Webgiornale 16-30 settembre 2023
Migranti a Lampedusa. Tempo di cambiare
Sono certamente giorni difficili quelli che stiamo vivendo sul fronte
immigrazione. Le immagini che arrivano da Lampedusa, ci raccontano le tensioni,
le fatiche e le paure di queste ultime ore ma ci riportano a immagini già viste
e ci dicono che è tempo di cambiare, di fare altre scelte coraggiose e
condivise perché questo momento non diventi l’ennesimo già visto ma sia un
punto di partenza, rappresenti una svolta nel percorso che noi tutti, insieme,
possiamo e dobbiamo fare per scrivere una pagina nuova nella storia delle
politiche migratorie italiane
Sono certamente giorni difficili quelli che stiamo vivendo sul fronte
immigrazione. Le immagini che arrivano da Lampedusa, ci raccontano le tensioni,
le fatiche e le paure di queste ultime ore ma ci riportano a immagini già viste
e ci dicono che è tempo di cambiare, di fare altre scelte coraggiose e
condivise perché questo momento non diventi l’ennesimo già visto ma sia un
punto di partenza, rappresenti una svolta nel percorso che noi tutti, insieme,
possiamo e dobbiamo fare per scrivere una pagina nuova nella storia delle
politiche migratorie italiane.
In più occasioni abbiamo sottolineato come non si possa più parlare di
emergenza poiché ormai il fenomeno è sistematico. Ciclicamente registriamo da
anni fasi di picco e le tragedie che hanno devastato alcuni Paesi dell’Africa
di recente, ma anche i tanti drammi, le carestie e le guerre civili che si
vivono in altri sono un elemento che influisce sugli sbarchi e su questi picchi
di arrivo. Sono persone che fuggono perché i loro diritti e la loro vita sono
in pericolo costante e persone il viaggio nel deserto e in mare sembra meno
pericoloso che rimanere in certi contesti. Ma queste considerazioni, che tutti
conosciamo, ci dicono che possiamo realmente incidere e produrre un cambiamento
se invertiamo la narrazione e scegliamo di avviare una svolta nella costruzione
delle politiche di accoglienza e inclusione in Italia e in Europa.
Un percorso che ci deve vedere tutti uniti, ed in cui tutti possono dare il
proprio contributo uscendo dalle logiche di contrapposizione. La Chiesa non si
è tirata mai indietro e non lo ha fatto in questi mesi e in queste ultime
settimane: un lavoro costante e prezioso che ci permette da anni di
accompagnare le persone che arrivano ma anche le comunità verso un percorso di
conoscenza reciproca e di ospitalità fiduciosa dell’altro.
Comprendiamo la fatica e siamo consapevoli degli sforzi delle autorità
tutte, degli enti locali ed anche delle altre organizzazioni ma è evidente ed è
necessario lavorare insieme e non divisi, valorizzare il lavoro e le buone
pratiche già attive che ci dicono che è possibile costruire vie di ingresso
dignitose e sicure, percorsi di inclusione e azioni di empowerment efficaci i
cui risultati ci fanno crescere e migliorare insieme, sostenersi e dialogare in
tavoli istituzionali ad hoc e sui territori, in un’ottica di solidarietà ma
anche di reale ed efficace sussidiarietà che non si esauriscano con il finire
della bella stagione, che non siano una risposta temporanea ma che siano un
punto di partenza nuovo, un passo verso il cambiamento.
Marco Pagniello, direttore Caritas italiana (sir 15)
Stato dell’Unione: è tempo di una nuova leadership
Oggi la Presidente
della Commissione europea Ursula von der Leyen ha pronunciato il suo discorso
sullo Stato dell’Unione annuale al Parlamento europeo di Strasburgo,
probabilmente ignorato dalla gran parte dei cittadini europei, ma molto atteso
dal mondo della politica, dagli esperti e dagli osservatori europei e
internazionali. Questo è stato l’ultimo discorso prima delle prossime elezioni
europee di giugno 2024, e come era prevedibile la Presidente ha prima di tutto
illustrato i risultati del suo mandato per la realizzazione di un’Unione verde,
digitale e geopolitica, rivendicando un tasso di successo del 90% rispetto agli
impegni presi nel 2019.
Il bilancio della
Commissione 2019-2024
Tra le pietre
miliari, von der Leyen ha citato la risposta all’aggressione russa dell’Ucraina,
la reazione alla competizione della Cina, soprattutto attraverso le iniziative
per rendere l’Ue più indipendente nel settore delle materie prime e dei
semi-conduttori, il Green Deal, l’avvio della transizione digitale, il Next
Generation EU, le iniziative sull’uguaglianza di genere e contro la violenza
sulle donne. Nel suo discorso, la Presidente ha parlato alle giovani
generazioni, ha dedicato un commosso ricordo all’attivista e scrittrice ucraina
Victoria Amelina uccisa dalle bombe russe a luglio scorso a Kramators’k, ha
cercato più volte la sponda del Parlamento europeo per le future battaglie
politiche e legislative.
Sono stati molti i
temi affrontati, ma tre aspetti in particolare sono degni di nota per capire
cosa si propone la Commissione europea per i prossimi 300 giorni che ci
separano dalle elezioni, ma forse anche nella prossima legislatura se, come è
sembrato dal tono e dall’orizzonte del suo discorso, Ursula von der Leyen
dovesse ricandidarsi a guidare l’esecutivo europeo.
I tre punti chiave
del programma von Der Leyen
Il primo riguarda
il tono assertivo e le proposte in materia di competitività per contrastare
l’offensiva economica e commerciale cinese. Tenendo fermo l’obiettivo della
transizione ecologica, von der Leyen ha molto insistito sulla necessità di
sostenere l’industria europea, in particolare quella tecnologica, ma anche il
settore agricolo e manifatturiero, e di rafforzare il dialogo per un processo
equo e giusto, valorizzando il ruolo degli attori sociali e aiutando le piccole
e medie imprese semplificando le procedure europee e nazionali.
Ovviamente, questa
strategia richiede anche sostanziosi investimenti comuni, a partire dalla
piattaforma STEP per rafforzare la produzione delle tecnologie strategiche con
un finanziamento potenziale di 160 miliardi di euro già lanciata dalla
Commissione europea, ma soprattutto attraverso nuove risorse per il bilancio
dell’Unione per le quali serve non soltanto il sostegno del Parlamento europeo,
ma anche un difficile accordo tra gli Stati membri.
Spunta di nuovo il
nome di Mario Draghi, al quale viene affidato un importante rapporto sul futuro
della competitività europea. Le accuse rivolte alla Cina sono state durissime,
e accompagnate dall’annuncio di un’investigazione sui sussidi ai veicoli
elettrici per limitare la distorsione del mercato globale e tutelare il mercato
europeo. L’Ue punta anche ad un rafforzamento delle alleanze in funzione
anti-cinese, in particolare con Stati Uniti, Australia e Giappone, con nuovi
accordi di libero scambio dall’America Latina all’Indo-Pacifico, e con il nuovo
corridoio economico tra India, Medio Oriente e Europa firmato ai margini dei
lavori del G20 a Nuova Delhi.
Il secondo
riguarda la proiezione europea verso il vicinato sud, che la Presidente declina
essenzialmente in due priorità. In primo luogo, ha riaffermato un approccio
securitario europeo nella regione del Sahel, sottolineando la necessità di
reagire all’instabilità segnata di recente dal colpo di Stato in Niger, alla
crescente influenza russa e alla minaccia terroristica con la stessa unità
d’intenti mostrata verso l’Ucraina. Ha anche annunciato, senza meglio
specificarlo, un nuovo approccio strategico per l’Africa da presentare al
prossimo vertice tra Ue e Unione Africana. In secondo luogo, ha sottolineato
l’importanza della dimensione esterna del fenomeno migratorio, annunciando una
conferenza per la lotta al traffico degli esseri umani e contemporaneamente
elogiando il recente accordo con il governo autoritario di Tunisi, definendolo
un modello per futuri partenariati. L’accordo, promosso insieme a Giorgia
Meloni e al premier olandese Mark Rutte, è in realtà criticabile sotto molti
profili, da quello dell’efficacia (con un picco di partenze dalla Tunisia
registrato negli ultimi due mesi) a quello del rispetto dei diritti umani (in
particolare con i respingimenti nel deserto tra Tunisia e Libia). Sul fronte
interno, ha sollecitato la ratifica del Nuovo Patto per la Migrazione e l’Asilo
e l’entrata di Bulgaria e Romania nello spazio Schengen.
Il terzo riguarda
il cambio di passo sulla prospettiva dell’allargamento a Ucraina, Moldova,
Balcani occidentali e potenzialmente Georgia, che viene rilanciato e definito
come un interesse strategico dell’Unione. Sono lontani i tempi dell’incertezza
sulla necessità di offrire una prospettiva europea ai paesi del vicinato est e
della regione balcanica, e la Presidente stigmatizza l’approccio binario tra
approfondimento e allargamento. Quest’ultimo può infatti diventare un
catalizzatore di cambiamento per l’Unione, che va messa nelle condizioni di
funzionare anche con più di 30 Stati membri. Per farlo, la Commissione condurrà
un esame delle politiche di pre-allargamento per valutarne l’impatto anche dal
punto di vista di bilancio, ma la Presidente non esclude un processo più
radicale di modifica dei Trattati attraverso la convocazione di una
convenzione.
L’esortazione finale
di von der Leyen è stata quella di pensare in grande, ma le ricette che propone
sembrano andare nella direzione di un’Europa che ancora fatica a trovare una
sua autonomia dal punto di vista strategico e una collocazione internazionale
efficace e sostenibile. Forse è tempo di un cambiamento anche di leadership.
Nicoletta Pirozzi, AffInt 14
Stop di Francia e Germania agli immigrati dall’Italia: ma dove vanno i
migranti dopo l’approdo?
Gli sbarchi
sull’isola di Lampedusa si succedono a un ritmo mai visto, ma Francia e,
soprattutto, Germania dicono stop agli immigrati che arrivano dall’Italia.
Berlino ha
bloccato la procedura di selezione dei migranti in arrivo dalla penisola,
ovvero il “meccanismo di solidarietà” volontario. Il quotidiano Die Welt riporta
la decisione della ministra degli Interni tedesca Nancy Faeser, notificata
all’Italia, e spiega: la Germania rifiuta i migranti che arrivano dall’Italia
perché sta fronteggiando una forte pressione migratoria.
La gravità della
situazione diventa ancora più palese se si pensa che è stata proprio la
ministra bavarese a spingere per il meccanismo volontario di solidarietà
secondo cui gli Stati si sarebbero impegnati nella rapida redistribuzione di
10mila migranti dalle nazioni di primo approdo, Italia in primis.
Lo stop tedesco è
il più deciso, ma non l’unico. La Francia ha annunciato di voler sigillare il
confine tra Mentone e Ventimiglia e per giustificare la decisione, il ministro
degli Interni francese, Gérald Darmanin, nel corso di una visita a Mentone, ha
detto che nelle ultime settimane si è registrato un aumento del 100% dei
flussi, “che colpisce le Alpi marittime e l’intera regione alpina”.
Ma come funziona
il sistema dell’accoglienza migranti dopo il decreto Cutro e quanti immigrati
restano in Italia?
Come funziona
l’accoglienza dei migranti in Italia
Ecco quali sono le
fasi dell’accoglienza in Italia secondo il decreto Cutro di marzo 2023, come
spiega Openpolis.it.
La prima fase
consiste nel portare gli immigrati negli hotspot, centri localizzati vicini
alle aree di sbarco per la prima assistenza sanitaria, il fotosegnalamento e la
pre-identificazione.
Il sistema
“hotspot”, nato nel 2015 in seguito agli impegni assunti dal governo italiano
con la commissione europea, si applica in determinati centri sulle frontiere
esterne dell’Unione dove gli sbarchi sono molto frequenti. Qui si procede a
registrare i dati personali dei cittadini stranieri appena sbarcati,
fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal loro arrivo,
eccezionalmente prorogabili a 72 ore. Nel caso in cui si rifiutino di farsi
identificare, vengono trasferiti nei Cie (Centri di identificazione ed
espulsione prima chiamati Centri di permanenza temporanea) per essere
identificati e rimpatriati.
Obiettivo
fondamentale dell’hotspot è l’identificazione e la distinzione immediata tra
quanti hanno diritto a fare domanda di protezione e i cosiddetti “migranti
economici”, che saranno avviati ai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr)
o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare.
In una seconda
fase, chi manifesta la volontà di richiedere asilo in Italia viene trasferito
nei centri governativi dove viene avviata la procedura di esame della richiesta
di protezione. In questi centri vengono anche accertate le condizioni di salute
degli ospiti per verificare eventuali situazioni di vulnerabilità. Il decreto
20/2023 ha eliminato dai centri governativi i servizi di assistenza
psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al
territorio. Quindi, dopo il decreto Cutro, in questi centri rimangono attivi
l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione
linguistico-culturale, oltre all’accoglienza materiale.
Qualora si
esaurissero i posti disponibili nei centri governativi, quindi di natura
pubblica, le prefetture possono prevedere l’istituzione di Centri di
accoglienza straordinaria (Cas) che vengono affidati a soggetti privati
mediante le procedure previste per i contratti pubblici. Anche nei Cas,
analogamente a quanto avviene nei centri governativi, i richiedenti asilo
vengono accolti con servizi molto ridotti.
Il decreto Cutro
ha anche creato un nuovo tipo di Cas a disposizione delle prefetture qualora i
centri governativi non siano sufficienti. Rispetto agli altri Centri di accoglienza
straordinaria e ai centri privati, questi Cas offrono ancora meno servizi, dato
che i migranti non possono accedere neanche all’assistenza sociale.
La situazione
cambia nei centri appartenenti al Sistema di accoglienza e integrazione (Sai),
dove, però, sempre meno migranti riescono ad accedere.
Qui la struttura è
organizzata su due livelli: il primo è riservato ai richiedenti asilo ed è
basato sull’assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica; il secondo è
riservato ai titolari di protezione e offre anche servizi di integrazione e
orientamento lavorativo.
A differenza dei
centri governativi, gestiti esclusivamente dal ministero dell’interno, il Sai è
coordinato dal Servizio centrale, a sua volta gestito dall’Associazione
nazionale dei comuni italiani (Anci) con il supporto operativo della fondazione
Cittalia.
Il ruolo degli
enti locali è dunque fondamentale nel Sistema di accoglienza e integrazione: la
titolarità dei progetti è assegnata a quegli enti che, su base volontaria,
attivano e realizzano iniziative di accoglienza e integrazione. Più nel
dettaglio, il Sai è costituito dalla rete degli enti locali che – per la
realizzazione di progetti di accoglienza integrata – accedono, nei limiti delle
risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi
dell’asilo.
Il decreto Cutro
ha ridotto drasticamente l’accesso al Sai che torna ad essere un sistema
dedicato quasi esclusivamente ai titolari di protezione. Solo ad alcune
categorie di richiedenti asilo, infatti, sarà ancora permesso di accedere al
Sai: minori stranieri non accompagnati (Msna); persone che si trovano in
particolari condizioni di vulnerabilità; migranti entrati in Italia tramite
corridoi umanitari o sistemi analoghi. Infine, per effetto di norme specifiche,
l’accesso al Sistema di accoglienza e integrazione è consentito anche ai
richiedenti asilo ucraini e afghani.
Dove si
stabiliscono gli immigrati arrivati in Europa?
Ieri, 12
settembre, sull’isola di Lampedusa ci sono stati oltre 110 sbarchi e sono
arrivate più di 5000 persone in un solo giorno.
In questo contesto
è arrivato lo stop della Germania all’accoglienza dei migranti dal Belpaese. Un
rifiuto che può irrigidire i rapporti tra i due Stati ma che non incide quasi
per niente sui numeri dell’immigrazione in Italia. A quanto apprende
l’Adnkronos, sono 1.042 i migranti ricollocati in terra tedesca dall’ottobre
2022 a oggi a fronte degli oltre 100mila arrivi (118.436) in Italia solo da
gennaio 2023.
Passando alla
Francia, secondo dati Eurostat, tra il 2008 e il 2022 Oltralpe sono stati
accolti in media circa 82mila richiedenti asilo ogni anno, 31mila in più
dell’Italia (che è a quota 51mila). I dati sugli arrivi dei migranti in Italia
e le domande d’asilo in Francia si equivalgono: in entrambi i casi si tratta di
202 casi ogni 100mila abitanti, mentre Parigi ha rifiutato il 76% delle
richieste di asilo, contro il 60% di Roma (dati al 2022).
Il numero di
sbarchi non può essere l’unica statistica da considerare quando si parla di
immigrazione. Un dato interessante per comprendere meglio le prospettive
demografiche dei vari Paesi e le dinamiche politiche tra gli Stati Ue riguarda
le richieste di asilo.
Ecco allora quali
sono gli Stati europei con più richieste di asilo nel 2022 (dati Eurostat):
* Germania:
243.835
* Francia: 156.455
* Austria: 112.245
* Spagna: 117.945
* Italia: 84.290
* Grecia: 37.375
* Paesi Bassi:
37.020
* Belgio: 36.740
* Cipro: 22.190
* Bulgaria: 20.390
* Svezia: 18.605
Il dato
dell’Austria assume ancora maggior rilievo se confrontato alla popolazione
totale, pari a poco più di 9 milioni di abitanti nel 2022.
Risulta a maggior
ragione interessante ai fini demografici quanti immigrati abbiano acquisito la
cittadinanza nei vari Stati membri.
In base ai dati
Eurostat 2021, è la Svezia il Paese comunitario con il più alto tasso annuo di
acquisizione di cittadinanza, pari a 1 ogni 10 stranieri residenti, seguita dai
Paesi Bassi (1 ogni 19) e dalla Romania (1 ogni 22). In questa speciale
classifica l’Italia si posiziona al nono posto e dal 2014 al 2021 è sempre
oscillata fra il quinto e il decimo posto per rapporto tra stranieri residenti
e stranieri che acquisiscono la cittadinanza.
Nel 2021 2,3
milioni di persone sono immigrate nell’Unione europea da Paesi extracomunitari
e 1,4 milioni di persone che precedentemente risiedevano in uno Stato membro Ue
si sono trasferite in un altro Stato membro, per un totale di 3,7 milioni di
immigrati internazionali.
Per avere più
chiaro lo scenario demografico futuro e come funzioni l’accoglienza nella
penisola, l’Istat ha realizzato un sondaggio tra gli studenti immigrati in
Italia. Nonostante in molti casi il Belpaese rappresenti un (ovvio) upgrade rispetto
alla situazione di partenza, spesso fatta di povertà e violenza, la percentuale
degli studenti stranieri di scuole superiori che vuole vivere all’estero è del
59% contro il 42% degli italiani. Questo desiderio è molto più diffuso tra le
ragazze (66,3%) rispetto ai coetanei maschi (52%).
Tutti i dati visti
finora impongono una riflessione sul sistema di integrazione. È di tutta
evidenza, al tempo stesso, che gli sbarchi record di questi mesi non consentano
una gestione serena dei flussi e dell’accoglienza. Le tragedie in Marocco e
Libia rischiano di aggravare una situazione già fuori controllo, che può
risolversi solo con una ampia e strutturale cooperazione tra gli Stati di
approdo. Adnkronos 13
Terremoto Marocco, 2.862 i morti e 2.562 feriti
Continua a salire
il bilancio delle vittime del devastante terremoto che ha colpito il Marocco.
Secondo l'ultimo bilancio reso noto dal ministero degli Interni di Rabat, sono
2.862 le persone che hanno perso la vita a causa del sisma e 2.562 i feriti.
Rabat accetta
aiuti solo da Spagna, Gb, Qatar ed Emirati
Il ministero degli
Interni marocchino ha chiarito in un comunicato di aver accettato solo l'aiuto
offerto da Spagna, Regno Unito, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. "Le autorità
marocchine hanno risposto favorevolmente, in questa fase specifica, alle
offerte di sostegno dei paesi amici Spagna, Qatar, Regno Unito ed Emirati Arabi
Uniti, che si erano offerti di mobilitare squadre di ricerca e soccorso",
ha precisato il ministero un comunicato ufficiale raccolto dalla televisione
marocchina 2M.
Rabat giustifica
la sua decisione con la "valutazione precisa" dei bisogni e
"tenendo conto che la mancanza di coordinamento in tali situazioni
potrebbe essere controproducente". In ogni caso, il governo marocchino non
esclude di chiedere aiuto ad altri Paesi, se necessario: "Con
l'avanzamento delle operazioni di intervento, la valutazione dei possibili
bisogni potrebbe evolversi, il che consentirebbe di sfruttare le offerte di sostegno
presentate da altri paesi amici, secondo le esigenze specifiche di ogni
fase".
La Francia ha
stanziato cinque milioni di euro per le organizzazioni non governative che
stanno operando in Marocco, in modo da poter aiutare la popolazione colpita dal
sisma, contribuire nei soccorsi e nelle ricerche. Lo ha annunciato la ministra
degli Esteri francese Catherine Colonna che, a proposito della mancata
richiesta ufficiale di aiuti da parte di Rabat a Parigi, parla di ''scelta
sovrana''.
"Il Marocco è
sovrano, è l'unico in grado di determinare quali siano le sue esigenze. Una
sessantina di Paesi hanno fatto offerte e il Marocco decide in modo
sovrano", ha dichiarato la responsabile della diplomazia francese
intervistata da Bfmtv.
L'Algeria ha
offerto al Marocco l'invio di 80 soccorritori specializzati delle sue forze di
protezione civile per aiutare il Paese nei soccorsi. Il pacchetto di aiuti
comprende un'unità cinofila, personale medico e forniture di emergenza sotto
forma di tende, letti e coperte, ha detto un portavoce del governo di Algeri.
Sabato il
ministero degli Esteri dell'Algeria aveva già detto che avrebbe aperto lo
spazio aereo ai voli che trasportavano aiuti umanitari, nonostante avesse
interrotto le relazioni con il Marocco due anni fa.
"Qui tutti
sono morti o in ospedale", voci da villaggio distrutto
"In questo
villaggio la gente è morta o in ospedale". Sono le parole con cui il
corrispondente della Bbc è stato accolto al suo arrivo a Tafeghaghte, un
villaggio nella regione dell'Atlante completamente raso al suolo dal sisma. Dei
200 abitanti, 90 sono morti accertati, ma la maggior parte degli altri sono
feriti o dispersi.
A parlare è
Hassan, uno dei pochi sopravvissuti. "Abbiamo bisogno dell'aiuto del
governo. Sono molto in ritardo, in ritardo nel venire ad aiutare la
gente", aggiunge l'uomo, mentre cammina fra le macerie di quelle che prima
erano case tradizionali in pietra e mattoni. "La gente non aveva la
possibilità di uscire, non ha avuto tempo di mettersi in salvo", aggiunge.
Suo zio è sotto le macerie, ma Hassan sa già che nessuno scaverà per cercarlo,
perché non ci sono i macchinari necessari. Secondo lui il Marocco dovrebbe
accettare aiuto dall'esterno, ma il suo timore è che venga rifiutato per
orgoglio. Adnkronos 11
Migranti in Europa in aumento: +28% di richieste asilo rispetto al 2022
Roma – Le domande
di asilo registrate nei paesi dell’Unione europea e in Norvegia e in Svizzera
nella prima metà del 2023 sono aumentate del 28% rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente, ha annunciato l’Agenzia dell’Ue per l’asilo (Euaa). Tra
gennaio e la fine di giugno sono state presentate in questi 29 paesi circa
519.000 domande d’asilo, ha affermato l’Euaa stimando che “sulla base delle
tendenze attuali le domande potrebbero superare il milione entro la fine
dell’anno”. Siriani, afghani, venezuelani, turchi e colombiani sono i
principali richiedenti, rappresentando il 44% delle domande. La richiesta per
il primo semestre è la più alta in questo periodo dell’anno dal 2015-2016. In
quel periodo, durante l’afflusso di rifugiati in Europa causato in particolare
dallo stallo del conflitto in Siria, il numero di domande di asilo aveva
raggiunto 1,3 milioni nel 2015 e 1,2 milioni nel 2016. Nel 2022 sono state
994.945. La Germania è il paese che ha ricevuto il maggior numero di domande:
il 30% del totale, quasi il doppio di Spagna (17%) e Francia (16%). L’agenzia
sottolinea, riferisce l’Ansa, che a causa di questo aumento molti paesi
europei “sono sotto pressione nel trattare le domande” e che il numero di
fascicoli in attesa di decisione è aumentato del 34% rispetto al 2022. Circa il
41% delle domande di prima istanza ha ricevuto una risposta positiva. Inoltre,
circa 4 milioni di ucraini in fuga dall’invasione russa beneficiano attualmente
di protezione temporanea in Ue.
Frontex: in
aumento le migrazioni verso l’Ue. Per il 2023/2024 “è probabile” che le rotte
del Mediterraneo orientale e del Mediterraneo centrale “vedranno una maggiore
attività migratoria e una proporzione più elevata dei flussi migratori
complessivi verso le frontiere esterne dell’Ue”. Lo si legge nell’analisi sui
rischi per l’anno che verrà di Frontex. “Parte di questo fenomeno – prosegue il
rapporto – sarà probabilmente l’uso crescente dei corridoi dalla Turchia, dal
Libano e dalla Siria verso il Mediterraneo centrale, che segnerà un’ulteriore
sfumatura tra le rotte del Mediterraneo orientale e centrale: questo fenomeno
sarà esacerbato dall’aumento dei collegamenti aerei tra le due aree
geografiche, che hanno già portato alla registrazione di migranti, come i
siriani, tradizionalmente presenti solo nel Mediterraneo orientale, sulle rotte
provenienti dalla Libia”. “Ai flussi verso nord dalla Libia e dalla Tunisia si
aggiungerà un numero crescente di migranti nordafricani e da vari Paesi
subsahariani, i cui Paesi devono affrontare previsioni economiche, di
sicurezza, di diritti umani e climatiche preoccupanti per il 2023/2024. I
fattori che mitigano i flussi di migranti irregolari sono una maggiore
cooperazione attraverso il Mediterraneo e un rinnovato impegno bilaterale e
multilaterale per consentire alle autorità dei Paesi terzi di prevenire il
traffico di migranti sul loro territorio”, si legge nel rapporto. Mig.on 5
“Migranti, non rispettata l’intesa di Dublino”: ecco perché Roma è sotto
accusa
E adesso rischia
di saltare anche il nuovo Patto Ue su cui l’Italia fonda la sua strategia per
la gestione dei profughi - di Alessandra Ziniti
ROMA – Nessuna
replica alle inattese sortite di Francia e Germania ma il Viminale conferma: «È
vero, non accettiamo più riammissioni di migranti da altri Paesi in virtù dello
straordinario afflusso a cui l’Italia è chiamata a far fronte da mesi. La
vecchia logica della responsabilità del Paese di primo ingresso del regolamento
di Dublino è ormai superata dalla bozza del nuovo Patto approvato a giugno a
Lussemburgo con una prospettiva assolutamente diversa di politica continentale.
Andiamo avanti con il piano Mattei e in una cornice europea. L’interesse
dell’Italia è che il nuovo Patto venga approvato al più presto».
La (nuova) resa
dei conti con Francia e Germania sarà il 28 settembre a Bruxelles alla ripresa
del negoziato tra i ministri dell’Interno sul tanto atteso Patto asilo e
immigrazione. E a complicare il quadro c’è che anche il Memorandum tra Unione
europea e Tunisi che Giorgia Meloni considera un successo personale sembra
sempre più fragile, attaccato ieri a Strasburgo da sinistra ma anche da destra.
I soldi europei a Tunisi non arrivano. E i barchini in partenza da Sfax fanno
la coda per entrare nel porto di Lampedusa scaricando migliaia di persone.
La blindatura
della Francia e la decisione della Germania di sospendere le redistribuzioni
dall’Italia a fronte del mancato rispetto da parte di Roma delle regole di
Dublino (comunque ancora vigenti e che l’Italia ha sottoscritto) non sembrano
preoccupare più di tanto. Al Viminale si limitano a dare dei numeri:
nell’ultimo anno, sono stati appena 1.042, su 3.500 totali, i migranti che la
Germania ha accolto dall’Italia all’interno del piano di redistribuzione
volontario. Numeri talmente piccoli da rendere il rifiuto di Berlino a nuovi
ricollocamenti irrilevante da un punto di vista concreto, ma certo non sul
piano politico.
All’incontro del
28 settembre a Bruxelles, Matteo Piantedosi si presenterà con una strategia che
verrà elaborata nei prossimi giorni dal Comitato interministeriale per i
migranti coordinato dal sottosegretario dell’Interno Alfredo Mantovano a cui,
da qualche settimana, la premier ha affidato la gestione complessiva della
questione migranti. Che vede l’Italia sempre più all’angolo, tra i flussi dalla
Tunisia che paiono inarrestabili, la prospettiva di migliaia di nuovi arrivi
dalla Cirenaica colpita dall’uragano e l’agognata svolta europea che non
arriva. La strategia prevede comunque che l’Italia spinga sull’acceleratore per
portare al traguardo il nuovo Patto per l’asilo e l’immigrazione prima della
fine della legislatura. Traguardo niente affatto scontato, visto che la
campagna elettorale per le Europee sembra già partita e, come sempre accaduto
fin qui, gli interessi dei singoli Paesi e dei diversi schieramenti politici
potrebbero ancora una volta prevalere sulla visione d’insieme.
A minare il
terreno dell’accordo ci sono anche i nuovi numeri sulle richieste di asilo che
confermano come l’Italia, sebbene decisamente in affanno sulla gestione della
prima accoglienza dei migranti con quasi 120.000 sbarchi nel 2023, non sia
affatto il Paese che sopporta l’onere maggiore. Non solo non è ai primi posti
della classifica europea dei Paesi che accolgono più rifugiati (persino dopo la
crisi ucraina) ma — guardando ai numeri in rapporto alla popolazione — è solo
settima tra i Paesi membri in quanto a richieste di asilo: oltre a Germania,
Francia e Spagna (che anche in numeri assoluti sono i Paesi con più richieste)
anche Grecia, Paesi Bassi e Olanda accolgono più richiedenti asilo. Stando a
questi numeri, dovrebbe essere l’Italia a offrire solidarietà agli altri Paesi
e non viceversa. Questo dato di fatto — specie alla vigilia del voto per il
rinnovo del Parlamento europeo — rischia di far saltare il nuovo Patto europeo,
che è la carta su cui l’Italia gioca il tutto per tutto nell’ottica di “difesa
dei confini”, nella speranza di frenare a breve flussi migratori che non
possono aspettare i tempi lunghi del cosiddetto “Piano Mattei” fatto su aiuti e
accordi con i Paesi di origine e di transito dei migranti.
Toccherà a Matteo Piantedosi
riannodare i fili del dialogo con i suoi omologhi, il francese Gérard Darmanin
e la tedesca Nancy Faeser, in vista dell’incontro di Bruxelles. Mentre in
Germania a fine mese si recherà anche il ministro degli Esteri Tajani per un
business forum a Berlino con le tre Confindustrie di Italia, Francia e Germania
già in agenda da maggio. LR 13
“Fuori dal tunnel”. Come l’Europa può superare la grande crisi
Per Solferino
Editore, è in libreria “Fuori dal tunnel”, il nuovo saggio di Nathalie Tocci, direttore
dell’Istituto Affari Internazionali, che affronta il panorama dell’Europa
“multicrisi”: la crisi finanziaria, quella dei flussi migratori, l’ondata
nazional-populista, la pandemia, la guerra e la crisi energetica. L’Italia e
l’Europa appaiono sempre più schiacciate da una catena di emergenze legate tra
loro a doppio filo e da quella più devastante di tutte, la crisi
climatica, così drammatica da indurci a ignorarla, ma che segnerà le nostre
vite e soprattutto quelle dei nostri figli.
Spento un incendio
ci si affretta ad arginare il fuoco successivo, adottando spesso soluzioni
contraddittorie tra loro. L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato in primo
piano la questione della sicurezza energetica, con il rischio di accantonare la
transizione ecologica, pilastro cardine del Green Deal europeo. Ma,
come spiega Nathalie Tocci, è proprio riconciliando sicurezza e
transizione energetica che l’Unione europea sta rilanciando il processo di
integrazione dopo quasi vent’anni di stagnazione.
La transizione ci
sarà e non sarà l’ultima, è solo più complessa e richiede una visione
strategica che tenga conto degli impatti sociali ed economici. E consideri
le conseguenze geopolitiche: sul piano interno (il rischio di
diseguaglianze crescenti con impatto sui populismi in Europa), a livello
regionale (nel Mediterraneo, soprattutto con Paesi vicini nel Nord Africa), e a
livello planetario (con le tensioni tra Usa e Cina destinate ad aumentare). Una
“missione possibile” con cui l’Italia può tornare a essere protagonista
internazionale e l’Europa uscire rafforzata.
Nathalie Tocci
presenterà il suo libro “Fuori dal tunnel. Come l’Europa può superare la grande
crisi” al festival Pordenonelegge domenica 17 settembre alle 17, intervistata
da Elisabetta Pozzetto; e presso l’Istituto Affari Internazionali il 27
settembre dalle ore 17.30. Aff.int. 11
Salvataggi nel Mediterraneo. Prima si salva, poi si discute
Intervista a don
Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans sull’attività della
ong italiana. “Prima si salva, poi si discute” è la filosofia di Mediterranea
Saving Humans la prima ong italiana nata nel 2018 per portare soccorso in mare
con l’imbarcazione Mar Jonio. Mediterranea Saving Humans si occupa anche del
soccorso in terra. Le cronache degli ultimi mesi hanno fatto emergere quanto la
tragedia dei migranti cominci prima dell’imbarco, in Libia, in Tunisia con i
respingimenti (la foto di qualche settimana fa della giovane donna con la sua
bambina riverse senza vita nel deserto l’abbiamo ancora davanti agli occhi), le
detenzioni in campi disumani, dove avvengono le più atroci torture. Di fronte a
questo orrore l’Unione europea non volti lo sguardo altrove, quando sigla
accordi con questi paesi. Parliamo ora di Mediterranea Saving Humans con don
Mattia Ferrari, giovane prete, cappellano di bordo della ong e studente di
scienze sociale con indirizzo di dottrina sociale della chiesa ed etica
pubblica presso la Pontificia Università Gregoriana. Lo abbiamo raggiunto al
telefono - di Paola Colombo
Come è arrivato a
Mediterranea, don Mattia?
Mediterranea nasce
nel 2018 da alcune realtà, prevalentemente dei centri sociali, ma con
l’obiettivo di chiamare a raccolta tutta la società civile in questa missione.
Sono stato coinvolto dai centri sociali bolognesi TBO e Làbas. Questo perché
negli anni del seminario prestavo servizio il sabato e la domenica presso la
parrocchia di sant’Antonio da Padova a Modena, una parrocchia molto vicina ai
poveri e agli ultimi. All’epoca (2016), erano anni di grandi sbarchi, la parrocchia
era diventata un punto di fraternità per molti, anche per i migranti.
Nell’inverno 2017 un ragazzo di diciotto anni proveniente dal Gambia,
richiedente asilo e di religione musulmana, ci telefona una sera dicendo di
trovarsi nella stazione di Bologna dove aveva trovato un ragazzo, Youssufa,
anche lui diciottenne del Gambia, richiedente asilo e completamente solo, senza
casa. “Vorrei aiutare questo ragazzo ma da solo non so come fare, potete
aiutarmi ad aiutarlo”. Le donne della parrocchia il giorno dopo vanno alla
stazione di Bologna e mi portano con loro. Abbiamo conosciuto Youssufa e il
problema era trovare posto per lui, perché era inverno e i centri di
accoglienza erano strapieni. L’ultimo posto della lista a cui abbiamo bussato
erano i centri sociali bolognesi Tpo e Làbas, per noi un altro mondo. Loro lo
hanno accolto Youssufa, con loro è rinato, si è sentito amato, ha trovato una
famiglia, perché la dignità si trova quando si è insieme. Io sono stato
evangelizzato dal ragazzo musulmano della stazione, dalle donne della mia
parrocchia e dai centri sociali bolognesi che, notoriamente, per la maggior
parte, sono atei o agnostici. In questa vicenda c’è già in nuce lo spirito di
Mediterranea; infatti un anno e mezzo dopo i ragazzi di TPO e Làbas mi dicono
di aver concepito un sogno, il desiderio di fondare una piattaforma che chiami
a raccolta tutta la società civile per andare insieme in mare a soccorrere le
persone migranti. Mi chiedono di entrare nella piattaforma perché l’obiettivo
non è di fare la nave di alcuni ma la nave di tutti e di coinvolgere anche la
Chiesa in questa missione.
Dall’attività di
soccorso in mare con la Mar Jonio Lei e il giornalista Nello Scavo avete
raccontato nel libro Pescatori di uomini (Garzanti, 2020). Poi in un suo
articolo apparso alcune settimane fa sul quotidiano torinese La Stampa e
riportato sul sito di Mediterranea racconta dei respingimenti e delle
violenze in Libia e in Tunisia. Che cos’è il movimento Refugees in Lybia e che
cosa fa Mediterranea Saving Humans per sostenerlo?
A un certo punto
la nostra azione si è estesa anche alla Libia perché siamo partiti fin da
subito con l’idea che i protagonisti veri sono loro, sono i migranti, noi ci
facciamo prossimi a loro, alla loro lotta e, quando nel 2021 è nato Refugees in
Lybia, movimento di oltre 2.700 accampati davanti alle UNHCR (l’agenzia Onu per
i rifuguiati) di Tripoli, ci hanno chiamati chiedendoci di supportarli, di
aiutarli, abbiamo subito risposto di sì perché ci è sembrata la cosa più
coerente con quello che Mediterranea è sempre stata. Quindi all’azione di
ricerca e soccorso, di monitoraggio e denuncia per violazione dei diritti umani
in mare si è affiancata questa azione di supporto e di sostegno in Libia. Siamo
in contatto e lavoriamo con Refugees in Lybia e anche in occasione del vertice
che c’è stato dei capi di stato a Roma (23 luglio, conferenza internazionale
sull’emigrazione, n.d.r.), abbiamo organizzato con Refugees il controvertice
per dare voce ai migranti.
Avete ottenuto
qualcosa? C’è la possibilità di dialogare?
Siamo sempre
pronti al dialogo ma la politica fa fatica a riconoscere la soggettività
politica dei poveri, degli esclusi, degli ultimi, dei migranti che vengono
sempre trattati come oggetto e mai come soggetto. Questo è un punto centrale
sul quale insiste il Papa ed è ripreso anche nell’enciclica Fratelli tutti.
Solo se si riconosce l’altro come soggetto è possibile la fraternità; ma
fintanto che qualcuno è soggetto e l’altro è oggetto non c’è fraternità. La
fraternità è fondamentale perché solo la fraternità incarnata può cambiare le
cose, può cambiare il sistema e può portare a delle soluzioni. È difficile
immaginare oggi una soluzione completa alla crisi migratoria; invece non è
affatto difficile pensare alla via per trovare una soluzione. La via è molto
facile ed è riconoscere la soggettività politica di tutti e quindi anche dei
poveri, dei migranti e coinvolgerli come soggetti.
L’intervento di
Mediterranea è stato fondamentale per liberare all’inizio di luglio 225
migranti detenuti a Ain Zara (sud di Tripoli). Che cosa era successo?
Sono stati
liberati quelli che erano stati catturati e deportati nei lager di Ain Zara il
10 gennaio 2022. Che cosa era successo: i migranti avevano fatto un presidio
rivolgendosi a tutte le autorità internazionali e Mediterranea era con loro per
sostenere i loro appelli. Sono stati per noi giorni terribili, giorni di lotta,
di angoscia e pieni di speranza perché questi migranti erano lì accampati,
circondati dalle milizie. Ci sono state tre vittime, di cui una forse morta per
un incidente, le altre due probabilmente assassinate. Noi eravamo costantemente
in videochiamata con loro giorno e notte. Tiziano Schiena, di Mediterranea, è
uno di quelli cha lavorato molto con Refugees in Lybia per aiutarli. L’unico
leader mondiale che ha risposto ai loro appelli è stato papa Francesco. Per il
resto, la politica, le istituzioni non hanno avuto il coraggio di riconoscere
la soggettività di queste persone, li hanno ignorati. E così il 10 gennaio 2022
di notte le milizie del Dcim, il Dipartimento per il contrasto
dell’immigrazione illegale, capitanate da Mohamed al-Khoja (aveva gestito la
prigione di Tariq al-Sikka a Tripoli, teatro documentato di crimini orrendi sui
migranti lì detenuti, n.d.r.), li hanno rastrellati, ne hanno deportato la gran
parte nel lager di Ain Zara. Mohamed al-Khoja, nonostante sia indicato da tutti
i report internazionali come boss della mafia libica, è ora direttore del Dcim,
di quindici “lager”, finanziati dall’Unione europea. Ad Ain Zara sono successe due
cose significative: la prima è che a un certo punto sono comparse immagini
religiose, perché una parte di loro sono cattolici. Vantiamo una identità
cristiana e respingiamo esseri umani che oltretutto sono cristiani e che nei
lager pregano. Ora, come si faccia a definirsi cristiani nel momento in cui si
sostengono queste politiche, dimostra veramente quanto il nostro comportamento
sia non solo ipocrita ma sia offensivo dell’identità cristiana che proclamiamo.
L’altra cosa che abbiamo subito è che un nostro amico si è suicidato perché non
ne poteva più, non vedeva più speranza davanti ai suoi occhi. È stata una
grande sofferenza per tutti noi. Poi sono continuate le trattative, un lavoro
politico che Tiziano Schiena ha seguito più da vicino che me, e che alla fine
ha portato al rilascio di questi migranti deportati. È stato un grande successo
di Mediterranea Saving Humans, e di altre realtà che hanno collaborato con noi.
A proposito di
mafia libica, don Mattia, Lei è stato minacciato in passato. Dopo la denuncia,
le indagini erano state archiviate ma ora sono nuovamente aperte. A che punto
sono?
Sono sotto tutela
dalla parte delle forze dell’ordine e sotto vigilanza privata. In seguito alle
minacce da un account twitter (ora X, n.d.r.) @RGowan facemmo denuncia; dopo un
anno e due mesi il pm di Modena chiese l’archiviazione con una richiesta strana
in cui diceva praticamente che il prete che non eserciti in modo tradizionale,
cioè riservato e silenzioso, deve accettare queste minacce, omettendo
completamente tutto il discorso della mafia libica. L’avvocato ha fatto ricorso
e il gip (il giudice per le indagini preliminari) ha riaperto l’inchiesta: le
indagini sono in corso perché c’è rilievo penale nell’attacco di @RGowan a don
Mattia Ferrari. Nel frattempo il collettivo LJProject è riuscito a scoprire
l’identità del gestore di quel profilo. Questo account pubblica dal 2017,
dall’entrata in vigore degli accordi Italia-Libia, quasi quotidianamente,
materiale per conto delle milizie libiche e, periodicamente, pubblica foto
materiale top secret di apparati militari europei. Questo account ha fatto
minacce nei miei confronti e nei confronti di Nello Scavo. Hanno scoperto che
l’account è gestito da un certo Robert B., il cognome non l’hanno reso pubblico
ma è stato consegnato alla procura e il ministro Nordio rispondendo a
un’interrogazione parlamentare, lo ha rivelato. Il cognome è Brytan, si
tratterebbe di un cittadino canadese che è stato giornalista e vice capo della
guardia costiera canadese, che avrebbe lavorato come assistente di un
europarlamentare tedesco e attualmente si troverebbe in Polonia. Questo
personaggio avrebbe amicizie con i miliziani ed è un nome e cognome identici a
quello del direttore dei servizi informatici dell’agenzia dei servizi
informatici di Frontex, con accesso a tutta la documentazione militare segreta.
È stato chiesto a Frontex se si tratti della stessa persona oppure di un caso
di omonimia. È passato un anno e mezzo e Frontex non ha dato altra risposta che
un “stiamo verificando”. Se si trattasse della stessa persona significa che
persone di alto livello, che gestiscono documentazione militare europea top
secret dell’Europa e di vari paesi, avrebbero rapporti strettissimi con i capi
della mafia libica. Se così fosse, Frontex e l’Unione Europea dovrebbero
rendere ragione.
Speriamo che si
faccia chiarezza su questo. Un’altra domanda, don Mattia. Luca Casarini, di
Mediterranea, è stato invitato da papa Francesco al sinodo a ottobre. Che
significato ha questo invito?
Papa Francesco è
veramente cristiano e ci tiene che in un evento importante come il sinodo dei
vescovi che discuterà temi importantissimi per la Chiesa e per il mondo, sia
presente anche Luca Casarini, perché lui e con lui, tutta Mediterranea Saving
Humans, ama visceralmente. Mi spiego. Nel vangelo l’amore di Gesù non è un
sentimentalismo astratto, il verbo splandizomai indica l’amore viscerale. Gesù
ama con le viscere, per questo si fa prossimo, interviene davanti ai poveri, ai
peccatori, alle moltitudini affamate. Nella parabola del buon samaritano, Gesù
usa questo verbo in riferimento al buon samaritano, una persona che può essere
considerata uno straniero, un eretico, uno che non ha la stessa fede. Il
samaritano passando accanto all’uomo ferito, rispetto al sacerdote levita che
passa davanti indifferente, vede e ha compassione. Il samaritano ama
visceralmente per questo si fa prossimo, per questo crea una rete di
solidarietà con l’albergatore e insieme salvano l’uomo ferito. Questo amore
viscerale è quello che muove Luca Casarini. Se ad alcune persone non piacciono
certe decisioni di papa Francesco, allora per coerenza non se la prendano con
papa Francesco ma se la prendano con Gesù di Nazareth. Bergoglio non sta
facendo altro che incarnare quello che oggi è e che è sempre stato
l’insegnamento di Gesù. CdI sett.
Censimento 2023, chi deve farlo e come si svolge: tutte le informazioni
Partirà il
prossimo 2 ottobre il Censimento 2023 permanente della popolazione e delle
abitazioni, che coinvolgerà 2531 Comuni e circa 1 mln 46mila famiglie. In
Italia il primo censimento ufficiale risale al 1861 e da allora si è svolto
ogni 10 anni con le eccezioni del 1891 (per cause economiche), del 1941 (a
causa della guerra) e del 1936 (svoltosi a 5 anni dal precedente). Dal 2018 il
Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni si svolge ogni anno
prendendo un campione di famiglie, scelte in modo casuale dall’Istat.
Il Censimento ha
diversi obiettivi principali, che sono anche la ragione per cui è importante parteciparvi:
• fornire le
statistiche sulle principali caratteristiche strutturali demografiche,
socio-economiche e abitative della popolazione
• dispensarle
frequentemente
• contenere i
costi, il disturbo statistico sulle famiglie e l’impatto organizzativo sulla
rete di rilevazione
• definire per
ogni Comune i residenti che costituiscono la ‘popolazione legale’ che serve ad
esempio per determinare i posti letto negli ospedali, il numero delle farmacie,
delle scuole, ecc…
• mettere a
disposizione dati utili all’aggiornamento e alla revisione delle anagrafi
comunali della popolazione residente.
Quando viene fatto
il Censimento
Quest’anno il
censimento si svolge dal 2 ottobre al 22 dicembre e fotografa la situazione
alla data del 1° ottobre 2023. Quindi tutte le risposte devono essere riferite
alla propria situazione personale in quel giorno. I primi risultati saranno
diffusi a dicembre 2024.
Per avere
assistenza, dal 2 ottobre al 22 dicembre ci si potrà rivolgere al Numero Verde
Istat 800.188.802 tutti i giorni, compresi sabato e domenica, dalle ore 9 alle
ore 21. Nelle stesse date saranno anche in funzione i Centri Comunali di
Rilevazione (CCR).
Cos’è il
censimento e a cosa serve
Il Censimento è
una fotografia del Paese che punta a delineare le principali caratteristiche
strutturali e socio-economiche della popolazione che vi dimora abitualmente, a
livello nazionale, regionale e locale. La rilevazione rende quindi disponibili
informazioni sull’evoluzione della società e sulle trasformazioni in corso, e
consente di effettuare confronti sia con il passato sia con la situazione di
altri Paesi. In definitiva serve per conoscere il Paese, e aiuta i decisori
pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni) ad effettuare scelte consapevoli e
basate sui dati.
Il censimento 2023
si svolge a campione attraverso due tipi di rilevazione – ‘da Lista’ e ‘Areale’
– e viene integrato con i dati delle fonti amministrative per fornire un
risultato tempestivo, esaustivo e più economico rispetto al censimento generale
che coinvolgeva l’intera popolazione.
La rilevazione ‘da
Lista’ interessa solo alcuni nuclei familiari, nel 2023 circa 998.500,
all’interno dei comuni selezionati per l’indagine, e serve per acquisire
informazioni sulle famiglie, i componenti e gli alloggi in cui vivono.
La rilevazione
‘Areale’ invece riguarda tutte le persone e le abitazioni delle aree
individuate da censire in base ad una rotazione stabilita dall’Istat: nel 2023
coinvolge circa 48 mila rispondenti. L’indagine restituisce dati utili a
calcolare il numero dei residenti in ciascun Comune italiano poiché rileva
tutti gli alloggi e le persone che ci vivono, li utilizzano nel corso dell’anno
o sono occasionalmente presenti.
Come funziona il
censimento
Il censimento 2023
consiste nel rispondere a un questionario predisposto dall’Istat. Vi
partecipano tutti i componenti delle famiglie scelte per il campione, che
vengono avvisate dall’Istat tramite lettera. Il questionario deve essere
compilato dalla persona a cui è stata inviata la lettera, con la collaborazione
di tutti i membri della famiglia. Se la persona è impossibilitata, potrà farlo
un altro componente maggiorenne della famiglia o anche una persona di fiducia.
L’indagine
valuterà sia la famiglia anagrafica, intesa come l’insieme di persone legate da
vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o
da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune,
sia le convivenze anagrafiche, ovvero l’insieme di persone normalmente
coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e
simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.
Saranno anche
censite le popolazioni speciali residenti nel comune (senza tetto, senza fissa
dimora e coloro che vivono nei campi attrezzati, tollerati o spontanei, definiti
come ‘altro tipo di alloggio’).
Quanto a come si
svolge il censimento, ci sono tre casistiche possibili:
• la famiglia
rientra nella rilevazione “Areale”: sarà avvisata tramite lettera non
nominativa e affissione di locandina sul portone del domicilio e poi sottoposta
ad intervista presso la propria abitazione da un rilevatore che registrerà le
risposte al questionario su un tablet. Oppure, sempre in presenza del
rilevatore, potrà compilare autonomamente il questionario sul tablet stesso.
Oppure ancora potrà recarsi presso i Centri Comunali di Rilevazione per
un’intervista faccia a faccia o per compilare autonomamente il questionario con
il supporto di un operatore.
• la famiglia
rientra nella rilevazione ‘’da Lista’’: riceverà una lettera nominativa con le
informazioni, le istruzioni per la compilazione e le credenziali di accesso al
sito Istat nella parte dedicata. Dovrà compilare autonomamente il questionario
online ma potrà anche rivolgersi al CCR, per compilare il questionario con
l’aiuto di un operatore. Le famiglie che non avranno ancora compilato il
questionario online o che lo avranno fatto in maniera incompleta riceveranno
già a ottobre un promemoria dall’Istat che ricorderà loro l’obbligo di
rispondere. In caso di mancata compilazione, la famiglia verrà contattata da un
‘rilevatore censuario’ comunale per procedere a un’intervista tramite tablet.
L’operatore ha un tesserino ufficiale con foto e timbro del Comune ed è tenuto
a fornire il proprio documento d’identità in caso di richiesta
• la famiglia non
fa parte del campione: non riceve alcuna lettera e quindi non deve fare niente.
Cosa viene
chiesto al censimento
Il censimento 2023
raccoglie dati utili a conoscere le caratteristiche demografiche e
socio-economiche del Paese. Vengono chieste in particolare informazioni su:
• le persone
abitualmente dimoranti nell’alloggio
• le loro
caratteristiche demografiche (sesso, anno di nascita, stato civile, relazione
di parentela con la persona di riferimento della famiglia, ecc.)
• il tipo di
alloggio
• caratteristiche
delle abitazioni
• caratteristiche
dell’edificio (numero di piani, numero di interni, epoca di costruzione, ecc.)
• titolo di studio
• condizione
occupazionale
• per gli
occupati: settore di attività economica, professione e spostamenti abituali tra
comuni per ragioni di studio e di lavoro.
E’ importante
notare che i dati raccolti nel Censimento sono trattati in modo anonimo e che
l’Istat utilizza le informazioni solo a fini statistici. La riservatezza
infatti è garantita dal segreto statistico, dalla normativa europea GDRP e
dalla legge italiana (Codice in materia di protezione dei dati personali e
successive integrazioni).
Il censimento è
obbligatorio?
Partecipare alla
rilevazione è obbligatorio secondo la legge (art. 7 del d.lds 6 settembre 1989
n. 322 e successive modificazioni), e se non si fa il censimento si va incontro
a delle sanzioni pecuniarie (art. 11 del d.lds 6 settembre 1989 n. 322 e
successive modificazioni). L’obbligo riguarda i singoli componenti delle
famiglie censite, che devono compilare e trasmettere, in modo completo e
veritiero, nei tempi e nelle modalità previsti, il questionario Istat.
Adnkronos 13
La ventunesima Regione. Cosa chiedono alla politica circa 6 milioni di
italiani all’estero
Così viene ormai
definita la comunità internazionale degli italiani sparsi per il mondo. E con i
suoi quasi 6 milioni di residenti all’estero, ne rappresenta una delle più
popolose.
Il rapporto
annuale sulle migrazioni della Fondazione Migrantes ne raccoglie i numeri,
sempre importanti, e le motivazioni che spingono i nostri connazionali a
cercare altrove, nel mondo, quel che la madrepatria stenta o proprio non riesce
ad offrire.
Ma c’è un momento
particolare in cui l’attenzione della politica si rivolge a loro: le campagne
elettorali, quando questi italiani diventano improvvisamente necessari a tutti
i partiti, riscoprendo così le loro necessità, le loro richieste, i loro
diritti.
Per poter fruire
delle loro scelte in cabina, le comunità sono suddivise in quattro
ripartizioni geografiche – Europa (compresi i territori asiatici della
Federazione russa e della Turchia); America meridionale; America settentrionale
e centrale; Africa, Asia, Oceania e Antartide, che eleggono 8 deputati e 4
senatori.
Tuttavia, anche in
questo ambito, è emerso, nell’ultima consultazione elettorale del 25 settembre
2022, un forte astensionismo. I dati Eligendo del Ministero
dell’Interno, dicono che i votanti sono stati
il 26,37% degli aventi diritto. È evidente quindi, anche tra gli
italiani all’estero, la disaffezione alla politica, la cui origine scaturisce
probabilmente dalla mancata efficace comunicazione tra le parti in causa.
Nonostante le
“buone intenzioni” e promesse che ogni campagna elettorale porta con sé, di
fatto le richieste e le aspettative rimangono spesso disattese.
In una lettera
aperta alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, da “semplice cittadina
italiana che vive negli Stati Uniti”, la signora Silvana Mangione (Vice
Segretario Generale Consiglio Generale degli Italiani all'estero (CGIE) peri
Paesi Anglofoni extraeuropei) rivolge un accorato appello a riportare
l’attenzione sul valore che la ventunesima regione rappresenta, e sollecita
azioni ormai necessarie e non più procrastinabili.
Ma quanti sono gli
italiani all’estero?
Secondo l’ultimo
Rapporto Italiani nel Mondo (RIM 2022) della Fondazione Migrantes, al 1°
gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’AIRE sono 5.806.068,
il 9,8% degli oltre 58,9 milioni di italiani residenti in Italia. Tutte le
regioni italiane – si legge nel testo – perdono residenti aumentando, però, la
loro presenza all’estero. Dal 2006 al 2022 la presenza degli italiani
all’estero è cresciuta del 87% passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni.
E cosa chiedono in
particolare?
A questa domanda
risponde l’On. Toni Ricciardi*, eletto nella circoscrizione estero Europa per
il PD-IDP (partito particolarmente premiato dagli elettori esteri nelle loro
preferenze), quale Componente del Comitato Rapporto Italiani nel Mondo della
Fondazione Migrantes che ha curato la ricerca.
“Le richieste
maggiori riguardano i servizi consolari, fiscalità, il riacquisto della
cittadinanza e in genere una più ampia comunicazione e vicinanza con le
istituzioni – spiega l’On. Ricciardi -; purtroppo queste necessità trovano gli
ostacoli maggiori nella mancanza di adeguate risorse finanziarie e carenza di
personale nei Consolati. Al momento tuttavia c’è una calendarizzazione in
Commissione parlamentare, per questi argomenti, sperando di riuscire ad
ottenere qualche risultato”.
In generale tutti
i governi dell’ultimo decennio, da Monti in poi, hanno guardato a questo bacino
elettorale con interesse, e anche nel programma di quello attuale Antonio
Tajani auspicava un ministero ad hoc con l’obiettivo di offrire più servizi ai
cittadini, gli altri sodali di
favorire, ad esempio, il riacquisto della cittadinanza e il loro
maggiore coinvolgimento nella promozione
del Made in Italy, la parità fiscale con i cittadini che vivono in Italia,
l’assistenza sanitaria in caso di soggiorno nel paese, la diffusione della
lingua e della cultura italiana, la semplificazione delle procedure per il
riconoscimento dei titoli di studio e iniziative utili a favorire il rientro
degli italiani altamente specializzati.
Nella scorsa
legislatura si ipotizzò anche l’istituzione di una commissione bicamerale
specificatamente dedicata, ma l’On. Ricciardi sostiene che “Non è necessario
creare altre sovra o sottostrutture che finirebbero per ghettizzare ancora di
più le questioni collegate”. Ma oltre alla rinuncia al Ministero dedicato
“mancano all’appello anche 78 milioni di euro di stanziamenti, necessari per
potenziare gli uffici consolari. Bisogna ricordare – aggiunge Ricciardi – che
gli italiani all’estero comunicano essenzialmente con due istituti: il Comune
di residenza e appunto il Consolato, dove attualmente si lavora troppo con
circolari e poco con leggi adeguate ai tempi e ai cambiamenti sociali. I
meccanismi legislativi sono inoltre molto complicati e richiedono tempi lunghi,
basti pensare ai decreti attuativi che devono fare seguito ad una qualsiasi
legge. Tuttavia – conclude l’Onorevole Ricciardi – la 21esima regione è una comunità
come tutte le altre, in cui occorre profondere impegno e perseveranza”.
*Toni Ricciardi, è
storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra. Condirettore della
collana «Gegenwart und Geschichte/Présent et Histoire», componente del
Comitato scientifico del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione
Migrantes, membro del Comitato editoriale di «Studi
emigrazione» e «Altreitalie». Nel 2011 ha vinto il Premio «Sele
d’Oro-Mezzogiorno», Rai-Svimez, per gli studi sullo sviluppo nel
Mezzogiorno.
Mira Carpineta,
de.it.press 11
Il G20 visto dai BRICS e dai paesi emergenti
L’incontro del
Gruppo dei 20 tenutosi a Nuova Delhi ha fornito spunti di riflessione e
rappresentato un’occasione per misurare lo stato attuale delle posizioni
diplomatiche di molti paesi emergenti e di alcune delle organizzazioni che ne
sono divenute il riferimento negli ultimi anni, come i BRICS (fra i quali sono
in atto profondi e significativi cambiamenti) e l’Unione Africana (accettata a
tutti gli effetti nel consesso del G20 al pari dell’Unione Europea).
Le aspettative e i
segnali
I BRICS si sono
presentati a New Delhi, come ad un primo banco di prova dall’annuncio
dell’invito a far parte del gruppo esteso ufficialmente a Argentina, Arabia
Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran e anche quindi alla
dimostrazione concreta della volontà di essere una guida politica ed economica
per i Paesi in un certo qual modo esclusi dalla governance globale di una guida
per il sud del mondo.
L’assenza di Xi
Jinping al vertice G20 in India, servita all’opinione pubblica internazionale
come conseguenza del rimontare delle tensioni frontaliere, ha avuto, secondo
alcuni analisti e secondo un’interpretazione che si confà alla sottigliezza dei
metodi della diplomazia cinese, anche l’intenzione di ridimensionare la
crescente potenza indiana ed il suo accresciuto ruolo di comprimario alla guida
dei BRICS e, segnatamente, del sud globale. Quindi se i BRICS sono destinati a
emergere definitivamente saranno presto destinati a dover risolvere in maniera
positiva il rapporto fra India e Cina.
Unione Africana e
BRICS
Per ciò che
concerne il rapporto fra BRICS e Unione Africana questo non è sempre stato piano
e, ad esempio, il fatto che Russia, India e Cina abbiano adottato politiche di
sfruttamento delle risorse naturali in determinati paesi dell’Africa ha portato
a delle tensioni all’interno dell’Unione. Sinora sembrava che grossa parte di
queste questioni passasse attraverso la posizione che la Repubblica sudafricana
si attagliava: potenza regionale in sé o potenza emergente in seno al proprio
continente. Con l’apertura del gruppo dei BRICS all’Egitto e soprattutto
all’Etiopia (dove hanno sede alcune importanti istituzioni dell’UA) gli
equilibri saranno per forza di cose differenti.
In seno alla
riunione dei BRICS il Presidente brasiliano Lula aveva già caldeggiato
l’ingresso dell’Organizzazione Internazionale africana nel G20. Questo
orientamento aveva trovato il consenso degli altri membri: a partire dal 2024
l’Egitto e l’Etiopia potranno armonizzare l’orientamento dei BRICS a quello
dell’Unione e, con la presenza di quest’ultima nel G20, accrescere il peso del
sud globale nel palcoscenico internazionale.
La riprova delle
potenzialità di questa dinamica è nel peso dato all’Africa nel documento finale
del summit di Nuova Delhi ma anche nel ruolo attivo del Sud Africa a sostegno
delle necessità del sud globale. Ma le potenzialità di questo nuovo equilibrio
potranno essere sfruttate appieno solo se l’Unione prima ancora di presentarsi
sul palcoscenico internazionale, riuscirà ad armonizzare le proprie divisioni
interne colmando i conflitti che talvolta hanno lacerato l’organizzazione (come
quelli per la questione del Sahara occidentale) con la diplomazia.
La dichiarazione
sulla guerra
La dichiarazione
sul conflitto russo ucraino, al punto otto del documento conclusivo, non
ha soddisfatto le aspettative dei paesi occidentali e dei loro alleati non
facendo diretta menzione della Russia e non utilizzando ad esempio i termini di
“aggressione” e “militare”, e questo è certo dipeso dal peso specifico
dell’India come paese organizzatore e dei BRICS in generale. L’orientamento dei
BRICS, con la presenza di Russia, India e Cina, come noto e naturale da un
punto di vista geopolitico, non è di piena condanna di Mosca, e la blanda
dichiarazione sulla guerra (così definita nel documento) in Ucraina appare alla
maggioranza dei commentatori come una vittoria del gruppo e di Mosca in
particolare.
Tuttavia, il fatto
che una dichiarazione sia stata emessa con gli sforzi del Paese ospitante e che
raccomandi di adattarsi a predisposizioni di diritto internazionale, in
particolare alle Risoluzioni ES-11/1 del 2 marzo 2022 e ES-11/6 del 23 febbraio
2023 (dal voto delle quali, paradossalmente, l’India si era astenuta)
costituisce più una vittoria della diplomazia di Nuova Delhi che dei BRICS in
generale.
Il valore del
vertice per l’India
Narendra Modi, non
a caso ha deciso di qualificare il proprio paese al G20 con il nome di Bharat
(che riveste un significato tradizionale e allo stesso tempo inclusivo di tutto
il Subcontinente), ha ottenuto un buon successo. In India il summit è già stato
presentato da più voci come un grande evento, e se il “Times of India” titola:
Global consesus made in India, il governo si stringe attorno alla figura del
Primo ministro nazionalista celebrandone le capacità organizzative e di guida.
Si tratta di una
celebrazione interna più che di un risultato vero e proprio, dal momento che
rimangono insoluti vari nodi per la politica internazionale indiana, come il
già citato rapporto con la Cina nel rinnovato gruppo dei BRICS, che non potrà
che giovare al partito del Primo ministro nelle vicine elezioni della più
grande “democrazia” del mondo (che pure sta perdendo il suo appeal
democratico).
In ambito
internazionale per Modi il vertice G20 lascia però molti più interrogativi che
risposte. Come si definirà il rapporto fra potenze con Pechino? Fino a che
punto il leader nazionalista di un partito nazionalista riuscirà a porsi a capo
o comprimario capo di un fronte internazionale che raggruppi la maggioranza dei
paesi emergenti per ottenere un più equo ordine internazionale? L’economia
indiana, incamminatasi su una traccia lusinghiera, riuscirà a sostenere
risultati degni del ruolo di potenza di Nuova Delhi? Francesco Valacchi,
Aff.int.11
Campagna di verifica dell’esistenza in vita dei pensionati italiani
residenti in Germania
Il modulo da
compilare sarà inviato dall’Inps a partire dal 20 settembre. Dovrà essere
restituito a Citabank entro il 18 gennaio 2024
BERLINO –
L’Ambasciata d’Italia in Germania segnala che a partire dal 20 settembre 2023
l’Inps invierà ai pensionati residenti in loco il modulo della richiesta di
attestazione dell’esistenza in vita (si veda il fac-simile allegato 1).
Il modulo dovrà
essere restituito a Citibank entro il 18 gennaio 2024 utilizzando la
busta acclusa insieme ad una copia del documento d‘identità. Prima di essere
restituito, il modulo dovrà essere controfirmato da un “testimone accettabile”,
cioè o dalla Cancelleria consolare italiana o da un’autorità locale abilitata a
confermare l’esistenza in vita. Nel caso in cui l’attestazione non sia prodotta
in tempo utile, il pagamento della rata di febbraio 2024 avverrà in contanti
presso gli sportelli Western Union. In caso di mancata riscossione personale o
produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 febbraio 2024, il
pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di marzo 2024. Nel
caso in cui il pensionato si trovi in stato di infermità fisica o mentale, o si
tratti di pensionati che risiedono in istituti di riposo o sanitari, pubblici o
privati, o di pensionati affetti da patologie che ne impediscano gli
spostamenti o di soggetti incapaci o reclusi in istituti di detenzione, è
necessario contattare il Servizio di supporto di Citibank, che renderà
disponibile il modulo alternativo di certificazione di esistenza in vita (si
veda il fac-simile allegato 2).
Con l’occasione si
informa che per l’accertamento dell’esistenza in vita l’accesso alla
Cancelleria consolare a Berlino (Hildebrandstrasse 1) è consentito anche senza
appuntamento.
Questo un
fac-simile della lettera dell’INPS/Citi: “Gentile Signore/a,
Con la presente Le
ricordiamo che l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) ha affidato
a Citi l’obbligo contrattuale di
verificare
l’esistenza in vita di tutti i pensionati residenti all’estero almeno una volta
l’anno.
In allegato a
questa comunicazione troverà il Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita.
Il completamento di questa dichiarazione e la sua consegna a Citi, secondo le
istruzioni fornite, farà sì che continuerà a ricevere il pagamento della
pensione fino alla prossima campagna di Dichiarazione di Esistenza in Vita.
Il Modulo di
Dichiarazione di Esistenza in Vita è unico per ciascun pensionato e destinato
ad essere utilizzato esclusivamente dallo stesso. Non può essere fotocopiato o
condiviso. Qualora abbia bisogno di ricevere un ulteriore Modulo di
Dichiarazione
di Esistenza in
Vita, La preghiamo di contattare il Servizio di Supporto ai Pensionati INPS di
Citi. Non è necessario recarsi presso una filiale Citi. Il Servizio di Supporto
ai Pensionati INPS è disponibile a fornirle qualsiasi chiarimento, anche con
riferimento ai moduli richiesti.
Il mancato
ricevimento da parte di Citi del Modulo di Dichiarazione di Esistenza in Vita
debitamente compilato, firmato, datato e corredato dalla Documentazione di
Supporto (fotocopia di un documento d’identità valido munito di foto, come un
passaporto, carta d’identità o patente di guida) potrebbe causare la
sospensione del pagamento della sua pensione a partire dalla data sotto citata.
Le istruzioni per il corretto completamento del Modulo di Dichiarazione di
Esistenza in Vita sono specificate qui di seguito.
Il Modulo di
Dichiarazione di Esistenza in Vita deve essere firmato in presenza di un
Testimone Accettabile. Anche il Testimone Accettabile deve sottoscrivere il
modulo ed apporre il suo timbro, compilando le parti a lui riservate. I
testimoni abilitati ad
autenticare la sua
Dichiarazione di Esistenza in Vita sono: Giudici e Magistrati, Funzionari del Comune
e della Regione, Consolati e Ambasciate Italiane, e altri Pubblici Ufficiali
nel Suo Paese di residenza autorizzati a convalidare una Dichiarazione di
Esistenza in Vita. La lista completa dei testimoni abilitati ad autenticare la
sua Dichiarazione di Esistenza in Vita nel suo paese di residenza è
disponibile sul
nostro sito internet (www.inps.citi.com).
IMPORTANTE: Ai
fini della corretta esecuzione da parte di Citi dei Suoi futuri pagamenti
pensionistici, Le chiediamo di compilare e far pervenire il modulo allegato a
questa comunicazione entro il DD.MM.YYYY Il Modulo di Dichiarazione di
Esistenza in Vita debitamente compilato, firmato, datato e corredato dalla
Documentazione di Supporto dovrà essere spedito utilizzando la busta allegata,
con indirizzo pre-stampato (in alternativa, potrà spedire quanto precede al
seguente
indirizzo: PO Box 4873, Worthing BN99 3BG, United Kingdom).
La invitiamo a NON
inviare alcun tipo di richiesta presso la casella postale denominata “PO BOX
4873” sopra menzionata, in quanto non verrà presa in considerazione.
Con la presente Le
ricordiamo che può avvalersi del supporto del Patronato o Consolato abilitato
ad accedere al Portale Agenti di Citi a Lei più vicino, per la trasmissione in
via elettronica del modulo di esistenza in vita (c.d. Modulo CEV). In tal modo,
Lei non dovrà inviare il Modulo CEV per posta e non vi saranno rischi di
smarrimento e mancata ricezione. Qualora Lei decidesse di utilizzare la
procedura sopra descritta, potrà trovare le informazioni e i contatti del
Patronato/Consolato a Lei più vicino nella sezione pensionati del sito web di
Citi.
Normativa Privacy:
La preghiamo di prendere nota di quanto riportato in Allegato alla presente”.
Per maggiori informazioni si può visitare il sito www.inps.citi.com o inviare
un’e-mail con la richiesta di informazioni a inps.pensionati@citi.com.
(inform/dip)
A più di due mesi
dal colpo di Stato in Niger, continua il braccio di ferro tra i golpisti
capeggiati dal generale Abdourahamane Tiani, e i paesi che chiedono il
ripristino dell’ordine costituzionale e la liberazione di Mohamed Bazoum, il
presidente democraticamente eletto nel marzo 2021. Mentre non si intravedono
spiragli per un negoziato, rimane ancora elevato il rischio di un conflitto
armato che potrebbe coinvolgere diversi Stati dell’Africa occidentale, con
effetti destabilizzanti a vasto raggio.
Il fronte
antigolpista è ampio – comprende l’Ue, gli Usa e la Comunità Economica degli Stati
dell’Africa Occidentale (Economic Community of West African States, Ecowas) –
ma incerto e diviso al suo interno sulla strategia per mettere alla corda la
giunta di Tiani. La Francia, che ha circa 1.400 militari in Niger, ha finora
mantenuto la posizione più ferma. L’ambasciatore francese è ancora al suo posto
nonostante dieci giorni fa gli fosse stato ingiunto di lasciare il paese entro
48 ore. In un recente discorso agli ambasciatori francesi, il presidente
Emmanuel Macron ha orgogliosamente rilanciato questo guanto di sfida alla
giunta golpista.
Accuse alla
Francia
Vari sono però i
capi di accusa rivolti alla politica della Francia e dei paesi occidentali in
Africa occidentale, ma essenzialmente due: di non aver messo in condizione i
governi locali di ripristinare il controllo sui propri territori contro le
forze secessioniste e l’insorgenza jihadista, nonostante l’assistenza
finanziaria e le ripetute operazioni militari; e di aver sostenuto leader
locali corrotti e impopolari. I militari che hanno rovesciato i governi civili
in Mali (agosto 2020) e Burkina Faso (gennaio 2022) hanno fatto leva su questo
diffuso malcontento.
I perché del golpe
Per giustificare
il colpo di Stato, la giunta nigerina ha accusato il governo civile di Bazoum
di essere responsabile di un “deterioramento continuo della situazione di
sicurezza” e di malgoverno. L’esecutivo di Bazoum aveva però ottenuto, per
riconoscimento unanime, successi significativi nella lotta anti-jihadista, al
contrario dei governi civili rovesciati in Mali e in Burkina Faso.
Più complessa la
questione del malgoverno. Nel 2020 Macron aveva lodato il Niger come un
“esempio per la democrazia”. Anche sotto il governo di Bazoum e del suo
predecessore Mahanadou Issofou erano però molto diffusi corruzione e nepotismo.
Lo strapotere e i soprusi del partito dominante – il Partito nigerino per la
democrazia e il socialismo – avevano suscitato un forte rancore popolare,
generando sfiducia nel sistema democratico.
Stando ai
sondaggi, una fetta consistente della popolazione nigerina pensa che i militari
possano riportare ordine e, in generale, migliorare la situazione del paese, e
auspicano una rottura dei legami con i paesi occidentali, in particolare la
Francia.
La questione del
malgoverno ha però poco a che vedere con le reali motivazioni del colpo di
Stato. L’obiettivo di Tiani e della elite militare che l’ha sostenuto è
soprattutto quello di difendere i propri privilegi. Come capo della guardia
presidenziale Tiani aveva accumulato una fortuna, che distribuiva ai suoi
sodali. Questa base di potere era minacciata dal tentativo di Bazoum di ridurre
i fondi a sua disposizione e ottenere maggiore trasparenza sul loro utilizzo.
Truppe francesi
nel mirino
La questione delle
truppe francesi di stanza in Niger è una delle più scottanti. A inizio agosto
la giunta militare ha denunciato gli accordi di cooperazione militare firmati
con il governo francese tra il 1977 e il 2020, chiedendo la chiusura delle basi
francesi entro l’inizio di settembre. Parigi ha finora spostato solo un numero
limitato di effettivi e mezzi nel confinante Ciad, dove ha circa 1.500 uomini.
Un ritiro totale sarebbe logisticamente molto impegnativo, non compatibile con
i tempi rapidi che vorrebbe imporre la giunta nigerina.
Per ora, comunque,
il governo francese tiene duro, e non è disposto a chiudere le basi. I soldati
francesi sono già stati costretti, a seguito di golpe militari, a lasciare il
Mali (agosto 2022) e il Burkina Faso (febbraio 2023). La presenza in Niger è
ora per la Francia di ancor più cruciale rilevanza strategica per la proiezione
nell’area del Sahel.
Rischi per la
giunta militare
Parigi mantiene
questa linea di fermezza anche perché conta su un indebolimento dei golpisti
nigerini. Alcuni fattori potrebbero in effetti metterli in crescente difficoltà.
Da quando si sono impadroniti del potere si assiste a un peggioramento delle
condizioni di sicurezza. Gli attacchi delle milizie jihadiste sono in marcato
aumento.
Ci sono poi
divisioni all’interno dell’esercito che potrebbero venire progressivamente alla
luce. La giunta ha già attuato alcune epurazioni negli alti comandi. Ma la
tenuta del governo golpista è a rischio soprattutto per effetto delle sanzioni
occidentali e del persistente isolamento internazionale, che hanno già
fortemente eroso la capacità del governo militare di fornire servizi essenziali
alla popolazione.
L’opzione militare
e quella diplomatica
Macron ha ribadito
che la Francia è al fianco dell’Ecowas e ne sosterrà le azioni diplomatiche e
militari. Nell’eventualità di un intervento armato di Ecowas non è però chiaro
se il sostegno sarebbe politico o anche finanziario e logistico. Ecowas aveva
fissato un ultimatum al 6 agosto per la liberazione e il reinsediamento al
potere di Bazoum, minacciando in caso contrario un intervento militare, a cui
si erano dichiarati pronti a partecipare sei Paesi (Benin, Costa d’Avorio,
Ghana, Guinea-Bissau, Nigeria e Senegal). I militari al potere in Burkina Faso
e Mali hanno invece reso noto che considereranno ogni intervento in Niger una
dichiarazione di guerra contro i loro Paesi.
Allo scadere
dell’ultimatum Ecowas non ha dato seguito alla minaccia di intervento. Ha
finora prevalso nei paesi Ecowas il timore di rimanere invischiati, nel caso la
giunta golpista resistesse, in un conflitto dagli effetti imprevedibili, mentre
rimane più che mai incombente la minaccia jihadista. Un governo civile
reintegrato grazie a un intervento militare rischierebbe poi di essere visto,
ancor di più, come un fantoccio di potenze straniere.
L’opzione militare
rimane sul tavolo, ma lo scetticismo sulla possibilità di realizzarla cresce.
Gli Usa, che hanno 1.100 soldati in Niger in funzione antijihadista, hanno
espresso una netta preferenza per la via diplomatica. La Casa Bianca si è mossa
con grande cautela. Il presidente Joe Biden ha persino evitato di definire un
colpo di Stato la presa del potere da parte dei militari. Finora Washington non
ha peraltro ricevuto richieste di ritirare le truppe dal paese. Molti paesi Ue,
incluse la Germania e l’Italia, hanno a loro volta invitato alla prudenza,
esprimendo timori per i rischi che potrebbe comportare un intervento militare.
Anche il sostegno finanziario a eventuali azioni di Ecowas suscita dubbi e
perplessità nell’Unione.
D’altro canto,
tutti i tentativi esperiti finora di aprire un dialogo con la giunta nigerina,
mentre le si continua a negare il riconoscimento internazionale a cui ambisce,
sono falliti.
Lo spazio di
azione dei Paesi, in particolare quelli occidentali, interessati a porre fine a
quella che Macron ha chiamato l’ “epidemia di putschs” e a ripristinare il
governo civile in Niger appare molto limitato anche per la crescente ostilità
della popolazione locale e delle altre sfide che si trovano ad affrontare nel
Sahel. Il timore di un prolungato conflitto su scala regionale induce a
privilegiare la via negoziale. La giunta al potere a Niamey potrebbe però avere
crescenti difficoltà a tenere sotto il controllo il paese. Potrebbero
scaturirne nuove dinamiche destabilizzanti che chiamerebbero ulteriormente in
causa la responsabilità degli attori internazionali. Ettore Greco, AffInt 4
Gli scienziati italiani in Germania
Berlino – In
occasione del 14simo incontro plenario dell’European Technology Transfer Office
(TTO) Circle, il Circolo degli uffici europei per il trasferimento tecnologico,
tenuto a Berlino in luglio, l’Ambasciata d’Italia ha ospitato un evento di
networking destinato al mondo tecnologico e scientifico tedesco, italiano ed
europeo. Presenti, tra gli altri, rappresentanti del Centro Comune di Ricerca
(JRC) della Commissione Europea, dell’Istituto Fraunhofer,
dell’Helmholtz-Zentrum di Berlino, di IMEC (Belgio), MINATEC (Francia) e dell’Accademia
delle Scienze della Repubblica Ceca – oltre a diversi esponenti di SIGN, il
network degli scienziati italiani in Germania lanciato nel 2022 con il sostegno
dell’Ambasciata.
L’appuntamento ha
inteso fornire un’opportunità di contatto e di scambio tra i partecipanti del
TTO Circle, in un ambito – quello dell’innovazione e del trasferimento
tecnologico – di importanza cruciale per il progresso di economie e società,
così come per la tutela dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.
Italia e Germania sono rappresentate all’interno dell’European Technology
Transfer Office Circle – che conta in tutto 35 organizzazioni – da CNR, LEIBNIZ
Association, Max-Planck-Innovation e dall’Helmholtz Association.
“Quello della
scienza è un settore fondamentale di cooperazione intra-europea, cui Italia e
Germania garantiscono un contributo di primo ordine – sottolinea l’ambasciatore
Armando Varricchio, – indispensabile al percorso verso l’autonomia strategica
del continente e per promuovere la competitività futura della nostra industria,
ma anche il benessere e la sicurezza delle nostre società”.
La presenza
scientifica italiana in Germania – sottolinea la nota diffusa dall’Ambasciata –
conta su oltre 3800 scienziati attivi nelle Università e 1100 negli enti di ricerca
pubblici (primo gruppo nazionale in ambedue i casi), incluse numerose posizioni
apicali, tra cui 300 cattedre universitarie. A queste cifre si aggiungono i
moltissimi scienziati e tecnici attivi nella ricerca industriale tedesca o
straniera con presenza tedesca e i circa 9.000 studenti italiani attivi in
Germania nell’ambito di programmi di scambio. A livello istituzionale si
contano oltre 750 accordi individuali in vigore tra Università italiane e
omologhe tedesche, oltre alle intese in essere tra il CNR e gli enti pubblici
di ricerca tedeschi Max-Planck, Helmholtz, e Fraunhofer. Sono infine circa 1500
i progetti comuni italo-tedeschi promossi all’interno di Horizon 2020.
(Inform/dip)
Berlino - Si è
conclusa conclusa l’8 settembre la visita a Berlino di una delegazione della
Sezione di Amicizia bilaterale Italia-Germania dell’Unione Interparlamentare,
iniziata il 6 settembre. Si tratta della prima visita nella nuova composizione
della Sezione, successiva alle elezioni politiche del settembre 2022.
“La diplomazia e
il dialogo interparlamentare contribuiscono in modo significativo al
partenariato tra Italia e Germania, quale elemento chiave delle nostre
rispettive politiche estere e fonte di sempre nuove sinergie”, ha detto
l’ambasciatore d’Italia a Berlino, Armando Varricchio, ricevendo la
delegazione. “La visita della Sezione di Amicizia Italia-Germania offre
l’opportunità per riaffermare la solidità delle nostre relazioni bilaterali ed
effettuare uno scambio di vedute sulle principali questioni di comune
interesse”.
La delegazione,
guidata dall’on. Giangiacomo Calovini, presidente della Sezione di Amicizia, si
compone dei deputati Beatriz Colombo, Federica Onori, Roberto Pella e Dieter
Steger e delle senatrici Alessandra Maiorino e Simona Flavia Malpezzi.
Il programma della
visita è stato denso di appuntamenti. La delegazione ha incontrato al Bundestag
il presidente della Commissione Economia, Michael Grosse-Brömer, e la
presidente della Commissione Difesa, Marie-Agnes Strack-Zimmermann. Il 7
settembre sono seguiti gli incontri con il ministro di Stato agli Affari
Esteri, Anna Lührmann, con rappresentanti del Consiglio consultivo permanente
(Ständiger Beirat) e con l’on. Axel Schäfer, presidente del gruppo parlamentare
di amicizia italo-tedesco, e una rappresentanza di tale gruppo.
La missione della
delegazione si è conclusa con una visita all’EUREF Campus di Berlino,
importante nucleo di ricerca e innovazione che ospita oltre 150 imprese,
istituzioni e start-up attive nei settori dell’energia, della mobilità e della
sostenibilità. (aise/dip 9)
Alle ACLI la primogenitura dei patronati italiani in Germania
Con la firma
dell’accordo italo-tedesco del 20 dicembre 1955 per il reclutamento della
manodopera, le Acli, associazione di ispirazione cristiana, percepirono subito
di dover accompagnare e tutelare i diritti di migliaia di nostri connazionali
che venivano impiegati in Germania principalmente in agricoltura, miniere,
edilizia, industria metalmeccanica ed elettrica.
Fu così che già
nel 1956 le Acli aprirono le prime due sedi di Patronato a Colonia e a
Stoccarda.
Alle Acli hanno
fatto poi seguito i patronati di emanazione sindacale: Inas-Cisl (1958),
Inca-Cgil ed Ital-UIL fra la fine degli anni ’60 e prima metà degli anni ’70.
Altre sigle con
minore ramificazione si sono aggiunte nel corso degli anni: Enas, Enasc, Epas,
Enasco, Epasa, Sias/Mcl.
Con il costante
aumento del numero di italiani in età pensionabile e l’inserimento nel mondo
del lavoro della seconda e terza generazione, nonché il considerevole
incremento di nuovi arrivi sono aumentate, di riflesso, anche le necessità di
assistenza sociale in virtù di un mondo del lavoro sempre più precario e
variegato.
L’operato dei
patronati, che non si limita al riordino della posizione assicurativa e a
domande di pensione in convenzione internazionale ha fatto registrare, di
conseguenza, un considerevole volume di richieste di aiuto per il disbrigo di
pratiche riguardanti le malattie, gli incidenti sul lavoro, la disoccupazione,
i sussidi sociali e le vertenze in caso di licenziamento.
Un ambito sempre più
richiesto è l’opera di consulenza e orientamento ai connazionali di nuova
emigrazione in Germania. Tutti questi servizi sono gratuiti poiché, con una
legge specifica, lo Stato italiano, attraverso il Ministero del Lavoro,
finanzia annualmente le sedi di patronato in Italia e all’estero adottando un
criterio di punteggio per pratica espletata.
Oggi le sedi di
patronato operanti in Germania sono una sessantina con circa 130 operatori, in
parte a tempo pieno ed in parte a tempo parziale. Attualmente si contano in
Germania 8 sedi di patronato Acli con 16 collaboratori/collaboratrici in parte
a tempo pieno e in parte a tempo parziale.
Il patronato Acli
è presente con propri uffici a Stoccarda, Colonia, Monaco, Neu-Ulm, Karlsruhe,
Francoforte, Wuppertal e Wolfsburg.
Come un po’ per
tutti i patronati così anche per le Acli, la collettività italiana si rivolge
ai loro uffici non solo per questioni strettamente subordinate al rapporto col
mondo del lavoro, come ci riferisce Daniela Bertoldi di Stoccarda e coordinatrice
delle sedi del patronato Acli in Germania:
“Si rivolgono a
noi anche persone che hanno incidenti sul lavoro o che sono in fase di divorzio
e devono compilare i moduli inviati dal tribunale relativi alla carriera
assicurativa. Normalmente se vengono dall’Italia le persone conoscono i nostri
servizi e quindi sono grati che ci sia qualcuno che possa aiutarli anche qui.
I/le residenti di lunga data hanno fiducia nei nostri servizi e si rivolgono a
noi anche per domande che non sono di nostra competenza, ma sanno che nella
maggior parte dei casi siamo in grado di indirizzarli.”
Quali sono i
requisiti per poter aprire una vostra sede?
L’apertura di una
nuova sede è per noi un processo lungo, nel senso che osserviamo e verifichiamo
le zone dalle quali pervengono le richieste e valutiamo le possibilità se
aprire una sede e/o effettuare delle presenze, cosiddette “esterne”. Nel corso
degli anni passati, però, il nostro patronato ha subito una ristrutturazione
che ha significato chiusure di uffici, più che aperture. Speriamo in futuro di
poter invertire la tendenza.
La nostra prima
generazione ricorda con nostalgia che le sedi di patronato erano aperte al
pubblico dalle ore 8 alle ore 18. Oggi molti sostengono che il pubblico è
ricevuto su appuntamento e soltanto in alcune fasce orarie e neanche tutti i
giorni. Perché?
Il patronato Acli
si attiene alle aperture che vengono richieste dagli accordi con il Ministero.
Nel corso degli anni il numero degli addetti è stato notevolmente ridotto e le
modalità di contatto che le persone hanno con il nostro ufficio sono aumentate.
Trent’anni fa le persone si presentavano negli uffici e aspettavano anche ore
prima di essere ricevuti. I tempi di elaborazione delle pratiche erano molto
più lenti, anche per la mancanza della tecnologia di supporto. Oggi consigliamo
di prendere un appuntamento per evitare le attese e le discussioni su chi è
arrivato prima nelle sale d’attesa (che noi non rimpiangiamo). Un’apertura
continua degli uffici significherebbe un’apertura giornaliera di 10 ore, che
non terrebbe conto del fatto che nei nostri uffici operano normalmente due
persone, che devono attenersi anche ad orari stabiliti dalla legge (vedi pause
obbligatorie, orario di lavoro giornaliero ecc.). Quindi un’apertura
dell’ufficio oltre a quanto necessario non è pensabile dovendo rispondere
all’aumento giornaliero di richieste che sempre più pressantemente ci
pervengono per telefono e via telematica (Email, PEC e FB). E poi abbiamo
bisogno di tempo per dar corso all’elaborazione delle singole pratiche in modo
accurato e responsabile.
Com’è cambiato il
vostro lavoro?
Il lavoro del
patronato ha registrato nel corso degli anni dei profondi cambiamenti. In
passato ci si occupava principalmente del diritto dei lavoratori e delle
problematiche di assistenza sanitaria, di disoccupazione e di assegni
familiari, cause che hanno avuto un forte significato per l’affermazione
dell’Europa del sociale e favorito la mobilità delle persone a livello europeo.
Era un lavoro, fatto principalmente con gli strumenti dell’epoca, ovvero poca
amministrazione interna e molta carta. Oggi lavoriamo su diversi fronti e siamo
in Europa. Siamo chiamati a gestire le problematiche di chi va o è andato in
pensione e di chi lavora e perde il lavoro; compilare moduli europei per la disoccupazione,
l’assistenza sanitaria, le riunificazioni delle carriere lavorative per chi ha
lavorato in diversi Stati. Facciamo tante domande di pensione sia tedesche che
italiane ed estere. Ci occupiamo di pensionati che non ricevono la pensione
italiana per problemi legati al mal funzionamento dell’INPS, di disoccupati che
arrivano da altri Stati e di richiesta di moduli internazionali per
l’assicurazione malattia. Inoltre, essendo la vita sempre più cara, molti
lavoratori e pensionati si ritrovano a dover presentare domanda di sussidio
sociale. Il nostro lavoro di consulenza è quindi estremamente vario e a questo
si aggiunge l’amministrazione interna, con l’archiviazione digitale, la
corrispondenza cartacea e via mail, che diventa sempre più importante. E per
finire: la consulenza a distanza.
Perché in alcune
città, come Stoccarda, vi sono 4 sigle di patronato (Acli, Inas-Cisl, Inca-Cgil
ed Ital UIL) e in tante altre, per esempio del Baden-Württemberg, non c’è ombra
di patronato costringendo così migliaia di connazionali a percorrere grandi
distanze?
In città grandi,
dove la presenza dei nostri cittadini è alta, si sono insediati diversi
patronati. È ovvio che questo avviene dove c’è più richiesta. Le presenze
inoltre sono nate decenni fa dove i centri erano il bacino di raccolta delle
persone in arrivo dall’Italia. Perciò molte sedi sono sedi storiche. Oggi
abbiamo la possibilità di fare sempre più cose a distanza; quindi, non è
necessaria la presenza in ogni piccolo centro. Durante la pandemia, con la chiusura
temporanea degli uffici, abbiamo comunque continuato a lavorare e a fare le
stesse pratiche che si fanno in presenza. Con l’aiuto dei mezzi digitali, ma
anche solo con il telefono e la posta si possono elaborare tutte le pratiche.
Perché è ancora importante
la vostra presenza all’estero?
La comunità
italiana in Germania è in continuo aumento ed essa – sia quella storica, sia la
cosiddetta “nuova mobilità” si trova confrontata con i tanti problemi prima
elencati ai quali una risposta e una soluzione competente può avvenire
attraverso i patronati. La mobilità che c’è a livello europeo è altissima. I
problemi che si presentano nel corso della carriera assicurativa e lavorativa
possono essere i più disparati. I nostri uffici hanno le competenze e i canali
per poterli risolvere. Inoltre, spesso la burocrazia è poco comprensibile anche
per chi parla correttamente una lingua. Noi siamo qui per aiutare anche in
questo. Ed è uguale in quale lingua essendo presenti in tantissimi paesi del
mondo. Siamo uffici di consulenza e tutela, nonché un punto di riferimento per
tantissime persone che ci chiamano o contattano anche solo per sapere come
muoversi.
C’è un ricambio
generazionale anche nel vostro ambito lavorativo?
Sicuramente. La
sottoscritta ha iniziato vent’anni fa, sostituendo colleghi, ormai in pensione
da tempo e colleghi e colleghe che hanno iniziato da poco ed altri che andranno
prossimamente in pensione. Perciò stiamo cercando personale per sostituirli.
Quali requisiti
sono richiesti per accedere ad una formazione nel vostro settore?
La formazione
avviene da noi nel momento in cui si è assunti. Non abbiamo ancora la
possibilità di offrire un percorso di formazione professionale (Ausbildung).
Ospitate nei
vostri uffici giovani italiani o di altre nazionalità che manifestano interesse
per il vostro lavoro?
I nostri uffici
hanno ospitato in passato giovani che avevano scelto di fare un’esperienza come
servizio civile in Europa. Attualmente non vi sono richieste.
Quali sono gli
aspetti positivi e negativi del vostro lavoro quotidiano?
Uno degli aspetti
positivi del nostro lavoro è l’ampiezza del raggio di azione e la varietà delle
richieste, anche se limitate al settore previdenziale. Lo studio e la soluzione
dei casi sono sicuramente una delle note positive del nostro lavoro. Altro
aspetto positivo è il continuo apprendimento. Il lavoro in un patronato non è
sicuramente mai noioso. Tra i lati negativi vi sono: la grande frustrazione
causata dalla lentezza burocratica di alcuni enti previdenziali e la mole di
lavoro arretrato che si accumula. Però, anche se con ritardo, con un pizzico di
ottimismo veniamo quasi sempre a capo delle soluzioni.
Per saper quali
Patronati operano nelle diverse città della Germania, basta andare sul sito del
Consolato della propria Circoscrizione. Per esempio: https://consstoccarda.esteri.it/it/; https://consmonacodibaviera.esteri.it/de/.
Tony Mazzaro, CdI
settembre
Brevi di politica e di cronaca tedesca
La Germania pronta all’ “ombrello di protezione energetica” per l’inverno
Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock è andata a Kiev per la quarta
volta dall’inizio della guerra di aggressione russa nel febbraio 2022. A una
settimana dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, la visita
mantenuta segreta per motivi di sicurezza è anche un segno concreto di
solidarietà. Il ministro Baerbock ha assicurato all’Ucraina un sostegno
costante per favorire l’ingresso nell’Unione europea, ma ha anche insistito per
ulteriori riforme, ad esempio nella lotta contro la corruzione. “L’Ucraina
difende anche la libertà di tutti noi con enorme coraggio e determinazione.
Così come l’Ucraina si pone al nostro fianco, anche lei potrà contare su di
noi, sul fatto che consideriamo l’allargamento dell’UE una conseguenza
geopolitica necessaria della guerra portata avanti dalla Russia. E potrà anche
contare sul fatto che desideriamo offrire un sostegno deciso al Paese nel suo
cammino verso l’adesione all’Unione europea”.
Alla luce dei continui attacchi russi alle infrastrutture e alle reti di
approvvigionamento energetico del Paese, il ministro ha annunciato un
collegamento ancora più stretto della rete energetica con l’Ucraina, un
“ombrello di protezione invernale” esteso su tutto il Paese: “Vogliamo fare in
modo che le famiglie non debbano temere di ritrovarsi a lume di candela se
Vladimir Putin prende di mira le loro stazioni elettriche”. La Germania quindi
non cesserà di sostenere l’Ucraina nella sua difesa contro l’aggressione russa,
e questo si intende sul piano economico, militare e umanitario, ha aggiunto il
ministro Baerbock. Un ulteriore segnale di appoggio è il gemellaggio che
Berlino avvierà già questo mese con Kiev. Come annunciato dalla Cancelleria del
Senato di Berlino, l’accordo sarà sottoscritto nel municipio di Berlino nella
giornata odierna dal sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, già accolto con tutti
gli onori dal sindaco in carica, Kai Wegner (CDU), alla Porta di Brandeburgo.
NATO: la Germania si offre per ospitare il quartier generale dei Paesi
Baltici
La Germania ha offerto alla NATO di ospitare la sede del quartier generale
marittimo regionale per la guida delle forze navali nel Mar Baltico. Lo stato
maggiore designato condurrà l’esercitazione “Northern Coasts” la prossima
settimana, come annunciato dal Capo di Stato maggiore della Marina tedesca, il viceammiraglio
Jan Christian Kaack. All’esercitazione che durerà due settimane, parteciperanno
più di 3.000 soldati provenienti da 14 Paesi, tra cui, oltre ai Paesi che si
affacciano sul Mar Baltico, anche Italia, Francia, Canada e Stati Uniti.
Dopo l’attacco russo all’Ucraina, l’Alleanza aveva rafforzato la propria
presenza dispiegando truppe sul suo fianco orientale e nei Paesi Baltici. La
Russia, attraverso l’enclave di Kaliningrad, è uno dei Paesi che si affacciano
sul Mar Baltico, importante linea di approvvigionamento per varie nazioni della
NATO, nel quale passano anche le linee di telecomunicazione e di trasporto
energetico. “Il Mar Baltico è un bacino marittimo complesso con punti così
stretti, un numero così nutrito di Stati che vi si affacciano che già in tempo
di pace è indispensabile sviluppare expertise e coordinarsi strettamente con i
partner”, ha spiegato il viceammiraglio Kaack.
Elezioni in Polonia: uno spot elettorale del partito di governo irrita la
Germania
Le relazioni tedesco-polacche sono sempre un tema spinoso. Per quanto i due
Paesi siano strettamente legati tra loro a livello geografico e dalla caduta
della cortina di ferro anche sul piano economico, a Varsavia il risentimento
antitedesco torna ad affiorare ogniqualvolta sembri politicamente opportuno. In
Polonia a suscitare scalpore ora è uno spot elettorale del partito di governo
dei conservatori nazionalisti del PiS per le elezioni politiche di ottobre.
Nel video il Presidente del PiS, Jaroslaw Kaczynski, rifiuta una telefonata
con il Cancelliere Olaf Scholz e riattacca la cornetta. Il filmato mostra gli
interni dell’ambasciata tedesca a Varsavia con il sottofondo musicale della
“Cavalcata delle Valchirie” di Richard Wagner: un ambasciatore fittizio prende
il telefono e chiama Kaczynski. In un polacco stentato dal forte accento
tedesco, il presunto diplomatico dichiara di voler passare al Presidente
Kaczynski la chiamata del Cancelliere Scholz, il quale ha intenzione di
chiedere che l’età pensionabile in Polonia venga nuovamente innalzata, come ai
tempi dell’avversario politico di Kaczynski, l’ex Primo ministro Donald Tusk.
Ma il Presidente Kaczynski afferma al telefono che “Tusk se n’è andato e queste
abitudini sono finite”, per riattaccare. Il PiS ha infatti a lungo attaccato
Tusk insinuando che agisse per conto della Germania.
Baviera: nuovi sondaggi sulle regionali preoccupano la CSU
Dopo l’”affaire del volantino” del ministro dell’Economia bavarese Hubertus
Aiwanger (ne abbiamo riferito la scorsa settimana), i dati dell’ultimo sondaggio
non lasciano dubbi. I Freie Wähler (FW), Liberi elettori, un’associazione di
politici locali indipendenti, il cui Presidente è Aiwanger, ottengono quasi la
metà dei voti rispetto alla CSU, da sempre abituata al successo nella regione.
Secondo i sondaggi demoscopici, i FW si attesterebbero al 17%, il dato più alto
mai ottenuto dal movimento in un sondaggio. Da cinque anni la CSU governa
assieme ai FW come partner di coalizione. La CSU del Primo ministro bavarese
Markus Söder è invece al 36%.
Si tratta del punteggio più basso da oltre un anno e mezzo e inferiore al
risultato già storicamente negativo delle elezioni del Landtag bavarese del
2018 (37,2%). Osservando questi risultati, i FW sarebbero quindi il secondo
partito più forte in Baviera, davanti ai Verdi (15%) e all’estrema destra
dell’AfD (13%). A titolo di confronto, a maggio la CSU era ancora vicino al
40%, i Verdi al 16%, AfD e FW si attestavano al 12%.
Antisemitismo: Steinmeier condanna le dichiarazioni del Presidente
palestinese Abbas
In Germania non accenna a diminuire l’indignazione contro il Presidente
palestinese Mahmoud Abbas, finito sotto accusa per un discorso di incitamento
all’odio antisemita davanti ai membri del partito Fatah. Il capo dello Stato
Frank-Walter Steinmeier ha fermamente condannato il suo discorso: “Le
dichiarazioni sono profondamente antisemite e riprovevoli”, ha dichiarato il
Presidente Steinmeier a margine del vertice dei capi di Stato dei Paesi di
lingua tedesca a Eupen, in Belgio. “Credo che con queste dichiarazioni il
Presidente Abbas non solo si autodestina alla marginalità, ma danneggia anche
gravemente la causa palestinese”.
Nel suo sproloquio il Presidente Abbas aveva affermato che durante il
nazionalsocialismo gli ebrei non erano stati perseguitati a causa della loro
razza, ma per “l’usura e lo sfruttamento della loro posizione finanziaria”. Non
è la prima volta che il Presidente Abbas provoca sdegno con esternazioni
antisemite. Già nel 2018 aveva sostenuto che lo sterminio di sei milioni di
ebrei da parte dei nazisti non era stato causato dall’antisemitismo, ma per via
della loro “posizione sociale”. E per giunta anche lo scorso anno il Presidente
aveva fatto scalpore accusando Israele di “olocausto” multiplo contro i
palestinesi in occasione di una conferenza stampa congiunta al Cancelliere Olaf
Scholz.
A Berlino l’incontro internazionale di Sant’Egidio
All’avvio del 37° incontro internazionale “L’audacia della pace” del movimento
laicale Sant’Egidio a Berlino, il Presidente della Conferenza episcopale
tedesca, il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, ha dichiarato “che tutte le
religioni in diversi momenti della loro storia hanno ceduto ai demoni
dell’assenza di pace e della violenza”. Basta volgere lo sguardo al presente
per vedere come le religioni vengano abusate politicamente. Il vescovo ha
quindi ammonito: “Le religioni devono confrontarsi con le correnti violente ed
estremiste presenti all’interno delle proprie file, le quali con la complicità
delle organizzazioni terroristiche hanno gettato intere regioni del mondo nel
caos. E anche ai giorni nostri si rende evidente come una chiesa cristiana
legittimi una guerra contro un Paese confinante. Ciò è intollerabile!”.
La Chiesa deve sempre stare dalla parte della democrazia, ha sottolineato
il Cardinale di Monaco Reinhard Marx: “È la stessa visione cristiana
dell’essere umano che ce lo impone”. Il vescovo ha quindi espresso la sua
preoccupazione per il fatto che la democrazia sia sempre più oggetto di
pressioni fortissime in molte parti del mondo. “La religione viene
ripetutamente strumentalizzata da più parti”, queste le parole di biasimo del
Cardinale Marx. Anche il Cancelliere Olaf Scholz ha preso parte alla
conferenza. “Pace senza libertà significa oppressione, e pace senza giustizia
si chiama dittatura”, ha messo nero su bianco il Cancelliere, che ha aggiunto:
“Ecco perché il governo tedesco sostiene l’Ucraina nella sua richiesta di una
pace che rispetti i principi di integrità territoriale e indipendenza”.
Luoghi in Germania: il Römer di Francoforte
Quando a Francoforte si parla di Römer, si intende lo storico municipio
della metropoli finanziaria, gravemente distrutto durante i bombardamenti della
Seconda guerra mondiale e ricostruito in stile tardomedievale. In questo luogo
simbolico già gli imperatori tedeschi erano soliti salutare il popolo dal
balcone dopo la loro incoronazione. Oggi questa tradizione è riservata alla
nazionale di calcio tedesca al ritorno dalle grandi vittorie, anche se ormai da
questi momenti di giubilo collettivo è passato molto tempo.
Ai giocatori di pallacanestro tedeschi, diventati campioni del mondo, il
gesto simbolico di affacciarsi dal balcone del famoso municipio di Francoforte
non è apparso abbastanza significativo: nel momento di massimo trionfo del loro
sport in Germania hanno voluto lasciare un segno e distinguersi dal calcio,
rispedendo quindi al mittente l’invito, seppur avendo dichiarato di sentirsi
“molto onorati” dello stesso. Alla fine è prevalsa l’idea che il balcone e la
sala imperiale del municipio medioevale fossero emblemi decisamente superati e
vecchi per la squadra nazionale di pallacanestro. “Ci piace stare in
un’atmosfera più rilassata, a diretto contatto con i fan, cosa che non è
possibile sul balcone.” Ovviamente, l’offesa è il sentimento che prevale nel
municipio di Francoforte. KAS 14
Le recenti puntate di Cosmo, ex Radio Colonia
01.09.2023. Quando
il gioco è a perdere: la ludopatia. Sta aumentato in modo preoccupante il
numero delle persone dipendenti dal gioco d'azzardo. In Germania quasi un
milione e mezzo soffre di ludopatia e il numero è in costante aumento negli
ultimi anni. Agnese Franceschini riassume i numeri di questa vera e propria
bomba sociale spesso sottovalutata dalle istituzioni. La sociologa Norma
Mattarei ci racconta la sua esperienza a contatto con famiglie colpite dal
problema. Il giornalista Nicolas Lieven (NDR) approfondisce, infine, l'aspetto
delle scommesse sportive in Germania.
31.08.2023.
Vacanze e spiagge troppo care in Italia? Anche nei media tedeschi il tema
dell’aumento dei prezzi nelle spiagge italiane ha fatto notizia. Il carovacanze
avrebbe spinto molti italiani ad andare in Albania, ma il Belpaese resta la
meta preferita, ricorda Agnese Franceschini, mentre con Carlo De Masi,
presidente Adiconsum, facciamo un bilancio della stagione e Luciana Caglioti
approfondisce l'eterno dilemma delle concessioni per gli stabilimenti balneari,
che l'Italia dovrebbe liberalizzare.
30.08.2023. Una
strategia per l'acqua, sempre più preziosa in Germania e Italia
La carenza d’acqua
è un problema sempre più grande in Germania: con Enzo Savignano il punto sulle
dimensioni del fenomeno e su cause e responsabili. Poi parliamo della Wasserstrategie
del governo tedesco con lo scienziato Andreas Marx dello Helmoltz Centrum per
la ricerca ambientale. Infine uno sguardo all’emergenza idrica in Italia con
Erasmo D’angelis, Presidente della Fondazione Earth and Water Agenda, esperto
di siccità in Italia e di reti idriche.
29.08.2023. La
cultura dello stupro non ha confini. Due casi di stupro di gruppo hanno fatto
scalpore in Italia e in Germania. Dalla castrazione chimica alla
criminalizzazione degli stranieri, si risponde con proposte populiste alla
violenza sulle donne. Agnese Franceschini ci presenta i dati che rivelano
la diffusione di un fenomeno che entra anche nelle mura domestiche. La
giornalista Giulia Blasi ci parla di come prevenire e combattere una cultura
violenta contro le donne.
28.08.2023. 35
anni fa la tragedia di Ramstein. Il 28 agosto 1988 nella base aerea
statunitense di Ramstein si verifica un gravissimo incidente durante
l’esibizione delle Frecce Tricolori. 70 morti e 450 feriti. Agnese Franceschini
ricostruisce la dinamica di questo drammatico evento. L'intervista a Giancarlo
Nutarelli, fratello di Ivo, pilota che perse la vita nell'incidente, che ha
sempre contestato la versione ufficiale dei fatti. Con Hans-Jacob Rausch,
autore di un documentario sulla vicenda, parliamo delle conseguenze per i
feriti e le famiglie delle vittime.
25.08.2023. Siamo
una società sempre più sedentaria. Le persone che vivono in Germania si muovono
sempre meno. È quanto emerge da un rapporto dell'Università dello Sport di
Colonia e della Deutsche Krankenversicherung (DKV), l'assicurazione sanitaria
tedesca. I dettagli dello studio da Giulio Galoppo. Tra gli autori dello studio
compare anche Ingo Froböse, docente di sport e autore di svariati libri sul
tema, ospite a COSMO Italiano. Ma cosa fare per non cadere nella trappola della
sedentarietà? Ce lo spiega il fisioterapista Andrea Pozzi.
24.08.2023. Gli
scioperi dei migranti in Germania, 50 anni fa. Era il 24 agosto del 1973 e i
lavoratori stranieri della Ford a Colonia protestavano per ottenere migliori
condizioni di lavoro e parità di retribuzione per tutti, indipendentemente
dalla provenienza. Tra loro anche molti italiani. Giulio Galoppo ci accompagna
lungo le tappe di quella stagione di lotte per i diritti dei lavoratori e delle
lavoratrici migranti. Dell'importanza storica di questi scioperi ci parlano la
storica Nuria Cafaro e Giovanni Pollice, per decenni attivo nei sindacati
tedeschi.
23.08.2023. Gioie
e dolori dell'iscrizione AIRE in Germania. COSMO Italiano torna a parlare di
AIRE, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero. È infatti fondamentale
sapere che l’iscrizione è obbligatoria. Ce ne parla Luciana Mella. Una
connazionale condivide con noi la sua esperienza negativa, dovuta alla mancata
registrazione all’AIRE, le cui conseguenze, sono a dir poco, pesanti. Un aiuto
per districarsi nel mondo e nei significati dell’iscrizione all’AIRE viene da
un gruppo Facebook, AIRE SOS. Ce lo presenta Carmine Manzione.
22.08.2023. Sempre
più imprenditori di origine straniera in Germania
Quasi il 20% delle
persone con origini straniere residenti in Germania è a capo di un'impresa,
piccola o grande che sia. È quanto emerge da studi e statistiche pubblicati di
recente. Al contrario, solo l’8,3% della popolazione senza origine migratoria
sceglie la via dell’imprenditoria. Giulio Galoppo ci spiega questo fenomeno nei
dettagli. Enzo Savignano ci racconta poi le storie di due imprenditori italiani
a Colonia. Infine, insieme a Enrico Di Pasquale, cerchiamo di capire se anche in
Italia è presente la stessa tendenza.
21.08.2023.
Pannelli solari sul balcone di casa?
La settimana
scorsa il governo tedesco ha approvato il cosiddetto Solarpaket, col quale
intende sovvenzionare l'uso dell'energia solare, in particolare dei pannelli da
installare sul balcone di casa, i dettagli da Giulio Galoppo. Pro e contro dei
pannelli da balcone nell’intervento di Stefan Hoffmann, della
Verbraucherzentrale NRW. Del mercato dei pannelli solari in Europa ci ha
parlato, invece, Domenicantonio De Giorgio, docente presso l’Università
Cattolica di Milano.
Musica italiana
non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica
non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla
app di COSMO e su Spotify.
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Ascolta COSMO
italiano. Podcast, streaming e radio:
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Torna
“Bravo Bravissimo!”: 6 edizione del premio per gli studenti italiani in
Germania
Berlino - Torna anche per l’anno accademica 2022/23 il
concorso “Bravo Bravissimo!”, premio scolastico indetto dall’Ambasciata
d’Italia a Berlino e dedicato agli studenti italiani che frequentano le scuole
in Germania.
Giunto alla sua 6° edizione, “Bravo Bravissimo!” intende
premiare gli studenti italiani che abbiano ottenuto i risultati migliori nella
scuola primaria, nella scuola secondaria e alla maturità (Allgemeine Hochschulreife).
La partecipazione è completamente gratuita. Possono
concorrere al premio tutti gli studenti di cittadinanza italiana regolarmente
residenti in Germania e frequentanti la scuola tedesca dalla quarta classe alla
maturità.
Per partecipare basta inviare all’Ambasciata d’Italia a
Berlino una copia della pagella finale dell’anno scolastico 2022/2023 entro il
30 ottobre 2023.
La copia della pagella dovrà essere spedita per email
all’indirizzo scuole.berlino@esteri.it indicando come oggetto “Premio Bravo
Bravissimo” e cognome + nome dello studente partecipante. L’email dovrà inoltre
contenere obbligatoriamente i recapiti telefonici e l’indirizzo dei
partecipanti; allegata dovrà esserci la Dichiarazione di Conformità,
debitamente compilata e firmata.
Gli studenti saranno suddivisi in cinque gruppi, per
ognuno dei quali sarà selezionato un vincitore: Scuola primaria (dalla quarta
classe); Ginnasi fino alla decima classe; Altri tipi di Scuola secondaria fino
alla decima classe; Ginnasi e Scuole secondarie dall’undicesima classe; e
Diploma di maturità generale (Allgemeine Hochschulreife).
Le pagelle saranno valutate da un’apposita commissione
dell’Ambasciata: il criterio principale di valutazione sarà la media più alta
o, per la Maturità Generale, il punteggio complessivo (Gesamtpunktzahl) più
alto.
I premi, messi quest’anno a disposizione dalla Ferrero
S.p.A., consisteranno i 1000 euro per il vincitore di ogni gruppo, ad eccezione
del vincitore Abitur che otterrà 1.500 euro. (aise/dip 13)
Saarbrücken/Francoforte. Pasquale Marino è andato in pensione
Lascia il servizio
consolare una persona veramente fuori dal comune
Ha compiuto 67
anni e ora è pensionato. Pasquale Marino, spalle ancora dritte, capelli a zero,
barba brizzolata e una voce che nella pubblicazione edita da Nat-Geo “Italiani
di Germania”, di Lorenzo Colantoni e Riccardo Venturi, è stata definita “La
voce degli Italiani”.
La radio.
Perché la “Voce
degli italiani”? Perché Pasquale Marino è ininterrottamente da quasi
quarant’anni al microfono della “Mezz’Ora Italiana”, il programma radiofonico
della Saarländische Rundfunk realizzato in collaborazione con il Consolato
italiano prima a Saarbrücken poi a Francoforte.
Quando a ottobre
del 1984 Marino assume la conduzione di quel programma, si tratta ancora di una
sorta di “bollettino radio consolare”.
Nell’arco di
qualche anno, la “Mezz’Ora Italiana” apre lo studio a personaggi della
politica, della cultura e dell’imprenditoria italiana e Marino inizia a
intrattenersi con personalità del calibro di Antonio Spadolini, Luigi Vittorio
Ferraris, Oskar Lafontaine e con i numerosi artisti di passaggio da Domenico
Modugno a Zucchero Fornaciari, da James Senese ad Angelo Branduardi, da Umberto
Tozzi a Cocciante e Toto Cutugno nonché con grandi personaggi del cinema come
Toni Servillo e Marco Risi.
Nel 1992 La SR
organizza con il programma “Mezz’Ora Italiana” una serie di concerti Open Air
al Lago Bostalsee con l’esibizione dei Big della musica Pop italiana.
Insieme con
Manfred Sexauer, mitico presentatore della televisione tedesca con i programmi
musicali “Beat-Club” e “Musikladen”, Marino apre lo spettacolo davanti a oltre
tredicimila spettatori e inaugura una serie di concerti di musica leggera in
Germania, la prima “Festa Italiana” di quella portata.
Prima della radio,
il teatro e la letteratura.
Nel 1988 Pasquale
Marino fonda a Saarlouis/Roden il primo gruppo teatrale italiano del Saarland,
la “Compagnia di teatro popolare in Saarland”. Negli ambienti letterari Marino
era già conosciuto come autore nel filone della “Gastarbeiterliteratur”,
insieme con Gino Chiellino, Franco Biondi e tanti altri.
All’epoca, per la
prima volta in Germania, autori italiani si distinguono, raccontando in versi e
prosa una realtà vista da un’angolatura sino allora sconosciuta. I critici sono
tutti d’accordo: è letteratura!
Tullio De Mauro,
massimo linguista italiano, cita Pasquale Marino come raro esempio di fusione
di due lingue quale strumento di “squarcio letterario” come nelle sue poesie
“La neve” e “Amilcare”.
Dal quartiere San
Carlo all’Arena di Napoli alle fabbriche del Saarland.
“La mia è una
famiglia di artigiani falegnami. Il mio bisnonno, Pasquale Marino, costruiva e riparava
carrozze con la manutenzione dei carri sulla tratta Napoli- Piedimonte d’Alife.
Poi nel 1913 costruirono la ferrovia, con grande piacere per il progresso e
infinito dispiacere per il mio antenato che, tra l’altro, era anche sicuro di
essere imparentato con un certo Michele Marino, detto ‘O Pazzo, che fu
impiccato a Napoli dopo la rivoluzione contro i Borboni.
Suo figlio, cioè
mio nonno Giovanni Marino, capì che l’epoca dei carri e dei cavalli era finita
e si specializzò nella costruzione di infissi in legno, finestre, porte ed ebbe
la fortuna di ottenere l’appalto per l’allestimento in legno nei restauri della
Caserma Garibaldi a Napoli. Il nonno mio si rivelò straordinariamente capace
nella costruzione di pedane per la scherma, di fuciliere e di infissi decorati
per le sale degli ufficiali. Il nonno fu proposto per l’onorificenza di
“Cavaliere del Lavoro”, mori però giovanissimo e sicuramente non per l’emozione
del cavalierato.
Suo figlio,
Gennaro, cioè mio padre, con il fratello Antonio Marino, si specializzò nella
costruzione di imballaggi ortofrutticoli, cioè le casse per la frutta, ma anche
per le bibite e imballaggi in legno di vario tipo. Come per la costruzione
della ferrovia nel caso del mio bisnonno, anche per mio padre il progresso fu
regresso. Arrivò la plastica, il Moplem, e buona notte alla segheria di mio
padre dopo che la pazzia collettiva decise di mettere bibite, arance e carciofi
in casse di plastica praticamente indistruttibili, talmente indistruttibili che
ora ci stiamo affogando dentro. Mio padre, pace all’anima sua, è stato il
primo ecologista inconsapevole che ho conosciuto, quando mi diceva “Guaglione
mio bello, a plastica accirarrà o munno”.
L’emigrazione in
Germania.
Pasquale Marino ha
ideato la rubrica di questo Giornale e del suo programma radiofonico “Io ce
l’ho fatta, storie di successo di italiani in Germania” ed avrebbe avuto tutti
i requisiti per esserne protagonista di una puntata, visto il suo difficile
percorso.
Marino arriva,
infatti, in Germania nel 1970 all’età di tredici anni e tutti i tentativi di
scolarizzazione falliscono miseramente. Il piccolo Pasquale, dopo che il padre
era già emigrato in Germania, a Napoli aveva tutt’altro da fare che andare a
scuola. “Vendevo sigarette di contrabbando e guadagnavo cinquecento lire a
stecca”. Venuto in Germania, solo grazie all’iscrizione alla scuola “Collegio
Papa Giovanni XXIII di Stommeln”, Marino riesce a recuperare la scuola
dell’obbligo. “Se ne sentono tante sui collegi cattolici e non sempre
piacevoli. Io a Stommeln ho incontrato i Padri Pavoniani. Gente tosta,
educatori inflessibili, ma di una pulizia d’animo mai vista. In fondo, solo ora
capisco che rimettere in riga uno come me, che ormai aveva già scardinato tutte
le regole di vita adolescenziale, non è stata cosa facile. Ho meritato tutte le
raddrizzate ricevute a Stommeln. Ho perso il trenta per cento di capacità
d’udito all’orecchio sinistro per una sberla appioppatami dopo l’ennesimo
avvertimento. Ho imparato però a prendere sul serio le minacce di conseguenze,
per tutta la mia vita a seguire…”
La formazione. Il
primo “Dipl. Sozialpädagoge” italiano nel Saarland.
Dopo il collegio,
Marino inizia un apprendistato e ottiene il diploma in elettromeccanica mentre
frequenta contemporaneamente le scuole serali tedesche per la “Mittlere Reife”.
Poi la maturità, lo studio universitario alla facoltà di Scienze Sociali alla
Katholische Fachhoschule für Sozialwesen di Saarbrücken, il diploma di maturità
magistrale a Napoli. Marino è il primo italiano nel Saarland ad ottenere il
titolo “Dipl. Sozialarbeiter/ Sozialpädagoge”. Nel 1983 lavora allo
“Jugendamt”, l’ufficio per la protezione dei minori di Homburg/Saar. Si
specializza nelle perizie per il Tribunale dei Minori, quando sul banco degli
imputati si trovano giovani stranieri.
Dal 1984 in
servizio al Consolato d’Italia a Saarbrücken.
Pasquale Marino è
assunto dal Consolato d’Italia di prima classe a Saarbrücken nel mese di maggio
del 1984. Il Console Giancarlo Valentini gli assegna qualche mese dopo il
reparto LAS – Lavoro e Assistenza Sociale- e la conduzione del programma
radiofonico “Mezz’Ora Italiana”. All’Ufficio assistenza, Marino naviga in acque
conosciute. L’assistenza ai detenuti italiani raggiunge con Marino livelli che
fanno esempio in Germania. Mette subito in atto la strategia contro
“l’isolamento culturale in stato di detenzione”, che aveva appreso quando da
studente era collaboratore del Coasscit di Saarbrücken, presieduto dal Prof.
Alessandro Baratta fondatore della “Criminologia Critica” ancora oggi studiata
sui suoi testi negli atenei di mezza Europa. Oltre ai tradizionali pacchi
dono a Natale, i detenuti ricevono “in regalo” anche concerti di musica
classica e folkloristica che Marino, anno per anno, organizza dietro le sbarre
grazie alla generosa collaborazione degli studenti del conservatorio di
Saarbrücken e del gruppo siciliano “Trinacria” diretto da Giovanni Di Rosa. Non
sono pochi i detenuti che a fine concerto, commossi, raccontano “non avevo mai
sentito un pianoforte dal vivo e un tenore che canta davanti a me”. Qualcosa
tocca l’anima anche dei più duri. Ma attenzione, Marino è stato apprezzato con
riconoscimenti pubblici da parte del Ministero della Giustizia del Saarland
proprio per aver messo in atto strategie sempre prive di toni lacrimevoli o di
sentimentale compassione. La filosofia di Marino: “La dignità dell’uomo non si
ferma davanti alle sbarre”. I lettori del maggiore quotidiano del
Saarland “Saarbrücker Zeitung” eleggono nel 2013 Marino Pasquale “Uomo del
Mese” proprio per le sue attività all’interno delle carceri del Saarland: “Er
ist die treibende Kraft der italienischen Gemeinschaft an der Saar. Dabei
ist Pasquale Marino nicht nur als Kulturvermittler aktiv, sondern kümmert sich
auch um Menschen, die oft auf sich allein gestellt sind: Strafgefangene“. Una delle azioni più spettacolari è messa in atto da
Marino quando era alla Presidenza dello LSV –Lerchesflur-Sport-Verein”
l’associazione sportiva carceraria. Marino organizza nel 1992 una memorabile
partita di calcio tra le vecchie glorie del FC Saarbrücken e una squadra di
detenuti italiani con il patrocinio di Fritz Walter, Campione del Mondo con la
nazionale tedesca del 1956. Marino fa parlare di sé anche quando, grazie alla
generosità di uno Sponsor e del Funzionario della Federazione ciclistica
tedesca Gerd Hufschmidt, porta in carcere dieci biciclette da corsa. I
detenuti, in fase ultima della pena, ricevono le biciclette e un corso per la
manutenzione del mezzo. Ogni venerdì si allenano con un’associazione ciclistica
per svariati chilometri su strada.
Pasquale Marino e
il Sindacato.
È stato per anni
responsabile di sede per il sindacato Confsal/Unsa prima a Saarbrücken e poi a
Francoforte: “Non ho mai seguito solo la filosofia del lavorare di meno e
guadagnare di più. Non ho mai visto il Sindacato solo come strumento per
rendersi la vita più comoda sul posto di lavoro. Per me, il Sindacato è stato
piuttosto il mezzo più efficace ed entusiasmante per poter difendere e
affermare i due principi cardine di chi lavora per un salario: rispetto e
dignità. Ringrazio Iris Lauriola, amica mia, collega, compagna di tante
battaglie che ancora oggi sono necessarie.
Non sono certo
mancati i contrasti con i dirigenti di turno nei consolati, spesso
letteralmente abbagliati dalla famosa “proiezione esterna” fatta su misura per
la sola edificazione della propria immagine ma con una contemporanea,
preoccupante cecità verso i disagi interni dei lavoratori consolari. A un
console in rientro a Roma regalai una bella immaginetta di Santa Lucia, con la
speranza che gli facesse riacquistare presto la vista. Non la prese bene”.
I comunicati
più infuocati della Confsal/Unsa esteri portano la firma di Marino, impegnato
fino all’ultimo contro la chiusura dei Consolati.
Ultimi anni a
Francoforte.
A Francoforte
Marino passa nel 2014 dopo la chiusura dello Sportello Consolare a Saarbrücken.
Anche qui è addetto al LAS, Ufficio Lavoro e Affari Sociali. Marino trasferisce
a Francoforte tutte le esperienze accumulate in trent’anni a Saarbrücken ma in
scala quadruplicata. Ora il numero dei connazionali da assistere è ben
maggiore. Marino trova ciononostante il tempo per tornare alla sua attività
preferita, la scrittura, e assume nel 2016 la cura della pubblicazione
“Cinquant’anni di Missione Cattolica Italiana a Francoforte sul Meno”.
“Andai dal mio
Console Generale, Maurizio Canfora, ormai abituato alle mie “sparate” e gli
dissi: Capo, ho bisogno del saluto del Papa per la mia pubblicazione. Il
Console Generale Canfora, come sempre dopo qualche resistenza, mi assecondò e
così, qualche sua telefonata e qualche sua mail dopo, arrivò veramente
l’augurio Ufficiale del Vaticano per la nostra pubblicazione. Miracoli e poteri
della Diplomazia”. Fu sempre Il Console Generale Canfora che accompagnò Marino
nella cura dei “Quaderni Francofortesi” una serie di pubblicazioni del
Consolato Generale realizzate con David Albamonte e Stefano Liuzzi.
Marino e ancora i
carcerati. L’impiego degli assistenti carcerari onorari, la creazione e il
rinnovo delle biblioteche italiane nelle carceri tedesche.
Una volta a
Francoforte, Marino intuisce presto che l’assistenza ai carcerati italiani è
praticamente impossibile se centralizzata e affidata al piccolo gruppo del
reparto sociale e notarile di Francoforte, con i suoi compagni di lavoro Albamonte
e Liuzzi.
Il Console
Generale Maurizio Canfora gli da carta bianca nella ricerca di un gruppo di
volontari italiani che s’impegnano nelle carceri locali, con tanto di nomina
ministeriale a “Ehrenamtliche Vollzugshelfer”, Assistenti Carcerai Onorari. E
così, nelle maggiori carceri della circoscrizione Marino introduce gli
Assistenti Carcerari nel pieno spirito della “Sussidiarietà”. E non finisce
qui. Chi conosce Marino, conosce anche la sua allergia contro ogni esibizione
culturale di stampo elitario, “Il grave deficit della politica culturale dei
consolati è lo scarso coinvolgimento degli operai, dei giovani e degli
emarginati in tutto ciò che è definita promozione culturale”.
Nel 2008 Marino
approfitta del suo forte legame con un artista napoletano di fama
internazionale, lo scultore Luciano Campitelli, il quale dona al Consolato
un’opera marmorea dal titolo “Intrecci” e che Marino insieme con la Console
Susanna Schlein fanno esporre al sito dell’Unesco “Völklinger Hütte” con la
didascalia “In onore del Lavoro italiano in Saarland”.
Ma tornando a
Francoforte, la solita passerella di autorità a braccetto con gli scrittori e
rappresentanti di case editrici alla Fiera del Libro lo sprona a chiedersi: e
perché non ne facciamo approfittare anche i connazionali più emarginati?
Parte
l’operazione “Biblioteche italiane nelle carceri tedesche”. Grazie all’aiuto di
Eleonora Di Blasio dell’amministrazione della Fiera del Libro di Francoforte,
Marino, Albamonte e Liuzzi si caricano in spalla anno per anno cartoni di libri
italiani, li inviano alle carceri della circoscrizione e chiedono l’Istituzione
e il rinnovo delle sezioni italiane nelle biblioteche carcerarie. Il colpo
riesce e gli italiani in carcere leggono libri freschi di stampa, autori ed
editori che hanno regalato i testi hanno la coscienza a posto, tutti felici e
tutti contenti.
Poi di nuovo a
Saarbrücken dal 2021.
Dietro la
riapertura dello Sportello Consolare a Saarbrücken c’è la “capa tosta” cioè
l’ostinazione, la caparbietà e l’instancabilità di Marino che non ha mai smesso
di gridare all’ingiustizia dopo la chiusura di quell’ufficio. Marino ha sempre
avuto ottimi rapporti con i Governatori del Saarland e già nel 2010 furono
offerti personalmente a lui i locali gratuiti della Cancelleria di Stato di
Saarbrücken per mantenere in vita un Ufficio consolare. L’amministrazione
italiana ebbe poi la gloriosa idea di piazzarvi, cinque anni dopo a seguito
della chiusura del primo sportello consolare, un console onorario il quale, e
bisognava aspettarselo, risultò ben presto completamente sopraffatto dalla
domanda di servizi di una collettività di oltre venticinquemila italiani.
Marino intuì la stanchezza del console onorario per tornare alla carica,
riproponendo con insistenza, caparbietà e voce grossa “sempre al limite
dell’insolenza e scostumatezza” la riapertura di Saarbrücken. Al suo fianco
molti alleati: il Comites di Saarbrücken, il Sindacato Confsal, l’Intercomites,
e la rappresentante del MAIE in Germania, che trovano nel sottosegretario agli
esteri Ricardo Merlo quel giusto interlocutore che, quando incontra Marino per
un’intervista negli studi della “Mezz’Ora Italiana”, gli rivolge la parola con
“Ah… è lei Pasquale Marino… ora ho capito
tutto”.
* Tutto
finito? Sicuramente no. Finito il servizio in Consolato comincia tutto il
resto. Pasquale Marino: “finalmente mi posso allenare come si deve al tiro a
segno, sport che pratico da trent’anni ma sempre con scarsi risultati. Poi le
macchine d’epoca. Devo ultimare il restauro della mia Citroen 11 CV del 1954 e
mi devo occupare della mia vecchia lancia Kappa Coupé 2000 Turbo, che è una
delle macchine di serie più rare al mondo. E poi la pittura. Devo assolutamente
studiare disegno con disciplina giacché con i colori me la cavo abbastanza
bene. Sono poi onorato dell’offerta di collaborazione che mi è giunta dalla
facoltà di italiano dell’Università del Lussemburgo, dove il Prof, Claudio
Cicotti ha ormai raggiunto notorietà internazionale con i suoi seminari
dedicati agli autori italiani dell’area Saar-Lor-Lux. Mi è stata confermata la
conduzione della mia “Mezz’Ora Italiana”, spero di continuare a scrivere e,
naturalmente, di poter essere più spesso con le mie figlie Floriana e Valentina
le quali sono state, sono e saranno sempre l’ispirazione di tutto quello che ho
fatto e che spero di riuscire ancora a fare”. Licia Linardi, CdI settembre
“Monaco Italia - Newcomers networking” a Monaco di Baviera con il Comites e
il Consolato Generale
Monaco di Baviera
- Giovedì 19 ottobre, dalle 18:30 alle 21:30, presso la
Ludwig-Maximilians-Universität a Monaco di Baviera si terrà l’evento “Monaco
Italia - Newcomers networking”, organizzato dalla Internationale
Forschungsstelle für Mehrsprachigkeit della Ludwig-Maximilians-Universität
München con il patrocinio del Com.It.Es. (Comitato degli Italiani all’Estero)
di Monaco di Baviera e con il sostegno e patrocinio del Consolato Generale
d’Italia di Monaco di Baviera.
L’evento unisce la
ricerca scientifica su temi dell’emigrazione italiana con consigli pratici
sull’inserimento in Germania e rappresenta un momento di incontro tra le
diverse realtà esistenti a Monaco di Baviera e chi vive da poco in città.
La prima parte
dell’incontro avrà un carattere scientifico grazie al contributo di Claudia M.
Riehl, direttrice dell’Institut für Deutsch als Fremdsprache,
Ludwig-Maximilians-Universität München, la quale racconterà l’evoluzione
linguistica degli italiani in Germania. Sarà poi possibile ascoltare storie di
italiane e italiani arrivati a Monaco di Baviera negli scorsi anni, i quali
racconteranno della loro esperienza.
Nella seconda
parte della serata avranno luogo due workshop della durata di 45 minuti
ciascuno su altrettanti temi importanti della vita in Germania, tenuti da esperti
nel settore: “Ricerca casa, agevolazioni abitative e Wohnantrag” e “Il sistema
sanitario tedesco”.
Ad accompagnare la
serata ci sarà un aperitivo offerto dal Consolato Generale d’Italia a Monaco di
Baviera.
La partecipazione
è libera e gratuita, ma è gradita un’iscrizione tramite email all’indirizzo
newcomers.muenchen@daf.lmu.de indicando il titolo del workshop a cui si intende
partecipare. (aise/dip 8)
Berlino –
L’Ambasciatore d’Italia a Berlino Varricchio, ha ricevuto in Ambasciata gli
Allievi Ufficiali del secondo anno dell’Accademia della Guardia di Finanza, in
particolare del 121° Corso “Zanzur IV” e del 20° Lupo”, quale ultima tappa del
loro viaggio di istruzione in Germania.
Nel corso della
visita, agli Allievi Ufficiali sono state illustrate le attività diplomatiche
della Missione. L’Ambasciatore Varricchio ha rivolto un caloroso saluto di
benvenuto. “Il viaggio di studio in Germania – ha detto l’Ambasciatore – oltre
a consentire di rafforzare ulteriormente le sinergie tra Guardia di Finanza e
interlocutori tedeschi in campo formativo e operativo, conferma l’eccellente
stato della cooperazione bilaterale, contribuendo altresì ad accrescere il
ruolo profilato del nostro Paese nella tutela internazionale della legalità e
della sicurezza”.
Nell’ambito della
missione in Germania, i 65 giovani finanzieri – accompagnati dal Generale di
Corpo d’Armata Sebastiano Galdino, Comandante in Seconda nonché Generale
Ispettore per gli Istituti di Istruzione della Guardia di Finanza e dal
Comandante dell’Accademia, Generale di Divisione, Paolo Kalenda – hanno
incontrato i vertici degli organismi fiscali tedeschi. Il programma di viaggio
d’istruzione in Germania – che corona il biennio d’Accademia degli Allievi
Ufficiali, a pochi giorni dalla nomina a Sottotenenti – ha previsto incontri in
Ambasciata e presso il Ministero federale delle finanze, nonché ulteriori tappe
a Potsdam e a Monaco di Baviera. Gli Allievi Ufficiali hanno inoltre deposto
una corona di fiori al Memoriale del campo di concentramento di Dachau
nell’ambito di una cerimonia militare. L’Accademia della Guardia di Finanza,
Istituto di formazione militare e di studi a carattere universitario, ha il
compito di sviluppare le qualità etiche e l’attitudine militare degli Allievi e
far acquisire loro la preparazione professionale necessaria per ben assolvere
la funzione di Ufficiale della Guardia di Finanza. Nella moderna sede di
Bergamo, inaugurata nell’ottobre 2021, il progetto formativo si struttura in un
biennio di Accademia per gli Allievi Ufficiali e un triennio di applicazione
per gli Ufficiali Allievi. Il percorso accademico è funzionale ad accrescere in
ogni cadetto motivazione, spirito di sacrificio, senso del dovere e,
parallelamente, a fornire una preparazione tecnico-professionale approfondita e
vasta. (Inform/dip 6)
Cinema! Italia! Edizione 2023. “Festival itinerante del cinema italiano” in
Germania
Ritorna il
“Festival itinerante del cinema italiano”, la rassegna CINEMA! ITALIA!, che da
26 anni scandisce la ripresa post estiva per gli appassionati di cinema
italiano in Germania
Ritorna il
“Festival itinerante del cinema italiano”, la rassegna CINEMA! ITALIA!, che da
26 anni scandisce la ripresa post estiva per gli appassionati di cinema
italiano in Germania. Organizzato dalla società Made in Italy, col sostegno del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il patrocinio
dell’Ambasciata italiana di Berlino, la kermesse parte quest’anno a metà
settembre e procederà fino alla metà dicembre, secondo un calendario oramai
consolidatosi nel tempo. I film selezionati per questa 26esima edizione (tutti
in versione originale con sottotitoli in tedesco) sono sei. La prima proiezione
è programmata, come da copione, ad Amburgo, al cinema Metropolis, il giorno 14
settembre, mentre la conclusione è prevista tre mesi dopo a Berlino, al cinema
Babylon, con la cerimonia di premiazione della pellicola vincitrice. Nel mezzo
le sale di ben 36 città tedesche, da Monaco a Colonia, da Düsseldorf a
Francoforte, ospiteranno la proiezione dei film considerati il meglio della
produzione cinematografica nostrana.
L’importanza di
questa rassegna è data dal fatto che essa offre al pubblico tedesco
l’opportunità unica di godere di una serie di nuovi film italiani che
altrimenti non sarebbero mai stati proiettati sul grande schermo in Germania.
Inoltre, CINEMA! ITALIA! contribuisce a far sì che alcuni di questi film
ricevano maggiore attenzione e vengano regolarmente proiettati nei cinema
tedeschi. La formula è la medesima che è stata ampiamente collaudata nelle
passate edizioni: il pubblico è chiamato alla fine di ogni proiezione a dare un
voto al film visto. La pellicola più apprezzata dagli spettatori avrà l’onore
di essere distribuita nei circuiti cinematografici tedeschi.
I film che si
potranno vedere sugli schermi tedeschi incrociano e mescolano sia registi
affermati e giovani esordienti, sia tematiche e generi differenti così da
fornire un’immagine attuale dell’Italia in tutta la sua molteplicità e
vitalità, un’immagine in cui si evidenziano contrasti vecchi e nuovi come
quelli tra ricchi e poveri, giovani e vecchi, speranze e realtà, immigrati e
italiani doc. I film di CINEMA! ITALIA! raccontano le ansie individuali e
collettive, ma allo stesso tempo mettono in scena la scelta dei protagonisti di
reagire e impegnarsi, superando ostacoli e incontrando solidarietà inaspettate.
Antonio (Antonio
Albanese), il protagonista di Grazie ragazzi di Riccardo Milani, è un
attore in crisi professionale che sbarca il lunario doppiando film porno. Un
giorno, un suo ex amico gli offre un’opportunità di lavoro inconsueta: condurre
un laboratorio teatrale in carcere. Un compito che accetta a malincuore,
soprattutto dopo le difficoltà iniziali e vista la diffidenza dei suoi attori
“detenuti”. Antonio decide di mettere in scena Aspettando Godot di
Beckett, l’opera con cui aveva debuttato molti anni prima, e improvvisamente la
scintilla si accende, gli studenti iniziano a partecipare e lui lotta come un
leone contro la burocrazia carceraria e le prime delusioni. Alla fine, il
successo arriva, ma ciò che conta è il riscatto di Antonio e dei suoi nuovi
amici. Il film si basa su una storia vera, accaduta in Svezia negli anni
Ottanta del secolo scorso. È un film sul teatro e sull’opportunità che esso
offre di scavare nell’animo umano di chi assiste, ma anche di chi si mette in
gioco recitando su un palcoscenico.
Anche i giovani
protagonisti di Margini di Niccolò Falsetti amano divertirsi.
Edoardo, Iacopo e Michele sono musicisti punk di talento, ma il problema è che
vivono in una città di provincia (Grosseto) che offre loro poco spazio e quasi
nessuna attenzione. Per creare un po’ di varietà, decidono di organizzare un
concerto con i Defense, una famosa band americana in tournée in Europa. Più
facile a dirsi che a farsi. Manca tutto. Manca un locale che possa ospitare
migliaia di spettatori e manca l’attrezzatura tecnica necessaria; ma i ragazzi
non si arrendono, accumulano debiti, fanno rompere amicizie e famiglie e alla
fine raggiungono il loro obiettivo. Il concerto è seguito da denunce penali e
titoli di giornale, ma loro sono già pronti per la prossima sfida.
Anche Marta
(Serena Rossi), regista teatrale e protagonista del film Beata te di
Paola Randi, ha un desiderio nascosto nel cuore. Sta festeggiando il suo
quarantesimo compleanno con gli amici ed è preoccupata per lo spettacolo di cui
è regista; ma il suo vero problema è che il suo desiderio di avere figli si sta
allontanando sempre di più. Sembra essersi rassegnata, ma poi avviene il colpo
di scena che non ci si aspettava: L’Arcangelo Gabriele in veste bianca e con la
voce di Papa Francesco le annuncia che la maternità è imminente. Marta lo
allontana infastidita, pensando a un matto, ma quando arriva a casa se lo
ritrova in bagno e poi in cucina e poi in salotto. Gabriele annuncia a Marta
che darà alla luce un figlio pur non avendo più avuto da molto tempo una
relazione con un uomo. Ma Marta si informa e scopre di avere due settimane di
tempo per decidere se accettare o meno il miracolo. E insieme a Gabriele inizia
a stilare una lista infinita di pro e contro sull’avere o non avere un figlio.
Gabriele Santoro
(Silvio Orlando), il protagonista de Il bambino nascosto di Roberto Andò,
all’inizio del film sembra soddisfatto della sua vita abitudinaria e priva di
emozioni. È un insegnante di pianoforte al conservatorio e vive da solo in un
quartiere popolare di Napoli. La camorra opera in modo più o meno occulto nel
quartiere, ma a lui non sembra importare, ama i suoi libri e la sua musica.
Poi, per caso, si presenta un’opportunità: nel suo appartamento si intrufola
Ciro, un bambino figlio dei vicini del piano si sopra che si trova in grave
pericolo di vita. In realtà, Gabriele dovrebbe sbarazzarsi di lui al più
presto, ma si trattiene, decide questa volta di interrompere la sua monotona
quotidianità e di mettere in gioco la sua vita. È una sfida, ma soprattutto un
desiderio di riscatto.
Il desiderio di
Tarek (Yothin Clavenzani), il giovane protagonista di Notte
fantasma di Fulvio Risuleo, è molto più semplice: il ragazzo
diciassettenne, figlio di padre egiziano e madre indonesiana, vuole tornare a
casa il più velocemente possibile, ma è tardi, non c’è la metropolitana e quindi
decide di andare a piedi. Improvvisamente la situazione si complica con un
incontro che all’inizio sembra essere sotto il segno della legge: da una parte
c’è Tarek, un giovane “perbene” che ha commesso un piccolo reato (ha preso
della marijuana per i suoi amici), dall’altra un poliziotto in borghese
(Edoardo Pesce) che sembra deciso ad assicurarlo alla giustizia. Avrebbe dovuto
portarlo alla stazione di polizia, ma invece si dilunga e guida con lui
attraverso una Roma notturna piena di sorprese e pericoli. Dopo una serie di
incontri, scontri e inseguimenti, all’alba tutto cambia improvvisamente e
l’apparentemente più forte dei due si rivela molto più vulnerabile e in
pericolo. Un road movie avvincente che tocca molti temi attuali (immigrazione,
degrado urbano e sociale, droga), ma in cui emergono soprattutto la solitudine
e l’infelicità di persone indifese.
Il programma di
CINEMA! ITALIA! è completato da un omaggio alla grande attrice italiana Anna
Magnani, a 50 anni dalla sua scomparsa, e a un maestro del cinema e della
letteratura italiana come Pier Paolo Pasolini. La scelta è caduta su Mamma
Roma (1962), opera segnata dall’incontro di due straordinarie personalità
artistiche.
I film
dell’edizione 2021: Il bambino nascosto – Das vesrsteckte Kind (2021) di
Roberto Andò; Beata te – Der Erzengel und ich (2022) di Paola Randi;
Grazie ragazzi – Alles nur Theater? (2023) di Riccardo Milani; Mamma
Roma – Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini<<<<<<,
Margini – Am Rand (2022) di Niccolò Falsetti; Notte fantasma – Ghost
Night (2022) di Fulvio Risuleo
Il calendario
delle proiezioni: 14.09. – 28.09. Amburgo; 14.09. – 20.09. Wiesbaden;
21.09. – 27.09. Braunschweig; 21.09. – 29.09. Colonia; 28.09. – 04.10.
Oldenburg; 28.09. – 04.10. Stoccarda; 28.09. – 04.10. Düsseldorf; 05.10. –
11.10. Hannover; 05.10. – 12.10. Brema; 05.10. – 11.10. Lich; 05.10. – 11.10.
Reutlingen; 05.10. – 18.10. Monaco; 12.10. – 18.10. Würzburg; 16.10. – 29.10.
Augsburg; 19.10. – 25.10. Münster; 19.10. – 25.10 Halle; 19.10. – 25.10
Mannheim; 26.10. – 01.11. Bonn; 02.11. – 08.11. Darmstadt; 02.11. – 08.11.
Karlsruhe; 09.11. – 15.11. Kiel; 10.11. – 19.11. Bielefeld; 16.11. – 22.11.
Lubecca; 16.11. – 22.11. Regensburg; 23.11. – 29.11. Gottinga; 23.11. – 29.11.
Norimberga; 23.11. – 29.11. Bamberga;
24.11. – 13.12. Francoforte; 30.11. – 06.12. Dresda; 30.12. – 06.12.
Marburgo; 30.11. – 06.12. Saarbrücken; 30.11. – 06.12. Heidelberg; 07.12. –
13.12. Friburgo; 07.12. – 13.12. Lipsia;
07.12. – 13.11. Kassel; 07.12. – 13.12. Berlino. Gherardo Ugolini, CdI
settembre 23
La Germania esonera Flick: contro la Francia in panchina Rudi Voeller
Fatale al tecnico
la sconfitta con il Giappone, l’ennesima di un periodo negativo. L’ex romanista
ad interim per una gara, poi si procederà alla scelta di un nuovo tecnico -
di Luigi Panella
Hansi Flick non è
più il ct della Germania. Esonerato dopo una serie di risultati negativi, come
qualunque allenatore di provincia: un comunicato gelido mentre in tutta la
nazione risuonavano le note dell’inno per il trionfo della nazionale ai Mondiali
di basket. Panchina ad interim, martedì contro la Francia, affidata al team
manager Rudi Voeller, quasi a voler risparmiare a Flick una nuova umiliazione
dopo i 4 gol incassati a Wolfsburg dal Giappone. La Germania si era affidata a
lui dopo il fallimento a Euro 2021: scelta logica, del resto i maliziosi
dicevano che la stella di Loew aveva iniziato a offuscarsi quando proprio
Flick, suo fedele collaboratore e perno fondamentale nello spogliatoio, era
andato a cercare – e trovare – fortuna al Bayern Monaco, dove aveva alzato la
Champions del Covid, quella della final eight di Lisbona.
Dopo Loew, tante
speranze ma pochi risultati
Ma quando Flick ha
gestito da solo il giocattolo ha fallito. I mondiali in Qatar sono stati uno
strazio, le amichevoli per la costruzione all’Europeo da giocare in casa
il prossimo anno ancora peggio. Joakim Loew si era salvato con il pedigree:
c’era inciso il titolo mondiale che aveva riportato in Germania nella notte di
Rio 24 anni dopo quella magica di Roma. Il buon Jogi aveva poi campato di
rendita centrando la semifinale agli Europei in Francia, quindi era
sopravvissuto alla maldestra campagna ai mondiali di Russia, buttato fuori
dalla Corea del Sud e alla devastante sconfitta (6-0) beccata in Nations League
contro la Spagna, la peggiore dal 1931.
Quattro ko nelle
ultime sei partite
Con Flick non
c’è stata la stessa pazienza: nelle ultime 6 amichevoli ne ha perse 4 (le
ultime 3 in fila), rimediando un pareggio in extremis contro l’Ucraina. Ultimo
sorriso nello scorso mese di marzo, un 2-0 al Perù, troppo poco per sperare di
restare in sella. Paga la sua gestione (la seconda più corta della storia della
Germania, 25 gare contro le 24 di Ribbeck), ma anche un modello tedesco, quello
dei centri federali e del lancio dei giovani a trecentosessanta gradi che
improvvisamente ha iniziato a fare acqua da tutte le parti. Gli analisti
sostengono che i giocatori, dei dottor Jekill nei loro club, hanno iniziato a
trasformarsi in tanti mister Hyde ogni volta che arrivava la chiamata nella
Mannschaft. Equazione: la qualità c’è ma Flick non la sa sfruttare. Gundogan in
effetti ha incantato al Manchester City ed ora è nel Barcellona, Rudiger è un
punto fermo della difesa del Real Madrid, Wirtz è l’emergente, e poi ci sono
gli Havertz, i Sane, i Gnabry, e chi più ne ha più ne metta.
Non solo colpa di
Flick, è il movimento che non convince più
Ma esistono
argomenti a contrario. Anzitutto esiste il problema degli esterni di difesa:
Nico Schlotterbeck ad esempio, uno dei responsabili della sconfitta in Qatar
contro il Giappone, ha piazzato un desolante bis sabato sera a Wolfsburg,
sbagliando tutto ciò che era possibile sbagliare. E poi una certa tendenza al
narcisismo dei talenti, diabolicamente perseveranti anche quando la partita
andrebbe interpretata con la clava. Uno che la usa ad esempio è Niclas
Fullkrug, passato in questa stagione dal Brema al Dortmund: non un modello di
stile, ma almeno uno che la butta dentro e che si fa notare soprattutto quando
non c’è. Non c’era con il Giappone, non ci sarà contro la Francia.
Rudi Voeller, poi
ci sarà un nuovo ct
Ci sarà invece
Rudi Voeller, ma purtroppo per la Germania non ha più l’età per scendere in
campo. Traghetterà insieme a Hannes Wolf e Sandro Wagner, poi ci sarà un nuovo
ct. Si fanno i nomi di Julian Nagelsmann, l'ex allenatore del Bayern ancora
sotto contratto con i bavaresi, ma anche l'austriaco Oliver Glasner, vincitore
dell'Europa League con il Francoforte nel 2022, e Stefan Kuntz, che però sta
allenando la Turchia. E poi la grande suggestione, Louis van Gaal: un olandese
sulla panchina della Germania, e allora sarebbe vera rivoluzione. LR 10
La migrazione dagli occhi di chi migra, alla Mostra di Venezia
Venezia – La voce
di chi migra ha raggiunto Venezia ed è risuonata alla Mostra del cinema,
conclusa sabato sera. È stata interpretata da alcuni degli autori più attesi. È
arrivata dal confine meridionale e da quello orientale d’Europa, dai luoghi
(non gli unici) dove la politica di chiusura della frontiera infligge dolore
alle persone che tentano di attraversarla, le umilia e le uccide. È arrivata
dal presente, con urgenza, ed è arrivata dal passato, per risvegliare la
memoria di persecuzioni di un tempo e mettere in guardia dal rischio sempre
vivo del loro ripetersi. È arrivata con la potenza dell’esperienza diretta,
attraverso film costruiti su tante testimonianze personali che ne fanno opere
corali, attraverso gli occhi di un ragazzo senegalese e di due genitori
siriani, che il tragitto dai Paesi d’origine fino in Europa l’hanno percorso in
prima persona.
Sono i
protagonisti di Io capitano di Matteo Garrone e Green border di Agnieszka
Holland, i due tra i film in concorso in cui la cinepresa è direttamente
puntata sulla migrazione, o meglio sugli effetti che la strategia
antimigratoria europea produce sui corpi delle persone che migrano. Sulle
ferite fisiche e psicologiche inferte durante la detenzione e nell’atto del
respingimento, da carcerieri e cacciatori incaricati di presidiare il confine
d’Europa. Come succede lungo la rotta del Mediterraneo centrale, dove si compie
il viaggio di Seydou e Moussa in Io capitano, da Dakar alle acque italiane
passando per il deserto e per la Libia. I due cugini partono adolescenti
all’inseguimento dei loro sogni, ma lo fanno a costo della vita: la naturale
pretesa di un futuro libero è sottratta ai giovani come loro, nati nel sud del
mondo. Matteo Garrone voleva raccontare il tratto che sfugge alla cronaca della
migrazione mediterranea, quello che parte da molto lontano e si interrompe in
vista delle nostre coste, dove chi ce l’ha fatta riceve soccorso, rifugio e
forse l’opportunità di una vita migliore. E voleva raccontarlo dal punto di
vista di chi lo percorre, altrettanto dimenticato, nel rifiuto della narrazione
comune, che parla di numeri e di masse, che impedisce l’empatia e contribuisce
alla deumanizzazione.
Punti di vista
inediti, in questo caso più d’uno, sono la scelta anche in Green border, racconto
quasi documentaristico in bianco e nero di un’altra frontiera chiusa, la fredda
foresta tra Bielorussia e Polonia, dove profughi provenienti in gran parte da
Siria e Afghanistan sono attratti dal primo Paese e respinti dal secondo,
pedine di una geopolitica che li riduce a merce di scambio. Si gioca qui la
stessa battaglia tra dentro e fuori Europa, tra salvezza e morte. Si incontra
la stessa sospensione dolorosa, la stessa richiesta di bisogni essenziali e lo
stesso incomprensibile rifiuto, anzi la risposta crudele, la stessa violenza.
Il film segue una famiglia siriana intrappolata e un gruppo di attivisti che
offrono solidarietà, le cui esperienze sono le stesse realmente vissute da
alcuni degli attori, e segue una guardia polacca che non riesce a sopire la
coscienza, anche questo capitolo ispirato a testimonianze autentiche, come ha
raccontato la regista. Raccolte clandestinamente, come clandestine sono state
le riprese, perché la zona al confine è da tempo interdetta a chiunque voglia
documentare. Nel silenzio la politica disumana può proseguire, e invece deve
essere denunciata perché si fermi. Per Agnieszka Holland il cinema ha il
compito di affrontare le sfide contemporanee, compresi i risvolti drammatici,
deve coinvolgere le coscienze e così scongiurare che l’indifferenza renda
possibili nuovi totalitarismi. Il trattamento dei migranti ai bordi d’Europa è
l’Olocausto del nostro tempo: alla presentazione del film, Holland ha chiesto
un minuto di silenzio per le 60.000 vite perse in questo modo dal 2014.
Davanti a ciò,
suona come un monito potente anche un altro tra i film in concorso, Lubo di
Giorgio Diritti, ambientato nella Svizzera di inizio Novecento ma la
rappresentazione universale delle conseguenze della deumanizzazione del
diverso. Il film recupera la storia dimenticata della popolazione nomade degli
Jenisch in Svizzera, che subì l’allontanamento forzato dei bambini dai loro
genitori, per rieducarli in collegi o in altre famiglie. Una pratica di
genocidio, che aveva l’obiettivo di sterminare la comunità cancellandone la
cultura e disperdendone il sangue, e che si interruppe solo negli anni
Settanta. Secondo Giorgio Diritti, le società di oggi sono tutt’altro che
immuni dal rischio di persecuzioni razziali come quella contro gli Jenisch.
Anche Lubo nasce
da una testimonianza diretta, quella di Uschi Waser, sottratta da bambina alla
sua famiglia Jenisch, è stata la guida linguistica e storica nella preparazione
del film. Le opere di Venezia sulla popolazione migrante di ieri e di oggi
hanno avuto questa forza: un punto di vista personale e diretto sulle storie
raccontate, a tratti spiazzante, la chiave giusta per spiegare un fenomeno,
anche il più complesso, riconducendolo all’umanità di cui è fatto. Alla Mostra
ha funzionato e sono arrivati i premi: miglior regia per Io capitano e miglior
attore emergente il suo protagonista Seydou Sarr, premio speciale della giuria
per Green Border. Adesso è importante che questi film raggiungano quanti più
possibile, come ha detto Matteo Garrone. Che parlino alle coscienze della
cittadinanza europea, pubblico distratto delle ingiustizie che non lo
riguardano, che le risveglino, con la voce di chi normalmente non ha diritto di
parola, né alcun altro diritto. (Livia Cefaloni) Migr.on 11
Gli ostacoli globali per un’Europa a impatto zero
Lo scoppio della
guerra fra Russia e Ucraina nel febbraio 2022 ha sancito il riemergere dei
grandi conflitti geopolitici sullo scenario europeo. Di colpo, l’invasione
dell’Ucraina da parte dell’esercito russo ha ancora una volta dimostrato la
valenza della power politics nello spiegare mai sopiti cleavages di politica
internazionale e ha decretato “il ritorno della Storia” in Europa.
La convinzione,
fallace, del pensiero liberale secondo cui la globalizzazione e la progressiva interdipendenza
economica avrebbero dissuaso gli Stati dall’intraprendere guerre oltremodo
dispendiose è deflagrata sotto i colpi di sempiterne tensioni ideologiche e
ancestrali rivendicazioni territoriali.
UE a impatto zero
L’inizio del
conflitto russo-ucraino ha costretto l’Unione Europea (Ue) a prendere dei
provvedimenti che seguissero principalmente due traiettorie strategiche: la
prima, nell’immediato, volta a ridurre drasticamente la sua dipendenza dal gas
a basso costo del Cremlino; mentre la seconda, nel medio-lungo termine, ha come
obiettivo quello di mettere in sicurezza il proprio sistema di
approvvigionamento energetico da eventuali ricatti e tentativi da parte russa
di usare l’interdipendenza dal gas in modo ostile nei confronti degli Stati europei.
Tale obiettivo strategico, però, deve conciliarsi con il più ampio piano di
transizione energetica delineato dall’Ue all’interno della cornice strategica
dello European Green Deal. Questo vasto programma di iniziative politiche,
fondato sui concetti di circolarità e resilienza, ha come obiettivo quello di
trasformare l’Unione in una grande economia a impatto zero entro il 2050.
La ricerca di una
maggiore sicurezza energetica rientra in una visione già tracciata dall’Ue nel
2016 all’interno del documento strategico denominato Global Strategy, in cui la
Commissione ha espresso per la prima volta la volontà di raggiungere una
propria strategic autonomy, ovvero di sviluppare la capacità, attraverso
l’acquisizione dei mezzi necessari, di perseguire i propri obiettivi strategici
in armonia con i principi e i valori sanciti nei trattati. Inizialmente, tale
espressione aveva una connotazione prettamente militare per poi estendersi a
domini chiave dell’agenda strategica europea soprattutto per ciò che concerne la
propria dipendenza economica ed energetica da potenze avverse come Cina e
Russia.
Tuttavia, per
un’economia votata alle esportazioni come quella europea, aspirare
all’autonomia in un’economia altamente globalizzata non è esattamente
desiderabile. Infatti, al fine di posizionarsi in un punto intermedio fra la
sua naturale predilezione al libero scambio e posizioni più protezionistiche,
suscitate dal termine “autonomia”, la Commissione ha iniziato ad usare la nuova
espressione di open strategic autonomy. Questo perché nello scenario
internazionale odierno l’interdipendenza è percepita negativamente e spesso
associata a una condizione di vulnerabilità.
Guerra e supply
chain
La pandemia di
Covid-19 e la guerra fra Russia e Ucraina hanno mostrato quanto il grado di
interdipendenza che caratterizza il mondo in cui gli attori statali si trovano
ad interagire oggi, doni a shock localizzati una risonanza globale. Sebbene per
ragioni diverse, tali eventi hanno evidenziato le fragilità di un sistema
internazionale altamente interconnesso soprattutto da un punto di vista
economico.
Ci si è resi
conto, ad esempio, di come la concentrazione della produzione di alcuni beni
essenziali in poche aree abbia reso le supply chains esposte a molteplici
fattori di rischio che possono avere ricadute più o meno gravi sulla capacità
di un Paese di reperire materiali vitali per la difesa del proprio interesse
nazionale. In tal senso, molti Stati hanno e stanno adottando misure per
aumentare la propria sicurezza in filiere chiave, tentando di riportare la
produzione di beni strategici (semiconduttori) all’interno dei confini
nazionali.
Stati Uniti e Ue,
intenzionate a procedere alla decarbonizzazione delle proprie economie in
risposta all’emergenza climatica, stanno perseguendo politiche industriali
volte alla ricerca dell’autonomia e dell’indipendenza in settori strategici
come quello dell’elettrico, in una competizione tecnologica globale che rischia
però di vanificare qualsiasi tentativo di cooperazione tra potenze in ambito
climatico. Infatti, l’obiettivo di transizione energetica prefissato in Europa
non sarebbe raggiungibile in un sistema poco integrato, giacché se ogni Paese
cercasse di produrre e consumare solo all’interno dei suoi confini, la
produzione di energia pulita nelle quantità e alla velocità necessarie a tale
scopo sarebbe insufficiente.
Il ruolo dei
minerali critici
Secondo l’AIE
(Agenzia Internazionale dell’Energia), il valore globale degli scambi di
minerali critici cruciali per la transizione energetica dovrà triplicare per
poter raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. Questo
significa che, considerando anche l’alta dipendenza dell’Ue dalla Cina per ciò
che concerne la produzione di terre rare, Bruxelles, nel cercare di conciliare
transizione energetica e sicurezza nel prossimo futuro, dovrà compendiare i
propri desideri per una maggiore autonomia e indipendenza con la necessità,
allo scopo di portare a compimento la transizione verde, di promuovere una
maggiore integrazione dei mercati e degli scambi commerciali a livello globale.
Tutto questo, evitando che la competizione tecnologica fra Stati Uniti e Cina
inneschi una spirale protezionistica e securitaria fra gli Stati in grado di
annullare gli sforzi di qualsiasi diplomazia climatica globale.
Questo articolo è
un estratto del saggio sesto classificato dell’edizione 2023 del Premio IAI –
“Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”
Davide Ferri,
aff.int.11
Alfabetizzazione, 763 milioni di persone non hanno le competenze di base
Imparare a leggere
e scrivere dovrebbe essere un traguardo significativo per tutti. Eppure, 763
milioni di adulti e giovani non hanno competenze di alfabetizzazione di base.
Dal 1967, l’Unesco
celebra l’8 settembre la Giornata internazionale dell’alfabetizzazione
(International Literacy Day – ILD) per ricordare l’importanza
dell’alfabetizzazione come questione di dignità e diritti umani e per far
avanzare l’agenda dell’alfabetizzazione verso una società più alfabetizzata e
sostenibile.
Nonostante i
costanti progressi compiuti in tutto il mondo, nel 2020 le sfide legate
all’alfabetizzazione persistono, con almeno 763 milioni di giovani e adulti
privi di competenze di alfabetizzazione di base. La recente crisi del COVID-19
e altre crisi, come il cambiamento climatico e i conflitti, hanno esacerbato le
sfide.
Promuovere l’alfabetizzazione
per un mondo in transizione
Il contesto
globale in rapida evoluzione ha assunto un nuovo significato negli ultimi anni,
ostacolando il progresso dell’alfabetizzazione e ampliando le disuguaglianze
tra regioni, paesi e popolazioni del mondo. Nei paesi a basso e medio
reddito, la percentuale di bambini di 10 anni che non sono in grado di leggere
e comprendere un testo semplice è aumentata dal 57% nel 2019 a circa il 70% nel
2022.
In questo
contesto, la Giornata internazionale dell’alfabetizzazione di quest’anno sarà
celebrata in tutto il mondo con il tema “Promuovere l’alfabetizzazione per
un mondo in transizione: costruire le basi per società sostenibili e
pacifiche”.
L’ILD2023 vuole
essere un’opportunità per unire gli sforzi per accelerare i progressi verso il
raggiungimento dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 4 (SDG4) sull’istruzione
e l’apprendimento permanente e per riflettere sul ruolo dell’alfabetizzazione
nella costruzione di società più inclusive, pacifiche, giuste e
sostenibili. In tal modo, abbraccia le relazioni reciproche tra
l’alfabetizzazione e altre aree di sviluppo: l’alfabetizzazione è centrale per
la creazione di tali società, mentre il progresso in altre aree di sviluppo
contribuisce a generare interesse e motivazione delle persone ad acquisire,
utilizzare e ulteriormente sviluppare le proprie competenze alfabetiche e
matematiche.
Indagine
internazionale Pirls
Il 2023 è stato
proclamato “anno europeo delle competenze”, aspetto chiave per migliorare le
competenze individuali e contribuire alla comunità di appartenenza. Il 2023 è
anche l’anno in cui sono presentati i risultati dell’indagini internazionale
PIRLS (Progress in International Reading Literacy Study) della IEA
(International Association for the Evaluation of Educational Achievement),
un’indagine internazionale periodica (ripetuta ogni cinque anni), che ha come
principale obiettivo la valutazione comparativa dell’abilità di lettura degli
studenti al quarto anno di scolarità (ovvero, di età compresa tra i nove e i
dieci anni).
È tipicamente in
questa fase, infatti, che gli studenti passano dall’“imparare a leggere” al
“leggere per imparare”. A questa età i bambini e le bambine dovrebbero aver già
imparato a leggere e dovrebbero quindi essere in grado di utilizzare la lettura
come strumento per apprendere. L’indagine si svolge contemporaneamente in più
di 50 Paesi in tutto il mondo ed è giunta, in Italia, al quinto ciclo di
realizzazione (2001, 2006, 2011, 2016 e 2021).
L’indagine PIRLS è
uno studio basato su un ampio quadro di riferimento e fornisce dati comparabili
a livello internazionale sui livelli delle capacità di lettura di bambini e
bambine dopo quattro anni di scuola primaria. Attraverso l’uso di questionari
di contesto sarà possibile rilevare una serie di variabili associate
all’apprendimento della lettura, quali le risorse per la lettura disponibili in
casa, il curricolo previsto e il curricolo realizzato nelle scuole, le pratiche
didattiche in classe e le risorse a disposizione, per individuare i fattori che
maggiormente favoriscono l’acquisizione di tali abilità.
L’Italia
nell’ultima rilevazione
Singapore ha
ottenuto il risultato medio più alto in assoluto e superiore a quello di tutti
gli altri Paesi (587 punti), seguita da Hong Kong (573) i cui studenti, sebbene
abbiano ottenuto risultati medi inferiori rispetto agli studenti di Singapore,
hanno ottenuto risultati che si collocano significativamente sopra il risultato
di tutti i Paesi successivi.
In Italia, gli
studenti di quarta primaria ottengono un punteggio medio pari a 537 punti, un
risultato superiore a quello medio internazionale di tutti i Paesi partecipanti
e superiore al punteggio medio dei Paesi europei partecipanti. Tra i Paesi
europei, solo gli studenti di Finlandia (549), Polonia (549) e Svezia (544)
ottengono un risultato medio superiore a quello degli studenti italiani.
Differenze tra
Nord e Sud
L’Italia è, però,
divisa in due raggruppamenti: Nord Ovest, Nord Est e Centro ottengono punteggi
medi statisticamente simili tra loro e superiori al punteggio medio delle aree
del Sud e del Sud Isole. Inoltre, solo i risultati del Nord Ovest e del Centro
sono significativamente più alti del dato medio dell’Italia, mentre il Sud e il
Nord Est hanno punteggi medi che non si discostano dal riferimento nazionale.
Il Sud Isole ottiene, invece, un punteggio medio significativamente inferiore
alla media italiana
Come sono cambiati
i risultati in lettura degli studenti nel tempo
Nel considerare i
risultati di tendenza PIRLS 2021, va tenuto conto che la pandemia COVID-19, che
si è verificata dopo il ciclo 2016, ha certamente influito sull’apprendimento
scolastico in molti Paesi. La notevole variazione nella portata e nella
risposta alla pandemia all’interno di ciascun Paese e tra i diversi Paesi rende
impossibile stimare l’entità di un effetto COVID-19 in modo uniforme tra i
Paesi, o Paese per Paese, in questo momento.
Dei 32 Paesi che
dispongono dei dati sia del 2016 che del 2021, 21 Paesi hanno registrato
risultati medi di lettura inferiori nel 2021 rispetto al 2016, 8 Paesi non
hanno avuto variazioni significative e solo 3 Paesi hanno registrato risultati
medi superiori.
In Italia, gli
studenti ottengono nel 2021 un risultato medio significativamente inferiore di
11 punti rispetto a quello rilevato 5 anni prima riportando i risultati degli
studenti italiani nuovamente in linea con quelli di 20 anni fa (PIRLS 2001) e
10 anni fa (PIRLS 2011). Adnkronos 8
L’incrocio pericoloso fra legge di bilancio e riforma del Patto di
Stabilità
Puntuale, con la
fine della pausa estiva e la ripresa dell’attività politica, è ripartito
l’ormai rituale dibattito sulla prossima legge di bilancio e relativa manovra.
La Presidente del Consiglio e perlomeno due Ministri di peso, come Giorgetti e
Fitto, hanno invitato alla prudenza, ricordato che i margini sono ridotti, e
confermato la volontà di rispettare i vincoli di bilancio con messaggi
chiaramente diretti in primis ai leader politici della coalizione e agli
altri membri del governo. Ma la partita si è appena aperta e sembra difficile
che i partiti della maggioranza rinuncino ad avanzare richieste di misure e
interventi da inserire nella finanziaria, a tutela delle rispettive
constituencies, in un clima da inizio di campagna elettorale per le europee.
I tempi per la
presentazione della legge di bilancio per il 2024 sono quelli previsti dalle
attuali (e per ora vigenti) regole europee. Per la fine di settembre il governo
dovrà presentare la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza
(NADEF); entro la metà di ottobre dovrà sottoporre alla Commissione europea una
prima bozza di legge finanziaria; a partire da quella data la Commissione potrà
formulare le sue osservazioni; il governo dovrà decidere se e quali
osservazioni recepire e poi presentare il disegno di legge al Parlamento
avviando così quel complesso iter di approvazione che dovrà intervenire entro
la fine dell’anno.
Riforma del Patto
di stabilità: un percorso complesso
Quest’anno però la
discussione della legge finanziaria coinciderà con la fase conclusiva del
negoziato sulla riforma delle regole europee vigenti in materia di disciplina
di bilancio (il Patto di Stabilità). Il negoziato in corso a Bruxelles è
complesso e divisivo. Ed è per ora difficile prevedere come e quando si
concluderà. Ma una cosa è certa. La sospensione delle regole europee (decisa a
suo tempo per consentire politiche fiscali nazionali espansive per contrastare
la recessione del 2020) scadrà a fine anno. E nel caso non si riesca a trovare
un accordo fra i 27 su nuove regole, le vecchie (con le relative criticità)
torneranno in vigore per il bilancio 2024.
Sulla riforma del
Patto di Stabilità si sta negoziando sulla base di una proposta della
Commissione, che aveva l’obiettivo di aggiornare le vecchie regole per renderle
più efficaci e più credibili, e di assicurare maggiori margini di manovra per
finanziare investimenti pubblici (a sostegno delle transizioni energetica e digitale),
sia pure in un quadro di progressiva di riduzione del debito pubblico.
L’aspetto più
qualificante della proposta è il passaggio da un sistema di regole e obiettivi in
principio uguali per tutti (salvo le flessibilità sperimentate nel corso degli
anni) ad un sistema che prevede percorsi di riduzione del debito negoziati fra
la Commissione e i singoli governi sulla base di alcuni obiettivi condivisi. La
Commissione definirà un quadro di riferimento generale e “traiettorie tecniche”
di riduzione del debito per ogni Paese, e i governi negozieranno con la
Commissione dei “piani nazionali strutturali di bilancio”.
Questi piani
nazionali dovranno contenere la previsione dei saldi di bilancio, ma anche le
misure necessarie per affrontare eventuali squilibri macro-economici, e le
riforme e gli investimenti necessari per garantire obiettivi definiti in sede
europea. Questi piani, dovranno essere approvati dalla Commissione e validati
dal Consiglio, e avranno una durata di quattro anni, estensibili fino a sette,
su richiesta del Paese interessato. L’evoluzione della spesa pubblica (al netto
di spese straordinarie) sostituirà il criterio dei saldi di bilancio nella
valutazione delle performances dei singoli Paesi. Dovrebbe essere comunque
previsto un impegno di riduzione minima del debito, che la Commissione ha
proposto pari all’0,5% del PIL all’anno.
La riforma
proposta modifica il quadro esistente in maniera importante, pur mantenendo i
limiti del 3% per i deficit di bilancio e del 60% per i debiti pubblici (la cui
modifca richiederebbe un intervento sui Trattati con tutte le criticità del
caso). E’ una riforma che mira ad assicurare una maggiore responsabilità
(ownership) dei governi nella definizione delle politiche di bilancio e nella
scelta delle riforme da attuare. Ma che di fatto prevede ampi margini di
discrezionalità per la Commissione, e l’utilizzo dello strumento della analisi
di sostenibilità dei debiti molto discusso e controverso per la sua scarsa
trasparenza e oggettività. Ed è proprio su questa presunta eccessiva
discrezionalità della Commissione che si sono concentrate le critiche dei Paesi
rigoristi, che preferirebbero mantenere limiti quantitativi chiaramente identificati
per la riduzione di deficit e debiti.
Alleati e visioni
contrapposte
La partita a
Bruxelles è aperta e la trattativa entrerà nel vivo nelle prossime settimane
nel tentativo di trovare un compromesso condivisibile. Come prevedibile, e
semplificando al massimo, nel negoziato si confrontano due posizioni
contrapposte. Quella dei Paesi rigoristi (prevalentemente del Nord Europa) più
preoccupati di garantire regole certe e quantificate di riduzione del debito e
magari sanzioni adeguate per chi viola queste regole. E quella dei Paesi più
propensi alla spesa (prevalentemente dell’Europa meridionale) piu interessati a
ottenere che le nuove regole consentano la flessibiltà necessaria per
finanziare investimenti utili per la crescita e politiche espansive.
A fronte di questi
schieramenti negoziali, l’Italia può contare su alleati importanti come la
Francia e la Spagna, che condividono le nostre posizioni di principio. Sarebbe
quindi importante e urgente che il governo, superando diffidenze dovute al
colore politico dei due esecutivi al potere a Parigi e Madrid, definisca per
tempo una piattaforma comune almeno con questi due Paesi. E cerchi di portare a
casa un accordo per quanto possibile ispirato alle proposte della Commissione,
evitando che, in assenza di un accordo, torni in vigore il vecchio Patto di
Stabilità.
Meglio invece
lasciare perdere richieste come quelle relative all’esonero del calcolo del
deficit di alcune categorie di investimenti pubblici, una richiesta che
l’Italia nel passato ha avanzato in varie occasioni, ma che appare destinata a
incontrare le solite resistenze, (come hanno dovuto constatare precedenti
governi). Meglio lasciar perdere l’idea di ipotetici pacchetti negoziali nei
quali inserire un ulteriore alleggerimento delle regole in materia di aiuti di
Stato in cambio di una maggiore disponibilità della Germania a rinunciare a
obiettivi quantificati di riduzione del debito. Meglio infine lasciar perdere
l’idea di un “trade off” fra ratifica italiana del MES e una soluzione gradita
a Roma sul Patto di Stabilità, dato che, almeno nella percezione degli altri
Governi europei, l’Italia prima o poi dovrà comunque ratificare il MES.
Ferdinando Nelli Feroci, AffInt 31
Inutile fare finta
di nulla. Il sentore di una crisi politica c’è. Nonostante la Pandemia e una
recessione economica assai grave. Le
poche, “esternazioni” non hanno contribuito a migliorare il processo involutivo
che ci coinvolge. Le polemiche, ora, non servono e potrebbero ricadere su chi
le utilizza. I problemi nazionali restano evidenti. Come a scrivere che la
politica nazionale è priva d’iniziative valide.
Ci sono, ancora, troppe incoerenze da
eliminare e concessioni da ridimensionare. Vivere nel Bel Paese è difficile.
A questo punto,
con molta obiettività, non siamo in grado di fare delle previsioni. Il
“cambiamento”, comunque, dovrà esserci. Il ventiduesimo anno del nuovo
millennio potrebbe essere quello della “rinascita”nazionale.
Anche il
“meccanismo” politico subirà modifiche. Gli effetti avranno il loro ruolo anche
su un’economia che ne ha estremo bisogno. Non c’è sfuggito che, accanto ad una
crisi economica più che evidente, s’è fatta strada uno scombussolamento dei
partiti che, per altro, era ipotizzabile. Entro fine anno, i nodi dovranno
arrivare al pettine. Il nostro “sistema” si basa su tre presupposti: Chiarezza,
Onestà e Programma. Almeno, se ne prediliga uno su tre.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Ue, Mattarella: nessun Paese può pensare al futuro da solo
Roma – “L’Europa è il quadro entro il quale si
costruisce il nostro avvenire, con le lacune che accompagnano il processo di
integrazione europea, fattore che trasforma e plasma anche il nostro modello
sociale. Pace e sicurezza, così come crescita e benessere dei popoli, passano
attraverso la capacità dell’Unione europea di rappresentare un fattore di
stabilità e attrazione per chi crede nei valori della libertà,
dell’indipendenza, della democrazia”. Lo afferma il presidente della
Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato in occasione del Forum
organizzato da The European House.
“Nessun Paese del
Continente, neppure i maggiori per dimensioni o reddito – scrive Mattarella –
può pensare a un futuro separato da quello degli altri: sarebbe una fuga dalla
realtà e, prima ancora di un’illusione, un atto controproducente”.
In questo contesto
“il tradizionale Forum, organizzato da The European House – Ambrosetti,
chiamando responsabili politici, operatori economici e finanziari,
intellettuali e dirigenti di forze sociali a un confronto su scala
sovranazionale, costituisce – conclude Mattarella – un’interessante occasione
di riflessione sugli scenari posti davanti a noi e sulle linee di azione utili
a far avanzare l’intera Unione europea, condizione primaria di sostenibilità
per i Paesi membri”. Askanews 1
Gli errori da non ripetere della Banca Centrale Europea
Nei prossimi
giorni, a Francoforte, falchi e colombe si interrogheranno sugli errori commessi
e, si spera, da non ripetere dalla Banca Centrale Europea, dopo la decisione
presa all’inizio dell’estate scorsa di cambiare strategia in fatto di politica
monetaria.
E’ trascorso un
anno e, nella prossima riunione, la BCE si troverà di fronte a un dilemma:
ignorare gli errori finora commessi, come fa prevedere la supponenza di
Christine Lagarde, o riconoscere di aver sbagliato nel seguire una strategia,
quella dell’ambiguità monetaria, risultata fallimentare e provvedere a
cambiarla.
A suo tempo, fu
proprio la Lagarde ad annunciare che sul futuro percorso dei tassi d’interesse
non ci sarebbero stati annunci di nessun genere da parte della banca, ponendo
fine alla politica degli annunci introdotta da Draghi, in linea con la migliore
analisi economica, sotto il profilo strettamente strategico.
Nelle economie di
mercato il motore della crescita sono le aspettative; ne consegue che se una
banca centrale è credibile e in anticipo informa su quello che sarà il suo
futuro programma, l’economia privata le crederà e saprà orientarsi sulle
decisioni da prendere, si ridurrà il margine di incertezza e gli effetti
positivi non mancheranno di farsi sentire su crescita e inflazione.
Diversamente, se
pur annunciando quello che sarà il suo programma, una banca centrale non
risulterà credibile, oppure non farà nessuno annuncio o lo farà in modo poco
chiaro, confuso, e quello che dirà sarà suscettibile di svariate
interpretazioni, aumentando i rischi di volatilità per i capitali investiti.
Ultimamente la BCE
ha lasciato intravvedere nelle conferenze stampa che hanno seguito le
comunicazioni ufficiali, un ulteriore restringimento della politica monetaria
ed ha consentito ai singoli banchieri centrali un ampio margine di libertà nel
fare annunci personali, a volte anonimi, sul futuro percorso dei tassi
d’interesse, spingendosi troppo oltre l’ammissibile, vuoi per interessi
personali o di carriera.
Grave errore di
valutazione che la BCE potrebbe aver fatto per opportunismo, ma segno di
irresponsabilità, sicuramente non in linea con l’indipendenza dell’istituto e,
soprattutto, espressione di una politica monetaria ambigua, anche se
l’obiettivo primario resta quello di mantenere l’inflazione stabile, al due per
cento, in un orizzonte di medio termine.
La speranza è
quella di un cambiamento di rotta, che dia nuova fiducia ai mercati e lasci
intravvedere una politica monetaria meno restrittiva di quella attuale. Con
buona pace dei falchi che non mancano mai.
Angela Casilli,
de.it.press 9
La violenza sulla donna. Orrore senza confini
La triste storia
di una giovane donna vittima di violenza collettiva
Nella società
odierna, i casi di violenza sessuale rappresentano una ferita aperta che
riflette gli aspetti più oscuri dell’umanità. Ancora più sconcertante è il
fatto quando questa violenza viene perpetrata non da un individuo isolato, ma
da un gruppo di persone che dovrebbero invece essere un baluardo di sicurezza e
rispetto. Il recente caso di una giovane donna violentata da sette giovani
uomini è una triste testimonianza di quanto sia profondamente radicata la
cultura dell’aggressione sessuale e della degradazione umana.
Il caso, che ha
fatto scalpore su scala nazionale, getta una luce cruda sulla violenza della
donna e la misoginia ancora presenti nella nostra società. La vittima, una
giovane donna che dovrebbe poter godere del suo diritto fondamentale alla
sicurezza e all’autodeterminazione, si è trovata in una situazione
inimmaginabile di terrore e impotenza. Il fatto che sette giovani, tra cui un
minorenne, abbiano partecipato a questo atto di violenza evidenzia l’entità del
problema e la necessità di affrontarlo con fermezza.
Tuttavia, mentre
la condanna verso gli aggressori è quasi universale, è altrettanto importante
indagare sul contesto sociale e culturale in cui tali eventi avvengono. La
società gioca un ruolo fondamentale nel plasmare le norme e i valori che
definiscono le relazioni tra i generi. Una cultura che normalizza
l’oggettificazione delle donne e riduce il loro valore a mera sessualità
contribuisce a creare un terreno fertile per la violenza di genere. È
essenziale sfidare questa mentalità distorta e promuovere l’educazione e la
sensibilizzazione per creare un ambiente in cui la dignità umana sia rispettata
senza distinzioni.
Inoltre, il
sistema legale deve rispondere con fermezza e tempestività a casi di violenza
sessuale collettiva. Le leggi devono essere rigorose e applicate in modo equo
per garantire che gli aggressori siano chiamati a rispondere delle loro azioni.
Tuttavia, è
altrettanto importante garantire che le vittime ricevano il sostegno di cui
hanno bisogno, sia a livello legale che psicologico. Il trauma derivante da una
violenza così atroce può avere effetti duraturi sulla vita delle vittime, e
pertanto è essenziale fornire risorse per il loro recupero e la loro
guarigione.
Il caso di questa
ragazza violentata da sette uomini deve diventare un promemoria del lavoro che
deve essere fatto per creare un ambiente in cui ciascun individuo sia
rispettato, protetto e libero dalla paura di subire violenza. La strada da
percorrere potrebbe essere lunga, ma è fondamentale per il progresso e la
giustizia.
Per far fronte a
questa sfida, è essenziale adottare un approccio multifattoriale che coinvolga
tutti gli strati della società. Le istituzioni governative devono svolgere un
ruolo di primo piano nell’attuare politiche e leggi che condannino senza
ambiguità la violenza di genere e promuovano l’uguaglianza. I mezzi di
comunicazione hanno la responsabilità di rappresentare le donne in modo
rispettoso e non sessualizzato, contribuendo così a modificare le percezioni
culturali radicate nel tessuto sociale.
Visto che
l’istruzione è uno strumento fondamentale per creare un cambiamento a lungo
termine, sarebbe opportuno introdurre l’educazione sessuale nelle scuole in
modo completo ed equilibrato metodo che potrebbe aiutare a smantellare i miti
dannosi e ad affrontare le problematiche legate alla sessualità in modo aperto
e informato.
Inoltre, un altro
punto importante sarebbe quello di promuovere il rispetto reciproco perché il
consenso e la consapevolezza delle conseguenze della violenza può contribuire a
creare una cultura di rispetto e responsabilità.
Rendere
accessibili servizi di supporto psicologico, consulenza legale e rifugi sicuri
per le donne in situazioni di pericolo è essenziale per garantire che le
vittime possano fuggire da cicli di abuso e ricostruire le loro vite.
Infine, è fondamentale
che gli uomini si uniscano alla lotta contro la violenza di genere. Gli uomini
devono assumersi la responsabilità di sfidare i comportamenti tossici e le
norme dannose che perpetuano la violenza.
Promuovere una
mentalità maschile positiva che includa il rispetto, l’empatia e la promozione
dell’uguaglianza di genere può contribuire a creare un ambiente in cui la
violenza sessuale sia sempre più inaccettabile.
Nonostante siano
state adottate misure significative per affrontare la violenza di genere e
proteggere le donne, ci sono ancora molte sfide da affrontare per garantire una
tutela completa e efficace.
In generale,
affrontare la violenza sulle donne richiede uno sforzo combinato di
legislazione forte, educazione, sensibilizzazione e cambiamento culturale.
È un processo che
richiede impegno a lungo termine da parte delle istituzioni, della società
civile e dei singoli cittadini per creare un mondo in cui le donne possano
vivere libere dalla paura di violenza.
La questione delle
punizioni per i violentatori è complessa e solleva una serie di questioni
etiche, giuridiche e sociali. Le pene dovrebbero essere proporzionate alla
gravità del reato e dovrebbero fungere da deterrente per prevenire futuri casi
di violenza. Le pene dovrebbero garantire la protezione delle vittime e
prevenire il contatto futuro tra il condannato e la vittima.
La punizione da
sola potrebbe non essere sufficiente a risolvere il problema della violenza
sulle donne. È necessario un approccio multifattoriale che includa interventi
legali, educazione, supporto alle vittime e cambiamenti culturali.
In ogni caso, la
priorità dovrebbe essere quella di proteggere le vittime, prevenire futuri
reati e lavorare verso una società in cui la violenza sulla donna sia una cosa
del passato. Licia Linardi, CdI sett.
Da quarantasette
anni, ci occupiamo di volontariato informativo anche al servizio dei
Connazionali in Germania. Ciò premesso, le nostre analisi non sono mai scontate
e neppure, necessariamente, condivisibili.
L’importante è che siano mezzo di informazione
tra chi scrive e chi legge. Infatti, giudichiamo tale concetto tra i migliori
per mantenere vivo il rapporto tra questo mensile e i suoi Lettori in Germania
e nel mondo. Non a caso, c’è stato, più volte, chiesto chi rappresentiamo.
Esponiamo solo lo spirito della libera informazione. Ci consideriamo, quindi,
“ospiti” della testata che pubblicano i nostri scritti. Nulla di più.
Per il resto, è più semplice scrivere ciò che
non siamo. Ci interessa l’obiettività e l’imparzialità. Elogiare non è nel
nostro stile e, ne siamo sicuri, se ci provassimo, sarebbe una pessima
esperienza. Le informazioni, di qualunque matrice, le riportiamo nella loro
sintesi e il commento, se ne vale la pena, lo inseriamo a valle dei fatti che l’hanno originato.
Non abbiamo mai
sentito l’esigenza di modificare il nostro modo d’essere. Ci attiva lo stimolo
di informarci, per informare.
In buona sintesi,
siamo ricambiati con la stima di chi ci legge. Che non è poco. Sicuri d’essere
più utili senza le polemiche che, troppo spesso, fanno perdere il contenuto dei
veri motivi del contendere. Lo facciamo da tanti anni e intendiamo continuare
così. Giorgio Brignola. De.it.press
Governo-Ue, Paolo Gentiloni non replica a Giorgia Meloni e Matteo Salvini
Il commissario
europeo per l'Economia, Paolo Gentiloni, non risponde alle critiche. La
Commissione europea "non commenta i commenti" fatti da "partner,
interlocutori, portatori d'interesse e altri", ha detto la vice portavoce
capo della Commissione europea Dana Spinant, rispondendo, durante il briefing
con la stampa a Bruxelles, alle critiche arrivate dal governo italiano a
Gentiloni, dopo che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è augurata
che accada più spesso che il commissario italiano abbia "un occhio di
riguardo" per il proprio Paese.
E' ben noto
"come i commissari europei rappresentano gli interessi europei. E lavorano
sul proprio portafoglio in modo collegiale", ha aggiunto Spinant. La
Commissione è un organo collegiale, che ha al suo interno anime diverse, sia
dal punto di vista politico sia geografico: oltre a Gentiloni, c'è anche il
lettone Valdis Dombrovskis, che è vicepresidente, è del Ppe ed è ritenuto molto
vicino alla Germania. Le posizioni che un commissario esprime sono frutto di
compromessi trovati tra le varie anime dell'esecutivo Ue.
COSA HA DETTO
PREMIER MELONI
"I commissari
europei, pur rappresentando le nazioni, quando sono commissari rappresentano l'Unione
europea. Poi, da quando ogni nazione ha il suo commissario accade che questi
tengano un occhio di riguardo verso la nazione che rappresentano. Penso sia
normale e giusto e sarei contenta se accadesse di più anche per l'Italia",
ha detto in conferenza stampa la premier Meloni, in riferimento alla polemica
tra il vicepremier Matteo Salvini e il commissario Ue Paolo Gentiloni.
COSA HA DETTO
SALVINI
"Ogni tanto
ho avuto l’impressione di avere un commissario italiano che giocava con la
maglia di altre nazionali”, ha detto Matteo Salvini durante l’evento sull’acqua
organizzato dal 'Tempo' a Palazzo Wedekind, riferendosi, senza nominarlo,
all'unico esponente italiano nell'esecutivo Ue, ossia quello agli affari
economici e monetari Paolo Gentiloni. Adnkronos 8
L’incoerenza della politica nelle scelte della Premier
Per alcuni la
politica è l’incoerenza dettata dalle convenienze, ovvero il politico dimentica
quasi sempre l’ideologia in cui è cresciuto, per fare affermazioni diverse dal
suo pensare, in linea con il pubblico che lo ascolta, assecondandolo con
l’umore del momento.
Quello che conta
per il politico è conquistare il potere e conservarlo il più possibile, quindi
è quasi del tutto inutile meravigliarsi delle incoerenze dei politici, a
cominciare da quelle della nostra Premier.
Il bilancio di un
anno di governo non è dei migliori; la Meloni si è adattata completamente alla
logica dell’Unione Europea, dopo averla denunciata come la causa dei nostri
problemi, quando tuonava dai banchi dell’opposizione.
Anzi il suo
governo lavora ad una legge di bilancio che terrà in “dovuta considerazione” le
osservazioni della Commissione Europea: così si è espresso il Ministro per gli
Affari Europei, Raffaele Fitto.
A chi le chiedeva
maggiori investimenti sulle politiche sociali, sempre la Premier ha risposto
che non ci sono “le coperture” ma non si era fatta paladina dei bisognosi in
epoche passate?
Per non parlare
poi della politica migratoria dove non si parla più di uso delle navi da guerra
e conseguente “blocco navale” per fermare i migranti ma si cerca l’accordo,
discutibile sul piano dei diritti umani, con i governi del Mediterraneo, in
primis la Tunisia.
Sull’incoerenza,
non c’è molto da aggiungere, tranne che l’elettorato fedele alla Meloni, che
per il momento è quello maggioritario, appare confuso, frastornato, critico nei
confronti di un governo lontano dal mantenere le promesse elettorali che vanno
sempre tenute a mente se si vuole conservare il potere raggiunto. E’anche vero
che il politico al governo di un Paese come il nostro, è soggetto a vincoli
materiali indifferibili come accade per la legge di bilancio che, se non
rispetta i dettami dell’Eurozona, può provocare l’immediata reazione dei
mercati finanziari, prima ancora di quella degli altri governi che condividono
con il nostro Paese la moneta comune.
L’Italia è un
Paese altamente indebitato che non spaventa gli investitori stranieri, tanto
che la maggioranza del capitale delle nostre banche è di azionisti stranieri,
quindi rivendicare la decisione di tassare gli extra-profitti delle banche come
ha fatto la Premier in una recente intervista, non ha molto senso, visto che
era già ridimensionata prima ancora di essere formalizzata.
Nel campo poi
della politica migratoria, le promesse fatte in campagna elettorale sono andate
deluse; gli sbarchi sono triplicati e poiché l’Italia è caratterizzata da un
declino demografico incessante,
nell’ultimo decennio la popolazione è diminuita di un milione e mezzo di
persone, Confindustria aveva a suo tempo stimato la necessità di 800.000
lavoratori per mantenere in piedi il sistema produttivo, il governo Meloni ha approvato un decreto che regolarizza l’immigrazione legale a 830.000 nuovi immigrati
per i prossimi tre anni e per lo stesso periodo di tempo a 452.000 per gli
stagionali.
Dunque la dura
realtà anche questa volta ha vinto
sull’ideologia e il vero politico dimostra la sua sagacia, solo quando sa
adattarsi alle condizioni in cui si trova ad operare.
La politica non è
un mercato e il politico non è un imprenditore e gli elettori non sono dei
consumatori di prodotti. Le scelte di un capo di governo, quando si trasformano
in leggi o in regolamenti, sono vincolanti per tutti i cittadini anche per
quelli che non hanno votato chi è al governo. Sarebbe il caso di spiegare a
tutti gli italiani le ragioni del cambiamento della propria linea politica,
perché la democrazia vive di trasparenza e non di ambiguità o cinismo. Cambiare
le scelte politiche senza spiegare il perché, rende sterile e inaffidabile il
discorso politico di qualsiasi governante. Angela Casilli, de.it.press 9
Lo scontro tra governo e magistratura
È destinato a
lasciare una crepa nella democrazia la polemica tra il governo e la
magistratura dello scorso luglio. Sono bastate le vicende giudiziarie che hanno
coinvolto la ministra Santanchè, il sottosegretario Delmastro e il figlio del
presidente La Russa per determinare un duro botta e risposta tra i due poteri.
Da una parte il governo, in un comunicato, ha accusato la magistratura di
«schierarsi faziosamente nello scontro politico», dall’altra Santalucia –
presidente dell’Associazione nazionale magistrati a cui appartengono 9.149
magistrati sui 9.657 in servizio – ha ritenuto la posizione del governo
“pesantissima” che “delegittima” la magistratura e la colpisce “al cuore”.
In realtà, lo
scontro di inizio estate è solo la goccia che fa traboccare il vaso di
trent’anni di polemiche con due elementi nuovi: il vuoto lasciato da Berlusconi
e la radicale riforma del ministro Nordio che prevede separazioni delle
carriere, discrezionalità dell’azione penale e revisione del codice penale e di
procedura penale.
Alcuni analisti la
definiscono “una guerra a bassa densità”, iniziata nel 1992 con tangentopoli e
proseguita con l’abuso degli avvisi di garanzia che condannano prima del
processo e la minaccia del “tintinnar di manette”: immagine utilizzata al Csm
da Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca presidente della Repubblica e dello stesso
Csm. Erano gli anni dell’abolizione dell’immunità parlamentare, del decreto-legge
“salva-ladri” dell’allora ministro Biondi e di alcune leggi approvate per
limitare il potere giudiziario.
Il rapporto tra potere
politico e magistratura inscritta nella Costituzione è come la vedetta sul
ponte di comando di una nave per valutare la qualità e la vita della democrazia
stessa. Sono l’armonia e l’equilibrio tra i poteri e il rispetto del principio
di legalità in un Paese a indicare se l’idea di giustizia è condivisa. Quando,
invece, un Paese inizia a dividersi sulle riforme della giustizia, sulle
finalità e la cogenza della legge, sul rapporto tra la magistratura e gli altri
poteri dello Stato, sul modo di riabilitare i detenuti, allora occorre
ripensare, integrare o addirittura fondare di nuovo il significato di giustizia
a partire dalle scuole e dal dibattito sociale. La lunghezza dei processi,
l’imporsi di forme di giornalismo giustizialista e la situazione in cui versa
il sistema carcerario italiano sono tra le conseguenze più evidenti di un
modello di giustizia in crisi.
Eppure lo scontro
potrebbe ridursi attraverso un dialogo istituzionale maturo, gestendo il potere
non come una continua prova di forza ma come un servizio ai cittadini. La
classe politica per non temere nulla basterebbe che garantisse credibilità,
competenza e onestà. Alla stessa magistratura basterebbe rispettare la forma e
la sostanza del mandato costituzionale per amministrare la giustizia con
“disciplina e onore”, evitando, per esempio, le fughe di notizie o la
strumentalizzazione degli avvisi di garanzia.
Per il presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella, la via maestra per trasformare il potere
della magistratura in servizio è il ritorno all’etica personale e
professionale. Nei suoi nove discorsi alla magistratura è possibile ricavare
sette princìpi guida: 1) anzitutto «coltivare l’etica del dubbio e rifiutare
ogni forma di arroganza cognitiva»; 2) curare il rispetto e la correttezza quando
si comunica; 3) rifiutare ogni forma di protagonismo e di individualismo
giudiziario; 4) dare esempio di sobrietà nella condotta individuale; 5)
rispettare il confine tra l’interpretazione della legge e la creazione
arbitraria della regola; 6) rispettare la deontologia per la crescita
professionale; 7) coltivare la dimensione etica per garantire il rispetto dei
doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo,
equilibrio, rispetto della dignità della persona. Francesco Occhetta,
Vita Past. sett.
Non solo la popolazione, anche la demografia delle imprese è in crisi
Nel secondo
trimestre 2023, in Italia, si è verificata una diminuzione delle nuove imprese pari
al 3,7%. Il dato Istat certifica la tendenza dei precedenti anni e riguarda
quasi tutti i settori. Gli unici comparti in controtendenza sono l’industria in
senso stretto (che ha registrato nuove registrazioni di impresa in una misura
pari al +2,7%) e il commercio, che risulta stazionario in linea rispetto al
primo trimestre di quest’anno.
I settori che
hanno subito la maggiore contrazione sono il comparto dell’informatica e
comunicazione (le nuove iscrizioni di impresa registrano un -8,5%) e quello delle
costruzioni (nuove imprese -8% rispetto al trimestre precedente) su cui incide
pesantemente la stretta sul Superbonus 110%.
Sono soprattutto i
fallimenti delle imprese a generare la contrazione della densità commerciale in
Italia, come spiega l’Istituto nazionale di statistica.
Le statistiche
trovano conferma nell’ultimo e ottavo rapporto di Confcommercio su “città e
demografia d’impresa” dove si legge che in 10 anni (tra il 2012 e il 2022) sono
sparite oltre 99 mila attività di commercio al dettaglio e 16 mila imprese di
commercio ambulante.
Nonostante ci sia
stato anche un calo demografico, in questo lasso di tempo la densità
commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi ogni mille abitanti (un calo di quasi
il 20% negli ultimi 10 anni).
Il presidente di
Confcommercio Mariano Bella commenta così i dati: “complessivamente, la doppia
crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato i trend di riduzione
della densità commerciale già presenti prima di tali shock. L’entità del
fenomeno non può che destare preoccupazione”.
La relazione tra
demografia e imprese
Anche se al calo
demografico di una popolazione non corrisponde necessariamente il calo
demografico delle imprese, il primo può influenzare il secondo in diversi modi:
* Riduzione del
mercato di riferimento: se la popolazione diminuisce, il mercato di riferimento
dell’impresa potrebbe ridursi, con conseguente riduzione delle opportunità di
vendita;
* Riduzione della
domanda di lavoro: se la popolazione diminuisce, la domanda di lavoro potrebbe
diminuire, con conseguente riduzione delle opportunità di lavoro per le
imprese;
* Riduzione della
concorrenza: se la popolazione diminuisce, può diminuire anche il numero di
imprese concorrenti, con conseguente riduzione della concorrenza in un
determinato settore;
* Cambiamenti
nelle tendenze di consumo: se la popolazione diminuisce, possono verificarsi
cambiamenti nelle tendenze di consumo, con conseguente necessità per le imprese
di adattarsi a queste nuove tendenze;
* Riduzione delle
opportunità di mercato: se la popolazione diminuisce, possono ridursi anche le
opportunità di mercato per le imprese, con conseguente riduzione delle
opportunità di crescita
Come sottolineato,
il calo delle imprese è proporzionalmente maggiore rispetto al calo
demografico: questa situazione si verifica anche perché non conta solo quante
persone ci siano in uno Stato, ma la loro età. Una popolazione più anziana
genera meno consumi e, al tempo stesso, non costituisce domanda di lavoro.
L’aumento dell’età media della popolazione italiana è il risultato del calo
delle nascite contestuale all’innalzamento della speranza di vita. Il numero di
ultranovantenni passerà dagli attuali 820.000 a 2,2 milioni nel 2070 e già oggi
in Italia quasi una persona su 4 è over 65 (il 24,1%).
In definitiva, la crisi
delle nascite sottrae linfa vitale al sistema economico, generando un circolo
vizioso dove l’inverno demografico della popolazione genera l’inverno
demografico delle imprese italiane. Adnkronos 9
Quando si vuole “isolare”
una parte da un’altra, s’ipotizzano dei muri. Strutture solide, ma che
potrebbero essere anche ideologiche, varate per impedire il superamento fisico
di un confine o per limitare un certo ordine di “pensiero”. Da noi, ora, è più
che palese. Qui la Pandemia non ha pregio.
In Italia, in modo più generale di quanto
potrebbe apparire, ci troviamo di fronte a muri di questo tipo. Insomma, i
“muri”, concreti o ideologici, servono per dividere, sempre e comunque.
Dopo la caduta del muro di Berlino nel
novembre 1986 e il successivo crollo del comunismo internazionale, i “muri”
sono tornati d’attualità anche in Italia e con gli stessi scopi di quelli già
in essere nel secolo scorso. Molto meno visibili fisicamente, ma tragicamente
presenti.
La Democrazia non
può essere cinta da “muri” né fisici, né ideologici. Ci sono realtà da
verificare e dottrine da raffrontare. Senza questa premessa, i “muri” tendono a
dividere senza chiarire le cause per le quali sono stati voluti. La storia,
purtroppo, l’ha, più volte, evidenziato. Giorgio Brignola, de.it.press
Criminalità minorile: la nuova “Zes” per il Sud e il rinvio blocco dei
diesel euro 5
Sono tre i decreti
legge approvati dall’ultimo Consiglio dei ministri. In primo piano le
“misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e
alla criminalità minorile”, poi il “decreto Sud” con l’introduzione di un’unica
Zona economica speciale che coinvolge l’intero territorio delle regioni
meridionali, mentre il terzo decreto, che interessa in particolare il Piemonte,
rinvia al 1° ottobre 2024 il blocco della circolazione delle auto diesel euro 5
- Stefano De Martis
Sono tre i decreti
legge approvati dall’ultimo Consiglio dei ministri. In primo piano quello
innescato dai terribili fatti di Caivano, che sono diventati anche l’occasione
per varare più ampie “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla
povertà educativa e alla criminalità minorile” (questo il titolo del
provvedimento), estese all’intero territorio nazionale. Nell’articolato ci sono
quindi interventi specifici sulla situazione di Caivano, a partire dalla nomina
di un commissario (che sarà il dirigente medico della polizia di Stato Fabio
Ciciliano) chiamato a gestire gli investimenti straordinari previsti in tutti
gli ambiti, da quello repressivo a quello educativo scolastico, a quello
dell’attività sportiva, con l’idea di farne un modello di riscatto replicabile
anche in altre situazioni di degrado grave. Molto diversificata e complessa la
maglia degli interventi previsti a carattere nazionale, con la sempre doverosa
precisazione che bisognerà attendere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
per avere elementi assolutamente certi sulle norme introdotte. Tra gli elementi
in evidenza la previsione anche del carcere per i genitori inadempienti
rispetto all’obbligo scolastico dei figli. Aumentano le possibilità per
applicare la custodia cautelare tra i 14 e i 18 anni, con l’abbassamento da 9
anni a 6 dei limiti di pena che consentono questa misura e con l’arresto in
flagranza anche per spaccio di droga di lieve entità e per altre fattispecie
ora non previste. Previsti percorsi di rieducazione, contemplando anche
l’impegno gratuito in lavori socialmente utili.
Si allarga
notevolmente l’ambito di applicazione dei provvedimenti di allontanamento (i
cosiddetti “daspo”), sia per quanto riguarda gli ambiti che i reati implicati e
con l’estensione fino ai 14 anni per il cosiddetto “Daspo urbano”.
Viene valorizzato
l’istituto dell’ammonimento da parte del questore, che consente di convocare
con il minore anche uno dei genitori, e questo vale anche per i minori compresi
nella fascia 12-14 anni. Per i minori dai 14 anni in su, raggiunti da avviso
orale da parte del questore e condannati anche in via non definitiva per una
serie di reati gravi, può essere disposto il divieto di possesso e utilizzo dei
cellulari e di piattaforme online.
Chi è vittima di
un reato consumato su internet può chiedere l’oscuramento o la rimozione dei
propri dati e può rivolgersi al Garante della privacy se chi deve provvedere
non lo fa tempestivamente. In un’ottica di contrasto alla fruizione del porno
su internet da parte di minori si potenziano la presenza e la riconoscibilità
del parental control su tutti gli strumenti, con un accompagnamento di
formazione e informazione per i genitori.
Per quanto
riguarda mondo della scuola, il decreto opera nell’ambito del piano Agenda Sud
che coinvolge oltre duemila istituti nel Mezzogiorno e si pone tra l’altro
l’obiettivo di estendere il tempo-scuola e il tempo pieno.
Nel secondo
decreto – ribattezzato “decreto Sud” – spicca l’introduzione di un’unica Zona
economica speciale che coinvolge l’intero territorio delle regioni meridionali
in luogo delle otto parziali Zes finora operanti. Prevista una revisione
complessiva della programmazione e della gestione del Fondo sviluppo e coesione
e l’implementazione della Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree
interne. Un investimento straordinario è destinato a Lampedusa.
Il terzo decreto,
che interessa in particolare il Piemonte, rinvia al 1° ottobre 2024 il blocco
della circolazione delle auto diesel euro 5. Sir 8
Calano ancora le nascite, ma l’inverno demografico dell’Italia arriva da
lontano
Nel primo
quadrimestre del 2023 le nascite sono scese dell’1,1% rispetto allo stesso
periodo del 2022 segnando 117.857 nuovi nati a fronte dei 119.185 del primo
quadrimestre dello scorso anno, con una differenza di 1.328 nascite.
Anche se il calo è
lieve, i dati dell’aggiornamento Istat continuano nel solco del 2022, anno in
cui si è registrato il record minimo di nascite (393.000, per la prima volta
sotto la soglia psicologica dei 400.000 nella storia dell’Italia unita).
Allargando
l’orizzonte dell’analisi emerge che i nuovi nati nel primo quadrimestre 2023
sono ben il 10,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. L’andamento di
questo periodo rispecchia quanto accade ormai dal 2008, l’ultimo anno in cui
l’Italia ha registrato un saldo positivo delle nascite.
Anche per effetto della
pandemia, nel solo triennio 2019-2022 l’Italia ha perso quasi un milione di
persone (957mila unità).
Cresce la speranza
di vita
Coerentemente con
le tendenze demografiche consolidate, l’età media degli italiani sta aumentando
anche grazie a una decisa inversione di tendenza per quanto riguarda i decessi:
sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno rispetto allo
stesso periodo 2022, 42mila in meno rispetto al primo quadrimestre 2020 e quasi
2mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.
Nel 2022 la
speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le
donne; solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile
in circa 2 mesi e mezzo di vita in più.
Nonostante il
Covid abbia colpito soprattutto gli anziani e negli ultimi tre anni siano morte
oltre 2 milioni e 150mila italiani di cui l’89,7% con più di 65 anni, il
processo di invecchiamento della popolazione prosegue: l’età media della
popolazione è passata da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio
del 2023, quando la popolazione over 65 costituisce il 24,1%. In pratica,
in Italia quasi una persona su 4 ha più di 65 anni.
Aumentano anche
gli ultraottantenni che rappresentano il 7,7% della popolazione italiana,
mentre è record di ultracentenari che al 1° gennaio 2023 sfiorano la soglia
delle 22mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente.
Dall’inizio degli
anni Duemila, grazie a un incremento di oltre 17 mila persone, il numero di
ultracentenari in Italia è triplicato. I dati Istat evidenziano come gli
ultracentenari siano per la maggior parte donne, con percentuali superiori
all’80% dal 2000 ad oggi. Il Centro e il Nord presentano una proporzione di
ultrasessantacinquenni leggermente più alta di quella nazionale,
rispettivamente pari al 24,7% e al 24,6%. Nel Mezzogiorno tale proporzione è
invece del 23,0 per cento. Gli ultraottantenni costituiscono l’8,2% della
popolazione totale nel Nord e nel Centro e il 6,8% nel Mezzogiorno.
La preoccupante
dinamica demografica è riassunta molto bene da un dato: secondo le previsioni
Istat, nel 2041 la popolazione degli ultranovantenni segnerà un +69,4% rispetto
al 2021, superando quota 6 milioni.
Dati e riflessioni
sulla fecondità
Mentre una fascia
ristretta come quella degli ultrasessantacinquenni è sempre più presente e
rappresenta il 24,1% della popolazione, quella molto ampia tra i 15 e i 64 anni
risulta in diminuzione e rappresenta il 63,4% della popolazione totale con 37
milioni e 339 mila persone. I ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila,
ovvero il 12,5% della popolazione italiana.
Passando
all’analisi della fecondità, si aprono alcuni spunti di riflessione. Nel 2022
la fecondità è tornata ai livelli del 2020 (1,24 figli in media per donna),
anche se al di sotto del periodo pre-pandemico (1,27 nel 2019). Si discute
sempre più frequentemente di questo tema, spesso presentandolo come una
assoluta novità nel panorama demografico italiano.
In realtà la
persistente bassa fecondità è uno dei tratti distintivi dell’evoluzione
demografica del nostro Paese: è dalla metà degli anni Settanta che il numero
medio di figli per donna è sceso sotto la soglia di 2,1, valore che sancisce un
teorico equilibrio nel ricambio generazionale e la diminuzione è stata
continua, fino al minimo storico di 1,19 figli per donna del 1995.
Si noti che,
nonostante quest’ultimo dato dimostri una fecondità più bassa di quella
attuale, spesso la crisi demografica attuale viene imputata semplicemente ai
giovani che non vogliono fare figli. Eppure, se il numero medio di figli per
donna è più alto oggi che nel 1995, appare discordante cercare negli ultimi
mesi e nelle scelte dei giovani la principale causa della crisi demografica.
Come rileva
l’Istat, infatti, il vero nodo è il cosiddetto effetto struttura: a incidere
pesantemente sul numero delle nascite è la diminuzione delle donne in età
fertile, non le scelte delle stesse. L’effetto struttura, spiega l’istituto, è
responsabile per l’80% del calo complessivo di circa 27 mila nascite
effettivamente osservato tra il 2019 e il 2022, solo il restante 20% si deve
alla minore fecondità registrata negli ultimi anni (da 1,27 figli in media per
donna del 2019 a 1,24 del 2022).
Infatti, se nel
2022 le donne avessero avuto la stessa fecondità osservata nel 2019, si sarebbe
avuto comunque un calo di circa 22 mila nati, attribuibile interamente alla
minore numerosità e alla composizione per età delle donne.
Dunque, le radici
dell’inverno demografico italiano affondano nella seconda metà degli anni
Novanta quando si è passati dal baby boom del 1964 con oltre un milione di
nascite alle 526 mila nascite del 1995.
L’erosione del
contingente dei potenziali genitori si deve proprio a questa evoluzione storica
della fecondità: nel passaggio di un ideale testimone tra una generazione di
genitori (i nati del baby boom) e quella dei loro figli (i nati della metà
degli anni Novanta) i contingenti si sono pressoché dimezzati. La fecondità ha
poi ripreso ad aumentare, arrivando al massimo relativo di 1,44 figli per donna
del 2010 sostenuto, in gran parte, dalle nascite con almeno un genitore
straniero, arrivate a costituire circa 1/5 del totale dei 562 mila nati del
2010.
Successivamente,
dopo le crisi del 2008 e del 2011-2012, è iniziata una nuova fase di rapida
diminuzione delle nascite e del numero medio di figli per donna.
In conclusione,
come spesso accade, è sbagliato cercare esclusivamente nel proprio tempo le
cause delle tendenze, positive o negative che siano. Solo un’analisi
equilibrata, ampia ed oggettiva può aiutare a comprendere le dinamiche attuali
e a intervenire per migliorarle. Appare quindi condivisibile l’approccio
politico che volge in parte al presente, riconoscendo il ruolo fondamentale
dell’immigrazione per il futuro demografico italiano e in parte al futuro, con le
politiche statali e regionali che incentivino la natalità. Adnkronos 5
“Bel Paese. L'arte italiana si promuove nel mondo”: al via il nuovo
progetto del MiC
ROMA - 6 città
italiane, 60 artiste/artisti, 30 curatrici/curatori internazionali saranno coinvolti
nei prossimi tre anni nel nuovo programma di networking internazionale “Bel
Paese. L'arte italiana si promuove nel mondo”, promosso dal Ministero della
Cultura per il tramite della Direzione Generale Creatività Contemporanea e dal
Comitato Fondazioni Arte Contemporanea.
L’iniziativa,
presentata in luglio al Collegio Romano, nasce nell’ambito del Protocollo di
Intesa siglato a luglio del 2021 dallo stesso Ministero con il Comitato
Fondazioni Arte Contemporanea con l’obiettivo di promuovere l’internazionalizzazione
dell’arte italiana nell’ambito di una virtuosa partnership pubblico/privato.
Dopo la nascita
dell’Italian Council, l’interazione tra il Comitato e il Ministero prosegue,
dunque, con “Bel Paese” nella definizione e attivazione di processi comuni,
atti a valorizzare la ricerca artistica contemporanea italiana nel contesto
culturale internazionale.
“Bel Paese” si
pone in continuità e come evoluzione del progetto Grand Tour d’Italie, promosso
dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea con la collaborazione di
alcuni dei principali network di residenze italiani per tre edizioni (2016,
2018, 2019) con l’intento di promuovere la mobilità e le relazioni tra artisti
italiani mid-career con curatori e direttori di residenze artistiche e centri d’arte
contemporanea internazionali. Come in quel caso, “Bel Paese” vuole dare la
possibilità ad artiste e artisti italiani di entrare in contatto con alcune
delle figure professionali delle più prestigiose realtà internazionali d’arte
contemporanea, al fine di creare occasioni di collaborazione e opportunità di
sviluppo della carriera attraverso percorsi di promozione e valorizzazione
della propria ricerca all’estero.
In quanto progetto
strettamente dedicato alla promozione internazionale della cultura
contemporanea italiana, “Bel Paese” si inserisce nell’ambito dei principali
obiettivi strategici della Direzione Generale Creatività Contemporanea e del
Ministero della Cultura e, in tal senso, è uno dei progetti di punta sostenuti
dal Fondo per il potenziamento della promozione della cultura e della lingua
italiana all’estero per il triennio 2022-2024 nell’ambito delle azioni di
diplomazia culturale messe in atto con la Direzione Generale per la Diplomazia
Pubblica e Culturale del Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione
Internazionale.
Il ministro della
Cultura, Gennaro Sangiuliano, si è detto oggi “felice che questo importante
progetto per la promozione internazionale di artisti italiani parta da Napoli e
Torino, due città per diversi aspetti capaci di interpretare al meglio la
propria identità e la propria relazione con il mondo attraverso il lavoro
creativo. Abbiamo il dovere di costruire il passato del nostro futuro. Plasmare
ora nuovi percorsi artistici, fatti di linguaggi inediti, che nascono da
esigenze moderne e che ci conducono verso ambizioni che si rinnovano, significa
lasciare ai posteri la memoria di quello che stiamo vivendo ed elaborando al
giorno d’oggi. Ho sempre sostenuto la necessità di far fronte, soprattutto con
i giovani, a questo dovere che si configura quasi come una responsabilità
morale che abbiamo nei confronti delle future generazioni. Per questo
continueremo a dare impulso all’arte contemporanea con iniziative e programmi
come “Bel Paese”. In tale direzione stiamo procedendo per istituire annualmente
la “capitale dell’arte contemporanea”, iniziativa da affiancare alla capitale
della cultura e alla capitale del libro”.
Il Comitato
Fondazioni Arte Contemporanea raccoglie le dimensioni sociali, culturali,
estetiche del lavoro territoriale che da anni le fondazioni del Comitato
valorizzano e condividono, sviluppando un processo collettivo di sostegno
dell’arte italiana attraverso le proprie risorse e attività scientifiche. Il
progetto “Bel Paese” si pone a supporto delle iniziative di diplomazia
culturale messe in atto dal Ministero della Cultura con l’obiettivo di
costruire nuove relazioni culturali connesse all’arte contemporanea attraverso
figure istituzionali di esperti internazionali invitati ad approfondire la
ricerca contemporanea italiana.
“A nome di tutti i
membri del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea”, Patrizia Sandretto Re
Rebaudengo, presidente del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, si è detta
anche lei “felice di condividere con la Direzione Generale Creatività
Contemporanea del Ministero della Cultura questo importante percorso a sostegno
delle artiste e degli artisti italiani. Bel Paese immagina e costruisce una
nuova metodologia culturale che intende espandere i confini dell’arte
contemporanea italiana, rafforzandone la ricezione e instaurando relazioni in
una costellazione di network d’eccellenza internazionali”.
Nei prossimi tre
anni “Bel Paese. Promoting Italian Art Around the World” coinvolgerà 6 città
italiane, 60 artiste/artisti, 30 curatrici/curatori internazionali.
Le città scelte
sono, per vocazione pubblica, laboratori urbani che integrano riflessività
critica e fenomeni globali generando processi socioculturali di inclusione,
ascolto, costruzione di nuove strategie determinati a riformulare e
implementare il rapporto tra arte contemporanea e società. Nel 2023, per la sua
prima edizione, le città coinvolte sono Napoli (10-11-12 luglio 2023) e Torino
(22-23-24 settembre 2023), due centri che incorporano un dialogo interculturale
tra Mediterraneo ed Europa volto al rafforzamento di valori, pratiche, principi
pubblici che fanno dell’arte e della cultura italiane uno strumento globale
aperto per rinsaldare la pace, favorire l’eguaglianza socioeconomica, sostenere
i diritti di tutte le comunità umane.
Sedi ufficiali
delle attività scientifiche e degli incontri di “Bel Paese” saranno la
Fondazione Morra Greco a Napoli e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a
Torino.
A Napoli, le
artiste e gli artisti selezionati sono: Francesco Arena, Stefano Arienti, Betty
Bee, Jacopo Benassi, Giulia Crispiani, Caterina De Nicola, Adji Dieye,
Raffaella Naldi Rossano, Lina Pallotta, Giulia Piscitelli.
Le curatrici e i
curatori internazionali sono Michelle Cotton (Mudam, Luxembourg), Joao Laia
(KIASMA, Helsinki), Claudia Segura (MACBA, Barcellona), Fabian Schöneich (CCA,
Berlino), Milan Ther (Kunstverein, Amburgo).
Le presenze a
Torino sono in via di definizione e saranno rese note in un successivo momento.
Le artiste e gli
artisti invitati sono stati selezionati tra le voci italiane considerate più
interessanti in questo momento da un comitato curatoriale composto da Anna
Mattirolo e Stefano Collicelli Cagol, così come i curatori e le curatrici delle
istituzioni internazionali sono stati scelti tra i più rappresentativi a
livello europeo e internazionale.
Il gruppo di
coordinamento e operativo del progetto, espressione dello Steering Committee
istituto dal Protocollo di Intesa tra il Ministero e il Comitato Fondazioni, è
composto da: Fabio De Chirico, dirigente del Servizio II - Arte contemporanea,
e Matteo Piccioni per la Direzione Generale Creatività Contemporanea; Raffaella
Frascarelli e Olivia Fortini per il Comitato Fondazioni Arte Contemporanea.
(aise/dip 6)
Giovani italiani ‘bamboccioni’? Lasciano casa a 30 anni, la media in Europa
è 26,4
In media i giovani
europei lasciano la casa dei genitori a 26,4 anni; in Italia a 30 anni. Solo i
giovani in Croazia (33,4 anni), Slovacchia (30,8), Grecia (30,7), Bulgaria,
Spagna (entrambi 30,3) e Malta (30,1) vanno a vivere da soli più tardi di
quelli italiani.
I dati Eurostat
2022 hanno registrato le età medie più basse in cui si lascia casa, tutte sotto
i 23 anni, in Finlandia (21,3 anni), Svezia (21,4), Danimarca (21,7) ed Estonia
(22,7).
Nell’arco di 10
anni, l’età media dei giovani che lasciano la casa dei genitori è aumentata in
14 Paesi dell’Ue, in particolare in Croazia (+1,8 anni), Grecia (+1,7) e Spagna
(+1,6). Tra il 2012 e il 2022, l’età media europea è variata leggermente, con
la più bassa di 26,2 anni registrata nel 2019 e la più alta di 26,5 registrata
nel 2012, 2014, 2020 e 2021.
Le donne lasciano
casa prima degli uomini
L’Istituto
statistico europeo ha registrato un divario di genere abbastanza netto: in
media, gli uomini lasciano la casa dei genitori quasi due anni più tardi delle
donne: gli uomini all’età di 27,3 anni e le donne a 25,4 anni nel 2022. Nessun
Paese europeo fa eccezione a questo divario, durante lo scorso anno le donne
hanno lasciato casa prima degli uomini in tutti i 27 Stati membri. In Italia il
gap rispecchia le proporzioni europee: le donne si trasferiscono a 29 anni, gli
uomini a 30,9.
Solo in Croazia le
donne hanno, in media, lasciato casa dopo i 30 anni. Al contrario, gli uomini
si sono trasferiti dopo i 30 anni in 9 Paesi: Croazia, Bulgaria, Grecia,
Slovacchia, Spagna, Italia, Malta, Slovenia e Portogallo.
In Finlandia le
donne hanno lasciato casa dei genitori in media a 20,5 anni (gli uomini a
22,1), mentre il divario di genere più ampio è stato riscontrato in Romania,
dove i giovani uomini hanno lasciato il Paese a 29,9 anni e le donne a 25,4
anni (gap di 4,5 anni), seguita dalla Bulgaria (divario di 4,1 anni), dove gli
uomini hanno lasciato il paese a 32,3 anni e le donne a 28,2 anni.
I divari più
ridotto sono stati registrati in Lussemburgo (0,5 anni), Svezia (0,6),
Danimarca e Malta (entrambi 0,7) hanno registrato i divari più ridotti tra
giovani uomini e donne che lasciano la casa dei genitori.
Età in cui i
giovani lasciano casa in base al genere – Dati Eurostat
Perché gli
italiani lasciano tardi la casa dei genitori?
Rispetto alla
precedente rilevazione, relativa al 2021, l’età media in cui i giovani europei
lasciano casa è lievemente diminuita (26,5 anni contro i 26,4 attuali), mentre
quella italiana è di poco aumentata (29,9 anni contro i 30 attuali).
Molto eloquente è l’incremento
che si è avuto dal 2010, quando i giovani italiani si trasferivano a circa 25
anni, al 2022, quota 30: negli ultimi 12 anni l’età media in cui gli italiani
hanno fatto il passo verso la propria autonomia è aumentata di 5 anni.
La fatidica domanda
“perché gli italiani lasciano casa sempre più tardi rispetto ai coetanei
europei?”, ha diverse risposte:
* Stipendi troppo
bassi
* Boom immobiliare
* Lunghezza degli
studi
* Motivazioni
sociali
La causa economica
è quella che più impedisce ai giovani italiani di trasferirsi andando a pagare
un affitto o un mutuo. L’Italia è l’unico Paese europeo dove gli stipendi sono
diminuiti rispetto a 30 anni fa, mentre il boom immobiliare (secondo punto) non
accenna ad arrestarsi.
Secondo gli ultimi
dati resi disponibile dall’Agenzia delle Entrate sui contratti stipulati nel
2021, i canoni medi per tutte le tipologie di contratto di locazione sono
aumentati del 5,8% rispetto al 2020 e del 5,2% rispetto al 2019. Analizzando
dati più recenti, riportati dall’Osservatorio mensile di Immobiliare.it
Insights, i canoni sono aumentati dell’1,3% da marzo ad aprile 2023 e di quasi
il 6% rispetto al 2022. In un anno sono cresciuti del 4,9% a Roma, del 10,8% a
Milano, 5,4% a Napoli, del 10,6% a Torino, del 5,9% a Palermo, del 5% a Genova,
del 17,8% a Bologna, del 20,2% Firenze, del 14,1% a Venezia. Questi dati,
insieme a quelli sugli stipendi, basterebbero per capire perché i giovani
italiani lasciano casa sempre più tardi. Ma c’è dell’altro.
Il fatto che gli
studi, in Italia, durino mediamente di più rispetto a quelli degli altri Paesi
europei ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro e di conseguenza la possibilità
di andare a vivere da soli.
Infine, c’è anche
una matrice sociale che incide in una doppia direzione: come riporta l’Istat,
nel 2021 il 62,7% dei 25-64enni italiani ha almeno un titolo di studio
secondario superiore in Italia, contro il 79,3% della media Ue, l’84,8% della
Germania e l’82,2% della Francia. Nella stessa fascia di età, anche la
percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20%) è più bassa della
media europea (33,4%) ed è circa la metà di quella registrata in Francia e
Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).
Questo divario
comporta una minore occupazione o degli stipendi più bassi, anche se in Italia
il gap salariale è ancora molto ridotto e spesso non premia sufficientemente
chi ha studiato di più. Il sistema italiano non è abbastanza premiante rispetto
ai partner europei, non solo in relazione agli stipendi, ma anche per la
ricerca stessa del lavoro: in Italia i tassi di disoccupazione si attestano al
28,7% tra i diplomati e al 15,6% tra i laureati, risultando superiori del 14% e
del 6,8% rispetto alla media europea.
In definitiva,
l’aspetto sociale degli italiani “bamboccioni” è di gran lunga il meno importante.
Nonostante l’opinione pubblica diffusa anche all’estero, i motivi per cui gli
italiani si trasferiscono tardi sono molto concreti e vanno ritrovati, ancora
una volta, nel nostro sistema economico e di istruzione. Adnkronos 6
L’Italia non ha
bisogno di nuovi sacrifici proiettati in un’ottica che ben poco andrebbe a
migliorare la realtà nazionale. Se i politici dovessero continuare a dare
un’importanza marginale agli italiani che vivono altrove, si potrebbe
verificare quell’effetto “boomerang” che molti in Patria hanno, da sempre,
intuito. I Parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero, però, non hanno
fatto nulla per aggiornare una legge sul voto già nata vecchia.
Ovviamente, ci sono stati seguiti politici che
hanno fatto slittare il cambiamento. Di ciò, dopo sessant’anni di giornalismo
al servizio degli italiani che vivono altrove, prendiamo atto. Per migliorare
ciò che riteniamo possibile, certe proposte dovrebbero maturare anche fuori
d’Italia. Sempre che ci si creda veramente.
Non è il caso d’aggiungere cenni personali.
Chi vive oltre frontiera è già nelle condizioni per partecipare, più
attivamente, al futuro della terra d’origine.
Proprio sotto questo profilo, che riteniamo
fondamentale, intendiamo fare chiarezza sullo “status” dei Connazionali nel
mondo per coinvolgerli nelle decisioni che potrebbero cambiare il loro ruolo,
che non è marginale, nella Penisola. Se lo scriviamo, significa che ci
crediamo.
Certe soluzioni, tuttavia, non dovrebbero
essere prese senza una più approfondita analisi da parte di chi non vive in
Italia; ma ne ha, a pieno diritto, la cittadinanza.
Gli Italiani
“altrove” dovrebbero avere la stessa valenza politica che sollecitiamo, da
tempo, anche nella Penisola. Particolarmente sotto il profilo della
rappresentatività attiva. Ma, ancora una volta, non c’è peggior sordo di chi
non ha l'intenzione di sentire. Giorgio Brignola, de.it.press
Il divario di genere penalizza le donne anche nel lavoro, in Italia è
doppio rispetto all’Ue
Per le donne lavorare è più difficile. Se poi hanno figli, la situazione è
ancora peggiore. Nel mondo del lavoro infatti il divario di genere in Italia è
molto ampio, il doppio rispetto al resto dell’Europa. Non che negli altri Paesi
sia scomparso, ma lungo lo Stivale è particolarmente forte. Il 30,5% delle
donne europee è inattivo, quasi il 10% in più degli uomini, oppure sono
sottoccupate perché devono occuparsi della casa e della cura familiare, che
ricade ancora pesantemente su di loro a causa di antichi retaggi.
In Europa dunque le donne lavorano meno degli uomini, ma non per colpa
loro. Da un’elaborazione di Openpolis su dati Eurostat, risulta occupato l’80%
dei maschi contro il 69,3% delle femmine. In sostanza, la differenza tra il
tasso di occupazione nei due sessi è pari al 10,7%. Un dato medio che
‘nasconde’ differenze importanti tra i vari Paesi.
Il primato spetta alla Grecia con il 21% di differenza di genere rispetto
al tasso di occupazione. L’Italia segue a ruota con 19,7% (il doppio rispetto
alla media), sopra anche alla Romania che registra il 18,6%. All’altro estremo
della classifica, ci sono invece i Paesi Scandinavi e baltici: in testa
Lituania (0,8%) e Finlandia (1,2%) e a seguire Estonia (2,9%) e Lettonia
(3,1%).
Il peso delle attività domestiche e di cura
Scardinare gli antichi retaggi che vogliono la donna chiusa nella
dimensione familiare o il cui lavoro è ‘un di più’ sacrificabile rispetto all’uomo
che ‘provvede alla famiglia’, non è una questione di principio ma anzi ha
ricadute molto pratiche. Secondo i dati Ocse, citati da Openpolis, le donne
impiegano mediamente 4,73 ore al giorno per il lavoro domestico e di cura, gli
uomini 1,84 ore. Tralasciando che anche questo tipo di lavoro ha un valore
economico quantificabile e che le donne lo svolgono in maniera del tutto
gratuita, la sproporzione fra i carichi familiari si traduce nella difficoltà o
impossibilità per loro di conciliare vita e lavoro.
E quindi in un tasso di occupazione inferiore e nel maggior ricorso al part
time rispetto alla controparte maschile.
In questo contesto non è un caso, dunque, che le più penalizzate siano le
donne con figli, per le quali l’equilibrio tra casa e impiego è ancora più
complesso. Al contrario, gli uomini con prole sono maggiormente occupati: il
90,1% a fronte dell’81,1% di quelli che non ne hanno, inoltre lavorano meno
frequentemente part-time.
Non è un caso nemmeno che, come risulta da una ricerca condotta per
l’Economic Innovation Group, lo smart working favorisca la natalità. E che
stimoli il desiderio di avere un figlio, aumentato del 10%, secondo l’indagine,
nelle donne di età superiore ai 35 anni.
Un basso tasso di occupazione femminile non è un problema che rimane
confinato alle mancate aspirazioni personali o all’importanza dell’indipendenza
economica; piuttosto, ha effetti concreti a livello pubblico sul benessere
delle nazioni e sulla natalità.
La ricerca condotta per l’Economic Innovation Group mostra infatti che un
aumento della partecipazione delle donne al lavoro retribuito aumenta il PIL di
un Paese, e che la parità di genere a livello globale riduce i conflitti
violenti e aumenta la stabilità politica.
E la natalità?
La scarsa partecipazione al mondo del lavoro da parte delle donne non aiuta
la natalità, anzi i Paesi con i tassi più bassi di occupazione femminile sono
anche quelli con i minori tassi di fecondità.
In base ai dati Inps (analisi ‘Natalità e occupazione femminile: un
confronto internazionale’), l’Italia con meno di 1,3 figli per donna è tra i
Paesi meno fecondi d’Europa, insieme alla Spagna, mentre la Francia grazie a
politiche ad hoc stabili è il Paese europeo col tasso più alto, 1,8 bambini per
donna. E ha un divario del tasso di occupazione tra i sessi pari a 5,8%.
Non solo, ma in 22 Stati europei su 27 le donne con 3 figli hanno tassi di
occupazione superiori a quelle italiane con un solo figlio. Ad esempio in
Slovenia lavora l’82,8% delle madri con 3 figli tra 20 e 49 anni, in Portogallo
l’80,4%, in Danimarca il 79,1% e in Svezia il 79%. I Paesi con le peggiori
performance di natalità sono anche quelle con i minori tassi di occupazione
femminile.
Fonte: Inps
L’Italia sta sprecando risorse importanti che potrebbero contribuire a generare
ricchezza, crescita e benessere. Quello che manca, e lo dimostra l’esperienza
della Francia, sono politiche specifiche che rendano possibile per le donne
conciliare vita e lavoro. Investimenti, servizi all’infanzia (e per la cura
degli anziani), maggior coinvolgimento degli uomini nelle attività domestiche:
la soluzione per aumentare la natalità passa da qui, come confermato anche
dalla ‘vox populi’ in diversi sondaggi, mentre penalizzare le donne che
lavorano non porta nessun beneficio. Adnkronos 14
Il piano
energetico europeo, da integrare nei Pnrr, prevede l’invio di risorse agli
stati membri per finanziare progetti sull’energia. Lo scopo, tra gli altri, è
quello di ridurre al minimo la dipendenza europea dalle importazioni russe.
Definizione
Per fare fronte
alla crisi energetica causata dalla guerra tra Russia e Ucraina, l’Unione
europea ha avviato un nuovo programma energetico. È il RepowerEu che, entrato
in vigore lo scorso marzo con il regolamento 2023/435, prevede nel breve
termine i seguenti obiettivi:
Per finanziare gli
interventi, i paesi potranno ricorrere a una parte delle risorse già
destinate ai Pnrr, oltre ad altre fonti di finanziamento come
le risorse per le politiche di coesione, il fondo europeo per l’innovazione, misure
fiscali nazionali e investimenti privati.
Per accedere ai
fondi, è necessario che gli stati inseriscano un nuovo capitolo all’interno dei
rispettivi piani nazionali, che dovrà prevedere sia investimenti che riforme.
Possono essere introdotte nuove misure ma è possibile anche riformularne alcune
già presenti, tenendo presente che devono essere poi cambiate anche le relative
scadenze. Questi fondi possono inoltre finanziare dei progetti già in essere
avviati prima del 1 febbraio 2022.
Un altro aspetto
importante di questo piano è il suo carattere transnazionale. È infatti
necessario che gli stati membri, nel presentare le modifiche dei relativi Pnrr,
specifichino la dimensione e il coinvolgimento dei territori al di fuori dei
confini nazionali attraverso queste misure. Il 30% di quelle finanziate con il
RepowerEu devono infatti avere degli impatti anche su altri paesi.
Dati
A livello europeo,
il piano ha un valore di circa 20 miliardi di euro. Come per il
dispositivo per la ripresa e la resilienza, questi fondi saranno veicolati in
parte con prestiti e in parte con sovvenzioni.
Sono 15 finora i
paesi che hanno inviato a Bruxelles la proposta di integrazione del Repower.
L’Italia è stata l’ultima ed è in attesa di valutazione da parte della
commissione europea. Mentre Estonia, Francia, Slovacchia, Malta e Irlanda hanno
ricevuto l’ok sia dalla commissione che dal consiglio europeo.
Analisi
Questo piano può
essere un’opportunità importante per gli stati membri ma presenta alcuni
aspetti critici. Innanzitutto, il focus principale dell’Unione sembrerebbe,
quantomeno nel breve periodo, quello di trovare nuovi paesi da cui importare
energia per rendersi indipendenti dalla Russia.. Questo potrebbe ridurre
l’impegno nell’implementare invece nuove soluzioni più sostenibili.
Ci possono essere
delle criticità nelle nuove catene di importazione di energia.
Inoltre alcuni di
questi potenziali fornitori sono paesi con regimi dittatoriali o con forti
instabilità politiche e quindi imprevedibili. Si tratta di stati che
contraddicono in misura e modi diversi, quei valori che l’Europa dichiara di
promuovere e difendere: democrazia, equità, diritti umani.
Inoltre, le infrastrutture
per il gas potranno essere realizzate anche in deroga al principio del non
arrecare danno significativo (do not significant harm) che viene invece seguito
per tutti gli altri investimenti previsti all’interno del Pnrr. È comunque
vincolante il parere favorevole della commissione europea.
Openpolis 4
Berlino: macchina per caffè espresso automatica italiana vince il premio
DesignEuropa
Berlino - Due
disegni e modelli eccezionali sono stati premiati nel corso della quarta
edizione dei premi DesignEuropa, ospitata oggi dall’Axica Convention
Center di Berlino. La macchina per caffè espresso completamente automatica,
progettata da Vittorio Bertazzoni, Matteo Bazzicalupo e Raffaella Mangiarotti
per la Smeg, ha vinto il premio per l’industria.
I premi
DesignEuropa, organizzati dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà
intellettuale (EUIPO), conferiscono un riconoscimento a progetti d’eccellenza
che sono protetti come disegni e modelli comunitari registrati (DMC), nonché a
figure di spicco del settore. Sono previste tre categorie di premi: il premio
per le imprese piccole ed emergenti, il premio per l’industria e il premio alla
carriera.
Il premio per le
imprese piccole ed emergenti è stato assegnato a RemigoOne, un motore elettrico
fuoribordo creato dalla designer slovena Ajda Bertok e realizzato in linea con
i principi di innovazione e sostenibilità nel settore della navigazione.
Seconda classificata in questa categoria è giunta l’impresa italiana Jarsty Srl
con il suo progetto omonimo Jarsty, uno strumento che consente ai clienti di
preparare, cucinare, conservare, trasportare e consumare facilmente i pasti in
un unico contenitore.
Il premio alla
carriera è stato conferito alla designer svedese Maria Benktzon.
“Abbiamo ricevuto
quasi 700 candidature eccellenti da tutta l’Unione europea, in rappresentanza
di una vasta gamma di settori”, ha spiegato la presidente della giuria, la
designer francese Isabelle Vérilhac, ex presidente dell’Ufficio delle
associazioni europee di disegni e modelli (BEDA). “Di conseguenza, selezionare
un vincitore è stato un compito molto impegnativo. I vincitori di questa
edizione incarnano il grande pensiero progettuale, la sostenibilità e la
responsabilità ambientale del design europeo. I progetti che si sono aggiudicati
i premi rappresentano perfetti esempi di estetica, emozione, funzionalismo,
circolarità e inclusione nel design, oltre a dimostrare come quest’ultimo
costituisca una risorsa fondamentale per le imprese innovative, sia grandi che
piccole, in tutta Europa”.
I premi
DesignEuropa, ha evidenziato il Direttore esecutivo dell’EUIPO, Christian
Archambeau, “illustrano al meglio la creatività, l’innovazione e l’ingegnosità
europee. Il design è il fulcro dell’Europa e abbiamo due eccellenti vincitori
che ne dimostrano le potenzialità. I designer europei e l’industria del design,
PMI comprese, contribuiscono allo sviluppo economico, sociale, culturale e
ambientale”.
L’INDUSTRIA
EUROPEA DEL DESIGN
Negli ultimi due
decenni la protezione dei disegni e modelli ha segnato una svolta per le
imprese. I settori ad alta intensità di disegni e modelli creano 26,8 milioni
di posti di lavoro diretti nell’UE e contribuiscono al 15,5 % del PIL
complessivo dell’UE.
L’EUIPO registra
attualmente oltre 100 000 disegni e modelli all’anno e ha ricevuto oltre 1,6
milioni di DMC dall’aprile 2003, quando ha iniziato a gestire questo diritto di
proprietà intellettuale.
La Germania è il
paese leader nella protezione dei disegni e modelli a livello dell’UE, con più
di 347 000 disegni e modelli complessivamente, seguita dall’Italia con 202 000.
Per quanto riguarda il PIL e l’occupazione nei settori ad alta intensità di
disegni e modelli, l’Italia vanta inoltre una percentuale più elevata
(rispettivamente 17,3 % e 13,9 %) rispetto alla media dell’UE (15,5 % e 12,9
%).
In termini di
rappresentanza di genere, da una recente relazione dell’EUIPO è emerso che nel
2021 solo il 26 % dei disegni o modelli registrati da titolari con sede nell’UE
comprendeva una donna designer, un dato che si colloca al di sotto dei livelli
di Corea del Sud, Cina e Stati Uniti.
I premi
DesignEuropa sono diventati un appuntamento fisso nell’agenda internazionale
dei disegni o modelli industriali. La quarta cerimonia di premiazione si è
svolta oggi a Berlino, in collaborazione con il Ministero federale tedesco
della Giustizia e l’Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi. Le edizioni
precedenti dei premi DesignEuropa si sono tenute a Milano (Italia), Varsavia
(Polonia) e Eindhoven (Paesi Bassi). Il premio alla carriera è stato conferito
anche ad André Ricard, designer della torcia olimpica di Barcellona 1992, a
Giorgetto Giugiaro, noto per le sue progettazioni iconiche di automobili, e a
Hartmut Esslinger, ideatore dei disegni e modelli che hanno caratterizzato il
marchio Apple. (aise/dip 5)
Contro il tormentone “astensionista” di Fedez: “Gli italiani all’estero
votano eccome”
Il capodelegazione
meloniano all’Europarlamento e il senatore partono dalla hit estiva per
costruire un video di campagna elettorale in vista delle europee del 2024
«Come tutti gli
italiani all’estero l’anno prossimo non voterò» cantano insieme Fedez, Annalisa
e Articolo 31 nel tormentone estivo Disco Paradise. Una frase che non è
piaciuta al deputato europeo di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza e al suo
collega di partito Roberto Menia. Il capodelegazione meloniano
all’Europarlamento e il senatore partono da quella strofa per costruirci un
video di campagna elettorale. Le elezioni europee di 2024 si avvicinano e i
due, estrapolando la frase della canzone attaccano il rapper: «Non sappiamo se
Fedez abbia davvero deciso di non votare alle elezioni europee dell’anno
prossimo. Che ci frega, direte voi, un voto in meno per gli altri. Ma in fondo
non è questo ciò che importa ora. Quello che ci interessa chiarire con questo
video è che questa frase della canzone è semplicemente falsa». Fidanza e Menia,
in un finto botta e risposta a distanza – uno si trova al mare, l’altro in
montagna -, partono con la spiegazione: «È falsa in primo luogo perché non è
vero che gli italiani all’estero non votano. Alle ultime elezioni politiche
dello scorso anno più di un milione e 250 mila italiani residenti all’estero
hanno esercitato il loro diritto di voto, il 26,4% degli aventi diritto».
Nella parte finale
del video si esplicita poi l’intento propagandistico: «Insomma, alle
importantissime elezioni europee del prossimo anno tanti italiani all’estero potranno
decidere di votare per i membri italiani del Parlamento europeo, dal loro Paese
europeo di residenza, stabile o temporanea che sia», afferma Menia. E Fidanza
conclude: «A questo punto ci auguriamo che saranno davvero in tanti a farlo,
così come ci auguriamo saranno tantissimi quelli che si recheranno a votare per
dare più forza all’Italia in Europa. Con buona pace di Fedez e dei successi
musicali dell’estate che, per carità, saranno anche dei piacevoli tormentoni,
ma non sempre ci azzeccano».
In chiusura, il
filmato mostra una carrellata di cinque uomini che dall’estero (Romania,
Croazia, Francia) fanno sentire le loro voci: «Fedez, noi andremo a votare
perché abbiamo l’Italia nel cuore, ci dispiace per te». LS 11
Nasce la “Piazza Estero” dell’associazione Schierarsi
ROMA - Si è
costituita ufficialmente la “Piazza Estero” dell’Associazione Schierarsi,
composta da italiani che risiedono, hanno vissuto o progettano di trasferirsi
all’estero.
Schierarsi è
un’associazione culturale fondata in Italia da Alessandro Di Battista, con
l’obiettivo di coinvolgere gruppi di cittadini nella costruzione di proposte e
progetti nell’interesse del Paese.
Il nome
dell’associazione nasce dall’idea di assumere posizioni chiare su temi
nazionali e globali. E la “Piazza Estero”, in questo senso, darà voce alle
tematiche locali riguardanti gli italiani nel mondo, così come spiegato
dall’Associazione stessa: “dalla difesa del diritto di rappresentanza degli
italiani residenti all'estero alle modalità e tempistiche di rinnovo dei
documenti, fino ad una globale riforma del voto all’estero. La nostra Piazza si
occuperà anche di tematiche nazionali o globali, cercando di attingere dai
Paesi che ci ospitano soluzioni che possano essere applicate in Italia su temi
come il Lavoro, la Sanità, la Scuola, l’Unione Europea e le forme della
democrazia”.
Piazza Estero è
aperta a tutti e promuove un clima di rispetto reciproco, dialogo e
collaborazione. Si svolgeranno regolarmente incontri in maniera virtuale,
contattando via mail l’associazione all’indirizzo
estero@associazioneschierarsi.it o sul profilo Facebook. (aise/dip 11)
Una crepa nella soletta, chiuso il tunnel del San Gottardo: deviazioni e
code
Da domenica
interrotto il transito. L’ufficio svizzero delle strade: «Contiamo di riaprire
entro la fine della settimana». Interrotta da agosto anche la linea ferroviaria
dopo un deragliamento
È chiuso da
domenica pomeriggio e probabilmente lo sarà per tutta la settimana il tunnel
autostradale del San Gottardo. La chiusura è avvenuta a causa di un difetto
tecnico alla soletta intermedia, in particolare per il distacco di parti del
calcestruzzo e la presenza una crepa in una lastra della soletta in prossimità
del portale nord. L’Ufficio federale svizzero delle strade (USTRA) ha fatto sapere
che lavora a pieno ritmo per risolvere il problema e riaprire la galleria
quanto prima. L’obiettivo è quello di riprendere la circolazione entro la fine
della settimana.
Fino alla
riapertura del tunnel, il traffico continuerà a essere deviato in gran parte
sulla strada del San Bernardino (A13), sul Passo del San Gottardo e sul
Sempione. In alcuni punti di questi percorsi possono verificarsi disagi alla
circolazione, pertanto occorre calcolare tempi di percorrenza maggiori. I
veicoli pesanti già in attesa di proseguire il viaggio presso i centri di
controllo di Giornico (TI) e Ripshausen (UR) saranno trattenuti.
L’USTRA ipotizza
che la causa dei danni sia una ridistribuzione tensionale nell’ammasso
roccioso, che avrebbe comportato variazioni di spinta a livello locale e
sollecitato la galleria nel tratto interessato, provocando la fessurazione
della soletta intermedia e di conseguenza il distacco del calcestruzzo.
Anche il tunnel
ferroviario di base del San Gottardo, aperto nel 2016, è attualmente chiuso al
traffico passeggeri per un periodo indefinito, in seguito al deragliamento di
un treno merci, lo scorso 10 agosto. Solo la canna est è percorribile per il
traffico merci. Attualmente, circa 90 treni merci al giorno viaggiano
attraverso il tunnel di base del San Gottardo, altri 15 sulla vecchia linea di
montagna. Per motivi di sicurezza, i treni passeggeri circolano sulla vecchia
linea e attraverso la galleria di valico. Le Ffs hanno ipotizzato una messa in
funzione limitata all’inizio del 2024. Il ministro dei trasporti Albert Rösti
lunedì 11 settembre a margine di una conferenza stampa sulla politica
energetica, ha dichiarato di essere particolarmente colpito dai due avvenimenti
verificatisi al San Gottardo nel giro di un mese. CdS 12
Al via il programma di Alta formazione della Farnesina per le Scuole
italiane all’estero
ZURIGO – Si
inaugura a Zurigo il programma di Alta Formazione ideato dalla Farnesina per
gli studenti e i docenti delle Scuole italiane all’estero. L’obiettivo del programma
è promuovere il modello formativo italiano, rafforzando l’offerta didattica con
percorsi innovativi di alta formazione. I percorsi sono incentrati su materie
di avanguardia, selezionate tra gli ambiti nazionali di eccellenza. Il tema
scelto per la Scuola statale italiana “Casa d’Italia” di Zurigo è la
Letteratura italiana per l’infanzia, che sarà oggetto di due seminari,
organizzati con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo.
I seminari sono
realizzati in collaborazione con Andersen – La Rivista e il Premio di libri per
ragazzi, partner del Sistema della Formazione Italiana nel Mondo dal 2020.
Saranno tenuti da Mara Pace (giornalista, traduttrice e docente) che, insieme
al Direttore responsabile di Andersen Barbara Schiaffino, discuterà la
valutazione e la selezione dei libri italiani per l’infanzia, il ruolo della
letteratura italiana per ragazzi nella didattica, la lettura autonoma e
condivisa, la bibliodiversità.
Maggiori
informazioni sono disponibili ai seguenti link: Seminario “Lettori di ieri,
letture di oggi” – Istituto Italiano di Cultura di Zurigo, 12 settembre
2023; Seminario “Come scegliere i libri per bambini e ragazzi. Un viaggio
tra albi illustrati, fumetti e narrativa” – Scuola statale italiana “Casa
d’Italia”, Zurigo, 13 settembre 2023. (inform/dip)
La Via Maestra, in Italia e all’estero. La Filef alla manifestazione del 7
ottobre
E’ sotto gli occhi
di tutti l’attacco sistematico ai principi fondanti della Repubblica nata dalla
Resistenza. Un modello di democrazia e di società smantellato ormai da anni,
con conseguenze drammatiche sul piano sociale e politico.
Lo Stato italiano
ha abbandonato la sua bussola e ha abdicato al compito più alto indicato dalla
Costituzione, quello di rimuove gli ostacoli di ordine sociale e materiale che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’uguaglianza di tutti i
cittadini, al contrario contribuisce al crearne di nuovi e ingigantisce quelli
esistenti.
La cronaca di
queste settimane ce lo ricorda in maniera impietosa: mancanza di lavoro, e quel
poco che cé’ precario, con salari da fame e condizioni di sfruttamento
inaccettabili. La distruzione del sistema di istruzione pubblica e della
sanitá, l’abbandono di intere parti di Paese al proprio destino di
desertificazione economica e sociale, le politiche di repressione delle lotte
sociali e ambientali, la follia della partecipazione acritica alla guerra in
Ucraina, i progetti di autonomia differenziata, che mirano ad aumentare a
dismisura le disuguaglianze territoriali giá esistenti.
Tutto ciò ha avuto
e sta avendo un impatto sui fenomeni migratori, interni ed esterni al nostro
Paese. Circa 2.5 milioni e mezzo di italiani e italiane sono tornati ad
emigrare dalla crisi del 2008-9. Flusso che non si è fermato nemmeno negli anni
della pandemia da Covid-19.
Sono andati via
giovani con competenze medie e elevate, ma anche famiglie, lavoratori e
pensionati. Tutti in fuga da un Paese verso il quale hanno perso fiducia e che
li costringe a cercare una vita migliore oltre confine. Migranti economici,
chiamando le cose con il loro nome.
Un Paese che non
si pone il problema delle perdite di preziose competenze ed energie su cui lo
Stato ha investito e fa finta di non vedere anche gli effetti nefasti che ciò
comporta sulla denatalitá e sullo sviluppo futuro dell’Italia.
Come diciamo da
tempo, inascoltati, la vera emergenza del Paese non è infatti l’ immigrazione,
come una certa propaganda miope vorrebbe far credere, ma l’ emigrazione di
massa degli italiani.
Le politiche
neoliberali degli ultimi 30 anni e la scelta consapevole del mondo politico e
economico di lasciare l’Italia ai margini delle politiche di sviluppo globali,
hanno creato la tempesta perfetta.
Un capitalismo
straccione, che cerca di competere non in innovazione, ma sul dumping salariale
e dei diritti. Che investe in inutili grandi opere, ma non nella cura dei
territori. Che abbandona in povertà assoluta milioni di persone,
eliminando il reddito di cittadinanza, senza prevedere alternative efficaci.
Per combattere
questa deriva e riaffermare la necessità di un modello sociale e di
sviluppo che riparta dall’attuazione della Costituzione, per una ‘Europa
e un mondo di pace e multipolare, per una politica di sviluppo armonico
dell’Italia e dell’Europa dove nessuno venga lasciato indietro, la
rete della FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie)
aderisce e sostiene con forza la manifestazione del 7 Ottobre “La via Maestra”
e supporterà convintamente tutte le iniziative che a livello europeo si
svolgeranno a fine 2023 promosse dalla Confederazione Europea dei Sindacati.
Pietro Lunetto per
il coordinamento nazionale della FILEF, EmiN 13
Mezzogiorno. 506 pensionati esteri hanno usufruito del regime fiscale
agevolato
Roma - "Sono
506 i titolari di pensione estera che, dal 2019 a oggi, hanno beneficiato del
regime fiscale offerto dalla legge 145/2018, il cosiddetto «ritorno dei
pensionati». Nel 2021 la maggior parte dei beneficiari proveniva da Regno Unito
(73), Germania (60), USA (35) e Belgio (34). L'Abruzzo è la meta di
trasferimento preferita (88), seguita da Puglia (58), Sicilia (45), Sardegna
(37) e Campania (23). Si registra una decisa tendenza di crescita, di circa il
470%, dal 2019 al 2021. In particolare, i beneficiari britannici si sono
moltiplicati di oltre 7 volte, quelli tedeschi di quasi 6 volte e quelli
americani di 5 volte.
Questi dati sono
stati rilasciati oggi in Commissione Finanze durante la risposta ad una mia
interrogazione sull’argomento indirizzata al Ministro dell’Economia, Giancarlo
Giorgetti. Ricordo che la legge 145/2018 ha introdotto un regime fiscale
opzionale per i titolari di pensione estera che trasferiscono la residenza
fiscale nei piccoli centri del Mezzogiorno.
In particolare la legge
prevede la possibilità di scegliere il regime opzionale del 7% sulle pensioni o
altri redditi esteri per 5 anni, a condizione di trasferire la residenza
fiscale in un comune con non più di 20mila abitanti di una regione del
Mezzogiorno, cioè Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo,
Molise e Puglia
Ringrazio i
colleghi Centemero, Bagnai, Cavandoli e Gusmeroli per aver sostenuto questa mia
interrogazione in Commissione Finanze ed il sottosegretario Lucia Albano per
l’esaustiva risposta" - comunica l'On. Simone Billi, unico deputato della
Lega per la Circoscrizione Estero-Europa e capogruppo in Commissione Esteri.
Simone Billi 13* eventuali discrepanze tra i totali delle tabelle e quelli
dichiarati nel testo dipendono dal fatto che, per ragioni di riservatezza, nei
dati disaggregati non sono comunicate le frequenze minori di 3 unità. On.
Billi, dip 14
La Consulta apre il bando per contributi alle Associazioni di
emiliano-romagnoli nel mondo
Bologna - La Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel Mondo ha aperto in
queste ore il Bando per contributi ad attività ordinarie delle Associazioni di
emiliano-romagnoli nel mondo, le cui domande si potranno realizzare fino al
prossimo 13 novembre.
Il bando concede finanziamenti per attività ordinarie delle Associazioni ER
nel mondo, come per esempio attività culturali, corsi di lingua, organizzazione
di eventi, allestimento stand per fiere e sagre, da realizzarsi tra il 1°
gennaio e il 31 dicembre del 2024.
Con questo bando l’Assemblea legislativa vuole promuovere la realizzazione
di attività da parte delle associazioni e delle federazioni fra associazioni di
emiliano-romagnoli nel mondo allo scopo di rafforzarne le strutture
organizzative e le capacità attrattive anche nei confronti dei giovani, discendenti
o di nuova emigrazione.
Il contributo regionale viene concesso in particolare per: Attività
culturali; Corsi di lingua italiana; Organizzazione di eventi; Allestimento di
stand in occasione di fiere e feste locali; Realizzazione di spazi per l’aggregazione
giovanile; Sviluppo di attività aggregative e comunicative dell’associazione,
anche attraverso l’uso di nuove tecnologie; Attività di divulgazione e
informazione sulle opportunità del “Turismo delle radici”; Attività di
divulgazione e conoscenza del fenomeno dell’emigrazione femminile; Attività
sportive e ricreative anche in termini di aggregazione dei giovani
emiliano-romagnoli residenti all’estero.
Il contributo regionale può arrivare fino ad un massimo di 3 mila euro per
progetti presentati da un'unica Associazione ER nel mondo, e 6 mila euro per le
Federazioni o partenariati composti da almeno n. 4 Associazioni ER nel mondo.
Le domande di partecipazione devono essere inviate a: consulta@postacert.regione.emilia-romagna.it entro la data di scadenza. (aise 14)
Lampedusa ruft Notstand aus, Deutschland setzt Aufnahme aus
Die Zahl neu
angekommener Geflüchteter in Lampedusa ist auf Rekordhoch. Das
Erstaufnahmelager ist überfüllt. Bei der Ankunft spielen sich chaotische Szenen
ab - ein fünf Monate alter Säugling ertrinkt. Deutschland stoppt indes die
freiwillige Aufnahme von Geflüchteten aus Italien. Von Robert Messer, Christoph
Sator und Anne-Béatrice Clasmann
Auf der italienischen
Mittelmeerinsel Lampedusa kommen wieder jeden Tag mehrere Tausend
Bootsgeflüchtete an. Innerhalb von 24 Stunden registrierten die Behörden am
Dienstag mehr als 5.000 Menschen, wie am Mittwoch aus Zahlen des
Innenministeriums hervorging. Die Nachrichtenagentur Ansa berichtete von mehr
als 5.100 – so viele wie noch nie an einem einzigen Tag. In der Kommune
Lampedusa, zu der auch die Nachbarinsel Linosa gehört, gibt es knapp 6.500
Einwohner. Mit rund 20 Quadratkilometern ist Lampedusa nur in etwa so groß wie
die deutschen Nordseeinseln Amrum oder Langeoog. Italiens Vize-Regierungschef
von der rechtspopulisitschen Lega-Partei, Matteo Salvini, hat Situation gar als
„Akt des Krieges“ bezeichnet. In der Nacht auf Mittwoch kam es zu einem
tragischen Unglück: Beim Versuch, ein erst fünf Monate altes Kind an Land zu
bringen, fiel der Säugling ins Wasser und ertrank.
Die Insel zwischen Sizilien
und Nordafrika gehört seit Jahren zu den Brennpunkten der Fluchtbewegung nach
Europa. Die Situation am Dienstag war unübersichtlich, weshalb zunächst von
2.500 Ankömmlingen die Rede war. Nach einer Zeit, in der weniger Menschen auf
der Insel landeten, muss Lampedusa wieder mit Tausenden Neuankömmlingen
zurechtkommen. Nach Zahlen des Innenministeriums in Rom wurden seit Beginn des
Jahres bereits mehr als 123.800 Menschen registriert, die auf Booten Italien
erreichten – im Vorjahr waren es von Januar bis Mitte September 65.500. Sollte
der Trend anhalten, könnte bis Ende des Jahres gar die Rekordzahl von 2016
übertroffen werden. Damals kamen 181.000 Menschen.
Diskussionen zwischen
Deutschland und Italien
Der Umgang mit Geflüchteten
sorgt auch für neue Diskussionen zwischen der Bundesregierung und der
Rechtsregierung in Italien. Berlin setzte ein Programm zur freiwilligen Aufnahme
von Geflüchteten aus Italien aus, wie das Bundesinnenministerium bestätigte.
Zuerst hatte die „Welt“ berichtet. Ursprünglich hatte Deutschland zugesagt,
3.500 Asylbewerber aus besonders belasteten Staaten an Europas Außengrenzen im
Süden zu übernehmen. Bislang wurden über den sogenannten freiwilligen
europäischen Solidaritätsmechanismus 1.700 Schutzsuchende überstellt, damit sie
in Deutschland ihr Asylverfahren durchlaufen.
Weitere Aufnahmen seien nun
nicht mehr geplant, auch weil es bei der Rückübernahme von Geflüchteten nach
den sogenannten Dublin-Regeln hakt, so das Ministerium. Diese Regeln sehen vor,
dass Asylbewerber ihren Antrag – bis auf wenige Ausnahmefälle – im ersten
EU-Land stellen müssen, in dem sie registriert wurden. Wer es dennoch in einem anderen
Staat versucht, kann dorthin zurückgeschickt werden.
Lösung nicht auf nationaler
Ebene
„Angesichts des bestehenden
hohen Migrationsdrucks nach Deutschland verstärkt die anhaltende Aussetzung von
Dublin-Überstellungen durch einige Mitgliedstaaten, auch durch Italien, die
großen Herausforderungen, vor denen Deutschland zurzeit hinsichtlich seiner
Aufnahme- und Unterbringungskapazitäten steht“, erklärte ein
Ministeriumssprecher. Bis Ende August sind demnach erst zehn
Dublin-Überstellungen nach Italien erfolgt. Rom sei informiert
„Einwanderung ist ein
europäisches Problem“, schrieb Italiens Außenminister Antonio Tajani auf der Online-Plattform
X (vormals Twitter). Es müsse unter Beteiligung aller EU-Länder gelöst werden.
Auch EU-Parlamentspräsidentin Roberta Metsola betonte, die Lösungen lägen nicht
auf nationaler, sondern nur auf europäischer Ebene.
So sieht es auch Clara Bünger
(Linke). Die Aufnahme und Versorgung von Asylsuchenden ist eine
gesamteuropäische Verantwortung, erklärte die Linkspolitikerin am Donnerstag.
Doch die Bundesregierung tue das genaue Gegenteil. „Das ist fatal und zeigt,
dass das Gerede von europäischer Solidarität nichts als eine hohle Phrase ist“
erklärt Bünger. Es sei kein Zufall, dass Salvini die Ankünfte der Geflüchteten
als „Akt des Krieges“ bezeichnet hat. Die Bilder von Chaos und Überlastung
spielten rechten Kräften in die Hände.
Situation nicht mehr tragbar
Lampedusa liegt 190 Kilometer
von der tunesischen Küstenstadt Sfax entfernt, wo viele Flüchtlingsboote nach
Europa starten. Immer wieder kommt es bei den hochgefährlichen Überfahrten zu
Unglücken mit Toten. Bürgermeister Filippo Mannino bezeichnete die Situation
als nicht mehr tragbar. „Vor diesem Hintergrund ist es unmöglich, eine
angemessene Hilfe für die Migranten zu gewährleisten, trotz immenser
logistischer Anstrengungen.“
Das Erstaufnahmelager mit
Platz für rund 400 Menschen ist erneut überfüllt. Knapp 6.800 Geflüchtete
befinden sich derzeit auf der Insel – die meisten im Lager. Mannino forderte,
Boote mit Geflüchteten abzufangen und nach Sizilien oder aufs Festland zu
bringen. Die Familie des ertrunkenen Kindes hatte sich aus dem westafrikanischen
Land Guinea auf den Weg nach Europa gemacht. Die Mutter ist minderjährig.
(dpa/mig 15)
Klima-Studie. Sechs von neun planetaren Belastungsgrenzen überschritten
Der Klimawandel nimmt Menschen ihr
Lebensraum. Ein internationales Forschungsteam analysiert den Zustand der Erde
anhand von neun Teilbereichen. Demnach sind sechs der neun Belastungsgrenzen
überschritten, teilweise deutlich. Die Folge wird Flucht sein.
Die Ausbeutung des Planeten Erde durch den Menschen erzeugt
immer größere Risiken. Einer Studie zufolge sind sechs von neun sogenannten
planetaren Belastungsgrenzen bereits überschritten, zum Teil deutlich. „Die
Erde ist ein Patient, dem es nicht gut geht“, wird Ko-Autor Johan Rockström,
Direktor des Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK), in einer
Mitteilung des Instituts zitiert. „Wir wissen nicht, wie lange wir
entscheidende Grenzen derart überschreiten können, bevor die Auswirkungen zu
unumkehrbaren Veränderungen und Schäden führen.“
Die Überschreitung einer planetaren Grenze markiere eine
kritische Schwelle für erheblich steigende Risiken, erläutert Erstautorin
Katherine Richardson von der Universität Kopenhagen: „Wir können uns die Erde
als einen menschlichen Körper vorstellen und die planetaren Grenzen als eine
Form des Blutdrucks. Ein Blutdruck von über 120/80 bedeutet zwar nicht, dass
ein sofortiger Herzinfarkt droht, aber er erhöht das Risiko.“
Sicherer Bereich teilweise deutlich überschritten
Erstmals definiert wurden die planetaren Grenzen, die einen
sicheren Handlungsraum für die Menschheit abstecken sollen, im Jahr 2009. Dabei
handelt es sich um neun Teilbereiche wie etwa die Nutzung von Süßwasser, die
Funktion des Biosphäre, das Klima oder die Aerosolbelastung der Atmosphäre. Nun
analysierte das internationale Forschungsteam um Rockström und Richardson den
Zustand aller neun Systeme.
Deutlich überschritten sei der sichere Bereich bei der
globalen Erwärmung sowie bei der Unversehrtheit der Biosphäre, schreibt das
Team im Fachjournal „Science Advances“ und verweist etwa auf das Artensterben
und die Zerstörung von Lebensräumen. „Neben dem Klimawandel ist die
Funktionsfähigkeit der Biosphäre die zweite Säule der Stabilität unseres
Planeten“, sagt Ko-Autor Wolfgang Lucht vom PIK. „Und wie beim Klima
destabilisieren wir derzeit auch diese Säule.“
Mikroplastik, Pestizide und Atommüll
Überschritten sei die Grenze auch im Bereich des Einbringens
neuartiger Stoffe in die Umwelt – also dem Eintrag vom Menschen erzeugter
chemischer Verbindungen wie Mikroplastik, Pestiziden oder Atommüll. Nicht ganz
so kritisch sei die Situation beim Verbrauch von Süßwasser, doch auch hier sei
die planetare Grenzen überschritten, heißt es weiter.
Derzeit noch im sicheren Bereich liegt demnach die weltweite
Partikelverschmutzung der Atmosphäre, auch wenn in einigen Regionen wie etwa
Südasien diese Grenze regelmäßig überschritten werde. Die Ozeanversauerung
liegt nach der Definition der Forscher gerade noch im grünen Bereich, ebenso
der Ozonabbau in der oberen Atmosphäre.
Hoffnung auf Besserung
Gerade aus dieser Entwicklung zieht das Team eine Hoffnung
auf Besserung auch für andere Probleme: In den 1990er Jahren habe der Abbau der
Ozonschicht die planetare Grenze überschritten. „Aber dank globaler
Initiativen, die durch das Montrealer Protokoll erreicht wurden, wird dieser
Grenzwert aktuell nicht mehr überschritten“, betont Richardson.
Für die Neubewertung der planetaren Grenzen nutzte das
Forschungsteam zum einen aktuelle Studien, zudem simulierte es die Entwicklung
der Erde mit Modellen des Erdsystems und auch der Biosphäre für mehrere hundert
Jahre in die Zukunft. Als Vergleichsbasis diente ihnen die Phase zwischen der
letzten Eiszeit und dem Beginn der Industriellen Revolution.
Erderwärmung – Forscher uneins
Wenn eine Belastungsgrenze überschritten sei, gebe es aber
noch Möglichkeiten, die Lage zu bessern, betont das Team und verweist am
Beispiel der Erderwärmung etwa auf Aufforstung. Sollte die Menschheit es
schaffen, den CO2-Gehalt der Atmosphäre auf 450 Teilchen pro Million (parts per
million, ppm) zu begrenzen – derzeit liegt er bei 417 – und zudem den Bestand
des borealen und des tropischen Waldes nicht unter 60 Prozent der
ursprünglichen Bewaldung sinken zu lassen, könnte die Erderwärmung deutlich
gebremst werden: „Dann deutet die Simulation auf einen durchschnittlichen
Temperaturanstieg über dem Land von 1,4 Grad bis zum Jahr 2100 hin“, heißt es.
Allerdings halten etliche Klimaforscher das Erreichen des
Zieles, die Erderwärmung im Vergleich zur vorindustriellen Phase auf 1,5 Grad
Celsius zu begrenzen, für nicht mehr realistisch. Als gesichert gilt jedoch,
dass der Klimawandel mit seinen Folgen inzwischen mit zu den größten
Fluchtursachen weltweit gehören – Tendenz steigend. Schätzungen zufolge könnte
es bis zum Jahr 2050 über 140 Millionen Klimaflüchtlinge geben, aktuell sind es
weit mehr als 100 Millionen. (dpa/mig 14)
Berliner Friedensappell: „Kein Krieg ist ewig“
Mit einem symbolischen Friedensgruß von Repräsentanten der Weltreligion
unter dem Brandenburger Tor und einer Papstbotschaft ist am Dienstagabend das
Internationale Friedenstreffen der christlichen Gemeinschaft Sant'Egidio in
Berlin zu Ende gegangen.
Unter dem Motto „Frieden wagen“ hatten sich Spitzenvertreter
aus Kirche, Religion und Politik in der deutschen Hauptstadt drei Tage in 20
Foren über Themen von Abrüstung, Klimawandel und Migration ausgetauscht.
Hauptthema war der russische Angriffskrieg auf die Ukraine. Papst Franziskus
rief in seiner Friedensbotschaft die Teilnehmer dazu auf, kühne Schritte zum
Frieden zu wagen.
Vor dem Friedensgruß hatten sich die Vertreter der
Religionen an verschiedenen Orten Berlins versammelt, um „gemäß ihren
Traditionen für den Frieden zu beten“. So kamen etwa die Juden am nahgelegenen
Denkmal für die ermordeten Juden Europas zusammen. Dann tauschten alle auf dem
Pariser Platz den Friedensgruß aus.
Berliner Friedensappell
An der Begegnung nahmen Menschen aller Altersgruppen aus
aller Welt teil, darunter auch viele Schüler von Berliner Gymnasien. Auf
einer Großleinwand wurden Bilder vom Holocaust, dem Mauerbau, dem Ukrainekrieg,
von Flüchtlingen sowie von Opfern von Hunger und Klimawandel eingespielt.
Anschließend erhoben sich alle zu einer Schweigeminute für die Opfer von Terror
und Gewalt. Die Religionsvertreter unterzeichneten einen Berliner
Friedensappell, für die katholische Kirche tat dies Kardinal Walter Kasper, für
die evangelische Kirche Bischof Heinrich Bedford-Strohm. Symbolisch wurden
Kerzen entzündet und Plakate mit der Aufschrift Frieden in die Luft gehalten.
„den Teufelskreis des Konflikts durchbrechen, der sich
endlos zu wiederholen droht und den niemand mehr zu beherrschen scheint“
In dem Friedensappell hieß es: „Kein Krieg ist ewig!“ und
„Frieden bedeutet nicht, sich mit der Ungerechtigkeit abzufinden“, sondern,
„den Teufelskreis des Konflikts zu durchbrechen, der sich endlos zu wiederholen
droht und den niemand mehr zu beherrschen scheint“.
„Demütige
Friedensstifter“ sein
Der italienische Kardinal Matteo Zuppi, vom Papst mit
Vermittlungsbemühungen im Ukraine-Krieg beauftragt, rief in Berlin dazu auf,
Frieden überall dort zu säen, „wo es Spaltung, Unwissenheit und Gewalt gibt“.
Kühnheit beim Friedenstiften könne dadurch erreicht werden, dass man gemeinsam
und nicht allein in der Nachfolge Christi gehe, so Zuppi. Der Krieg sei „ein
schreckliches Feuer, das niemanden respektiert, aber ein Herz im Frieden kann
es löschen und den Frieden wachsen lassen“, so Zuppi, der am Mittwoch im Rahmen
seiner Mittlermission nach China weitergereist ist.
Nächstes Friedenstreffen in Paris
Das nächste Sant'Egidio-Friedenstreffen soll im September
2024 in Paris stattfinden. Der Impuls für das regelmäßige Treffen der
Gemeinschaft geht auf das Weltfriedensgebet zurück, zu dem Papst Johannes Paul
II. 1986 erstmals Religionsführer aus aller Welt nach Assisi eingeladen
hatte. (kap/vn 13)
Europäische Integration. Krisenfest?
Auf große Wirtschaftskrisen
hat die EU bisher ad hoc reagiert. Für die Zukunft muss Europa insbesondere im
sozialen Bereich besser vorbereitet sein. Björn Hacker
Bei den Europawahlen im Juni
2024 wird es neben Fragen bezüglich der wirtschaftlichen Steuerung der EU in
Normalzeiten insbesondere um das Management der EU in Krisenzeiten gehen. Damit
ist nicht allein die Entwicklung der Gemeinsamen Außen- und Sicherheitspolitik
im Zuge geopolitischer Krisen angesprochen, sondern auch die Zwischenbilanz und
künftige Nutzung der jüngsten Kriseninstrumente. Sind etwa der
Wiederaufbaufonds NextGenerationEU (NGEU) und das Kurzarbeitsprogramm SURE
geeignete Blaupausen für ein dauerhaftes Kriseninstrumentarium der EU?
„Trial and Error“ ist
eigentlich keine Strategie in einer Krise. Mangels Einigkeit und unter
Zeitdruck war die EU jedoch in den letzten Wirtschaftskrisen gezwungen, auf
diese Art und Weise vorzugehen. In der Finanz- und Wirtschaftskrise 2008/09
rettete jeder Mitgliedstaat seine eigenen Bankinstitute und legte nationale
Konjunkturproramme auf. Ideen der französischen Regierung für einen
EU-Bankenfonds waren damals nicht mehrheitsfähig. In der Eurokrise von 2010 bis
2015 hat die EU mit dem Prinzip der konditionierten Solidarität eine
einheitliche Reaktion auf den Weg gebracht: Kreditlinien aus europäischen
Rettungsfonds gegen einen verordneten Austeritätskurs im wirtschaftspolitischen
Anpassungsprogramm betroffener Länder. Auch weil die Konsequenzen dieser
Politik in Teilen verheerend waren und die sozioökonomische Spaltung der EU
vertieft haben, wurde in der Pandemie ab 2020 ein gänzlich neuer Ansatz im
Krisenmanagement verfolgt. Eine gemeinschaftliche Verschuldung zur Ausreichung
von zweckgebundenen Krediten und Zuschüssen nach Kriterien der wirtschaftlichen
Bedürftigkeit und ohne weitere Auflagen bei zeitgleicher Lockerung der
budgetären Restriktionen hatte es zuvor noch nicht gegeben in der Geschichte
der EU.
Nach den gesammelten
Erfahrungen dieser drei schweren Krisen wäre es politisch fahrlässig, nach dem
Auslaufen der nur temporär wirksamen Instrumente einfach zur Tagesordnung aus
Vorkrisenzeiten überzugehen. Dann bestünde die reale Gefahr erneuter
Ad-hoc-Entscheidungen, begleitet von Streit um den richtigen Kurs unter den
Mitgliedstaaten und innerhalb der EU-Institutionen. Welche Lehren sind aus der
Krisengovernance der EU zu ziehen?
Erstens, in großen, die
Grenzen der Mitgliedstaaten überschreitenden Wirtschaftskrisen geht es nur
gemeinsam. Mit Goethes Aphorismus „Ein jeder kehre vor seiner Tür, und rein ist
jedes Stadtquartier“ kommen wir nicht weiter in einer eng verflochtenen
Wirtschaftsunion, in der die Krise der Einen Auswirkungen auf die ökonomische
Entwicklung der Anderen hat. Das ist die Lehre aus der Finanz- und
Wirtschaftskrise.
Zweitens, starre Reglements
können in der Anwendung auf unterschiedliche wirtschaftliche Gegebenheiten das
Gegenteil des erwünschten Ziels herbeiführen. Ein Sparkurs bezüglich
öffentlicher Ausgaben mag in einigen Staaten gerechtfertigt sein, in anderen
würgt er die Wirtschaftskraft ab. Entscheidend ist der jeweilige
Konjunkturzyklus: In der Krise die Nachfrage abzuschneiden ist seit Reichskanzler
Heinrich Brünings Austeritätspolitik keine gute Idee. Das ist die Lehre aus der
Eurokrise.
Drittens, im Krisenmanagement
der Pandemie wurde dagegen gezielt reagiert auf die wirtschaftlichen Probleme
eines zeitgleichen Angebots- und Nachfrageschocks. Nach heutigem Stand war das
Kurzarbeiterprogramm SURE ein Erfolg, der geholfen hat, europaweit die
Arbeitslosigkeit niedrig zu halten, während das 750 Milliarden-Programm NGEU
den Mitgliedstaaten nicht nur konjunkturell, sondern vor allem strukturell hilft,
dringend nötige Investitionen umzusetzen, etwa in der grünen und digitalen
Twin-Transformation.
Abseits der ökonomischen
Effekte von SURE und dem Krisenprogramm NGEU ist die soziale Entwicklung der EU
während der Krisenbekämpfung wichtig. Der explosionsartige Anstieg der
Jugendarbeitslosigkeit und der Armutsgefährdung hat in vorherigen Krisen zu
kontroversen Debatten um die soziale Zukunft der EU geführt. In der Pandemie
war das EU-Krisenmanagement nicht mehr blind auf dem sozialen Auge. Deutlich ist
die Abkehr vom Austeritätskurs aus den Zeiten der Eurokrise. Die neue
Krisengovernance peilt soziale Ziele an, deren Erreichen erstmals durch die
Bereitstellung finanzunterlegter Instrumente nicht allein dem Konjunkturverlauf
überlassen wird.
Mit dem Sozialgipfel in Porto
im Mai 2021 verstärkte die EU ihre Bemühungen, die soziale Dimension in der
Pandemie zu beachten, und lenkte zugleich den Blick auf die explizit sozialen
Herausforderungen der ökologischen und digitalen Twin-Transformation. Die
Europäische Kommission nutzt die Europäische Säule sozialer Rechte als
Instrument hierfür und räumt in einem entsprechenden Aktionsplan deren
Umsetzung hohe Priorität ein. In Porto verständigten sich die Mitgliedstaaten
auf quantitative Zielvorgaben bis zum Jahr 2030 für drei übergeordnete
Sozialindikatoren in den Bereichen Beschäftigung, Weiterbildung und
Armutsbekämpfung.
Die Kommission hat durch Stärkung
der sozialen Säule die soziale Dimension der EU-Krisenpolitik in einen höheren
Rang gehoben, denn die quantitativen Zielvorgaben ergänzen die bereits in den
Bereichen Klimaschutz und Digitalisierung bestehenden Zielwerte für die
Ausgaben der Mitgliedstaaten im Rahmen von NGEU. Doch während SURE eine direkte
soziale Wirkung über die Beschäftigungssicherung erzielt, bleibt die Nutzung
von NextGenerationEU für soziale Investitionen unter den Mitgliedstaaten
erratisch.
Im Social Scoreboard, das die
soziale Säule begleitet, weisen die meisten in den einzelnen Mitgliedstaaten
als „kritisch“ eingestuften Indikatoren zuletzt auf das gesunkene verfügbare
Haushaltseinkommen, den Anstieg der Armuts- und Ausgrenzungsgefährdung von
Kindern, die nur schleppende Armutsreduktion durch die sozialen
Sicherungssysteme sowie die hohe Rate der vorzeitigen Schul- und
Ausbildungsabbrüche hin. Dies zeigt, wie die Krisen der letzten Jahre die
Ungleichheit verstärken und die Wohlfahrtsstaaten vor Herausforderungen
stellen.
Im Zeitvergleich zwischen der
Proklamation der sozialen Säule im November 2017 und den im Social Scoreboard
fünf Jahre später veröffentlichten Werten zeigt sich einerseits, dass sich die
soziale Situation seit 2017 im ungewichteten Durchschnitt der Mitgliedstaaten
stetig verbessert hat – trotz schwerer pandemiebedingter Wirtschaftskrise.
Andererseits haben sich in lediglich sechs Staaten konkrete Verbesserungen
gegenüber dem EU-Durchschnittswert in einzelnen Indikatoren ergeben. Das
soziale Europa tritt auf der Stelle.
Die soziale Säule scheint
dort am meisten Wirkung zu entfalten, wo sie durch ergänzende finanzunterlegte
Maßnahmen begleitet wird. Dazu gehören das Kurzarbeitsinstrument SURE oder die
Bereitstellung zusätzlicher Finanzmittel für soziale Investitionen und Reformen
im Rahmen von NGEU. Kurzfristig sollte die EU den Erfolg von SURE als
schnelles, konjunkturell und sozial wirkendes Instrument zur Förderung von
Kurzarbeitsmodellen fortschreiben. Durch seine Bereithaltung würde ein
wichtiger Reaktionsmechanismus für künftige schwere Wirtschaftskrisen
geschaffen, dessen Wirkung sich noch steigern ließe durch den Ausbau zu einem
automatischen Stabilisator im Sinne einer Europäischen
Arbeitslosenrückversicherung.
Auch das NGEU-Paket hat im
Ansatz einige positive Weichenstellungen der Mitgliedstaaten ermöglicht. Für
bestimmte konsensfähige Ziele europäischer Politik (etwa die soziale Begleitung
der Twin-Transformation) könnte ein Anschlussfonds oder ein Sondertitel im
nächsten Mehrjährigen Finanzrahmen vereinbart werden, um soziale Investitionen
zu finanzieren. Eine überzeugende Alternative zu supranationalen Programmen
besteht darin, die budgetäre Restriktion für die Mitgliedstaaten in der Krise
zu reduzieren, wie mit der temporären Aussetzung des Stabilitäts- und
Wachstumspakts demonstriert worden ist. Solche finanziellen Spielräume in den
Mitgliedstaaten sollten mitgedacht werden, wenn der Stabilitäts- und
Wachstumspakt im Rahmen der Reform der wirtschaftspolitischen Governance
angepasst wird. Zukunftsinvestitionen ebenso wie die Wohlstandsorientierung
müssen dabei hinreichend Berücksichtigung finden, etwa über die sogenannte
Goldene Regel.
Wie mit dem Aktionsplan zur
sozialen Säule begonnen, sollten weitere soziale Ziele von den Mitgliedstaaten
vereinbart werden. Die heute oft mangelhafte Befassung der nationalen
Parlamente mit den sozialen Problemen und Herausforderungen des eigenen Landes
im europäischen Vergleich könnte angeregt werden durch die unlängst in Brüssel
diskutierte Idee eines Sozialen Konvergenzinstruments, das die
Ratspräsidentschaften Spaniens und Belgiens vorantreiben. Das neue Instrument
würde das Sozialmonitoring der EU verbessern, indem Abweichungen von den
Durchschnittswerten intensiver analysiert würden und einen Frühwarnmechanismus
auslösen könnten. Die Ähnlichkeit zur budgetären und makroökonomischen
Überwachung in der Eurozone ist bewusst gewählt. Sie verspricht zumindest mehr
Aufmerksamkeit für die sozialen Fragen, wie bereits bezüglich der verwandten
Idee eines Sozialen Stabilitätspakts einmal diskutiert worden ist. IPG 15
Rede zur Lage der Europäischen Union. Analyse von EUD-Generalsekretär Christian Moos
Die Präsidentin der Europäischen Kommission sagt in ihrer
mit Spannung erwarteten Rede zur Lage der Union vieles Richtige, schweigt aber
zu zentralen Fragen der weiteren europäischen Entwicklung. Besonders ihre
wenigen Aussagen zur künftigen Handlungsfähigkeit der Europäischen Union
reichen nicht aus. Die überparteiliche Europa-Union Deutschland unterstützt
ausdrücklich den heute im AFCO-Ausschuss des Europaparlaments vorgestellten
Berichtsentwurf zur Vertragsreform.
Gleichberechtigung, Künstliche Intelligenz und
Landwirtschaft nehmen viel Raum in Ursula von der Leyens Rede ein. Sicherlich
sind das wichtige Themen. Etwas zu kurz kommt der weitere Einsatz der
Europäischen Kommission für Demokratie und Rechtsstaatlichkeit. Und dabei geht
es nicht nur um die dringend gebotene Abwehr von Desinformation und anderen
hybriden Angriffen aus Drittstaaten, sondern insbesondere auch um die Erosion
der freiheitlichen Demokratie in vielen EU-Mitgliedstaaten.
Von der Leyen wird hier Rücksicht auf die bevorstehenden
Parlamentswahlen in Polen genommen haben. Trotzdem hätte sie geeignete Worte
finden können, ohne sich gleich dem Vorwurf der Einmischung in den Wahlkampf
aussetzen zu müssen. Kein Wort auch zu den schrumpfenden Räumen für die
Zivilgesellschaft, die vielerorts systematisch von oben umgebaut wird, so dass
sie keine Gefahr mehr darstellt für die Regierenden beziehungsweise ihrer für
das Überleben der Demokratie unverzichtbaren Aufgabe, für Transparenz und
Rechenschaftspflicht zu sorgen, nicht mehr nachkommen kann. Damit hat Von der
Leyen eine wichtige Chance verpasst. Die Verteidiger der liberalen Demokratie,
zu denen die von ihr geführte Kommission ohne jeden Zweifel gehört, müssen ihre
Samthandschuhe ausziehen.
Für uns steht außer Frage, dass die EU weiter zu vertiefen
ist. Zuvorderst muss das Vetorecht einzelner Mitgliedstaaten in den
Politikfeldern, in denen es für Blockaden, Stillstand und Erpressungen sorgt,
endlich abgeschafft werden. Die Präsidentin spricht sich aber für eine
Erweiterung aus, die die Vertiefung nicht zur Voraussetzung zu haben scheint.
Das wäre fatal für die Union. Ihr ist zuzustimmen, dass die Westbalkanstaaten
nicht mehr lange warten können, und europäische Staaten, deren staatliche
Integrität heute von Russland bedroht oder angegriffen wird, müssen eine klare
Beitrittsperspektive bekommen. Die Ukraine, Georgien und Moldawien gehören zu
Europa.
Die zumindest gleichzeitige Vertiefung ist aber
unverzichtbar. Sie ist trotz aller geopolitischen Veränderungen nicht
nachrangig, sondern gerade mit Blick auf die Handlungsfähigkeit Europas in
Fragen der Außen- und Sicherheitspolitik nötiger denn je. Sonst müssen sich
einzelne Mitglieder aufmachen und eine Politische Union innerhalb einer
erweiterten EU gründen, von der neue Anziehungskraft und damit europapolitische
Stabilität für ganz Europa ausgehen kann.
Von der Leyen sprach nicht als Hüterin der Verträge, sondern
als Kandidatin. Ihre Rede adressierte die eigene Parteifamilie, ohne deren
Rückhalt sie nicht als Spitzenkandidatin reüssieren kann. Für den aufziehenden
Wahlkampf wünschen wir uns vor allem Klarheit. Die Zukunft Europas in der
aktuellen Welt(un)ordnung braucht Mut und Führungsstärke. Die Berichterstatter
aus fünf verschiedenen Gruppen des Europäischen Parlaments beweisen diese mit
ihren Vorschlägen für das Europa von morgen. EUD 14
Kampf gegen Fluchtursachen auf Eis. UN warnen vor dramatischen Einschnitten bei humanitärer Hilfe
Reiche Industrienationen beklagen hohe Flüchtlingszahlen,
gleichzeitig muss das UN-Welternährungsprogramm wegen ausbleibender Spenden
vielerorts Essensrationen kürzen. Allein die USA haben bisher fünf Milliarden
US-Dollar weniger zugesagt als im Jahr zuvor.
Millionen von Menschen könnten in den kommenden Monaten
wegen ausbleibenden Hilfsgeldern an den Rand einer Hungersnot gedrängt werden.
Aufgrund von Finanzierungsengpässen müssten die Essensrationen in vielen
Einsätzen gekürzt werden, erklärte das UN-Welternährungsprogramm (WFP) am
Dienstag in Rom. Die Ernährungslage von etwa 24 Millionen Menschen könnte sich
dadurch in den kommenden zwölf Monaten dramatisch verschlechtern. Sie stünden
dann kurz vor einer Hungersnot.
Nach Angaben der UN-Organisation leiden derzeit 345
Millionen Menschen unter akutem Hunger. Davon sind 40 Millionen Menschen von
extremem Hunger betroffen. Bei dieser Einstufung steigt das Risiko, zu
verhungern.
Die Finanzierungslücke beim WFP für das laufende Jahr liegt
nach eigenen Angaben bei 60 Prozent. Das sei das höchste Defizit in der
Geschichte der 1961 gegründeten Organisationen. Fachleute des
Welternährungsprogramms befürchteten, dass ein Teufelskreis in Gang gesetzt
wird, bei dem die Verhungernden auf Kosten der Hungernden gerettet würden.
Beiträge der größten Geber unter Vorjahresniveau
Für die Engpässe seien vor allem die steigenden humanitären Bedarfe
verantwortlich, denen die schlechte wirtschaftliche Lage und knappe
Regierungsbudgets gegenüberstünden, hieß es aus dem WFP.
Tatsächlich liegen die Beiträge der drei größten Geber – der
USA, Deutschlands und der EU – bisher deutlich unter dem Niveau des Vorjahres.
Die USA etwa stellten dem WFP für das laufende Jahr knapp 2,1 Milliarden
US-Dollar bereit – etwa fünf Milliarden weniger als 2022 (etwa 7,2 Milliarden
US-Dollar). Auch die bisherigen Zusagen aus Deutschland liegen nach Angaben des
WFP mit knapp 537 Millionen US-Dollar unter der Summe des Vorjahres (knapp 1,8
Milliarden US-Dollar).
Drastische Einschnitte auch in Deutschland absehbar
WFP-Exekutivdirektorin Cindy McCain mahnte mehr
Unterstützung an. Angesichts einer Rekordzahl hungernder Menschen brauche es
mehr Hilfe, sagte McCain und warnte auch vor einer Zunahme von Konflikten und
Unruhen.
Indes sind für das kommende Jahr bei der deutschen
humanitären Hilfe und der Entwicklungszusammenarbeit drastische Einschnitte
absehbar. Obwohl die Bundesregierung in ihrer Nationalen Sicherheitsstrategie
verspricht, ihr Engagement weiter zu verstärken, wird die humanitäre Hilfe
voraussichtlich um ein Drittel gekürzt. Der Posten soll laut Entwurf für den
Haushalt 2024 von derzeit 3,3 Milliarden Euro auf knapp 2,2 Milliarden
schrumpfen. Der Entwicklungsetat dürfte, wenn der Bundestag nicht interveniert,
um 5,3 Prozent reduziert werden – von knapp 12,2 Milliarden Euro in diesem Jahr
auf gut 11,5 Milliarden Euro im Jahr 2024.
„Zu lange weggeschaut“ wiederholt sich
Massive Einschnitte bei der humanitären Hilfe und ungehörte
Warnrufe der Nothilfeorganisationen haben schon 2015 zu massiven
Fluchtbewegungen in Richtung Europa geführt. Die frühere Bundeskanzlerin Angela
Merkel (CDU) warnte später davor, diese Fehler zu wiederholen. Bei einer
Regierungserklärung im März 2018 sagte sie mit Blick auf die Folgen des
arabischen Frühlings auch selbstkritisch, dass zu lange weggeschaut worden sei.
„Zur ganzen Wahrheit gehört, dass wir zu spät erkannt haben, wie Millionen syrischer
Flüchtlinge Zuflucht im Libanon und Jordanien fanden und nach Jahren mangelnder
Mittel der internationalen Hilfsorganisationen weder genug zu essen noch zu
trinken, geschweige denn Bildung für ihre Kinder hatten“, sagte sie.
Nach Angaben des Welternährungsprogramms gab es bei fast der
Hälfte der Einsätze bereits Kürzungen, darunter in Krisenländern wie
Afghanistan, Haiti, der Demokratischen Republik Kongo und Syrien. (epd/mig 13)
Wird Sprache eingesetzt, um Emotionen zu wecken oder
Meinungen zu beeinflussen, spricht man von „Framing“. Am Exzellenzcluster
„The Politics of Inequality“ an der Universität Konstanz untersuchen Forschende
das sprachliche Framing dreier großer deutscher Tageszeitungen über geflüchtete
Menschen. Darüber hinaus stellen sie in ihrem Projekt „Framing Inequalities“
die Frage, ob künstliche Intelligenz (KI) mittlerweile sensibel genug ist,
diese sprachlichen Feinheiten zu erkennen. Die BILD-Zeitung spricht von
„Straftätern“ und „Tatverdächtigen“, die Süddeutsche Zeitung (SZ) von
„Rettungsmission“ und „Schutzstatus“, die Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ)
befindet sich irgendwo dazwischen. Wird in großen deutschen Tageszeitungen über
geflüchtete Menschen in Deutschland berichtet, kommen sehr unterschiedliche
sprachliche Stilmittel zum Einsatz. Diese Mittel, sei es lediglich zur
inhaltlichen Betonung eines Sachverhalts oder aber auch gezielt eingesetzt, um
etwa Assoziationen zu wecken, nennt man Framing. Mit diesen Frames beschäftigen
sich Linguist*innen und Politikwissenschaftler*innen des Exzellenzclusters „The
Politics of Inequality“ an der Universität Konstanz.
Im Projekt „Framing Inequalities“ untersuchen die Doktorand*innen
Qi Yu und Anselm Fliethmann, welche Framing-Strategien Printmedien bezüglich
des Themas Flüchtlingskrise benutzen. Sie ergründen zudem, inwiefern diese
Strategien mit Hilfe Künstlicher Intelligenz (KI) automatisch erkenn- und
analysierbar sind. Dazu haben Sie Synonyme rund um den Begriff „Flüchtling“
identifiziert und sich anschließend, mit Hilfe von „Natural Language
Processing“-Algorithmen (maschinelle Sprachverarbeitung), angeschaut, wie
Geflüchtete in den Tageszeitungen BILD, SZ und FAZ üblicherweise porträtiert,
sprich geframt werden. In der Analyse zeigt sich, dass die BILD-Zeitung
üblicherweise mehr kriminalitätsbezogene Wörter nutzt, in der SZ dagegen Wörter
gebräuchlicher sind, die einen humanitären Kontext andeuten, und die FAZ sich
zwischen diesen beiden Polen bewegt.
Um diese großen Textmengen und den Mangel an im Vorfeld
codierten Daten (wie für überwachtes maschinelles Lernen benötigt) zu
bewältigen, nutzen Qi Yu und Anselm Fliethmann die Methode des Word Embeddings
(Worteinbettungen), durch die sie herausfinden können, wie nahe die Bedeutung
einzelner Wörter beieinanderliegt. Ob Künstliche Intelligenz aber tatsächlich
bereits sensibel genug ist, um die Analyse von Framing-Strategien automatisiert
durchzuführen, erläutern die Forschenden in ihrem Artikel „Den Feinheiten der
Sprache auf der Spur“ in der neusten Ausgabe des In_equality magazins
„Information, Sprache, Macht“.
In_equality magazin No. 5: „Information, Sprache,
Macht“
Das In_equality magazin ist das halbjährlich erscheinende
Forschungsmagazin des Exzellenzclusters „The Politics of Inequality“ an der
Universität Konstanz. Die aktuelle Ausgabe befasst sich mit Aspekten
sprachlicher Ungleichheit und der Frage, warum sozialwissenschaftliche
Forschung eine linguistische Perspektive benötigt, denn: Sprache ist mehr als
ein Medium der alltäglichen Kommunikation. Sprache ist Ausdruck von Identität
und Zugehörigkeit, ein Instrument im politischen Wettbewerb und ein Stilmittel,
das charismatische Reputation erzeugen kann. Uni Konstanz 13Rassismus
„Der deutsche Profifußball ist auf Führungsebene weiß und
männlich.“
Eine Meldestelle dokumentiert seit Juli 2022 rassistische
Vorfälle im Fußball. Auch zu Profispielen gibt es Dutzende Einträge:
körperliche Übergriffe, rassistische Rufe und rechte Symbole auf Stickern,
Kleidung oder Bannern. Ein Phänomen sticht besonders heraus. Von Alina Grünky
Julian Green hörte weg. Der 28-Jährige ignorierte die Rufe
der „Vollpfosten“, wie sein Trainer Alexander Zorniger die nannte, die den
Spieler der SpVgg Greuther Fürth während des Pokalspiels beim Halleschen FC
rassistisch beleidigten. Erst nach dem Sieg erzählte Green, was er hörte. Und
wieder war der immer gleiche Ablauf zu beobachten: ein Aufschrei,
Solidaritätsbekundungen, Ermittlungen des Deutschen Fußball-Bundes. Wieder ein
Einzelfall? Oder steigt wie in Teilen der Gesellschaft auch im Fußball die
Tendenz zu rassistischen Ausfällen?
„Klar ist, jeder Fall ist einer zu viel“, sagt DFB-Sprecher
Michael Morsch. Die Statistiken des Verbands belegen für die vergangenen Jahre
eine sinkende Zahl von rassistischen oder diskriminierenden Vorfällen in den
Profiligen. In der Bundesligasaison 2016/2017 waren es demnach noch 35
Einträge, 11 im Folgejahr. Danach bewegten sich die Zahlen laut DFB-Statistik
auf konstant niedrigem Niveau – zwischen einem Fall in der Saison 2018/2019 und
drei Fällen in der vergangenen Spielzeit.
Bei der noch recht jungen Meldestelle für Diskriminierung im
Fußball in Nordrhein-Westfalen zeichnet sich dagegen ein anderes Bild ab. „Eine
Entwicklung, die wir aktuell wahrnehmen, sind vermehrt Hitlergrüße, die
beobachtet und gemeldet werden“, berichtet Projektleiterin Elena Müller aus dem
Bundesland mit den meisten Profifußball-Clubs. Das Pilotprojekt dokumentierte
seit Juli 2022 insgesamt 211 Hinweise zu rassistischen Vorfällen, 95 aus dem
Profifußball.
Hemmschwelle im Internet deutlich geringer
„In den allermeisten Fällen handelt es sich um Fehlverhalten
von Fans“, sagt Müller. „Wir erfassen dabei nicht nur verbale oder körperlich
übergriffige Vorfälle.“ Es werden auch rassistische und rechte Symbole auf
Stickern, Kleidung oder Bannern dokumentiert sowie – anders als beim
DFB-Sportgericht – diskriminierende Beiträge in den sozialen Medien.
Von Rassismus in sozialen Netzwerken berichteten in den vergangenen
Monaten auch Dayot Upamecano und Mathys Tel (beide FC Bayern), Benjamin
Henrichs (RB Leipzig), sowie die U21-Nationalspieler Youssoufa Moukoko
(Borussia Dortmund) und Jessic Ngankam (Eintracht Frankfurt). Die Hemmschwelle
im Internet erscheint noch einmal deutlich geringer. Wie bei Green hieß es in
allen Fällen von den Verbänden und Vereinen, die Anfeindungen würden „aufs
Schärfste“ verurteilt. Reicht das?
„Der deutsche Profifußball … weiß und männlich“
Laut Daniela Wurbs von der Beratungsstelle „Kick In!“ für
Inklusion im Fußball braucht es mehr: „Sich in schnellen Statements zu
distanzieren, ohne dass Taten folgen, hilft vor allem den Tätern und lässt
potenziell Betroffene an der Glaubwürdigkeit des Engagements und der Sicherheit
im Stadion zweifeln.“ Es müsse mehr sensibilisiert werden, fordert Wurbs. „Da
geht es um Spieler, Funktionäre und Mitarbeiter, die Strukturen umstellen
müssen“, sagt sie. „Der deutsche Profifußball ist nun einmal auf Führungsebene
meist weiß und männlich.“
Fürth-Trainer Zorniger nahm dagegen insbesondere die
Zuschauer der Halle-Partie in die Pflicht. „Das Stadion ist zu 95 Prozent
ausgelastet. Es waren genug Leute da, die hätten eingreifen können“, sagte der
Trainer und fordert: „Aufstehen und sagen: Das geht nicht!“ Denn: „Wenn wir das
nicht machen, dann kriegt das braune Gesocks, das auch noch im Bundestag sitzt,
immer mehr Oberwasser. Das darf einfach nicht passieren.“
AfD in der Fankurve?
Wachsender Zuspruch für die rechtspopulistische Alternative
für Deutschland (AfD) hat laut Michael Gabriel bisher wenig Auswirkung auf die
Situation in den Kurven. Er leitet die Koordinationsstelle Fanprojekte bei der
Deutschen Sportjugend (dsj), die bereits seit mehreren Jahrzehnten die deutsche
Fußball-Fanszene begleitet. Demnach finden Themen und Ziele der AfD keine
auffällige Resonanz. „Die Partei will demokratische Prinzipien schwächen, die
Fans wehren sich nicht nur gegen Rassismus und Rechtsextremismus, sondern
kämpfen unter anderem für mehr Mitspracherecht“, betont der Leiter der
Koordinationsstelle Fanprojekte. Da gebe es kaum Überschneidungen.
Auch Inklusions-Expertin Wurbs sieht ein wachsendes
Engagement: „In den letzten Jahren haben zahlreiche Vereine und Fanszenen in
Deutschland verstärkt Anlaufstellen für Betroffene von Diskriminierung im
Fußball geschaffen“, berichtet die „Kick-In“-Projektleiterin. Die Stellen seien
vor allem rund um Spieltage aktiv, aber nicht nur. „Die UEFA plant nun auch zur
EURO 2024 diese Strukturen zu nutzen und erstmals solche Anlaufstellen für
Betroffene im Rahmen des Turniers einzurichten.“ (dpa/mig 13)
Studie. Vielfalt spiegelt sich in Organisationen nur unzureichend wider
Die Gesellschaft in Deutschland wird immer vielfältiger, in
staatlichen, wirtschaftlichen und zivilgesellschaftlichen Organisationen
spiegelt sich das aber nicht wider. Das ist das Ergebnis einer neuen Studie.
Die gesellschaftliche Vielfalt spiegelt sich in Deutschland
bisher nur unzureichend in staatlichen, wirtschaftlichen und
zivilgesellschaftlichen Organisationen wider. Das geht aus einer neuen Studie
des DeZIM-Instituts hervor.
Danach spielt in vielen zivilgesellschaftlichen
Organisationen zudem gelebte Vielfalt im Arbeitsalltag offenbar eine größere
Rolle als entsprechende Strategien für mehr Diversität. Mehr als die Hälfte der
befragten Organisationen hätten gelebte Diversität in den eigenen Strukturen
als eher hoch eingeschätzt, hieß es am Montag in Berlin anlässlich der
Veröffentlichung der Studie.
Budget entscheidend
Diversität spiele damit informell eine Rolle in der
Zivilgesellschaft. Zugleich hätten weniger als 20 Prozent der
zivilgesellschaftlichen Organisationen beispielsweise einen
Diversitätsbeauftragten oder seien Selbstverpflichtungen zu mehr Vielfalt
eingegangen.
Vor allem finanziell besser ausgestattete
zivilgesellschaftliche Organisationen hätten Diversitätsstrategien in ihren
Reihen etabliert, hieß es weiter. So hätten 53 Prozent der befragten
Organisationen mit mehr als 500.000 Euro Jahresbudget Diversität institutionell
verankert. Bei den Organisationen mit weniger als 10.000 Euro Jahresbudget
seien es nur 16 Prozent.
1.286 Organisationen befragt
Für die Studie wurden den Angaben zufolge Informationen von
1.286 zivilgesellschaftlichen Organisationen in den deutschen
Landeshauptstädten sowie von neun weiteren Institutionen der auswärtigen
Kultur- und Bildungspolitik berücksichtigt. Dazu gehören unter anderem das
Goethe-Institut, der Deutsche Akademische Austauschdienst und die Deutsche
Unesco-Kommission.
Das Deutsche Zentrum für Integrations- und
Migrationsforschung (DeZIM) wurde nach eigenen Angaben 2017 gegründet und
forscht unter anderem zu gesellschaftlicher Teilhabe und Rassismus. (epd/mig
12)
Nur sieben Prozent sehr zufrieden mit Bundesregierung
Hamburg – Die Bundesregierung verharrt auch im September bei
einem extrem geringen Zufriedenheitswert in der Bevölkerung. Mehr als die
Hälfte der befragten Deutschen (52%) zeigt sich laut einer aktuellen Umfrage
des Markt- und Meinungsforschungsinstituts Ipsos sehr unzufrieden, nur sieben
Prozent sind sehr zufrieden. Bundeskanzler Olaf Scholz verliert gegenüber der
letzten Erhebung im Juli noch einmal sieben Prozent an Zustimmung. Nur noch
neun Prozent der Deutschen geben an, sehr zufrieden mit seiner Arbeit zu sein,
mehr als die Hälfte der deutschen Bevölkerung (52%) ist derweil sehr
unzufrieden mit dem Kanzler. Seine Netto-Zufriedenheit, also die Differenz
zwischen denjenigen, die sehr zufrieden und sehr unzufrieden sind, liegt damit
nur noch bei -43. Wirtschaftsminister Robert Habeck hingegen, der bei den
letzten Erhebungen im Mai und Juli insgesamt 21 Punkte auf der
Zufriedenheitsskala verloren hatte, kann im September seinen Abwärtstrend
stoppen. Seine Netto-Zufriedenheit steigt um fünf Punkte, bleibt allerdings mit
einem Wert von -43 auf niedrigem Niveau. Nur etwa jeder zehnte Deutsche (11%)
gibt an, sehr zufrieden mit der Arbeit des grünen Ministers zu sein, während
mehr als die Hälfte (54%) seine Arbeit sehr negativ bewertet.
Pistorius weiterhin mit Abstand beliebtester Minister
Wie durchgängig seit seinem Amtsantritt bleibt
Verteidigungsminister Boris Pistorius auch im September mit Abstand der
beliebteste Minister. Er ist der einzige Minister der Ampel-Regierung, bei dem
der Anteil der sehr Zufriedenen (27%) etwa genauso groß ist wie der der sehr
Unzufriedenen (28%). Seine Netto-Zufriedenheit liegt demnach mit einem Wert von
-1 nur ganz leicht im negativen Bereich, wodurch er sich stark vom restlichen
Kabinett abhebt. Über alle anderen Ministerinnen und Minister hinweg zeichnet
sich das Bild einer sehr unzufriedenen Bevölkerung. Den besten Wert von -26
erreicht dabei nach Pistorius noch Arbeitsminister Hubertus Heil, während die
beiden grünen Ministerinnen Lisa Paus (-45) und Steffi Lemke (-47) am schlechtesten
auf der Zufriedenheitsskala abschneiden. Gesundheitsminister Lauterbach kann
zwar gegenüber der letzten Erhebung seine Talfahrt mit einem leichten Plus (3
Prozentpunkte) gegenüber der Juli-Welle aufhalten, verweilt dennoch weiter mit
einer Netto-Zufriedenheit von -34 im Mittelfeld der Ministerriege. Ipsos 12
Sehr geehrter Herr Professor Riccardi,sehr geehrter Herr
Professor Impagliazzo, Eminenzen, Exzellenzen, sehr geehrte Repräsentanten der
Kirchen und Religionen,meine Damen und Herren, herzlich Willkommen in
Deutschland ‑ oder vielmehr: Ein herzliches „Willkommen zurück“! Es
freut und ehrt uns, dass Ihr Friedenstreffen nun bereits zum vierten Mal in
Deutschland stattfindet. Sie sind hier nicht nur allzeit gern gesehene
Gäste ‑ Sie sind auch zu Besuch bei Freunden.
Mit Ihrem Treffen in Berlin unterstreichen Sie die
Verbundenheit zwischen Ihrer Gemeinschaft und einem Land ‑
Deutschland ‑, dessen eigener Weg zum Frieden gesäumt ist von
furchtbaren Irrtümern, von imperialer und nationalistischer Verblendung, die
Europa und die Welt zwei Mal in unvorstellbares Leid gestürzt hat. Und gerade
deshalb ist Deutschland heute ein Land, das jedem aus tiefer Überzeugung die
Hand reicht, der Frieden wagt.
Zu Beginn möchte ich Ihnen von einem Buch erzählen, das ich
über den Sommer endlich lesen konnte und das mich seither beschäftigt. Einige
von Ihnen kennen es sicherlich. Es stammt von dem amerikanischen Professor
Graham Allison, der Titel lautet: „Destined to War“ ‑ zum Krieg
verdammt.
Ausgehend vom antiken Gegensatz zwischen Sparta und dem
aufsteigenden Athen beschäftigt Allison sich mit der sogenannten „Falle des
Thukydides“, also mit der Annahme, dass der Aufstieg neuer Großmächte
zwangsläufig in einen Krieg mit dem bisherigen Hegemon mündet. Dabei schwingt
natürlich die aktuelle, äußerst beunruhigende Frage mit, ob Krieg in einer
zunehmend multipolaren Welt wie der unsrigen am Ende unvermeidbar ist. Die rein
statistische Antwort des Buches lautet: In zwölf der 16
untersuchten Fälle kam es in den zurückliegenden fünf Jahrhunderten der
Menschheitsgeschichte in solchen Konstellationen zum Krieg. Für den Pessimisten
folgt daraus: Es steht schlecht um den Frieden ‑ nämlich 3:1 für den
Krieg.
Sant’Egidio aber hat sich mit einer solchen Arithmetik
niemals abgefunden. Im Gegenteil: Ihre ganze Bewegung gründet in der Absage an
eine vermeintliche Logik des Kriegs. Sie setzen ihr die „audacity of peace“
entgegen, die Kühnheit des Friedens. Deshalb sind Sie heute hier. Deshalb bin
auch ich heute sehr gerne
gekommen, denn ich teile nicht nur Ihre Zuversicht, sondern
auch Ihr Ziel: Frieden zu wagen.
Doch mit dieser Feststellung allein ist es in der Praxis
nicht getan. Wir alle wissen das. Heute sehnt sich wohl niemand in Europa so
sehr nach Frieden wie die Ukrainerinnen und Ukrainer. Jeden Tag verteidigen sie
ihre Freiheit, ihre Heimat, ihr Leben gegen die imperialen, historisch
verblendeten Machtfantasien des Herrschers im Kreml. Der Friedensplan, für den
Präsident Selensky weltweit wirbt, bringt diese Friedenssehnsucht klar zum
Ausdruck.
Und zugleich müssen wir uns vor Schein-Lösungen hüten, die
„Frieden“ lediglich im Namen tragen. Frieden ohne Freiheit heißt Unterdrückung.
Frieden ohne Gerechtigkeit nennt man Diktat.
Deshalb stehen wir voll und ganz hinter den Forderungen der
Ukraine nach einem gerechten Frieden, der die Grundsätze der Charta der
Vereinten Nationen respektiert und der die Prinzipien der territorialen
Integrität und Unabhängigkeit achtet. Deshalb unterstützen wir die
Ukrainerinnen und Ukrainer bei der Verteidigung ihrer Heimat.
Wir tun das auch, indem wir Waffen liefern. Diese
Entscheidung ist uns nicht leicht gefallen ‑ und wir machen sie uns
nicht leicht. Gerade weil wir um die Wirkung der von uns gelieferten Waffen
wissen, stimmen wir uns eng ab und prüfen immer wieder sehr genau, was in der
gegenwärtigen Situation geboten und was verantwortlich ist.
Aber das ändert nichts an meiner Grundüberzeugung: Das Recht
muss die Gewalt überwinden, nicht umgekehrt. Alles andere hieße, das Recht des
Stärkeren anzuerkennen. Wohin dieser Weg führt, das haben uns Jahrhunderte
kolonialer Ausbeutung und kriegerischer Zerstörung doch
gelehrt.
Für mich folgt daraus: Wir werden die Ukraine in ihrem Recht
auf Selbstverteidigung weiter unterstützen ‑ so lange wie nötig. Das
halte ich nicht nur politisch und strategisch für erforderlich, sondern auch
friedensethisch für geboten.
Der Deutschen Bischofkonferenz bin ich dankbar dafür, dass sie
dies in ihrer Erklärung gleich nach Beginn des russischen Angriffskriegs ganz
unmissverständlich klargestellt hat. „Der Aggression widerstehen ‑
den
Frieden gewinnen“, so haben die Bischöfe ihre Erklärung
überschrieben ‑ und zwar in dieser Reihenfolge. Weil das eine,
nämlich die eigene Existenz gegen den Aggressor zu verteidigen, überhaupt erst
die Voraussetzung dafür ist, dass eine unabhängige, freie Ukraine den Frieden
zurückgewinnt und auch Russlands Führung zu echten Verhandlungen bereit ist.
Von dieser Realität muss unsere Suche nach Frieden ausgehen.
Deshalb bin ich Ihnen dankbar, Herr Professor Riccardi, dass Sie neben der
Hoffnung auf Frieden zugleich immer auch Realismus im Tun einfordern und die
Arbeit von Sant’Egidio daran ausrichten.
Wenn in den jüdisch-christlichen Schriften davon die Rede
ist, dass der Wolf beim Lamm Schutz findet, dass Kalb und Löwe zusammen weiden,
dann ist das ja leider weder damals noch heute die Beschreibung unserer
Wirklichkeit, sondern die Verheißung und Aufforderung, für eine andere,
bessere, friedvollere Welt zu arbeiten.
Anders ausgedrückt: Wir dürfen zwar die Augen nicht davor
verschließen, dass der Mensch des Menschen Wolf sein kann. Aber wir dürfen uns
mit diesem Verdikt auch nicht abfinden. Zumal dieser berühmte Satz von Plautus
noch einen zweiten Teil hat. Vollständig lautet er: Der Mensch ist dem Menschen
ein Wolf, zumindest solange man sich nicht kennt.
Damit bin ich wieder bei Sant’Egidio und dem Prinzip, das
Ihre Gemeinschaft seit Ihrer Geburtsstunde im Jahr 1968 prägt. Sie setzen auf
die friedensstiftende Kraft der Begegnung, des gegenseitigen Kennens und
Erkennens, des Lernens voneinander. Es ist diese Kraft, die früher oder später
zu der Erkenntnis führt, dass wir alle Menschen sind – ausgestattet mit
gleichen Rechten, gleichen Pflichten und gleicher Würde, egal, wo man geboren
wurde, egal, ob oder woran man glaubt.
Diese Erkenntnis im Alltag durchzusetzen, ist die Aufgabe
aller Staaten, die sich zur Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte bekannt haben.
Zugleich, und das zeigt die erfolgreiche Arbeit von Sant’Egidio, liegt es in
der Macht und in der Verantwortung von religiösen Führern wie Ihnen, diese
Erkenntnis unserer gemeinsamen, verbindenden Humanität zu stärken, gerade weil
im Namen der Religion nicht nur Frieden geschaffen, sondern eben auch Kriege
geführt wurden und immer noch geführt werden, gerade weil Religion missbraucht
wurde und missbraucht wird, um Frauen und Männern ihre Menschenrechte
vorzuenthalten.
Umso bedeutender ist es, wenn Sie Ihre Stimmen gemeinsam für
den Frieden und für gegenseitigen Respekt erheben, so wie Sie, Großimam
al-Tayyeb, als Sie im Jahr 2019 gemeinsam mit Papst Franziskus erklärt haben,
„dass die Religionen niemals zum Krieg aufwiegeln und keine Gefühle des Hasses,
der Feindseligkeit, des Extremismus wecken und auch nicht zur Gewalt oder zum
Blutvergießen auffordern“ dürfen.
Diese Erkenntnis, dass nicht der Krieg heilig ist, sondern
der Frieden, ist zum gemeinsamen Fundament Ihrer Arbeit geworden. Sie folgt dem
Prinzip, dass derjenige, der Frieden will, den Frieden auch vorbereiten muss.
Wie das geht, das hat Sant’Egidio rund um die Welt bewiesen, etwa durch Ihre
erfolgreiche Vermittlung im Bürgerkrieg in Mosambik, durch Unterstützung bei
der Entwaffnung von Kämpfern in der Zentralafrikanischen Republik, durch Ihre
Versöhnungsarbeit im Südsudan, zusammen mit Vertretern der anglikanischen
Kirche. Diese Aufzählung ließe sich verlängern, und ich will Sie ausdrücklich
ermutigen, Ihre humanitäre Arbeit in der Ukraine mit aller Kraft fortzusetzen.
Dazu zählt Hilfe für Geflüchtete, dazu gehören Gespräche über den Austausch von
Gefangenen. Oft sind es ja genau solche Fortschritte im Kleinen, die helfen,
irgendwann den Boden für ein Ende der Gewalt und damit für einen gerechten
Frieden zu schaffen.
Daran arbeiten auch wir. Zuletzt ist es der Ukraine mit
unserer Unterstützung und der vieler anderer befreundeter Länder gelungen,
wichtige Staaten Afrikas, Asiens und Lateinamerikas an einen Tisch zu bringen,
darunter China, Indien, Ägypten, Saudi-Arabien und Brasilien. Gemeinsam
arbeiten wir nun daran, die
unterschiedlichen Elemente der ukrainischen Friedensformel
und Grundsätze für eine Friedenslösung weiter voranzubringen. Das ist nicht
einfach ‑ auch mit Blick auf die unterschiedlichen Wahrnehmungen des
russischen Krieges in der Welt -, und das kostet Mühe und Zeit, Zeit, die wir
eigentlich nicht haben, weil Russland in der Ukraine unterdessen weiter
bombardiert, foltert und tötet.
Doch so sehr die Zeit drängt – Papst Franziskus hat recht,
wenn er die Arbeit für den Frieden als die „Arbeit geduldiger Handwerker“
bezeichnet. Das ist eine treffende Beschreibung, weil daraus die Erkenntnis
spricht, dass Frieden nicht vom Himmel fällt, sondern das Produkt menschlicher
Anstrengung ist, und dass der Weg zum Frieden vom Kleinen hin zum Großen führt.
Handwerker des Friedens zu sein, das heißt, für gleiche Rechte, gleiche
Pflichten, gleiche Würde jeden Tag einzutreten. Der Weg beginnt dort, wo wir
dafür sorgen, dass Kinder und Jugendliche überall auf der Welt gute
Bildungschancen haben, wo wir ernsthaft und solidarisch gegen Armut und gegen
die Folgen des menschengemachten Klimawandels kämpfen, wo wir Frauen und Männer
bei uns aufnehmen, die vor Krieg und politischer Verfolgung fliehen. Das ist
ein Gebot der Menschlichkeit!
Zugleich müssen wir dafür sorgen, dass die Akzeptanz dafür
in unseren Gesellschaften erhalten bleibt. Auch das gehört hierher, wenn wir
Frieden als „gesellschaftlichen Frieden“ verstehen und wenn wir den großen
Vereinfachern, den Schwarz-Weiß-Malern, den Angstmachern und
den Populisten etwas entgegensetzen wollen.
Diesen Weg des Friedens sollten wir wagen zu gehen, und zwar
in wachsender Gemeinsamkeit. Denn in einer Welt mit vielen neuen Kraftzentren,
in Gesellschaften, die immer vielfältiger und individueller werden, müssen wir
alle neu lernen, in gegenseitigem Respekt für unsere
Unterschiede zusammenzuleben. Das gilt in der multipolaren Welt. Das gilt auch
in einem Land wie Deutschland, in dem heute Menschen vieler verschiedener
Religionen und Weltanschauungen zusammenleben. Hier nicht
das Trennende zu suchen, sondern das Verbindende, nämlich die unantastbare
Würde jeder und jedes Einzelnen, auch das bedeutet „Frieden zu wagen“. Was
immer ich
als deutscher Bundeskanzler dazu beitragen kann, das will
ich gerne tun.
Für den unermüdlichen Einsatz, mit dem Sant’Egidio und Sie
alle Frieden wagen, sage ich Ihnen allerdings heute von ganzem Herzen: Vielen
Dank! Pib 12
Statt wissenschaftlichen Fortschritt zum Wohle der
Allgemeinheit zu nutzen, lässt die Welt die Lektionen der Corona-Pandemie
großenteils links liegen.
Zu den Ritualen des Herbstes in der nördlichen Hemisphäre
gehört inzwischen neben der Vorbereitung auf die jährliche Grippesaison auch
die auf eine neue Variante von Covid-19. In diesem Jahr ist es EG.5 (Spitzname
„Eris“, in der griechischen Mythologie die Göttin des Streits und der
Zwietracht), eine Untervariante von Omikron, die in den Vereinigten Staaten,
Kanada und mehreren asiatischen Ländern bereits weit verbreitet ist. Obwohl die
Weltgesundheitsorganisation EG.5 als „Variante von Interesse“ eingestuft hat,
stellt sie als Untervariante keine große Gefahr für die öffentliche Gesundheit
dar. Man geht davon aus, dass Covid-19 abgeklungen ist: Die Impfstoffe haben
gewirkt, und in einigen Teilen der Welt wurde Herdenimmunität erreicht, sodass
die Infektionsraten und die damit einhergehenden Morbiditäts- und
Mortalitätsraten gegenüber ihren Höchstständen in den Jahren 2021 und 2022
zurückgegangen sind. Aber ist dies ein Zeichen für unsere erfolgreiche Reaktion
oder haben wir einfach nur Glück gehabt?
Natürlich hat die Corona-Pandemie die Wissenschaft
mobilisiert, in Rekordzeit Tests, Impfstoffe und andere Therapeutika zu
entwickeln. Doch auch in der schlimmsten Phase war Covid-19 nicht so
ansteckend oder tödlich wie frühere Seuchen. Und was noch wichtiger ist: Der
wissenschaftliche Einfallsreichtum war nicht mit Innovationen in der Global
Governance verbunden.
Tatsächlich ist es schwierig geworden, neue Varianten
aufzuspüren, da viele Länder die Überwachung und die umfassenden Tests von
Covid-19-Verdachtsfällen reduziert oder eingestellt haben. Maskentragen an
öffentlichen Orten und andere Vorsichtsmaßnahmen sind zur Ausnahme geworden.
Mehrere „Was-wäre-wenn-Fragen“ drängen sich auf. Was wäre, wenn eine tödliche
Variante in einem der einkommensschwachen Länder auftaucht, in denen weniger
als 40 Prozent der Bevölkerung mit mindestens einer Dosis geimpft worden sind?
Was wäre, wenn die reichen Länder in ihrer Wachsamkeit zu früh nachgelassen
hätten? Und was vielleicht am wichtigsten ist: Was wäre, wenn ein neues Virus
eine weitere Pandemie auslöste? Es wird zweifellos ein nächstes Mal geben, und
dann wird unser Versagen bei der Stärkung der Innovationspolitik deutlich
zutage treten. Selbst während der Covid-19-Pandemie haben wir wiederholt
Gelegenheiten verpasst, wissenschaftliche Durchbrüche zum Wohle der
Allgemeinheit zu nutzen.
Im Oktober 2020 beantragten Indien und Südafrika eine
vorübergehende Aussetzung der Bestimmungen des Übereinkommens der
Welthandelsorganisation über handelsbezogene Aspekte der Rechte des geistigen
Eigentums (TRIPS), um die rasche Herstellung und Verteilung von Impfstoffen und
Therapeutika in den Entwicklungsländern zu ermöglichen. Trotz der (zumindest
prinzipiellen) Unterstützung der USA und Dutzender anderer Länder war das
schließlich im Juni 2022 erzielte Abkommen nur noch ein Schatten der
ursprünglichen Vision. In der Zwischenzeit war das Szenario, das die
TRIPS-Ausnahmeregelung verhindern sollte, eingetreten und hatte die
Schwachstellen des derzeitigen Systems offenbart.
Im Gegensatz zu der von der Pharmabranche verbreiteten
Erzählung, der private Sektor sei trotz geringer Erfolgschancen Risiken
eingegangen, ist die Entwicklung von Impfstoffen ein langfristiges Unterfangen,
das durch öffentlich-private Partnerschaften erreicht wird. Ein Großteil der
Grundlagenforschung, die zu den mRNA-Impfstoffen geführt hat, wurde
jahrzehntelang mit öffentlichen Mitteln finanziert, vor allem von den USA, dem
Vereinigten Königreich und Ländern der Europäischen Union. Zusätzliche
öffentliche Mittel beschleunigten die Forschung an Covid-19-Impfstoffen,
während Vorbestellungen für Millionen von Dosen und reduzierte Kosten und
Verfahren für klinische Versuche das Subventionssystem für
Arzneimittelhersteller abrundeten. Als die ersten Covid-19-Impfstoffe im Westen
auftauchten, war ihre Produktion für Big Pharma weitgehend risikolos geworden,
sodass „das große Debakel der globalen Ungerechtigkeit bei der
Impfstoffverteilung“ eintrat.
Die Pharmaunternehmen nutzten ihre Oligopolmacht, um unter
dem Deckmantel der Vertraulichkeit das beste Geschäft für ihre Aktionäre
abzuschließen. So zahlte etwa Südafrika mehr als das Doppelte des EU-Preises
für den Impfstoff von Oxford-AstraZeneca, obwohl das Pro-Kopf-Einkommen des
Landes nur etwa ein Fünftel des europäischen beträgt. Moderna ist in einen
Streit mit den US National Institutes of Health über das Patent für seinen Covid-19-Impfstoff
verwickelt, die behaupten, dass drei ihrer Forscher als Miterfinder aufgeführt
werden müssten. Schon jetzt ist die Verfügbarkeit von Impfstoffen in vielen
afrikanischen Ländern völlig unzureichend, und der Access to COVID-19
Tools Accelerator – ein Programm, das die gerechte Verteilung von Tests,
Impfstoffen und Therapeutika koordinieren soll – sieht sich einer
Finanzierungslücke von 247 Millionen Dollar gegenüber.
Darüber hinaus ist Covid-19 nur ein Teil der öffentlichen
Gesundheit. Die Afrikanische Union hat sich zum Ziel gesetzt, bis 2040 60
Prozent des gesamten Impfstoffbedarfs des Kontinents durch regionale Produktion
zu decken. Doch selbst dieses bescheidene Ziel ist in hohem Maße von
ausländischer Finanzierung abhängig und stößt auf Hindernisse, die anscheinend
in die derzeitigen Systeme für Innovation und geistiges Eigentum eingebaut
sind. Die bevorstehenden Studien mit einem vielversprechenden
Tuberkulose-Impfstoff – finanziert von der Bill & Melinda Gates Foundation
und dem Wellcome Trust – verdeutlichen die zwiespältige kommerzielle
Vereinbarung zwischen der Gates Foundation und GSK, dem Entwickler des
Impfstoffs. (Die Gates-Stiftung setzt sich seit langem für Exklusivrechte an
Arzneimitteln ein und soll Forscher an der Universität Oxford davon überzeugt
haben, eine Partnerschaft mit dem Biotech-Unternehmen AstraZeneca einzugehen,
anstatt nicht-exklusive, gebührenfreie Lizenzen für ihren Impfstoff Covid-19
anzubieten.) Dies ist aus vielen Gründen von Bedeutung, nicht zuletzt, weil das
Adjuvans AS01, das zur Steigerung der Wirksamkeit des Impfstoffs verwendet wird
– und das GSK liefern wird –, ein immenses Potenzial für andere Arzneimittel
hat. Einer seiner Bestandteile, QS-21, wird seit Jahrhunderten von indigenen
Völkern in Chile kultiviert, was die Frage aufwirft, wie diese
Bevölkerungsgruppen von der pharmazeutischen Monetarisierung des Moleküls
profitieren, wenn überhaupt.
Die Weltgemeinschaft hat bewiesen, dass sie in der Lage ist,
Wissenschaft und Innovation für das Gemeinwohl zu nutzen. Vor 50 Jahren, als
Hunger und Unterernährung ganz oben auf der Agenda standen, haben sich
Regierungen, internationale Organisationen und Stiftungen zusammengeschlossen,
um die Agrarrevolution und die CGIAR zu finanzieren, ein globales Netzwerk von Agrarforschungszentren,
das bedeutende Fortschritte in der Nahrungsmittel- und Agrartechnologie und
-politik erzielt hat. Doch die derzeitigen Governance-Strukturen erfüllen
eindeutig nicht mehr ihren Zweck. Stellen Sie sich vor, ein Erfinder würde eine
technologische Lösung für den Klimawandel vorlegen. Die Weltgemeinschaft würde
sich mit ziemlicher Sicherheit über die Förderung der raschen und umfassenden
Einführung dieser Technologie streiten, und das wäre bei anderen Innovationen,
die positive externe Effekte haben, nicht anders.
Es heißt, dass man eine Krise niemals ungenutzt verstreichen
lassen sollte. So wie es aussieht, werden wir unsere nächste Gesundheitskrise
erleben, nachdem wir die Chancen dieser Krise (die noch nicht vorbei ist)
weitgehend verschenkt haben. Da die Regelungen für Innovation und geistiges
Eigentum weitgehend unverändert bleiben, müssen wir darauf bauen, wieder Glück
zu haben. Rohinton P. Medhora, PS/IPG 12
Qualitativ hochwertige Versorgung mit medizinischen Hilfsmitteln sichern!
Eurocom-Positionspapier zum Handlungsbedarf in der
Gesetzlichen Krankenversicherung (GKV)
Berlin - Gemeinsame Selbstverwaltung, Politik und Verbände
diskutieren zurzeit die Gestaltung der Hilfsmittelversorgung der Patienten.
Nicht zuletzt durch den Bericht des Bundesrechnungshofs und den Sonderbericht
des Bundesamtes für Soziale Sicherung (BAS) werden Rufe nach einer umfassenden
Reform lauter. „Als führende Herstellervereinigung für Kompressionstherapie und
orthopädische Hilfsmittel setzt sich die eurocom für eine qualitativ
hochwertige Versorgung der Patienten in Deutschland ein. Soll diese weiterhin
gewährleistet sein, muss jetzt politisch und gesetzgeberisch gehandelt werden“,
erklärt Geschäftsführerin Oda Hagemeier. Das Vier-Punkte-Papier der eurocom Handlungsbedarf
in der GKV: Sicherung einer qualitativ hochwertigen Versorgung von Patienten
mit medizinisch notwendigen Hilfsmitteln‘ stellt die Position der Industrie und
pragmatische Lösungsansätze vor.
Vier Forderungen der eurocom auf den Punkt gebracht:
1. Für innovative Hilfsmittel müssen realistische
Anforderungen zum Nachweis des medizinischen Nutzens gelten, damit sie zügig in
das Hilfsmittelverzeichnis des GKV-Spitzenverbandes aufgenommen werden. Hier
besteht Klarstellungsbedarf im § 139 SGB V.
2. Festbeträge für Hilfsmittel müssen erhalten bleiben und
durch Anpassung an die Marktlage rechtssicher gestaltet werden. Hierzu sollte
der § 36 SGB V modifiziert werden.
3. Die Mehrkostenregelung ist ein sinnvolles Instrument, um
Patienten die bestmögliche Versorgung zu ermöglichen, ohne damit das GKV-System
zu belasten. Überbordende Bürokratie sollte durch Klarstellung im § 33 SGB V
abgebaut werden.
4. Das eRezept für Hilfsmittel muss weiterhin die
Therapiehoheit des Arztes gewähren und darf die Versorgungsvielfalt nicht
einschränken. Hierauf muss der Gesetzgeber bei der Implementierung der Prozesse
Acht geben. Eurocom 12
Stuttgart. Flüchtlingsrat kritisiert Chaos bei Ausländerbehörde
Lange Schlangen, zu wenig Termine, frustrierte Menschen: Die
Stuttgarter Ausländerbehörde steht in der Kritik. Der Ordnungsbürgermeister
deutet an, dass das Problem nicht von heute auf morgen lösbar sein wird. Die
Folgen treffen Betroffene teilweise hart.
Sie kommen am frühen Morgen mit Campingstühlen, Decken und
Verpflegung – und warten viele Stunden, bis die Ausländerbehörde ihre Pforte
öffnet: Der Flüchtlingsrat Baden-Württemberg kritisiert die zuletzt drastisch
gestiegenen Wartezeiten bei der Stuttgarter Ausländerbehörde. Für
Flüchtlingsrat-Geschäftsleiterin Meike Olszak ist die Landeshauptstadt zwar ein
Extrembeispiel, aber kein Einzelfall im Land. „Betroffene werden auch in vielen
anderen Ausländerbehörden benachteiligt“, sagte sie am Donnerstag.
Auch nach Worten des Stuttgarter Ordnungsbürgermeisters
Clemens Maier (Freie Wähler) sind lange Wartezeiten und Personalprobleme kein
Novum für die Ausländerbehörde der Landeshauptstadt. „Schon seit längerem haben
wir Schlangen“, sagte Maier der Deutschen Presse-Agentur. „Deshalb arbeiten wir
mit Hochdruck daran, Personal zu finden.“ Allerdings müsse das neu eingestellte
Personal dann erstmal eingearbeitet werden. Das Ausländerrecht sei kompliziert.
Maier sagte, man müsse Geduld haben.
Lange Wartezeiten haben weitreichende Folgen für Betroffen
Seit wann das Problem bei der Ausländerbehörde bestehe,
konnte Maier nicht sagen. Er sei noch nicht so lange Ordnungsbürgermeister.
Maier trat sein Amt im November 2020 an. Der Druck auf die Ausländerbehörde sei
derzeit aber groß, räumte Maier ein. Aktuell seien 44 von 156 Stellen in der Behörde
offen. Viele Vorgänge könnten deshalb nicht bearbeitet werden. Allerdings habe
man im Verlauf des Jahres deutliche Fortschritte gemacht und mittlerweile
weniger unbesetzte Stellen als noch zu Jahresbeginn. Man erwarte weitere
Neueinstellungen. Zudem rekrutiere man derzeit Aushilfen.
Die Folgen des Engpasses tragen die Betroffenen: So verlören
Menschen etwa ihre bereits zugesagte Mietwohnung oder ihren versprochenen Job,
weil sie keinen Termin bei der Behörde und damit auch die erforderlichen
Unterlagen nicht bekämen, sagte Olszak vom Flüchtlingsrat. Zudem sei die
mangelnde Digitalisierung ein Problem. Die Behörden würden sich auch weniger
als Servicezentren verstehen, sondern es ginge ihnen darum, Leute möglichst
schnell abzuschieben. Der Flüchtlingsrat forderte, dass Duldungszeiträume
weiter verlängert würden – das würde auch Termindruck von den Behörden nehmen.
Migrationsministerium will eine zentrale Stelle für
Fachkräfte schaffen
Mit Flüchtlingen aus der Ukraine habe die angespannte Lage
nur teilweise zu tun, sagte der Ordnungsbürgermeister. Viele, die in der
Schlange stünden, seien schon jahrelang in Deutschland und warteten etwa auf
eine Verlängerung der Aufenthaltstitel. Durch die Geflüchteten aus der Ukraine
kämen aber noch weitere Menschen und Fälle hinzu. Die Behörde müsse noch
stärker kommunizieren, in welchen Fällen sich das Warten für die Menschen lohne
und in welchen nicht.
Das Migrationsministerium arbeitet derweil an einer
zentralen Stelle zur Bearbeitung der Unterlagen von ausländischen Fachkräften,
um Verfahren zu beschleunigen. Diese Initiative hatte Ministerin Marion Gentges
(CDU) bereits im Sommer angekündigt. Man rechne damit, dass sich die
Landesregierung in den kommenden Wochen damit im Kabinett befassen werde, sagte
eine Sprecherin am Donnerstag. (dpa/mig 11)
Zuppi: Ukraine wird entscheiden, wie sie den Frieden erreichen will
Der Vorsitzende der italienischen Bischofskonferenz, der
derzeit in Berlin an der von Sant'Egidio veranstalteten Tagung „Die Kühnheit
des Friedens“ teilnimmt, hat die Fragen der Journalisten zu der ihm vom Papst
anvertrauten Friedensmission beantwortet und betont den von Franziskus
geförderten „kreativen Frieden“: „Die Wege des Friedens sind unvorhersehbar.
Lassen Sie uns an einem großen Bündnis arbeiten“. Francesca Sabatinelli
Berlin - In der Ukraine ist die Situation seit Monaten
tragisch, es gibt Schwierigkeiten, und man muss sich immer vor Augen halten,
wer der Aggressor und wer der Aggressor ist. Kardinal Matteo Zuppi,
Vorsitzender der italienischen Bischofskonferenz und Erzbischof von Bologna,
erklärte, dass für diesen Konflikt dringend eine Lösung gefunden werden müsse.
Der Kardinal sprach in Berlin, wo er sich anlässlich des internationalen
Friedenstreffens aufhielt, das vom 10. bis 2. September von der Gemeinschaft
Sant'Egidio in Zusammenarbeit mit den katholischen und evangelischen Kirchen
der deutschen Hauptstadt veranstaltet wird. An der Veranstaltung, die auf das
1986 von Papst Johannes Paul II. initiierte Gebet der Religionen in Assisi
zurückgeht, nehmen die Führer der wichtigsten Weltreligionen sowie
Persönlichkeiten aus Kultur und Politik aus 40 Ländern teil.
Die Friedensmission und der wahrscheinliche Aufenthalt in
Peking
Zuppi beantwortet die Fragen der Medien zu der ihm vom Papst
anvertrauten Mission, die ihn bereits in die Ukraine, nach Russland und in die
Vereinigten Staaten geführt hat. Es wird immer einen Vorstoß in Richtung eines
„gerechten und sicheren Friedens“ geben, erklärte er, mit dem Engagement
„derjenigen, die wichtig sind“, wie China, eines der wichtigsten Elemente für
den Frieden, wohin sich der Kardinal begeben sollte, immer im Rahmen der ihm
vom Papst übertragenen Mission, auch wenn es noch keine Gewissheit über den
Zeitpunkt gibt, da, wie Zuppi erklärte, „die Zeiten des Heiligen Stuhls und
Chinas bekanntermaßen sehr lang sind“. Der Frieden, so fügte er mit Nachdruck
hinzu, erfordere die Anstrengung aller, aber „er kann niemals von
irgendjemandem aufgezwungen werden, es muss der von den Ukrainern gewählte
Frieden sein, mit den Garantien, dem Engagement und den Anstrengungen aller“.
Die Unterstützung der Kirche und des Papstes für die Ukraine
Was die „Unstimmigkeiten“ mit Kyiv nach der ukrainischen
Kontroverse im Anschluss an eine Rede von Franziskus vor einer Gruppe junger
russischer Katholiken in St. Petersburg angeht, glaubt Zuppi, dass „sie sich
aufklären werden und dass sie in einer so angespannten Situation verständlich
sind“. Er sei jedoch überzeugt, dass sowohl die ukrainische Regierung als auch
das Volk sich der Unterstützung bewusst seien, „die die Kirche und der Papst
immer für ihr Leiden gehabt haben“. Der Kardinal kehrte dann zu dem von
Franziskus verwendeten Ausdruck eines „kreativen Friedens“ zurück, um auch zu
erklären, wie die Wege des Friedens selbst manchmal „unvorhersehbar sind und
das Engagement und die Beteiligung aller und eine große Allianz für den Frieden
benötigen, um in die gleiche Richtung zu stoßen“, so wie es der Papst mit dem
vatikanischen Sozialbeauftragten Kardinal Konrad Krajewski tue, „mit der Nächstenliebe,
mit den vielen Unterstützungen und auch mit dieser Mission, um zu helfen, in
die einzige Richtung zu stoßen, die die Beteiligung aller erfordert und das ist
der Frieden“. (vn 11)
„Schindlers Liste“ von Rom: Fragen an einen Jesuiten
„Vielleicht ist der größere Schritt, dass es wirklich
gelingt, dass jüdische und katholische Historiker mit einer großen Nüchternheit
und Klarheit und einem absoluten Interesse an historischer Präzision und nicht
etwa an Ideologien die Sache bearbeiten.“ Das sagt Jesuitenpater Dominik Markl
in unserem Interview über die Forschungen rund um die neu entdeckte Namensliste
von Juden und anderen Verfolgten, die während der deutschen Besatzung Roms in
Kirchengebäuden Schutz fanden. Jonas
Over – Vatikanstadt
Seit den 60er Jahren wusste man von der Existenz einer
solchen Liste, doch galt sie als verschollen. Vor einigen Jahren begann Markl,
als er noch am päpstlichen Bibelinstitut in Rom arbeitete, sich auf die Suche
nach diesem Dokument zu machen.
„Ich bin erst Jahre später fündig geworden. Das heißt, ich
habe einen anderen Kollegen gefunden, der aufgrund seiner Recherche zur
Geschichte der Archäologie des Instituts in Israel und Jordanien in unserem
Archiv gearbeitet hat. Der wusste, wo sich das Dokument befindet. So konnte ich
einen ersten Blick darauf werfen und bin mir nach den ersten Recherchen im
Klaren darüber geworden, worum es sich handelt.“
Sofort nach der Entdeckung sei man an jüdische
Organisationen herangetreten, allen voran natürlich die jüdische Gemeinde von
Rom und die Holocaust-Gedenkstätte Yad Vashem. Binnen kürzester Zeit konnte
eine sehr enge und fruchtbare Zusammenarbeit entstehen, so Markl.
Schwierigkeiten in der Forschung
Mit dem Fund des Dokuments tun sich natürlich auch gewisse
Probleme auf. Handelt es sich bei den aufgeführten Personen um getaufte oder
auch um nicht getaufte Juden? Und ganz grundlegend: Ist die Liste überhaupt
echt bzw. authentisch? Wer steht hinter diesen Namen, was sind die jeweiligen
Einzelschicksale?
„Eine der vielen Schwierigkeiten ist, dass viele Juden
natürlich in dieser Zeit zu ihrem eigenen Schutz falsche Namen
verwendet haben. Und hier falsche Namen und echte Namensidentität
herauszufinden, ist oft eine Detektivarbeit. Zum Teil gibt es Gleichheiten, wie
ja auch in anderen Ländern. Hans Müller gibt es öfter, und ähnlich ist es auch
mit jüdischen Namen in Rom.“
Bedeutung des Fundes in der historischen Forschung
Lange hat man auf eine solche Entdeckung gewartet. In der
Vergangenheit wurde namentlich Papst Pius XII. immer wieder vorgeworfen, dass
sein zögerliches Verhalten angesichts der Shoah diese womöglich begünstigt
habe. Laut Markl bietet die neu gefundene Quelle keine Grundlage, um die Person
Pius XII. gänzlich neu zu bewerten.
„Es ist ein relativ großes und wichtiges Puzzlestück
sozusagen, das viel beinhaltet. Aber es muss alles erst eingeordnet werden in
den Gesamtzusammenhang der vielen tausenden und abertausenden von Dokumenten,
die in den vatikanischen Archiven jetzt zugänglich sind und deren Aufarbeitung
auch viele, viele Jahre brauchen wird. Insofern sind wir erst am Anfang dieser
Forschung.“
Weitere Verwendungen der neuen Quelle
Zum Schutz der aufgeführten Namen ist das Dokument zunächst
nur wenigen Menschen zugänglich. Dies soll in den nächsten Jahren auch erstmal
so bleiben, wenngleich man sich mittel- und langfristig wünschen würde, dass
diese neue Quelle der breiten Öffentlichkeit zugänglich wird. „In der
Zusammenarbeit mit der jüdischen Gemeinde ist uns natürlich sehr wichtig, auf
ihre Wünsche einzugehen und diese sehr hoch zu respektieren.“
Im Oktober wird in Rom eine Studientagung über Erkenntnisse
zu Pius XII. und den Vatikan zur Zeit des Zweiten Weltkriegs stattfinden. In
diesem Zusammenhang wird auch der neue Fund eine Rolle spielen. Laut Markl wird
die Rolle aber nicht entscheidend sein, aufgrund der Masse an anderen
Dokumenten.
Hintergrund
Anfang des Monats wurde in den Archiven des päpstlichen
Bibelinstituts in Rom eine Liste von über 4.300 Personen entdeckt, die während
der deutschen Besatzungszeit in Rom in kirchlichen Räumen vor den Nazis
geschützt wurden. 3.200 dieser Namen stammen von Jüdinnen und Juden. Lange
hatte man diese Zahlen bereits vermutet, aber diese Liste konnte sie nun
bestätigen.
Zur Person
Dominik Markl SJ lehrt an der Universität Innsbruck
katholische Theologie. Zuvor war er von 2013 bis 2023 Dozent am päpstlichen
Bibelinstitut in Rom.
(vn 8)
Mehrheit der Deutschen gegen Industriestrompreis
Hamburg – Die Politik diskutiert zurzeit die Einführung
eines zeitlich befristeten, reduzierten Industriestrompreises unterhalb des
normalen Marktpreises. Dabei soll der Staat mit Hilfe von Steuergeldern einen
Teil der Stromkosten für energieintensive Unternehmen übernehmen. Eine Umfrage
des Markt- und Meinungsforschungsinstituts Ipsos zeigt nun, dass eine knappe
Mehrheit der Deutschen (51%) gegen die Einführung eines solchen
Industriestrompreises ist. Der größte Anteil von 31 Prozent ist der Meinung,
dass der Staat das Geld stattdessen in erneuerbare Energien investieren sollte,
damit die Marktpreise langfristig sinken. Jeder Fünfte (20%) lehnt eine
staatliche Förderung der Stromkosten von Unternehmen grundsätzlich ab.
Nur 36 Prozent der Befragten würden die Einführung eines
Industriestrompreises begrüßen. Allerdings spricht sich unter den Befürwortern
der Großteil (23%) für eine Förderung aller Unternehmen, unabhängig von ihrer
Größe, Branche und regionalen oder internationalen Ausrichtung aus. Lediglich 13
Prozent unterstützen den Vorschlag von Wirtschaftsminister Robert Habeck,
wonach sich die Förderung auf energieintensive Unternehmen beschränken würde,
die im internationalen Wettbewerb stehen.
Größte Ablehnung bei Grünen und Linken
Am kritischsten wird der Industriestrompreis von der
Wählerschaft der Grünen gesehen. 61 Prozent der Grünen-Anhänger lehnen diesen
ab, ein Großteil davon (48%) bevorzugt eine alternative Investition der
staatlichen Gelder in erneuerbare Energien. Weitere 13 Prozent lehnen eine
staatliche Förderung der Stromkosten von Unternehmen vollständig ab. Auch die
Anhängerschaft der Linkspartei spricht sich mit 58 Prozent mehrheitlich gegen
die Einführung eines Industriestrompreises aus. Ein Drittel der Linken-Wähler
(35%) ist der Meinung, dass das Geld stattdessen in erneuerbare Energien
investiert werden sollte, 23 Prozent sprechen sich komplett gegen eine
staatliche Förderung aus.
Anders sieht es bei den Sympathisanten der AfD aus, die sich
mit 53 Prozent zwar ebenfalls mehrheitlich gegen die Einführung des
Industriestrompreises aussprechen, allerdings im Gegensatz zu Grünen- und
Linken-Wählern nur zu 17 Prozent der Meinung sind, dass das Geld alternativ in
erneuerbare Energien investiert werden sollte. Mehr als jeder dritte AfD-Anhänger
(36%) ist der Ansicht, dass grundsätzlich kein staatliches Geld für die
Förderung der Stromkosten von Unternehmen verwendet werden sollte.
Nur eine Minderheit der Grünen- (29%), Linken- (30%) und
AfD-Wähler (39%) spricht sich für die Einführung eines Industriestrompreises
aus.
Mehr Zustimmung bei Anhängern von FDP, SPD und Union
Besser kommt der Industriestrompreis bei der Wählerschaft
von FDP, SPD und Union an, die sich zu 49 (FDP), 45 (SPD) und 44 (CDU/CSU)
Prozent für diesen Vorschlag aussprechen. Bemerkenswerterweise ist die FDP die
einzige Partei, bei welcher der Anteil der Befürworter größer ist als der
Anteil derjenigen, die den Industriestrompreis ablehnen (45%). Bei SPD- (47%)
und Unions-Wählern (46%) ist die Ablehnung jeweils etwas größer als die
Zustimmung.
Unter denjenigen Befragten, die die Einführung eines
Industriestrompreises unterstützen, ist sowohl bei der SPD als auch bei der
Union ein Großteil dafür, dass alle Unternehmen, unabhängig von ihrer Größe,
Branche und regionalen oder internationalen Ausrichtung gefördert werden
sollten. Nur 16 Prozent der SPD- und Unions-Anhänger sprechen sich für eine
Förderung aus, die sich auf große energieintensive Unternehmen beschränkt, die
im internationalen Wettbewerb stehen. Bei der Wählerschaft der FDP (27%) kommt
die von Habeck vorgeschlagene Option deutlich besser an. Jeder fünfte
FDP-Unterstützer (22%) präferiert eine staatliche Förderung aller Unternehmen
ohne Einschränkungen.
Dr. Robert Grimm, Leiter der Politik- und Sozialforschung
bei Ipsos, stellt fest: „Die Daten spiegeln eine verkehrte Welt wider.
Eigentlich sollten es die Unterstützer von SPD und Grünen sein, die sich für
eine Subvention des Strompreises aussprechen. Der Ukrainekrieg und die
Energiewende haben zu steigenden Energiekosten geführt. Zuschüsse für
energieintensive Unternehmen wurden vom grünen Wirtschaftsminister Robert
Habeck vorgeschlagen bis ausreichend Energie aus erneuerbaren Quellen gewonnen
werden kann, um den Bedarf der Industrie zu decken. Die SPD-Fraktion und Gewerkschaften
machen sich ebenfalls für den Industriestrompreis stark, um die
Konkurrenzfähigkeit von energieintensiven Wirtschaftszweigen, die im
internationalen Wettbewerb stehen, zu gewährleisten und den Industriestandort
Deutschland zu sichern. Aus dem FDP-geführten Finanzministerium hört man
hingegen eine andere Stimme: Für Christian Lindner ist der Industriestrompreis
ungerecht, da die Subventionen von Unternehmen nur auf Kosten der Steuerzahler
umsetzbar sind. Außerdem bremsen dauerhafte staatliche Energiekostenhilfen aus
Sicht der Liberalen Innovation. Fakt ist jedoch, dass gerade FDP-Anhänger eine
Energiesubvention für Unternehmen befürworten, während Grünen-Wähler sie
zugunsten von Investitionen in Innovation ablehnen und Sozialdemokraten
unentschlossen sind. Wie es zu dieser Dissonanz zwischen Unterstützern und
Parteispitzen kommen konnte, bleibt unklar. Eventuell liegt es an der
mangelnden Kommunikation, womit sich dann auch fallende Umfragewerte begründen
ließen.“ Ipsos 7
Der Internationale Literaturpreis 2023 geht an Mohamed Mbougar Sarr, Holger
Fock und Sabine Müller
Für den Roman Die geheimste Erinnerung der Menschen (Hanser,
2022) erhalten der Autor Mohamed Mbougar Sarr und die Übersetzer*innen Holger
Fock und Sabine Müller den Internationalen Literaturpreis 2023.
Die Bekanntgabe der Preisträger*innen erfolgte im
Rahmen einer feierlichen Preisverleihung am 9. September 2023 im Forough
Farrokhzad Garten des Hauses der Kulturen der Welt (HKW). Zum fünfzehnten Mal
verleihen das Haus der Kulturen der Welt und die Stiftung Elementarteilchen den
Internationalen Literaturpreis. Dotiert mit 35.000 Euro – 20.000 Euro für
Autor*in, 15.000 Euro für Übersetzer*in – zeichnet er ein herausragendes Werk
der internationalen Gegenwartsliteratur in deutscher Erstübersetzung aus. Er
würdigt in dieser Allianz sowohl Originalwerk als auch Übersetzung. Der
doppelte Fokus macht ihn in der deutschen Preislandschaft einzigartig.
Aufbauend auf dem Erbe des Preises, das Verständnis für heterogene Formen des
Geschichtenerzählens zu erweitern, können seit diesem Jahr auch deutsche
Erstübersetzungen internationaler Lyrik eingereicht werden. Aus der Begründung
der Jury: „Mohamed Mbougar Sarrs Roman verortet orale Erzählkunst in der Welt
des Literarischen. Und dies voller Witz, Erotik und intellektueller Tiefe, in
eleganter und atemberaubend kenntnisreicher Beiläufigkeit.
Sarrs Meisterwerk ist eine umwerfende Reflexion über
Literatur, die Freiheit des Schriftstellers, auch seine Freiheit zu Schweigen.
Letztlich geht es hier so sehr um die Reise hin zu den Worten, zur Liebe, zur
Trauer und zu sich selbst – wie auch um das Scheitern dieser Suche nach dem
Geheimsten eines Menschen, der Unergründlichkeit des Menschlichen an
sich.
Die Übersetzung von Sabine Müller und Holger Fock lässt die
Waghalsigkeit von Sarrs Fantasie und die Eleganz seiner Sätze durchscheinen,
ohne beidem hinterher zu hetzen. Vielmehr ist es den Übersetzer*innen gelungen,
die deutsche Sprache um eine Erzählung, die bis zur Gewaltgeschichte
Deutschlands führt, auf bleibende Weise zu bereichern, mit einer geradezu
bewundernswerten, weltläufigen Leichtigkeit. Sarrs Tempo und Witz kommen in der
Sprache von Müller und Fock ebenso zur Geltung wie die Zartheit und
intellektuelle Kraft seines Romans.“ Asal Dardan und Deniz Utlu für die Jury
Mohamed Mbougar Sarr, geboren in Dakar, wuchs im Senegal auf und studierte
Literatur und Philosophie in Frankreich. Er hat bereits drei Romane
veröffentlicht, für die er unter anderem mit dem Prix Stéphane Hessel und dem
Grand Prix du Roman Métis ausgezeichnet wurde. Für Die geheimste Erinnerung der
Menschen, seinem ersten Werk, das in deutscher Übersetzung erscheint, erhielt
er 2021 den Prix Goncourt.
Holger Fock und Sabine Müller übersetzen gemeinsam aus dem
Französischen, unter anderem Mathias Énard, Alain Mabanckou, Patrick Deville
und Olivier Rolin. 2011 wurden sie mit dem Eugen-Helmlé-Übersetzerpreis
ausgezeichnet, in diesem Jahr erhalten sie den Paul-Celan-Preis für ihr
übersetzerisches Gesamtwerk. HKW 9
Streit um Abayas. Frankreich verbannt lange Gewänder aus Schulen
An Frankreichs Schulen sind lange, traditionell aus
arabischen Ländern stammende, Gewänder ab Montag verboten. Um diese Abayas gab
es schon länger Streit. Sind sie einfach ein Kleidungsstück oder ein religiöses
Symbol? Von Michael Evers
Um Kopftuch und Burkini-Badeanzüge hat Frankreich viel
gestritten, nun sorgt ein Verbot von Abayas an Schulen für neuerlichen Wirbel.
Zum Schuljahresbeginn von Montag an sind die traditionell von Frauen in islamischen
Ländern getragenen knöchellangen Gewänder tabu, ebenso der entsprechende
Überwurf für Männer, der Qamis. Das verfügte Frankreichs neuer Bildungsminister
Gabriel Attal per Erlass. Dabei stützt er sich auf das seit langem geltende
Verbot von sichtbaren religiösen Symbolen an Schulen in dem auf Laizität, also
der strikten Trennung von Staat und Religion, bedachten Frankreich.
In den letzten Monaten hätten Verstöße gegen die Laizität an
Schulen stark zugenommen, sagte Attal. Von rund 4.700 Fällen im vergangenen
Schuljahr war die Rede, häufig sei es um das Tragen von Abayas gegangen. Schon
eine Weile sind die Gewänder Diskussionsstoff in Frankreich. Eine entschiedene
Antwort sei nötig, befand nun der vor den Ferien an die Spitze des
Bildungsressorts gerückte Attal, der zuvor beigeordneter Haushaltsminister und
Regierungssprecher war: „Die Abaya hat in unseren Schulen keinen Platz.“ Volle
Rückendeckung erhielt er dabei von Präsident Emmanuel Macron: „Religiöse
Symbole haben in der Schule keinen Platz“, sagte er. Mit der Problematik
dürften Schulleitungen nicht alleine gelassen werden.
Bekleidungsvorschriften?
Aber geht das nicht alles zu weit, macht die Regierung da
nicht jungen Frauen Bekleidungsvorschriften? Und ist die Abaya zwingend ein
religiöses Symbol oder schlicht ein Kleidungsstück? Das sind die Fragen der
Kritiker. Befürworter halten dagegen, dass es darum gehe, religiös motivierte
Kleidung in der Schule nicht zu normalisieren, um eine schleichende
Indoktrinierung zu vermeiden.
Die Vorsitzende der Bildungsgewerkschaft ID-FO, Agnès
Andersen, hält das für übertrieben. Das Kleid habe anders als das Kopftuch
keinen religiösen Ursprung, selbst wenn Salafisten dazu ermunterten, so etwas
zu tragen, sagte sie im Juni der Zeitung „Le Parisien“. Am Ende zähle die
Absicht der jungen Mädchen. Bei einigen könne der Glaube eine Rolle spielen.
Andere wollten ihre Rundungen verdecken, die Freundin nachmachen oder fänden
die lange Tunika schön und preiswert.
Bekleidungspolizei?
Von Teilen der Opposition bezieht Macrons Mitte-Regierung
Kritik für den Erlass. „Wie weit wird die Bekleidungspolizei gehen?“, sagte die
Linksabgeordnete Clémentine Autain, die das Verbot bei X (vormals Twitter) auch
als eine besessene Zurückweisung von Muslimen bezeichnete. Die Regelung sei
verfassungswidrig, schrieb sie. Die Grünen-Abgeordnete Sandra Regol meinte auf
der Plattform X: „Abayas, Röcke, Crop-Tops: Es ist immer der Körper der Frauen,
den diese Politiker zu kontrollieren versuchen.“
Dass die Regierung bei dem schwierigen Thema nun einen
harten Kurs einschlägt, wird auch als Zugehen auf die konservativen
Républicains gesehen, um deren Unterstützung das Präsidentenlager für die
verbleibenden vier Regierungsjahre weiter buhlt. Seit gut einem Jahr hat
Macrons Regierung keine absolute Mehrheit mehr im Parlament. Die meisten
Schnittstellen gäbe es mit den Konservativen, mit denen eine wie auch immer
geartete Kooperation aber bislang nicht gelungen ist.
Zum Schuljahresstart will die Regierung zunächst auf Dialog
setzen, was das neue Verbot angeht, hieß es in dem Erlass. Mit Schülerinnen und
Familien werde geredet, sagte auch Macron. Danach aber drohen
Disziplinarmaßnahmen – welche genau, wird nicht präzisiert.
Verbotene Kleidung
Attals Vorgänger Pap Ndiaye hatte vor einem Verbot
zurückgeschreckt. Der Staat könne keine Liste verbotener Kleidungsstücke
aufstellen, hatte er im Senat gesagt. „Weil wir uns damit auf ein äußerst
komplexes Terrain begeben würden. Aus rechtlicher Sicht ist die Abaya nicht
einfach zu definieren, und wir würden in der nächsten Woche durch eine
bestimmte Länge des Kleides, eine Kragenform oder dieses oder jenes Accessoire
umgangen, was das Problem von Woche zu Woche verlängern und uns zwingen würde,
mehr Rundschreiben zu verfassen, was uns direkt zum Verwaltungsgericht bringen
würde, wo wir verlieren würden.“ Wie der neue Bildungsminister diese
Fallstricke vermeiden will, hat er bislang nicht gesagt.
Und eine erste Klage ist bereits beim Staatsrat, dem
obersten Verwaltungsgericht des Landes, von einem Verein zum Schutz der Rechte
von Muslimen (ADM) eingereicht worden. „Wir haben beim Staatsrat eine
Dringlichkeitsklage eingereicht, um die Aussetzung des Verbots der Abaya in der
Schule zu fordern, das mehrere Grundfreiheiten verletzt“, sagte der Anwalt des
Vereins, Vincent Brengarth. (dpa/mig 4)
40 Jahre Kirchenasyl: Schutz vor Abschiebung
1983 kam es in einer evangelischen Gemeinde in Berlin zum
ersten Kirchenasyl in Deutschland. Auch in Bayern bieten Kirchen Geflüchteten
immer wieder Schutz vor Abschiebung. Von Januar bis Juni 2023 gab es im
Freistaat 173 Kirchenasyl-Fälle.
Von Valentin Beige, Barbara Schneider, BR24 Dein Argument
Am 30. August 1983 sprang ein Geflüchteter, Cemal Kemal
Altun, aus dem Fenster eines Berliner Gerichtsgebäudes in den Tod – aus Angst
vor einer Auslieferung in die damalige türkische Militärdiktatur. Kurz zuvor
hatte in einer Berliner Kirchengemeinde noch ein Hungerstreik gegen die
Abschiebung des jungen Mannes stattgefunden.
Es ist dieselbe evangelische Kirchengemeinde in Berlin, die
wenig später eine palästinensische Familie aufnahm, die ebenfalls von
Abschiebung bedroht war. Es war der Beginn der Kirchenasylbewegung in
Deutschland. Bis heute finden immer wieder Geflüchtete Zuflucht in
Kirchengemeinden, auch in Bayern.
Kirchenasyl: So funktioniert es
Bei einem Kirchenasyl gewährt eine Gemeinde Geflüchteten,
die abgeschoben werden sollen, einen zeitlich befristeten Schutz. Ziel ist es,
eine erneute Prüfung ihrer Situation durch das Bundesamt für Migration und
Flüchtlinge zu erreichen. Menschen, denen durch eine Abschiebung Gefahr für
Leib, Leben oder Freiheit oder nicht hinnehmbare Härten drohen, sollen so ein
neues Asylverfahren oder ein Bleiberecht in Deutschland erhalten.
Am Tag des Einzugs meldet sich die Kirchengemeinde beim
Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (BAMF) und zeigt an, wem sie
Kirchenasyl gewährt. Der Staat toleriert das Kirchenasyl, allerdings kann er
von seinem Zugriffsrecht Gebrauch machen, um Betroffene abzuschieben.
Kirchenasyl: Mehr Anfragen als Plätze
Der Jesuit Dieter Müller aus Nürnberg engagiert sich in der
"Ökumenischen Bundesarbeitsgemeinschaft Asyl in der Kirche". Und er
bietet regelmäßig Menschen in seinem Ordenshaus Schutz. Derzeit sind es drei
Menschen. Er bekommt aber deutlich mehr Anfragen, als er unterbringen kann.
"Wir bräuchten zwei- bis dreimal so viele Plätze", so Müller.
Kirchenasyl: Zahlen in Bayern deutlich gestiegen
Die Zahl der Kirchenasyle ist in Bayern in den vergangenen
zehn Jahren deutlich gestiegen. Nach Angabe der Ökumenischen
Bundesarbeitsgemeinschaft Asyl in der Kirche waren 2013 in Bayern 44 Menschen
im Kirchenasyl. 2022 waren es 379 Menschen. Und von Januar bis Juni dieses
Jahres verzeichnete das BAMF in Bayern 173 Kirchenasyl-Fälle.
Einer aktueller Fall ist der von Ibrahim Alassaf. Er lebt
seit sechs Monaten im Kirchenasyl in einer evangelischen Kirchengemeinde in
Regensburg. Seitdem hat der 25-Jährige das Kirchengelände nicht mehr verlassen.
Ibrahim Alassaf ist vor dem Krieg in Syrien geflohen, weil er Angst vor einer
Zwangsrekrutierung hatte. In Bulgarien, wo er europäischen Boden betreten hat,
wurde er von der Polizei verhaftet, so Alassaf. Er berichtet, er sei geschlagen
und getreten worden. Durch das Dublin-Abkommen droht ihm die Abschiebung zurück
nach Bulgarien. Er hofft, dass durch das Kirchenasyl sein Fall in Bayern
verhandelt wird und er in Deutschland ein Bleiberecht bekommt.
Wenig Fälle von Kirchenasyl in "sonstigen Kirchen"
Offiziell gibt es im deutschen Recht kein
niedergeschriebenes Kirchenasyl. Im Jahr 2015 hatten hochrangige Vertreter der
katholischen und evangelischen Kirche mit dem Bundesamt für Migration und
Flüchtlinge (BAMF) aber eine Vereinbarung zum Thema getroffen. Dass Gemeinden
anderer Religionen in Deutschland Menschen ein solches Asyl geboten haben, hat
es bislang seltener gegeben.
Von 2017 bis 2022 sind durch evangelische Kirchen in Bayern
laut Zahlen des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge 487 Fälle von
Kirchenasyl gemeldet worden. Von katholischen Kirchen waren es im selben
Zeitraum 569. Zum Vergleich: Von Institutionen sonstiger Glaubensrichtungen
sind es 71 gewesen. Dabei handelt es sich laut einer Sprecherin des BAMF
überwiegend um freikirchliche Kirchen. BR 30
Der Inflation Reduction Act sorgte für Spannungen zwischen
der EU und den USA. Doch Kooperationen bei Klimatechnologien würden beiden
Seiten helfen.
Vor einem Jahr überraschte der US-Senat die
Weltöffentlichkeit, als er sich in letzter Minute auf das umfassendste
Klimaschutzpaket der Geschichte einigte. Anfangs wurde der Inflation Reduction
Act (IRA) weltweit als Erfolgsmeldung begrüßt. Doch schon bald meldeten die
politischen Entscheidungsträger in Brüssel Bedenken gegen die „Buy
American“-Bestimmungen und Steueranreize für inländische Anbieter an und
kritisierten, das Gesetz führe zu Marktverzerrungen, verstoße gegen
WTO-Vereinbarungen und befördere ein „globales Race-to-the-bottom in der
Subventionspolitik“.
Heute, ein Jahr nach der Umsetzung des IRA, halten die
Spannungen noch immer an. Doch es gibt Anzeichen für eine Annäherung. Eine neue
transatlantische Task Force zum Inflation Reduction Act hat Zugeständnisse an
Europa ausgearbeitet. Unter anderem werden einige in der EU hergestellte
Batterieteile als im Inland produziert anerkannt und erfüllen damit die
Voraussetzungen für die Steuervergünstigungen im Rahmen des IRA. Während die EU
über ihre eigene grüne Industriestrategie nachdenkt, intensivieren die USA und
ihre europäischen Verbündeten ihre Zusammenarbeit bei einigen
Forschungsinitiativen und Technologiestandards. Bei ihrem betont
freundschaftlichen Treffen im März dieses Jahres erklärten
US-Präsident Joe Biden und die Präsidentin der Europäischen Kommission
Ursula von der Leyen gemeinsam: „Wir arbeiten gegen einen
Nullsummen-Wettbewerb, damit unsere Anreize den Einsatz sauberer Energien und
Arbeitsplätze maximieren – und nicht zu Gewinnmitnahmen für private
Interessenführen.“
Doch jenseits aller Rhetorik bleibt die Frage: Können die
USA und Europa den „Nullsummen-Wettbewerb“ in der sauberen Industrie überhaupt
beenden? In einer Zeit, in der umfangreiche neue Investitionen in
Klimatechnologien weltweit gebraucht werden und die USA und Europa ihre
Lieferketten diversifizieren und neue Technologien einsetzen müssen, kann die
Antwort nur ein „Ja“ sein. Der Wettbewerb um Subventionen und steuerliche
Anreize wird zwar weitergehen, aber es wird für die transatlantischen
Verbündeten immer dringlicher, eine substanzielle Partnerschaft in den
Bereichen Klimainnovation und Industrie aufzubauen.
Das zeigt schon ein Blick auf den Bedarf an neuen
Investitionen. Anfang 2023 hieß es in den Medien, mit neuen staatlichen
Anreizen und einem ganzen Schwung von Risikokapital-Finanzierungen ließe sich
die Klimatechnologie „rezessionssicher“ machen – und die Welt vielleicht in die
Lage versetzen, eine katastrophale Erwärmung zu verhindern. Die Fachwelt geht
inzwischen davon aus, dass die rund 400 Milliarden Dollar Klima-Investitionen
im Rahmen des IRA öffentliche und private Ausgaben in Höhe von 1,7 Billionen
Dollar nach sich ziehen werden. Dennoch machen die bisherigen staatlichen
Anreize und privaten Finanzierungen nur einen Bruchteil dessen aus, was es
braucht, um die technologischen Voraussetzungen für das Erreichen der Pariser
Klimaziele zu erfüllen.
In den USA und in Europa klafft eine große
Finanzierungslücke für Klimaschutz-Unternehmen, insbesondere in dem „tiefen
Tal“ zwischen Anfangsphase und Profitabilität. Die Bloomberg New Economy
Climate Technology Coalition geht davon aus, dass sich bis 2025 die
Investitionen in Klimatechnologien gegenüber 2021 verdreifachen und bis 2030
noch einmal verdoppeln werden – ganz zu schweigen von der eigentlichen Aufgabe,
neue Technologien einzuführen, einschließlich der Finanzierung von Energie- und
Infrastrukturprojekten und der Ausbildung von Arbeitskräften.
Auch sollten die USA und Europa ihre Partnerschaft festigen,
um gegen die sich abzeichnenden Herausforderungen in den transatlantischen
Beziehungen gewappnet zu sein. Erst kürzlich hat Europa den ersten
CO2-Grenzausgleichsmechanismus eingeführt – eine Steuer auf bestimmte
Importprodukte, die sich nach den mit ihrer Herstellung verbundenen
Kohlenstoffemissionen richtet. Die Biden-Regierung hat ein anderes Modell
vorgeschlagen – einen „Green Steel Club“ von Ländern, die emissionsintensive
Importe von Industriegütern mit Zöllen belegen. Beide Strategien werden bei der
Emissionsreduzierung zwar erheblich Vorteile mit sich bringen, aber die USA und
die EU müssen ihre Konzepte aufeinander abstimmen – andernfalls riskieren sie
ernsthafte Handelsspannungen, die letztlich den Herstellern
emissionsintensiverer Industrieprodukte in China und anderswo zugute kommen
könnten.
Es ist zwar erfreulich, dass die USA und Europa mittlerweile
Dialogplattformen für diese Themen eingerichtet haben, aber die
transatlantischen Verbündeten brauchen eine mutigere Agenda, wie sie ihre
Kräfte bündeln können, um den ökologischen Umbau zu beschleunigen.
Eine wichtige Möglichkeit, den Nullsummenwettbewerb zu
überwinden, ist die als Friendshoring bekannt gewordene Praxis, Lieferketten
auf Länder mit gemeinsamen Werten und Interessen auszudehnen. Willy Shih,
Professor an der Harvard Business School und Experte für Lieferketten,
beschreibt diese Logik als „die Erkenntnis, dass wir nicht alles selbst machen
können“. Zwischen den USA und Europa sowie anderen Partnern gibt es laufende
Gespräche über die Ausweitung des Friendshoring. Doch der Prozess steht erst am
Anfang. Die Länder müssen systematisch nachverfolgen, welche Verbündeten welche
kritischen Mineralien und andere Materialien liefern können, um den Übergang zu
sauberer Energie zu ermöglichen. Auf dieser Grundlage sollte dann analysiert
werden, wie man selektiv Subventionen und andere Anreize zum Aufbau von Lieferketten
ausweiten kann. Auf diese Weise lässt sich die Umstellung auf saubere Energie
beschleunigen – und gleichzeitig können Allianzen vertieft werden.
Die Technologie ist ein weiterer klarer Ansatzpunkt. Während
der EU-US-Handels- und Technologierat – ein 2021 gegründetes
Koordinierungsgremium – sich darum bemüht, die Forschungszusammenarbeit beider
Kontinente in der Klimatechnologie auszubauen, können die politischen
Entscheidungsträger noch mehr tun und gemeinsame Forschungslabors einrichten,
um die großen technologischen Herausforderungen für die Netto-Null-Umstellung
anzugehen. Die transatlantischen Verbündeten könnten beispielsweise neue
gemeinsame Exzellenzzentren einrichten, die sich konzentriert den großen
Aufgaben der Klimatechnologie widmen wie grünem Wasserstoff, Batteriespeichern,
Netzflexibilität, Kohlenstoffnutzung, Klimamodellierung und anderem.
Diese neuen Zentren können die verschiedenen Tools und
Fachkenntnisse der Länder nutzen, um die Forschung voranzutreiben und die
Risiken für private Investoren zu verringern. Dass solche internationalen
Partnerschaften in Wissenschaft und Technologie Allianzen stärken und
schnellere technische Problemlösungen liefern können, hat sich schon
verschiedentlich gezeigt. Zum Beispiel finanzieren und betreiben die USA und
die EU gemeinsam mit anderen Weltmächten den Internationalen Thermonuklearen
Versuchsreaktor (ITER), ein Megaprojekt der Fusionsforschung und -technik mit
Standort in Frankreich. Nach ähnlichem Muster wurde in den vergangenen
Jahrzehnten eine ganze Reihe von Projekten realisiert – vom CERN-Labor über die
Internationale Raumstation ISS bis zum Humangenomprojekt.
Innovationspartnerschaften können ein Einstieg in eine
breitere Zusammenarbeit sein. Der EU-US-Handels- und Technologierat ist dabei,
gemeinsame Standards für ein umweltfreundliches staatliches Beschaffungswesen
und eine bessere Ladeinfrastruktur für Elektrofahrzeuge zu erarbeiten. Auch
hier sollten die Regierungen allerdings noch einen Schritt weitergehen.
Beispielsweise könnten die USA und Europa in dringlichen Fragen des Einsatzes
sauberer Technologien voneinander lernen – unter anderem mit Blick auf
Strategien zur Förderung des Arbeitskräfteangebots (zum Beispiel
Lehrlingsausbildung), Finanzierungsstrategien wie grüne Banken oder auch bei
der Erteilung von Genehmigungen, der Regulierung von Versorgungsunternehmen und
beim wirtschaftlichen Umbau in Regionen, die sich von der fossilen
Energiewirtschaft verabschieden. Neben neuen Exzellenzzentren für die großen
Herausforderungen im Bereich der Klimatechnologie können die USA und Europa
neue Plattformen einrichten, um erfolgreiche Politikkonzepte auszutauschen und
sich gegenseitig technisch zu unterstützen – auch auf lokaler und regionaler
Regierungsebene.
Auf beiden Kontinenten werden aufgrund der innenpolitischen
Rahmenbedingungen natürlich auch künftig die Haushaltsmittel und politischen
Optionen begrenzt sein. Aber neue Kooperationen können – soweit möglich – auf
bestehende Einrichtungen und Finanzierungsmöglichkeiten zurückgreifen und gleichzeitig
frisches privates Geld mobilisieren. Auch wenn die Klimadebatten weiterhin sehr
kontrovers geführt werden, wächst das Interesse an Investitionen in
kohlenstoffarme Technologien über ideologische Grenzen hinweg – und sei es auch
nur wegen der unternehmerischen Begeisterung für Elektroautos oder aus
sicherheitspolitischen Erwägungen mit Blick auf China.
Im Zeitalter des IRA führt am Wettbewerb kein Weg vorbei.
Die Länder auf der anderen Seite des Atlantiks werden weiter um
Unternehmensinvestitionen konkurrieren, und die Unternehmen werden weiterhin
auf Subventionen drängen. Themen wie die CO2-Grenzsteuer werden auch künftig
eine Herausforderung darstellen, weil die USA im Gegensatz zur EU keine
nationale CO2-Bepreisung eingeführt haben. Trotzdem könnte ein Ausbau der
transatlantischen Partnerschaft in den Bereichen Innovation und Industrie viel
dazu beitragen, private Investitionen zu beschleunigen, technische Probleme zu
lösen und die anstehenden Aufgaben in gegenseitigem Vertrauen als gemeinsame Mission
anzugehen. Beim Übergang zur Netto-Null gibt es zwischen den transatlantischen
Verbündeten auf jeden Fall mehr Verbindendes als Trennendes. Justin Talbot
Zorn, IPG 1
Künstliche Intelligenz. Ataman: Gesetz sollte vor digitaler Diskriminierung schützen
Diskriminierung kann viele Ursachen haben: Vorurteile, Hass
oder schwache Gesetze. Die Antidiskriminierungsbeauftragte macht sich dafür
stark, Bürger auch gegen Benachteiligungen durch Künstliche Intelligenz zu
schützen. Ein Beispiel dafür gab es bereits in den Niederlanden.
Die Antidiskriminierungsbeauftragte des Bundes, Ferda
Ataman, fordert gesetzliche Regelungen zum Schutz vor Diskriminierung durch
digitalisierte Verfahren. „Digitalisierung, künstliche Intelligenz und
Algorithmen machen vieles leichter – leider auch Diskriminierung“, erklärte
Ataman am Mittwoch in Berlin. Die Bundesregierung müsse die geplante Reform des
Allgemeinen Gleichbehandlungsgesetzes (AGG) nutzen, um Menschen vor den Gefahren
digitaler Diskriminierung zu schützen, forderte die Beauftragte.
Künftig würden automatisierte Systeme oder Künstliche
Intelligenz immer häufiger Entscheidungen treffen, die für Menschen im Alltag
wichtig seien. Als Beispiele nannte Ataman Bewerbungen, Kredite, Versicherungen
oder staatliche Leistungen. Was auf den ersten Blick objektiv wirke, könne
tatsächlich aber Vorurteile und Stereotype verfestigen, warnte sie und stellte
ein Rechtsgutachten vor, das in der Fehleranfälligkeit automatisierter Entscheidungen
ein großes Problem sieht und vor „Diskriminierung durch Statistik“ warnt.
Der Studie zufolge hängt die Qualität automatisierter
Entscheidungen von den Daten ab, die in ein System eingespeist werden. Ob diese
fehlerfrei oder überhaupt geeignet sind, können die Menschen, über deren
Anträge entschieden wird, nicht nachvollziehen – und die Anwender der Programme
in der Regel auch nicht. Menschen müssten aber darauf vertrauen können, dass
sie durch Künstliche Intelligenz (KI) nicht benachteiligt werden, forderte
Ataman, „und sich wehren können, wenn es doch passiert.“
Diskriminierender Algorithmus in den Niederlanden
Beispiel aus anderen Ländern zeigten, was passieren könne.
In den Niederlanden wurden Ataman zufolge 20.000 Eltern zu Unrecht und unter
Strafandrohungen aufgefordert, Kindergeld zurückzuzahlen. Mitverantwortlich war
ein diskriminierender Algorithmus in der Software: Betroffen waren vor allem
Eltern mit Migrationshintergrund. Sie wurden als Betrüger dargestellt und
sollten teils Zehntausende von Euro zurückzahlen.
Info & Download: Das Rechtsgutachten "Automatisch
benachteiligt - Das Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz und der Schutz vor
Diskriminierung durch algorithmische Entscheidungssysteme" kann kostenfrei
heruntergeladen werden.
Um den Download-Link zu sehen, loggen Sie sich bitte über
Steady ein. Falls Sie MiGAZIN noch nicht abonniert haben, können Sie sich hier
anmelden.
Ataman forderte, das „Handeln durch automatisierte
Entscheidungssysteme“ als Benachteiligung in das Antidiskriminierungsgesetz
aufzunehmen. Betreiber von KI-Systemen müssten verpflichtet werden, Auskunft
über die genutzten Daten und die Funktionsweise ihrer Systeme zu geben und im
Zweifelsfall vor Gericht beweisen, dass dies nicht zu Benachteiligungen führe.
Heute ist es so, dass Betroffene, die vor Gericht ziehen, die Diskriminierung
ihrerseits nachweisen müssen. (epd/mig 31)
Fachkräftemangel: Wie kleine und mittlere Unternehmen von Robotik und Automation profitieren
Frankfurt am Main – Der Mangel an Arbeitskräften hat sich
für kleine und mittlere Unternehmen (KMU) in den OECD-Ländern zu einer der
größten Herausforderungen entwickelt. Das verarbeitende Gewerbe verzeichnet
derzeit einen Rekord an unbesetzten Stellen. Angesichts dieser Entwicklung
beschleunigen KMU die Automation: Die Firmen setzen auf Roboter, die sich
aufgrund des technischen Fortschritts deutlich einfacher installieren und
bedienen lassen. Mit der neuen Online-Plattform Go4Robotics bietet die
International Federation of Robotics den KMU-Entscheidern ein unabhängiges
Informationsangebot für ihre Automatisierungsreise an.
„Der Mangel an qualifizierten Arbeitskräften ist heute in
zahlreichen Ländern ein starker Treiber für die Automation", sagt Dr.
Susanne Bieller, Generalsekretärin der IFR. „Wie jüngste EU-Statistiken zeigen,
haben drei Viertel der Unternehmen in Europa ein Problem, Arbeitskräfte mit den
erforderlichen Qualifikationen zu finden."
Roboter steigern Arbeitgeber-Attraktivität
Viele junge Menschen würden sich für ein Unternehmen als
Arbeitgeber entscheiden, das Zukunftstechnologien einsetzt. Roboter in der
Werkhalle zu programmieren ist eine neue Jobqualifizierung, mit der ein
Arbeitgeber bei potenziellen Beschäftigten an Attraktivität gewinnt – häufig
ein entscheidender Faktor für die Stellenwahl. Da Roboter häufig die vier
besonders belastenden Tätigkeiten von repetitiver, schmutziger, gefährlicher
und körperlich belastender Arbeit übernehmen, steht deren Einsatz hoch im Kurs.
Die Mitarbeiter haben insgesamt mehr Zeit, sich interessanteren Aufgaben zu
widmen.
KMU lernen den Umgang mit Robotern
Die neue Online-Plattform Go4Robotics der IFR erklärt die
vielfältigen Anwendungs-möglichkeiten der Robotik. Kleine und mittlere
Unternehmen finden schrittweise Anleitungen und Checklisten. Experten räumen mit
Mythen auf und adressieren Wirtschaftssegmente, die relativ neu in der
Automatisierung sind. Manager erfahren, wie sie von neuen Trends, wie leicht zu
programmierenden Robotern für Nicht-Experten, profitieren können.
Über Go4Robotics von IFR
Die International Federation of Robotics (IFR) ist eine
nicht gewinnorientierte Organisation, die es sich zur Aufgabe gemacht hat, den
Einsatz von Robotern zu fördern, um gesellschaftliche Herausforderungen zu
bewältigen und die Lebensqualität für alle zu verbessern. Unsere Vision ist,
dass die Robotik verschiedene Branchen revolutionieren und eine bessere Zukunft
für alle schaffen wird. Mit fast 100 institutionellen Mitgliedern aus mehr als
20 Ländern, vertritt die IFR über 3000 Robotik-Organisationen weltweit und bietet
wir einen umfassenden Überblick über die Welt der Robotik in verschiedenen
Branchen und Ländern. Mit unserer Go4Robotics-Kampagne wollen wir Anfängern
leicht zugängliche und verständliche Informationen und Experten tiefere
Einblicke in Trends und Innovationen in der Robotikbranche bieten.
HOMEPAGE Go4Robotics: https://go4robotics.com/ IFR
31Vor 40 Jahren
Tod von Kemal Altun war Auslöser für Kirchenasyl
Vor 40 Jahren stürzte sich Camal Kemal Altun aus Angst vor
einer Abschiebung aus dem Fenster eines Berliner Gerichts in den Tod. Das war
der Auslöser für die ersten Kirchenasyle. Mit einer Kranzniederlegung und einer
zweitägigen Tagung wurde daran erinnert.
Mit einer Kranzniederlegung ist am Mittwoch in Berlin an den
Tod des türkischen Asylbewerbers Cemal Kemal Altun vor 40 Jahren erinnert
worden. An der Gedenkveranstaltung nahm auch der evangelische Berliner Bischof
Christian Stäblein teil. Der 23-jährige Altun hatte sich am 30. August 1983 aus
Angst vor einer Auslieferung in die Türkei aus dem Fenster eines Berliner
Gerichts gestürzt. Sein Tod war Auslöser für die ersten Kirchenasyle.
Stäblein erklärte, Gotteshäuser seien der älteste Schutzraum
für Menschen, die auf der Flucht sind und um ihr Leben ringen. Kirchenasyle
gebe es unter anderem, weil nicht in allen Ländern Asylverfahren gleich gut
funktionieren. Asyl in der Kirche stehe für Menschen ein, die in Not, Leid und
Traumatisierung einen Weg der Anerkennung suchen.
Asyl unveräußerlich
Der Bischof der Evangelischen Kirche
Berlin-Brandenburg-schlesische Oberlausitz dankte allen, die sich in den
vergangenen 40 Jahren dafür eingesetzt haben. „Sie leisten einen Dienst für die
Humanität und das menschliche Gesicht unserer Gesellschaft“, sagte Stäblein,
der auch Flüchtlingsbeauftragter der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD)
ist.
Unter Hinweis auf vermehrte Forderungen nach Aufweichung des
Asylrechts sagte er, dieses sei ein unveräußerliches Menschenrecht: „Es ist nur
als Individualrecht vorstellbar.“ Unter anderem hat der Parlamentarische
Geschäftsführer der Unionsfraktion im Bundestag, Thorsten Frei (CDU), angeregt,
das Recht auf Asyl durch Kontingentlösungen zu ersetzen.
„Wissen aus unserer eigenen Geschichte“
Bei Asylverfahren gehe es um Menschen, betonte der Bischof
am Mittwoch im RBB-Inforadio: „Wir wissen aus unserer eigenen Geschichte,
dieses ist ein individuelles Recht und kann nur so gelebt werden, dass jeder
unvertretbar einzeln sein Recht bekommt.“
Anlässlich Altuns 40. Todestag befasste sich von Mittwoch an
in der Berliner Heilig-Kreuz-Kirche eine zweitägige Tagung mit dem Thema
Kirchenasyl. Dabei geht es laut Veranstaltern mit Vertretern aus Kirchen,
Politik und Verwaltung um Veränderungen im Verständnis und in der Praxis des
Kirchenasyls.
Juristin: Asylverfahren nicht einheitlich
Die Juristin Cecilia Juretzka vom Verein Asyl in der Kirche
Berlin-Brandenburg sagte am Mittwoch im RBB-Inforadio, oft sei von Abschiebung
bedrohten Menschen nicht klar, dass sie noch Rechtsmittel einlegen könnten.
Kirchenasyl käme in Betracht, wenn „eine besondere Härte vorliegt“. Die
wichtigsten Herkunftsländer der Menschen, die sich um Kirchenasyl bemühen,
seien derzeit Syrien, Afghanistan, Iran, Irak, Russland und die Türkei.
Laut Juretzka gehen die Asylverfahren nach der
Dublin-Verordnung nicht mit einheitlichen Schutzstandards einher. Die einzelnen
Länder seien zwar an die Genfer Flüchtlingskonvention und die Europäische
Menschenrechtskonvention gebunden. In der Praxis seien diese Regelungen aber
auslegungsbedürftig. Das führe dazu, dass Menschen, die nach dem deutschen
Rechtssystem Anspruch auf Asyl haben, in Staaten abgeschoben werden, in denen
sie praktisch keine Chance auf Anerkennung haben. So sei der Umgang mit
Geflüchteten in osteuropäischen Staaten häufig nicht mit deutschen
Menschenrechtsstandards vereinbar.
(epd/mig 31)
Kabinett beschließt Gesetz. Einbürgerungen sollen künftig schneller möglich sein
Deutschland orientiert sich bei der Einbürgerung an den USA
und Frankreich: Die Wartezeit von bislang acht Jahren soll künftig auf fünf
Jahre verkürzt werden. Der Doppelpass wird erlaubt. Die Lebensleistung von
„Gastarbeitern“ wird anerkannt. Die Antidiskriminierungsbeauftragte sieht
weiter Nachbesserungsbedarf.
Der deutsche Pass soll künftig schneller und leichter zu
bekommen sein. Das Bundeskabinett brachte am Mittwoch in Berlin einen
Gesetzentwurf auf den Weg, der die Wartezeit für eine Einbürgerung von acht auf
fünf Jahre verkürzt und die Mehrstaatigkeit zulässt. Wer antisemitisch,
rassistisch oder in irgendeiner Form menschenverachtend handelt, hat die Chance
vertan, eingebürgert zu werden. Kritik gibt es vor allem daran, dass
Alleinerziehende oder Menschen mit Behinderungen häufig die Voraussetzungen nicht
erfüllen könnten.
Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) sagte, „die Reform
ist ein Bekenntnis zu einem modernen Deutschland“. Es sei „allerhöchste Zeit“.
Deutschland könne den weltweiten Wettbewerb um die besten Köpfe nur gewinnen,
„wenn sie in absehbarer Zeit voll und ganz Teil unserer Gesellschaft werden
können“. Zugleich betonte Faeser: „Rassismus, Antisemitismus oder jede andere
Form von Menschenfeindlichkeit stehen einer Einbürgerung entgegen – da gibt es
keinerlei Toleranz.“
Voraussetzungen: Integration, Sprache, Geld
Voraussetzung für die Einbürgerung sind neben der gelungenen
Integration auch gute Deutschkenntnisse sowie die eigenständige Sicherung des
Lebensunterhaltes. Wer besonders gut integriert ist, kann bereits nach drei
Jahren eingebürgert werden. Faeser nannte als Beispiele den KI-Professor, der
das Land voranbringe, oder die Frau, die sich bei der freiwilligen Feuerwehr
engagiere.
Für Alleinerziehende oder Menschen mit Behinderung, die auf
Unterstützung vom Staat angewiesen sind, können Ausnahmeregelungen greifen.
Faeser betonte aber, dass ein Anspruch auf Einbürgerung nur dann bestehen soll,
wenn die Personen ihren Lebensunterhalt für sich und ihre Familie selbst
erarbeiten. Für Härtefälle gebe es die Ermessenseinbürgerung.
Beauftragte fordert Nachbesserungen
Hier fordert die unabhängige Antidiskriminierungsbeauftragte
des Bundes, Ferda Ataman, Nachbesserungen ebenso wie die Diakonie,
Flüchtlingsorganisationen und Grünen-Abgeordnete. Die Diakonie-Vorständin
Sozialpolitik, Maria Loheide, warnte, „dadurch werden Alleinerziehende,
pflegende Angehörige, Menschen mit Behinderung sowie kranke und alte Menschen
von der Einbürgerung weitgehend ausgeschlossen“. Die Grünen-Rechtspolitikerin
Canan Bayram sprach von „Schwächen“ im Entwurf.
In Deutschland geborene Kinder ausländischer Eltern erhalten
den Plänen zufolge indes vorbehaltlos den deutschen Pass und dürfen
gleichzeitig die Staatsangehörigkeit ihrer Eltern behalten, wenn mindestens ein
Elternteil seit mehr als fünf Jahren rechtmäßig in Deutschland lebt und ein
unbefristetes Aufenthaltsrecht besitzt. Komplizierter ist es für Kinder, wo die
Staatsangehörigkeit der Eltern ungeklärt ist. Hier muss laut Faeser zunächst
alles dafür getan werden, um die Staatsbürgerschaft zu klären.
Lebensleistung der „Gastarbeiter“
Ferner hob die Ministerin die Lebensleistung der sogenannten
Gastarbeiter hervor, die bis 1974 in Westdeutschland eingereist sind sowie der
sogenannten DDR-Vertragsarbeiter, die bis 1990 nach Ostdeutschland kamen. Für
sie soll die Schwelle zur Einbürgerung niedriger sein als für alle anderen.
Faeser sprach von einem „späten Dank“ an die Gruppe von Menschen, die
Deutschland jahrzehntelang mit aufgebaut hätten.
Das Gesetz könnte theoretisch bereits im kommenden Januar in
Kraft treten. Hier habe aber der Bundestag das Prä, sagte Faeser. Da das
Regelwerk der Ministerin zufolge nicht zustimmungspflichtig ist, kann der
Bundesrat zwar Einspruch einlegen, das Gesetz aber nicht blockieren. Aus der
Union gibt es insbesondere Kritik an „Turbo-Einbürgerungen“ nach drei Jahren
angesichts der wegen gestiegener Zuwanderungszahlen überforderten Kommunen.
(epd/mig 24.8.)
Seit 2012 sanken die Scheidungen kontinuierlich
„Wer heute noch heiratet und
Kinder in die Welt setzt bei solchen Scheidungsgesetzen, dem kann man nicht
helfen“, warnt ein ISUV-Mitglied. Die Warnung wird in den Wind geschlagen. Die
Zahlen des Statistischen Bundesamtes belegen, man traut sich wieder. Im
Jahre 2022 gab es 5400 Scheidungen weniger. Das liegt im Trend, denn seit
2012 sanken die Scheidungen kontinuierlich. Schon seit Jahren ist dieser
Trend ungebrochen. Im Durchschnitt halten es die Partner 15 Jahre zusammen aus,
von Jahr zu Jahr immer ein wenig länger, auch der Trend ist ungebrochen.
Weltweit betrachtet liegt die Scheidungsquote in Deutschland im
Durchschnitt. Die eigentliche Überraschung ist der kräftige Anstieg der
Eheschließungen um 9,2 Prozent, in Zahlen 33 000 Paare sagten JA. „Leider ohne
Ehevertrag, es wird mehr geheiratet, was hoffentlich in zehn Jahren nicht zu
einer entsprechenden Zunahme von Trennungen führt. Was im Vordergrund stehen
sollte, sind die 115.800 betroffenen minderjährigen Kinder. Ihnen muss Mutter
und Vater erhalten bleiben. Das muss das primäre Ziel von Kindergrundsicherung
und Unterhaltsreform sein“, hebt die ISUV-Vorsitzende Melanie Ulbrich
hervor.
Gefragt: Evaluationsstudien
Der Verband fordert, dass
Auswirkungen der Scheidung oder Trennung der Eltern auf die Kinder statistisch
nachverfolgt werden sollten. Vor allem folgende Fragen sollten statistisch
solide beantwortet werden:
* Wie viele Kinder verlieren
nach einem, nach zwei oder drei Jahren einen Elternteil?
* Wie alt sind die
Kinder?
* Wie viele Eltern bleiben
weiterhin gemeinsam Eltern – Trennungsfamilie?
* Welches Modell setzt sich
nach einem Jahr durch, das Residenzmodell, das asymmetrische oder das
symmetrische Wechselmodell?
* Welches Modell wird fünf
Jahre später praktiziert?
„Es werden in diesem
Zusammenhang sehr viele und sehr unterschiedliche Zahlen genannt, je nach
Standpunkt des jeweiligen Betroffenen. Die Reformvorhaben Kindergrundsicherung
und Reform des Unterhaltsrechts sollten entsprechende solide quantitative und
qualitative Evaluationsstudien nach sich ziehen, die entsprechende Zahlen
liefern“, fordert Ulbrich.
Kind und Knete
Im wohlklingenden Narrativ
geht es immer ums Kindeswohl. Faktisch geht es aber immer beiden Seiten auch um
die Knete, den Kindesunterhalt. Der ist hoch und bessert das Haushaltseinkommen
erheblich auf. Das zeigt sich, wenn man die Haushaltseinkommen beider
Elternteile vergleicht.
Wer das Kind mehr als 50
Prozent der Betreuungszeit hat, hat Anspruch auf Kindesunterhalt. „Wir hoffen,
dass die von Justizminister Buschmann angestoßene Reform Leitplanken zieht, die
Kindern und beiden Elternteilen hilft, sich einvernehmlich zu trennen,
Trennungsfamilie zu bleiben.“ (Ulbrich)
Der Kampf ums Kind löst im
Einzelfall verschiedene Verfahren aus. Es geht um das
Aufenthaltsbestimmungsrecht, den Umgang, um elterliche Sorge, um gelebte
gemeinsame Elternschaft, um getrennt, aber gemeinsam erziehen. „Die Zunahme
dieser Verfahren hat viel mit dem Wandel der Vaterrolle zu tun, rührige Väter
wollen sich nicht mehr einfach entsorgen lassen, nur Zahlväter sein. Damit tun
sich manchmal noch Mütter schwer, die Kindererziehung, das soll ihre Domäne
bleiben“, sagt Ulbrich.
Vereinbarungen statt
„Beschlüsse“
Können oder wollen sich
Eltern nicht einigen, dann entscheidet über Umgang, elterliche Sorge,
Aufenthaltsbestimmungsrecht das Familiengericht, das sich in der Regel daran
hält, was Gutachter, Verfahrenspfleger, Jugendamt eruiert haben. „Es handelt
sich um eine fremdbestimmte Regelung. Wir unterstützen unsere Mitglieder
gemeinsam selbstbestimmt eine Lösung im Sinne des Kindeswohls zu finden.
Tatsächlich sind es überraschend viele Eltern, die dazu nach gutem
respektvollem Zureden bereit sind. Entscheiden die Experten übers Kindeswohl,
dann bleiben nicht selten verbitterte Scheidungsopfer – ein Elternteil und die
Kinder – zurück“, meint Ulbrich.
Nichteheliche Lebensgemeinschaften
In der Statistik werden die
Trennungen von nichtehelichen Lebensgemeinschaften nicht erfasst. „Hohes
Konfliktpotential haben diese Trennungen, wenn kleine Kinder involviert sind,
dem Vater der Umgang verweigert wird und die Mutter zum Kindesunterhalt noch
Betreuungsunterhalt fordert. Dieses Konfliktfeld hat erheblich zugenommen
entsprechend der Zunahme von nichtehelichen Lebensgemeinschaften“, stellt
Ulbrich schon seit Jahren fest. Väter nicht in der Ehe geborener Kinder haben
da schlechte Karten, wenn die Mutter nicht will. „Allerdings drängen manche
Jugendämter inzwischen auch da Umgang und möglichst auch Betreuung zuzulassen“,
sagt Ulbrich.
Der Verband sieht
Reformbedarf, nicht nur der Betreuungsunterhalt der Mütter – was ja die Reform
Buschmanns vorsieht - darf aufgebessert werden, sondern auch das Sorgerecht der
Väter muss reformiert werden. Der Verband fordert für nichtverheiratete Väter
und ihre Kinder gemeinsame elterliche Sorge ab Geburt und Feststehen der
Vaterschaft. Isuv 15