Webgiornale 16-28 febbraio 2025
L’Ue e gli assalti del trumpismo
Ancora non abbiamo
digerito del tutto le elezioni americane, che già si profilano all’orizzonte
quelle anticipate del 23 febbraio in Germania. Sembrano eventi lontani nel
tempo e geograficamente agli antipodi, ma in realtà costituiscono entrambi le
facce della stessa medaglia. Esse infatti rappresentano, da una parte, il
futuro dei rapporti fra Unione europea e Stati Uniti e, dall’altra, la capacità
dell’Ue di resistere agli assalti del trumpismo e di mantenere, se non
approfondire, la propria unità.
Ma prima di tutto
le prossime elezioni in Germania ci diranno quale sarà il futuro politico di
questo paese, che rimane chiave nei confronti dell’intera Europa. Oggi a
preoccuparci sono due fatti concomitanti. Il primo è la crisi sistemica
dell’economia tedesca: quasi il 20% delle imprese tedesche lavora a ritmi
ridotti e almeno 1/3 delle grandi industrie, soprattutto nel comparto
automobilistico, hanno avviato licenziamenti e chiusura di impianti. L’arrivo
di Trump, che come è noto teme le auto tedesche che inondano il mercato
americano, non fa che rendere ancora più pessimistiche le prospettive
dell’industria tedesca nell’eventualità di forti dazi statunitensi. Per
un’economia ampiamente basata sull’export, la sola menzione di dazi o di aiuti
di stato alle industrie concorrenti (vedi il caso Cina) è una minaccia
rovinosa.
L’AfD è per l’Ue
una grande novità ed un’imminente minaccia
Il secondo fatto
che rischia di indebolire il “modello” politico tedesco è l’impetuosa crescita,
sia nei Länder dell’Est ma anche a livello nazionale, delle forze estremiste di
destra, in particolare del partito “neo nazista” AfD di Alice Weidel. Già la destra
fa da padrona in Austria, Italia, Ungheria e Slovacchia, tanto per citare i
paesi dell’Ue che più si rapportano con la Germania, e uno scivolamento tedesco
ancora maggiore verso quell’area estrema è fonte di non poche preoccupazioni a
Bruxelles e nelle altre capitali europee.
È quindi
comprensibile lo scandalo suscitato dagli ormai ripetuti interventi in totale
sostegno dell’AfD e della sua leader Alice Weidel da parte di Elon Musk, il
supertrumpiano consulente e collaboratore del nuovo presidente americano. I
suoi sfacciati interventi nella campagna elettorale di un paese “amico” fanno
impallidire le accuse di interferenze, temute ma non sempre dimostrate, della
Russia di Vladimir Putin nelle elezioni dei paesi occidentali, Germania
compresa.
È quindi
abbastanza evidente come per Berlino il prossimo appuntamento elettorale si
preannunci come decisivo per il ruolo tedesco in Europa nei prossimi anni. A
parte l’AfD, che rappresenta la grande novità e un’imminente minaccia, il resto
dello scenario partitico tedesco rimane sostanzialmente invariato, con i Verdi
e i Liberali al difficoltoso inseguimento delle due tradizionali forze
trainanti, i democratico-conservatori della CDU/CSU e i socialdemocratici della
SPD. Questi ultimi, in realtà, scontano l’inadeguatezza del loro
leader-cancelliere Olaf Scholz, dalle cui dimissioni sono nate le elezioni
anticipate.
Tutto si concentra
quindi sulla CDU e sul suo leader Friedrich Merz, figura non certo nuova
essendo stato già anni fa un acerrimo nemico e concorrente di Angela Merkel,
cui oggi rimprovera sia gli accordi sull’energia con Vladimir Putin che
l’apertura nel 2015 ad oltre un milione di immigrati siriani in fuga dalla
repressione di Bashar al-Assad. In effetti, ancora oggi a dominare la campagna
elettorale è il tema dell’immigrazione, su cui l’AfD ha creato la propria forza
nel paese. Per non farsi scavalcare a destra, sia i socialdemocratici di Scholz
sia, a maggior ragione, i conservatori di Merz hanno elaborato proposte volte a
bloccare l’immigrazione alle frontiere e a rendere particolarmente difficile la
richiesta di asilo.
Le nuove sfide per
il futuro cancelliere Merz
A soffiare sul
fuoco è ancora una volta Elon Musk che, proprio nell’80° anniversario
dell’olocausto, ha invitato i tedeschi (e l’AfD) a “liberarsi delle colpe del
passato” e a combattere per preservare la cultura e sovranità tedesca. Al
di là della indecente provocazione, ciò che colpisce è come il tema
dell’immigrazione sia di fatto un argomento cruciale, come dimostra la vittoria
di Trump negli Usa e le sue draconiane misure di deportazione dei clandestini
al di fuori dei confini americani. Un allarme per un’Unione alle prese da anni
con questo argomento e incapace di darsi regole e politiche comuni, lasciando a
ciascun paese membro l’onere di risolvere (o cercare di risolvere) per proprio
conto una questione chiaramente strutturale e di lungo periodo.
Ma certo per il
futuro cancelliere tedesco le questioni da affrontare saranno molte altre,
tutte enormemente difficili e di grande responsabilità. Friedrich Merz ha
cercato di delineare il suo programma interno ed estero, ad iniziare dalla
ripresa delle competitività industriale tedesca ed europea, magari aprendo uno
spiraglio ad eventuali eurobond e a modificare la previsione costituzionale
tedesca sul pareggio obbligatorio del bilancio. Stesso discorso sul piano della
difesa, dove Berlino dovrà superare sia i vincoli costituzionali che di
bilancio per operare pienamente anche in questo settore, la cui prospettiva
dovrebbe essere tuttavia europea. Di qui la ricerca di paesi alleati con cui
avviare concretamente l’abbozzo di una difesa comune: il cosiddetto “formato di
Varsavia”, composto da Polonia, Germania, Francia (i tre del gruppo di Weimar)
con l’aggiunta di Gran Bretagna, Italia e Spagna. Un nucleo di paesi intorno a
Berlino che dovrà allo stesso tempo tenere rapporti equilibrati con Washington,
sostenere l’adesione dell’Ucraina all’Ue e contenere l’aggressività di Mosca.
Insomma, quelle tedesche saranno elezioni per noi ben più importanti delle
vicende americane, anche se le due rimangono inevitabilmente legate fra di
loro. Gianni Bonvicini
AffInt 11
Sicurezza, clima, migrazioni: l’agenda della Commissione von der Leyen 2
Il 2024 è stato
l’anno delle “grandi elezioni”. Quasi quattro miliardi di persone – poco meno
della metà della popolazione mondiale – sono state chiamate alle urne in ben 72
paesi. Tra questi, i cittadini dei paesi membri dell’Unione europea, che a
giugno hanno eletto il Parlamento europeo ponendo così le basi per il rinnovo
delle massime cariche continentali per la legislatura 2024-2029. Le elezioni
hanno portato al conferimento di un secondo mandato alla Presidente uscente
della Commissione europea Ursula von der Leyen a luglio, il cui esecutivo è
stato confermato dal Parlamento a fine novembre.
Il contesto in cui
la seconda Commissione von der Leyen si trova ad operare è significativamente
diverso da quello che aveva caratterizzato il primo mandato della Presidente.
Lo scoppio di un conflitto su ampia scala sul suolo europeo a seguito dell’aggressione
russa all’Ucraina, i nuovi venti di guerra in Medio Oriente, il rafforzamento
delle destre di varia matrice in Europa e la rielezione di Donald Trump alla
guida degli Stati Uniti pongono con forza nuovi temi al centro del dibattito
politico europeo. In particolare, se nel suo discorso al Parlamento europeo del
2019 von der Leyen aveva posto l’enfasi su mega-trend quali cambiamento
demografico, globalizzazione, digitalizzazione e – soprattutto – cambiamento
climatico, nel 2024 il focus è stato incentrato sulla necessità di “proteggere”
la prosperità, la competitività e la democrazia di cui godono i cittadini
europei.
L’obiettivo di
Ursula von der Leyen di preservare e rilanciare la competitività europea
La difesa del
continente – a livello di valori, di sicurezza economica, di coesione sociale,
ma anche molto concretamente da un punto di vista militare – è uno dei temi
cardine della piattaforma politica della seconda Commissione von der Leyen. Non
a caso, per la prima volta la Commissione annovera tra le sue file un
Commissario per la Difesa e lo Spazio, l’ex primo ministro lituano Andrius
Kubilius. In parallelo, il riconoscimento della necessità di far fronte al
cambiamento climatico si associa ora più esplicitamente all’imperativo di
preservare e rilanciare la competitività europea, per evitare di restare
indietro nella “corsa” che caratterizza l’economia globale, richiamando le
sollecitazioni proposte dal Rapporto Draghi sulla competitività europea. Infine,
il tema delle migrazioni viene adesso affrontato non solo alla luce
dell’ambizione di garantire dei “confini umani” e di contrastare l’immigrazione
irregolare e il traffico degli esseri umani, ma anche nella direzione sempre
più esplicita di aumentare la sicurezza dei confini esterni dell’Unione e di
lavorare con paesi terzi sul tema dei rimpatri. Significativa in questo senso
la decisione di includere nella commissione una Commissaria per il
Mediterraneo, Dubravka Šuica. Leo Goretti, AffInt 4
Almeno 50 milioni
nel mondo le persone soggette a schiavitù, quasi 120 milioni i migranti
forzati, 25 milioni gli adulti e minori sottoposti a tratta, con circa 2,5
milioni di nuove vittime all’anno. Servono politiche migratorie che mettano al
centro le persone e i diritti umani fondamentali.
Nella 11ª Giornata
mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, istituita nel
2015 da Papa Francesco in ricordo di santa Giuseppina Bakhita, suora sudanese
vittima di tratta, il Centro Studi e Ricerche IDOS aderisce all’invito di sentirsi
e agire come “Ambasciatori di speranza. Insieme contro la tratta di persone”.
La giornata è
l’occasione per rimettere ordine nel vociare, spesso volutamente confuso, che
ruota attorno al tema delle migrazioni e che, rovesciando totalmente le
priorità umane, etiche e giuridiche, antepone la difesa dei confini alle vite
in carne ed ossa di donne, uomini e minori: vite sacrificate alla ragion di
Stato, ridotte a oggetto di scambio e contrattazione internazionale, ignorate
nelle loro sofferenze e speranze, violate nel rispetto dei loro diritti più
elementari.
Secondo l’Onu sono
almeno 50 milioni le persone vittime di schiavitù nel mondo (lavoro forzato,
sfruttamento sessuale e lavorativo, attività illecite, accattonaggio), in
particolare donne, bambini, migranti e rifugiati: 1 vittima su 3 è un minore e,
nello sfruttamento sessuale, quasi 8 su 10 sono donne. Eppure, i Paesi europei
destinatari dei flussi migratori si rappresentano come vittime dei movimenti di
persone e si organizzano per aggirare e rendere ineffettivo il diritto
internazionale, faticosamente costruito nel Novecento sulle ceneri delle
atrocità della Seconda guerra mondiale.
Guerre, povertà,
disuguaglianze, crisi climatiche, persecuzioni hanno portato le persone
costrette alla migrazione forzata a quasi 120 milioni; parallelamente, il
proibizionismo migratorio e l’esternalizzazione delle politiche di contrasto –
affidate a Stati terzi quasi mai rispettosi dei diritti umani – rendono le
rotte migratorie verso l’Ue sempre più pericolose e letali, favorendo la caduta
nelle reti del traffico e dello sfruttamento di esseri umani.
La tratta
transnazionale, diretta in gran parte verso l’Europa, è un mercato che alimenta
potenti organizzazioni criminali, al pari del traffico di armi o di
stupefacenti, spesso grazie all’interconnessione tra questi fenomeni. L’Oil
stima che ogni anno nel mondo ci siano circa 2,5 milioni di nuove vittime e che
queste siano in totale 25 milioni.
Le donne sono
tra le più esposte, a causa della loro appartenenza di genere, dei sistemi
socio-culturali dei contesti di provenienza, dell’esposizione a sfruttamento e
violenza (sessuale, ma non solo) durante il viaggio e nei Paesi di
destinazione.
I dati
scarseggiano, per la difficoltà di intercettare un fenomeno così complesso, ma
nel quinquennio 2017-2021 il database del Counter Trafficking Data
Collaborative ha registrato circa 29.000 vittime di tratta a livello
europeo, nel 53% dei casi a scopo di sfruttamento lavorativo e nel 43% per
sfruttamento sessuale. L’84% sono adulti, per il 66% donne, ma vi è anche un
16% di minori. Altri dati della Commissione Europea (Data collection on
trafficking in human beings in the EU) evidenziano che le donne sono la quasi
totalità (92%) delle vittime per sfruttamento sessuale, mentre gli uomini
costituiscono oltre i due terzi (68%) di quelle per sfruttamento lavorativo.
Nell’ultimo
decennio i canali di ingresso delle vittime di tratta si sono intrecciati con
le rotte delle migrazioni non programmate, utilizzate dalle organizzazioni
criminali per introdurre in Italia e in Europa anche persone destinate allo
sfruttamento. Così, i reati di traffico di migranti (migrant smuggling) e
tratta di esseri umani (human trafficking) si fondono pericolosamente e
diventano sempre meno distinguibili.
Diventa quindi
essenziale riconoscere le vittime di tratta e sfruttamento, favorirne
l’emersione e avviarle a percorsi di accoglienza protetti.
L’Italia ha un
sistema di identificazione delle vittime ancora poco efficace e un sistema di
tutela estremamente frammentato, anche per l’assenza di una banca dati
centrale. Mancano un nuovo piano d’azione nazionale contro la tratta, la nomina
di un relatore ad hoc, il riconoscimento degli indennizzi alle vittime, le
tutele legali per proteggerle dai reati cui siano state indotte da trafficanti
e sfruttatori.
Secondo l’ultimo
Report del Numero Verde Nazionale Antitratta, nel 2023 le nuove prese in carico
realizzate dal Sistema Antitratta sono state 762 (a fronte delle 861 del 2022)
e la Nigeria si conferma il primo Paese di origine delle persone assistite dai
progetti, insieme a Marocco, Pakistan, Costa d’Avorio, Brasile, ma anche
Bangladesh, Tunisia, Senegal, Mali.
Stupisce, poi, il
numero limitatissimo di stranieri titolari di permessi di soggiorno “per casi
speciali” rilasciati a immigrati vittime rispettivamente di:
- grave
sfruttamento lavorativo: 71 titolari a fine 2023, il che, considerando anche i
69 dell’anno precedente, ha dell’incredibile in un Paese in cui le forme di
grave sfruttamento occupazionale degli stranieri, anche sotto caporalato, sono
divenute pervasive, evidenziando la debolissima capacità di intercettare le
vittime;
- tratta e
sfruttamento, anche connessi a riduzione in schiavitù, a fini di commercio di
manodopera, prostituzione o prelievo d’organi: solo 175 casi, contro i 202 del
2022;
- violenza
domestica (sia essa fisica, sessuale, psicologica o economica, perpetrata anche
da ex partner non necessariamente co-residenti): 169 casi, a fronte dei 131 del
2022.
La Convenzione del
Consiglio d’Europa n. 197 del 2005 sulla lotta alla tratta di esseri umani ha
introdotto importanti obblighi a carico degli Stati: identificare le vittime di
tratta, dotare le autorità competenti di personale formato e qualificato, garantire
alle vittime il diritto di recupero e riflessione e misure di assistenza e
protezione, a prescindere dalla collaborazione della persona con le autorità.
Le scelte
dell’Italia e dell’Ue vanno purtroppo in senso opposto, rispondendo in termini
repressivi a tutti i migranti: volontari o forzati, liberi o sottoposti a
tratta.
“Nella giornata
mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone – sostiene Luca
Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – non bastano la
commozione o le parole di circostanza: servono urgentemente azioni concrete di
giustizia, decisioni e politiche che tutelino i diritti di chi migra, senza
prolungarne inutilmente il viaggio e le sofferenze pur di tenerle lontane,
affinché invece dei muri e dei fili spinati si costruiscano le condizioni per
una effettiva liberazione dalla schiavitù e dallo sfruttamento”. Idos 7
Uno scontro senza precedenti nel Bundestag
È stato un dramma
in due atti, ciascuno con un epilogo diverso, pieno di tensioni, incertezze e
paure. Alla fine, dopo un dibattito estenuante protrattosi sul palco e dietro
le quinte con tanti colpi di scena, il sipario è calato su una conclusione
chiara e densa di significato. Delusi gli uni, felici gli altri. E se il
Bundestag potesse parlare, anche lui esprimerebbe soddisfazione per aver
superato una difficile prova di vitalità della democrazia.
Quello che si è
svolto nel Parlamento di Berlino, sotto la cupola trasparente di Norman Foster,
tra mercoledì e venerdì, è uno scontro senza precedenti per intensità e
partecipazione. In discussione c’era il tema dell’immigrazione, prima sotto
forma di orientamenti non vincolanti illustrati in una mozione, poi sulla base
di un articolato disegno di legge sottoposto all’esame dei deputati tedeschi:
linee guida e norme più restrittive della normativa vigente su controlli alle
frontiere nazionali, poteri delle forze dell’ordine e respingimenti degli
immigrati illegali. In entrambi i casi, l’iniziativa parlamentare era stata
della Cdu/Csu, il cui presidente Friedrich Merz, impegnato nella campagna
elettorale per il voto del 23 febbraio, è nettamente in testa in tutti i
sondaggi e accreditato come assai probabile prossimo Cancelliere federale.
Materia controversa e gravida di implicazioni di vario genere, specie per la
Germania con la sua consistente presenza di cittadini stranieri o di origine
straniera.
In Parlamento,
dopo vari rinvii, si arriva così al nodo politico più rischioso e difficile da
sciogliere. Le proposte di Merz sono osteggiate da Spd, Verdi e Linke e invece
appoggiate dalla AfD, oltre che dai liberali e dai rosso-bruni di Sahra
Wagenknecht (nati da una costola dell’estrema sinistra, ma a loro agio accanto
alla destra radicale in tema di controllo dei migranti). Per la Cdu/Csu, il
cordone sanitario – che sinora ha protetto i partiti democratici da un’estrema
destra con venature neo-naziste e ha evitato rigorosamente ogni ipotesi di
convergenza parlamentare con l’AfD –, non può paralizzare il varo di una legge
più severa, ritenuta essenziale e apparentemente reclamata dalla maggioranza
dell’opinione pubblica tedesca. “Non guardo né a destra né a sinistra, ma solo
dritto davanti a me”, proclama con tono di sfida Friedrich Merz, aggiungendo
che una legge non può essere sbagliata solo perché condivisa da “persone
sbagliate”, ma le cose non sono così semplici.
Il dibattito
sull’immigrazione e le ombre dell’AfD
È vero che in
questi mesi l’intera Germania ha assistito sgomenta a una serie di attentati
letali da parte di immigrati irregolari, a Mannheim, Solingen, Magdeburg e, da
ultimo, a Aschaffenburg, dove ha perso la vita anche un bambino di due anni,
ucciso a coltellate. L’esigenza di un controllo dell’immigrazione irregolare è
diffusa e riconosciuta da tutte le forze politiche, a prescindere dalla
campagna elettorale in corso. Il problema è con quali strumenti assicurarlo, in
conformità con il diritto nazionale e europeo. Certamente la campagna
elettorale e la congiuntura negativa dell’economia alimentano altre
tensioni. La questione dei migranti, connessa agli aspetti di integrazione,
occupazione e sicurezza è prioritaria per molti, la politica ne deve tener
conto. Lo spettacolo offerto dal Bundestag in queste due giornate di fuoco
dimostra però che il dibattito sulla regolamentazione dell’ingresso dei
migranti ha ceduto il passo allo scontro sull’agibilità politica dell’estrema
destra. Su questo, all’atto dell’esame della mozione di mercoledì, si è formata
una maggioranza a favore, che comprendeva per la prima volta i voti
determinanti dell’AfD. Non è cosa da poco, al di là degli imbarazzati distinguo
di Merz nei confronti dei nuovi compagni di strada.
La maggioranza è
mancata sul testo di legge. La proposta, nonostante il supporto di Cdu/Csu,
liberali e AfD, è stata respinta (350 voti contro 338). Pessimo risultato per
Merz; ne escono confortati Spd, Verdi e Linke, fortemente contrari ad
accomodamenti con la destra radicale, così come a una stretta di dubbia
costituzionalità sull’immigrazione irregolare. Ogni tentativo di comporre
un’intesa tra i partiti al di qua del cordone sanitario è stato vano, tra
recriminazioni incrociate. Nella concitazione dell’aula e della piazza, il voto
di venerdì dice che a Berlino non c’è preoccupazione che giustifichi una
normalizzazione dei rapporti con l’AfD. Le ombre del passato restano pesanti.
Di migranti si dovrà parlare ancora, ma senza concessioni ai nemici della democrazia.
Michele Valensise, AffInt 4
Germania al voto il 23 febbraio. Come si elegge il Bundestag
I deputati del
Bundestag tedesco, il parlamento federale della Germania, vengono scelti
attraverso un processo elettorale basato su principi saldamente ancorati alla
Costituzione. L’articolo 38, comma 1, della Grundgesetz (Legge fondamentale)
stabilisce che l’elezione debba essere generale, diretta, libera, uguale e
segreta.
Ma cosa
significano esattamente questi principi? E come vengono messi in pratica?
Tutti i cittadini
tedeschi possono partecipare
Il principio della
generalità garantisce che, in linea di principio, tutti i cittadini tedeschi
abbiano il diritto di voto. Questo diritto è indipendente dal sesso, dal
reddito, dalla religione, dalla professione o dalle convinzioni politiche. Per
essere elettori, tuttavia, bisogna soddisfare alcuni requisiti:
– Avere la
cittadinanza tedesca secondo la Legge fondamentale;
– Aver compiuto 18
anni al momento delle elezioni;
– Risiedere in
Germania da almeno tre mesi;
Non essere esclusi
dal diritto di voto per motivi legali specifici.
Anche i cittadini
tedeschi che vivono all’estero, noti come „Auslanddeutsch – tedeschi
all’estero“, hanno diritto al voto, purché soddisfino determinati criteri.
Tuttavia, a differenza dei residenti in Germania, devono richiedere
esplicitamente l’iscrizione al registro elettorale del comune competente per
poter esercitare questo diritto.
Elezioni dirette:
nessun intermediario tra elettori e deputati
In Germania, gli
elettori scelgono direttamente i loro rappresentanti. Questo principio di
immediatezza esclude la presenza di organi intermedi come avviene, ad esempio,
negli Stati Uniti, dove i cittadini votano per i grandi elettori che a loro
volta eleggono il presidente. Nel sistema tedesco, ogni voto va direttamente a
determinare la composizione del Bundestag.
Libertà di voto:
una scelta senza pressioni
Il principio della
libertà di voto garantisce che gli elettori possano esprimere la propria
volontà senza coercizioni o influenze indebite. Ogni cittadino è libero di
scegliere se votare, per chi votare o di non votare affatto. La libertà
elettorale è protetta dalla legge, che vieta qualsiasi forma di pressione,
intimidazione o manipolazione esterna.
Uguaglianza: ogni
voto ha lo stesso valore
L’uguaglianza è un
principio cardine delle elezioni tedesche. Ogni elettore dispone dello stesso
numero di voti e ogni voto ha identico peso nel determinare la composizione del
parlamento. Questo concetto, noto come „parità di valore numerico“, assicura che
tutti i cittadini abbiano un’influenza uguale sull’esito elettorale. Tuttavia,
il principio è leggermente limitato dalla soglia di sbarramento del 5%, che
impedisce ai partiti con meno del 5% dei voti di ottenere seggi, per garantire
la stabilità del sistema politico.
Segretezza: un
voto protetto da occhi indiscreti
La segretezza del
voto è un pilastro fondamentale della democrazia tedesca. Ogni elettore deve
poter esprimere la propria scelta senza che questa sia conoscibile da altri.
Per garantire ciò, si vota in cabine elettorali chiuse e le schede elettorali
vengono piegate prima di essere depositate nelle urne.
Controllo e
contestazioni: il sistema di verifica elettorale
Ogni cittadino
avente diritto di voto può contestare le elezioni se ritiene che uno o più dei
principi fondamentali siano stati violati. I ricorsi vengono presentati al
Bundestag, il cui Comitato per la verifica delle elezioni analizza i casi e
formula una decisione. Contro la decisione del Bundestag è possibile ricorrere
alla Corte costituzionale federale. CdI on. 7
Il passo falso di Merz fa tremare la Cdu
Il candidato
cancelliere in Germania ha sbagliato i calcoli. Sondaggi incerti: ma il
sentimento anti-migranti può aiutarlo - di Mara Gergolet
BERLINO - E
adesso, Friedrich Merz? È il titolo di un grande giornale berlinese, il
Tagesspiegel, ma anche il riassunto di una settimana memorabile della politica
tedesca. Dove emergono due punti fermi. Senza dubbio, il candidato cancelliere
dei cristiano-democratici (Cdu), esce ridimensionato dopo la sua decisione di
mettere ai voti una legge anti-immigrazione, puntando sui «sì» dell’estrema
destra AfD. Il fatto che una decisione così di «rottura» sia stata bocciata,
anche per la resistenza nel suo partito, dimostra che ha sbagliato i conti e la
strategia, e intacca la sua autorevolezza. Tanto più per una figura che
dovrebbe guidare non solo la Germania, ma essere un riferimento per tutta la
Ue. L’altro punto però è la domanda: quanto questo peserà sui sondaggi? O
meglio, le macerie che si lascia dietro Merz avranno un effetto sugli elettori,
o invece l’aver colto un certo spirito del tempo e puntato sull’effetto
anti-immigrazione lo lascerà passare indenne attraverso questa débâcle
parlamentare?
Merz ha reagito
con calma, anche se è noto per le reazioni impulsive. Ha detto, uscendo dal
Bundestag, che è stata una settimana «piena di emozioni», dalla quale Cdu/Csu
escono «rafforzate». Sull’immigrazione, ha sostenuto, le persone ora sanno cosa
pensano i partiti: «E noi perlomeno ci abbiamo provato».
Preoccupazione nel
partito
Le cronache e i
retroscena dei giornali però parlano di preoccupazione nella Cdu. Alcuni alti
esponenti, scrive il Tagesspiegel, temevano un «Super-GAU», un mega-disastro.
Toccare i sentimenti sull’estrema destra, aggirare il muro tagliafuoco su
singoli temi — pur dichiarando impossibile l’alleanza — è comunque per milioni
di tedeschi inaccettabile. E molti nella Cdu si sono stupiti di come Merz abbia
così poco considerato le conseguenze.
Il partito però
tiene. Merz ha detto di essersi sentito «ben supportato e a suo agio». I dodici
deputati che si sono rifiutati di votare la legge, non presentandosi in aula,
appartengono all’ala sinistra, merkeliana. Hanno però evitato lo sgarbo di
votargli contro. Restiamo compatti, la parola d’ordine.
In realtà, un
dubbio alleggia. Se Merz andrà male, se calerà ancora nei sondaggi, arriverà
una mossa da Monaco di Baviera? O detto altrimenti, si può proprio stare
tranquilli che Markus Söder, il grande capo della Csu, non coltivi ancora
qualche ambizione, se le cose dovessero precipitare? La Bild, che resta un
metronomo della politica, ieri ha intervistato proprio Söder. Lui promette
piena lealtà alla Cdu: «Friedrich Merz ha preso una decisione cruciale sulla
questione migratoria. La Csu lo sostiene, nessun deputato della Csu era assente
nel Bundestag». Ha assicurato: «I nostri partiti, e io personalmente,
garantiamo: non ci sarà mai alcuna collaborazione con l’AfD. L’AfD è il nemico
della nostra democrazia, un avversario del sistema. In gran parte, l’AfD è di
estrema destra, ostile alla Costituzione e danneggia gravemente il nostro Paese
con i suoi piani assurdi». Tutti ricordano, nel campo cristiano-democratico,
quanto sono costati cari 4 anni fa i litigi tra la Cdu e i bavaresi: la guida
del Paese.
Il Congresso di
domani
Lo scenario, molto
teorico, per ora è questo. Dovesse precipitare Merz, o rompersi i suoi rapporti
con la Spd o i Verdi, forse a formare il governo potrebbe essere un altro, per
esempio proprio Söder o il 50enne Hendrik Wüst. Merz scaccia queste ipotesi come
follie, i rapporti con la Spd e i Verdi, ha detto venerdì, sono «corretti».
«Sono certo che, dopo le elezioni potremo avere colloqui costruttivi». Domani
ci sarà il Congresso della Cdu a Berlino: per ora, la compattezza attorno a
Merz è assicurata. CdS 2
Merz al Congresso
Cdu: “Mai con Afd”. Ma l’ombra della destra radicale resta
Il leader
cristiano-democratico ribadisce il no alla collaborazione con l’estrema destra,
mentre la Germania protesta in piazza per salvare il 'cordone sanitario'
“Non collaboreremo con Afd, né prima, né dopo,
mai“. Lo ha chiarito e ribadito Friederich Merz, leader dei
cristiano-democratici tedeschi (Cdu), scatenando un’ovazione da parte dei 1001
delegati del suo partito riuniti in Congresso ieri a Berlino. Nel frattempo,
decine di migliaia di cittadini scendevano in piazza per protestare contro lo
spiraglio aperto da Merz all’estrema destra la scorsa settimana, chiedendo di
mantenere il BrandMauer, il cordone sanitario storicamente messo in atto contro
i partiti più radicali.
Antefatto:
mercoledì 29 gennaio Merz ha ‘accettato’ i voti di Alternative für
Deutschland (Afd) per far passare al Bundestag una mozione sui migranti.
Era la prima volta che un provvedimento, per quanto non vincolante, passava con
i voti di una formazione tanto discussa e considerata tanto pericolosa come lo
è questa, vicina al neo-nazismo e monitorata dall’intelligence in quanto forza
anti-democratica.
Venerdì poi il
Parlamento tedesco ha rigettato l’analoga proposta di legge dei conservatori,
ma ormai il danno era fatto. La breve convergenza tra Cdu e Afd infatti ha
fatto temere che potesse essere il preludio della rottura del cordone sanitario
e dunque di un’alleanza di governo, dopo il voto nazionale in programma per il
23 febbraio.
Merz e Söder
chiudono a Afd
Merz, travolto
dalle critiche, ha colto l’occasione del Congresso per confermare una posizione
già espressa altrove: “Afd si oppone a tutto ciò che il nostro partito e il
nostro Paese hanno costruito in Germania negli ultimi anni e decenni, si oppone
ai legami occidentali, all’euro, alla Nato”. “Non c’è cooperazione, non c’è
tolleranza, non c’è un governo di minoranza: niente“, ha detto Merz, che è il
candidato favorito per la cancelleria alle prossime elezioni.
Anche Markus
Söder, leader della Csu, sorella bavarese della Cdu, è intervenuto al
Congresso: “Non dobbiamo lasciare il nostro Paese all’Afd. Continuiamo a dire
no, no e no a ogni forma di cooperazione con Afd“. Poi l’affondo contro il
cancelliere socialdemocratico uscente: “Olaf Scholz non è adatto a continuare a
guidare il nostro Paese, in alcuna circostanza”.
Il Congresso si è
stretto attorno a questa posizione e anche se in molti nella Cdu, come scrive
l”Hamburger Abendblatt’, non hanno digerito l’iniziativa su Afd di Merz, oggi,
a meno di tre settimane dalle elezioni, nessuno sembra voler danneggiare il leader
del partito con critiche o accuse pubbliche.
Secondo gli ultimi
sondaggi la Cdu è in calo al 29-30% dei voti, rispetto al 35% registrato a fine
2024, mentre Afd è cresciuta al 21-22%.
Impennata di
iscrizioni ai Verdi e alla Linke
Il sospetto che la
mossa di Merz di cavalcare il tema immigrazione inasprendo le proprie posizioni
per non lasciare il monopolio ad Afd potesse rivelarsi un boomerang è apparso
subito fondato.
Ed è stato
confermato, oltre che dalle critiche, dall’impennata di iscrizioni ai Verdi e
alla Linke (la Sinistra) registrata proprio dopo la tumultuosa seduta del
Bundestag e lo ‘strappo’ della Cdu rispetto al tabù della collaborazione con
l’Afd.
Tra mercoledì
scorso e domenica i Verdi – che hanno visto il loro indice di gradimento subire
un brusco calo durante il periodo di governo all’interno della coalizione
litigiosa e impopolare con i Socialdemocratici e i Liberali – hanno ricevuto un
numero record di 5mila richieste di adesione.
Spiegando il
fenomeno, la direttrice politica dei Verdi, Pegah Edalatian, ha dichiarato alla
Dpa che “molte persone sono scioccate dalla cooperazione di Friedrich Merz con
Afd“.
Da parte sua Die
Linke, che nei sondaggi langue al di sotto della soglia del 5% necessaria in
Germania per conquistare seggi in parlamento, ha fatto registrare oltre 11mila
nuovi iscritti nelle ultime settimane. Alla data di lunedì, il partito contava
71.277 membri, in aumento rispetto ai 60.060 del 18 gennaio e il numero più
alto dal 2010, ha dichiarato un portavoce.
Merz: “Pronto a
far progredire nuovamente il Paese”
Ma Afd non è stato
l’unico punto di cui si è discusso al Congresso. Anche l’economia ha tenuto
banco, con il Paese in recessione da due anni. Merz si è dichiarato “pronto a
far progredire nuovamente il Paese” e ad impegnarsi a “mettersi al lavoro senza
indugi e ad affrontare alla radice le cause dei problemi che hanno paralizzato
la Germania per così tanto tempo”.
La Cdu inoltre ha
adottato all’unanimità il ‘Programma di azione immediata‘ di ‘prosperità e
sicurezza’, un piano in 15 punti da attuare una volta al governo in caso di
vittoria. Voluto dallo stesso Merz, sarà la base su cui verranno avviati
negoziati di coalizione.
“Garantisco agli
elettori tedeschi che ci sarà una vera svolta nella politica economica e in
quella dell’asilo”, ha dichiarato domenica il candidato cancelliere della
Cdu/Csu alla Bild am Sonntag.
E
sull’immigrazione non torna indietro: “La politica migratoria non può
continuare così”.
I 15 punti
dell’azione di governo della Cdu
Ecco i 15 punti
alla base dell’azione di governo
Priorità alla
competitività e alla prosperità
1. Riduzione dell’imposta sull’elettricità e
le tariffe di rete per almeno 5 centesimi per kWh.
2. Riduzione della burocrazia: meno
rappresentanti aziendali, niente più obblighi di ricevuta, abolizione della
regolamentazione tedesca della catena di fornitura e gli oneri della legge
sull’efficienza energetica.
3. Orario di lavoro massimo settimanale
invece che giornaliero per rendere il lavoro più flessibile per dipendenti e
aziende.
4. Straordinari esentasse
5. Pensione attiva: chi continua a lavorare
volontariamente dopo il pensionamento riceverà fino a 2.000 euro al mese
esentasse.
6. Riduzione al 7& dell’imposta sulle
vendite di prodotti alimentari nei ristoranti e nei pub
7. Reintroduzione integralmente il rimborso
del diesel agricolo
8. Abolizione della legge sul riscaldamento,
che stabilisce il divieto nei prossimi anni di installare gli impianti di
riscaldamento a gas e a gasolio
9. Dimezzamento del numero dei rappresentanti
del governo
Sicurezza per le
persone in Germania
10. Memorizzazione degli indirizzi IP per
combattere gli abusi sui bambini.
11. Braccialetti elettronici alla caviglia per
fermare i colpevoli di violenza contro le donne
12. Contro l’immigrazione clandestina,
attuazione del piano in cinque punti di Merz (ovvero quello approvato mercoledì
scorso grazie a Afd, che prevede ad esempio controlli permanenti alle
frontiere, espulsione di tutti gli stranieri che arrivano senza documenti,
compresi i richiedenti asilo, detenzione illimitata e limitata nel tempo per i
criminali e per coloro che rischiano di lasciare il Paese).
13. Approvazione della legge sulla limitazione
dell’afflusso (ovvero quella bocciata venerdì): la ‘limitazione’ diventa
l’obiettivo legale chiaro, la polizia federale deve avere più poteri.
14. Abolizione della legge sulla cittadinanza
approvata dal governo Scholz
15. Abolizione della legge che legalizza
parzialmente la cannabis voluta dalla coalizione semaforo.
Le manifestazioni
di piazza
Intanto ieri, come
anticipato, un fiume di persone si è riversato in piazza, a Berlino e in altre
città, facendo seguito alle manifestazioni che si erano già tenute la settimana
scorsa. Anche Angela Merkel era intervenuta con una delle sue rarissime esternazioni
a rimproverare il leader cristianodemocratico per il ‘voltafaccia’ sul tema
della collaborazione con l’Afd.
A Berlino almeno
160mila persone secondo le stime della polizia – 250mila secondo gli
organizzatori – hanno protestato contro il rischio di rottura del cordone
sanitario, con una partecipazione altissima tra i più giovani.
Sui cartelloni si
potevano leggere diversi slogan, su tutti “Salvate il Brandmauer“. Su un
manifesto campeggiava la scritta “Merz come von Papen“, facendo riferimento al
cancelliere che aprì a Hitler, e su un altro ancora c’era un bacio tra Merz e
Alice Weidel, leader di Afd, che ricordava la celebre foto del bacio tra
Honecker e Breznev, i due leader del blocco comunista, nel 1979, ripresa anche
in un murale realizzato nel 1990 lungo una porzione di quello che rimane del
Muro di Berlino.
“È ovvio che ci
confrontiamo con i dimostranti pacifici. Noi parliamo con gli avversari
politici. E portiamo le discussioni dove è giusto che si facciano: e cioè
nell’aula del Bundestag tedesco. È dunque uno sviluppo del tutto normale che vi
siano adesso delle controversie in Germania“, ha commentato il leader della
Cdu. Adnkronos 5
Il duello tv Scholz-Merz non ha vincitori: scintille sui migranti e accuse
sull’AfD
Due settimane
dalle elezioni, il leader Cdu apre sul freno al debito. L’ombra della grande
coalizione - di Mara Gergolet
BERLINO - «Lei non
tiene la parola». «E lei non vive nella realtà».
Olaf Scholz accusa
Friedrich Merz di quello che per molti in Germania è imperdonabile, non solo in
politica: di non mantenere la parola data. Nel caso specifico, poi, quella di
non fare mai alleanze, o di non votare in Parlamento, con l’estrema destra dell’AfD,
come Merz aveva promesso a novembre, salvo rompere l’impegno una settimana fa.
Il candidato
cristiano-democratico, invece, al cancelliere Spd (che descrive una situazione
tedesca meno cupa di quel che normalmente si legge) rimprovera di vivere in un
proprio mondo.
È stato un duello
tv veloce, in stile americano, come si fa da sempre anche in Germania, a 14
giorni dal voto. I due candidati si sono presentati nervosi, ma sono entrambi
politici classici, preparati. Siccome il cancelliere parlava per primo, Merz ha
avuto il vantaggio della risposta: e non sembra averlo sprecato. Era Scholz,
d’altronde, che inseguiva. I sondaggi lo danno al 16% e salvo clamorosi errori
Merz è già, con il 30%, il prossimo cancelliere. Si è quindi comportato,
frenando la lingua tagliente, da «statista». Merz si aspettava il colpo sulla
promessa infranta. E infatti, per rispondere ha tirato fuori dal taschino un
foglietto giallo: conteneva una vecchia intervista di Scholz a un giornale
della Turingia, in cui il cancelliere sosteneva che nel voto locale, se una
misura è giusta, non si può impedire che l’AfD la voti. Difesa preparata in
anticipo, ma che ha spuntato l’assalto di Scholz. Poi Merz ha promesso: «Non ci
sarà nessuna collaborazione» con l’AfD.
I migranti hanno
dominato l’agenda. Scholz ha difeso il proprio lavoro. E ha accusato Merz di
aver voluto solo montare uno show in Parlamento. Il leader Cdu ha replicato che
il governo Semaforo sui migranti ha fallito. Scholz infine ha accusato Merz di
essere anti-europeo con la sua pretesa di chiudere i confini, e di violare le
leggi Ue sull’asilo: «Come si fa a essere così stupidi? Il Paese più grande
d’Europa, proprio nel mezzo, è quello che viola il diritto europeo». Proprio
mentre sono in arrivo i dazi Usa, diretti in primis contro la Germania, che
«potremo respingere solo uniti».
Poi si è passati
all’economia. Scholz ha ammesso le difficoltà, ma ha ripetuto che la Germania
ha la seconda disoccupazione più bassa tra i G7, le finanze in ordine e che non
c’è la deindustrializzazione. Merz ha replicato: abbiamo perso 300mila posti di
lavoro nell’industria, e questo per lei non è deindustrializzazione? Scholz si
è difeso così: «Non sono io che ho invaso l’Ucraina. Che la situazione
economica sia grave è soprattutto colpa di Putin. Non della politica di
Scholz». Ma a sorpresa, incalzato in studio dalle due presentatrici, Merz ha
fatto la proposta politica della serata: no, non vuole riformare subito la
Schuldenbremse (il freno al debito), si dovrà prima risparmiare e creare
crescita, «ma in seguito potrà essere discussa». Mai finora l’aveva detto così
chiaro.
Molti altri temi
in discussione. Scholz ha definito la proposta di Trump di creare una riviera a
Gaza «uno scandalo». E rivolto a Merz: «Persone come me e lei dovrebbero pagare
più tasse». Merz ha invece insistito, parlando di Trump, che noi europei «non
dobbiamo farci più piccoli di quello che siamo». Novanta minuti sono passati: i
primi commenti decretano un pareggio, un sondaggio volante una leggera
preferenza (37 a 34) per il cancelliere. L’ultima frase di Merz: «Abbiamo un
piano per questo Paese». Scholz: «Un governo che porta avanti il Paese c’è solo
con un voto per la Spd». Potrebbero benissimo essere le prime parole di una
grande coalizione. CdS 10
Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex-Radio Colonia
31.01.2024.
Berlino, la techno e i dj italiani. La musica techno è di casa a Berlino e club
mitici come il Berghain e il Tresor si contendono le origini di questo genere
musicale. Da qualche mese la techno è entrata a far parte della lista tedesca
dei beni immateriali dell'Unesco, cosa che riempie d'orgoglio anche i molti dj
italiani che hanno scelto di trasferirsi a Berlino. Come il pugliese Lugi Di
Venere, figura di spicco della scena musicale della capitale tedesca e al
centro di questo nostro podcast. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/berlino-techno-dj-italiani-germania-100.html
30.01.2024.
Studiare in Germania con Bafög e altri aiuti. Il costo della vita è la
principale preoccupazione degli studenti in Germania, vittime degli affitti
troppo alti. Ma a garantire il diritto allo studio in Germania c'è il BAföG, in
parte prestito a tasso zero, in parte sussidio. Richiederlo e calcolarlo non è
semplice, come ci spiega Cristina Giordano. E migliorare il BAföG è solo una
delle richieste dei rappresentanti degli studenti universitari tedeschi al
prossimo governo. C'è chi poi sceglie di lavorare e studiare, come Giorgia.
29.01.2024.
Migrazione e asilo in Germania, fra proclami e realtà
Cade un tabù:
l'Unione porta al Bundestag proposte ultrarestrittive su diritto d'asilo e
migrazione in Germania puntando sul sostegno dell'AfD di estrema destra. A una
settimana dall'attentato di Aschaffenburg, il tema dell’immigrazione domina
sempre più questa campagna elettorale. Ma cosa dicono i numeri? Cristina
Giordano su arrivi, criminalità e lavoro degli stranieri. Con Flavio Venturelli
di Karlsruhe parliamo invece dei finti biglietti di rimpatrio forzato inviati
dall'AfD in città.
28.01.2024. La
Chiesa di Francesco tra crisi, scandali e speranza
È da poco uscita
"Spera", l'autobiografia di Papa Francesco. Con il vaticanista Iacopo
Scaramuzzi andiamo a scoprirne i contenuti ma parliamo anche del momento di
crisi profonda che sta attraversando la Chiesa cattolica in questo anno
giubilare. Crisi dovuta anche e soprattutto alla scoperta di sempre nuovi casi
di pedofilia tra le fila dei sacerdoti. Cristina Giordano traccia poi un
bilancio degli ultimi 15 anni di lotta agli abusi e di rielaborazione degli
scandali nella Chiesa tedesca. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/papa-francesco-autobiografia-spera-abusi-sessuali-germania-100.html
27.01.2025. La
memoria della Shoah a 80 anni dalla liberazione di Auschwitz
A 80 anni dalla
liberazione di Auschwitz molti giovani in Germania, hanno un'immagine confusa
del periodo storico del nazismo, come conferma un recente studio. Ma è
importante ricordare cosa è successo come avverte Liliana Segre, sopravvissuta
alla Shoah, in un'intervista a COSMO italiano. E ci addentriamo anche nei i
profili patologici e criminali dei gerarchi nazisti con il criminologo Antonio
Leggiero. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/80-anni-liberazione-auschwitz-germania-italiana-100.html
24.01.2025. Come
un buon insegnante può cambiarti la vita
Le interviste del
venerdì - oggi con Antonietta Zeoli. In occasione della Giornata internazionale
dell'educazione, parliamo con la preside del Wim-Wenders-Gymnasium di
Düsseldorf, per anni rappresentante degli insegnanti con origini straniere del
Nordreno-Vestfalia e autrice del libro: "Wenn Ragazzi sagen: Mamma
schreib' ein Buch" (Akres Publishing). Zeoli ci racconta come è nata la
sua passione per l'insegnamento e le tante difficoltà - ma anche le molte
soddisfazioni - che si incontrano nel suo mestiere.
23.01.2025.
L'energia eolica in Germania fra miti e promesse elettorali
Si parla poco di
cambiamento climatico, in questa campagna elettorale tedesca, ma molto di
eolico: sia Merz, leader CDU, che Weidel, leader del partito di estrema destra
Alternative für Deutschland (AfD), promettono di smantellarle una volta
arrivati al potere. Eppure l'eolico copre un terzo del fabbisogno energetico
tedesco. Guardiamo a dati e sfatiamo alcuni miti con Giulio Galoppo. Con Davide
Chiaroni dell'osservatorio sulle rinnovabili del Politecnico di Milano
guardiamo anche all'Italia. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/energia-eolica-germania-100.html
22.01.2025. I
lavoratori in Germania si mettono troppo spesso in malattia?
Secondo i dati
dell'OCSE, in Germania i lavoratori si mettono malati più spesso che in
qualsiasi altro Paese, ce ne parla Giulio Galoppo. A questo si aggiungono
risultati di un'indagine che rileva una scarsa motivazione sul posto di lavoro,
più bassa di quella italiana. Lo psichiatra Francesco Cuniberti ci parla dei
fattori di stress che possono incidere sulla malattia e sulla motivazione
personale.
21.01.2025. Meno
fatti, più insulti: la svolta di Meta
No alla verifica
dei fatti per contenuti fuorvianti o falsi, sì a insulti espliciti a donne e
minoranze: Zuckerberg si posiziona al fianco di Trump e Musk e annuncia una
svolta per Facebook, Instagram e Threads negli Stati Uniti. Giulio Galoppo ci
spiega i dettagli. In Germania sempre più istituzioni tedesche lasciano X. E di
odio in rete e influsso politico dei social parliamo con Manuela Caiani,
esperta di populismo, destra radicale e partecipazione politica. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/meta-x-mark-zuckerberg-elon-musk-donald-trump-fact-checking-germania-100.html
20.01.2025.
Togliere la cittadinanza tedesca a chi commette reati?
Valanga di
critiche alla proposta del leader CDU Friedrich Merz di revocare la
cittadinanza tedesca agli stranieri con doppio passaporto che commettono
crimini, ce ne parla Giulio Galoppo. Ma è possibile farlo in Germania? E
riguarda anche i cittadini europei? Abbiamo girato questa e altre domande al
costituzionalista Francesco Palermo dell'Università di Verona. Intanto però è
allarme sui tempi biblici necessari alle autorità tedesche per smaltire le
richieste di cittadinanza.
17.01.2025.
Estrema destra: dopo Italia e Austria adesso tocca alla Germania?
In Italia da oltre
due anni governa un partito, Fratelli d'Italia, che non ha mai reciso le sue
radici neofasciste. A Vienna il prossimo cancelliere sarà con ogni probabilità
Herbert Kickl, un estremista anche per i parametri di un partito di ultradestra
come la FPÖ. E in Germania, alle elezioni del 23 febbraio, l'AfD rischia di
ottenere un risultato storico. Da dove nasce l'ondata di destra che si sta
abbattendo sull'Europa? Ne parliamo con il giornalista sudtirolese Valentino
Liberto. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/estrema-destra-dopo-italia-austria-tocca-germania-100.html
Musica italiana
non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica
non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla
app di COSMO e su Spotify.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/channels/italia-channel-100.html
Ascolta COSMO
italiano. Podcast, streaming e radio:
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/index.html
Nella app gratuita
di COSMO:
Lecce-Wolfsburg: il treno della speranza nell’arte di Croci Sisinni
Nell’ufficio del
Patronato ACLI di Wolfsburg, si trova un dipinto che ritrae una famiglia di
lavoratori migranti italiani, in attesa della partenza di un “treno speciale”
Lecce-Wolfsburg. Al centro dell’opera, rappresentata con uno stile vagamente
modiglianesco, emergono due figure femminili in primo piano, simbolo delle
madri dei bambini, che appaiono, volutamente sottodimensionati, in piedi e
seduti su una panchina. Intorno a loro, diverse valigie sono disposte in una
prospettiva distorta, contribuendo a creare un’atmosfera di attesa e tensione.
Sullo sfondo, due uomini, verosimilmente i padri dei bambini, sono impegnati in
un dialogo. Sullo sfondo, l’immagine di un “treno speciale” (Sonderzug) recante
la scritta “Lecce-Wolfsburg”.
L’autore di questo
dipinto è Crocifisso “Croci” Sisinni, pittore e scultore di origini pugliesi,
emigrato in Germania all’età di sedici anni per ricongiungersi ai genitori che
già lavoravano a Wolfsburg. Quest’opera cattura un momento cruciale della sua vita,
offrendo uno spaccato della sua esperienza migratoria.
Sisinni si
trasferì in Germania giovanissimo, a sedici anni, lasciando la sua terra natale
di Ostuni per affrontare quella che descrive come un’avventura: un “viaggio”
oltre i confini, non solo geografici, ma soprattutto culturali e “mentali”, che
si rivelò trasformativo per il suo percorso di vita e professionale. Oggi, dopo
tanti anni, l’artista ha deciso di condividere la sua storia, contribuendo così
alla costruzione di una memoria collettiva delle migrazioni italiane in Europa
nel Secondo Dopoguerra. Presentiamo l’intervista realizzata da Francesco
Vizzarri, storico dell’emigrazioni.
Vorrei iniziare
con una domanda aperta e saperne di più sulla tua vita in Puglia prima di
andare in Germania. Potresti dirmi dove vivevi, quale scuola hai frequentato e
quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a trasferirti a Wolfsburg?
La nostra famiglia
era numerosa, composta da me, mio fratello e tre sorelle. Mio padre, un
instancabile artigiano dell’edilizia, ci ha sempre trasmesso valori come il
lavoro, il rispetto e la famiglia, accompagnandoci con grande dedizione.
Lavorare nell’edilizia significava allora spostarci costantemente da un luogo
all’altro, e noi non eravamo un’eccezione. Abbandonammo Trepuzzi, vicino a
Lecce, nel cuore del Salento, per stabilirci a Ostuni. Qui, i miei genitori
trovarono una nuova casa per noi e la mia giovinezza e gli anni scolastici sono
profondamente legati a questa incantevole cittadina. Ostuni, con il suo unico
fascino, divenne lo scenario dei nostri ricordi e delle nostre esperienze di
crescita. Nel 1964, i miei genitori partirono per la Germania alla ricerca di
opportunità.
Mio padre partì
dal centro di emigrazione di Verona. Io e mio fratello fummo iscritti a un
collegio, il GIL (Giovani Italiani Littorio). Abbiamo trascorso lì l’intero
periodo della scuola elementare, cinque anni. Il nostro soggiorno e la nostra
vita quotidiana erano completamente regolati da questa istituzione, gestita da
sacerdoti e diretta da don Italo Pignatelli, una figura che occupa ancora un
posto speciale nella mia memoria. Don Pignatelli ha avuto una grande influenza
sulla mia vita, aiutandomi a scoprire e a sviluppare le mie capacità personali
e artistiche. Attraverso il suo costante incoraggiamento e i compiti che mi
affidava, ha avuto un ruolo decisivo nel mio sviluppo, aprendomi la strada per
diventare un artista e uno scultore. La nostra possibilità di rimanere lì era
dovuta agli affari dei nostri genitori all’estero, che provvedevano al nostro
mantenimento, compresi istruzione, alloggio e cibo.
Al termine del
periodo di permanenza in collegio, per esigenze familiari, abbiamo iniziato a
esplorare il mondo del lavoro in età molto giovane, intraprendendo diverse
professioni. In questo periodo ho affinato le mie capacità di scalpellino, che
si sono rivelate molto preziose nel corso degli anni. Le prime esperienze
lavorative erano per lo più all’interno del quartiere, con una prospettiva
limitata. Eravamo adolescenti “con i paraocchi”, legati a una mentalità
tipicamente provinciale che si rifletteva nei nostri pensieri e nelle nostre
azioni. Finché, nel 1971, all’età di quindici anni, mi trasferii in Germania
con i miei genitori, e precisamente a Wolfsburg.
Vorrei sapere di
più sulla tua esperienza migratoria. Puoi raccontarmi quando e come sei andato
in Germania? E come è stato il viaggio?
Il nostro viaggio
si è svolto principalmente in treno, una „esperienza formativa” di 2.200 km per
me. Contrariamente alla procedura abituale prevista per i lavoratori italiani
intenzionati a recarsi in Germania per lavoro, noi non siamo passati per il centro
di emigrazione di Verona. Con un treno, invece, siamo andati dapprima da Ostuni
fino a Bologna, lì abbiamo alloggiato con altri migranti italiani in attesa del
treno che sarebbe proseguito fino a Verona e poi attraverso il Brennero, verso
la Germania. durante il viaggio ero sbalordito da paesaggi che non avevo visto
prima: le Alpi, maestose, i laghi, le grandi città, le stazioni, la gente. Era
per me la prima volta fuori dalla Puglia, fuori dal Salento.
La nostra
destinazione era Wolfsburg, importante città industriale del Nord della
Germania e sede della Volkswagen, dove lavoravano mio padre, mio cognato e mio
fratello. Il mio primo „stage” è stato in un supermercato italiano a Wolfsburg.
In seguito ho lavorato in un’azienda elettrica specializzata in impianti civili
e industriali. Anche se si trattava di un apprendistato, il mio capo mi
permetteva di frequentare la scuola una volta alla settimana come forma di
istruzione. Questo includeva la stesura di relazioni e valutazioni, e devo
ammettere che ho faticato a imparare e a usare la lingua tedesca, soprattutto
durante gli esami. I primi giorni in Germania sono stati impegnativi. Per il
primo anno mi sono sentito quasi „muto“ perché non capivo molto il tedesco e
non sapevo ancora parlarlo.
Parlami ora della
tua vita a Wolfsburg: le giornate/la routine, i lavori che hai svolto, le
difficoltà che ha incontrato e i ricordi che hai della città negli anni
Settanta. Ci sono eventi particolari che hanno definito questa fase della sua
vita?
La mia prima
impressione di Wolfsburg è stata intensa e allo stesso tempo stimolante, poiché
mi sono trovata in una realtà completamente nuova. La città, con il suo
carattere industriale avanzato, ha lasciato un forte impatto e mi ha spinto a
volermi adattare rapidamente. All’inizio questo adattamento è stato impegnativo
e talvolta traumatico, ma col tempo ho cominciato a integrarmi. Noi italiani ci
siamo organizzati in gruppi di amici e familiari, trovando un po’ di conforto
al Circolo Italiano, dove ho conosciuto molte persone con cui condividere
esperienze. Alcuni di loro avevano anche formato un gruppo musicale che
arricchiva le nostre serate e i nostri incontri culturali. Questa vicinanza ci
permetteva di trascorrere i fine settimana insieme, alleviando in parte le
enormi sfide che dovevamo affrontare sia dal punto di vista professionale che
da quello dell’integrazione.
Il „ghetto“ di
Wolfsburg ha segnato profondamente la mia esperienza. Molti lavoratori italiani
erano alloggiati in una sorta di „enclave“, costituita da baracche di legno a
due piani con un’area recintata e un controllo di polizia all’ingresso. Questo
ambiente era economico in quanto ospitava tutti gli operai della Volkswagen, ma
l’organizzazione e la gestione di questo luogo furono per me traumatiche.
L’accesso non era libero: solo gli italiani potevano entrare e alloggiare in
quest’area ristretta. Quando volevo cercare mio padre, non potevo semplicemente
entrare; mio padre doveva uscire e confermare la nostra relazione. Tuttavia, le
cose cambiarono in seguito, quando fu costruita una nuova zona residenziale per
gli operai della Volkswagen: il quartiere di Käsdorf, nel nord della città. La
struttura comprendeva ristoranti, mense, chioschi e tutti i servizi per gli
immigrati. Questo segnò un significativo „cambiamento di qualità“ rispetto alle
precedenti sistemazioni per i „lavoratori ospiti“, che chiamavamo “baracche”,
pur restando ancora riservate ai lavoratori italiani, ma con notevoli
differenze rispetto al passato. Dopo qualche anno a Käsdorf, la mia famiglia si
trasferì in una casa in affitto in una zona molto centrale, in via Porsche.
Ricordo ancora che pagammo circa 2.500 marchi a un’agenzia immobiliare che ci
fornì un’ottima sistemazione con tutti i comfort. Ci siamo sentiti a nostro
agio durante questo periodo, anche perché i nostri vicini erano italiani e
abbiamo trascorso molte serate con loro.
Parlando invece
della mia esperienza lavorativa, devo dire che il mio percorso è stato forse un
po‘ insolito rispetto a quello di molti connazionali che lavoravano alla
Volkswagen. Infatti, grazie ai contatti e al sostegno del Circolo italiano e
della missione, mi è stato offerto un lavoro diverso. Ho conosciuto una
famiglia veneta che possedeva una gelateria a Hitzacker an der Elbe, una
cittadina non lontana da Wolfsburg. Così ho iniziato a lavorare in questa
gelateria. Conservo un bel ricordo di quel periodo. Ricordo con piacere che il
fiume Elba costituiva il confine tra la Repubblica Federale e la Repubblica
Democratica Tedesca (DDR): dalla nostra sponda del fiume si vedeva la Germania
comunista, cioè la Germania dell’Est. Questo periodo fu speciale perché ero
l’unico italiano tra i miei amici veneti. Non solo mi hanno dato un lavoro, ma
anche un posto dove dormire e vivere. Questi amici sono diventati come una
seconda famiglia per me. Qui in paese ho trovato molti amici italiani e
tedeschi, che mi hanno insegnato molto. Al lavoro sono stato trattato bene,
quasi come un figlio. Mi hanno aiutato e si sono occupati di tutto il
necessario. La famiglia italiana con cui ho lavorato si è presa cura di me.
Potresti
raccontarmi della comunità italiana a Wolfsburg? Quali erano i tuoi contatti,
sia sul luogo di lavoro che all’interno della missione o del centro italiano?
Inoltre, come trascorrevi il tempo libero e con chi condividevi queste
attività?
La comunità
italiana di Wolfsburg era vivace e offriva molte opportunità di networking. Ho
avuto contatti sia in ambito professionale che attraverso la Missione Cattolica
e il Centro italiano. La maggior parte del mio tempo libero lo trascorrevo al
Centro, quando c’erano i festival organizzati nel fine settimana. In quelle
occasioni si faceva amicizia con tante altre persone provenienti da varie
regioni d’Italia, ma anche con lavoratori provenienti da Paesi extra-europei.
Ad esempio conoscevo alcuni marocchini.
Il Centro italiano
è stato un punto d’incontro fondamentale per conoscere altre famiglie e formare
gruppi di amici. Ci siamo impegnati in molte attività: ad esempio frequentavamo
una piscina ben attrezzata di Wolfsburg, organizzavamo partite di calcio e facevamo
tante serate organizzate e anche delle lunghe passeggiate. Ad un certo punto
avevamo anche un giardino fuori città, uno Schrebergarten, dove con gli amici
facevamo lunghe e divertenti grigliate: un’ottima occasione per trascorrere il
fine settimana con altre famiglie. Oltre al Centro italiano e alla Missione
Cattolica, a Wolfsburg erano attive anche le ACLI (Associazioni Cristiane
Lavoratori Italiani), che svolgevano un ruolo importante come punto di contatto
per molti italiani e come „centro sociale”. Per un breve periodo ho lavorato
anche nel Patronato ACLI, nel corso degli anni Settanta. poiché per un lungo
periodo sono stato malato e impossibilitato a fare lavori pesanti, durante i
lunghi periodi di convalescenza, mi recano nell’ufficio del Patronato per dare
una mano. Nonostante le mie limitate competenze, assistevo l’allora segretaria
in questioni legali, nella traduzione di documenti, potendo mettere in campo le
mia conoscenze di base della lingua tedesca. Non chiedevo nulla in cambio e mi
sentivo apprezzato per il mio utile contributo.
Durante una visita
al Patronato ACLI, ho trovato un tuo dipinto del 1977 che raffigura una
famiglia italiana in attesa del treno speciale „Lecce-Wolfsburg”. Puoi dirmi
qualcosa di più su questo quadro e sui ricordi ad esso associati?
Che bei ricordi ho
di questo quadro! Il quadro faceva parte di una trilogia che presentai durante
un concorso d’arte al Centro Italiano di Wolfsburg a metà degli anni Settanta.
Il tema del dipinto era la „famiglia italiana di migranti in viaggio verso Wolfsburg“.
Il secondo dipinto mostrava uno stormo di uccelli migratori, mentre il terzo
raffigurava una strada della mia città natale, Ostuni, esprimendo la nostalgia
per il mio luogo d’origine.
Per quanto
riguarda il dipinto della famiglia in partenza, ho voluto creare un’immagine
toccante degli italiani del Sud costretti dalla mancanza di opportunità di
lavoro a intraprendere un viaggio in treno con le loro famiglie e i loro
bambini, portando con sé tutto ciò che potevano. Il treno doveva portarli
lontano, simboleggiando l’inizio di una nuova vita. Volevo catturare le
espressioni di questi italiani del Sud che, nonostante le barbe curate, avevano
un aspetto cupo, tormentato e magro, come se fossero „tristi“ ma allo stesso
tempo pieni di speranza per la nuova vita che stava per dispiegarsi davanti ai
loro occhi. I bambini aggrappati alle gonne delle madri e le valigie di cartone
legate con lo spago rappresentavano tutto ciò che potevano portare con sé,
l’intero mondo di chi le trasportava. Per questo dipinto ho tratto ispirazione
da elementi della vita reale. Per esempio, una delle due figure maschili
accanto al treno è stata ispirata da mio padre, mentre uno dei bambini potrebbe
rappresentare me stesso quando sono partito per la Germania in pantaloncini,
sottolineando la mia giovane età. In effetti, avevo solo quindici anni quando
sono partito.
Quando hai deciso
di tornare in Italia e quali sono stati i motivi che ti hanno spino a farlo?
Vorrei che mi parlassi di questa esperienza del “ritorno” e anche di come hai
mantenuto i rapporti con gli amici o familiari a Wolfsburg. Quali ricordi hai
di quel periodo e prenderesti la stessa decisione oggi?
La decisione di
tornare in Italia è stata presa principalmente per motivi di salute. Durante il
periodo trascorso in fabbrica, la mia salute si è deteriorata e ho dovuto
subire diversi interventi chirurgici. Per tre o quattro mesi non ho potuto
lavorare e ho dovuto sottopormi a una riabilitazione intensiva, spesso
costretta a rimanere in posizione orizzontale. In quei momenti difficili, ho
promesso a me stesso: „Quando sarò di nuovo in piedi, dovrò tornare in Italia“
per riprendermi completamente. Devo dare atto alla Volkswagen di essere stata
molto corretta e gentile durante il mio lungo periodo di recupero. Mi hanno
persino inviato pacchetti con cioccolata e panettone per Natale, augurandomi
una pronta guarigione senza farmi pressioni sulla data di rientro. Il loro
rispetto per un dipendente che non poteva rientrare per motivi di salute era
evidente.
Il ritorno in
Italia ha suscitato inizialmente un sentimento di euforia, perché non vedevo
l’ora di tornare nella mia terra e di rivedere i miei amici. Tuttavia, la
situazione familiare era cambiata: solo mia sorella maggiore viveva a Ostuni.
Gli altri membri della famiglia, tra cui mio padre, un’altra sorella e mia
madre, erano rimasti a Wolfsburg. Mia sorella mi ospitò e iniziai a lavorare
come cameriere in un ristorante. Col tempo mi sono ripreso anche fisicamente.
Ho pensato spesso
a Wolfsburg e ho avuto l’opportunità, tra la fine degli anni Settanta e
l’inizio degli anni Ottanta, di tornarci come „turista“. Ripensandoci, devo
ammettere che probabilmente avrei continuato a vivere a Wolfsburg anche senza
la mia malattia. Ho iniziato a stringere legami e amicizie con persone
tedesche. Forse sarei rimasta lì se non mi fossi ammalata. Ma la decisione di
tornare in Italia mi ha portato a una vita diversa, che oggi apprezzo molto.
Per fortuna ho anche incontrato mia moglie, con la quale sono felice e con la
quale credo che le cose siano andate bene.
Vorrei saperne di
più sul tuo percorso di artista, in particolare sulle origini della tua bottega
a Ostuni. Quando e come hai iniziato a lavorare con la scultura in pietra? Come
si svolge oggi la tua attività?
A mio parere, la
mia carriera artistica è iniziata in modo unico. Quando tornai dalla Germania,
comprai una casa nel centro storico di Ostuni. Sotto questa casa c’era un
piccolo negozio di cappelli che si trovava lì da diversi decenni. Grazie al mio
hobby di disegnare e dipingere, avevo l’opportunità di esporre i miei quadri in
questo negozio, soprattutto durante l’estate. Dipingevo ritratti e paesaggi e
mi divertivo immensamente. Purtroppo accadde qualcosa di spiacevole: una notte
i ladri entrarono nel negozio e rubarono tutti i miei quadri. Questo periodo è
stato duro per me; ero depresso e volevo arrendermi e lasciarmi tutto alle
spalle. Ma come si dice spesso: „Quando cadi da cavallo, risali subito“. Ed è
quello che ho fatto: Non mi sono lasciato scoraggiare e ho cercato di
ricominciare, di continuare a dipingere.
Fortunatamente ho
trovato un modo per ricominciare. Ho ricevuto l’incarico di restaurare la base
di una statua per la quale dovevo preparare una tavoletta di pietra. Mentre
lavoravo su questa pietra, intagliandola e levigandola, avevo in mano quasi una
„tela“ di pietra bianca. Da qui ho pensato di incidere con chiodi e cacciaviti
e poi dipingere le rocce. Negli anni ho perfezionato questa tecnica di
incisione e pittura. I motivi centrali sono angoli caratteristici del centro
storico di Ostuni. Quello che è iniziato come un hobby si è trasformato in un
lavoro. Posso dire con grande soddisfazione che molte delle mie opere sono
esposte in Canada, Giappone, Stati Uniti e in molte altre parti del mondo.
Nel 2008, dopo
molti anni, sei ritornato a Wolfsburg per partecipare a una mostra d’arte. Puoi
raccontarmi come è andata, chi è stato coinvolto nell’iniziativa e che ruolo ha
avuto l’amministrazione comunale? Che ricordi hai di questo viaggio e che significato
questo ha per te?
I legami con
Wolfsburg sono rimasti forti nel corso degli anni e non sono mai venuti meno.
Ho mantenuto un’amicizia di lunga data con il mio caro amico Cosimo Barletta e
sua moglie, che gestiscono un’azienda a Wolfsburg. Quando sono tornato nel 2008
per esporre le mie opere, è stata un’esperienza straordinaria. Finalmente
potevo rivisitare la città che mi aveva accolto e ospitato per tanto tempo.
Devo dire che De Mitri, in collaborazione con il Consolato italiano, ha
organizzato tutto alla perfezione: il volo e tutti i dettagli logistici. Il
volo per Colonia e poi il treno per Wolfsburg: tornare in questa città è stato
esaltante perché è stato il luogo in cui ho vissuto un’evoluzione notevole in
tutti gli aspetti della mia vita.
Ho condiviso le
emozioni di questo ritorno con il sindaco durante la mostra. Wolfsburg mi ha
dato molto perché sono arrivato qui a quindici anni e ho lasciato la città a
venticinque. Ho avuto la fortuna di essere in una città che mi ha insegnato
molte cose, sia dal punto di vista professionale che sociale. Qui ho interagito
con persone diverse da quelle del mio piccolo paese in Puglia, che hanno
allargato i miei orizzonti e mi hanno insegnato molto. La partecipazione alla
mostra mi ha fatto sentire meno un lavoratore ospite e più un artista, un
„maestro“, come ho sottolineato al sindaco. Ho evidenziato che, come italiani,
spesso non abbiamo opportunità, ma possediamo competenze, e ce ne sono molte.
L’occasione della
mostra coincideva anche con il 70° anniversario della fondazione di Wolfsburg.
Pertanto, ho voluto contribuire con un’opera che evidenziasse in modo specifico
il contributo dell’emigrazione italiana alla storia economica e sociale della
città. Il pezzo mostra Ostuni, dove vivo, da un lato e Wolfsburg, con il suo
castello, dall’altro. C’è una „rottura“, una „crepa“ nella pietra tra queste
due città. Vedo questa „crepa“ come un „confine“, sia geografico che culturale
e mentale, tra due stati d’animo: quello del giovane in Italia e quello
dell’emigrante in Germania. Un confine culturale che deve essere superato. Per
me, che provengo da un piccolo paese del Sud Italia, è stata un’esperienza
travolgente e indimenticabile quando a quindici anni ho visto per la prima
volta lo stabilimento della Volkswagen, ho attraversato le immense ciminiere,
ho percorso il Brücke berlinese e sono salito su una „scala mobile“ che ha
segnato profondamente il corso della mia vita.
Sei tornato a
Wolfsburg di recente? Se si, hai incontrato amici di un tempo? Come sono ora i
vostri rapporti?
Nel 2014 ho
finalmente realizzato il sogno di andare a Wolfsburg con la mia famiglia.
Abbiamo volato fino ad Amburgo, dove mia moglie e i miei figli sono rimasti per
qualche giorno (la loro prima volta in Germania). Poi siamo andati a Wolfsburg
e anche a Hitzacker sull’Elba. Abbiamo festeggiato il mio 58° compleanno,
esattamente 40 anni dopo la mia maggiore età. È stato un momento bellissimo che
ho potuto condividere con la mia famiglia.
È stata
un’esperienza molto emozionante, soprattutto tornare alla gelateria dove avevo
lavorato da giovane. Anche se i proprietari erano cambiati, è stato
significativo camminare per le stradine del villaggio, che mi hanno portato
tanta gioia. Riunirsi con gli amici è stato un momento prezioso. In un certo
senso, posso dire che Hitzacker ha un significato ancora più profondo di
Wolfsburg, perché è lì che ho fatto amicizia con i tedeschi e si può dire che
mi sono integrata completamente. Alcuni di questi amici li ho ritrovati in
seguito attraverso i social network e alcuni sono venuti a trovarmi a Ostuni. È
stata un’esperienza meravigliosa perché abbiamo riunito le nostre rispettive
famiglie, ricordato momenti del passato. CdI 7
Brevi di cronaca e di politica tedesca
I temi chiave del
duello televisivo
Già solo il
termine “duello” suscita grandi aspettative tra il pubblico. Se, negli Stati
Uniti o in Italia, i dibattiti televisivi dei candidati di punta possono
riservare emozioni in Germania sono invece più sobri. In un dibattito
televisivo di 90 minuti, Olaf Scholz (SPD) e il suo avversario Friedrich Merz
(CDU) hanno discusso due temi chiave per il futuro della Germania: la politica
migratoria e l’economia.
CDU-CSU puntano
sul tema dell’asilo nelle ultime due settimane prima del voto. Il candidato
alla Cancelleria della CDU-CSU afferma che il Cancelliere non percepisce più la
realtà sulla questione migratoria: “Non vive in questo mondo. Quello che sta
raccontando qui è uno scenario da favola“. Il Cancelliere Scholz, a sua volta,
ha promesso per il periodo post-elettorale di continuare con una “linea dura”
nella politica di asilo: “Non ci sono mai state leggi più severe di quelle che
ho fatto approvare”, aggiungendo che “il numero di richiedenti asilo sta
diminuendo e anche in Europa si stanno facendo progressi nella gestione della
migrazione”. Il Cancelliere ha poi nuovamente respinto come illegali i piani
della CDU-CSU che prevedono il respingimento dei migranti alle frontiere e ha
messo in guardia da una “crisi europea”.
Un altro tema è
stata la gestione del rapporto con l’estrema destra dell’AfD: il Cancelliere
Scholz ha nuovamente accusato Merz di una “rottura della parola data” e di
“infrazione di tabù”, dato che la CDU-CSU aveva fatto passare al Bundestag il
suo piano in cinque punti sulla migrazione con i voti dell’AfD. Il Cancelliere
ritiene quindi che dopo le elezioni il Presidente della CDU sia capace di
formare una coalizione con l’AfD, cosa questa fermamente respinta dal leader
della CDU Merz: “Non ci sarà alcuna collaborazione. Non lo faremo“. Sulle
questioni sostanziali, CDU-CSU e AfD restano molto lontane.
Inoltre, il duello
televisivo ha avuto come tema anche la persistente debolezza dell’economia
tedesca. Il leader della CDU Merz ha accusato il Cancelliere Scholz di una
percezione distorta della situazione di crisi: “Sono alquanto scosso dalla
percezione con cui stasera Lei descrive lo stato della nostra economia. (…)
Questo non ha più nulla a che fare con le realtà in Germania”.
Chi ha vinto il
duello in
TV
Secondo i
sondaggisti, il Cancelliere Olaf Scholz dell’SPD avrebbe ottenuto risultati
leggermente migliori rispetto al candidato alla Cancelleria CDU-CSU Friedrich
Merz. Il Cancelliere ha mostrato un atteggiamento combattivo e prontezza di
parola. In alcuni momenti, tuttavia, l’irritazione del Cancelliere Scholz è
stata evidente. Merz, d’altra parte, non si è scomposto, accusando con il
sorriso il Cancelliere di governare ignorando la realtà dei fatti.
Il giorno dopo non
c’è quindi un chiaro vincitore del duello. Fondamentali, restano ancora i molti
elettori indecisi. La maggior parte dei commentatori parla di pareggio. Non si
tratta infatti solo dei contenuti, ma della postura dei candidati: come si presentano
agli spettatori, se suscitano simpatia o meno e se sono in grado esprimersi e
spiegare questioni complesse con parole semplici.
In un sondaggio
flash condotto dall’emittente televisiva ZDF, il Cancelliere Scholz è apparso
un po’ più credibile e simpatico, mentre del democristiano Merz è emerso
soprattutto il suo atteggiamento da statista. Per quanto riguarda le
competenze, entrambe le controparti sono risultate sullo stesso livello. Il
dibattito televisivo ha segnato l’inizio della fase finale della campagna
elettorale, che vede Merz e CDU-CSU in grande vantaggio. Nei sondaggi CDU-CSU
raggiungono attualmente il 29-34%, mentre l’SPD, con il 15-18%, si trova al
terzo posto, dietro l’AfD, che raggiunge valori intorno al 20%. Il Cancelliere
rimane indietro anche in termini di popolarità: secondo un sondaggio
dell’emittente ARD, il 32% degli intervistati è soddisfatto di Merz, ma solo il
23% del Cancelliere Scholz.
Conferenza sulla
sicurezza di Monaco: perché l’Europa ha paura di Trump
Dal 20 gennaio
scorso Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti, a Bruxelles è
iniziata una nuova legislatura e il 23 febbraio si terranno le elezioni
federali in Germania: una serie di nuovi inizi farà da cornice alla 61esima
Conferenza sulla sicurezza di Monaco (MSC), che aprirà i battenti venerdì 14
febbraio.
Il Presidente
Trump domina il tradizionale convegno prima ancora che questo abbia inizio: non
si recherà personalmente in Baviera, ma invierà tre dei suoi rappresentanti più
importanti. Il Vicepresidente J.D. Vance, il ministro degli Esteri Marco Rubio
e il suo inviato speciale per l’Ucraina Keith Kellogg arriveranno all’Hotel
Bayerischer Hof. L’invio del trio può essere interpretato in modo positivo dal
punto di vista diplomatico: l’attenzione della nuova amministrazione
statunitense per gli europei si mostra alquanto solida: “La più grande
delegazione statunitense da anni”, queste le lodi che giungono anche dal
Presidente della conferenza, Christoph Heusgen. Chi invece la vede in modo più
pessimistico, teme che in UE stia per giungere il caos.
Come è certo noto,
il “trumpismo” non tiene certo conto delle sensibilità europee. Soprattutto
perché l’inviato speciale Keith Kellogg, secondo i resoconti dei media, prevede
di presentare un trattato di pace per l’Ucraina alla conferenza. Le ipotesi indicano
quindi che il Presidente Trump voglia congelare il conflitto, sbloccare in
cambio il mercato del gas russo e allo stesso tempo fornire garanzie di
sicurezza a Kiev. La domanda interessante è: fa sul serio?. “I Paesi europei
non hanno fatto abbastanza per migliorare le loro capacità militari”, questa la
critica mossa da Heusgen prima dell’avvio della Conferenza. In considerazione
della “nuova normalità” annunciata dalla seconda amministrazione Trump, ora
sembra arrivato il momento dell’Europa.
Verdi: un piano in
sette punti
Il candidato alla
Cancelleria dei Verdi, Robert Habeck, ha presentato un piano in sette punti,
che, se vince, intende realizzare nel primo anno di governo. La promessa
centrale è la creazione di un “fondo per la Germania”, con l’obiettivo di
finanziare investimenti miliardari nel contrasto al cambiamento climatico,
nelle infrastrutture e nel rinnovamento dell’economia. A tal fine, anche il
freno all’indebitamento dovrà essere allentato. La prima priorità dell’agenda
per il futuro del ministro Habeck, intitolata “Ripartenza anziché regressione”,
è una strutturazione sociale della lotta al cambiamento climatico. Nel prossimo
governo il leader dei Verdi punta quindi a “garantire ancora di più che tutti i
cittadini possano partecipare al necessario rinnovamento”.
In concreto, il
ministro Habeck promette programmi di incentivi scaglionati a livello sociale
per la ristrutturazione di case e appartamenti, nonché per la mobilità
elettrica. Le tariffe di rete per le linee elettriche interregionali saranno
finanziate dal fondo per la Germania e la tassa sull’elettricità sarà ridotta
al minimo europeo. In questo modo, l’elettricità rinnovabile sarà più
accessibile dal punto di vista economico. Il leader dei Verdi Habeck intende
anche utilizzare il fondo per la Germania per la ristrutturazione di edifici
scolastici, prevedendo di destinare dal 2026, 10 miliardi di euro all’anno per
la loro manutenzione. Una parte delle promesse socio-politiche di Habeck
corrisponde a quelle dell’SPD: anche il candidato alla Cancelleria dei Verdi
intende aumentare il salario minimo a 15 euro entro la fine dell’anno e
assicurare un livello pensionistico ad almeno il 48% (rispetto al salario
medio).
I giornali
statunitensi considerano l'AfD un “partito neo-nazista”
Di solito la
Germania non compare molto spesso nella stampa statunitense. Solo pochi
americani mostrano un forte interesse per la politica interna tedesca. Ma ora
non passa giorno in cui i media statunitensi non parlino della campagna
elettorale tedesca, in particolar modo dell’AfD. Alcuni giornali ritengono che,
a differenza di altri partiti di destra presenti in Europa, il termine
“neonazisti” potrebbe essere assolutamente pertinente per tale partito.
“L’estrema destra tedesca dell’AfD è ossessionata da Trump e Musk”, ha
dichiarato l’emittente statunitense CNN, aggiungendo che “l’America e la
Germania hanno problemi simili per quanto la questione migratoria”. L’AfD, come
i repubblicani in America, danno la colpa di ciò ai partiti liberali.
Il “New York
Times” si è concentrato su Angela Merkel: “Se c’è qualcosa che unisce i partiti
in questa campagna elettorale tedesca, è la rottura con l’ex Cancelliera, la
cui eredità è stata respinta dagli elettori”, si legge nell’ultimo numero di
domenica scorsa. Il quotidiano afferma che “nessuna misura politica ha mosso
gli elettori tedeschi più della decisione dell’ex Cancelliera Merkel presa sui
rifugiati del 2015, motivo per cui “molti politici la incolpano per l’ascesa
dell’AfD”. Il “Wall Street Journal” descrive l’AfD per essere stato, in
passato, un piccolo partito di protesta, che però “nel frattempo è diventato un
grande movimento che sta guadagnando punti tra gli elettori insoddisfatti sul
piano economico e sociale, soprattutto, ma non solo, nell’ex Germania Est”. Il
quotidiano economico sottolinea: “Anche se molti partiti di destra in Europa
vengono spesso erroneamente definiti ‘fascisti’ o ‘neonazisti’, ci sono buone
ragioni per credere che ciò possa essere effettivamente il caso dell’AfD”.
Luoghi in
Germania: i giardini Herrenhäuser di Hannover
È probabilmente
l’attrazione più bella della capitale del Land della Bassa Sassonia (536.000
abitanti): ogni anno molte persone visitano i giardini Herrenhäuser ad
Hannover. Per il 350° anniversario del Giardino barocco sono stati previsti
eventi e concerti speciali. Questo fine settimana si inaugurerà una mostra
sulla storia del parco. Soprattutto la cultura delle “Orangerie”, così diffuse
a nord delle Alpi, svolgerà un ruolo speciale in questo contesto. Ai visitatori
verrà mostrato con quale impegno si lavorava in passato affinché i sovrani
dell’epoca potessero presentare le loro piante di agrumi. Nel XVIII secolo, ad
esempio, in primavera e in autunno venivano assunti 80 uomini per quattro
giorni, che trasportavano le piante dal loro ricovero invernale all’esterno e
viceversa.
Affinché le piante
potessero sopravvivere al gelido inverno di Hannover, venne installato un
sistema di riscaldamento ad acqua calda. Il “Grande Giardino” venne costruito a
partire dal 1675. È considerato uno dei pochi giardini barocchi che si è
conservato intatto nel corso dei secoli nella sua struttura originaria.
Inizialmente concepito come parco per la residenza estiva dei monarchi di
Hannover, fu aperto ai visitatori già a partire dal 1763.
Migrazione: CDU e
CSU si schierano con Friedrich Merz
È stata la sua
prima apparizione al Bundestag dopo il voto perduto sulla politica migratoria,
quando la proposta di legge di CDU-CSU è stata sostenuta dagli estremisti di
destra dell’AfD. La reazione dell’opinione pubblica non si è fatta attendere,
l’indignazione dell’SPD e dei Verdi è stata grande. Ma a sole tre settimane
dalle elezioni anticipate la CDU e la CSU puntano sull’unità.
Tra gli applausi
dei circa 1.000 delegati, il candidato alla Cancelleria Friedrich Merz ha
aperto lunedì scorso la convention elettorale del suo partito, promettendo un
cambiamento nella politica da subito percepibile: “Siamo pronti a riportare la
Germania in avanti. Si tratta di inviare un segnale chiaro e forte in tutta la
Repubblica Federale. (…) “Un governo guidato dalla CDU si metterà al lavoro
senza indugi e affronterà alla radice i problemi che hanno paralizzato a lungo
il nostro Paese”, ha dichiarato il leader Merz. La CDU ha quindi in serbo un
“piano per la Germania” variegato dal punto di vista dei contenuti.
Tuttavia, nei
corridoi del congresso si è discusso molto di quando Merz al Bundestag aveva
permesso, per la prima volta, che una mozione della CDU-CSU raggiungesse la
maggioranza grazie ai voti dell’AfD. Venerdì scorso, Merz ha poi fallito nel
tentativo di approvare la “legge per la limitazione dell’immigrazione”
nonostante il sostegno dell’AfD. Ciò è dovuto anche al fatto che una dozzina di
deputati della CDU non ha partecipato deliberatamente al voto. Anche l’ex
Cancelliera Angela Merkel ha preso le distanze dal modo di procedere del suo
partito. Nel frattempo, SPD e Verdi hanno approfittato della situazione per
mobilitare il proprio elettorato. Nel fine settimana, solo a Berlino, 160.000
persone hanno manifestato contro la decisione della CDU.
Cosa vuole
ottenere la CDU in 100 giorni
Cosa c’è in quel
“programma immediato” con cui la CDU fa il suo ingresso nello sprint finale
della campagna elettorale? Si tratta di un mix di sgravi fiscali per
l’economia, una svolta nella politica in materia di asilo e il ritiro delle
leggi della coalizione semaforo. Il documento contiene il piano in cinque punti
di Merz, che prevede, tra le altre cose, controlli permanenti alle frontiere,
respingimenti ai confini e arresto a tempo indeterminato ai fini
dell’espulsione per i criminali stranieri. La migrazione dovrà quindi essere
limitata dalla legge. Altri punti riguardano la riduzione della tassa
sull’elettricità e delle tariffe di rete, favorendo un alleggerimento di almeno
cinque centesimi per kilowattora.
Altra modifica
riguarda la legge sul diritto del lavoro, da modificare in modo tale che
l’orario massimo di lavoro giornaliero sia sostituito da un massimo
settimanale. L’aliquota IVA per i ristoranti dovrà essere ridotta al 7% e
l’obbligo di emissione di scontrino elettronico dovrà essere abolito. La CDU
promette anche il rapido ritiro della legge sul riscaldamento e della
legalizzazione parziale della cannabis e intende abolire la legge nazionale
sulla catena di approvvigionamento. Immediato anche l’abbattimento degli
ostacoli burocratici. Le misure dovranno essere applicate nei primi 100 giorni
di un futuro governo guidato dalla CDU.
I Verdi chiedono
le scuse di CDU-CSU
L’indignazione di
molti dopo il voto congiunto di AfD e CDU nel Bundestag rimane anche tra i
Verdi, il cui candidato di punta Habeck non esclude una possibile coalizione
con CDU e CSU, ma chiede che il leader della CDU Merz riconosca che sia stato
un errore il comportamento di voto congiunto con l’AfD nel Bundestag. “Deve
fare dietrofront. Non dobbiamo far sì che il non tenere fede alla parola data
diventi il punto di partenza degli accordi”, ha avvertito il ministro
Habeck.
I Verdi hanno
presentato un piano in 10 punti per una maggiore sicurezza nella politica dei
rifugiati. “Voglio una politica che garantisca al meglio la sicurezza, che non
fomenti risentimenti e che rispetti i diritti fondamentali”, si legge nella
lettera del candidato alla Cancelleria, ministro, Robert Habeck. I mandati
d’arresto contro islamisti e soggetti pericolosi devono essere eseguiti il più
rapidamente possibile. A tal fine, “le autorità di sicurezza e la polizia
federale dovranno disporre di maggiori poteri. Anche il governo centrale e i
Länder devono poter cooperare meglio sulle questioni di sicurezza”, per cui “i
potenziali pericoli devono essere identificati in via preventiva”. I Verdi
hanno quindi l’intenzione di espellere gli stranieri che rappresentano un
rischio per la sicurezza.
Inoltre, i Verdi
vogliono porre un freno alla migrazione irregolare alle frontiere esterne
dell’UE, facendo sì allo stesso tempo che “tutte le procedure di asilo in
Germania vengano drasticamente accelerate”. Gli accordi di migrazione con altri
Stati saranno quindi una questione di primaria importanza per il partito.
Dazi USA: Scholz
mette in guardia dalla guerra commerciale
Una possibile
guerra commerciale con gli Stati Uniti alimenta i timori per l’economia anche a
Berlino. Il Cancelliere Olaf Scholz (SPD) ha ora annunciato contromisure
europee nel caso in cui Washington sotto la guida del Presidente Trump imponga
ulteriori dazi sulle merci provenienti dall’UE. “In quanto spazio economico
forte, possiamo realizzare le nostre cose in piena autonomia e possiamo anche
reagire alla politica dei dazi con politiche basate sui dazi”, ha messo in
guardia al vertice informale dell’UE tenutosi a Bruxelles.
“È quello che
dobbiamo e vogliamo fare”. Entrambe le parti hanno beneficiato dello scambio di
beni e servizi, ha sottolineato il Cancelliere. “Se ora la politica dei dazi
rendesse difficile ciò, sarebbe un male per gli Stati Uniti e un male per
l’Europa”. L’obiettivo è quindi quello di giungere alla fine a una
cooperazione. “Ma è chiaro che la premessa per l’intesa è conoscere le proprie
forze. L’Europa è pronta ad agire”.
Lutto di Stato: la
Germania rende omaggio a Horst Köhler
La Germania piange
la morte del suo ex Presidente di Stato Horst Köhler, morto a 81 anni dopo una
breve malattia. Il democristiano Köhler è stato eletto capo dello Stato per la
prima volta nel 2004. Nel maggio 2010 si dimise a sorpresa, solo un anno dopo
la sua rielezione con i voti degli allora partiti di governo CDU, CSU e
FDP.
Il Presidente
dello Stato Frank-Walter Steinmeier gli ha reso omaggio definendolo “un colpo
di fortuna per il nostro Paese”, sottolineando la profonda gratitudine, a nome
di tutti i tedeschi, “di aver avuto l’opportunità di vedere Horst Köhler come
nono Presidente della Repubblica federale di Germania”, il quale “ha dato molto
a questo Paese”. Con Köhler, per la prima volta nella storia tedesca la massima
carica dello Stato venne assunta da una personalità non proveniente da un
partito politico.
Laureato in
economia, aveva iniziato la sua carriera presso il ministero dell’Economia nel
1976 e nel 1990, dopo varie altre tappe, è diventato Segretario di Stato presso
l’allora ministero delle Finanze guidato da Theo Waigel (CSU). Köhler è stato,
tra le altre cose, negoziatore principale della Germania per il Trattato di
Maastricht sull’Unione monetaria europea. Unico nella storia politica del
Dopoguerra è stato anche il sorprendente ritiro di Köhler. Il fattore
scatenante fu un’intervista rilasciata alla radio, in cui giustificò le
missioni all’estero delle forze armate tedesche anche con la tutela degli
interessi economici tedeschi, cosa che suscitò pesanti critiche da parte dei
media. Con ciò egli vide il suo mandato irreparabilmente danneggiato e ne
trasse le conseguenze.
A livello
internazionale, l’ex Presidente Köhler si è occupato principalmente di Africa,
già come capo del Fondo monetario internazionale a Washington, insistendo per
una partnership paritaria con il vicino continente. A questa è rimasto fedele
anche dopo aver lasciato la più alta carica dello Stato, tra gli altri come
inviato speciale delle Nazioni Unite per il conflitto nel Sahara occidentale
dal 2017 al 2019.
Prezzi degli
affitti: sempre più care le città tedesche
I tedeschi
continuano a soffrire per l’aumento dei prezzi degli affitti. Come rivela
un’analisi dell’Istituto di Economia, nel quarto trimestre del 2024 i nuovi
canoni contrattuali di locazione sono aumentati in media del 4,7% rispetto
all’anno precedente. Particolarmente colpite sono le metropoli: a Berlino i
nuovi contratti di locazione sono aumentati dell’8,5%, a Essen dell’8,2%, a
Francoforte dell’8%. Anche Lipsia (7,3%) e Düsseldorf (7,2%) hanno registrato
una crescita significativa. “Questo sviluppo sottolinea il continuo dinamismo
del mercato tedesco degli appartamenti in locazione, che, nonostante le
incertezze economiche, continua a essere caratterizzato da una forte domanda”,
si legge nel rapporto. Uno dei motivi principali dell’aumento dei canoni di
locazione è la scarsità dell’offerta.
Il numero di nuovi
edifici completati continua a diminuire, il che dovrebbe avere un impatto a
lungo termine sul mercato degli edifici in locazione. Allo stesso tempo, i
prezzi delle abitazioni di proprietà rimangono sostanzialmente stabili. Nel
quarto trimestre del 2024, gli appartamenti di proprietà sono costati in media
lo 0,5% in meno rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi delle case
unifamiliari e bifamiliari sono aumentati dello 0,6%.
Campagna
elettorale: la Chiesa esorta a moderare i toni
Il cardinale
Reinhard Marx ha esortato alla moderazione verbale nella campagna elettorale,
sottolineando che “la discriminazione e il disprezzo dell’essere umano” non
sono: “nomi di Dio”. “Ciò non deve essere dimenticato durante la campagna
elettorale”, ha ammonito l’arcivescovo di Monaco e Frisinga. Nel dibattito
pubblico non bisogna perdersi in “falsi ideali, utopie o persino immagini
apocalittiche”, ma osservare realisticamente il mondo e lasciarsi guidare dalla
speranza e dall’umanità, perché “nella situazione attuale l’umanità e la
dignità dell’essere umano non devono cadere nell’oblio”.
Alla luce della
situazione internazionale, il Presidente della Conferenza episcopale tedesca,
il vescovo Georg Bätzing di Limburgo ha lanciato un appello per la pace: “Una
pace degna di questo nome si basa sulla protezione incondizionata della dignità
umana, sulla chiara designazione di vittime e carnefici e sull’insistenza sulla
giustizia”. Negli ultimi anni, “forse troppo spesso la pace è stata data per
scontata”, ha ammesso il vescovo. “Guardando indietro, ci rendiamo conto che la
pace è l’aria di cui una società libera ha bisogno per respirare; il suo
significato si realizza solo quando comincia a mancare”.
Luoghi in
Germania: Stralsund
Il problema della
raccolta dei rifiuti esiste anche in Germania. Per evitare che i contenitori
trabocchino e prevenire inutili viaggi nella raccolta dei rifiuti, la storica
città anseatica di Stralsund, affacciata sul Mar Baltico (60.000 abitanti, Land
Meclemburgo-Pomerania Anteriore), adotterà contenitori high-tech con sensori
radar, che registrano lo stato attuale degli stessi e trasmettono i dati. Su
una mappa digitale della città, i bidoni della spazzatura sono contrassegnati
da codici colorati: rosso sta per “si prega di svuotare”, giallo significa
“pieno per metà” e verde indica la piena disponibilità del contenitore.
Secondo quanto
riferisce l’amministrazione comunale, da dicembre scorso la tecnologia è in
fase di test su 35 cestini. Il sistema può persino prevedere quando i bidoni
della spazzatura saranno pieni. L’obiettivo è quindi aiutare gli addetti alla
pulizia delle strade a pianificare in modo più accurato i percorsi di raccolta
dei rifiuti. Questo per evitare viaggi di raccolta inutili e lo spreco di
tempo. Kas 6/13
Un aiuto “politico” per il voto tedesco. Il Wahl-O-Mat per è online
Ieri, 6 febbraio
2025, la Bundeszentrale für politische Bildung/BpB ha lanciato il tanto atteso
„Wahl-O-Mat“ in vista delle elezioni tedesche del 23 febbraio 2025. Durante una
conferenza stampa a Berlino, leader dei partiti delle otto formazioni politiche
attualmente rappresentate al Bundestag hanno testato insieme alla redazione del
Wahl-O-Mat l’ultima versione di questo strumento digitale di informazione.
Con 38 domande,
tutti gli elettori possono ora esplorare in modo interattivo i programmi e le
posizioni delle varie parti politiche. Comparando le proprie risposte con
quelle dei partiti, il Wahl-O-Mat calcola il grado di corrispondenza personale
con le diverse opzioni politiche disponibili. Le risposte e le argomentazioni
dei partiti su ciascuna affermazione sono fornite direttamente dalle parti
stesse, frutto di un processo redazionale che ha coinvolto 36 esperti
provenienti dal mondo accademico, dalla formazione politica e dai giovani
elettori.
Thomas Krüger,
presidente della BpB, ha sottolineato l’importanza fondamentale del Wahl-O-Mat:
„Questo strumento è essenziale per orientarsi politicamente, specialmente in
vista delle elezioni anticipate del 2025. Grazie alla sua presentazione chiara
e comprensibile delle posizioni dei partiti, aiuta i cittadini a ottenere
informazioni affidabili e a confrontarsi con gli altri. Spero che nelle
prossime settimane si sentirà di nuovo ovunque nel nostro paese: „Hai già
giocato con il Wahl-O-Mat?“
Dal suo debutto
nel 2002, il Wahl-O-Mat della Bundeszentrale für politische Bildung ha
continuato a servire come strumento cruciale per informare e mobilitare
soprattutto i giovani elettori. È diventato un punto fermo nell’offerta di
informazioni politiche prima delle elezioni, con oltre 130 milioni di utilizzi
registrati fino ad oggi in occasione di elezioni federali, europee e regionali.
Nella precedente consultazione per le Elezioni Federali del 2021 è stato
giocato oltre 21 milioni di volte, mentre per le ultime elezioni europee del
2024 ha superato i 15 milioni di accessi.
Il Wahl-O-Mat è
disponibile online su www.wahl-o-mat.de e come app per dispositivi Android e
iOS, offrendo a tutti i cittadini la possibilità di partecipare attivamente al
processo democratico in Germania.
Per ulteriori
informazioni e per giocare con il Wahl-O-Mat, visitate il sito ufficiale e
scoprite quali partiti meglio rispecchiano le vostre convinzioni politiche in
vista delle prossime elezioni federali. CdI on. 7
La mostra “Italia Rand Tour” all’Istituto IIC di Amburgo fino al 28
febbraio
Amburgo – Ancora
pochi giorni per visitare all’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo “Italia
Rand Tour”, mostra d’arte contemporanea dedicata alla scoperta dell’Italia
meno nota. Rovesciando l’idea alla base dei Grand Tour – i viaggi con cui gli
aristocratici, gli artisti e gli scrittori europei visitavano le mete più
iconiche della Penisola –, è il Collettivo Babele a partire verso
l’estero, con l’idea di mettere in risalto la bellezza che spesso rimane al
margine (in tedesco: der Rand) e rischia di essere dimenticata. In un percorso
turistico immaginario di oltre 1.600 chilometri lungo l’Italia, coordinate
geografiche come periferia e centro o Nord e Sud si mescolano e si confondono
fino a perdere di significato, lasciando il posto a una costellazione di
luoghi, tecniche e materiali. Otto artisti, otto opere, otto destinazioni da
scoprire. L’esposizione è a cura di Gabriele Naddeo. Gli artisti del
collettivo Babele: Matteo Bagolin, Ceramica; Francesco Campese, Pittura;
Alessandro D’Aquila, Scultura (Lightbox); Guglielmo Mattei, Pittura;
Emanuele Moretti,Mixed media; Filippo Saccà, Mixed media;
Ricardo Aleodor
Venturi; Mixed media; Stefano Volpe , Scultura. La mostra, allestita nella
Galleria dell’IIC dal 29 novembre scorso, chiuderà i battenti il 28 febbraio.
In occasione del finissage, alle ore 19, si terrà un incontro con
l’illustratore Pietro Scarnera. Modera e traduce la dott.ssa Francesca
Bravi. Goethe, Stendhal, Lord Byron, Percy e Mary Shelley… sono
innumerevoli gli artisti che hanno attraversato l’Italia, rapiti dalla bellezza
del paesaggio, dalla natura selvaggia e dalle vestigia di un passato mitico a
lungo idealizzato, oppure profondamente turbati di fronte alla miseria diffusa
e alla radicale diversità dei costumi degli italiani. Intrecciando le loro
storie a quelle di tanti altri, e mescolando il passato con il presente, nella
sua graphic novel (“Viaggio in Italia”, Coconino Press 2024) l’illustratore
Pietro Scarnera interroga il senso profondo di un’appartenenza culturale e
affettiva, allineando visioni differenti in un meraviglioso Viaggio in Italia.
L’ingresso all’evento è libero, ma occorre prenotare i biglietti gratuiti
tramite il portale Eventbrite.
Pietro Scarnera,
1979, è cresciuto tra Torino e Bologna e lunghi viaggi verso la Puglia. Nel
2009 ha vinto il concorso Komikazen con il progetto del fumetto “Diario di un
addio, testimonianza sui cinque anni passati accanto al padre in stato
vegetativo”, uscito nel 2010 per Comma 22. Nel 2014 ha pubblicato “Una stella
tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi” che nel 2016 ha vinto il Prix
Révélation al Festival di Angoulême e nel 2022 è uscito in una nuova edizione
per Coconino Press. Il suo ultimo lavoro è “Viaggio in Italia”, Coconino Press
2024. Giornalista pubblicista, ha lavorato come corrispondente per l’agenzia di
stampa Redattore Sociale e per altri progetti di giornalismo sociale. Dal 2020
è docente alla Scuola internazionale di Comics di Milano. (Inform/dip 14)
Corrispondenze. Lettera di Tizza (Düsseldorf) all’UE, sulla lingua italiana
Egregio Presidente della Commissione Europea,
Egregi Membri della Commissione,
Con la presente, desidero esprimere un’istanza volta a promuovere il
riconoscimento della lingua italiana come lingua di lavoro dell’Unione Europea.
Tale richiesta si fonda sul ruolo storico, culturale e simbolico che l’italiano
riveste quale erede diretto del latino, lingua matrice della civiltà
occidentale e pilastro della tradizione giuridica, filosofica e artistica
europea.
L’italiano non è solo la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio, padri della
letteratura moderna, ma anche lo strumento attraverso cui si è plasmato il
Rinascimento, movimento che ha ridisegnato i confini del pensiero umano,
dell’arte e della scienza. Il latino, radice dell’italiano, è alla base del
diritto romano, fondamento giuridico dell’Europa, e della comunicazione
intellettuale del continente per secoli. Riconoscere all’italiano lo status di
lingua di lavoro significherebbe onorare questo patrimonio condiviso, rafforzando
l’identità culturale europea nella sua diversità.
Sebbene l’italiano sia già una delle 24 lingue ufficiali dell’UE, la sua
esclusione dalle lingue di lavoro quotidiane (attualmente limitate a inglese,
francese e tedesco) rischia di marginalizzare una componente essenziale del
multilinguismo europeo. L’Italia, tra i fondatori dell’Unione, contribuisce da
sempre ai valori di integrazione e dialogo: includere l’italiano tra le lingue
operative agevolerebbe la partecipazione democratica di 60 milioni di cittadini
italofoni e valorizzerebbe una lingua studiata a livello globale per il suo
legame con la cultura, la musica e il patrimonio artistico.
In un’Europa che aspira a essere sempre più unita nella diversità,
l’adozione dell’italiano come lingua di lavoro sarebbe un segnale concreto di
rispetto per il pluralismo linguistico e per le radici comuni. Chiediamo
pertanto alla Commissione di valutare questa proposta, consapevoli che ogni
lingua europea porta con sé un universo di valori e storia irripetibile.
Confidando in una vostra attenta considerazione, restiamo a disposizione
per approfondire le motivazioni tecniche, storiche e culturali a sostegno di
questa richiesta.
Giuseppe Tizza, Am Gallberg 4, D 40629 Düsseldorf
Whatsapp 0039 375 620 2511 (dip 14)
Missione del Ministro Tajani a Monaco di Baviera per la Conferenza sulla
Sicurezza
Monaco di Baviera
– Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani oggi e domani in missione in Germania
in occasione della 61esima Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Oggi
l’incontro del Quintetto (Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito)
con i Partner arabi (Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Egitto, Emirati Arabi
Uniti) e con l’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri.
La riunione sarà
incentrata sulla situazione di Gaza. “Occorre rafforzare il dialogo per
consolidare la tregua a Gaza ed iniziare a lavorare alla ricostruzione per dare
un futuro di pace e speranza a tutta la regione” ha dichiarato Tajani,
sottolineando il costante impegno italiano a favore della popolazione civile.
“Proprio ieri
abbiamo accolto a Roma un gruppo di bambini palestinesi malati oncologici, che
abbiamo evacuato da Gaza e che saranno curati negli ospedali italiani. Dobbiamo
fare di più, insieme, per intensificare gli interventi umanitari e assistere
chi ne ha bisogno”.
Nella giornata di
sabato, il Ministro co-presiederà una tavola rotonda sui metodi innovativi
contro l’immigrazione irregolare e la criminalità organizzata che opera in tale
settore insieme al Segretario di Stato per gli Affari esteri del Regno Unito,
David Lammy. Prenderà poi parte anche a un incontro informale dei Ministri
degli Esteri G7, il primo sotto Presidenza canadese e primo con il nuovo
Segretario di Stato americano Rubio.
Nel pomeriggio di
sabato avrà luogo una riunione del Quintetto e dell’Unione Europea, che
consentirà di fare il punto sullo stato delle relazioni transatlantiche, anche
in relazione agli scenari di crisi e alla luce delle priorità della nuova
Amministrazione statunitense.
A seguire un incontro dei Ministri degli
Esteri di Italia, Francia, Spagna, Germania, Polonia con l’Alto Rappresentante
UE e l’inviato USA per Russia e Ucraina, Gen. Keith Kellogg, si focalizzerà
sulle prospettive del conflitto russo-ucraino. “Il fatto che gli Stati Uniti e
la Federazione Russa riprendano a parlarsi ad alto livello è un segnale
positivo. Noi europei dobbiamo essere uniti e lavorare per riportare la pace
sul nostro continente. Non una pace provvisoria, ma una pace giusta, duratura e
che non corrisponda a una resa di Kiyv” ha detto il Ministro Tajani.
A margine dei
lavori della Conferenza, sono previsti incontri bilaterali del Ministro Tajani
con i Ministri degli Affari Esteri argentino, Gerardo Werthein, saudita, Faisal
bin Fahran Al Saud, canadese, Mélanie Joly; con il Presidente della commissione
esteri del Senato USA, Sen. Jim Risch, e con l’Inviato USA per Russia e
Ucraina, Gen. Keith Kellogg. (Inform/dip 14)
Fiera del Turismo di Stoccarda. L’Italia rimane fra le mete preferite
Stoccarda – Alla
crisi che attanaglia la Germania si contrappone una crescente voglia di
viaggiare. È questa in sintesi la considerazione degli oltre 1.600 espositori
del variegato mercato della vacanza. Esso comprende ovviamente i diversi
segmenti del turismo che va da quello individuale del campeggio, dello sport,
del mare, della montagna , del lago, della natura, delle terme e delle città
d’arte. La calamità naturale, le guerre e l’instabilità sociale e politica di
molti paesi, spinge sempre più il turista tedesco o comunque stabilmente
residente in Germania a scegliere mete al quanto sicure. Fra i paesi prescelti
si riconfermano la Spagna, l’Italia, la Turchia, la Grecia, la Slovenia, la
Croazia e la stessa Germania, sempre più gettonata a livello nazionale e
internazionale sia per le bellezze naturali che paesaggistiche e culturali.
Infatti, anche
quest’anno si è registrata una forte presenza di Länder quali la Baviera con i
suoi laghi, il Baden-Württemberg con la sua Foresta Nera ed il Lago di
Costanza, “La strada del vino” Magonza, Kassel e Treviri della Renania
Palatinato, e poi le città anseatiche (Amburgo, Brema e Lubecca), il Mar del
Nord e dell’Est ed infine gettonatissima Berlino per la plurivariegata offerta
culturale, paesaggistica e del divertimento. Ancora una volta si registra un
forte interesse per il turismo sulle due ruote e con il camper per le città
d’arte, mentre in calo è il segmento termale.
Non dello stesso
avviso è Pino Gammaro di Heidenheim (Baden-Württemberg) che da oltre tre
decenni promuove in diverse fiere alcuni hotel di bano e Montegrotto: “Il
nostro settore termale e non solo, in questa importante fiera, per noi
operatori ha avuto un ottimo riscontro. Molti visitatori hanno addirittura
prenotato un proprio soggiorno direttamente qui in fiera. Poi, per quanto
riguarda la crisi lavorativa che la Germania sta attraversando, dalle molte
interlocuzioni con molti potenziali clienti si percepisce una forte voglia di
evasione dalla quotidianità almeno per qualche settimana. Una sempre maggiore
attenzione è riservata agli over 70 e soprattutto ai disabili o diversamente
abili. Sono infatti sempre più le strutture ricettive che hanno adeguato gli
accessi alle strutture, agli ascensori ed aree di intrattenimento anche per
bambini.
Nonostante “la
febbre Sinner” Djokovic, Musetti, Berrettini, Zvererv, Alcaraz ed altri, la
richiesta per il tennis stenta a riconquistare l’entusiasmo dei giovani
registrato in passato con Boris Becker e Steffi Graf. Oggi i giovani sono
fortemente interessati e attratti dal parapendio, dal surf, scalate, motocross,
trekking, mountain-bike e down Hill ovvero risalite su impianti e discese
mozzafiato. Soddisfazione è stata registrata nel mondo della Caravan, dei
Camper ma anche dal mondo crocieristico soprattutto per i Paesi Scandinavi, del
Mediterraneo, dell’Ege o dell’Atlantico.
Secondo il Prof.
Martin Lehmann, esperto del mercato turistico tedesco, è convinto che né la
crisi dell’automobile tedesca e di tutto l’indotto e né le elezioni politiche
anticipate influenzeranno negativamente il mercato o meglio l’innata voglia di
viaggiare dei tedeschi.
“Ciò vale –
sostiene il Prof. Lehmann – anche per il turismo culturale in cui l’Italia
detiene da sempre il primato. Basti ricordare Venezia, Firenze, Roma che,
giornalmente ed in tutte le stagioni dell’anno, registrano un flusso continuo
anche di visitatori stranieri e, fra questi, decine di migliaia di tedeschi”.
Non meno importante è il richiamo operistico del Teatro alla Scala di Milano
nel periodo dicembre – giugno e dell’Arena di Verona nel periodo estivo, metà
giugno – inizio settembre, collegato a vacanze sul Lago di Garda o alle cure
Termali ad Abano/Montegrotto.
Come per la
Turchia, Grecia, ex Jugoslavia, Polonia, Bulgaria e Romania così per l’Italia
un segmento importante di flusso turistico è costituito da oltre mezzo secolo
dagli emigrati che puntualmente ogni estate, compatibilmente con il lavoro e/o
con la scuola fanno ritorno nei luoghi di origine. Anche questi milioni di
persone spostano milioni di euro dalla Germania e non solo. L’Italia politica –
come noto – da qualche anno sta riservando una particolare attenzione al
Turismo delle Radici o di Ritorno nella speranza di contribuire a bloccare o
per lo meno a ridurre o contenere l’emorragia dell’esodo dei pochi giovani e di
giovani famiglie rimasti nei piccoli borghi. Col calo demografico, come noto,
spariscono anche entità lavorative e dei servizi: banche, ambulatori, scuole,
assistenza per anziani, officine, operai per piccole aziende artigianali e
agricole.
Una boccata
d’ossigeno alle micro-economie del mercato turistico è data oggi dal cosiddetto
Turismo delle Radici ovvero dagli emigrati che fanno ritorno in estate nelle
località d’origine. Alla ridinamicità dei piccoli borghi si associa la
rivitalizzazione delle micro-economie che per l’intero Paese Italia, secondo la
Confcommercio ha significato nel 2024 un tesoro potenziale da oltre 8 miliardi
di euro. Secondo poi la The European House- Ambrosetti il turismo delle radici
può generare in Italia fino a 141 miliardi di euro. Non bisogna tuttavia
ignorare che l’industria vacanziera è strettamente collegata o meglio
subordinata alle attività lavorative in tutti i settori dell’economie ed in
particolare delle grandi aziende, fucina di benessere di un intero territorio.(Tony
Màzzaro/Inform 7)
Il teatro italiano a Friburgo con il Consolato e la compagnia BRAT
Friburgo Brsg - Il
Consolato d’Italia a Friburgo ha inaugurato il 2025 con un tuffo
nell’affascinante mondo del teatro, insieme ai membri della giovane e
intraprendente compagnia BRAT.
Fondata nel 2015
in Friuli Venezia Giulia, la compagnia BRAT è formata da un gruppo di artisti
che si occupa di promozione e diffusione del teatro attraverso diversi tipi di
performance e attività formative.
La compagnia, per
la primissima volta in Germania, grazie ad una collaborazione tra il Consolato
d’Italia a Friburgo e l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccarda ha
presenziato con un proprio stand all’Internationale Kulturbörse, la più grande
fiera annuale di lingua tedesca dedicata a tutti i professionisti e gli
appassionati di arti visive. Qui la compagnia BRAT ha avuto modo di farsi
conoscere al pubblico, anche grazie alla messa in scena di un estratto del loro
marchio di fabbrica “NUNC”.
NUNC, interamente
ideata e realizzata dai membri della compagnia, incarna appieno l’idea di
teatro popolare, inteso come strumento critico per interpretare la realtà.
Infatti, per i giovani artisti “Il teatro è uno strumento vivo e contemporaneo,
capace di parlare allo spettatore”. NUNC, grazie all’uso di maschere realizzate
dai “mascherai” presenti nella compagnia, propone un teatro al contempo
innovativo e tradizionale. Mentre l’immediatezza del linguaggio fatto di
simboli, gestualità, odori e suoni, è capace di veicolare messaggi complessi
anche ai più piccoli spettatori. Tutto questo è valso a NUNC la vittoria del
Premio Scenario infanzia 2022, che favorisce i giovani di età inferiore ai 35
anni che sono stati in grado di utilizzare linguaggi innovativi in opere
rivolte a chi è nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza.
Il Consolato
d’Italia a Friburgo ha così incentivato e sostenuto, valorizzandolo in tutta la
Circoscrizione, il talento e l’impegno dei giovani artisti italiani,
riconoscendo che l’arte è spesso il modo più diretto per costruire ponti tra
culture. (aise/dip 31.1.)
In scena a Saarbrücken „Ich Alberich!”, con l’attore Michele Marotta
È Michele Marotta,
attore italiano con residenza a Saarbrücken, “Ich Alberich”, il nano della saga
dei Nibelunghi, la maggiore opera della mitologia germanica, nello spettacolo
teatrale messo nuovamente in scena a gennaio da Elmar Ottenthal al teatro “Blauer
Hirsch” nella capitale del Saarland.
Das Nibelungenlied
è un dramma tetro e sanguinolento: stupri, imboscate, omicidi per avidità,
intrighi per gelosia, tradimenti, inganni per amore e l’immancabile supereroe
invulnerabile o… quasi.
Il regista Elmar
Ottenthal ha costruito uno spettacolo di pura avanguardia centrato su un solo
attore con i testi di Michael Korth, le illustrazioni di Klaus Pitter e le
musiche di Aino Laos.
La formula
vincente: autoironia, satira e un pizzico di cinismo dosati con leggerezza che
fa digerire, anche ai giovani ormai lontani dai classici, uno dei mattoni più
pesanti della letteratura tedesca.
Nel racconto
condensato in due ore di spettacolo, Sigfrido, supereroe invincibile, ma solo
al 99,9 per cento, una specie di Achille d’oltralpe, ammazza il drago di
Alberich, nano, piccolo e brutto ma che sa rendersi invisibile. Ne ruba il
tesoro, aiuta un tizio a conquistare una specie di Wonder Woman in Islanda, ma
solo per sposare la sorella di questo innamorato, e diventa addirittura re.
Però, alla fine, viene accoppato a tradimento, colpito nell’unico punto
vulnerabile del suo corpo. La vedova, che dopo anni è ancora perdutamente
innamorata e addolorata, si vendica, organizzando un vero e proprio massacro.
Nel finale travolgente, crepano tutti. Tutti tranne… Alberich-Marotta!
Marotta interpreta
con la stessa maschera Sigfrido, Brunilde, Grimilde, Hagen e compagnia bella,
riuscendo a dare a tutti i personaggi la loro peculiarità e la loro
caratteristica. L’attore ha così soddisfatto tutte le esigenze del regista
Ottenthal concentrate nella riuscita fusione della Commedia dell’Arte con la
tetra mitologia germanica.
Ed Elmar
Ottenthal non è un regista qualunque. Gode di fama internazionale, ha diretto
importanti teatri a Berlino, Aquisgrana, Colonia fino a Pechino, dove è stato
docente e direttore di Joint Ventures teatrali.
Elmar Ottenthal ha
puntato sul cavallo vincente, riponendo in Michele Marotta una grande fiducia
guidata da un’esperienza e un istinto sinora infallibili.
Michele Marotta si
è fidato, dal canto suo, ciecamente di Ottenthal, mettendo il futuro della sua
carriera di attore nelle sue mani e nelle mani di Alberich, un nano che Marotta
ha saputo trasformare in un gigante da palcoscenico.
“Ich Alberich” è
messo in scena con una parsimonia di requisiti incredibile. Basta un
proiettore, una sedia, due altoparlanti, rendendolo così realizzabile in
un’aula scolastica, in un teatro tenda, in una sala riunioni e, se avete una
casa comoda e spaziosa, pure nel giardino di casa vostra.
Per saperne di
più: https://cinemusical.com/ Pasquale Marino, CdI on. 7
Il 18 febbraio all’IIC di Amburgo il libro “Denominazione di Origine
Inventata”:
Amburgo - Martedì
prossimo, 18 febbraio, alle ore 19:00, presso l’Istituto Italiano di Cultura di
Amburgo si terrà un incontro con l’autore Alberto Grandi, che presenterà il suo
saggio “Denominazione di origine inventata”, edito da Mondadori nel 2020. Il
libro è stato pubblicato nel 2024 anche in Germania dal gruppo editoriale
HarperCollins, con il titolo “Mythos Nationalgericht. Die erfundenen
Traditionen der italienischen Küche” e la traduzione in tedesco di Andrea
Kunstmann.
L’evento è
organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con
l’Istituto di Colonia e le Associazioni Literaturverein di Münster e
Deutsch-Italienische Vereinigung di Francoforte. La serata sarà moderata da
Stephanie Neu-Wendel, che curerà anche la traduzione in
italiano-tedesco-italiano delle domande del pubblico e degli interventi
dell’autore.
La partecipazione
all’evento è gratuita, ma è richiesta la prenotazione tramite il portale
Eventbrite.
Nel suo libro
Alberto Grandi, professore all’Università di Parma, svela il ruolo fondamentale
del marketing nella costruzione del mito della gastronomia italiana. Il
professore sostiene che molti dei prodotti tipici, dei piatti iconici e perfino
della dieta mediterranea affondano le loro radici non in epoche lontane, ma
nella crisi industriale degli anni Settanta. È in quel periodo che imprenditori
e coltivatori italiani collaborano per creare un racconto di antiche
tradizioni, rafforzato da un efficace storytelling.
Grandi mette in
discussione la storia di prodotti come il Parmigiano Reggiano, che non è quello
prodotto secoli fa dai monaci emiliani, ma paradossalmente è il Parmesan del
Wisconsin. Il famoso pomodoro di Pachino, simbolo della Sicilia? In realtà, si
tratta di un ibrido sviluppato in laboratorio da una multinazionale israeliana.
Persino il Marsala, oggi considerato un’eccellenza italiana, è frutto
dell’iniziativa di un commerciante inglese, che aggiunse alcool al vino per
garantirne una migliore conservazione durante il trasporto.
E se poi parliamo
delle certificazioni DOC, DOP e IGP, dove raccontiamo di tradizioni millenarie?
La realtà è ben diversa: nella seconda metà dell’Ottocento, un parassita
distrusse i vigneti italiani ed europei, costringendo i viticoltori a
ricominciare da zero con innesti e varietà non autoctone.
“Denominazione di
Origine Inventata” è un libro che mette in discussione molte convinzioni e fa
riflettere – o forse arrabbiare – chi crede ciecamente nel mito
dell’autenticità del cibo italiano. Le teorie riportate dall’autore hanno
suscitato polemiche e acceso dibattiti, ma hanno anche stimolato una
riflessione più approfondita sul concetto di autenticità nel cibo. In ogni
caso, nei libri del prof. Grandi vengono esaltate la qualità e il gusto di
tanti prodotti italiani che, indipendentemente dalla loro storia, sono e
rimangono gli ingredienti principali della nostra gastronomia, giustamente
apprezzati come prodotti d’eccellenza in Italia e in tutto il mondo.
Alberto Grandi
(Mantova, 1967) è un professore universitario e storico dell’alimentazione,
noto per il suo approccio critico alla narrazione tradizionale del cibo
italiano. Insegna all’Università di Parma e ha dedicato i suoi studi
all’evoluzione dell’industria gastronomica, analizzando il ruolo del marketing
nella costruzione dell’identità culinaria italiana. È preside del corso di
laurea in “Economia e management” all’Università di Parma. È autore di oltre
cinquanta lavori tra articoli scientifici e monografie in Italia e all’estero.
Per Mondadori ha pubblicato il bestseller “Denominazione di Origine Inventata”
(2018), “Parla mentre mangi” (2019) e “La cucina italiana non esiste” (2024).
Oltre alla sua attività accademica, Grandi è spesso ospite di conferenze e
trasmissioni in cui affronta i temi legati alla storia dell’alimentazione e
alla globalizzazione del cibo.
In collaborazione
con Daniele Soffiati, autore di libri dedicati al cinema e alla tv, Alberto
Grandi conduce il podcast “DOI – Denominazione di origine inventata” pensato ad
aiutare gli ascoltatori a separare la verità dalle narrazioni pubblicitarie,
ripercorrendo la vera storia della cucina italiana. (aise/dip 14)
Francoforte. Il Consolato invita a due importanti eventi
Care amiche e cari amici, liebe Freunde der italienischen
Kultur,
questa
settimana vi proponiamo alcune iniziative culturali delle prossime
settimane alle quali vi invitiamo con piacere:
Wir laden sie herzlich zu diesen nächsten Veranstaltungen
ein, die am, 20. Februar sowie am 27. und 28.02.2025 stattfinden werden:
CINEMA ITALIANO (rassegna di film italiani) a Bad Soden am
Taunus
Lunedì/Montag
24.02.2025, h 20:00 (Accesso/Einlass: 19:30)
Film in lingua
italiana ”Un mondo a parte” (2024) regia di Riccardo Milani
In italiano con
sottotitoli in tedesco/Originalsprache mit deutschen Untertiteln
Prenotazione e
biglietti/ Ticketkauf über den
Link: https://www.casablanca-badsoden.de/show/3129887650
####
Ciclo di incontri
con autrici e autori italiani "Un mondo di libri"/Im Rahmen der Reihe
„Italien, eine Bücherwelt“
Incontro con l'autore / Buchpräsentation mit dem Autor
Alessandro BELLARDITA "Die sizilianische Akte: De
Benedettis zweiter Fall" (AKRES Publishing, 2024) (in IT e TED/ auf
IT und DEU)
Moderation: Michele Santoriello (Kulturbüro des
Ital. Generalkonsulats)
Francoforte sul Meno/ Frankfurt am Main Giovedì/Donnerstag
27. Februar 2025, h 19.00 Buchhandlung Weltenleser
Oeder Weg 40 60318 Frankfurt am Main
-----------------------------
Contributo
forfettario/Eintritt: 5,00 € ( inkl. Aperitiv mit dem Autor/ incluso aperitivo
con l'autore)
Si prega di prenotare/Wir bitten um Anmeldung:
info@weltenleser.de
Während Staatsanwalt Francesco De Benedetti im beschaulichen
Heidelberg seiner täglichen Routine nachgeht, erhält er ein Amtshilfeersuchen
aus Sizilien. Der im Mannheimer Gefängnis einsitzende Mafia-Boss Vito Macaluso
muss wegen eines Mordfalles vernommen werden. Die sizilianischen Ermittler
vermuten, dass Macaluso ein wichtiger Zeuge sein könnte. Die Bearbeitung
scheint nur eine Formsache. Doch wenige Tage nach der Vernehmung wird dessen
Neffe ermordet. Plötzlich überstürzen sich die Ereignisse, und es bestätigt
sich, was De Benedetti bereits geahnt hat: Die sizilianische Akte führt direkt
zu einer Spur des Todes, die Deutschland und Sizilien miteinander verbindet. In
seinem zweiten Ermittlungsfall geht der Heidelberger Staatsanwalt De Benedetti
den verborgenen Strukturen der italienischen Mafia im Rhein-Neckar-Gebiet auf
die Spur.
Alessandro Bellardita ist gebürtiger Sizilianer und lebt im
Rhein-Neckar-Gebiet. Seit 2012 ist er im Justizdienst tätig; journalistisch und
schriftstellerisch betätigt er sich seit 2005. Im Jahr 2021 erschien unter dem
Titel „Der Zeugenmacher“ der erste Ermittlungsfall seiner deutsch-italienischen
Hauptfigur Francesco De Benedetti.
Ulteriori
informazioni a questo link: Ciclo “Un mondo di libri – Italien: eine
Bücherwelt” – Programma degli incontri/Programm 2025 – Consolato Generale
d'Italia a Francoforte
In Kooperation mit der Buchhandlung Weltenleser FFM e IIC
Colonia.
###
„Se bastasse una
sola canzone“ – 70 Jahre Canzone Italiana Elettra de Salvo, Eva
Spagna & Holger Schliestedt
Freitag, 28. Februar 2025 | 20.00 UhrRomanfabrik
Hanauer Landstr. 186 (Hof), 60314 Frankfurt
Vorverkauf:
AD-Ticket, www.ad-ticket.de
Die Schauspielerin Elettra de Salvo präsentiert
gemeinsam mit der Sängerin Eva Spagna und dem Gitarristen Holger
Schliestedt ein Stück Geschichte Italiens in Melodien und Texten der
Canzone Italiana seit der Nachkriegszeit: Marina, Quando quando
quando, O sole mio, Azzurro, Volare …
Caterina
Valente, Rocco Granata, Pavarotti, Ramazzotti, Adriano
Celentano oder Gianna Nannini. Das fällt zweifellos dem deutschen
Italien-Liebhaber ein, wenn er an das italienische Liederrepertoire denkt. Doch
es gibt viel, viel mehr: in Deutschland weniger bekannte hervorragende
Schlagersänger*innen, Popmusiker*innen und Singer/Songwriter.
Zwei „kleine Italienerinnen“ laden Sie ein zu einem
spannenden und amüsanten Streifzug durch 70 Jahre Geschichte Italiens, durch
verschiedene Epochen, Genres und Anekdoten der „canzone italiana“. Zum Zuhören
und Mitsingen. Idee und Konzeption: Elettra de Salvo.
TICKETS- Eintritt: Solidarisches Preissystem mit 20 Euro
(Förderpreis), 15 Euro (regulärer Preis), 10 Euro (Minimalpreis), 6 Euro
(Schüler*innen + Studierende)
„[…] ‚se bastasse una sola canzone‘ liess die Zuschauer in
Glücksmomente schwelgen. Fachkundig erläutert und charmant begleitet wurde
diese lyrisch-akustische Reise von der Schauspielerin und Regisseurin Elettra
de Salvo. Sängerin Eva Spagna und Holger Schliestedt an der Gitarre musizierten
sich mit viel Leidenschaft und wunderbaren Arrangements. […] die großartige Eva
Spagna verstand es, der Seele von Musikstücken und Künstlern nachzuspüren.“
Badische Neueste Nachrichten
Mit freundlicher Unterstützung von Italienischen
Generalkonsulats Frankfurt am Main
####
Vi ricordiamo
infine le due mostre a Francoforte che hanno il nostro Patrocinio e si
concludono nelle prossime settimane. Offrono entrambe anche
interessanti visite guidate da non perdere.
Außerdem laden wir Sie ein, die folgenden beiden
Ausstellungen zu besuchen, die unter der Schirmherrschaft des italienischen
Generalkonsulats stehen und tolle Führungen anbieten:
Mostra/Ausstellung: „Das Anwesende des Abwesenden“ (La
presenza dell’assenza)-12.10.24 – 2.03.2025 – Frankfurter Kunstverein
https://consfrancoforte.esteri.it/de/news/dal_consolato/2024/09/ausstellung-la-presenza-dellassenza-das-anwesende-des-abwesenden-12-10-24-2-03-2025-frankfurter-kunstverein/
Mostra/Ausstellung: „AENIGMA 2.0“ – Archäologisches Museum Frankfurt – 14.10.
24 – 23.03.2025
Ciclo di incontri
con autrici e autori italiani "Un mondo di libri"
Im Rahmen der Reihe „Italien, eine Bücherwelt“
Francoforte sul Meno/ Frankfurt am Main
Giovedì/Donnerstag 27. Februar 2025, h 19.00 Buchhandlung
Weltenleser
Oeder Weg 40 60318 Frankfurt am Main
###
Freitag, 28. Februar 2025 | 20.00 Uhr
Romanfabrik Hanauer Landstr. 186 (Hof), 60314 Frankfurt
Die Schauspielerin Elettra de Salvo präsentiert
gemeinsam mit der Sängerin Eva Spagna und dem Gitarristen Holger
Schliestedt ein Stück Geschichte Italiens in Melodien und Texten der
Canzone Italiana seit der Nachkriegszeit: Marina, Quando quando
quando, O sole mio, Azzurro, Volare …
Caterina
Valente, Rocco Granata, Pavarotti, Ramazzotti, Adriano
Celentano oder Gianna Nannini. Das fällt zweifellos dem deutschen
Italien-Liebhaber ein, wenn er an das italienische Liederrepertoire denkt. Doch
es gibt viel, viel mehr: in Deutschland weniger bekannte hervorragende
Schlagersänger*innen, Popmusiker*innen und Singer/Songwriter.
Zwei „kleine Italienerinnen“ laden Sie ein zu einem
spannenden und amüsanten Streifzug durch 70 Jahre Geschichte Italiens, durch
verschiedene Epochen, Genres und Anekdoten der „canzone italiana“. Zum Zuhören
und Mitsingen. Idee und Konzeption: Elettra de Salvo.
Eintritt: Solidarisches Preissystem mit 20 Euro
(Förderpreis), 15 Euro (regulärer Preis), 10 Euro (Minimalpreis), 6 Euro
(Schüler*innen + Studierende)
„[…] ‚se bastasse una sola canzone‘ liess die Zuschauer in
Glücksmomente schwelgen. Fachkundig erläutert und charmant begleitet wurde
diese lyrisch-akustische Reise von der Schauspielerin und Regisseurin Elettra
de Salvo. Sängerin Eva Spagna und Holger Schliestedt an der Gitarre musizierten
sich mit viel Leidenschaft und wunderbaren Arrangements. […] die großartige Eva
Spagna verstand es, der Seele von Musikstücken und Künstlern nachzuspüren.“
Badische Neueste Nachrichten
Mit freundlicher Unterstützung von Italienischen
Generalkonsulats Frankfurt am Main
Consolato Generale
d’Italia a Francoforte sul Meno
Affari culturali e
comunicazione (dip 14)
145 organizzazioni alla CDU: “Non dividete ulteriormente la società”
“La protezione dei
rifugiati e i diritti umani sono parte integrante della nostra democrazia”: è
questo il messaggio che 145 organizzazioni sociali e per i diritti umani
rivolgono al partito dei Cristiano democratici (Cdu) in vista dell’odierno
congresso di partito. Nel messaggio si afferma che i rifugiati provenienti da
numerose regioni del mondo sono ormai diventati parte integrante della società
locale. Atti orribili compiuti da singoli individui, come l’attacco di
Aschaffenburg, non dovrebbero mai portare alla “stigmatizzazione o
all’esclusione dei diritti” di interi gruppi. La Cdu ha contribuito a far
progredire questo dibattito con il progetto di legge bocciato venerdì scorso
che ha rinfocolato le attuali discussioni sull’inasprimento delle leggi sulla
cittadinanza, la residenza e l’asilo: ciò minaccia l’immagine che i diritti
fondamentali e umani “o valgono per tutti noi o non valgono affatto”. Inoltre,
le richieste di respingere le persone in cerca di protezione alle frontiere
interne della Germania, l’abolizione del ricongiungimento familiare per le
persone che hanno diritto alla protezione sussidiaria, il rimpatrio nelle zone
di guerra e di crisi e la detenzione generalizzata di tutte le persone che
devono lasciare il Paese sono “gravemente illegali”. L’appello afferma
testualmente: “Vi preghiamo di astenervi durante la campagna elettorale da
retorica e richieste che dividono ulteriormente la nostra società e mettono le
persone le une contro le altre”. Sir 3
A Neunkirchen i Fliednermusiktage: musica inclusiva negli ospedali
psichiatrici
Neunkirchen -
Beijing Concert Hall, Shanghai Oriental Arts, Filarmonica di Berlino,
Musikhalle di Amburgo, Alte Oper di Francoforte: solo alcune delle Sale
concertistiche dove Ratko Delorko, pianista e compositore di fama mondiale, si
è esibito negli anni.
Il 21 febbraio,
alle ore 14.00, l'eccezionale musicista sarà a Neunkirchen in Germania per
inaugurare il Fliednermusiktage 2025, Festival diretto dal Maestro Giuseppe
Scorzelli, un progetto pilota per portare in tutta la Germania la musica
inclusiva negli ospedali psichiatrici.
Abbattere le
barriere e i pregiudizi nei confronti delle persone affette da malattie mentali
e riportarle al centro della nostra società: questo è l'obiettivo del
Fliednermusiktage, diretto da Scorzelli, musicoterapeuta e direttore artistico
italiano, che da anni lavora nell’Ospedale Psichiatrico Fliedner Krankenhaus di
Neunkirchen.
“La Musica è un
formidabile strumento di connessione con il paziente psichiatrico e ho voluto
realizzare questo progetto, unico in tutta la Germania, per dare al paziente
non solo la possibilità di una presa in carico dal punto di vista
farmacologico, ma anche sociale e culturale”, spiega Scorzelli, che parla
dell’ospedale come “luogo di cura del corpo ma anche dell’anima”.
“Sono stato
fortunato ad aver trovato totale appoggio da parte del mio capo, il prof.
Vernaleken, e dallo staff della Diakonie”, aggiunge il Maestro. “Quest’anno ci
aspettano appuntamenti meravigliosi e davvero vari, che culmineranno a fine
Giugno con una giornata piena di Concerti all’aperto per tutta la città di
Neunkirchen”.
Ratko Delorko si è
esibito in vari Paesi d'Europa e d'Asia, oltre che negli Stati Uniti. Tiene
masterclass in Malesia, Russia, Croazia, Italia, Stati Uniti, Vietnam e Cina ed
è considerato un pioniere delle lezioni di pianoforte online. È anche un esperto
di strumenti a tastiera storici. Nella produzione “Storia del pianoforte”, si
esibisce con 22 pianoforti antichi. Quando si siede al pianoforte con una
giacca di pelle e suona con passione brani classici, rompe gli stereotipi
prevalenti.
“L'uomo giusto per
il nostro festival inclusivo”, riassume Giuseppe Scorzelli.
Il Festival
proseguirà il 16 maggio con Anatol Ernestus, musicista e costruttore di
strumenti di Saarbrücken, che accompagnerà il pubblico nel mondo mistico della
musica Handpan. (aise 5)
L’invasione delle finte multe in Germania
L'ufficio federale
dei Trasporti chiarisce di non avere titolo per richiedere il pagamento di
multe per infrazioni al Codice della strada: “È una truffa” – Mattia Eccheli
I «furbetti del
tagliandino» ci sono anche in Germania. Tanto da costringere la KBA, l'ufficio
federale dei Trasporti, a diramare un comunicato ufficiale per far sapere agli
automobilisti che stanno circolando falsi avvisi di notifiche per violazione
del Codice della strada: «Si tratta di una truffa», precisa la Motorizzazione
tedesca.
Le notifiche
vengono inviate per posta elettronica, ma la KBA sottolinea che è «importante
sapere che non emette sanzioni per violazioni del codice della strada perché
non è responsabile» per questo tipo di provvedimenti. Anche in Germania sono in
forte aumento le frodi in rete e l'ufficio federale per i Trasporti ha pertanto
deciso di intervenire. Nel sintetico comunicato ricorda come ogni sanzione «è
preceduta da un'udienza ai sensi della legge sulla procedura amministrativa da
parte delle autorità competenti (autorità della circolazione stradale, ecc.),
che coinvolge le persone coinvolte» che hanno l'opportunità di chiarire il
caso.
Almeno per il
momento non è chiaro chi si nasconda dietro l'operazione delle false multe (nè
è dato sapere quanti conducenti abbiano già abboccato al possibile «phishing»)
che ha costretto la KBA anche a sottolineare di non essere la mittente di
queste mail, «né lo sono altri organismi ufficiali». La stessa motorizzazione
invita a «non effettuare pagamenti» e a non aprire i link allegati per i quali
non esclude un possibile malaware, un programma di disturbo e «parassitario»
che è anche capace di sottrarre i dati sensibili contenuti del dispositivo in
cui viene lanciato.
In perfetto
«burocratichese», la mail - della quale la Kba ha diffuso una sorta di
fac-simile del 2 febbraio relativo ad una multa di 158 euro inviata
dall’indirizzo Länderkennung @RU senza alcun numero di protocollo - informa
l'automobilista della sanzione per eccesso di velocità: «per comodità» può
scaricare il Pdf che contiene i dati per il pagamento al link indicato. Con
estremo garbo viene anche ricordato che in caso di disaccordo, esiste un limite
di 14 giorni per presentare ricorso. In ogni caso, insomma, è concreto il
rischio di aprire il documento ed esporsi a rischi di intrusione informatica.
LS 10
Il caos di Trump: segno di potenza politica o debolezza?
“Veramente
disgustoso. Ma ecco cosa succede quando Trump non usa il teleprompter… Ecco
perché continuo a dire che Donald Trump non potrà vincere l’elezione. Dobbiamo
fermare il caos che segue Trump”. Queste le parole di Nikki Haley nel mese di
febbraio del 2024 dopo avere ascoltato alcune dichiarazioni razziste fatte da
Donald Trump in campagna elettorale. A quei tempi lei continuava a sfidare
Trump per la nomination del Partito Repubblicano ma il mese dopo fu costretta a
gettare la spugna. La Haley si è ovviamente sbagliata sull’esito elettorale ma
aveva ragione sulla questione del caos che ha seguito Trump nelle prime tre
settimane di presidenza.
Se c’è una
strategia evidente nella pratica politica di Trump sarebbe quella di inondare
le informazioni con ordini esecutivi a raffiche che scompigliano i media e i
suoi avversari politici causando un tormentone che rende difficile chiarire
cosa sta succedendo. Questa strategia politica di Trump non rivela la sua
potenza ma infatti suggerisce paradossalmente la sua debolezza, come ha scritto
Ezra Klein, editorialista del New York Times. Klein cita Steve Bannon, ex
stratega di Trump nella prima campagna elettorale e poi consigliere per un po‘
di tempo alla Casa Bianca. Bannon aveva detto che i nemici sono i media e che
Trump li sbilancerebbe perché possono solo seguire “una cosa alla volta” e
quindi bisogna colpirli “con altre cose” che li terranno occupati. Nel
frattempo Trump riuscirebbe a mettere in atto le sue politiche senza subire
influenze dai contrappesi mediatici.
In effetti si
tratta di controllare i cicli delle notizie e Trump sia in campagna elettorale
che nelle prime settimane del suo secondo mandato è riuscito a fare ciò che
Bannon mette a nudo. Mentre i media sono costretti a reagire a ogni sparata
grossolana che esce dalla bocca del presidente, Musk, che alcuni hanno
etichettato, il vero presidente, fa i fatti suoi, smantellando agenzie e
prendendo controllo di informazioni che gli permetteranno di recare grossi
danni agli americani.
Le sparate di
Trump che da isolazionista del suo primo mandato si è convertito a sostenere
l’ampliamento territoriale degli Usa hanno fatto il giro del mondo e destato
preoccupazione. Dal cambiare il nome da Golfo del Messico a Golfo d’America, al
controllo del Canale di Panama, l’impossessamento della Groenlandia, e l’ultima
quella di controllare fisicamente la Striscia di Gaza, Trump ha causato caos e
preoccupazione perché non si sa esattamente cosa potrebbe combinare. Per
dimostrare il suo potere ha anche minacciato i dazi al Messico e il Canada del
25 percento come pure alla Cina del 10 percento. I dazi con i due Paesi del
Nord America sembrano essere sfumati e non si sa esattamente l’esito di quelli
con la Cina. Allo stesso tempo le minacce di dazi sono anche un messaggio ad
altri Paesi. Gli effetti desiderati però sono stati ottenuti: Trump controlla
l’agenda.
Più pericolosi
però sono stati gli ordini esecutivi soprattutto per creare un clima di paura.
Ciò è divenuto chiarissimo con la sua campagna di deportazione di massa e il
piano di deportare migranti a Guantanamo. Difficile capire la logica ma
l’effetto è quello di ricalcare il “reato” dei migranti. Metterli a Guantanamo
li avvicina al pericoli dei terroristi. Ora però si sa che queste deportazioni
di massa non sono realtà. The Guardian, il giornale inglese, ha analizzato le
deportazioni e concluso che il motore di ricerca Google ha un algoritmo che li
mette in risalto anche se alcuni sono avvenuti durante l’amministrazione Biden.
In effetti, i numeri non sono quelli stratosferici desiderati da Trump.
Se i media non
sanno che pesci pigliare con il caos di informazione con pochi risultati reali
di controllare o mitigare l’operato di Trump, le Corti hanno avuto più
successo. L’ordine esecutivo di eliminare la cittadinanza per nascita, lo ius
soli, è stato bloccato dal giudice John Coughenour dello Stato di Washington.
L’ordine è stato descritto dal giudice come talmente illegale costringendolo a
rimproverare gli avvocati di Trump, accusandoli di improprietà professionali.
L’altro ordine esecutivo di bloccare miliardi di pagamenti di dollari
autorizzati dal Congresso è anche stato bloccato dal giudice federale Loren
AliKan di Washington D. C. Altre denunce sono in corso. L’Alliance of Retired
Americans ha denunciato il ministro del Tesoro Scott Bessent perché ha
condiviso dati confidenziali con DOGE, il cosiddetto Dipartimento di Efficienza
Governativa, guidato da Elon Musk. Il padrone di X (già Twitter), Tesla,
SpaceX, e di tante altre aziende, ha un ruolo nel governo poco chiaro ma
ciononostante è già riuscito a recare grossi danni smantellando USAid con 10
mila dipendenti che distribuiva miliardi di dollari a Paesi poveri nel mondo.
Mentre Trump crea il caos e il contrappeso del Congresso sembra essere
scomparso dalla circolazione persino nella gestione di programmi approvati con
leggi, Musk fa tanti danni e non sembra essere controllato da nessuno. Infatti,
Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato che i conflitti di
interesse di Musk saranno gestiti proprio dallo stesso Musk.
Nonostante i danni
creati da Musk Trump è poco potente perché l’approvazione di leggi che
consoliderebbero la sua influenza sono poco fattibili. È vero che i
repubblicani controllano il potere esecutivo e quello legislativo ma la loro
maggioranza in ambedue Camere consiste di solo tre voti. Margini risicati
specialmente al Senato dove vige ancora il filibuster, il requisito della
maggioranza ad oltranza di 60 consensi per procedere alle votazioni. Con voti
compatti, 41 senatori democratici potranno facilmente bloccare gli eccessi
legislativi di Trump. CdI on 10
Consiglio europeo: vertice dei 27. “Per la difesa fare di più e insieme”
“Dobbiamo fare di
più. Dobbiamo farlo meglio e più velocemente. E dobbiamo farlo insieme”. Nelle
parole del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, c’è un primo
bilancio del vertice informale dei 27 capi di Stato e di governo riuniti ieri,
fino a tarda sera, a Bruxelles per discutere di difesa. E proprio alla difesa
si riferisce Costa quando afferma, preoccupato: “La guerra in corso in Ucraina,
gli attacchi informatici e ibridi, la situazione in Medio Oriente, tutto ciò
richiede un forte approccio europeo per garantire la sicurezza di tutti i
nostri cittadini, per garantire la pace nel nostro continente. E costruire
l’Europa della difesa è parte integrante di questo progetto. Le nostre
discussioni si sono concentrate su tre argomenti principali: capacità,
finanziamenti e partnership”. Sul summit, che ha ospitato in due momenti
separati il segretario generale della Nato, Mark Rutte, e il premier britannico
Keir Starmer, pesava l’ombra di Trump, con il possibile disimpegno militare
degli Usa in Europa e con le continue e ambigue minacce di dazi commerciali.
Sulle capacità di
difesa “che dovrebbero essere sviluppate in via prioritaria”, Costa afferma:
“Accettiamo di concentrarci sulle lacune più critiche identificate dagli Stati
membri attraverso il lavoro dell’Agenzia europea per la difesa, in piena
coerenza con la Nato. E di concentrarci sulle aree in cui vi è un chiaro valore
aggiunto dell’Ue. Nella discussione odierna, c’è stata un’attenzione alla
difesa aerea e missilistica, ad esempio, ma anche, per citarne solo alcuni,
missili e munizioni, mobilità militare e abilitatori strategici”. Specifica:
“C’è stato un altro messaggio molto chiaro oggi: il rafforzamento
dell’industria europea della difesa deve essere al centro di questo sforzo:
dobbiamo produrre più capacità di cui abbiamo bisogno e farlo più velocemente”.
In chiusura del
vertice informale dei 27 a Bruxelles Antonio Costa, presidente del Consiglio
europeo, riferisce del nodo-finanziamenti per l’industria della difesa. “Gli
Stati membri hanno compiuto grandi sforzi a livello nazionale. La spesa per la
difesa è già aumentata del 30% tra il 2021 e il 2024. Oggi, in media, i 23
Stati membri che sono anche alleati della Nato spendono circa il 2% del loro
Pil per la difesa. Dobbiamo continuare nella stessa direzione. La Commissione
ha annunciato che avrebbe esaminato le flessibilità all’interno delle nuove
regole di governance economica, per consentire una maggiore spesa nazionale per
la difesa”. Si parla anche di mobilitare gli investimenti privati: l’industria
bellica è un “affare”. “Per quanto riguarda la spesa pubblica, la difesa sarà
un argomento importante nelle discussioni sul prossimo ciclo di bilancio
dell’Ue a partire dal 2028. Ma è chiaro a tutti che dobbiamo agire più
velocemente di così”. “I leader hanno anche concordato che gli investimenti
nell’industria europea della difesa non solo contribuiranno a garantire la
pace, ma contribuiranno anche alla prosperità e alla nostra competitività”.
Sulle partnership Costa cita naturalmente quella con la Nato: “È fondamentale
per garantire la sicurezza transatlantica”.
Durante il pranzo
con il Segretario generale Mark Rutte, “abbiamo concordato che un’Europa della
difesa più forte rafforza anche la partnership transatlantica. Gli Stati Uniti
sono nostri amici, nostri alleati e nostri partner. Questa è una relazione che
ha radici profonde e durerà nel tempo. Problemi e divergenze di opinioni
possono sorgere anche tra amici. Quando ciò accade, dobbiamo affrontarli,
parlare e trovare soluzioni. Naturalmente, pur difendendo i nostri valori e
sostenendo i nostri principi, e senza compromettere i nostri interessi”.
Infine: “Abbiamo
avuto anche il piacere di avere con noi il primo ministro del Regno Unito, Keir
Starmer. Il Regno Unito è il nostro partner naturale. E il nostro incontro ha
confermato che c’è una nuova energia positiva nella nostra relazione. C’è molto
che possiamo fare insieme sulla difesa e per affrontare le sfide globali. Non
vediamo l’ora del nostro vertice con il Regno Unito in questo semestre”.Gianni
Borsa, sir 4
Il disagio è
palese. L’attuale momento politico internazionale ha solo accelerato i tempi
per una situazione della quale non siamo ancora in grado di stimare gli
effetti. Chi si azzarderebbe a negarlo?
L’arcano resta
fitto. Dopo gli abbagli per un’Italia meno povera, si è tornati a fare i conti con un’economia assai
variegata. I servizi sociali, quelli di pubblica utilità, sono stati i primi a
soffrirne. Tutto il resto, che non è poco, non è stato risparmiato. L’idea di
uno Stato protezionista si è tramutata nell’immagine di un Paese delle supposte
riforme e dell’incoerenza.
Intanto, molti
politici continuano a essere comparse su una scena la cui potenzialità non può
essere trascurata. Ciò che à stato impossibile alle loro alleanze di cordata,
sembra raggiunto, almeno nella sua fase iniziale, da un’emergenza politica da
tamponare. La situazione resta in evoluzione. I problemi del Paese ci sono
ancora tutti e, forse, se ne aggiungeranno degli altri. Non è il caso
d’ipotizzare miglioramenti che potrebbero non esserci.
Potrà sembrare
strano, ma anche da noi si stanno schematizzando, pur senza una tattica
combinata, due “fronti”. Come a scrivere che chi è da una “parte”non dovrebbe,
poi, transitare a un’’”altra”. Nel Paese è già successo. Da noi, la politica
del “passaggio” non è una novità e neppure i suoi nefasti risultati.
Giorgio Brignola,
de.itpress
La ricorrenza. I 10 anni (intensi) di Sergio Mattarella al Colle
La sua è la
presidenza più lunga (anche Napolitano era stato rieletto, ma aveva lasciato
dopo un anno e mezzo). Il tratto distintivo: fermezza mite in difesa della
Costituzione e dell'unità del Paese
Dieci anni e non
sentirli. Dieci anni per Sergio Mattarella da quello che viene ricordato come
il capolavoro di un Matteo Renzi all’apice della sua parabola, segretario del
Pd e capo del governo, che, per la complicata successione a Giorgio Napolitano,
decise di far saltare il “patto del Nazareno”. Silvio Berlusconi non la prese
bene, avendo già dato l’ok per Giuliano Amato, ma anche per il ricordo di un
Mattarella che, nell’estate 1990, da ministro dell’Istruzione del governo
Andreotti, si fece portavoce dei 5 ministri della sinistra Dc dimissionari
contro la legge Mammì, che regolamentò le frequenze tv ratificando l’ascesa del
Cavaliere a padrone dell’emittenza privata.
Il nome del più
“longevo” presidente della Repubblica – secondo rieletto dopo Napolitano, che
però si era dimesso dopo un anno e mezzo – spuntò a sorpresa, essendo in quel
momento giudice costituzionale. Mattarella il 31 gennaio 2015 fu chiamato a un
trasloco di pochi metri, dalla Consulta al Quirinale. Fu un’elezione più larga
del previsto, 665 voti a fronte dei 505 che servivano, per la quale fu coniata
la formula dei “franchi sostenitori” a indicare coloro che, dentro Forza
Italia, andarono oltre l’astensione decisa dal Cav.: fra i promotori
dell’operazione si fece il nome di Raffaele Fitto, che di recente si è visto
ricambiare la stima trovando nel capo dello Stato un convinto sostenitore della
sua indicazione a commissario europeo.
Il pomeriggio
stesso dopo l’elezione Mattarella si recò a rendere omaggio alle Fosse
Ardeatine indicando già, nel presidio della memoria condivisa, un filone chiave
della sua lunga presidenza. Non a caso, poi, nel gennaio 2018, deciderà di
nominare Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, senatrice a vita, unica e
sola del decennio.
Mattarella al
Quirinale porta il suo bagaglio di politico di lungo corso di popolare del Pd
intestatario dell’ultima legge elettorale di cui il promotore non si sia poi
vergognato, il “Mattarellum”, formula che riuscì a mettere insieme
proporzionale, maggioritario e selezione della classe dirigente. Ma non
dimentica il suo essere giurista, approdato alla politica, nel 1984, come
commissario della Dc siciliana, chiamato dal segretario Ciriaco De Mita,
quattro anni dopo l’assassinio (il 6 gennaio 1980) del fratello Piersanti, un
omicidio politico-mafioso ancora avvolto nel mistero. Nel discorso di
insediamento si presenta come l’«arbitro «imparziale». Ma, dice rivolto ai
parlamentari che l’ascoltano: «I giocatori lo aiutino con la loro correttezza».
La sua fermezza mite, sempre in difesa della Carta e dell'unità del Paese, che
sarà apprezzata un po' da tutti, comporta “leale collaborazione” con le altre
istituzioni, ma non complicità. E vale anche per il suo kingmaker, che pochi
mesi dopo “inciampa” nel referendum confermativo alla sua riforma, avendo
promesso di lasciare in caso di esito negativo. Mattarella ottiene da Renzi di
congelare le sue dimissioni, per non compromettere l’approvazione della legge
di Bilancio. A quel punto però lui chiede lo scioglimento delle Camere ma non
l’ottiene, Mattarella incarica il suo ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
Nel prosieguo di legislatura l’astro di Renzi si consumerà definitivamente, e
ne risentiranno a lungo i suoi rapporti con l’inquilino del Quirinale.
Nel suo primo
mandato Mattarella ha coabitato con 4 presidenti del Consiglio, di cui 3 da lui
incaricati. Dopo Gentiloni (2016-2018), sarà la volta di Giuseppe Conte
(2018-2021) e Mario Draghi (2021-2022) con un ruolo sempre più attivo del
Quirinale, “motore di riserva” quando il sistema va in avaria. Con Gentiloni
stabilirà un asse “fiduciario” venuto utile anche di recente, quando – con
l’avvento dell’era Meloni – l’ex premier, diventato Commissario agli Affari
economici di Bruxelles, sarà garante della continuità istituzionale fra Italia
e Ue.
Con i 5 stelle
partito di maggioranza relativa e con un Parlamento a maggioranza
“euroscettica”, in omaggio al suo ruolo di garante Mattarella nel 2018
realizzerà l’atto più incisivo del decennio nel respingere l’indicazione di
Paolo Savona all’Economia, che aveva dato alle stampe un libro in cui veniva
considerata l’ipotesi di uscire dall’euro. Il giorno più lungo sul Colle è il
31 maggio 2018, quando Carlo Cottarelli, il tecnico chiamato dopo la rinuncia
di Conte, rinuncia a sua volta perché “l’avvocato del popolo” torna
improvvisamente in pista. Ok a Savona ministro, ma spostato agli Affari
Europei, mentre il leader M5s Luigi Di Maio ritira la sua estemporanea proposta
di impeachment.
Mattarella sarà di
nuovo decisivo dopo la cosiddetta “crisi del Papeete” aperta da Matteo Salvini
in pieno agosto, nel 2019, convinto - come Renzi - di ottenere il voto
anticipato, ed invece a settembre nascerà il governo giallo-rosso, con Conte
ancora alla guida. Ma dovrà affrontare una sfida mai vista prima: il Covid.
Mattarella nel febbraio 2020 solidarizza con la comunità cinese, visitando una
scuola, all’Esquilino. Ma in pochi giorni l’epidemia diventa pandemia, e
l’Italia accusa pesantemente il colpo. Sono i giorni delle colonne di camion
militari con le bare, dei Dpcr, delle mascherine. Con Mattarella sempre dalla
parte della scienza e dei vaccini. Il grande risultato, ottenuto dal governo
Conte, con l’ombrello istituzionale di Mattarella, sono i 209 miliardi del Pnrr
ottenuti dalla Ue, operazione senza precedenti.
Ma il kingmaker
del 2015, ormai con poche truppe, torna in azione. Renzi a fine anno capeggia
la fronda contro Conte, e si gioca la carta Mario Draghi. Tocca però ancora a
Mattarella mettere insieme una coalizione amplissima a sostegno del salvatore
dell’euro richiamato in servizio dal suo Paese. Sono giorni di grande prestigio
internazionale per il nostro governo, a partire dal G7 in Cornovaglia, l’Italia
è al centro della scena, nel disegnare gli scenari della ripresa.
Nel 2022 cambia
tutto. In vista del fine settennato il passaggio di testimone fra Draghi e
Mattarella sembra nelle cose. Ma l’astro del premier che brilla nelle
cancellerie di mezzo mondo, nel Parlamento convocato in seduta comune non
decolla. Mattarella, fallito il tentativo Draghi per la sua successione, dopo
aver spiegato le ragioni del suo fermo “no” a un nuovo mandato viene spinto
proprio dal premier a restare dov’è per non esser privato del suo sostegno.
C’entra ancora una volta Renzi che boccia la candidatura Belloni, contribuisce
anche Casini con la sua rinuncia, una volta capito che su Mattarella si stava
ricompattando tutto il fronte che reggeva il governo Draghi. Così il 29 gennaio
2022 viene rieletto, risultando il secondo Presidente più votato dopo Pertini
(832 voti su 1011: 82,3%).
Ma un’altra
minaccia incombe sull’Europa, a stoppare una ripresa che sembrava prorompente.
In febbraio la Russia invade l’Ucraina. I fasti del “governo del presidente” e
l’eterogenea maggioranza che lo tiene in piedi, impattano con la crisi
energetica e l’impennata dei prezzi si abbatte sulle famiglie. Stavolta il voto
anticipato è inevitabile, con un inedito appuntamento autunnale, dall’esito
ritenuto scontato. Ne scaturisce la più veloce crisi di governo che si ricordi,
Giorgia Meloni si presenta al Colle - irritualità concordata - con la lista dei
ministri già pronta. Mattarella non obietta nemmeno di fronte a qualche palese
conflitto di interessi che in altra situazione (senza una maggioranza chiara e
una legge di Bilancio da approvare in fretta) l’avrebbe indotto a intervenire.
Il secondo mandato
racconta tutt’altra storia. Racconta di un presidente che riconosce la forza di
un governo che ha una maggioranza chiara in entrambi i rami del Parlamento. Ma
questi due anni e mezzo raccontano anche di un Mattarella attivo più che mai,
che - senza proferire parola sulla riforma del premierato che riduce il ruolo
del capo del Stato - è impegnato a difendere la popolarità dell’istituzione
garante dell’unità del Paese, convinto che ve ne sia bisogno in un’Italia in
cui l’attuale politica “guerreggiata” incontra il disinteresse e l’astensione
ormai di una quota maggioritaria degli elettori. Angelo Picariello, Avvenire
30.1.
Liberarsi dalla dipendenza affettiva: ritrovare sé stessi con la
meditazione e scrittura
La dipendenza
affettiva è una condizione dolorosa e logorante. Chi ne soffre si sente
incompleto senza l’altro, ha paura dell’abbandono e si aggrappa alle
relazioni anche quando queste sono dannose. Si tratta di un legame emotivo che,
anziché nutrire, consuma. Tuttavia, è possibile liberarsi da questa gabbia
interiore e riconquistare la propria autonomia emotiva.
Due strumenti
potenti per questo percorso di guarigione sono la meditazione e
la scrittura terapeutica. Entrambi aiutano a rompere i meccanismi di
dipendenza, permettendo di riscoprire il proprio valore e costruire un rapporto
più sano con se stessi e con gli altri.
Cos’è la
dipendenza affettiva?
La dipendenza
affettiva non è amore, ma bisogno. È una forma di attaccamento
disfunzionale in cui la propria felicità e autostima dipendono
dall’approvazione e dalla presenza di un’altra persona. I segnali più comuni
includono:
* Paura dell’abbandono e
dell’isolamento
* Difficoltà a stare da soli e bisogno
costante di conferme
* Sacrificare i propri bisogni per
compiacere l’altro
* Accettare relazioni tossiche pur di
non perdere il legame
* Ansia e ossessione verso la
relazione
Chi soffre di
dipendenza affettiva spesso cerca nell’altro una soluzione a un vuoto
interiore, ma questa strategia porta solo a maggiore sofferenza. Il vero
cambiamento avviene quando si inizia a guardarsi dentro e a coltivare un amore
autentico per sé stessi.
Meditazione:
riscoprire l’autonomia emotiva
La meditazione è
uno strumento straordinario per interrompere i pensieri ossessivi e sviluppare
una maggiore consapevolezza di sé. Quando si è dipendenti affettivamente, la
mente è sempre proiettata sull’altro, sulla relazione, sul timore di essere
lasciati. La meditazione aiuta a riportare l’attenzione nel momento presente e
a costruire un equilibrio interiore.
Benefici della
meditazione nella dipendenza affettiva
* Interrompe i pensieri ossessivi e
riduce l’ansia
* Aiuta a gestire le emozioni senza
farsi travolgere
* Aumenta l’autostima e il senso di
completezza interiore
* Sviluppa il distacco emotivo
sano senza cadere nell’indifferenza
Come iniziare
Non serve essere
esperti per beneficiare della meditazione. Bastano pochi minuti al giorno per
iniziare a vedere i cambiamenti. Ecco un semplice esercizio:
1. Trova un posto tranquillo e chiudi
gli occhi
2. Focalizzati sul respiro, osservando l’aria
che entra ed esce
3. Lascia scorrere i pensieri senza
giudicarli, come nuvole nel cielo
4. Ripeti un’affermazione positiva, come “Io
sono completo in me stesso”
5. Dedica 5-10 minuti al giorno a questa
pratica
Con il tempo, la
meditazione aiuta a creare una distanza tra sé stessi e il bisogno compulsivo
dell’altro, permettendo di riscoprire la propria forza interiore.
Scrittura
terapeutica: dare voce alle emozioni
Oltre alla
meditazione, la scrittura è un altro strumento potente per guarire dalla
dipendenza affettiva. Spesso, chi vive questa condizione ha difficoltà a
esprimere ciò che sente, reprimendo emozioni e bisogni. Scrivere permette di
portare alla luce pensieri nascosti e rielaborare le proprie esperienze in modo
costruttivo.
Esercizi di
scrittura per liberarsi dalla dipendenza affettiva
1. Diario emotivo – Scrivi ogni giorno
ciò che provi senza filtri. Ti aiuterà a riconoscere i tuoi schemi emotivi e a
distaccarti da pensieri ricorrenti.
2. Lettere non spedite – Scrivi una
lettera alla persona da cui dipendi emotivamente. Esprimi tutto ciò che senti,
poi strappala o bruciala come gesto simbolico di rilascio.
3. Lista del mio valore – Elenca almeno
10 qualità positive su di te. La dipendenza affettiva spesso nasce da una bassa
autostima, quindi questo esercizio aiuta a rafforzare la propria identità.
4. Visualizzazione del futuro libero –
Scrivi una pagina descrivendo la tua vita senza dipendenza affettiva: come ti
senti? Cosa fai? Chi sei? Questo ti aiuterà a immaginare un nuovo percorso per
te.
Scrivere in modo
costante permette di prendere consapevolezza delle proprie emozioni e di
trasformarle in crescita personale.
Conclusione: il
percorso verso la libertà emotiva
Liberarsi dalla
dipendenza affettiva non significa smettere di amare, ma imparare ad amare
in modo sano, senza perdere se stessi nell’altro. Meditazione e scrittura sono
due strumenti preziosi per riscoprire il proprio valore e costruire relazioni più
equilibrate.
Il primo passo?
Iniziare a dedicare tempo a te stesso, anche solo pochi minuti al giorno, per
ascoltare e comprendere ciò che provi. La libertà emotiva non è un sogno
irraggiungibile, ma una scelta che puoi fare, un giorno alla volta. Claudia
Bassanelli, CdI on 3
“Click day” e Decreto Flussi, il documento del Tavolo asilo e immigrazione
al governo
Il Tavolo Asilo e
Immigrazione ha inviato un documento sul Decreto flussi alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri con osservazioni e proposte frutto delle istanze degli
enti del Terzo settore che operano nel settore dell’immigrazione,
dell’accoglienza delle persone migranti e del contrasto alla tratta di esseri
umani.
Il documento
sottolinea l’ormai anacronistico meccanismo di programmazione dei flussi in
entrata e di allocazione delle quote di ingresso annuali, sempre più
insufficienti per le reali esigenze di chi vuole fare ingresso in Italia per
lavorare e chi ha necessità di assumere manodopera straniera.
In particolare, lo
strumento del click day, come si è visto già in occasione di quello del 5
febbraio, il primo del 2025 – in quattro minuti sono state raggiunte le 25 mila
quote previste dal decreto -, rischia di essere una vera e propria lotteria ed
esclude, formalmente, chi si trova già in Italia.
Le organizzazioni
riunite nel chiedono, in particolare:
1. La possibilità di assumere direttamente
lavoratori/lavoratrici in qualsiasi momento, al di fuori del sistema quote e
senza limitazioni per nazionalità o settori produttivi;
2. la creazione di nuovi canali di ingresso
per lavoro: sponsorship e ricerca lavoro;
3. l’introduzione di una clausola di
salvaguardia che dia diritto ad avere un permesso di soggiorno per attesa
occupazione nell’ipotesi in cui, per cause non imputabili a
lavoratori/lavoratrici, dopo l’ingresso in Italia non si formalizzi il rapporto
di lavoro;
4. la possibilità di assumere
lavoratori/lavoratrici già in Italia pur in condizione di soggiorno irregolare,
attraverso misure di regolarizzazione su base individuale – non afferenti alla
domanda di protezione internazionale – in presenza di un’offerta di lavoro
regolare o di radicamento sul territorio nazionale;
5. lo snellimento della procedura di ingresso
e rilascio del permesso di soggiorno e il potenziamento dell’organico della
Pubblica amministrazione interessata a tali procedure;
6. la possibilità di convertire tutti i
permessi di soggiorno in permessi per lavoro.
Leggi il documento
integrale del Tavolo Asilo e Immigrazione https://www.migrantesonline.it/wp-content/uploads/2025/02/TAI-Osservazioni-decreto-flussi.docx-1.pdf. migr.on 8
Rapporto sulle nascite in Italia, i dati del 2023
ROMA – Il 90,1%
dei parti nel 2023 è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati,
circa il 20,1% delle madri sono di cittadinanza non italiana, l’età media della
madre è di 33,2 anni per le italiane mentre scende a 31,2 anni per le cittadine
straniere. È quanto risulta dal Rapporto sull’evento nascita in Italia,
realizzato dall’Ufficio di Statistica del Ministero della Salute. Nel Rapporto
sono presentate le analisi dei dati rilevati dal flusso informativo del
Certificato di Assistenza al Parto (CEDAP) dell’anno 2023. La rilevazione –
istituita dal Decreto del Ministro della sanità 349/2001 – costituisce a
livello nazionale la più ricca fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche
e socio-demografiche relative all’evento nascita e rappresenta uno strumento
essenziale per la programmazione sanitaria nazionale e regionale, con un
livello di copertura pressoché totale. Il 90,1% dei parti nel 2023 è avvenuto
negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 9,8% nelle case di cura e
solo lo 0,13% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc.). Il
61,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno1.000 parti annui.
Nel 2023, circa il 20,1% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non
italiana. Le aree geografiche di provenienza più rappresentate, sono quella
dell’Africa (29,6%) e dell’Unione Europea (17,9%). Le madri di origine Asiatica
e Sud Americana costituiscono rispettivamente il 21,0% e l’8,3% delle madri
straniere. L’età media della madre è di 33,2 anni per le italiane mentre scende
a 31,2 anni per le cittadine straniere. Delle donne che hanno partorito
nell’anno 2023 il 42,4% ha una scolarità medio alta, il 22,0% medio bassa ed il
35,6% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità
medio bassa (41,2%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il
60,1% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 23,7% sono casalinghe e il
14,2% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione
professionale delle straniere che hanno partorito nel 2023 è per il 50,1%
quella di casalinga a fronte del 67,9% delle donne italiane che hanno invece
un’occupazione lavorativa. Nel 92,9% delle gravidanze il numero di visite
ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 76,7% delle gravidanze si
effettuano più di 3 ecografie. Nell’ambito delle tecniche diagnostiche
prenatali invasive sono state effettuate in media 2,0 amniocentesi ogni 100
parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del
liquido amniotico è stato effettuato nel 5,17% dei casi denotando un trend
decrescente nell’ultimo triennio. La donna ha accanto a sé al momento del parto
(esclusi i cesarei) nel 94,84% dei casi il padre del bambino, nel 4,26% un
familiare e nello 0,90% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona
di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area
geografica. Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via
chirurgica. In media, nel 2023 il 30,3% dei parti è avvenuto con taglio cesareo,
con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è
un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. I dati
denotano comunque una tendenza alla diminuzione in linea con le indicazioni
delle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità,
della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel
percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”. Lo 0,9% dei nati
ha un peso inferiore a 1.500 grammi e il 6,1% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei
test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il
98,5% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra
7 e 10. Sono stati rilevati 919 nati morti corrispondenti ad un tasso di
natimortalità, pari a 2,40 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 4.507 casi
di malformazioni diagnosticate alla nascita. Il ricorso a una tecnica di
procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media in 3,9
gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro
con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo
di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).
(Inform 7)
Da quel fatidico
11 settembre 2001, il mondo ha imparato a fare i conti con la minaccia
persistente del terrorismo. Un fenomeno di certo non nuovo, ma che negli ultimi
vent’anni ha assunto caratteristiche di autentica minaccia sistemica alla
sicurezza internazionale. Prima al-Qaeda, con la sua struttura verticistica e i
suoi santuari in Asia Centrale. Dopo la sua decapitazione – con l’uccisione di
Osama Bin Laden nel rifugio di Abbottabad, in Pakistan – sono nate diverse
cellule locali affiliate nel Maghreb islamico, nella Penisola arabica, in Iraq
e gli Shabaab somali, emerse come punti di una rete che ha trovato conveniente
assumere il “brand” di al-Qaeda e la missione di costruire piccoli califfati
nell’area che va dal Marocco all’Asia Centrale. Una delle caratteristiche
essenziali di tutte le organizzazioni terroristiche è l’imprevedibilità. Queste
organizzazioni si muovono per gruppi e agiscono di sorpresa, rendendo sterile,
se non impossibile, la capacità di deterrenza. Per questo le strade delle nostre
città e di quelle mediorientali hanno spesso dovuto fare i conti con attacchi
terroristici devastanti. Si colpisce di sorpresa, dove è più doloroso e meno
probabile.
Il tentativo
dell’ISIS di costruire un Califfato
Qualcosa però di
recente è cambiato. Con la comparsa sulla scena del Da’esh (o Stato Islamico –
ISIS), assistiamo per la prima volta nella storia al tentativo di
un’organizzazione terroristica di “farsi Stato”, di dotarsi di una dimensione
territoriale e di una giurisdizione, dunque di una forma diversa rispetto alla
sua tipica organizzazione orizzontale. E prova a farlo laddove la geografia di
altri Stati pre-esistenti, in particolare tra Siria e Iraq, stava collassando,
aprendo spazi enormi per la conquista. Da’esh è stato un caso unico ed
emblematico: un coacervo di ex combattenti e reduci di al-Qaeda, militanti
salafiti giunti da ogni parte del Medio Oriente, piccoli gruppi armati di
ispirazione sunnita ed ex militari iracheni vicini a Saddam Hussein, uniti dal
progetto di ricostruire un Califfato. Quando il sedicente Califfo e guida dello
Stato Islamico, al-Baghdadi, pronuncia il suo celebre sermone nella moschea di
Mosul, utilizza espressioni chiare: la missione del Da’esh è “distruggere gli
apostati sciiti, terrorizzare l’Occidente e ricostruire il Califfato”. Da
quella moschea, al-Baghdadi sale poi su un pick-up per dirigersi verso il luogo
in cui, in precedenza, una linea nella sabbia e un po’ di filo spinato
dividevano l’Iraq dalla Siria. Da quel luogo simbolico, il Califfo chiama a
raccolta i combattenti da ogni parte del mondo, chiedendo loro di raggiungere
la battaglia e di dar vita a un nuovo Stato. Saranno molti i combattenti
stranieri che aderiranno a quell’appello, partiti anche dall’Occidente e
dall’Italia.
Il grido più forte
di Da’esh
Mentre l’ISIS
prova a superare la sua natura di organizzazione terroristica e a farsi Stato,
l’Occidente e l’Europa tornano preda di attacchi violentissimi ai propri
cittadini e ai propri simboli. Monaco di Baviera, Barcellona, Parigi,
Strasburgo, Londra, Nizza diventano il proscenio per una lotta interna alla
galassia delle organizzazioni integraliste. È il modo che il Da’esh sperimenta
per gridare più forte e attrarre più finanziamenti e manodopera. Il tentativo
di riportare in vita il Califfato dalle ceneri di Stati di carta però fallisce.
Complici le diatribe interne e l’uccisione di al-Baghdadi, Da’esh scompare
nella sua forma più organizzata e preoccupante. Non i suoi vertici, né i suoi
miliziani, che tornano alla lotta in una dimensione più locale, impegnati a
scalare posizioni negli spazi delle guerre civili e di secessione che,
improvvidamente, abbiamo chiamato “Primavere arabe”. In Siria e il Libia in
particolare, dove tribù e fazioni armate si scontrano da più di dieci anni per
il controllo di porzioni di territorio. Bashar al-Assad, il Presidente siriano
erede di una dinastia che governa da oltre cinquant’anni il Paese, lo aveva
compreso prima di altri. Il suo obiettivo non era riconquistare il controllo
dell’intero paese, ma blindare la sua permanenza e quella del suo clan alawita
in una striscia di territorio che dalla capitale Damasco arriva fino alla città
costiera di Latakia, nel nord. Una sorta di “Alawitistan”, un protettorato di
Iran e Russia nel cuore del Medio Oriente. È attorno a questo disegno che si è
costruita la narrativa di una mezzaluna sciita che da Teheran poteva
raggiungere Damasco e il sud del Libano, trovando, ovviamente, l’opposizione
dei Paesi e delle forze sunnite della regione, inclusi i movimenti di
ispirazione integralista e le organizzazioni terroristiche figlie del Da’esh.
Jabat-al Nusra è una di queste fazioni, forse la più importante e la meglio
organizzata in Siria. Ha articolazioni in Libano e in Iraq e un canale di
comunicazione diretto con la Turchia di Erdogan. La sua matrice integralista
rende il movimento aggressivo e spietato, come in occasione del mai troppo
ricordato massacro di Maaloula, la città cristiana costruita nella roccia,
teatro di un autentico pogrom.
La Siria di
al-Jolani, dal terrorismo al potere
Il capo di
al-Nusra è al-Jolani, un curriculum criminale lungo. Prima in al-Qaeda come
luogotenente locale, poi nei ranghi di Da’esh, da dove esce in polemica
addirittura con il Califfo al- Baghdadi; infine, fondatore del movimento Hayat
Tharir al-Sham (HTS), che abbandona qualsiasi velleità di rivoluzione globale
per occuparsi soltanto di Siria. Il compito di al-Jolani è soprattutto quello
di cercare sponsor per tenere in piedi una struttura non troppo corposa ma ben
addestrata. È il Presidente turco Erdogan a immaginare che quel gruppo, più di
altri, possa avere un ruolo nel contenere le ambizioni dei Curdi che operano da
anni nell’est della Siria con una propria milizia. Al-Jolani accetta volentieri
il sostegno di Ankara e rassicura Erdogan sul futuro. Prima, però, dovrà occuparsi
di arrivare a Damasco, cancellare i simboli del potere, magari catturare il
dittatore. Il tutto richiederà appena dieci giorni, un tempo sorprendente e
impensabile perfino in Turchia. Così la Siria passa da più di mezzo secolo di
dittatura a un governo di transizione formalmente gestito da un’organizzazione
terroristica, segnalata nella lista delle sanzioni internazionali e americane.
Da quel tragico 11 settembre, lo scopo principale della politica estera
americana in Medio Oriente è impedire la costruzione di santuari e luoghi
sicuri per i terroristi. Il pericolo di una nuova piattaforma per
organizzazioni come al-Qaeda, decapitata ma mai distrutta, o il Da’esh, che non
potrà più costruire uno stato islamico ma che conta ancora diversi affiliati, è
reale. Al ruolo delle diplomazie e degli apparati di sicurezza il compito di
scongiurare questo rischio. Il terrorismo è un fenomeno antico quanto
l’uomo. Mutano le sue forme e i protagonisti. Ma soprattutto evolve e si affina
la sua capacità di riempire spazi lasciati vuoti da Stati, Governi, forze
armate e società civile. In Medio Oriente, ora che è iniziata la più poderosa
scomposizione geografica e di interessi della storia contemporanea, di vuoti ce
ne sono già parecchi. Gianluca Ansalone, AffInt 11
Analisi controcorrente. Riflessioni sulla fine della pazzia e della Terza
Guerra Mondiale
Un noto proverbio
ci ricorda che "ne uccide più la lingua che la spada" e questo pur
essendo indiscutibile costituirà un grosso problema per gli storici in
futuro, che dovranno spiegare come sia stato possibile minchionare un intero
continente (Europa) spingendolo in una guerra col rischio dell’annientamento
nucleare unicamente usando la censura – asservendo media e stampa ridotte a
luridi ed obbedienti striscianti servi - e appunto la cancellazione coatta di
una lingua – quella in cui sono stati scritte le opere che primeggiano nella
letteratura europea, cioè il russo.
La miope e falsa
narrazione ovvero l' opinione dominante inculcata nei cittadini in clima di
censura in Occidente e segnatamente in Europa racconta che il Presidente russo,
che fino ad allora aveva sonnecchiato e non si era accorto di essere stato
accerchiato dalla NATO, un giorno del febbraio 2022 avrebbe deciso di invadere
l'Ucraina.
La NATO, alleanza
militare spacciata per difensiva ma invece la più aggressiva della storia,
aggredì la Serbia nel 1999, l'Irak nel 1992 e nel 2003, l'Afganistan, la Libia,
la Siria e ora sotto nemmeno tanto mentite spoglie la Federazione Russa usando
i malcapitati ucraini come carne da cannone.
Secondo la falsa
ed ipocrita narrativa occidentale/uccidentale, i governanti russi sarebbero
stati tanto fiduciosi nella lealtà e nel rispetto dei patti da parte degli USA
(la NATO non si avvicinerà di un pollice ai confini russi) da non
supporre o ignorare che invece la NATO li stava circondando.
Certo le cose non
andarono così, infatti fin da subito l'attuale Presidente russo aveva capito
l'inganno, ben sapendo con che razza di mentitori per tradizione e
professione aveva a che fare. Per quelli come lui che (a differenza di
Gorbaciev) la storia la conoscono bene, fidarsi delle promesse statunitensi è
ingenuità assoluta. E documentatamene: non era ancora finita la seconda
guerra mondiale che, morto Roosewelt, il nuovo presidente Truman
aveva subito ignorato tutti i patti stabiliti con Stalin dando inizio a
quella che poi fu chiamata “Guerra Fredda”.
Dal 1945 in poi si
fatica a contare tutti i Paesi (circa una ventina) aggrediti dagli USA,
con pretesti dimostratisi completamente falsi o destabilizzati con colpi
di Stato di matrice statunitense (Corea, Vietnam, fino a Irak, Libia e Siria).
Giustamente ed
intelligentemente Putin aveva diffidato da queste provocazioni offrendo
contestualmente cooperazione e trattative di pace e disarmo, il suo discorso a
Monaco nel 2007 era cristallino: se si vuole la pace in Europa e nel mondo
nessuno può rafforzare la propria sicurezza a scapito di quella altrui,
cioè non si può estendere un’alleanza militare ai confini di un’altra nazione a
meno che non vi sia l’intenzione di dominarla o ricattarla.
Non credo che
allora si ripromettesse un qualche effetto delle sue proposte visto il branco
di ignavi e striscianti vassalli USA che lo ascoltavano, ma il tentativo almeno
lo fece.
Ma il discorso
cadde nel vuoto: nel vuoto delle teste dei vassalli europei che da bravi
cagnolini addestrati erano come lo sono tuttora pronti a correre a
comando cambiando direzione ad ogni schiocco di frusta del domatore
statunitense di turno.
Nonostante da nord
ed ovest la NATO già avesse - in vergognoso dispregio della parola data -
inglobato una ventina di Paesi dell'ex Patto di Varsavia, la pazienza
russa non era finita: unica linea da non oltrepassare erano state dichiarate l'
Ucraina e la Georgia.
Appunto per questo
gli sforzi NATO quale forza di occupazione USA in Europa, si erano
concentrati sulla destabilizzazione e successivo asservimento di ambedue questi
Paesi, cercando di raggiungere l’obiettivo con ogni sorta di provocazioni e con
l’infiltrazione di organizzazioni sedicenti "non statali" ONG come la
appena chiusa USAid (ma con ogni evidenza foraggiate al 100% da USA e fondi di
investimento - Soros docet).
Ricordo di aver
avuto in margine ad una conferenza a Praga un illuminante colloquio proprio
nell'ottobre 2014 con un responsabile di una ONG attiva in Ucraina. Gli avevo
posto la semplice domanda: come si poteva giustificare democraticamente la
legge approvata dal parlamento ucraino che vietava l'uso della lingua russa,
una misura notoriamente di stampo nazifascista con poco nobili precedenti: il
dittatore Franco in Spagna aveva vietato lingua basca e catalano, Mussolini il
francese e le altre lingue al di fuori dell'italiano, Hitler aveva vietato il
sorbo nelle regioni in cui era lingua dominante. La risposta del
responsabile dell'ONG evidentemente invitato ala conferenza a spese di Soros
&C. era stata illuminante: l'Ucraina deve staccarsi del tutto dalla Russia
e divenire nazione europea, entrare nell'UE e nella NATO per garantire
progresso e benessere a tutti i cittadini.
Provai a far
notare che la presenza di più lingue non impedisce ad una nazione di progredire
e citai la Svizzera con quattro lingue, la Spagna, il Canada con due o più
lingue di pari dignità di diritto e di fatto e non ultimo l'Italia, dove in
alcune regioni le lingue locali hanno il medesimo diritto di quella nazionale,
compreso nelle scuole ed università.
Alla fine il mio
interlocutore mi confessò che erano l'UE e gli USA a volere il
"potenziamento" della lingua ucraina per "riunificare il
Paese" . Infatti aveva cominciato subito a studiare meglio l'ucraino anche
quello che poi dopo Por.oshenko divenne (ed è l'attuale - benchè non rieletto)
presidente, appunto di lingua madre russa.
Notoriamente, come
puntualmente avvenuto in Ucraina ed altrove, le false ONG agivano anche qui
nell’ interesse statunitense a sfruttare le risorse dell'ex-Unione Sovietica.
Una volta completato l'accerchiamento la Russia sarebbe divenuta facile preda
poiché minacciata dai missili della NATO a pochi
minuti di volo in direzione di Mosca.
Una minaccia che
divenne grave dopo il colpo di stato a Kiev nel 2014: nella guerra civile che
immediatamente seguì la proclamazione del vassallaggio ucraino agli USA,
la Federazione Russa non poteva abbandonare al proprio destino gli insorti
russofoni della Crimea e del Donbass immediatamente aggrediti dall’esercito di
Kiev, laddove i soldati subito fraternizzarono con gli insorti e furono
necessarie ulteriori campagne e bombardamenti sulla popolazione civile per
cercare di sedare la giustificata rivolta ed infine non rimase altra
alternativa che inviare i neonazisti del battaglione Azov e simili altre bande
criminali al posto dei soldati di leva che disertavano o fraternizzavano con
gli insorti.
Notabene, la
Crimea era già divenuta il 20 febbrio 1991 repubblica autonoma all’interno
della ancora esistente Unione Sovietica per effetto del referendum indetto da
Gorbaciov per correggere il colpo di mano col quale il dittatore Krusciov
per motivi di interesse personale (che condussero alla sua meritata
destituzione) aveva “regalato” la Crimea all’Ucraina.
Un tentativo di
pace per mettere fine ai bombardamenti ucronazisti delle popolazioni civili nel
Donbass fu fatto con gli accordi di Minsk (I e II) con cui le regioni russofone
del Donbass sarebbero rimaste all’interno della repubblica ucraina ma con un’ampia
autonomia e soprattutto col diritto di mantenere la propria lingua, il russo,
che poi era sempre stata la lingua parlata da tutti gli ucraini fino ad oggi
(anche se col divieto imposto dagli ucronazisti di Kiev, gli ucraini che
possono parlare senza timore di rappresaglie il russo sono soltanto quelli
emigrati (in Europa ma anche a milioni in Russia).
Come confessarono
pubblicamente vantandosene, i complici della tragedia ucraina (Merkel, Hollande
che si erano falsamente dichiarati garanti dell'accordo) gli accordi erano
stati firmati con l'intenzione unica di guadagnar tempo per preparare la
guerra, che dunque fin dal 2014 era nel programma degli USA, e per i cui
interessi di citati vassalli avevano ipocritamente firmato.
Ma come seminare
ulteriore discordia e provocare così l’intervento russo ?
I falchi
statunitensi sapevano che non a caso Hitler aveva iniziato l’operazione”
Barbarossa” (cioè la guerra di conquista e sterminio del popolo russo) proprio
dall’Ucraina, dove nel 1942i simpatizzanti col nazifascismo altro non
attendevano ed infatti si erano uniti gioiosamente alle criminali truppe SS
partecipando al massacro di cittadini sovietici, polacchi ed ebrei. Da allora
in una parte dell’Ucraina continua ad esistere un cospicuo movimento di
neonazisti, infatti non a caso Stepan Bandiera (un collaboratore hitleriano e
criminale di guerra) era stato promosso a eroe nazionale ucraino, ed il suo
busto ha sostituito le statue prima dedicate a Lenin (vero fondatore
dell’Ucraina moderna).
E dunque un
facilissimo “divide et impera” con la variante ”etrusca” (lingua che infatti
scomparve del tutto ad opera dei romani quando essi occuparono militarmente
quelle regioni): bastava cancellare la lingua russa e con essa anche la
religione ortodossa del patriarcato di Mosca per costringere la Federazione
Russa ad intervenire.
Gustoso quanto
venne poi a galla a proposito della religione: gli USA avevano promesso una
somma ingente ad un venale patriarca che doveva fondare una chiesa ortodossa
alternativa e nemica di quella di Mosca. Il pagamento doveva avvenire tramite
l’oligarco-presidente Por.oshenko, il quale però si trattenne una cospicua
parte della somma: le proteste del venale patriarca finirono di pubblico
dominio. Di qui sappiamo che a pagare erano appunto gli USA.
Colpisci lingua e
tradizioni di un popolo e ti garantirai una guerra civile senza esclusione di
colpi, e dunque ancora una volta si conferma "ne uccide più la lingua che
la spada" : finora gli osservatori internazionali stimano in un milione i soldati
ucraini e russi caduti in questa guerra per procura pianificata e
provocata dagli USA. Per non contare i numerosi mercenari NATO e di altre
nazionalità, per i quali si fatica a provare pietà visto che il loro mestiere è
uccidere a pagamento.
Come può
continuare o meglio finire la tragedia in corso ?
Continuare fino
alla "vittoria ucraina" è l'illusione folle purtroppo condivisa da
gran parte dei governanti e ministri della guerra e degli esteri europei:
brilla fra di loro per ridicola tonteria un'oca starnazzante di una delle
nazioni europee che aveva una classe diplomatica invidiata per competenza dal
resto del mondo, dove ora tutti si chiedono come sia ancora tollerabile
una persona di tale incompetenza in una posizione di alta responsabilità.
E non è una giustificazione accettabile dire che la si tiene in quella
posiizione perché di pari livello con gli altri ministri in quanto ad
incompetenza.
Per mettere fine
alla tragedia in corso il nuovo presidente statunitense avrebbe un’ occasione
storica probabilmente irripetibile con cui potrebbe far dimenticare le altre
corbellerie compiute: svuotare e ripulire le moderne “stalle di Augia”, cioè
l’apparato statunitense che dal 1945 in poi altro non ha fatto che spingere il
mondo verso l’olocausto atomico, per miopi e folli pretese di dominio mondiale,
e iniziare una politica di ritorno al rispetto reciproco ed alla pace fra le
nazioni.
Non abbiamo certo
alcun affidabile motivo per credere a questa eventualità: nemmeno col nuovo
presidente USA, ma è anche l’unica che ci permette di guardare avanti con un
po’ di fiducia nell’avvenire.
Ma se la pulizia
delle stalle del potere corrotto iniziasse negli USA, compito dei cittadini
liberi in Europa sarebbe di fare urgentemente altrettanto in casa propria. Un
compito altrettanto arduo ma indispensabile: e il primo passo dovrebbe essere
la liquidazione dell’UE nella sua attuale forma ipocrita e corrotta che
rappresenta una caricatura immonda della vera democrazia.
E per questo
basterebbe lasciar lavorare i giudici per colpire e punire la corruzione in
quella cupola di stampo mafioso: a cominciare dal vertice. E non si tratta
soltanto delle buste di plastica piene di centinaia di migliaia di euro trovate
nelle abitazioni di alti rappresentanti dell'UE: la vera corruzione è
ancora tutta da scoprire anche se (ad es. contratti segreti con ditte
farmaceutiche) fin troppo evidente.
(Graziano Priotto,
Konstanz) dip 12
Il tempo è
galantuomo. Gli eventi, nazionali e internazionali, l’hanno sempre dimostrato
e, nei nostri oltre sessant’anni d’attività pubblicistica, ci abbiamo fatto
conto.
L’attuale situazione nel Vecchio Continente ha
evidenziato ciò che temevamo. L’Europa è un continente geografico unito, ma
politicamente ha delle differenze comportamentali che l’UE aveva tentato di
disciplinare ma che, invece, sono tutte emerse in modo palese.
Le differenze, che prima erano secondarie, ora
si sono fatte decisive e l’Italia, che è uno degli anelli debole dell’Europa
Stellata, ne risente, maggiormente, le conseguenze. Circa la politica
nazionale, dovremo essere pronti a fare delle proposte alternative favorendo un
programma nato con l’emergenza sanitaria, ma valido anche a pandemia risolta.
L’Italia riprenderà la sua coscienza non più
influenzata dalle posizioni politiche di chi ha gestito gli ultimi anni
politici di questo Paese. Essere propositivo sarà la nuova meta che gli
italiani saranno in grado di gestire. Meglio dimenticare i “campanilismi”
politici e rivedere il panorama nazionale con un’ottica non più inquinata da
alleanze fittizie che hanno dimostrato, proprio quando ci sarebbe voluta
maggiore coesione, la loro inefficacia. Questo Governo dovrebbe presentare il
mutamento.
Una nuova presa di coscienza e una più
coerente gestione del potere saranno le “terapie” migliori per uscire anche dal
marasma politico di quest’ultimo quinquennio. Lo avremmo dovuto capire da
qualche tempo. Ora sembra che la lezione sia servita. Giorgio Brignola,
de.it.press
L’Europa di Giorgia Meloni: tra pragmatismo e spinte identitarie
I rapporti tra
Roma e Bruxelles nel 2024 sono stati caratterizzati da una costante
negoziazione di carattere prettamente politico, alla ricerca di reciproche
concessioni. La narrativa e l’azione del governo Meloni sono state improntate a
un dialogo pragmatico e a una collaborazione condizionata, offrendo sostegno
alle iniziative europee, ma reclamando al contempo un ruolo di primo piano per
l’Italia nella definizione delle politiche comuni.
Le dimensioni
principali attraverso cui si è articolato l’approccio alla politica europea del
governo sono state la cautela sulle questioni economiche e di bilancio,
l’adesione ferma alla politica europea di sostegno all’Ucraina contro
l’aggressione di Mosca, e il protagonismo nella ridefinizione delle politiche
in materia di migrazione e asilo.
Fin dall’inizio
del suo mandato, Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia e delle Finanze
Giancarlo Giorgetti hanno improntato la politica economica dell’Italia alla
prudenza, in sostanziale continuità con quanto fatto dal precedente governo
Draghi. Del resto, la necessità di mantenere rapporti costruttivi con Bruxelles
è un imperativo per un Paese con alti livelli di indebitamento come l’Italia,
soprattutto nella delicata fase di realizzazione del Piano nazionale di ripresa
e resilienza (Pnrr) finanziato dal NextGenerationEU. Tuttavia, si sono
registrate alcune prese di posizione eterogenee rispetto al consenso europeo
che trovano spiegazione in un approccio ideologico a beneficio di dinamiche
politiche nazionali, a partire dalla mancata ratifica dell’Italia della
proposta di riforma del Meccanismo europeo di stabilità a dicembre 2023.
Politica estera:
dall’Ucraina ai Balcani
Per quanto
riguarda il conflitto russo-ucraino, il governo italiano si è schierato fin
dagli inizi al fianco di Kyiv nella risposta all’aggressione di Mosca, aderendo
alla posizione europea e partecipando a tutte le iniziative di sostegno al
governo ucraino. Nel corso del 2024, l’impegno italiano si è focalizzato anche
sulla ricostruzione dell’Ucraina, sia attraverso lo Strumento per l’Ucraina sia
attraverso aiuti bilaterali. L’Italia, tra l’altro, ospiterà la prossima
edizione della conferenza, che si terrà a Roma nel luglio del 2025.
Sulle politiche
migratorie la premier italiana è riuscita a costruire un rapporto di
collaborazione in particolare con la presidente von der Leyen, facilitata dalla
progressiva focalizzazione dell’azione europea sugli aspetti securitari e sulla
gestione esterna del fenomeno, a scapito degli aspetti più legati
all’integrazione e alla redistribuzione interna dei migranti. Questo approccio
si è concretizzato in una serie di accordi sulle migrazioni con Paesi terzi, ma
anche nel protocollo bilaterale, che ha suscitato notevole attenzione a livello
UE, tra Italia e Albania in materia migratoria. Il via libera del governo
italiano al nuovo Patto dell’UE sulla migrazione e l’asilo, adottato dal
Consiglio dell’UE a maggio, è stato un ulteriore messaggio di collaborazione
costruttiva inviato alle istituzioni europee da Giorgia Meloni.
Le sfide politiche
europee e il futuro delle relazioni
L’Italia è stata
tra i principali promotori della politica di allargamento dell’UE, in
particolare verso i Balcani occidentali. In linea con questa posizione,
l’Italia è stata tra i Paesi che più hanno spinto per l’apertura dei negoziati
di adesione con la Bosnia-Erzegovina nel Consiglio europeo di marzo 2024, e ha
sostenuto la Presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’UE nel secondo
semestre 2024 per l’apertura dei negoziati di adesione con l’Albania.
La campagna
elettorale italiana per il rinnovo del Parlamento europeo ha visto le
principali forze di governo scendere in campo con messaggi politici differenti,
addirittura antitetici, anche in ragione della loro appartenenza a famiglie
politiche diverse a Strasburgo. I diversi approcci tra i partiti di governo
italiani emersi durante la campagna per le elezioni del Parlamento europeo
hanno quindi generato tensioni nel processo di nomina della nuova leadership
dell’UE. Nonostante il rafforzamento elettorale di Fratelli d’Italia (che si è
confermato primo partito in Italia con il 28,8 per cento dei consensi) e le
buone relazioni coltivate da Giorgia Meloni con i leader dei partiti
europeisti, il governo italiano ed Ecr si sono rivelati in ultima analisi ininfluenti
per la formazione delle maggioranze politiche al Consiglio e al Parlamento
europeo, funzionali alla scelta della nuova classe dirigente dell’Unione.
In un primo
momento, al Consiglio europeo di fine giugno, Meloni è rimasta esclusa dagli
accordi sulle massime cariche e ha quindi votato contro la nomina di Antonio
Costa a presidente del Consiglio europeo e contro la candidatura di Kaja Kallas
per la carica di Alto rappresentante, astenendosi invece sulla ricandidatura di
von der Leyen a presidente della Commissione. Quest’ultima è arrivata alla
prova del voto in Parlamento sostenuta da una maggioranza centrista, moderata e
pro-europea, formata dal Partito popolare europeo, dai Socialisti e
Democratici, dai Liberali e dai Verdi, che ha totalizzato 401 voti. Dopo
l’annuncio dei risultati Fratelli d’Italia ha dichiarato il proprio voto
contrario — una scelta che è sembrata confinare il partito all’opposizione a
livello europeo, abbandonando in apparenza l’approccio pragmatico in Europa e
il ruolo di ponte tra i conservatori e l’ala più radicale della destra
continentale.
Tuttavia, nella
formazione della nuova Commissione, von der Leyen ha quindi indicato il
candidato italiano e membro di Fratelli d’Italia Raffaele Fitto per uno dei
posti di vicepresidente esecutivo, con portafoglio alla coesione e alle
riforme. L’appoggio di von der Leyen alla nomina di Fitto non è mai venuto
meno, neppure quando attorno a essa si è materializzata l’opposizione di
Socialisti e Democratici, Liberali e Verdi. Sembra dunque che il rapporto
fiduciario tra Giorgia Meloni e la nuova presidente della Commissione von der
Leyen non si sia rotto del tutto, nonostante la posizione ambigua del governo
italiano sulle nuove istituzioni europee.
Nel 2025, il
cambio di amministrazione negli Stati Uniti potrebbe rappresentare un elemento
di grande cambiamento anche per le dinamiche politiche italiane e per le
relazioni del governo con i partner europei. Giorgia Meloni dovrà trovare la
non facile quadra tra il rinnovo di una salda relazione transatlantica, la
tenuta interna della sua maggioranza e l’impegno per il mantenimento dell’unità
europea. Nicoletta Pirozzi, AffInt. 4
Usa. Dazi a Messico, Canada e Cina, le dogane diventano muri alti
Le guerre
commerciali negli anni Duemila sono sempre più armi di geopolitica come si è
visto con il grano in alcuni passaggi della guerra tra Russia e Ucraina. L'uso
di dazi rafforzati è stato subito indicato dal nuovo presidente americano,
Donald Trump, come uno strumento per spingere la produzione e l'occupazione
interna (America First) e come un potente mezzo di pressione per ottenere
altro. Da inizio febbraio sono scattate tasse aggiuntive del 25% per i prodotti
dei confinanti Messico e Canada, per la Cina l'imposizione ulteriore è del 10%
ed entra nel contenzioso tra le due grandi potenze.
Cristoforo Colombo
cercava nuove rotte per favorire il commercio verso l’Asia e i Reali di Spagna
lo finanziarono. Si ritrovò nel 1492 nella sconosciuta e arretrata America, da
quel momento meta di tanti altri navigatori. Tutti più o meno legati ai grandi
movimenti di merci. I flussi commerciali, che hanno causato oppressioni
coloniali e guerre, sono stati comunque un elemento di conoscenza dei popoli:
prodotti agricoli, tessuti, spezie, abitudini e culture. Le guerre commerciali
negli anni Duemila sono sempre più armi di geopolitica come si è visto con il
grano in alcuni passaggi della guerra tra Russia e Ucraina. L’uso di dazi
rafforzati è stato subito indicato dal nuovo presidente americano, Donald
Trump, come uno strumento per spingere la produzione e l’occupazione interna
(America First) e come un potente mezzo di pressione per ottenere altro. Da
inizio febbraio sono scattate tasse aggiuntive del 25% per i prodotti dei
confinanti Messico e Canada, per la Cina l’imposizione ulteriore è del 10% ed
entra nel contenzioso tra le due grandi potenze.
La Vecchia Europa
è in allarme. Per ora non vi sono “punizioni” ma il numero uno della Casa
Bianca ha assicurato che l’appesantimento fiscale sulle merci ci sarà perché
“la Ue ci ha trattati male”. Qualcosa arriverà e probabilmente scatterà nei
primi tre mesi di presidenza. E’ ben esplicito, nel ragionamento di Trump, lo
sfondo non solo economico dei provvedimenti. Non si tratta solo di squilibri
commerciale import/export, o di settore, che “ruberebbero” ricchezza agli
States. Canada e Messico vengono puniti perché non fanno abbastanza per
arginare il flusso di migranti verso i confini Usa. Non si battono, e l’accusa
viene rivolta anche alla Cina, per stroncare il micidiale Fentanyl, un oppioide
sintetico più potente dell’eroina.
Come è evidente i
Paesi colpiti reagiranno “dazio per dazio” e non escludono altre forme di
ritorsione. C’è il rischio che I Governi entrino in una spirale negativa,
oppongano sanzioni e regolamentazione contro i nemici chiudendosi in aree
continentali o piccole alleanze. Una difesa dei confini commerciali che
ridurrebbe di molto la concorrenza internazionale. Trump ha promesso di
contenere l’inflazione ma con un’economia in crescita, e così protetta, non
sarà facile. Canada e Messico – ad esempio – forniscono un terzo del greggio
raffinato negli Usa. Se non sarà più disponibile i prezzi energetici potrebbero
salire.
La nuova
amministrazione punta alla centralità del dollaro nelle attività di scambio
commerciale. I grandi paesi Brics (innanzitutto Brasile, Russia, India, Cina ,
Sudafrica) ipotizzano una valuta antagonista? Trump li ha già avvertiti:
scatterebbero dazi del 100% sulle merci importate. Paolo Zucca, sir 3
L’obiettivo dell’asse Trump-Musk
Un vento di
estrema destra sta soffiando sull’Atlantico. Anche se il balzo della destra
populista in Europa ha preceduto la rielezione di Donald Trump, l’estrema
destra europea è ulteriormente rafforzata dal suo ritorno e dall’ascesa di Elon
Musk come astro nascente della politica. Si spera che la presidenza Trump possa
avere un effetto unificante sull’Europa, ma probabilmente complessivamente avrà
l’effetto opposto.
L’evidente
disprezzo di Trump per il diritto internazionale, i confini sovrani, la Nato e
l’Unione europea ha suscitato una reazione unitaria da parte di Francia,
Germania e Spagna in particolare. Ma in settori come il commercio, la
tecnologia e lo spazio, è molto più probabile che un’Europa più nazionalista,
di fronte a una potenza predatoria come gli Stati Uniti di Trump si frammenti
anziché restare unita. Ed è proprio questo l’obiettivo dell’asse Trump-Musk.
La seconda ondata
di nazional-populismo sta attraversando l’Europa da più di due anni, dopo una
temporanea pausa durante la pandemia e il primo anno di guerra in Ucraina.
Dalla fine del 2022, i partiti di estrema destra sono entrati al governo o
hanno fornito un appoggio esterno in Svezia, Finlandia e Croazia. In Italia,
Giorgia Meloni guida un governo di coalizione di destra, mentre nei Paesi Bassi
il Partito per la Libertà di estrema destra di Geert Wilders è l’azionista di
maggioranza dell’esecutivo tecnico.
Questa tendenza
sembra destinata a rafforzarsi: in Austria il leader di estrema destra Herbert
Kickl è stato incaricato di formare un governo, mentre
in Romania, le
elezioni presidenziali, già annullate nel 2024 a causa di interferenze di massa
via social a sostegno del candidato di estrema destra C?lin Georgescu,
potrebbero comunque far registrare un’altra ondata di consensi per Georgescu.
Anche nella Repubblica Ceca le elezioni riporteranno probabilmente al potere il
partito populista Azione dei cittadini insoddisfatti (Ano) di Andrej Babiš e
persino in Francia, se l’ultimo tentativo di Emmanuel Macron di costituire un
governo stabile guidato da François Bayrou dovesse fallire, l’ascesa al potere
del Rassemblement National di Marine Le Pen potrebbe diventare
inarrestabile.
I partiti di
estrema destra assumono forme diverse in Europa e sono ancora lontani dal
rappresentare una minoranza di blocco nell’Ue. Ma stanno crescendo in forza e
numero, hanno fatto progressi nel coordinarsi tra loro nelle istituzioni
europee e sono sempre più efficaci nell’influenzare il centrodestra, erodendo e
cancellando il ‘cordone sanitario’ che li ha tenuti fuori dal potere per
decenni. Per ora il cordone sanitario in Germania regge, ma qualora l’Afd
dovesse affermarsi come il principale partito di opposizione dopo le elezioni
federali il 23 febbraio, i primi segnali di cedimento potrebbero manifestarsi
anche in Germania. In questo contesto, Trump 2.0 e Musk entrano nella mischia,
senza fare mistero delle loro preferenze politiche in Europa.
E non tutti i
leader europei sono così critici come i tedeschi, i francesi e gli spagnoli:
Orbán e Meloni si sono astenuti dal criticare Trump o Musk, ricevendo in cambio
solo elogi.
L’Europa teme il
secondo governo di Trump
L’Europa è
impaurita dal ritorno di Trump, temendo un ritiro degli Usa dalla sicurezza
europea, a partire dall’Ucraina, una guerra commerciale transatlantica e
l’indebolimento del multilateralismo. La domanda è chi potrebbe essere il
possibile costruttore di ponti attraverso l’Atlantico. La verità è che non ce
n’è uno, o almeno, non c’è nessuno che possa sussurrare all’orecchio di Trump
per assicurarsi che gli interessi europei siano protetti.
Alcuni candidati
sono già squalificati: Orbán, nonostante i legami con Trump, si è emarginato
nell’Ue ed è improbabile che recuperi la sua reputazione; Macron, pur avendo un
rapporto relativamente buono con Trump, è debole sul piano interno; Tusk,
invece, forte in patria e presidente di turno dell’Ue, può vantare una spesa
per la difesa che raggiunge il 4,7% del PIL, ma i rapporti con Trump durante la
sua presidenza al Consiglio europeo erano stati tutt’altro che ottimali.
Per questo molti
guardano a Meloni, che si vanta del suo rapporto con Trump e Musk e non si è
emarginata in Europa come Orbán. Ma Meloni è una nazionalista, non certo
un’Europeista, che userà sempre il proprio capitale politico per promuovere gli
interessi nazionali, prima di quelli europei. Probabilmente cercherà di
attutire i colpi di Washington legati al significativo surplus commerciale
dell’Italia con gli Stati Uniti e alla spesa per la difesa, che non raggiunge
l’1,5% del PIL. E’ probabile che in cambio di eventuali vittorie, Meloni dovrà
fare delle concessioni, e non tutte sono negative per l’Europa. Spendere di più
per la difesa o acquistare più gas naturale liquefatto statunitense, ad
esempio, avrebbe senso sia per l’Italia che per l’Europa. Ma altre mosse
potrebbero essere più problematiche, a partire dal possibile accordo da 1,6
miliardi di euro tra l’Italia e SpaceX di Musk per fornire servizi di
comunicazione alle istituzioni italiane, compresa la difesa, attraverso la
tecnologia Starlink. Sebbene Starlink sia sicuro, affidarsi a un’azienda
straniera di proprietà dell’uomo più ricco della Terra con manifesti interessi
politici comporta enormi rischi per la sicurezza del Paese e dell’Europa. Idem
sul commercio. Se Meloni riuscisse a strappare qualche concessione bilaterale
da Trump, senza che queste si inquadrino in una posizione comune Ue, non solo
l’Italia non rafforzerebbe l’Europa ma contribuirebbe a smembrarla in una delle
competenze sovranazionali dell’Ue.
La paura sta
generando una spasmodica ricerca di qualcuno che possa parlare con Trump in
Europa. Ma tali figure potrebbero rivelarsi inefficaci nel migliore dei casi.
Nel peggiore, anziché agire da testa di ponte dell’Europa a Washington
potrebbero rivelarsi teste di ponte Trumpiane in Europa. Chi sussurra
all’orecchio di Trump è molto più probabile che promuova gli interessi di Trump
in Europa, piuttosto che gli interessi europei negli Stati Uniti. Invece di
preoccuparsi di Trump, l’Europa farebbe meglio a restare unita e a preoccuparsi
di più di se stessa. Nathalie Tocci, AffInt 4
L’Italia è la più amata dai turisti, ma online perde terreno: ecco cosa
manca
L’ETR Index premia
il Belpaese per qualità e popolarità, ma la reputazione digitale non è
all’altezza delle altre big del turismo
L’Italia si
conferma, per il secondo anno consecutivo, la nazione con la migliore
reputazione turistica in Europa, secondo l’European Tourism Reputation Index
(ETR Index) elaborato dall’Istituto Demoskopika. Questo risultato non solo
premia la qualità dell’offerta turistica del Paese, ma sottolinea anche il
forte richiamo che l’Italia esercita a livello internazionale. Con 115,5 punti
complessivi, il Belpaese ottiene il primato in due indicatori chiave: la
ricerca della destinazione e la popolarità della destinazione. Tuttavia, emerge
un’area di miglioramento significativa nel campo della social reputation, dove
l’Italia si colloca solo al quarto posto, segnalando la necessità di una
strategia digitale più incisiva.
L’ETR Index si
basa su un’analisi dettagliata dei flussi turistici europei, considerando dieci
tra le principali destinazioni per numero di arrivi, tra cui Francia, Germania,
Spagna e Grecia. Nel 2023, questi paesi hanno accolto oltre 863 milioni di visitatori,
rappresentando l’84,7% del totale degli arrivi nei 27 stati membri dell’Unione
Europea. L’Italia emerge come leader, grazie alla qualità della sua offerta e
alla notorietà della sua destinazione, ma la classifica mostra una competizione
sempre più serrata con altre nazioni, specialmente sul fronte della promozione
digitale.
Nonostante il
primato, il posizionamento dell’Italia nel rating della social reputation
suggerisce una debolezza strutturale nella gestione dei canali istituzionali
online. Enit e il portale Italia.it, pur rappresentando punti di riferimento
per la promozione turistica, non sono sfruttati con la stessa efficacia di
altri competitor europei come Portogallo, Grecia e Spagna. Questo limite incide
sulla percezione internazionale dell’Italia come destinazione turistica
innovativa e interattiva, evidenziando la necessità di un maggiore investimento
nelle strategie digitali per consolidare il vantaggio competitivo.
Il confronto
europeo
La Grecia si
posiziona al secondo posto nell’ETR Index con 108,4 punti, grazie soprattutto
alla qualità della sua offerta ricettiva, ristorativa e culturale, che le vale
il primo posto in questa categoria. La nazione ellenica eccelle anche nella
gestione della sua presenza online, classificandosi seconda nella social
reputation, con oltre 1,7 milioni di like, iscritti e follower sui canali
ufficiali di promozione turistica. Questo risultato dimostra come un utilizzo
efficace delle piattaforme digitali possa aumentare l’attrattività di una
destinazione, consolidando il posizionamento competitivo nel mercato turistico
globale.
La Spagna, invece,
si classifica terza con 102,8 punti, evidenziando una performance
particolarmente significativa nel volume di ricerca online della destinazione e
nella social reputation. Con oltre 3,3 milioni di like, iscritti e follower, la
Spagna si distingue per una strategia digitale più avanzata rispetto
all’Italia, che le consente di mantenere un forte appeal turistico. Questo
posizionamento dimostra che, oltre alla qualità dell’offerta, la visibilità e
l’interazione con il pubblico attraverso i social media stanno diventando
elementi determinanti per il successo turistico.
Osservando le
tendenze europee, emerge che i paesi con le migliori performance digitali
stanno consolidando la loro reputazione turistica con strategie di
comunicazione mirate, che comprendono campagne promozionali interattive e
l’utilizzo dei dati per personalizzare l’offerta turistica. Questo scenario
rappresenta una sfida per l’Italia, che dovrà potenziare le proprie iniziative
in questo settore per mantenere la leadership e rispondere alle nuove dinamiche
del mercato globale.
Reputazione
Turistica Ue
Le regioni
italiane più attrattive
Sul fronte
nazionale, il Regional Tourism Reputation Index, anch’esso elaborato da
Demoskopika, vede la Toscana primeggiare con 109,6 punti, superando il
Trentino-Alto Adige, che si ferma a 108 punti. La regione toscana si distingue
per l’elevato livello di popolarità e interesse online, oltre che per la
qualità dell’offerta ricettiva e culturale, valutata positivamente da un ampio
numero di visitatori. La Toscana si conferma quindi una destinazione
d’eccellenza, capace di coniugare un patrimonio storico-artistico straordinario
con un’efficace strategia di promozione digitale.
Il Trentino-Alto
Adige, pur cedendo il primo posto, mantiene un’ottima reputazione grazie
all’efficacia della sua promozione turistica e alla qualità dell’offerta
ricettiva. La regione si distingue in particolare per la capacità di attrarre
visitatori attraverso campagne digitali mirate, sfruttando al meglio le
potenzialità dei social media per incrementare l’engagement del pubblico.
Questo approccio le permette di competere con altre destinazioni di rilievo,
consolidando la sua posizione tra le mete turistiche più apprezzate d’Italia.
La Sicilia,
invece, conquista il terzo posto con 104,6 punti, grazie a una combinazione di
fattori che includono l’ampia offerta culturale, la qualità delle strutture
ricettive e l’elevato numero di pagine indicizzate online, segno di un forte
interesse per la destinazione. Il successo della regione dimostra come
l’integrazione tra un patrimonio culturale di grande valore e una promozione
digitale efficace possa risultare determinante per il posizionamento turistico.
Reputazione
Turistica Italia
Toscana al primo
posto
La Toscana si
impone come la regione con la migliore reputazione turistica in Italia,
superando il Trentino-Alto Adige e conquistando il primo posto nel Regional
Tourism Reputation Index. Il successo della regione è dovuto a una serie di
fattori sinergici, tra cui la forte popolarità online della destinazione, la
qualità dell’offerta ricettiva e il consolidamento di una strategia di
promozione efficace. Con un punteggio di 109,6 nel ranking di Demoskopika, la
Toscana si distingue per il livello di apprezzamento ricevuto su piattaforme di
ricerca e social network, nonché per l’ampiezza dell’offerta turistica valutata
positivamente dai visitatori.
La regione conta
quasi 79.000 strutture e attrazioni recensite con elevati standard qualitativi,
un dato che riflette la capacità del territorio di attrarre e soddisfare un
turismo diversificato. L’utilizzo delle nuove tecnologie e della
digitalizzazione gioca un ruolo fondamentale in questo successo. L’agenzia
regionale Toscana Promozione Turistica, insieme alla Fondazione Sistema Toscana
e agli operatori locali, ha saputo sfruttare gli strumenti digitali per
migliorare la comunicazione e rendere più accessibili le informazioni sulle
attrazioni regionali. Questa strategia ha contribuito a mantenere alta la
visibilità della Toscana e a consolidarne la reputazione nel panorama turistico
italiano ed europeo.
L’approccio della
regione non si è limitato alla promozione, ma ha incluso anche interventi
mirati per migliorare l’offerta turistica. Il nuovo Testo unico del turismo ha
permesso una gestione più efficiente delle risorse, favorendo una maggiore
collaborazione tra istituzioni, imprese e associazioni di categoria. Questo
modello integrato ha permesso alla Toscana di rispondere in maniera proattiva
alla domanda di turismo, rafforzando il proprio posizionamento e anticipando le
esigenze dei visitatori.
Sicilia sul podio
La Sicilia
raggiunge il terzo posto nella classifica della reputazione turistica
regionale, scalando posizioni grazie a un aumento significativo
dell’apprezzamento online e a una crescita costante dei flussi turistici. Con
un punteggio di 104,6, l’isola registra risultati straordinari in termini di
popolarità su Google Trends e indicizzazione online, con oltre 845.000 pagine
censite che attestano l’interesse del pubblico nei confronti della
destinazione.
Uno degli elementi
chiave di questo successo è la qualità dell’offerta turistica, che conta quasi
78.000 strutture e attrazioni valutate positivamente dai visitatori. La regione
ha puntato su una strategia di destagionalizzazione, ampliando le proposte turistiche
al di fuori dei periodi di alta stagione e valorizzando l’intero territorio,
dalle città d’arte alle aree meno conosciute. Il governo regionale ha investito
risorse considerevoli nella promozione della destinazione, come dimostra la
partecipazione alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano con un grande
stand di 1.100 metri quadrati, che ha offerto un’esperienza immersiva ai
visitatori e operatori del settore.
L’assessore
regionale al Turismo, Elvira Amata, ha sottolineato l’importanza di una
strategia coordinata che coinvolga tutti gli attori del comparto turistico. La
Sicilia ha adottato un approccio basato sulla valorizzazione delle Destination
Management Organisation (DMO), che hanno giocato un ruolo cruciale nel
raccontare l’identità dell’isola in modo strutturato e mirato. Il successo
ottenuto si traduce in un incremento dell’11,1% delle presenze rispetto alla
media nazionale del 3,7%, un dato che conferma l’efficacia delle iniziative
messe in campo per rendere la Sicilia una destinazione sempre più attrattiva.
Il futuro del
turismo italiano
La centralità
dell’Italia nel panorama turistico europeo non è solo una questione di numeri,
ma anche di strategie e investimenti. Il settore turistico rappresenta un
pilastro dell’economia nazionale, e la sua crescita dipende dalla capacità
delle istituzioni di sviluppare politiche innovative per rafforzare
l’attrattività del Paese.
“L’Italia ancora
regina d’Europa come reputazione turistica. E non a caso la spesa degli
stranieri continua a crescere: novembre 2024 meglio dello stesso periodo
dell’anno precedente. I fatti parlano chiaro: il lavoro, con la squadra del
turismo, ottiene sempre grandi risultati” così il ministro del Turismo, Daniela
Snatanchè, commentando il rapporto di Demoskopika. In un contesto europeo
sempre più competitivo, il futuro del turismo italiano dipenderà dalla capacità
del Paese di adattarsi alle nuove sfide, innovando le strategie di
comunicazione e valorizzando al meglio il proprio inestimabile patrimonio
culturale e naturale. adnkronos 13
Scrivere dei
Connazionali all’estero continua a non fare notizia. I milioni d’italiani nel
mondo hanno sempre meno contatti concreti col Bel Paese. Quasi che gli italiani
in Patria si siano scordati, nel concreto, di quelli che vivono oltre
frontiera.
Se, poi, si tiene
conto che la maggioranza di connazionali all’estero si trova nel Vecchio
Continente, allora la nostra percezione si fa amarezza. Vale a dire che, pur se
tanto geograficamente ”vicini”, molti italiani restano, nel concreto,
“lontani”.
Insomma, per i
Connazionali che vivono ”altrove”, sono più i doveri che la Patria richiede
rispetto ai diritti.
Ogni iniziativa
resta ovattata tra le tante che non trovano giusto assetto tra quelle da
dibattere in Parlamento.
Eppure, non
abbiamo mai scritto di “privilegi”. Ci siamo sempre impegnati nel fare
presente, a chi spetta, lo status degli italiani all’estero. E’ rimasto,
comunque, lo scarso apprezzamento per chi ha dovuto cercare altrove pane e
lavoro. Insomma, per riavere una meritata dignità.
Perciò, prima
d’evidenziare i doveri, sarebbe opportuno supportare anche quei diritti di chi
ha avuto la sorte di vivere e lavorare lontano dal suo Paese. Intendiamo,
quindi, promuovere l’italianità nel mondo. Le ”proroghe” non convincono
nessuno. Tanto meno noi che siamo sul fronte dell’informazione da tanti anni.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Il progetto LEI a Saarbrücken, il grande dizionario etimologico italiano
Il Console Generale
Massimo Darchini: Guardiamo con attenzione ai lavori del Lessico Etimologico
Italiano e dell’italianistica di Saarbrücken. Rinnoviamo i ringraziamenti
all’Università del Saarland
È stato Max
Pfister (1932-2017) il fondatore del dizionario “Lessico Etimologico Italiano”,
in breve LEI, la mastodontica opera scientifica che studia e spiega l’origine,
la storia e lo sviluppo di ogni singola parola italiana e dialettale.
Una volta
consultato il LEI, chiunque voglia sapere qualcosa sul significato e sulle
origini di una qualsiasi parola italiana o dialettale, acquisisce senza
esclusione alcuna tutte le possibili informazioni.
Quest’opera
davvero singolare, per importanza, qualità e dimensioni, è scritta attualmente
in sette centri in Germania e in Italia da più di 200 persone.
Ma il cervello che
la guida, anzi i due cervelli che ne sono a capo, vivono e lavorano a
Saarbrücken.
Il progetto LEI è,
infatti, diretto da Elton Prifti e Wolfgang Schweickard.
Il Prof. Wolfgang
Schweickard
Wolfgang
Schweickard si è formato in filologia romanza presso l’Università di Magonza,
dove ha conseguito il dottorato nel 1985. È uno studioso di lungo corso.
Risale, infatti,
al 1993 la sua nomina a professore di Linguistica romanza all’Università di
Jena, dove ha fondato il “Nuovo Istituto di Filologia Romanza” da lui diretto
fino al 1995. Nel settembre 2001, è tornato all’Università del Saarland in
qualità di professore ordinario di Filologia romanza.
Il Prof.
Schweickard è la memoria storica del progetto LEI, che ormai è realizzato a
cavallo tra due secoli.
Se fosse ancora
vivo il Professor Pfister, lo potremmo incontrare con Schweickard nei
giardinetti pubblici, circondati dai piccioni, a discutere sulla lingua
italiana come Socrate e Platone dialogavano sulle cose della vita.
Non ci crederete
ma a Schweickard piace il calcio ed è autore di un saggio sulla “Cronaca
calcistica”, in cui analizza il linguaggio dei quotidiani sportivi italiani,
edito da Niemeyer, Tübingen 1987.
Il Professor Elton
Prifti
Elton Prifti è
nato in Albania nel 1975 e ha studiato alle Università di Tirana e di Potsdam.
A quest’ultima si è laureato e ha conseguito il dottorato di ricerca.
L’abilitazione di ricerca l’ha invece ottenuta proprio nel Saarland.
Ha insegnato in
mezza Europa, presso l’Università di Vienna, dove ha diretto per tre anni la
Cattedra di Filologia Romanza e precedentemente, per sei anni, all’Università
di Mannheim, come professore di linguistica romanza, all’Università di
Salisburgo, alla Statale di Milano, a quella di Calabria, all’Università per
Stranieri di Siena, all’Università di Potsdam e in altri atenei.
Da tre anni dirige
la Cattedra di Filologia Romanza, con particolare attenzione all’italiano e al
francese, presso l’Università del Saarland.
È accademico della
Crusca, membro dell’Accademia delle Scienze dell’Albania, vicepresidente della
Società di Linguistica Italiana e vincitore, assieme a Schweickard, del Premio
Cesare Pavese 2020. Si occupa di linguistica romanza, di albanologia e balcanologia.
L’italiano, i
dialetti e le lingue parlate in Italia sono al centro della sua attività
scientifica. Prodotto della sua penna è la storia linguistica dell’italiano e
dei dialetti italiani negli Stati Uniti d’America.
Il Prof. Prifti, a
Saarbrücken è una specie di capitano di vascello sul ponte di comando che però
passa buona parte del suo tempo nella sala macchine ad oleare bielle e
registrare punterie.
La sua maggiore
sfida organizzativa, fino ad oggi, è stato il passaggio del LEI da un progetto
genuinamente analogico a uno integralmente digitale, così come l’aumento, di
circa ben dieci volte del numero delle persone coinvolte alla sua redazione,
tra cui molti giovani ricercatori, provenienti da tutte le parti dell’Italia.
Tutto questo
avviene a Saarbrücken che è la Capitale del Saarland, il più piccolo Bundesland
ad eccezione delle Città Stato, ai confini con la Francia e subito vedremo
perché questo particolare geografico è così importante quando si parla della
lingua italiana in questa parte della Germania.
Comunque, chi ha
davanti a sé l’immagine dell’intellettuale stile Giacomo Leopardi piegato sulle
“sudate carte”, dimentichi tutto.
Elton Prifti è
tutta energia e forza ma sempre espresse con garbo e gentilezza.
Nel Saarland, il
francese batte l’italiano 6 a 1
Ed eccoci a quel
particolare geografico, di cui sopra. Quando a metà gennaio, il Console
Generale d’Italia a Francoforte sul Meno, Massimo Darchini, ha visitato per la
seconda volta il Saarland (che con la Renania-Palatinato, l’Assia e la Bassa
Franconia, fa parte della sua circoscrizione consolare su un territorio vasto
come la Svizzera), non ha potuto fare a meno di notare tutti i cartelli
stradali, soprattutto quelli turistici, scritti in due lingue: in tedesco e… in
francese!
Ogni nuovo
arrivato deve sapere: sei praticamente già con un piede in Francia.
La Francia è in
Saarland praticamente e teoricamente onnipresente.
Una presenza che è
parte della politica di pace imposta da tutti i governi federali pienamente
coscienti che francesi e prussiani prima, francesi e tedeschi dopo, proprio qui
nel Saarland se ne sono date di santa ragione.
Per secoli,
sembrava che l’occupazione preferita da tedeschi e francesi fosse quella di
spararsi addosso con tutte le armi a disposizione.
Adenauer e de
Gaulle, e tutti i loro successori, soprattutto Kohl e Mitterand, decisero che
proprio dal Saarland dovesse partire quel segnale di fratellanza bilingue e di
scambio culturale, secondo la strategia: se parlo la lingua del mio vicino di
casa e ne conosco a memoria storia e cultura, più difficilmente mi verrà voglia
di accopparlo.
L’università del
Saarland, dove oggi tra mille difficoltà gli operatori del LEI offrono al mondo
un gigante della letteratura italiana, fu fondata dai francesi e nessuno se lo
scorda.
Nella Sezione di
Romanistica a Saarbrücken, attualmente, tutte le sei cattedre si occupano
anche, o esclusivamente, del francese e solo una, esplicitamente, anche
dell’italiano. È la cattedra di Filologia Romanza, diretta da Prifti.
Nel
tentativo di porre rimedio a questo squilibrio, qualche anno fa la presidenza
dell’Università ha deciso di modificare il profilo della cattedra di
letteratura francese, aggiungendone, nella sua nuova concezione dal 2024, anche
una componente italiana. Un eccellente segnale a favore degli studi italiani
nel Saarland.
Il “Capitano
Prifti” spera che la cattedra, attualmente ancora vacante, sia occupata presto
e di poter potenziare il motore della sua “nave Italia”, assieme ai diversi
colleghi, ma soprattutto con chi avrà onore e onere nel mettersi al timone
dell’importante cattedra di letteratura francese e italiana.
A Saarbrücken
esiste il Ginnasio Franco-tedesco, a Saarbrücken esiste l’università
franco-tedesca, a Saarbrücken si mangia la migliore Baguette della Repubblica
Federale di Germania, ma non si vive di sola Baguette.
Il Console
Generale Massimo Darchini al vicepresidente dell’Università Brodowski: è
imminente l’arrivo della nostra lettrice d’italiano.
Ora torniamo
all’enorme significato politico, oltre quello scientifico, che il LEI, il più
grande dizionario al Mondo, dedicato alla lingua italiana e ai suoi dialetti,
assume nel cuore dell’Europa e in una regione in cui l’amore per la cultura
francese è imposto come un matrimonio d’altri tempi.
I soccorsi agli
operatori della nostra cultura in questa terra, dove l’Italiano ha rischiato
quotidianamente l’isolamento, sono arrivati anche con il Console Generale
Darchini.
Risale al 2014 la
chiusura della cattedra di filologia romanza e letteratura italiana della
Professoressa Kleinert e non fu un caso che, proprio qualche anno prima, era
stato soppresso il consolato italiano di prima classe nel Saarland.
Solo con grandi
sforzi fu salvata la cattedra del Prof. Schweickard con il suo Lessico
etimologico dall’accetta dei tagli tedeschi, copia perfetta della nostra
famigerata spending review.
Il Console
Generale Darchini, con la sua visita a metà gennaio all’Università del
Saarland, ha voluto visibilmente dissipare ogni senso di abbandono italiano che
ormai si era già diffuso in questa regione della Germania.
E Darchini non è
venuto a mani vuote.
Il nostro Console
(nostro nel senso che è il console italiano, italiano come noi) ha annunciato
l’imminente arrivo a Saarbrücken della nuova lettrice d’Italiano, a carico del
nostro Governo, presso la facoltà di romanistica dell’Ateneo saarlandese.
Il diplomatico ha
ricordato che il Tricolore (quello con il rosso alla fine) sventola nuovamente
a Saarbrücken, dove il Consolato Generale è presente con un proprio ufficio nei
locali messi a disposizione dalla Staatszkanzlei, unico esempio di collaborazione
tra MAECI e un Governo regionale a livello europeo e forse mondiale.
L’Italiano nel
Saarland è allora un gigante azzoppato ma in via di guarigione?
Durante l’incontro
con il Vicepresidente dell’università del Saarland Brodowski, subito dopo aver
visto i docenti, i ricercatori, i dottorandi e gli studenti di italianistica,
di cui oltre cento si trovano a Saarbrücken nell’ambito del progetto Erasmus, il
Prof. Prifti ha caldeggiato il rafforzamento dell’insegnamento dell’italiano
presso la facoltà di romanistica e dell’italianistica in generale; uno degli
obiettivi è la realizzazione del corso di laurea di formazione di insegnanti di
italiano alle scuole del Saarland, regione questa con una fortissima presenza
italiana. È stato riferito al Console Darchini che c’è molto interesse da parte
degli studenti.
Prifti ha,
infatti, ricordato che gli studenti aspiranti all’insegnamento dell’italiano,
al momento, devono lasciare il Saarland e cercano di studiarlo altrove.
La richiesta, in
sede ufficiale espressa al vicepresidente dell’Università Brodowski, ha
ottenuto un peso sicuramente maggiore giacché caldeggiata dalla presenza del
nostro Console Generale.
Dopo l’incontro,
Tatiana Bisanti, Massimo Darchini ed Elton Prifti tutti col calendario in mano:
quando ci rivediamo?
L’appuntamento è
presso il Centro di Studi Italiani, l’ultima bella invenzione all’università di
Saarbrücken per dare ulteriore spazio al crescente interesse verso l’italiano
con una proiezione finalmente esterna. Il Centro di Studi è diretto dal Prof. Prifti
coadiuvato dall’instancabile e appassionata Dr.ssa Tatiana Bisanti, la quale,
calendario alla mano, ha chiesto al Console Generale Darchini una data per
inaugurare ufficialmente questo” Italienzentrum Saarland” al quale, e per non
stancarvi troppo, dedicheremo un articolo a parte.
Il Console
Generale d’Italia a Francoforte Massimo Darchini ha risposto di sì! “Ci vedremo
sicuramente presto anche perché in Saarland trovo sempre e ovunque una
bellissima accoglienza!”. E allora, arrivederci a presto Console
Generale. Pasquale Marino, CdI on. 3
La politica estera italiana in Medio Oriente dopo il 7 ottobre 2023
Da circa un anno
l’Italia e l’Europa assistono a cambiamenti epocali nella vicina regione del
Medio Oriente. L’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023 ha scatenato una feroce
risposta di Israele sulla striscia di Gaza. Benjamin Netanyahu, alla guida di
una coalizione di destra, ha posto come suo primo obiettivo quello di
indebolire, o forse anche rovesciare, il regime della Repubblica Islamica
dell’Iran e i suoi alleati parte del cosiddetto asse della resistenza. Nel
corso dell’anno Israele e Iran sono arrivati a più riprese vicini a un conflitto
diretto.
La guerra per
procura tra Israele e Iran ha inoltre portato a un prevedibile ampliamento del
conflitto verso il Libano. Lo Stato ebraico ha infatti cercato di indebolire
Hezbollah attraverso operazioni militari al confine tra i due stati, dove è
stanziata la missione di pace Unifil, e nella capitale Beirut. Dopo uno scambio
di attacchi durato parecchi mesi, a ottobre Israele ha lanciato un’offensiva
nel cuore della periferia sud della capitale, quartier generale di Hezbollah.
L’indebolimento di Hezbollah e quello dell’asse della resistenza hanno creato
le condizioni per un altro cambiamento epocale nella vicina Siria: la caduta
del regime di Bashar al-Assad, nodo logistico, militare e territoriale
dell’asse della resistenza.
Gli impatti sulla
sicurezza marittima e il ruolo italiano
A questo complesso
quadro di conflitti e rivolgimenti, si è aggiunta una lunga lista di scontri
per procura che hanno avuto un diretto impatto sull’Italia: primi tra tutti gli
attacchi delle milizie yemenite degli Houthi – anch’essi alleati di Teheran – contro
Israele e imbarcazioni civili e commerciali occidentali nel Mar Rosso. Il
puzzle della stabilità regionale trova nella questione palestinese un nodo
irrisolto, che continua a generare crisi e tensioni. Sinora, i Paesi del Golfo
si sono mostrati titubanti nel prendere posizione, guardando a Israele e
all’Iran come cause dell’instabilità nella regione.
Di fronte a questi
stravolgimenti repentini, nel complesso l’Italia si è limitata a un ruolo di
osservatore. In sede di consiglio europeo, Roma ha sostenuto l’appello al
cessate il fuoco umanitario. Nelle dichiarazioni del G7 dei ministri degli
Esteri di fine novembre, il governo ha riaffermato il suo sostegno per la
“soluzione a due stati” come chiave per la fine della guerra in Medio Oriente.
Tuttavia, gli appelli al cessate il fuoco e alla soluzione a due stati si sono
rivelati formule prive di sostanza politica, slegati da una visione strategica
sul conflitto e sul possibile contributo italiano per risolverlo o alleviarlo.
La gestione
interna e le sfide diplomatiche
Tenendo un basso
profilo, l’Italia ha tuttavia gestito forse meglio di altri la polarizzazione
interna creata dal conflitto in Medio Oriente tra sostenitori di Israele e
della Palestina. A dispetto di alcune tensioni registratesi nel contesto
universitario, in Italia gli episodi di violenza islamofoba o antisemita sono
rimasti limitati in confronto ad altri Paesi europei.
Di fronte a un
conflitto complesso, Roma sembra aver deciso di non poter o non voler giocare
un ruolo forse perché focalizzata più sull’Africa che sul Medio Oriente, o
semplicemente per una questione di calcolo politico. La logica sottostante a
questa decisione appare quella di una delega ad altri Paesi europei, ma
soprattutto agli Stati Uniti, che negli ultimi decenni hanno avuto un ruolo
determinante nel definire gli equilibri di potenza nella regione.
Le conseguenze
economiche e strategiche
Il fatto che il
conflitto in Medio Oriente sia non solo proseguito, ma si sia anzi ampliato nel
corso del 2024 obbliga l’Italia a un ripensamento strategico del suo approccio
alla regione e del suo ruolo di possibile mediazione nel conflitto stesso. Roma
– ma anche Bruxelles – dovrebbero prendere atto del fatto che le priorità
strategiche di Israele non coincidono necessariamente con quelle dell’Italia e
dell’Europa.
La riprova più
evidente di questo disallineamento è stato l’attacco israeliano alle postazioni
ovest dell’UNIFIL dove è stanziato il contingente italiano, che ha suscitato
aspre critiche da parte del ministro della Difesa verso Israele. Roma ha
storicamente investito personale e risorse in questa missione, finalizzata a
garantire il rispetto della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1701, e ha
interesse a che sia Israele che il Libano non la compromettano.
La strategia
militare di Israele potrebbe inoltre entrare in conflitto con gli interessi
economici dell’Italia. Il conflitto per procura ha infatti avuto un forte
impatto sui commerci dell’Italia verso l’Asia che transitano attraverso il Mar
Rosso. Gli attacchi dei miliziani Houthi hanno aumentato vertiginosamente i
costi di assicurazione per le compagnie commerciali marittime italiane,
modificato le rotte marittime dal Mediterraneo verso Capo Verde e diminuito
considerevolmente l’attività dei porti italiani (Genova, Trieste e Gioia Tauro)
e del canale di Suez in Egitto.
Le implicazioni
regionali e il ruolo dei partner strategici
La caduta del
regime in Siria e l’emergere di una nuova leadership di ribelli fortemente
legata agli ambienti islamisti e della Fratellanza musulmana a Damasco mette
ulteriormente a rischio la stabilità di Paesi chiave per l’Italia: dall’Egitto
e la Giordania fino all’Iraq, dove l’Italia ha investito nella Coalizione per
la lotta contro lo Stato Islamico e nella missione NATO a sostegno della
riforma del settore della sicurezza.
L’Italia deve
anche tenere presente quali sono i suoi possibili alleati in Medio Oriente,
come i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), con cui Roma e
Bruxelles hanno interessi comuni nel mantenimento della stabilità regionale. In
questo senso, l’Italia può fare leva sulle relazioni già costruite in ambito
bilaterale e multilaterale, per un più forte coordinamento sulle crisi della
regione.
Prospettive future
e strategia diplomatica
Roma può lavorare
per consolidare la distensione tra CCG e Iran, già in corso grazie alla
mediazione della Cina, incentivare una coesistenza pacifica tra le sponde del
Golfo e incoraggiare l’Iran a investire nella diplomazia più che nel sostegno
militare ai suoi alleati parte dell’asse della resistenza. Supportare un
riorientamento strategico di Teheran è anche un passo nel definire i parametri
di coesistenza tra questo e Israele. I Paesi del Golfo, così come Egitto,
Giordania e Iraq, sono inoltre controparti cruciali per dare sostanza alla
formula della “soluzione a due stati” in Israele e Palestina. Se è vero che
l’orientamento politico dell’attuale governo israeliano non lascia intravedere
molte speranze per l’ottenimento di un tale obiettivo, tuttavia, l’azione
coordinata dell’Italia e dell’Europa con quella dei Paesi del CCG può aumentare
le possibilità di riuscita.
Per molto tempo
l’Italia ha fatto riferimento al concetto di Mediterraneo allargato come area
di interesse strategico. Questo concetto, tuttavia, necessita urgentemente una
presa di coscienza di quelle che sono le priorità e gli interessi italiani di
fronte a un Medio Oriente completamente trasformato dopo il 7 ottobre 2023.
Questo articolo è
un estratto dell’annuale Rapporto sulla politica estera italiana 2024,
realizzato dall’Istituto Affari Internazionali. La presentazione del Rapporto
si terrà il 6 febbraio alle 17:30 presso la sede dello IAI, con
una tavola rotonda che vedrà la partecipazione di politici, giornalisti ed
esperti nazionali. Maria Luisa Fantappie, AffInt. 6
Il CGIE ha avviato le attività del 2025
Il Cgie ha avviato
le attività del primo semestre 2025 con un programma ambizioso: messa in
sicurezza del voto all’estero, cittadinanza, incentivi al rientro. Già
convocate la riunione in presenza del Comitato di Presidenza e l’Assemblea
plenaria
ROMA – “Il
Consiglio Generale degli Italiani all’Estero ha avviato le attività del 2025
con grande slancio. Fedele al proprio mandato, è determinato a incidere sul
dibattito politico nazionale, tanto che ha già impegnato i suoi organi interni
al conseguimento di tre obiettivi strategici per il 2025: l’elaborazione di
proposte e pareri da sottoporre al Legislatore, concernenti la messa in
sicurezza del voto all’estero, la riforma della legge sulla cittadinanza e la
nuova mobilità con incentivi al rientro”.
Inizia così la
nota del Cgie che prosegue “Queste attività saranno portate a sintesi durante
due momenti nodali: la riunione del Comitato di Presidenza, convocata per la
settimana del 31 marzo, e l’Assemblea plenaria, che si svolgerà a partire dal
16 giugno. Il Cgie – continua il comunicato – mantiene i riflettori accesi sui
provvedimenti della manovra di bilancio 2025 che sin dalle prime discussioni
pubbliche ha segnalato come lesivi della parità di trattamento tra cittadini
residenti fuori dai confini nazionali e in patria. Primo tra tutti, la mancata
perequazione automatica delle pensioni superiori al minimo erogate dall’INPS ai
residenti nel mondo, ma anche l’eliminazione dell’indennità di disoccupazione
per i rimpatriati che hanno perso il lavoro all’estero e l’inasprimento delle
tasse relative alle richieste di riconoscimento della cittadinanza, anche per
via giudiziaria. Misure concepite, peraltro, senza chiedere il parere
obbligatorio del Consiglio Generale previsto dalla legge”.
“Il CGIE è a
fianco di tutte le categorie di italiani all’estero pesantemente svantaggiate
dalla legge di Bilancio – afferma la Segretaria generale del CGIE, Maria Chiara
Prodi –. Se noi cittadini siamo tutti chiamati a uno sforzo per rispondere alle
necessità finanziarie del nostro Paese, è pur vero che il mancato adeguamento
della pensione per gli italiani all’estero e l’incremento delle tasse per la
domanda di cittadinanza colpiscono al cuore la relazione di fiducia e di
accoglienza che i connazionali, o futuri connazionali, possono aspettarsi
dall’Italia. Come CGIE – prosegue Prodi – non lasceremo sole queste voci, che
abbiamo raccolto e portato al Parlamento e per le quali abbiamo lottato con
tutti i mezzi”.
Nella nota si
sottolinea inoltre che “Pur accogliendo con soddisfazione l’incremento di
seicentomila euro sullo stanziamento precedentemente previsto a favore dei
Comites , il Consiglio Generale lamenti di essere stato penalizzato da un
finanziamento che gli consente di svolgere meno della metà delle attività
previste dalla sua legge istitutiva”. “Rivendichiamo la centralità del
Consiglio Generale nella vita democratica del nostro Paese – aggiunge Prodi –
perché rivendichiamo la centralità dei sette milioni di italiani all’estero. Il
2025 sarà l’anno cruciale per la vita del nostro Consiglio. Invitare a
collaborare con noi tutte le reti della rappresentanza e dell’associazionismo
non è un esercizio di forma, ma la volontà di dimostrare che la partecipazione
degli italiani all’estero è possibile e reca profitto al Paese intero. Reagire
con il doppio della motivazione al dimezzamento dei fondi è un modo per
scommettere sulla capacità delle istituzioni di riconoscere che occuparsi di
italiani all’estero non è un costo ma un investimento”. (Inform/dip 31.1.)
La forza non viene dalla capacità di ritirarsi dalla vita
La forza viene
spesso confusa con il ritirarsi dalle difficoltà o allontanarsi dalla lotta
della vita. La vera forza è quella di staccarsi dalle sensazioni per cercare di
controllarle. Molti credono che allontanarsi, evitare un conflitto e fuggire
dal dolore li renda forti; non è così. In realtà, la vera forza si trova non
nel ritiro, ma nell'impegno, nella resistenza e nella capacità di affrontare la
vita stessa.
La vita è un gioco
di felicità e tristezza, guadagno e perdita. Il tema della forza riguarda il
coraggio e la capacità di affrontare questa rappresentazione con piena
capacità, affrontandola sia con tristezza che con gioia. Significa anche
sostenere le avversità che incontriamo, crescere e trovare il bene in ogni
perdita. Ritirarsi completamente da questa vita è il contrario di vivere
esperienze e lezioni che costruiscono il carattere e offrono possibilità di
trasformazione personale.
Capiremo perché il
ritiro, e non l'azione, non conferisce potere; comprenderemo come la
resilienza, l'intelligenza emotiva, le relazioni, i fallimenti e la crescita
personale contribuiscano al vero potere. Infine, arriveremo alla conclusione
che chi si ritira non si sta prendendo cura di sé, ma sta riducendo le proprie
possibilità. Solo affrontando la vita si trovano coraggio, apertura e la
continua ricerca della crescita che portano al vero potere.
La falsa illusione
di forza nel ritirarsi
Per la maggior
parte delle persone, il ritiro è percepito come autoconservazione. Si pensa che
il ritiro porti pace e metta al riparo dalle delusioni, evitando il dolore
emotivo. Sebbene sia vero che un breve periodo di ritiro possa aiutare a
riflettere e recuperare il benessere, un lungo periodo di ritiro non è mai
stato descritto come una misura salutare o potenziante per la vita. Eliminare
tutte le difficoltà che la vita ci presenta non le riduce; è solo un modo per
posticiparne l'impatto. Le sfide tendono ad aumentare di intensità e sono
spesso accompagnate da rimpianti, perdite e un peggioramento dell'isolamento.
Il potere non nasce dall'evasione, ma dal confronto.
Evitare l'amore e
le relazioni per paura di essere feriti porta a un processo di mancanza di
bellezza, affetto, compagnia e legami affettivi. Allo stesso modo, non correre
rischi nella carriera per non fallire e rimanere su terreno sicuro porta a una
staticità in cui non si svela mai il proprio potenziale. Ciò significa che la
vera forza non implica rinchiudersi in un guscio, ma richiede di affrontare
l'ignoto con fede, nonostante l'incertezza del risultato.
Resilienza: la
radice della vera forza
Forse non c'è
altro tratto di forza che sia tanto rivelatore quanto la resilienza. Essa
permette a una persona di affrontare situazioni difficili, inclusa la capacità
di fare nuovi cambiamenti e raggiungere il successo ogni volta che si cade. Le
esperienze negative nella vita non spezzano la persona resiliente, ma
alimentano la sua forza nella crescita.
Ci sono numerosi
esempi di persone che hanno affrontato avversità estreme, ma hanno dimostrato
la forza nel confrontarsi con questa realtà. Nelson Mandela è stato
imprigionato per 27 anni; tuttavia, dopo la sua liberazione, si è battuto per
la pace e l'unità. Helen Keller era sorda e cieca, ma mai un ostacolo così
grande è stato sufficiente a impedirle di diventare un'icona di coraggio e
speranza. Queste persone non si sono ritirate dalla vita, ma vi sono entrate a
pieno titolo, dimostrando che la forza risiede nell'avversità.
Come costruire la
resilienza
La resilienza non
è un dono; è una competenza sviluppata attraverso uno sforzo consapevole. Ecco
alcuni modi per costruire la resilienza:
1. Riformulare le sfide come opportunità:
invece di vedere gli ostacoli come scogli, prova a vederli come trampolini di
lancio per la crescita. Ogni difficoltà porta con sé una lezione che costruisce
un carattere forte.
2. Resilienza emotiva: la forza non sta nel
combattere le emozioni, ma nel gestirle meglio. Riconoscere e elaborare i
sentimenti è parte dell'auto-riflessione.
3. Mentalità a lungo termine: a volte la
lotta può essere insopportabile per un po', ma quando le difficoltà passano,
molto di essa assume un significato. Una visione a lungo termine aiuta a
sopportare la sofferenza temporanea.
4. Essere circondati da persone buone: non
bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e a chi affidarsi. La forza aumenta
quando viene condivisa con chi ci sostiene e ci eleva.
5. Imparare la perseveranza: i successi non
arrivano da chi non ha mai fallito, ma da chi non ha mai mollato. La forza
interiore può essere invincibile alle sfide grazie alla perseveranza.
Il potere della
connessione: forza attraverso le relazioni
La più grande
menzogna sulla forza è che essa rende qualcuno indipendente a livello di
isolamento. È il contrario della verità, perché spesso la vera forza proviene
da un legame. Gli esseri umani sono creature sociali, con una natura biologica
predisposta alla connessione. Essere abbastanza vulnerabili da permettere a
qualcun altro di essere al nostro fianco e aiutarci dimostra un coraggio
straordinario. Le persone che, per paura di soffrire, si ritirano in se stesse,
risparmiano alcune parti del dolore, ma negano agli altri la profondità
dell'amore, dell'amicizia e delle esperienze condivise. Non sottrarre, ma
abbracciare il rischio, nonostante l'incertezza, è forza.
Come la
connessione costruisce la forza
1. Supporto emotivo: è confortante e
bilanciante appoggiarsi a vicenda nei momenti difficili. Questa forza significa
che nessuno ha mai dovuto affrontare nulla da solo.
2. Crescita reciproca: una relazione è quella
che spinge ogni persona coinvolta a crescere, imparare e migliorare. L'onestà
nei feedback è accompagnata da incoraggiamento, e le esperienze condivise fanno
crescere ciascuna delle persone coinvolte.
3. Appartenenza: uno spazio vuoto dentro è
come si sente una persona durante la solitudine. Le relazioni ricche riempiono
la sua vita di significato e scopo.
4. Forza attraverso l'associazione: che si
tratti di famiglia, amici o un mentore, il supporto del team per chi permette a
questa persona di affrontare gli alti e bassi della vita e stimolarla a
lavorare.
Imparare
dall'esperienza - forza in azione
La forza non è una
teoria, ma un'esperienza. Chi evita le sfide non sa cosa può fare. La forza
cresce attraverso lo sforzo, il tentativo, l'errore e sopportando il disagio.
Superare la paura
come azione
La paura è parte
della vita, ma se controlla le nostre azioni, c'è stagnazione. La strada
diretta verso la forza è affrontare le paure, sia nelle relazioni personali,
nelle aspirazioni professionali o nell'espressione di sé. Più si affronta la
paura, meno potere essa avrà. Pensa al parlare in pubblico. La maggior parte
delle persone ne ha paura, ma più una persona si sfida a praticare, più
diventerà sicura di sé. Evitarlo cementa solo la paura. La forza arriva quando
si sceglie l'azione piuttosto che l'evasione.
Il fallimento come
insegnamento
Molte persone
evitano la vita per paura di fallire. Tuttavia, il fallimento non è una
debolezza, ma una parte indispensabile del successo. I più grandi inventori,
artisti e leader hanno fallito migliaia di volte prima di avere successo. Ciò
che li distingue dagli altri è il fatto che non hanno mai mollato.
Thomas Edison
fallì migliaia di volte prima di inventare la lampadina.
Walt Disney fu
licenziato una volta per "mancanza di immaginazione" prima di creare
un impero dell'intrattenimento mondiale.
J.K. Rowling fu
rifiutata numerose volte prima che Harry Potter diventasse il fenomeno globale
che è oggi.
Queste persone
avrebbero potuto fermarsi dopo i fallimenti, ma non lo hanno fatto. La forza
non significa evitare il fallimento; significa usare il fallimento come un
passo per salire ancora.
Gli effetti
psicologici del ritirarsi
Il ritiro a lungo
termine dalle sfide della vita può avere seri effetti psicologici, tra cui:
1. Aumento dell'ansia: l'evitamento rafforza
la paura, rendendo più difficile affrontare le sfide future.
2. Depressione e malinconia: l'isolamento
crea vuoto e una mancanza di scopo.
3. Perdita di autostima: la forza si
costruisce sull'accomplimento e sull'attività. L'evitamento distrugge
l'autostima.
4. Rimorso: le persone ritirate spesso
guardano indietro con un senso di opportunità perse e potenziale non
realizzato.
Conclusioni: la
vera natura della forza
La forza non ha
nulla a che fare con il ritirarsi dalla vita. La forza è andare avanti,
combattere la buona battaglia e rialzarsi. La forza è quella del cuore, del
coraggio e della volontà di andare avanti; ancor di più, la capacità di
abbracciare sia la gioia che il dolore come parte dell'esperienza umana. Le
persone che si piegano sono a volte protette, ma alla fine si privano di una
possibilità di sviluppo, relazione e soddisfazione. I più forti di tutti sono
quelli che si rifiutano di evitare le difficoltà, ma vivono tutta la vita e
resistono fermamente contro l'avversità. Sono le persone veramente forti quelle
che non si ritirano, ma avanzano. Camminano in avanti, anche se non sono
sicure, amano con tutto il cuore nonostante la paura e vanno avanti anche di
fronte agli ostacoli. Non è il ritiro la forza, ma l'essere fermi, vivere senza
rimpianti e pieni di vita.
Krishan Chand
Sethi, dip 8
La nostra
attenzione resta rivolta ai Connazionali residenti all’estero. Gli italiani
“altrove” sono più di 5.114.469. Il numero maggiore è in Europa (2.770.175).
Oltre il 50% dei nostri Connazionali si trova nel Vecchio Continente. Con un
tenore di vita, mediamente, migliore di chi risiede nel Bel Paese (stime
2022/2024).
Resta, però, da evidenziare una riflessione
che in Euro Zona è meglio tener sempre presente. Insomma, non è per nulla dato
per scontato che, esistendo una moneta unica, il costo della vita sia a uno
stesso “livello” in tutti i Paesi UE. Come, del resto, è differentemente
gestita la “democrazia” nell’Europa Stellata.
In fibrillazione è
rimasto il destino della Penisola. A questo punto, cosa possono fare gli
italiani “altrove”? Ora poco. Ma la lezione non dovrebbe più ripetersi a causa
di una legge elettorale partorita da un Parlamento distratto dai contrasti
politici tra i partiti. Ancora una volta, certi che non sarà l’ultima, si dovrà
andare avanti; indipendentemente dall’Esecutivo al potere. La necessità di
legiferare è palese e ci sono provvedimenti normativi globali che attendono una
definitiva approvazione. Non neghiamo, però, che ci aspettiamo una differente
“resa” politica degli eletti dall’estero. Nel caso specifico, è il numero che
conta; non la residenza.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Meno studenti, più anziani: ecco come il declino demografico cambierà la
mobilità
Qual è il futuro
della mobilità? Mentre aumentano le ciclabili, le auto elettriche sono in crisi
e il trasporto pubblico arranca, c’è un ulteriore aspetto da considerare:
l’invecchiamento della popolazione e le diverse esigenze di spostamento che
questo porta con sé. Se i più giovani sono inclini a soluzioni di traporto
maggiormente sostenibili e alternative, è difficile immaginare in futuro
schiere di 75-80enni che inforcheranno ancora le due ruote (anche perché in
Italia viviamo a lungo ma male in arnese) o prenderanno con scioltezza i mezzi
pubblici. Dunque, chi frequenterà treni, bus e stazioni in un domani popolato
principalmente da persone anziane?
Invecchiamento
della popolazione e mobilità
La domanda se l’è
posta GO-Mobility, società che fornisce consulenza ad imprese ed enti locali
nel settore della pianificazione della mobilità e dei trasporti, che ha anche
provato a dare una risposta. E lo ha fatto insieme a Trenord, l’azienda di
trasporto ferroviario lombarda, realizzando una simulazione attraverso il
sistema Darwin, una nuova infrastruttura messa a punto dalle due aziende
proprio per studiare la mobilità in base ai dati.
Nello specifico,
lo studio ha messo in relazione l’invecchiamento della popolazione, utilizzando
le proiezioni Istat, con l’evoluzione della mobilità al 2040 per simulare come
ci sposteremo tra quindici anni e quali ripercussioni ci saranno sui sistemi di
trasporto, utilizzando come caso-studio la Lombardia.
L’obiettivo è
quello di aiutare i processi decisionali di breve e lungo periodo nel fornire
un servizio di traporto economicamente sostenibile e tagliato su quella che
sarà la futura domanda di mobilità. La tenuta del Tpl infatti rischia di essere
messa in forse dalle mutate esigenze della popolazione, la cui demografia sta
cambiando secondo un trend decennale, ormai strutturale.
Un futuro dominato
dagli anziani
Il punto di
partenza dell’analisi è proprio questo, come confermano molti studi e i dati
Istat: siamo in pieno inverno demografico. L’Italia è uno dei Paesi più vecchi
al mondo e uno di quelli con l’aspettativa di vita più alta. Un dato
lusinghiero ma che in combinazione con una scarsa natalità fa sì che il futuro
rischia di essere dominato dagli anziani, con tutti i problemi che questo
comporta.
Per capire la
misura del fenomeno, basti pensare che, entro il 2051, gli over 65 potrebbero
rappresentare il 34,5% della popolazione, ovvero più di una persona su tre,
rispetto all’attuale 24,4%, come fa sapere l’Istituto di Statistica. Un altro
dato: mentre nel dopoguerra il rapporto tra nuove nascite e la popolazione era
di circa 20 nuovi nati ogni mille abitanti, nel 2023 siamo crollati a 6,4.
Oltre alle
problematiche più immediate e discusse del pesante calo demografico in atto –
dalle politiche di welfare al mercato del lavoro fino alla sanità e
all’assistenza – recentemente anche il tema della mobilità inizia ad essere
trattato: lo scorso novembre per la prima volta, infatti, l’impatto della
diminuzione delle nascite sulla domanda di mobilità è stato inserito tra le
analisi del 21° Rapporto sulla mobilità degli italiani, il report annuale di
Isfort.
Le proiezioni
stimate dall’osservatorio indicano come il calo demografico, in media, potrebbe
produrre una diminuzione degli spostamenti del 2% nei prossimi 20 anni.
L’influenza maggiore riguarderà in particolare gli spostamenti della
popolazione più giovane (-28%), mentre allo stesso tempo aumenterà la mobilità
degli over 75 (39%), con tutte le peculiarità che questo porta con sé.
Si tratta infatti
di segmenti con necessità e abitudini molto diverse: la popolazione studentesca
(14-19 anni) è quella che si affida maggiormente al trasporto pubblico, mentre
gli spostamenti delle persone in pensione, definiti erratici perché meno standardizzati,
sono più correlati alla mobilità motorizzata privata. Il che avrà ripercussioni
sulla sopravvivenza stessa del settore.
Il caso-studio
della Lombardia: più colpite le province
L’analisi
realizzata da GO-Mobility e Trenord prende come caso-studio la Lombardia, per
la quale sono state simulate le dinamiche di mobilità al 2040 applicando i
modelli attuali di scelta relativi alle diverse categorie (classi di età,
popolazione studentesca, lavoratori ecc.) e l’offerta di trasporto (numero di
linee e corse, numero di saliti e discesi alle stazioni, tipologie di titoli di
viaggio venduti ecc.) alla configurazione della popolazione che, secondo le
proiezioni Istat, avremo nel 2040.
Ecco in sintesi
cosa è emerso:
• i comuni minori
sono quelli che subiscono in modo più accentuato gli effetti del calo
demografico, anche perché molti giovani si trasferiscono nelle città in cerca
di migliori opportunità di lavoro e di studio. Un aspetto importante,
calcolando che oltre la metà della popolazione italiana vive in comuni di
piccole dimensioni (fino a 10 mila abitanti), territori da cui si generano la
maggior parte degli spostamenti, spesso privati e motorizzati.
Secondo le
proiezioni, la quota della popolazione studentesca mobile (14-19 anni) nei
territori provinciali scende dal 7% al 5,8% (-21,7%) mentre quella degli over
65 sale da 12,5% a 18,7% (+39,9%). La fascia 26-40 registra un calo del 9,2% e
quella 41-65 anni del 14,9% passando dal 51,2% al 46,7%.
Il tutto si
traduce in un calo dei viaggi complessivi del 6,7%, dovuto specialmente alla
diminuzione della popolazione studentesca e attiva, e principalmente sugli
spostamenti intercomunali, ovvero di medio-lungo raggio, ovvero la categoria
più colpita dalle oscillazioni demografiche.
• sui comuni
capoluogo, invece, l’impatto dell’inverno demografico è quasi nullo: il calo
della quota delle fasce più giovani è quasi impercettibile, e addirittura la
fascia 20-25 è prevista in leggero aumento. Anche qui gli spostamenti rimangono
molto connotati dalla popolazione 41-65enne, che però subisce un calo molto più
contenuto che in provincia (-3,2% contro -14,9%), sebbene più accentuato nella
fascia 26-40 (-16,2%).
Come risultato di
queste dinamiche, per i capoluoghi il calo complessivo degli spostamenti è
dell’1%. Le caratteristiche degli spostamenti, come la regolarità e il numero
di viaggi giornalieri rimangono inoltre perlopiù invariate, al contrario dei
territori provinciali in cui si denota un calo più evidente in tutte le
categorie.
A rischio la
sopravvivenza del Traporto pubblico
L’analisi
prospetta diversi scenari per il futuro. Il più pessimistico prevede una
diminuzione del 13,2% degli spostamenti effettuati con il trasporto pubblico e
del 13% di passeggeri*km, dovuta principalmente alla minor presenza della
popolazione studentesca che rappresenta una fetta significativa dell’utenza
pendolare, specialmente nei comuni minori.
Questo alimenta
dubbi sulla sopravvivenza stessa del Tpl perché, se consideriamo che le tariffe
del trasporto pubblico sono su base chilometrica, un calo del 13% sul numero di
passeggeri*km si collega direttamente alla redditività del servizio e dunque alla
sua capacità di finanziamento.
Consideriamo che
già oggi il settore si regge principalmente su finanziamenti pubblici: in media
il 65% del Tpl viene finanziato dall’apposito Fondo nazionale, e solo il 30-35%
viene dalla vendita dei biglietti.
Il problema, come
visto, riguarderà soprattutto le province, perché nelle città più grandi il
trasporto pubblico tutto sommato sembra poter reggere. Per avere un’idea,
secondo le previsioni nella fascia mattutina, il Tpl in provincia subirà un
calo oltre sei volte maggiore di quello dei comuni capoluogo (-21,1% contro
–3,3%).
C’è poi un
ulteriore aspetto da considerare, ovvero il fatto che gli anziani tendono a
spostarsi di meno: in pratica si tratta della fascia meno mobile della
popolazione, inoltre tendono a fare affidamento più sulla mobilità privata.
Queste persone saranno incentivate a un maggior uso dell’auto nel momento in
cui oltre alle proprie difficoltà si troveranno davanti un trasporto pubblico
anch’esso con problemi.
Certamente sono
pensabili delle soluzioni; ad esempio, per le province, una possibile
evoluzione del Tpl è quella l’introduzione di servizi a chiamata (DRT – Demand
Responsive Transport), un sistema molto adatto alle aree a domanda debole, dove
gli spostamenti sono più dispersi e meno prevedibili. Ma è anche una novità
ancora poco esplorata e poco matura, di cui va discusso.
E proprio qui
vuole arrivare lo studio di GO-Mobility: evidenziare e prevedere i problemi
attraverso l’analisi dei dati, in modo da pensare e pianificare misure che
possano garantire la sostenibilità economica, sociale e ambientale dei sistemi
di mobilità.
In futuro la
domanda di mobilità sarà meno prevedibile
Insomma, il
traporto pubblico deve cambiare forma e sostanza per adattarsi alle necessità
di una popolazione più anziana, che inevitabilmente cambierà la domanda di
mobilità: da quella attuale costruita attorno agli schemi fissi legati alle
esigenze di studio e lavoro a una flessibile, dinamica, erratica, dunque meno
prevedibile.
Non solo: il
settore deve anche modificare il proprio approccio, che oggi si limita a
fornire un’alternativa di spostamento a chi non ne ha a disposizione altre ma
che non sarà più sufficiente a rispondere ai nuovi bisogni della popolazione.
Infine, va rivisto
anche il tema delle infrastrutture, che attualmente è pensato e programmato
immaginando di creare sempre più capacità e che la stessa verrà sempre
saturata, ma che, come abbiamo visto, potrebbe non essere lo scenario più
probabile. Adnkronos 3
Turismo delle radici, un fenomeno in crescita
“Turismo delle
radici. Riscoprire le origini, valorizzare le tradizioni, riconnettersi al
futuro”: convegno nella sede della Regione Toscana. Presenti il Presidente
della Regione Eugenio Giani, il Responsabile del Progetto del Maeci Giovanni
Maria De Vita e il Presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano
FIRENZE – “Turismo
delle radici. Riscoprire le origini, valorizzare le tradizioni, riconnettersi
al futuro”: è il convegno organizzato da Italea Toscana e Confcommercio
Toscana, che si è tenuto oggi a Firenze presso Palazzo Strozzi Sacrati, sede della
Regione. L’evento ha rappresentato un’importante occasione di riflessione sul
tema, offrendo uno spazio privilegiato per delineare le prospettive di crescita
di questo particolare settore del turismo. Sempre più persone nel mondo cercano
di tracciare le linee della propria genealogia, ritornando nei luoghi d’origine
delle proprie famiglie. Una tendenza che diventa opportunità perché il Turismo
delle Radici rilancia territori in crisi, contrasta il fenomeno dello
spopolamento, genera introiti e sostiene l’occupazione. Oggi riveste
un’importanza cruciale per l’Italia dove l’operazione Turismo delle Radici è
entrata nel vivo con Italea, il programma lanciato dal Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale all’interno del progetto PNRR e finanziato
da NextGenerationEU. Sono intervenuti al convegno, tra gli altri, il presidente
della Regione Toscana Eugenio Giani, l’assessore regionale all’Economia e
Turismo Leonardo Marras, il presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano,
il vicedirettore generale Confcommercio Imprese per l’Italia Renato Mattioni,
il Responsabile del Progetto Italea per la Farnesina Giovanni Maria De Vita, il
presidente di Italea Toscana Pasquale Iervolino. “Il turismo delle radici
– ha affermato Giovanni Maria De Vita – può anche essere una risposta
all’overtourism: chi viene è interessato a visitare i nostri piccoli borghi e a
vivere le tradizioni e abitudini di quei luoghi di cui tanto ha sentito parlare
attraverso i ricordi delle generazioni che lo hanno preceduto. E viene a
conoscere un vero e proprio stile di vita italiano: è una grande opportunità
per chi fa il viaggio delle radici in Italia e anche per i piccoli borghi
spesso segnati dal fenomeno dello spopolamento”.
I numeri di Italea
– Italea ha costruito una rete sul territorio capillare e dinamica con 20
gruppi regionali e 16 coordinatori; sono oltre 4.500 le richieste di viaggi o
ricerche genealogiche e oltre 1 milioni di accessi a italea.com. Italea Card –
che offre tanti vantaggi, sconti e agevolazioni per chi viene in Italia a
scoprire le sue origini – conta oltre 650 partner, 55.000 utenti attivi e oltre
11.000 iscritti al programma. E ancora: 833 Comuni delle Radici e 742 eventi
già organizzati. Oltre 60 eventi di sensibilizzazione in Italia organizzati
dalle Italee regionali per favorire le occasioni di collaborazione e confronto;
19 missioni all’estero in 13 Paesi con una partecipazione stimata di oltre 1,5
milioni di persone.
(Inform/dip 5)
Il Capo dello
Stato: Con l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, venti anni or sono, i
nostri Paesi si sono ricongiunti in un percorso condiviso. Le differenze, le
incomprensioni, hanno lasciato il posto a fattori che uniscono. Questo esprime
il grande valore storico della integrazione Europea
GORIZIA – Il
Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la Presidente della
Repubblica di Slovenia, Nataša Pirc Musar, hanno partecipato nei giorni scorsi
all’inaugurazione di Nova Gorica – Gorizia “Prima Capitale europea della
cultura transfrontaliera Go! 2025”. La cerimonia si è svolta in piazza
Transalpina, situata al confine tra Nova Gorica, in Slovenia, e Gorizia, in
Italia. Nel corso dell’evento sono intervenuti il Presidente della Regione
Autonoma Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, e il vice Primo Ministro
e Ministro per le Comunità Slovene Autoctone, Matej Ar?on; i Ministri della
Cultura Asta Vre?ko, per la Slovenia, e Alessandro Giuli, per l’Italia; Marta
Kos, Commissaria europea per l’allargamento, Glenn Micallef, Commissario europeo
alla cultura. Successivamente, è stato consegnato il Premio Melina Mercouri a
Mija Lorbek, Direttrice dell’ente GO! 2025. Presenti anche il Sindaco di
Gorizia, Rodolfo Ziberna, e il Sindaco di Nova Gorica, Samo Turel. Al termine,
i due Capi di Stato hanno raggiunto il Municipio di Nova Gorica, dove hanno
visitato la mostra fotografica: “L’incontro fra due fiumi e due valli”. Al suo
arrivo in mattinata, il Presidente Mattarella era stato accolto dalla
Presidente Pirc Musar a Villa Vipolže. Durante l’incontro Mattarella ha
consegnato alla Presidente della Slovenia, l’onorificenza dell’OMRI di
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone.
“Ringrazio la
Presidente Pirc Musar, anzitutto per le parole che ha adoperato nei confronti
miei e dell’Italia, e per avermi invitato a condividere con lei questo momento
storico per due città, Nova Gorica e Gorizia, per la Slovenia e l’Italia e per
tutta l’Unione Europea”. Ha affermato nel suo intervento il Presidente
Mattarella che ha continuato: “Desidero esprimere convinto apprezzamento agli
organizzatori, alle autorità locali, ai rappresentanti delle istituzioni
europee presenti, per il lavoro svolto in piena intesa e con lungimiranza per
portare a compimento un progetto lanciato su questa piazza nel 2021 ma che
affonda le sue radici nel lungo percorso di amicizia e riconciliazione di cui i
nostri due Paesi, Signora Presidente, sono stati protagonisti e di cui possiamo
essere orgogliosi. In un mondo caratterizzato da crescenti tensioni e da
conflitti, dall’abbandono della cooperazione come elemento fondante della vita
internazionale, – ha proseguito il Capo dello Stato – Slovenia e Italia hanno
saputo dimostrare che è possibile scegliere la via della cooperazione. Nella
tragedia della Seconda Guerra Mondiale, un sopravvissuto ad Auschwitz, Roman
Kent, ha osservato ‘non vogliamo che il nostro passato sia il futuro dei nostri
figli’. Con questo spirito abbiamo affrontato le pagine del dopoguerra, per
scriverne una nuova e nulla può far tornare indietro la storia che Slovenia e
Italia hanno costruito, e costruiscono, insieme. In questo percorso due
elementi hanno fornito un contributo determinante: la comune appartenenza
all’Unione Europea e la cultura condivisa dai nostri popoli. Con l’ingresso
della Slovenia nell’Unione Europea, venti anni or sono, i nostri Paesi si sono
ricongiunti in un percorso condiviso: la Repubblica Italiana è stata lieta di
poter sostenere e accompagnare il processo di adesione, affinché i due popoli
si ritrovassero a contribuire a un destino comune. Lavorando fianco a fianco
nelle Istituzioni Europee si è consolidata la fiducia reciproca e vi è maturato
senso di appartenenza e di una ulteriore identità: la comune identità europea.
Le differenze, le incomprensioni, hanno lasciato il posto a fattori che
uniscono. Questo esprime il grande valore storico della integrazione Europea.
Una cultura con tante preziose peculiarità nazionali, con più lingue, ma una
cultura comune: quella che, insieme, quest’anno le due città celebreranno. Nova
Gorica e Gorizia ambiscono a celebrare la cultura dei confini. Con Chemnitz, in
Germania, Nova Gorica – ha ricordato Mattarella – è stata scelta come Capitale
europea della cultura 2025 e la città slovena ha voluto lanciare con la gemella
Gorizia una sfida: proporsi come esperienza di cultura attraverso la frontiera.
Se la cultura, per definizione, non conosce confini, essa nasce, pur sempre,
come espressione di una comunità ma aperta alla conoscenza, alla ricerca
comune, ai reciproci arricchimenti. Sconfitti gli orrori dell’estremismo
nazionalista, che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della
convivenza e dell’accoglienza. Sono i valori che possono opporsi
all’oscurantismo della guerra e del conflitto che si è riproposto con
l’aggressione russa all’Ucraina. Essere Capitale europea della cultura
transfrontaliera – la prima con questa esperienza – significa avere il coraggio
– ha concluso il Presidente della Repubblica – di essere portatori di luce e di
fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre, incertezze e paure.
Significa che Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso.
È un compito che comincia oggi e per il quale mi affianco, con sincera e grande
amicizia, alla Presidente Pirc Musar nell’augurarvi ogni successo”.
(Inform/dip 10)
Sanremo unisce gli italiani nel mondo
Proseguono con
successo le iniziative di ITALEA: il programma di promozione del turismo delle
radici lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale
Roma - “Il
Festival di Sanremo – come ha ricordato anche il conduttore e direttore
artistico Carlo Conti - è un evento che unisce gli italiani all’estero.
Il Festival è molto più di una competizione musicale: è una
festa, una tradizione, una celebrazione della creatività italiana e della sua
cultura musicale. Sono tanti gli italiani all’estero e gli italo-discendenti
che seguono Sanremo. A loro vogliamo lanciare un invito: venite a fare un
viaggio delle radici in Italia, venite a scoprire le vostre origini”. Così
Giovanni Maria De Vita, coordinatore del progetto sul Turismo delle Radici per
la Direzione generale degli italiani all’estero del Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale.
ITALEA “Sempre più
persone oggi cercano di tracciare le linee della propria genealogia, ritornando
nei luoghi d’origine delle proprie famiglie. Una tendenza che diventa
opportunità perché il turismo delle radici rilancia territori in crisi,
contrasta il fenomeno dello spopolamento, sostiene l’occupazione in settori
chiave come l’ospitalità e promuove il patrimonio culturale e naturale. È un
turismo lento che può anche rappresentare una risposta al fenomeno
dell’overtourism. Oggi riveste un’importanza cruciale per l’Italia dove
l’operazione Turismo delle Radici è entrata nel vivo grazie a ITALEA, il
programma lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale (MAECI) all’interno del progetto PNRR e finanziato da
NextGenerationEU” spiega De Vita. “Tutte le informazioni - aggiunge - si
possono trovare sul sito dedicato al progetto italea.com”. Il Turismo delle radici nasce con l’intento
di far scoprire cultura, riti e tradizioni e valorizzare i luoghi che non sono
meta del turismo di massa. Il progetto coinvolge oltre 800 piccoli Comuni
italiani, vincitori del bando per la realizzazione di attività culturali in
favore degli italo-discendenti.
I NUMERI Nel 2024
– secondo uno studio Assoturismo Confesercenti in collaborazione con CST –
Centro studi turistici di Firenze - gli arrivi turistici strettamente legati
alla motivazione di “visita al paese di origine” sono stati oltre 6,6 milioni,
cioè il +6,2% rispetto alle aspettative di inizio anno, e circa 34,4 milioni le
presenze turistiche. Per il 2024, le stime sulla spesa sostenuta dai
viaggiatori delle “radici” indicano un ammontare di circa 5 miliardi di euro.
Un valore destinato a crescere ulteriormente per attestarsi oltre i 5,5
miliardi di euro nel 2026. I turisti di ritorno sono in aumento, con una
crescita prevista di oltre 3,5 milioni di presenze in più nel biennio 2025/2026
e un incremento di oltre 510 milioni di euro di spesa turistica sul territorio.
Per informazioni: comunicazione@italea.com. Italea 14
Studie. Klimawandel verstärkt
Migrationsdruck nach Deutschland
Der Klimawandel verstärkt laut einer Studie den
Migrationsdruck in Europa und Deutschland. Besonders stark von der Klimakrise
betroffen sind aber Länder des Globalen Südens. Germanwatch kritisiert, dass
das Thema im Wahlkampf kaum Beachtung findet.
Eine nationale Studie stuft den Klimawandel als eines der
größten Sicherheitsrisiken für Deutschland ein. Der im Auftrag von Auswärtigem
Amt und Verteidigungsministerium erstellte Report warnt vor Ernteausfällen,
Preisschocks und wirtschaftlichen Einbußen, die politische Instabilität und
verstärkte Migration zur Folge haben könnten. Auch die Umweltorganisation
Germanwatch betont die globalen Sicherheitsrisiken und kritisiert, dass der
Klimawandel im Wahlkampf kaum eine Rolle spielt.
Die Ergebnisse der 77-seitigen nationalen Studie zeigen
Außenministerin Annalena Baerbock (Grüne) zufolge, dass die deutsche
Gesellschaft es sich nicht leisten könne, sich solchen Klimasicherheitsrisiken
auszusetzen. Sie warnte: „Wer Klimaschutz schleifen lässt, bedroht die
Existenzgrundlage von Menschen, ihren Wohlstand, unsere innere Stabilität in
Deutschland und Europa und setzt die globale Sicherheit aufs Spiel.“
Klimawandel verstärkt Migrationsdruck
Laut den Sicherheitsexperten sieht sich Europa aufgrund der
Klimakrise mit neuen Konflikten konfrontiert. Besonders die südlichen
EU-Staaten werden sowohl wirtschaftlich durch die Klimaauswirkungen belastet
als auch von politischer Instabilität in ihrer Nachbarschaft stark betroffen
sein. Gleichzeitig steige aufgrund der Ressourcenknappheit und zunehmender
Konflikte der Migrationsdruck in den betroffenen Ländern.
Nicht nur staatliche Institutionen, sondern auch
Umweltorganisationen warnen vor den Sicherheitsrisiken des Klimawandels. Die
Klimaexpertin der Umweltorganisation Germanwatch, Laura Schäfer, bezeichnete
die Klimakrise als „eine der weltweit größten Bedrohungen für die
internationale Sicherheit, die Stabilität von Staaten und Gesellschaften sowie
des Finanzsystems“. Die Organisation veröffentlichte am Mittwoch den
Klima-Risiko-Index, der die Risiken durch Wetterextreme weltweit betrachtet.
Globaler Süden besonders stark von Klimakrise betroffen
So sind dem Bericht zufolge in den vergangenen 30 Jahren
infolge von Wetterextremen weltweit fast 800.000 Menschen gestorben. Stürme,
Überflutungen und Hitzewellen haben zwischen 1993 und 2022 zudem
wirtschaftliche Schäden in der Höhe von 4,2 Billionen US-Dollar verursacht.
Besonders stark von der Klimakrise betroffen sind laut der
Studie Länder des Globalen Südens, aber auch immer mehr europäische Länder
finden sich auf den vordersten Plätzen. Basierend auf den Daten aus dem Jahr
2022 liegt Deutschland auf dem 17. Platz. Vor diesem Hintergrund bezeichnete
Schäfer es als „fahrlässig“, dass der Klimawandel im deutschen Wahlkampf kaum
eine Rolle spiele.
Regierungsbeauftragte: Klimawandel kommt zu kurz
Ähnlich hatte sich die Klimasonderbeauftragte der
Bundesregierung, Jennifer Morgan, gegenüber dem „Evangelischen Pressedienst“
geäußert. Der Klimawandel komme zu kurz, sagte Morgan: „Dabei hat er so viele
Folgen für das Leben der Menschen hier.“
Viele Menschen seien mit anderen Sorgen beschäftigt, etwa
dem russischen Angriffskrieg in der Ukraine oder der Inflation, räumte Morgan
ein. Allerdings zeigten Umfragen, dass es trotz allem noch viel Rückhalt für
mehr Klimaschutz gebe. Das Thema beschäftige die Leute, „auch wenn es nicht
mehr so in den Schlagzeilen ist“, sagte die Sonderbeauftragte für
Internationale Klimapolitik. (epd/mig 14)
Münchner Anschlag: Staatsanwältin
sieht islamistische Motivation
Der nach dem mutmaßlichen Anschlag in München festgenommene
Afghane hat in einer ersten Vernehmung ausgesagt, er sei bewusst in die
Menschenmenge gefahren. Oberstaatsanwältin Gabriele Tillmann sagte am Freitag,
seine Aussagen ließen auf eine religiöse, islamistische Tatmotivation
schließen. Dies sei aber eine vorläufige Bewertung.
Anhaltspunkte für Mittäter, Mitwisser, eine Einbindung in
ein Netzwerk wie die Terrororganisation „Islamischer Staat“ gebe es bisher
nicht. Die Auswertung seiner Kontakte und Social-Media-Aktivitäten stünden noch
am Anfang. Tillmann sagte weiter, der Mann habe unmittelbar nach seiner
Festnahme „Allahu akhbar" (Gott ist groß) gerufen und gebetet. Aus diesem
Grund habe sich ihre Dienststelle, die Zentralstelle zur Bekämpfung von
Extremismus und Terrorismus bei der Münchner Generalstaatsanwaltschaft, eingeschaltet.
Für die weiteren Ermittlungen hat das bayerische Landeskriminalamt (LKA) eine
Sonderkommission mit derzeit 140 Beamtinnen und Beamten gebildet.
Die Staatsanwältin bestätigte, der 24-jährige Fahrzeuglenker
sei 2016 als unbegleiteter, minderjähriger Flüchtling nach Deutschland gekommen
und zum Tatzeitpunkt nicht ausreisepflichtig gewesen. Er habe in München zur
Miete gewohnt, im Sicherheitsgewerbe gearbeitet und sei nicht vorbestraft. Ein
einziges Ermittlungsverfahren gegen ihn sei wegen Betrugs des Arbeitsamtes
geführt und gegen eine Geldauflage eingestellt worden.
„Bin vielleicht morgen nicht mehr da“
LKA-Vizepräsident Guido Limmer sagte, die bisherige
Auswertung seiner Handy-Daten habe ergeben, dass der Festgenommene vor allem in
arabischer Sprache kommuniziert habe. In einem Chat habe er die Botschaft
hinterlassen: „Vielleicht bin ich morgen nicht mehr da.“ Bisher gebe es aber
keine Hinweise auf eine Planung der Tat. Nach Angaben des Münchner
Polizeivizepräsidenten Christian Huber hat sich die Zahl der bekannten
Verletzten auf 36 erhöht. Einer der beiden Schwerstverletzten sei ein Kind.
Dazu kämen weitere acht Schwerverletzte. Die Zahl könne sich auch noch erhöhen,
fügte er hinzu.
Die meisten Demonstrationszüge abgesagt
Für den Schutz der Münchner Sicherheitskonferenz, die am
heutigen Freitag beginnt, seien Polizeieinheiten aus anderen Bundesländern
hinzugezogen worden, hieß es. Die meisten im Kontext dieser Veranstaltung
angemeldeten Demonstrationen seien auf feste Plätze beschränkt worden. Dies
gilt auch für eine Kundgebung von „Fridays for Future“ am Nachmittag auf dem
Königsplatz. Am Morgen hatten Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier, Bayerns
Ministerpräsident Markus Söder (CSU) und der Münchner Oberbürgermeister Dieter
Reiter (SPD) am Tatort weiße Rosen abgelegt und der Betroffenen im Stillen
gedacht. Der Münchner Kardinal Reinhard Marx sowie ein evangelischer
Kirchenvertreter sprachen ein Gebet. (kna 14)
Auto fährt in Demo. „Schwarzer Tag
für München“
Ein Auto fährt in einen Demozug mitten in der bayerischen
Landeshauptstadt, mindestens 30 Menschen werden zum Teil schwerst verletzt.
Schnell scheint klar: der Tatverdächtige ein afghanischer Asylbewerber, die Tat
ein Anschlag. Doch dann gibt es neue Erkenntnisse.
Die Seidlstraße in der Münchner Innenstadt ist übersät von
Trümmern und Kleidungsstücken. Ein umgestürzter Kinderwagen liegt auf der
Fahrbahn. Dort, wo kurz vorher noch Mitglieder der Gewerkschaft Verdi für mehr
Geld im öffentlichen Dienst demonstrierten, herrschen Schock, Entsetzen und
Sorge um die vielen Verletzten, von denen einige in Lebensgefahr schweben
sollen.
Unmittelbar nachdem er den Ort der Tat besucht hat, schreibt
Bayerns Ministerpräsident Markus Söder (CSU) auf der Plattform X zunächst: „In
München hat sich ein schwerer Anschlag ereignet.“ Die bayerische Zentralstelle
für Extremismus und Terrorismus übernimmt die Ermittlungen. Schnell werden
Erinnerung wach an Aschaffenburg, die eine Asyldebatte entfacht hat, die noch
nicht abgeklungen ist und Rechtsextremisten in die Hände spielt.
Der Vizepräsident des Münchner Polizeipräsidiums, Christian
Huber, schildert den Vorfall so: Gegen 10.30 Uhr fährt ein 24 Jahre alter
Asylbewerber aus Afghanistan mit seinem Auto hinter der Demo her, überholt
einen Polizeiwagen zur Absicherung der Gruppe, beschleunigt – und fährt in das
Ende des Demonstrationszuges, zu dem mehrere Menschen ihre Kinder mitgebracht
haben. Die Polizei schießt in Richtung des Verdächtigen und nimmt ihn fest. Am
Freitag soll der Tatverdächtige laut Polizei dem Ermittlungsrichter vorgeführt
werden.
„Aufenthalt war absolut rechtmäßig“
Am Abend werden neue Details zum Tatverdächtigen bekannt.
Der junge Afghane hatte nach Worten von Bayerns Innenminister Joachim Herrmann
(CSU) einen gültigen Aufenthaltstitel und eine Arbeitserlaubnis. „Damit war der
Aufenthalt des Täters bis zum heutigen Tage nach gegenwärtigem Erkenntnisstand
absolut rechtmäßig“, sagt Herrmann am Abend der Deutschen Presse-Agentur in
München. Zugleich berichtet der Minister, dass der Mann nach neuesten
Erkenntnissen und entgegen erster Informationen am Mittag nicht wegen Ladendiebstählen
auffällig geworden war.
Nach Worten Herrmanns kam der Afghane Ende 2016 als
unbegleiteter minderjähriger Flüchtling nach Deutschland. Sein Asylverfahren
wurde demnach im Jahr 2020 endgültig abgeschlossen, mit einem
Ablehnungsbescheid und der Aufforderung zur Ausreise. Die Landeshauptstadt
München habe dann aber im April 2021 einen Duldungsbescheid erlassen und im
Oktober 2021 eine Aufenthaltserlaubnis. Der junge Mann habe eine Schule besucht
und eine Berufsausbildung gemacht. „Er war dann als Ladendetektiv für zwei
Sicherheitsfirmen tätig.“
Deshalb habe es zunächst auch ein Missverständnis gegeben,
eben weil der Mann in mehreren Ladendiebstahlprozessen aufgetreten sei. „Er war
nicht selbst Tatverdächtiger, sondern er war Zeuge“, stellt Herrmann klar.
Söder: Afghane war berufstätig und nicht ausreisepflichtig
Ministerpräsident Markus Söder (CSU) sagt am Abend im ZDF,
der Tatverdächtige sei „wohl bislang eher unauffällig“ gewesen. „Er war nicht
ausreisepflichtig.“ Ein Asylantrag des Mannes sei zwar abgelehnt worden. Die
Landeshauptstadt München habe aber eine Aufenthaltsgenehmigung erteilt, der
junge Mann sei auch berufstätig gewesen.
„Und auch bisherige extremistische Hintergründe sind
jedenfalls nicht auf den ersten Blick so leicht erkennbar“, betont Söder.
Deshalb müsse jetzt weiter ermittelt werden, was der Grund für die schlimme und
furchtbare Tat sei. Dann wird man auch sagen können, ob es ein Anschlag war.
„Ein bitterer Tag für München“
30 Menschen werden bei der Tat verletzt, einige von ihnen so
schwer, dass Söder davon spricht, sie ringen womöglich mit dem Tod.
Landesinnenminister Herrmann spricht von ein bis zwei lebensgefährlich
Verletzten. Die Opfer werden in Münchner Krankenhäusern behandelt – auch in der
Kinderklinik, denn unter ihnen sind laut Oberbürgermeister Dieter Reiter (SPD)
auch Kinder.
Die Tat ereignet sich mitten im Wahlkampfendspurt, etwas
mehr als eine Woche vor der Bundestagswahl – und Politiker fordern einmal mehr
ein hartes Durchgreifen. Bundeskanzler Olaf Scholz sagt: „Dieser Täter kann
nicht auf irgendeine Nachsicht rechnen. Er muss bestraft werden, und er muss
das Land verlassen“, sagt der SPD-Politiker. Bundesinnenministerin Nancy Faeser
(SPD) mahnt: „Der Rechtsstaat muss maximale Härte zeigen.“ AfD-Chefin Alice
Weidel fordert eine „Migrationswende“. Grünen-Kanzlerkandidat Habeck (Grüne)
zeigt sich auf X „entsetzt angesichts dieser sinnlosen Tat“.
„Ein schwarzer Tag“
„Ein bitterer Tag für München“, sagt Oberbürgermeister
Reiter am Tatort, „ein schwarzer Tag“, schreibt er später auf Instagram. „Es
schmerzt einfach“, sagt Söder. „Im Januar ein Ereignis wie in Aschaffenburg und
jetzt hier in München – es reicht einfach.“
„Wir reagieren bei jedem solchen Anschlag besonnen, aber ich
sage Ihnen auch, dass unsere Entschlossenheit wächst. Es ist nicht der erste
Fall, und wer weiß, was noch passiert“, sagt Söder am Ort des Geschehens. Neben
der Aufarbeitung des Einzelfalls und der Anteilnahme müsse der Vorfall
Konsequenzen nach sich ziehen. „Wir können nicht von Anschlag zu Anschlag gehen
und Betroffenheit zeigen (…), sondern müssen auch tatsächlich etwas ändern.“
Vorfall kurz vor der Sicherheitskonferenz
Ob die Tat Auswirkungen hat auf die am Freitag nur rund zwei
Kilometer vom Tatort beginnende Münchner Sicherheitskonferenz, war zunächst
unklar. Mehr als 60 Staats- und Regierungschefs und mehr als 100 Minister
werden zu dem weltweit wichtigsten sicherheitspolitischen Expertentreffen
erwartet – darunter US-Vizepräsident J.D. Vance, der ukrainische Präsident
Wolodymyr Selenskyj und Bundeskanzler Scholz.
Es gebe keinen Hinweis darauf, „dass es irgendeinen
Zusammenhang mit der Sicherheitskonferenz gibt“, sagt Innenminister Herrmann
nach der Tat. Das Motiv des jungen Mannes sei noch unklar. „Im Moment gehen wir
in der Tat davon aus, dass die Zielgruppe hier, dass die Opfer aus den Reihen
dieser Verdi-Demonstration eher zufällig waren“, sagt Herrmann. „Aber auch dem
muss natürlich nachgegangen werden.“ (dpa/mig 14)
Die Krisen der letzten Jahre haben tiefe Spuren
hinterlassen, das Misstrauen gegenüber der Politik ist beunruhigend. Davon
profitieren die Rechten. Jan-Werner Müller
Nicht nur Donald Trump ist ins Weiße Haus zurückgekehrt, die
Rechtsextremen sind auch drauf und dran, in Österreich zum ersten Mal in der
Nachkriegsgeschichte den Bundeskanzler zu stellen, und in Deutschland stehen
nach dem Zusammenbruch der Ampelkoalition im nächsten Monat schwierige Wahlen
an. Ist jedes dieser Länder auf seine Weise unglücklich (um Tolstoi zu
paraphrasieren), oder gibt es einen gemeinsamen Nenner für ihr Unglück?
Obwohl viele Kommentatoren die jüngsten politischen
Ergebnisse als Ausdruck einer weit verbreiteten Tendenz zur
Verantwortungslosigkeit werten, sagt dies noch nichts darüber aus, warum sich
die Wähler von den etablierten Parteien abwenden. Eine Erklärung ist natürlich
die Inflation. Eine andere, weitgehend unterschätzte Ursache sind die Folgen
der Pandemie, die in vielen Gemeinden nicht nur ein anhaltendes Gefühl des
Verlusts, sondern auch ungelöste Konflikte und tiefes Misstrauen hinterlassen
hat.
In Österreich hat die extreme Rechte massiv von der
Unzufriedenheit mit dem Umgang mit der Pandemie profitiert. In Italien waren 40
Prozent derjenigen, die bei den letzten Wahlen für die Fratelli d’Italia von
Ministerpräsidentin Giorgia Meloni gestimmt hatten, der Ansicht, dass die
Entscheidungen der Vorgängerregierung über Impfstoffe „eine undemokratische
Einschränkung der Freiheit der Bürger“ darstellten. In seiner zweiten
Antrittsrede erntete Trump Beifall, als er erwähnte, dass er Soldaten wieder
einstellen werde, die wegen Nichtbeachtung der Impfvorschriften entlassen
worden waren.
Die libertäre Unzufriedenheit mit früheren Beschränkungen
und Auflagen ist eine Sache, das anhaltende Misstrauen gegenüber
Wissenschaftlern eine ganz andere. Letzteres wird sich nicht nur auf das
Gesundheitswesen, sondern auch auf die Klimapolitik und andere hochpolitische
Bereiche der Wissenschaft auswirken. Der ehemalige US-Präsident Joe Biden
fürchtete die Verfolgung von Wissenschaftlern durch die neuen Trumpisten mit
ihren diversen „Feindeslisten“ so sehr, dass er in den letzten Stunden seiner Präsidentschaft
Anthony Fauci, den Leiter des Instituts für Allergie und Infektionskrankheiten
während der Pandemie, vorsorglich begnadigte. (Trump versuchte noch, seiner
Basis zu gefallen, indem er Faucis Personenschützer entließ, obwohl er
regelmäßig Morddrohungen erhielt.)
Trumps Kandidat für die Leitung des Nationalen
Gesundheitsinstituts, Jay Bhattacharya, ist vor allem dafür bekannt, dass er
die Auswirkungen der Pandemie herunterspielt und die Meinung vertritt, man
solle dem Virus erlauben, sich weiträumig auszubreiten, um eine Herdenimmunität
zu entwickeln. Er hat auch versucht, die Finanzierung der Wissenschaft mit dem
Grad der akademischen Freiheit an den Universitäten zu verknüpfen, obwohl
unklar ist, wie er solche Bewertungen vornehmen würde. Im vergangenen Herbst
sagte er zu, bei einem „Benefizdinner“ des Heartland Institute zu sprechen,
einer führenden Organisation für die Leugnung des Klimawandels. Zu den anderen
Rednern gehörten der rechte Brexit-Befürworter Nigel Farage und der
russlandfreundliche rechtsextreme österreichische Politiker Harald Vilimsky.
Es ist nicht falsch, vorsichtig mit wissenschaftlichen
Erkenntnissen umzugehen. Wie Karl Popper und viele andere
Wissenschaftsphilosophen argumentiert haben, sollten Wissenschaftler offen
dafür sein, dass ihre Hypothesen falsifiziert werden; sie sollten Infragestellungen
und Revisionen begrüßen. Das Problem ist, dass nur sehr wenige von uns in der
Lage sind, wissenschaftliche Debatten zu beurteilen, geschweige denn den
vorherrschenden Konsens in Frage zu stellen (selbst wenn wir „eigene
Forschungen“ angestellt haben). Im heutigen Informationsökosystem ist es jedoch
einfacher denn je, unbequeme Fakten mit vagen Hinweisen auf angebliche Fehler
während der Pandemie oder mit Verschwörungstheorien über Vertuschung und
unrechtmäßige Übertragung von Regierungsbefugnissen an Wissenschaftler abzutun.
Es stimmt, dass viele der Auseinandersetzungen über die
Pandemie einfach auf bestehende politische Differenzen zurückzuführen sind.
Aber das war nicht unvermeidlich. Es ist vielmehr das Ergebnis der Tatsache,
dass einige Politiker das Virus als eine weitere Front im Kulturkampf
behandeln. Selbst innerhalb der extremen Rechten gibt es unterschiedliche
politische Strömungen. Während Trump und der ehemalige brasilianische Präsident
Jair Bolsonaro eine liberale Politik und Quacksalberei (wie das Spritzen von Bleichmitteln)
befürworteten, verfolgte Viktor Orbán einen relativ restriktiven Ansatz.
Was kann getan werden? Eine Möglichkeit ist die Einsetzung
unabhängiger Kommissionen, die den Umgang mit der Pandemie historisch korrekt
aufarbeiten. Wer traf welche Entscheidungen und warum? Wie groß war die
Unsicherheit, und wie wurden Risiken und Kompromisse bewertet?
Theoretisch gibt es in vielen politischen Kreisen bereits
Unterstützung für eine solche Idee. Kein Geringerer als Peter Thiel, der
Risikokapitalgeber und Finanzier rechtsextremer Anliegen, forderte kürzlich
eine Initiative zur Aufarbeitung der Fakten nach dem Vorbild der Wahrheits- und
Versöhnungskommission im Post-Apartheid-Südafrika (wo er teilweise aufgewachsen
ist).
Natürlich besteht die Gefahr, dass solche Kommissionen
sofort als parteiisch wahrgenommen werden, insbesondere von jenen, die
Wissenschaftlern ohnehin misstrauen. Dies war sicherlich beim Unterausschuss
des Repräsentantenhauses zur Coronavirus-Pandemie der Fall, dessen
Abschlussbericht landesweit wenig Beachtung fand. Ein mögliches Mittel ist eine
Bürgerversammlung, die sich aus einer zufälligen Auswahl von Erwachsenen
zusammensetzt (ähnlich einer Jury vor Gericht). Der scheidende deutsche
Bundeskanzler Olaf Scholz, der einräumte, dass die Schulschließungen während
der Pandemie wahrscheinlich zu weit gingen, begrüßte kürzlich einen solchen
Ansatz.
Kritiker werden einwenden, dass die Auswahl von
Expertenmeinungen für Impfskeptiker oder Personen, die noch eine politische
Rechnung zu begleichen haben, ein Streitpunkt bleiben werde, da „normale
Bürger“ erst einmal Experten anhören müssten. Aber allein die Möglichkeit,
unterschiedliche Einschätzungen (aber keine Verschwörungstheorien) öffentlich
zu machen, könnte eine kathartische Wirkung haben. Selbst wenn der
Abschlussbericht einer Bürgerversammlung vielleicht nicht von allen akzeptiert
würde, gäbe es immerhin ein offizielles Protokoll. Fast alle Kommissionen, die
sich in ähnlicher Weise mit vergangenen Diktaturen in Mitteleuropa,
Lateinamerika und anderswo befasst haben, sind kritisiert worden, aber nur
wenige Länder haben es bereut, sie eingesetzt zu haben.
Zum jetzigen Zeitpunkt ist jeder Versuch, das giftige
politische Erbe der Pandemie zu entschärfen, zu begrüßen. PS/IPG 14
47.000 Zurückweisungen. Bundesregierung
verlängert Grenzkontrollen bis September
Deutschland hat im September 2024 die Kontrollen an den
Grenzen ausgeweitet. Die vieldiskutierte Maßnahme wirkt, sagt die
Innenministerin – und ordnet eine Verlängerung an. Bisher seien 47.000 Menschen
an den Grenzen zurückgewiesen worden.
Die Bundesregierung will die seit September 2024 an allen
deutschen Grenzen geltenden Kontrollen bis zum Herbst verlängern. Wie Kanzler
Olaf Scholz und Innenministerin Nancy Faeser (beide SPD) am Mittwoch
mitteilten, sind die Kontrollen über Mitte März hinaus für weitere sechs Monate
angeordnet und bei der Europäischen Kommission notifiziert worden. Mit den
Grenzkontrollen werde die sogenannte irreguläre Migration zurückgedrängt,
begründete Scholz den Schritt.
Der Regierungschef verwies dabei auf die aktuellen Zahlen,
wonach die Asylgesuche im vergangenen Jahr um ein Drittel zurückgegangen sind.
Dem Bundesinnenministerium zufolge äußerten im vergangenen Jahr rund 213.000
Menschen bei der Einreise nach Deutschland die Bitte um Schutz. 2023 waren es
rund 111.000 mehr. Das entspricht einem Rückgang von 34 Prozent.
Zahl der Asylanträge sinkt
Die Zahl der Asylanträge sank im gleichen Zeitraum um 30
Prozent. 2024 gingen 230.000 Erstanträge auf Schutz in Deutschland ein.
Zudem hat es Scholz und Faeser zufolge inzwischen Festnahmen
von 1.900 Schleusern gegeben. Wie viele der Festgenommenen tatsächlich
Schleuser sind, werden die Ermittlungen zeigen. Menschenrechtler werfen ein,
viele Beschuldige seien gar keine Schleuser, sondern Menschen auf der Flucht,
die beispielsweise ein Boot oder ein Kfz steuern mussten, aber kein Geld an der
Flucht anderer Menschen verdienen. Sie kritisieren, dass Geflüchtete oft
kriminalisiert würden, obwohl sie ihr Recht auf Asyl in Anspruch nehmen wollen.
47.000 Menschen zurückgewiesen
Rund 47.000 Menschen seien zurückgewiesen worden. Das
betrifft Menschen, die keine Einreiseerlaubnis oder einen gültigen
Aufenthaltstitel für Deutschland haben. Asylsuchende werden auf Grundlage
europäischer Regeln und internationalem Recht nicht zurückgewiesen. Das ist
politisch umstritten, juristisch jedoch unumstritten.
An einzelnen deutschen Grenzen gibt es seit der
Fluchtbewegung im Jahr 2015 Grenzkontrollen, beispielsweise zu Österreich. Seit
dem 15. September wird an allen deutschen Grenzen kontrolliert. Die aktuell
geltende Anordnung erfolgte damals für ein halbes Jahr, gilt also bis Mitte
März. Die Verlängerung gilt dann bis zum 15. September. (epd/mig 13)
Faeser sieht SPD und Union bei
Migration nicht weit auseinander
In der Flüchtlingspolitik ging es zuletzt im Bundestag heiß
her. Nun weist Innenministerin Faeser auf Gemeinsamkeiten mit der Union hin.
Auch die SPD wolle Migration weiter reduzieren – insbesondere die „irreguläre“.
Die Grünen sehen ebenfalls keine unüberwindbaren Hindernisse. Linke bestätigt.
Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) schlägt im Streit
mit der Union um die Migrationspolitik versöhnliche Töne an. „Wir sind gar
nicht so weit auseinander“, sagte Faeser in einem Podcast des Magazins
„Politico“ zum Kurs des Unions-Kanzlerkandidaten Friedrich Merz (CDU). An den
deutschen Grenzen werde bereits zurückgewiesen: „Wir haben allein 44.000
Zurückweisungen seit Oktober 2023.“
Die Pläne der Union, alle zurückzuweisen, seien jedoch
europarechtlich nicht haltbar. „Wo Herr Merz einen Punkt hat, ist, dass wir ein
nicht funktionierendes sogenanntes Dublin-System haben“, führte die
SPD-Politikerin aus. „Das heißt, wenn Leute schon mal in einem anderen EU-Land
Asyl beantragt haben, dann funktioniert die Rücküberstellung aus Deutschland in
diese Länder nicht gut.“
Ziel sei es, die Zahlen bei der Migration zu reduzieren. „Da
sind wir völlig konform mit der CDU. Auch wir wollen als Sozialdemokratie die
Migration, gerade die irreguläre, weiter reduzieren“, meinte Faeser.
Kretschmann: Mit Union bei Migration „nicht meilenweit
auseinander“
Auch der baden-württembergische Ministerpräsident Winfried
Kretschmann (Grüne) schließt eine Zusammenarbeit von Union und Grünen in einer
künftigen Bundesregierung trotz Differenzen beim Thema Migration nicht aus.
„Wir kommen je woanders her, aber dass wir meilenweit auseinanderliegen – ich
meine, wir regieren hier auch zu diesem Thema – ich kann nicht sehen, dass wir
da meilenweit auseinanderliegen“, sagte er am Dienstag in Stuttgart.
Wenn man zusammenarbeite, „weil man muss oder weil man
will“, dann finde man auch inhaltlich zueinander, sagte Kretschmann weiter:
„Und jetzt bitte: Irgendjemand muss ja regieren am Schluss, und es ist der
Wille aller, dass das nicht unter Beteiligung der AfD geschieht.“ Darum werde
er nicht sagen, dass eine Zusammenarbeit nicht möglich sei.
Linke bestätigt Gemeinsamkeiten von SPD und Union
Die Linke-Politikerin im Bundestag, Clara Bünger, stimmte
Faeser zu. „SPD und Union unterscheiden sich in ihrem fluchtpolitischen
Programm tatsächlich nur marginal. Beide vertreten eine
Geflüchtete-raus-Politik“, erklärte Bünger. Während die SPD dieses Programm
zusammen mit den europäischen Partnern umsetzen und in erster Linie die
EU-Außengrenzen weiter abschotten wolle, fordere Merz, zusätzlich auch die
nationalen Grenzen dicht zu machen.
„Schon jetzt führt die Bundespolizei massenhaft
Zurückweisungen an den Binnengrenzen durch. 2024 betraf dies mehr als 40.000
Personen, darunter viele Geflüchtete aus Ländern wie Syrien, der Türkei und
Afghanistan. Vieles deutet daraufhin, dass die Beamten dabei Asylgesuche
systematisch überhören, um die Betreffenden an der Einreise hindern zu können.
Diese Praxis verstößt gegen internationales und europäisches Recht und muss
beendet werden“, erklärte Bünger weiter. Die permanente Skandalisierung von Migration
sei ein gewaltiges Ablenkungsprogramm. Damit täuschten SPD und Union darüber
hinweg, dass sie für die echten Probleme der Menschen keine Lösungen haben.
(dpa/epd/mig 13)
Wahlprogramme 2025 – Viele
Geschenke, kaum Gegenfinanzierung
München – Das ifo Institut hat ermittelt, dass einige
Parteien zur Bundestagswahl zwar Steuerentlastungen versprechen, dabei aber
wenige Vorschläge zu deren Gegenfinanzierung machen. Die ifo Forscher warnen
davor, dass einige der Reformvorschläge zu erheblichen Defiziten im
Staatshaushalt führen könnten. „Unsere Analysen zeigen, dass viele
Reformvorschläge große Finanzierungslücken aufweisen. Ein tragfähiges Konzept
erfordert eine klare Gegenfinanzierung, um langfristig wirtschaftliche
Stabilität zu gewährleisten“, sagt Studienautor Maximilian Blömer.
Die Autoren untersuchen zentrale Vorschläge der
Wahlprogramme zum Steuer- und Transfersystem und zeigen, welche Impulse dies
auf Einkommen und Arbeitsanreize setzen würde. Die Datenanalyse zeigt große
Unterschiede zwischen den Wahlprogrammen:
Einige Parteien versprechen umfassende Steuersenkungen.
CDU/CSU setzen auf ein umfassendes Reformprogramm, bei dem die betrachteten
Elemente zu jährlich 97 Milliarden Euro Mindereinnahmen des Staates führen
würden. Etwas weiter gehen die betrachteten Forderungen bei der FDP, die 142
Milliarden Euro kosten würden. Die Vorschläge zu Steuersenkungen könnten
Arbeitsanreize stärken, dies reicht aber nicht aus, um die negativen Effekte
für den Staatshaushalt auszugleichen. Die Eigenfinanzierungsquote daraus liegt
bei etwa 10 Prozent, errechnen die Autoren. SPD und Grüne vermeiden größere
Reformen und bieten fiskalisch eher ausgeglichene Forderungen im Steuer- und
Transfersystem an.
AfD und BSW haben hingegen Wahlprogramme vorgelegt, die die
oben genannten Steuergeschenke nochmals überbieten wollen. Die Nachhaltigkeit
dieser Versprechungen bleibt bei den meisten Programmen unklar, sodass
Steuererhöhungen oder eine höhere Verschuldung notwendig wären. Die Linke legt
Pläne beim Steuer- und Transfersystem vor, die stark negative Arbeitsanreize
setzen.
Das ifo Institut empfiehlt, die Wahlprogramme unter
Berücksichtigung ihrer Finanzierbarkeit zu bewerten. „Berücksichtigt man dies,
relativieren sich die ganz großen Steuergeschenke schnell, bei denen oftmals
nur in den oberen Einkommen etwas übrigbleibt“, sagt Lilly Fischer, Ko-Autorin
der Studie.
Gemeinsam mit der ZEIT stellt das ifo Institut die
Ergebnisse der Studie auch über einen interaktiven Steuerrechner
(www.zeit.de/steuerrechner) zur Verfügung.
Aufsatz: „Reformvorschläge oder Steuergeschenke? Die
Wahlprogramme 2025 auf dem Prüfstand“ von Maximilian Blömer, Eike Johannes
Eser, Lilly Fischer und Andreas Peichl, in ifo Schnelldienst digital, 2025, 6,
Nr. 2
Italien: Toskana verabschiedet
Gesetz zu Suizidbeihilfe
Als erste Region Italiens hat die Toskana ein Gesetz mit
Regelungen zu medizinisch assistiertem Suizid verabschiedet.
Nach zweitägiger Debatte nahm der Regionalrat am
Dienstagabend den Gesetzesvorschlag an. Er legt Zeitrahmen und Zuständigkeiten
für den Zugang zum Verfahren der ärztlich assistierten Selbsttötung fest.
Maximal 37 Tage dürfen demnach vergehen von Antragstellung,
dem Einsetzen einer Medizin- und Ethik-Kommission, der Zuweisung eines Arztes
und eines Medikamentes bis zur Ausführung der Selbsttötung - wenn der Antrag
angenommen wird. Weiter sieht das Gesetz die Gleichbehandlung aller Patienten
vor, die sich mit dem Anliegen an die lokalen Gesundheitsbehörden wenden. Das
gesamte Verfahren ist kostenfrei. Innerhalb von 60 Tagen kann Italiens
Regierung das Gesetz vor dem Verfassungsgericht anfechten.
„Niederlage für alle“
Die katholischen Bischöfe der Toskana verurteilten das
Gesetz als „Niederlage für alle“. „Wir nehmen die Entscheidung des Regionalrats
der Toskana zur Kenntnis, aber dies wird unseren Einsatz zugunsten des Lebens
nicht einschränken, niemals und unter keinen Umständen“, so der Vorsitzende der
Toskanischen Bischofskonferenz, Kardinal Augusto Paolo Lojudice.
In seiner Stellungnahme am Dienstagabend schreibt er weiter:
„Den Krankenhausseelsorgern, den Ordensleuten und den Freiwilligen, die in
Hospizen und an all den Orten arbeiten, an denen man jeden Tag mit Krankheit,
Schmerz und Tod konfrontiert ist, sage ich, dass sie nicht aufgeben und
weiterhin Hoffnung und Leben bringen sollen. Trotz allem.“
Keine nationale Regelung
National gibt es in Italien bislang keine festen Regelungen
zu assistiertem Suizid. Im Jahr 2019 entschied das Verfassungsgericht, dass es
unter bestimmten Umständen straffrei sei, die Ausführung eines frei gebildeten
Suizidvorsatzes zu erleichtern. Im vergangenen Jahr bestätigte es die damals
festgelegten Voraussetzungen für den Zugang zu assistiertem Suizid.
Der Aufforderung der Richter, eine gesetzliche Regelung zu
entwerfen, kam das italienische Parlament bislang jedoch nicht nach. In anderen
Regionen Italiens stehen entsprechende Gesetze zur Diskussion. (kna 12)
Vor der Wahl. Bundestag
verabschiedet sich mit Schlagabtausch
Der Kanzler bezichtigt den Oppositionsführer der „Zockerei“.
Der wundert sich: „Was war das denn?“ Ein erbitterter Schlagabtausch der beiden
bestimmt die Abschiedsdebatte des Bundestags. Zentrales Thema ist weiter die
Flüchtlingspolitik – und die AfD.
Tief zerstritten hat sich der Bundestag knapp zwei Wochen
vor der vorgezogenen Neuwahl mit einer letzten Debatte über die Lage in
Deutschland verabschiedet. Vor allem Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) und sein
aussichtsreichster Herausforderer Friedrich Merz von der Union lieferten sich
erneut einen harten Schlagabtausch über Migration, den Kurs in der
Wirtschaftspolitik und den Umgang mit der AfD.
Scholz warf Merz vor, mit seinen Migrationsplänen die
europäische Integration zu gefährden. „Friedrich Merz tritt an, Europa zu Grabe
zu tragen“, sagte er. Damit stelle er auch das „stolze Erbe“ der früheren
CDU-Kanzler Konrad Adenauer, Helmut Kohl und Angela Merkel infrage. Erneut
warnte der Kanzler davor, dass die Union nach der Wahl eine Koalition mit der
vom Verfassungsschutz als teilweise rechtsextremistisch eingestuften AfD
eingehen könnte.
Merz wies das als gezielte Angstmacherei zurück. „Es kommt
eine Zusammenarbeit von uns mit der AfD nicht infrage“, versicherte er. Dem
Kanzler warf er vor, einen „Popanz“ aufzubauen – gemeint sei damit eine
„Kunstfigur“, mit der man versuche, Menschen Angst zu machen. Für die Zeit nach
der Wahl bot Merz den Parteien der „demokratischen Mitte“ die Zusammenarbeit
an.
Neuer Bundestag spätestens 30 Tage nach der Wahl
Der erbitterte Schlagabtausch der beiden Kanzlerkandidaten
bestimmte die letzte Debatte des 20. Bundestags, der sich nach dem Bruch der
Ampel-Koalition im November etwa sieben Monate früher auflöst als geplant.
Spätestens 30 Tage nach der Wahl am 23. Februar wird er vom 21. Bundestag
abgelöst, der dann deutlich kleiner sein wird. Das neue, von der
Ampel-Koalition beschlossene Wahlrecht begrenzt die Größe auf 630 Abgeordnete.
Bei der Wahl 2021 waren noch 736 Abgeordnete in den Bundestag eingezogen.
Nach den aktuellen Umfragen hat die Union mit Werten
zwischen 28 und 34 Prozent beste Chancen, stärkste Kraft zu werden. Dahinter
folgt die AfD mit 20 bis 22 Prozent. Die Kanzlerpartei SPD stagniert bei 15 bis
18 Prozent abgeschlagen auf Platz drei.
Scholz: „Wir kommen da durch“
Scholz reagiert auf die bisher ausbleibende Trendwende mit
schärfer werdenden Angriffen gegen Merz, so auch schon beim ersten Fernsehduell
mit seinem Herausforderer am Sonntag. In seiner Rede im Bundestag stimmte er
die Bürger aber zunächst auf schwierige Zeiten ein, versuchte aber gleichzeitig
Zuversicht zu verbreiten: „Der Wind weht derzeit von vorn. Und die Wahrheit
ist: Das wird sich in den kommenden Jahren auch nicht grundlegend ändern.“
Er wolle nicht das Blaue vom Himmel versprechen, betonte er.
„Aber was ich den Bürgerinnen und Bürgern verspreche, ist: Wir kommen da
gemeinsam durch! Wir kommen da durch, wenn wir jetzt nicht falsch abbiegen.“
Das „Wir kommen da durch“ erinnert an eines der bekanntesten Zitate seiner
Vorgängerin Angela Merkel aus der Zeit, als sie die Grenzen für Flüchtlinge aus
Syrien öffnete: „Wir schaffen das.“
Die Attacken des Kanzlers gegen Merz bezogen sich erneut vor
allem auf den Eklat Ende Januar, als die Union mit den Stimmen der AfD einen
Fünf-Punkte-Plan zur Migration durch den Bundestag brachte. Er warf Merz erneut
„Zockerei“ vor. „Die Bürgerinnen und Bürger wissen jetzt: Wenn Friedrich Merz
den Kompromiss unter Demokraten zu schwierig findet, dann macht er gemeinsame
Sache mit denen da“, sagte Scholz. Deshalb gehe es bei der Bundestagswahl nun
darum, „Schwarz-Blau unmöglich zu machen“.
Merz: „Was war das denn?“
Merz konterte die Rede mit den Worten: „Was war das denn? 25
Minuten abgelesene Empörung über den Oppositionsführer. Herzlichen Glückwunsch,
Herr Bundeskanzler.“ Der SPD-Kanzlerkandidat verwechsele die Bundestagssitzung
wohl mit einem Juso-Bundeskongress.
Der CDU-Chef versprach erneut, dass die Union nicht mit der
AfD koalieren werde. Er nutzte seine Rede für eine Generalabrechnung mit drei
Jahren Regierungsarbeit vor allem von SPD und Grünen – die FDP verschonte er.
Scholz und sein Vizekanzler Robert Habeck (Grüne) kämen ihm so vor wie zwei
angestellte Geschäftsführer, die ein Unternehmen vor die Wand gefahren hätten
und anschließend den Eigentümern vorschlagen würden: „Wir würden das jetzt
gerne nochmal vier Jahre so weiter machen. So kommen Sie mir vor.“
Die Regierung hinterlasse ein „schieres Desaster“ auf dem
Arbeitsmarkt. Scholz verlasse das Bundeskanzleramt mit fast drei Millionen
Arbeitslosen, fast 400.000 mehr als zu Beginn der Amtszeit. Zudem habe es in
dieser Zeit 50.000 Unternehmensinsolvenzen gegeben und einen Kapitalabfluss in
einer Größenordnung von rund 100 Milliarden Euro im Jahr. „Sie nehmen
offensichtlich die Wirklichkeit überhaupt nicht mehr wahr“, rief Merz in
Richtung Scholz.
Habeck: Klimaschutz darf nicht auf der Strecke bleiben
FDP-Chef Christian Lindner zeigte sich erschüttert über das
Auftreten von Scholz und Merz zuletzt auch im TV-Duell am Sonntag. „Es ist eine
erschreckende Aussicht, dass Sie beide das Land miteinander alleine regieren
könnten“, sagte er.
Grünen-Kanzlerkandidat Robert Habeck widmete seine Rede vor
allem dem Klimaschutz – ein Thema, das im Wahlkampf bisher kaum wahrgenommen
wird. Es dürfe nicht auf der Strecke bleiben, mahnte er. „Wir können kein Land
haben, das regiert wird von Leuten, die Sorge haben, Probleme anzufassen.“ Die
Welt werde es verkraften, wenn die USA zeitweise aus dem globalen Klimaschutz
ausstiegen. Wenn dies aber Deutschland tue, werde Europa seine Ziele nicht
einhalten können. „Wenn Europa umfällt, dann ist es vorbei mit dem globalen
Klimaschutz.“
Merz ruft zur Kooperationsbereitschaft nach der Wahl auf
Merz blickte in seiner Rede auch auf die Zeit nach dem 23.
Februar und rief die Parteien der demokratischen Mitte dazu auf, sich dann
kooperationsbereit zu zeigen. Bis zur Wahl werde man hart kämpfen, sagte er
Aber dann sollten „wir in der breiten politischen Mitte“, die Probleme des
Landes so lösen, „dass der Populismus in unserem Land, sei er von links oder
sei er von rechts, nicht noch stärker wird“, betonte Merz. „Das ist eine
Verantwortung, der können Sie sich nicht entziehen und der werden wir uns auch
nicht entziehen.“ (dpa/mig 12)
Abtreibungsreform vorerst
gescheitert
Der Bundestag wird vor der Wahl nicht mehr über die geplante
Reform des Abtreibungsrechts abstimmen. Das Vorhaben, Schwangerschaftsabbrüche
in den ersten zwölf Wochen zu legalisieren, ist damit vorerst gescheitert.
Vertreter der katholischen Kirche, Lebensschutz-Organisationen und andere
Verbände sind erleichert über diese Entwicklung. Von Mario Galgano
Kurz vor der Bundestagswahl hatten SPD, Grüne und Linke
versucht, das Abtreibungsrecht grundlegend zu reformieren und
Schwangerschaftsabbrüche in weiten Teilen straffrei zu stellen. Dazu fand eine
Expertenanhörung im Rechtsausschuss des Deutschen Bundestages statt. Während
Befürworter die Reform als überfällig betrachteten, warnten Kritiker vor einem
„Dammbruch“ beim Schutz ungeborenen Lebens. Einer der schärfsten Kritiker war
Kristijan Aufiero, Gründer der Schwangerschaftskonfliktberatungsinitiative 1000plus
– Pro Femina. Er wurde als Sachverständiger in den Rechtsausschuss geladen und
äußerte sich besorgt über die möglichen Folgen des Gesetzesvorhabens.
„Der vorliegende
Gesetzentwurf stellt keine Verbesserung der Situation von Frauen im
Schwangerschaftskonflikt in Aussicht“, erklärte Aufiero. „Er verbessert nicht
die echte Entscheidungsfreiheit von Schwangeren in Not. Im Gegenteil: Der
Entwurf in seiner jetzigen Form verringert wirkliche Entscheidungsfreiheit,
weil alle bisherigen lebensbejahenden und lösungsorientierten Elemente und
Vorgaben der bestehenden Regelung gestrichen werden.“
Spaltung unter den Experten
Die Anhörung im Bundestag zeigte, wie umstritten das Thema
ist. Während einige Sachverständige die geplante Gesetzesänderung für
verfassungswidrig hielten, sprachen sich andere für eine Reform aus und sahen
darin eine Verbesserung der Versorgungslage bei Schwangerschaftsabbrüchen. Die
Sitzung endete jedoch ohne konkrete Absprachen zum weiteren Vorgehen.
Eine der Initiatorinnen des Gesetzentwurfs, die
SPD-Abgeordnete Carmen Wegge, räumte nach der Anhörung ein, dass eine
Abstimmung vor der Wahl unwahrscheinlich sei. „Wir wollen eine klare
demokratische Mehrheit erwirken“, sagte sie. Ohne Unterstützung aus der Union
und der FDP bestehe die Gefahr einer Zufallsmehrheit mit Stimmen der AfD.
„Diese rote Linie überschreiten wir nicht.“ Dennoch wolle man auch nach der
Wahl weiter für eine Reform kämpfen.
Was die Reform des Abtreibungsrechts wollte
Das zentrale Ziel des interfraktionellen Gesetzentwurfs war
es, Schwangerschaftsabbrüche aus dem Strafgesetzbuch zu entfernen. Abbrüche bis
zur zwölften Woche sollten als „rechtmäßig und straffrei“ gelten und
stattdessen im Schwangerschaftskonfliktgesetz geregelt werden.
Union und AfD sprachen sich vehement gegen eine solche
Änderung aus, während SPD, Grüne und ein Teil der FDP den Entwurf
unterstützten. Derzeit sind Abtreibungen in Deutschland rechtswidrig, aber in
den ersten zwölf Wochen unter bestimmten Umständen straffrei; diese Regelung
bleibt nun vorerst bestehen.
Kritik an fehlenden Hilfsangeboten
Aufiero betonte, der Gesetzentwurf habe keine ausreichenden
Maßnahmen zur Unterstützung von Schwangeren in Not enthalten. „Echte
Entscheidungsfreiheit für ungeplant schwangere Frauen wird nur dann ermöglicht,
wenn ihnen in ihrer Notlage kompetente Information, bestmögliche Beratung und
konkrete Hilfe angeboten werden“, erklärte er. „Nur dann können subjektiv
tragbare Alternativen zur Abtreibung in die Entscheidungsfindung miteinbezogen
werden.“
„Nicht ein einziges Hilfsangebot“
Laut einer Erhebung der Initiative 1000plus sind die vier
häufigsten Gründe für eine Abtreibung biografische Umstände (41,2 Prozent),
Überlastung (31,7 Prozent), Probleme in der Partnerschaft (17,5 Prozent) und
finanzielle Schwierigkeiten (6 Prozent). „Wenn es wirklich um die Herstellung
von Selbstbestimmung und echter Wahlmöglichkeit gehen würde, müssten konkrete
Hilfsangebote in den Gesetzentwurf aufgenommen werden“, so Aufiero weiter. Der
Entwurf enthalte jedoch „nicht ein einziges Hilfsangebot“ für Schwangere in
Not.
Erleichterung bei Lebensschutz-Organisationen
Mit dem Scheitern der Abstimmung sehen viele
Lebensschutz-Organisationen die Gefahr eines „Dammbruchs“ vorerst abgewendet.
Auch Vertreter der katholischen Kirche begrüßen die Entwicklung. Sie mahnen
jedoch an, dass die Debatte um eine Reform des Abtreibungsrechts nach der Wahl
weitergehen dürfte.
Die Zukunft des Paragraphen 218 im Strafgesetzbuch bleibt
jedoch offen. Während die Befürworter der Reform auf eine erneute Initiative in
der kommenden Legislaturperiode setzen, fordern Kritiker verstärkte
Hilfsmaßnahmen für Schwangere in Not, um echte Alternativen zur Abtreibung zu
ermöglichen. (bundestag.de 11)
Papst an KI-Gipfel in Paris:
Wahrung der Menschenwürde achten
Papst Franziskus hat in einer Botschaft an den französischen
Präsidenten Emmanuel Macron anlässlich des „Gipfels für Maßnahmen zur
Künstlichen Intelligenz“ in Paris vor den Risiken der Technologie gewarnt. Der
Papst betonte, dass ohne klare Kontrollmechanismen Künstliche Intelligenz (KI)
zu einer Bedrohung für die menschliche Würde werden könnte. Mario Galgano
Bereits beim G7-Gipfel in Apulien im vergangenen Jahr hatte
der Papst auf die Notwendigkeit hingewiesen, „einen bedeutenden menschlichen
Kontrollraum über den Entscheidungsprozess von KI-Programmen zu gewährleisten
und zu schützen“. In seiner aktuellen Botschaft begrüßte er die Bemühungen der
Politik, KI nicht auf reine Datenverarbeitung zu reduzieren und ihre
Auswirkungen auf Gesellschaft, Kultur und Ethik umfassend zu reflektieren.
Zum Nachhören - was der Papst geschrieben hat
Die Rolle des Heiligen Stuhls in der KI-Debatte
Der Heilige Stuhl engagiert sich seit Jahren intensiv in der
Diskussion um Künstliche Intelligenz. Die Päpstliche Akademie für das Leben
arbeitet eng mit führenden Technologieunternehmen zusammen, um ethische
Standards für KI zu entwickeln. Ein entscheidender Meilenstein war der „Rome
call for AI Ethics" (der vier Seiten lange „Römische Aufruf für
KI-Ethik“), der am 28. Februar 2020 in Rom verabschiedet wurde. Zu den
Erstunterzeichnern gehörten neben dem Vatikan die Tech-Unternehmen Microsoft
und IBM, die Ernährungs- und Landwirtschaftsorganisation der Vereinten Nationen
(FAO) sowie die italienische Regierung.
Mittlerweile haben sich zahlreiche weitere Akteure dem
Aufruf angeschlossen, darunter Vertreter verschiedener Religionen, Unternehmen
wie Cisco und die Anglikanische Kirche. Der Präsident der Päpstlichen Akademie
für das Leben, Erzbischof Vincenzo Paglia, betont in diesem Zusammenhang im
Gespräch mit Radio Vatikan die Notwendigkeit einer „AlgorEthik“ – ein ethischer
Rahmen für Algorithmen, der verhindern soll, dass KI-Systeme zur „Algokratie“,
einer Tyrannei der Berechnung, werden. Papst Franziskus fordert eine solche
Algor-Ethik seit 2019 ein und erneuerte seine Aufforderung beim G7-Gipfel
in Apulien am 14. Juni 2024.
Ein neuer Humanismus als Gegengewicht zur Technologie
Papst Franziskus unterstrich in seiner Botschaft an den
Pariser Gipfel, dass die zentrale Frage der KI-Entwicklung eine
anthropologische sei: „Wird der Mensch im Kontext des technologischen
Fortschritts wirklich besser, das heißt reifer, bewusster und verantwortlicher?“
In seiner jüngsten Enzyklika Dilexit nos hebt er hervor, dass Algorithmen den
Menschen täuschen können, während das menschliche Herz – im Sinne Blaise
Pascals – niemals irrt.
„Wir stehen vor einer radikalen Transformation dessen, was
der Mensch ist.“
Auch Erzbischof Paglia warnt vor einer zunehmenden
Entfremdung des Menschen von seiner eigenen Natur. Er verweist auf den
japanischen Physiker Hiroshi Ishiguro, der bereits vor Jahren prognostizierte,
dass die heutige Generation die letzte organische Menschheit sein könnte –
künftig könnten Menschen aus synthetischen Materialien bestehen. „Wir stehen
vor einer radikalen Transformation dessen, was der Mensch ist“, warnte Paglia.
Europa in der Pflicht
Der Heilige Stuhl fordert internationale Vereinbarungen zur
Regulierung von KI, ähnlich dem Pariser Klimaabkommen von 2015. Dabei sieht der
Vatikan insbesondere Europa in einer Schlüsselrolle: Dank seiner
jahrtausendealten humanistischen Tradition müsse der Kontinent eine führende
Rolle in der ethischen Gestaltung der Technologie übernehmen.
„Das eigentliche Risiko ist, dass wir den Menschen
technologisieren, anstatt die Technologie zu humanisieren“, mahnt Erzbischof
Paglia. Die Kirche wolle dabei Brücken bauen – zwischen Wissenschaftlern,
Theologen, Philosophen und Politikern.
Papst Franziskus appelliert an die Teilnehmer des Pariser
Gipfels, nicht nur die wirtschaftlichen und technologischen Potenziale von KI
zu sehen, sondern vor allem die fundamentale Bedeutung des Menschen in den
Mittelpunkt zu stellen. „Unsere größte Herausforderung ist und bleibt der
Mensch – vergessen wir das nie“, schreibt er wörtlich in seiner Botschaft an
die Teilnehmenden des KI-Gipfels in Paris. (vn 11)
Verteilung von Asylsuchenden nach
offenen Stellen kostet weniger
Münchner Wirtschaftsforscher schlagen vor, die Verteilung
von Geflüchteten stärker am Arbeitsmarkt zu orientieren – das stärke die
Chancen auf Integration und koste am Ende weniger. Ein wichtiger
Integrationsfaktor sei auch der rechtsextreme Wähleranteil im Landkreis.
Das Münchner Ifo-Institut schlägt vor, die Verteilung von
Asylsuchenden auf Bundesländer und Landkreise stärker davon abhängig zu machen,
wie viele offene Stellen es dort gibt. Dadurch würde die Integration
erleichtert, sagt Ifo-Experte Panu Poutvaara. Es spiele dafür eine wichtige
Rolle, ob die Asylsuchenden einen Job finden – und dabei komme es auch auf die
Lage am lokalen Arbeitsmarkt an.
„Wenn die Arbeitslosenquote im Landkreis der
Erstunterbringung um einen Prozentpunkt höher ist, führt dies zu einer um fünf
Prozentpunkte geringeren Wahrscheinlichkeit, dass Asylsuchende mittelfristig
eine Beschäftigung aufnehmen“, sagt Poutvaara. Dadurch sei die
Erstunterbringung „entscheidend für eine erfolgreiche Integration“.
Unterbringung nach „Lotterieverfahren“
Doch die Entscheidung über den Unterbringungsort nach der
Ankunft in Deutschland gleiche „einem Lotterieverfahren, das potenziell
schädlich für den Integrationserfolg ist“, kritisiert er und betont: „Eine
gescheiterte Integration führt dabei zu hohen Folgekosten.“ Oder andersherum:
„Es ist besser für die Geflüchteten und für Deutschland, wenn sie einen Job
finden und sich gut integrieren.“
Bislang werden Asylsuchende in Deutschland nach dem
Königsteiner Schlüssel auf die Bundesländer verteilt, wie Poutvaara erklärt.
Dieser berücksichtigt Steuereinkommen und Bevölkerungszahl. Die Länder selbst
verteilten dann in der Regel proportional zur vorhandenen Bevölkerung in die
Landkreise weiter. Der Wirtschaftsforscher, der am Ifo das Zentrum für
Migration und Entwicklungsökonomik leitet, schlägt nun vor, sowohl auf Länder-
als auch auf Landkreisebene die offenen Stellen als weiteren Faktor einzubeziehen.
Rechtsextremismus hindert Integration
Politisch ist bei diesem Vorschlag allerdings Gegenwind
erwartbar. Er würde voraussichtlich bedeuten, dass Länder mit einer besseren
Lage auf dem Arbeitsmarkt einen höheren Anteil der Asylsuchenden aufnehmen
müssten.
Als weiteren Aspekt, der für den Integrationserfolg wichtig
ist, machte Poutvaara den rechtsextremen Wähleranteil im Landkreis aus. Jeder
Prozentpunkt, um den dieser höher sei, gehe mit einer um drei Punkte sinkenden
Wahrscheinlichkeit einher, dass Asylsuchende einen Job finden oder eine
Ausbildung machen. Diesen Faktor sollte man aber nicht in die Verteilung
einfließen lassen, warnt er. Sonst könnten Menschen, die Flüchtlingen kritisch
gegenüberstehen, dadurch motiviert werden, rechtsextrem zu wählen. (dpa/mig 11)
Mehr Patrioten, weniger Europa
Das Treffen der radikalen Rechten zeigt: Sie will gemeinsam
die EU schwächen und die liberale Demokratie untergraben. Von Thomas Greven
Fast schon rührend ahnungslos berichtete die New York Times
über das Treffen der „Patrioten für Europa“ (PfE) am 8. Februar 2025. Die
Veranstaltung wurde von Santiago Abascal, dem Anführer der spanischen
Vox-Partei, organisiert.
Erstaunt stellte die Autorin fest, dass Giorgia Meloni in
Madrid nicht dabei gewesen sei. Doch das überrascht kaum. Ihre Partei, Fratelli
d’Italia, gehört einer konkurrierenden Fraktion im Europäischen Parlament an:
den „Europäischen Konservativen und Reformern“ (EKR). In der Tat, eine „rechte
Einheitsfront“ existiert weder global noch in Europa. Regierungschefs verfolgen
in erster Linie nationale Interessen. Auch die Parteien der radikalen Rechten
konzentrieren sich primär auf ihre jeweiligen politischen Bühnen. Wie Marco
Bitschnau in seiner Kritik der „nationalistischen Internationalen“ ausführt,
zeigt sich das unter anderem daran, dass Meloni die Ukraine unterstützt,
während viele bei den PfE eher russlandfreundlich sind.
Sind Veranstaltungen wie die der Patrioten für Europa also
nur Gelegenheiten für gemeinsame Fotos? Dienen sie lediglich dazu, sich im
Erfolg anderer Wahlsieger zu sonnen, in der Hoffnung, von deren Popularität zu
profitieren? Während fundamentale Differenzen notdürftig übertüncht und
persönliche Animositäten gepflegt werden? Das greift zu kurz. Es lohnt sich,
nicht nur auf die Gästelisten zu achten, sondern auch die Reden genauer zu
analysieren.
Das Madrider Treffen stand unter dem Motto „Make Europe
Great Again“. Dabei ging es nicht darum, Europa oder die EU auf künftige
Herausforderungen mit einer möglichen Trump-Regierung vorzubereiten. Ganz im
Gegenteil. Geert Wilders feierte das „Erdbeben“ von Trumps Wahlsieg. Viktor
Orbán ging noch weiter und betonte die mögliche Strahlkraft auf die radikale
Rechte: „Trump’s tornado has changed the world in just a couple of weeks. (...) Yesterday we were the heretics. (...) Now we are
the mainstream.“
Nicht nur der Slogan der Veranstaltung ähnelte Trumps
„MAGA“, sondern auch die Themen, Feindbilder und die Rhetorik wiesen deutliche
Parallelen auf. Migration wird nun als „Invasion“ bezeichnet. Gegner werden als
„liberale Faschisten“ und Vertreter des „Wokeism“ diffamiert.
Verschwörungserzählungen wie die des „großen Austauschs“ (der angeblichen
Ersetzung der christlich-weißen Bevölkerung durch muslimische Migranten,
gesteuert von liberalen Eliten) sind salonfähig geworden. Matteo Salvini,
Angehöriger von Melonis Koalitionspartner Lega, attackierte den Internationalen
Strafgerichtshof und die Weltgesundheitsorganisation – beides Institutionen,
die auch Trump massiv kritisiert. Wie für Trump geht es also bei den Patrioten
für Europa gegen die Institutionen des „Globalismus“, der regelbasierten
Weltordnung.
Nur aus der EU aussteigen will kaum jemand mehr, weder bei
den PfE noch bei den EKR, nachdem der Brexit sich als wirtschaftliches Desaster
für Großbritannien entpuppt hat. Doch die souveränistischen Hoffnungen der
radikalen Rechten sind damit keineswegs begraben. Die EU bleibt für die
radikale Rechte der Hauptgegner. Statt den EU-Austritt anzustreben,
lautet das neue Motto: „Brüssel erobern.“ Das Ziel ist ein Europa souveräner
Nationalstaaten, das traditionelle (vorzugsweise christliche) Werte verteidigt.
Überraschenderweise spielt dabei auch die Demokratie eine
zentrale Rolle – allerdings nicht im liberalen Sinne. Anstelle von Checks and
Balances, unabhängigen Gerichten, starken Minderheitenrechten und freier Presse
setzen sie auf eine „illiberale Demokratie“, wie Viktor Orbán sie propagiert.
Die Mehrheit soll uneingeschränkt regieren können, internationale
Verpflichtungen und Rechtsnormen werden infrage gestellt. Genau deshalb steht
die radikale Rechte der regelbasierten internationalen Ordnung so feindlich
gegenüber.
Die autokratischen Tendenzen dieser hyper-majoritären
Demokratie werden spätestens dann sichtbar, wenn das gesamte Staatswesen
schrittweise „auf Linie“ gebracht wird. In diesem Prozess verliert die
Opposition nach und nach die Möglichkeit, auf friedlichem, demokratischem Weg
die Macht zurückzuerlangen. Dieses Szenario spielte sich bereits in Ungarn ab
und breitet sich nun auch in den USA aus. Das Project 2025 der Trump-Regierung
orientiert sich konzeptionell an Orbáns Modell. Auch wenn Trump sich im Wahlkampf
davon distanzierte, folgt er im Amt doch dessen Prinzipien.
Heute sind insbesondere die Demokratien von einer Welle der
Autokratisierung bedroht. Die Attraktivität der „illiberalen Demokratie“ trägt
zum Aufstieg der radikalen Rechten bei. Die Repräsentationsdefizite bezüglich
der Verwerfungen der ökonomischen Globalisierung und der kulturellen
Transformation vermischen sich zunehmend mit einer diffusen
Demokratiemüdigkeit. Viele Menschen empfinden die komplexen
Entscheidungsprozesse liberaler Demokratien als ineffizient. Sie nehmen nur
„faule Kompromisse“ wahr, während ungelöste Probleme bestehen bleiben.
Eine internationale Bewegung der radikalen Rechten ist
entstanden, die diese Lage für sich nutzt. Sie ist kein monolithischer Block,
sondern zeichnet sich durch ideologische Vernetzung und gemeinsame Feindbilder
aus. So sind immer mehr gemeinsame identitätsstiftende „Frames“ entstanden, zur
Selbstbeschreibung und zur Beschreibung des politischen Gegners –
beziehungsweise des „Feindes“, wie das grenzüberschreitend gängige Framing der
radikalen Rechten lautet.
Internationale Treffen wie die „Patrioten für
Europa“-Konferenz, die Conservative Political Action Conference und die
National Conservatism Conference nehmen stetig zu – sowohl in Frequenz als auch
in geografischer Reichweite. Hinzu kommt ein weitgespanntes Netz aus radikal
rechten Thinktanks, Stiftungen und Medien, das den wachsenden Ressourcenaufwand
der Bewegung verdeutlicht.
Auch wenn die nationale Politik für viele Akteure im
Vordergrund steht, verhindern ideologische oder politische Differenzen nicht
die pragmatische Zusammenarbeit. Ihr gemeinsames Ziel bleibt die Zerstörung der
liberalen Demokratie und der regelbasierten internationalen Ordnung zugunsten
eines Modells der uneingeschränkten nationalen Souveränität.
Wir sollten nicht vergessen, dass die Spannungen und
Spaltungen innerhalb des progressiven Lagers teilweise sehr groß sind. Auch die
Verteidiger der liberalen, pluralistischen Gesellschaft und Demokratie stehen
vor Herausforderungen. Innerhalb der EU könnte bald ein weiterer radikal
rechter Regierungschef, Herbert Kickl von der Österreichischen FPÖ, die
Entscheidungsfindung beeinflussen und blockieren. Auch seine Partei ist
übrigens Teil der „Patrioten für Europa“. IPG 11
Faktencheck. Was Merz und Scholz im
TV-Duell zur Migration sagten
Der Bundeskanzler und sein CDU-Herausforderer schenken sich
im TV-Duell nichts. Vor allem beim Thema Migration werfen sie mit Zahlen nur so
um sich. Was stimmt, was eher nicht? Ein Faktencheck:
Zwei Wochen vor der Bundestagswahl haben sich Bundeskanzler
Olaf Scholz (SPD) und Unions-Kanzlerkandidat Friedrich Merz (CDU) einen harten
Schlagabtausch über den Umgang mit der AfD und die Migrationspolitik geliefert.
Bei ihrem ersten von zwei geplanten TV-Duellen zeigten sich beide auch bei
anderen Themen wie der Wirtschafts-, Finanz- und Sozialpolitik unversöhnlich.
Nach einer Zuschauerbefragung der Forschungsgruppe Wahlen war es ein „Duell
ohne klaren Sieger“.
Scholz warf Merz in ARD und ZDF erneut einen „Wortbruch“ und
einen „Tabubruch“ vor, weil die Union im Bundestag ihren Fünf-Punkte-Plan zur
Migration mit den Stimmen der AfD durchgesetzt hat. Er traue dem
CDU-Vorsitzenden zu, nach der Wahl eine Koalition mit der AfD einzugehen. „Das
ist meine ernste Sorge.“
Merz: „Es wird diese Zusammenarbeit nicht geben“
Merz wies das zurück: „Es wird diese Zusammenarbeit nicht
geben“, sagte er. „Wir werden das nicht tun, uns (Union und AfD) trennen in den
Sachfragen Welten.“
Die gemeinsame Abstimmung von Union, FDP und AfD hatte Ende
Januar zu einem Eklat im Bundestag geführt. Einen Gesetzentwurf brachte Merz
zwei Tage später wegen Abweichlern in seiner eigenen Fraktion und in der FDP
aber nicht durch den Bundestag.
Scholz: Werde „harten Kurs“ bei Migration fortsetzen
Beim Thema Migration versprach Scholz für die Zeit nach der
Wahl, einen „harten Kurs“ fortzusetzen. Deutschland dürfe Gewalttaten wie die
von Aschaffenburg nicht akzeptieren. „Wir können uns niemals abfinden mit
solchen Taten und deshalb muss klar und entschieden gehandelt werden.“
Die Pläne der Union zur Zurückweisung von Migranten an der
Grenze wies Scholz erneut als rechtswidrig zurück und warnte vor einer
„europäischen Krise“. Er drängte Merz zudem dazu, dem von der Regierung
vorgelegten Gesetz zur Umsetzung der europäischen Asylreform zuzustimmen.
„Warum soll man so doof sein?“, dies nicht zu tun, sagte er.
Merz: „Was Sie hier erzählen, ist ein Märchenschloss“
Merz warf Scholz vor, „weit über zwei Millionen irreguläre
Migranten nach Deutschland“ gelassen zu haben. Das entspreche mehr als den
Einwohnern der Stadt Hamburg, so der CDU-Vorsitzende. „Sie kriegen es in Ihrer
Koalition nicht so hin, wie es notwendig wäre“, hielt er Scholz vor. Der
Kanzler nehme die Realität in Bund und Ländern beim Thema Migration nicht mehr
wahr. „Sie leben nicht in dieser Welt“, sagte Merz. „Was Sie hier erzählen, ist
ein Märchenschloss.“
Märchenschloss? Das Faktencheck zum Duell
Behauptungen von Friedrich Merz
Behauptung Merz: „Wir haben in den drei Jahren Ihrer
Amtszeit in Deutschland weit über zwei Millionen irreguläre Migranten nach
Deutschland [kommen] gesehen.“
Fakten: Was Merz hier unter „irregulärer Migration“
versteht, ist nicht auf Anhieb ersichtlich. Unerlaubte Einreisen wurden von der
Bundespolizei zwischen Dezember 2021 und Januar 2025 weit weniger als zwei
Millionen registriert, nämlich nur gut 313.000. Es gab auch nicht so viele
Asylgesuche: Während dieser Zeit wurden in Deutschland gut 805.000 Erstanträge
gestellt. Zu Erstanträgen gehören unter anderem auch Anträge von in
Deutschaland geborenen Kindern von Asylsuchenden Eltern.
Behauptung Merz: „Wir haben immer noch in vier Tagen so
viele Zuwanderer, wie in einem Monat abgeschoben werden. Das sind nach wie vor
zu viele. Wir hatten im letzten Jahr 240.000.“
Fakten: Die Zahl von 240.000 entspricht in etwa den Angaben
des Bamf. Demnach gab es im vergangenen Jahr knapp 230.000 Erstanträge auf
Asyl. Das wären im Schnitt 629 pro Tag. Demgegenüber gab es in den elf Monaten
von Januar bis November 18.384 Abschiebungen, also im Schnitt 1.671 pro Monat.
Behauptungen von Olaf Scholz
Behauptung Scholz: Seine Regierung habe dafür gesorgt, dass
40.000 Zurückweisungen durchgeführt worden seien.
Fakten: Das entspricht tatsächlich den Angaben des
Bundesinnenministeriums (BMI). „Es hat an den deutschen Grenzen 43.500
Zurückweisungen gegeben“, sagte ein Sprecher etwa bei der
Regierungspressekonferenz vom 27. Januar. „Solche Zurückweisungen finden in
großem Umfang statt, seitdem es Binnengrenzkontrollen an den deutschen Grenzen
gibt – seit Oktober 2023 zunächst an vier Grenzen, seit Herbst 2024 an allen
deutschen Grenzen.“
Behauptung Scholz: Im letzten Jahr ist die Zahl derjenigen,
die irregulär [nach Deutschland] gekommen sind, um 100.000 – über ein Drittel –
gesunken.
Fakten: Auch das bestätigte Ende Januar der BMI-Sprecher.
„Wir hatten 2024 im Vergleich zu 2023 111.000 Asylgesuche weniger. Das ist ein
Rückgang der irregulären Migration um 34 Prozent.“ Nach Angaben des Bundesamtes
für Migration und Flüchtlinge (Bamf) gab es 2024 insgesamt knapp 251.000
Asylanträge, im Jahr zuvor waren es fast 352.000.
Behauptung Scholz: Im Januar 2025 gab es den niedrigsten
Wert an Asylgesuchen seit 2016.
Fakten: Hier liegt Scholz nicht richtig. Im Januar 2025
wurden nach Bamf-Angaben 16.594 Asylanträge gestellt. In seiner eigenen
Regierungszeit gab es schon Monate mit weniger Anträgen, etwa im Dezember 2024
(13.716) oder im April 2022 (13.056). Doch auch während der schwarz-roten
Vorgängerregierung unter Angela Merkel (CDU) lagen die Zahlen in einzelnen
Monaten darunter – nicht nur in der Corona-Zeit, sondern auch davor wie etwa im
Juni 2019 (9.691) oder im Januar 2018 (15.077).
Behauptung Scholz: „Wir haben die Abschiebungen um 70
Prozent gesteigert, seitdem ich Kanzler bin.“
Fakten: Im Corona-Jahr 2020 gab es 10.800 Abschiebungen aus
Deutschland. Im Jahr 2021 waren es 11.982 Abschiebungen. Seitdem ist die
Gesamtzahl der Abschiebungen jährlich angestiegen. Für den Zeitraum von Januar
bis November 2024 lag die Zahl nach BMI-Angaben bei 18.384. Das ist im
Vergleich zu 2020 tatsächlich ein Anstieg um knapp 70 Prozent. Scholz hatte das
Amt des Bundeskanzlers aber erst am 8. Dezember 2021 übernommen. Seit 2021
beträgt die Steigerung rund 53 Prozent.
Zuschauerbefragung ergibt Patt-Situation
Auch in der Sozial- und Wirtschaftspolitik sowie bei der
Schuldenbremse und Steuern gerieten Scholz und Merz aneinander. Bei der
Zuschauerbefragung der Forschungsgruppe Wahlen unter 1.374 zufällig
ausgewählten Wahlberechtigten gaben 37 Prozent an, Scholz habe sich besser
geschlagen, 34 Prozent attestierten dies Merz. Für 29 Prozent lagen die beiden
Kontrahenten auf einem Niveau.
Für 42 Prozent war Scholz glaubwürdiger, für 31 Prozent
Merz, 27 Prozent der Befragten sahen keine großen Unterschiede. Den
sympathischeren Auftritt bescheinigten 46 Prozent Scholz und 27 Prozent Merz.
Bei der Frage nach dem Sachverstand lagen Scholz und Merz mit jeweils 36
Prozent gleichauf, 27 Prozent sahen keinen Unterschied.
Merz mit großem Vorsprung in den Umfragen
Das 90-minütige Duell bei den öffentlich-rechtlichen
TV-Sendern zur besten Sendezeit wurde von den Talkshow-Profis Maybrit Illner
und Sandra Maischberger moderiert. Das Fernsehduell markiert den Start in die
heiße Schlussphase des Wahlkampfs, in die Merz und die CDU/CSU mit großem
Vorsprung in den Umfragen gehen.
Die Union kommt derzeit auf 29 bis 34 Prozent, Scholz und
die SPD liegen dagegen weit abgeschlagen mit 15 bis 18 Prozent nur auf Platz
drei hinter der AfD. Die von der SPD erhoffte Trendwende blieb bislang aus.
Scholz hat nun nur noch 14 Tage, den Rückstand von 11 bis 17 Prozentpunkten in
den Umfragen aufzuholen. Auch bei den persönlichen Beliebtheitswerten liegt er
weit hinten. (dpa/mig 11)
Umfragen. Migrationsstreit schadet
Union nicht
Nach der denkwürdigen Migration-Abstimmung im Bundestag mit
den Stimmen der AfD gibt es in den Umfragen keine großen Veränderungen. Die
Bundesbürger sind in der Frage, wie sie gemeinsame Abstimmungen mit der AfD
finden, gespalten. In einer Frage gibt es aber eine klare Mehrheit.
Die heftig geführte Debatte um Migration und Abstimmungen
mit der AfD hat kaum Veränderung in Umfragen zur Bundestagswahl gebracht. Wäre
schon am kommenden Sonntag Bundestagswahl, käme die Union laut
ZDF-Politbarometer auf 30 Prozent der Stimmen. Das ist eine minimale
Verbesserung um einen Punkt gegenüber der Vorwoche. Die AfD verliert demnach
leicht und kommt auf 20 Prozent (minus einen Prozentpunkt), die SPD stagniert
bei 15 Prozent.
Minimale Zuwächse von einem Punkt gab es laut der
repräsentativen Umfrage der Forschungsgruppe Wahlen für die Grünen, die nun
gleichauf mit der SPD liegen, und für die Linken, die mit 6 Prozent auf den
Wiedereinzug ins Parlament hoffen können. Nicht reichen würde es dagegen für
FDP und BSW, die unverändert bei 4 Prozent liegen. Die Daten wurden von
Dienstag bis einschließlich Donnerstag erhoben.
Migrationsdebatte schadete Union offenbar nicht
Nach den von der Union initiierten Abstimmungen zu zwei
Anträgen und einem Gesetzentwurf zur Zuwanderungsbegrenzung im Bundestag hatten
die Parteien gespannt auf die Umfragen gewartet. Dass Unionskanzlerkandidat
Friedrich Merz (CDU) eine Mehrheit mit Stimmen der AfD in Kauf genommen hatte,
war von SPD, Grünen und Linke scharf kritisiert worden. Am Wochenende gab es
Großdemonstrationen in mehreren Städten.
Der Union scheint die Debatte mit Blick auf die
Bundestagswahl am 23. Februar nicht geschadet zu haben. Auch der
ARD-Deutschlandtrend sah CDU und CSU zuletzt mit 31 Prozent und einem Plus von
einem Prozentpunkt klar vorn. Hier legte auch die AfD leicht auf 21 Prozent zu,
die SPD rangiert unverändert bei 15 Prozent. In einer Umfrage des
Meinungsforschungsinstituts YouGov konnte die SPD zwar um drei Punkte auf 18
Prozent zulegen, die Union blieb aber mit unveränderten 29 Prozent stabil
stärkste Kraft. Zweitstärkste Kraft war auch dort die AfD mit 22 Prozent.
Merz gewinnt bei persönlichen Werten – Aufregung in
Parteien
Bei den persönlichen Umfragewerten gewinnt Merz im
Deutschlandtrend. 33 Prozent meinen demnach, er wäre ein guter Kanzler. Das
sind 5 Punkte mehr als Mitte Dezember. Auch Kanzler und SPD-Spitzenkandidat
Olaf Scholz gewinnt an Zustimmung – aktuell sehen ihn 25 Prozent als guten
Kanzler (+6). Der Grünen-Spitzenkandidat Robert Habeck verliert bei dieser
Frage einen Punkt, 26 Prozent halten ihn für einen guten Kanzler.
Die Migrationsabstimmung sorgt im Bündnis Sahra Wagenknecht
für Unruhe. Bayerns BSW-Landeschef Klaus Ernst berichtete auf Anfrage, dass
inzwischen sieben Mitglieder ihren Parteiaustritt erklärt hätten, darunter der
Europaabgeordnete Friedrich Pürner. Die Aussteiger begründeten den Schritt laut
„Spiegel“ mit der Migrationspolitik des BSW und einer Nähe zur AfD. Pürner
hatte unabhängig davon schon zuvor mehrfach erklärt, dass er über einen
Austritt nachdenke. Das BSW hatte sich bei dem Entschließungsantrag am Mittwoch
vergangener Woche enthalten, beim letztlich gescheiterten
„Zustrombegrenzungsgesetz“ am Freitag sogar zugestimmt – gemeinsam mit der AfD.
Inkaufnahme von AfD-Stimmen stößt auf geteiltes Echo
Bei den Menschen in Deutschland stößt das Vorgehen von
CDU/CSU auf ein geteiltes Echo. 43 Prozent halten laut einer repräsentativen
Erhebung für den ARD-Deutschland-Trend das Vorgehen der Union für richtig, auch
wenn Stimmen der in Teilen rechtsextremen AfD dafür in Kauf genommen wurden. 50
Prozent sehen das anders: Knapp jeder vierte Befragte (23 Prozent) hielt zwar
das grundsätzliche Vorgehen der Union zur Begrenzung der Zuwanderung für
richtig, aber nicht, dass dafür auch AfD-Stimmen in Kauf genommen wurden. 27
Prozent bewerteten den Angaben zufolge das Vorgehen der Union grundsätzlich als
falsch.
Generell bezeichnete es jeder zweite Befragte (49 Prozent)
als nicht akzeptabel, dass Parteien Gesetze einbringen, wenn diese nur mit
Stimmen der AfD verabschiedet werden können, 44 Prozent hielten dies hingegen
für akzeptabel. Dass Parteien Gesetze gemeinsam mit der AfD einbringen,
erachtete eine Mehrheit der Wahlberechtigten (56 Prozent) für nicht akzeptabel.
Für knapp vier von zehn Deutschen (38 Prozent) war das akzeptabel.
Merkel erneuert Kritik an Merz’
Für Altbundeskanzlerin Angela Merkel (CDU) ist die Situation
eindeutig. Sie hat ihre Kritik an den Anträgen zur Migrationspolitik von
Unions-Fraktionschef Merz erneuert. Auch unter schwierigen Bedingungen sollte
es nicht dazu kommen, dass Mehrheiten mit der AfD gebildet werden, sagte Merkel
am Mittwochabend bei der Veranstaltung „Eine Stunde ‚Zeit‘ mit …“ in Hamburg.
Relative Mehrheit sieht Union, SPD und Grüne verantwortlich
In der Frage zur Bildung einer gemeinsamen
Regierungskoalition mit der AfD sind die Bundesbürger geschlossener: zwei
Drittel der Befragten (66 Prozent) lehnten eine Koalition mit der AfD als
inakzeptabel ab. Mehr als ein Viertel (28 Prozent) hielt hingegen eine
Koalition mit der Rechtsaußen-Partei für akzeptabel.
Jeder dritte Befragte (33 Prozent) sah die Verantwortung
dafür, dass sich die Bundesregierung und die oppositionelle Union in der
vergangenen Woche im Bundestag nicht auf einen Kompromiss in der
Migrationspolitik einigen konnten, in erster Linie bei SPD und Grünen. Nur 14
Prozent machten die Union dafür verantwortlich. Eine relative Mehrheit von 43
Prozent befand, dass die Verantwortung für das Scheitern sowohl bei Union wie
bei den Regierungsparteien liegt.
Für die Erhebung hatte Infratest dimap rund 1.300
Wahlberechtigte von Montag bis Mittwoch befragt. Wahlumfragen sind generell mit
Unsicherheiten behaftet. Unter anderem erschweren nachlassende Parteibindungen
und immer kurzfristigere Wahlentscheidungen den Meinungsforschungsinstituten
zufolge die Gewichtung der erhobenen Daten. (dpa/epd/mig 10)
Nahostexperte: Nicht alle können
nach Syrien zurück
Nach dem politischen Wechsel in Syrien bleibt die Lage vor
Ort komplex und ungewiss. Selbiges gilt für eine mögliche Rückkehr von ehemals
aus dem Land geflohenen Syrern. Darauf hat der Nahost- und Flüchtlingsberater
von Kardinal Schönborn, Manuel Baghdi, hingewiesen.
Es gebe auch „ethnische oder religiöse Minderheiten, die
nicht nach Syrien zurückkehren können oder dürfen“, etwa die Alawiten, so
Baghdi in der Wiener Kirchenzeitung „Der Sonntag" (Ausgabe 6/2025): „Man
muss Racheakte gegen Christen, Alawiten oder Kurden befürchten.“
Er sei in ständigem Kontakt mit vielen Patriarchen,
Bischöfen und auch einfachen Menschen, Christen und Nicht-Christen. „Natürlich
gibt es auch schreckliche Nachrichten aus Syrien. Wir Christen sollen aber das
Positive sehen und unterstützen", so Baghdi.
Einsatz für Menschen in Not
Baghdi, 1961 in Syrien geboren, gehört der
Armenisch-katholischen Kirche an. Er wanderte nach dem Studium in Damaskus Ende
1989 nach Österreich aus. Er arbeitet seit 1996 mit Kardinal Christoph
Schönborn zusammen, als Beauftragter für Flüchtlinge und als
Nahostbeauftragter. Schon seit 1994 engagiert sich Baghdi im Verein „Bewegung
Mitmensch - Maria Loley", um Menschen in Not zu helfen.
Die Hilfe für die Christinnen und Christen im Orient war und
ist auch Kardinal Schönborn ein Herzensanliegen, so Baghdi. „Unser Motto hat
der Kardinal immer so ausgedrückt: ,Wir werden nicht allen Menschen helfen
können, nicht vieles ändern können, wir werden nicht Kriege stoppen können.
Aber dort, wo wir gefragt sind, wo jemand bei uns anklopft, da sollen wir mit
unseren besten Möglichkeiten helfen.'“
Lobende Worte fand Baghdi im Rückblick auf die
Flüchtlingspolitik Österreichs: „2015 nahm Österreich viele Flüchtlinge auch
aus Syrien auf. Ich bin ein Zeuge dieser Zeit, Kardinal Schönborn hat ein
großes Herz für Flüchtlinge, es war ihm ein großes Anliegen, zu helfen.“
Österreich habe „großartige Arbeit geleistet", was Flüchtlinge betrifft.
„So haben die zuständigen Beamten die Anträge individuell, aber auch schnell
erledigt. Großartig waren auch die Kurse bis hin zur Integration", so
Baghdi. (kap 9)
Gesundheitsrisiko: Gender Data Gap
Von der Gender Pay Gap haben viele gehört. Frauen verdienen
oft weniger als Männer für dieselbe Arbeit. Doch die Lücke zwischen den
Geschlechtern existiert nicht nur in der Arbeitswelt, sondern auch in der
Medizin – mit teils tödlichen Folgen. von Kerstin Barton
Medizin nach Schema F – für wen?
Biologische Unterschiede zwischen Männern und Frauen sind
unbestreitbar. Warum werden sie in der Akutversorgung ignoriert? Historisch
gesehen galt der männliche Körper Jahrhunderte lang als "Norm",
während der weibliche oft als Abweichung von diesem Standard gilt. Das zeigt
sich in klinischen Studien: Sie werden überwiegend von Männern durchgeführt und
vor allem an Männern getestet. Selbst bei Tierversuchen sind 70 % der
Versuchstiere männlich. Der Zyklus der Frau macht sie als Testpersonen "unpraktisch",
denn die Hormonschwankungen im Körper verhindern standardisierte und
generalisierbare Studienergebnisse – mit fatalen Folgen.
Medikamente, die nicht wirken
Arzneistoffe werden an Männern getestet, aber Frauen
verschrieben. Dabei werden sie im weiblichen Körper ganz anders
verstoffwechselt. Darüber hinaus haben die Geschlechtshormone der Frau Einfluss
darauf, wie schnell die Leber bestimmte Wirkstoffe "verarbeiten"
kann. Je nach Zyklusstand werden Medikamente deshalb langsamer abgebaut, was
häufig zu Überdosierung führt. Schnell kann die im Beipackzettel empfohlene
Dosis Schmerzmittel zu deutlichen Beeinträchtigungen im Alltag kommen. Auf der
anderen Seite können Arzneimittel und Therapien, die bei Männern erfolgreich
angewendet werden, für Frauen wirkungslos sein. Der Einsatz von Immuntherapie
bei diversen Krebserkrankungen wird immer beliebter. Bei Männern kann es zu
einem langfristig positiven Ergebnis führen, wohingegen der gleiche
Therapieansatz bei Frauen weniger gut anspricht. Weil das Immunsystem von
Frauen und Männern schlichtweg anders funktioniert. Ein Umstand, den die
Forschung zu lange ignorierte.
DER Patient
Auch in der Diagnostik dominiert der männliche Standard.
Dadurch, dass jahrhundertelang der männliche Körper als Standard in der Medizin
galt, wird gerade bei der Akutversorgung DER Patient behandelt. Bei Engegefühl
und Brustschmerzen, die in den linken Arm ausstrahlen, denken die meisten
direkt an "Herzinfarkt". Klassische Symptome - für einen Mann. Dass
sich bei Frauen ein Herzinfarkt auch durch Magenprobleme, Müdigkeit und
Rückenschmerzen äußern kann, ist im Volksmund weniger bekannt. Wer würde auch
schon wegen Sodbrennen in die Notaufnahme fahren? Die Folge: Herzinfarkte enden
bei Frauen häufiger tödlich, weil sie nicht so schnell entdeckt und behandelt
werden.
Frauen und Männer haben zudem ein anderes Schmerzempfinden.
Durch ihren höheren Testosteronspiegel nehmen Männer Schmerzen weniger intensiv
wahr als Frauen, die zudem noch ein empfindlicheres Nervensystem haben. Auch
die soziokulturellen Faktoren, die hinter der Äußerung von Schmerzen stehen,
wurden in der Medizin in der Vergangenheit zu wenig berücksichtigt. Frauen
tendieren oftmals dazu, Schmerzen und Beschwerden "einfach" in Kauf
zu nehmen, weil dafür im Alltag mit Mehrfachbelastung durch Arbeit, Kinder und
Haushalt kein Platz für Krankheiten ist. Der Laden muss schließlich am Laufen
gehalten werden. Viele Frauen empfinden ein Gefühl des
"Im-Stich-lassens", wenn sie krankheitsbedingt nicht funktionieren
können. Die Konsequenz ist: Sie gehen viel später zum Arzt.
Nicht ernst genommen
Einige Krankheitsbilder sind aufgrund des "männlichen
Standards" noch so wenig erforscht, dass die Beschwerden von Frauen
jahrelang undiagnostiziert bleiben. Bestes Beispiel: Endometriose. Was lange
Zeit als klassisches "Frauenleiden" betrachtet wurde, betrifft etwa
jede zehnte Frau in Deutschland. Bis es jedoch zu einer Diagnose kommt,
vergehen oft Jahre. Die damit verbundenen Schmerzen werden nicht ernst genommen
und als "einfache" Regelschmerzen abgetan, weshalb auch wenig Studien
zu dieser Erkrankung veranlasst wurden. Forschungsergebnisse gibt es erst seit
wenigen Jahren, denn Männer haben eben keine Gebärmutter.
Die Medizin muss sich endlich von ihrem männlichen Standard
lösen. Klinische Studien brauchen diversere Testgruppen, und Forschung muss
geschlechtsspezifische Unterschiede systematisch berücksichtigen.
Geschlechtersensible Medizin ist keine Sonderbehandlung – sie ist der einzige
Weg zu einer gerechteren und besseren Gesundheitsversorgung für alle. Kath.de 9
Ministerpräsident von
Rheinland-Pfalz Schweitzer beim Papst
Papst Franziskus hat an diesem Samstagvormittag den
Ministerpräsidenten von Rheinland-Pfalz, Alexander Schweitzer, in der Casa
Santa Marta in Audienz mit empfangen. Danach sprach Schweitzer mit dem
vatikanischem Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin. Der SPD-Politiker ging
später auch durch die Heilige Pforte im Petersdom. Der Ministerpräsident
betonte vor der Presse die enge Verbindung zwischen seiner Landesregierung und
der katholischen Kirche beim sozialen Engagement in der Region. Mario Galgano –
Vatikanstadt
In einem Interview auf der Terrasse des Kollegs des Campo
Santo Teutonico im Vatikan hat der Ministerpräsident anschließend an die
Audienz seine Eindrücke von einem - wie er betonte - „bewegenden Tag“
geschildert. „Sehr geehrter Herr Kardinal Krajewski, meine Damen und Herren,
ich stehe hier vor Ihnen und habe Produkte eines Unternehmens aus der Stadt
Boppard“, begann Schweitzer und verwies auf ein Unternehmen, das „über
Deutschland hinaus erfolgreich Pflegeprodukte“ herstelle.
Der rheinland-pfälzische Ministerpräsident erklärte, dass er
gemeinsam mit dem Unternehmen dem vatikanischen Almosenwerk eine Unterstützung
zukommen lasse, was symbolisch die Verbindung Boppards zu Papst Franziskus
widerspiegele – einer Stadt, in der der Jorge Mario Bergoglio, der heutige
Papst, als junger Mann am Goethe-Institut Deutsch gelernt hatte. Kardinal
Konrad Krajewski bedankte sich für die Gabe.
Der Ministerpräsident berichtete, dass er an diesem
„besonderen Tag“, den er als „persönlich unvergesslich“ bezeichnete, zusammen
mit seiner Frau Barbara und einer Delegation der rheinland-pfälzischen
Staatskanzlei die Gelegenheit hatte, dem katholischen Kirchenoberhaupt zu
begegnen. In dem Gespräch mit Papst Franziskus ging es vor allem um die
Notwendigkeit eines guten Miteinanders zwischen Politik, Gesellschaft und
Kirche. Schweitzer betonte: „Ich habe ihm erklären können, dass wir
insbesondere mit dem karitativen Werk der katholischen Kirche aufs Engste
zusammenarbeiten, wenn es um die Gestaltung des sozialen Miteinanders geht.“
Dabei hob Schweitzer die enge Kooperation hervor, die in Rheinland-Pfalz – von
der Kindererziehung über die Ausbildung von Pflegekräften bis hin zur
Unterstützung in Krankenhäusern und Pflegeeinrichtungen – mit der Kirche
gepflegt werde.
Positiven Eindruck
Der SPD-Politiker berichtete außerdem, dass er den positiven
Eindruck gewonnen habe, wie gut der Kontakt zwischen seiner Landesregierung und
den Bistümern in Rheinland-Pfalz sei. Auf die Frage, wie der Austausch mit den
Bischöfen gelinge, antwortete er: „Sehr gut.“
Der Ministerpräsident merkte an, dass der Dialog mit dem
Papst nicht nur persönliche Erinnerungen wecke, sondern auch die
gesellschaftliche Verantwortung unterstreiche, der Solidarität und
Nächstenliebe Raum zu geben. Er betonte, dass Herausforderungen, denen die
Kirche und die Gesellschaft gegenüberstehen, gemeinsam bewältigt werden
müssten, um den Menschen nicht das Gefühl zu geben, isoliert wie auf einer
Eisscholle zu sein.
Ein weiteres Element des Tages war die Durchschreitung der
Heiligen Pforte im Petersdom, was Schweitzer als symbolisch für den Eintritt in
eine Phase intensiver Zusammenarbeit zwischen Staat und Kirche wertete. Trotz
der leichten Bronchitis des Papstes, die für die Terminverschiebung der Audienz
sorgte, habe dieser einen äußerst vitalen und humorvollen Eindruck
hinterlassen. Schweitzer erinnerte abschließend: „Ich war beeindruckt von
seiner Präsenz. Es war ein Tag, der mir persönlich viel bedeutet – ein Tag, an
den ich mich immer erinnern werde.“ (vn 8)
Trump-Maßnahmen gegen USAID spalten
US-Präsident Donald Trump will die Entwicklungshilfebehörde
USAID von 10.000 Mitarbeitern auf 300 reduzieren. Katholiken weltweit
protestieren, während der Finanzierungsstopp in den USA auch Befürworter
findet. Darüber hinaus leitete Trump Maßnahmen gegen den internationalen
Strafgerichtshof ein und gründete eine Taskforce gegen „Christenfeindliche
Vorurteile“.
Das größte Entwicklungshilfeprogramm weltweit, die
amerikanische Behörde USAID, steht auf dem Prüfstand. Präsident Donald Trump
setzte per Dekret als eine seiner ersten Amtshandlungen einen Großteil der
Zahlungen an die „United States Agency for International
Developement" für 90 Tage aus. In diesen Tagen solle geprüft werden, wie
die Behörde umstrukturiert werden könne.
Auf einer Pressekonferenz am Donnerstag wurden nun die
konkreten Pläne bekannt. Die 10.000 Angestellten weltweit sollen auf 300
reduziert werden. Nur „missionskritisches“ Personal in leitenden Positionen
soll vorläufig weiterarbeiten. Die Website von USAID wurde aufgelöst. In einer
Verlautbarung wird Angestellten mitgeteilt, sie könnten binnen 30 Tage in der
Vereinigten Staaten zurückreisen und bekämen diese Reise bezahlt.
Fakten über USAID
USAID besteht seit den frühen 1960er Jahren, um die
Entwicklungshilfe der USA zu koordinieren. Die Behörde finanziert seitdem
weltweit Hilfsprojekte. Dazu gehören Wasser und Nahrungslieferungen bei
Hungersnöten, Medikamente, Impfungen gegen die Kinderlähmung und vieles mehr.
Andere Leistungen von der Behörde sind auch Vorhersagen, wo Hungernöte
entstehen könnten, um frühzeitig Hilfe zu organisieren. Sie wirkt hauptsächlich
in Asien, Subsahara-Afrika und in Europa, genauer der Ukraine.
Durch den Zahlungsstopp mussten viele dieser Projekte
kurzfristig enden, so konnten beispielsweise Medikamenten- oder
Frischwasserlieferungen über Nacht nicht mehr finanziert werden.
In der Bevölkerung viel Unterstützung
Empfohlen hatte die Maßnahme Tech-Milliardär und
Regierungsberater Elon Musk. Am Montag veröffentlichte das Weiße Haus eine
Liste an „unnötigen Projekten“, die von USAID unterstützt wurden, zum Beispiel
zwei Millionen Dollar an LGBTQI+ Initiativen in Serbien. Ein großer Teil der
amerikanischen Bevölkerung unterstützt diesen Sparkurs, zeigen Umfragen.
Denn die Meinung, Steuergelder sollten im eigenen Land und
nicht im Ausland ausgegeben werden, ist in den USA weit verbreitet. Dabei
besetzt die USA im internationalen Vergleich nur Platz 25 und damit einen der
letzten Plätze im OECD-Vergleich.
Protest von Kirchen und Demokraten
Politiker der demokratischen Partei protestierten gegen den
Schritt. Als Argument nannten sie, dass man mit Entwicklungshilfe das eigene
Land schütze. Unter anderem bezahle USAID Gefängniswärter in Syrien, um
islamistische Kämpfer zu bewachen. Diese hätten nach dem Zahlungsstopp fast
ihre Arbeit niedergelegt und die Gefangenen sich selbst überlassen. Außerdem
ist es bisher nicht ganz klar, ob die Umstrukturierung ohne
Kongressentscheidung rechtswirksam ist. Es gab bereits mehrere Klagen.
Auch die Kirchen in den USA protestieren. Mit über vier
Milliarden Dollar fließen die meisten Gelder an die katholische humanitäre
Hilfsorganisation „Catholic Relief Services“. Diese hilft armen und bedrohten
Menschen, sichert ihr Überleben, unterstützt mit Bildung und schafft
Zukunftsperspektiven. Damit reduziert sie Push-Faktoren, die Menschen zur
Flucht zwingen, unter anderem in die USA. Tausende Katholiken gehen für die
katholischen Hilfsorganisationen auf die Straße.
„Ich frage mich, ob die Entscheidungsträger, Donald Trump
und Elon Musk, je mit den Menschen gesprochen haben, denen USAID hilft“,
erklärte Marie Dennis, leitende Programmdirektorin der katholischen
Gewaltfreiheitsinitiative von Pax Christi International, auf einer
Demonstration vor dem Weißen Haus am Mittwoch. „Nennen Sie mir ein Land auf der
Welt, in dem Menschen leiden, und USAID ist nicht da ist. Es ist einfach
herzzerreißend.“
Taskforce gegen „Christenfeindliche Vorurteile"
Insgesamt setzt Trump seit Beginn seiner Amtszeit zahlreiche
Dekrete durch. Am Donnerstag erklärte er, eine neue Taskforce eingesetzt zu
haben, die „Christenfeindliche Vorurteile“ in den US-Behörden bekämpfen soll.
Generalstaatsanwältin Pam Bondi soll die Leitung übernehmen.
„Die Aufgabe dieser Taskforce wird es sein, sofort alle
Formen von antichristlichen Angriffen und Diskriminierung innerhalb der
Bundesregierung zu unterbinden, einschließlich des Justizministeriums, das
absolut schrecklich war, der IRS, des FBI und anderer Behörden“, sagte Trump.
Pam Bondi solle „antichristliche Gewalt und Vandalismus in
unserer Gesellschaft verfolgen und Himmel und Erde bewegen, um die Rechte von
Christen und Gläubigen im ganzen Land zu verteidigen“. Man müsse „Gott zurück
in unser Leben bringen.“
Maßnahmen gegen den internationalen Strafgerichtshof
Zusätzlich setzte Trump am Donnerstag ein Dekret durch, das
Mitarbeitende des internationalen Strafgerichtshofs sanktioniert. Dazu gehören
finanzielle Sanktionen sowie Sanktionen, die Visa betreffen. Im November
letzten Jahres stellte der Strafgerichtshof einen Haftbefehl gegen den
israelischen Präsidenten Benjamin Netanyahu wegen Kriegsverbrechen und
Verbrechen gegen die Menschlichkeit aus. Der Internationale Gerichtshof in Den
Haag wird von den USA und Israel nicht anerkannt, doch ein Haftbefehl macht das
Reisen in die 125 Mitgliedsstaaten schwierig. (vn 7)
Menschenhandel: Stimmen und
Geschichten der Hoffnung und Heilung
In Vorbereitung auf den Weltgebetstag gegen den
Menschenhandel am 8. Februar fand in Rom eine Veranstaltung statt, bei der
Opfer von ihren Sorgen, Träumen und Hoffnungen berichteten. „Ohne die
Vernetzung zwischen den verschiedenen Nichtregierungsorganisationen,
Vereinigungen und Kongregationen könnten wir unsere Arbeit nicht tun. Und
gemeinsam müssen wir den Überlebenden helfen“, sagte Schwester Abby Avelino,
internationale Koordinatorin von Talitha Kum. Federico Piana- Vatikanstadt
Stimmen, Geschichten und Erlebnisberichte, in einem
gemeinsamen Einsatz dafür, dem Menschenhandel einen Riegel vorzuschieben. Das
war der Tenor bei der Veranstaltung mit dem Titel „Appell an die Hoffnung und
die Heilung“, die von den Organisationen ausgerichtet wurde, die den
Weltgebetstag gegen ein Phänomen unterstützen, von dem Millionen von Menschen,
insbesondere Frauen und Kinder, betroffen sind.
Zusammenarbeit erforderlich
In der Aula Magna Giovanni Paolo II der Päpstlichen
Universität Santa Croce in Rom eröffnete Sr. Abby Avelino, internationale
Koordinatorin von Talitha Kum - dem internationalen Netzwerk des geweihten
Lebens gegen den Menschenhandel - das Treffen, indem sie die Notwendigkeit der
Zusammenarbeit im Kampf gegen diejenigen, die mit dem Leben anderer spekulieren
und damit Schmerz und Tod verursachen, bekräftigte: „Ohne die Vernetzung
zwischen den verschiedenen Nichtregierungsorganisationen, Vereinigungen und Kongregationen
könnten wir unsere Arbeit nicht tun. Und gemeinsam müssen wir den Überlebenden
helfen, wobei zu bedenken ist, dass sich jedes dritte Opfer als minderjährig
entpuppt und die Zahl der betroffenen Frauen ebenfalls sehr hoch bleibt“.
Unsichtbare Netzwerke bekämpfen
„Der Menschenhandel entstellt die Menschenwürde und bringt
Schmerz und Unterdrückung“, unterstrich Kardinal Michael Czerny. In seiner
Grußbotschaft erklärte der Präfekt des Dikasteriums für ganzheitliche
menschliche Entwicklung, dass diejenigen, die solche abscheulichen Verbrechen
begehen, Teil von Netzwerken seien, die „unsichtbar sind: Um sie zu bekämpfen,
müssen wir in der Lage sein, diese Formen der Sklaverei zu erkennen und in der
Lage sein, die Opfer zu rehabilitieren. Ich segne aufrichtig alle, die diesen
Weg zum Guten gehen“.
Künstlerische Darbietungen und Erlebnisberichte wechselten
sich ab, um auf das Phänomen und dessen Opfer aufmerksam zu machen.
Pauline: „Jetzt bin ich wirklich frei“
„Vor vierzehn Jahren wurde ich sexuell missbraucht und mein
Vater schlug mich“, erzählte Pauline, ein Mädchen aus Kenia. „Vor fünf Jahren
wurde ich dank der Unterstützung der Ordensfrauen von Talitha Kum
wiedergeboren, und jetzt arbeite ich mit ihnen zusammen, um anderen Frauen zu
helfen, die gerettet werden müssen. Teil dieses Solidaritätsnetzes zu sein,
bedeutet für mich, wirklich frei zu sein“.
Ein anderes Mädchen kolumbianischer Herkunft berührte die
Herzen der Zuhörer, als sie zugab, dass sie „eine Überlebende ist, die sich
überwältigt, aber nicht besiegt fühlt. Nach dem Missbrauch, den ich erlitten
habe, war ich gezwungen, meinen Körper auf den Straßen von New York zu
verkaufen, aber jetzt habe ich mir mein Leben zurückerobert, trotz des Leids“.
Von diesem Moment an beschloss sie, sich nicht nur gegen den Menschenhandel zu
engagieren, sondern auch alle Opfer von Missbrauch und Gewalt zu unterstützen.
Whoopi Goldberg unterstützt die Ordensfrauen
Bei dem Event wurde auch eine Videobotschaft der
preisgekrönten Schauspielerin Whoopi Goldberg gezeigt, die zu einer
Botschafterin der Hoffnung für Talitha Kum geworden ist. Darin weist sie darauf
hin, dass weltweit mehr als 30 Millionen Menschen von Menschenhandel betroffen
sind, darunter 12 Millionen Kinder. „Dies“, so ihre Worte, „ist ungeheuerlich.
Die Schwestern stellen sich all dem entgegen und sind eine außergewöhnliche
Kraft“. (vn 7)
Migrationspolitik: Kirchlich aktive
Unions-Mitglieder im Dilemma
Saarlands Ex-Landeschefin Annegret Kramp-Karrenbauer (CDU)
macht beim Zentralkomitee der Katholiken (ZdK) nicht mehr mit. Grund ist die
Merz-Schelte der Kirchen. Katholische Unionspolitiker sehen sich hin- und
hergerissen. Von Simon Berninger https://www.br.de/nachrichten/autoren/redaktion-religion-und-orientierung,8fc78d66-5fab-4a71-8625-10e123a608f6
"Angespannt." So beschreibt die frühere
Bildungsministerin im Kabinett Merkel und katholische Theologin Annette Schavan
(CDU) das derzeitige Verhältnis von Union und Kirche, das in den Ursprüngen der
C-Parteien eigentlich ein enges war. Nach dem Brandbrief der Kirchen, in puncto
Migrationspolitik keine gemeinsame Sache mit der AfD zu machen, nach der Kritik
vieler Kirchenvertreter an dem geplanten harten Kurs der Union in Sachen
Asylverfahren sieht sich Schavan im Dilemma.
Nach dieser Kritik erklärte die frühere saarländische
Ministerpräsidentin Annegret Kramp-Karrenbauer (CDU) ihren Austritt aus dem
Laiengremium der katholischen Kirche. "Das kann ich verstehen, aber ich
persönlich folge Frau Kramp-Karrenbauer in diesem Weg nicht", sagt dagegen
der ehemalige CSU-Landtagsabgeordnete Joachim Unterländer, der Vorsitzender des
Landeskomitees der Katholiken in Bayern bleiben will – Chef also des Pendants
zum ZdK auf Ebene des Freistaats.
Nationaler Alleingang oder EU?
Zur Europawahl vor zehn Monaten mahnte das bayerische
Landeskomitee der Katholiken noch: Politische Herausforderungen wie Flucht und
Migration könnten "nur im Dialog mit unseren europäischen
Nachbarländern" gelöst werden. Nun wollen CDU und CSU im nationalen
Alleingang allen Menschen ohne Papiere die Einreise an der Grenze strikt
verbieten – wegen der "außergewöhnlichen Notlage", in der sich
Deutschland angeblich befände.
Wie er mit diesem Sinneswandel klarkomme? "Ich will die
Positionierungen nicht unbedingt diskutieren, auch nicht, ob das alles richtig
ist, aber im Gesamten ist das natürlich schon nachvollziehbar", sagt
Unterländer im BR-Gespräch.
Ähnlich sieht das die CDU-Bundestagsabgeordnete Anja
Karliczek, die zugleich dem Katholischen Deutschen Frauenbund (KDFB) vorsteht –
und die für das Zustrombegrenzungsgesetz gestimmt hat. "Für die Sorgen und
Ängste und den Unmut, der an mich herangetragen wird, hab ich natürlich auch
Verständnis", sagt Karliczek dem BR. "Aber was ich nicht akzeptiere,
ist, dass mir mangelnde Moral, mangelndes Demokratieverständnis und mangelnde
Christlichkeit vorgeworfen wird."
ZdK verteidigt "klare Haltung" bei Migration und
Flucht
Davor verwehrt sich auch Annette Schavan mit Blick auf ihre
kirchlich engagierten Parteifreunde. Stattdessen rät die Katholikin zu einem
Blick zurück: "Erinnern Sie sich an die Diskussion über
Stammzellforschung. Das hab ich ja aktiv als Forschungsministerin erlebt. Das
heißt, es gab immer Fragen, die ganz heftig im Parlament diskutiert wurden und
über die es auch heftigen Streit mit beiden Kirchen gab." Im Idealfall, so
Schavan, führe das zu einer Klärung im Streitfall Migration.
Von ihrer Position abweichen will ZdK-Präsidentin Irme
Stetter-Karp indessen aber nicht: Das ZdK habe Beschlüsse zu
migrationspolitischen Themen gefasst, die den Unions-Vorstößen klar
widersprächen, sagte sie der Katholischen Nachrichten-Agentur. Das in entscheidenden
Augenblicken zu benennen und eine klare Haltung zu formulieren, sei ihre
Aufgabe als Präsidentin. Br 7
Welche Auswirkungen haben Stopp der
US-Hilfen für den Globalen Süden?
Die US-Auslandshilfen sind ein wichtiger Baustein beim Kampf
gegen Hunger, Armut und Fluchtursachen. US-Präsident Trump hat die Zahlungen
nun ausgesetzt. Was sind die Folgen? Welche Staaten sind besonders betroffen?
In der Entwicklungszusammenarbeit sind die USA in vielen
Ländern des Globalen Südens bisher der größte Geldgeber. Die Hilfen sind ein
wichtiger Baustein bei der Bekämpfung von Armut, Hunger und Fluchtursachen.
Menschenrechtsorganisationen beklagen seit vielen Jahren, dass das Geld nicht
reicht, um die Not zu lindern. Sie appellieren an die internationale
Gemeinschaft, mehr gegen ungleiche Verteilung von Ressourcen und Wohlstand zu
tun.
US-Präsident Donald Trump ist diesem Appell nicht gefolgt.
Im Gegenteil: Er hat die Zahlung von US-Hilfsgeldern nun ausgesetzt und einen
Schock ausgelöst. Seine Politik wird massive Auswirkungen in Krisen- und
Konfliktregionen haben. Einige Beispiele:
Millionen Todesfälle in Afrika befürchtet
„Zwei bis vier Millionen zusätzlichen Todesfälle durch
vermeidbare und behandelbare Krankheiten“ – das könnte die Folge der
US-Entscheidung sein, wie eine Berechnung der afrikanischen Gesundheitsbehörde
CDC Africa ergeben hat. Finanzielle Engpässe könnten die Errungenschaften der
vergangenen Jahre im Gesundheitsbereich zunichtemachen, schreibt CDC-Direktor
Jean Kaseya in einem offenen Brief an die Afrikanische Union. Für die
betroffenen Familien sei dies wiederum mit schweren wirtschaftlichen Konsequenzen
verbunden. „Geschätzt 39 Millionen Menschen mehr würden in Armut gestürzt und
den Kontinent jährlich Milliarden kosten – das ist nicht nur eine afrikanische
Krise, es ist eine globale Krise im Entstehen“, warnt Kaseya.
HIV-Programme in Südafrika in Gefahr
Mit einer der höchsten HIV-Infektionsraten weltweit gehört
Südafrika seit mehr als zwei Jahrzehnten zu den größten Empfängern von Mitteln
aus dem US-Aidshilfe-Programm Pepfar. Bislang wurden damit knapp 20 Prozent des
südafrikanischen HIV-Budgets und damit die medikamentöse Behandlung von 5,5
Millionen Menschen finanziert. Nach Angaben des Gesundheitsministeriums sind
rund 8,5 Millionen Südafrikaner – etwa 14 Prozent der Bevölkerung – mit dem
Virus infiziert. Zudem seien nun die Stellen von rund 15.000 Beschäftigten im
Gesundheitswesen bedroht, sagte Gesundheitsminister Aaron Motsoaledi.
Projekte in Konfliktregionen in Gefahr
Ob Syrien oder Gaza, Ukraine, Sudan oder Demokratische
Republik Kongo: Das UN-Nothilfebüro OCHA sieht jetzt seine Projekte in diversen
Krisen- und Konfliktregionen in Gefahr. In Gaza etwa hänge der Erfolg der
Feuerpause auch vom Gelingen humanitärer Hilfslieferungen ab. In Syrien und dem
Sudan seien durch die andauernden Konflikte Millionen Flüchtlinge von
Unterstützung abhängig, ebenso in der Ukraine. Könne die dringend notwendige
Hilfe nicht mehr geleistet werden, drohe die Ausbreitung von Hunger und Krankheiten.
Ukraine stark betroffen – Gelder für Wiederaufbau fallen weg
Die Ukraine ist von der Einstellung der Zahlungen der
US-Entwicklungsbehörde (USAID) mit am stärksten betroffen. Umgerechnet mehr als
2,5 Milliarden Euro an humanitärer Hilfe hat die US-Entwicklungsbehörde seit
dem russischen Einmarsch nach Zählung des Zentrums für Oststudien in Warschau
geleistet. Dazu kamen noch gut 4,8 Milliarden Euro an Entwicklungshilfe und
mehr als 29 Milliarden Euro an US-Haushaltshilfen. Mehrere USAID-geförderte
Entwicklungsprojekte beim Wiederaufbau von kritischer Infrastruktur unter
anderem für die Stromversorgung, aber auch beim Ausbau von Grenzübergängen in
die EU, sind demnach betroffen.
USA größtes Geberland für Afghanistan
Seit der Machtübernahme der Taliban 2021 hat USAID gemeinsam
mit anderen US-Behörden umgerechnet mehr als 3,57 Milliarden Euro an
humanitärer Hilfe und Entwicklungsunterstützung bereitgestellt. Das geht aus
dem Ende Januar veröffentlichten Quartalsbericht des US-Generalinspekteurs für
den Wiederaufbau in Afghanistan (Sigar) hervor. Damit sind die USA das
wichtigste Geberland für Afghanistan. Rund 64 Prozent der Mittel stammen den
Angaben nach von USAID und dem US-Außenministerium.
Ein Stopp der Hilfe wird gravierende Folgen für die
humanitäre Lage, das Gesundheitssystem und die Wirtschaft des Landes haben.
Während internationale Hilfe in den vergangenen Jahren weiter gekürzt wurde,
sind laut UN-Nothilfebüro Ocha rund 22,9 Millionen Menschen – fast die Hälfte
der Bevölkerung – auf humanitäre Unterstützung angewiesen.
Projekte der Minenräumung in Kambodscha ausgesetzt
Das südostasiatische Kambodscha gehört zu den am stärksten
betroffenen Ländern mit nicht explodierten Kampfmitteln. 93 aktive Projekte bei
der Minenräumung müssten nun pausieren, sagte der Vizepräsident der dortigen
Behörde für Minenräumung, Ly Thuch, der „Khmer Times“. Die USA hätten die
Räumung jährlich mit etwa 10 Millionen Dollar unterstützt. Betroffen seien auch
mehr als 1000 Mitarbeiter, denen die Arbeitslosigkeit drohe. Die USA sind nach
eigenen Angaben der weltweit größte Unterstützer von Projekten zur Räumung von
Landminen und nicht explodierten Sprengsätzen.
UN: Hilfe im Sudan größtenteils aus den USA
Der blutige Machtkampf im Sudan hat zu einer der größten
humanitären Krisen weltweit und zu Flucht und Vertreibung von mehr als zwölf
Millionen Menschen geführt. Gut 25 Millionen Menschen haben nicht genug zu
essen. „Ein Großteil der Hilfsgelder, auf die wir angewiesen sind, kommt aus
den USA“, zitierte die Aktivistenplattform Avaaz einen hohen UN-Beamten. Sollte
die Finanzierung nicht wieder aufgenommen werden, drohe ein Zusammenbruch der
UN-Arbeit in dem Krisenstaat. „Es wäre einfach nicht machbar, weiterhin
ernsthafte Hilfe im Sudan zu leisten.“
Gravierende Folgen für Flüchtlinge in Myanmar
In Myanmar ist die Aussetzung der Hilfen schon zu spüren: Im
Grenzgebiet zu Thailand mussten seither mindestens acht Krankenhäuser
schließen, die sich seit Jahrzehnten um Opfer der bewaffneten Konflikte in dem
Vielvölkerstaat gekümmert hatten. Viele Patienten müssen wegen schwerer
Verletzungen nach Artilleriebeschuss oder Luftangriffen behandelt werden. „Es
ist grausam, die Hilfen ohne Vorwarnung einzustellen“, so Ärztin Linn Nway Oo.
Laut der US-Botschaft in dem südostasiatischen Land leisteten die USA im Haushaltsjahr
2024 humanitäre Hilfe in Höhe von umgerechnet 136 Millionen Euro.
Stromprojekt im Senegal in der Schwebe
Im westafrikanischen Senegal ist laut Premierminister
Ousmane Sonko ein Projekt zur Verbesserung der Stromversorgung für die 18
Millionen Einwohner betroffen. Mit den umgerechnet mehr als 480 Millionen Euro
sollten unter anderem grüne Energieversorgung ausgebaut und damit die
Wirtschaft nachhaltig angekurbelt werden. Unklar war zunächst, wie viel des
2021 abgeschlossenen Fünf-Jahres-Programms bereits ausgezahlt wurde.
Sonko betonte erneut, wie wichtig es für afrikanische
Staaten sei, sich von internationaler Finanzierung unabhängig zu machen. „Wir
können nicht weiterhin auf Hilfe von außen hoffen. Unsere Entwicklung muss in
erster Linie von innen kommen.“ (dpa/mig 7)
Verstärkte Ausnutzung von Einwanderern in „rücksichtslosen
Strukturen“
Es wäre nicht das erste Mal: Sozialbetrüger locken
Südosteuropäer unter falschen Versprechungen nach Deutschland und beuten sie
hier aus. Das NRW-Ministerium spricht von „rücksichtslos agierenden Strukturen“
– und führt Razzien in fünf Städten durch.
Bei Razzien in fünf nordrhein-westfälischen Städten sind
mehr als 100 Einsatzkräfte verschiedener Behörden gegen mutmaßliche
Sozialbetrüger vorgegangen. Es ging unter anderem um ausbeuterische
Arbeitsverhältnisse und Sozialbetrug durch nicht regulär angemeldete Jobs, wie
das Bauministerium mitteilte. Die Razzien wurden demnach bereits am Donnerstag
vor zwei Wochen am frühen Morgen in Wuppertal, Gelsenkirchen, Duisburg,
Leverkusen und Krefeld durchgeführt.
Es seien mehr als 50 Gebäude und rund 80 bis 100
Wohneinheiten kontrolliert worden, die vorwiegend von Menschen aus Südosteuropa
bewohnt werden. Zudem wurden mehrere Arbeitgeber überprüft. „Wir beenden das
Versteckspiel von Sozialbetrügern und legen kriminelle Machenschaften auf dem
Wohnungs- und Arbeitsmarkt offen“, sagte Bauministerin Ina Scharrenbach. Die
Überprüfungen seien „ein gezielter Schlag gegen gesetzwidrige Strukturen, die
den Sozialstaat mit betrügerischen Tricks hintergehen wollen.“ Damit schütze
man Menschen, die mit guten Absichten und Arbeitswillen nach Deutschland
kommen. „Mit dem gleichen Einsatz packen wir uns diejenigen, die Menschen
ausbeuten.“
„Rücksichtslos agierende Strukturen“
Dem Ministerium zufolge haben es Kommunen in NRW verstärkt
mit „rücksichtslos agierenden Strukturen zu tun“, die Bürger aus Südosteuropa
unter Vorspiegelung falscher Tatsachen zur Zuwanderung nach Deutschland
motivieren. Die Zugewanderten würden sich dann jedoch häufig in ausbeuterischen
Arbeitsverhältnissen und problematischen Wohnverhältnissen wiederfinden.
„In Nordrhein-Westfalen dulden wir weder Ausbeutung von
Menschen, noch die Verwahrlosung von Wohnraum oder den organisierten Missbrauch
unserer Sozialsysteme“, unterstrich die Ministerin.
Bei den Durchsuchungen ging es auch um Melderechtsverstöße,
problematische Bau- und Wohnungsbestände, Scheinarbeitgeber und
Sozialleistungsmissbrauch sowie Verstöße gegen Hygienevorschriften. Beteiligt
an den Razzien waren neben der Polizei auch Gesundheitsamt, Ausländerbehörde,
Bauaufsicht, Bundesagentur für Arbeit, Feuerwehr, Finanzkontrolle, Ordnungsamt
sowie die Wohnungsaufsicht.
Schutzunterkunft in Berlin für Betroffene
Welche Folgen die Razzien für die Ausgebeuteten haben wird,
wurde nicht mitgeteilt. Menschenrechtler und Beobachter kritisieren, dass
Rechtsverstöße in solchen Fällen die Arbeiter oft am stärksten treffen. Sie
verlieren nicht nur ihre Jobs, sondern müssen nicht selten auch zurück in ihre
Heimatländer, wo der Arbeitsmarkt für sie noch desolater ist. Der Journalist
und Autor des Buches „Ganz unten im System“, Sascha Lübbe, attestiert manchen
Branchen in Deutschland ein strukturelles und systematisches Problem.
Berlins Sozial- und Arbeitssenatorin Cansel K?z?ltepe (SPD)
kündigte zuletzt die bundesweit erste Schutzunterkunft für Betroffene von
Arbeitsausbeutung an. Damit soll Arbeitsmigranten, die von Unternehmen mit zu
geringen Löhnen ausgebeutet werden und in katastrophalen Massenunterkünften
hausen müssen, Schutz geboten werden. Zudem sollen sie bei Klagen und
Gerichtprozessen gegen die Arbeitgeber bei zu niedrigen oder unbezahlten Löhnen
unterstützt werden. (dpa/mig 7)
ifo Institut: Verteilung von
Asylsuchenden an offenen Stellen ausrichten
München – Die Zahl offener Stellen sollte bei der Verteilung
von Asylsuchenden auf die Landkreise eine größere Rolle spielen als die
Bevölkerungszahl. Dies würde laut ifo Institut die langfristige Integration von
Asylsuchenden erleichtern. „Die Erstunterbringung von Asylsuchenden ist
entscheidend für eine erfolgreiche Integration. Wenn die Arbeitslosenquote im
Landkreis der Erstunterbringung um einen Prozentpunkt höher ist, führt dies zu
einer um fünf Prozentpunkte geringere Wahrscheinlichkeit, dass Asylsuchende
mittelfristig eine Beschäftigung aufnehmen“, sagt Panu Poutvaara, Leiter des
ifo Zentrums für Migration und Entwicklungsökonomik.
Die bisherige Verteilung von Asylsuchenden in Deutschland
erfolgt nach dem „Königsteiner Schlüssel“. Zwei Drittel der Menschen werden
nach dem Steuereinkommen der Bundesländer verteilt und ein Drittel nach der
Bevölkerungszahl. Die Länder selbst verteilen dann in der Regel proportional
zur vorhandenen Bevölkerung in die Landkreise weiter. „Die Entscheidung über
den Unterbringungsort von Asylsuchenden nach ihrer Ankunft in Deutschland
gleicht einem Lotterieverfahren, das potenziell schädlich für den Integrationserfolg
ist. Eine gescheiterte Integration führt dabei zu hohen Folgekosten“, sagt
Poutvaara.
Neben der Arbeitslosigkeit ist auch die
Integrationsbereitschaft der Bevölkerung entscheidend für den
Integrationserfolg von Asylsuchenden: Ein Anstieg des rechtsextremen
Wähleranteils um einen Prozentpunkt bringt eine um drei Prozentpunkte geringere
Wahrscheinlichkeit, dass Asylsuchende anschließend einen Job finden oder eine
Ausbildung machen. Diese Effekte bleiben auch unter Berücksichtigung lokaler
Arbeitslosenquoten bestehen.
Auch innerhalb der EU sei es nicht sinnvoll, Geflüchtete
gleichmäßig auf die Mitgliedsstaaten zu verteilen. „Asylsuchende in ein Land zu
zwingen, das sie nicht willkommen heißt, würde sie in Armut und sozialer
Isolation gefangen halten“, sagt Poutvaara. Wenn ein Land dabei
überproportional viele Asylsuchende aufnimmt, sollten die anderen EU-Länder es
dabei finanziell unterstützen. Ifo 7
Europas Autoindustrie wankt, China dominiert den
Batteriesektor – Sandersons „Volt Rush“ zeigt, wie der Westen den
Rohstoffwettlauf verschlafen hat. Von Claudia Detsch
Die europäische Automobilindustrie steckt in ihrer tiefsten
Krise. Mit Trump 2.0 droht die Handelspolitik endgültig zum geoökonomischen
Schlachtfeld zu werden. Gleichzeitig ringt die EU mit China um ihr künftiges
Verhältnis – Kooperation, Wettbewerb oder Konfrontation? Währenddessen
eskaliert der Krieg im Kongo.
Wie einst Bronze, Eisen, Kohle und Öl ihre Epochen prägten,
wird dies nun Lithium tun. Henry Sanderson wirft in Volt Rush einen
spannenden Blick auf die Geschichte der Elektromobilität und den Aufstieg des
Batterie-Zeitalters. Das ist durchaus sehr unterhaltsam, zumal der
Journalist eine flotte Schreibe hat. Zudem ist offenbar ein Hang zum modernen
Kreuzrittertum nicht von Nachteil, wenn man es im Rohstoffsektor zu etwas
bringen will. Entsprechend reich an Anekdoten ist der Streifzug durch rohstoffreiche
Länder, prägende Figuren und die industriepolitische Geschichte.
Das Zeitalter der „Erneuerbaren“ – und mit ihm das der
kritischen Rohstoffe – wird mindestens ebenso geopolitisch geprägt sein wie das
Öl-Zeitalter. Industriepolitik ist mehr als Rohstoffe, aber ohne Rohstoffe ist
alle Industriepolitik nichts. Dementsprechend treibt die Menschheit den Bergbau
intensiver voran als je zuvor. Sanderson zitiert den Ökonomen Jeffrey
Bernstein, der feststellt: Ein Prozent Wirtschaftswachstum führt zu zwei
Prozent Zuwachs bei Bergbau-Aktivitäten.
Ein Blick auf die Wertschöpfungsketten genügt, um zu
verdeutlichen, wie sehr sich die ökonomischen Machtverhältnisse durch den
klimaneutralen Umbau verändern werden. Ohne China ist die batterie-basierte
ökologische Zukunft derzeit nicht denkbar. Aus industriepolitischer Sicht ist
das ein Desaster für Europa. Aber auch mit Blick auf die angestrebte
strategische Autonomie ist es ein Offenbarungseid. Die Steuerung der kompletten
Wertschöpfungsketten bildet Europas größte Achillesferse. Aus europäischer und
gerade aus deutscher Sicht ist es entsprechend auch eine schmerzhafte Lektüre.
Der Westen hat geschlafen. Für Sanderson besteht kein Zweifel: Es war ein
epochaler Fehler, die Forschung und Entwicklung bei Batterien zu
vernachlässigen.
Industrieller Erfolg basiert üblicherweise auf zwei Durchbrüchen:
zum einen bei Forschung und Entwicklung; zum zweiten über die Skalierung. China
managt bei Clean Tech beides. Damit konnten gleich mehrere Fliegen mit einer
Klappe geschlagen werden. Mit Blick nach innen ging es darum, die eigenen
Städte sauberer zu machen und die Abhängigkeit vom Ausland zu reduzieren, etwa
beim Öl. Und extern lockten Prestige und wachsende Anteile am Weltmarkt der
Zukunftstechnologien. Die Dominanz bei neuen Technologien, sie ist historisch
schon immer verbunden mit nationaler Stärke und Macht. Die Revolution auf dem
Automobilmarkt bot China eine once in a lifetime-Möglichkeit – und sie wurde
genutzt. Hilfreich dabei, auch diese schmerzhafte Einsicht bietet die Lektüre,
war insbesondere die Zusammenarbeit mit deutschen Autobauern. Hohe Standards
und kontinuierliche Testreihen halfen, chinesische Technik zu verbessern.
Ebenso hilfreich, keine Frage: der brachiale Protektionismus. Dass lokal
produzierte Autos lokale Batterien nutzen mussten und müssen, war ein
entscheidender Schlüssel zum Erfolg.
Das Buch legt die gewaltige Subventionsmaschine offen, die
Chinas Aufstieg ermöglicht hat. Es zeigt, dass der chinesische Weg beispiellos
und extrem kostspielig war – und sich daher nicht ohne Weiteres nachahmen
lässt. Gleichzeitig wird deutlich, dass auch in China nicht alles reibungslos
verläuft und viele Unternehmungen scheitern. Damit widerspricht das Buch dem im
Westen verbreiteten Narrativ eines allumfassenden chinesischen Masterplans.
Doch trotz Rückschlägen hat China sein Ziel erreicht: die Marktdominanz in
einer wachsenden Zahl von Zukunftstechnologien.
Ein Schlüssel zum Erfolg: China dominiert die gesamte
Wertschöpfungskette. Das Land selbst verfügt bei vielen kritischen Rohstoffen
keineswegs über große Reserven. Aber es hat den Verarbeitungsprozess unter
seine Fittiche gebracht. Unternehmen wie CATL erwarben Minen beziehungsweise
Anteile daran und sicherten sich so Zugang zu den nötigen Rohstoffen. Europa
dagegen hat nur einen geringen Anteil an der Produktion von Kobalt, Nickel,
Lithium und Graphit; noch schlechter sieht es bei der Weiterverarbeitung zu
Vorprodukten aus.
Beim Lesen drängt sich unweigerlich die Frage auf: Wie kann
Europa darauf reagieren? Wie lässt sich eine erfolgversprechende Kooperation
zwischen Staat und Unternehmen gestalten? In den Industriestaaten ist die
Vernetzung zwischen Wirtschaft und Politik weit weniger eng als in China. Zwar
unterzeichnen Regierungen zahlreiche Memorandums of Understanding, doch die
entscheidenden Faktoren – Investitionen, Kooperationen, Technologietransfer und
Produktionsstätten vor Ort – liegen größtenteils in der Hand privater
Unternehmen. Diese wiederum verfolgen in erster Linie wirtschaftliche Ziele.
Sie sind eher den Interessen ihrer Anteilseigner verpflichtet als den
makroökonomischen oder sicherheitspolitischen Überlegungen ihrer Regierungen
Zwar gehört zur Wahrheit eben auch, dass es im Fall der
chinesischen Batterie- und Automobilindustrie oft private Unternehmen sind, die
Pionierarbeit leisten. Aber die chinesische Regierung bietet den
rohstoffreichen Partnerländern staatlich finanzierte Infrastruktur. Hinter den
Abkommen zwischen Regierungen werden Unternehmen aktiv. Und auch die
finanzielle Unterstützung durch chinesische Banken wie die Export-Import-Bank
und die Chinesische Entwicklungsbank sind zentral. Europa muss dringend
Antworten finden, wie staatliche und privatwirtschaftliche Interessen besser
verzahnt und ausreichend finanzielle Anreize und Absicherung bereitgestellt
werden können.
Für Europa stellen sich hier naturgemäß gleich zwei
Herausforderungen. Es gilt, die aktuelle Krise der Automobilbranche zu
überwinden, bevor empfindliche Schneisen in die gesamte Zulieferkette
geschlagen sind und viele Jobs verloren gehen. Es gilt aber auch, endlich vor
die Welle zu kommen, etwa in der Batterieentwicklung. Auch diese Frage wirft
Sanderson auf. Neue Batterietechnologien, die auf anderen, möglichst weniger
problematischen Rohstoffen als etwa Kobalt basieren, wären vermutlich der
einzige Weg. Aber auch hier hat China üblicherweise die Nase vorn. Ohne mehr
gemeinsame Forschung und Entwicklung in Europa wird es nicht gehen.
Dabei sollte sich der Blick auch aufs Recycling richten. Bei
der Batterieherstellung fällt Abfall an, gleichzeitig ist dieses Material
Millionen wert. Anders als fossile Energie können Metalle schier endlos
recycelt werden – ohne größeren Funktionsverlust. Bisher ist die
Geschwindigkeit auf dem Weg zur Kreislaufwirtschaft noch gering. Geschätzt 50
Millionen Tonnen Elektroschrott werden aktuell jährlich weggeworfen; nur 20
Prozent wird recycelt. Die Konzentration von Mineralen ist in Elektroschrott
wesentlich höher als in der Natur. Geschätzt ist der Schrott insgesamt 57
Milliarden US-Dollar wert.
Wer wie Europa wenig Zugang zu den Rohstoffen über Minen
hat, für den sollte dieser Aspekt nochmals interessanter sein. Europa sollte
die sich abzeichnende chinesische Dominanz bei der Weiterentwicklung der
Kreislaufwirtschaft als einen sehr lauten Weckruf verstehen. Das chinesische
Lithiumunternehmen Ganfeng zum Beispiel integriert nicht nur den gesamten
Prozess vom Bergbau bis zum fertigen Produkt. Es widmet sich inzwischen auch
dem Recycling alter Lithium-Ionen-Batterien zu neuem Rohmaterial sowie der Forschung
zu neuen Materialien, mit denen Autos in Minuten geladen werden können.
Behalten die Chinesen hier die Nase vorn, werden sie ihre Dominanz zementieren.
Ein großer Verdienst Sandersons ist es, mit einigen falschen
Gewissheiten aufzuräumen. Dem Kongo sind gleich zwei Kapitel gewidmet. 2019
etwa verarbeiteten chinesische Unternehmen wie Huayou 90 Prozent des aus dem
Kongo stammenden Kobalts. Sanderson macht deutlich, wie schwierig es ist, in
solch komplexen Produkten die Herkunft einzelner Rohstoffe zurückzuverfolgen.
Auch weil chinesische Batterie-Konzerne und ihre westlichen Abnehmer negative
Reaktionen der Verbraucher fürchteten, suchte man nach Alternativen.
Bei der wiederholten Beschreibung dieses internationalen
Drucks durch Investoren und letztlich Käufer drängt sich derzeit eine
unangenehme Frage unweigerlich auf: Werden angesichts der aktuellen
großangelegten Attacke auf Sozial- und Umweltstandards in den USA und Europa
solche Erwägungen künftig noch eine vergleichbare Rolle spielen? Europa hat
hier selbst ein massives Interesse an CO2-Grenzwerten und einem gesunden Maß an
sozialen und Umweltstandards. Von mehr Laisser-faire werden eher die bereits
etablierten chinesischen Unternehmen profitieren, auch das wird deutlich.
Europas Wettbewerbsvorteil dagegen könnten weiterhin die geringeren Emissionen
sein. Etwa 40 Prozent der Emissionen bei der Herstellung eines E-Autos gehen
aufs Konto der Batterie. Bei der Herstellung in China werden wegen der hohen
Abhängigkeit von Kohle etwa 60 Prozent mehr Emissionen erzeugt. Allerdings
sollte man hier die Rechnung nicht ohne den Wirt machen – sprich: ohne die
Erzeugerländer.
Um die Margen des Problemrohstoffs Kobalt aus dem Kongo zu
reduzieren, wurde mehr Nickel verwendet, das aus Indonesien stammt; chinesische
Firmen haben dort in Hütten und Edelstahlwerke investiert. Sanderson stellt in
seinem Buch Unternehmen vor, die im Westen kaum jemandem ein Begriff sind, die
aber über eine unglaubliche Marktmacht verfügen. Ein eindrucksvolles Beispiel
ist Tsingshan, das innerhalb eines Jahrzehnts den globalen Wettbewerb auf dem
Stahlmarkt drastisch verändert hat. Der Marktanteil des Unternehmens in der
Edelstahlproduktion stieg von fünf Prozent im Jahr 2009 auf 25 Prozent ein
Jahrzehnt später. Nach Indonesien zu gehen, spielte eine Schlüsselrolle auf dem
Weg zur Dominanz des globalen Stahlmarkts. Das kam der dortigen Regierung
entgegen, denn sie wollte die heimische Weiterverarbeitung pushen und damit die
eigene Industrialisierung fördern.
Auch an dieser Stelle stolpert man über vermeintliche
europäische Gewissheiten. China sei nur am Export der Rohstoffe interessiert;
man selbst aber stehe bereit, die Interessen der Partner wesentlich besser zu
würdigen, so rühmen sich westliche Regierungen. Das Beispiel Tsingshan zeigt,
dass man hier gefährlich auf dem Holzweg sein könnte. Erstens möchten
Regierungen im Globalen Süden und hier allzumal die der rohstoffreichen Länder
die Bedingungen gern selbst festlegen. Daran wird man künftig schwerlich vorbeikommen.
Hier braucht es attraktive Angebote statt oft als überheblich empfundene
Appelle sowie als protektionistisch wahrgenommene Standards. Und zweitens macht
man es sich hier mit Blick auf China zu einfach. Chinesische Unternehmen sind
agil; sie passen sich in aller Regel den Rahmenbedingungen der Partnerländer
sehr geschmeidig an. Und von einer stärkeren Marktmacht und von regionalen
Wertschöpfungsketten profitieren sie im Zweifel sogar, wie das Beispiel
Indonesien zeigt. 2022 erließ die indonesische Regierung einen Exportbann für
Nickelerz – ein Schlag für die ohnehin schon angeschlagenen westlichen
Produzenten. Der Bann nutzte auch Tsingshan, denn durch ihre Marktmacht in
Indonesien selbst konnten sie Preise setzen. Das Unternehmen fand sich in der
Pole Position für die Elektrofahrzeug-Industrie aufgrund des höheren Bedarfs an
Nickel.
Es sind diese Beispiele, die Volt Rush gerade in der
aktuellen Debatte um die Zukunft europäischer Schlüsselindustrien und den
globalen Wettlauf um Wettbewerbsfähigkeit zur politischen Pflichtlektüre
machen. IPG 6
Weltweit 230 Millionen Frauen von
Genitalverstümmelung betroffen
Mehr als 230 Millionen Mädchen und Frauen weltweit sind an
ihren Genitalien verstümmelt. Betroffene - verlässliche Zahlen gibt es nicht -
leben aufgrund der Migration auch in Europa. Der 6. Februar ist der
Internationale Tag gegen weibliche Genitalverstümmelung.
Der Referentin bei der Organisation "Terre des
Femmes", Marlene Keller, zufolge braucht es Gespräche und
Aufklärungsarbeit in den jeweiligen Gemeinschaften, um die Zahl der
Verstümmelungen zu senken. Entscheidend sei es, dabei physische und psychische
Kurz- und Langzeitfolgen zu thematisieren und Männer einzubeziehen: „Sie sind
oft Entscheidungsträger, aber wenig eingebunden“, sagte Keller der Katholischen
Nachrichtenagentur KNA.
Dass die Zahl der Betroffenen zuletzt von 200 auf 230
Millionen - die Dunkelziffer ist hoch - gestiegen ist, hängt laut Keller mit
dem Bevölkerungswachstum in jenen Ländern zusammen, in denen
Genitalverstümmelung weiter praktiziert wird. In einigen Gemeinschaften bleibt
sie eine soziale Norm. Anderswo gehen die Zahlen zurück. Ein Erfolgsmodell ist
der Sahel-Staat Niger, der Genitalverstümmelung bereits 2003 unter Strafe
stellte. Auch setzten sich Aktivistinnen für ein Ende ein. Das Ergebnis: Laut
Unicef sind dort nur noch zwei Prozent der Frauen betroffen.
Es gibt jedoch auch gegenläufige Entwicklungen. Vergangenes
Jahr wollte Gambia ein Verbot aufheben, was Proteste aber verhinderten. Bei den
Verbotsgegnern handelte es sich um konservative Muslime, die den Verstoß mit
„religiöser Reinheit" sowie dem Schutz „kultureller Normen und Werte"
begründeten. Es gebe, so Keller, zwar religiöse Gemeinschaften, die die Praxis
als „religiöse Pflicht" bezeichneten. „Gleichzeitig gibt es in allen
Weltreligionen starke Stimmen, die sich dagegen aussprechen." (kap 6)
Visionen für einen Neustart in der
Gesundheitspolitik:
Versorgungspfade gestaltenFür die nächste
Bundesregierung steht in der Gesundheitspolitik viel auf dem Spiel: Die Kosten
für die Versicherten steigen in ungekannte Höhen. Die Qualität der Versorgung
ist im EU-Schnitt dagegen nur Mittelmaß. Die Aufgabe lautet: Kostenspirale
stoppen und dabei die Qualität der Versorgung verbessern. Wir sagen: Das ist
möglich. Wie? Dazu skizzieren wir vier Maßnahmen, die wir in den nächsten
Wochen vorstellen. Wir starten mit dem Thema „Effiziente Versorgungspfade
gestalten“.
München. Um in Deutschland einen Arzttermin zu bekommen, ist
Wissen und Eigeninitiative gefragt. „Brauche ich einen Termin beim Facharzt und
wenn ja bei welchem? Gehe ich in die Notaufnahme oder reicht ein Besuch bei
meiner Hausärztin? Diese und andere Fragen beantworten in der Regel die
Patientinnen und Patienten. Und nicht immer können sie alleine die beste
Entscheidung treffen“, schildert Dr. Gertrud Demmler, Vorständin der SBK
Siemens-Betriebskrankenkasse den Status Quo. Und sie fährt fort: „Versorgungspfade,
die analoge und digitale Angebote sinnvoll verknüpfen und eine angemessene
Unterstützung bei der Wahl des richtigen Angebots bieten, würden den
Betroffenen helfen und das System spürbar entlasten“.
Digital unterstützen wo möglich, vor Ort behandeln wo nötig
Die Zukunft der Versorgung ist hybrid. Das heißt: Digitale
und analoge Angebote werden dabei so ineinandergreifen, dass das Beste aus
beiden Welten vereint wird. Gerade beim Einstieg in die „Patientenreise“ bieten
digitale Services großes Potenzial: Ein Symptomchecker kann bei der Suche nach
der ersten Anlaufstelle helfen. Je nach Bedarf kann sich eine hausärztliche
Beratung in einer Videosprechstunde anschließen. Wann immer nötig, verweisen
diese ersten Anlaufstellen an die passenden Praxen in der Nähe. Dort
entscheiden Behandelnde und Patient oder Patientin gemeinsam, wie die
Versorgung weiterläuft und welche digitalen Angebote dabei sinnvoll
unterstützen.
Zusammenarbeit zum Wohl der Patientinnen und Patienten
vereinfachen
Damit die „Reise“ der Patientinnen und Patienten durch die
Versorgung effizient und patientenzentriert abläuft, müssen alle Beteiligten
zusammenarbeiten. Arztpraxen, Krankenhäuser, Einrichtungen zur Reha oder
Physiotherapie, die Krankenkassen und weiter Akteure tauschen sich aus, um die
Gesundheit der Versicherten bestmöglich zu unterstützen. Gleichzeitig können so
Doppeluntersuchungen vermieden werden. Damit dies gelingt, braucht es zwei
Voraussetzungen: Zum einen muss der digitale Austausch zwischen den unterschiedlichen
Einrichtungen jederzeit einfach möglich sein. Die ePA und weitere Anwendungen
der Telematikinfrastruktur legen dafür wichtige Grundlagen. Insbesondere bei
der Nutzerfreundlichkeit gibt es jedoch Verbesserungsbedarf. Zum anderen gilt
es, bürokratische Hürden zu lockern, zum Beispiel bei der Weitergabe relevanter
Informationen von einem Versorgungspartner zum nächsten.
Die Krankenkasse als Koordinatorin der Versorgung stärken
Die Krankenkassen sollten in die Begleitung der Versicherten
stärker einbezogen werden. Denn sie sind die einzigen Stellen im
Gesundheitssystem, an denen alle relevanten Versorgungsinformationen
zusammenlaufen. Damit haben sie eine wichtige Rolle in einer Patientenreise.
Sie beraten und begleiten an den zentralen Stationen. Dafür gilt es, Hürden bei
der Versichertenberatung abzubauen. Zum Beispiel indem Versicherte die
Möglichkeit bekommen, ihrer Krankenkasse eine umfassende Genehmigung zur
Beratung auf Basis ihrer Daten zu erteilen. Heute muss diese Genehmigung an
jeder neuen Station der Patientenreise erneuert werden. Das steht einem
bedarfsgerechten Austausch zwischen Kasse und Versicherten im Sinne der
optimalen Versorgung im Wege. Die Daten, auf deren Basis die Krankenkassen
begleiten, sollten ihnen tagesaktuell zur Verfügung stehen. Bisher erhalten die
Krankenkassen die Versorgungsdaten der Versicherten erst viele Monate
verspätet. Eine bedarfsbezogene Beratung ist auf dieser Basis erschwert.
Digitale Plattformen für alle Versicherten
diskriminierungsfrei nutzbar machen
Private Plattformen, wie z.B. Terminserviceanbieter, bieten
bei der Suche nach einem Arzttermin einen großen Mehrwert. Sie können zu einem
guten Startpunkt für die Patientenreise ausgebaut werden. Voraussetzung dafür
ist, dass sie Versicherte nicht aufgrund ihres Versicherungsstatus oder
sozialer Faktoren diskriminieren.
Fazit. Indem Patientinnen und Patienten ihren Weg durch die
Gesundheitsversorgung unkompliziert und zügig finden, können Effizienz und
Qualität der Versorgung gesteigert werden.
Dazu braucht es:
+ Eine einfache Integration digitaler Versorgung in die
Versorgungspfade
+ Diskriminierungsfreien Zugang zur Versorgung über digitale
und analoge Wege
+ Nutzerfreundliche digitale Kommunikationswege zwischen
allen Akteuren
+ Zusammenarbeit zwischen den Versorgungseinrichtungen als
Standard
+ Unkomplizierte Möglichkeiten zur zielgerichteten Beratung
auf Basis aktueller Daten durch die Krankenkasse
+ Qualitätssicherung über regelmäßige Patientenbefragungen
Freuen Sie sich auf die nächste gesundheitspolitische Idee
zur Bundestagswahl! Sie lautet: Gestaltungsspielraum für Leistungserbringende
und Krankenkassen schaffen
Über die SBK: Die SBK Siemens-Betriebskrankenkasse ist die
größte Betriebskrankenkasse Deutschlands und gehört zu den 20 größten
gesetzlichen Krankenkassen. Als geöffnete, bundesweit tätige Krankenkasse
versichert sie mehr als eine Million Menschen und betreut über 100.000
Firmenkunden in Deutschland – mit rund 2.000 Mitarbeiterinnen und Mitarbeitern
in 86 Geschäftsstellen.
Seit über 100 Jahren setzt sich die SBK persönlich und
engagiert für die Interessen der Versicherten ein. Sie positioniert sich als
Vorreiterin für einen echten Qualitätswettbewerb in der gesetzlichen
Krankenversicherung. Voraussetzung dafür ist aus Sicht der SBK mehr Transparenz
für die Versicherten – über relevante Finanzkennzahlen, aber auch über
Leistungsbereitschaft, Beratung und Dienstleistungsqualität von Krankenkassen.
Im Sinne der Versicherten vereint die SBK darüber hinaus das Beste aus persönlicher
und digitaler Welt und treibt die Digitalisierung im Gesundheitswesen aktiv
voran. SBK/GA 6
Trump will US-Übernahme von Gaza.
„Völlig den Verstand verloren“
Völkerrechtsbruch, Rassismus, ein disruptiver Plan: Für
Trumps Vision für den Gazastreifen hagelt es international Kritik – aber nicht
nur. Einer schwärmt geradezu von Trumps „frischen Ideen“: Palästinenser
umsiedeln und Gaza zum Riviera des Nahen Ostens machen. Von Sara Lemel, Arne
Bänsch, Christiane Oelrich und Naveena Kottoor
US-Präsident Donald Trump hat Pläne für die Zukunft des
kriegszerstörten Gazastreifens vorgelegt, die umgehend auf viel Kritik gestoßen
sind. Der Küstenstreifen am Mittelmeer mit rund zwei Millionen
palästinensischen Einwohnern solle in den „Besitz“ der USA übergehen, sagte
Trump im Beisein des israelischen Ministerpräsidenten Benjamin Netanjahu in
Washington.
Außerdem will Trump eine dauerhafte Umsiedlung der
Bevölkerung des Gazastreifens bewirken. Dies verstößt aus Sicht von Experten
gegen das Völkerrecht. Mit seinen Plänen stieß Trump in den USA und
international auf Widerstand.
Was ist Trumps Vision für den Gazastreifen?
Trump strebt eine Umsiedlung der im Gazastreifen lebenden
Menschen in arabische Staaten und einen Wiederaufbau des Gebiets an, das
während des mehr als einjährigen Krieges zwischen Israel und der Hamas
weitgehend in Schutt und Asche gelegt worden war. Unter der Führung der USA
könne der Gazastreifen eine „Riviera des Nahen Ostens“ werden, schwärmte er.
Trump sagte, dies werde für die Palästinenser „wunderbar“ sein, sagte aber
gleichzeitig, er rechne nach einer Umsiedelung nicht mit der Rückkehr der gegenwärtigen
Einwohner des Gazastreifens. Für sie sei Gaza die „Hölle“.
Trump nannte eine Zahl von rund 1,8 Millionen
Palästinensern, die ihre Heimat verlassen müssten. Wer dann künftig im
Gazastreifen leben soll, ließ der US-Präsident offen. „Viele Menschen“ sollten
dort leben, „Palästinenser auch“, sagte er lediglich. Unklar ist auch, welchen
Status das Gebiet nach Trumps Plänen künftig haben soll – ab es von den USA
annektiert, Israel zugeschlagen oder anders verwaltet werden soll.
Nach Beginn des Friedensprozesses zwischen Israel und den
Palästinensern in den 1990er Jahren hatte es Bemühungen geben, den Gazastreifen
in ein auch touristisch attraktives Gebiet zu verwandeln. Es entstanden
verschiedene Projekte, unter anderem ein Wasser-Vergnügungspark. Die gewaltsame
Übernahme der Kontrolle durch die islamistische Hamas in den Küstenstreifen im
Jahre 2007 und die Verschärfung einer israelischen Blockade des Gebiets, die
von Ägypten mitgetragen wurde, setzte solchen Versuchen allerdings ein Ende.
Was sagt das Völkerrecht?
„Jede erzwungene Umsiedlung oder Vertreibung von Menschen
aus besetzten Gebieten ist strikt verboten“, sagt der UN-Hochkommissar für
Menschenrechte, Volker Türk.
Relevant ist Regel 129 des internationalen
Völkergewohnheitsrechts. Vom Deutsche Roten Kreuz gibt es eine Übersetzung der
in der Rechtsdatenbank des Internationalen Komitees vom Roten Kreuz (IKRK)
hinterlegten englischen Texte, und da heißt es wörtlich:
„Die an einem internationalen bewaffneten Konflikt
beteiligten Parteien dürfen die Zivilbevölkerung eines besetzten Gebiets, in
ihrer Gesamtheit oder teilweise, nicht verschleppen oder zwangsweise
überführen, sofern dies nicht im Hinblick auf die Sicherheit der betroffenen
Zivilpersonen oder aus zwingenden militärischen Gründen geboten ist.“
Warum wehren sich Ägypten und Jordanien und welche
Druckmittel haben die USA?
Aus innenpolitischen Gründen lehnen Ägypten und Jordanien
eine Umsiedlung der Palästinenser aus dem Gazastreifen ab, da dies erhebliche
Spannungen auslösen würde. In Kairo befürchtet die Regierung, dass eine große
Zahl Geflüchteter die wirtschaftliche und soziale Lage weiter verschärfen
könnte – insbesondere in der Sinai-Region, wo bereits Sicherheitsprobleme mit
islamistischen Gruppen bestehen.
Jordanien zählt weltweit zu den Ländern mit der höchsten
Flüchtlingszahl pro Einwohner. Neben zahlreichen Syrern lebt dort bereits eine
große palästinensische Gemeinschaft. Eine erzwungene Vertreibung aus dem
Gazastreifen könnte die innenpolitische Balance destabilisieren und den
Einfluss der Palästinenser im Land weiter stärken – ein Szenario, das
Spannungen mit der einheimischen Bevölkerung und der Monarchie verstärken
könnte.
Experten warnen, dass Trumps Pläne zwei der stabilsten
Länder im Nahen Osten destabilisieren könnten. Die USA könnten die Regierungen
mit einem Stopp finanzieller Unterstützung jedoch erheblich unter Druck setzen.
Ägypten etwa erhält jährlich rund 1,3 Milliarden US-Dollar Militärhilfe.
Wie stark ist der Gazastreifen zerstört, wie lange würde der
Wiederaufbau dauern?
Nach Angaben des UN-Nothilfebüros Ocha sind 90 Prozent der
rund zwei Millionen Menschen im Gazastreifen während des Krieges aus ihren
Häusern und Siedlungen vertrieben worden. Nach Auswertung des
UN-Satellitenzentrums UNOSAT von Dezember sind rund 69 Prozent der Gebäude im
Gaza-Streifen zerstört oder beschädigt. Es listet allein gut 60.000 zerstörte
und gut 20.000 schwer beschädigte Gebäude auf. Nach einem UN-Report von Januar
gibt es allein 50 Millionen Tonnen Trümmer.
Viele der Hunderttausenden von Vertriebenen, die nach Beginn
der Waffenruhe im vergangenen Monat in den Norden des Gazastreifens
zurückkehrten, fanden in ihren Wohnorten nur ein Trümmerfeld vor. Trumps
Nahostgesandter Steve Witkoff sagte nach einem Besuch in der Region, im
Gazastreifen sei „fast nichts übrig“. Ein Wiederaufbau des Küstenstreifens
könne zehn bis 15 Jahre dauern, die Vorstellung, dies in fünf Jahren zu
schaffen, sei „absurd“.
Wem gehört der Gazastreifen?
Im Sechstagekrieg 1967 eroberte Israel den von
Palästinensern bewohnten Gazastreifen von Ägypten, das den schmalen
Küstenstreifen nach dem ersten Nahostkrieg 1948 militärisch verwaltet hatte. Im
Rahmen von Israels Friedensverträgen mit den Palästinensern sah das
Gaza-Jericho-Abkommen von 1994 unter anderem vor, dass die Palästinenser in
einem Großteil des Gazastreifens erstmals Verwaltungsautonomie erhalten.
Im Jahre 2005 zog Israel sich einseitig aus dem Gazastreifen
zurück und räumte alle 21 israelischen Siedlungen. Israel steht auf dem
Standpunkt, dass die Besatzung des Küstenstreifens damit endete. Die Vereinten
Nationen betrachteten es jedoch weiter als besetztes Gebiet, unter anderem,
weil Israel alle Zugänge kontrolliert.
Eineinhalb Jahre nach dem Sieg über die rivalisierende
Fatah-Organisation des Palästinenserpräsidenten Mahmud Abbas bei den
Parlamentswahlen riss die islamistische Hamas 2007 gewaltsam die alleinige
Kontrolle im Gazastreifen an sich. Israel verschärfte daraufhin eine Blockade
des Gebiets, die von Ägypten mitgetragen wurde. Die Palästinenser beanspruchen
den Gazastreifen zusammen mit dem Westjordanland und Ost-Jerusalem als Gebiet
eines künftigen eigenen Staates.
Wie reagieren die arabischen Staaten und die Hamas auf
Trumps Vorstoß?
Die arabischen Staaten haben eine Umsiedlung der
Palästinenser aus dem Gazastreifen grundsätzlich abgelehnt. Die Gründe dafür
sind vielfältig. Neben innenpolitischen Erwägungen befürchten die Länder der
Region, dass eine solche Umsiedlung die israelische Kontrolle über den
Gazastreifen zementieren und eine dauerhafte Vertreibung legitimieren würde.
Zudem wollen sie nicht als Komplizen einer Politik gelten, die als ethnische
Säuberung interpretiert werden könnte.
Eine erzwungene Migration könnte darüber hinaus als
Präzedenzfall für weitere Vertreibungen dienen. Zudem drohen Spannungen
innerhalb der Arabischen Liga, da die Last der Aufnahme ungleich verteilt wäre.
Vor allem die Golfstaaten, die bislang nur begrenzte Verantwortung in Form von
finanzieller Unterstützung für die palästinensische Bevölkerung übernommen
haben, könnten unter verstärkten Erklärungsdruck geraten.
Die islamistische Hamas, deren Massaker in Israel am 7.
Oktober 2023 den verheerenden Krieg ausgelöst hatte, warf Trump „Rassismus“
vor. Seine Äußerungen seien der unverhohlene Versuch, den Palästinensern ihre
unveräußerlichen nationalen Rechte zu verweigern, sagte Issat al-Rischk,
Mitglied des Hamas-Politbüros.
Die Bevölkerung des Gazastreifens werde dies nicht zulassen,
sagte auch das führende Hamas-Mitglied Sami Abu Suhri. „Was wir brauchen, ist
die Beendigung der Besatzung und der Aggression gegen unser Volk, nicht die
Vertreibung aus seinem Land.“
Welche Reaktionen gibt es aus den USA?
Trumps Außenminister Marco Rubio unterstützte die Vorschläge
des Präsidenten. Die USA seien bereit, „Gaza wieder schönzumachen,“ schrieb
Rubio auf der Plattform X. Aber aus dem Lager der Republikaner wurde auch
Skepsis laut. Der republikanische Senator Lindsey Graham nannte den Vorschlag
„problematisch“ berichten US-Medien übereinstimmend. Er habe Zweifel daran,
dass seine Wähler sich über eine Entsendung von US-Soldaten in den Gazastreifen
freuen würden, sagte der derzeitige Vorsitzende des Haushaltsausschusses im
US-Senat.
Heftige Kritik hagelte es aus dem Lager der Demokraten.
US-Senator Chris Van Hollen wertete das Vorhaben als schweren Völkerrechtsbruch
und sprach von „ethnischer Säuberung“. Er sagte dem US-Sender MSNBC, der Plan
sei „in vielerlei Hinsicht verabscheuungswürdig“. Die
palästinensisch-amerikanische US-Abgeordnete Rashida Tlaib zeigte sich auf X
entrüstet: „Dieser Präsident ruft offen zu ethnischer Säuberung auf, während er
neben einem völkermordenden Kriegsverbrecher sitzt.“ Als keinen ernsthaften
Vorschlag bewertete Dan Shapiro, der unter Präsident Barack Obama
US-Botschafter in Israel war, die Aussagen Trumps. Senator Chris Murphy schrieb
auf X: „Er hat völlig den Verstand verloren.“
Was sagt Israel zu den Plänen?
Gerade bei rechtsorientierten Israelis lösen Trumps Pläne
offene Begeisterung aus. Der rechtsextreme Finanzminister Bezalel Smotrich
dankte Trump in einem Post auf der Plattform X und kommentierte, es werde „noch
besser und noch besser“. Neben einer israelischen und einer US-Flagge schrieb
er: „Gemeinsam werden wir die Welt wieder großartig machen.“ Wie andere
rechtsextreme Israelis strebt Smotrich eine Wiederbesiedlung des Gazastreifens
an, den Israel 2005 geräumt hatte.
Michael Milshtein, Experte für palästinensische Studien an
der Universität Tel Aviv, warnte eindringlich vor übertriebener Euphorie über
Trumps Pläne. „Wir können uns schweren Schaden zufügen in den Beziehungen zu
arabischen Staaten, mit denen wir seit Jahrzehnten Verträge haben, wie
Jordanien und Ägypten, aber auch mit den Staaten der Abraham-Verträge“, sagte
Milshtein dem israelischen Kan-Sender.
Man könne im Fall einer Umsetzung von Trumps Plänen für Gaza
auch die angestrebte Normalisierung mit Saudi-Arabien „vergessen“, warnte er.
Er wünsche sich von Netanjahu eine realistische Linie bei diesem Thema.
(dpa/mig 6)
Schulen als Orte der
Demokratiebildung: Haltung zeigen statt Neutralität
Berlin – Die Stiftung Bildung betont: Schulen sind Lern- und
Lebensorte, Orte gelebter Demokratie. Politische Bildung und Mitbestimmung sind
essenziell, um junge Menschen zu befähigen, sich aktiv in die Gesellschaft
einzubringen.
Demokratiebildung von Anfang an
Die Verpflichtung, demokratische Werte zu vermitteln, ist im
Grundgesetz, in der UN-Kinderrechtskonvention und den Menschenrechten
verankert. Schulen müssen jungen Menschen die Möglichkeit geben,
Selbstwirksamkeit zu erfahren. Sie müssen ihre Perspektiven ernst nehmen, sie
aktiv in Entscheidungsprozesse einbeziehen und sie ins politische Handeln
bringen.
Politische Bildung als Schlüssel
Politische Bildung in der Schule ist immer pluralistisch und
inklusiv. Sie bietet jungen Menschen Orientierung und ermöglicht einen offenen
und sachlichen Diskurs, ohne Menschenrechte oder Werte des Grundgesetzes
infrage zu stellen. Sie dient nicht der parteipolitischen Beeinflussung. Der
Beutelsbacher Konsens formuliert seit Ende der 1970er-Jahre die Grundsätze der
politischen Bildung in Deutschland:
* Überwältigungsverbot: Schüler*innen dürfen nicht zu einer
bestimmten Meinung gedrängt werden.
* Kontroversitätsgebot: Politische Themen müssen kontrovers
diskutiert werden.
* Teilnehmenden-Orientierung: Schüler*innen sollen befähigt
werden, eigene Positionen zu entwickeln und zu vertreten.
Politische Bildung ist ein entscheidendes Werkzeug, um
demokratische Werte zu verteidigen. Rassistische, homophobe oder in einer
andren Form gruppenbezogen menschenfeindliche oder demokratiefeindlich
Positionen haben im schulischen Diskurs keinen Platz.
Haltung zeigen statt Neutralität
Das Neutralitätsgebot wird oft missverstanden oder gezielt
instrumentalisiert. Neutralität bedeutet nicht, untätig zu bleiben:
Schüler*innenvertretungen, Lehrkräfte und Schulleitungen sind verpflichtet,
Haltung zu zeigen und aktiv für Demokratie und Menschenrechte einzutreten. Sie
dürfen nicht neutral bleiben, wenn demokratische Prinzipien gefährdet sind.
Schutz vulnerabler Gruppen und aktive Teilhabe
Junge Menschen gehören zu den vulnerabelsten Gruppen unserer
Gesellschaft. Gezielte Unterstützung und sichere Räume ermöglichen ihnen eine
aktive politische Teilhabe. Schulen müssen insbesondere marginalisierte
Schüler*innen stärken, um Pluralität zu ermöglichen. Dafür braucht es
Rückendeckung durch Schulleitungen und Behörden.
Schulen tragen Verantwortung für unsere Demokratie
Die Stiftung Bildung ruft dazu auf, Schulen als zentrale
Orte der Demokratiebildung zu stärken: durch entsprechende bildungspolitische
Maßnahmen und die Bereitstellung von Hauhaltsmitteln, gezielte Angebote von
Schulfördervereinen und ehrenamtlich Bildungsengagierten. Lehrkräfte und
Schulleitungen müssen sich ihrer Verantwortung bewusst sein und politische
Bildung als gelebte Praxis begreifen, die mit Hilfe vielfältiger Akteur*innen
des Bildungsbereichs gestaltet werden kann. Demokratie braucht eine klare Haltung
– keine Neutralität. SB/dip 6
Psychologin zu Migrationsdebatte:
„Schaden ist bereits entstanden“
Seit Magdeburg und Aschaffenburg diskutieren Politiker
scharf über Migration. Psychotherapeutin Eva van Keuk kritisiert diese Debatte
als kontraproduktiv. Im Gespräch erklärt sie, was die Herausforderungen sind
und die Lösung gar nicht kompliziert ist. Von Nils Sandrisser
Seit den Anschlägen von Magdeburg und Aschaffenburg wird
scharf über Migration und insbesondere über Zuwanderungsbegrenzung diskutiert.
Genau die falsche Debatte und zudem unethisch sei das, sagt die
Psychotherapeutin Eva van Keuk, Vorständin des Psychosozialen Zentrums für
Geflüchtete Düsseldorf (PSZ), im Gespräch. Das Problem der psychischen
Störungen unter Flüchtlingen lässt sich ihr zufolge relativ einfach
beherrschen, doch die Debatte verschlimmere es.
Frau van Keuk, würde eine radikale Begrenzung des Zuzugs die
Zahl von Gewalttaten senken?
Eva van Keuk: Das eine hat mit dem anderen nichts zu tun.
Die Debatte gibt auf wichtige Fragen völlig falsche Antworten. Wenn Menschen,
die schutzbedürftig sind, draußen bleiben, dann ist die Gefahr eines Amoklaufs
kein bisschen gebannt oder verringert. Je schwieriger die Fluchtwege gestaltet
werden, je höher die Mauern gezogen werden, desto schwerer werden die
psychischen Belastungen derjenigen, die es überhaupt noch schaffen anzukommen.
Es ist absolut erschütternd, was in Aschaffenburg passiert ist. Aber das, was
wir nun erleben, halte ich für eine in hohem Maße unethische
Instrumentalisierung dieses Dramas. Ich plädiere für eine rationalere
Diskussion über Migration und Flucht, die sich weniger aus Angst und
Stereotypen nährt, sondern faktenbasiert und nah an der Realität erfolgt.
Im Fokus der Debatte stehen auch psychische Störungen von
Flüchtlingen. Bekannt ist, dass Faktoren vor und während der Migration die
Belastung erhöhen, aber auch Erfahrungen hier in Deutschland. Erhöht die
Debatte den psychischen Druck auf Flüchtlinge zusätzlich?
Bei traumatisierten Geflüchteten ist durch die Debatte
tatsächlich ein Schaden entstanden. Wir erleben hier in unserer Arbeit täglich
deren große Angst darum, ob es hier für sie überhaupt noch eine Zukunft geben
kann. Übrigens nicht nur bei Geflüchteten – selbst bei Menschen, die hier
längst angekommen sind, hohe Bildungsabschlüsse erreicht haben oder sogar schon
in zweiter Generation hier sind.
Lässt sich auf diesen Druck zurückführen, dass sich
psychische Störungen und Erkrankungen verschlimmern?
„Einer meiner Klienten … hat seit den Wahlkampfdebatten eine
um 50 Prozent verstärkte depressive Symptomatik.“
Ein konkretes Beispiel: Einer meiner Klienten, der aus einem
afrikanischen Land stammt und in der Ukraine studiert hat, dort bei einem
Bombardement seine Verlobte verloren hat, hierher geflohen ist und mit
typischen Traumasymptomen kämpft, hat seit den Wahlkampfdebatten eine um 50
Prozent verstärkte depressive Symptomatik. Die Triggerbarkeit von Menschen, die
Gewalt erfahren haben und in unsicherer Aufenthaltssituation sind, erleben wir
hier jeden Tag. Die Debatten, die wir gerade führen, sind wirklich Gift.
Sie sprachen von Depressionen, die sich verschlimmern. Kann
vielleicht auch gewalttätiges Verhalten häufiger auftreten? Sind wir in einem
Teufelskreis aus scharfer Migrationsdebatte und Gewalttaten?
Der Eindruck könnte entstehen durch die letzten furchtbaren
Attentate. Aber genau betrachtet trifft das wohl nicht zu, auch weil die Taten
zu unterschiedlich sind. In Magdeburg war es nach meinem Kenntnisstand ein gut
integrierter Islamhasser, der die AfD unterstützte. In Aschaffenburg hatten
einige der Opfer selbst eine Einwanderungsgeschichte. Es ist also wesentlich
vielschichtiger, als der Diskurs vermuten lässt. In den PSZ sind wir für die
Begleitung, Beratung und Behandlung von psychisch belasteten Geflüchteten gut
aufgestellt, wir können viel präventiv erkennen und Krisen auffangen. Aber wir
als ambulant arbeitende PSZ brauchen die Kooperation mit stationären und
ambulanten Angeboten der Psychiatrie, um Menschen mit schweren psychischen
Störungsbildern eine erforderliche Medikation und Stabilisierung zu
ermöglichen.
Können sich Psychosen mit Gewaltbereitschaft durch die
Debatte verstärken?
„Das Ausmaß von Fremdgefährdung wird grotesk überschätzt,
wohl auch durch die zurückliegenden Gewalttaten beziehungsweise die
anschließenden Debatten.“
Zunächst: Das Ausmaß von Fremdgefährdung wird grotesk
überschätzt, wohl auch durch die zurückliegenden Gewalttaten beziehungsweise
die anschließenden Debatten. Menschen mit psychotischen Störungsbildern sind
stresssensibel und oft von Stigmatisierung betroffen, hier gibt es meines
Wissens keine Unterschiede zwischen Geflüchteten und Menschen aus der
Mehrheitsgesellschaft.
Was die Debatte betrifft: Wesentlich ist der mangelnde
Zugang zu Versorgung für Geflüchtete. Selbst wenn jemand mit einem
psychotischen Störungsbild die Debatte beunruhigt verfolgt, hätte er ja ein
Ventil, wenn er die Möglichkeit hätte, über seine Sorgen und Ängste zu
sprechen, oder könnte gegebenenfalls medikamentös gegensteuern. Es geht –
übrigens auch bei traumatisierten Klientinnen und Klienten – um den Unterschied
zwischen realer Situation und störungsbedingter Symptomatik, und da dienen wir
als vertrauenswürdige Brücken zur Realität.
Wir haben es also in der Hand, psychische Belastungen von
Flüchtlingen positiv zu beeinflussen?
Absolut. Das Problem ist, dass Verschärfungen verabschiedet
worden sind, die der Abschreckung dienen. Diese Maßnahmen sind das Gegenteil
dessen, was nötig wäre und was der Prävention dient. Ein Beispiel hierfür ist
die Verlängerung der Zeit, in der Asylsuchende keinen Zugang zur
Regelgesundheitsversorgung haben, von 18 auf 36 Monate. Ich denke, dahinter
steht die Bemühung, der Stimmung in der Bevölkerung nach mehr Abschottung
vermeintlich entgegenzukommen.
„Und gegenläufig zu dem, was notwendig wäre, wurden viele
Sozialarbeitsstellen in den Unterkünften gestrichen.“
Grundsätzlich entscheiden vor allem die posttraumatischen
Lebensrealitäten darüber, ob traumatisierte Menschen sich stabilisieren oder
schwer erkranken. Wer in großen Flüchtlingscamps ohne Privatsphäre, ohne
integrative Maßnahmen leben muss, wer Zeuge von Abschiebungen wird, kann
schwerlich gut ankommen oder sich in Sicherheit wähnen. Und gegenläufig zu dem,
was notwendig wäre, wurden viele Sozialarbeitsstellen in den Unterkünften
gestrichen.
Sie haben die aus Ihrer Sicht unethische
Instrumentalisierung der Debatte angesprochen. Allerdings kann man ja auch ohne
fremdenfeindliche Motivation die Frage stellen, ob man Einwanderung nicht
begrenzen müsste. Etwa weil man unsere Möglichkeiten zur Bewältigung als nicht
ausreichend einschätzt. Haben wir denn die Strukturen, um Flüchtlinge adäquat
zu versorgen?
Es braucht zunächst eine gute Aufnahme und
niedrigschwelligen Zugang zur Beratung inklusive systematischer Früherkennung.
Wenn die PSZ vernünftig und längerfristig finanziert wären, könnten wir noch
wesentlich effizienter arbeiten. Wir hier in Düsseldorf haben mehr als 24
Geldgeber. Für sie sind wir sehr dankbar. Gleichzeitig erstellen wir meist
jährliche Anträge und Berichte, organisieren Spendenaktionen. Mit einer
langfristigen Regelfinanzierung beziehungsweise einer institutionellen
Förderung könnten wir mehr Ressourcen in die Versorgung stecken. Bei schweren
psychischen Störungsbildern brauchen wir die Vernetzung mit
sozialpsychiatrischen Diensten vor Ort.
Wir könnten diese Strukturen also haben, wenn wir wollten?
Ja. Es ist gar nicht schwer, Menschen mit hohen Belastungen
frühzeitig zu erkennen. Die Verfahren dazu sind längst entwickelt und
bundesweit erprobt. Die allergrößte Barriere ist oft die Sprache.
„Es brauchen ja nicht nur frisch angekommene Geflüchtete
eine Sprachmittlung, sondern auch ältere Migrantinnen oder Migranten, die
dement werden und in ihre Muttersprache zurückfallen.“
Eine flächendeckende Sprachmittlung wäre eine große Hilfe.
Es brauchen ja nicht nur frisch angekommene Geflüchtete eine Sprachmittlung,
sondern auch ältere Migrantinnen oder Migranten, die dement werden und in ihre
Muttersprache zurückfallen. Das alles müssten wir als Realität anerkennen und
einen angemessenen Umgang damit finden, anstatt sich innerlich und äußerlich
abzuschotten. Was oft vernachlässigt wird: Viele der Geflüchteten sind zu
Beginn voller Hoffnung und bringen ihrerseits enorme Fähigkeiten und Ressourcen
mit. Diese Motivationen sind ein wertvoller Schatz, der dann in den
Unsicherheiten und schlechten Lebensbedingungen aufgerieben wird.
Nach vorliegenden Zahlen erhalten nur drei Prozent von
Asylsuchenden, die eine psychosoziale Versorgung benötigen, adäquate Hilfe.
Bedeutet das, dass wir unsere Ressourcen mehr als verdreißigfachen müssten, um
den Bedarf zu decken? Gibt es denn so viele Psychotherapeutinnen und
Psychotherapeuten?
Laut einer Metastudie haben ungefähr 30 Prozent der
Geflüchteten eine Traumafolgestörung. Aber diese 30 Prozent sind nicht alle
therapiebedürftig. Schon die Verbesserung der Aufnahmebedingungen und der oft
schlechten Unterkunftssituation würde die psychische Verwundbarkeit verringern,
und damit den Therapiebedarf. Wir müssen die Strukturen gar nicht so viel
multiplizieren, sondern für andere Aufnahmebedingungen sorgen, den Zugang zur
Regelversorgung durch Sprachmittlung vereinfachen, für faire Asylverfahren
sorgen und Tools zur Früherkennung flächendeckend einsetzen. Das ist alles gar
nicht so geheimnisvoll. (epd/mig 6)
Nach Migrationsdebatte: Merz führt
bei K-Frage, Zustimmung zu schwarz-blauer Koalition wächst
Hamburg – Nach der Abstimmung über den Unions-Antrag zur
Verschärfung der Migrationspolitik, der im Bundestag mit den Stimmen der AfD
angenommen wurde, wächst die Zustimmung zu einer möglichen schwarz-blauen
Koalition. Kein anderes Regierungsbündnis wird von mehr Deutschen bevorzugt,
auch wenn die Zustimmung auf niedrigem Niveau bleibt. Das ergab eine aktuelle
Umfrage des Markt- und Sozialforschungsinstituts Ipsos. CDU-Chef Friedrich Merz
wird weiterhin als Kanzlerkandidat favorisiert.
Ipsos befragte vom 30. bis 31. Januar 2025 insgesamt 1.000
Wahlberechtigte, die aus einer Liste möglicher Regierungsoptionen und
Kanzlerkandidaten die ihrer Meinung nach beste Koalition bzw. den geeignetsten
Politiker für das Amt des Bundeskanzlers auswählen sollten.
Schwarz-Grün immer unbeliebter, ein Drittel von keiner
Koalition überzeugt
Jeder fünfte Deutsche (19 %) würde nach der Bundestagswahl
eine Große Koalition aus CDU/CSU und SPD bevorzugen. Dieser Anteil hat sich
seit der letzten Umfrage vor zwei Wochen nicht verändert. Eine schwarz-grüne
Koalition wird dagegen nach der Migrationsdebatte nur noch von 5 Prozent der
Deutschen favorisiert, 3 Prozentpunkte weniger als bei der letzten Befragung.
Ähnlich gering ist die Zustimmung für eine schwarz-rot-grüne Kenia-Koalition (8
% | -1), eine schwarz-rot-gelbe Deutschland-Koalition (7 % | +1) und eine
schwarz-gelb-grüne Jamaika-Koalition (3 % | ±0).
Unter allen denkbaren Regierungskonstellationen erreicht die
schwarz-blaue Koalition aus Union und AfD mit 23 Prozent den höchsten Wert. Im
Vergleich zur letzten Ipsos-Umfrage von Mitte Januar bedeutet dies einen
Anstieg um 5 Prozentpunkte. Der größte Anteil der Befragten ist jedoch von
keiner der möglichen Regierungsoptionen überzeugt. Mehr als ein Drittel der
Deutschen (35 % | -2) will sich auf keine der abgefragten Koalitionen
festlegen.
Dr. Robert Grimm, Leiter der Politik- und Sozialforschung
bei Ipsos in Deutschland, ordnet die Verschiebung ein: „Der offensive Vorstoß
von Friedrich Merz, eine restriktive Migrationspolitik mit den Stimmen der in
Teilen gesichert rechtsextremen AfD durch den Bundestag zu peitschen, hat die
politische Mitte in unserem Land pulverisiert. Ja, es ist richtig, die
Entscheidung von Merz zu hinterfragen, mit rechtspopulistischen
Geschichtsrevisionisten zusammenzuarbeiten. Aber dem Aufschrei von SPD und
Grünen müssen konkrete Lösungen folgen. Denn die Bürgerinnen und Bürger sind es
leid, die immer wiederkehrenden Bilder brutaler Gewalttaten tatenlos
hinzunehmen. Deshalb hat Merz mit seiner Entschlossenheit, den Unions-Antrag
kompromisslos mit den Stimmen der AfD durchzusetzen, einige Wählerinnen und
Wähler durchaus beeindruckt."
Scholz bei K-Frage auf dem letzten Platz
Zusätzlich wurden die Wahlberechtigten gefragt, welcher
Kanzlerkandidat ihrer Meinung nach am besten für das Amt des Bundeskanzlers
geeignet sei. Neben dem bisherigen Oppositionsführer und CDU-Bundesvorsitzenden
Friedrich Merz standen den Befragten der amtierende Bundeskanzler Olaf Scholz
(SPD), Vizekanzler Robert Habeck (Grüne) sowie die AfD-Kandidatin Alice Weidel
zur Auswahl. Die meisten Stimmen erhält Friedrich Merz mit unverändert 18
Prozent. Er bleibt damit auch nach seinem Vorstoß in der Migrationspolitik der
bevorzugte Kanzlerkandidat der Deutschen. An zweiter Stelle folgt Alice Weidel
von der AfD mit 17 Prozent (+1).
Dahinter liegt der grüne Wirtschaftsminister und
Kanzlerkandidat Robert Habeck mit 12 Prozent (-1) auf dem dritten Platz, dicht
gefolgt von Olaf Scholz, den nur 11 Prozent (+1) für den geeignetsten
Kandidaten halten.
Bemerkenswert: Ein Drittel der Wahlberechtigten (33 %) hält
keinen der zur Wahl stehenden Politiker für das Kanzleramt geeignet, weitere 9
Prozent können oder wollen sich zu dieser Frage nicht äußern.
Merz und Weidel punkten vor allem bei Männern
Unionskandidat Friedrich Merz überzeugt vor allem die
männliche Wählerschaft. 21 Prozent der Männer halten ihn für den geeignetsten
Kandidaten. Bei den weiblichen Wählerinnen kann er dagegen nur 15 Prozent für
sich gewinnen. Ein ähnliches Bild zeigt sich bei Alice Weidel: Auch die
Bundessprecherin der AfD kommt bei Männern besser an als bei Frauen. Während 20
Prozent der männlichen Befragten sie für die geeignetste Kandidatin halten,
sind nur 14 Prozent der Frauen dieser Meinung. Bundeskanzler Olaf Scholz überzeugt
12 Prozent der Männer und 9 Prozent der Frauen, bei Robert Habeck gibt es mit
jeweils 12 Prozent Zustimmung keine geschlechtsspezifischen Unterschiede.
Auffällig ist, dass der Anteil derjenigen, die keinen
Kandidaten für geeignet halten oder unentschieden sind, bei den Frauen mit 50
Prozent deutlich höher liegt als bei den Männern mit 35 Prozent. Ipso 5
Im Notfall gilt die 112 - überall
in der EU
Gütersloh/Brüssel. Der Notruf 112 funktioniert in allen
Ländern der Europäischen Union. Darauf weist die Stiftung Deutsche
Schlaganfall-Hilfe anlässlich des Europäischen Notruftags am 11. Februar hin.
Seit 2009 gilt die Notrufnummer 112 in allen 27
EU-Mitgliedsstaaten, aus dem Festnetz und dem Mobilfunknetz. Nicht alle
EU-Bürgerinnen und Bürger wissen das. Denn in 19 der 27 Länder gibt es neben
der 112 weitere, nationale Notrufnummern. Deren Nutzung jedoch scheint
zurückzugehen, wie ein aktueller Bericht der Europäischen Kommission* nahelegt.
Demnach gingen 2023 in der EU insgesamt 285 Millionen Notrufe ein, 62 Prozent
davon über die Rufnummer 112. Bei der letzten Auswertung 2021 lag dieser Anteil
noch bei 57 Prozent.
In zunehmend mehr Ländern scheint sich die 112 als nationale
Rufnummer durchzusetzen. Reisende sollten jedoch vor allem wissen, dass die 112
überall in der EU funktioniert. Mehr als die Hälfte der Deutschen besucht
mindestens einmal jährlich ein anderes EU-Land. Gerade im innereuropäischen
Reiseverkehr kann das Wissen um die 112 lebenswichtig werden. Bei einem
Schlaganfall kommt es auf jede Minute an, um wichtige Hirnfunktionen zu
retten.
Der Europäische Tag des Notrufs 112 findet jedes Jahr am 11.
Februar statt. Durch das symbolische Datum (11.2.) soll sich das Wissen um die
EU-weite Notrufnummer verbreiten. GA 5
Worum geht’s? Wer will was bei
Migration und wie soll das zusammenpassen?
„Humanität und Ordnung“ in der Migrationspolitik streben die
Parteien der demokratischen Mitte nach eigener Aussage alle an. Dennoch gibt es
deutliche Unterschiede – und teilweise auch heftigen Widerspruch. Das zeigt
sich in diesen Tagen deutlich. Von Anne-Béatrice Clasmann
Die Migrationspolitik ist neben Wirtschaftsflaute und
Inflation zu einem der wichtigsten Wahlkampfthemen geworden. Schaut man auf die
Konzepte der Parteien zu Grenzschutz, Flüchtlingen und Familiennachzug, dürfte
es hierzu nach dem Wahltermin am 23. Februar schwierige Koalitionsverhandlungen
geben. Die FDP, die um ihren Wiedereinzug in den Bundestag bangen muss, bringt
sich als Brückenbauer ins Gespräch.
Worum geht es eigentlich?
Die Union will, dass noch mehr Menschen an den deutschen
Grenzen zurückgewiesen werden – auch solche, die Asyl beantragen wollen. Zudem
soll nach den Vorstellungen von CDU und CSU die Bundespolizei, wenn sie in
ihrem Zuständigkeitsbereich – etwa an Bahnhöfen – Ausreisepflichtige antrifft,
selbst für eine Abschiebung sorgen können.
Menschen mit subsidiärem Schutzstatus sollen laut Union nur
noch in Ausnahmefällen Familienangehörige nach Deutschland holen dürfen. Das
würde bis zu 12.000 Menschen pro Jahr betreffen. Denn aktuell gibt es für diese
Gruppe eine Kontingentregelung, wonach pro Monat maximal 1.000 Angehörige zu
Menschen mit subsidiärem Schutz nachziehen dürfen. Dieser eingeschränkte Schutz
gilt für Menschen, die nicht als Flüchtlinge anerkannt werden, aber
stichhaltige Gründe liefern, warum ihnen bei einer Rückkehr ins Herkunftsland
ernsthafte Schäden drohen – etwa durch Bürgerkrieg.
Deutsche dürfen ihre nahen Angehörigen immer zu sich holen.
Für Ehepartner sind grundsätzlich Kenntnisse der deutschen Sprache
erforderlich. Relativ großzügig sind auch die Regeln für EU-Bürger. Ausländer
aus Nicht-EU-Staaten, die mit einer Niederlassungserlaubnis in Deutschland
leben, müssen für Wohnraum, Krankenversicherung und den Lebensunterhalt ihrer
nahen Angehörigen sorgen. Anerkannte Flüchtlinge und Asylberechtigte müssen
diese Bedingungen nicht erfüllen, wenn sie Angehörige zu sich holen wollen.
SPD, Grüne und Linke haben Vorschläge der Union zu
Migrationsfragen im Bundestag vergangene Woche abgelehnt. BSW und AfD votierten
dafür. Unter den FDP-Abgeordneten gab es unterschiedliche Auffassungen.
SPD und Grüne haben eigene Gesetzesvorhaben zur
Migrationspolitik, für die es nach dem Ausscheiden des Ampel-Koalitionspartners
FDP keine Mehrheit mehr im Bundestag gab. Dazu zählen etwa Vorschläge, wie
Deutschland die Reform des Gemeinsamen Europäischen Asylsystems (GEAS) in
nationales Recht umsetzen sollte.
Was soll die GEAS-Reform ändern und warum wurde sie
beschlossen?
Staaten an den EU-Außengrenzen wie Griechenland und Italien
sind seit Jahren besonders stark von irregulärer Migration betroffen. Das gilt
auch für Staaten wie Deutschland und Frankreich, wo besonders viele
Asylbewerber Aufnahme finden wollen – etwa weil sie dort auf bessere Versorgung
oder Arbeitsmöglichkeiten hoffen, oder weil dort bereits Angehörige oder
Freunde leben. Das sogenannte Dublin-Verfahren klärt zwar eigentlich, welcher
EU-Staat für das Schutzersuchen eines bestimmten Asylbewerbers die
Verantwortung trägt. In der Praxis funktionieren die Rücküberstellungen in das
jeweilige EU-Land aber oft nicht.
Auch deshalb wurde jahrelang über eine Reform verhandelt,
die das bestehende System ablösen soll. Das Reformpaket sieht unter anderem
eine Verpflichtung zur Identitätskontrolle bei Ankommenden vor. Asylbewerber
aus Herkunftsländern mit einer EU-weiten Schutzquote von unter 20 Prozent
sollen ihr Verfahren an der EU-Außengrenze durchlaufen und im Falle einer
Ablehnung nach Möglichkeit auch gleich von dort abgeschoben werden.
Hat sich dadurch schon etwas geändert?
Nein. Die Reform trat im Juni 2024 in Kraft. Die
EU-Mitgliedstaaten haben zwei Jahre Zeit, die Regelungen umzusetzen. Bis Juni
2026 gelten also europaweit noch die bisherigen Regeln.
Warum will Rot-Grün rasch die GEAS-Änderungen im Bundestag
beschließen?
In einem Staat mit föderaler Struktur wie Deutschland ist
die Umsetzung so einer umfassenden Reform aufwendig. Je eher man sich
vorbereitet, desto besser dürfte es gelingen.
Auf EU-Ebene wird allerdings aktuell noch über einen Punkt
verhandelt. Dabei geht es darum, ob man das sogenannte Verbindungselement aus
dem in der Reform enthaltenen Konzept des sicheren Drittstaats streichen
sollte. Vor allem die Grünen lehnen das ab. Bisher dürfen Asylsuchende laut
GEAS-Reform nur in Drittstaaten geschickt werden, zu denen sie eine persönliche
Verbindung haben – etwa weil sie früher einmal dort gelebt haben.
Was hat die Unionsforderung nach generellen Zurückweisungen
damit zu tun?
Im Jahr 2024 stellte die Bundespolizei 83.572 unerlaubte
Einreisen fest. 47.487 unerlaubt eingereiste Menschen wurden zurückgewiesen
oder zurückgeschoben.
Zurückweisungen sind nur möglich, wenn die Polizei direkt an
der Grenze kontrolliert. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) hat
inzwischen stationäre Kontrollen für alle deutschen Landgrenzen angeordnet,
obwohl das im Schengen-Raum eigentlich nicht vorgesehen ist. Allerdings ist
Deutschland auch nicht der einzige Mitgliedstaat, der diese Maßnahme ergriffen
hat.
Die Union will nicht auf die Umsetzung der GEAS-Reform
warten, sondern erreichen, dass bis auf weiteres auch Menschen, die einen
Asylantrag in Deutschland stellen wollen, zurückgewiesen werden. Das ist
momentan nicht der Fall.
Was schlägt die FDP jetzt vor?
Die Freien Demokraten wollen, dass SPD und Grüne mit Union
und FDP im Bundestag doch noch für das „Zustrombegrenzungsgesetz“ der Union
stimmen, das vergangenen Freitag trotz Stimmen von AfD, BSW und Teilen der FDP
keine Mehrheit gefunden hatte. Im Gegenzug würde man dann helfen, eine Mehrheit
für die GEAS-Änderungen im Bundestag zu organisieren.
Diese Änderungen waren am 6. November, wenige Stunden vor
dem Auseinanderbrechen der Ampel-Koalition, im Bundeskabinett beschlossen
worden. Am vergangenen Donnerstag wurden sie im Bundestag ohne Debatte
behandelt und für weitere Beratungen in die Ausschüsse geschickt. Theoretisch
könnten sie also noch vor der Bundestagswahl verabschiedet werden –
vorausgesetzt die Ausschüsse kommen zu Sondersitzungen zusammen und die
Tagesordnung der letzten Bundestagssitzung vor der Wahl am 11. Februar wird
entsprechend geändert.
Hat so ein Kompromiss in letzter Minute noch eine Chance?
Theoretisch machbar wäre es. Doch nach den Schuldzuweisungen
der vergangenen Tage und mitten im Wahlkampf ist so eine Einigung schwierig.
Wobei es nach der Wahl nicht unbedingt einfacher werden dürfte. Der Streit um
den Familiennachzug zu Menschen mit eingeschränktem Schutzstatus war übrigens
auch einer der Gründe, weshalb 2017 die Sondierungen für eine Jamaika-Koalition
(Union, Grüne und FDP) gescheitert waren.
Und was sagt die Linke?
Die Linke spricht von einem „rassistischen
Überbietungswettbewerb“, das enden müsse. Während die Union unbeirrt Pushbacks
an deutschen Grenzen fordere, verlange die FDP einen „Migrationspakt der
Mitte“, meine aber eigentlich die Abschaffung des Rechts auf Familiennachzug.
„Damit betreiben diese Parteien unverändert genau jene Politik, von der seit
Monaten allein die AfD profitiert – auf dem Rücken von Geflüchteten und ohne
irgendein reales Problem zu lösen“, erklärt Clara Bünger, fluchtpolitische
Sprecherin der Linken im Bundestag. Die Folgen dieser Politik zeige sich ganz
real im Alltag der Menschen. „Jeden Tag werden Geflüchtete rassistisch
angefeindet, bedroht und auch körperlich angegriffen“, kritisiert Bünger.
(dpa/mig 5)
Vielen Geflüchteten in DR Kongo
fehlt jegliche Unterstützung?
Goma/Friedrichsdorf – Nach dem Ende der Kämpfe um die
Millionenstadt Goma im Osten der DR Kongo haben zehntausende Flüchtlinge ihre
Lager verlassen. Das berichten Mitarbeitende der Kinderhilfsorganisation World
Vision, die jetzt erstmals wieder die Stadt betreten konnten. Bedingt durch die
Unterbrechung der Hilfslieferungen im Zusammenhang mit den Kämpfen sind viele
Menschen auf der verzweifelten Suche nach Nahrung und Trinkwasser.?
Dem Einsatzchef für Ostkongo, David Munkley und seinen
Mitarbeitenden bietet sich ein gespenstisches Bild: Wo vor wenigen Tagen noch
über 100.000 Geflüchtete in provisorischen Hütten gelebt haben, ist es jetzt
menschenleer. Im Lager Kanyaruchinya liegen nur noch Reste der aus Ästen und
Plastikfolien erbauten Zelte, Feuerstellen sind von Asche bedeckt,
Gesteinsbrocken liegen herum.?
„Da die Geflüchteten jetzt versprengt in der Stadt unterwegs
oder in die Kivu-Region nördlich von Goma zurückgekehrt sind, ist es
schwieriger geworden, sie mit Hilfsgütern zu erreichen“, erklärt David Munkley,
Programmdirektor von World Vision für Ostkongo. Und weiter: „Jetzt müssen wir
herausfinden, wo sie sich aufhalten und sicherstellen, dass wir sie
baldmöglichst wieder mit dem Nötigsten versorgen können. Viele Häuser sind
zerstört, Krankenhäuser überlastet und die Märkte bieten kaum Lebensmittel.“?
Besonders dringend benötigen Kinder und stillende Frauen
Hilfe. Zum Teil kampieren sie an Straßenrändern und sind Überfällen schutzlos
ausgeliefert. Vor allem in den Außenbezirken Gomas ist die Lage noch sehr
angespannt. Immer wieder kommt es zu Schießereien. ?
Ende Januar hatte die Rebellenmiliz M23 die ostkongolesische
Metropole Goma nach heftigen Gefechten eingenommen. Dabei starben mehrere
hundert Menschen. Die Kämpfe hatten World Vision wie auch andere
Hilfsorganisationen dazu gezwungen, ihre Hilfsmaßnahmen vorübergehend
einzustellen und einige Mitarbeitende in Sicherheit zu bringen. World Vision
wird die Hilfsaktivitäten bald wieder aufnehmen. Entsprechend ausgebildete
Teams sind bereits wieder in der Stadt. Die Kinderhilfsorganisation rechnet
damit, dass auch die Rückkehr zehntausender Binnenflüchtlinge in verlassene
Orte in Nord-Kivu zu einer noch stärker angespannten Versorgungslage führen
wird. Es werde vielen Familien schwer fallen sich zu ernähren, weil die Felder
nicht bestellt werden konnten. Die Gesundheit von Kindern sei durch
Wassermangel, mangelnde Hygiene und fehlenden Schutz gefährdet. „Um in dieser
Notlage effektiv helfen zu können, müssen wir dringend neue Hilfsgüter
beschaffen, teilweise auch aus Nachbarländern”, sagt David Munkley. ?
Eine weitere Zuspitzung der humanitären Krise ist laut
David Munkley durchaus denkbar. „Wenn die Kämpfe trotz des jetzt angekündigten
Waffenstillstandes weitergehen oder sich nach Süden in Richtung Bukavu
verlagern, könnte eine ganz neue Stadt bedroht sein, was Massenevakuierungen
und die Vertreibung von Hunderttausenden von Menschen zur Folge haben könnte.
Leider ist die humanitäre Gemeinschaft möglicherweise nicht in der Lage, einen
derart hohen Bedarf zu decken.”?
Die Kinderhilfsorganisation ist seit vielen Jahren im Land
engagiert und versorgt Geflüchtete unter anderem mit Nahrung, Trinkwasser,
Kochutensilien und Hygieneartikeln. Außerdem betreibt World Vision in der
Region ein Projekt zur Wiedereingliederung von Kindersoldaten und
Zwangsprostituierten.? WV 5
Vatikan fordert Allianz für
Kinderrechte
Die Stimmen der Kinder, die gegen Hunger, Krieg, Gewalt,
Ungleichheit und Umweltzerstörung aufschreien, dürfen nicht ungehört bleiben –
das war die zentrale Botschaft der Ansprache von Kardinal Pietro Parolin, die
er am Vorabend des Kinderrechtsgipfels im Vatikan an die Teilnehmer aus aller
Welt richtete. Der Kardinalstaatssekretär betonte, alle Menschen müssten auf
Kinder achten, egal welcher gesellschaftlichen Schicht sie angehören. Christine
Seuss - Vatikanstadt
Kardinal Parolin wandte sich am Sonntagabend in einem Saal
der Vatikanischen Museen an die Teilnehmer und schwor sie auf die Arbeiten bei
einem „Gipfel der Reflexion“ und des „Zuhörens“ ein. Organisator ist das
Päpstliche Komitee für den Weltkindertag. Papst Franziskus hatte diese
Initiative am 20. November 2024, zeitgleich mit der Ankündigung des
Kinderrechte-Gipfels im Vatikan, ins Leben gerufen.
Parolin hob in seinen einführenden Worten am Vorabend
des „World Leaders Summit on Children’s Rights” dessen Motto - „Lasst sie
uns lieben und beschützen“ – hervor. Diese beiden Maßnahmen dürften nicht nur
Empfehlungen sein, sondern sollten einen „kategorischen Imperativ“ darstellen,
„der allgemeine Zustimmung finden und zu konkretem und kollektivem Handeln
anregen sollte“.
Zu konkretem Handeln anregen
Die Geschichte habe immer wieder gezeigt, dass Kinder zu den
verletzlichsten Mitgliedern der Gesellschaft gehören. Trotz der Fortschritte
der modernen Kommunikation leide die heutige Welt jedoch nach wie vor unter
einem Mangel an Liebe und Schutz für ihre jüngsten Mitglieder, stellte Kardinal
Parolin fest, wobei er insbesondere die tragische Realität von Kriegen, die
tausende von jungen und wehrlosen Menschenleben fordern, sowie die anhaltenden
humanitären Krisen, darunter auch auf See, wo Migranten - darunter viele Kinder
- Gefahr und Tod drohen, im Auge hatte.
Die Kirche bleibe in ihrem Auftrag, die Rechte der Kinder zu
verteidigen und zu schützen, unerschütterlich, auch wenn sie ihre eigenen
Unzulänglichkeiten anerkenne, unterstrich der Kardinal. In diesem Zusammenhang
bekräftigte er, wie wichtig es sei, auf Experten der sozialen, psychologischen
und pädagogischen Wissenschaften sowie auf internationale Organisationen und
Mitarbeiter vor Ort zu hören.
Maßnahmen ergreifen
Wie Kardinal Parolin in seiner Ansprache vor dem Beginn der
Arbeiten auch mit Blick auf den für September 2026 geplanten Weltkindertag
weiter hervorhob, sei es nötig, Maßnahmen zu ergreifen, um die wichtigsten
Probleme, die Kinder betreffen, anzugehen. Konkret zählte er den Zugang zu
Ressourcen, Bildung, Ernährung, Gesundheitsversorgung, Familie und Freizeit auf
– jeweils auch Themen, die auf den Gipfel-Panel besprochen werden. „Jedes Kind
hat das Recht, in Frieden und Freiheit zu spielen“, bekräftigte der Kardinal.
„Jedes Kind hat das Recht, in Frieden und Freiheit zu
spielen“
Who is Who an Führungspersönlichkeiten
Die Teilnehmerliste des Gipfels stellt ein Who is Who aus
der Welt der Religion, des Sports, der Politik, sowie internationaler
Organisationen dar, die teils auch in Eigenregie entstanden sind. Unterteilt
ist die Veranstaltung am Montag in zwei Abschnitte. Papst Franziskus leitete
die Arbeiten ein und schließt sie ab. Während der Arbeiten in der prachtvollen
Sala Clementina im Apostolischen Palast sind sieben Panels vorgesehen, die sich
unter verschiedenen Aspekten mit dem Thema Kinderrechte befassen. Unter den
Teilnehmern und rund 50 Rednern sind interreligiöse Gäste wie Rabbi David Rosen
oder Indonesiens Ex-Präsidentin Megawati Sukarnopoutri (auch Großimam Ahmed
al-Tayyeb war angekündigt); politische Größen wie Al Gore und der italienische
Außenminister Tajani, neben Persönlichkeiten wie Königin Rania von Jordanien,
Mario Draghi, ehemaliger Chef der EZB, oder FIFA-Chef Gianni Infantino, sowie
IOC-Präsident Thomas Bach, außerdem Nobelpreisträger und
Führungspersönlichkeiten internationaler Organisationen.
Papst eröffnet und beschließt
Die Arbeiten des Gipfels wurden am Montagfrüh durch Papst
Franziskus persönlich eröffnet, wobei das katholische Kirchenoberhaupt darauf
hinwies, dass „nichts wichtiger“ sei als „das Leben eines Kindes“.
Ungerechtigkeiten gegenüber Kindern – darunter Armut, Krieg, Schulentzug und
Ausbeutung – müsste ein Ende gesetzt werden, so der Papst bei dieser
Gelegenheit. Wie Padre Enzo Fortunato, der Vorsitzende des Kinderkomitees
hervorhob, gehe es bei dem Gipfel unter der Schirmherrschaft des Papstes darum,
in den Kindern das „wichtigste Reservoir an Hoffnung, Liebe und Leben“ zu
fördern und zu erhalten.
Sieben Panels
Anschließend starteten die Arbeiten mit einem Panel, das den
„Rechten der Kinder in der modernen Welt“ gewidmet war und neben anderen
Persönlichkeiten die Teilnahme von Königin Rania von Jordanien sah. Sie
unterstrich die große internationale Zustimmung zur UN-Kinderrechtskonvention,
die jedoch durch die Zunahme internationaler Konflikte, die vor allem Kinder
leiden ließen und in denen die Jüngsten teils selbst zu Soldaten gemacht
werden, konterkariert werde. Kinder in diesen Situationen hätten oft nur den Wunsch,
zu sterben, um ihrem Leid ein Ende zu setzen, prangerte die jordanische
Königin, die sich seit Jahren für die Rechte von Kindern einsetzt, mit Blick
auf neuere Untersuchungen über den psychologischen Zustand von Kindern im
Gazastreifen an.
Im 2. Panel ging es um das „Recht des Kindes auf Zugang zu
Ressourcen“, der erste Redner war Mario Draghi, ehemaliger Präsident der
Europäischen Zentralbank und kurzzeitig italienischer Premier. Insbesondere das
Investment in die Schule müsse eine Priorität der Politik sein, um die jungen
Leute adäquat auf die Herausforderungen des Lebens vorzubereiten, erinnerte
Draghi unter dem Beifall der Anwesenden.
Fortgeführt wurde die Diskussion mit dem 3. Panel, „Das
Recht des Kindes auf Bildung“, wobei zunächst FIFA-Präsident Gianni Infantino
das Wort ergriff und – mit Hilfe eines FIFA-Fußballs auf seinem Tisch - auf ein
Best-Practice-Programm seiner Organisation hinwies, mit dem auch schwierige
Inhalte Kindern und Jugendlichen nahegebracht werden können: „Football for
Schools“ genannt. Dabei gehe es dabei nicht darum, Fußball zu erklären, sondern
dank eines Fußballs im Klassenraum und der Ankündigung, über Fußball zu
sprechen, die Aufmerksamkeit der Schüler zu fesseln. Dann könne man auch über
alles andere sprechen, wie Fairness, Respekt für den anderen, Stärkung von
Frauen und vieles mehr - denn Fußball vereine all diese Themen und andere, so
Infantino. Das Programm sei bereits in 100 Ländern eingesetzt worden Seine
Organisation werde auch für den nächsten Weltkindertag in Rom Schützenhilfe
leisten, versprach er auf Anfrage des Verantwortlichen Pater Fortunato
augenzwinkernd.
Einig waren sich die Redner des nächsten Panels „Das Recht
der Kinder auf Nahrung, Ernährung und Gesundheitsversorgung“ über die Bedeutung
der angesprochenen Themen für eine gesunde Entwicklung der Kinder. So
berichtete unter anderen der Gründer von Mary’s Meals, Magnuns
McFarlane-Barrow, von einem Gespräch mit einem verhungernden Jungen, das ihn
vor über 20 Jahren dazu gebracht habe, seine Organisation ins Leben zu rufen,
die er nach der Gottesmutter nannte. Einer der Dreh- und Angelpunkte des
humanitären Einsatzes für die Kinder sei es, bedürftigen Kindern in der Schule
eine warme Mahlzeit zur Verfügung zu stellen, auch mit dem Ziel, dass die
Familien sie tatsächlich in die Schule schicken. Mit jährlich 22 Euro könne man
für ein Jahr Essen für eines dieser Kinder garantieren, ein geradezu
lächerlicher Betrag, wenn man das damit vergleiche, was wir für die Pflege und
Ernährung unserer Haustiere ausgäben, so der Schotte, der damit auch einen hin
und wieder geäußerten Gedanken des Papstes aufgriff.
Der Großkanzler des Malteserordens, Riccardo Paternò di
Montecupo, hob den ganzheitlichen Einsatz – von Nothilfe zu Krankenversorgung
über die Unterstützung von Bildungseinrichtungen - seiner Organisation im
Heiligen Land und an Krisenherden auf der ganzen Welt hervor.
Im letzten Panel des Vormittags ging es um „Das Recht des
Kindes auf Familie“, wobei unter anderen Mariella Enoc zu Wort kam, die
ehemalige Präsidentin des vatikanischen Kinderkrankenhauses Bambino Gesu und
Vorstandsmitglied der amerikanischen Stiftung „Patrons of the World’s Childrens
Hospital“, die die Globale Allianz des Papstes für die gesundheitliche und
humanitäre Versorgung von Kindern koordiniert und in Form eines Netzwerks
Krankenhauseinrichtungen aus der ganzen Welt zusammenbringt. Sie warnte davor,
dem Egoismus freie Hand zu lassen und dadurch beispielsweise die „unsichtbaren“
Kinder links liegen zu lassen, die ohne Familie in Europa ankommen und –
schlimmer noch – beim Versuch der Anpassung ihre Wurzeln verlieren. Es gelte,
die Erwachsenen zu einem Bewusstseinswandel zu führen, um eine Allianz zu
schmieden, die nicht nur allen zugutekomme, sondern auch einen Vorbildcharakter
für die gesamte Welt darstellen könne.
„Wir hoffen, dass dieser Gipfel das Licht auf viele
unsichtbare Kinder lenken wird“
Rund um den Gipfel positionierten sich auch teilnehmende
Kinderschutzorganisationen wie UNICEF oder Save the Children. Kinder müssten im
Mittelpunkt der politischen Agenda der Welt stehen, unterstreicht letztere
Organisation in einem Statement ihrer Generaldirektorin Daniela Fatarella auf
dem Kinderrechtsgipfel im Vatikan. Die Organisation weist darauf hin, dass
weltweit jedes Jahr eine Milliarde Kinder von Gewalt betroffen sind,
einschließlich körperlichem, sexuellem und emotionalem Missbrauch und Vernachlässigung.
Im Jahr 2023 lebte fast jedes fünfte Kind (insgesamt 473 Millionen) in einem
Kriegsgebiet, in dem jeden Tag durchschnittlich 31 Kinder verstümmelt oder
getötet würden, während eines von 50 Kindern zur Flucht gezwungen wurde, so
Save the Children.
„Wir haben die Pflicht, jeden Tag die Kinder, ihre Rechte
und ihre Hoffnungen in den Mittelpunkt der internationalen Debatte zu stellen
und dazu beizutragen, dass die Notwendigkeit, die Anstrengungen zum Schutz der
Kinder in der ganzen Welt zu verstärken, ins Rampenlicht gerückt wird“, so
Daniela Fatarella.
Ähnlich äußerte sich UNICEF Italien über seinen
Sprecher Andrea Iacomini. Der Gipfel, den Papst Franziskus einberufen habe,
stelle eine wichtige Gelegenheit dar, „die Herausforderungen, vor denen wir
Erwachsenen, Politiker, Vertragsstaaten und alle, die in irgendeiner Weise zum
Schutz und zur Wiederherstellung der Kindheit von Kindern und zur Verbesserung
ihrer Lebensbedingungen beitragen können, ins Rampenlicht zu stellen. Kinder
sind die Schwächsten in unserer Gesellschaft“, so Iacomini, der ebenfalls die
besonders prekäre Lage von Kindern in Krisengebieten hervorhob: „Mit Blick auf
das Jahr 2025 gehen wir davon aus, dass in diesem Jahr 213 Millionen Kinder in
146 Ländern und Gebieten auf humanitäre Hilfe angewiesen sein werden - eine
erschütternde Zahl. Wir hoffen, dass dieser Gipfel das Licht auf viele
unsichtbare Kinder lenken wird“.
Abschluss mit Papst Franziskus
Nach der Mittagspause waren noch zwei Panels vorgesehen:
„Das Recht der Kinder auf Freizeit“ mit IOC-Präsident Thomas Bach und anderen;
und zuletzt mit Blick auf die besondere Lage von Kindern, die von Ausbeutung
betroffen sind oder in Krisengebieten leben, das Panel: „Das Recht des Kindes
auf ein Leben frei von Gewalt“. Zum Abschluss der Arbeiten war wieder Papst
Franziskus dabei, er gesellte sich, früher als vorgesehen, direkt zum Beginn
der Nachmittagssitzung zu den Teilnehmern.
„Sport und körperliche Betätigung sind entscheidend für
Kinder, für ihre Gesundheit und für ihre Beziehungen, für ihre Disziplin und
für das Fairplay“, sagte Thomas Bach in seinem Redebeitrag. Bach betonte
die Verbindung zwischen „Sport und Solidarität“ und erinnerte an die „Millionen
von Kindern, die an olympischen Programmen teilnehmen“, denn „Sport bedeutet
Integration und Respekt“. Des Weiteren mahnte er: „Sport muss ein Raum sein,
der frei von Missbrauch und Ausbeutung ist“.
„Sport ist Frieden“, fügte Bach hinzu und schloss mit den
Worten: „Heute werden wir an unsere kollektive Verantwortung erinnert: Um eine
bessere Welt für unsere Kinder zu schaffen, müssen wir schneller handeln,
höhere Ziele verfolgen, stärker sein und uns die Hände reichen. Deshalb lade
ich heute alle Anwesenden ein, unabhängig von ihrer Lebensaufgabe, sich mit uns
zusammenzuschließen, um sicherzustellen, dass jedes Kind das Recht auf einen
sicheren Sport genießen kann. Damit leben wir unser olympisches Motto:
Schneller, höher, stärker. Zusammen.“
Eine Lanze für eine unbeschwerte und behütete Kindheit
angesichts der zunehmenden Digitalisierung brach der Franziskaner Paolo
Benanti, anerkannter Experte für die Fragen in Zusammenhang mit den
Entwicklungen der Künstlichen Intelligenz. Eine Kind verbringe heute
durchschnittlich fünf geschlagene Stunden vor dem Bildschirm, erläuterte
Benanti. Im Globalen Süden sei es Erhebungen zufolge einfacher, eine
Mobilfunksendeanlage zu finden, als eine funktionierende Toilette, so die
provozierende Ansage des Ordensmannes. Doch nur ein Bruchteil der Nutzer wisse
auch, wie man derartige Geräte programmiere, so dass die allermeisten zu reinen
Usern degradiert würden, in den Fängen derjenigen, die sich mit dem Nutzen -
berechtigterweise - auch große Einkommen erhofften, darunter beispielsweise
Spieleentwickler, die das Verhalten der Kinder vor den Bildschirmen
analysierten und gezielt Suchtmechanismen installierten. Umso wichtiger sei es,
dass Eltern ihre Kinder bei der Nutzung begleiteten und auch andere
Freizeitmöglichkeiten förderten.
Abschluss: Panel zum Recht der Kinder auf ein Leben ohne
Gewalt
Die argentinische Ordensfrau Martha Pelloni wies dann im
letzten Panel zum Recht des Kindes auf ein Leben frei von Gewalt in der
Sektion, in der es um Kinderarbeit und Ausbeutung ging, auf besonders
herzzerreißende Situationen von Kindern hin, darunter auch den Verkauf von
Kindern im Rahmen von Adoptionen, durch Raub aus Krankenhäuser oder
Entführungen, oder auch die fürchterliche Praxis von Handel mit den Organen von
Kindern, die zum Beispiel in psychiatrischen Einrichtungen untergebracht sind,
ein besonders schlimmes Phänomen, das weiter verbreitet ist, als man annehmen
sollte.
Der indische Menschenrechtsaktivist Kailash Satyarthi, der
für seinen Einsatz gegen Kinderarbeit mit dem Nobelpreis 2014 geehrt wurde
(gemeinsam mit der damals 17-jährigen pakistanischen Menschenrechtsaktivistin
Malala Yousafzay) rief in seinem Beitrag bei dem Panel eindringlich dazu auf,
eine „Kultur des Problemlösens“ zu schaffen und „Mitgefühl zu globalisieren“.
Besonders bitter: Ausgebeutete Kinder
Im zweiten Teil des letzten Panels ging es um den Schutz von
Kindern in bewaffneten Konflikten und Umweltzerstörung. Dabei ergriff neben dem
Präsidenten von Interpol, Ahmed Naser al-Raisi, und dem amerikanischen
Ex-Vize-Präsidenten Al Gore in seiner Eigenschaft als Gründer und Vorsitzender
des Climate Reality Project auch der Vikar der Kustodie des Heiligen
Landes, der Franziskaner Ibrahim Faltas, das Wort. Er berichtete von
der desolaten Situation der Kinder im Gazastreifen, die teils nur Krieg erlebt
haben und von denen viele wegen des Mangels an adäquater medizinischer
Versorgung und Nahrung verstorben sind. Kinder hätten ein Recht darauf,
unbeschwert aufzuwachsen, so der Appell des Ordensmannes.
Als letzter Redner trat Al Gore auf, der einen
eindringlichen Appell zum konkreten Einsatz für eine Welt formulierte, in der
Kinder Hoffnung für die Zukunft haben könnten und dem „Klimachaos“, wie es sich
heute darstelle, entgegengewirkt werde. So wie sich die Situation heute
darstellte, erbten die Kinder einen „Planeten am Abgrund", so der
Politiker und Aktivist.
Appell für Kinderrechte
Abschließend wurde nach einer kurzen Ansprache des Papstes
ein Appell von acht konkreten Punkten zum Einsatz für das Kindeswohl
unterzeichnet, darunter auch die Herausforderung an die internationalen
Regierungen, das Thema auf ihre Agenden zu heben. Es dürfe nicht sein, so ein
weiterer Punkt, dass Gleichgültigkeit die Normalität werde, auch sei das
Phänomen der schutzlosen Kinder alarmierend, liest es sich dort.
Hier noch einmal zum Nachschauen im Original und ohne
Übersetzungen:
1. Teil: https://www.youtube.com/watch?v=adp23WmIjKg
2. Teil: https://www.youtube.com/watch?v=nGRmCpKd-xc
3. Teil: https://www.youtube.com/watch?v=BceWlKnDn8A
(vn 5)
Trumps Amtseinführung schürt die Angst vor einer globalen
Allianz der Rechten. Doch wie geeint ist das rechtspopulistische Lager
wirklich? Marco Bitschnau
Alle waren sie gekommen, um Donald Trumps zweiter
Amtseinführung beizuwohnen: Freunde und Familie, Senatoren und
Tech-Milliardäre, Richter des Obersten Gerichtshofs und natürlich auch
auswärtige Politprominenz. Doch auf der offiziellen Gästeliste fehlten
auffälligerweise einige der wichtigsten europäischen Staats- und
Regierungschefs: Weder der wahlkämpfende Olaf Scholz noch Emmanuel Macron oder
Ursula von der Leyen waren vertreten. Dafür unter anderem Italiens
Regierungschefin Giorgia Meloni, Argentiniens Präsident Javier Milei, der
VOX-Gründer Santiago Abascal, die Brexit-Ikone Nigel Farage, der
AfD-Vorsitzende Tino Chrupalla sowie der ehemalige polnische Ministerpräsident
Mateusz Morawiecki. Wobei Letztgenannter in die bizarre Verlegenheit kam,
einige unbedarfte Nationalgardisten unter Zuhilfenahme seines
Wikipedia-Artikels überhaupt erst von seiner Identität überzeugen zu müssen.
Wie schnell der Ruhm der Welt doch vergeht.
Ein Verstoß gegen das Protokoll lag bei dieser Auswahl nicht
vor, denn es ist Privatsache des Gewählten, wen er an seinem großen Tag an
seiner Seite haben möchte. (Befreundete Nationen sind ohnehin mit ihren
Botschaftern vertreten.) Und doch zeigten sich viele Beobachter besorgt, weil
Trump mehrheitlich Akteure in vorderster Front platziert hatte, die man – wie
ihn selbst – häufig unter den Begriff der radikalen oder populistischen Rechten
fasst. In der Folge ergab sich auf der einen Seite ein detaillierter
Ausdeutungsprozess (etwa zur Frage, warum Éric Zemmour statt Marine Le
Pen geladen war) und auf der anderen die Erzählung, dass man es hier
offenbar mit einer weiteren Manifestation jener nationalistischen
Internationalen zu tun habe, von der seit Jahren allerorten die Rede ist. Einem
Netzwerk sinistrer Kräfte also, die einander geistige wie materielle
Schützenhilfe leisten und die Trump nun für seinen Kreuzzug gegen die liberale
Ordnung um sich schart. Ein wenig wie bei Harry Potter, wo die Anhänger Voldemorts
ebenfalls keine Zeit verlieren, dem zurückgekehrten Meister ihre Aufwartung zu
machen und erneut seinen Befehlen zu lauschen.
Aus dem Umstand, dass die radikale Rechte ebenso gern
Beziehungspflege betreibt wie Liberale, Konservative oder Sozialdemokraten,
wird so ein Ausweis für das Vorhandensein eines geeinten Machtblocks – und
infolgedessen Material für dunkle Vorannahmen und Marktschreierei. Zum Teil
fühlt man sich gar an gängige Verschwörungstheorien erinnert, nur dass es
dieses Mal nicht ominöse globale Eliten, sondern eben die „Nationalisten“ und
„Autokraten“ dieser Welt sind, die klandestine Absprachen treffen. Tritt man nüchterner
an die Sache heran, wird indes schnell klar, dass Bekundungen von Nähe und
Sympathie (wie sie hier zweifelsohne bestehen) eine relative Weichwährung auf
dem politischen Devisenmarkt darstellen: Am Ende mögen sich Politiker A und B
noch so gerne die Hände schütteln und vor der Kamera posieren, die
interessengeleitete Logik internationaler Politik setzen sie so trotzdem nicht
außer Kraft.
Das bedeutet nicht, dass ihre Beziehung in jedem Fall
bedeutungslos wäre – sie bleibt aber in der Regel untergeordnetes Element. So
mag man konzedieren, dass etwa die deutsch-französischen Beziehungen durchaus
von dem Miteinander zwischen Konrad Adenauer und Charles de Gaulle profitiert
haben. Man muss im gleichen Atemzug aber anerkennen, dass die Aussöhnung beider
Länder eine systemische Notwendigkeit der europäischen Nachkriegsordnung war.
Dem Einzelnen kam dabei allenfalls die Rolle des Türöffners und Fazilitators
zu.
Auch den verschiedenen US-Regierungen ist zunächst vor allem
an der Durchsetzung nationaler Interessen gelegen. Dabei kann es in Nuancen
durchaus einige Unterschiede geben, kann der eine Amtsinhaber vorsichtiger und
der andere rustikaler zu Werke gehen, kann der eine mehr die Langzeit- und der
andere die Kurzzeitperspektive im Kopf haben. All das ändert aber nichts am
Interessenprimat selbst oder an den daraus abgeleiteten Kontinuitäten in der
Regierungsführung. Trump etwa polterte mit Vorliebe gegen Barack Obama, knüpfte
in sicherheitspolitischen Fragen aber dennoch an dessen Vorarbeit an. Und sein
Nachfolger/Vorgänger Joe Biden gerierte sich zwar als Partner auf Augenhöhe,
dachte aber keineswegs daran, sich vom einst so geschmähten America
First-Prinzip zu verabschieden.
Schlägt man den Bogen zurück zur nationalistischen
Internationalen, ist festzustellen, dass beispielsweise Viktor Orbán zwar ein
gern gesehener Gast der Trump-Regierung sein mag, dass das von ihm regierte
Ungarn aus US-Sicht aber dennoch ein semiperipherer Kleinstaat bleibt und auch
bei noch so tiefgehender Sympathie kaum je einen anderen Rang einnehmen wird.
Die Musik aus Berlin und Paris mag knarziger daherkommen als jene aus Budapest.
Aber wenn die Kameras aus und die Besucher abgereist sind, ist sie es, der man
am Ehesten Gehör schenkt.
Dazu ist zu bedenken, dass radikale Rechte nicht gleich
radikale Rechte sind, sondern dass die so bezeichneten Akteure vielmehr eine
erhebliche ideologische Buntscheckigkeit auszeichnet. So geht ein erklärter
Freihändler wie Milei in vielen substantiellen Fragen nicht sonderlich gut mit
einem Trump zusammen, der lautstark verkündet, Zollschranken hinabsausen und
Handelskriege vom Zaun brechen zu wollen. Und auch die Passung zwischen dem
Niederländer Geert Wilders, der sich die Verteidigung Homosexueller auf die
Fahnen schreibt, und den geschlechterpolitisch konservativen Kräften Osteuropas
ist alles andere als gut. Ganz zu schweigen von den diversen Irritationen auf
europäischer Ebene, wo der stetig wachsende Rechtsaußenblock seit Jahren in
sich befehdende Parlamentsfraktionen gespalten ist. Die einen zieht es in die
Mitte, während die anderen an den Rand drängen; die einen haben sich in der
Opposition eingerichtet, während die anderen nach realpolitischem Einfluss
suchen. Und ehe man sich versieht, sind aus den einen die anderen geworden und
aus den anderen die einen.
Nur von Zeit zu Zeit erfährt die Öffentlichkeit, wie sehr es
in diesem Gebälk knirscht und wie fassadenhaft die Vorstellung einer rechten
Einheitsfront letztlich anmutet. Etwa dann, wenn ein Spitzenfunktionär der AfD
über die Verantwortung von SS-Angehörigen philosophiert und der erboste
französische Partner umgehend die Beziehungen kappt. Oder wenn durchsickert,
wie spinnefeind sich die vermeintlichen Bundesgenossinnen Meloni und Le Pen in
Wahrheit sind und wie sehr der italienisch-französische Interessengegensatz ihr
Verhältnis belastet. Dass am Ende häufig versucht wird, sich auf die
Migrations- und Elitenkritik als kleinsten gemeinsamen Nenner zu verständigen,
mag zum einen daran liegen, dass es keine Großideologie als einigende Klammer
gibt. Es mag aber auch dem Umstand geschuldet sein, dass radikal rechtes Denken
ein erhöhtes Maß an Binnenorientierung nahelegt. Denn so gerne man sich auch im
Ruhm fremder Wahlsieger sonnt, am Ende ist man doch Partikularist genug, um das
eigene Land als primäres Betätigungsfeld anzusehen und Gesinnungsexport nicht
ars gratia artis betreiben zu wollen. Auch vor diesem Hintergrund erscheint das
Wort von der nationalistischen Internationalen weniger als Scheinparadox, denn
als Widersinn.
Plakativer formuliert: Trump, Meloni, Orbán, Milei und
Konsorten sind nicht Filialleiter eines gemeinsamen Mutterkonzerns, sondern auf
eigene Rechnung kalkulierende Politunternehmer, die ihr Verhältnis zueinander
den Notwendigkeiten des heimischen Geschäfts unterordnen. Um zu verstehen, was
etwa den Argentinier Milei großgemacht hat und wie seine Ziele beschaffen sind,
nutzt der Blick auf euro-amerikanische Erfahrungswelten daher nur bedingt. Was
aber nutzen kann, ist eine Vorstellung davon, wie der Peronismus die Politik
des Südkegels über Jahrzehnte geprägt hat, welche Rolle er auch heute noch als
gesellschaftliche Spaltungslinie spielt und wie das Land seit der Regierung
Kirchner in jene Turbulenzen geschlittert ist, die libertären Ansätzen erst zur
Massentauglichkeit verholfen haben.
Mit ihr im intellektuellen Tornister ist man gefeit davor,
stilistische Gemeinsamkeiten allzu leichtfertig mit inhaltlicher Essenz zu
verwechseln – und man weiß, dass die Idee von Milei als argentinischem Trump
ebenso fehlgeht wie jene von Trump als amerikanischem Milei. Den einen als
kulturell eingefärbtes Abziehbild des jeweils anderen zu begreifen, ist nicht
minder bequem, als eine Gästeliste zum Gründungsdokument weltpolitischer
Allianzgestaltung zu erheben. In beiden Fällen lohnt aber ein Blick auf die
Verhältnisse unterhalb der Oberfläche und ein vertieftes Bewusstsein dafür,
dass auch globale Entwicklungen noch immer national gerastert sind. IPG 4
Mit Trumps Rückkehr gerät die UN unter Druck – dennoch wird
der US-Präsident den Multilateralismus auch für seine Interessen benutzen.
Matthias Jobelius
Die Vereinigten Staaten waren über viele Jahrzehnte die
unverzichtbare Nation des Multilateralismus. 1945 wurden die USA zum
Architekten eines globalen Institutionengefüges, das die Welt vor neuen
Abgründen bewahren sollte. Ohne den entschlossenen Einsatz von Präsidenten wie
Roosevelt und Truman hätte es keine Vereinten Nationen, keinen Internationalen
Währungsfonds und keine Weltbank gegeben. Und ohne das enorme finanzielle
Engagement der USA hätte das UN-System die Jahrzehnte nicht überdauert. Es dient
US-Interessen, andere Staaten in ein multilaterales System einzubinden, dessen
Regeln man wesentlich mitbestimmt – das war das Leitbild, welches die USA in
der gesamten zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts unter wechselnden
Administrationen zu einem multilateralen Akteur machte.
Dieses Leitbild bekam nach der Jahrhundertwende erste Risse:
Die Invasion im Irak, der Drohnenkrieg, die Schwächung des Internationalen
Strafgerichtshofs, der erste Austritt aus dem Pariser Klimaabkommen – eine
lange Liste politischer Entscheidungen lässt im Rückblick zweifeln, ob es den
USA gelungen ist, den „unipolaren Moment“ nach dem Ende des Kalten Krieges klug
zu nutzen. In der Folge verlor Washington an Soft Power, die Kritik an
Doppelstandards wurde lauter und die weltweite Unzufriedenheit mit der US-dominierten
internationalen Ordnung wuchs.
Diese Ordnung gehört der Vergangenheit an, eine
Nachfolgeordnung hat sich noch nicht etabliert. Stattdessen befindet sich die
Welt in einer Übergangsphase, einem instabilen Interregnum. Sie ist durch mehr
Multipolarität und einen relativen Rückgang US-amerikanischer Macht geprägt.
Diese Phase wird noch länger anhalten, unabhängig davon, wer in Washington
regiert. Daher wäre es falsch, in Trump den Beginn einer neuen Ordnung zu
sehen. Aber es gibt Grund zu der Annahme, dass das Verhältnis der USA zur internationalen
Staatengemeinschaft nach seiner Wiederwahl in eine qualitativ andere Phase
eintritt. Trumps Administration steht für einen neuen Ansatz von Außenpolitik,
der Nachahmer finden wird und damit prägend für die Staatenwelt im Interregnum
sein könnte.
Es ist der Modus einer Großmacht, die sich nicht durch
internationale Regelwerke in ihrer Handlungsfreiheit beschneiden lassen möchte.
In dieser Logik sind multilaterale Organisationen Hindernisse, und nur im
besten Fall noch nachgeordnete Instrumente zur Durchsetzung von Interessen.
Nicht mehr die regelbasierte Ordnung (rules-based order), sondern die
geschäftsbasierte Ordnung (deals-based order) scheint Leitbild der USA für ihre
Interaktion mit der Staatengemeinschaft zu sein. Eng definierte nationale Vorteile
und innenpolitische Erwägungen sind für die Trump-Administration wichtiger als
die Sicherung langfristiger Interessen durch multilaterale Regelwerke.
Durchgesetzt wird das mittels einer „erzwingenden Diplomatie“ (coercive
diplomacy). Zölle, Drohungen, Strafen und Sanktionen sind dabei das Mittel der
Wahl. Zugleich gewinnt die bilaterale Ebene gegenüber Bündnissen an Bedeutung.
Das UN-System wird bei diesem transaktionalen Powerplay in den Hintergrund
treten.
Dieser Ansatz trifft auf ein bereits geschwächtes
multilaterales System. Die Anforderungen an den Multilateralismus werden immer
höher, doch scheinen die UN immer weniger in der Lage, ihnen gerecht zu werden.
Davon zeugen nicht zuletzt die vielen Blockaden im Sicherheitsrat. Die
geopolitischen Rivalitäten und der Mangel an wechselseitigem Vertrauen zwischen
den Großmächten sind wesentlicher Treiber dieser Entwicklung. Rivalität und
Vertrauenserosion werden unter der neuen Administration wachsen. Die US-Regierung
erzielt mit ihrem Muskelspiel derzeit zahlreiche Tagessiege über andere
Staaten. Doch ihre Verbündeten blicken genau auf den Umgang mit Panama,
Kolumbien und Dänemark, und lernen dabei, wie wichtig es ist, nicht zu sehr von
den USA abhängig zu sein. Der Verlust an Ansehen, Vertrauen und Soft Power, den
die USA dabei erfahren, ist bemerkenswert. Und auch der Rest der Welt hat Grund
zur Besorgnis: Nachdem Trump eine Erweiterung des eigenen Territoriums zum Ziel
erklärt hat, verfolgen mit China und Russland nun drei der fünf permanenten
Mitglieder des UN-Sicherheitsrats eine expansive geopolitische Agenda. Doch je
größer die Rivalität, desto unwahrscheinlicher die Einigung auf gemeinsame
Regeln.
Das ist problematisch, denn unter den 193 UN-Staaten
herrscht ein großer Konsens darüber, dass das multilaterale System
reformbedürftig ist. Die bisherige Ordnung wird von vielen Staaten als
ungerecht empfunden. Die Staaten Afrikas, Lateinamerikas und Asiens fordern
eine Reform des Sicherheitsrats, mehr Mitspracherechte bei IWF und Weltbank,
bei globalen Steuerfragen sowie bei der Auswahl von Spitzenpersonal und eine
bessere Entwicklungs- und Klimafinanzierung zugunsten des Globalen Südens.
Viele dieser Forderungen würden für die USA und andere westliche Staaten
bedeuten, Privilegien abzugeben und mehr Ressourcen bereitzustellen. Es ist
unwahrscheinlich, dass die Trump-Administration, aber auch andere westliche
Regierungen zu solchen Zugeständnissen bereit sind. Die Legitimitätsprobleme
des multilateralen Systems werden dadurch wachsen, seine Reformfähigkeit
abnehmen.
Potenziert werden die Probleme durch den zu erwartenden
Rückgang der finanziellen Zuwendungen der USA. So sind die UN mit Einnahmen von
rund 74 Milliarden US-Dollar – gemessen an ihren Aufgaben – bereits
heute unterfinanziert. Die USA trugen zuletzt rund 28 Prozent aller
mitgliedstaatlichen Zuwendungen. Nun bereiten sich die UN und viele ihrer
Sonderorganisationen darauf vor, dass die USA ihre Beiträge kürzen und in
manchen Fällen ganz einstellen. In einigen Bereichen und Regionen könnte das die
UN an den Rand der Handlungsunfähigkeit bringen.
Dass der Ukraine-Krieg und viele weitere Kriege unvermindert
andauern, ist ebenfalls Ausdruck eines geschwächten Multilateralismus. Bei der
Lösung von Kriegen und Konflikten war auch die UN zuletzt kaum mehr präsent.
Sollte es Trump gelingen, Waffenstillstände zu erzwingen und Konflikte zu
stabilisieren, würde das auf seine außenpolitische Bilanz einzahlen. Die
deal-basierte Ordnung erschiene plötzlich dem Multilateralismus überlegen. Es
wäre jedoch ein Pyrrhussieg. Denn in der Folge würde ein stabiles Geflecht
multilateraler Regeln durch ein labiles Geflecht bilateraler Transaktionen
ersetzt. Europa kennt diesen Ansatz zur Genüge aus dem 19. Jahrhundert. Er
endete in Gewalt.
Die Staaten Europas haben aus dieser Erfahrung ihre eigenen
Schlüsse gezogen. Die Europäische Union ist ein Resultat davon. Und sie gibt
der Staatenwelt Ideen in die Hand, um in der wilden Welt, auf die wir
zusteuern, zu navigieren. Der aus den EU-Verträgen bekannte Mechanismus der
vertieften Zusammenarbeit kann ein Leitbild für neue Allianzen mit Ländern in
Lateinamerika, Afrika und Asien sein. Mit ihnen gilt es, strategischer und
intensiver an gemeinsamen Projekten zu arbeiten. Gerade die Länder des Globalen
Südens haben ein Interesse an gemeinsamen Regeln, die sicherstellen, dass die
künftige Weltordnung kein Konzert der Großmächte wird.
Damit solche Reformallianzen funktionieren, muss den
Partnern verdeutlicht werden, dass sich in der rules-based order noch
immer die besseren „Geschäfte“ machen lassen als in der deals-based order,
welche nur jene bevorteilt, die viel Verhandlungsmacht mitbringen. Die EU
sollte sich deshalb auf diejenigen Reformfelder konzentrieren, die für die
Länder des Globalen Südens dringlich sind: besserer Zugang zu Finanzmitteln und
finanziellen Sicherheitsnetzen, nachhaltige Modelle der Entwicklungsfinanzierung,
Lösungen für die globale Schuldenkrise, mehr Mitspracherechte in IWF und
Weltbank, eine Reform des UN-Sicherheitsrats, ein gerechteres globales
Steuersystem.
Viele weitreichende Reformen sind ohne die USA undenkbar.
Daher ist die Zusammenarbeit mit der US-Regierung weiterhin von höchster
strategischer Bedeutung. Ziel muss es sein, die USA so eng wie möglich an
internationale Mitgliedschaften und Abkommen zu binden. Das ist möglich. Mit
Elise Stefanik hat Trump eine Person aus seinem engsten Umfeld zur
UN-Botschafterin gemacht. Das wertet den Posten auf. Stefanik wird Kabinettrang
haben, was für republikanische Administrationen nicht selbstverständlich ist. Sie
ist jung, versiert und ambitioniert, und wird ihre Position nutzen, um sich ein
eigenes außenpolitisches Profil zu geben, das ihren Karriereplänen dienlich
ist. Eine konstruktive Zusammenarbeit mit Stefanik zu ausgewählten UN-Dossiers
ist daher möglich.
Doch damit eine multilaterale Zusammenarbeit mit den USA
funktioniert, muss Washington der strategische Wert multilateraler Regeln
deutlicher gemacht werden. Weder Unordnung noch Machtvakua sind im Interesse
der USA. Das waren sie nie. Für die wilde Zeit, vor der die Welt steht, lohnt
es sich, in Erinnerung zu rufen, weshalb Roosevelt und Truman so engagiert
waren, die Staatengemeinschaft 1945 überhaupt zusammenzuholen, damit sie sich
mit der Charta der Vereinten Nationen eine eigene Verfassung geben konnte: um
die Völker der Welt vor „der Geisel des Krieges zu bewahren“. Die Ordnung, zu
deren Geburt diese Worte in die Präambel der Charta geschrieben wurden, hat
sich inzwischen aufgelöst. Nun hat die Staatengemeinschaft keine wichtigere
Aufgabe, als diesen Kernauftrag in eine neue Ordnung zu überführen. Dafür
bleiben die Vereinigten Staaten unumgänglich. Und die Vereinten Nationen
unverzichtbar. IPG 4
Botschafterinnen gegen den
Menschenhandel werben für Aktionen
Im Vorfeld des katholischen Welttages gegen den
Menschenhandel halten sich derzeit junge Aktivistinnen, die mit dem Netzwerk
Talitha Kum zusammenarbeiten, in Rom auf. Am Montag durchschritten sie dort
drei Heilige Pforten. Möglichkeiten zur Beteiligung bietet zum Beispiel eine
App. Von Schwester Bernadette M. Reis,
FSP
Die jungen Leute, vorwiegend Frauen, kommen aus Australien,
Kamerun, Japan, Albanien, Rumänien, der Ukraine, Kenia, Mexiko, Uruguay und
Peru. Sie alle haben sich als Jugendbotschafterinnen mit „Talitha Kum“, dem
internationalen Netzwerk von Ordensfrauen zur Bekämpfung des Menschenhandels,
zusammengeschlossen.
Ihre einwöchigen Aktivitäten in Rom begannen am Samstag, 1.
Februar, mit einer Orientierungsveranstaltung. Am Sonntag trafen sie sich mit
Papst Franziskus auf dem Petersplatz, um den Angelus zu beten.
Pilger der Hoffnung, „walking in dignity“
Am Montag wurden die Jugendbotschafterinnen zu „Pilgerinnen
der Hoffnung“: Früh am Morgen versammelten sie sich am Ende der Via della
Conciliazione, um ihre Pilgerreise zum Petersdom zu beginnen.
Die Gruppe war nicht nur physisch, sondern auch digital
unterwegs: die „Walking in Dignity“-App zählte dabei jeden ihrer
Pilgerschritte. Diese Schritte, mit denen die Schwelle der Heiligen Pforte
überschritten wurde, tragen zum Kampf gegen den Menschenhandel bei und kommen
verschiedenen Initiativen des Netzwerkes gegen den Menschenhandel „Talitha Kum“
in der ganzen Welt zugute.
Nachdem die Botschafterinnen gegen den Menschenhandel die
Heilige Pforte des Petersdoms durchschritten hatten, passierten sie auch die
Heilige Pforte des Lateran und der Basilika Santa Maria Maggiore. Am Donnerstag
wollen sie die Heiligen Pforte in der Basilika Sankt Paul vor den Mauern
durchschreiten.
Traum vom Ende des Menschenhandels
Die Jugendbotschafterinnen nutzten das Jubiläumsjahr und den
Pilgerweg der Hoffnung, „um viele Menschen einzuladen, mit uns und
mit Würde zu gehen“, kommentierte Schwester Abby Avelino, die
internationale Koordinatorin von „Talitha Kum“, die Aktion.
Die Aktionswoche im Vorfeld des elften katholischen
Welttages gegen den Menschenhandel am 8. Februar bietet viele Aktivitäten, von
Gebet über Sensibilisierung bis hin zu Möglichkeiten der Vernetzung. Durch die
Verwendung der App „Walking in Dignity“ kann jeder Teilnehmende das Bewusstsein
für den Menschenhandel schärfen und gleichzeitig einen Beitrag zu Projekten
leisten, die von Ordensfrauen weltweit gegen den Menschenhandel und zur
Unterstützung Betroffener durchgeführt werden, wie Schwester Abby erinnerte.
„Unsere Schwestern arbeiten an der Basis – wir sprechen über
6.000 Mitglieder von ,Talitha Kum‘! Und während wir ,mit Würde‘ und mit den
Menschen gehen, denken wir daran, wie viele Menschen immer noch in moderner
Sklaverei leben; es sind schätzungsweise 50 Millionen. Wenn wir gemeinsam
gehen, können wir träumen; wir können hoffen, dass der Menschenhandel ein Ende
findet.“
Die „Walking in
Dignity”- App
Die App „Walking in Dignity“ hatten
Jugendbotschafterinnen von „Talitha Kum“ am 20. Januar 2024 gestartet. Damit
laden sie Gleichaltrige ein, sich durch gemeinsames Gehen für
Menschenhandelsopfer zu engagieren.
Die App „Walking in Dignity“ mache Informationen über die
heimtückische Realität des Menschenhandels für jüngere Generationen
zugänglicher, zeigte sich die Präsidentin der „Internationalen Union der
Generaloberinnen“ (UISG) überzeugt. Die UISG hatte das Netzwerk „Talitha Kum“
vor fast 16 Jahren gegründet. Das Tool sei hilfreich für die
Bewusstseinsbildung potentiell Betroffener und binde diese zugleich weltweit in
Aktivitäten gegen den Menschenhandel ein.
Seit dem Start der App haben Nutzer aus 95 Ländern rund
200.000.000 Schritte gespendet, was 200.000 Token beziehungsweise einer Strecke
von 52.120.000 Kilometern entspricht. Für neun Projekte, die mit „Talitha Kum“
verbunden seien, sei das angestrebte Ziel von 150.000 Token erreicht worden.
Die App kann bei Google Play und im Apple App Store heruntergeladen werden. (vn
4)
Dritte Justiz-Niederlage. Meloni
muss Flüchtlingslager in Albanien erneut räumen
Und Niederlage Nummer drei: Wieder stoppt ein Gericht in Rom
einen zentralen Plan der rechten Regierung. Das teure Vorhaben hat noch nie
funktioniert. Jetzt ist die europäische Justiz an der Reihe. Von Christoph
Sator
Italiens rechte Ministerpräsidentin Giorgia Meloni kommt mit
ihrem Plan zur schnellen Abschiebung von Mittelmeer-Flüchtlingen in Lagern
außerhalb der EU nicht voran. Nach einer neuen Niederlage vor Gericht musste
Italien wieder eine Gruppe von Geflüchteten aufnehmen, die zwischenzeitlich in
Albanien interniert waren.
Die 43 Männer aus Ägypten und Bangladesch wurden am Samstag
über die Adria mit einem Schiff der Küstenwache in die süditalienische
Hafenstadt Bari gebracht. Dort stehen ihnen jetzt Unterkünfte zur Verfügung.
Die endgültige Entscheidung über ihre Asyl-Anträge dürfte sich hinziehen. Somit
hat Melonis „Albanien-Modell“ trotz hoher Kosten weiterhin kein einziges Mal
funktioniert.
Meloni will Vorhaben durchziehen
Am Freitagabend hatte ein Berufungsgericht in Rom geurteilt,
dass die Asylbewerber, die seit Mittwoch in einem von Italien betriebenen Lager
in Albanien einsaßen, in die EU dürfen. Für Melonis Dreier-Koalition war dies
bereits der dritte juristische Flop in Folge. Trotzdem will die Vorsitzende der
Rechtspartei Fratelli d’Italia (Brüder Italiens) ihr Vorhaben durchziehen.
Bereits im Oktober und November hatten Richter verfügt, dass
Italien über Asylanträge nicht außerhalb der EU entscheiden darf. Die beiden
eigens errichteten Lager in Albanien stehen nun wieder leer. Unklar ist, ob
Meloni nochmals Flüchtlinge dorthin bringen lassen will, bevor sich am 25.
Februar der Europäische Gerichtshof (EuGH) äußert. Im Kern geht es um die
Einstufung der Heimatländer von Migranten in sogenannte sichere
Herkunftsstaaten.
Ablehnung im Schnellverfahren unzulässig
Die 43 Männer hatten sich zusammen mit anderen Migranten in
Libyen auf den Weg nach Europa gemacht. Bevor sie in Italien an Land gehen
konnten, wurden sie jedoch von der italienischen Marine an Bord genommen und
nach Albanien gebracht. Dort lehnten italienische Beamte alle Asylanträge im
Schnellverfahren ab. Die Richter kippten diese Entscheidungen jedoch. In sechs
anderen Fällen durften Migranten zuvor schon einreisen, aus unterschiedlichen
Gründen.
Italien ist der erste Staat der Europäi