attraverso queste misure. Il 30% di quelle finanziate con il RepowerEu devono infatti avere degli impatti anche su altri paesi.

Dati

A livello europeo, il piano ha un valore di circa 20 miliardi di euro. Come per il dispositivo per la ripresa e la resilienza, questi fondi saranno veicolati in parte con prestiti e in parte con sovvenzioni.

Sono 15 finora i paesi che hanno inviato a Bruxelles la proposta di integrazione del Repower. L’Italia è stata l’ultima ed è in attesa di valutazione da parte della commissione europea. Mentre Estonia, Francia, Slovacchia, Malta e Irlanda hanno ricevuto l’ok sia dalla commissione che dal consiglio europeo.

Analisi

Questo piano può essere un’opportunità importante per gli stati membri ma presenta alcuni aspetti critici. Innanzitutto, il focus principale dell’Unione sembrerebbe, quantomeno nel breve periodo, quello di trovare nuovi paesi da cui importare energia per rendersi indipendenti dalla Russia.. Questo potrebbe ridurre l’impegno nell’implementare invece nuove soluzioni più sostenibili.

Ci possono essere delle criticità nelle nuove catene di importazione di energia.

Inoltre alcuni di questi potenziali fornitori sono paesi con regimi dittatoriali o con forti instabilità politiche e quindi imprevedibili. Si tratta di stati che contraddicono in misura e modi diversi, quei valori che l’Europa dichiara di promuovere e difendere: democrazia, equità, diritti umani.

Inoltre, le infrastrutture per il gas potranno essere realizzate anche in deroga al principio del non arrecare danno significativo (do not significant harm) che viene invece seguito per tutti gli altri investimenti previsti all’interno del Pnrr. È comunque vincolante il parere favorevole della commissione europea.

Openpolis 4

 

 

 

Berlino: macchina per caffè espresso automatica italiana vince il premio DesignEuropa

 

Berlino - Due disegni e modelli eccezionali sono stati premiati nel corso della quarta edizione dei premi DesignEuropa, ospitata oggi dall’Axica Convention Center di Berlino. La macchina per caffè espresso completamente automatica, progettata da Vittorio Bertazzoni, Matteo Bazzicalupo e Raffaella Mangiarotti per la Smeg, ha vinto il premio per l’industria.

I premi DesignEuropa, organizzati dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), conferiscono un riconoscimento a progetti d’eccellenza che sono protetti come disegni e modelli comunitari registrati (DMC), nonché a figure di spicco del settore. Sono previste tre categorie di premi: il premio per le imprese piccole ed emergenti, il premio per l’industria e il premio alla carriera.

Il premio per le imprese piccole ed emergenti è stato assegnato a RemigoOne, un motore elettrico fuoribordo creato dalla designer slovena Ajda Bertok e realizzato in linea con i principi di innovazione e sostenibilità nel settore della navigazione. Seconda classificata in questa categoria è giunta l’impresa italiana Jarsty Srl con il suo progetto omonimo Jarsty, uno strumento che consente ai clienti di preparare, cucinare, conservare, trasportare e consumare facilmente i pasti in un unico contenitore.

Il premio alla carriera è stato conferito alla designer svedese Maria Benktzon.

“Abbiamo ricevuto quasi 700 candidature eccellenti da tutta l’Unione europea, in rappresentanza di una vasta gamma di settori”, ha spiegato la presidente della giuria, la designer francese Isabelle Vérilhac, ex presidente dell’Ufficio delle associazioni europee di disegni e modelli (BEDA). “Di conseguenza, selezionare un vincitore è stato un compito molto impegnativo. I vincitori di questa edizione incarnano il grande pensiero progettuale, la sostenibilità e la responsabilità ambientale del design europeo. I progetti che si sono aggiudicati i premi rappresentano perfetti esempi di estetica, emozione, funzionalismo, circolarità e inclusione nel design, oltre a dimostrare come quest’ultimo costituisca una risorsa fondamentale per le imprese innovative, sia grandi che piccole, in tutta Europa”.

I premi DesignEuropa, ha evidenziato il Direttore esecutivo dell’EUIPO, Christian Archambeau, “illustrano al meglio la creatività, l’innovazione e l’ingegnosità europee. Il design è il fulcro dell’Europa e abbiamo due eccellenti vincitori che ne dimostrano le potenzialità. I designer europei e l’industria del design, PMI comprese, contribuiscono allo sviluppo economico, sociale, culturale e ambientale”.

L’INDUSTRIA EUROPEA DEL DESIGN

Negli ultimi due decenni la protezione dei disegni e modelli ha segnato una svolta per le imprese. I settori ad alta intensità di disegni e modelli creano 26,8 milioni di posti di lavoro diretti nell’UE e contribuiscono al 15,5 % del PIL complessivo dell’UE.

L’EUIPO registra attualmente oltre 100 000 disegni e modelli all’anno e ha ricevuto oltre 1,6 milioni di DMC dall’aprile 2003, quando ha iniziato a gestire questo diritto di proprietà intellettuale.

La Germania è il paese leader nella protezione dei disegni e modelli a livello dell’UE, con più di 347 000 disegni e modelli complessivamente, seguita dall’Italia con 202 000. Per quanto riguarda il PIL e l’occupazione nei settori ad alta intensità di disegni e modelli, l’Italia vanta inoltre una percentuale più elevata (rispettivamente 17,3 % e 13,9 %) rispetto alla media dell’UE (15,5 % e 12,9 %).

In termini di rappresentanza di genere, da una recente relazione dell’EUIPO è emerso che nel 2021 solo il 26 % dei disegni o modelli registrati da titolari con sede nell’UE comprendeva una donna designer, un dato che si colloca al di sotto dei livelli di Corea del Sud, Cina e Stati Uniti.

I premi DesignEuropa sono diventati un appuntamento fisso nell’agenda internazionale dei disegni o modelli industriali. La quarta cerimonia di premiazione si è svolta oggi a Berlino, in collaborazione con il Ministero federale tedesco della Giustizia e l’Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi. Le edizioni precedenti dei premi DesignEuropa si sono tenute a Milano (Italia), Varsavia (Polonia) e Eindhoven (Paesi Bassi). Il premio alla carriera è stato conferito anche ad André Ricard, designer della torcia olimpica di Barcellona 1992, a Giorgetto Giugiaro, noto per le sue progettazioni iconiche di automobili, e a Hartmut Esslinger, ideatore dei disegni e modelli che hanno caratterizzato il marchio Apple. (aise/dip 5) 

 

 

 

Contro il tormentone “astensionista” di Fedez: “Gli italiani all’estero votano eccome”

 

Il capodelegazione meloniano all’Europarlamento e il senatore partono dalla hit estiva per costruire un video di campagna elettorale in vista delle europee del 2024

«Come tutti gli italiani all’estero l’anno prossimo non voterò» cantano insieme Fedez, Annalisa e Articolo 31 nel tormentone estivo Disco Paradise. Una frase che non è piaciuta al deputato europeo di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza e al suo collega di partito Roberto Menia. Il capodelegazione meloniano all’Europarlamento e il senatore partono da quella strofa per costruirci un video di campagna elettorale. Le elezioni europee di 2024 si avvicinano e i due, estrapolando la frase della canzone attaccano il rapper: «Non sappiamo se Fedez abbia davvero deciso di non votare alle elezioni europee dell’anno prossimo. Che ci frega, direte voi, un voto in meno per gli altri. Ma in fondo non è questo ciò che importa ora. Quello che ci interessa chiarire con questo video è che questa frase della canzone è semplicemente falsa». Fidanza e Menia, in un finto botta e risposta a distanza – uno si trova al mare, l’altro in montagna -, partono con la spiegazione: «È falsa in primo luogo perché non è vero che gli italiani all’estero non votano. Alle ultime elezioni politiche dello scorso anno più di un milione e 250 mila italiani residenti all’estero hanno esercitato il loro diritto di voto, il 26,4% degli aventi diritto».

Nella parte finale del video si esplicita poi l’intento propagandistico: «Insomma, alle importantissime elezioni europee del prossimo anno tanti italiani all’estero potranno decidere di votare per i membri italiani del Parlamento europeo, dal loro Paese europeo di residenza, stabile o temporanea che sia», afferma Menia. E Fidanza conclude: «A questo punto ci auguriamo che saranno davvero in tanti a farlo, così come ci auguriamo saranno tantissimi quelli che si recheranno a votare per dare più forza all’Italia in Europa. Con buona pace di Fedez e dei successi musicali dell’estate che, per carità, saranno anche dei piacevoli tormentoni, ma non sempre ci azzeccano».

In chiusura, il filmato mostra una carrellata di cinque uomini che dall’estero (Romania, Croazia, Francia) fanno sentire le loro voci: «Fedez, noi andremo a votare perché abbiamo l’Italia nel cuore, ci dispiace per te». LS 11

 

 

 

Nasce la “Piazza Estero” dell’associazione Schierarsi

 

ROMA - Si è costituita ufficialmente la “Piazza Estero” dell’Associazione Schierarsi, composta da italiani che risiedono, hanno vissuto o progettano di trasferirsi all’estero.

Schierarsi è un’associazione culturale fondata in Italia da Alessandro Di Battista, con l’obiettivo di coinvolgere gruppi di cittadini nella costruzione di proposte e progetti nell’interesse del Paese.

Il nome dell’associazione nasce dall’idea di assumere posizioni chiare su temi nazionali e globali. E la “Piazza Estero”, in questo senso, darà voce alle tematiche locali riguardanti gli italiani nel mondo, così come spiegato dall’Associazione stessa: “dalla difesa del diritto di rappresentanza degli italiani residenti all'estero alle modalità e tempistiche di rinnovo dei documenti, fino ad una globale riforma del voto all’estero. La nostra Piazza si occuperà anche di tematiche nazionali o globali, cercando di attingere dai Paesi che ci ospitano soluzioni che possano essere applicate in Italia su temi come il Lavoro, la Sanità, la Scuola, l’Unione Europea e le forme della democrazia”.

Piazza Estero è aperta a tutti e promuove un clima di rispetto reciproco, dialogo e collaborazione. Si svolgeranno regolarmente incontri in maniera virtuale, contattando via mail l’associazione all’indirizzo estero@associazioneschierarsi.it o sul profilo Facebook. (aise/dip 11) 

 

 

 

Una crepa nella soletta, chiuso il tunnel del San Gottardo: deviazioni e code

 

Da domenica interrotto il transito. L’ufficio svizzero delle strade: «Contiamo di riaprire entro la fine della settimana». Interrotta da agosto anche la linea ferroviaria dopo un deragliamento

È chiuso da domenica pomeriggio e probabilmente lo sarà per tutta la settimana il tunnel autostradale del San Gottardo. La chiusura è avvenuta a causa di un difetto tecnico alla soletta intermedia, in particolare per il distacco di parti del calcestruzzo e la presenza una crepa in una lastra della soletta in prossimità del portale nord. L’Ufficio federale svizzero delle strade (USTRA) ha fatto sapere che lavora a pieno ritmo per risolvere il problema e riaprire la galleria quanto prima. L’obiettivo è quello di riprendere la circolazione entro la fine della settimana.

Fino alla riapertura del tunnel, il traffico continuerà a essere deviato in gran parte sulla strada del San Bernardino (A13), sul Passo del San Gottardo e sul Sempione. In alcuni punti di questi percorsi possono verificarsi disagi alla circolazione, pertanto occorre calcolare tempi di percorrenza maggiori. I veicoli pesanti già in attesa di proseguire il viaggio presso i centri di controllo di Giornico (TI) e Ripshausen (UR) saranno trattenuti.

L’USTRA ipotizza che la causa dei danni sia una ridistribuzione tensionale nell’ammasso roccioso, che avrebbe comportato variazioni di spinta a livello locale e sollecitato la galleria nel tratto interessato, provocando la fessurazione della soletta intermedia e di conseguenza il distacco del calcestruzzo.

Anche il tunnel ferroviario di base del San Gottardo, aperto nel 2016, è attualmente chiuso al traffico passeggeri per un periodo indefinito, in seguito al deragliamento di un treno merci, lo scorso 10 agosto. Solo la canna est è percorribile per il traffico merci. Attualmente, circa 90 treni merci al giorno viaggiano attraverso il tunnel di base del San Gottardo, altri 15 sulla vecchia linea di montagna. Per motivi di sicurezza, i treni passeggeri circolano sulla vecchia linea e attraverso la galleria di valico. Le Ffs hanno ipotizzato una messa in funzione limitata all’inizio del 2024. Il ministro dei trasporti Albert Rösti lunedì 11 settembre a margine di una conferenza stampa sulla politica energetica, ha dichiarato di essere particolarmente colpito dai due avvenimenti verificatisi al San Gottardo nel giro di un mese. CdS 12

 

 

 

Al via il programma di Alta formazione della Farnesina per le Scuole italiane all’estero

 

ZURIGO – Si inaugura a Zurigo il programma di Alta Formazione ideato dalla Farnesina per gli studenti e i docenti delle Scuole italiane all’estero. L’obiettivo del programma è promuovere il modello formativo italiano, rafforzando l’offerta didattica con percorsi innovativi di alta formazione. I percorsi sono incentrati su materie di avanguardia, selezionate tra gli ambiti nazionali di eccellenza. Il tema scelto per la Scuola statale italiana “Casa d’Italia” di Zurigo è la Letteratura italiana per l’infanzia, che sarà oggetto di due seminari, organizzati con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo.

I seminari sono realizzati in collaborazione con Andersen – La Rivista e il Premio di libri per ragazzi, partner del Sistema della Formazione Italiana nel Mondo dal 2020. Saranno tenuti da Mara Pace (giornalista, traduttrice e docente) che, insieme al Direttore responsabile di Andersen Barbara Schiaffino, discuterà la valutazione e la selezione dei libri italiani per l’infanzia, il ruolo della letteratura italiana per ragazzi nella didattica, la lettura autonoma e condivisa, la bibliodiversità.

Maggiori informazioni sono disponibili ai seguenti link: Seminario “Lettori di ieri, letture di oggi” – Istituto Italiano di Cultura di Zurigo, 12 settembre 2023;  Seminario “Come scegliere i libri per bambini e ragazzi. Un viaggio tra albi illustrati, fumetti e narrativa” – Scuola statale italiana “Casa d’Italia”, Zurigo, 13 settembre 2023. (inform/dip)

 

 

 

La Via Maestra, in Italia e all’estero. La Filef alla manifestazione del 7 ottobre

 

E’ sotto gli occhi di tutti l’attacco sistematico ai principi fondanti della Repubblica nata dalla Resistenza. Un modello di democrazia e di società smantellato ormai da anni, con conseguenze drammatiche sul piano sociale e politico.

Lo Stato italiano ha abbandonato la sua bussola e ha abdicato al compito più alto indicato dalla Costituzione, quello di rimuove gli ostacoli di ordine sociale e materiale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’uguaglianza di tutti i cittadini, al contrario contribuisce al crearne di nuovi e ingigantisce quelli esistenti.

La cronaca di queste settimane ce lo ricorda in maniera impietosa: mancanza di lavoro, e quel poco che cé’ precario, con salari da fame e condizioni di sfruttamento inaccettabili. La distruzione del sistema di istruzione pubblica e della sanitá, l’abbandono di intere parti di Paese al proprio destino di desertificazione economica e sociale, le politiche di repressione delle lotte sociali e ambientali, la follia della partecipazione acritica alla guerra in Ucraina, i progetti di autonomia differenziata, che mirano ad aumentare a dismisura le disuguaglianze territoriali giá esistenti.

Tutto ciò ha avuto e sta avendo un impatto sui fenomeni migratori, interni ed esterni al nostro Paese. Circa 2.5 milioni e mezzo di italiani e italiane sono tornati ad emigrare dalla crisi del 2008-9. Flusso che non si è fermato nemmeno negli anni della pandemia da Covid-19.

Sono andati via giovani con competenze medie e elevate, ma anche famiglie, lavoratori e pensionati. Tutti in fuga da un Paese verso il quale hanno perso fiducia e che li costringe a cercare una vita migliore oltre confine. Migranti economici, chiamando le cose con il loro nome.

Un Paese che non si pone il problema delle perdite di preziose competenze ed energie su cui lo Stato ha investito e fa finta di non vedere anche gli effetti nefasti che ciò comporta sulla denatalitá e sullo sviluppo futuro dell’Italia.

Come diciamo da tempo, inascoltati, la vera emergenza del Paese non è infatti l’ immigrazione, come una certa propaganda miope vorrebbe far credere, ma l’ emigrazione di massa degli italiani.

Le politiche neoliberali degli ultimi 30 anni e la scelta consapevole del mondo politico e economico di lasciare l’Italia ai margini delle politiche di sviluppo globali, hanno creato la tempesta perfetta.

Un capitalismo straccione, che cerca di competere non in innovazione, ma sul dumping salariale e dei diritti. Che investe in inutili grandi opere, ma non nella cura dei territori.  Che abbandona in povertà assoluta milioni di persone, eliminando il reddito di cittadinanza, senza prevedere alternative efficaci.

Per combattere questa deriva  e riaffermare la necessità di un modello sociale e di sviluppo che riparta dall’attuazione della Costituzione,  per una ‘Europa e un mondo di pace e multipolare, per una politica di sviluppo armonico dell’Italia e dell’Europa  dove nessuno venga lasciato indietro,  la rete della FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie) aderisce e sostiene con forza la manifestazione del 7 Ottobre “La via Maestra” e supporterà convintamente tutte le iniziative che a livello europeo si svolgeranno a fine 2023 promosse dalla Confederazione Europea dei Sindacati.

Pietro Lunetto per il coordinamento nazionale della FILEF, EmiN 13

 

 

 

Mezzogiorno. 506 pensionati esteri hanno usufruito del regime fiscale agevolato

 

Roma - "Sono 506 i titolari di pensione estera che, dal 2019 a oggi, hanno beneficiato del regime fiscale offerto dalla legge 145/2018, il cosiddetto «ritorno dei pensionati». Nel 2021 la maggior parte dei beneficiari proveniva da Regno Unito (73), Germania (60), USA (35) e Belgio (34). L'Abruzzo è la meta di trasferimento preferita (88), seguita da Puglia (58), Sicilia (45), Sardegna (37) e Campania (23). Si registra una decisa tendenza di crescita, di circa il 470%, dal 2019 al 2021. In particolare, i beneficiari britannici si sono moltiplicati di oltre 7 volte, quelli tedeschi di quasi 6 volte e quelli americani di 5 volte.

Questi dati sono stati rilasciati oggi in Commissione Finanze durante la risposta ad una mia interrogazione sull’argomento indirizzata al Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ricordo che la legge 145/2018 ha introdotto un regime fiscale opzionale per i titolari di pensione estera che trasferiscono la residenza fiscale nei piccoli centri del Mezzogiorno.

In particolare la legge prevede la possibilità di scegliere il regime opzionale del 7% sulle pensioni o altri redditi esteri per 5 anni, a condizione di trasferire la residenza fiscale in un comune con non più di 20mila abitanti di una regione del Mezzogiorno, cioè Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia

Ringrazio i colleghi Centemero, Bagnai, Cavandoli e Gusmeroli per aver sostenuto questa mia interrogazione in Commissione Finanze ed il sottosegretario Lucia Albano per l’esaustiva risposta" - comunica l'On. Simone Billi, unico deputato della Lega per la Circoscrizione Estero-Europa e capogruppo in Commissione Esteri. Simone Billi 13* eventuali discrepanze tra i totali delle tabelle e quelli dichiarati nel testo dipendono dal fatto che, per ragioni di riservatezza, nei dati disaggregati non sono comunicate le frequenze minori di 3 unità. On. Billi, dip 14

 

 

 

La Consulta apre il bando per contributi alle Associazioni di emiliano-romagnoli nel mondo

 

Bologna - La Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel Mondo ha aperto in queste ore il Bando per contributi ad attività ordinarie delle Associazioni di emiliano-romagnoli nel mondo, le cui domande si potranno realizzare fino al prossimo 13 novembre.

Il bando concede finanziamenti per attività ordinarie delle Associazioni ER nel mondo, come per esempio attività culturali, corsi di lingua, organizzazione di eventi, allestimento stand per fiere e sagre, da realizzarsi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 2024.

Con questo bando l’Assemblea legislativa vuole promuovere la realizzazione di attività da parte delle associazioni e delle federazioni fra associazioni di emiliano-romagnoli nel mondo allo scopo di rafforzarne le strutture organizzative e le capacità attrattive anche nei confronti dei giovani, discendenti o di nuova emigrazione.

Il contributo regionale viene concesso in particolare per: Attività culturali; Corsi di lingua italiana; Organizzazione di eventi; Allestimento di stand in occasione di fiere e feste locali; Realizzazione di spazi per l’aggregazione giovanile; Sviluppo di attività aggregative e comunicative dell’associazione, anche attraverso l’uso di nuove tecnologie; Attività di divulgazione e informazione sulle opportunità del “Turismo delle radici”; Attività di divulgazione e conoscenza del fenomeno dell’emigrazione femminile; Attività sportive e ricreative anche in termini di aggregazione dei giovani emiliano-romagnoli residenti all’estero.

Il contributo regionale può arrivare fino ad un massimo di 3 mila euro per progetti presentati da un'unica Associazione ER nel mondo, e 6 mila euro per le Federazioni o partenariati composti da almeno n. 4 Associazioni ER nel mondo.

Le domande di partecipazione devono essere inviate a: consulta@postacert.regione.emilia-romagna.it  entro la data di scadenza. (aise 14)

 

 

 

 

 

Lampedusa ruft Notstand aus, Deutschland setzt Aufnahme aus

 

Die Zahl neu angekommener Geflüchteter in Lampedusa ist auf Rekordhoch. Das Erstaufnahmelager ist überfüllt. Bei der Ankunft spielen sich chaotische Szenen ab - ein fünf Monate alter Säugling ertrinkt. Deutschland stoppt indes die freiwillige Aufnahme von Geflüchteten aus Italien. Von Robert Messer, Christoph Sator und Anne-Béatrice Clasmann

 

Auf der italienischen Mittelmeerinsel Lampedusa kommen wieder jeden Tag mehrere Tausend Bootsgeflüchtete an. Innerhalb von 24 Stunden registrierten die Behörden am Dienstag mehr als 5.000 Menschen, wie am Mittwoch aus Zahlen des Innenministeriums hervorging. Die Nachrichtenagentur Ansa berichtete von mehr als 5.100 – so viele wie noch nie an einem einzigen Tag. In der Kommune Lampedusa, zu der auch die Nachbarinsel Linosa gehört, gibt es knapp 6.500 Einwohner. Mit rund 20 Quadratkilometern ist Lampedusa nur in etwa so groß wie die deutschen Nordseeinseln Amrum oder Langeoog. Italiens Vize-Regierungschef von der rechtspopulisitschen Lega-Partei, Matteo Salvini, hat Situation gar als „Akt des Krieges“ bezeichnet. In der Nacht auf Mittwoch kam es zu einem tragischen Unglück: Beim Versuch, ein erst fünf Monate altes Kind an Land zu bringen, fiel der Säugling ins Wasser und ertrank.

Die Insel zwischen Sizilien und Nordafrika gehört seit Jahren zu den Brennpunkten der Fluchtbewegung nach Europa. Die Situation am Dienstag war unübersichtlich, weshalb zunächst von 2.500 Ankömmlingen die Rede war. Nach einer Zeit, in der weniger Menschen auf der Insel landeten, muss Lampedusa wieder mit Tausenden Neuankömmlingen zurechtkommen. Nach Zahlen des Innenministeriums in Rom wurden seit Beginn des Jahres bereits mehr als 123.800 Menschen registriert, die auf Booten Italien erreichten – im Vorjahr waren es von Januar bis Mitte September 65.500. Sollte der Trend anhalten, könnte bis Ende des Jahres gar die Rekordzahl von 2016 übertroffen werden. Damals kamen 181.000 Menschen.

Diskussionen zwischen Deutschland und Italien

Der Umgang mit Geflüchteten sorgt auch für neue Diskussionen zwischen der Bundesregierung und der Rechtsregierung in Italien. Berlin setzte ein Programm zur freiwilligen Aufnahme von Geflüchteten aus Italien aus, wie das Bundesinnenministerium bestätigte. Zuerst hatte die „Welt“ berichtet. Ursprünglich hatte Deutschland zugesagt, 3.500 Asylbewerber aus besonders belasteten Staaten an Europas Außengrenzen im Süden zu übernehmen. Bislang wurden über den sogenannten freiwilligen europäischen Solidaritätsmechanismus 1.700 Schutzsuchende überstellt, damit sie in Deutschland ihr Asylverfahren durchlaufen.

Weitere Aufnahmen seien nun nicht mehr geplant, auch weil es bei der Rückübernahme von Geflüchteten nach den sogenannten Dublin-Regeln hakt, so das Ministerium. Diese Regeln sehen vor, dass Asylbewerber ihren Antrag – bis auf wenige Ausnahmefälle – im ersten EU-Land stellen müssen, in dem sie registriert wurden. Wer es dennoch in einem anderen Staat versucht, kann dorthin zurückgeschickt werden.

Lösung nicht auf nationaler Ebene

„Angesichts des bestehenden hohen Migrationsdrucks nach Deutschland verstärkt die anhaltende Aussetzung von Dublin-Überstellungen durch einige Mitgliedstaaten, auch durch Italien, die großen Herausforderungen, vor denen Deutschland zurzeit hinsichtlich seiner Aufnahme- und Unterbringungskapazitäten steht“, erklärte ein Ministeriumssprecher. Bis Ende August sind demnach erst zehn Dublin-Überstellungen nach Italien erfolgt. Rom sei informiert

„Einwanderung ist ein europäisches Problem“, schrieb Italiens Außenminister Antonio Tajani auf der Online-Plattform X (vormals Twitter). Es müsse unter Beteiligung aller EU-Länder gelöst werden. Auch EU-Parlamentspräsidentin Roberta Metsola betonte, die Lösungen lägen nicht auf nationaler, sondern nur auf europäischer Ebene.

So sieht es auch Clara Bünger (Linke). Die Aufnahme und Versorgung von Asylsuchenden ist eine gesamteuropäische Verantwortung, erklärte die Linkspolitikerin am Donnerstag. Doch die Bundesregierung tue das genaue Gegenteil. „Das ist fatal und zeigt, dass das Gerede von europäischer Solidarität nichts als eine hohle Phrase ist“ erklärt Bünger. Es sei kein Zufall, dass Salvini die Ankünfte der Geflüchteten als „Akt des Krieges“ bezeichnet hat. Die Bilder von Chaos und Überlastung spielten rechten Kräften in die Hände.

Situation nicht mehr tragbar

Lampedusa liegt 190 Kilometer von der tunesischen Küstenstadt Sfax entfernt, wo viele Flüchtlingsboote nach Europa starten. Immer wieder kommt es bei den hochgefährlichen Überfahrten zu Unglücken mit Toten. Bürgermeister Filippo Mannino bezeichnete die Situation als nicht mehr tragbar. „Vor diesem Hintergrund ist es unmöglich, eine angemessene Hilfe für die Migranten zu gewährleisten, trotz immenser logistischer Anstrengungen.“

Das Erstaufnahmelager mit Platz für rund 400 Menschen ist erneut überfüllt. Knapp 6.800 Geflüchtete befinden sich derzeit auf der Insel – die meisten im Lager. Mannino forderte, Boote mit Geflüchteten abzufangen und nach Sizilien oder aufs Festland zu bringen. Die Familie des ertrunkenen Kindes hatte sich aus dem westafrikanischen Land Guinea auf den Weg nach Europa gemacht. Die Mutter ist minderjährig. (dpa/mig 15)

 

 

 

Klima-Studie. Sechs von neun planetaren Belastungsgrenzen überschritten

 

Der Klimawandel nimmt Menschen ihr Lebensraum. Ein internationales Forschungsteam analysiert den Zustand der Erde anhand von neun Teilbereichen. Demnach sind sechs der neun Belastungsgrenzen überschritten, teilweise deutlich. Die Folge wird Flucht sein.

 

Die Ausbeutung des Planeten Erde durch den Menschen erzeugt immer größere Risiken. Einer Studie zufolge sind sechs von neun sogenannten planetaren Belastungsgrenzen bereits überschritten, zum Teil deutlich. „Die Erde ist ein Patient, dem es nicht gut geht“, wird Ko-Autor Johan Rockström, Direktor des Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK), in einer Mitteilung des Instituts zitiert. „Wir wissen nicht, wie lange wir entscheidende Grenzen derart überschreiten können, bevor die Auswirkungen zu unumkehrbaren Veränderungen und Schäden führen.“

Die Überschreitung einer planetaren Grenze markiere eine kritische Schwelle für erheblich steigende Risiken, erläutert Erstautorin Katherine Richardson von der Universität Kopenhagen: „Wir können uns die Erde als einen menschlichen Körper vorstellen und die planetaren Grenzen als eine Form des Blutdrucks. Ein Blutdruck von über 120/80 bedeutet zwar nicht, dass ein sofortiger Herzinfarkt droht, aber er erhöht das Risiko.“

Sicherer Bereich teilweise deutlich überschritten

Erstmals definiert wurden die planetaren Grenzen, die einen sicheren Handlungsraum für die Menschheit abstecken sollen, im Jahr 2009. Dabei handelt es sich um neun Teilbereiche wie etwa die Nutzung von Süßwasser, die Funktion des Biosphäre, das Klima oder die Aerosolbelastung der Atmosphäre. Nun analysierte das internationale Forschungsteam um Rockström und Richardson den Zustand aller neun Systeme.

Deutlich überschritten sei der sichere Bereich bei der globalen Erwärmung sowie bei der Unversehrtheit der Biosphäre, schreibt das Team im Fachjournal „Science Advances“ und verweist etwa auf das Artensterben und die Zerstörung von Lebensräumen. „Neben dem Klimawandel ist die Funktionsfähigkeit der Biosphäre die zweite Säule der Stabilität unseres Planeten“, sagt Ko-Autor Wolfgang Lucht vom PIK. „Und wie beim Klima destabilisieren wir derzeit auch diese Säule.“

Mikroplastik, Pestizide und Atommüll

Überschritten sei die Grenze auch im Bereich des Einbringens neuartiger Stoffe in die Umwelt – also dem Eintrag vom Menschen erzeugter chemischer Verbindungen wie Mikroplastik, Pestiziden oder Atommüll. Nicht ganz so kritisch sei die Situation beim Verbrauch von Süßwasser, doch auch hier sei die planetare Grenzen überschritten, heißt es weiter.

Derzeit noch im sicheren Bereich liegt demnach die weltweite Partikelverschmutzung der Atmosphäre, auch wenn in einigen Regionen wie etwa Südasien diese Grenze regelmäßig überschritten werde. Die Ozeanversauerung liegt nach der Definition der Forscher gerade noch im grünen Bereich, ebenso der Ozonabbau in der oberen Atmosphäre.

Hoffnung auf Besserung

Gerade aus dieser Entwicklung zieht das Team eine Hoffnung auf Besserung auch für andere Probleme: In den 1990er Jahren habe der Abbau der Ozonschicht die planetare Grenze überschritten. „Aber dank globaler Initiativen, die durch das Montrealer Protokoll erreicht wurden, wird dieser Grenzwert aktuell nicht mehr überschritten“, betont Richardson.

Für die Neubewertung der planetaren Grenzen nutzte das Forschungsteam zum einen aktuelle Studien, zudem simulierte es die Entwicklung der Erde mit Modellen des Erdsystems und auch der Biosphäre für mehrere hundert Jahre in die Zukunft. Als Vergleichsbasis diente ihnen die Phase zwischen der letzten Eiszeit und dem Beginn der Industriellen Revolution.

Erderwärmung – Forscher uneins

Wenn eine Belastungsgrenze überschritten sei, gebe es aber noch Möglichkeiten, die Lage zu bessern, betont das Team und verweist am Beispiel der Erderwärmung etwa auf Aufforstung. Sollte die Menschheit es schaffen, den CO2-Gehalt der Atmosphäre auf 450 Teilchen pro Million (parts per million, ppm) zu begrenzen – derzeit liegt er bei 417 – und zudem den Bestand des borealen und des tropischen Waldes nicht unter 60 Prozent der ursprünglichen Bewaldung sinken zu lassen, könnte die Erderwärmung deutlich gebremst werden: „Dann deutet die Simulation auf einen durchschnittlichen Temperaturanstieg über dem Land von 1,4 Grad bis zum Jahr 2100 hin“, heißt es.

Allerdings halten etliche Klimaforscher das Erreichen des Zieles, die Erderwärmung im Vergleich zur vorindustriellen Phase auf 1,5 Grad Celsius zu begrenzen, für nicht mehr realistisch. Als gesichert gilt jedoch, dass der Klimawandel mit seinen Folgen inzwischen mit zu den größten Fluchtursachen weltweit gehören – Tendenz steigend. Schätzungen zufolge könnte es bis zum Jahr 2050 über 140 Millionen Klimaflüchtlinge geben, aktuell sind es weit mehr als 100 Millionen. (dpa/mig 14)

 

 

 

 

Berliner Friedensappell: „Kein Krieg ist ewig“

 

Mit einem symbolischen Friedensgruß von Repräsentanten der Weltreligion unter dem Brandenburger Tor und einer Papstbotschaft ist am Dienstagabend das Internationale Friedenstreffen der christlichen Gemeinschaft Sant'Egidio in Berlin zu Ende gegangen.

Unter dem Motto „Frieden wagen“ hatten sich Spitzenvertreter aus Kirche, Religion und Politik in der deutschen Hauptstadt drei Tage in 20 Foren über Themen von Abrüstung, Klimawandel und Migration ausgetauscht. Hauptthema war der russische Angriffskrieg auf die Ukraine. Papst Franziskus rief in seiner Friedensbotschaft die Teilnehmer dazu auf, kühne Schritte zum Frieden zu wagen.

Vor dem Friedensgruß hatten sich die Vertreter der Religionen an verschiedenen Orten Berlins versammelt, um „gemäß ihren Traditionen für den Frieden zu beten“. So kamen etwa die Juden am nahgelegenen Denkmal für die ermordeten Juden Europas zusammen. Dann tauschten alle auf dem Pariser Platz den Friedensgruß aus.

Berliner Friedensappell

An der Begegnung nahmen Menschen aller Altersgruppen aus aller Welt teil, darunter auch viele Schüler von Berliner Gymnasien. Auf einer Großleinwand wurden Bilder vom Holocaust, dem Mauerbau, dem Ukrainekrieg, von Flüchtlingen sowie von Opfern von Hunger und Klimawandel eingespielt. Anschließend erhoben sich alle zu einer Schweigeminute für die Opfer von Terror und Gewalt. Die Religionsvertreter unterzeichneten einen Berliner Friedensappell, für die katholische Kirche tat dies Kardinal Walter Kasper, für die evangelische Kirche Bischof Heinrich Bedford-Strohm. Symbolisch wurden Kerzen entzündet und Plakate mit der Aufschrift Frieden in die Luft gehalten.

„den Teufelskreis des Konflikts durchbrechen, der sich endlos zu wiederholen droht und den niemand mehr zu beherrschen scheint“

In dem Friedensappell hieß es: „Kein Krieg ist ewig!“ und „Frieden bedeutet nicht, sich mit der Ungerechtigkeit abzufinden“, sondern, „den Teufelskreis des Konflikts zu durchbrechen, der sich endlos zu wiederholen droht und den niemand mehr zu beherrschen scheint“.

 „Demütige Friedensstifter“ sein

Der italienische Kardinal Matteo Zuppi, vom Papst mit Vermittlungsbemühungen im Ukraine-Krieg beauftragt, rief in Berlin dazu auf, Frieden überall dort zu säen, „wo es Spaltung, Unwissenheit und Gewalt gibt“. Kühnheit beim Friedenstiften könne dadurch erreicht werden, dass man gemeinsam und nicht allein in der Nachfolge Christi gehe, so Zuppi. Der Krieg sei „ein schreckliches Feuer, das niemanden respektiert, aber ein Herz im Frieden kann es löschen und den Frieden wachsen lassen“, so Zuppi, der am Mittwoch im Rahmen seiner Mittlermission nach China weitergereist ist.

Nächstes Friedenstreffen in Paris

Das nächste Sant'Egidio-Friedenstreffen soll im September 2024 in Paris stattfinden. Der Impuls für das regelmäßige Treffen der Gemeinschaft geht auf das Weltfriedensgebet zurück, zu dem Papst Johannes Paul II. 1986 erstmals Religionsführer aus aller Welt nach Assisi eingeladen hatte.  (kap/vn 13)

 

 

 

Europäische Integration. Krisenfest?

 

Auf große Wirtschaftskrisen hat die EU bisher ad hoc reagiert. Für die Zukunft muss Europa insbesondere im sozialen Bereich besser vorbereitet sein. Björn Hacker

 

Bei den Europawahlen im Juni 2024 wird es neben Fragen bezüglich der wirtschaftlichen Steuerung der EU in Normalzeiten insbesondere um das Management der EU in Krisenzeiten gehen. Damit ist nicht allein die Entwicklung der Gemeinsamen Außen- und Sicherheitspolitik im Zuge geopolitischer Krisen angesprochen, sondern auch die Zwischenbilanz und künftige Nutzung der jüngsten Kriseninstrumente. Sind etwa der Wiederaufbaufonds NextGenerationEU (NGEU) und das Kurzarbeitsprogramm SURE geeignete Blaupausen für ein dauerhaftes Kriseninstrumentarium der EU?

„Trial and Error“ ist eigentlich keine Strategie in einer Krise. Mangels Einigkeit und unter Zeitdruck war die EU jedoch in den letzten Wirtschaftskrisen gezwungen, auf diese Art und Weise vorzugehen. In der Finanz- und Wirtschaftskrise 2008/09 rettete jeder Mitgliedstaat seine eigenen Bankinstitute und legte nationale Konjunkturproramme auf. Ideen der französischen Regierung für einen EU-Bankenfonds waren damals nicht mehrheitsfähig. In der Eurokrise von 2010 bis 2015 hat die EU mit dem Prinzip der konditionierten Solidarität eine einheitliche Reaktion auf den Weg gebracht: Kreditlinien aus europäischen Rettungsfonds gegen einen verordneten Austeritätskurs im wirtschaftspolitischen Anpassungsprogramm betroffener Länder. Auch weil die Konsequenzen dieser Politik in Teilen verheerend waren und die sozioökonomische Spaltung der EU vertieft haben, wurde in der Pandemie ab 2020 ein gänzlich neuer Ansatz im Krisenmanagement verfolgt. Eine gemeinschaftliche Verschuldung zur Ausreichung von zweckgebundenen Krediten und Zuschüssen nach Kriterien der wirtschaftlichen Bedürftigkeit und ohne weitere Auflagen bei zeitgleicher Lockerung der budgetären Restriktionen hatte es zuvor noch nicht gegeben in der Geschichte der EU.

Nach den gesammelten Erfahrungen dieser drei schweren Krisen wäre es politisch fahrlässig, nach dem Auslaufen der nur temporär wirksamen Instrumente einfach zur Tagesordnung aus Vorkrisenzeiten überzugehen. Dann bestünde die reale Gefahr erneuter Ad-hoc-Entscheidungen, begleitet von Streit um den richtigen Kurs unter den Mitgliedstaaten und innerhalb der EU-Institutionen. Welche Lehren sind aus der Krisengovernance der EU zu ziehen?

Erstens, in großen, die Grenzen der Mitgliedstaaten überschreitenden Wirtschaftskrisen geht es nur gemeinsam. Mit Goethes Aphorismus „Ein jeder kehre vor seiner Tür, und rein ist jedes Stadtquartier“ kommen wir nicht weiter in einer eng verflochtenen Wirtschaftsunion, in der die Krise der Einen Auswirkungen auf die ökonomische Entwicklung der Anderen hat. Das ist die Lehre aus der Finanz- und Wirtschaftskrise.

Zweitens, starre Reglements können in der Anwendung auf unterschiedliche wirtschaftliche Gegebenheiten das Gegenteil des erwünschten Ziels herbeiführen. Ein Sparkurs bezüglich öffentlicher Ausgaben mag in einigen Staaten gerechtfertigt sein, in anderen würgt er die Wirtschaftskraft ab. Entscheidend ist der jeweilige Konjunkturzyklus: In der Krise die Nachfrage abzuschneiden ist seit Reichskanzler Heinrich Brünings Austeritätspolitik keine gute Idee. Das ist die Lehre aus der Eurokrise.

Drittens, im Krisenmanagement der Pandemie wurde dagegen gezielt reagiert auf die wirtschaftlichen Probleme eines zeitgleichen Angebots- und Nachfrageschocks. Nach heutigem Stand war das Kurzarbeiterprogramm SURE ein Erfolg, der geholfen hat, europaweit die Arbeitslosigkeit niedrig zu halten, während das 750 Milliarden-Programm NGEU den Mitgliedstaaten nicht nur konjunkturell, sondern vor allem strukturell hilft, dringend nötige Investitionen umzusetzen, etwa in der grünen und digitalen Twin-Transformation.

Abseits der ökonomischen Effekte von SURE und dem Krisenprogramm NGEU ist die soziale Entwicklung der EU während der Krisenbekämpfung wichtig. Der explosionsartige Anstieg der Jugendarbeitslosigkeit und der Armutsgefährdung hat in vorherigen Krisen zu kontroversen Debatten um die soziale Zukunft der EU geführt. In der Pandemie war das EU-Krisenmanagement nicht mehr blind auf dem sozialen Auge. Deutlich ist die Abkehr vom Austeritätskurs aus den Zeiten der Eurokrise. Die neue Krisengovernance peilt soziale Ziele an, deren Erreichen erstmals durch die Bereitstellung finanzunterlegter Instrumente nicht allein dem Konjunkturverlauf überlassen wird.

Mit dem Sozialgipfel in Porto im Mai 2021 verstärkte die EU ihre Bemühungen, die soziale Dimension in der Pandemie zu beachten, und lenkte zugleich den Blick auf die explizit sozialen Herausforderungen der ökologischen und digitalen Twin-Transformation. Die Europäische Kommission nutzt die Europäische Säule sozialer Rechte als Instrument hierfür und räumt in einem entsprechenden Aktionsplan deren Umsetzung hohe Priorität ein. In Porto verständigten sich die Mitgliedstaaten auf quantitative Zielvorgaben bis zum Jahr 2030 für drei übergeordnete Sozialindikatoren in den Bereichen Beschäftigung, Weiterbildung und Armutsbekämpfung.

Die Kommission hat durch Stärkung der sozialen Säule die soziale Dimension der EU-Krisenpolitik in einen höheren Rang gehoben, denn die quantitativen Zielvorgaben ergänzen die bereits in den Bereichen Klimaschutz und Digitalisierung bestehenden Zielwerte für die Ausgaben der Mitgliedstaaten im Rahmen von NGEU. Doch während SURE eine direkte soziale Wirkung über die Beschäftigungssicherung erzielt, bleibt die Nutzung von NextGenerationEU für soziale Investitionen unter den Mitgliedstaaten erratisch.

Im Social Scoreboard, das die soziale Säule begleitet, weisen die meisten in den einzelnen Mitgliedstaaten als „kritisch“ eingestuften Indikatoren zuletzt auf das gesunkene verfügbare Haushaltseinkommen, den Anstieg der Armuts- und Ausgrenzungsgefährdung von Kindern, die nur schleppende Armutsreduktion durch die sozialen Sicherungssysteme sowie die hohe Rate der vorzeitigen Schul- und Ausbildungsabbrüche hin. Dies zeigt, wie die Krisen der letzten Jahre die Ungleichheit verstärken und die Wohlfahrtsstaaten vor Herausforderungen stellen.

Im Zeitvergleich zwischen der Proklamation der sozialen Säule im November 2017 und den im Social Scoreboard fünf Jahre später veröffentlichten Werten zeigt sich einerseits, dass sich die soziale Situation seit 2017 im ungewichteten Durchschnitt der Mitgliedstaaten stetig verbessert hat – trotz schwerer pandemiebedingter Wirtschaftskrise. Andererseits haben sich in lediglich sechs Staaten konkrete Verbesserungen gegenüber dem EU-Durchschnittswert in einzelnen Indikatoren ergeben. Das soziale Europa tritt auf der Stelle.

Die soziale Säule scheint dort am meisten Wirkung zu entfalten, wo sie durch ergänzende finanzunterlegte Maßnahmen begleitet wird. Dazu gehören das Kurzarbeitsinstrument SURE oder die Bereitstellung zusätzlicher Finanzmittel für soziale Investitionen und Reformen im Rahmen von NGEU. Kurzfristig sollte die EU den Erfolg von SURE als schnelles, konjunkturell und sozial wirkendes Instrument zur Förderung von Kurzarbeitsmodellen fortschreiben. Durch seine Bereithaltung würde ein wichtiger Reaktionsmechanismus für künftige schwere Wirtschaftskrisen geschaffen, dessen Wirkung sich noch steigern ließe durch den Ausbau zu einem automatischen Stabilisator im Sinne einer Europäischen Arbeitslosenrückversicherung.

Auch das NGEU-Paket hat im Ansatz einige positive Weichenstellungen der Mitgliedstaaten ermöglicht. Für bestimmte konsensfähige Ziele europäischer Politik (etwa die soziale Begleitung der Twin-Transformation) könnte ein Anschlussfonds oder ein Sondertitel im nächsten Mehrjährigen Finanzrahmen vereinbart werden, um soziale Investitionen zu finanzieren. Eine überzeugende Alternative zu supranationalen Programmen besteht darin, die budgetäre Restriktion für die Mitgliedstaaten in der Krise zu reduzieren, wie mit der temporären Aussetzung des Stabilitäts- und Wachstumspakts demonstriert worden ist. Solche finanziellen Spielräume in den Mitgliedstaaten sollten mitgedacht werden, wenn der Stabilitäts- und Wachstumspakt im Rahmen der Reform der wirtschaftspolitischen Governance angepasst wird. Zukunftsinvestitionen ebenso wie die Wohlstandsorientierung müssen dabei hinreichend Berücksichtigung finden, etwa über die sogenannte Goldene Regel.

Wie mit dem Aktionsplan zur sozialen Säule begonnen, sollten weitere soziale Ziele von den Mitgliedstaaten vereinbart werden. Die heute oft mangelhafte Befassung der nationalen Parlamente mit den sozialen Problemen und Herausforderungen des eigenen Landes im europäischen Vergleich könnte angeregt werden durch die unlängst in Brüssel diskutierte Idee eines Sozialen Konvergenzinstruments, das die Ratspräsidentschaften Spaniens und Belgiens vorantreiben. Das neue Instrument würde das Sozialmonitoring der EU verbessern, indem Abweichungen von den Durchschnittswerten intensiver analysiert würden und einen Frühwarnmechanismus auslösen könnten. Die Ähnlichkeit zur budgetären und makroökonomischen Überwachung in der Eurozone ist bewusst gewählt. Sie verspricht zumindest mehr Aufmerksamkeit für die sozialen Fragen, wie bereits bezüglich der verwandten Idee eines Sozialen Stabilitätspakts einmal diskutiert worden ist. IPG 15

 

 

 

 

Rede zur Lage der Europäischen Union. Analyse von EUD-Generalsekretär Christian Moos

 

Die Präsidentin der Europäischen Kommission sagt in ihrer mit Spannung erwarteten Rede zur Lage der Union vieles Richtige, schweigt aber zu zentralen Fragen der weiteren europäischen Entwicklung. Besonders ihre wenigen Aussagen zur künftigen Handlungsfähigkeit der Europäischen Union reichen nicht aus. Die überparteiliche Europa-Union Deutschland unterstützt ausdrücklich den heute im AFCO-Ausschuss des Europaparlaments vorgestellten Berichtsentwurf zur Vertragsreform.

Gleichberechtigung, Künstliche Intelligenz und Landwirtschaft nehmen viel Raum in Ursula von der Leyens Rede ein. Sicherlich sind das wichtige Themen. Etwas zu kurz kommt der weitere Einsatz der Europäischen Kommission für Demokratie und Rechtsstaatlichkeit. Und dabei geht es nicht nur um die dringend gebotene Abwehr von Desinformation und anderen hybriden Angriffen aus Drittstaaten, sondern insbesondere auch um die Erosion der freiheitlichen Demokratie in vielen EU-Mitgliedstaaten.

Von der Leyen wird hier Rücksicht auf die bevorstehenden Parlamentswahlen in Polen genommen haben. Trotzdem hätte sie geeignete Worte finden können, ohne sich gleich dem Vorwurf der Einmischung in den Wahlkampf aussetzen zu müssen. Kein Wort auch zu den schrumpfenden Räumen für die Zivilgesellschaft, die vielerorts systematisch von oben umgebaut wird, so dass sie keine Gefahr mehr darstellt für die Regierenden beziehungsweise ihrer für das Überleben der Demokratie unverzichtbaren Aufgabe, für Transparenz und Rechenschaftspflicht zu sorgen, nicht mehr nachkommen kann. Damit hat Von der Leyen eine wichtige Chance verpasst. Die Verteidiger der liberalen Demokratie, zu denen die von ihr geführte Kommission ohne jeden Zweifel gehört, müssen ihre Samthandschuhe ausziehen.

Für uns steht außer Frage, dass die EU weiter zu vertiefen ist. Zuvorderst muss das Vetorecht einzelner Mitgliedstaaten in den Politikfeldern, in denen es für Blockaden, Stillstand und Erpressungen sorgt, endlich abgeschafft werden. Die Präsidentin spricht sich aber für eine Erweiterung aus, die die Vertiefung nicht zur Voraussetzung zu haben scheint. Das wäre fatal für die Union. Ihr ist zuzustimmen, dass die Westbalkanstaaten nicht mehr lange warten können, und europäische Staaten, deren staatliche Integrität heute von Russland bedroht oder angegriffen wird, müssen eine klare Beitrittsperspektive bekommen. Die Ukraine, Georgien und Moldawien gehören zu Europa.

Die zumindest gleichzeitige Vertiefung ist aber unverzichtbar. Sie ist trotz aller geopolitischen Veränderungen nicht nachrangig, sondern gerade mit Blick auf die Handlungsfähigkeit Europas in Fragen der Außen- und Sicherheitspolitik nötiger denn je. Sonst müssen sich einzelne Mitglieder aufmachen und eine Politische Union innerhalb einer erweiterten EU gründen, von der neue Anziehungskraft und damit europapolitische Stabilität für ganz Europa ausgehen kann.

Von der Leyen sprach nicht als Hüterin der Verträge, sondern als Kandidatin. Ihre Rede adressierte die eigene Parteifamilie, ohne deren Rückhalt sie nicht als Spitzenkandidatin reüssieren kann. Für den aufziehenden Wahlkampf wünschen wir uns vor allem Klarheit. Die Zukunft Europas in der aktuellen Welt(un)ordnung braucht Mut und Führungsstärke. Die Berichterstatter aus fünf verschiedenen Gruppen des Europäischen Parlaments beweisen diese mit ihren Vorschlägen für das Europa von morgen. EUD 14

 

 

 

 

Kampf gegen Fluchtursachen auf Eis. UN warnen vor dramatischen Einschnitten bei humanitärer Hilfe

 

Reiche Industrienationen beklagen hohe Flüchtlingszahlen, gleichzeitig muss das UN-Welternährungsprogramm wegen ausbleibender Spenden vielerorts Essensrationen kürzen. Allein die USA haben bisher fünf Milliarden US-Dollar weniger zugesagt als im Jahr zuvor.

Millionen von Menschen könnten in den kommenden Monaten wegen ausbleibenden Hilfsgeldern an den Rand einer Hungersnot gedrängt werden. Aufgrund von Finanzierungsengpässen müssten die Essensrationen in vielen Einsätzen gekürzt werden, erklärte das UN-Welternährungsprogramm (WFP) am Dienstag in Rom. Die Ernährungslage von etwa 24 Millionen Menschen könnte sich dadurch in den kommenden zwölf Monaten dramatisch verschlechtern. Sie stünden dann kurz vor einer Hungersnot.

Nach Angaben der UN-Organisation leiden derzeit 345 Millionen Menschen unter akutem Hunger. Davon sind 40 Millionen Menschen von extremem Hunger betroffen. Bei dieser Einstufung steigt das Risiko, zu verhungern.

Die Finanzierungslücke beim WFP für das laufende Jahr liegt nach eigenen Angaben bei 60 Prozent. Das sei das höchste Defizit in der Geschichte der 1961 gegründeten Organisationen. Fachleute des Welternährungsprogramms befürchteten, dass ein Teufelskreis in Gang gesetzt wird, bei dem die Verhungernden auf Kosten der Hungernden gerettet würden.

Beiträge der größten Geber unter Vorjahresniveau

Für die Engpässe seien vor allem die steigenden humanitären Bedarfe verantwortlich, denen die schlechte wirtschaftliche Lage und knappe Regierungsbudgets gegenüberstünden, hieß es aus dem WFP.

Tatsächlich liegen die Beiträge der drei größten Geber – der USA, Deutschlands und der EU – bisher deutlich unter dem Niveau des Vorjahres. Die USA etwa stellten dem WFP für das laufende Jahr knapp 2,1 Milliarden US-Dollar bereit – etwa fünf Milliarden weniger als 2022 (etwa 7,2 Milliarden US-Dollar). Auch die bisherigen Zusagen aus Deutschland liegen nach Angaben des WFP mit knapp 537 Millionen US-Dollar unter der Summe des Vorjahres (knapp 1,8 Milliarden US-Dollar).

Drastische Einschnitte auch in Deutschland absehbar

WFP-Exekutivdirektorin Cindy McCain mahnte mehr Unterstützung an. Angesichts einer Rekordzahl hungernder Menschen brauche es mehr Hilfe, sagte McCain und warnte auch vor einer Zunahme von Konflikten und Unruhen.

Indes sind für das kommende Jahr bei der deutschen humanitären Hilfe und der Entwicklungszusammenarbeit drastische Einschnitte absehbar. Obwohl die Bundesregierung in ihrer Nationalen Sicherheitsstrategie verspricht, ihr Engagement weiter zu verstärken, wird die humanitäre Hilfe voraussichtlich um ein Drittel gekürzt. Der Posten soll laut Entwurf für den Haushalt 2024 von derzeit 3,3 Milliarden Euro auf knapp 2,2 Milliarden schrumpfen. Der Entwicklungsetat dürfte, wenn der Bundestag nicht interveniert, um 5,3 Prozent reduziert werden – von knapp 12,2 Milliarden Euro in diesem Jahr auf gut 11,5 Milliarden Euro im Jahr 2024.

„Zu lange weggeschaut“ wiederholt sich

Massive Einschnitte bei der humanitären Hilfe und ungehörte Warnrufe der Nothilfeorganisationen haben schon 2015 zu massiven Fluchtbewegungen in Richtung Europa geführt. Die frühere Bundeskanzlerin Angela Merkel (CDU) warnte später davor, diese Fehler zu wiederholen. Bei einer Regierungserklärung im März 2018 sagte sie mit Blick auf die Folgen des arabischen Frühlings auch selbstkritisch, dass zu lange weggeschaut worden sei. „Zur ganzen Wahrheit gehört, dass wir zu spät erkannt haben, wie Millionen syrischer Flüchtlinge Zuflucht im Libanon und Jordanien fanden und nach Jahren mangelnder Mittel der internationalen Hilfsorganisationen weder genug zu essen noch zu trinken, geschweige denn Bildung für ihre Kinder hatten“, sagte sie.

Nach Angaben des Welternährungsprogramms gab es bei fast der Hälfte der Einsätze bereits Kürzungen, darunter in Krisenländern wie Afghanistan, Haiti, der Demokratischen Republik Kongo und Syrien. (epd/mig 13)

 

 

 

 

„Illegal, geflüchtet, schutzbedürftig“ – wie sprachliche Ausdrucksweise unsere Meinung beeinflussen kann

 

Wird Sprache eingesetzt, um Emotionen zu wecken oder Meinungen zu beeinflussen, spricht man von „Framing“.  Am Exzellenzcluster „The Politics of Inequality“ an der Universität Konstanz untersuchen Forschende das sprachliche Framing dreier großer deutscher Tageszeitungen über geflüchtete Menschen. Darüber hinaus stellen sie in ihrem Projekt „Framing Inequalities“ die Frage, ob künstliche Intelligenz (KI) mittlerweile sensibel genug ist, diese sprachlichen Feinheiten zu erkennen. Die BILD-Zeitung spricht von „Straftätern“ und „Tatverdächtigen“, die Süddeutsche Zeitung (SZ) von „Rettungsmission“ und „Schutzstatus“, die Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) befindet sich irgendwo dazwischen. Wird in großen deutschen Tageszeitungen über geflüchtete Menschen in Deutschland berichtet, kommen sehr unterschiedliche sprachliche Stilmittel zum Einsatz. Diese Mittel, sei es lediglich zur inhaltlichen Betonung eines Sachverhalts oder aber auch gezielt eingesetzt, um etwa Assoziationen zu wecken, nennt man Framing. Mit diesen Frames beschäftigen sich Linguist*innen und Politikwissenschaftler*innen des Exzellenzclusters „The Politics of Inequality“ an der Universität Konstanz.

Im Projekt „Framing Inequalities“ untersuchen die Doktorand*innen Qi Yu und Anselm Fliethmann, welche Framing-Strategien Printmedien bezüglich des Themas Flüchtlingskrise benutzen. Sie ergründen zudem, inwiefern diese Strategien mit Hilfe Künstlicher Intelligenz (KI) automatisch erkenn- und analysierbar sind. Dazu haben Sie Synonyme rund um den Begriff „Flüchtling“ identifiziert und sich anschließend, mit Hilfe von „Natural Language Processing“-Algorithmen (maschinelle Sprachverarbeitung), angeschaut, wie Geflüchtete in den Tageszeitungen BILD, SZ und FAZ üblicherweise porträtiert, sprich geframt werden. In der Analyse zeigt sich, dass die BILD-Zeitung üblicherweise mehr kriminalitätsbezogene Wörter nutzt, in der SZ dagegen Wörter gebräuchlicher sind, die einen humanitären Kontext andeuten, und die FAZ sich zwischen diesen beiden Polen bewegt.

Um diese großen Textmengen und den Mangel an im Vorfeld codierten Daten (wie für überwachtes maschinelles Lernen benötigt) zu bewältigen, nutzen Qi Yu und Anselm Fliethmann die Methode des Word Embeddings (Worteinbettungen), durch die sie herausfinden können, wie nahe die Bedeutung einzelner Wörter beieinanderliegt. Ob Künstliche Intelligenz aber tatsächlich bereits sensibel genug ist, um die Analyse von Framing-Strategien automatisiert durchzuführen, erläutern die Forschenden in ihrem Artikel „Den Feinheiten der Sprache auf der Spur“ in der neusten Ausgabe des In_equality magazins „Information, Sprache, Macht“.

 In_equality magazin No. 5: „Information, Sprache, Macht“

Das In_equality magazin ist das halbjährlich erscheinende Forschungsmagazin des Exzellenzclusters „The Politics of Inequality“ an der Universität Konstanz. Die aktuelle Ausgabe befasst sich mit Aspekten sprachlicher Ungleichheit und der Frage, warum sozialwissenschaftliche Forschung eine linguistische Perspektive benötigt, denn: Sprache ist mehr als ein Medium der alltäglichen Kommunikation. Sprache ist Ausdruck von Identität und Zugehörigkeit, ein Instrument im politischen Wettbewerb und ein Stilmittel, das charismatische Reputation erzeugen kann. Uni Konstanz 13Rassismus

„Der deutsche Profifußball ist auf Führungsebene weiß und männlich.“

Eine Meldestelle dokumentiert seit Juli 2022 rassistische Vorfälle im Fußball. Auch zu Profispielen gibt es Dutzende Einträge: körperliche Übergriffe, rassistische Rufe und rechte Symbole auf Stickern, Kleidung oder Bannern. Ein Phänomen sticht besonders heraus. Von Alina Grünky

Julian Green hörte weg. Der 28-Jährige ignorierte die Rufe der „Vollpfosten“, wie sein Trainer Alexander Zorniger die nannte, die den Spieler der SpVgg Greuther Fürth während des Pokalspiels beim Halleschen FC rassistisch beleidigten. Erst nach dem Sieg erzählte Green, was er hörte. Und wieder war der immer gleiche Ablauf zu beobachten: ein Aufschrei, Solidaritätsbekundungen, Ermittlungen des Deutschen Fußball-Bundes. Wieder ein Einzelfall? Oder steigt wie in Teilen der Gesellschaft auch im Fußball die Tendenz zu rassistischen Ausfällen?

„Klar ist, jeder Fall ist einer zu viel“, sagt DFB-Sprecher Michael Morsch. Die Statistiken des Verbands belegen für die vergangenen Jahre eine sinkende Zahl von rassistischen oder diskriminierenden Vorfällen in den Profiligen. In der Bundesligasaison 2016/2017 waren es demnach noch 35 Einträge, 11 im Folgejahr. Danach bewegten sich die Zahlen laut DFB-Statistik auf konstant niedrigem Niveau – zwischen einem Fall in der Saison 2018/2019 und drei Fällen in der vergangenen Spielzeit.

Bei der noch recht jungen Meldestelle für Diskriminierung im Fußball in Nordrhein-Westfalen zeichnet sich dagegen ein anderes Bild ab. „Eine Entwicklung, die wir aktuell wahrnehmen, sind vermehrt Hitlergrüße, die beobachtet und gemeldet werden“, berichtet Projektleiterin Elena Müller aus dem Bundesland mit den meisten Profifußball-Clubs. Das Pilotprojekt dokumentierte seit Juli 2022 insgesamt 211 Hinweise zu rassistischen Vorfällen, 95 aus dem Profifußball.

Hemmschwelle im Internet deutlich geringer

„In den allermeisten Fällen handelt es sich um Fehlverhalten von Fans“, sagt Müller. „Wir erfassen dabei nicht nur verbale oder körperlich übergriffige Vorfälle.“ Es werden auch rassistische und rechte Symbole auf Stickern, Kleidung oder Bannern dokumentiert sowie – anders als beim DFB-Sportgericht – diskriminierende Beiträge in den sozialen Medien.

Von Rassismus in sozialen Netzwerken berichteten in den vergangenen Monaten auch Dayot Upamecano und Mathys Tel (beide FC Bayern), Benjamin Henrichs (RB Leipzig), sowie die U21-Nationalspieler Youssoufa Moukoko (Borussia Dortmund) und Jessic Ngankam (Eintracht Frankfurt). Die Hemmschwelle im Internet erscheint noch einmal deutlich geringer. Wie bei Green hieß es in allen Fällen von den Verbänden und Vereinen, die Anfeindungen würden „aufs Schärfste“ verurteilt. Reicht das?

„Der deutsche Profifußball … weiß und männlich“

Laut Daniela Wurbs von der Beratungsstelle „Kick In!“ für Inklusion im Fußball braucht es mehr: „Sich in schnellen Statements zu distanzieren, ohne dass Taten folgen, hilft vor allem den Tätern und lässt potenziell Betroffene an der Glaubwürdigkeit des Engagements und der Sicherheit im Stadion zweifeln.“ Es müsse mehr sensibilisiert werden, fordert Wurbs. „Da geht es um Spieler, Funktionäre und Mitarbeiter, die Strukturen umstellen müssen“, sagt sie. „Der deutsche Profifußball ist nun einmal auf Führungsebene meist weiß und männlich.“

Fürth-Trainer Zorniger nahm dagegen insbesondere die Zuschauer der Halle-Partie in die Pflicht. „Das Stadion ist zu 95 Prozent ausgelastet. Es waren genug Leute da, die hätten eingreifen können“, sagte der Trainer und fordert: „Aufstehen und sagen: Das geht nicht!“ Denn: „Wenn wir das nicht machen, dann kriegt das braune Gesocks, das auch noch im Bundestag sitzt, immer mehr Oberwasser. Das darf einfach nicht passieren.“

AfD in der Fankurve?

Wachsender Zuspruch für die rechtspopulistische Alternative für Deutschland (AfD) hat laut Michael Gabriel bisher wenig Auswirkung auf die Situation in den Kurven. Er leitet die Koordinationsstelle Fanprojekte bei der Deutschen Sportjugend (dsj), die bereits seit mehreren Jahrzehnten die deutsche Fußball-Fanszene begleitet. Demnach finden Themen und Ziele der AfD keine auffällige Resonanz. „Die Partei will demokratische Prinzipien schwächen, die Fans wehren sich nicht nur gegen Rassismus und Rechtsextremismus, sondern kämpfen unter anderem für mehr Mitspracherecht“, betont der Leiter der Koordinationsstelle Fanprojekte. Da gebe es kaum Überschneidungen.

Auch Inklusions-Expertin Wurbs sieht ein wachsendes Engagement: „In den letzten Jahren haben zahlreiche Vereine und Fanszenen in Deutschland verstärkt Anlaufstellen für Betroffene von Diskriminierung im Fußball geschaffen“, berichtet die „Kick-In“-Projektleiterin. Die Stellen seien vor allem rund um Spieltage aktiv, aber nicht nur. „Die UEFA plant nun auch zur EURO 2024 diese Strukturen zu nutzen und erstmals solche Anlaufstellen für Betroffene im Rahmen des Turniers einzurichten.“ (dpa/mig 13)

 

 

 

 

Studie. Vielfalt spiegelt sich in Organisationen nur unzureichend wider

 

Die Gesellschaft in Deutschland wird immer vielfältiger, in staatlichen, wirtschaftlichen und zivilgesellschaftlichen Organisationen spiegelt sich das aber nicht wider. Das ist das Ergebnis einer neuen Studie.

Die gesellschaftliche Vielfalt spiegelt sich in Deutschland bisher nur unzureichend in staatlichen, wirtschaftlichen und zivilgesellschaftlichen Organisationen wider. Das geht aus einer neuen Studie des DeZIM-Instituts hervor.

Danach spielt in vielen zivilgesellschaftlichen Organisationen zudem gelebte Vielfalt im Arbeitsalltag offenbar eine größere Rolle als entsprechende Strategien für mehr Diversität. Mehr als die Hälfte der befragten Organisationen hätten gelebte Diversität in den eigenen Strukturen als eher hoch eingeschätzt, hieß es am Montag in Berlin anlässlich der Veröffentlichung der Studie.

Budget entscheidend

Diversität spiele damit informell eine Rolle in der Zivilgesellschaft. Zugleich hätten weniger als 20 Prozent der zivilgesellschaftlichen Organisationen beispielsweise einen Diversitätsbeauftragten oder seien Selbstverpflichtungen zu mehr Vielfalt eingegangen.

Vor allem finanziell besser ausgestattete zivilgesellschaftliche Organisationen hätten Diversitätsstrategien in ihren Reihen etabliert, hieß es weiter. So hätten 53 Prozent der befragten Organisationen mit mehr als 500.000 Euro Jahresbudget Diversität institutionell verankert. Bei den Organisationen mit weniger als 10.000 Euro Jahresbudget seien es nur 16 Prozent.

1.286 Organisationen befragt

Für die Studie wurden den Angaben zufolge Informationen von 1.286 zivilgesellschaftlichen Organisationen in den deutschen Landeshauptstädten sowie von neun weiteren Institutionen der auswärtigen Kultur- und Bildungspolitik berücksichtigt. Dazu gehören unter anderem das Goethe-Institut, der Deutsche Akademische Austauschdienst und die Deutsche Unesco-Kommission.

Das Deutsche Zentrum für Integrations- und Migrationsforschung (DeZIM) wurde nach eigenen Angaben 2017 gegründet und forscht unter anderem zu gesellschaftlicher Teilhabe und Rassismus. (epd/mig 12)

 

 

 

 

Nur sieben Prozent sehr zufrieden mit Bundesregierung

 

Hamburg – Die Bundesregierung verharrt auch im September bei einem extrem geringen Zufriedenheitswert in der Bevölkerung. Mehr als die Hälfte der befragten Deutschen (52%) zeigt sich laut einer aktuellen Umfrage des Markt- und Meinungsforschungsinstituts Ipsos sehr unzufrieden, nur sieben Prozent sind sehr zufrieden. Bundeskanzler Olaf Scholz verliert gegenüber der letzten Erhebung im Juli noch einmal sieben Prozent an Zustimmung. Nur noch neun Prozent der Deutschen geben an, sehr zufrieden mit seiner Arbeit zu sein, mehr als die Hälfte der deutschen Bevölkerung (52%) ist derweil sehr unzufrieden mit dem Kanzler. Seine Netto-Zufriedenheit, also die Differenz zwischen denjenigen, die sehr zufrieden und sehr unzufrieden sind, liegt damit nur noch bei -43. Wirtschaftsminister Robert Habeck hingegen, der bei den letzten Erhebungen im Mai und Juli insgesamt 21 Punkte auf der Zufriedenheitsskala verloren hatte, kann im September seinen Abwärtstrend stoppen. Seine Netto-Zufriedenheit steigt um fünf Punkte, bleibt allerdings mit einem Wert von -43 auf niedrigem Niveau. Nur etwa jeder zehnte Deutsche (11%) gibt an, sehr zufrieden mit der Arbeit des grünen Ministers zu sein, während mehr als die Hälfte (54%) seine Arbeit sehr negativ bewertet.

Pistorius weiterhin mit Abstand beliebtester Minister

Wie durchgängig seit seinem Amtsantritt bleibt Verteidigungsminister Boris Pistorius auch im September mit Abstand der beliebteste Minister. Er ist der einzige Minister der Ampel-Regierung, bei dem der Anteil der sehr Zufriedenen (27%) etwa genauso groß ist wie der der sehr Unzufriedenen (28%). Seine Netto-Zufriedenheit liegt demnach mit einem Wert von -1 nur ganz leicht im negativen Bereich, wodurch er sich stark vom restlichen Kabinett abhebt. Über alle anderen Ministerinnen und Minister hinweg zeichnet sich das Bild einer sehr unzufriedenen Bevölkerung. Den besten Wert von -26 erreicht dabei nach Pistorius noch Arbeitsminister Hubertus Heil, während die beiden grünen Ministerinnen Lisa Paus (-45) und Steffi Lemke (-47) am schlechtesten auf der Zufriedenheitsskala abschneiden. Gesundheitsminister Lauterbach kann zwar gegenüber der letzten Erhebung seine Talfahrt mit einem leichten Plus (3 Prozentpunkte) gegenüber der Juli-Welle aufhalten, verweilt dennoch weiter mit einer Netto-Zufriedenheit von -34 im Mittelfeld der Ministerriege. Ipsos 12

 

 

 

 

Rede von Bundeskanzler Scholz bei dem Internationalen Friedenstreffen der Gemeinschaft Sant’Egidio am 12. September 2023 in Berlin

 

Sehr geehrter Herr Professor Riccardi,sehr geehrter Herr Professor Impagliazzo, Eminenzen, Exzellenzen, sehr geehrte Repräsentanten der Kirchen und Religionen,meine Damen und Herren, herzlich Willkommen in Deutschland ‑ oder vielmehr: Ein herzliches „Willkommen zurück“! Es freut und ehrt uns, dass Ihr Friedenstreffen nun bereits zum vierten Mal in Deutschland stattfindet. Sie sind hier nicht nur allzeit gern gesehene Gäste ‑ Sie sind auch zu Besuch bei Freunden.

 

Mit Ihrem Treffen in Berlin unterstreichen Sie die Verbundenheit zwischen Ihrer Gemeinschaft und einem Land ‑ Deutschland ‑, dessen eigener Weg zum Frieden gesäumt ist von furchtbaren Irrtümern, von imperialer und nationalistischer Verblendung, die Europa und die Welt zwei Mal in unvorstellbares Leid gestürzt hat. Und gerade deshalb ist Deutschland heute ein Land, das jedem aus tiefer Überzeugung die Hand reicht, der Frieden wagt.

 

Zu Beginn möchte ich Ihnen von einem Buch erzählen, das ich über den Sommer endlich lesen konnte und das mich seither beschäftigt. Einige von Ihnen kennen es sicherlich. Es stammt von dem amerikanischen Professor Graham Allison, der Titel lautet: „Destined to War“ ‑ zum Krieg verdammt.

 

Ausgehend vom antiken Gegensatz zwischen Sparta und dem aufsteigenden Athen beschäftigt Allison sich mit der sogenannten „Falle des Thukydides“, also mit der Annahme, dass der Aufstieg neuer Großmächte zwangsläufig in einen Krieg mit dem bisherigen Hegemon mündet. Dabei schwingt natürlich die aktuelle, äußerst beunruhigende Frage mit, ob Krieg in einer zunehmend multipolaren Welt wie der unsrigen am Ende unvermeidbar ist. Die rein

statistische Antwort des Buches lautet: In zwölf der 16 untersuchten Fälle kam es in den zurückliegenden fünf Jahrhunderten der Menschheitsgeschichte in solchen Konstellationen zum Krieg. Für den Pessimisten folgt daraus: Es steht schlecht um den Frieden ‑ nämlich 3:1 für den Krieg.

 

Sant’Egidio aber hat sich mit einer solchen Arithmetik niemals abgefunden. Im Gegenteil: Ihre ganze Bewegung gründet in der Absage an eine vermeintliche Logik des Kriegs. Sie setzen ihr die „audacity of peace“ entgegen, die Kühnheit des Friedens. Deshalb sind Sie heute hier. Deshalb bin auch ich heute sehr gerne

gekommen, denn ich teile nicht nur Ihre Zuversicht, sondern auch Ihr Ziel: Frieden zu wagen.

 

Doch mit dieser Feststellung allein ist es in der Praxis nicht getan. Wir alle wissen das. Heute sehnt sich wohl niemand in Europa so sehr nach Frieden wie die Ukrainerinnen und Ukrainer. Jeden Tag verteidigen sie ihre Freiheit, ihre Heimat, ihr Leben gegen die imperialen, historisch verblendeten Machtfantasien des Herrschers im Kreml. Der Friedensplan, für den Präsident Selensky weltweit wirbt, bringt diese Friedenssehnsucht klar zum Ausdruck.

 

Und zugleich müssen wir uns vor Schein-Lösungen hüten, die „Frieden“ lediglich im Namen tragen. Frieden ohne Freiheit heißt Unterdrückung. Frieden ohne Gerechtigkeit nennt man Diktat.

 

Deshalb stehen wir voll und ganz hinter den Forderungen der Ukraine nach einem gerechten Frieden, der die Grundsätze der Charta der Vereinten Nationen respektiert und der die Prinzipien der territorialen Integrität und Unabhängigkeit achtet. Deshalb unterstützen wir die Ukrainerinnen und Ukrainer bei der Verteidigung ihrer Heimat.

 

Wir tun das auch, indem wir Waffen liefern. Diese Entscheidung ist uns nicht leicht gefallen ‑ und wir machen sie uns nicht leicht. Gerade weil wir um die Wirkung der von uns gelieferten Waffen wissen, stimmen wir uns eng ab und prüfen immer wieder sehr genau, was in der gegenwärtigen Situation geboten und was verantwortlich ist.

 

Aber das ändert nichts an meiner Grundüberzeugung: Das Recht muss die Gewalt überwinden, nicht umgekehrt. Alles andere hieße, das Recht des Stärkeren anzuerkennen. Wohin dieser Weg führt, das haben uns Jahrhunderte

kolonialer Ausbeutung und kriegerischer Zerstörung doch gelehrt.

 

Für mich folgt daraus: Wir werden die Ukraine in ihrem Recht auf Selbstverteidigung weiter unterstützen ‑ so lange wie nötig. Das halte ich nicht nur politisch und strategisch für erforderlich, sondern auch friedensethisch für geboten.

 

Der Deutschen Bischofkonferenz bin ich dankbar dafür, dass sie dies in ihrer Erklärung gleich nach Beginn des russischen Angriffskriegs ganz unmissverständlich klargestellt hat. „Der Aggression widerstehen ‑ den

Frieden gewinnen“, so haben die Bischöfe ihre Erklärung überschrieben ‑ und zwar in dieser Reihenfolge. Weil das eine, nämlich die eigene Existenz gegen den Aggressor zu verteidigen, überhaupt erst die Voraussetzung dafür ist, dass eine unabhängige, freie Ukraine den Frieden zurückgewinnt und auch Russlands Führung zu echten Verhandlungen bereit ist.

 

Von dieser Realität muss unsere Suche nach Frieden ausgehen. Deshalb bin ich Ihnen dankbar, Herr Professor Riccardi, dass Sie neben der Hoffnung auf Frieden zugleich immer auch Realismus im Tun einfordern und die Arbeit von Sant’Egidio daran ausrichten.

 

Wenn in den jüdisch-christlichen Schriften davon die Rede ist, dass der Wolf beim Lamm Schutz findet, dass Kalb und Löwe zusammen weiden, dann ist das ja leider weder damals noch heute die Beschreibung unserer Wirklichkeit, sondern die Verheißung und Aufforderung, für eine andere, bessere, friedvollere Welt zu arbeiten.

 

Anders ausgedrückt: Wir dürfen zwar die Augen nicht davor verschließen, dass der Mensch des Menschen Wolf sein kann. Aber wir dürfen uns mit diesem Verdikt auch nicht abfinden. Zumal dieser berühmte Satz von Plautus noch einen zweiten Teil hat. Vollständig lautet er: Der Mensch ist dem Menschen ein Wolf, zumindest solange man sich nicht kennt.

 

Damit bin ich wieder bei Sant’Egidio und dem Prinzip, das Ihre Gemeinschaft seit Ihrer Geburtsstunde im Jahr 1968 prägt. Sie setzen auf die friedensstiftende Kraft der Begegnung, des gegenseitigen Kennens und Erkennens, des Lernens voneinander. Es ist diese Kraft, die früher oder später zu der Erkenntnis führt, dass wir alle Menschen sind – ausgestattet mit gleichen Rechten, gleichen Pflichten und gleicher Würde, egal, wo man geboren wurde, egal, ob oder woran man glaubt.

 

Diese Erkenntnis im Alltag durchzusetzen, ist die Aufgabe aller Staaten, die sich zur Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte bekannt haben. Zugleich, und das zeigt die erfolgreiche Arbeit von Sant’Egidio, liegt es in der Macht und in der Verantwortung von religiösen Führern wie Ihnen, diese Erkenntnis unserer gemeinsamen, verbindenden Humanität zu stärken, gerade weil im Namen der Religion nicht nur Frieden geschaffen, sondern eben auch Kriege geführt wurden und immer noch geführt werden, gerade weil Religion missbraucht wurde und missbraucht wird, um Frauen und Männern ihre Menschenrechte vorzuenthalten.

 

Umso bedeutender ist es, wenn Sie Ihre Stimmen gemeinsam für den Frieden und für gegenseitigen Respekt erheben, so wie Sie, Großimam al-Tayyeb, als Sie im Jahr 2019 gemeinsam mit Papst Franziskus erklärt haben, „dass die Religionen niemals zum Krieg aufwiegeln und keine Gefühle des Hasses, der Feindseligkeit, des Extremismus wecken und auch nicht zur Gewalt oder zum Blutvergießen auffordern“ dürfen.

 

Diese Erkenntnis, dass nicht der Krieg heilig ist, sondern der Frieden, ist zum gemeinsamen Fundament Ihrer Arbeit geworden. Sie folgt dem Prinzip, dass derjenige, der Frieden will, den Frieden auch vorbereiten muss. Wie das geht, das hat Sant’Egidio rund um die Welt bewiesen, etwa durch Ihre erfolgreiche Vermittlung im Bürgerkrieg in Mosambik, durch Unterstützung bei der Entwaffnung von Kämpfern in der Zentralafrikanischen Republik, durch Ihre Versöhnungsarbeit im Südsudan, zusammen mit Vertretern der anglikanischen Kirche. Diese Aufzählung ließe sich verlängern, und ich will Sie ausdrücklich ermutigen, Ihre humanitäre Arbeit in der Ukraine mit aller Kraft fortzusetzen. Dazu zählt Hilfe für Geflüchtete, dazu gehören Gespräche über den Austausch von Gefangenen. Oft sind es ja genau solche Fortschritte im Kleinen, die helfen, irgendwann den Boden für ein Ende der Gewalt und damit für einen gerechten Frieden zu schaffen.

 

Daran arbeiten auch wir. Zuletzt ist es der Ukraine mit unserer Unterstützung und der vieler anderer befreundeter Länder gelungen, wichtige Staaten Afrikas, Asiens und Lateinamerikas an einen Tisch zu bringen, darunter China, Indien, Ägypten, Saudi-Arabien und Brasilien. Gemeinsam arbeiten wir nun daran, die

unterschiedlichen Elemente der ukrainischen Friedensformel und Grundsätze für eine Friedenslösung weiter voranzubringen. Das ist nicht einfach ‑ auch mit Blick auf die unterschiedlichen Wahrnehmungen des russischen Krieges in der Welt -, und das kostet Mühe und Zeit, Zeit, die wir eigentlich nicht haben, weil Russland in der Ukraine unterdessen weiter bombardiert, foltert und tötet.

 

Doch so sehr die Zeit drängt – Papst Franziskus hat recht, wenn er die Arbeit für den Frieden als die „Arbeit geduldiger Handwerker“ bezeichnet. Das ist eine treffende Beschreibung, weil daraus die Erkenntnis spricht, dass Frieden nicht vom Himmel fällt, sondern das Produkt menschlicher Anstrengung ist, und dass der Weg zum Frieden vom Kleinen hin zum Großen führt. Handwerker des Friedens zu sein, das heißt, für gleiche Rechte, gleiche Pflichten, gleiche Würde jeden Tag einzutreten. Der Weg beginnt dort, wo wir dafür sorgen, dass Kinder und Jugendliche überall auf der Welt gute Bildungschancen haben, wo wir ernsthaft und solidarisch gegen Armut und gegen die Folgen des menschengemachten Klimawandels kämpfen, wo wir Frauen und Männer bei uns aufnehmen, die vor Krieg und politischer Verfolgung fliehen. Das ist ein Gebot der Menschlichkeit!

 

Zugleich müssen wir dafür sorgen, dass die Akzeptanz dafür in unseren Gesellschaften erhalten bleibt. Auch das gehört hierher, wenn wir Frieden als „gesellschaftlichen Frieden“ verstehen und wenn wir den großen

Vereinfachern, den Schwarz-Weiß-Malern, den Angstmachern und den Populisten etwas entgegensetzen wollen.

 

Diesen Weg des Friedens sollten wir wagen zu gehen, und zwar in wachsender Gemeinsamkeit. Denn in einer Welt mit vielen neuen Kraftzentren, in Gesellschaften, die immer vielfältiger und individueller werden, müssen wir

alle neu lernen, in gegenseitigem Respekt für unsere Unterschiede zusammenzuleben. Das gilt in der multipolaren Welt. Das gilt auch in einem Land wie Deutschland, in dem heute Menschen vieler verschiedener

Religionen und Weltanschauungen zusammenleben. Hier nicht das Trennende zu suchen, sondern das Verbindende, nämlich die unantastbare Würde jeder und jedes Einzelnen, auch das bedeutet „Frieden zu wagen“. Was immer ich

als deutscher Bundeskanzler dazu beitragen kann, das will ich gerne tun.

 

Für den unermüdlichen Einsatz, mit dem Sant’Egidio und Sie alle Frieden wagen, sage ich Ihnen allerdings heute von ganzem Herzen: Vielen Dank! Pib 12

 

 

 

 

Pandemie will gelernt sein

 

Statt wissenschaftlichen Fortschritt zum Wohle der Allgemeinheit zu nutzen, lässt die Welt die Lektionen der Corona-Pandemie großenteils links liegen.

Zu den Ritualen des Herbstes in der nördlichen Hemisphäre gehört inzwischen neben der Vorbereitung auf die jährliche Grippesaison auch die auf eine neue Variante von Covid-19. In diesem Jahr ist es EG.5 (Spitzname „Eris“, in der griechischen Mythologie die Göttin des Streits und der Zwietracht), eine Untervariante von Omikron, die in den Vereinigten Staaten, Kanada und mehreren asiatischen Ländern bereits weit verbreitet ist. Obwohl die Weltgesundheitsorganisation EG.5 als „Variante von Interesse“ eingestuft hat, stellt sie als Untervariante keine große Gefahr für die öffentliche Gesundheit dar. Man geht davon aus, dass Covid-19 abgeklungen ist: Die Impfstoffe haben gewirkt, und in einigen Teilen der Welt wurde Herdenimmunität erreicht, sodass die Infektionsraten und die damit einhergehenden Morbiditäts- und Mortalitätsraten gegenüber ihren Höchstständen in den Jahren 2021 und 2022 zurückgegangen sind. Aber ist dies ein Zeichen für unsere erfolgreiche Reaktion oder haben wir einfach nur Glück gehabt?

Natürlich hat die Corona-Pandemie die Wissenschaft mobilisiert, in Rekordzeit Tests, Impfstoffe und andere Therapeutika zu entwickeln. Doch auch in der schlimmsten Phase war Covid-19 nicht so ansteckend oder tödlich wie frühere Seuchen. Und was noch wichtiger ist: Der wissenschaftliche Einfallsreichtum war nicht mit Innovationen in der Global Governance verbunden.

Tatsächlich ist es schwierig geworden, neue Varianten aufzuspüren, da viele Länder die Überwachung und die umfassenden Tests von Covid-19-Verdachtsfällen reduziert oder eingestellt haben. Maskentragen an öffentlichen Orten und andere Vorsichtsmaßnahmen sind zur Ausnahme geworden. Mehrere „Was-wäre-wenn-Fragen“ drängen sich auf. Was wäre, wenn eine tödliche Variante in einem der einkommensschwachen Länder auftaucht, in denen weniger als 40 Prozent der Bevölkerung mit mindestens einer Dosis geimpft worden sind? Was wäre, wenn die reichen Länder in ihrer Wachsamkeit zu früh nachgelassen hätten? Und was vielleicht am wichtigsten ist: Was wäre, wenn ein neues Virus eine weitere Pandemie auslöste? Es wird zweifellos ein nächstes Mal geben, und dann wird unser Versagen bei der Stärkung der Innovationspolitik deutlich zutage treten. Selbst während der Covid-19-Pandemie haben wir wiederholt Gelegenheiten verpasst, wissenschaftliche Durchbrüche zum Wohle der Allgemeinheit zu nutzen.

Im Oktober 2020 beantragten Indien und Südafrika eine vorübergehende Aussetzung der Bestimmungen des Übereinkommens der Welthandelsorganisation über handelsbezogene Aspekte der Rechte des geistigen Eigentums (TRIPS), um die rasche Herstellung und Verteilung von Impfstoffen und Therapeutika in den Entwicklungsländern zu ermöglichen. Trotz der (zumindest prinzipiellen) Unterstützung der USA und Dutzender anderer Länder war das schließlich im Juni 2022 erzielte Abkommen nur noch ein Schatten der ursprünglichen Vision. In der Zwischenzeit war das Szenario, das die TRIPS-Ausnahmeregelung verhindern sollte, eingetreten und hatte die Schwachstellen des derzeitigen Systems offenbart.

Im Gegensatz zu der von der Pharmabranche verbreiteten Erzählung, der private Sektor sei trotz geringer Erfolgschancen Risiken eingegangen, ist die Entwicklung von Impfstoffen ein langfristiges Unterfangen, das durch öffentlich-private Partnerschaften erreicht wird. Ein Großteil der Grundlagenforschung, die zu den mRNA-Impfstoffen geführt hat, wurde jahrzehntelang mit öffentlichen Mitteln finanziert, vor allem von den USA, dem Vereinigten Königreich und Ländern der Europäischen Union. Zusätzliche öffentliche Mittel beschleunigten die Forschung an Covid-19-Impfstoffen, während Vorbestellungen für Millionen von Dosen und reduzierte Kosten und Verfahren für klinische Versuche das Subventionssystem für Arzneimittelhersteller abrundeten. Als die ersten Covid-19-Impfstoffe im Westen auftauchten, war ihre Produktion für Big Pharma weitgehend risikolos geworden, sodass „das große Debakel der globalen Ungerechtigkeit bei der Impfstoffverteilung“ eintrat.

Die Pharmaunternehmen nutzten ihre Oligopolmacht, um unter dem Deckmantel der Vertraulichkeit das beste Geschäft für ihre Aktionäre abzuschließen. So zahlte etwa Südafrika mehr als das Doppelte des EU-Preises für den Impfstoff von Oxford-AstraZeneca, obwohl das Pro-Kopf-Einkommen des Landes nur etwa ein Fünftel des europäischen beträgt. Moderna ist in einen Streit mit den US National Institutes of Health über das Patent für seinen Covid-19-Impfstoff verwickelt, die behaupten, dass drei ihrer Forscher als Miterfinder aufgeführt werden müssten. Schon jetzt ist die Verfügbarkeit von Impfstoffen in vielen afrikanischen Ländern völlig unzureichend, und der Access to COVID-19 Tools Accelerator – ein Programm, das die gerechte Verteilung von Tests, Impfstoffen und Therapeutika koordinieren soll – sieht sich einer Finanzierungslücke von 247 Millionen Dollar gegenüber.

Darüber hinaus ist Covid-19 nur ein Teil der öffentlichen Gesundheit. Die Afrikanische Union hat sich zum Ziel gesetzt, bis 2040 60 Prozent des gesamten Impfstoffbedarfs des Kontinents durch regionale Produktion zu decken. Doch selbst dieses bescheidene Ziel ist in hohem Maße von ausländischer Finanzierung abhängig und stößt auf Hindernisse, die anscheinend in die derzeitigen Systeme für Innovation und geistiges Eigentum eingebaut sind. Die bevorstehenden Studien mit einem vielversprechenden Tuberkulose-Impfstoff – finanziert von der Bill & Melinda Gates Foundation und dem Wellcome Trust – verdeutlichen die zwiespältige kommerzielle Vereinbarung zwischen der Gates Foundation und GSK, dem Entwickler des Impfstoffs. (Die Gates-Stiftung setzt sich seit langem für Exklusivrechte an Arzneimitteln ein und soll Forscher an der Universität Oxford davon überzeugt haben, eine Partnerschaft mit dem Biotech-Unternehmen AstraZeneca einzugehen, anstatt nicht-exklusive, gebührenfreie Lizenzen für ihren Impfstoff Covid-19 anzubieten.) Dies ist aus vielen Gründen von Bedeutung, nicht zuletzt, weil das Adjuvans AS01, das zur Steigerung der Wirksamkeit des Impfstoffs verwendet wird – und das GSK liefern wird –, ein immenses Potenzial für andere Arzneimittel hat. Einer seiner Bestandteile, QS-21, wird seit Jahrhunderten von indigenen Völkern in Chile kultiviert, was die Frage aufwirft, wie diese Bevölkerungsgruppen von der pharmazeutischen Monetarisierung des Moleküls profitieren, wenn überhaupt.

Die Weltgemeinschaft hat bewiesen, dass sie in der Lage ist, Wissenschaft und Innovation für das Gemeinwohl zu nutzen. Vor 50 Jahren, als Hunger und Unterernährung ganz oben auf der Agenda standen, haben sich Regierungen, internationale Organisationen und Stiftungen zusammengeschlossen, um die Agrarrevolution und die CGIAR zu finanzieren, ein globales Netzwerk von Agrarforschungszentren, das bedeutende Fortschritte in der Nahrungsmittel- und Agrartechnologie und -politik erzielt hat. Doch die derzeitigen Governance-Strukturen erfüllen eindeutig nicht mehr ihren Zweck. Stellen Sie sich vor, ein Erfinder würde eine technologische Lösung für den Klimawandel vorlegen. Die Weltgemeinschaft würde sich mit ziemlicher Sicherheit über die Förderung der raschen und umfassenden Einführung dieser Technologie streiten, und das wäre bei anderen Innovationen, die positive externe Effekte haben, nicht anders.

Es heißt, dass man eine Krise niemals ungenutzt verstreichen lassen sollte. So wie es aussieht, werden wir unsere nächste Gesundheitskrise erleben, nachdem wir die Chancen dieser Krise (die noch nicht vorbei ist) weitgehend verschenkt haben. Da die Regelungen für Innovation und geistiges Eigentum weitgehend unverändert bleiben, müssen wir darauf bauen, wieder Glück zu haben. Rohinton P. Medhora, PS/IPG 12

 

 

 

 

Qualitativ hochwertige Versorgung mit medizinischen Hilfsmitteln sichern!

 

Eurocom-Positionspapier zum Handlungsbedarf in der Gesetzlichen Krankenversicherung (GKV)

Berlin - Gemeinsame Selbstverwaltung, Politik und Verbände diskutieren zurzeit die Gestaltung der Hilfsmittelversorgung der Patienten. Nicht zuletzt durch den Bericht des Bundesrechnungshofs und den Sonderbericht des Bundesamtes für Soziale Sicherung (BAS) werden Rufe nach einer umfassenden Reform lauter. „Als führende Herstellervereinigung für Kompressionstherapie und orthopädische Hilfsmittel setzt sich die eurocom für eine qualitativ hochwertige Versorgung der Patienten in Deutschland ein. Soll diese weiterhin gewährleistet sein, muss jetzt politisch und gesetzgeberisch gehandelt werden“, erklärt Geschäftsführerin Oda Hagemeier. Das Vier-Punkte-Papier der eurocom Handlungsbedarf in der GKV: Sicherung einer qualitativ hochwertigen Versorgung von Patienten mit medizinisch notwendigen Hilfsmitteln‘ stellt die Position der Industrie und pragmatische Lösungsansätze vor.

Vier Forderungen der eurocom auf den Punkt gebracht:

1. Für innovative Hilfsmittel müssen realistische Anforderungen zum Nachweis des medizinischen Nutzens gelten, damit sie zügig in das Hilfsmittelverzeichnis des GKV-Spitzenverbandes aufgenommen werden. Hier besteht Klarstellungsbedarf im § 139 SGB V.

2. Festbeträge für Hilfsmittel müssen erhalten bleiben und durch Anpassung an die Marktlage rechtssicher gestaltet werden. Hierzu sollte der § 36 SGB V modifiziert werden.

3. Die Mehrkostenregelung ist ein sinnvolles Instrument, um Patienten die bestmögliche Versorgung zu ermöglichen, ohne damit das GKV-System zu belasten. Überbordende Bürokratie sollte durch Klarstellung im § 33 SGB V abgebaut werden.

4. Das eRezept für Hilfsmittel muss weiterhin die Therapiehoheit des Arztes gewähren und darf die Versorgungsvielfalt nicht einschränken. Hierauf muss der Gesetzgeber bei der Implementierung der Prozesse Acht geben. Eurocom 12

 

 

 

Stuttgart. Flüchtlingsrat kritisiert Chaos bei Ausländerbehörde

 

Lange Schlangen, zu wenig Termine, frustrierte Menschen: Die Stuttgarter Ausländerbehörde steht in der Kritik. Der Ordnungsbürgermeister deutet an, dass das Problem nicht von heute auf morgen lösbar sein wird. Die Folgen treffen Betroffene teilweise hart.

Sie kommen am frühen Morgen mit Campingstühlen, Decken und Verpflegung – und warten viele Stunden, bis die Ausländerbehörde ihre Pforte öffnet: Der Flüchtlingsrat Baden-Württemberg kritisiert die zuletzt drastisch gestiegenen Wartezeiten bei der Stuttgarter Ausländerbehörde. Für Flüchtlingsrat-Geschäftsleiterin Meike Olszak ist die Landeshauptstadt zwar ein Extrembeispiel, aber kein Einzelfall im Land. „Betroffene werden auch in vielen anderen Ausländerbehörden benachteiligt“, sagte sie am Donnerstag.

Auch nach Worten des Stuttgarter Ordnungsbürgermeisters Clemens Maier (Freie Wähler) sind lange Wartezeiten und Personalprobleme kein Novum für die Ausländerbehörde der Landeshauptstadt. „Schon seit längerem haben wir Schlangen“, sagte Maier der Deutschen Presse-Agentur. „Deshalb arbeiten wir mit Hochdruck daran, Personal zu finden.“ Allerdings müsse das neu eingestellte Personal dann erstmal eingearbeitet werden. Das Ausländerrecht sei kompliziert. Maier sagte, man müsse Geduld haben.

Lange Wartezeiten haben weitreichende Folgen für Betroffen

Seit wann das Problem bei der Ausländerbehörde bestehe, konnte Maier nicht sagen. Er sei noch nicht so lange Ordnungsbürgermeister. Maier trat sein Amt im November 2020 an. Der Druck auf die Ausländerbehörde sei derzeit aber groß, räumte Maier ein. Aktuell seien 44 von 156 Stellen in der Behörde offen. Viele Vorgänge könnten deshalb nicht bearbeitet werden. Allerdings habe man im Verlauf des Jahres deutliche Fortschritte gemacht und mittlerweile weniger unbesetzte Stellen als noch zu Jahresbeginn. Man erwarte weitere Neueinstellungen. Zudem rekrutiere man derzeit Aushilfen.

Die Folgen des Engpasses tragen die Betroffenen: So verlören Menschen etwa ihre bereits zugesagte Mietwohnung oder ihren versprochenen Job, weil sie keinen Termin bei der Behörde und damit auch die erforderlichen Unterlagen nicht bekämen, sagte Olszak vom Flüchtlingsrat. Zudem sei die mangelnde Digitalisierung ein Problem. Die Behörden würden sich auch weniger als Servicezentren verstehen, sondern es ginge ihnen darum, Leute möglichst schnell abzuschieben. Der Flüchtlingsrat forderte, dass Duldungszeiträume weiter verlängert würden – das würde auch Termindruck von den Behörden nehmen.

Migrationsministerium will eine zentrale Stelle für Fachkräfte schaffen

Mit Flüchtlingen aus der Ukraine habe die angespannte Lage nur teilweise zu tun, sagte der Ordnungsbürgermeister. Viele, die in der Schlange stünden, seien schon jahrelang in Deutschland und warteten etwa auf eine Verlängerung der Aufenthaltstitel. Durch die Geflüchteten aus der Ukraine kämen aber noch weitere Menschen und Fälle hinzu. Die Behörde müsse noch stärker kommunizieren, in welchen Fällen sich das Warten für die Menschen lohne und in welchen nicht.

Das Migrationsministerium arbeitet derweil an einer zentralen Stelle zur Bearbeitung der Unterlagen von ausländischen Fachkräften, um Verfahren zu beschleunigen. Diese Initiative hatte Ministerin Marion Gentges (CDU) bereits im Sommer angekündigt. Man rechne damit, dass sich die Landesregierung in den kommenden Wochen damit im Kabinett befassen werde, sagte eine Sprecherin am Donnerstag. (dpa/mig 11)

 

 

 

Zuppi: Ukraine wird entscheiden, wie sie den Frieden erreichen will

 

Der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz, der derzeit in Berlin an der von Sant'Egidio veranstalteten Tagung „Die Kühnheit des Friedens“ teilnimmt, hat die Fragen der Journalisten zu der ihm vom Papst anvertrauten Friedensmission beantwortet und betont den von Franziskus geförderten „kreativen Frieden“: „Die Wege des Friedens sind unvorhersehbar. Lassen Sie uns an einem großen Bündnis arbeiten“. Francesca Sabatinelli

 

Berlin - In der Ukraine ist die Situation seit Monaten tragisch, es gibt Schwierigkeiten, und man muss sich immer vor Augen halten, wer der Aggressor und wer der Aggressor ist. Kardinal Matteo Zuppi, Vorsitzender der italienischen Bischofskonferenz und Erzbischof von Bologna, erklärte, dass für diesen Konflikt dringend eine Lösung gefunden werden müsse. Der Kardinal sprach in Berlin, wo er sich anlässlich des internationalen Friedenstreffens aufhielt, das vom 10. bis 2. September von der Gemeinschaft Sant'Egidio in Zusammenarbeit mit den katholischen und evangelischen Kirchen der deutschen Hauptstadt veranstaltet wird. An der Veranstaltung, die auf das 1986 von Papst Johannes Paul II. initiierte Gebet der Religionen in Assisi zurückgeht, nehmen die Führer der wichtigsten Weltreligionen sowie Persönlichkeiten aus Kultur und Politik aus 40 Ländern teil.

Die Friedensmission und der wahrscheinliche Aufenthalt in Peking

Zuppi beantwortet die Fragen der Medien zu der ihm vom Papst anvertrauten Mission, die ihn bereits in die Ukraine, nach Russland und in die Vereinigten Staaten geführt hat. Es wird immer einen Vorstoß in Richtung eines „gerechten und sicheren Friedens“ geben, erklärte er, mit dem Engagement „derjenigen, die wichtig sind“, wie China, eines der wichtigsten Elemente für den Frieden, wohin sich der Kardinal begeben sollte, immer im Rahmen der ihm vom Papst übertragenen Mission, auch wenn es noch keine Gewissheit über den Zeitpunkt gibt, da, wie Zuppi erklärte, „die Zeiten des Heiligen Stuhls und Chinas bekanntermaßen sehr lang sind“. Der Frieden, so fügte er mit Nachdruck hinzu, erfordere die Anstrengung aller, aber „er kann niemals von irgendjemandem aufgezwungen werden, es muss der von den Ukrainern gewählte Frieden sein, mit den Garantien, dem Engagement und den Anstrengungen aller“.

Die Unterstützung der Kirche und des Papstes für die Ukraine

Was die „Unstimmigkeiten“ mit Kyiv nach der ukrainischen Kontroverse im Anschluss an eine Rede von Franziskus vor einer Gruppe junger russischer Katholiken in St. Petersburg angeht, glaubt Zuppi, dass „sie sich aufklären werden und dass sie in einer so angespannten Situation verständlich sind“. Er sei jedoch überzeugt, dass sowohl die ukrainische Regierung als auch das Volk sich der Unterstützung bewusst seien, „die die Kirche und der Papst immer für ihr Leiden gehabt haben“. Der Kardinal kehrte dann zu dem von Franziskus verwendeten Ausdruck eines „kreativen Friedens“ zurück, um auch zu erklären, wie die Wege des Friedens selbst manchmal „unvorhersehbar sind und das Engagement und die Beteiligung aller und eine große Allianz für den Frieden benötigen, um in die gleiche Richtung zu stoßen“, so wie es der Papst mit dem vatikanischen Sozialbeauftragten Kardinal Konrad Krajewski tue, „mit der Nächstenliebe, mit den vielen Unterstützungen und auch mit dieser Mission, um zu helfen, in die einzige Richtung zu stoßen, die die Beteiligung aller erfordert und das ist der Frieden“. (vn 11)

 

 

 

 

„Schindlers Liste“ von Rom: Fragen an einen Jesuiten

 

„Vielleicht ist der größere Schritt, dass es wirklich gelingt, dass jüdische und katholische Historiker mit einer großen Nüchternheit und Klarheit und einem absoluten Interesse an historischer Präzision und nicht etwa an Ideologien die Sache bearbeiten.“ Das sagt Jesuitenpater Dominik Markl in unserem Interview über die Forschungen rund um die neu entdeckte Namensliste von Juden und anderen Verfolgten, die während der deutschen Besatzung Roms in Kirchengebäuden Schutz fanden.  Jonas Over – Vatikanstadt

 

Seit den 60er Jahren wusste man von der Existenz einer solchen Liste, doch galt sie als verschollen. Vor einigen Jahren begann Markl, als er noch am päpstlichen Bibelinstitut in Rom arbeitete, sich auf die Suche nach diesem Dokument zu machen.

„Ich bin erst Jahre später fündig geworden. Das heißt, ich habe einen anderen Kollegen gefunden, der aufgrund seiner Recherche zur Geschichte der Archäologie des Instituts in Israel und Jordanien in unserem Archiv gearbeitet hat. Der wusste, wo sich das Dokument befindet. So konnte ich einen ersten Blick darauf werfen und bin mir nach den ersten Recherchen im Klaren darüber geworden, worum es sich handelt.“

Sofort nach der Entdeckung sei man an jüdische Organisationen herangetreten, allen voran natürlich die jüdische Gemeinde von Rom und die Holocaust-Gedenkstätte Yad Vashem. Binnen kürzester Zeit konnte eine sehr enge und fruchtbare Zusammenarbeit entstehen, so Markl.

Schwierigkeiten in der Forschung

Mit dem Fund des Dokuments tun sich natürlich auch gewisse Probleme auf. Handelt es sich bei den aufgeführten Personen um getaufte oder auch um nicht getaufte Juden? Und ganz grundlegend: Ist die Liste überhaupt echt bzw. authentisch? Wer steht hinter diesen Namen, was sind die jeweiligen Einzelschicksale?

 „Eine der vielen Schwierigkeiten ist, dass viele Juden natürlich in dieser Zeit zu ihrem eigenen Schutz falsche Namen verwendet haben. Und hier falsche Namen und echte Namensidentität herauszufinden, ist oft eine Detektivarbeit. Zum Teil gibt es Gleichheiten, wie ja auch in anderen Ländern. Hans Müller gibt es öfter, und ähnlich ist es auch mit jüdischen Namen in Rom.“

Bedeutung des Fundes in der historischen Forschung

Lange hat man auf eine solche Entdeckung gewartet. In der Vergangenheit wurde namentlich Papst Pius XII. immer wieder vorgeworfen, dass sein zögerliches Verhalten angesichts der Shoah diese womöglich begünstigt habe. Laut Markl bietet die neu gefundene Quelle keine Grundlage, um die Person Pius XII. gänzlich neu zu bewerten.

„Es ist ein relativ großes und wichtiges Puzzlestück sozusagen, das viel beinhaltet. Aber es muss alles erst eingeordnet werden in den Gesamtzusammenhang der vielen tausenden und abertausenden von Dokumenten, die in den vatikanischen Archiven jetzt zugänglich sind und deren Aufarbeitung auch viele, viele Jahre brauchen wird. Insofern sind wir erst am Anfang dieser Forschung.“

Weitere Verwendungen der neuen Quelle

Zum Schutz der aufgeführten Namen ist das Dokument zunächst nur wenigen Menschen zugänglich. Dies soll in den nächsten Jahren auch erstmal so bleiben, wenngleich man sich mittel- und langfristig wünschen würde, dass diese neue Quelle der breiten Öffentlichkeit zugänglich wird. „In der Zusammenarbeit mit der jüdischen Gemeinde ist uns natürlich sehr wichtig, auf ihre  Wünsche einzugehen und diese sehr hoch zu respektieren.“

Im Oktober wird in Rom eine Studientagung über Erkenntnisse zu Pius XII. und den Vatikan zur Zeit des Zweiten Weltkriegs stattfinden. In diesem Zusammenhang wird auch der neue Fund eine Rolle spielen. Laut Markl wird die Rolle aber nicht entscheidend sein, aufgrund der Masse an anderen Dokumenten.

Hintergrund

Anfang des Monats wurde in den Archiven des päpstlichen Bibelinstituts in Rom eine Liste von über 4.300 Personen entdeckt, die während der deutschen Besatzungszeit in Rom in kirchlichen Räumen vor den Nazis geschützt wurden. 3.200 dieser Namen stammen von Jüdinnen und Juden. Lange hatte man diese Zahlen bereits vermutet, aber diese Liste konnte sie nun bestätigen.

Zur Person

Dominik Markl SJ lehrt an der Universität Innsbruck katholische Theologie. Zuvor war er von 2013 bis 2023 Dozent am päpstlichen Bibelinstitut in Rom.

(vn 8)

 

 

 

 

Mehrheit der Deutschen gegen Industriestrompreis

 

Hamburg – Die Politik diskutiert zurzeit die Einführung eines zeitlich befristeten, reduzierten Industriestrompreises unterhalb des normalen Marktpreises. Dabei soll der Staat mit Hilfe von Steuergeldern einen Teil der Stromkosten für energieintensive Unternehmen übernehmen. Eine Umfrage des Markt- und Meinungsforschungsinstituts Ipsos zeigt nun, dass eine knappe Mehrheit der Deutschen (51%) gegen die Einführung eines solchen Industriestrompreises ist. Der größte Anteil von 31 Prozent ist der Meinung, dass der Staat das Geld stattdessen in erneuerbare Energien investieren sollte, damit die Marktpreise langfristig sinken. Jeder Fünfte (20%) lehnt eine staatliche Förderung der Stromkosten von Unternehmen grundsätzlich ab.

Nur 36 Prozent der Befragten würden die Einführung eines Industriestrompreises begrüßen. Allerdings spricht sich unter den Befürwortern der Großteil (23%) für eine Förderung aller Unternehmen, unabhängig von ihrer Größe, Branche und regionalen oder internationalen Ausrichtung aus. Lediglich 13 Prozent unterstützen den Vorschlag von Wirtschaftsminister Robert Habeck, wonach sich die Förderung auf energieintensive Unternehmen beschränken würde, die im internationalen Wettbewerb stehen.

 

Größte Ablehnung bei Grünen und Linken

Am kritischsten wird der Industriestrompreis von der Wählerschaft der Grünen gesehen. 61 Prozent der Grünen-Anhänger lehnen diesen ab, ein Großteil davon (48%) bevorzugt eine alternative Investition der staatlichen Gelder in erneuerbare Energien. Weitere 13 Prozent lehnen eine staatliche Förderung der Stromkosten von Unternehmen vollständig ab. Auch die Anhängerschaft der Linkspartei spricht sich mit 58 Prozent mehrheitlich gegen die Einführung eines Industriestrompreises aus. Ein Drittel der Linken-Wähler (35%) ist der Meinung, dass das Geld stattdessen in erneuerbare Energien investiert werden sollte, 23 Prozent sprechen sich komplett gegen eine staatliche Förderung aus.

Anders sieht es bei den Sympathisanten der AfD aus, die sich mit 53 Prozent zwar ebenfalls mehrheitlich gegen die Einführung des Industriestrompreises aussprechen, allerdings im Gegensatz zu Grünen- und Linken-Wählern nur zu 17 Prozent der Meinung sind, dass das Geld alternativ in erneuerbare Energien investiert werden sollte. Mehr als jeder dritte AfD-Anhänger (36%) ist der Ansicht, dass grundsätzlich kein staatliches Geld für die Förderung der Stromkosten von Unternehmen verwendet werden sollte.

Nur eine Minderheit der Grünen- (29%), Linken- (30%) und AfD-Wähler (39%) spricht sich für die Einführung eines Industriestrompreises aus.

 

Mehr Zustimmung bei Anhängern von FDP, SPD und Union

Besser kommt der Industriestrompreis bei der Wählerschaft von FDP, SPD und Union an, die sich zu 49 (FDP), 45 (SPD) und 44 (CDU/CSU) Prozent für diesen Vorschlag aussprechen. Bemerkenswerterweise ist die FDP die einzige Partei, bei welcher der Anteil der Befürworter größer ist als der Anteil derjenigen, die den Industriestrompreis ablehnen (45%). Bei SPD- (47%) und Unions-Wählern (46%) ist die Ablehnung jeweils etwas größer als die Zustimmung.

Unter denjenigen Befragten, die die Einführung eines Industriestrompreises unterstützen, ist sowohl bei der SPD als auch bei der Union ein Großteil dafür, dass alle Unternehmen, unabhängig von ihrer Größe, Branche und regionalen oder internationalen Ausrichtung gefördert werden sollten. Nur 16 Prozent der SPD- und Unions-Anhänger sprechen sich für eine Förderung aus, die sich auf große energieintensive Unternehmen beschränkt, die im internationalen Wettbewerb stehen. Bei der Wählerschaft der FDP (27%) kommt die von Habeck vorgeschlagene Option deutlich besser an. Jeder fünfte FDP-Unterstützer (22%) präferiert eine staatliche Förderung aller Unternehmen ohne Einschränkungen.

 

Dr. Robert Grimm, Leiter der Politik- und Sozialforschung bei Ipsos, stellt fest: „Die Daten spiegeln eine verkehrte Welt wider. Eigentlich sollten es die Unterstützer von SPD und Grünen sein, die sich für eine Subvention des Strompreises aussprechen. Der Ukrainekrieg und die Energiewende haben zu steigenden Energiekosten geführt. Zuschüsse für energieintensive Unternehmen wurden vom grünen Wirtschaftsminister Robert Habeck vorgeschlagen bis ausreichend Energie aus erneuerbaren Quellen gewonnen werden kann, um den Bedarf der Industrie zu decken. Die SPD-Fraktion und Gewerkschaften machen sich ebenfalls für den Industriestrompreis stark, um die Konkurrenzfähigkeit von energieintensiven Wirtschaftszweigen, die im internationalen Wettbewerb stehen, zu gewährleisten und den Industriestandort Deutschland zu sichern. Aus dem FDP-geführten Finanzministerium hört man hingegen eine andere Stimme: Für Christian Lindner ist der Industriestrompreis ungerecht, da die Subventionen von Unternehmen nur auf Kosten der Steuerzahler umsetzbar sind. Außerdem bremsen dauerhafte staatliche Energiekostenhilfen aus Sicht der Liberalen Innovation. Fakt ist jedoch, dass gerade FDP-Anhänger eine Energiesubvention für Unternehmen befürworten, während Grünen-Wähler sie zugunsten von Investitionen in Innovation ablehnen und Sozialdemokraten unentschlossen sind. Wie es zu dieser Dissonanz zwischen Unterstützern und Parteispitzen kommen konnte, bleibt unklar. Eventuell liegt es an der mangelnden Kommunikation, womit sich dann auch fallende Umfragewerte begründen ließen.“ Ipsos 7

 

 

 

 

Der Internationale Literaturpreis 2023 geht an Mohamed Mbougar Sarr, Holger

Fock und Sabine Müller

 

Für den Roman Die geheimste Erinnerung der Menschen (Hanser, 2022) erhalten der Autor Mohamed Mbougar Sarr und die Übersetzer*innen Holger Fock und Sabine Müller den Internationalen Literaturpreis 2023.

  Die Bekanntgabe der Preisträger*innen erfolgte im Rahmen einer feierlichen Preisverleihung am 9. September 2023 im Forough Farrokhzad Garten des Hauses der Kulturen der Welt (HKW). Zum fünfzehnten Mal verleihen das Haus der Kulturen der Welt und die Stiftung Elementarteilchen den Internationalen Literaturpreis. Dotiert mit 35.000 Euro – 20.000 Euro für Autor*in, 15.000 Euro für Übersetzer*in – zeichnet er ein herausragendes Werk der internationalen Gegenwartsliteratur in deutscher Erstübersetzung aus. Er würdigt in dieser Allianz sowohl Originalwerk als auch Übersetzung. Der doppelte Fokus macht ihn in der deutschen Preislandschaft einzigartig. Aufbauend auf dem Erbe des Preises, das Verständnis für heterogene Formen des Geschichtenerzählens zu erweitern, können seit diesem Jahr auch deutsche Erstübersetzungen internationaler Lyrik eingereicht werden. Aus der Begründung der Jury: „Mohamed Mbougar Sarrs Roman verortet orale Erzählkunst in der Welt des Literarischen. Und dies voller Witz, Erotik und intellektueller Tiefe, in eleganter und atemberaubend kenntnisreicher Beiläufigkeit.

Sarrs Meisterwerk ist eine umwerfende Reflexion über Literatur, die Freiheit des Schriftstellers, auch seine Freiheit zu Schweigen. Letztlich geht es hier so sehr um die Reise hin zu den Worten, zur Liebe, zur Trauer und zu sich selbst – wie auch um das Scheitern dieser Suche nach dem Geheimsten eines Menschen, der Unergründlichkeit des Menschlichen an sich. 

Die Übersetzung von Sabine Müller und Holger Fock lässt die Waghalsigkeit von Sarrs Fantasie und die Eleganz seiner Sätze durchscheinen, ohne beidem hinterher zu hetzen. Vielmehr ist es den Übersetzer*innen gelungen, die deutsche Sprache um eine Erzählung, die bis zur Gewaltgeschichte Deutschlands führt, auf bleibende Weise zu bereichern, mit einer geradezu bewundernswerten, weltläufigen Leichtigkeit. Sarrs Tempo und Witz kommen in der Sprache von Müller und Fock ebenso zur Geltung wie die Zartheit und intellektuelle Kraft seines Romans.“ Asal Dardan und Deniz Utlu für die Jury Mohamed Mbougar Sarr, geboren in Dakar, wuchs im Senegal auf und studierte Literatur und Philosophie in Frankreich. Er hat bereits drei Romane veröffentlicht, für die er unter anderem mit dem Prix Stéphane Hessel und dem Grand Prix du Roman Métis ausgezeichnet wurde. Für Die geheimste Erinnerung der Menschen, seinem ersten Werk, das in deutscher Übersetzung erscheint, erhielt er 2021 den Prix Goncourt. 

Holger Fock und Sabine Müller übersetzen gemeinsam aus dem Französischen, unter anderem Mathias Énard, Alain Mabanckou, Patrick Deville und Olivier Rolin. 2011 wurden sie mit dem Eugen-Helmlé-Übersetzerpreis ausgezeichnet, in diesem Jahr erhalten sie den Paul-Celan-Preis für ihr übersetzerisches Gesamtwerk. HKW 9

 

 

 

Streit um Abayas. Frankreich verbannt lange Gewänder aus Schulen

 

An Frankreichs Schulen sind lange, traditionell aus arabischen Ländern stammende, Gewänder ab Montag verboten. Um diese Abayas gab es schon länger Streit. Sind sie einfach ein Kleidungsstück oder ein religiöses Symbol? Von Michael Evers

 

Um Kopftuch und Burkini-Badeanzüge hat Frankreich viel gestritten, nun sorgt ein Verbot von Abayas an Schulen für neuerlichen Wirbel. Zum Schuljahresbeginn von Montag an sind die traditionell von Frauen in islamischen Ländern getragenen knöchellangen Gewänder tabu, ebenso der entsprechende Überwurf für Männer, der Qamis. Das verfügte Frankreichs neuer Bildungsminister Gabriel Attal per Erlass. Dabei stützt er sich auf das seit langem geltende Verbot von sichtbaren religiösen Symbolen an Schulen in dem auf Laizität, also der strikten Trennung von Staat und Religion, bedachten Frankreich.

In den letzten Monaten hätten Verstöße gegen die Laizität an Schulen stark zugenommen, sagte Attal. Von rund 4.700 Fällen im vergangenen Schuljahr war die Rede, häufig sei es um das Tragen von Abayas gegangen. Schon eine Weile sind die Gewänder Diskussionsstoff in Frankreich. Eine entschiedene Antwort sei nötig, befand nun der vor den Ferien an die Spitze des Bildungsressorts gerückte Attal, der zuvor beigeordneter Haushaltsminister und Regierungssprecher war: „Die Abaya hat in unseren Schulen keinen Platz.“ Volle Rückendeckung erhielt er dabei von Präsident Emmanuel Macron: „Religiöse Symbole haben in der Schule keinen Platz“, sagte er. Mit der Problematik dürften Schulleitungen nicht alleine gelassen werden.

Bekleidungsvorschriften?

Aber geht das nicht alles zu weit, macht die Regierung da nicht jungen Frauen Bekleidungsvorschriften? Und ist die Abaya zwingend ein religiöses Symbol oder schlicht ein Kleidungsstück? Das sind die Fragen der Kritiker. Befürworter halten dagegen, dass es darum gehe, religiös motivierte Kleidung in der Schule nicht zu normalisieren, um eine schleichende Indoktrinierung zu vermeiden.

Die Vorsitzende der Bildungsgewerkschaft ID-FO, Agnès Andersen, hält das für übertrieben. Das Kleid habe anders als das Kopftuch keinen religiösen Ursprung, selbst wenn Salafisten dazu ermunterten, so etwas zu tragen, sagte sie im Juni der Zeitung „Le Parisien“. Am Ende zähle die Absicht der jungen Mädchen. Bei einigen könne der Glaube eine Rolle spielen. Andere wollten ihre Rundungen verdecken, die Freundin nachmachen oder fänden die lange Tunika schön und preiswert.

Bekleidungspolizei?

Von Teilen der Opposition bezieht Macrons Mitte-Regierung Kritik für den Erlass. „Wie weit wird die Bekleidungspolizei gehen?“, sagte die Linksabgeordnete Clémentine Autain, die das Verbot bei X (vormals Twitter) auch als eine besessene Zurückweisung von Muslimen bezeichnete. Die Regelung sei verfassungswidrig, schrieb sie. Die Grünen-Abgeordnete Sandra Regol meinte auf der Plattform X: „Abayas, Röcke, Crop-Tops: Es ist immer der Körper der Frauen, den diese Politiker zu kontrollieren versuchen.“

Dass die Regierung bei dem schwierigen Thema nun einen harten Kurs einschlägt, wird auch als Zugehen auf die konservativen Républicains gesehen, um deren Unterstützung das Präsidentenlager für die verbleibenden vier Regierungsjahre weiter buhlt. Seit gut einem Jahr hat Macrons Regierung keine absolute Mehrheit mehr im Parlament. Die meisten Schnittstellen gäbe es mit den Konservativen, mit denen eine wie auch immer geartete Kooperation aber bislang nicht gelungen ist.

Zum Schuljahresstart will die Regierung zunächst auf Dialog setzen, was das neue Verbot angeht, hieß es in dem Erlass. Mit Schülerinnen und Familien werde geredet, sagte auch Macron. Danach aber drohen Disziplinarmaßnahmen – welche genau, wird nicht präzisiert.

Verbotene Kleidung

Attals Vorgänger Pap Ndiaye hatte vor einem Verbot zurückgeschreckt. Der Staat könne keine Liste verbotener Kleidungsstücke aufstellen, hatte er im Senat gesagt. „Weil wir uns damit auf ein äußerst komplexes Terrain begeben würden. Aus rechtlicher Sicht ist die Abaya nicht einfach zu definieren, und wir würden in der nächsten Woche durch eine bestimmte Länge des Kleides, eine Kragenform oder dieses oder jenes Accessoire umgangen, was das Problem von Woche zu Woche verlängern und uns zwingen würde, mehr Rundschreiben zu verfassen, was uns direkt zum Verwaltungsgericht bringen würde, wo wir verlieren würden.“ Wie der neue Bildungsminister diese Fallstricke vermeiden will, hat er bislang nicht gesagt.

Und eine erste Klage ist bereits beim Staatsrat, dem obersten Verwaltungsgericht des Landes, von einem Verein zum Schutz der Rechte von Muslimen (ADM) eingereicht worden. „Wir haben beim Staatsrat eine Dringlichkeitsklage eingereicht, um die Aussetzung des Verbots der Abaya in der Schule zu fordern, das mehrere Grundfreiheiten verletzt“, sagte der Anwalt des Vereins, Vincent Brengarth. (dpa/mig 4)

 

 

 

 

40 Jahre Kirchenasyl: Schutz vor Abschiebung

 

1983 kam es in einer evangelischen Gemeinde in Berlin zum ersten Kirchenasyl in Deutschland. Auch in Bayern bieten Kirchen Geflüchteten immer wieder Schutz vor Abschiebung. Von Januar bis Juni 2023 gab es im Freistaat 173 Kirchenasyl-Fälle.

Von Valentin Beige, Barbara Schneider, BR24 Dein Argument

Am 30. August 1983 sprang ein Geflüchteter, Cemal Kemal Altun, aus dem Fenster eines Berliner Gerichtsgebäudes in den Tod – aus Angst vor einer Auslieferung in die damalige türkische Militärdiktatur. Kurz zuvor hatte in einer Berliner Kirchengemeinde noch ein Hungerstreik gegen die Abschiebung des jungen Mannes stattgefunden.

Es ist dieselbe evangelische Kirchengemeinde in Berlin, die wenig später eine palästinensische Familie aufnahm, die ebenfalls von Abschiebung bedroht war. Es war der Beginn der Kirchenasylbewegung in Deutschland. Bis heute finden immer wieder Geflüchtete Zuflucht in Kirchengemeinden, auch in Bayern.

Kirchenasyl: So funktioniert es

Bei einem Kirchenasyl gewährt eine Gemeinde Geflüchteten, die abgeschoben werden sollen, einen zeitlich befristeten Schutz. Ziel ist es, eine erneute Prüfung ihrer Situation durch das Bundesamt für Migration und Flüchtlinge zu erreichen. Menschen, denen durch eine Abschiebung Gefahr für Leib, Leben oder Freiheit oder nicht hinnehmbare Härten drohen, sollen so ein neues Asylverfahren oder ein Bleiberecht in Deutschland erhalten.

Am Tag des Einzugs meldet sich die Kirchengemeinde beim Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (BAMF) und zeigt an, wem sie Kirchenasyl gewährt. Der Staat toleriert das Kirchenasyl, allerdings kann er von seinem Zugriffsrecht Gebrauch machen, um Betroffene abzuschieben.

Kirchenasyl: Mehr Anfragen als Plätze

Der Jesuit Dieter Müller aus Nürnberg engagiert sich in der "Ökumenischen Bundesarbeitsgemeinschaft Asyl in der Kirche". Und er bietet regelmäßig Menschen in seinem Ordenshaus Schutz. Derzeit sind es drei Menschen. Er bekommt aber deutlich mehr Anfragen, als er unterbringen kann. "Wir bräuchten zwei- bis dreimal so viele Plätze", so Müller.

Kirchenasyl: Zahlen in Bayern deutlich gestiegen

Die Zahl der Kirchenasyle ist in Bayern in den vergangenen zehn Jahren deutlich gestiegen. Nach Angabe der Ökumenischen Bundesarbeitsgemeinschaft Asyl in der Kirche waren 2013 in Bayern 44 Menschen im Kirchenasyl. 2022 waren es 379 Menschen. Und von Januar bis Juni dieses Jahres verzeichnete das BAMF in Bayern 173 Kirchenasyl-Fälle.

Einer aktueller Fall ist der von Ibrahim Alassaf. Er lebt seit sechs Monaten im Kirchenasyl in einer evangelischen Kirchengemeinde in Regensburg. Seitdem hat der 25-Jährige das Kirchengelände nicht mehr verlassen. Ibrahim Alassaf ist vor dem Krieg in Syrien geflohen, weil er Angst vor einer Zwangsrekrutierung hatte. In Bulgarien, wo er europäischen Boden betreten hat, wurde er von der Polizei verhaftet, so Alassaf. Er berichtet, er sei geschlagen und getreten worden. Durch das Dublin-Abkommen droht ihm die Abschiebung zurück nach Bulgarien. Er hofft, dass durch das Kirchenasyl sein Fall in Bayern verhandelt wird und er in Deutschland ein Bleiberecht bekommt.

Wenig Fälle von Kirchenasyl in "sonstigen Kirchen"

Offiziell gibt es im deutschen Recht kein niedergeschriebenes Kirchenasyl. Im Jahr 2015 hatten hochrangige Vertreter der katholischen und evangelischen Kirche mit dem Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (BAMF) aber eine Vereinbarung zum Thema getroffen. Dass Gemeinden anderer Religionen in Deutschland Menschen ein solches Asyl geboten haben, hat es bislang seltener gegeben.

Von 2017 bis 2022 sind durch evangelische Kirchen in Bayern laut Zahlen des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge 487 Fälle von Kirchenasyl gemeldet worden. Von katholischen Kirchen waren es im selben Zeitraum 569. Zum Vergleich: Von Institutionen sonstiger Glaubensrichtungen sind es 71 gewesen. Dabei handelt es sich laut einer Sprecherin des BAMF überwiegend um freikirchliche Kirchen. BR 30

 

 

 

 

Kräfte bündeln

 

Der Inflation Reduction Act sorgte für Spannungen zwischen der EU und den USA. Doch Kooperationen bei Klimatechnologien würden beiden Seiten helfen.

Vor einem Jahr überraschte der US-Senat die Weltöffentlichkeit, als er sich in letzter Minute auf das umfassendste Klimaschutzpaket der Geschichte einigte. Anfangs wurde der Inflation Reduction Act (IRA) weltweit als Erfolgsmeldung begrüßt. Doch schon bald meldeten die politischen Entscheidungsträger in Brüssel Bedenken gegen die „Buy American“-Bestimmungen und Steueranreize für inländische Anbieter an und kritisierten, das Gesetz führe zu Marktverzerrungen, verstoße gegen WTO-Vereinbarungen und befördere ein „globales Race-to-the-bottom in der Subventionspolitik“.

Heute, ein Jahr nach der Umsetzung des IRA, halten die Spannungen noch immer an. Doch es gibt Anzeichen für eine Annäherung. Eine neue transatlantische Task Force zum Inflation Reduction Act hat Zugeständnisse an Europa ausgearbeitet. Unter anderem werden einige in der EU hergestellte Batterieteile als im Inland produziert anerkannt und erfüllen damit die Voraussetzungen für die Steuervergünstigungen im Rahmen des IRA. Während die EU über ihre eigene grüne Industriestrategie nachdenkt, intensivieren die USA und ihre europäischen Verbündeten ihre Zusammenarbeit bei einigen Forschungsinitiativen und Technologiestandards. Bei ihrem betont freundschaftlichen Treffen im März dieses Jahres erklärten  US-Präsident  Joe Biden und die Präsidentin der Europäischen Kommission Ursula von der Leyen gemeinsam: „Wir arbeiten gegen einen Nullsummen-Wettbewerb, damit unsere Anreize den Einsatz sauberer Energien und Arbeitsplätze maximieren – und nicht zu Gewinnmitnahmen für private Interessenführen.“

Doch jenseits aller Rhetorik bleibt die Frage: Können die USA und Europa den „Nullsummen-Wettbewerb“ in der sauberen Industrie überhaupt beenden? In einer Zeit, in der umfangreiche neue Investitionen in Klimatechnologien weltweit gebraucht werden und die USA und Europa ihre Lieferketten diversifizieren und neue Technologien einsetzen müssen, kann die Antwort nur ein „Ja“ sein. Der Wettbewerb um Subventionen und steuerliche Anreize wird zwar weitergehen, aber es wird für die transatlantischen Verbündeten immer dringlicher, eine substanzielle Partnerschaft in den Bereichen Klimainnovation und Industrie aufzubauen.

Das zeigt schon ein Blick auf den Bedarf an neuen Investitionen. Anfang 2023 hieß es in den Medien, mit neuen staatlichen Anreizen und einem ganzen Schwung von Risikokapital-Finanzierungen ließe sich die Klimatechnologie „rezessionssicher“ machen – und die Welt vielleicht in die Lage versetzen, eine katastrophale Erwärmung zu verhindern. Die Fachwelt geht inzwischen davon aus, dass die rund 400 Milliarden Dollar Klima-Investitionen im Rahmen des IRA öffentliche und private Ausgaben in Höhe von 1,7 Billionen Dollar nach sich ziehen werden. Dennoch machen die bisherigen staatlichen Anreize und privaten Finanzierungen nur einen Bruchteil dessen aus, was es braucht, um die technologischen Voraussetzungen für das Erreichen der Pariser Klimaziele zu erfüllen.

In den USA und in Europa klafft eine große Finanzierungslücke für Klimaschutz-Unternehmen, insbesondere in dem „tiefen Tal“ zwischen Anfangsphase und Profitabilität. Die Bloomberg New Economy Climate Technology Coalition geht davon aus, dass sich bis 2025 die Investitionen in Klimatechnologien gegenüber 2021 verdreifachen und bis 2030 noch einmal verdoppeln werden – ganz zu schweigen von der eigentlichen Aufgabe, neue Technologien einzuführen, einschließlich der Finanzierung von Energie- und Infrastrukturprojekten und der Ausbildung von Arbeitskräften.

Auch sollten die USA und Europa ihre Partnerschaft festigen, um gegen die sich abzeichnenden Herausforderungen in den transatlantischen Beziehungen gewappnet zu sein. Erst kürzlich hat Europa den ersten CO2-Grenzausgleichsmechanismus eingeführt – eine Steuer auf bestimmte Importprodukte, die sich nach den mit ihrer Herstellung verbundenen Kohlenstoffemissionen richtet. Die Biden-Regierung hat ein anderes Modell vorgeschlagen – einen „Green Steel Club“ von Ländern, die emissionsintensive Importe von Industriegütern mit Zöllen belegen. Beide Strategien werden bei der Emissionsreduzierung zwar erheblich Vorteile mit sich bringen, aber die USA und die EU müssen ihre Konzepte aufeinander abstimmen – andernfalls riskieren sie ernsthafte Handelsspannungen, die letztlich den Herstellern emissionsintensiverer Industrieprodukte in China und anderswo zugute kommen könnten.

Es ist zwar erfreulich, dass die USA und Europa mittlerweile Dialogplattformen für diese Themen eingerichtet haben, aber die transatlantischen Verbündeten brauchen eine mutigere Agenda, wie sie ihre Kräfte bündeln können, um den ökologischen Umbau zu beschleunigen.

Eine wichtige Möglichkeit, den Nullsummenwettbewerb zu überwinden, ist die als Friendshoring bekannt gewordene Praxis, Lieferketten auf Länder mit gemeinsamen Werten und Interessen auszudehnen. Willy Shih, Professor an der Harvard Business School und Experte für Lieferketten, beschreibt diese Logik als „die Erkenntnis, dass wir nicht alles selbst machen können“. Zwischen den USA und Europa sowie anderen Partnern gibt es laufende Gespräche über die Ausweitung des Friendshoring. Doch der Prozess steht erst am Anfang. Die Länder müssen systematisch nachverfolgen, welche Verbündeten welche kritischen Mineralien und andere Materialien liefern können, um den Übergang zu sauberer Energie zu ermöglichen. Auf dieser Grundlage sollte dann analysiert werden, wie man selektiv Subventionen und andere Anreize zum Aufbau von Lieferketten ausweiten kann. Auf diese Weise lässt sich die Umstellung auf saubere Energie beschleunigen – und gleichzeitig können Allianzen vertieft werden.

Die Technologie ist ein weiterer klarer Ansatzpunkt. Während der EU-US-Handels- und Technologierat – ein 2021 gegründetes Koordinierungsgremium – sich darum bemüht, die Forschungszusammenarbeit beider Kontinente in der Klimatechnologie auszubauen, können die politischen Entscheidungsträger noch mehr tun und gemeinsame Forschungslabors einrichten, um die großen technologischen Herausforderungen für die Netto-Null-Umstellung anzugehen. Die transatlantischen Verbündeten könnten beispielsweise neue gemeinsame Exzellenzzentren einrichten, die sich konzentriert den großen Aufgaben der Klimatechnologie widmen wie grünem Wasserstoff, Batteriespeichern, Netzflexibilität, Kohlenstoffnutzung, Klimamodellierung und anderem.

Diese neuen Zentren können die verschiedenen Tools und Fachkenntnisse der Länder nutzen, um die Forschung voranzutreiben und die Risiken für private Investoren zu verringern. Dass solche internationalen Partnerschaften in Wissenschaft und Technologie Allianzen stärken und schnellere technische Problemlösungen liefern können, hat sich schon verschiedentlich gezeigt. Zum Beispiel finanzieren und betreiben die USA und die EU gemeinsam mit anderen Weltmächten den Internationalen Thermonuklearen Versuchsreaktor (ITER), ein Megaprojekt der Fusionsforschung und -technik mit Standort in Frankreich. Nach ähnlichem Muster wurde in den vergangenen Jahrzehnten eine ganze Reihe von Projekten realisiert – vom CERN-Labor über die Internationale Raumstation ISS bis zum Humangenomprojekt.

Innovationspartnerschaften können ein Einstieg in eine breitere Zusammenarbeit sein. Der EU-US-Handels- und Technologierat ist dabei, gemeinsame Standards für ein umweltfreundliches staatliches Beschaffungswesen und eine bessere Ladeinfrastruktur für Elektrofahrzeuge zu erarbeiten. Auch hier sollten die Regierungen allerdings noch einen Schritt weitergehen. Beispielsweise könnten die USA und Europa in dringlichen Fragen des Einsatzes sauberer Technologien voneinander lernen – unter anderem mit Blick auf Strategien zur Förderung des Arbeitskräfteangebots (zum Beispiel Lehrlingsausbildung), Finanzierungsstrategien wie grüne Banken oder auch bei der Erteilung von Genehmigungen, der Regulierung von Versorgungsunternehmen und beim wirtschaftlichen Umbau in Regionen, die sich von der fossilen Energiewirtschaft verabschieden. Neben neuen Exzellenzzentren für die großen Herausforderungen im Bereich der Klimatechnologie können die USA und Europa neue Plattformen einrichten, um erfolgreiche Politikkonzepte auszutauschen und sich gegenseitig technisch zu unterstützen – auch auf lokaler und regionaler Regierungsebene.

Auf beiden Kontinenten werden aufgrund der innenpolitischen Rahmenbedingungen natürlich auch künftig die Haushaltsmittel und politischen Optionen begrenzt sein. Aber neue Kooperationen können – soweit möglich – auf bestehende Einrichtungen und Finanzierungsmöglichkeiten zurückgreifen und gleichzeitig frisches privates Geld mobilisieren. Auch wenn die Klimadebatten weiterhin sehr kontrovers geführt werden, wächst das Interesse an Investitionen in kohlenstoffarme Technologien über ideologische Grenzen hinweg – und sei es auch nur wegen der unternehmerischen Begeisterung für Elektroautos oder aus sicherheitspolitischen Erwägungen mit Blick auf China.

Im Zeitalter des IRA führt am Wettbewerb kein Weg vorbei. Die Länder auf der anderen Seite des Atlantiks werden weiter um Unternehmensinvestitionen konkurrieren, und die Unternehmen werden weiterhin auf Subventionen drängen. Themen wie die CO2-Grenzsteuer werden auch künftig eine Herausforderung darstellen, weil die USA im Gegensatz zur EU keine nationale CO2-Bepreisung eingeführt haben. Trotzdem könnte ein Ausbau der transatlantischen Partnerschaft in den Bereichen Innovation und Industrie viel dazu beitragen, private Investitionen zu beschleunigen, technische Probleme zu lösen und die anstehenden Aufgaben in gegenseitigem Vertrauen als gemeinsame Mission anzugehen. Beim Übergang zur Netto-Null gibt es zwischen den transatlantischen Verbündeten auf jeden Fall mehr Verbindendes als Trennendes. Justin Talbot Zorn, IPG 1

 

 

 

Künstliche Intelligenz. Ataman: Gesetz sollte vor digitaler Diskriminierung schützen

 

Diskriminierung kann viele Ursachen haben: Vorurteile, Hass oder schwache Gesetze. Die Antidiskriminierungsbeauftragte macht sich dafür stark, Bürger auch gegen Benachteiligungen durch Künstliche Intelligenz zu schützen. Ein Beispiel dafür gab es bereits in den Niederlanden.

Die Antidiskriminierungsbeauftragte des Bundes, Ferda Ataman, fordert gesetzliche Regelungen zum Schutz vor Diskriminierung durch digitalisierte Verfahren. „Digitalisierung, künstliche Intelligenz und Algorithmen machen vieles leichter – leider auch Diskriminierung“, erklärte Ataman am Mittwoch in Berlin. Die Bundesregierung müsse die geplante Reform des Allgemeinen Gleichbehandlungsgesetzes (AGG) nutzen, um Menschen vor den Gefahren digitaler Diskriminierung zu schützen, forderte die Beauftragte.

Künftig würden automatisierte Systeme oder Künstliche Intelligenz immer häufiger Entscheidungen treffen, die für Menschen im Alltag wichtig seien. Als Beispiele nannte Ataman Bewerbungen, Kredite, Versicherungen oder staatliche Leistungen. Was auf den ersten Blick objektiv wirke, könne tatsächlich aber Vorurteile und Stereotype verfestigen, warnte sie und stellte ein Rechtsgutachten vor, das in der Fehleranfälligkeit automatisierter Entscheidungen ein großes Problem sieht und vor „Diskriminierung durch Statistik“ warnt.

Der Studie zufolge hängt die Qualität automatisierter Entscheidungen von den Daten ab, die in ein System eingespeist werden. Ob diese fehlerfrei oder überhaupt geeignet sind, können die Menschen, über deren Anträge entschieden wird, nicht nachvollziehen – und die Anwender der Programme in der Regel auch nicht. Menschen müssten aber darauf vertrauen können, dass sie durch Künstliche Intelligenz (KI) nicht benachteiligt werden, forderte Ataman, „und sich wehren können, wenn es doch passiert.“

Diskriminierender Algorithmus in den Niederlanden

Beispiel aus anderen Ländern zeigten, was passieren könne. In den Niederlanden wurden Ataman zufolge 20.000 Eltern zu Unrecht und unter Strafandrohungen aufgefordert, Kindergeld zurückzuzahlen. Mitverantwortlich war ein diskriminierender Algorithmus in der Software: Betroffen waren vor allem Eltern mit Migrationshintergrund. Sie wurden als Betrüger dargestellt und sollten teils Zehntausende von Euro zurückzahlen.

Info & Download: Das Rechtsgutachten "Automatisch benachteiligt - Das Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz und der Schutz vor Diskriminierung durch algorithmische Entscheidungssysteme" kann kostenfrei heruntergeladen werden.

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Ataman forderte, das „Handeln durch automatisierte Entscheidungssysteme“ als Benachteiligung in das Antidiskriminierungsgesetz aufzunehmen. Betreiber von KI-Systemen müssten verpflichtet werden, Auskunft über die genutzten Daten und die Funktionsweise ihrer Systeme zu geben und im Zweifelsfall vor Gericht beweisen, dass dies nicht zu Benachteiligungen führe. Heute ist es so, dass Betroffene, die vor Gericht ziehen, die Diskriminierung ihrerseits nachweisen müssen. (epd/mig 31)

 

 

 

 

Fachkräftemangel: Wie kleine und mittlere Unternehmen von Robotik und Automation profitieren 

 

Frankfurt am Main – Der Mangel an Arbeitskräften hat sich für kleine und mittlere Unternehmen (KMU) in den OECD-Ländern zu einer der größten Herausforderungen entwickelt. Das verarbeitende Gewerbe verzeichnet derzeit einen Rekord an unbesetzten Stellen. Angesichts dieser Entwicklung beschleunigen KMU die Automation: Die Firmen setzen auf Roboter, die sich aufgrund des technischen Fortschritts deutlich einfacher installieren und bedienen lassen. Mit der neuen Online-Plattform Go4Robotics bietet die International Federation of Robotics den KMU-Entscheidern ein unabhängiges Informationsangebot für ihre Automatisierungsreise an.

„Der Mangel an qualifizierten Arbeitskräften ist heute in zahlreichen Ländern ein starker Treiber für die Automation", sagt Dr. Susanne Bieller, Generalsekretärin der IFR. „Wie jüngste EU-Statistiken zeigen, haben drei Viertel der Unternehmen in Europa ein Problem, Arbeitskräfte mit den erforderlichen Qualifikationen zu finden."

Roboter steigern Arbeitgeber-Attraktivität

Viele junge Menschen würden sich für ein Unternehmen als Arbeitgeber entscheiden, das Zukunftstechnologien einsetzt. Roboter in der Werkhalle zu programmieren ist eine neue Jobqualifizierung, mit der ein Arbeitgeber bei potenziellen Beschäftigten an Attraktivität gewinnt – häufig ein entscheidender Faktor für die Stellenwahl. Da Roboter häufig die vier besonders belastenden Tätigkeiten von repetitiver, schmutziger, gefährlicher und körperlich belastender Arbeit übernehmen, steht deren Einsatz hoch im Kurs. Die Mitarbeiter haben insgesamt mehr Zeit, sich interessanteren Aufgaben zu widmen.

KMU lernen den Umgang mit Robotern 

Die neue Online-Plattform Go4Robotics der IFR erklärt die vielfältigen Anwendungs-möglichkeiten der Robotik. Kleine und mittlere Unternehmen finden schrittweise Anleitungen und Checklisten. Experten räumen mit Mythen auf und adressieren Wirtschaftssegmente, die relativ neu in der Automatisierung sind. Manager erfahren, wie sie von neuen Trends, wie leicht zu programmierenden Robotern für Nicht-Experten, profitieren können.

Über Go4Robotics von IFR

Die International Federation of Robotics (IFR) ist eine nicht gewinnorientierte Organisation, die es sich zur Aufgabe gemacht hat, den Einsatz von Robotern zu fördern, um gesellschaftliche Herausforderungen zu bewältigen und die Lebensqualität für alle zu verbessern. Unsere Vision ist, dass die Robotik verschiedene Branchen revolutionieren und eine bessere Zukunft für alle schaffen wird. Mit fast 100 institutionellen Mitgliedern aus mehr als 20 Ländern, vertritt die IFR über 3000 Robotik-Organisationen weltweit und bietet wir einen umfassenden Überblick über die Welt der Robotik in verschiedenen Branchen und Ländern. Mit unserer Go4Robotics-Kampagne wollen wir Anfängern leicht zugängliche und verständliche Informationen und Experten tiefere Einblicke in Trends und Innovationen in der Robotikbranche bieten.

HOMEPAGE Go4Robotics: https://go4robotics.com/ IFR 31Vor 40 Jahren

Tod von Kemal Altun war Auslöser für Kirchenasyl

Vor 40 Jahren stürzte sich Camal Kemal Altun aus Angst vor einer Abschiebung aus dem Fenster eines Berliner Gerichts in den Tod. Das war der Auslöser für die ersten Kirchenasyle. Mit einer Kranzniederlegung und einer zweitägigen Tagung wurde daran erinnert.

Mit einer Kranzniederlegung ist am Mittwoch in Berlin an den Tod des türkischen Asylbewerbers Cemal Kemal Altun vor 40 Jahren erinnert worden. An der Gedenkveranstaltung nahm auch der evangelische Berliner Bischof Christian Stäblein teil. Der 23-jährige Altun hatte sich am 30. August 1983 aus Angst vor einer Auslieferung in die Türkei aus dem Fenster eines Berliner Gerichts gestürzt. Sein Tod war Auslöser für die ersten Kirchenasyle.

Stäblein erklärte, Gotteshäuser seien der älteste Schutzraum für Menschen, die auf der Flucht sind und um ihr Leben ringen. Kirchenasyle gebe es unter anderem, weil nicht in allen Ländern Asylverfahren gleich gut funktionieren. Asyl in der Kirche stehe für Menschen ein, die in Not, Leid und Traumatisierung einen Weg der Anerkennung suchen.

Asyl unveräußerlich

Der Bischof der Evangelischen Kirche Berlin-Brandenburg-schlesische Oberlausitz dankte allen, die sich in den vergangenen 40 Jahren dafür eingesetzt haben. „Sie leisten einen Dienst für die Humanität und das menschliche Gesicht unserer Gesellschaft“, sagte Stäblein, der auch Flüchtlingsbeauftragter der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) ist.

Unter Hinweis auf vermehrte Forderungen nach Aufweichung des Asylrechts sagte er, dieses sei ein unveräußerliches Menschenrecht: „Es ist nur als Individualrecht vorstellbar.“ Unter anderem hat der Parlamentarische Geschäftsführer der Unionsfraktion im Bundestag, Thorsten Frei (CDU), angeregt, das Recht auf Asyl durch Kontingentlösungen zu ersetzen.

„Wissen aus unserer eigenen Geschichte“

Bei Asylverfahren gehe es um Menschen, betonte der Bischof am Mittwoch im RBB-Inforadio: „Wir wissen aus unserer eigenen Geschichte, dieses ist ein individuelles Recht und kann nur so gelebt werden, dass jeder unvertretbar einzeln sein Recht bekommt.“

Anlässlich Altuns 40. Todestag befasste sich von Mittwoch an in der Berliner Heilig-Kreuz-Kirche eine zweitägige Tagung mit dem Thema Kirchenasyl. Dabei geht es laut Veranstaltern mit Vertretern aus Kirchen, Politik und Verwaltung um Veränderungen im Verständnis und in der Praxis des Kirchenasyls.

Juristin: Asylverfahren nicht einheitlich

Die Juristin Cecilia Juretzka vom Verein Asyl in der Kirche Berlin-Brandenburg sagte am Mittwoch im RBB-Inforadio, oft sei von Abschiebung bedrohten Menschen nicht klar, dass sie noch Rechtsmittel einlegen könnten. Kirchenasyl käme in Betracht, wenn „eine besondere Härte vorliegt“. Die wichtigsten Herkunftsländer der Menschen, die sich um Kirchenasyl bemühen, seien derzeit Syrien, Afghanistan, Iran, Irak, Russland und die Türkei.

Laut Juretzka gehen die Asylverfahren nach der Dublin-Verordnung nicht mit einheitlichen Schutzstandards einher. Die einzelnen Länder seien zwar an die Genfer Flüchtlingskonvention und die Europäische Menschenrechtskonvention gebunden. In der Praxis seien diese Regelungen aber auslegungsbedürftig. Das führe dazu, dass Menschen, die nach dem deutschen Rechtssystem Anspruch auf Asyl haben, in Staaten abgeschoben werden, in denen sie praktisch keine Chance auf Anerkennung haben. So sei der Umgang mit Geflüchteten in osteuropäischen Staaten häufig nicht mit deutschen Menschenrechtsstandards vereinbar.

(epd/mig 31)

 

 

 

Kabinett beschließt Gesetz. Einbürgerungen sollen künftig schneller möglich sein

 

Deutschland orientiert sich bei der Einbürgerung an den USA und Frankreich: Die Wartezeit von bislang acht Jahren soll künftig auf fünf Jahre verkürzt werden. Der Doppelpass wird erlaubt. Die Lebensleistung von „Gastarbeitern“ wird anerkannt. Die Antidiskriminierungsbeauftragte sieht weiter Nachbesserungsbedarf.

 

Der deutsche Pass soll künftig schneller und leichter zu bekommen sein. Das Bundeskabinett brachte am Mittwoch in Berlin einen Gesetzentwurf auf den Weg, der die Wartezeit für eine Einbürgerung von acht auf fünf Jahre verkürzt und die Mehrstaatigkeit zulässt. Wer antisemitisch, rassistisch oder in irgendeiner Form menschenverachtend handelt, hat die Chance vertan, eingebürgert zu werden. Kritik gibt es vor allem daran, dass Alleinerziehende oder Menschen mit Behinderungen häufig die Voraussetzungen nicht erfüllen könnten.

Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) sagte, „die Reform ist ein Bekenntnis zu einem modernen Deutschland“. Es sei „allerhöchste Zeit“. Deutschland könne den weltweiten Wettbewerb um die besten Köpfe nur gewinnen, „wenn sie in absehbarer Zeit voll und ganz Teil unserer Gesellschaft werden können“. Zugleich betonte Faeser: „Rassismus, Antisemitismus oder jede andere Form von Menschenfeindlichkeit stehen einer Einbürgerung entgegen – da gibt es keinerlei Toleranz.“

Voraussetzungen: Integration, Sprache, Geld

Voraussetzung für die Einbürgerung sind neben der gelungenen Integration auch gute Deutschkenntnisse sowie die eigenständige Sicherung des Lebensunterhaltes. Wer besonders gut integriert ist, kann bereits nach drei Jahren eingebürgert werden. Faeser nannte als Beispiele den KI-Professor, der das Land voranbringe, oder die Frau, die sich bei der freiwilligen Feuerwehr engagiere.

Für Alleinerziehende oder Menschen mit Behinderung, die auf Unterstützung vom Staat angewiesen sind, können Ausnahmeregelungen greifen. Faeser betonte aber, dass ein Anspruch auf Einbürgerung nur dann bestehen soll, wenn die Personen ihren Lebensunterhalt für sich und ihre Familie selbst erarbeiten. Für Härtefälle gebe es die Ermessenseinbürgerung.

Beauftragte fordert Nachbesserungen

Hier fordert die unabhängige Antidiskriminierungsbeauftragte des Bundes, Ferda Ataman, Nachbesserungen ebenso wie die Diakonie, Flüchtlingsorganisationen und Grünen-Abgeordnete. Die Diakonie-Vorständin Sozialpolitik, Maria Loheide, warnte, „dadurch werden Alleinerziehende, pflegende Angehörige, Menschen mit Behinderung sowie kranke und alte Menschen von der Einbürgerung weitgehend ausgeschlossen“. Die Grünen-Rechtspolitikerin Canan Bayram sprach von „Schwächen“ im Entwurf.

In Deutschland geborene Kinder ausländischer Eltern erhalten den Plänen zufolge indes vorbehaltlos den deutschen Pass und dürfen gleichzeitig die Staatsangehörigkeit ihrer Eltern behalten, wenn mindestens ein Elternteil seit mehr als fünf Jahren rechtmäßig in Deutschland lebt und ein unbefristetes Aufenthaltsrecht besitzt. Komplizierter ist es für Kinder, wo die Staatsangehörigkeit der Eltern ungeklärt ist. Hier muss laut Faeser zunächst alles dafür getan werden, um die Staatsbürgerschaft zu klären.

Lebensleistung der „Gastarbeiter“

Ferner hob die Ministerin die Lebensleistung der sogenannten Gastarbeiter hervor, die bis 1974 in Westdeutschland eingereist sind sowie der sogenannten DDR-Vertragsarbeiter, die bis 1990 nach Ostdeutschland kamen. Für sie soll die Schwelle zur Einbürgerung niedriger sein als für alle anderen. Faeser sprach von einem „späten Dank“ an die Gruppe von Menschen, die Deutschland jahrzehntelang mit aufgebaut hätten.

Das Gesetz könnte theoretisch bereits im kommenden Januar in Kraft treten. Hier habe aber der Bundestag das Prä, sagte Faeser. Da das Regelwerk der Ministerin zufolge nicht zustimmungspflichtig ist, kann der Bundesrat zwar Einspruch einlegen, das Gesetz aber nicht blockieren. Aus der Union gibt es insbesondere Kritik an „Turbo-Einbürgerungen“ nach drei Jahren angesichts der wegen gestiegener Zuwanderungszahlen überforderten Kommunen. (epd/mig 24.8.)

 

 

 

 

Seit 2012 sanken die Scheidungen kontinuierlich

 

„Wer heute noch heiratet und Kinder in die Welt setzt bei solchen Scheidungsgesetzen, dem kann man nicht helfen“, warnt ein ISUV-Mitglied. Die Warnung wird in den Wind geschlagen. Die Zahlen des Statistischen Bundesamtes belegen, man traut sich wieder. Im Jahre 2022 gab es 5400 Scheidungen weniger. Das liegt im Trend, denn seit  2012 sanken die Scheidungen kontinuierlich. Schon seit Jahren ist dieser Trend ungebrochen. Im Durchschnitt halten es die Partner 15 Jahre zusammen aus, von Jahr zu Jahr immer ein wenig länger, auch der Trend ist ungebrochen. Weltweit betrachtet liegt die Scheidungsquote in Deutschland im Durchschnitt. Die eigentliche Überraschung ist der kräftige Anstieg der Eheschließungen um 9,2 Prozent, in Zahlen 33 000 Paare sagten JA. „Leider ohne Ehevertrag, es wird mehr geheiratet, was hoffentlich in zehn Jahren nicht zu einer entsprechenden Zunahme von Trennungen führt. Was im Vordergrund stehen sollte, sind die 115.800 betroffenen minderjährigen Kinder. Ihnen muss Mutter und Vater erhalten bleiben. Das muss das primäre Ziel von Kindergrundsicherung und Unterhaltsreform sein“, hebt die ISUV-Vorsitzende Melanie Ulbrich hervor.  

Gefragt: Evaluationsstudien

Der Verband fordert, dass Auswirkungen der Scheidung oder Trennung der Eltern auf die Kinder statistisch nachverfolgt werden sollten. Vor allem folgende Fragen sollten statistisch solide beantwortet werden: 

* Wie viele Kinder verlieren nach einem, nach zwei oder drei Jahren einen Elternteil?

* Wie alt sind die Kinder? 

* Wie viele Eltern bleiben weiterhin gemeinsam Eltern – Trennungsfamilie?

* Welches Modell setzt sich nach einem Jahr durch, das Residenzmodell, das asymmetrische oder das symmetrische Wechselmodell?

* Welches Modell wird fünf Jahre später praktiziert? 

„Es werden in diesem Zusammenhang sehr viele und sehr unterschiedliche Zahlen genannt, je nach Standpunkt des jeweiligen Betroffenen. Die Reformvorhaben Kindergrundsicherung und Reform des Unterhaltsrechts sollten entsprechende solide quantitative und qualitative Evaluationsstudien nach sich ziehen, die entsprechende Zahlen liefern“, fordert Ulbrich.  

Kind und Knete

Im wohlklingenden Narrativ geht es immer ums Kindeswohl. Faktisch geht es aber immer beiden Seiten auch um die Knete, den Kindesunterhalt. Der ist hoch und bessert das Haushaltseinkommen erheblich auf. Das zeigt sich, wenn man die Haushaltseinkommen beider Elternteile vergleicht. 

Wer das Kind mehr als 50 Prozent der Betreuungszeit hat, hat Anspruch auf Kindesunterhalt. „Wir hoffen, dass die von Justizminister Buschmann angestoßene Reform Leitplanken zieht, die Kindern und beiden Elternteilen hilft, sich einvernehmlich zu trennen, Trennungsfamilie zu bleiben.“ (Ulbrich)

Der Kampf ums Kind löst im Einzelfall verschiedene Verfahren aus. Es geht um das Aufenthaltsbestimmungsrecht, den Umgang, um elterliche Sorge, um gelebte gemeinsame Elternschaft, um getrennt, aber gemeinsam erziehen. „Die Zunahme dieser Verfahren hat viel mit dem Wandel der Vaterrolle zu tun, rührige Väter wollen sich nicht mehr einfach entsorgen lassen, nur Zahlväter sein. Damit tun sich manchmal noch Mütter schwer, die Kindererziehung, das soll ihre Domäne bleiben“, sagt Ulbrich.  

Vereinbarungen statt „Beschlüsse“

Können oder wollen sich Eltern nicht einigen, dann entscheidet über Umgang, elterliche Sorge, Aufenthaltsbestimmungsrecht das Familiengericht, das sich in der Regel daran hält, was Gutachter, Verfahrenspfleger, Jugendamt eruiert haben. „Es handelt sich um eine fremdbestimmte Regelung. Wir unterstützen unsere Mitglieder gemeinsam selbstbestimmt eine Lösung im Sinne des Kindeswohls zu finden. Tatsächlich sind es überraschend viele Eltern, die dazu nach gutem respektvollem Zureden bereit sind. Entscheiden die Experten übers Kindeswohl, dann bleiben nicht selten verbitterte Scheidungsopfer – ein Elternteil und die Kinder – zurück“, meint Ulbrich.  

Nichteheliche Lebensgemeinschaften 

In der Statistik werden die Trennungen von nichtehelichen Lebensgemeinschaften nicht erfasst. „Hohes Konfliktpotential haben diese Trennungen, wenn kleine Kinder involviert sind, dem Vater der Umgang verweigert wird und die Mutter zum Kindesunterhalt noch Betreuungsunterhalt fordert. Dieses Konfliktfeld hat erheblich zugenommen entsprechend der Zunahme von nichtehelichen Lebensgemeinschaften“, stellt Ulbrich schon seit Jahren fest. Väter nicht in der Ehe geborener Kinder haben da schlechte Karten, wenn die Mutter nicht will. „Allerdings drängen manche Jugendämter inzwischen auch da Umgang und möglichst auch Betreuung zuzulassen“, sagt Ulbrich. 

Der Verband sieht Reformbedarf, nicht nur der Betreuungsunterhalt der Mütter – was ja die Reform Buschmanns vorsieht - darf aufgebessert werden, sondern auch das Sorgerecht der Väter muss reformiert werden. Der Verband fordert für nichtverheiratete Väter und ihre Kinder gemeinsame elterliche Sorge ab Geburt und Feststehen der Vaterschaft. Isuv 15