Webgiornale 16-31 marzo 2023

Inhaltsverzeichnis

1.     Immigrazione: i punti principali del nuovo decreto legge italiano. 1

2.     Le guerre dimenticate alimentano le migrazioni 1

3.     Perché la transizione energetica europea va accelerata. 1

4.     Strage di migranti: l’Anpi Berlino Brandeburgo aderisce alla protesta contro il cinismo del Governo. 1

5.     “Amara terra mia”: ad Amburgo il documentario sull’emigrazione italiana. 1

6.     Colonia. Billi (Lega) incontra la Comunità e le Istituzioni Italiane locali 1

7.     ENIT a ITB Berlino 2023: nei primi mesi dell’anno + 90 % di prenotazioni dalla Germania. 1

8.     Ad Amburgo il Festival letterario “Reading without Nuclear Power”. 1

9.     8 marzo: “Italiane in Germania: le arti” in Ambasciata a Berlino. 1

10.  Saarbrucken: il Comites in visita alla Cancelleria di Stato. 1

11.  Evento del Comites di Dortmund  il 26 marzo sulla parità di genere. 1

12.  Brevi di cronaca e politica tedesca. 1

13.  Le due piazze di Berlino contro la guerra. 1

14.  Cosa significa la sospensione del trattato New START. 1

15.  Migranti, sì a decreto flussi. Meloni: "Non converrà entrare illegalmente". 1

16.  Governo difficile. 1

17.  Migrazioni: italiani che rischiarono il tutto per tutto. 1

18.  Le ragioni dell’accoglienza: un’emergenza mondiale?. 1

19.  Punti di vista. 1

20.  Ismu: presentato il Rapporto 2022. Oltre 6 milioni gli stranieri in Italia. 1

21.  I deputati Di Sanzo, Porta, Ricciardi, Carè (Pd): ripristinare i fondi ai Comites e al Cgie tagliati dalla legge di bilancio. 1

22.  Il rilancio. 1

23.  Naufragio migranti a Crotone. Procura apre inchiesta su macchina soccorsi 1

24.  Autonomia differenziata: rischi e vantaggi 1

25.  Riflessioni e realtà. 1

26.  Nuove fonti di energia: un salto nel vuoto?. 1

27.  L’unicità umana. 1

28.  La Giornata dei Giusti in ricordo di Gareth Jones e Holodomòr. 1

29.  Covid, Fbi conferma: "Virus sfuggito da laboratorio di Wuhan". 1

30.  La comunicazione. 1

31.  Le nostre comunità all'estero: una risorsa di autentici ambasciatori dell'italianità. 1

32.  Entro il 31 marzo le domande per i contributi per i periodici all’estero. 1

33.  Inps: al via l’accertamento dell’esistenza in vita dei pensionati all’estero. 1

34.  Veneti nel mondo. Approvato il bando 2023 per sostegno alle iniziative. 1

35.  Impatriati. Porta (Pd): agevolazioni negate se si ritorna allo stesso lavoro. 1

36.  Confsal-Unsa Esteri: no alla precarizzazione del lavoro nella rete estera del Maeci 1

 

 

1.     EU-Finanzminister erzielen Durchbruch bei Schuldenregeln. 1

2.     Kriegsmacht Europa. 1

3.     Wettbewerb um Fachkräfte. 1

4.     EU-Asylpolitik. Nicht nur über Grenzschutz reden, sondern über Reformen. 1

5.     Mächtig, mächtiger, EU-Kommission?. 1

6.     Italien könnte Partnerschaft mit China aufgeben. 1

7.     Studie. Deutschland verliert im Werben um Fachkräfte an Boden. 1

8.     Macron will Recht auf Abtreibung in französische Verfassung aufnehmen. 1

9.     Neues britisches Asylgesetz geht an Grenzen internationalen Rechts. 1

10.  So will die EU-Kommission den Zugang zu kritischen Rohstoffen sichern. 1

11.  Fachkräftemangel. Internationale Studierende sind Fachkräfte von morgen. 1

12.  Seenotretter fordern Frontex-Stopp. Geflüchtete im Mittelmeer hätten gerettet werden können. 1

13.  EU-Beitrittsprozess: Albanischer Premierminister trifft Scholz. 1

14.  Studie zum Weltfrauentag: Droht die Gleichstellung ins Stocken zu geraten?. 1

15.  Lufthansa und Ita. Win-Win für Deutschland und Italien. 1

16.  Positionspapier. Spitze der Unionsfraktion will „Bundesagentur für Einwanderung“. 1

17.  Kindern im Erdbebengebiet droht neben Krankheiten auch psychischer Zusammenbruch. 1

18.  Verbrenner-Streit: Tschechien gibt Deutschland Rückendeckung. 1

19.  Amtliche Statistik. Fast jeder Vierte in Deutschland hat Einwanderungsgeschichte. 1

20.  Verbrenner-Aus: Schluss mit den Spielchen! 1

21.  Annäherung über Nordirland hinaus. 1

22.  Arbeitsmarkt stabil. Ausländische Arbeitskräfte sorgen für Beschäftigungszuwachs. 1

23.  Mehrheit auf der Kippe: Italien lehnt Verbrenner-Aus ab. 1

24.  Hält das Wohlwollen?. 1

25.  Stoltenberg im Interview: „Russland plant ständig neue Offensiven“. 1

26.  Italienische Rockband Måneskin über junge Nichtwähler in Italien: „Das sind verdammt viele!“. 1

27.  Zeitverzug beim Mentalitätswandel 1

28.  Fachkräftemangel. Nahles: Einwanderung unumgänglich, brauchen neue Willkommenskultur 1

29.  Krankheitskosten und Steuern: Das können Versicherte absetzen. 1

 

 

Immigrazione: i punti principali del nuovo decreto legge italiano

 

Il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo provvedimento. La riunione del governo si è svolta a Cutro, in Calabria, nell’evidente tentativo di rimediare alla mancata presenza di membri dell’esecutivo nei giorni successivi alla tragedia. Vediamo i passaggi principali del decreto così come sono stati presentati nel comunicato di Palazzo Chigi, in attesa di conoscere il testo effettivo che sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Stefano De Martis

 

Il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto-legge in materia di immigrazione. La riunione del governo si è svolta a Cutro, in Calabria, nell’evidente tentativo di rimediare alla mancata presenza di membri dell’esecutivo nei giorni successivi alla tragedia (si ricorderà, invece, la visita tempestiva ed estremamente significativa del presidente Mattarella). A Bruxelles, alla contemporanea riunione dei ministri europei degli interni proprio sul dossier immigrazione, l’Italia è stata quindi rappresentata dal sottosegretario del dicastero.

Vediamo quindi i passaggi principali del decreto, così come sono stati presentati nel comunicato di Palazzo Chigi, in attesa di conoscere il testo effettivo che sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Viene introdotto il nuovo reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, con pene che vanno da 10 a 20 anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da 20 a 30 anni per la morte di più persone.

Il decreto abolisce la necessità di convalida del giudice di pace per l’esecuzione dei decreti di espulsione in seguito a condanna.

Per quanto riguarda gli ingressi, le quote di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato saranno definite, non più solo per un anno ma per un triennio (2023-2025), con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti. In via preferenziale – spiega sempre la nota di Palazzo Chigi – le quote saranno assegnate ai lavoratori di Stati che promuovo per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari. Sono previsti ingressi fuori quota per stranieri che hanno superato, nel Paese di origine, i corsi di formazione riconosciuti dall’Italia, che saranno promossi dal Ministero del lavoro. Viene inoltre semplificato l’avvio del rapporto di lavoro degli stranieri con aziende italiane e si accelera la procedura di rilascio del nulla osta al lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale. I rinnovi del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo o per ricongiungimento familiare avranno durata massima di tre anni, anziché due come oggi.

Il decreto contiene norme per il commissariamento della gestione dei centri governativi per l’accoglienza o il trattenimento degli stranieri in caso di gravi inadempimenti. Nel comunicato di parla di individuazione, acquisizione o ampliamento dei Centri di permanenza per i rimpatri (i controversi Cpr saranno quindi potenziati), con facoltà di derogare al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

Sui permessi di protezione speciale, che si sono rivelati uno strumento molto importante per tutelare chi non ha avuto ancora il riconoscimento dello status di rifugiato, si prefigura una stretta ma bisognerà attendere il testo in Gazzetta per capire esattamente in che termini. Il comunicato di Palazzo Chigi si limita ad affermare che “si definisce meglio la protezione speciale per evitare interpretazioni che portano a un suo allargamento improprio”. Sir 10

 

 

 

Le guerre dimenticate alimentano le migrazioni

 

«Dobbiamo ripartire dal dolore e da questo deve scaturire una determinazione rinnovata capace di vedere le responsabilità e anche le omissioni che possono favorire tragedie come queste». Le parole del presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinal Matteo Zuppi, ci invitano a superare il mero scontro politico e ad analizzare la tragedia dei migranti morti annegati a pochi metri dalle coste italiane con il cuore e la ragione.

«Dobbiamo ripartire dal dolore e da questo deve scaturire una determinazione rinnovata capace di vedere le responsabilità e anche le omissioni che possono favorire tragedie come queste». Le parole del presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinal Matteo Zuppi, ci invitano a superare il mero scontro politico e ad analizzare la tragedia dei migranti morti annegati a pochi metri dalle coste italiane con il cuore e la ragione.

Il cuore ci impone di immedesimarci in quanti mettono a rischio la propria vita per costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli. Non è retorica, è la verità. La stessa verità che suggerisce alla parte ricca del mondo di impegnarsi con sempre maggior determinazione a governare un fenomeno che è planetario e non si potrà fermare. Ce lo insegna il passato: nel corso dei millenni migrazioni si sono sempre registrate e fanno parte della storia dell’uomo. «Il Mediterraneo – ha detto ancora il cardinal Zuppi – ha sempre rappresentato un grande spazio d’incontro. Dovremmo dire, l’Italia in particolare, che questa è la vocazione per governare il fenomeno migratorio».

La ragione ci dovrebbe invece spingere a considerare i motivi dei fenomeni migratori, spesso dimenticati. Abbiamo la memoria corta, eppure dovremmo rammentare che pochi mesi fa noi Occidentali abbiamo letteralmente abbandonato il popolo afghano nelle mani dei talebani, aprendo la strada a un esodo di massa reso peraltro assai difficile da uno dei peggiori regimi attualmente esistenti al mondo.

E ancora, negli scaffali dei nostri supermercati nell’ultimo anno non sono mai mancati pane e pasta perché per molti Paesi europei, Italia compresa, l’Ucraina non era il primo mercato di riferimento per il grano. Invece ci sono economie popolose e giovani, come quelle dei Paesi del Nordafrica, che acquistavano una parte significativa del grano dall’Est Europa: la riduzione delle esportazioni conseguente alla guerra ha contratto le quantità disponibili e fatto innalzare i prezzi aggravando la condizione economica di Stati come l’Egitto, che da solo conta 109 milioni di persone.

Non ce lo ricordiamo abbastanza, ma ci sono nazioni come il Mali, il Burkina Faso e la Costa d’Avorio che devono fronteggiare l’avanzata dell’integralismo islamico: sono Paesi poveri in guerra contro un nemico ben attrezzato sotto l’aspetto ideologico e militare, nei quali le popolazioni rurali sono in balia della violenza.

Non fa notizia, ma il panorama del Corno d’Africa è drammatico. La Somalia da anni è un “non-stato” nel quale i civili subiscono inermi la guerra tra bande armate e in epoca più recente (da almeno un decennio) gli effetti dell’estremismo islamico. In Etiopia il conflitto “tigrino” ha provocato decine di migliaia di profughi. In Eritrea è instaurata una dittatura e il presidente Isaias Afwerki è stato accusato di crimini e violazione dei diritti umani sulla popolazione civile in Tigray.

La Siria non conosce pace e sta sperimentando in queste ultime settimane il dramma di un terremoto devastante che si abbatte su un’economia e una società già duramente colpite dalla guerra e all’epoca dell’Isis dalla parziale occupazione dei fondamentalisti islamici. La Libia resta fortemente instabile, senza un governo riconosciuto in maniera univoca sull’intero territorio statuale: le denunce per le carceri lager nelle quali vengono rinchiusi i profughi che arrivano dal Sahara non accennano a fermarsi.

A pochi chilometri da noi, in Serbia, Bosnia e Croazia, famiglie siriane e afgane camminano nella neve per giorni lungo la “rotta balcanica”, puntando verso Italia, Germania e Francia, nella speranza di non essere intercettati dalla polizia e dalle milizie private che danno loro la caccia.

Non illudiamoci, dalle coste africane e turche partiranno nuovi barconi perché siamo di fronte a un fenomeno epocale che non può essere governato da un solo Stato. Così come proseguirà l’afflusso di migranti che dall’America centrale raggiungono gli Stati Uniti, la prima potenza mondiale. E dalle zone più povere dell’India e del Pakistan si continuerà a guardare ai facoltosi paesi del Golfo Persico: il clamore sul rispetto dei diritti umani scatenatosi durante i Mondiali di calcio del Qatar sembra essersi ridotto a una flebile voce. Forse era solo parte dello spettacolo. Lorenzo Rinaldi, sir 4

 

 

 

Perché la transizione energetica europea va accelerata

 

In risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i Paesi occidentali hanno imposto sanzioni finanziarie a Mosca e l’embargo sulle esportazioni di petrolio. Per ritorsione, la Russia ha tagliato le sue massicce forniture di gas all’Europa, minacciando di lasciarla al freddo per l’inverno. La prospettiva di una catastrofica crisi energetica nel vecchio continente si è però indebolita grazie alle misure emergenziali messe in piedi dai governi e dalle istituzioni europee, soluzioni favorite anche da temperature eccezionalmente miti durante gran parte dell’autunno e dell’inverno.

Occorre però essere molto cauti: l’Europa non è affatto fuori dal pericolo creato dalla Russia ed il quadro per il prossimo inverno rimane assai incerto. Non potendo contare sul gas russo e in competizione per il gas naturale liquefatto (gnl) con la Cina appena uscita dalla sua politica zero-covid, il rischio per la sicurezza energetica europea è concreto. L’Ue deve per questo prolungare le misure di contenimento della domanda di gas oltre che, naturalmente, accelerare al massimo la transizione energetica.

I nuovi flussi dell’energia

Dal divorzio euro-russo sta intanto emergendo una nuova mappa dei flussi dell’energia. In primis, è evidente il cambio radicale della posizione russa nei mercati energetici globali e il riorientamento per molti paesi dei propri legami commerciali su logiche securitarie. Con lo scoppio della guerra i paesi europei hanno stretto alleanze con nuovi partner energetici e ne hanno consolidate di tradizionali. I

l legame con Stati Uniti, Azerbaijan, Qatar, Norvegia, Algeria e molti altri paesi africani si è rafforzato. Contemporaneamente, sono sorte opportunità e rischi, sia politici (tra i partner c’è chi è più coerente con gli interessi europei e chi meno, chi è istituzionalmente più solido e chi meno) che ambientali (il livello di attenzione per le politiche climatiche e la coerenza con la visione verde dell’Europa non è uguale per tutti). Mosca nel frattempo sta cercando di riorientare parte dei volumi precedentemente destinati all’Europa verso l’Asia, ma permangono strozzature infrastrutturali, amministrative ed economiche che potrebbero rallentare questa volontà.

Povertà energetica e disuguaglianze

Le conseguenze energetiche della guerra hanno inoltre esacerbato le disuguaglianze sociali all’interno dei paesi. L’aumento dei prezzi dell’energia ha contribuito a un’inflazione elevata e l’aumento dei prezzi del carburante si è riversato sui mercati alimentari, spingendo molte famiglie vulnerabili verso la povertà, costringendo alcune fabbriche a ridurre la produzione, e rallentando la crescita economica di molti paesi.

Inoltre, la guerra ha acuito il divario tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Da una parte i Paesi industrializzati, intenzionati ad accelerare la propria transizione energetica (si pensi alla strategia RepowerEU presentata dalla Commissione, o al dibattuto Inflaction Reduction Act statunitense). Dall’altra le economie emergenti o in via di sviluppo, che in molti casi avevano riservato al gas un ruolo importante per ridurre l’uso del più inquinante carbone e che adesso potrebbero dover frenare i loro piani.

Dallo scoppio della guerra infatti la diversione dei flussi di gnl dai Paesi meno industrializzati verso l’Europa ha acuito la povertà energetica in molti paesi emergenti e in via di sviluppo (si pensi al Bangladesh, al Pakistan o allo Sri Lanka). Data la ridotta capacità di gnl sbloccabile nel breve termine, la tensione rischia di acutizzarsi ancora di più nei prossimi mesi, aggravando la povertà energetica e indebolendo la strategia climatica in molti di questi paesi. La corsa europea al gas alternativo in questo anno di guerra può anche per questo apparire incoerente con gli appelli per una più rapida decarbonizzazione a livello globale, messaggio di cui l’Ue si fa – giustamente – portavoce.

Un trend simile si nota negli squilibri degli investimenti in energia pulita – che continuano a essere indirizzati per la stragrande maggioranza verso paesi industrializzati (e verso la Cina). Le promesse di finanza climatica avvenute in passato da parte dei paesi industrializzati sono inoltre sempre state disattese. È dunque assolutamente necessario ricostruire la fiducia tra Paesi mettendo a disposizione di quelli in via di sviluppo più denaro per supportare un accesso all’energia più ampio e più pulito possibile. In questi due anni molto delicati che ci aspettano i paesi industrializzati, a partire dall’Ue, dovranno provare ad affrontare in maniera più ordinata queste dinamiche. Margherita Bianchi, AffInt 2

 

 

 

 

Strage di migranti: l’Anpi Berlino Brandeburgo aderisce alla protesta contro il cinismo del Governo

 

Berlino. Il Comitato di Sezione ANPI Berlino Brandeburgo ha scritto ad amici e simpatizzanti dell’Associazione per mobilitarsi domenica 5 marzo, per protestare contro la posizione assunta dal governo italiano dopo l’ennesima, brutale strage di migranti avvenuta di fronte alle coste italiane. La mobilitazione, che si è svolta davanti all’Ambasciata d’Italia, è stata chiamata dall’Ong italiana Mediterranea Saving Humans.

“Facciamo sentire forte lo sdegno, il dolore, la protesta per questo ennesimo crimine di fronte al quale il popolo italiano ed europeo dovrebbe provare solo vergogna respingendo con tutta la forza necessaria l'arroganza e il cinismo esibiti dal Governo italiano – si legge nella nota dell’ANPI -. Raccogliamo l'appello di Mediterranea riflettendo sulle parole di Don Ciotti, presidente di Libera: ‘Non sono più migrazioni ma deportazioni indotte’”.

Queste le parole di Don Ciotti: “La tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi ci dice che quella barca che dovrebbe farci sentire con-sorti, accomunati da una simile sorte, resta per ora una speranza: il mondo continua a essere diviso in transatlantici e zattere, benestanti e disperati, stanziali e migranti per forza. Bisognerebbe smetterla di chiamarle migrazioni: sono deportazioni indotte. Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, affrontando viaggi rischiosi in mano a organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici. Lo fa solo perché costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza e sfrutta. Lo fa perché l'Occidente globalizzato, in nome dell'idolo profitto, gli fa terra bruciata attorno offrendogli in alternativa sfruttamento se non schiavitù - sottolinea don Ciotti -. Ed ecco la silenziosa carneficina che si sta consumando da almeno trent'anni sotto gli occhi di un ricco Occidente che finge di non vedere”. (dip) 

 

 

 

“Amara terra mia”: ad Amburgo il documentario sull’emigrazione italiana

 

Amburgo - Il 18 marzo la Missione italiana di Amburgo ospiterà, a partire dalle 18.00, la proiezione di “Amara terra mia – Mein bitteres Land”, film documentario in tedesco e in italiano con i sottotitoli in tedesco.

Girato da Eduard Erne, Dania Hohmann, Ulrich Waller, il film sarà presentato da Ulrich Waller, direttore artistico “St.Pauli Theater”. La proiezione sarà introdotta da Giuseppe Scigliano che presenterà le sue “Composizioni e sonorità in versi”.

“Studiate una lingua e andatevene!”. Così il premier italiano De Gasperi, nei primi anni 50, spinse i giovani dell’Italia centrale e meridionale a lasciare la loro terra per cercare fortuna in terra straniera. L’Italia non riusciva più a sfamarli. Tanti di loro arrivarono in Germania come “Gastarbeiter”, lavoratori ospiti. Che cosa hanno vissuto quando sono arrivati, com’è stata allora la “Willkommenskultur”, la cultura d’accoglienza? Come è stato per loro dover lasciare la famiglia, la patria e la propria lingua?

Il docufilm cerca di dare una risposta a queste domande sulla base della storia fittizia di un migrante toscano.

Due donne (rappresentate da Adriana Altaras e Daniela Morozzi) si trovano a Wolfsburg per ritirare le ceneri del padre deceduto. Che siano sorellastre, che il loro padre avesse due famiglie, una in Germania e l’altra in Italia, lo scoprono solo sul momento. Insieme si mettono in viaggio verso la casa natale del padre. Lì rivivono le tappe più importanti della sua vita vissuta tra due paesi e due culture.

I racconti dei testimoni della prima e seconda generazione di lavoratori emigrati a Wolfsburg, Rocco Artale, Lorenzo Annese, Antonino Spinello e Luigi Cavallo, e il materiale documentario dagli anni 60 completano il lavoro di Eduard Erne, Dania Hohmann e Ulrich Waller.

L’integrazione degli italiani, oggi considerata riuscita, ha incontrato molte difficoltà iniziali. Pregiudizi come: “Gli italiani sono inaffidabili e lesti con i coltelli”, “ci hanno traditi durante la guerra” e “in tanti di loro si nasconde un maniaco sessuale”, erano diffusi e ricordano discussioni del tutto simili in seguito all’ondata di rifugiati del 2015.

Il film si basa sul dramma “La grande gelata/Der grosse frost”, un progetto teatrale sugli emigranti italiani in Germania di Matteo Marsan, Dania Hohmann e Ulrich Waller.

Nato sotto il patronato dell‘Ambasciata della Repubblica Federale in Italia, in collaborazione con il Goethe-Institut Rom, con l’aiuto di ZEIT-Stiftung Hamburg, Chianti-Festival, Comune di Castelnuovo Berardenga e di Annette e Wolf Römmig e Thomas Reimann. Al termine della proiezione sarà offerto un rinfresco a cura dell’A.C.I. – Associazione Cuochi Italiani.

Organizzano Missione Cattolica Italiana Amburgo, Comites Hannover, Istituto Italiano di Cultura Amburgo, Patronato Ital Uil Germania e Associazione “Prima Persona”. (aise/dip 4) 

 

 

 

 

Colonia. Billi (Lega) incontra la Comunità e le Istituzioni Italiane locali

 

Colonia - “Ho partecipato ad una serie di incontri italiani a Colonia per sostenere ed ascoltare la Comunità Italiana locale. Sono stato alla presentazione di tre romanzi, “Baumafia” di Maurizio Del Greco, “Io sono Gabriele” di Gabriele Italia e “Gli ostacoli del mio corpo ed il coraggio del mio spirito” di Maria Russo, tre bravi scrittori italiani residenti in Germania, e pubblicati da Graus Editore, casa editrice fucina di talenti italiani.

Al Cinedom di Colonia ho assistito alla proiezione del film “Baumafia, incontro 3”, ultima opera della trilogia dall’omonimo romanzo, diretto dal bravissimo scrittore/regista Maurizio Del Greco.

Conduttori della serata Vittoriana Abate, giornalista di RAI1, e Maurizio Giangreco, giornalista di Antenna Dusseldorf.

Inoltre, ho visitato il Consolato di Colonia che, con 134.000 iscritti AIRE, è tra i più grandi in Europa. Mi complimento con il Console Generale Luis Cavalieri per il lavoro attento e scrupoloso nell’interesse della Comunità Italiana.

A Colonia ho trovato una Comunità viva e intraprendente, legatissima alla Madrepatria e con tanta voglia di Italianità. Con orgoglio ribadisco che è importante far sentire alle nostre Comunità all’estero la vicinanza delle istituzioni italiane” - così dichiara l’On. Simone Billi, capogruppo della Lega in Commissione Esteri. dip

 

 

ENIT a ITB Berlino 2023: nei primi mesi dell’anno + 90 % di prenotazioni dalla Germania

 

Berlino – A ITB l’Italia dà sfoggio delle proprie performance, dettando buoni pronostici per l’anno in corso.

Un mercato che promette bene per il 2023, se a gennaio gli arrivi aeroportuali dalla Germania, pari a 32.972, (+88,5% sul 2022) incidono per il 9,0% sul totale internazionale in Italia. Nella classifica dei principali mercati di provenienza, i viaggiatori tedeschi si posizionano secondi dopo gli statunitensi (47.236 arrivi, +91,4%) e a parimerito con i britannici (33.240 arrivi, +78,1%). Nel mese di gennaio è Milano la prima destinazione dei tedeschi con il 28% circa dei flussi aeroportuali totali. Segue Roma che accoglie il 26,2% dei viaggiatori e Venezia con una quota parte del 10,3%.Per i viaggiatori tedeschi Roma si conferma la principale destinazione: accoglie il 22% circa degli arrivi aeroportuali dalla Germania, oltre 254.300, con un aumento del +75,5% sul 2021.  Nella TOP 3 seguono Milano e Napoli raggiunte da 175.200 (+145,7% sul 2021, il 15,1% sul totale 2022) e 119.400 (+51,1% sul 2021, il 10,3% sul totale 2022) viaggiatori tedeschi nel 2022.Tra le mete più ambite in termini di aumenti, anche Bologna (48.748 arrivi; +136,2% 2022/2021), Pisa (22.092; +134,3%) e Torino (18.040; +128,9%).

I tedeschi viaggiano verso l’Italia soprattutto in economy: 729 mila passeggeri in classe economica nel 2022 (+62,3% sul 2021), il 62,8% del totale. Tuttavia, sono in aumento anche coloro che viaggiano in business (391.517 arrivi, +26,7% nel 2022 sul 2021) e prima classe (1.580 arrivi, +300%).  Oltre il 61% degli acquisti dei biglietti viene effettuato direttamente presso le compagnie aeree e circa il 18% presso le agenzie di viaggio tradizionali.

Tra febbraio e aprile 2023, la Germania risulta il secondo mercato di provenienza, dopo gli USA, con 124.485 prenotazioni aeroportuali previste al momento verso l’Italia, ossia un + 90 per cento sul medesimo periodo del 2022.

Uno dei cinque viaggi prenotati attraverso i tour operator tedeschi mostra la regione alpina con il lago di Garda come meta di viaggio di preferenza. Sono soprattutto i viaggiatori provenienti dalla Baviera e dalla Renania a scegliere maggiormente l’Italia. Con il 40% di volume di prenotazioni in più, la regione sta acquisendo ancora più importanza. La crescita maggiore si registra dalla Germania orientale.

“La nostra presenza qui significa anche cementificare ulteriormente il rapporto amichevole e di rispetto reciproco che storicamente lega Italia e Germania sia in termini più generali di relazioni internazionali che, nella fattispecie, in termini squisitamente turistici. La Germania, infatti, rappresenta la quarta Nazione più visitata dagli italiani e, inoltre, è il primo mercato incoming per l’Italia. Nel 2022, per esempio, si sono registrati 9,4 mln di visitatori tedeschi nel Belpaese, con 58,5 mln di pernottamenti e una permanenza media di 6,2 giorni. Si tratta di un turismo sempre più diversificato, di persone che vengono e tornano in Italia per scoprire ogni volta nuove destinazioni e provare nuove esperienze ed esplorare sempre anche destinazioni minori e meno conosciute. I rapporti tra queste due Nazioni, però, sono ancora più profondi, se consideriamo gli oltre 800 mila italiani che risiedono in Germania; è un qualcosa che va oltre il turismo ma che, al contempo, ne è fortemente correlato anche in relazione al turismo delle radici di cui, nel 2024, ci sarà appunto un anno dedicato” commenta il Ministro del Turismo Daniela Santanchè.

“E’ un mercato fiorente che alimenta anche l’indotto. I viaggiatori dalla Germania amano restare in Italia almeno una settimana: circa il 25% degli arrivi aerei del 2022 copre soggiorni da 6 a 8 notti (26,5% per il 2021). Scelgono l’Italia soprattutto per vacanza. Nel 2022 l’81% degli arrivi aeroportuali dalla Germania è legato al profilo leisure. Segue il target gruppo con una quota dell’11,5%, mentre il segmento business ha un’incidenza del 5,3% sul totale flussi” commenta la Presidente e Ceo Enit Ivana Jelinic.

“Il turismo non è solo una voce fondamentale nel rapporto economico tra Italia e Germania, ma anche e soprattutto un preziosissimo veicolo di conoscenza reciproca tra persone e nazioni. Il turista viaggia e diventa a sua volta ‘Ambasciatore’ e promotore del Paese visitato. Per questo motivo siamo felici e orgogliosi del legame speciale che unisce i nostri due Paesi e che ogni anno porta milioni di visitatori a muoversi nelle due direzioni”, commenta l’Ambasciatore d’Italia in Germania Armando Varricchio. (Inform/dip)

 

 

 

 

 

Ad Amburgo il Festival letterario “Reading without Nuclear Power”

 

Amburgo – L’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo segnala che nell’ambito del 10° Festival letterario “Reading without Nuclear Power” il 9 marzo si è tenuto un incontro di lettura e discussione con Leoluca Orlando, Donatella Di Cesare, Giusi Nicolini, Georg Restle e Katja Riemann. L’incontro, tenuto presso il Kultur- und Kommunikationszentrum Fabrik di Amburgo, si è svolto in italiano e in tedesco sul tema “L’Europa dovrà rispondere alla storia”.

Il festival è organizzato da “Lesen ohne Atomstrom” (“Leggere senza il nucleare”) e si è tenuto dal 1° al 10 marzo con un titolo preso in prestito da Hermann Hesse: “Affinché il possibile si realizzi, bisogna sempre tentare l’impossibile”. Per dieci giorni, la cultura è stata presente in tutta Amburgo: letture sceniche, cabaret, podi, film, concerti. Più di 3.000 posti in eventi esclusivi con la partecipazione di circa 60 autori e artisti provenienti da tutto il mondo.

Per l’Italia hanno partecipato l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, l’ex sindaco di Lampedusa e Linosa Giusi Nicolini e la filosofa e autrice del libro “Per una nuova ospitalità!” Donatella Di Cesare.

Dal 2011, autori e artisti di spicco provenienti da tutto il mondo si esibiscono regolarmente sui palcoscenici più attraenti di Amburgo, per la fine del nucleare, per la transizione energetica. E come tributo all’impegno della società civile. Da allora, più di 39.000 spettatori hanno visto dal vivo 313 scrittori, attori e musicisti di fama in 84 eventi.

Il festival è stato organizzato dall’iniziativa cittadina no-profit “Cultura per tutti”, fondata nel 2011 da lettori impegnati e autori famosi come Feridun Zaimoglu, Nina Hagen e Günter Grass. Sostenuta da teatri, centri culturali, biblioteche, Goethe-Institut, fondazioni, World Future Council, mecenati.

In questi dieci anni autori di successo, star del cinema e del rock, diplomatici dell’ONU, premi Nobel e Grammy hanno manifestato ad Amburgo la loro opposizione al nucleare: Svetlana Alexievich ,da Minsk, l’ex capo di Stato giapponese Naoto Kan da Tokyo, Jean Ziegler da Ginevra, Marc Elsberg da Vienna, Vandana Shiva da Nuova Delhi, da Reykjavik Birgitta Jonsdottir, da Londra Jakob von Uexküll, da Parigi Beate Klarsfeld, Leoluca Orlando da Palermo, Graeme Maxton da Taiwan, Lord Martin Rees da Cambridge, Tima Kurdi dall’Ontario, da Boston Dennis Meadows, da Buenos Aires Juan Martin Guevara, da Nairobi Auma Obama.

“Leggere senza nucleare” è apartitico. I costi per la realizzazione del festival vengono coperti dalle sole donazioni. (dip)

 

 

 

8 marzo: “Italiane in Germania: le arti” in Ambasciata a Berlino

 

Berlino - In occasione della Giornata Internazionale della Donna, l’Ambasciata d’Italia a Berlino ha ospitato l’8 marzo il secondo appuntamento di “Italiane in Germania”, serie dedicata alle connazionali che vivono, lavorano e si sono affermate nel Paese, contribuendone allo sviluppo economico, scientifico, culturale e sociale. Dopo l’evento dedicato lo scorso anno alle donne nelle scienze, la serata 2023 è stata riservata alle arti.

Quattro rinomate artiste italiane hanno raccontato il loro percorso professionale e discusso, moderate da Lucia Conti de “Il Mitte”, del ruolo delle donne nel mondo dell’arte. Ospiti dell’Ambasciata l’artista Rosa Barba, l’arpista Loredana Gintoli, la coreografa Sofia Nappi - tutte attive in Germania - e la compositrice Lucia Ronchetti, al momento Fellow al Wissenschaftskolleg zu Berlin. L’incontro è stato accompagnato da alcuni momenti musicali affidati alla stessa Gintoli.

“È difficile trovare un settore nel quale le italiane non si siano contraddistinte e non abbiano dimostrato la loro professionalità, sempre accompagnata da impegno e profonda passione, perché le “Italiane in Germania” fanno la differenza”, ha detto l’ambasciatore Armando Varricchio. “Il loro lavoro esula dalla sola dimensione artistica e diventa strumento di promozione del Made in Italy in un mondo, come quello tedesco, che parla sempre più italiano”, ha aggiunto.

L’evento si collega alla mostra “Muse oder Macherin - Le donne nel mondo dell’arte italiana, 1400-1800” inaugurata sempre nel pomeriggio di ieri al Kupferstichkabinett di Berlino e dedicata a vita e lavoro di donne come Rosalba Carriera, Artemisia Gentileschi e Isabella d’Este. All’evento in Ambasciata ha partecipato quindi anche la curatrice della mostra e direttrice dell’istituzione museale berlinese, Dagmar Korbacher. (aise/dip 9)

 

 

 

Saarbrucken: il Comites in visita alla Cancelleria di Stato

 

Saarbrücken – L’8 marzo il Comites Saar ha visitato la Cancelleria di Stato dove ha incontrato il Primo Ministro Anke Rehlinger.

Durante l’incontro “costruttivo e amichevole”, riporta il Comites, sono stati affrontati e discussi temi che riguardano la vita sociale degli italiani nel Saarland; si è discusso sui servizi consolari e della digitalizzazione delle richieste online che porta tutt’ora a disagi per gli analfabeti digitali, le persone anziane e i disabili.

Il Presidente Patrizio Maci, il Vice Presidente Giuseppe Bua e la consigliera Caterina Mela, membro dell’esecutivo, hanno presentato al Primo Ministro il prezioso lavoro delle Commissioni Pubbliche relazioni, - Salute e Prevenzione, Scuola del Comites e i progetti per il futuro che si potrebbero realizzare anche in collaborazione con i singoli ministeri del Land.

A margine della visita, il Presidente Maci ha ringraziato la Cancelleria di Stato per l`ospitalità e ha consegnato una mimosa, simbolo delle conquiste politiche, sociali ed economiche femminili, al Primo Ministro Anke Rehlinger.

La mimosa è stata offerta dal Consiglio Consultivo degli stranieri della Città di Saarlouis e dal loro portavoce Pietro Tornabene. (aise/dip 13) 

 

 

 

 

Evento del Comites di Dortmund  il 26 marzo sulla parità di genere 

 

Il Comites di Dortmund lancia “Storie da Urlo - Fai sentire la tua voce”, evento dal vivo sulla parità di genere. “Le donne sono una risorsa fondamentale e metà della popolazione mondiale. Eppure, ancora molti sono gli ostacoli che impediscono una vera parità di genere”, rileva il Comites. “Per questa ragione, il 26 marzo, alle ore 18.00, ci ritroveremo tutti insieme, uomini e donne, a ribadire il nostro impegno nella direzione giusta”.  Molti gli ospiti dell’evento.

 

Italia Altrove Düsseldorf organizza il 23 aprile una visita guidata in italiano della mostra “La Germania dal 1945 ad oggi” all’Haus Der Geschichte Museumsmeile di Bonn.

“Il dopoguerra, la fondazione delle due Germanie, la costruzione del muro di Berlino, la Guerra Fredda, la caduta del muro… questi ed altri temi importanti della storia tedesca fino ai giorni nostri ci verranno spiegati da una guida in lingua italiana”, spiegano gli organizzatori. “Potremo sederci sulle poltrone del primo parlamento tedesco, ammirare un grande magazzino degli anni del boom economico, salire su uno degli aerei degli alleati chiamati “Rosinenbomber”, ascoltare le testimonianze dei “Gastarbeiter” e capire meglio la storia del paese che ci ospita”.

L’appuntamento è domenica 23 aprile, dalle 11.00 alle 12.30, presso il museo “Haus der Geschichte” in Willy-Brandt-Allee 14 a Bonn. La visita guidata è prevista solo per i soci di Italia Altrove per un gruppo di massimo 25 persone. Dopo il museo chi vorrà potrà unirsi agli altri per pranzare insieme e per fare una passeggiata nel centro di Bonn. L’ingresso al museo è gratuito, l’organizzazione del viaggio è a proprio carico. dip 

 

 

Brevi di cronaca e politica tedesca

 

Unità interna per l’alleanza semaforo “Parlare con maggiore calma di alcune questioni fondamentali”: così il Cancelliere Scholz (SPD) aveva annunciato la riunione a porte chiuse della coalizione semaforo tenuta nei giorni scorsi nei pressi di Berlino. Di recente soprattutto tra Verdi e FDP sono emerse pubbliche controversie, ma alla fine della riunione nel castello di Meseberg i partner dell’alleanza di governo hanno ritrovato unità. Il Cancelliere ha dichiarato che nel primo anno la coalizione semaforo ha raggiunto molti traguardi, per questo si è augurato di “portare avanti lo slancio del primo anno”. Adesso il più grande obiettivo è la ripresa economica. La Germania si lascerà presto alle spalle il problema della disoccupazione, per cui si renderà urgente la richiesta di nuova forza lavoro. Un’altra questione importante affrontata nella riunione è stata la transizione ecologica, riguardo alla quale il Cancelliere Scholz ha affermato che “bisogna procedere con velocità. Entro il 2030 si dovranno installare da quattro a cinque nuove turbine eoliche al giorno, e sempre per giorno costruire una quantità di pannelli solari da ricoprire l’equivalente di oltre 40 campi da calcio. Per il futuro la Germania fissa l’obiettivo di gestire la propria economia in modo neutrale dal punto di vista climatico e creare buone opportunità lavorative”.

 

Anche il ministro dell’Economia Robert Habeck ha sottolineato il positivo clima di collaborazione. “L’isolamento di cui abbiamo goduto nel castello di Meseberg ha dimostrato a tutti, ancora una volta, quanto siamo privilegiati a far parte di questo governo”, ha affermato a nome dei Verdi, mostrando fiducia nel fatto che la coalizione semaforo e la Germania riusciranno a superare le grandi sfide del futuro. Il Vicecancelliere ha posto l’accento soprattutto su un grande successo: “Non siamo più dipendenti dalle forniture di gas russo. Le aziende tedesche non acquisteranno più gas naturale liquefatto dalle aziende russe”. Niente da temere nemmeno per il prossimo inverno, dato che i serbatoi sono più pieni rispetto allo scorso anno. Secondo il ministro delle Finanze, Christian Lindner (FDP), i partner hanno concordato su questioni urgenti riguardanti il futuro della politica interna ed europea, trascurate dalla guerra in Ucraina. 

   

 CDU/CSU vogliono riorganizzare l'immigrazione

 I vertici del gruppo parlamentare CDU/CSU nel Bundestag vogliono riorganizzare l’immigrazione di lavoratori qualificati in Germania proponendo l’istituzione di una “Agenzia federale per l’immigrazione”. In un documento prodotto da CDU e CSU si legge che “i lavoratori qualificati riceveranno assistenza da un’unica fonte: quella del servizio di collocamento, al controllo dei requisiti per l’ingresso, passando per il visto necessario al permesso di soggiorno, dopo l’arrivo in Germania”. Secondo il capogruppo parlamentare Friedrich Merz, l’agenzia si porrà l’obiettivo di reclutare lavoratori qualificati provenienti dall’estero. Il Presidente della CDU ha inoltre chiesto che in futuro le procedure di asilo dei lavoratori specializzati vengano chiaramente separate dalle procedure di immigrazione.

 

Merz ha criticato il governo per la sua incapacità di fronte al drammatico sovraffollamento degli alloggi per rifugiati: “La coalizione non vuole ammettere la drammaticità della situazione in molti comuni della Germania”, e ha inoltre tenuto a ribadire che “la CDU si fa carico dell’impegno di responsabilità umanitaria della Germania nei confronti delle persone in cerca di protezione”, ma che il partito intende “proporre un pacchetto di misure nazionali, europee e internazionali per la gestione e la limitazione della migrazione clandestina”. La CDU chiede inoltre l’istituzione di un’unità di crisi e coordinamento nella Cancelleria federale. Il leader dell’opposizione Merz ha a cuore i problemi legati all’accoglienza dei rifugiati e vuole invitare a Berlino per un tavolo di consultazioni circa 700 tra sindaci e consiglieri provinciali: “Solo nel 2022, in Germania sono state presentate 244.000 richieste di asilo. In molte località le capacità di accoglienza sono giunte al limite. Dobbiamo affrontare questa realtà”.

   

 I Länder meridionali mettono in discussione il patto finanziario federale

 I governatori della Baviera e del Baden-Württemberg chiedono negoziati per rivedere il Länderfinanzausgleich, termine con cui si designa il sistema di compensazione finanziaria che regola la distribuzione di risorse tra Länder ricchi, meno ricchi o strutturalmente deboli. I due Stati chiedono un attento riesame del modello e, se necessario, possibili emendamenti. Winfried Kretschmann (Verdi), governatore del Baden-Württemberg, Land dell’industria automobilistica tedesca, ha affermato che “non tutto può filare liscio se, in linea di principio, tre Länder (Baviera, Assia e Baden-Württemberg) contribuiscono per ben oltre il 90% della perequazione finanziaria”.

 

L’omologo di Kretschmann, il governatore della Baviera Markus Söder (CSU), aveva annunciato che entro la prima metà dell’anno avrebbe intentato un’azione giudiziaria contro tale sistema di compensazione finanziaria “semplicemente iniquo e ingiusto”. Lo scorso anno cinque Länder donatori, quindi economicamente più agiati, hanno versato un totale di 18,5 miliardi di euro nelle casse degli undici Länder più deboli dal punto di vista finanziario, cifra alla quale la Baviera ha contribuito per più della metà, destinando 9,9 miliardi di euro. Il governatore Söder, che in autunno si presenterà alle elezioni regionali con la sua CSU, sembra aver definitivamente perso la pazienza: “La soglia di sopportazione del dolore è stata raggiunta”.

 

Iraq: il Ministro Baerbock mostra il suo sostegno

 A breve ricorrerà il 20° anniversario dell’entrata americana in Iraq, e in questo momento il Paese sta tornando al centro della politica estera dell’Occidente. Martedì scorso il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi) e il ministro della Difesa statunitense Lloyd Austin si sono recati in visita a Baghdad. Dopo il suo arrivo nella capitale, la Baerbock ha ribadito che l’Iraq rimane un fattore chiave per la stabilità della regione, e che la Germania continuerà a garantire una prospettiva pacifica per il futuro del Paese.

 

“Se il nuovo terrorismo, l’influenza dell’Iran o la distruzione dei mezzi di sussistenza causata dalla crisi idrica dovessero sfociare di nuovo in violenza e divisione politica, le conseguenze colpirebbero pesantemente anche i Paesi limitrofi”, e infine ha aggiunto che “se si riuscirà a raggiungere stabilità e sviluppo all’insegna della democrazia e della diversità, l’Iraq potrà assurgere a modello per la regione”. Il ministro degli esteri ha voluto inoltre visitare un centro di documentazione dei crimini perpetrati dallo “Stato islamico”. La milizia terroristica ha ancora cellule attive in Iraq e in Siria che continuano a compiere attacchi.

   

 Crollo di fedeli per la Chiesa evangelica

 La Chiesa evangelica in Germania continua a registrare un numero di defezioni come mai prima d’ora. L’associazione delle chiese protestanti in Germania, la EKD, ha dichiarato che nel 2022, circa 380.000 membri hanno lasciato la Chiesa. Si tratta di un ulteriore forte aumento, dopo che nel 2021 il numero di dimissioni era di 280.000 membri, mentre nel 2005 erano poco meno di 120.000. La Presidente del Consiglio dei vescovi evangelici, Annette Kurschus, ha definito le nuove cifre “deprimenti”. Nemmeno negli anni successivi alla Riunificazione, l’EKD aveva registrato così tante dimissioni quante ne sta subendo negli ultimi anni. Si aggiunge poi, il fatto che il numero dei membri che muoiono supera più del doppio quello dei nuovi accolti nella Chiesa evangelica all’atto del battesimo.

Nel complesso, lo scorso anno il numero di cristiani evangelici in Germania è diminuito del 2,9%, arrivando a contare 19,15 milioni di membri. Nei prossimi anni, questi sviluppi non potranno che colpire duramente la Chiesa anche dal punto di vista finanziario. Se si guarda alla Chiesa cattolica, anche questa non se la passa molto meglio. In Germania, l’appartenenza a una confessione religiosa viene registrata all’ufficio anagrafico federale che poi riscuote l’imposta annuale per conto delle rispettive chiese, e per questo sempre più contribuenti dichiarano la loro uscita dall’ ”organizzazione ecclesiastica” per risparmiare sulle tasse. Il sistema è oggetto di critiche da molto tempo, soprattutto perché il numero di membri della Chiesa ufficialmente registrati presso l’autorità competente è ormai scivolato sotto la soglia del 50%.

   

 Luoghi da visitare in Germania: Frisinga

 Nella città di Frisinga, situata a nord-est di Monaco, si erge su una collina la concattedrale romanica del famoso duomo di Monaco, che ospita al suo interno un notevole complesso museale. Sole cinque settimane dopo la prima grande mostra dedicata al culto dei santi napoletani, che ne ha accompagnato la meravigliosa riapertura, il duomo di Frisinga presenta una mostra sulla relazione tra Chiesa e sessualità, che promette già di voler dimostrare la sua audacia e vivacità nei confronti della scena artistica di Monaco. Il “rapporto spesso molto sofferto di tante persone nella nostra Chiesa con la fisicità e la sessualità – ha dichiarato nel suo saluto l’arcivescovo di Monaco e Frisinga, il cardinale Reinhard Marx – deve essere riconosciuto e affrontato quale problematica fondamentale. Cerchiamo quindi di farlo partendo proprio dal punto di vista dell’arte, che per secoli è stata creata esclusivamente perché appannaggio della Chiesa, che commissionava e pagava le opere artistiche”. Nella mostra si possono ammirare dipinti in cui l’erotismo e la sensualità si fondono con la spiritualità e che rimandano a secoli di arte, con particolare attenzione per la pittura barocca.Fondo speciale all’esercito: il governo batte la fiacca Pochi giorni dopo l’aggressione russa in Ucraina, Scholz aveva annunciato al Bundestag un cambio di direzione nella politica estera, di sicurezza tedesca e un fondo speciale di 100 miliardi di euro per la modernizzazione dell’esercito, ricevendo anche applausi dalla CDU/CSU. A un anno dal clamoroso discorso della “svolta epocale” del Cancelliere, l’opposizione CDU/CSU gli rimprovera le opportunità mancate. Il leader della CDU Friedrich Merz ha criticato l’eccessiva lentezza delle sue azioni e il non aver fornito alcuna spiegazione ai suoi tentennamenti. Il suo Vice Jens Spahn (CDU) ha ricordato che il discorso del Cancelliere era fondamentalmente nel giusto e che avrebbe potuto segnare una nuova era, ma sfortunatamente il governo della coalizione semaforo “si è lanciato in un volo che il giorno successivo ha perso subito quota”. Il Cancelliere non ha tenuto fede alle sue promesse, e finora del fondo speciale destinato alle forze armate non è stato stanziato pressoché nulla.

 

L'esperto di politica estera della CDU, Roderich Kiesewetter, ha espresso critiche: “L’esercito soffre di enormi deficit e la svolta epocale non è iniziata. Le truppe hanno perso un anno di tempo e ora sono ‘più al verde’ di quanto non fossero nel 2022”, parole che riprendono la dichiarazione del Capo di Stato maggiore dell’esercito Alfons Mais, che il giorno dell’inizio della guerra aveva dichiarato: “l’esercito di cui sono alla guida, è più o meno al verde”. Secondo Kiesewetter, il Cancelliere Scholz aveva ipotizzato che le truppe russe avrebbero potuto conquistare l’Ucraina in pochi giorni e “poi ritrovarsi sul confine polacco”. Ma le cose sono andate diversamente. “Quando ci si è resi conto che l’Ucraina si stava difendendo nel migliore dei modi, questo slancio si è immediatamente affievolito”. Nell’esercizio di bilancio del 2022 non sono state utilizzate le risorse provenienti dal fondo speciale, ma secondo il ministero della Difesa sono stati pianificati circa 30 miliardi di euro. L’industria degli armamenti ha inoltre più volte sottolineato la lentezza nel conferimento delle commesse. 

   

 Pistorius chiede più fondi per la difesa

 Il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) ha annunciato che in futuro le aziende produttrici di armi riceveranno anticipi per le commesse e non verranno pagate alla consegna. “In futuro agiremo in questo modo. Fosse anche solo per documentare il flusso di denaro in uscita”, ha chiarito Pistorius, che ha inoltre ribadito la sua richiesta di un aumento del bilancio destinato alla Difesa, restando fermo il fatto che i 100 miliardi di fondo speciale saranno spesi entro i prossimi tre anni.

Tuttavia, per il periodo successivo l’esercito avrà comunque bisogno di maggiori risorse. Il bilancio del ministero della Difesa deve aumentare in modo significativo, “altrimenti non saremo in grado di svolgere i nostri compiti”. Anche l’organismo che cura gli interessi dei soldati tedeschi (Bundeswehrverband) si è schierato dalla parte di Pistorius chiedendo più soldi su base permanente: “Dobbiamo riprendere a investire nelle capacità militari. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di più di 100 miliardi, e quindi un aumento del bilancio della difesa, altrimenti le cose non funzioneranno”.

   

 Il Land di Berlino verso la Grande Coalizione

 Nel Land di Berlino si attendono le prime delibere sull’avvio dei negoziati di coalizione per la formazione di un nuovo governo regionale. Lo scorso 12 febbraio la CDU ha vinto l'elezioni con netto distacco, e i colloqui esplorativi tra i partiti sono ormai conclusi. Il sindaco di Berlino e Presidente regionale della SPD, Franziska Giffey, anela a una coalizione con la CDU vincitrice delle elezioni.

Nell’eventualità di un’alleanza con la CDU, il sindaco Giffey, il cui partito ha raggiunto solo il 18% delle preferenze alle ultime elezioni, dovrebbe rinunciare al suo mandato, e il nuovo capo del governo del Land, facente parte di una coalizione nero-rossa sarebbe il vincitore, Kai Wegner, capogruppo parlamentare della CDU e suo Presidente regionale. I Verdi e la Sinistra, con i quali l’SPD ha governato dal 2016, si ritroverebbero tra le file dell’opposizione. Tuttavia, se non dovesse funzionare con l’SPD, la CDU ha un’altra opzione: governare insieme ai Verdi.

   

 La Baerbock lancia il suo monito al governo israeliano

 Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi) ha ricevuto a Berlino il suo nuovo omologo israeliano Eli Cohen. Si è trattato del primo incontro da quando il governo nazional-conservatore del Primo ministro Benjamin Netanyahu è entrato in carica a dicembre. Durante l’incontro sono stati affrontati diversi temi controversi che al momento mettono a dura prova le relazioni tedesco-israeliane, tra cui la riforma della giustizia del governo israeliano.

Il ministro Baerbock ha criticato il piano in presenza del ministro israeliano. “Non nascondo il fatto che all’estero siamo preoccupati”, ha dichiarato il ministro. “Tra i valori che ci accomunano c’è la difesa dei principi dello stato di diritto, nonché l’indipendenza della magistratura”. Da settimane in Israele sono in corso proteste contro la riforma che, tra le altre cose, conferirebbe al governo maggiore potere nella selezione dei giudici. Inoltre, Baerbock ha espresso preoccupazione per l' introduzione della pena di morte. Dalla sua fondazione, lo Stato d’Israele ha eseguito una sola volta la pena di morte, contro il criminale nazista e pianificatore dell’Olocausto Adolf Eichmann. “Sono convinta che sarebbe un grave errore spezzare la storia del passato”, ha concluso il ministro degli Esteri esprimendo tutta la sua preoccupazione.

   

 La Germania critica il veto europeo ai motori a combustione

 Il ministro dei Trasporti, Volker Wissing (FDP), minaccia il veto tedesco al bando di nuove immatricolazioni di automobili con motore a combustione interna, previsto nell’Unione europea a partire dal 2035, chiedendo che l’utilizzo di carburanti sintetici (i cosiddetti “e-fuel”) per le auto possa essere consentito anche dopo, in totale accordo con il governo italiano. Il ministro Wissing ha ribadito che “considerato l’enorme parco di autovetture che abbiamo solo in Germania, i Liberali potranno giungere a un compromesso solo se si riterrà idoneo l’uso di carburanti e-fuel, altrimenti la Germania confermerà il proprio dissenso”, oltre a sottolineare come la Commissione europea abbia ricevuto un chiaro mandato di lavoro per consentire l’uso di e-fuel rispettosi del clima nei motori a combustione interna, sia per i veicoli attualmente in circolazione sia per quelli che verranno immatricolati dopo la fatidica data del 2035. “Finora a Berlino non siamo venuti a conoscenza di proposte costruttive, ma abbiamo sentito solo dichiarazioni negative da parte del Commissario Frans Timmermans", ha espresso in tono critico il ministro.

Secondo i piani correnti, a partire dal 2035 nell’UE non saranno più immatricolati nuovi veicoli con motori a combustione interna. Nel frattempo, il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) ha annunciato un disegno di legge che prevede il divieto d’installazione di sistemi di riscaldamento a gasolio in Germania a partire dal 2024. Il partner di coalizione FDP ha già annunciato una forte resistenza al riguardo, e nella coalizione semaforo il progetto di legge finirà per suscitare aspri dibattiti.

   

 Crisi tra Vaticano e Conferenza episcopale tedesca

 Il conflitto tra ampie sezioni della Conferenza episcopale tedesca e il Vaticano continua ad aggravarsi. In occasione del Consiglio di primavera dei vescovi a Dresda, il Presidente Georg Bätzing ha nuovamente respinto le obiezioni provenienti da Roma all’istituzione di un cosiddetto “Consiglio sinodale”. Il nunzio apostolico in Germania, l’arcivescovo Nikola Eterovic, ha ribadito il suo rifiuto alla riforma, e in un saluto rivolto ai vescovi, Eterovic ha scritto che il “Consiglio sinodale pianificato dalla Chiesa tedesca, composto da esponenti del clero e da laici, in quanto organo decisionale non è pensabile a nessun livello gerarchico della Chiesa e che la sua istituzione danneggia la funzione dirigenziale svolta dai vescovi”.

Nella sua lettera Eterovic prende spunto dalla discussione scatenata da una lettera di diversi cardinali della Curia a nome di Papa Francesco, nella quale si nega alla Conferenza Episcopale l’autorità di istituire tale organismo. I timori avanzati da Roma vengono condivisi anche da una minoranza di vescovi tedeschi, ma il Presidente della Conferenza episcopale tedesca Bätzing, pur non temendo la minaccia di una separazione della Chiesa cattolica tedesca dalla Chiesa universale, continua a manifestare la sua ostinazione.

  

 Luoghi da visitare in Germania: Abbazia di Münsterschwarzach

 Per i cattolici la Quaresima è anche tempo di esercizi spirituali, da praticare soprattutto nei monasteri. Famosa per la sua accoglienza è l’abbazia benedettina di Münsterschwarzach, in Baviera (Regione della Bassa Franconia). Il complesso monastico romanico con le sue quattro torri, ben visibile sulle rive del Meno, vanta già 1200 anni di storia ed è una delle testimonianze più antiche di vita monastica in Germania.

L’abbazia può contare sull’autosufficienza alimentare garantita dalla coltivazione di prodotti agricoli al suo interno, oltre a essere conosciuta per la produzione di oggetti di oreficeria e altri manufatti artigianali e, ovviamente, per accogliere gli ospiti che desiderano unirsi alla vita monastica della comunità – anche se solo per qualche giorno – o che desiderano volgersi in contemplazione della vita interiore durante gli esercizi spirituali. Kas 9

   

 

   

Le due piazze di Berlino contro la guerra

 

In questo finesettimana a Berlino decine di migliaia di persone sono scese in piazza contro la guerra in due diverse manifestazioni. Venerdì contro Putin e in solidarietà all’Ucraina, sabato per chiedere a “entrambe le parti” il cessate il fuoco immediato e l’avvio di negoziati di pace. Cinzia Sciuto

Quando esattamente vent’anni fa attraversai questa stessa Unter den Linden, il vialone di Berlino che da Alexanderplatz porta alla Porta di Brandeburgo, nessuno immaginava potessero esistere due piazze contro la guerra. La guerra era una, quella di Bush contro l’Iraq, e uno era il sentire pacifista di allora: contro la guerra di Bush. Vent’anni dopo, quando la guerra ci tocca molto più da vicino e imporrebbe una unità e compattezza ancora maggiore, il fronte “contro la guerra” si sfalda, e la linea di divisione non è come potrebbe superficialmente sembrare, solo la questione “armi sì, armi no”. Se fosse solo questo, si tratterebbe di una mera questione strategica, una risposta diversa alla domanda: “Come facciamo a fermare la guerra di Putin?”. Ma invece è la domanda stessa che divide, perché non tutti riconoscono che questa è una guerra unilaterale di stampo imperialista di Putin contro l’Ucraina, e non sono pochi nel fronte pacifista a condividere l’analisi di Silvio Berlusconi: “Bastava che [Zelens’kyj] cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe avvenuto”. Che non è molto diverso da quello che sostiene Putin: “Chiediamo al regime di Kiev di cessare immediatamente il fuoco, tutte le ostilità, la guerra che ha scatenato nel 2014 e di tornare al tavolo dei negoziati”, così aveva detto il presidente russo il 30 settembre 2022 nel discorso con il quale spiegava al suo popolo la decisione della mobilitazione parziale. È dunque la diversa lettura della realtà che spacca il movimento: una guerra unilaterale di stampo imperialista di Putin contro l’Ucraina, da una parte, una guerra di reazione di Putin alle varie “provocazioni” (della Nato, di Zelens’kyj ecc.), dall’altra.

Se questa è una guerra unilaterale di stampo imperialista di Putin contro l’Ucraina, allora il movimento contro la guerra non può che rivolgersi alla Russia di Putin, esattamente come hanno fatto le decine di migliaia di persone che hanno attraversato la Unter den Linden il 24 febbraio scorso. Avvolte nelle bandiere ucraine, scandendo “Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina)”, si sono fermate davanti l’ambasciata russa, a indicare in maniera chiara chi è l’unico responsabile di questa guerra e chi è che deve dunque deporre le armi per farla cessare. “Se la Russia smette di combattere non c’è più la guerra, se l’Ucraina smette di combattere non c’è più l’Ucraina”, recita uno degli slogan più efficaci, che riassume perfettamente lo spirito della manifestazione del 24. Molto orgoglio nazionale attraversava il corteo, ma non nazionalista. Orgoglio per un piccolo Paese avviato nel tortuoso percorso democratico che tiene testa al grande aggressore autoritario e imperialista che non vuole cancellare solo i confini geografici ma anche la storia democratica dell’Ucraina. È l’Ucraina che viene difesa in questa piazza, sì, ma l’Ucraina democratica. Non un solo accenno sciovinista, non un solo simbolo nazionalista ha circolato fra le migliaia di bandiere azzurre e gialle che hanno inondato le vie di Berlino dal Cafe Moskau (un centro congressi eretto nel 1961 come simbolo del legame fra la Ddr e l’Unione Sovietica e per l’occasione, e solo momentaneamente, ribattezzato Cafe Kyïv) fino alla Brandeburger Tor. E chissà quante di queste persone non avevano mai indossato prima i colori nazionali ucraini, chissà quante hanno scoperto uno spirito patriottico che non gli apparteneva. Chissà quanti di noi si riscoprirebbero improvvisamente attaccati alla proprio Paese se questo venisse aggredito da una potenza straniera.

Se invece la lettura della guerra è “più complicata” perché le responsabilità sono certo di Putin “ma anche” (se non soprattutto) di altri, allora il “contro la guerra” non può che rivolgersi a “entrambe le parti” che però nei fatti significa a una parte sola: l’Occidente che sostiene l’Ucraina e che deve invece smettere di inviare armi e mettersi alla testa di “una alleanza per il cessate il fuoco e negoziati di pace”, come si legge nell’appello firmato da Alice Schwarzer, storica figura del femminismo tedesco, e Sara Wagenknecht, ex leader del partito Die Linke, e sottoscritto da più di 600mila persone, che ha anch’esso portato in piazza il giorno dopo, sabato 25 febbraio, decine di migliaia persone. “Negoziare”, si legge ancora nell’appello, “non significa capitolare. Negoziare significa scendere a compromessi, da entrambe le parti. Con l’obiettivo di evitare altre centinaia di migliaia di morti e peggio”.

Una piazza, quella di sabato, dove non sventolava neanche una bandiera ucraina e dove nessun cartello, nessuno slogan era rivolto a Putin. L’obiettivo dei manifestanti raccolti da Schwarzer e Wagenknecht era completamente un altro: l’Occidente e la Nato. E a scanso di equivoci ad aprire la manifestazione di sabato un videomessaggio di Jeffrey Sachs che ha senza mezzi termini sostenuto che la colpa di questa guerra è degli Stati Uniti responsabili della caduta di Janukovy? (alle proteste di Euromaidan neanche un accenno) nel 2014. La sensazione che si avvertiva in questa piazza è che la guerra in Ucraina venisse usata per regolare un po’ di conti “interni” all’Occidente e per portare avanti lotte ideologiche e politiche che con l’attuale conflitto hanno poco a che fare.

A rispondere nella maniera più chiara all’appello di Schwarzer e Wagenknecht è stato dai microfoni della manifestazione del giorno prima il leader dei Verdi tedeschi, Omid Nouripour: “Questa è la vera grande manifestazione per la pace che si tiene questo weekend a Berlino. Fra di noi ci sono tanti che vengono dalla Georgia, dalla Bielorussia, dalla Cecenia e che sono qui perché sanno cosa accade se Putin non viene fermato. La pace non è semplice. La pace non si ottiene dicendo indistintamente a tutti ‘mettete giù le armi’. La pace non è fare come se diplomazia e armi fossero in contrapposizione. Pace è quando un popolo che viene aggredito in completa violazione del diritto internazionale è messo nelle condizioni di difendersi. Putin ripete sempre che la Germania ha una responsabilità storica nei confronti della Russia, ed è vero. Ma abbiamo una responsabilità storica anche nei confronti dell’Ucraina. E oggi che quelle stesse città ucraine dove il regime nazista ha perpetrato crimini orrendi vengono bombardate dalla Russia di Putin è nostro dovere stare al loro fianco. Se non lo facciamo vuol dire che non abbiamo imparato niente dalla nostra storia”.

C’è un dato che dovrebbe chiarire in maniera inequivocabile quale sia la giusta lettura di questa guerra: secondo i dati delle Nazioni Unite, dall’inizio dell’invasione sono morti almeno 8mila civili ucraini, più di 13 mila sono rimasti feriti, 18 milioni di civili hanno quotidiano bisogno di assistenza umanitaria per mancanza di acqua ed elettricità e 14 milioni hanno dovuto abbandonare le loro case. Niente di tutto questo riguarda i civili russi, e tanto dovrebbe bastare per capire che non ci sono due Paesi in guerra che si combattono reciprocamente ma un tentativo da parte di una grande potenza militare autoritaria di annientare un altro Paese.

Nouripour ha concluso il suo intervento con queste parole: “Certo, alla fine ci sarà un tavolo delle trattative ma se consideriamo gli ucraini come un soggetto politico a quel tavolo di fronte alla Russia siederà il presidente dell’Ucraina, e noi saremo al suo fianco. Non ci potrà essere un accordo fra grandi potenze che ignori la soggettività dell’Ucraina. Mai più accordi al prezzo del sacrificio di altri Stati, non dell’Ucraina né di altri. C’è chi dice che se l’Ucraina smette di combattere si arriverà alla pace. A costoro dico: non c’è pace sotto l’occupazione russa”. MicroMega 25.2.

 

 

 

 

Cosa significa la sospensione del trattato New START

 

Il 21 febbraio, la Russia ha annunciato la decisione di sospendere la sua partecipazione al trattato New START, mettendo così a rischio l’ultimo accordo di controllo degli armamenti nucleari ancora in vigore tra Russia e Stati Uniti. Sospendere la partecipazione non equivale a un ritiro dal trattato. Mosca ha inoltre sottolineato che la sua decisione è reversibile.

Il confronto Mosca – Washington

Già prima di quest’annuncio, negli ultimi mesi gli Stati Uniti avevano ripetutamente accusato la Russia di violare le disposizioni del trattato, in particolare il regime di ispezioni. La Commissione consultiva bilaterale, l’organo di verifica del trattato, avrebbe dovuto riunirsi lo scorso novembre per discutere la questione, ma la Russia si è rifiutata di parteciparvi.

Tuttavia, la Russia ha annunciato che manterrà il suo arsenale nucleare entro i limiti numerici previsti dal trattato e che continuerà lo scambio di informazioni con gli Stati Uniti, in particolare il meccanismo di notifica con gli Stati Uniti dei lanci di missili intercontinentali basati a terra (ICBM) e in mare (SLBM). Se la Russia mantiene questi suoi impegni, non c’è una vera e propria violazione del trattato. Si tratta quindi di una mossa politicamente simbolica, senza immediate implicazioni pratiche.

Allo stesso tempo, è discutibile che la mossa della Russia sia legale poiché il trattato non prevede la possibilità di sottrarsi al rispetto di nessuno dei suoi obblighi. Ciò che è chiaro è che il trattato rimane legalmente vincolante per Mosca, che non l’ha denunciato e non ha invocato i requisiti di eccezionalità previsti dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati.

D’altra parte, Mosca ha lasciato intendere di essere disposta a negoziare un accordo sul controllo degli armamenti che includa tutte le forze nucleari della Nato, quindi anche gli arsenali britannici e francesi, ma senza specificare come le riduzioni di tali arsenali verrebbero conteggiate e verificate.

Che cos’è il New START?

Il New START è stato firmato a Praga nel 2010 ed è entrato in vigore l’anno successivo. Il trattato è inteso come un rinnovo e/o una continuazione del trattato START I del 19911, scaduto nel 2009, ma riduce ulteriormente i limiti previsti da quest’ultimo.

Il New START limita a 1.550 le testate nucleari che ciascuno dei due paesi può schierare e fissa anche limiti quantitativi al numero di missili balistici intercontinentali a capacità nucleare, ai bombardieri e ai lanciatori schierati. Il New START prevede un meccanismo di ispezioni (18 ispezioni a breve termine all’anno) e di notifiche reciproche, nonché incontri regolari per discutere l’attuazione del trattato.

Lo START I (Strategic Arms Reduction Treaty) è stato, invece, un trattato bilaterale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sulla riduzione e la limitazione delle armi strategiche offensive. Il trattato è stato firmato il 31 luglio 1991 ed è entrato in vigore il 5 dicembre 1994. Il trattato vietava ai firmatari di schierare più di 6 mila testate nucleari e un totale di 1.600 missili balistici intercontinentali (ICBM) e bombardieri.

Da Trump a Biden: la strategia Usa

L’amministrazione Trump aveva criticato il New Start, definendolo un “cattivo accordo”. Il trattato è stato però rinnovato nel 2021. su sollecitazione dell’amministrazione Biden. Nell’agosto dello scorso anno la Casa Bianca ha anche annunciato di voler negoziare un nuovo trattato con la Russia per un’ulteriore limitazione degli arsenali nucleari. Dopo l’ultima mossa russa questa prospettiva si è fatta però alquanto remota. Resta il fatto che entrambi i Paesi hanno finora rispettato i limiti quantitativi stabiliti dal Trattato.

Mosca ha giustificato la sospensione delle ispezioni con il timore che gli Stati Uniti forniscano all’Ucraina informazioni ottenute attraverso le ispezioni che le possano consentire di attaccare gli arsenali nucleari russi. Secondo il Cremlino, gli Usa hanno inoltre intenzione di riprendere i test nucleari, un’accusa che non trova però alcun riscontro.

L’annuncio di Putin è l’ennesima mossa per costringere, attraverso la minaccia nucleare, gli Stati Uniti e l’Ucraina a negoziare alle sue condizioni. Tuttavia, la probabilità che la Russia usi le armi nucleari in questo conflitto è bassa. Potrebbe usarle solo se si trovasse in una situazione disperata. La domanda è in quali circostanze Mosca potrebbe arrivare a considerare il nucleare l’unica via d’uscita in caso di nuove sconfitte sul campo.

Nuova corsa agli armamenti?

Negli ultimi cinquant’anni, c’è sempre stata una forma di accordo tra Washington e Mosca per il controllo degli armamenti nucleari. La fine del Trattato New START determinerebbe una situazione inedita. Tra un paio d’anni potremmo trovarci in una situazione molto simile a quella degli anni Cinquanta, con le potenze nucleari intente a modernizzare e potenziare i loro arsenali nucleari senza alcun controllo. Questo scenario sarebbe caratterizzato da un delicato equilibrio di tra Stati Uniti, Russia e Cina basato sulla reciproca deterrenza nucleare.

La crisi del New START dovrebbe indurre la comunità internazionale a ripensare i processi di controllo e riduzione degli armamenti. Le future iniziative diplomatiche per il controllo degli armamenti dovrebbero coinvolgere anche la Cina e mirare anche a limitare il suo programma nucleare sempre più incontrollabile e pericoloso.

Cosa faranno gli Stati Uniti di fronte all’annuncio della Russia: si ritireranno dal trattato? Washington potrebbe scegliere questa opzione se ritenesse che la sospensione della Russia rende il trattato non più efficace. Questo non significa che inizierà necessariamente una nuova corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Russia, poiché quest’ultima non è in realtà in grado di sostenere un tale sforzo finanziario. È più probabile che la Russia continui a rispettare le limitazioni stabilite dal trattato, anche se non possono essere verificate.

Di certo questo sviluppo rafforza l’idea che solo la deterrenza nucleare può garantire l’equilibrio tra le grandi potenze. Ma nel mondo reale non è detto che tutti i giocatori siano razionali e che in situazioni critiche dispongano di tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni gravide di conseguenze. Manuel Herrera, AffInt. 2

 

 

 

 

Migranti, sì a decreto flussi. Meloni: "Non converrà entrare illegalmente"

 

La premier a Cutro dopo il Cdm: "Andremo a cercare gli scafisti in tutto il mondo. Ringrazio Piantedosi, governo non poteva fare di più". L'invito alle famiglie delle vittime a Palazzo Chigi

Con il Consiglio dei ministri a Cutro, "volevamo dare un segnale simbolico e concreto allo stesso tempo. E' la prima volta che un Cdm si svolge sul luogo in cui si è consumata una tragedia legata al tema migratorio". A dirlo è la premier Giorgia Meloni al termine della riunione dei ministri che ha visto l'approvazione all'unanimità del decreto con disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso e di prevenzione e contrasto dell'immigrazione irregolare, contenente la stretta sugli scafisti e nuove norme. La presidente del Consiglio inviterà nelle prossime ore i familiari delle vittime della tragedia a Palazzo Chigi.

"La presenza dell'intero Cdm a Cutro è un modo per ribadire quanto questo governo sia attento e concentrato su questo dossier", ha rimarcato quindi la presidente del Consiglio. La presenza del governo a Cutro oggi "è un modo per esprimere compatti il nostro cordoglio per le vittime della tragedia. Abbiamo voluto apporre all'ingresso del Comune una targa in memoria delle vittime perché il ricordo non sia semplicemente un fatto transitorio", ha inoltre sottolineato Meloni.

Non potevamo" rispondere alla strage di migranti "senza dare un segnale concreto, perché noi siamo il governo, il nostro compito è trovare soluzioni ai problemi. Penso che il modo migliore per onorare le vittime è fare quel che si può fare affinché non si vadano a ripetere tragedie come queste". Dunque il via libera a un "dl che affronta la materia per ribadire che siamo determinati a sconfiggere la tratta di essere umani, trafficanti di vite umane che sono i responsabili di questa tragedia. La nostra risposta è maggiore fermezza", ha spiegato.

"Lo dico per rispondere anche ad alcune ricostruzioni surreali, secondo cui si starebbe modificando la linea governo. Chi pensa che i fatti" avvenuti a Cutro possono modificarla "si sbaglia", quanto accaduto è "la conferma che non c'è politica più responsabile di quella finalizzata a rompere la tratta e mettere fine alla schiavitù del terzo millennio".

Il decreto immigrazione varato oggi dal governo, continua Meloni, "prevede un aumento delle pene per il traffico di migranti e l'introduzione di una nuova fattispecie di reato relativa a morte o lesioni gravi in conseguenza del traffico di clandestini, con una pena fino a 30 anni di reclusione nel caso in cui muoiano persone in una di queste traversate. Il reato verrà perseguito dall'Italia anche se commesso fuori dai confini nazionali. E' un reato che noi consideriamo universale".

L'obiettivo del governo, sottolinea quindi la premier, è "colpire non solamente quei trafficanti che troviamo su quelle barche ma anche quelli che ci sono dietro. Questo cambia completamente l'approccio del governo italiano rispetto a quanto abbiamo visto negli ultimi anni. Andremo a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo, perché vogliamo rompere questa tratta".

"Un altro modo per combattere i trafficanti è dare il messaggio che in Italia non conviene entrare illegalmente, non conviene pagare gli scafisti, non conviene rischiare di morire", afferma ancora la premier, che continua: "Non intendiamo replicare l'approccio di quanti hanno lasciato che i trafficanti di morte agissero indisturbati. Mi stupisce l'atteggiamento di quanti hanno lanciato strali contro il governo, quando il ministro Piantedosi - che ringrazio - ha dimostrato che il governo non poteva fare nulla di più e nulla di diverso per salvare quelle vite, come ha sempre fatto".

"Quelle stesse persone che hanno attaccato il ministro Piantedosi - va avanti - non spendono una sola parola contro trafficanti che si fanno pagare fino a 9mila euro per una barca che alla prima difficoltà è andata in mille pezzi e che hanno lasciato che una" delle persone a bordo "fosse abbandonata legata al timone. Io questa tratta la voglio sconfiggere e combattere. E' la ragione per cui il governo ha varato questo decreto".

Il governo quindi ripristina "i decreti flussi, che consentono l'ingresso per lavorare di immigrati regolari" e "che sono stati azzerati perché tutte le quote erano coperte da chi entrava illegalmente". "Criteri" di ingresso e "quote saranno su base triennale", ha spiegato la presidente del Consiglio. Sono previste "corsie preferenziali per gli stranieri che in patria hanno fatto corsi di formazione riconosciuti dal governo italiano", ha proseguito Meloni.

"Solidarietà non è far entrare chiunque arrivi e poi tenerlo ai semafori per pulire i vetri. Per me solidarietà è dare le stesse possibilità dei cittadini italiani", ha rimarcato la premier.

"Cutro per me - ha poi aggiunto - è un punto di passaggio. La materia migratoria oggi è estremamente complessa. Quel che sta accadendo introno da noi, dalla guerra in Ucraina al terremoto in Turchia, tutto ci coinvolge e ci stiamo lavorando a 360 gradi. Quello approvato oggi è uno dei provvedimento varati da questo governo, altri sono stati fatti prima e altri verranno dopo. E' un tema che va affrontato a livello internazionale e non solo a livelli di bilaterali, e soprattutto un tema europeo, che diventa ancora più centrale".

"All'indomani della tragedia - ricorda - io ho scritto una lettera ai vertici europeo, una lettera che arrivava anche all'indomani di un Consiglio europeo in cui c'p stato un cambio di passo. Ora io al prossimo Consiglio Ue io chiederò azioni concreto, l'Italia non può affrontare da sola" l'emergenza, "non può restare sola. Nelle parole di von der Leyen c'è la conferma di un cambio di passo, in cui le istanze dell'Italia sono considerate centrali, ma per noi è fondamentale che dal prossimo Consiglio Ue arrivino atti concreti. Abbiamo impegnato tutto il governo in questo, ma la nostra volontà è stabilire un principio per cui non ci mettiamo nelle mani dei trafficanti di vite umane, non accettiamo la tratta, la schiavitù del terzo millennio".

"Noi - ha detto ancora - intendiamo fare una campagna di comunicazione nei paesi di origine per spiegare quanto la realtà sia diversa da quanto raccontato da questi criminali, e quali sono i rischi che corrono se si mettono nelle mani di questi trafficanti", prevedendo "quote privilegiate per quei paesi che ci aiutano" in queste campagne di comunicazione.

"Il tentativo di uniformare le altre nazioni alla fattispecie del nuovo reato sarà oggetto di tutti i nostri bilaterali con i paesi in cui questa tratta viene organizzata", dice quindi la premier, aggiungendo: "Più tu mi aiuti a combattere la tratta e uniformi la tua giurisdizione alla mia, più io ricambio lo sforzo con i flussi legali".

CONTESTAZIONE - All'arrivo del corteo di auto della presidente del Consiglio e dei ministri, lancio di peluche e contestazione da parte di un gruppo di persone. Altri cittadini, sistemati a bordo strada, hanno invece applaudito. Ad accogliere Meloni al palazzo del comune di Cutro il sindaco Antonio Ceraso, il presidente della regione Calabria Roberto Occhiuto, il presidente della provincia di Crotone Sergio Ferrari, il prefetto di Crotone Carolina Ippolito e il vescovo Angelo Panzetta.

LA TARGA SUL NAUFRAGIO CON LE PAROLE DEL PAPA - Riporta le parole di Papa Francesco contro i trafficanti la targa che la premier Giorgia Meloni ha svelato oggi nell’atrio del comune di Cutro e dinanzi alla quale ha deposto una corona di fiori. "I trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti! I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti!", le parole del Papa pronunciate nell’Angelus di domenica scorsa.

"L’Italia onora la memoria delle vittime del naufragio del 26 febbraio 2023, si unisce al dolore delle loro famiglie e dei loro cari. Il governo rinnova il suo massimo impegno per contrastare la tratta di esseri umani, per tutelare la dignità delle persone e per salvare le vite umane"’, si legge sulla targa. Adnkronos 9

 

 

 

 

Governo difficile

 

Riteniamo che sia logico formulare delle ipotesi sulla “vita” di questo Esecutivo. Certo è che le incombenze della Meloni sono parecchie e di difficile concertazione. Minimizzarlo, sarebbe inutile. Chiaro è che rimangono a rischio quelle riforme che riteniamo fondamentali per la ripresa d’Italia. Oggi, come ieri, fare delle critiche è facile; ma sin troppo scontato. L’importante sarebbe, invece, proporre un programma realizzabile. Quello che proprio non siamo riusciti a cogliere nel recente passato.

 

 Il Paese, oggi più che mai, ha bisogno di certezze. A questo punto, come si andrà a evolvere la politica nazionale? Pur con la “varietà” dei partiti che costruiscono l’Esecutivo, non intravediamo, per ora, doti di particolari rilievo. Non c’è né il tempo, né la voglia, di fare delle previsioni. Sono le “interferenze” che ci preoccupano.

 

 Ci siamo resi conto che gli italiani sono disciplinati quando è indispensabile. Quindi, senza disconoscerne interamente il passato, dobbiamo convenire che la Penisola ha bisogno di certezze economiche di sostegno; pur se l’UE è coinvolta, come noi, nella tragedia di un conflitto vicino. A buon intenditore bastano poche parole: questo Esecutivo dovrà prenderne atto. Senza condizionamenti e ripensamenti. Esserne consapevoli, da subito, eviterà amare sorprese per il dopo.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Migrazioni: italiani che rischiarono il tutto per tutto

 

Tutta la nostra storia è piena di italiani che se ne andarono dalle nostre terre - di Gian Antonio Stella

 

Valli a capire, i nostri nonni emigrati. Sostiene oggi Matteo Piantedosi, il ministro degli interni, che «la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli». Ma tutta la nostra storia è piena di italiani che se ne andarono dalle nostre terre rischiando il tutto per tutto. «Angela Vitale maritata Di Rosa, da Canicattì, era rimasta sola con sei bimbi, mentre il marito, espatriato clandestinamente, aveva trovato lavoro in Francia» e lì, raccontava una copertina della Domenica del Corriere del dicembre 1947, aveva cercato di raggiungerlo, «valicando le Alpi a piedi. A questo scopo si era messa in viaggio dalla lontana Sicilia con i suoi sei bambini. Avventuratasi su per le montagne del Piemonte, in compagnia di viandanti trovati cammin facendo, priva di equipaggiamento da montagna e di viveri sufficienti, la povera donna si è trovata al cader della notte in mezzo alla bufera in alta montagna e, mentre i due sconosciuti proseguivano la strada verso la Francia, la poveretta rimaneva sola con i suoi piccoli che le si stringevano attorno per ripararsi dal gelo. Verso l’alba veniva rinvenuta da un contrabbandiere che pensava a chiamare aiuti. Ma oramai uno dei suoi bambini era morto assiderato».

E tutti gli altri italiani morti sulle «navi di Lazzaro» infestate dalle malattie (96 decessi per colera sul solo piroscafo Remo respinto dal Brasile) o negli innumerevoli naufragi come quello nel 1906 del vapore Sirio diretto in Sudamerica, oltre 500 vittime nell’urto contro lo scoglio di Capo Palos, in Spagna, tra i quali sei figli e la moglie incinta di Felice Serafini che scappavano da un Veneto poverissimo? Tutti sconsiderati? E quanti furono i poveretti che partirono dall’ Irpinia o magari proprio dalla contrada Piantedosi da dove sarebbe originario il titolare del Viminale? Denunciò allora la commissione d’inchiesta parlamentare guidata da Stefano Jacini che lì non c’era lavoro, «la miseria e la fame erano un po’ per tutti», le case erano «poco luminose, poco aerate ed anguste; scarse le masserizie e tutto affumicato e lurido, e spesso nelle ore della notte tale abituro è diviso fraternamente coi polli e col maiale…» Cosa dovevano fare, i poveretti: aspettare, come suggerisce oggi il ministro, «politiche responsabili e solidali degli Stati ad offrire la via di uscita al loro dramma»? CdS

 

 

 

 

Le ragioni dell’accoglienza: un’emergenza mondiale?

 

I dati offerti dalle Istituzioni internazionali che operano nel contesto della mobilità umana, con particolare riferimento alle situazioni di emergenza collegate a tale fenomeno, mostrano come l’accoglienza deve confrontarsi con l’impatto di esigenze, fatti e realtà che costituiscono la principale causa degli spostamenti di popolazione, sia per motivi volontari che involontari

I dati offerti dalle Istituzioni internazionali che operano nel contesto della mobilità umana, con particolare riferimento alle situazioni di emergenza collegate a tale fenomeno, mostrano come l’accoglienza deve confrontarsi con l’impatto di esigenze, fatti e realtà che costituiscono la principale causa degli spostamenti di popolazione, sia per motivi volontari che involontari.

Se nei motivi volontari si stimano come prevalenti l’insufficienza dei mezzi di sussistenza, le condizioni di vita, il ricongiungimento con precedenti immigrazione, come pure la ricerca di migliori opportunità educative e di formazione, tra le cause che involontariamente spingono a lasciare la propria terra, spiccano certamente il conflitto, l’instabilità politica, la violenza e la persecuzione, accompagnati dalle calamità naturali oggi sempre più collegate alla questione ecologica ed ambientale. Non mancano poi le situazioni di violenza collegate a fenomeni di sfruttamento, di tratta clandestina o di tratta di esseri umani che giunge fino a strutturare forme di lavoro forzato.

Le dinamiche di crescita della popolazione mondiale, tra tassi di fertilità e aspettative di vita, sono ulteriore fattori di preoccupazione e certamente elementi da considerare per proporre una lettura organica e strutturata, ma soprattutto rinnovata, della accoglienza.

La domanda è se possano ancora essere erette barriere o se l’accumulo di regole poste a regolare i flussi di ingressi sia sufficiente a far parlare di coerente accoglienza. Sembra infatti che nonostante gli sforzi sia ancora lontana l’idea di includere nelle politiche e nelle attività di accoglienza ogni elemento che possa consentire la previsione di situazioni non ordinariamente previsti e la conseguente operatività. Basti pensare alla diversa qualificazione attribuita a chi giunge o bussa alle porte di altri Paesi, con i termini immigrato, esiliato, richiedenti asilo, rifugiato, migrante, turista, studente… che richiedono necessariamente un diverso modo o approccio da parte delle Istituzioni sia per i profili più direttamente legali che per quelli di inclusione sociale, dal momento che ad ogni termine corrisponde diversità di significato e di trattamento.

Ordine pubblico, diversità culturale, differente religione non possono porsi come ostacolo, né l’accoglienza può essere subordinata alla perdita della credibilità umanitaria che le regole internazionali hanno elaborato come fattore essenziale per garantire la tutela della persona in ogni situazione. Parimenti ha la sua forza il criterio di vulnerabilità che significa individuare i bisogni specifici dell’accoglienza, che si pone così anche come uno dei criteri su cui fondare i diritti umani. Questo apre diverse sfide non solo in termini di sicurezza o di risorse, ma di linea politica più generale, come mostra l’evoluzione del diritto di asilo e l’attenzione ad esso rivolta (oggi nel contesto europeo trova, per la prima volta, l’attenzione dalla recente iniziativa dei cittadini dell’Ue per la raccolta di un milione di firme con cui chiedere provvedimenti nuovi da parte dell’Ue).

Dall’accoglienza va eliminato, almeno attenuandone il rischio, ogni orientamento discriminatorio, quello di un’accoglienza selettiva o quello della dualità di approccio da parte delle politiche e dei trattamenti riservati a chi lascia il proprio Paese approda in altri Stati.

Costruire l’accoglienza diventa il modo per favorire la resilienza di chi si muove, e di garantirgli i bisogni specifici. Sul terreno questo significa monitorare il percorso della mobilità, la dimensione della resilienza, la tipologia di sostegno evitando irrigidimenti e soprattutto l’assenza di governance (che è poi la questione essenziale).

La mobilità umana infatti e fenomeno che va governato in termini di continuità, strutturazione e ordinarietà e non più vista come forma di emergenza da affrontare con attività emergenziali.

In questo quadro l’accoglienza diventa il passaggio dalla compassione alla cura. Vincenzo Buonomo, Sir 7

 

 

 

 

 

Punti di vista

 

In politica ciascuno è libero d’avere un su modo di pensare. Con questo prologo, non ci sono limiti nell’elaborare previsioni sugli sviluppi socio/economici della realtà italiana. Dato che, però, nessuno è ”perfetto”, non è detto che le nostre argomentazioni siano più valide di quelle d’altri.

 

 Ciò che, da subito, abbiamo fatto nostra è una forma di logica informativa; lasciando agli opinionisti il compito di commentarla. Quindi, uno stesso evento può apparire con diversi profili. Dipende, principalmente, da com’è affrontato. Da tanti anni ci siamo organizzati per offrire spunti di meditazione e fare nostre proposte d’interesse per i Lettori “altrove”.

 

 Chi legge è libero di farsi una sua opinione e confrontarla, se del caso, con quella d’altri. Del resto, non è detto che “informazione” e “opinione” non siano in grado d’essere frutto di una stessa penna. Basta evitare, e questo è più difficile, d’essere di parte. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Ismu: presentato il Rapporto 2022. Oltre 6 milioni gli stranieri in Italia

 

Milano –  Poco più di sei milioni gli stranieri presenti in Italia, al 1 gennaio 2022: 88mila in più dell’anno precendente. E’ la stima di Fondazione ISMU ETS che questa mattina ha presentato il rapporto 2022.  Il bilancio demografico mostra quindi una moderata ripresa della crescita della popolazione straniera in Italia, evidenza l’Ismu. Diminuisce invece la componente irregolare, che si attesta sulle 506mila unità, contro le 519mila dell’anno precedente (-2,5%). Il calo degli irregolari è dovuto principalmente all’avanzamento delle pratiche relative alla sanatoria 2020.  Il 2021 segna un significativo aumento di nuovi permessi di soggiorno (circa 242mila, +127% rispetto all’anno precedente). Sul fronte lavorativo, nel 2021 assistiamo a una crescita sia del tasso di attività degli stranieri sia del tasso di occupazione. Non migliorano invece i dati sulla povertà: nel 2021 quella assoluta interessa il 30,6% delle famiglie di soli stranieri, quasi quattro punti percentuali in più rispetto al dato rilevato nel 2020. Inoltre si osserva che l’alta incidenza di famiglie immigrate in condizioni di povertà assoluta e relativa, anche tra gli stranieri regolarmente occupati, è la spia del diffondersi del lavoro “povero”, non più in grado di generare integrazione, ma che anzi produce disagio sociale.  Le numerose criticità che caratterizzano il mercato del lavoro degli immigrati evidenziano la necessità di una nuova governance dei processi migratori e di inclusione. Sul fronte scolastico, nell’anno 2020/2021, per la prima volta da circa 40 anni si registra una diminuzione del numero degli alunni con background migratorio (sono circa 865mila, con una flessione di 11.413 rispetto al precedente anno scolastico). Si segnala inoltre che i nati in Italia rappresentano il 66,7% degli alunni con cittadinanza non italiana.

Per quanto riguarda le confessioni religiose, ISMU stima che al 1° luglio 2022 i cristiani nel loro complesso rappresentino la maggioranza assoluta (53,1%) tra gli stranieri residenti in Italia, con una presenza di immigrati cattolici che si attesta al 17,1% (i musulmani sono il 29,4%).

Alla presentazione, realizzata in collaborazione con Fondazione Cariplo e moderata dalla giornalista del Corriere della Sera, Marta Serafini, hanno partecipato Franco Anelli, Rettore Università Cattolica del Sacro Cuore; Valeria Negrini, Vicepresidente Fondazione Cariplo; Gian Carlo Blangiardo, Presidente Fondazione ISMU; Vincenzo Cesareo, Segretario Generale Fondazione ISMU; Livia Elisa Ortensi, Responsabile Settore Statistica Fondazione ISMU; Marcello Flores, Storico.  A chiusura del convegno la tavola rotonda su “Migrazioni, donne e libertà” con gli interventi di Samirà Ardalani, Rappresentante Associazione Giovani Iraniani Residenti in Italia; Laura Silvia Battaglia, Direttore Testate Scuola di giornalismo Università Cattolica del Sacro Cuore; Yaryna Grusha Possamai, Scrittrice e docente di Lingua e Letteratura ucraina Università Statale di Milano; Mariagrazia Santagati,  Responsabile Settore Educazione ISMU e docente Università Cattolica del Sacro Cuore.

Nel corso del convegno è assegnato il riconoscimento Fondazione CARIPLO – Fondazione ISMU ETS 2023 a Pinda Kida, stilista di origini maliane e testimonial dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, che presenta la sua nuova collezione di abiti femminili, “per il suo impegno nel contrastare il razzismo, la xenofobia e le discriminazioni multiple attraverso la sua creatività e il suo lavoro”. Mig.on.1

 

 

 

 

I deputati Di Sanzo, Porta, Ricciardi, Carè (Pd): ripristinare i fondi ai Comites e al Cgie tagliati dalla legge di bilancio

 

ROMA – “Nell’ultima legge di bilancio, il Governo ha ridotto i fondi per il funzionamento dei Comites (Comitati per gli Italiani all’estero), a oggi ben 118 funzionanti in tutto il mondo, da 2.248.138 euro del 2022 a 1.248.138 del 2023, una riduzione di quasi il 50% che rappresenta una dotazione di poco più di 10000 euro per Comites per il 2023, appena sufficienti a garantire il funzionamento ordinario. Con questa riduzione si impedisce di fatto ai Comites di svolgere il compito di antenna sul territorio per la tutela e l’integrazione dei connazionali, la promozione della lingua e cultura italiana, e del Made in Italy, portando a un grande impoverimento dei mezzi a disposizione delle comunità italiane all’estero”. Così, in una nota, i deputati del Pd Di Sanzo, Porta, Ricciardi e Carè (eletti nella circoscrizione Estero).

I deputati segnalano anche che “il Governo ha tagliato i fondi per il funzionamento del CGIE da 1.107.500 a 607.500, un taglio di quasi il 50% considerevole anche in previsione che il CGIE, eletto ad aprile scorso non si è ancora insediato e avrà bisogno, quest’anno, di un’ulteriore Assemblea generale in presenza per eleggere e far funzionare gli organi interni”. Di Sanzo, Porta, Ricciardi, Carè fanno presente che il ritardo dell’Esecutivo nella procedura di designazione dei rappresentanti di nomina governativa “sta paralizzando il CGIE che dalle elezioni dello scorso aprile non è ancora stato in grado di insediarsi e funzionare”.

Pertanto, in occasione del voto sul provvedimento Milleproroghe, “abbiamo presentato un Ordine del Giorno, a prima firma Christian Di Sanzo, chiedendo al Governo di prevedere, nei prossimi provvedimenti, l’integrazione finanziaria necessaria a garantire il normale e corretto funzionamento di questi organismi di rappresentanza degli italiani all’estero, impegno che il Governo ha deciso di non prendere esprimendo un parere contrario alla Camera”

I deputati del Pd sottolineano la necessità “di assicurare il funzionamento di Comites e CGIE, con un congruo finanziamento di queste strutture”, anche in considerazione del fatto che questi organismi sono stati profondamente rinnovati con le ultime elezioni, “rinnovamento visibile – aggiungono – nel grande attivismo di tanti nuovi Comites eletti e che necessita di essere adeguatamente finanziato affinché i Comites possano organizzare attività per le nostre comunità”.

“Siamo profondamente preoccupati di come questo Governo si stia ponendo verso i Comites ed il CGIE. Crediamo – concludono Di Sanzo, Porta, Ricciardi, Carè – che sia necessario un serio ripensamento e lavorare tutti insieme per la grande e bella comunità italiana nel mondo”. Dip 7

 

 

 

 

Il rilancio

 

 L’attuale fragilità sociale dovrà, pur col tempo, essere sostituita col varo di nuovi programmi anche per ridurre la fragilità di un sistema che non avrebbe più ragione d’esistere senza sostanziali mutamenti. La ripresa che immaginiamo dovrà puntellarsi su fattori di grande carisma economico. Dalla sanità, dall’occupazione e dal varo di un piano finanziario capace di sostenere gli obiettivi prioritari di una penisola che vuole riemergere da una situazione che non consente di fare programmi solo teorici. Ci saranno dei beni comuni da potenziare; a discapito di quelli personali che dovranno essere ridimensionati. L’Italia dovrebbe essere al centro d’iniziative capaci d’ampliare l’immagine di bene comune.

 

 La Ricostituire una società del “rinnovamento” non sarà facile. Le difficoltà potranno essere superate dall’impegno di tutti nel seguire una strada condivisa. Le trasformazioni socio/economiche hanno sempre avuto un loro prezzo che anche noi saremo chiamati a pagare. La lezione della Pandemia e la volontà di riscatto nazionale dovranno fornirci la volontà per superare le incertezze, le politiche ambigue e chi, tutto considerato, non ha ancora le idee chiare sul futuro nazionale. Il rilancio dell’Italia chiederà, indubbiamente, sacrifici. Questa volta, però, non saranno a fondo perduto come, invece, è stato per il passato.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Naufragio migranti a Crotone. Procura apre inchiesta su macchina soccorsi

 

La Procura di Crotone vuole vederci chiaro sulla catena della macchina dei soccorsi nella notte tra il sabato e la domenica mattina quando l'imbarcazione con a bordo almeno 180 migranti è naufragata e per questo motivo, come apprende l'Adnkronos, ha aperto un fascicolo, al momento contro ignoti. La delega è stata data dal Procuratore Giuseppe Capoccia ai Carabinieri che stanno raccogliendo del materiale sul 'buco' di almeno sei ore, tra le 22.30 di sabato 25 febbraio, quando l'aereo di Frontex ha emesso il dispaccio con cui segnalava la presenza di una imbarcazione nello Ionio per ora non è stata ipotizzata alcuna ipotesi di reato ma si cerca di fare luce su eventuali omissioni di soccorso.

E ieri, il Comandante della Capitaneria di Porto di Crotone, Vittorio Aloi, parlando con i giornalisti che gli chiedevano se sono stati sentiti dalla Procura crotonese ha replicati: "Saremo sentiti e ci farà piacere chiarire, chiariremo a chi dovere quando ce lo chiederanno". E alla domanda sul perché non abbiano agito nonostante la segnalazione della sera prima, il sabato 25 febbraio, di una imbarcazione 'distress', cioè in pericolo, nello Ionio, replica: "Non mi risulta che si trattasse di una segnalazione di distress, sapete che le operazioni le conduce la Guardia di finanza finché non diventano comunicazione di Sar (di salvataggio ndr). Io non ho ricevuto alcuna segnalazione".

Sul rimpallo di responsabilità, il capitano di vascello dice: "Non posso dire nulla, la Guardia costiera ha fatto un comunicato stampa e c'è scritto tutto e bene e lo capiamo tutti. C'è una inchiesta della Procura che non riguarda noi. Se e quando saremo chiamati a dare la nostra versione atti alla mano, brogliacci etc, noi riferiremo". E poi ricorda che quel giorno "c'era mare forza 4". "Le motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8". Ma oggi c'è stata una svolta con l'apertura di un fascicolo della Procura anche sulla macchina dei soccorsi.

E' stato un tragico errore di valutazione? O un intervento ipotizzato troppo tardi? Sono alcune delle domande che si stanno facendo gli inquirenti che hanno aperto il fascicolo. Il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, l'Imrcc, è stato informato prima da Frontex della presenza del barcone individuato a 40 miglia dalle coste calabresi e poi dalla Guardia di finanza. Ma l'evento Sar, cioè ricerca e soccorso, non è stato mai aperto.

Ieri sera, da Vespa, il capo della Comunicazione della Guardia costiera, Cosimo NIcastro, ha rotto il silenzio e ha detto: "È stata una tragedia non prevedibile alla luce delle informazioni che pervenivano. Gli elementi di cui eravamo a conoscenza noi e la Guardia di Finanza non facevano presupporre che ci fosse una situazione di pericolo per gli occupanti. Non erano arrivate segnalazioni telefoniche né da bordo né dai familiari". La segnalazione di Frontex "è stata trasmessa all’International coordination center, che è il punto di contatto non per le operazioni di ricerca e soccorso ma per le operazioni di polizia in mare". ha spiegato anche che quando le motovedette della Finanza sono rientrate in porto c'è un contatto via radio tra la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria e la Guardia di Finanza. E "non vengono segnalate situazioni critiche che facciano pensare che l’operazione di polizia si stia trasformando in un’operazione di emergenza". Ma "la Guardia Costiera incomincia ad attivare tutta la sua catena affinché fosse predisposto il dispositivo Sar".

La Procura di Crotone, guidata da Capoccia, sta cercando ci capire se quella notte ci siano state delle omissioni di soccorso. Al momento non c'è ancora una ipotesi di reato. Ma i Carabinieri stanno raccogliendo delle informazioni, delegando i Carabinieri di Crotone che indagano su quella notte.

Ecco cosa accadde quella notte: sono le 22.30 quando un aereo Frontex, l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera, segnala la presenza di un barcone a 40 miglia dalle coste crotonesi e indica le coordinate. Fa anche sapere che a bordo c’è un telefono cellulare turco. Dunque, è ipotizzabile che si tratti di una imbarcazione di migranti. Poco dopo la mezzanotte partono due mezzi della Guardia d finanza, la V5006 da Crotone e il pattugliatore Barabrese da Taranto. Ma il mare è troppo agitato, forza 5 a tratti forza 6, e le motovedette delle Fiamme gialle rientrano. Le loro imbarcazioni non sono destinate ai salvataggi, ma da ‘intercettazione’, dunque non sono equipaggiate adeguatamente. Verso le due un nuovo tentativo, anche questa vano. Mentre fino a quel momento le motovedette della Guardia costiera rimangono al porto.

Alle 4.10 arriva al 112 una telefonata da un numero internazionale, in inglese. La chiamata, presa dal vicebrigadiere Lorenzo Nicoletta, arriva dalla imbarcazione che si trova a meno di centro metri dalla costa di Steccato di Cutro (Crotone). Sul posto arrivano i Carabinieri del Nucleo Radiomobile, capiscono immediatamente la gravità del fatto. Il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio si gettano in acqua in divisa e riescono a salvare cinque migranti. Ma davanti ai loro occhi ci sono corpi ovunque. Anche di un neonato di sei mesi. “L’ho preso in braccio sperando che fosse ancora vivo”, dice Tievoli con un filo di voce. Invece il piccolo era già morto. Come la coppia di gemellini. E tante altre vittime innocenti, tra cui un bimbo siriano di sei anni morto per ipotermia mentre il fratello ventenne si è salvato e ora è sotto choc. Adesso sarà la Procura a fare luce su quanto successo quella notte. Elvira Terranova, Adnkronos 3

 

 

 

 

Autonomia differenziata: rischi e vantaggi

 

All’inizio del mese di febbraio è riemerso il grande tema dell’autonomia differenziata che, invece di unire le diversità nell’unità dello Stato, sta dividendo il Paese. Eppure, la Costituzione prevede che lo Stato possa attribuire alle Regioni ordinarie maggiore autonomia su alcune materie legislative. Il Parlamento, infatti, può trasferire la competenza legislativa su temi specifici alle Regioni attraverso un’intesa. Oggetto dell’autonomia è la competenza legislativa che diventa esclusiva per la Regione e non è concorrente (ex art. 117 Cost.).

 È noto che Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, all’inizio del 2018, avevano sottoscritto con il Governo tre accordi preliminari. Poco tempo dopo, anche Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Campania avevano chiesto al Governo lo stesso trattamento. Nel corso del 2019 il procedimento s’è poi arenato davanti a un ostacolo: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni per garantire lo stesso trattamento ai cittadini italiani rispetto alle prestazioni pubbliche in diversi territori della Repubblica.

 Così dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, il disegno di legge sull’autonomia differenziata è destinato a un duro percorso prima della sua attuazione: il ministro Calderoli prevede per fine anno, dopo l’analisi del Governo e del Parlamento, della Conferenza unificata e delle Regioni.

 Da una parte l’autonomia territoriale ben temperata valorizza i territori secondo il principio di sussidiarietà, dall’altra troviamo il potere-dovere dello Stato di garantire in ogni parte del Paese i diritti basilari dei cittadini, secondo i princìpi di equità e di uguaglianza sostanziale. La partita vera si gioca sul modello di contabilità pubblica che l’autonomia differenziata capovolge. Attualmente le tasse dei cittadini le gestisce lo Stato centrale, che le ridistribuisce ai territori rispettando dei parametri di equità e solidarietà tra le Regioni. L’autonomia differenziata, invece, permetterebbe alle Regioni di gestire la maggior parte del denaro pubblico che si raccoglie nella Regione e di cederne allo Stato centrale ciò che avanza. Questo modello potrebbe portare a formare uno Stato nello Stato l’area geografica formata da Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli e Valle d’Aosta.

La scelta voluta dalla Lega non ha entusiasmato FdI ed è stata criticata anche da economisti e sociologi. Gli studiosi ne contestano sia gli aspetti tecnici, sia i possibili effetti sociali in grado di aumentare le disuguaglianze inter-regionali col rischio di dividere in due il Paese, in cui le Regioni Calabria, Basilicata, Molise, Abruzzo, Lazio, Liguria diventerebbero al traino delle Regioni del Nord.

Non mancano gli osservatori che si chiedono se sia giusto scommettere sull’autonomia differenziata in tempo di inflazione, crisi economica, pandemia, problematica gestione dell’immigrazione e della guerra in Europa. È maturo il tempo per giustificare venti centri decisionali che scelgono autonomamente di regolare

 materie come il commercio, il lavoro, la scuola, la sanità, il trasporto, la protezione civile...? Sia la Costituzione, sia il disegno di legge del Governo, ribadiscono la

 necessità che l’autonomia differenziata delle Regioni avvenga in un ecosistema di garanzie minime di diritti e prestazioni economiche equivalenti. Tuttavia, autonomia non significa maggiore sviluppo ma maggiore responsabilità, che può essere esercitata nel rapporto tra maggioranze di governo statale e regionale. Ci chiediamo: occorre investire su un policentrismo regionale o su un’autonomia nazionale che rafforzi Bruxelles?

 La risposta non può essere data solo dai politici. Francesco Occhetta

Vita Past. marzo

 

 

 

 

Riflessioni e realtà

 

 Siamo solo a marzo del nuovo anno la nostra percezione sul futuro nazionale s’è aggravata. I problemi d’Italia si sono ampliati e accelerati. Il numero dei senza lavoro è aumentato e chi tuttora svolge un’attività, non riesce più, nella maggioranza dei casi, a fronteggiare i tanti, troppi, impegni quotidiani. La fiducia nell’Italia “sociale” è calata e recuperare il terreno perduto appare arduo.

. Non siamo economisti, né saremmo in grado d’improvvisarci tali. Però, qualche conto è presto fatto. Se il carico  fiscale serve per non bloccare la mastodontica macchina dello Stato, che prende molto e restituisce poco, bisognerebbe anche rivedere alcuni parametri necessari per garantire una liquidità che proprio manca. Perseguire l’evasione fiscale è una delle strade da perfezionare, ma non è la sola.

 

L’imponibile tassabile dovrebbe essere modificato. In pratica, si dovrebbe facilitare le prospettive di vita di chi è costretto a tirare avanti con poco più d’Euro 900 il mese o, purtroppo, anche con meno. Stesso ragionamento per quanto attiene i canoni di locazione a uso abitativo. Dato che aumenta il numero degli inquilini che non riescono più a tener fede ai loro impegni contrattuali, gli affitti registrati dovrebbero essere detraibili ai fini fiscali dall’inquilino e tassati solo al 20% per il locatore.

 

Per far fronte alle esigenze alimentari, si potrebbe “riscoprire” una tessera sociale (a scalare) per un importo annuo di 1000 Euro. Poco più di 80 Euro al mese per nucleo familiare di “base” (moglie e marito). Sempre per redditi sino a 15.000 Euro (al lordo delle trattenute previdenziali).  Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Nuove fonti di energia: un salto nel vuoto?

 

“Fit for 55” il nuovo piano europeo alla riduzione delle emissioni CO2

Quello che ci pare preoccupante nel grandioso piano europeo riguardante la politica energetica, piano col nome di sapore smaccatamente propagandistico „Fit for 55“, è che vi si disquisisce accanitamente sul come limitare la spesa di energia, ma non si dice quasi nulla su come procurarsene delle fonti alternative. Niente più benzina, né carbone, né gas, né uranio, cosa ci resta? Le fonti rinnovabili: le centrali eoliche (che non producono energia quando c’è bonaccia), quelle fotovoltaiche (che non producono energia di notte), a cui si dovrebberero aggiungere pure quelle idroelettriche (che non producono energia quando c’è la siccità). Ultimamente ci è giunta la notizia che Greta Thunberg sta facendo il diavolo a quattro affinché venga rasa al suolo una centrale eolica in Norvegia peché sembra che disturbi gli allevatori di alci. Si dà il caso che questa centrale eolica sia parte integrante del programma europeo per le energie alternative.

Si consideri che non solo esse sono insufficienti a coprire l’attuale fabbisogno di elettricità, ma che detto fabbisogno aumenterà drasticamente quando verranno imposte sul mercato le auto elettriche. Ve lo immaginate il sovraccarico delle reti elettriche quando tutti partono per le vacanze? Naturalmente a Bruxelles hanno „previsto“ la creazione di numerosi distributori di corrente lungo gli itinerari principali: ma chi avrebbe interesse a costruirli? Ed anche se entro il 2035 si riuscisse ad averne altrettanti a disposizione quanti sono oggi i benzinai, poiché la ricarica più veloce dura non meno di quattro ore 4, ci si può immaginare le enormi code che si formerebbero. Oggi, se davanti a te c‘è un paio di veicoli a fare rifornimento, aspetti una decina di minuti; nel roseo futuro dell‘EU potresti aspettare una decina di ore. Se i partiti che oggi hanno la maggioranza al parlamento si fossero presentati alle elezioni con siffatti programmi, il risultato sarebbe stato tutto diverso.

No, i conti non tornano

Naturalmente è vero che l‘abbandono dei motori a combustione è una necessità obiettiva, perché le risorse mondiali degli idrocarburi, per quanto grandi possano essere, sono fatalmente destinate a finire, prima o poi. E questo avverrà indipendentemente dal fatto che si voglia credere al cambiamento climatico oppure no. Ma quando si parla di un cambiamento, si deve trattare sempre di qualcosa che cambia in funzione di qualcos’altro. E quando ci mettiamo in cerca di fonti alternative di energia, ci viene da metterci le mani nei capelli.

Infatti, benché le fonti rinnovabili costituiscano sicuramente una tecnologia molto pregevole, comunque la si rigiri, non potranno mai essere esclusive, come le vorrebbero i verdi, ma sarà necessario sostenerle con una tecnologia complementare che ci assicuri una fornitura di base indipendente dai capricci metereologici e dai ritmi circadiani. Questa tecnologia complementare potrebbe essere quella nucleare così bene sviluppata in Francia ma che in Germania è molto malvista. La soluzione ideale sarebbe la fusione termonucleare, ma questa possibilità, derivata dalla tecnologia della bomba all’idrogeno, dopo numerosi decenni di studi ed esperimenti, manca ancora di un eureka risolutivo. Un eureka autentico: infatti il successo annunciato della fusione laser ottenuta in un laboratorio americano (National Ignition Facility) del dicembre scorso era basato solo su dei trucchi di calcolo fra l’energia sviluppata nell’apparecchio e quella realmente consumata dall’intero impianto che era necessario al funzionamento del medesimo apparecchio. In un articolo apparso nel gennaio scorso sul mensile tedesco Spektrum der Wissenschaft (equivalente allo Scientific American) viene presentata la ditta Gauss Fusion GmbHb di proprietà del multimiliardario Frank Laukien.

L‘articolo è completato da una lunga intervista con lo stesso Lauren in cui egli si dichiara sicuro che entro il 2045 la prima centrale termonucleare costruita da loro dovrebbe entrare in funzione e produrre energia a più non posso. Ai molti scettici egli risponde che l’Europa dispone della tecnologia più avanzata in questo campo e che tutti i ritardi nello sviluppo dei progetti multinazionali, come ITER, dipendono più che altro da intralci burocratici e politici anziché tecnici. „Adesso è cominciata una fase di concorrenza delle nazioni riguardo alla fusione termonucleare, cioè dal nostro punto di vista Cina, Corea, Giappone ed anche gli USA. Quasi che tutta questa concorrenza fosse una garanzia di successo. Per secoli le più importanti nazioni marinare europee si sono fatte concorrenza per trovare un passaggio a nord-ovest, e ciò malgrado non l‘hanno trovato. Comunque sia, è un dato di fatto che a tutt‘oggi non si è ancora trovato né un sistema efficiente per produrre energia termonucleare né per trasformarla, una volta ottenuta, in energia elettrica.

Nel pacchetto „Fit for 55“ ci sono diversi provvedimenti draconiani che hanno mandato in visibilio i verdi: ad esempio Oliver Krischer e Lisa Badum hanno dichiarato che questo è un cambiamento in direzione di fare dellEuropa la prima area economica climaticamente sostenibile, mentre altri politici hanno invece previsto che in quell’area l’Europa non avrà più nulla da commercializzare.

IL VIK (Verband der Industriellen Energie- und Kraftwirtschaft) ha fatto notare che i provvedimenti punitivi per tutti i procedimenti industriali che sviluppano un surplus di CO2 rispetto ai limiti imposti entro l’EU alla fine possono svantaggiare solo i prodotti europei nella concorrenza internazionale, dato che il resto del mondo (USA, Cina, India, ecc.) non è così pretenzioso in materia di questioni climatiche come la Commissione Europea. Si noti che gran parte della bilancia commerciale europea è data dall’esportazione, ma nello stesso tempo le industrie europee per funzionare devono importare prodotti dall’estero che non rispettano gli alti standard del pacchetto „fit for 55“. È ormai deciso che a partire dal 2035 non saranno più immatricolate nell’EU auto col motore a combustione, benché alcuni temano, ed altri sperino che, se nelle prossime elezioni europee del 2024 la maggioranza parlamentare si spostasse decisamente verso destra, la scadenza potrebbe venire procrastinata, se non rimandata alle calende greche.

Naturalmente la Commissione Europea non potrà impedire che in Cina, in India e negli Stati Uniti si continui tranquillamente a vendere auto col motore a combustione anche dopo il 2035 e che le loro industrie continuino a produrre alla barba agli standard europei; però i loro prodotti – proprio per questo motivo – non potranno più venire importati nell‘EU. Il problema è solo addossato sulle spalle delle industrie europee che per la loro produzione hanno bisogno proprio di quei prodotti. Cosa faranno, da Bruxelles manderanno ispettori in Cina a controllare se le loro industrie si sottomettono al diktat ecologico?

Un punto particolarmente dolente riguarda l’efficienza termica degli edifici. A partire dal 2030 tutti i nuovi edifici dovranno venire costruiti in rispetto alle normative sulla neutralità climatica. E quelli vecchi dovranno venire adattati dai proprietari a loro spese (che poi verranno trasferite agli eventuali affittuari): per questo la scadenza è il 2050. Senonché la Commissione Europea ha pubblicato una nuova parte del pacchetto dalla quale si evince che tutti gli edifici già costruiti -anche da secoli- sul continente europeo, da Lisbona a Tallin, da Stoccolma a Palermo, dovranno realizzare almeno una parte degli adattamenti previsti dalle normative entro il 2030.

Come mai questo meraviglioso pacchetto non contiene alcuna stima, anche approssimata al ribasso, di quanto tutto questo verrebbe a costare?

Eppure ogni politico serio è tenuto a calcolare i costi delle sue proposte legislative. Invece gli aspetti burocratici sono ben presi in considerazione: a questo scopo verrà introdotto un nuovo documento ufficiale, una specie di passaporto di efficenza energetica per ogni edificio che ne testimoni la legittimità ecolologica. Questo al limite potrebbe trasformarsi in una espropriazione strisciante della parte più povera della popolazione, che vive nella propria casetta avita, ma non dispone di fondi per soddisfare alle pretese di Bruxelles e forse sarà costretta a farseli prestare a condizioni dalle banche o dagli usurai, che assieme ai verdi, saranno d’accordissimo sulle alte mete ambientali. 

Guglielmo Ciani, CdI marzo

 

 

 

 

L’unicità umana

 

La grande caratteristica che abbiamo come specie vivente è proprio il fatto di inventare. Quando settantamila anni fa abbiamo iniziato a colonizzare il pianeta, abbiamo fatto qualcosa di diverso da ogni altra specie animale: siamo stati in grado di adattarci a qualsiasi condizione, grazie alla nostra inventiva. Pensiamo, per esempio, ai mammut nella steppa siberiana: quando si sono spostati a Sud hanno dovuto aspettare una mutazione genetica in elefante per essere in grado di sopravvivere a quelle latitudini. Noi no, non abbiamo aspettato che nascesse una discendenza con una folta pelliccia per sopravvivere ai climi freddi, ci siamo semplicemente messi addosso la pelliccia di un mammut.

Questo esempio ci mostra come l’essere umano abbia una capacità unica: trasmettere competenze, conoscenze e valori mediante antefatti tecnologici. Uno di questi antefatti è il libro con cui tramandare competenze che non sono contenute nel nostro Dna. Un altro salto importante che racconta dell’unicità umana è avvenuto dodicimila anni fa quando per la prima volta un contadino della Mesopotamia ha scambiato un secchio d’orzo per un disco di metallo. Dobbiamo pensare che dodicimila anni fa l’accesso al cibo non era facile. Cosa ha convinto un uomo a scambiare orzo con una moneta che in caso di emergenza non si mangia? L’idea che quel pezzo di metallo potesse poi essere riconvertito in cibo e svariate volte. Un atto di fiducia ha portato alla nascita del denaro che era una garanzia solo perché su quel pezzo di metallo c’era la faccia del re. E questo ci porta a definire la nostra essenza: fiducia nello scambio e mediazione di valore sono intrinsecamente connessi in ciò che ci fa uomini. Se di questo parliamo quando prendiamo in considerazione nuovi e innovativi antefatti digitali – il sistema bancario, per esempio, è un sistema di fiducia mediato dalla tecnologia – vediamo che non hanno sempre la stessa forma: a volte sono macchine che prendono il posto di un utensile, a volte sono macchine capaci di surrogare l’uomo nel suo decidere. Che cosa cambia tra le mediazioni di persone è il processo di riconoscimento del valore.

Faccio un esempio che vien dalla prassi: abbiamo delle intelligenze artificiali che sono molto abili a elaborare un paradigma di risk assessment su chi chiede un prestito. Ecco che la fiducia, il valore di una persona non è più affidata all’uomo ma a un sistema di Intelligenza artificiale (Ai) che è come un microscopio che analizza e ci racconta le correlazioni tra i dati. Un sistema di Ai non è mai neutrale, è una narrativa di dati tenuti insieme grazie alla prospettiva di chi l’ha programmato. Nei confronti del settore economico finanziario ha un impatto importante. Se negli anni ’50 si andava dal direttore di banca, oggi è un flag che si accende sullo schermo a decidere se si è affidabili. Ciò che sta alla base del valore etico e finanziario che è una mediazione di fiducia dell’uomo oggi viene intermediato da una macchina. Possiamo avere delle macchine che semplicemente amplificano le capacità di giudizio della persona o possiamo avere delle macchine a cui diamo totale fiducia, eliminando il giudizio fallace dell’uomo. La scelta di una delle due macchine è una decisione politica e business, non è una scelta puramente tecnologica e di programmazione che semplicemente ottimizza il processo.

La direzione che prendono le macchine è una scelta strategica, non tecnologica. Pensiamo a Langdon Winner, un teorico politico il cui lavoro si concentra sul pensiero contemporaneo, sulla razza, sulla tecnologia e sulla teoria sociale, che nel 1980 scrisse un articolo dal titolo Do artifacts have politics? ovvero I manufatti fanno politica? In esso l’autore afferma che gli artefatti, gli oggetti tecnici, hanno proprietà politiche e possono incarnare forme di autorità e subordinazione. Suggerisce di prestare molta attenzione alle proprietà delle tecnologie che ci circondano e al significato di quelle proprietà. Se guardiamo alla realtà abbiamo dimostrazioni di questo pensiero: i ponti costruiti sulla strada per raggiungere Long Island, per esempio, non erano abbastanza alti per permettere il passaggio di autobus. Non era un caso: sugli autobus viaggiavano i neri e si voleva evitare che raggiungessero le spiagge.

Il ragionamento non è diverso se parliamo di digitale: l’artefatto algoritmo sarà uno strumento per distribuire forme di potere nella società. Chi oggi decide deve fare i conti con questo. C’è bisogno di un’analisi critica etica di chi sceglie l’algoritmo e di quale sia lo scopo intrinseco dell’artefatto digitale: solo se entrambi i fattori sono orientati al bene allora si può parlare di etica tecnologica. Pensare l’etica come un guinzaglio non è etica, perché l’etica è un’istanza critica dinamica. Le istituzioni si stanno muovendo rapidamente in questa direzione, hanno cominciato a fare passi importanti, mentre i manager a ogni livello non sono ancora del tutto consapevoli del salto che devono fare. Manca una vera cultura di digitale, ma molto si sta muovendo dal punto di vista del diritto, che va quasi sempre a braccetto con l’etica. L’impatto che le grandi piattaforme hanno sulla vita pubblica sta spingendo il regolatore a pensarlo come uno spazio pubblico e regolamentato da norme di diritto pubblico che, a mio parere, dovrebbero essere transnazionali.

Possiamo pensare di formulare una nuova modalità algoritmica che presuppone un’algoretica. Se la macchina è capace di surrogare l’umano, da sempre l’uomo conosce e sa se un’azione è lecita o illecita. Se la macchina agisce da sola dobbiamo darle dei confini etici. Come si fa? Bisogna assumere la capacità di rendere comprensibile alla macchina, quindi computabili, quelli che sono criteri etici. Questo nuovo capitolo dell’etica si propone con un termine che è algoretica e che altro non è se non rendere comprensibili alle macchine i princìpi etici dell’uomo. Preferiamo un algoritmo giusto o ingiusto? Questo presuppone una ripartizione di un certo tipo che immetta nelle macchine criteri di giustizia come, per esempio, l’inclusione. In questa trasformazione dell’etica la società civile ha grande voce in capitolo. Penso alla stessa coscienza civile che ha preteso scelte ecologiche e adesso ci siamo arrivati. Tutto parte da un livello di consapevolezza del nostro presente. La pandemia e i lockdown hanno risvegliato le coscienze digitali un po’ come aveva fatto Chernobyl per le coscienze ambientali.

In questa direzione va l’impegno preso, lo scorso 10 gennaio, dal Forum per la pace di Abu Dhabi e dalla Commissione per il dialogo interreligioso del Gran Rabbinato di Israele. È stato firmato il Rome Call for Ai ethics, un documento per un approccio etico all’Intelligenza artificiale e per promuovere un senso di responsabilità in un futuro in cui innovazione digitale e progresso tecnologico siano al servizio della creatività umana e non della sua graduale sostituzione.

Paolo Benanti, Vita Past. marzo

 

 

 

 

La Giornata dei Giusti in ricordo di Gareth Jones e Holodomòr

 

La Giornata dei Giusti è stata istituita nel 2012 dal Parlamento Europeo per celebrare l’esempio degli uomini e delle donne che, in ogni parte del mondo, nei momenti più bui della storia, hanno salvato vite umane in tutti i genocidi e difeso la dignità umana durante i totalitarismi. Un momento per ricordare non solo i Giusti del passato, ma anche quelli del presente. A dimostrazione dell’attualità che questa Giornata assume nel contesto odierno, la cerimonia al Giardino dei Giusti di tutto il mondo al parco Monte Stella di Milano del 3 marzo 2023 si è svolta in presenza di Andrii Kartysh, Console Generale d’Ucraina a Milano.

In questa occasione, una targa di commemorazione è stata dedicata a Gareth Jones, giornalista gallese, che fu il primo a documentare l’Holodomòr del popolo ucraino, scontrandosi con l’indifferenza dell’occidente e la censura sovietica, fino alla sua misteriosa morte nel 1935.

Holodomòr è un termine ucraino composto dalla parola Hòlod (fame, carestia) e morýty (uccidere, provocare una morte lenta e dolorosa), il cui significato è “sterminio per fame”. Il termine è utilizzato per designare il genocidio del popolo ucraino perpetrato dal governo di Stalin negli anni 1932-1933.

Stalin e la persecuzione degli ucraini

Per l’Unione Sovietica gli ucraini rappresentavano una minaccia reale all’esistenza del sistema: il forte patriottismo, il desiderio di indipendenza, le idee dell’elite (la cosiddetta intellighenzia) ucraina, l’indomabile opposizione dei contadini alla collettivizzazione forzata delle terre erano a dir poco scomodi al regime.

Con l’ascesa al potere di Stalin si scelse di rimuovere il problema con la violenza. Tra i provvedimenti presi ricordiamo l’introduzione di massicce requisizioni di tutti i generi alimentari da parte di attivisti; il divieto di vendita degli alimenti; lo spiegamento delle truppe interne e di confine per impedire agli affamati di spostarsi in altre regioni dell’Urss in cerca di cibo.

In pochi mesi – tra il 1932 e il 1933 – la fame portò via milioni di vite umane in Ucraina. Lo sterminio per fame si intrecciò con la persecuzione e lo sradicamento dell’elite intellettuale e della cultura del sentimento nazionale del popolo ucraino.

Di questa tragedia, una delle maggiori del XX° secolo, si parlò poco all’estero. Gareth Jones, unico testimone indipendente delle atrocità dell’Holodomor, mai riconosciute ufficialmente dall’Unione sovietica prima e dalla Russia poi, venne fucilato in circostanze misteriose il 12 agosto 1935.

Ricordando Jones in occasione della Giornata dei Giusti, ripensiamo a tutte le vittime delle scellerate politiche nei confronti della popolazione ucraina dei regimi che si sono succeduti in Russia e, involontariamente, volgiamo lo sguardo alla deliberata e crudele aggressione che gli ucraini tentano coraggiosamente di fermare e respingere da oltre un anno.

Il riconoscimento di Holodomòr

L’Ucraina è immensamente grata alla comunità internazionale per la solidarietà, per il supporto e per il riconoscimento e la condanna del genocidio degli anni 1932-1933. Oltre al riconoscimento dell’Ucraina, l’Holodomòr è stato riconosciuto come genocidio del popolo ucraino dal Parlamento Europeo e da Australia, Brasile, Bulgaria, Canada, Colombia, Repubblica Ceca, Ecuador, Estonia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Latvia, Lituania, Messico, Moldova, Paraguay, Peru, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Stati Uniti, Vaticano.

Vogliamo sperare che, nelle circostanze attuali, anche l’Italia voglia finalmente, a distanza di anni dalla caduta dell’Urss e la conseguente pubblicazione di informazioni provenienti dagli archivi segreti, riconoscere l’Holodomòr come genocidio contro il popolo ucraino e contro l’umanità.

Restiamo fiduciosi, nell’attesa che vi sia una reazione ufficiale all’appello al Parlamento italiano da parte della comunità ucraina e alla petizione sottoposta al Senato della Repubblica e sottoscritta dai nostri amici italiani, tra cui lo stimato Gabriele Nissim, presidente della Fondazione Gariwo, iniziatore della creazione del Giardino dei Giusti di tutto il mondo al Monte Stella di Milano.

Ripensiamo con riconoscenza ai tanti Giusti, a tutte quelle persone, la cui coscienza ha spinto a opporsi, con ogni mezzo, ai totalitarismi, alle autocrazie e ai regimi che svalutano la vita umana e ne denigrano i valori. Ai tanti uomini e alle tante donne che hanno scelto di non tacere di fronte alle ingiustizie. Ieri, come oggi. AffInt 6

 

 

 

 

Covid, Fbi conferma: "Virus sfuggito da laboratorio di Wuhan"

 

Gli analisti del Federal Bureau of Investigation nel loro rapporto considerano "il potenziale incidente" la spiegazione "più probabile" e accusano Pechino di "ostacolare l'inchiesta"

E' ''molto probabile'' che il Covid-19 sia uscito da un laboratorio cinese, ovvero sia il risultato di un errore in un laboratorio a Wuhan. Lo ha dichiarato il capo dell'Fbi Christopher Wray, che in una intervista a Fox News ha spiegato che ''l'Fbi da tempo ritiene che le origini della pandemia sono molto probabilmente legate a un incidente di laboratorio a Wuhan''. Già nel 2021 due fonti dell'Fbi citate dalla Cnn avevano detto di ''essere abbastanza convinte'' che il virus del Covid-19 fosse uscito da un laboratorio in Cina.

Wray non ha poi esitato a puntare il dito contro Pechino: "Il governo cinese, a mio parere, ha fatto del suo meglio per ostacolare e confondere il lavoro che stiamo facendo, e questo è spiacevole per tutti", ha detto.

Le dichiarazioni del capo del bureau sono destinate ad accendere ulteriormente il dibattito sul lab leak, prepotentemente riaperto nei giorni scorsi con le rivelazioni su un rapporto del dipartimento dell'Energia che, sulla base di nuove valutazioni dell'intelligence, rilancia la come probabile la tesi dell'incidente di laboratorio. Rivelazioni che hanno scatenato l'attacco dei repubblicani, da sempre sostenitori della tesi del lab leak, che la prossima settimana avvieranno un'inchiesta alla Camera sulle origini del virus e la risposta dell'amministrazione Biden.

Nell'intervista, Wray ha detto che un team di esperti dell'Fbi è concentrato sui rischi di altri possibili pericoli biologici, per scongiurare che finiscano "nelle mani sbagliate", comprese quelle di "nazioni ostili". E per quanto riguarda il coronavirus ha ricordato che "stiamo parlando di un possibile incidente in un laboratorio controllato dal governo cinese che ha provocato la morte di milioni di americani". Wray ha comunque concluso gran parte dell'indagine dell'Fbi rimane classificata, ribadendo comunque la difficoltà di lavorare con Pechino per indagare le origini del Covid.

REPLICA DI PECHINO - "La Cina si oppone categoricamente a qualsiasi forma di manipolazione politica finalizzata a individuare l'origine del Covid. Il coinvolgimento dei servizi di intelligence in questioni scientifiche è di per sé una politicizzazione di questo problema", ha affermato Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, in una conferenza stampa.

Già ieri la portavoce aveva sottolineato che la Cina è stata "aperta e trasparente" sulla questione dell'origine del Covid "ed ha condiviso informazioni e data con la comunità internazionale in modo veloce". Adnkronos 1

 

 

 

 

La comunicazione

 

E’ Operatore dell’Informazione chi rende pubblici fatti d’interesse nel rispetto del classico quadrinomio ben noto agli addetti ai lavori: Quando, Dove, Perché e Come. Quest’enunciato, ovviamente, è solo una traccia sommaria di ciò che intendiamo per informazione in voce, video, carta e on-line.

 

Quando, per una serie di contemporaneità, si riesce ad andare oltre gli schemi canonici, allora il giornalismo è partecipazione. Insomma, se c’è stoffa e ispirazione, l’occasione per “comunicare” è una naturale conseguenza. Il difficile, almeno secondo noi, è restare “neutrali” circa gli avvenimenti trattati.

 

Solo un’informazione fine a se stessa riesce a interessare tutti. Senza seguiti politici che, poi, ciascun lettore può, se lo ritiene, esaminare. Dato che informarsi, è un diritto e informare anche un dovere, c’è anche da tener conto che le notizie sono destinate a chi le legge. Essere opinionisti, invece, è tutt’altra storia.

 

Per quanto ci riguarda, intendiamo dare accessibilità ai nostri interventi. Obiettivo che desideriamo estendere a chi sente di condividere lo spirito di comunicazione. Anche questo percorso può costituire “opinione” da considerare. Questo quindicinale è aperto, anche sotto tale profilo, alla libera compartecipazione.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Le nostre comunità all'estero: una risorsa di autentici ambasciatori dell'italianità

 

Intervista a Goffredo Palmerini sul suo nuovo libro “Il mondo che va” e anche altro - di Giovanna Chiarilli

 

Un impegno nell'emigrazione che gli ha permesso di conoscere e valorizzare le comunità all'estero: una risorsa di autentici ambasciatori dell'italianità

Occorrono politiche di lungo respiro per un rapporto finalmente maturo, e non paternalistico, tra l'Italia e le comunità degli italiani nel mondo

L'essenziale ruolo della stampa italiana all'estero per promuovere, edificare una concezione dell'Italia più lata rispetto a Paese chiuso nei propri confini

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Leggendo l'ultimo libro di Goffredo Palmerini, “Il Mondo che va”, edito da One Group Edizioni e dedicato a Papa Francesco, ho avuto la conferma che il giornalismo è nel suo DNA vista l'abilità del padre, Vinicio, nello scrivere, nel fare cronaca. Il fante Vinicio Palmerini ha raccontato i drammatici giorni di guerra con una dovizia di particolari degni di un grande cronista; una storia tra le più toccanti custodite in queste pagine.

 

Quella di Goffredo è una vita all'insegna dell'impegno... in politica, nell'associazionismo, nella cultura, nel giornalismo... all'insegna del suo Abruzzo. Quasi trent'anni trascorsi come amministratore al Comune dell'Aquila, e "quando nel 2007 non mi ricandidai – racconta – mi chiesi come potessi in altra veste servire la mia città e l'Abruzzo, soprattutto per far conoscere la straordinaria bellezza e le singolarità dell'Aquila come le meraviglie di una regione ricca d'arte, di tradizioni secolari, di magnifici borghi e di un incomparabile patrimonio naturalistico ed ambientale protetto, pari ad un terzo del territorio regionale". Fu l'ANCI regionale, l'associazione dei comuni abruzzesi, a designarlo come membro del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM).

 

Ed è proprio grazie a questo incarico, che inizia l'"avventura" di Palmerini nel mondo dell'emigrazione, non solo abruzzese, che l'ha portato a conoscere da vicino "il fenomeno migratorio italiano che in un secolo e mezzo dall'Unità d'Italia ha portato fuori i confini circa 30 milioni d'italiani, sparsi in ogni angolo del mondo, la più grande diaspora della storia dell'umanità. Dalle varie generazioni della nostra emigrazione – afferma Goffredo Palmerini – è nata un'Italia ben più numerosa di quella dentro i confini: 80 milioni di oriundi che in ogni angolo del mondo onorano al meglio la terra da dove sono emigrati loro o i propri avi. Ho incontrato, da allora, le nostre comunità all'estero conoscendone il valore, la ricchezza morale, l'amore per l'Italia ben più forte di chi ci vive, il prestigio e la stima che i nostri emigrati, dopo immani sacrifici, sono riusciti a conquistarsi nelle terre d'emigrazione con la loro laboriosità, con il loro talento e con testimonianze di vita esemplari".

 

Da allora, il suo impegno per gli abruzzesi, gli italiani all'estero, è andato amplificandosi: Consigliere CRAM per otto anni, presidente dell'Osservatorio dell'Emigrazione della Regione Abruzzo, membro della storica associazione ANFE, "fondata nel 1947 da Maria Agamben Federici, Madre costituente che fece parte del gruppo dei 75 che approntò la bozza della Costituzione, poi approvata dall'Assemblea Costituente ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948", come tiene a precisare, senza dimenticare il suo contributo alla FAIM, il Forum delle associazioni italiane nel mondo.

 

E in questa "nuova vita" grande spazio è stato riservato alla scrittura. Con 'Il Mondo che va', siamo arrivati alla dodicesima pubblicazione, sempre a cura della One Group Edizioni... un annuario che raccoglie il meglio dei tuoi articoli... quali sono i temi, gli elementi che caratterizzano questa edizione?

 

"I contatti con il mondo dell'emigrazione mi hanno portato a cercare di far conoscere sempre più le meraviglie dell'Italia all'estero da un lato, e dall'altro a raccontare le più belle storie d'emigrazione, le qualità della nostra gente, i personaggi più significativi che con il loro talento rendono onore all'Italia. Questa assidua comunicazione bidirezionale, fatta soprattutto attraverso la straordinaria rete della stampa italiana nel mondo e le numerose testate giornalistiche in Italia, assolve efficacemente a quel bisogno di far conoscere o stimolare l'interesse per la storia e l'attualità della nostra emigrazione, spesso trascurata proprio dalle classi dirigenti che dovrebbero avere un'adeguata attenzione verso le nostre comunità nel mondo, una risorsa di autentici ambasciatori dell'italianità, nella promozione delle nostre eccellenze, della nostra lingua e del patrimonio artistico e culturale italiano. Scrivo molto su questi temi, cercando di comunicare la più bella Italia, dentro e fuori i confini. Ogni anno o poco più, una selezione ragionata dei miei scritti diventa un annuario. 'Il mondo che va' è un volume che nell'ottimismo vuole celebrare ciascun italiano che nell'esercizio del proprio quotidiano dovere, in Italia o all'estero, dà il meglio di sé e fa crescere il nostro Paese e la terra delle proprie radici. Le storie hanno un filo rosso che le unisce, diversamente e intimamente, a quelle dei libri precedenti". 

 

In ogni libro, ci sono profili su italiani all'estero che nel mondo sono riusciti a realizzare importanti progetti, ad affermare le loro passioni o capacità... quali personaggi hai contribuito a far conoscere in 'Il Mondo che va'?

 

"Di quest'ultimo libro cito due casi di aquilani all'estero: Omero Sabatini e Maurizio Cirillo. Sabatini è stato un diplomatico, vive negli Stati Uniti nei pressi della capitale federale. Ha operato per il governo americano in molti paesi del mondo occupandosi di sviluppo agricolo. Ma soprattutto ne parlo per il singolare merito d'aver fatto conoscere agli americani il grande romanzo manzoniano, facendo dei “Promessi Sposi” una mirata riduzione, tradotta in inglese in un linguaggio accessibile alla generalità degli americani visto che, fino ad allora, l'opera del Manzoni era nota solo ad una ristretta minoranza di studiosi. Maurizio Cirillo, invece, è un manager nel campo della telefonia che ha operato in Brasile, in Angola e in Italia. Ma in Brasile ha anche creato altre attività industriali, mentre a L'Aquila, la città natale che fortemente ama, porta avanti con la famiglia attività ricettive di elevata qualità che assecondano uno sviluppo turistico che vuole prediligere le eccellenze artistiche, architettoniche e ambientali del capoluogo d'Abruzzo, come le singolarità che hanno accompagnato gli otto secoli della sua storia". 

 

Ammetto che, come autore dei programmi Rai per gli italiani all'estero, i libri di Goffredo Palmerini sono stati una fonte preziosissima di spunti, proprio per conoscere e far conoscere profili di italiani all'estero di grande eccellenza. Come questi appena raccontati. 

 

Goffredo Palmerini è davvero molto conosciuto e stimato, sia tra gli addetti ai lavori, sia tra le comunità all'estero. Con il suo impegno fatto di continue relazioni si può definire un piccolo costruttore di ponti che alimenta con un flusso quotidiano di notizie, messaggi, incontri e visite all'estero. Ed i suoi racconti, trovano spesso spazio sulle testate all'estero.

 

"La stampa italiana nel mondo – conferma – che già di per sé assolve una funzione fondamentale per le nostre comunità, ha un ruolo rilevante anche per me nel comunicare suo tramite fatti, argomenti e notizie che nutrono il desiderio di conoscenza e, in fondo, il bisogno d'una relazione costante e non episodica". Un costante "lavoro", che è soprattutto una grande passione e ammirazione verso le comunità all'estero, che gli ha permesso di essere largamente conosciuto come un autentico Ambasciatore d'Abruzzo nel mondo. 

 

Lo abbiamo già accennato, ma vorrei sottolineare ancora che grazie a te, ogni giorno vengono diffusi articoli, che raccontano l'Italia in tutte le sue sfaccettature, sui giornali in lingua italiana che, con grandi sacrifici, continuano a rappresentare in ogni angolo del mondo un "pezzo" d'Italia. Eppure non c'è un'adeguata attenzione verso questo settore... qual è il futuro della stampa italiana nel mondo?

 

"Ho pochi elementi per immaginare quale possa essere il futuro della stampa italiana nel mondo. Posso solo testimoniare, per la mia esperienza e per la conoscenza che ho maturato verso l'emigrazione italiana, che la funzione della stampa italiana all'estero è essenziale nel promuovere, edificare una concezione dell'Italia più lata rispetto a Paese chiuso nei propri confini. Un'Italia di 140 milioni d'italiani, dentro e fuori i confini, che potrebbe recitare un ben diverso ruolo nel mondo se solo le Istituzioni italiane, dal Parlamento al Governo alle Regioni e agli Enti locali, conoscessero le nostre comunità all'estero investendo su esse in politiche di promozione e sostegno, della lingua come della stampa, perché soprattutto attraverso di loro cammina il Made in Italy e su di loro può costruirsi un fecondo progetto di turismo delle radici. Occorrono quindi politiche di lungo respiro, non occasionali ma sistemiche. Solo con un'attenzione assidua possono svilupparsi quelle straordinarie opportunità potenzialmente presenti, in un rapporto finalmente maturo e non paternalistico tra l'Italia e le comunità degli italiani nel mondo". La Gente d’Italia - Uruguay

https://www.genteditalia.org/2023/03/03/goffredo-palmerini-e-il-mondo-che-va/

 

 

 

 

Entro il 31 marzo le domande per i contributi per i periodici all’estero

 

ROMA- Il 31 marzo 2023 scade il termine per la presentazione delle domande e della relativa documentazione per l’ammissione ai contributi per l’anno 2022 a sostegno della stampa periodica italiana all’estero. È quanto ricorda con una nota stampa la Fusie – Federazione Unitaria della Stampa Italiana all’Estero all’indomani della pubblicazione della nuova modulistica sul sito del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio.

Per i periodici italiani editi e diffusi all’estero – precisa la Fusie –  le domande e la relativa documentazione devono pervenire, entro il 31 marzo, all’ufficio consolare italiano di prima categoria territorialmente competente per il luogo della sede legale dell’editore che provvede a trasmetterle al Dipartimento, e per conoscenza al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, entro il successivo 30 aprile.

Come previsto dalla legge (articolo 21, comma 3, lettera b), decreto legislativo 70/2017), insieme alla documentazione, le Autorità diplomatiche devono trasmettere la dichiarazione che attesti la diffusione della testata presso la comunità italiana presente nel Paese di riferimento e la rilevanza della sua funzione informativa per la promozione del sistema Paese e della lingua e cultura italiana all’estero, allegando il parere reso dal Comites della circoscrizione consolare di riferimento.

Tutta la documentazione in lingua straniera – così come previsto dall’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 70/2017 – deve essere accompagnata dalla relativa traduzione in lingua italiana conforme al testo straniero, certificata dal competente ufficio consolare o da un traduttore ufficiale; i documenti in lingua privi di adeguata traduzione non saranno presi in considerazione in sede istruttoria. Inoltre gli importi indicati nei Prospetti devono essere espressi nella moneta locale.

Per i periodici editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero, domande e la relativa documentazione devono pervenire entro la data del 31 marzo 2023 al Dipartimento, all’indirizzo di posta elettronica certificata: archivio.die@mailbox.governo.it . Gli editori, secondo le prescrizioni della normativa, devono utilizzare esclusivamente la modulistica pubblicata sul sito del Dipartimento Editoria e Informazione della Presidenza del Consiglio e compilarla digitalmente.

Sempre entro il termine del 31 marzo 2023 devono essere inviate, a cura e spese dell’editore, le copie delle riviste all’indirizzo:

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria – Ufficio per il sostegno all’editoria – Servizio per il sostegno diretto alla stampa – UFFICIO ACCETTAZIONE – Via dell’Impresa, 90 – 00187 Roma.

Nel caso di domanda presentata per la prima volta, è necessario inviare anche le copie della rivista relative alle due annualità precedenti a quella della domanda.  (Inform/Fusie 1)

 

 

 

 

Inps: al via l’accertamento dell’esistenza in vita dei pensionati all’estero

 

Roma - A partire dal 20 marzo 2023, i pensionati residenti in America, Asia, Estremo Oriente, Paesi scandinavi, Stati dell’Est Europa e Paesi limitrofi riceveranno da Citibank N.A. - l’Istituto di credito che attualmente esegue i pagamenti al di fuori del territorio nazionale per conto dell’Inps - i moduli di richiesta di attestazione dell’esistenza in vita, da restituire alla banca entro il 18 luglio 2023.

I pensionati, pertanto, avranno quattro mesi a disposizione per attestare l’esistenza in vita e potranno avvalersi di numerosi soggetti qualificati autorizzati ad attestare l’esistenza in vita ai sensi delle legislazioni locali. Nei casi in cui il pensionato non possa produrre l’attestazione standard, Citibank N.A. accetta le certificazioni di esistenza in vita rilasciate da autorità locali, quali testimoni accettabili, le cui liste, distinte per Aree geografiche, sono consultabili nel sito di Citibank N.A. alla pagina web dedicata.

Qualora l’attestazione non sia prodotta, il pagamento della rata di agosto 2023 avverrà in contanti presso gli sportelli Western Union e, in caso di mancata riscossione personale o di mancata produzione dell’attestazione entro il 19 agosto 2023, il pagamento della pensione sarà sospeso a partire dalla successiva rata di settembre 2023.

Il processo di accertamento dell’esistenza in vita per gli anni 2023 e 2024, per i pensionati residenti in Europa, Africa e Oceania, prenderà invece avvio dal 20 settembre 2023.

Nel messaggio Inps n.794 del 23 febbraio 2023 sono riportate tutte le modalità per l’attestazione dell’esistenza in vita da parte dei pensionati. La campagna di verifica prevede, infatti, diversi sistemi che, utilizzati in modo combinato, garantiscono l’efficacia dell’accertamento e consentono di limitare i possibili disagi ai pensionati, contribuendo ad assicurare la correttezza dei flussi di pagamento e nello stesso tempo costituiscono un valido strumento di prevenzione e contrasto al fenomeno dell’indebita percezione delle prestazioni.

In particolare, l’Inps e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale hanno condiviso un progetto che prevede la possibilità per i pensionati di rapportarsi con gli uffici consolari tramite un servizio di videochiamata, descritto in dettaglio nel messaggio 794/2023. I pensionati, per rendere operativo tale servizio, sono invitati ad indicare l’indirizzo di posta elettronica e il recapito telefonico nel modulo di attestazione dell’esistenza in vita da inviare a Citibank N.A.

La modalità di attestazione dell’esistenza in vita tramite videochiamata si aggiunge, ma non sostituisce, le consuete modalità, che prevedono la presenza fisica del pensionato presso un soggetto qualificato cd. testimone accettabile abilitato ad avallare la sottoscrizione del modulo di dichiarazione dell’esistenza in vita, e potrà essere utilizzata anche dagli operatori di patronato accreditati come testimoni accettabili, abilitati al Portale Agenti.

Sul portale internet dell’Istituto è consultabile un’apposita pagina dedicata, intitolata Accertamento esistenza in vita dei pensionati che riscuotono all'estero, contenente informazioni aggiornate sul processo di verifica dell’esistenza in vita dei pensionati che riscuotono all’estero. (aise 1)

 

 

 

 

Veneti nel mondo. Approvato il bando 2023 per sostegno alle iniziative

 

È stato approvato con delibera dalla Giunta Regionale, su proposta dell’assessore ai Veneti nel mondo Cristiano Corazzari il bando 2023 per la concessione di contributi per progetti e iniziative e attività culturali finalizzate a conservare e a tutelare fra le comunità venete nel mondo il valore dell’identità veneta e della terra di origine e a rinsaldare i rapporti culturali con il Veneto.

 

Il bando rientra tra gli interventi a favore dei veneti nel mondo previsti dalla legge regionale 2/2003. Lo stanziamento, fissato per quest’anno dal Programma annuale 2023, approvato sulla base del Piano triennale 2022-2024, è di 102 mila euro.

 

Possono partecipare amministrazioni pubbliche venete, istituzioni culturali, associazioni con sede in Veneto che operano a favore dei veneti nel mondo, i comitati e le federazioni di circoli veneti all’estero iscritti al registro regionale.

 

Sono ammesse a contributo le proposte progettuali riguardanti l’emigrazione veneta con la finalità di conservare e di valorizzare la cultura e l’identità veneto presso le comunità venete all’estero attraverso organizzare convegni, seminari, mostre, festival e ogni altro evento anche on-line.

 

“Rendere la cultura e le tradizioni venete veicolo per mantenere il legame con le nostre comunità nel mondo è tra gli obiettivi di questa amministrazione regionale e nello specifico questo bando è dedicato a progettualità culturali che ci permettono di valorizzare la cultura e le tradizioni venete nel mondo. Si tratta di un patrimonio identitario insostituibile – evidenzia l’assessore regionale ai flussi migratori e veneti nel mondo Cristiano Corazzari - È fondamentale proseguire nel prezioso lavoro che tutti insieme stiamo svolgendo per mantenere vivo il legame con le nostre comunità nel mondo nella consapevolezza che i valori di un popolo sono i valori di ciascuna persona che si riconosce in quel popolo.  Queste progettualità, come quelle avviate nel corso degli anni, sono certo contribuiranno a rafforzare e valorizzare ulteriormente le radici culturali venete”.

 

È possibile presentare la domanda utilizzando la modulistica disponibile nel sito della Regione del Veneto nella sezione “Bandi, Avvisi, Concorsi” La delibera su https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=497440   dip 3

 

 

 

 

Impatriati. Porta (Pd): agevolazioni negate se si ritorna allo stesso lavoro

 

ROMA - “Per chi rientra dall’estero e va a prestare la propria attività dal datore di lavoro per cui lavorava prima del trasferimento è precluso il regime di agevolazioni fiscali previsto dalla legge a favore degli “impatriati””. È quanto spiega Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, alla luce del recente “Principio di diritto n. 6/2023” dell’Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia, chiarisce Porta, “ribadisce quello che già era stato stabilito dalle importanti circolari n. 17/2017 e n. 33/2020, e cioè che si ritiene non in linea con la vis attrattiva sottesa alla normativa agevolativa, la posizione lavorativa assunta dal lavoratore al rientro in Italia che si pone in “continuità” con quella precedente al trasferimento all’estero. Certamente – commenta il deputato – se da una parte la questione di principio sembra avere una sua logica di carattere generale (l’Agenzia ritiene che quando il lavoro del soggetto impatriato sia una prosecuzione dell’attività svolta prima del suo trasferimento viene meno quella capacità di attrarre lavoro richiesta dalla norma e di fatto preclude la fruizione del regime di favore), dall’altra parte non sarà semplice per l’Agenzia dover determinare se esiste tale continuità ogni qualvolta il lavoratore dovesse svolgere al rientro una attività in qualche modo “collegata” a quella che svolgeva prima del trasferimento. L’Agenzia dovrebbe forse fornire una interpretazione più precisa e circostanziata del concetto di “continuità””.

Porta ricorda, quindi, che “per fruire del regime speciale di agevolazioni fiscali introdotte dall’articolo 16 del decreto legislativo in. 147 del 2014 (e successive modifiche) è necessario che il lavoratore: a) trasferisca dall’estero la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR; b) non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni; c) svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano”.

“Sono destinatari del beneficio fiscale – ricorda ancora Porta – i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale i quali: a) sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero b) abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream”.

“L’agevolazione – conclude il parlamentare dem – è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi”. (aise 1)

 

 

 

 

Confsal-Unsa Esteri: no alla precarizzazione del lavoro nella rete estera del Maeci

 

ROMA - “In queste ore abbiamo denunciato al nuovo Segretario Generale della Farnesina il trend di precarizzazione in atto presso le nostre sedi estere attraverso il ricorso crescente, continuo e ramificato agli impiegati temporanei di cui all’articolo 153 del dpr 18/67, che si colloca ben oltre i termini attuativi scanditi dalla norma, la quale prevede la sostituzione temporanea degli impiegati a contratto qualora si trovino in una delle situazioni che comportano la sospensione del trattamento economico”. È quanto si legge in una nota della Confsal Unsa Esteri, in cui il sindacato denuncia che “rispetto al carattere straordinario previsto dalla norma, si riscontra in tutte le sedi una sorta di sistematico rimpiazzo degli impiegati a contratto in congedo, in pensione o entrati nei ruoli del MAECI, con impiegati temporanei, la cui permanenza è limitata dalla norma medesima ad un massimo di 6 mesi, prorogabili di altri 6”.

Quindi, sostiene la Confsal Unsa, “si sta rafforzando una consuetudine in molte sedi, che sono prive di personale, del tutto atipica e anomala peraltro su un fronte sensibile e complesso come quello dell’operatività della rete estera del MAECI, che potrebbe determinare rischi non trascurabili per la sicurezza del sistema Paese, in ragione del coinvolgimento in azioni e servizi delicati e sensibili di profili dalla dubbia provenienza e dall’effimera durata dei contratti, la quale contribuirebbe ad innescare un meccanismo di perdita sistematica di dati, expertise, informazioni e conoscenze tali da mettere a serio rischio la funzionalità della rete segnatamente in una stagione di complessità geopolitica e internazionale, alla luce della quale lo Stato dovrebbe garantire l’integrità e la tracciabilità del personale deputato ad azioni sensibili”.

“Se a ciò – continua la nota – aggiungiamo il fatto che gli impiegati temporanei sono retribuiti con le risorse destinate anche al riadeguamento retributivo del personale a contratto a tempo indeterminato, la criticità assume dei tratti di maggiore complessità, poiché si comprende bene quanto la già esigua disponibilità di risorse si riduca al lumicino per far fronte all’impulso di cosiddetti “tappabuchi” presso l’Amministrazione, che predilige soddisfare un bisogno immediato (colmare un vuoto d’organico) piuttosto che risolvere il problema a monte (intervento sistemico sul fronte delle risorse umane di ruolo e valorizzazione economica di entrambe le categorie) in un circolo vizioso in cui si alternano perdite economiche, possibili fughe di informazioni e incapacità di garantire una continuità operativa presso le sedi”.

E ancora: “ai temporanei bisogna poi associare i collaboratori esterni, comunemente definiti “digitatori” in molti casi assunti con contratti interinali, con mandato semestrale e con retribuzioni che oscillano tra i 200 e i 500 euro mensili. Essi costituiscono manodopera a “basso costo”, facilmente rimpiazzabile e con garanzie contrattuali non tracciate e non trasparenti. Senza poi trascurare il fenomeno degli stagisti MAE-CRUI che coinvolge circa 1000 ragazzi ogni anno, e che, stando alle informazioni in nostro possesso, sono utilizzati talvolta come “tappa buchi” in assenza di personale di ruolo e/o a contratto. Tutto questo in deroga alla preminente tutela della sicurezza e salvaguardia dei dati sensibili”.

“Così operando, - stigmatizza il sindacato – il MAECI si avvarrebbe di personale inesperto, non formato e privo di vincoli di segretezza e di esclusività per tamponare le vacanze di organico proprio in quei Paesi dove il livello di operatività dovrebbe essere più performante, pagati con risorse del MIUR con un ammontare che in taluni casi supera quello previsto per i cosiddetti digitatori reclutati localmente. Pertanto si potrebbe parlare di sostanziale, anche se non formale, assimilabilità tra i due profili. Ci troviamo dinanzi al funerale della PA all’estero, che se da un lato si impegna in progetti faraonici (basta pensare alla compartecipazione ai progetti del PNRR), dall’altro impoverisce i propri lavoratori, impedendo che si costruisca una visione di lungo periodo”.

“La Confsal Unsa non ci sta e pretende chiarezza da parte dell’amministrazione. In queste settimane – annuncia il sindacato – si organizzeranno assemblee di lavoratori in tutte le sedi estere per manifestare il disappunto, la delusione e la protesta per quanto realizzatosi finora, e per evidenziare quelle che sono le istanze finora inascoltate di migliaia di lavoratori che ad oggi sono il motore della nostra rete estera”. (aise/dip)

 

 

 

 

 

 

EU-Finanzminister erzielen Durchbruch bei Schuldenregeln

 

Die Finanzminister der EU-Staaten einigten sich am Dienstag (14. März) auf einen gemeinsamen Standpunkt zur Reform der europäischen Fiskalregeln. Sie lehnten sich dabei eng an den Ansatz der Europäischen Kommission an, die auf länderspezifische Pläne zum Schuldenabbau setzt. Von: János Allenbach-Ammann

 

Während die Zielwerte aus den EU-Verträgen unverändert bleiben – ein maximales öffentliches Defizit von 3 Prozent des Bruttoinlandsprodukts und ein Schuldenstand von 60 Prozent des Bruttoinlandsprodukts – wird die 60-Prozent-Regel künftig weniger relevant sein.

Die Regeln werden durch mittelfristige Pläne ergänzt, die mehr Investitionen ermöglichen sollen.

„Wir haben uns darauf geeinigt, dass der neue wirtschaftliche Rahmen die Haushaltsanpassung mit Reformen und Investitionen kombinieren sollte“, sagte die schwedische Finanzministerin Elisabeth Svantesson am Dienstag (14. März) nach dem Ministertreffen in Brüssel.

Das Abschlussdokument der Finanzminister entsprechen im Großen und Ganzen dem von der Europäischen Kommission im November vorgeschlagenen Vorgehen zur Reform der sogenannten wirtschaftspolitischen Steuerung in der EU. Die derzeitigen Regeln wurden als investitions- und wachstumsfeindlich und gleichzeitig als unwirksam bei der Eindämmung der Staatsverschuldung kritisiert.

Beide Probleme sollten nun in den neuen Regeln angegangen werden, so der Vizepräsident der EU-Kommission, Valdis Dombrovskis.

„Die heutigen Schlussfolgerungen spiegeln das Ziel der Kommission wider, das System zu vereinfachen, die Eigenverantwortung der Länder zu stärken und mehr Spielraum für den Schuldenabbau zu schaffen, verbunden mit einer stärkeren Durchsetzung“, sagte er.

Der Einfachheit halber konzentrieren sich die Regeln nun auf die Netto-Primärausgaben. Diese messen die Ausgaben eines Staates abzüglich der Staatseinnahmen, wobei die Staatsausgaben für Zinszahlungen und konjunkturelle Arbeitslosigkeit nicht berücksichtigt werden.

Die nationalen fiskalischen Pfade, die anhand der Netto-Primärausgaben definiert werden, müssen dabei nicht zu einem sofortigen Schuldenabbau führen, sondern zu einem langfristigen Schuldenabbau.

Es wird Aufgabe der Europäischen Kommission sein, zu analysieren und zu bestimmen, ob dies gegeben ist. Dabei wird sie Reformen und Investitionspläne berücksichtigen, die das Wirtschaftswachstum fördern könnten.

Die Kommission kann zwar die nationalen Haushaltspläne einzeln prüfen, muss sich aber auf eine „gemeinsame Methodik“ stützen, die „wiederholbar, vorhersehbar und transparent“ ist.

Das Beharren auf Replizierbarkeit macht die Aufgabe der Kommission, eine akzeptable Methodik zu entwickeln, besonders schwierig, da sie auch in der Lage sein muss, eine Vielzahl von länderspezifischen Investitionen und Reformen zu berücksichtigen.

Dieses Gleichgewicht zwischen einer individuellen und qualitativen Bewertung der Fiskalpolitik der Mitgliedstaaten und einer leichter zu reproduzierenden quantitativen Messung wird wahrscheinlich weiterhin Gegenstand von Meinungsverschiedenheiten zwischen den Mitgliedstaaten sein.

EU-Wirtschaftskommissar Paolo Gentiloni und Bundesfinanzminister Christian Lindner diskutierten am Montag (29. Januar) über die EU-Vorschriften für nationale Staatsschulden und -defizite. Während die Kommission diese flexibler gestalten will, besteht Lindner auf „überprüfbare“ Regeln.

Auf Druck Deutschlands haben die EU-Finanzminister eine weitere Verzögerung bei der Fertigstellung der Steuervorschriften in Kauf genommen.

Im Abschlussdokument heißt es, dass „die EU-Kommission vor der Veröffentlichung ihrer Gesetzesvorschläge die übereinstimmenden Ansichten der Mitgliedstaaten berücksichtigen und die Gespräche mit den Mitgliedstaaten in den Bereichen fortsetzen muss, in denen zusätzliche Diskussionen erforderlich sind.“

Damit verzögert sich der ohnehin schon sehr enge Zeitplan, den sich die EU-Kommission selbst gesetzt hat, weiter. Ursprünglich wollte die EU-Kommission bis Ende März einen Gesetzesvorschlag vorlegen mit dem Ziel, die Änderung der Regeln bis Ende des Jahres abzuschließen.

Die Frist ergibt sich auch aus der Tatsache, dass die allgemeine Ausnahmeregel, die 2020 aktiviert wurde, um die Durchsetzung der Fiskalregeln zu unterbrechen, 2024 deaktiviert wird.

In den fiskalischen Leitlinien der letzten Woche kündigte die EU-Kommission an, dass sie die Überwachung der öffentlichen Haushalte im Jahr 2024 wieder aufnehmen werde.

Im Idealfall, so die Europäische Kommission, wären dann bereits die neuen Regeln in Kraft. EA 15

 

 

 

Kriegsmacht Europa

 

Im militärischen Ernstfall versteckt sich die EU hinter den USA. Doch für die Abwehr militärischer Bedrohungen braucht es dringend Alternativen. Jan Zielonka

 

Kurz bevor Russlands Großoffensive auf sein Land sich zum ersten Mal jährte, reiste der ukrainische Präsident Wolodymyr Selenskyj am 9. Februar nach Brüssel. Dort bereiteten Spitzenvertreter der Europäischen Union ihm einen warmherzigen Empfang und beteuerten einmal mehr, die Ukraine gehöre zu Europa. Nicht zufällig war Selenskyj allerdings zuerst nach Washington und London gereist. Die EU unterstützt die Ukraine zwar insgesamt im gleichen Umfang wie die USA, aber die Amerikaner liefern weitaus mehr Waffen – und Waffen sind das, was die Ukraine im Augenblick am nötigsten braucht.

Die EU ist kein militärischer Akteur. Sie hält sich stattdessen etwas auf ihre Konfliktprävention zugute, die darin besteht, dass sie wirtschaftliche und gesetzliche Rahmenbedingungen schafft, die dem Frieden zuträglich sind. Zudem kann sie, was den Wiederaufbau in Nachkriegszeiten angeht, beeindruckende Erfolge vorweisen – etwa auf dem Balkan. Trotzdem konnte die EU die russische Invasion nicht verhindern, und eine besiegte Ukraine würde nicht von der EU, sondern von Russland „wiederaufgebaut“. Kein Wunder also, dass Selenskyj die EU zu schnellerem und mutigerem Handeln drängt.

Dieser Krieg ist mehr als ein Konflikt, der an den Grenzen der EU stattfindet und sich in den Strom- und Gasrechnungen der Europäerinnen und Europäer bemerkbar macht: Russlands Angriff ist eine Antwort darauf, dass die Ukraine immer näher an Europa heranrückt. Vergessen wir nicht, was 2014 der Anlass für die erste russische Invasion war: Damals floh der pro-russische Präsident der Ukraine, Wiktor Janukowytsch, vor den Massenprotesten, die er dadurch ausgelöst hatte, dass er sich – auf Geheiß Moskaus – in letzter Minute geweigert hatte, das Assoziationsabkommen zwischen der EU und der Ukraine zu unterzeichnen.

Die EU ist unausweichlich in diesen Krieg verstrickt und kann sich nicht hinter dem großen Beschützer USA verstecken. Heidi Mauer und ihre Kollegen sehen Europa angesichts der russischen Aggression in einer „kollektiven Handlungsverantwortung“. Aber ist die EU dieser Verantwortung auch gewachsen? Wolfgang Streeck ist nicht der einzige europäische Intellektuelle, der diese Frage verneint: „Sobald die Realpolitik ihr hässliches Haupt erhoben hatte, verwandelte sich die EU in Nullkommanichts in eine Hilfsorganisation der NATO, beauftragt unter anderem mit der Ausarbeitung von Sanktionen gegen Russland, die großenteils nach hinten losgingen.“ Sanktionen verhängen – das war das Mindeste, was die EU in Reaktion auf eine widerrechtliche und brutale Invasion tun konnte, aber mit Sanktionen allein wird der Lauf der Dinge an der Ostgrenze der EU sich nicht steuern lassen.

Das Problem ist: Dieser Krieg wirft so wie einst die Kriege im ehemaligen Jugoslawien existenzielle Fragen auf, denen pragmatische – oder sollte man sagen: kurzsichtige – europäische Politiker lieber aus dem Weg gehen. Wo verlaufen Europas Grenzen? Sind die USA in Europa eine Macht sui generis? Kann eine zivile Macht wie die EU in einem unzivilisierten politischen Umfeld bestehen? Sollten Europas Wirtschaftsinteressen Vorrang haben vor rechtlichen und moralischen Normen? Wer führt Europa, wenn Kriege ausbrechen? Solange die EU auf diese fundamentalen Fragen keine überzeugenden Antworten hat, wird sie wie gelähmt dastehen, wenn die ersten Bomben einschlagen.

Die Grenzen der EU sind seit jeher fließend. Zu den sechs Gründungsmitgliedern der Europäischen Gemeinschaften gesellten sich im Laufe der Zeit 22 Staaten, nachdem sie einen umfassenden Katalog europäischer Gesetze und Vorschriften übernommen hatten. (Einer dieser Staaten ist inzwischen ausgetreten.) Die Ukraine ist zwar weit davon entfernt, die rechtlichen Voraussetzungen zu erfüllen, aber dennoch verkündete die EU-Kommissionspräsidentin auf Twitter: „Die Ukrainerinnen und Ukrainer sind bereit, für die europäische Perspektive zu sterben. Wir wollen, dass sie mit uns den europäischen Traum leben.“

Dieser Traum ist nicht dasselbe wie eine EU-Mitgliedschaft, aber Millionen ukrainische Flüchtlinge innerhalb der EU-Grenzen kommen in gewisser Weise einer stillschweigenden Erweiterung der Union gleich. Wenn die EU am Wiederaufbau der Ukraine nach dem Krieg mitwirkt, würde das Land auch dadurch zum Teil der EU, wenn auch vorerst nur de facto und nicht de jure. Ist die EU dafür bereit, die Faktenlage vor Ort anzuerkennen und die Ukraine aus rein strategischen Erwägungen in ihren Reihen zu begrüßen?

Der Krieg in der Ukraine liefert die Bestätigung, dass die USA bei Entscheidungen der EU (virtuell) mit am Tisch sitzen. Das gefällt nicht allen, aber ohne die USA wäre Europa militärisch ein noch zahnloserer Tiger und politisch noch tiefer gespalten. Dass Amerika sich für Europa engagiert, ist keine Selbstverständlichkeit. Sollte Donald Trump zum zweiten Mal Präsident werden, könnten er und Xi Jinping, Chinas Präsident auf Lebenszeit, eine Situation entstehen lassen, die die USA zwingt, ihre strategischen Prioritäten zu ändern. Dies wäre zum Beispiel dann der Fall, wenn Xi beschließt, in Taiwan einzumarschieren. Dann hätte die EU keine Führungsmacht mehr, die gewillt und in der Lage wäre, für den alten Kontinent einzustehen.

Der Krieg macht einmal mehr deutlich, dass Deutschland dieser Führungsaufgabe nicht gewachsen ist. Das Land ist innerlich gespalten und muss sich der einen oder anderen Anfeindung von außen erwehren. Zudem sitzen bei Entscheidungen der EU allzu viele „Souveränisten“ mit am Tisch, die nicht zulassen werden, dass Befugnisse im relevanten Umfang auf Brüssel übertragen werden.

In den ersten Kriegsmonaten machte Mario Draghi – der ehemalige Präsident der Europäischen Zentralbank und spätere italienische Ministerpräsident – dann aber doch vor, dass es durchaus möglich ist, den scheinbar widerspenstigen Club der Europäer durch informelle Führung zu lenken. Führung ist nicht allein eine Frage von persönlichem Charisma, sondern hat auch oder sogar ganz wesentlich damit zu tun, ob jemand in der Lage ist, einen gemeinschaftlichen politischen Standpunkt zu formulieren, der Europas Werte abbildet. Wie lässt sich eine Brücke schlagen zwischen jenen Europäern, für die die Ukrainer Helden sind, weil sie Europas Sicherheit bewahren, und jenen, für die die Ukrainer nichts weiter sind als fanatische Nationalisten, die Russlands berechtigte Sicherheitsinteressen infrage stellen?

Ebenso schwer wäre es auch, die Wirtschaftsinteressen mit rechtlichen und moralischen Standpunkten unter einen Hut zu bringen. Nach der illegalen Annexion der Krim durch Russland 2014 hatte die EU ihren Handel mit Moskau nicht zurückgefahren, und die politischen Maßnahmen, mit denen Europas Abhängigkeit von russischen Öl- und Gaslieferungen reduziert werden sollte, wurden bis 2022 nur halbherzig umgesetzt. Sogar jetzt gibt die EU immer noch mehr Geld für Importe aus Russland aus als für Hilfen an die Ukraine. Ich stimme nicht in den Chor derer ein, die für das gegenwärtige Dilemma die deutschen Handelsbeziehungen zu Russland verantwortlich machen. Doch „Business as usual“ mit Leuten, die mit ihren Verbrechen das Völkerrecht verletzen, ist nicht nur unmoralisch, sondern Selbstmord auf Raten.

Gibt der Krieg in der Ukraine den Anstoß für die Schaffung einer europäischen Armee? Nach den jugoslawischen Nachfolgekriegen beschloss die EU den Aufbau einer schnellen Eingreifgruppe mit 60 000 Soldaten, doch Taten gefolgt sind diesem Beschluss bis heute nicht. Seit dem Brexit stehen die Chancen auf eine ernst zu nehmende europäische Armee noch schlechter. Nach dem russischen Einmarsch in die Ukraine haben zwar mehrere Mitgliedstaaten – allen voran Deutschland und Polen – beschlossen, ihre Rüstungsetats aufzustocken, aber ob sie in absehbarer Zeit das Kapazitätsniveau der britischen Militärmacht erreichen werden, ist höchst fraglich.

Gleichwohl könnte die EU viel mehr tun, um die gemeinsame Beschaffung von Rüstungsgütern oder gar die gemeinsame Waffenproduktion zu forcieren. Zum Beispiel könnte sie die Aufgabenstellung der Europäischen Verteidigungsagentur erweitern und ihr Budget aufstocken. Sie kann auch der Europäischen Friedensfazilität deutlich mehr Geld in die Hand geben, die die von Mitgliedstaaten in die Ukraine gelieferten Waffen bezahlt und in Zukunft friedenschaffende Militäreinsätze unterstützen könnte.

Wer die amerikanische Hegemonie in Europa beklagt, sollte belastbare Alternativen für die Abwehr militärischer Bedrohungen parat haben. Ohne konkretes sicherheitspolitisches Engagement wird die EU weder von Russland noch von Amerika und auch nicht von Iran, Syrien und der Türkei ernst genommen.

Die EU wird nie ein klassischer militärischer Akteur sein, aber Europas Sicherheit ist nicht nur eine Frage der Truppenstärke einer möglichen europäischen Armee. Sie ist ebenso eine Frage der Sicherheitsinfrastruktur, zu der auch Bereiche wie die nachrichtendienstliche Aufklärung, Logistik, Kommunikation und Energie gehören – also lauter Bereiche, in denen Europa politisch noch stärker an einem Strang ziehen kann. Vor allem aber erfordert Sicherheit einen klaren Kompass und eine Führungskultur, die sich nach Europas gemeinsamem Willen richtet.

„Dies ist die Stunde Europas“, verkündete der damalige EG-Ratspräsident und luxemburgische Außenminister Jacques Poos, als er 1991 mit zwei weiteren EG-Außenministern kurz nach Kriegsbeginn nach Jugoslawien flog. Leider wurde Europa diesen hehren Ambitionen damals nicht gerecht und ließ ihnen nicht die entsprechenden Taten folgen. Der Gang der Geschichte wird durch einschneidende Ereignisse wie Kriege geprägt. Und es ist durchaus legitim, auch jetzt wieder von einer „Stunde Europas“ zu sprechen. Doch die Gräuel von Sarajevo und Mariupol, Srebrenica und Butscha lehren uns, dass es mit beruhigenden Worten nicht getan ist. Gefordert sind mutige und schnelle Entscheidungen, denen konkrete Taten folgen – sonst gerät die EU ins Wanken. IPG 14

 

 

 

 

Wettbewerb um Fachkräfte

 

Migrant Acceptance and Citizenship matter for Champions League

Deutschland verliert im globalen Wettbewerb um Top-Talente an Boden. Dabei sind die Kriterien für den Einzug in die Champions-League bekannt: Einwanderer:innen besser akzeptieren und schneller einbürgern. Von Ulrich Kober

 

Deutschland ist ein relativ offenes und attraktives Land für internationale Top-Talente, denn es befindet sich im globalen Wettbewerb im oberen Drittel der 38 OECD-Länder. Ein zweiter Platz bei internationalen Studierenden ragt heraus. Soweit die gute Nachricht. Weniger erfreulich sind die Ergebnisse bei Start-up Gründer:innen (12. Platz), Unternehmer:innen (13. Platz) und Hochqualifizierten (15. Platz) aus dem Ausland. Das zeigt die Neuauflage der OECD „Indicators of Talent Attractiveness“ (ITA).

„Das kann nicht unser Anspruch sein“, könnte jetzt im Fussball-Deutsch angemerkt werden – eine oft verwendete Floskel von Verantwortlichen bei empfindlichen Niederlagen. Denn Deutschland ist bei drei von vier begehrten Zielgruppen von Top-Talenten aktuell nicht konkurrenzfähig in der Champions League der attraktivsten OECD-Staaten.

Wie nach einem verlorenen Fußballspiel kommt es jetzt auf die Fehleranalyse an! Zunächst einmal ist festzuhalten, dass Deutschland nicht schlecht ist, die anderen aber einfach besser geworden sind. Um Anschluss an die attraktivsten Top-5-Länder zu finden, kann die Bundesrepublik an einigen Schrauben der „Hard- und Software“ der Migrations- und Integrationspolitiken drehen.

„Die Visaverfahren sind eine wichtige Baustelle, denn diese sind in Deutschland immer noch nicht vollständig digitalisiert.“

Die Visaverfahren sind eine wichtige Baustelle, denn diese sind in Deutschland immer noch nicht vollständig digitalisiert. Es gibt auch keine maßgeschneiderten Visa für Start-up Gründer:innen wie in anderen Ländern, die um diese Zielgruppe intensiv werben.

In der ITA-Dimension „Qualität der beruflichen Chancen“ schneidet die Bundesrepublik z. B. bei den Hochqualifizierten nur mittelmäßig ab, weil sie hierzulande oft in Jobs arbeiten, für die sie eigentlich überqualifiziert sind. Insgesamt trübt weiter die schleppende Digitalisierung die deutsche Bilanz.

„Neben diesen harten regulativen und ökonomischen Aspekten zählen aber auch sozio-kulturelle Faktoren. Dazu gehört der Umgang mit ethnischer und kultureller Heterogenität.“

Neben diesen harten regulativen und ökonomischen Aspekten zählen aber auch sozio-kulturelle Faktoren. Dazu gehört der Umgang mit ethnischer und kultureller Heterogenität, der mit der Einbürgerungspraxis zusammenhängt. In der Dimension „Umgang mit Diversität“ berücksichtigen die ITA die Akzeptanz von Migrant:innen in der Gesellschaft, die mit dem Gallup-Index gemessen wird.

Dabei werden drei Fragen gestellt: Finden Sie es gut oder schlecht, dass ausländische Einwander:innen in ihrem Land leben, dass sie Ihre Nachbarn werden und dass sie einen nahen Verwandten heiraten? Maximal können 9 Punkte erreicht werden, weil jede „gut“-Antwort drei Punkte erhält. Kanada als Spitzenreiter hat rund 8,5 Punkte und bildet mit Island, Neuseeland, Australien und den USA die Top-5-Spitze. Deutschland befindet sich mit 6,5 Punkten nur auf dem 20. Platz der 38 OECD-Länder (World Grows Less Accepting of Migrants).

„Ebenfalls nur Mittelmaß ist Deutschland bei der Einbürgerung, die bei den ITA in der Dimension „Zukunftsaussichten“ berücksichtigt wird.“

Ebenfalls nur Mittelmaß ist Deutschland bei der Einbürgerung, die bei den ITA in der Dimension „Zukunftsaussichten“ berücksichtigt wird. Der Indikator zeigt, wie viele Einwanderer:innen immer noch keine Staatsbürger sind, obwohl sie schon seit 10 Jahren rechtmäßig im Land leben. In Deutschland waren dies 2020 45 Prozent, in den meisten „ITA-Champions“ sind es deutlich weniger: in Kanada 9,5 Prozent, in Schweden 13 Prozent, in Australien 18,6 Prozent, in den USA 36,6 Prozent sowie in Norwegen und Neuseeland jeweils 38,7 Prozent (Deutschland im internationalen Wettbewerb um Talente 2023, S. 4).

Lediglich die Schweiz fällt aus dem Rahmen: Obwohl ihre Punkte für Einbürgerungspraxis und Migrant Acceptance Index noch bescheidener sind als die für Deutschland, schaffen es die Eidgenossen zweimal in die TOP 5 der attraktivsten Staaten. Aber trotz dieser alpinen Ausnahme bewahrheitet sich die These, dass Akzeptanz von Migrant:innen und zügige Einbürgerung charakteristisch sind für „ITA-Spitzennationen“. Wenn Deutschland in dieser Champions League mitspielen will, dann sollten die Einbürgerungsregeln geändert werden. Diese Reform hätte auch einen positiven Einfluss auf die gesellschaftliche Akzeptanz von ethnischer und kultureller Heterogenität. Die Pläne dafür liegen auf dem Tisch! Mig 14

 

 

 

 

EU-Asylpolitik. Nicht nur über Grenzschutz reden, sondern über Reformen

 

Seit Jahren streiten die EU-Staaten über die Migrationspolitik. Zuletzt ging es immerhin langsam voran. Kann trotzdem die ganz große Reform gelingen? Die deutsche Innenministerin sagt „Ja“ und mahnt an, nicht nur über Grenzschutz zu reden.

Ungeachtet nur zäher Fortschritte in der europäischen Asyl- und Migrationspolitik setzt Bundesinnenministerin Nancy Faeser auf eine umfassende Reform bis zur Europawahl im Frühjahr 2024. „Die Asylpolitik in Europa auf gemeinsame Füße zu stellen, das ist immer noch mein größtes Ziel und auch das größte Ziel vieler anderer Länder“, sagte die SPD-Politikerin am Donnerstag in Brüssel. Es seien bereits viele Teile der Reform beschlossen. Diese Arbeit müsse noch in diesem Jahr zu Ende gebracht werden. Dies ist notwendig, damit die Gesetze noch in dieser Legislaturperiode angenommen werden können.

Hintergrund sind die Vorschläge der EU-Kommission für eine Reform der Asyl- und Migrationspolitik vom September 2020, die einen langen Streit der Mitgliedstaaten überwinden sollten. Tatsächlich umgesetzt sind bislang nur kleinere Teile wie ein ausgeweitetes Mandat der EU-Asylagentur. Der genaue Termin für die Europawahl im nächsten Frühjahr steht noch nicht fest.

Die EU-Staaten verständigten sich im Sommer zwar auf verschärfte Regeln an den europäischen Außengrenzen und eine Reform der Datenbank zur Abnahme von Fingerabdrücken. Einigungen mit dem EU-Parlament bei diesen Themen stehen jedoch noch aus. Hinzu kommt, dass die 27 Staaten beim Kern einer möglichen Reform – der Frage nach einer Verteilung von Schutzsuchenden und anderen Formen der Solidarität – weit von einer Lösung entfernt sind.

Kaum Fortschritte in der Verteilungsfrage

Derzeit ist nach den Dublin-Regeln meist jener EU-Staat für einen Asylantrag zuständig, auf dessen Boden der Schutzsuchende zuerst europäischen Boden betritt. Länder wie Deutschland und die Niederlande dringen darauf, dass diese Regeln befolgt werden. Staaten an den Außengrenzen fordern dagegen mehr Unterstützung. Ihnen wird vorgeworfen, sich nicht an die Dublin-Regeln zu halten.

Weil es bei der Frage der Verteilung von Schutzsuchenden kaum vorangeht, konzentrierten sich die EU-Staaten zuletzt darauf, die Außengrenzen besser zu schützen. Zudem soll durch Zusammenarbeit mit Transit- und Herkunftsländern etwa in Afrika dafür gesorgt werden, dass sich möglichst wenige Menschen auf den Weg machen.

Faeser: Nicht nur über Grenzschutz reden

Faeser sagte nun: „Es kann nicht sein, dass wir nur darüber reden, ob die Grenzen rund um Europa hochgezogen werden, sondern es geht darum, ein gemeinsames Asylsystem zu haben mit einer gerechten Verteilung.“ Ohne eine solche gerechte Verteilung werde es keine Lösung geben. Die Ministerin kündigte an, dass Deutschland Überlebende des Bootsunglücks mit mehr als 70 toten Migranten vor der Küste Süditaliens Ende Februar aufnehmen werde. Eine konkrete Zahl nannte sie nicht.

Auch EU-Innenkommissarin Ylva Johansson machte deutlich, dass sie an eine Einigung bis Anfang 2024 glaubt. „Wir stehen unter Zeitdruck. Aber es ist kein unrealistischer Zeitplan, den wir verfolgen.“ (epd/mig 10)

 

 

 

Mächtig, mächtiger, EU-Kommission?

 

Die EU will ihre Möglichkeit zur wirtschaftspolitischen Steuerung ausbauen. Um erzwungene Sparkurse zu verhindern, braucht es demokratische Kontrolle. Dominika Biegon

 

In Brüssel wird derzeit auf Hochtouren an einer Reform der wirtschaftspolitischen Steuerung gearbeitet. Im November vergangenen Jahres hat die EU-Kommission erste Reformvorschläge skizziert, konkrete Gesetzesinitiativen sollen im ersten Halbjahr 2023 folgen. Was wie ein Thema für Insider klingt, hat es aber in sich. Es geht darum, die Stellschrauben für die Finanzpolitik der Mitgliedstaaten neu zu justieren. 

Ein zentraler Aspekt ist dabei die Stärkung öffentlicher Investitionen. Je nachdem, wie die Details der Reform ausfallen, werden die Mitgliedstaaten in den nächsten Jahren mehr oder weniger Spielraum haben, um mit öffentlichen Investitionen die sozial-ökologische Transformation zu finanzieren. Hier gehen die Reformvorschläge nicht so weit, wie Gewerkschaften und andere zivilgesellschaftliche Organisationen es sich gewünscht hätten. Eine goldene Regel für öffentliche Investitionen, wonach Nettoinvestitionen durch Kreditaufnahme finanziert werden können, ist nicht Bestandteil des Reformvorschlags. Dennoch beinhalten die Vorschläge der Kommission wichtige Neuerungen im Bereich der Investitionspolitik. Ob diese ausreichen, um die immense Investitionslücke zu schließen, hängt von vielen Details ab. Unter anderem auch davon, ob die Vorschläge von weiteren, auch industriepolitischen Maßnahmen flankiert werden.  

Aus gewerkschaftlicher Perspektive ist im anstehenden Reformprozess ein weiterer Aspekt zentral: Im Kontext der COVID-19-Pandemie und der Energiekrise sind die Schuldenstände in vielen Mitgliedstaaten deutlich gestiegen. Das heißt, der Konsolidierungsdruck auf die Haushalte der Mitgliedstaaten wird in den nächsten Jahren deutlich zunehmen. Währenddessen hat die Europäische Zentralbank in den letzten Monaten eine historisch einmalige geldpolitische Straffung vollzogen und das Ende der Fahnenstange scheint noch lange nicht erreicht zu sein. Dabei haben sich die Refinanzierungskosten der Mitgliedstaaten schon jetzt deutlich erhöht. Hinzu kommt, dass die Inflationsraten im Euroraum insbesondere zwischen Ost- und Westeuropa zunehmend auseinanderdriften, was das Funktionieren der einheitlichen Geldpolitik erschweren könnte. Die Situation in der Währungsunion ist also mehr als angespannt und eine erneute Währungskrise ist nicht ausgeschlossen.

Viele erinnern sich noch genau an die letzte Eurozonenkrise und die darauffolgende Sparpolitik, die durch die sogenannten Troika aus EU-Kommission, Europäischer Zentralbank und dem IWF verordnet wurde. Für die Gewerkschaften ist klar: Nie mehr sollte eine technokratische Institution wie die Troika die Mitgliedstaaten unter Druck setzen, um Rentenkürzungen, Lohneinsparungen im öffentlichen Dienst und eine Schwächung der Tarifbindung umzusetzen. Eine Reform der EU Economic Governance muss deshalb so ausgestaltet werden, dass dieses Mal eine rigide Sparpolitik effektiv ausgeschlossen ist.

Natürlich muss es in einer Währungsunion Regeln geben, die sicherstellen, dass die Mitgliedstaaten der Währungsunion eine tragfähige Haushaltspolitik verfolgen. Nach der Finanzkrise wurde der Bogen aber deutlich überspannt. Die von der Troika verordnete Sparpolitik hatte fatale soziale Folgen. Gleichzeitig wurde das Ziel der Haushaltskonsolidierung nicht erreicht, weil die Strukturreformen auch das wirtschaftliche Wachstum dämpften. Wissenschaftliche Studien belegen mittlerweile, dass das Euro-Regime – also die Institutionen und Regeln der Währungsunion – einen enormen makroökonomischen Anpassungsdruck ausgeübt hat, der zu Lasten der Beschäftigten ging. Das galt nicht nur für die sogenannten Programmländer, die Finanzhilfen aus dem Europäischen Stabilitätsmechanimus bekamen, sondern auch für viele Kernländer der Währungsunion.

Kann das von der EU-Kommission vorgeschlagene Regelwerk verhindern, dass es zu einer Austeritätspolitik 2.0 kommt und Strukturreformen forciert werden, die einseitig auf eine Stärkung der preislichen Wettbewerbsfähigkeit setzen, welche vor allem darauf abzielt, Löhne und soziale Rechte zu schwächen? Die Antwort darauf fällt gemischt aus. Fakt ist, dass die EU-Kommission eine leichte Abkehr von einer regelbasierten Fiskalpolitik vorschlägt. Das heißt: Politische Verhandlungen zwischen den Mitgliedstaaten und der EU-Kommission sollen ins Zentrum der wirtschaftspolitischen Koordinierung rücken. Der Schuldenabbaupfad soll nicht mehr „mechanisch“ auf der Basis makroökonomischer Eckwerte ermittelt, sondern in einem Aushandlungsprozess mit den Mitgliedstaaten vereinbart werden. 

Das bedeutet auch, dass der Ermessensspielraum der EU-Kommission in der EU-Fiskalpolitik deutlich steigt. Würden die Reformen so umgesetzt, wie von der Kommission vorgeschlagen, käme das einem Freibrief für die EU-Kommission gleich. Damit hätte sie die Befugnisse, den Mitgliedstaaten eine Haushaltspolitik nach ihrem eigenen Gusto zu verordnen. Denn die Kommission definiert die Parameter der Schuldentragfähigkeitsanalyse und formuliert im Wesentlichen die länderspezifischen Empfehlungen, welche die Mitgliedstaaten umsetzen müssen, um eine Verlängerung des Schuldenabbaus gestattet zu bekommen. Außerdem führt sie die Verhandlungen mit den Mitgliedstaaten über die Vier-Jahrespläne in denen Ausgabenpfade, Strukturreformen und Investitionsvorhaben fixiert und nur in Ausnahmefällen verändert werden. Können sich die EU-Kommission und die Mitgliedstaaten nicht einigen, soll automatisch die von der EU-Kommission definierte Ausgabenobergrenze gelten.

Welche konkreten Politikinhalte daraus folgen, ist offen. Einerseits kann der Fokus auf politische Verhandlungen eine Chance darstellen. Eine solche Vorgehensweise könnte eine stärkere Differenzierung der fiskalpolitischen Vorgaben zur Folge haben. Länderspezifische Herausforderungen könnten beim Schuldenabbau stärker berücksichtigt werden. Richtig umgesetzt könnte so mit den Mitgliedstaaten ein behutsamer Schuldenabbau vereinbart werden, der mehr Spielraum zur Finanzierung öffentlicher Investitionen lässt und Wachstumsimpulse setzt. Damit könnten die Kommissionvorschläge ein Türöffner für eine flexiblere Anwendung der Regeln sein. Es ist genau dieses Szenario, dass das Bundesfinanzministerium offensichtlich fürchtet, wenn es unterstreicht, dass Fiskalregeln nicht zur Verhandlungssache werden dürfen.

Andererseits ist auch ein umgekehrtes Szenario denkbar: Man stelle sich vor, die makroökonomischen Bedingungen verschlechtern sich weiter zum Nachteil der hochverschuldeten Mitgliedstaaten. Die Finanzierungsbedingungen trüben sich ein und Spekulanten fangen an auf den Staatsbankrott Italiens zu wetten. Die EU-Kommission stünde gewaltig unter Druck die Mitgliedstaaten dazu zu bringen, ihre Sparanstrengungen zu erhöhen. Oder: die politischen Mehrheitsverhältnisse innerhalb der EU-Kommission ändern sich und neoliberale Hardliner definieren die länderspezifischen Empfehlungen und säßen am Verhandlungstisch. Nichts kann die EU-Kommission daran hindern, wieder eine rigide Sparpolitik in den Mitgliedstaaten zu forcieren und anders als vor zehn Jahren, hat sie jetzt eine ganze Reihe an Sanktionsmöglichkeiten, um die Umsetzung ihrer Politikempfehlungen durchzusetzen. Sie kann den Mitgliedstaaten mit dem Entzug von Strukturfondsmitteln und Geldern aus der Aufbau- und Resilienzfazilität drohen und finanzielle Strafen verhängen. Jetzt sollen auch noch weitere Sanktionen dazu kommen, die darauf abzielen, die Reputation des betreffenden Mitgliedstaates zu treffen.

Das Problem der Reformagenda der EU-Kommission besteht aus Sicht der Gewerkschaften nicht darin, dass die EU-Fiskalpolitik stärker zur Verhandlungssache wird, sondern daran, dass sie in einer politischen Arena verhandelt wird, die sich jeglicher demokratischen Kontrolle entzieht. Mit anderen Worten: Es ist gut, wenn die zukünftige europäische Fiskalpolitik stärker von politischen Aushandlungsprozessen geprägt ist und weniger von einer mechanischen Regelanwendung. Die Fiskalpolitik ist keine technische Angelegenheit, die man an Experten delegieren kann. Wie Mark Dawson und Adina Marikut-Akbik unterstreichen, wendet die EU-Kommission in diesem Bereich bislang Methoden an, welche eher dem Selbstverständnis einer unabhängigen Regulierungsbehörde entsprechen, die über technische Sachverhalte zu befinden hat. Diese Steuerungsmechanismen passen nicht zu den hoch politischen Inhalten, die im Rahmen der wirtschaftspolitischen Koordinierung verhandelt werden. Der technokratische Charakter der politischen Steuerung hat unter anderem auch dazu beigetragen, dass die EU-Vorgaben im Bereich der Fiskalpolitik in den Mitgliedstaaten häufig als „von Brüssel auferlegt“ wahrgenommen und nicht effektiv umgesetzt wurden. 

Mehr politische Verhandlungen sind also der richtige Weg, diese müssen aber demokratisch eingebettet werden. Der Deutsche Gewerkschaftsbund fordert deshalb in einer aktuellen Stellungnahme, dass bei den anstehenden Reformen auch die politischen Steuerungsmechanismen der EU Economic Governance auf den Prüfstand kommen. Die anstehende Reform muss begleitet werden von einer umfassenden Demokratisierung.

Der DGB fordert unter anderem, dass erstens der Gesetzesvorschlag, den die EU-Kommission voraussichtlich in der ersten Jahreshälfte 2023 vorlegen wird, in einem ordentlichen Gesetzgebungsverfahren unter Beteiligung des EU-Parlaments verabschiedet wird. Zweitens müssen im zukünftigen Gesetzestext Mindeststandards der parlamentarischen Einbindung bei der Erstellung der Vier-Jahrespläne definiert werden. Auch eine effektive Einbindung der Sozialpartner und anderer zivilgesellschaftlicher Organisationen muss sichergestellt werden. Drittens muss die Rolle des Europäischen Parlaments im Europäischen Semester für die Koordinierung der Wirtschaftspolitik aufgewertet wird. Unter Einbeziehung des Europäischen Parlaments sollten Prozesse installiert werden, die sicherstellen, dass die Reformempfehlungen der EU-Kommission nicht gegen grundlegende Politikziele der EU wie den Green Deal oder die Europäische Säule sozialer Rechte verstoßen. Viertens muss eine Änderung der Vier-Jahrespläne bei einem Regierungswechsel oder eine Veränderung der makroökonomischen Bedingungen problemlos möglich ist. Auch eine Erhöhung der Staatsausgaben muss bei einer entsprechenden steuerlichen Gegenfinanzierung unkompliziert möglich sein, ohne den gesamten Prozess neu aufrollen zu müssen. Und fünftens müssen die Details der Schuldentragfähigkeitsanalyse in einem transparenten und demokratischen Verfahren bestimmt werden. 

Im Ergebnis würde eine stärkere Demokratisierung und Politisierung der europäischen Fiskalpolitik auch gewerkschaftliche Machtressourcen stärken. Wenn Politikentscheidungen nicht auf der Basis vermeintlich objektiver Daten von Experten getroffen werden, sondern im politischen Raum darüber verhandelt und gestritten wird, können wir unsere etablierten Netzwerke und Einflusskanäle nutzen, um unseren politischen Forderungen Gehör zu verschaffen. 

Gleichwohl ist klar, dass eine Demokratisierung nicht alle Probleme der Währungsunion lösen wird. Es bleibt das Problem, dass Mitgliedstaaten der Währungsunion dem Druck der Märkte im besonderen Maße ausgesetzt sind, weil es so etwas wie einen Kreditgeber der letzten Instanz nicht gibt. Dieses strukturelle Problem ließe sich nur lösen, wenn man Eurobonds einführt – eine Maßnahme für die sich der DGB seit langem einsetzt. Und natürlich ist eine Demokratisierung keine Garantie für eine bessere soziale Balance bei den Politikempfehlungen der EU-Kommission. Aber die Stärkung der demokratischen Kontrolle kann zumindest dazu führen, dass technokratische Fehlentscheidungen in der Öffentlichkeit stärker in Frage gestellt und kritisiert werden. Die Kontrolle über die Staatsfinanzen gehört zum Königsrecht der Parlamente. Auf europäischer Ebene muss dieser Grundsatz endlich umgesetzt werden. IPG 10

 

 

 

 

Italien könnte Partnerschaft mit China aufgeben

 

Die italienische Regierung zeigt sich weiter unentschlossen darüber, ob man eine Partnerschafts-Erklärung zwischen Rom und Peking, die im nächsten Jahr ausläuft, erneuern will. Von: Federica Pascale

 

Im Jahr 2019 hatte die frühere Regierung von Giuseppe Conte die Absichtserklärung mit China unterzeichnet. Italien hat sich seitdem Chinas Gruppe von Partnerländern im Rahmen der „neue Seidenstraße“ angeschlossen und war damit einer der ersten EU-Mitgliedstaaten, die hieran teilnahmen.

Das Abkommen, das bis März 2024 gilt, soll die politischen Beziehungen und den Handel zwischen Rom und Peking stärken und umfasst Dutzende von Vereinbarungen zwischen Institutionen und Unternehmen. Der Austritt aus dem Abkommen müsste mindestens drei Monate vorher schriftlich angekündigt werden, sonst verlängert es sich automatisch um weitere fünf Jahre.

Der Handel zwischen Italien und China hat in den letzten drei Jahren „neue Rekorde aufgestellt und erreichte im Jahr 2022 ein Volumen von 73,55 Milliarden Euro, womit Rom unter den Ländern, die Handelsbeziehungen mit China unterhalten, auf europäischer Ebene an der Spitze steht“, erklärte der chinesische Botschafter in Italien Jia Guide.

Laut Silvia Menegazzi, Professorin für Chinastudien an der LUISS Guido Carli Universität, haben sich jedoch die Rahmenbedingungen sowie die Wahrnehmung Chinas durch den Westen verändert.

„Aus politischer Sicht hat das Abkommen der Regierung Conte bereits im Jahr 2019 offensichtliche Schwierigkeiten bereitet, obwohl es für die italienische Wirtschaft von großem Nutzen war“, sagte sie gegenüber EURACTIV Italien.

Ein geleaktes Dokument skizziert das Ausmaß, in dem China im Rahmen seiner „Neuen Seidenstraße“ künftig in Italien investieren und mit Rom bei Infrastrukturprojekten kooperieren will.

„Heute hat sich der internationale Kontext erheblich verändert, und die Rolle Chinas ist eine andere. Das kann die politische Debatte nur weiter verschärfen, während sich die Regierung Meloni in einer Sackgasse befindet“, so Menegazzi.

Die einfachste Lösung sei, das Abkommen selbst zu verlängern, da ein Ausstieg mehr Schlagzeilen machen würde.

Schließlich „profitieren alle von den Geschäften mit China“, so die Professorin.

Regierung uneins

Vor ihrer Wahl war Meloni dafür bekannt, China gegenüber distanziert eingestellt zu sein, sie bezeichnete das Abkommen zwischen Conte und China damals als „großen Fehler.“

Als Premierministerin scheint sie nun jedoch vorsichtiger zu sein, wenn es darum geht, klar Position zu beziehen.

„Wenn ich morgen früh die Verlängerung dieses Memorandums unterzeichnen müsste, würde ich kaum die politischen Bedingungen sehen“, sagte Meloni im September gegenüber der taiwanesischen Nachrichtenagentur Cna und bezog sich dabei auf die geplante Verlängerung im Jahr 2024.

„Ich hoffe, die Zeit wird Peking dazu dienen, seinen Ton zu mäßigen und etwas Konkretes für die Achtung der Demokratie, der Menschenrechte und der internationalen Legalität zu tun“, betonte sie und übte scharfe Kritik an den von China verursachten Spannungen in Taiwan.

In diesen Tagen jedoch, so Meloni, werde das China-Dossier „noch ausgewertet.“ In ihrer Partei hätten sich einige Mitglieder skeptisch gegenüber Peking geäußert.

Landwirtschaftsminister Francesco Lollobrigida sagte, die Regierung werde „mit viel Umsicht“ handeln, was unter der Regierung Conte nicht der Fall gewesen sei.

China biete „Vorteile, da es ein sehr wichtiger Handelspartner ist, aber auch Nachteile: ein Entwicklungsmodell, das sich von unserem unterscheidet, andere Regeln für die Achtung der Arbeitnehmerrechte, eine andere Herangehensweise an den russisch-ukrainischen Konflikt, an das Klima und an Afrika“, sagte er.

„Wir müssen uns im Einklang mit den europäischen Staaten und auch mit den Vereinigten Staaten, mit den NATO-Ländern, bewegen, denn ein Bündnis ist ein Bündnis, nicht nur ein militärisches“, sagte Lollobrigida in einem Interview mit Il Messaggero.

Im November 2022 sagte Verteidigungsminister Guido Crosetto, dass die Position von Melonis Partei Fratelli d’Italia feststehe, das Abkommen nicht zu verlängern.

„Unsere Position wird sich nicht ändern, daher halte ich eine mögliche Verlängerung für unwahrscheinlich“, sagte Crosetto gegenüber Il Foglio, nachdem Meloni im November am Rande des G20-Gipfels auf Bali den chinesischen Premierminister Xi Jinping getroffen hatte.

Crosetto betonte, dass Italien die wirtschaftliche Zusammenarbeit mit China nicht vernachlässigen dürfe, da es bestrebt sein sollte, die Exporte nach Peking zu steigern, jedoch vermeiden müsse, dass die Handelsbeziehungen „zu einseitig“ seien.

Der ehemalige Botschafter Giulio Terzi di Sant’Agata, jetzt Senator für die Fratelli d’Italia, erklärte gegenüber Formiche.net: „Ich möchte nicht einmal in Erwägung ziehen, dass es zum Zeitpunkt des Ablaufs der Frist keine gründliche Überprüfung und enge Konsultation mit den europäischen und atlantischen Partnern geben wird, um die Gewichte mit Peking neu zu verteilen.“

Der Minister für Unternehmen und Made in Italy, Adolfo Urso, hat ebenfalls wiederholt gewarnt, dass eine technologische Abhängigkeit von Peking um jeden Preis vermieden werden sollte, um nicht den gleichen Fehler zu begehen, den man mit Wladimir Putins Russland in Sachen Gas gemacht habe.

In Bezug auf den Welthandel sagte Urso, dass China versuche, „unsere Demokratien zu unterwerfen“ und man sich dessen bewusst sein müsse.

„Positive“ Gespräche

Im Februar dieses Jahres traf Chinas oberster Diplomat Wang Yi in Rom mit Vizepremier und Außenminister Antonio Tajani zusammen.

Tajani bezeichnete die Gespräche, die sich auf den Handelsaustausch und den Menschenrechtsdialog konzentrierten, als positiv bezeichnete, jedoch erklärte, für Diskussionen über eine Verlängerung des Abkommens sei es „zu früh.“

„Wir evaluieren das Abkommen“, erklärte der Minister kürzlich.

Mit Peking habe man „gute Beziehungen, wir sehen, dass es viele Formen der Zusammenarbeit gibt, auch im Handel“, so Tajani. „Wir müssen mit allen gute Beziehungen haben, aber Indien wird immer mehr zu einem strategischen Partner Italiens in diesem Bereich“.

Nach Ansicht von Menegazzi ist Indien, das vom Westen in den letzten zwei Jahren als nützliches Gegengewicht zum Aufstieg Chinas angesehen wurde, jedoch in mehreren Bereichen kein idealer Partner.

„Indien vertritt in wichtigen Fragen, vom Krieg bis zum Handel, oft eine eindeutige Position. Es hat seine eigenen Interessen, die sich meistens nicht mit denen der westlichen Länder decken“, sagte sie gegenüber EURACTIV Italien.

EU ändert ihren Ton

Der Krieg in der Ukraine und die mühsame Abnabelung von russischem Öl und Gas haben viele EU-Länder dazu veranlasst, wirtschaftliche Abhängigkeiten von einzelnen Ländern infrage zu stellen.

In dem Bemühen, denselben Fehler in Zukunft nicht zu wiederholen, überprüft die EU nun ihre Handelsbeziehungen zu China.

Premierminister Edi Rama sagte, dass die 17+1 Wirtschaftskooperation zwischen China und den osteuropäischen Ländern keine wirtschaftlichen Vorteile mit sich bringe, aber Albanien werde in der Gruppe bleiben, um den Dialog mit Peking aufrechtzuerhalten

Peking sah sich gezwungen, sich gegen den Vorwurf der „Schuldenfallen-Diplomatie“ zu wehren, weil es Ländern und Projekten, die nicht realisierbar waren, erhebliche Summen geliehen hat. Im Fall von Montenegro hätte die Unfähigkeit des Landes, seine Raten zurückzuzahlen, fast dazu geführt, dass es einen Teil seines Territoriums abtreten musste, bis drei internationale Banken intervenierten.

China beteuert jedoch, dass es sich nicht auf solche Schuldenfallen einlasse.

Europa ist bei vielen kritischen Rohstoffen, die als entscheidend für den Erfolg des grünen und digitalen Wandels gelten, stark von China abhängig. China liefert beispielsweise 86 Prozent der weltweiten Versorgung mit Seltenen Erden – ein entscheidendes Element für Autobatterien.

Die EU plant, in Kürze ihre Akte zu kritischen Rohstoffen vorzulegen, mit der die Abhängigkeit von nicht-demokratischen Staaten verringert und die europäische Autonomie gestärkt werden soll. EA 10

 

 

 

 

Studie. Deutschland verliert im Werben um Fachkräfte an Boden

 

Wie attraktiv ist Deutschland für internationale Fachkräfte und Unternehmen? Das hat eine Studie beleuchtet und festgestellt: Die Bundesrepublik fällt zurück, weil andere Staaten besser werden. Grund sind vergleichsweise schlechtere berufliche Chancen, komplizierte Visaverfahren sowie geringere Akzeptanz von Migranten.

Deutschland verliert laut einer Studie im Kampf um hochqualifizierte Fachkräfte und Start-up-Gründer weiter an Boden. Nach einer Auswertung der Bertelsmann Stiftung ist die Bundesrepublik unter den 38 Ländern der Organisation für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung, kurz OECD, seit 2019 beim Ansehen von Platz 12 auf 15 zurückgefallen. Das teilten Stiftung und OECD gemeinsam am Donnerstag in Berlin mit.

Bewertet wurden dazu in einem Index die Rahmenbedingungen, die für qualifizierte Migranten attraktiv sind. Dabei geht es um berufliche Chancen, Einkommen und Steuern, Zukunftsaussichten, Möglichkeiten für Familienmitglieder oder die Visavergabe.

Die OECD-Staaten Neuseeland, Schweden, Schweiz, Australien und Norwegen sind laut Index am attraktivsten für hochqualifizierte Fachkräfte. Die Bedingungen in Deutschland haben sich demnach zwar seit der letzten Auswertung im Jahr 2019 nicht verschlechtert, aber andere Länder haben zugelegt und damit Deutschland in der Rangliste überholt.

Akzeptanz von Migranten geringer ausgeprägt

Für Unternehmer liegen Schweden, die Schweiz, Kanada, Norwegen und Neuseeland ganz vorne. Hier ist Deutschland vom 6. auf den 13. Platz abgerutscht. Hauptärgernis sei die schleppende Digitalisierung. Und anders als andere Länder fordere Deutschland ein Mindestkapital. Außerdem sei die Akzeptanz von Migranten geringer ausgeprägt.

Erstmals wurden 2023 für den OECD-Index auch die Rahmenbedingungen für Unternehmensgründer untersucht. Hier haben Kanada, USA, Frankreich, Großbritannien und Irland die größte Anziehung. Deutschland liegt abgeschlagen auf Platz 12. Als Gründe sehen die Studienautoren hier geringe berufliche Chancen, zu wenige Erfinder und fehlende maßgeschneiderte Visa.

Studienstandort Deutschland weiter attraktiv

„Deutschland braucht zur Sicherung seines Wohlstands Fachkräfte, auch aus dem Ausland. Der internationale Vergleich zeigt deutlich, was Deutschland tun muss, um die für unser Land so wichtige Fachkräftemigration noch besser zu gestalten“, sagt Ralph Heck, Vorstandsvorsitzender der Bertelsmann Stiftung zum Ergebnis der Studie.

Positiver ist das Bild bei der Hochschulbildung. Hinter den USA liegt Deutschland auf Platz 2, wenn es um die Attraktivität für Studierende aus der ganzen Welt geht. Im Kampf um internationale Talente folgen Großbritannien, Norwegen und Australien auf den Plätzen 3 bis 5. Deutschland punktet hier mit herausragenden Universitäten, geringen Kosten für das Studium und guten Arbeits- und Bleibemöglichkeiten, wie die Stiftung mitteilte. (dpa/mig 10)

 

 

 

 

Macron will Recht auf Abtreibung in französische Verfassung aufnehmen

 

Der französische Präsident Emmanuel Macron spricht sich dafür aus, das Recht auf Abtreibung in der Verfassung zu verankern, und plant, in den nächsten Monaten einen entsprechenden Gesetzentwurf ins Parlament einzubringen. Von: Clara Bauer

 

Macrons Ankündigung kam am Mittwoch (8. März), dem Internationalen Frauentag. Gleichzeitig würdigte der französische Präsident die verstorbene Anwältin und Feministin Gisèle Halimi, aufgrund deren Kampagne in den 1970er Jahren die ersten Abtreibungsgesetze in Frankreich durchgesetzt wurden.

„Heute möchte ich, dass die Kraft ihres Kampfes uns hilft, unsere Verfassung zu ändern, um die Freiheit der Frauen zur Abtreibung zu verankern“, sagte er.

Der Gesetzesentwurf solle „in den nächsten Monaten“ eingebracht werden, so Macron. Dieser werde sich eng an einen Gesetzesvorschlag des Senats vom Februar anlehnen.

Die Ankündigung sei „ein Sieg für die Feministinnen“, die überwältigende Mehrheit von 80 Prozent der Franzosen unterstütze den Gesetzentwurf, erklärte die Frauenstiftung, eine Nichtregierungsorganisation, in einer Pressemitteilung.

„Ohne den Zugang zu einer kostenlosen und sicheren Abtreibung gibt es keine Gleichberechtigung zwischen Männern und Frauen“, heißt es in der Erklärung der NGO weiter.

Wenn Macrons Vorschlag alle gesetzgeberischen Hürden überwindet, wäre Frankreich das erste Land der Welt, das das Recht auf Abtreibung in der Verfassung verankert – ein Schritt, der dieses Recht auch vor der Beschneidung durch zukünftigen Regierungen schützen würde.

Zuletzt hatte im vergangenen Sommer der Oberste Gerichtshof der USA den Bundesstaaten erlaubt, Abtreibungsrechte gesetzlich zu regeln, und damit den bundesstaatlichen Schutz des Rechts auf Schwangerschaftsabbruch aufgegeben.

In der EU erlauben alle Mitgliedsstaaten außer Malta Abtreibungen, wenn auch teils mit großen Hürden und Hindernissen.

Während Malta Schwangerschaftsabbrüche ausnahmslos unter Strafe stellt, müssen Frauen, die abtreiben wollen, in Ungarn zunächst den Herzschlag des Fötus anhören, während in Polen eine Abtreibung nur dann erlaubt ist, wenn die Frau in Lebensgefahr schwebt oder wenn die Schwangerschaft das Ergebnis einer Vergewaltigung ist.

Damit das von Macron vorgeschlagene Abtreibungsgesetz in Kraft treten kann, ist sowohl in der Nationalversammlung als auch im Senat eine Zweidrittelmehrheit erforderlich. Sollte diese nicht erreicht werden, kann Macron stattdessen ein Referendum zu dem Thema ansetzen. EA 9

 

 

 

 

Neues britisches Asylgesetz geht an Grenzen internationalen Rechts

 

Üblicherweise haben Schutzsuchende in Europa das Recht, Asyl zu beantragen. Doch Großbritannien will dieses Recht soweit wie möglich einschränken. Die radikalen Pläne stoßen auf Entsetzen - der Sprachgebrauch erinnert an Debatten in Deutschland.

Mit ihrer geplanten Verschärfung der Asylgesetze begibt sich die britische Regierung auf einen umstrittenen Kurs. Man werde „die Boote stoppen, die Zehntausende an unsere Küsten bringen“, sagte Innenministerin Suella Braverman, die das neue Gesetz am Dienstag ins Londoner Unterhaus einbrachte. „Wir haben die Grenzen des internationalen Rechts ausgereizt, um diese Krise zu lösen“, bekannte sie zuvor im Gespräch mit dem „Telegraph“.

Konkret sollen fast alle Ankommenden, die ohne offizielle Erlaubnis einreisen, zunächst in Unterkünften wie früheren Militärbasen oder Studierendenheimen festgehalten. Premierminister Rishi Sunak sagte am Abend vor Journalisten, die Betroffenen sollten „binnen Wochen“ nach Ruanda oder in andere Staaten ausgewiesen werden. Das Recht, Asyl zu beantragen, soll ihnen entzogen werden. Die Pläne könnten gegen die Europäische Menschenrechtskonvention verstoßen. Sunak betonte, er sei bereit, seine Pläne vor Gericht durchzuboxen.

„Illegale“

Die konservative britische Regierung bezeichnet die Ankünfte als illegal – so wie es auch in Deutschland gepflegt wird. Nach der UN-Flüchtlingskonvention hat jedoch jeder Verfolgte das Recht, in einem sicheren Land seiner Wahl Asyl zu beantragen – unabhängig davon, wie er dort hingelangt. Diese Vereinbarung gilt auch für Großbritannien.

Sunak verteidigte das Vorhaben. Falls die nicht erwünschte Zuwanderung nicht gestoppt werden könne, schränke dies die Möglichkeit ein, echten Geflüchteten in Zukunft zu helfen, sagte er. „Ich verstehe, dass es Diskussionen über die Härte dieser Maßnahmen geben wird. Ich kann nur sagen, wir haben es auf jede andere Weise versucht und es hat nicht funktioniert.“

„Invasion“

Innenministerin Braverman sagte: „Sie werden erst dann aufhören, hierher zu kommen, wenn die Welt weiß, dass jeder, der illegal nach Großbritannien einreist, verhaftet und schnell abgeschoben wird.“ Braverman hatte die Ankünfte einst als „Invasion“ bezeichnet. Tatsächlich gibt es für Menschen, die ins Vereinigte Königreich flüchten, kaum legale Wege ins Land.

Mit Ruanda hat Großbritannien bereits einen umstrittenen Pakt geschlossen und dem Land dafür 140 Millionen Pfund (derzeit rund 156 Millionen Euro) gezahlt. So sollen Migranten in Ruanda Asyl beantragen und – wenn es ihnen gewährt wird – dort leben können. Eine Rückkehr nach Großbritannien ist nicht vorgesehen. Da der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte einschritt, gab es bisher aber keine Abschiebeflüge von Großbritannien nach Ruanda.

Empörung

Opposition und Menschenrechtler reagierten empört: Großbritannien verrate seine Verpflichtung im Rahmen der Genfer Flüchtlingskonvention, Menschen unabhängig von ihrem Ankunftsweg eine faire Anhörung zu gewähren, kritisierte der britische Flüchtlingsrat. Der Chef der Labour-Partei, Keir Starmer, zweifelte an, dass die Pläne rechtlich überhaupt Bestand haben werden.

„Das Gesetz wird Menschen nicht davon abhalten, den Ärmelkanal zu überqueren. Es wird nur das Trauma der Menschen in diesen Booten vergrößern und Großbritanniens Ruf weltweit schädigen“, sagte Laura Kyrke-Smith von der Rettungsorganisation International Rescue Committee UK.

„Ping-Pong“

Bis das Gesetz tatsächlich in Kraft tritt, könnten Monate vergehen. Es wird mit Widerstand im Oberhaus gerechnet, was ein „Ping-Pong“ zwischen beiden Kammern auslösen könnte.

In diesem Jahr kamen der britischen Nachrichtenagentur PA zufolge bisher fast 3000 Migranten über den Ärmelkanal ins Land – 2022 waren es 45 755 und damit 60 Prozent mehr als im Vorjahr.

Priorität

Der Anstieg ist der Regierung in London seit langem ein Dorn im Auge. Den Zuzug einzuschränken und die Kontrolle über die eigenen Grenzen zu erhalten, war eines der Kernversprechen des Brexits. Premier Sunak hat dies zu einer der Prioritäten seiner Politik erklärt.

Sunak will am Freitag den französischen Präsidenten Emmanuel Macron treffen. Auf britischer Seite besteht die Hoffnung, auch durch stärkere Kontrollen auf französischer Seite die Überfahrten von Schutzsuchenden zu verhindern.

(dpa/mig 9)

 

 

 

 

So will die EU-Kommission den Zugang zu kritischen Rohstoffen sichern

 

Um die Autonomie der EU zu stärken, strebt die Europäische Kommission die Einführung von Zielvorgaben bei Abbau, Recycling und der Veredelung von kritischen Rohstoffen an. Je nach Bereich werden Zielvorgaben zwischen 10 und 40 Prozent vorgegeben. Von: Oliver Noyan

 

Ein von EURACTIV eingesehener Entwurf des EU-Gesetzes über kritische Rohstoffe, der am kommenden Dienstag (14. März) von der Europäischen Kommission vorgestellt werden soll, sieht Ziele für die Selbstversorgung Europas entlang der gesamten Wertschöpfungskette vor.

Die Verordnung zielt darauf ab, „die wachsenden Versorgungsrisiken der Union zu verringern, indem […] die Kapazitäten der Union auf allen Stufen der Wertschöpfungskette für strategische Rohstoffe, einschließlich Gewinnung, Verarbeitung und Recycling, gestärkt werden“, heißt es in dem Dokument.

Dem vorläufigen Gesetzesentwurf zufolge sollten „10 Prozent des Verbrauchs der Union an strategischen Rohstoffen“ in der EU abgebaut werden. Darüber hinaus sollten 15 Prozent des jährlichen Verbrauchs aller kritischen Rohstoffe in der Union aus Recycling stammen.

Die Kommission will sogar noch höhere Ziele setzen, wenn es um die Verarbeitung von als kritisch eingestuften Rohstoffen geht. Mindestens „40 Prozent des Jahresverbrauchs aller kritischen Rohstoffe“ sollten innerhalb der Union veredelt werden.

Gegenwärtig ist die EU in hohem Maße auf den Import von Rohstoffen, die als kritisch eingestuft werden, angewiesen. Bei 14 von 27 kritischen Rohstoffen ist die EU derzeit zu 100 Prozent von ausländischen Lieferanten abhängig und bei weiteren drei kritischen Rohstoffen zu 95 Prozent, wie ein Bericht des Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW) zeigt.

Da kritische Rohstoffe als Voraussetzung für den Erfolg der digitalen und Energiewende gelten, wird die Nachfrage laut Weltbank bis 2050 drastisch um rund 500 Prozent steigen. So sind beispielsweise Seltene Erden nicht nur ein notwendiger Bestandteil von Smartphones oder Computern, sondern auch von Autobatterien.

China-Klausel

Die EU ist derzeit besonders abhängig von China, das bei vielen dieser kritischen Rohstoffe eine Quasi-Monopolstellung innehat. So importiert die EU beispielsweise derzeit etwa 93 Prozent ihres Magnesiums und 86 Prozent ihrer Seltenen Erden aus der Volksrepublik.

Diesem Umstand wird in der Verordnung ebenfalls Rechnung getragen. Um potenzielle Versorgungsengpässe zu vermeiden und die Widerstandsfähigkeit zu erhöhen, will die EU „einen Richtwert festlegen, um bis 2030 bei keinem strategischen Rohstoff mehr als 70 Prozent der Importe von einem einzigen Drittland abhängig zu sein.“

Lieferengpässe aus China haben bereits 2021 die europäische Industrie gebremst, als China die Produktion für Magnesium, einem wesentlichen Material in der Aluminiumindustrie, drosselte.

Um diese Abhängigkeiten zu verringern, zielt das Gesetz über kritische Rohstoffe außerdem darauf ab, die europäische Lieferkette zu diversifizieren. Um die Diversifizierung voranzutreiben und die Versorgung zu stärken, beabsichtigt die Kommission auch, strategische Projekte in Drittländern zu identifizieren. Damit diese Projekte im Ausland angekurbelt werden, will die Kommission sie finanziell über die Global-Gateway-Strategie unterstützen – eine 300 Milliarden Euro schwere Initiative, die der chinesischen Belt and Road Initiative entgegenwirken soll.

Außerdem werden große Unternehmen aufgefordert, ihre bestehenden Lieferketten zu überprüfen und Strategien zu entwickeln, um besser auf Unterbrechungen in den Lieferketten vorbereitet zu sein.

Strategische Projekte

Das Gesetz über kritische Rohstoffe sieht auch eine Sonderbehandlung für Projekte vor, die als „strategisch wichtig“ eingestuft werden. Diese „strategischen Projekte“ werden von der Europäischen Kommission zusammen mit einem noch zu gründenden Europäischen Ausschusses für kritische Rohstoffe ermittelt.

Die strategischen Projekte werden von einem strafferen und vorhersehbaren Genehmigungsverfahren profitieren. Die langwierigen Genehmigungsverfahren gelten als eines der wesentlichen Hürden für die Umsetzung von europäischen Bergbauprojekten. Nach Angaben von Führungskräften der Industrie dauert es im Durchschnitt 10 Jahre, bis eine neue Mine in Betrieb genommen werden kann.

Das Gesetz über kritische Rohstoffe zielt auf eine drastische Verkürzung dieser Genehmigungszeit ab.

„Die Mitgliedstaaten sollten sicherstellen, dass das Genehmigungsverfahren für solche Projekte die vorgegebenen Fristen nicht überschreitet“, heißt es in dem Dokument.

„Für strategische Projekte sollte die Dauer des Genehmigungsverfahrens in Anbetracht der Komplexität und des Ausmaßes der potenziellen Auswirkungen keine zwei Jahre überschreiten“, heißt es weiter.

Diese strategischen Projekte werden auch zusätzliche finanzielle Unterstützung erhalten. Der Verordnungsentwurf geht davon aus, dass „private Investitionen allein nicht ausreichen“ und stellt fest, dass „die effektive Einführung von Projekten entlang der kritischen Rohstoffwertschöpfungskette öffentliche Unterstützung erfordern wird.“

Der Entwurf sieht vor, dass die Mitgliedsstaaten die finanziellen Lücken dieser Projekte füllen werden. „Diese öffentliche Unterstützung kann in Form von staatlichen Beihilfen erfolgen“, heißt es in dem Dokument, und es wird hinzugefügt, dass die jüngste Überarbeitung der EU-Beihilfevorschriften öffentliche Investitionen durch die Mitgliedsstaaten leichter ermöglichen würde. EA 8

 

 

 

 

Fachkräftemangel. Internationale Studierende sind Fachkräfte von morgen

 

Der Deutsche Akademische Austauschdienst (DAAD) fordert, mehr internationale Studierende als zukünftige Fachkräfte für den deutschen Arbeitsmarkt zu gewinnen. In einem heute veröffentlichten Positionspapier legt er dazu zehn Empfehlungen für ein gemeinsames Handeln von Politik, Hochschulen und Wirtschaft vor.Bonn. „Wir steuern in Deutschland seit mehreren Jahren auf eine immer größere Fachkräftelücke auf dem Arbeitsmarkt zu. Gleichzeitig wird die Bundesrepublik als Studienstandort immer beliebter: Wir liegen seit mehreren Jahren auf Rang 4 weltweit und führen die Liste bei den nicht-englischsprachigen Ländern an. Beide Entwicklungen müssen wir zusammendenken und internationalen Studierenden effektiver und in größerer Zahl den Weg in eine berufliche Karriere in Deutschland aufzeigen. Sie sind hochqualifiziert und gut integriert, ihr großes Potenzial als Fachkräfte sollten wir in Deutschland strategischer nutzen. Als DAAD sehen wir dabei Politik, Hochschulen und Wirtschaft in einer gemeinsamen Verantwortung“, sagte DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato Mukherjee. „Zugleich ist es für uns als Austauschorganisation unerlässlich, dass wir alle Aktivitäten zur Fachkräftegewinnung nach den Prinzipien einer fairen Migration gestalten.“

Verdopplung bis 2030

Pro Jahr beginnen derzeit rund 75.000 internationale Studierende ein Studium in Deutschland. Rund die Hälfte von ihnen belegt dabei einen Studiengang in den auf dem Arbeitsmarkt besonders nachgefragten MINT-Fächern (Mathematik, Informatik, Naturwissenschaft und Technik). Zehn Jahre nach einem erfolgreichen Studienabschluss lebt und arbeitet noch rund ein Drittel von ihnen in Deutschland: Bei den aktuellen Studienanfängerzahlen sind dies rechnerisch rund 25.000. Der DAAD sieht bei einem entschlossenen und gemeinsamen Vorgehen von Politik, Hochschulen und Wirtschaft die Chance, diese Zahl bis zum Jahr 2030 auf rund 50.000 zu verdoppeln.

Drei zentrale Stellschrauben

Um einen solchen Zuwachs zu erreichen, müssen politische und strukturelle Hindernisse für internationale Studierende systematisch abgebaut werden. Der DAAD empfiehlt daher Politik, Hochschulen und Wirtschaft drei zentrale Stellschrauben in den Blick zu nehmen, die es ermöglichen, noch systematischer internationale Absolventinnen und Absolventen deutscher Hochschulen als Talente für den Arbeitsmarkt zu gewinnen:

1. Die Zahl der internationalen Studienanfängerinnen und -anfänger muss weiter wachsen: Hierfür braucht es mehr weltweites Marketing für den exzellenten Studienstandort Deutschland, einfachere Einreisebedingungen, eine systematische Studienorientierung bereits im Heimatland und eine Reform des Hochschulzugangs in Deutschland.

2. Der Studienerfolg internationaler Studierender muss gesteigert werden: Derzeit liegt ihre Erfolgsquote noch deutlich unter der deutscher Studierender. Für eine Verbesserung müssen Unterstützungs- und Betreuungsangebote für internationale Studierende an den Hochschulen ausgebaut und die Hochschulen für diese Aufgaben finanziell besser ausgestattet werden. Zudem ist die Vermittlung guter Deutschkenntnisse für einen Erfolg auf dem Arbeitsmarkt unerlässlich.

3. Die Integration internationaler Studierender in den deutschen Arbeitsmarkt muss konsequent gefördert werden und muss bereits während des Studiums beginnen: Dazu bedarf es einer Stärkung der Kooperationen zwischen Wirtschaft und Hochschulen. Die Vermittlung arbeitsmarktrelevanter Kompetenzen sowie Praxisphasen und Karriereberatung während des Studiums sind hierbei ebenso wichtig wie der Ausbau von Integrationsstrukturen und Willkommenskultur in den Betrieben.

Förderprogramme und Faire Migration

Neben dem gemeinschaftlichen Engagement von Politik, Hochschulen und Wirtschaft braucht es passende Förderprogramme, um die deutschen Hochschulen als Motoren der Fachkräftezuwanderung zu stärken. Der DAAD hat der Bundesregierung dazu einen Vorschlag für ein Förderprogramm vorgelegt, das gezielt die Qualifikation internationaler Studierender und Nachwuchswissenschaftlerinnen und -wissenschaftler als Fachkräfte von morgen in den Blick nimmt.

Der DAAD steht beim Thema Fachkräfte zugleich zu seiner Verantwortung gegenüber den Partnerländern im Globalen Süden: Grundlage allen Engagements zur Fachkräftegewinnung sind die Prinzipien einer fairen Migration, die die Weiterentwicklung und den Nutzen sowohl für die jungen Menschen als auch die Herkunfts- und Gastländer mitdenkt. Daad 7

 

 

 

 

Seenotretter fordern Frontex-Stopp. Geflüchtete im Mittelmeer hätten gerettet werden können

 

In einem offenen Brief an den neuen Frontex-Direktor fordern 20 Organisationen ein Ende des Mittelmeer-Einsatzes. EU-Abgeordneter Markquardt wirft Frontex Mitschuld am Sterben im Mittelmeer vor. Die EU-Grenzschutzagentur bleibe bei Notfällen untätig.

20 Organisationen haben ein Ende des Mittelmeer-Einsatzes der EU-Grenzschutzagentur Frontex gefordert. „Ihre Agentur war in unzählige Skandale verwickelt“, schreiben die NGOs in einem offenen Brief an den neuen Frontex-Direktor Hans Leijtens. Darin zählen die Seenotrettungs- und Menschenrechtsorganisationen unter anderem die Beteiligung von Frontex an gewaltsamen und illegalen Zurückweisungen an der EU-Außengrenze auf sowie die Manipulation interner Berichte über Menschenrechtsverletzungen von Migranten.

Leijtens trat sein Amt als Frontex-Direktor am Mittwoch vergangener Woche an. Bei seiner ersten Pressekonferenz im Januar hatte der Niederländer ein Ende des Zurückdrängens von Migranten versprochen. „Ich bin dafür verantwortlich, dass meine Leute sich nicht an etwas beteiligen, das Pushback genannt wird.“ Zudem hatte er angekündigt, sich gerne mit den nichtstaatlichen Organisationen austauschen und Vertrauen wiederherstellen zu wollen.“

Die NGOs wollen in dem Brief an Leijtens unter anderem wissen, wie Frontex in Zukunft mit Informationen über Menschen in Seenot umzugehen gedenke. Denn obwohl seit 2015 fast ausschließlich Organisationen der Zivilgesellschaft im Mittelmeer Flüchtlingen in Seenot zu Hilfe kämen und Tausende Menschen gerettet hätten, informiere Frontex die privaten Seenotretter meist nicht, wenn Hilfe gebraucht werde. Stattdessen koordiniere die Agentur Pushbacks mit der sogenannten libyschen Küstenwache.

Markquardt: „Die Menschen hätten gerettet werden können.“

Zudem kritisierten die Organisation erneut die Zusammenarbeit von Frontex mit Libyen, mit der sich die Agentur an Menschenrechtsverletzungen beteilige. Die müssten aufgeklärt und somit verhindert werden, dass Beamte weiter mitverantwortlich für Verbrechen gegen die Menschlichkeit seien.

Bei einem Bootsunglück vor der italienischen Küste waren Ende Februar mindestens 60 Geflüchtete ums Leben gekommen. In diesem Zusammenhang war erneut Kritik an Frontex aufgekommen. Der EU-Abgeordnete Erik Markquardt etwa erklärte: „Lange vor dem Unglück wusste Frontex offenbar bereits von dem Boot, aber es wurde keine koordinierte Rettung eingeleitet. Die Menschen hätten gerettet werden können.“ (epd/mig 7)

 

 

 

 

EU-Beitrittsprozess: Albanischer Premierminister trifft Scholz

 

Der albanische Premierminister Edi Rama wird sich mit Bundeskanzler Olaf Scholz zu einem direkten Gespräch treffen, bei dem der sogenannte Berlin-Prozess und der EU-Beitritt Albaniens die bestimmenden Themen sein werden. Von: Alice Taylor

 

Deutschland und Albanien haben seit langem gute Beziehungen, und Rama stand Scholz‘ Vorgängerin Angela Merkel besonders nahe. Albanien hat im Sommer 2022 formell den EU-Beitrittsprozess begonnen.

Neben den Gesprächen über Albaniens Weg in die EU werden die beiden Staatsoberhäupter voraussichtlich auch über den Tourismus sprechen, unter anderem über die in Berlin stattfindende Tourismusmesse ITB, auf der albanische Reiseziele vorgestellt werden sollen.

Auf die Frage, wann Albanien seiner Meinung nach der EU beitreten wird, sagte Rama am Montag (6. März), der Prozess werde davon abhängen, wie schnell das Land in den einzelnen Verhandlungskapiteln Fortschritte machen könne.

„Im gesamten Integrationsprozess gibt es zwei Wege: einerseits den Weg über Brüssel und die Interaktion der Arbeitsgruppen und anderseits den Weg, diesen Prozess durch bilaterale Treffen zu unterstützen, um die notwendigen Erfahrungen und Kenntnisse zu sammeln“, sagte er.

Rama fügte hinzu, dass es vor allem darauf ankomme, dass Albanien gut und schnell lernt, denn wenn dies nicht der Fall sei, „wird es am Ende auf uns zurückfallen.“ „Wenn wir gute Lerner sind und schnell lernen, wird dies den Prozess beschleunigen“, sagte er.

„Aber es wird auch von der Entscheidung der Europäischen Union abhängen, die nicht nur technischer, sondern auch politischer Natur ist. Ich denke, man kann nicht um einen Führerschein bitten, wenn man nicht weiß, wie man ein Auto verleiht, denn das wird sich am Ende auf uns zurückführen lassen“, so Rama weiter.

„Dieser Prozess ist für unsere zukünftigen Generationen, und wir müssen ihn richtig machen, auch wenn es vielleicht viel mehr Zeit in Anspruch nimmt“, sagte er.

In einem Exklusivinterview mit EURACTIV im Dezember sagte Rama, die Beitrittskandidaten sollten die Erfüllung der EU-Beitrittskriterien nicht wie das Schummeln bei einem Test behandeln, und nannte als Beispiel ein „Nachbarland“, das er auf Nachfrage mit „Griechenland“ konkretisierte.

Die Äußerungen verbreiteten sich bald in ganz Griechenland, und der albanische Premierminister sprach das Thema bei einem bilateralen Treffen zwischen Rama und Mitsotakis auf dem EU-Westbalkangipfel in Tirana an.

„Es tut mir leid, dass ich etwas gehört habe, dass ich einige seltsame Dinge über Griechenland gesagt habe, darüber, wie es einige Dinge erreicht hat – vielleicht gehen wir zurück in die Zeit von Troja – aber das ist nichts, was die Gegenwart betrifft, und es betrifft in keiner Weise das heutige Griechenland“, sagte er.

„Wir sollten nicht vergessen, dass der Integrationsprozess ein individueller, leistungsorientierter Prozess ist“, sagte er in dem Interview.

„Wir müssen die Standards der Hausaufgaben-Kriterien erfüllen. Und es ist keine Prüfung, bei der man schummeln kann“, fügte er hinzu. Griechenland habe „Geld von Europa bekommen“, habe „eine Zeit des Überflusses gelebt“ und sei „dann wirklich schlecht geendet“.

Vor seinem Flug nach Deutschland empfing Rama die dänische Premierministerin Mette Frederiksen in der albanischen Hauptstadt Tirana. Dabei sprachen sie über die Spannungen in der Region und die Notwendigkeit einer Annäherung an die EU.

„Wir sollten uns alle der sehr fragilen Situation der Länder des westlichen Balkans bewusst sein“, sagte Frederiksen.

„Ich denke, dass Ihr Bekenntnis zu den europäischen Werten wichtig ist, und dies ist auch ein sehr wichtiger Teil der Aufnahme von Verhandlungen über die EU-Mitgliedschaft Albaniens. Ich weiß, dass es sich um eine große Aufgabe handelt, die viele Lösungen und Reformen erfordert, aber ich weiß, dass Sie dazu in der Lage sind, und wir unterstützen Sie nachdrücklich auf Ihrem Weg“, sagte Frederiksen. EA 7

 

 

 

Studie zum Weltfrauentag: Droht die Gleichstellung ins Stocken zu geraten?

 

Hamburg – Eine deutliche Mehrheit von 62 Prozent der Deutschen findet, dass derzeit eine Ungleichheit zwischen Frauen und Männern in Bezug auf soziale, politische und wirtschaftliche Rechte besteht. Allerdings sagen weitere 46 Prozent, dass in Deutschland hinsichtlich der Gleichstellung von Männern und Frauen schon genug getan wurde – ein Anstieg von 16 Prozentpunkten im Vergleich zur Studie aus dem Jahr 2019. Einige (39%) befürchten sogar, dass durch die Förderung der Gleichstellung nun Männer diskriminiert würden. Das zeigen die Ergebnisse einer weltweiten Studie anlässlich des Weltfrauentages, die vom Markt- und Meinungsforschungsinstitut Ipsos in Zusammenarbeit mit dem King’s College London durchgeführt wurde.

 

Große Meinungsunterschiede zwischen Männern und Frauen

Erwartungsgemäß ist der Anteil der Frauen bei den Befragten, die eine Geschlechterungleichheit in Deutschland sehen, mit 68 Prozent deutlich höher als der der Männer (57%). Bei der Frage, ob die Förderung der Gleichstellung von Frauen bereits so weit ging, dass nun Männer diskriminiert werden, stimmen die Hälfte aller deutschen Männer (49%), aber lediglich 30 Prozent der befragten Frauen zu. Frauen (38%) sind außerdem deutlich pessimistischer als Männer (49%), dass die Gleichstellung zwischen Männern und Frauen noch zu ihren Lebzeiten erreicht wird.

Ein ähnliches Meinungsbild zeigt sich bei der Zustimmung zur Aussage, dass von Männern zu viel erwartet wird, um Gleichberechtigung zu unterstützen. 51 Prozent der Männer (51%) und 36 Prozent der Frauen finden, dass dieses Statement zutrifft. Eine Mehrheit der Deutschen sieht jedoch die Beteiligung von Männern als entscheidend für die Geschlechtergerechtigkeit an. So sind 56 Prozent der Befragten der Meinung, dass Frauen in Deutschland keine Gleichstellung erreichen werden, wenn nicht auch die Männer für die Rechte der Frauen kämpfen.

 

Zustimmung zur Förderung der Gleichberechtigung sinkt seit Corona

Seit Ausbruch der COVID-19-Pandemie verschlechtern sich die Zustimmungswerte zur Förderung der Gleichberechtigung in Deutschland. Auch Teilaspekte dessen, wie beispielsweise die Akzeptanz von Männern, die zuhause bleiben und sich um die Kinder kümmern, sinkt. So stimmen inzwischen mehr als ein Viertel (27%) der Deutschen der Aussage zu, dass ein Mann, der zuhause bleibt und sich um die Kinder kümmert, nicht wirklich ein Mann sei. In der Umfrage des Jahres 2019 waren lediglich 18 Prozent dieser Meinung.

Außerdem trauen sich auch immer weniger Menschen, die Gleichberechtigung von Frauen öffentlich zu unterstützen. Aktuell berichten 29 Prozent der Deutschen, dass sie Konsequenzen befürchten, wenn sie für die Gleichberechtigung von Frauen eintreten. Im Jahr 2017 hatten nur 13 Prozent diese Befürchtung.

 

Etwas Optimismus bleibt

Dennoch sind 45 Prozent der Befragten in Deutschland davon überzeugt, dass es Maßnahmen gibt, die sie ergreifen können, um die Gleichstellung zwischen Frauen und Männern zu fördern. Das sind acht Prozentpunkte mehr als noch 2018. Nur 13 Prozent finden, dass es nichts gibt, was sie tun könnten, um wirklich etwas zu bewirken. Schließlich sind 42 Prozent der Ansicht, dass junge Frauen in Deutschland ein besseres Leben führen werden als die Generation ihrer Eltern. Lediglich 16 Prozent meinen, es werde ein schlechteres Leben, während weitere 31 Prozent der Ansicht sind, dass sich nichts ändern werde. Ipsos 7

 

 

 

Lufthansa und Ita. Win-Win für Deutschland und Italien

 

Die Lufthansa Group strebt eine Beteiligung an ITA Airways an. Eine weitere Airline, noch ein zusätzliches Drehkreuz – eine gute Idee? Ja! Italien wird über eine solide und international angebundene Airline verfügen, wenn die Synergien der LHG-Familie genutzt werden.    

  Traditionell ist Italien starker Anziehungspunkt für Privatreisende aus der ganzen Welt und zugleich ein wichtiges Geschäftsreiseziel aufgrund der stark exportorientierten Wirtschaft. Daher passt die italienische Fluglinie, die eine tiefgreifende Restrukturierung durchlaufen hat, mit ihrem Drehkreuz in Rom exzellent zum Streckennetz der Lufthansa Group. Bereits heute ist Italien nach den vier Heimatmärkten und den USA der wichtigste Markt für die Lufthansa Group.

Ende Januar haben Lufthansa und das italienische Ministerium für Wirtschaft und Finanzen (MEF) eine Absichtserklärung zum Erwerb von Anteilen an ITA Airways durch Lufthansa unterschrieben. Seitdem laufen die Verhandlungen über die Ausgestaltung einer möglichen Beteiligung, die kommerzielle und operative Einbindung der ITA in die Lufthansa Group und die sich daraus ergebenden Synergien.

Internationalisierung braucht Größe

Skeptiker befürchten eine zu hohe Komplexität bei einer weiteren Beteiligung. Doch Lufthansa hat bei den Übernahmen von SWISS, Edelweiss, Austrian Airlines, Brussels Airlines und Air Dolomiti bereits gezeigt, wie das für beide Seiten erfolgreich umgesetzt werden kann. Um als Luftfahrtunternehmen global erfolgreich zu sein, ist Größe entscheidend. Die Lufthansa Group mit ihren insgesamt elf Fluglinien ist dem Umsatz nach die viertgrößte Airline Gruppe der Welt – hinter den drei großen amerikanischen Airline Konzernen. Lufthansa allein liegt nicht einmal in der Top Ten der internationalen Konkurrenz. Unsere Airlines in Österreich, Belgien und der Schweiz stärken die Lufthansa und umgekehrt. Aus Sicht dieser einzelnen Länder ist es volkswirtschaftlich und industriepolitisch wichtig, ein stabiler Teil dieses Luftfahrtverbundes zu sein.

Eigenständige Airlines profitieren von den Synergien der Gruppe

Durch das Streckennetz der einzelnen Airlines sowie die fünf Drehkreuze in Frankfurt und München sowie Wien, Zürich und Brüssel hat sich die Lufthansa Group einen Heimatmarkt quer durch Mitteleuropa aufgebaut und bietet ein breites internationales Flugangebot. Der Vorteil: hohe Flexibilität bei der Routensteuerung und weniger Abhängigkeiten von einzelnen Standorten. Entscheidend für den Erfolg der Multi-Brand-Strategie ist, dass jede Marke für sich steht und ein eigenes Profil hat. Jede Konzernairline wird von einem Management vor Ort geführt und spricht Kundinnen und Kunden in ihren lokalen Märkten mit ihrer individuellen Identität und Marke an.

Jede Fluggesellschaft spielt damit ihre eigene Rolle im Netzwerk der Lufthansa Group. Lufthansa und SWISS bieten als Premium Carrier mit vielen Zielen – die in hoher Frequenz angeflogen werden – die höchste Konnektivität im Vergleich zu anderen europäischen Airlines. Austrian Airlines verbindet als National Carrier Österreich mit Europa und der Welt. Kernmarkt von Brussels Airlines ist Afrika mit 17 Zielen südlich der Sahara. Erfolgsrezept der Airlines aus Wien und Brüssel ist die Kombination aus einem qualitativ hochwertigen Angebot und niedrigen Kosten, um im Wettbewerb mit Low-Cost-Carriern auf ihren Heimatmärkten zu bestehen. Lufthansa Cityline bedient die Zubringer nach Frankfurt und München und kleinere Europastrecken. Eurowings ist der Value Carrier der Lufthansa Group und einer der größten Ferienflieger in Europa. Eurowings Discover ergänzt das touristische Programm von Lufthansa. Edelweiss stärkt das Angebot am Hub Zürich. Air Dolomiti bedient über das Drehkreuz München den norditalienischen Markt. ITA würde als integriertes Mitglied der LHG-Familie Italien international anbinden. LG 6

 

 

 

 

Positionspapier. Spitze der Unionsfraktion will „Bundesagentur für Einwanderung“

 

Die Union wirft der Ampel-Regierung seit langem vor, Arbeitsmarkt- und Asylpolitik vermischen zu wollen. Nun legt sie einen eigenen Vorschlag vor. Auch die Probleme bei der Flüchtlingsunterbringung sollen thematisiert werden.

Die Spitze der Unionsfraktion im Bundestag will die Einwanderung von Fachkräften nach Deutschland mit einer eigenen Bundesagentur für Einwanderung neu regeln. „Fachkräfte erhalten so Service aus einer Hand: Von der Arbeitsplatzvermittlung, der Prüfung der Voraussetzungen für die Einreise, über das nötige Visum bis hin zum Aufenthaltstitel nach Ankunft in Deutschland“, heißt es in einem der Deutschen Presse-Agentur in Berlin vorliegenden Positionspapier des geschäftsführenden Vorstands der Unionsfraktion.

Unionsfraktionschef Friedrich Merz sagte der „Frankfurter Allgemeinen Zeitung“, die Agentur solle aktiv um ausländische Fachkräfte werben. Der CDU-Vorsitzende betonte, Asylverfahren sollten künftig klar von Einwanderungsverfahren für Fachkräfte getrennt werden. Die Ampel-Koalition vermische Asyl- und Arbeitsmarktpolitik systematisch miteinander. Die Bundesregierung „will offenkundig nicht wahrhaben, wie dramatisch die Lage in vielen Kommunen in Deutschland ist“.

„Faktische Aufnahmekapazität“

Die Union bekenne sich zu Deutschlands humanitärer Verantwortung für Schutzsuchende, unterstrich Merz. „Zugleich schlagen wir ein Bündel an nationalen, europäischen und internationalen Maßnahmen zur Steuerung und Begrenzung von irregulärer Migration vor.“ Unter anderem solle ein Krisen- und Koordinierungsstab im Bundeskanzleramt eingerichtet werden.

Wegen der Probleme bei der Unterbringung von Flüchtlingen lädt Merz nach Angaben des Boulevardblattes „Bild“ rund 700 Bürgermeister und Landräte nach Berlin ein. In der Einladung heißt es: „Allein im Jahr 2022 wurden in Deutschland 244 000 Asylanträge gestellt. Die faktischen Aufnahmekapazitäten stoßen vielerorts an ihre Grenzen. Wir müssen uns diesen Realitäten annehmen.“

Bamf und Ausländerbehörden sollen sich auf Asylbewerber konzentrieren

Im Positionspapier der Unionsfraktionsspitze heißt es, das Bundesamt für Migration und Flüchtlinge sowie die kommunalen Ausländerbehörden sollten sich auf die Gruppe der Asylbewerber konzentrieren. Die Bundesagentur für Einwanderung solle alle Verfahren übernehmen, die derzeit bei den Auslandsvertretungen, den Bundesländern sowie den Landkreisen und Kommunen geführt würden und keine Asylverfahren seien. „Sie ist auch Arbeitsvermittlungsagentur für alle Arbeitskräfte aus dem europäischen und nicht-europäischen Ausland.“

Die stellvertretende Vorsitzende der Unionsfraktion, Andrea Lindholz (CSU), forderte am Samstag, die Einwanderungsagentur müsse von Beginn an mit digitalen Verfahren und modernster Technik arbeiten, um schnelle Verfahren garantieren zu können. Sie warnte: „Die derzeit ungeordnete und ungebremste irreguläre Migration gefährdet den gesellschaftlichen Rückhalt für die humanitäre Verantwortung Deutschlands, Schutzsuchenden zu helfen.“

Schließung der Fachkräfte-Lücke mit Einwanderung

Die Ampel-Koalition will die immer größere Lücke an Fachkräften mit viel mehr Arbeitskräften aus dem Ausland füllen. Anders als heute sollen verstärkt Nicht-EU-Bürgerinnen und -Bürger ohne anerkannten Abschluss ins Land kommen dürfen. Auswahlkriterien sollen etwa Berufserfahrung oder Deutschlandbezug sein. Als wohl größte Änderung soll „Drittstaatsangehörigen mit gutem Potenzial“ möglich gemacht werden, zur Arbeitsplatzsuche einzureisen. Vergeben werden soll dafür eine Chancenkarte. Zwei Wochen lang sollen Nicht-EU-Bürger damit eine Probebeschäftigung während der Arbeitsplatzsuche machen dürfen.

Seit 2020 gibt es schon ein Fachkräfteeinwanderungsgesetz. Fachkräfte mit einer ausländischen Berufsausbildung erhalten für sechs Monate das Recht zum Aufenthalt zur Arbeitsplatzsuche. (dpa/mig 6)

 

 

 

 

Kindern im Erdbebengebiet droht neben Krankheiten auch psychischer Zusammenbruch

 

World Vision weitet Hilfe aus und erhält dafür eine Million Euro vom Auswärtigen Amt

Infolge der Erdbeben, die sich heute vor einem Monat ereigneten, und des Konflikts, der in diesem Monat 12 Jahre alt wird, sind besonders Kinder im Nordwesten Syriens psychisch schwer traumatisiert. Experten für psychische Gesundheit bei der internationalen Kinderhilfsorganisation World Vision warnen davor, dass viele Menschen, insbesondere die Kinder, einen psychischen Zusammenbruch erleiden könnten, wenn ihnen nicht schnell geholfen würde. Die weitere humanitäre Hilfe muss den Schutz ihrer körperlichen und mentalen Gesundheit in den Mittelpunkt stellen, fordert die Kinderhilfsorganisation.

Ein 38jähriger Bewohner berichtet aus Nordwestsyrien über die Erlebnisse am Tag des Bebens: „Von der Morgendämmerung bis zur darauffolgenden Nacht suchten wir nach Menschen unter den Trümmern. Der Bürgersteig vor dem Krankenhaus war voll von Leichen, die in schwarze Säcke gehüllt waren. Ganze Familien wurden unter den Trümmern begraben. Es gibt niemand, der ihre Leichen beerdigen kann. Ich versuche, meine Gefühle zurückzuhalten, aber mein psychischer Zustand ist überhaupt nicht gut. Ich bin nicht in der Lage, mich um Überlebende oder Kinder zu kümmern.“

Eine von World Vision durchgeführte Bedarfsermittlung bei 322 Familien in Nordwestsyrien ergab, dass die Häuser und Wohnungen von 94 % der befragten Familien durch das Erdbeben beschädigt und 51 % der Häuser zerstört wurden. 82 % der Familien sind nun in Sammelunterkünften untergebracht. 84 % der Befragten gaben an, dass ihre Kinder gar nicht oder nur selten Bildungseinrichtungen besuchen können. Dies erhöht wiederum das Risiko der Ausbeutung von Kindern u.a. in Bezug auf Kinderarbeit und Frühverheiratung. 

Studien, die von einem World Vision-Partner auf dem Höhepunkt der Gewalteskalation in Idlib im Jahr 2021 durchgeführt wurden, hatten ergeben, dass 100 % der vertriebenen Kinder unter 18 Jahren in der Region Symptome einer posttraumatischen Belastungsstörung (PTBS) aufwiesen. 

Johan Mooij, Leiter der Syrienhilfe von World Vision, erklärt: "Die Kameras sind abgezogen, aber die Region ist immer noch übersät mit Trümmern, unter denen noch Menschen liegen. Viele Kinder sind nun auf sich allein gestellt und ihre sichere Unterbringung ist unter den aktuellen Bedingungen mit großen Herausforderungen verbunden." 

Einen Monat nach dem verheerenden Erdbeben in der Türkei und in Syrien reichen die Hilfsmaßnahmen bei weitem nicht aus, um die Nöte der Familien und Kinder zu verringern, die schon seit 12 Jahren unter dem Krieg leiden. Es ist von entscheidender Bedeutung, dass alle Zugangskanäle nach Nordwestsyrien offenbleiben und dass die Hilfslieferungen aufgestockt werden.

World Vision-Hilfe stabilisiert Grundversorgung und unterstützt Trauma-Verarbeitung

World Vision hat in den ersten Wochen 12.753 Menschen mit Lebensmitteln und mehr als 19.100 Familien mit Heizöfen und/oder Heizmaterial versorgt, außerdem knapp 12.000 Menschen mit Bargeld für die dringendsten Einkäufe ausgestattet und an mehr als 6.600 Familien Dinge des täglichen Bedarfs, wie z.B. Hygieneartikel oder Decken verteilt. Kinderschutz-Teams unterstützen die Familienzusammenführung unbegleiteter Kinder und arbeiten am Aufbau von Kinderschutzzentren in Zeltlagern. Weiterhin unterstützt die Kinderhilfsorganisation in Nordwestsyrien die medizinische Versorgung in Basisgesundheitsstationen und in einer Geburtsklinik. In den kommenden Wochen wird World Vision mit seinen lokalen Partnern vor allem daran arbeiten, die Grundversorgung von bis zu 500.000 Menschen zu stabilisieren. Dazu zählt auch die Reparatur von Brunnen, Wassertanks und anderer kritischer Infrastruktur.  Das Auswärtige Amt stellt World Vision hierfür rund eine Million Euro für die Ausweitung der Hilfe zur Verfügung.

Die Menschen brauchen weiterhin dringend unsere Hilfe. Spenden Sie jetzt online: worldvision.de/syrien, Oder auf unser Konto:

PAX-Bank eG, IBAN DE72370601934010500007, Stichwort: Erdbeben Syrien

Das Nothilfe-Bündnis „Aktion Deutschland Hilft“, in dem World Vision Mitglied ist, bittet ebenfalls um Spenden unter dem Stichwort: „Erdbeben Türkei und Syrien“

IBAN: DE62 3702 0500 0000 1020 30 (Bank für Sozialwirtschaft)

Online spenden unter: www.Aktion-Deutschland-Hilft.de

https://news.cision.com/de/world-vision-deutschland-e--v-/r/anhaltende-erschutterungen-und-kaum-schutz--kindern-im-erdbebengebiet-droht-neben-krankheiten-auch-p,c3727901 dip 6

 

 

 

 

Verbrenner-Streit: Tschechien gibt Deutschland Rückendeckung

 

Tschechien wird gemeinsam mit Deutschland das EU-Verkaufsverbot für neue Benzin- oder Dieselfahrzeuge ab 2035 nicht unterstützen, wenn keine synthetischen Kraftstoffe verwendet werden können, so der Verkehrsminister auf Besuch in Berlin. Von: Ondej Plevák

 

Ab 2035 sollte eigentlich der Verkauf neuer Verbrenner-Autos verboten werden. Nach einer Intervention aus Berlin wurde die letzte Abstimmung auf EU-Ebene inzwischen allerdings abgeblasen.

„Dies ist eine Entwicklung, die wir eindeutig begrüßen und hinter der wir stehen“, sagte der tschechische Verkehrsminister Martin Kupka.

Er fügte hinzu, dass Tschechien das Gesetz nicht unterstützen werde, solange keine verbindliche Ausnahmeregelung für synthetische Kraftstoffe auf dem Tisch liege.

Es ist nicht das erste Mal, dass Deutschland und Tschechien sich in Auto-Fragen gegenseitig den Rücken stärken. Auch bei den Regeln zu Auto-Emissionen neben CO2 gab es zuletzt Gemeinsamkeiten.

„In Bezug auf die bevorstehende Euro-7-Abgasnorm der EU, die von der deutschen Regierung, der Automobilindustrie und den Automobilclubs heftig kritisiert wird, haben sich Tschechien und Deutschland darauf geeinigt, den aktuellen Entwurf der Euro-7-Norm eindeutig abzulehnen und zu kritisieren“, sagte Kupka und erklärte, dass beide Länder den Vorschlag für unrealistisch und inakzeptabel halten.

Darüber hinaus vereinbarten Kupka und Wissing, dass sie bis zum Ende dieses Sommers ein Memorandum zur beschleunigten Modernisierung der Eisenbahnstrecke zwischen Pilsen (Westböhmen) und München ausarbeiten werden.

Kupka sagte vor tschechischen Journalisten, er habe in seinem Gespräch mit Wissing den möglichen Bau einer Autobatteriefabrik, die Volkswagen in der Nähe von Pilsen errichten könnte, als eines der Argumente für die Bedeutung der Strecke genannt. EA 6

 

 

 

 

Amtliche Statistik. Fast jeder Vierte in Deutschland hat Einwanderungsgeschichte

 

Fast ein Viertel der in Deutschland lebenden Menschen hat eine Einwanderungsgeschichte. 2021 lebten knapp 19 Millionen Menschen in der Bundesrepublik, die entweder selbst oder deren beide Elternteile seit 1950 eingewandert sind. Ukrainer sind in der Statistik nicht berücksichtigt.

17,3 Prozent der Bevölkerung sind seit 1950 nach Deutschland eingewandert, weitere 5,7 Prozent sind direkte Nachkommen von Eingewanderten. Das geht aus einer neuen Statistik des Statistischen Bundesamts hervor, die nicht die Staatsangehörigkeit zugrunde legt, sondern die Wanderungserfahrung einer Familie.

Eine Einwanderungsgeschichte haben nach dieser Definition Personen, die entweder selbst oder deren beide Elternteile seit dem Jahr 1950 eingewandert sind. Die Definition umfasst also zwei Generationen. Das Konzept wurde von einer Fachkommission der Bundesregierung empfohlen. Diese Definition sei „weniger komplex und international besser vergleichbar“, so das Amt.

Legt man diese neue Definition zugrunde, hatten nach Ergebnissen des Mikrozensus 2021 in Deutschland knapp 19 Millionen Personen eine Einwanderungsgeschichte. Ihr Anteil an der Bevölkerung betrug 23 Prozent, wie das Statistische Bundesamt am Donnerstag berichtete. 14,2 Millionen Menschen sind seit 1950 selbst eingewandert. Weitere 4,7 Millionen waren direkte Nachkommen von zwei Eingewanderten, wurden aber selbst in Deutschland geboren.

Ukrainer nicht in der Statistik

Gemäß der Empfehlung der Kommission zählen Menschen nicht zur Bevölkerung mit Einwanderungsgeschichte, wenn nur ein Elternteil eingewandert ist. Diese Gruppe umfasst laut Statistischem Bundesamt 3,7 Millionen Personen (4,5 der Bevölkerung). Da es sich um Ergebnisse für 2021 handelt, sind Wanderungen infolge des russischen Angriffs auf die Ukraine nicht enthalten.

Im EU-Vergleich lag Deutschland nach Ergebnissen der Europäischen Statistikbehörde Eurostat mit einem Anteil der Eingewanderten an der Bevölkerung von 17,3 Prozent über dem Durchschnitt aller 27 Mitgliedstaaten, der 10,6 Prozent beträgt. Die höchsten Anteile hatten Malta, Zypern und Schweden mit Prozentzahlen um 22 Prozent. Die Länder mit den geringsten Anteilen Eingewanderter waren Bulgarien, Rumänien und Polen mit jeweils unter einem Prozent. (dpa/mig 3)

 

 

 

 

Verbrenner-Aus: Schluss mit den Spielchen!

 

Die Reduzierung von CO2-Ausstoß im Verkehr ist hart, denn es geht um ein ureigenes menschliches Bedürfnis: Mobilität. Umso mehr ist eine aufrichtige Politik gefragt, die sich nicht hinter Formalitäten oder Scheinlösungen versteckt. Rund um das Verbrenner-Aus der EU hat sich leider das Gegenteil gezeigt. Von: Jonathan Packroff

 

Anders als in anderen wirtschaftlichen Bereichen, etwa der Stromerzeugung, sind die CO2-Emissionen im Verkehrssektor seit 1990 nicht nennenswert zurückgegangen.

Dies liegt vor allem daran, dass die Menschen heute mobiler sind denn je, und dass immer mehr Waren immer weiter transportiert werden. Eigentlich große Errungenschaften, aber für das Klima werden sie zum Problem.

Grob gesagt, gibt es vier Möglichkeiten, den CO2-Ausstoß im Verkehrssektor zu reduzieren: Weniger Mobilität, weniger Komfort, andere Antriebe oder andere Kraftstoffe.

Jede dieser Möglichkeiten hat ihre Probleme – und ist daher bei Politikern unbeliebt.

Die erste Variante wird sogar von den Grünen ausgeschlossen, die sonst im Klimaschutz gerne auch auf Verhaltensänderungen setzen.

Stefan Gelbhaar, verkehrspolitischer Sprecher der Grünen im Bundestag, beschrieb das Ziel seiner Partei bei einer Veranstaltung im Herbst 2022 so: „Mehr Mobilität bei weniger Verkehr“.

Die zweite Variante – weniger Autofahrten, mehr Fahrrad, Scooter, Bus und Bahn – ist sicher Teil der Lösung. Aber Politiker erzählen ihren Wählern nur ungern, dass sie auf diese Alternativen umsteigen sollen.

„Ich halte nichts davon, das staatlich zu verordnen“, sagte Bundeskanzler Olaf Scholz im Januar der TAZ auf die Frage, ob die Zahl der Autos in Deutschland reduziert werden müsse. „Die Bürgerinnen und Bürger müssen selbst entscheiden, wie sie sich fortbewegen wollen“, sagte er.

Bleiben alternative Antriebe und alternative Kraftstoffe.

Der Umstieg auf E-Mobilität hat vor allem ein Problem: Durch die große Bestandsflotte an Dieselautos und Benzinern vollzieht sich der Wandel nur langsam, werden doch jährlich nur etwa 5 Prozent der Autos durch Neuwagen ersetzt – von denen bisher nur ein geringer Anteil E-Autos sind. Kurzfristige CO2-Einsparungen, etwa bis 2030, lassen sich so nur schwer erreichen.

Kein politisches Projekt hatte deshalb eine vergleichbare Symbolkraft wie das von der EU-Kommission vorgeschlagene Ende des Verbrennungsmotors ab 2035, auch als Signal an Verbraucher, künftige Kaufentscheidungen zu überdenken.

Der gewünschte Umstieg trifft jedoch auf ein Image-Problem. E-Autos gelten für viele Verbraucher als keine attraktive Option, nicht zuletzt, weil Politiker-Statements immer wieder Hoffnungen auf ein Fortbestehen des Verbrenners auch in der klimaneutralen Zukunft wecken.

Alternative Kraftstoffe, also Biokraftstoffe und E-Fuels, haben allerdings ihre ganz eigenen Probleme. Kurz zusammengefasst lauten diese: Alles, was in großen Mengen verfügbar werden könnte, ist extrem teuer (vor allem E-Fuels, die mit CO2 aus der Atmosphäre und Wind- oder Solarstrom produziert werden) – und alles, was günstig ist, ist nur begrenzt vorhanden (etwa Biokraftstoffe aus Reststoffen). 

Kurzum: Klimaschutz im Verkehrsbereich ist verdammt schwer.

Da hilft es nicht, dass Politiker aller Parteien die Debatte ohne die notwendige Ernsthaftigkeit führen.

Der FDP-Fraktionsvorsitzende Christian Dürr, zum Beispiel, schlug einen Tausch mit Nordafrika – E-Fuels gegen Migranten – vor, und sein Parteikollege Wolfgang Kubicki wollte den für Elektro-Ladesäulen unabdingbaren Netzausbau erst kürzlich in Geiselhaft für FDP-Lieblingsprojekte nehmen.

„Wenn es keinen Straßenbau mehr geben soll, dann gibt es auch keine Stromleitungen mehr“, zitiert FOCUS Online den FDP-Vize.

So geht es nicht.

Aber auch die Grünen, der Ampel-Gegenspieler der FDP, haben sich nicht immer aufrichtig verhalten. Beim sogenannten Verbrenner-Aus der EU (offiziell „CO2-Flottengrenzwerte für PKW und Kleintransporter“), dessen Blockade Bundesverkehrsminister Wissing nun angekündigt hat, wollten die Grünen den FDP-Minister austricksen.

Um die FDP zur Zustimmung zu bewegen, hat Deutschland lediglich eine unverbindliche Klausel in die Gesetzesbegründung hinein verhandelt, in der die EU-Kommission zu einer Prüfung aufgefordert wird, ob es nicht doch noch eine Zukunft für Verbrennermotoren mit klimaneutralen E-Fuels gibt.

Doch gleichzeitig war im Gesetz selbst eine Reduzierung der erlaubten Emissionen – gemessen am Auspuff – auf null vorgesehen. Ein faktisches Verbrenner-Aus, das bei Autos und Kleintransportern keine Ausnahme für mit E-Fuels betriebene Verbrenner macht.

Und auch die EU-Kommission trifft hier eine Mitschuld. Eine politisch höchst umstrittene Frage (Hat der Verbrenner eine Zukunft?) hinter öffentlich proklamierter „Technologieneutralität“ und komplizierten Formulierungen zu verstecken ist keine gute Art, Politik zu machen – und das fällt ihr nun auf die Füße.

Faktisch hätte Volker Wissing also einem Verbrenner-Aus zugestimmt, das er eigentlich ablehnt – unter Häme der Grünen und wohl massivster Kritik der CDU und großer deutscher Zeitungen, die ihm wohl höchstpersönlich den Tod des Verbrenners angelastet hätten.

Es ist also nicht völlig unverständlich, warum Wissing diese Woche lieber die Notbremse zog, als einem Gesetz zuzustimmen, dass dem Ziel der FDP im Kern widerspricht. Dennoch hat Wissings Last-Minute-Aktion Chaos gestiftet und schadet der wahrgenommenen Zuverlässigkeit Deutschlands.

Auch wenn der grüne Europaabgeordnete Michael Bloss „überhaupt keine Mitschuld“ seiner Berliner Parteikollegen sieht: Eine aufrichtige Verhandlung im Vorhinein hätte die jetzige Situation verhindern können. Denn Deutschland ist nicht das einzige Land, in dem es Bedenken gibt – im Gegenteil.

Außerdem hat Wissing bei der Bestandsflotte einen Punkt. Hier wird es ohne E-Fuels wohl kaum gehen – trotz aller energetischen Ineffizienz. Andererseits ist es eine unbeantwortete Frage, warum ausgerechnet dieses Eingeständnis beschränkter Möglichkeiten ein Argument sein soll, noch mehr schwer zu dekarbonisierende Verbrenner zuzulassen.

Weniger Trickserei und Populismus, mehr lösungsorientiertes Handeln. Nur so kann Klimaschutz im Verkehrsbereich funktionieren.

Kompliziert genug wird es sowieso. EA 3

 

 

 

Annäherung über Nordirland hinaus

 

Die Europäische Kommission und die britische Regierung legen einen ihrer zentralen Konflikte bei. Doch der Brexit bleibt eine Belastung. Jens Zimmermann & Michèle Auga

 

Drei Jahre ist es nun her, dass das Vereinigte Königreich mit der Unterzeichnung des Austrittsabkommens als erstes Mitgliedsland in der Geschichte der Europäischen Union den Staatenverbund wieder verlassen hat – und so den am 23. Juni 2016 mit dem EU-Mitgliedschaftsreferendum begonnenen Prozess schließlich beendete. Fast beendete. Denn die versprochene vollständige Herauslösung aus der Europäischen Union als Beginn eines wiedererstarkenden Vereinigten Königreiches fand so nie statt. Mit dem Nordirlandprotokoll als zentraler Vertragsklausel des Austrittsabkommens blieb Nordirland de facto Teil der Zollunion und damit ein wichtiges Brexit-Versprechen unerfüllt.

Eigentlich hätte es zwischen der Republik Irland, die Teil der Europäischen Union ist, und Nordirland, das nicht mehr Teil der EU ist, eine feste Grenze mit Zollkontrollen geben müssen. Auf diese Weise aber wäre der mühsam errungene und über lange Zeit hinweg fragile Frieden an der nordirischen Grenze gefährdet worden und es bestand die reale Gefahr eines Wiederaufflammens der Gewalt. Das wurde durch den missglückten Bombenanschlag im nordirischen Strabane im vergangenen Jahr noch einmal deutlich sichtbar.

Um eine Eskalation zu verhindern, war es Teil der Austritts-Vereinbarung, die Grenze im Meer zwischen der irischen Insel und dem Rest des Vereinigten Königreiches verlaufen zu lassen. Eine dauerhafte Lösung war diese Grenzziehung in der Irischen See aber nicht. Sie trennte Nordirland von Schottland, Wales und England durch Grenzkontrollen und störte die neue politische Gemeinschaft mit schwerwiegenden Folgen. Die unionistische, nordirische Partei DUP konnte das Nordirlandprotokoll erfolgreich als Vorwand nutzen, um eine Regierungsbildung in Belfast über Monate hinweg zu blockieren und verlieh der Stabilität des britischen Brexit-Konsenses damit eine immer kürzer werdende Halbwertszeit.

Mit dem sogenannten New Windsor Framework haben die britische Regierung und die EU-Kommission dieser Blockadehaltung nun möglicherweise die Grundlage entzogen. Es vereinfacht Ein- und Ausfuhren insbesondere zwischen Nordirland und Großbritannien etwa für Lebens- und Arzneimittel. Der Handel wird durch eine Vereinbarung zwischen der EU und dem Vereinigten Königreich über den Austausch von Daten überwacht. Kontrollen wird es zukünftig deutlich weniger häufig geben. Änderungen von Mehrwert- und Verbrauchssteuern, die in Großbritannien vorgenommen werden, gelten nun auch für Nordirland.

Außerdem bekommt die DUP mit der Stormont Brake ein Instrument an die Hand, um gegenüber EU-Regelungen ein Votum einlegen zu können. Damit kommt man der Forderung der Unionisten nach einer Auflösung des demokratischen Defizits entgegen – allerdings nur im Rahmen der bestehenden Machtstrukturen des Karfreitagsabkommens. Die realen Verhältnisse in Nordirland sprechen aber dagegen, dass die DUP hierfür jemals die erforderlichen Mehrheiten bekommen wird. Dafür fehlt ihr die Unterstützung aus der Business Community und der Zivilgesellschaft. Ob es sich also bei der Stormont Brake um einen gelungenen Coup handelt oder ob man der DUP nicht vielmehr einen Grund gibt, gegen das Abkommen zu votieren, muss sich erst noch zeigen. Sicher ist aber, dass die DUP angesichts ihrer sinkenden Umfragewerte schwerlich ein Abkommen ablehnen können wird, das den ihr innewohnenden unionistischen Kern quasi im Namen trägt. Das Windsor Framework ist nach dem Königssitz im Süden Englands benannt.

Die mittlerweile sieben Jahre andauernde Überforderung, zu einer Einigung im Streit um das Nordirland-Protokoll zu gelangen, hat aber nicht nur auf der irischen Insel Spuren hinterlassen. Der ständige Wechsel von Premierministern und Regierungen in London hat die eigentlich so widerstandsfähige Britische Demokratie ganz erheblichem Stress ausgesetzt – umso wahrnehmbarer ist deshalb in ganz Europa die Erleichterung über den jüngsten Verhandlungserfolg. Denn die ungelöste Nordirland-Frage bindet Ressourcen, die Europa auf den imperialistischen Angriffskrieg Russlands gegen die Ukraine verwenden sollte.

Das Windsor-Abkommen ist aber nicht nur ein Signal der Europäischen Geschlossenheit gegenüber Moskau. Es darf von all jenen als Zeichen der Stärke und Geschlossenheit Europas verstanden werden, die sich im Zuge eines sich andeutenden globalen Regionalisierungstrends sowie der damit verbundenen drohenden Aufteilung der Weltgemeinschaft in Einflusssphären über eine schwache und zerstrittene europäische Staatengemeinschaft gefreut haben.

In Europa macht der Kompromiss auch deswegen schon Hoffnung, weil dem Abkommen wohl monatelange Verhandlungen vorausgegangen waren, ohne dass hiervon etwas nach außen drang. Das so aufgebaute Vertrauen zwischen der britischen Regierung und der Europäischen Kommission steht in deutlichem Kontrast zu all den schrillen Tönen, die in den letzten Jahren aus London und manchmal auch aus Brüssel zu hören waren. Das Momentum der Einigung zwischen Brüssel und London gilt es jetzt zu nutzen, um Fortschritte bei der zukünftigen Zusammenarbeit zu erzielen. Im Zuge des Brexits ist das Vereinigte Königreich beispielsweise aus dem Bildungsaustauschprogramm der Europäischen Union Erasmus+ ausgetreten. Die britische Regierung hat mit Turing ein weltweites Nachfolge-Austauschprogramm angekündigt, welches jedoch nur inländischen Studierenden zur Verfügung stehen soll. Die vorliegenden Vorschläge, den rechtlichen Rahmen des Programms an die Verordnung der EU zu Erasmus+ anzulehnen, um Studierenden auf beiden Seiten des Ärmelkanals wieder gegenseitigen Zugang zu den Universitäten zu erlauben, sollten so schnell wie möglich umgesetzt werden.

Auch die bilaterale Wissenschaftskooperation blühte bis zum Brexit. Für das Jahr 2019 wies eine Statistik der deutschen Hochschulrektorenkonferenz 1 661 offizielle Kooperationen zwischen Deutschland und dem Vereinigten Königreich aus. Auf britischer Seite gilt der British Council seit vielen Jahren als wichtiger Mittler. Hinzu kommen unzählige private Initiativen in Bildung, Forschung, Sprachaustausch oder Journalismus. Auch die für die bilaterale Verständigung wichtigen deutschen politischen Stiftungen bilden ein unverzichtbares Fundament des Dialogs.

Das Fortbestehen all dieser Programme oder die Gründung neuer Institutionen ist nach dem Brexit aber nicht garantiert. Auch nach dem Ende der Freizügigkeit müssen wir die Arbeitsaufnahme für die genannten Mittlerorganisationen in unseren beiden Ländern vereinfachen. Sie sind unverzichtbar. Ungeachtet ihres rapiden Bedeutungsgewinns können soziale Medien und Online-Kommunikation die Public Diplomacy nicht ersetzen.

Trotz der Einigung auf das Windsor-Abkommen muss sich der Jubel in Grenzen halten. Faktisch ändert sich nämlich neben der Harmonisierung des britischen Binnenhandels wenig. Der Brexit ist und bleibt eine große wirtschaftliche und politische Belastung für Großbritannien, aber auch seine Nachbarn und Partner. Denn trotz all der Mühen um die Verhandlungen der vergangenen Monate wird man den Schaden, den der Brexit angerichtet hat, nicht ohne weiteres wiedergutmachen. Wenn es überhaupt möglich ist, dann nur mit einer grundlegenden Politikänderung. Vieles hängt also davon ab, wie die politischen Entscheidungsträger in London und Belfast mit dem Windsor Framework zukünftig umgehen, oder mit anderen Worten: Es kommt darauf an, was sie daraus machen – „Windsor is what they make of it“. EA 3

 

 

 

 

Arbeitsmarkt stabil. Ausländische Arbeitskräfte sorgen für Beschäftigungszuwachs

 

Die schwache Konjunktur schlägt sich kaum auf dem Arbeitsmarkt nieder: Arbeitslosenzahlen und Kurzarbeit steigen nur leicht. Für Beschäftigungszuwachs sorgen vor allem ausländische Arbeitskräfte. Großteil der neuen Stellen wurden mit ausländischen Fachkräften besetzt. Von Irena Güttel

 

Die deutsche Wirtschaft schwächelt, doch der Arbeitsmarkt bleibt stabil. Im Februar erhöhte sich die Zahl der Arbeitslosen im Vergleich zum Vormonat leicht um rund 4000 auf 2,62 Millionen. Die Arbeitslosenquote blieb unverändert bei 5,7 Prozent. Zieht man die ukrainischen Geflüchteten ab, ergibt sich auch im Vorjahresvergleich bei Arbeitslosigkeit und Unterbeschäftigung – wo Menschen in Maßnahmen wie Integrationskursen erfasst werden – kaum Veränderung.

„Der Arbeitsmarkt zeigt sich im Februar auch wie in den letzten Monaten beständig“, sagte die Vorstandsvorsitzende der Behörde, Andrea Nahles. Auswirkungen der angespannten wirtschaftlichen Situation seien aber durchaus erkennbar. Die Bundesagentur hat für ihre aktuelle Statistik Daten herangezogen, die bis zum 13. Februar vorlagen.

So habe die Kurzarbeit zuletzt erneut zugenommen, sagte Nahles. Es zeichne sich jedoch keine dramatische Entwicklung ab. Aktuelle Zahlen, wie viele Beschäftigte Kurzarbeitergeld in Anspruch nahmen, liegen bis Dezember 2022 vor: Nach hochgerechneten Daten der Bundesagentur erhielten in diesem Monat 183 000 Menschen Kurzarbeitergeld. „Das ist ein leicht ansteigender Trend“, sagte Nahles. Vom 1. bis 23. Februar zeigten Unternehmen für 61 000 Beschäftigte Kurzarbeit an. Erfahrungsgemäß liegt die Zahl derer, die dann tatsächlich in Kurzarbeit gehen, niedriger.

Beschäftigungszuwachs dank ausländischer Arbeitskräfte

Auch die Nachfrage der Unternehmen nach neuen Mitarbeiterinnen und Mitarbeitern ging im vergangenen Jahr zurück. Im Februar waren der Bundesagentur zufolge 778 000 offene Stellen gemeldet, 44 000 weniger als vor einem Jahr. Dennoch liege der Personalbedarf nach wie vor auf einem hohen Niveau, betonte Nahles. Eine erfreuliche Entwicklung sieht sie bei den sozialversicherungspflichtig Beschäftigten, deren Zahl im Dezember nach Hochrechnungen der Bundesagentur im Vorjahresvergleich auf rund 34,73 Millionen zunahm.

95 Prozent des Beschäftigungszuwachses gehe auf ausländische Arbeitskräfte zurück – vor allem aus Ländern wie Indien, Türkei und Russland, sagte Nahles. Ihre Zahl stieg um 424 000 auf 5,13 Millionen, die der deutschen sozialversicherungspflichtig Beschäftigten um 14 000 auf 29,59 Millionen.

Großteil der Stellen mit ausländischen Fachkräften besetzt

„Diese Zahlen unterstreichen, dass schon heute ein Großteil der neuen sozialversicherungspflichtigen Stellen mit ausländischen Fachkräften besetzt wird“, teilte Bundesarbeitsminister Hubertus Heil (SPD) mit. „Deshalb werden wir mit dem neuen Fachkräfteeinwanderungsgesetz noch mehr qualifizierten Fachkräften als bisher in Deutschland eine Perspektive bieten.“

In einigen Bundesländern wie Rheinland-Pfalz, Niedersachsen, Thüringen oder Schleswig-Holstein gebe es ohne die ausländischen Arbeitskräfte kein Beschäftigungswachstum mehr, betonte Nahles. Das gelte auch für Branchen wie verarbeitendes Gewerbe, Logistik, Baugewerbe, Pflege und Handel. „Das heißt nicht, dass wir keine Potenziale mehr hätten.“ Es müsse aber noch mehr Kraft investiert werden, um Frauen und Langzeitarbeitslose für den Arbeitsmarkt zu gewinnen.

Arbeitsagentur blickt optimistisch in die Zukunft

Die Arbeitsagenturen blicken trotz der anhaltenden konjunkturellen Unsicherheiten optimistisch in die Zukunft. Sie erwarten in den kommenden Monaten dem Arbeitsmarktbarometer des Instituts für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung zufolge einen Rückgang der Arbeitslosigkeit – vor allem weil ukrainische Geflüchtete zunehmend die Integrationskurse beenden und eine Beschäftigung aufnehmen.

143 000 Menschen aus der Ukraine werden nach Angaben von Nahles im Mai und Juni aus den Integrationskursen kommen. Die Jobcenter bereiten sich bereits darauf vor, diese zu vermitteln, sagte Nahles. Insgesamt seien rund 480 000 Menschen aus der Ukraine nach Deutschland gekommen, die erwerbsfähig seien, hieß es bei der Arbeitsagentur. „Das ist erstmal eine Verstärkung“, sagte die Behördenchefin. Doch wie lange, ist fraglich: Man hoffe natürlich für die Menschen, dass diese irgendwann wieder in ihre Heimat zurückkehren könnten, betonte Nahles. (dpa/mig 2)

 

 

 

Mehrheit auf der Kippe: Italien lehnt Verbrenner-Aus ab

 

Italien lehnt die EU-Verordnung zum Ausstieg aus neuen Fahrzeugen mit Verbrennungsmotor bis 2035 ab. Die EU-Kommission solle ihren Standpunkt revidieren und ökologisch und wirtschaftlich nachhaltige Alternativen vorschlagen, so die italienische Regierung. Von: Federica Pascale

 

Nachdem das Ministerium für Umwelt und Energiesicherheit das negative Votum Italiens zu der vorgeschlagenen EU-Verordnung bekannt gegeben hatte, verschob Schweden, das derzeit die rotierende Präsidentschaft der EU innehat, eine geplante Abstimmung über das Gesetz in der Sitzung der EU-Botschafter der Mitgliedsstaaten.

Die Abstimmung, die ursprünglich am Mittwoch (1. März) stattfinden sollte, wurde zunächst auf Freitag (3. März) verschoben.

„Mit unserem ‚Nein‘ haben wir Europa wachgerüttelt. Wir hoffen, dass andere verstehen werden, dass es Zeit für Vernunft ist, und sicher nicht für Resignation. Veränderung ist möglich“, kommentierte der italienische Wirtschaftsminister Adolfo Urso (FDI/EKR) auf Twitter.

Urso unterstützt die Entscheidung der schwedischen Ratspräsidentschaft, die angesichts der Ereignisse, die Europa auf den Kopf gestellt haben – zunächst die Pandemie und später der Krieg in der Ukraine – ein „sinnvolleres Nachdenken“ über das Thema ermöglichen soll.

Italiens Bedingung, um den Knoten zu lösen und ‚Ja‘ zu den neuen Maßnahmen zu sagen, ist, dass die Europäische Kommission Alternativen mit „gesundem Menschenverstand“ anbietet, um die Klimaziele der EU zu erreichen, die von der italienischen Regierung unter der Leitung von Giorgia Meloni (FDI/EKR) offiziell geteilt werden.

„Wir dürfen uns nicht auf eine einzige Technologie festlegen, es muss eine Wahlmöglichkeit geben“, sagte der italienische Abgeordnete Luca Squeri, Energiepolitiker von Forza Italia (EVP), gegenüber EURACTIV Italien.

E-Fuels als Lösung?

Am Dienstag erklärte auch Bundesverkehrsminister Volker Wissing (FDP/Renew Europe), Deutschland werde das Abkommen nur akzeptieren, wenn die EU-Kommission einen Vorschlag vorlege, der die Zulassung von Fahrzeugen mit Verbrennungsmotor, die ausschließlich mit E-Kraftstoffen betrieben werden, nach 2035 erlaube.

„E-Fuels sind auch als innovative Mobilitätsquelle absolut brauchbar. Wenn der Vorschlag Berlins angenommen wird, wird auch Italien grünes Licht geben“, erklärte Squeri.

„Wenn es uns gelingt, eine Sperrminorität zu bilden, könnten wir den gesunden Menschenverstand durchsetzen und eine Ideologie besiegen, die Italien und ganz Europa schaden würde“, sagte er.

Die EU-Verordnung ist Teil des Klimapakets Fit for 55, das darauf abzielt, bis 2030 -55 Prozent CO2-Emissionen und bis 2050 Klimaneutralität zu erreichen, und befindet sich in den letzten Schritten des EU-Gesetzgebungsprozesses.

In der letzten Plenarsitzung des Europäischen Parlaments war der Vorschlag angenommen worden, nachdem sich Mitgliedsstaaten und EU-Parlament im informellen Trilog-Verfahren auf einen Kompromiss geeinigt hatten.

Die endgültige Abstimmung zur Ratifizierung durch die Mitgliedsstaaten ist für Dienstag (7. März) vorgesehen.

Das Nein Italiens allein würde die Verabschiedung der Verordnung nicht beeinträchtigen, da eine sogenannte qualifizierte Mehrheit ausreichen würde, aber angesichts der Zweifel Berlins, der Enthaltung Bulgariens und der Nein-Stimme Polens ist das Ergebnis offen.

Zusammen haben diese Länder eine sogenannte Sperrminorität, und können die Verabschiedung blockieren.

„Unsere so klare und scharfe Haltung, zusammen mit der anderer Länder wie Polen und Bulgarien, hat zu weiteren Überlegungen geführt“, sagte Minister Urso und betonte, dass aus einer breiteren Perspektive Lösungen gefunden werden müssen, um auf die „große systemische Herausforderung Chinas und die selbstbewusste Politik der Vereinigten Staaten“ zu reagieren.

Mehr Pragmatismus, um gegenüber China nicht nachzugeben

Melonis Minister sind besorgt, dass die Entscheidung China begünstigen könnte, indem sie eine weitere technologische Abhängigkeit schaffen, während der Prozess der EU-Mitgliedstaaten, ihre Energieabhängigkeit von Russland zu beenden, gerade im Gange ist.

„Wir müssen die europäischen Institutionen davon überzeugen, mit mehr Pragmatismus und einer realitätsnäheren Vision auf die Herausforderung des ökologischen und industriellen Wandels zu reagieren“, sagte Urso und betonte, dass es entscheidend sei, „nicht von der energetischen Unterordnung unter Russland zu einer noch schlimmeren Unterordnung unter die chinesische Technologie überzugehen“.

Auch Verkehrsminister Matteo Salvini bezeichnete das von der EU verhängte Verbot als „eine Torheit, die der Umwelt nicht hilft und China bereichert“.

„Der Übergang, an den wir alle glauben, sollte gefördert und begleitet werden, aber die Eile birgt das Risiko, das Gegenteil zu bewirken“, sagte Salvini während eines informellen Treffens der EU-Verkehrsminister, das von der schwedischen Präsidentschaft in Stockholm organisiert wurde.

„Ich bin davon überzeugt, dass die nächste Europäische Kommission viele ideologische Axiome dieser Legislaturperiode infrage stellen wird“, fügte Urso hinzu und betonte, dass derzeit „eine sehr ideologische Sicht auf die Technologie vorherrscht, die wir bestreiten, weil wir für technologische Neutralität sind“.

„Indem sie ein Emissionsreduktionsziel von 100 Prozent im Jahr 2035 festlegt und keine Anreize für die Verwendung erneuerbarer Brennstoffe bietet, steht die Verordnung nicht im Einklang mit dem Grundsatz der Technologieneutralität. Daher kann Italien sie nicht unterstützen“, heißt es in der nationalen Erklärung, die den Vertretern der 27 EU-Mitgliedstaaten übermittelt wurde. EA 2

 

 

 

 

 

Hält das Wohlwollen?

 

Bisher unterstützt die Bevölkerung die Zeitenwende, doch dass es so bleibt, ist nicht sicher. Drei Lehren für die deutsche Politik. Alexandra Dienes

 

Deutsche Flugabwehrpanzer in Kiew, die Ukraine als EU-Beitrittskandidat, gesprengte Gaspipelines zwischen Deutschland und Russland und eine deutsche Öffentlichkeit, die in jeder zweiten Talkshow über die Vor- und Nachteile von Kampfjets diskutiert – ein Jahr nach der historischen „Zeitenwende“-Rede von Bundeskanzler Olaf Scholz sind schon viele Anzeichen dieser Zäsur erkennbar. Der entscheidende Punkt ist jedoch, dass es für die aktuelle Situation keine Blaupause gibt und die weitere Entwicklung der Zeitenwende offen bleibt. Weder ein Eskalationsszenario noch die Möglichkeit eines lange andauernden Abnutzungskrieges lassen sich ausschließen.

Die bemerkenswerte Kampfbereitschaft der Ukraine hat im Lauf des Jahres nicht nachgelassen, auch dank der massiven Militärhilfe aus dem Westen. Dieser hat eine beachtliche Einigkeit bewiesen, die auf dem Gipfelmarathon der vergangenen Wochen und Monate eindrücklich bekräftigt wurde. Nichtsdestotrotz scheint das Ende des Krieges nicht in Sicht zu sein und die Hoffnung auf eine diplomatische Lösung ist in weite Ferne gerückt. Russland gibt trotz hoher Verluste nicht auf. Nach Putins jüngster Rede zur Lage der Nation scheint Russland sich endgültig vom Westen und einer regelbasierten Ordnung zu verabschieden.

Der russische Angriffskrieg leitete einen tiefgreifenden Wandel in Deutschland ein, der bis heute andauert. Er umfasst eine Kehrtwende in der Russlandpolitik und der Energiepolitik, die größte Aufstockung des Verteidigungshaushalts seit dem Ende des Zweiten Weltkrieges und einen politischen Tabubruch mit der Lieferung von Waffen in ein Kriegsgebiet. Angefangen mit 5000 Helmen, bis hin zu Leopard-Kampfpanzern verwandelte sich Deutschland innerhalb eines Jahres von einem stark kritisierten Nachzügler zu einem der wichtigsten militärischen Unterstützer der Ukraine. Trotzdem ist Deutschland weiterhin der Kritik nach dem Motto „too little – too late“ ausgesetzt.

Den Ergebnissen des Security Radar 2023 zufolge unterstützt die deutsche Öffentlichkeit die Zeitenwende. Die Neubewertung der Sicherheitslage und des Verhältnisses zu Russland (aber auch China) ist tiefgreifend. Dazu kommt eine starke Bereitschaft, die wirtschaftliche Abhängigkeit von diesen Staaten zu reduzieren. Erstmals seit Jahrzehnten befürwortet eine Mehrheit der Deutschen die Steigerung der Verteidigungsausgaben. Gleichzeitig zeigt die öffentliche Meinung und Debatte eine starke Kontinuität der Kultur der Zurückhaltung. Die Fokussierung auf Frieden, die grundsätzliche Skepsis gegenüber militärischen Instrumenten und die Hoffnung auf eine Verhandlungslösung sind Zeichen dafür. Damit ist die gegenwärtige öffentliche Unterstützung der Zeitenwende nicht unumstößlich.

Drei Aspekte sind hierbei von Bedeutung: Erstens, die politisch-militärische Ebene: Der Krieg in der Ukraine ist nicht nur eine Tragödie für das betroffene Land, sondern bleibt eine potenzielle Bedrohung für die Sicherheit Deutschlands. Das erzeugt Ängste und Sorgen in der Bevölkerung. Viele Menschen glauben, dass der Krieg noch lange andauern wird, und setzen auf eine diplomatische Lösung. Gleichzeitig spaltet die Frage von weiteren Waffenlieferungen an die Ukraine die Gesellschaft – nur eine hauchdünne Mehrheit ist dafür. Skepsis herrscht auch im Hinblick auf den Beitritt der Ukraine zur EU und zur NATO. Möglicherweise fürchten die Menschen eine Eskalation des Konflikts ins eigene Bündnis oder sie zweifeln an der Eignung der Ukraine als Mitgliedsland. Eine klare rote Linie ist die Entsendung deutscher Truppen in die Ukraine. Drei Viertel der Befragten lehnen einen solchen Schritt ab. Der Wechsel von „Frieden schaffen ohne Waffen“ zu „Frieden schaffen mit Waffen“ ist in der Gesellschaft mithin nicht erfolgt. Deshalb sollte hinterfragt werden, ob Frieden langfristig mit mehr Waffen gesichert werden kann. Vor diesem Hintergrund ist es wichtig, dass die Regierung die Unterstützung der Ukraine weiterhin sehr genau gegen das Risiko einer möglichen Kriegseskalation abwägt. Dabei sollte die verantwortungsethische Maxime handlungsleitend sein: Der Zweck darf nicht jedes Mittel heiligen. So rechtfertigt die Verteidigung der ukrainischen Souveränität beispielsweise nicht den Einsatz international geächteter Waffen. Daher ist die deutsche Absage der ukrainischen Forderung nach Streumunition absolut richtig.

Zweitens: Die wirtschaftliche Dimension der Zeitenwende ist nicht weniger folgenschwer für Deutschland. Momentan wird eine Reduktion der Abhängigkeiten von Russland und China in der öffentlichen Meinung befürwortet. Die langfristigen Kosten des Krieges und der wirtschaftlichen Entkopplung sind aber den Wenigsten klar. Ohne kompensierende Investitionen in Produktivitätssteigerung und Innovationen werden die anhaltend hohen Energiekosten nicht nur die Wettbewerbsfähigkeit des Industriestandorts Deutschland, sondern auch unzählige Jobs gefährden. Die Abfederung der unmittelbaren Kriegsfolgen durch den 200 Milliarden Euro schweren „Doppelwumms“ ist folgerichtig und mag für die Bevölkerung vorerst Abhilfe schaffen. Sollte der Effekt aber nicht ausreichen, um langfristige Kosten und möglicherweise sinkende Lebensstandards auszugleichen, könnte es kritisch werden. Wenn Sozialkürzungen notwendig werden, um neue Waffen für die Bundeswehr zu beschaffen, wird es besonders schwierig werden, die Wählerinnen und Wähler von langfristig hohen Militärbudgets zu überzeugen. Der vorhandene Spielraum könnte weiter verengt werden, wenn der Finanzminister auf der Einhaltung der Schuldenbremse beharrt und sich dieses Dilemma schon in den nächsten Jahren zuspitzt.

Drittens, die europäische Ebene. Der Blick auf die öffentliche Meinung in Deutschland, Frankreich, Lettland und Polen zeigt, dass der Krieg zu mehr Gemeinsamkeiten geführt hat. Das betrifft das veränderte Bild von Russland, die Bereitschaft, die Ukraine zu unterstützen – wobei die gleiche rote Linie gezogen wird, nämlich Entsendungen eigener Truppen wird abgelehnt –, sowie der Wunsch nach dem Aufbau einer gemeinsamen europäischen Armee. Die Einigkeit innerhalb der EU ist somit nicht nur Ergebnis politischer Entscheidungen, sondern eine echte Annäherung der Wahrnehmungen. Jedoch ist das Fundament des Vertrauens zwischen den Staaten fragil. Besonders besorgniserregend ist das tiefe gegenseitige Misstrauen zwischen Polen und Deutschland. Zudem gibt es  sehr unterschiedliche Vorstellungen über Wege zur Beendigung des Krieges, zur Frage, ob die Ukraine Mitglied der EU werden sollte, und zum Umgang mit China.

Die Zeitenwende hat begonnen, ist aber keineswegs abgeschlossen. Sie ist nun vielmehr Gegenstand der politischen Auseinandersetzung. Der Ausgang des Krieges ist hierbei eine bedeutende Unbekannte. Daher braucht es für die weitere Gestaltung der Zeitenwende eine ernsthafte politische Debatte, die sich nicht allein auf die Entwicklungen auf dem Schlachtfeld und das nächste zu liefernde Waffensystem konzentriert, sondern die ebenfalls die langfristigen Folgen der Zeitenwende in den Blick nimmt. Also eine Debatte über europäische Sicherheit, die das zukünftige institutionelle Gefüge des Kontinents ergebnisoffen in den Blick nimmt, dabei eine Anknüpfung an die Erfahrungen mit der Konferenz über Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa im Kalten Krieg vorsieht und sich mit einem resilienteren, nachhaltigen Wirtschaftsmodell Deutschlands befasst, das die Vor- und Nachteile globaler Abhängigkeiten abwägt.

Bisher hat der Großteil der Öffentlichkeit den Regierungskurs wohlwollend mitgetragen. Angesichts der Geschwindigkeit und Gleichzeitigkeit von massiven Herausforderungen ist das beachtlich. Besonders nachdem zu Beginn des Krieges keine angemessene parlamentarische oder gar öffentliche Debatte über die schwerwiegenden politischen Entscheidungen, inklusive einer Grundgesetzänderung, geführt wurde. Dieser Vertrauensvorschuss in die Arbeit der Regierung galt vor allem den kurzfristigen Maßnahmen in der akuten Krisensituation. Langfristig ist eine breite und kritische gesellschaftliche Debatte unabdingbar.

In so einer unsicheren Sicherheitslage mit ungewissen politischen und wirtschaftlichen Auswirkungen braucht es eine kommunikative Begleitung der Zeitenwende. Denn sonst können die öffentliche Unterstützung der Regierungspolitik und vor allem die Bereitschaft bröckeln, den Preis für die Zeitenwende zu zahlen. IPG 1

 

 

 

 

 

Stoltenberg im Interview: „Russland plant ständig neue Offensiven“

 

Der NATO-Gipfel in Vilnius im Juli wird wichtige Entscheidungen für die NATO bringen, sagt der Generalsekretär des Nordatlantikbündnisses Jens Stoltenberg in einem Interview mit EURACTIVs Medienpartner LRT. Den ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj hat er zu dem Treffen eingeladen. Von: LRT.lt

 

Welche Entscheidungen können wir vom NATO-Gipfel in Vilnius im Juli erwarten?

Der Gipfel von Vilnius wird ein sehr wichtiger Gipfel sein. Und ich möchte Litauen dafür danken, dass es ein so wichtiges Ereignis austrägt.

Wir haben im letzten Jahr gesehen, dass die NATO ihre Präsenz im östlichen Teil des Bündnisses, auch in der baltischen Region, mit Battlegroups, mit mehr Truppen und Kräften sowie unterstützt durch eine beträchtliche Luft- und Marineeinheiten, deutlich erhöht hat.

Wir werden immer tun, was notwendig ist, um sicherzustellen, dass wir eine glaubwürdige Abschreckung und Verteidigung haben, die eine klare Botschaft an Moskau sendet: dass wir hier sind, um alle Verbündeten zu schützen und zu verteidigen, und dass ein Angriff auf einen Verbündeten eine Reaktion der gesamten Allianz auslösen wird.

Wir tun dies natürlich nicht, um einen Konflikt zu provozieren, sondern um einen Konflikt zu verhindern, um einen Angriff auf ein verbündetes Land zu verhindern.

Neben der verstärkten Präsenz ist das Wichtigste, was wir jetzt tun – und in Vilnius werden wir uns auf neue Pläne und auch ein neues Modell für unsere Streitkräfte und die Erhöhung der Verteidigungsausgaben einigen -, sicherzustellen, dass wir über die Bereitschaft und die Kräfte verfügen, um bei Bedarf schnell reagieren zu können.

Wir haben [die Präsenz der NATO an der Ostflanke] bereits erhöht, und wir prüfen ständig, was wir noch tun sollten. Aber das Wichtigste ist, dass wir über eine erhebliche Anzahl von einsatzbereiten Truppen verfügen, die bei Bedarf schnell mobilisiert können.

Glauben Sie, dass der Gipfel von Vilnius ein historisches Ereignis sein wird und einen entscheidenden Moment für die NATO darstellen wird?

Ja, der Gipfel von Vilnius wird ein sehr wichtiger Gipfel sein.

Und ich habe letzte Woche mit Präsident Naus?da in Warschau gesprochen, wo wir beide an dem Treffen mit Präsident Biden und der B9-Gruppe, den Verbündeten der Ostflanke, teilgenommen haben, und wir haben mit den Vorbereitungen begonnen.

Ich glaube, dass der Gipfel in Vilnius wichtig sein wird, denn er wird unsere Einigkeit bei der Unterstützung der Ukraine demonstrieren. Hoffentlich werden auch neue Schritte und neue Maßnahmen zur langfristigen Unterstützung der Ukraine und zum Aufbau einer Partnerschaft mit der NATO vereinbart.

Wir müssen die Verteidigung stärken. Ich erwarte, dass sich unsere Verbündeten auf neue Pläne einigen, aber auch auf eine neue Rolle für unsere Streitkräfte und eine weitere Erhöhung der Verteidigungsausgaben.

Es wurden noch keine Entscheidungen getroffen, aber ich denke, wir sollten 2 Prozent des Bruttoinlandsprodukts nicht als Obergrenze für unsere Ausgaben betrachten, sondern als Untergrenze, als Minimum dass wir für unsere Verteidigungsausgaben zur Verfügung stellen sollen.

Wird Präsident Selenskyj beim Gipfeltreffen in Vilnius anwesend sein und welche Bedeutung würde seine Anwesenheit haben?

Ich habe Präsident Selenskyj eingeladen, am NATO-Gipfel in Vilnius teilzunehmen. Ich glaube, das wird ein starker Ausdruck unserer Solidarität und Unterstützung sein. Ich hoffe, dass er dort sein kann. Aber das hängt natürlich von der Lage in der Ukraine ab, die sich mitten in einem umfassenden Krieg befindet.

Ich fürchte, dass die einzige Sprache, die Präsident Putin versteht, unsere Einigkeit und unsere Stärke ist. Und das ist der Grund, warum wir zusammenstehen müssen.

Präsident Putin hat zwei große strategische Fehler gemacht, als er in die Ukraine einmarschierte. Er hat die Ukrainer, den Mut und die Entschlossenheit des ukrainischen Volkes, der ukrainischen Streitkräfte und der ukrainischen Führung völlig unterschätzt.

Aber er hat auch die Entschlossenheit und den Willen der NATO-Verbündeten und -Partner unterschätzt, die Ukraine zu unterstützen. Litauen gehört zu den Ländern, die der Ukraine umfangreiche Unterstützung leisten. Gemessen an Ihrem Bruttoinlandsprodukt gehört Litauen wirklich zu den Spitzenverbündeten, wenn es um die Unterstützung der Ukraine geht.

Wir tun dies, um Präsident Putin die Botschaft zu übermitteln, dass er auf dem Schlachtfeld nicht gewinnen wird. Er muss sich hinsetzen und die Ukraine als souveräne, unabhängige Nation anerkennen und dann die Ukraine verlassen. Präsident Putin hat den Krieg begonnen, Präsident Putin wird den Krieg auch beenden, indem er seine Truppen abzieht.

Was sagen die Geheimdienste der NATO über das Ausmaß dieser neuen russischen Offensive?

Wir sehen bereits neue Offensivaktionen Russlands, vor allem rund um Bachmut, mit heftigen Kämpfen und schweren Verlusten. Russland wirft Wellen von Soldaten gegen die ukrainischen Verteidigungslinien, wie wir sie seit dem Ersten Weltkrieg nicht mehr gesehen haben.

Und wir sehen auch, dass Russland ständig neue Offensiven plant, mehr Truppen mobilisiert, mehr Waffen beschafft, die Produktion hochfährt, mehr Munition und mehr Waffen schickt und auch anderen autoritären Regimen wie dem Iran und Nordkorea die Hand reicht.

Gibt es Ihrer Meinung nach Unterschiede zwischen Russland und Belarus?

Russland und Belarus stimmen mehr und mehr überein, aber wir haben noch keine vollständige Vereinigung beider Länder gesehen.

Wir sehen auch, dass Belarus eine Plattform war, um Russlands Angriffskrieg gegen die Ukraine zu unterstützen, und auch die Invasion wurde von Belarus aus gestartet. Viele der Invasoren kamen vor einem Jahr von belarussischem Territorium aus, und das belarussische Territorium ist weiterhin eine Abschussplattform für Luft- und Raketenangriffe auf die Ukraine. Wir sehen eine zunehmende Verflechtung zwischen den russischen und den belarussischen Streitkräften.

Wenn China anfängt, Waffen an Russland zu liefern, welche Reaktion wäre dann erforderlich?

Bislang haben wir noch keine Lieferungen tödlicher Waffen von China an Russland gesehen. Aber wir haben einige Anzeichen dafür gesehen, dass sie dies in Erwägung ziehen, vielleicht sogar schon planen.

Die Botschaft der NATO lautet, dass China das nicht tun sollte. Das würde die Situation nur weiter eskalieren lassen. Und natürlich sollte China den illegalen Krieg Russlands gegen die Ukraine nicht unterstützen. China ist Mitglied des UN-Sicherheitsrats und sollte nicht gegen die in der UN-Charta verankerten Grundprinzipien des Respekts vor dem Nachbarn verstoßen.

Das Bündnis und Sie selbst haben betont, dass die Ukraine zu international anerkannten Grenzen zurückkehren muss. Bedeutet das, dass die Ukraine die Krim mit Gewalt zurückerobern muss?

Am Ende des Tages ist es absolut wahrscheinlich, dass dieser Krieg am Verhandlungstisch enden wird. Und dann wird es an den Ukrainern liegen, sowohl über die Bedingungen für Verhandlungen als auch darüber zu entscheiden, was sie akzeptieren können.

Unsere Aufgabe ist es, die Ukraine zu unterstützen, denn wir wissen, dass das, was am Verhandlungstisch geschieht, untrennbar mit der Stärke auf dem Schlachtfeld verbunden ist. Wenn wir also wirklich eine friedliche Lösung des Krieges in der Ukraine auf dem Verhandlungsweg wollen, dann ist der beste Weg, dies zu erreichen, die militärische Unterstützung der Ukraine. Und dann muss es die Ukraine sein, die entscheidet, welche Bedingungen akzeptabel sind. EA 1

 

 

 

 

Italienische Rockband Måneskin über junge Nichtwähler in Italien: „Das sind verdammt viele!“

Die Rockband Måneskin, Sieger des Eurovision Song Contest 2021, kritisiert die aktuelle Politik in ihrem Heimatland Italien, für die auch die jungen Italiener verantwortlich seien. Schließlich sind 40 Prozent der Menschen zwischen 18 und 25 nicht zur Wahl gegangen. „Das sind verdammt viele!“, sagt die Bassistin Victoria De Angelis in der aktuellen Ausgabe des ZEITmagazins. Der Gitarrist Thomas Raggi ergänzt: „Wenn es mich nicht juckt und ich keine Lust habe, von meinem gemütlichen Sofa aufzustehen, um mich vor irgendeinem Wahllokal in die Schlange zu stellen, dann kommt es zu so einem Wahlergebnis.“

 

Ein weiterer Grund für den Wahlsieg der Postfaschistin Georgia Meloni sei eine Verklärung der guten alten Zeit: „Italien hat ein kurzes historisches Gedächtnis. Wir haben die letzte rechte Regierung vergessen, wir haben vergessen, was passiert ist. Und zum Zweiten gibt es diese Vintage-Wehmut: Alles, was alt ist, ist schön. Kochen wie anno dazumal, Ferien machen wie anno dazumal, die Musik von anno dazumal ...”, sagt der Sänger Damiano David. „Es gibt tatsächlich noch immer Leute, die behaupten, zu Kriegszeiten sei alles besser gewesen”, so Ethan Torchio, Schlagzeuger der Band.

 

In Italien sei auch der Einfluss der Kirche immer noch sehr groß, meint die Bassistin De Angelis: „Als unsere Plakate in Rom geklebt werden sollten, hat uns die Kirche Schwierigkeiten gemacht. Auf dem Foto war ich mit verdrehten Augen zu sehen, man sah nur das Weiße, das war denen zu dämonisch. Deshalb wurde uns die Plakatierung in der Nähe des Vatikans untersagt.” Trotzdem sei Italien ein wunderbares Land: „Es ist mit keinem anderen Land vergleichbar. Und es tut weh, dass es so viele Leute gibt, die es mit ihrer Scheißmentalität kaputt machen wollen.“  dip

 

 

 

 

 

Zeitverzug beim Mentalitätswandel

 

Die Zeitenwende ist auch eine Mentalitätswende: Deutschland muss nicht nur in Bezug auf Russland, sondern auch auf die USA und China umdenken. Thorsten Benner

 

„Zeitenwende“ ist ein Zwitter: Der Begriff steht sowohl für Zeitdiagnose als auch für ein Politikprogramm. Was die richtige Diagnose ist und was das richtige Politikprogramm, darüber wird politisch gestritten in der demokratischen Öffentlichkeit. Dieser Streit basiert auf Konzepten, mit denen wir die Welt ordnen und Politikrezepte entwickeln. Wo stehen wir in der mentalen Zeitenwende? Wo sind wir auf dem richtigen Weg? Wo hinken wir noch hinterher?

Beim Blick auf die europäische Friedens- und Sicherheitsordnung hat sich ein weitgehender und dringend notwendiger Mentalitätswandel vollzogen: weg von dem Mantra, dass Sicherheit in Europa nur gemeinsam mit Russland möglich sei. In seiner Rede im Bundestag am 27. Februar 2022 formulierte Bundeskanzler Olaf Scholz: „Dauerhaft ist Sicherheit in Europa nicht gegen Russland möglich. Auf absehbare Zeit aber gefährdet Putin diese Sicherheit.“ SPD-Fraktionschef Rolf Mützenich spitzte diese Diagnose im letzten Sommer zu: „Seit dem 24. Februar 2022 wird es Sicherheit auf absehbare Zeit nur vor und nicht länger mit Russland geben können.“ Dass diese Feststellung vom wohl profiliertesten SPD-Vertreter der – gegenüber Konzepten wie Abschreckung höchst skeptischen – Friedens- und Entspannungspolitik kommt, ist bemerkenswert.

Es zeigt, dass Parteichef Lars Klingbeil mit der mentalen Zeitenwende, die er in der Sozialdemokratie mit Blick auf eine neue Ostpolitik vorantreibt, keinesfalls allein auf weiter Flur steht. Zu dieser mentalen Zeitenwende gehört auch eine Analyse der Fehler der Russlandpolitik der letzten Jahrzehnte. Hier ist nicht nur die Sozialdemokratie gefordert. Die maßgeblichen Entscheidungen (inklusive für die immer größere Abhängigkeit von russischen Gasimporten) wurden in einem breiten Konsens zwischen der Wirtschaft sowie von CDU/CSU, SPD und FDP getroffen. Aber die Rolle der Sozialdemokratie war nicht zuletzt deshalb eine besondere, weil der ehemalige SPD-Bundeskanzler Gerhard Schröder sich schamlos auf die Gehaltsliste russischer Staatsunternehmen setzen ließ und seine Männerfreundschaft zum russischen Präsidenten Putin zelebrierte.

Insofern ist es wichtig, dass die Führungsspitzen der SPD vorangehen bei der Aufarbeitung von Fehlannahmen. Hier lässt der Bundeskanzler Engagement vermissen. Viel mehr als ein Bedauern darüber, dass er sich nicht früher mit seinem Plan, Flüssiggasterminals an der deutschen Küste zu bauen, hatte durchsetzen können, ist Olaf Scholz nicht über die Lippen gekommen. Dabei sollte es Scholz leichtfallen, mit der Russlandpolitik ehrlich ins Gericht zu gehen, gehörte er doch nie zu der Fraktion, die Nähe zu Putin zelebrierte. Scholz überlässt es dem SPD-Parteichef Klingbeil, die blinden Flecken und Fehler der SPD-Ostpolitik zu sezieren. Klingbeil tat dies in einer wegweisenden Rede am 18. Oktober. Er rief in Erinnerung, dass die Ostpolitik Willy Brandts auf Abschreckung durch eigene militärische Stärke fußte, was erst die Annäherung ermöglicht habe. Dass die Verteidigungsausgaben unter Brandt gestiegen sind, sei in jüngerer Zeit in Vergessenheit geraten. Klingbeil betonte, dass es ein Fehler der Ostpolitik gewesen sei, „zivilgesellschaftliche Gruppen, wie etwa die Solidarno?? in Polen, nicht in ihrem Kampf gegen die repressiven Regime zu unterstützen“. Der SPD-Vorsitzende räumte als einen blinden Fleck der Russlandpolitik ein, die „Interessen und Perspektiven“ der Länder Mittel- und Osteuropas nicht ausreichend berücksichtigt zu haben.

Das zu ändern, bleibt eine große Aufgabe nicht nur für die Sozialdemokratie, sondern für das gesamte Land. Das setzt viel mehr Neugier und mehr Austausch voraus. Deutschland muss dabei nicht die in Polen oder den Staaten des Baltikums vorherrschenden Ansätze zum Umgang mit Russland (gerade mit Blick auf den Krieg gegen die Ukraine) übernehmen, es muss sich auch nicht von moralisierenden Lektionen provozieren lassen, aber es muss geduldig zuhören und den eigenen Ansatz ohne rechthaberischen Gestus vermitteln. Dies setzt auch eine neue Geschichtspolitik voraus, welche die von Timothy Snyder beschriebenen „Bloodlands“ – im Baltikum, in Polen, Belarus und in der Ukraine – ins Zentrum stellt, statt sich allein auf Russland zu fokussieren. Diese Perspektiv-Erweiterung zu verinnerlichen und umzusetzen, ist eine Generationenaufgabe.

Noch wenig vorangeschritten ist der Mentalitätswandel mit Blick auf die Rolle der USA für die europäische Sicherheit. Die Reaktion auf Russlands Krieg hat gezeigt: Gegenwärtig ist europäische Sicherheit nicht ohne die Vereinigten Staaten denkbar. Die USA organisieren nicht nur einen Großteil der militärischen wie wirtschaftlichen Antworten auf Russlands Angriffskrieg. Sie sorgen auch dafür, dass die Allianz zusammenhält, und sind bereit, dafür einen Preis zu zahlen, wie etwa die Lieferung von Abrams-Panzern auf Bitten von Olaf Scholz, um den Weg für die Lieferung von Leopard-Panzern freizumachen und vor allem um ein großes Spaltungsthema zwischen Deutschland und einigen Verbündeten abzuräumen. 

Das Treffen des Bundeskanzlers mit dem US-Präsidenten im Weißen Haus an diesem Freitag wird viel transatlantische Wohligkeit versprühen, auch wenn Biden wirtschaftspolitisch Trumps America First mit klügeren Mitteln, aber großer Entschlossenheit fortführt. Doch diese Wohligkeit ist trügerisch. Biden ist der letzte klassische Transatlantiker im Weißen Haus. Einen wie ihn wird es niemals wieder geben. Auch im besten aller Fälle werden die USA von Europa fordern (und zwar mit definitiver Bestimmtheit), mehr für die eigene Sicherheit zu tun, damit sich die Vereinigten Staaten auf die Auseinandersetzung mit China im Indo-Pazifik fokussieren können. Und im schlechteren Fall wird es zu einer Fortsetzung einer Spielart des Trumpismus kommen, was zum Ende der Sicherheitsgarantien der USA für Europa führen könnte. Deutschland und Europa stünden dann nackt da. Und die Reaktion darauf muss die entschlossene Investition in eigene Fähigkeiten sein. Von einer mentalen Zeitwende hin zu einer entschlossenen Vorbereitung auf ein Europa, das nicht mehr unter dem Schutz des wohlmeinenden Großvaters Biden steht, ist jedoch bislang nichts zu spüren.

In den ersten Wochen nach Putins Überfall war Deutschland von einer tiefen Angst ergriffen, dass Putin seinen Marsch nach Westen in Richtung NATO-Territorium fortsetzen würde und Deutschland dann blank dastünde. Diese Angst machte die 100 Milliarden Sondervermögen für die Ertüchtigung der Bundeswehr erst möglich. Doch die Entlarvung der Schwächen des russischen Militärs sowie das kriegspolitische Rundum-sorglos-Paket der Biden-Regierung führten dazu, dass Deutschland die Angst angesichts der eigenen Verteidigungsfähigkeit wieder weitgehend verlor. In den letzten Monaten dominierte stattdessen eher die Angst vor der Eskalation des Kriegs in Folge einer zu forschen Unterstützung der Ukraine. Dieser Angst kann man glücklicherweise durch bedächtiges Vorgehen Rechnung tragen, was dem deutschen Apparat nicht sonderlich schwerfiel. Statt des nötigen „Deutschland-Tempos“ bei der Ertüchtigung der Bundeswehr, das sich am Bau der LNG-Terminals an der Küste orientiert, dominiert, in den Worten Carlo Masalas, ein Zeitlupentempo. „Das System“, so Masala, ist „wieder in seine alte bürokratische Lethargie zurückgefallen“.

Das liegt auch an einer nicht vollzogenen mentalen Zeitenwende mit Blick auf die Rolle der USA. Wir sollten uns jeden Morgen ausmalen, wie es für Europa im Krieg gewesen wäre, wenn Trump eine zweite Amtszeit bekommen hätte. Und mit Angstschweiß die Jahre der Biden-Regierung als ein Geschenk begreifen, das wir nutzen müssen, um mit Hochdruck in eigene Fähigkeiten zu investieren und dabei den Schalter zum Deutschland-Tempo umzulegen. Das setzt auch voraus, dass wir schrittweise unseren nuklearen IQ erhöhen und uns der vom französischen Präsidenten Emmanuel Macron angestoßenen Debatte um eine mögliche Europäisierung der französischen Nuklearwaffenfähigkeiten nicht entziehen, so ungemütlich das Thema auch ist.

Die mentale Zeitenwende muss über die europäische Friedens- und Sicherheitsordnung hinausgehen im Sinne der „globalen Zeitenwende“, die der Bundeskanzler in einem Beitrag in Foreign Affairs beschrieben hat. Mit Blick auf die sehr unterschiedlichen Länder, die gern unter dem Begriff des „Globalen Südens“ zusammengeworfen werden, ist der Kanzler mit seiner mentalen Zeitenwende weiter als die meisten im Lande. Scholz diagnostiziert sehr richtig, dass die Welt des 21. Jahrhunderts eine multipolare sein wird, in der die großen nichtwestlichen Länder wie Indien, Brasilien, Nigeria, Indonesien ein großes Wort mitreden werden und sich nicht einfach in eine Blockkonfrontation zwischen den USA auf der einen und China (und Russland) auf der anderen Seite einreihen werden. Deshalb ist es wichtig, viel mehr in die Beziehungen zu diesen Ländern zu investieren, und es war kein Zufall, dass der Kanzler am Jahrestag der Zeitenwende-Rede frisch von einem Indien-Besuch zurückkam.

Weniger klar sind die Signale mit Blick auf China, die andere autoritäre Großmacht, die zudem mit Moskau eine immer engere Partnerschaft pflegt. Welche Lehren ziehen wir aus dem Scheitern des „Wandels durch Handel“ mit Russland für die Abhängigkeiten von China? Niemand fordert ernsthaft eine komplette Entkopplung. Doch die Abhängigkeiten von China, die weit komplexer sind als die von Russland (nicht zuletzt bei den Kerntechnologien der Energiewende), erfordern entschlossenes Handeln. Ebenso dringlich ist ein Umdenken mit Blick auf den Taiwan-Konflikt und einen möglichen Krieg zwischen Taiwan, China und den USA. Diesen Krieg, der noch weitaus größere Auswirkungen hätte als der derzeitige, müssen wir mit aller Macht zu verhindern suchen. Die einzige tragfähige friedenspolitische Strategie zur Verhinderung dieses Krieges ist die entschlossene Abschreckung Pekings – der Status quo darf nicht mit Gewalt verändert werden. Hierzu bedarf es einer Beschleunigung des chinapolitischen Umdenkens – der Lackmustest der mentalen Zeitenwende. Wenn wir damit erfolgreich sind, erspart uns das dann auch die Suche nach einer Vokabel, um den Epochenbruch nach einem Krieg zwischen China und den USA zu beschreiben. IPG 1

 

 

 

 

Fachkräftemangel. Nahles: Einwanderung unumgänglich, brauchen neue Willkommenskultur

 

Jahrelang herrschte im Osten Deutschlands Massenarbeitslosigkeit. Doch nun zeichnet sich das Gegenteil ab: Es fehlen immer häufiger Arbeitskräfte. Das alarmiert auch die Regierungschefs der ostdeutschen Länder. Sie sind sich einig: Ohne Einwanderung wird es nicht gehen.

Der demografische Wandel schlägt in Ostdeutschland deutlich früher und stärker durch als in anderen Teilen der Bundesrepublik. „Ostdeutschland ist keine Orchidee, sondern im Wesentlichen ein Frühblüher für die Entwicklung, die wir in Gesamtdeutschland vor uns haben“, sagte Bundesarbeitsminister Hubertus Heil (SPD) am Montag auf der Fachkräftekonferenz Ost in Schwerin.

Sachsens Regierungschef Michael Kretschmer (CDU) sprach von einer Zeitenwende. Während Anfang der 2000er bei Quoten um die 20 Prozent der Kampf gegen die Massenarbeitslosigkeit im Vordergrund gestanden habe, rücke nun die Gewinnung und Sicherung von Fachkräften ins Zentrum. „Wir haben es geschafft, in 32 Jahren aus diesem Landstrich den moderneren Teil Deutschlands zu machen. Mit viel Geld und mit viel Kraft. Jetzt geht es um nichts weniger, als ob diese Lebensleistungen Bestand haben, ob wir diese Erfolgsgeschichte fortschreiben können oder nicht“, erklärte der Vorsitzende der Ost-Ministerpräsidentenkonferenz.

Fachkräftemangel größte Bedrohung für Wohlstand

Der Fachkräftemangel sei die größte Bedrohung für den Wohlstand in Deutschland, betonte Heil. Neben der Erschließung noch brach liegender Potenziale im Inland sei auch eine geordnete Zuwanderung unumgänglich, um künftig den Bedarf an Mitarbeitern zu decken. Dem pflichtete die Vorstandsvorsitzende der Bundesagentur für Arbeit (BA), Andrea Nahles bei: „Wir müssen in der Gesellschaft das Verständnis schaffen, dass Leute zu uns kommen. Wir brauchen eine neue Willkommenskultur.“

Das Treffen mit Vertretern aus Wirtschaft, Gewerkschaften und Arbeitsagenturen war von den ostdeutschen Regierungschefs initiiert worden, um gemeinsam zu beraten, wie der Berufsnachwuchs gesichert werden kann. Infolge geringer Geburtenraten und hoher Abwanderung vornehmlich junger Leute in den Nachwendejahren bleiben frei werdende und neu geschaffene Stellen in ostdeutschen Firmen immer häufiger unbesetzt.

Viele ohne Abschluss und Ausbildung

In einem neunseitigen Beschluss wird eine Vielzahl von Maßnahmen aufgeführt, mit denen das Fachkräftepotenzial im Osten besser erschlossen werden soll. Dazu gehören eine bessere Berufsorientierung an Schulen, die Senkung der Zahl der Jugendlichen ohne Berufsabschluss, die Beschäftigung ältere Arbeitnehmer und eine ausgedehnte, kontinuierliche Qualifizierung. Nach Angeben von Heil verlassen alljährlich etwa 45 000 junge Menschen die Schule ohne Abschluss, 1,3 Millionen im Alter zwischen 20 und 30 hätten keine abgeschlossene Berufsausbildung.

„Ostdeutschland ist mit der demografischen Entwicklung bundesweit voraus. Wir sehen uns als diejenigen, die als erste das Thema Fachkräftebedarf managen müssen und vielleicht auch Impulse für ganz Deutschland geben können“, sagte Mecklenburg-Vorpommerns Ministerpräsidentin Manuela Schwesig (SPD) als Gastgeberin.

Deutschlands älteste Bevölkerung

„Uns ist klar, wenn dieser Krieg und wenn diese Energiekrise nicht da wären, dann wäre das das dominierende Thema“, sagte Kretschmer. Die Konferenz in Schwerin habe gezeigt, dass sich alle Beteiligten ihrer Verantwortung bewusst seien. Bei der nächsten Ost-Ministerpräsidentenkonferenz im Juni in Chemnitz werde die Fachkräftesicherung erneut Thema sein.

Nach den Worten von BA-Chefin Nahles hat der Osten Deutschlands die älteste Bevölkerung. Noch dramatischer als der prognostizierte Einwohnerrückgang sei der Rückgang der erwerbsfähigen Bevölkerung. Diese nehme in den kommenden 15 Jahren um fast 17 Prozent ab. „Deshalb ist es gut und wichtig, dass wir uns speziell für Ostdeutschland eine Fachkräfteinitiative überlegen“, sagte Nahles.

„Das Problem ist längst da.“

Im Namen der Arbeitgeber mahnte der Präsident der Vereinigung der Unternehmensverbände Mecklenburg-Vorpommerns, Lars Schwarz, zu Tempo. „Das Problem kommt nicht auf uns zu. Es ist längst da“, sagte er und forderte einen Masterplan, um den auch durch politische Vorgaben eingeleiteten Strukturwandel bewältigen zu können. Dabei gehe es um eine zeitgemäße Infrastruktur, bessere Bildung und mehr Qualifizierung.

Wie zuvor schon Schwesig verwies auch die Vorsitzende des DGB Nord, Laura Pooth, auf die Bedeutung einer guten Bezahlung für die Attraktivität von Arbeitsplätzen. Der Schlüssel zur Sicherung und Gewinnung von Arbeitskräften liege in guten Arbeitsbedingungen und wettbewerbsfähigen Löhnen. „Und vor allem in der längst überfälligen Lohnangleichung Ost-West“, betonte Pooth. Sie beklagte eine vergleichsweise geringe Tarifbindung der Unternehmen im Osten. Nach Angaben der der gewerkschaftsnahen Hans-Böckler-Stiftung beträgt die Ost-West-Lohnlücke bei Gleichqualifizierten etwa 14 Prozent. (dpa/mig 1)

 

 

 

 

Krankheitskosten und Steuern: Das können Versicherte absetzen

 

Neustadt an der Weinstraße – Der Wirtschaftswissenschaftler Bernd Raffelhüschen fordert: Gesetzlich Krankenversicherte sollen bis zu 2.000 Euro im Jahr Selbstbeteiligung zahlen. Nach aktueller Rechtslage gilt: Was die Krankenkasse oder eine Zusatzkrankenversicherung nicht zahlt, lässt sich teilweise von der Steuer absetzen. Der Lohnsteuerhilfeverein Vereinigte Lohnsteuerhilfe e. V. (VLH) zeigt, worauf es ankommt.

Für 2023 wird in der Gesetzlichen Krankenversicherung ein Defizit von 17 Milliarden Euro erwartet – laut Gesundheitsminister Karl Lauterbach (SPD) ist das ein historisches Ausmaß. Deshalb spricht sich der Wirtschaftswissenschaftler Bernd Raffelhüschen dafür aus, dass gesetzlich Krankenversicherte pro Jahr gestaffelt bis zu 2.000 Euro Selbstbeteiligung zahlen.

"Wir können uns das System nicht mehr leisten. Patienten müssen künftig mehr aus eigener Tasche dazu bezahlen", sagte der Professor an der Universität Freiburg der "Bild"-Zeitung (22. Februar 2023).

Raffelhüschen fordert außerdem, dass Versicherte Verletzungen nach selbst gewählten Risiken – wie beispielsweise Skifahren – komplett selbst bezahlen sollten. Auch Raucher müssten sich an den Folgekosten von Behandlungen stärker selbst beteiligen, verlangt er.

Krankheitskosten: Was Sie wie von der Steuer absetzen können

Nach aktuellem Steuerrecht gilt: Unmittelbare Krankheitskosten, die von der Krankenkasse nicht übernommen werden, lassen sich als außergewöhnliche Belastungen von der Steuer absetzen. Dazu zählen Ausgaben oder auch Zuzahlungen für

* Arztbesuche

* Bewegungstherapien

* Brille oder Kontaktlinsen

* Geburt eines Kindes

* Haarausfall oder ein Toupet

* Homöopathie

* Impfungen

* Krankengymnastik

* Logopädische Behandlungen

* Künstliche Befruchtungen

* Zahnarztbehandlungen

* Zahnspange

* Verschrieben Medikamente, wie beispielsweise Antidepressiva oder Antiallergika

Aber Achtung: Das Finanzamt erkennt nur unmittelbare Krankheitskosten an. Das sind Krankheitskosten oder Gesundheitskosten, die Patienten für die Heilung einer Krankheit oder die Linderung ihrer Folgen entstehen. Ausgaben für eine Krankheitsvorbeugung können in der Regel nicht abgesetzt werden.

Medizinische Heilbehandlung muss zwangsläufig sein

Ob Ärztin oder Heilpraktiker – ist die behandelnde Person zur Heilbehandlung zugelassen, erkennen die Finanzbeamten die Kosten als außergewöhnliche Belastung an. Wichtig: Die Heilbehandlung muss gezielt angeordnet worden sein. Ist das der Fall, können die Krankheitskosten in die Anlage Außergewöhnliche Belastungen eingetragen werden.

Das gilt bei Suchterkrankungen

Wer unter Alkoholabhängigkeit, Drogensucht oder Spielsucht leidet, kann die Genesungskosten absetzen. Denn Suchterkrankungen gelten als reguläre Erkrankungen. Das gilt auch für die Raucherentwöhnung. Das heißt: Hat eine Raucherin oder ein Raucher eine ärztliche Verordnung, können sogar die Kosten für Nikotinpflaster als Krankheitskosten in die Steuererklärung eingetragen werden.

Kürzung um die "zumutbare Belastung"

Für Steuerzahlerinnen und Steuerzahler, die außergewöhnliche Belastungen in ihrer Steuererklärung eintragen, gilt: Das Finanzamt rechnet eine zumutbare Eigenbelastung an. Berücksichtigt werden dabei die Höhe ihrer Jahreseinkünfte, der Familienstand und die Anzahl der Kinder.

Dementsprechend liegt die Belastungsgrenze zwischen einem und sieben Prozent. Bei einem Paar mit zwei Kindern und Einkünften von 50.000 Euro im Jahr sind es für das Jahr 2022 zum Beispiel rund 1.350 Euro. Das heißt: Bis zu dieser Grenze sind die Kosten nicht absetzbar. Aber jeder Euro, der über dieser Grenze liegt, kann von der Steuer abgesetzt werden.

Die VLH: Größter Lohnsteuerhilfeverein Deutschlands

Der Lohnsteuerhilfeverein Vereinigte Lohnsteuerhilfe e. V. (VLH) ist mit mehr als 1,2 Millionen Mitgliedern und rund 3.000 Beratungsstellen bundesweit Deutschlands größter Lohnsteuerhilfeverein. Gegründet im Jahr 1972, stellt sie außerdem die meisten nach DIN 77700 zertifizierten Berater.

Die VLH erstellt für ihre Mitglieder die Einkommensteuererklärung, beantragt sämtliche Steuerermäßigungen, prüft den Steuerbescheid und einiges mehr im Rahmen der eingeschränkten Beratungsbefugnis nach § 4 Nr. 11 StBerG. GA