Webgiornale 16 giugno – 30 settembre 2025

Buon periodo estivo

Inhaltsverzeichnis

1.     Per gli aggiornamenti: 1

2.     Raggiunto record di un milione e 300mila sfollati. Si lotta per sopravvivere. 1

3.     Commissione Ue: Semestre europeo, sfide economiche e sociali 1

4.     Trasporto aereo, in arrivo le nuove regole Ue: cosa cambia per i passeggeri 1

5.     Referendum e partecipazione. Quorum non raggiunto. 1

6.     Cgie Germania: campagna per rivedere la legge sulla cittadinanza. 1

7.     Scrive alla SPD per chiedere più inclusione e rappresentanza per gli italiani in Germania. 1

8.     A Berlino il punto sulla comunità italiana in Germania. 1

9.     Francoforte. La Festa della Repubblica al Consolato. 1

10.  Monaco di Baviera. Visit Emilia alla Festa della Repubblica Italiana. 1

11.  Berlino. L’Italia che innova: in Ambasciata la Festa della Repubblica. 1

12.  Cosmo italiano. I temi delle ultime puntate. 1

13.  Brevi di politica e cronaca tedesca. 1

14.  Moda femminile in Germania. L’affermazione di Elisabetta Migliaccio di Weilheim/Stoccarda. 1

15.  Maci (Comites Saar): siamo il ponte che lega la madrepatria al resto del mondo. 1

16.  Amburgo. Conferenza sull’UE “alla luce dei cambiamenti geopolitici” (18 giugno) 1

17.  La Collezione Farnesina a Berlino: prima tappa per “Identità oltre confine”. 1

18.  La piattaforma Orizzonti per informare sul sistema scolastico in Germania. 1

19.  Mostra fotografica “Va Pensiero” all’IIC di Amburgo dal 19 giugno. 1

20.  A Berlino il 19 giugno “Sfioramoci”, serata dedicata al cantautore Benvegnú. 1

21.  Offenbach. CGIL Bildungswerk e.V. non farà più corsi di lingua e cultura italiana in Germania. 1

22.  Hannover. In Consolato la mostra fotografica “Roma si sveglia”. 1

23.  "Negativo è Positivo": a Saarbrücken la prima mostra in Germania di Mario Vetere. 1

24.  La piattaforma “Non sei sola”, per aiutare le donne italiane vittime di violenza in Germania. 1

25.  La Festa della Repubblica a Friburgo. 1

26.  Festa della Repubblica: attuare la Costituzione, guardare avanti 1

27.  Videomessaggio ai connazionali all’estero del Ministro Tajani 1

28.  Le buone notizie da Kyiv. 1

29.  Come stiamo?. 1

30.  Reddito minimo in Europa: un percorso di dignità. 1

31.  Né giustizia né pace: l’inganno della forza e la fragilità della Repubblica". 1

32.  Indossiamo molte maschere. Un viaggio verso Sé stessi senza maschera. 1

33.  Decreto Cittadinanza. Non si placa l’indignazione. 1

34.  Il ruolo strategico del Friuli-Venezia Giulia nell’integrazione europea. 1

35.  Corsi e ricorsi 1

36.  Confini e connessioni: transizioni e geografie politiche in trasformazione. 1

37.  Decreto sulla cittadinanza: il Decreto della Vergogna! 1

38.  UE alla prova. 1

39.  Migranti, Corte europea diritti dell'uomo dà ragione a Italia su respingimenti Libia. 1

40.  Stranieri alle porte: panico indotto da narrazioni allarmistiche. 1

41.  Insediata la Consulta dei lombardi nel mondo. 1

42.  L’Associazione Bellunesi nel Mondo rilancia la sua missione nel mondo. 1

43.  DGIT, Riunione del Tavolo Tecnico di Coordinamento sul Turismo delle Radici 1

44.  Cgie, Assemblea Plenaria a Roma dal 16 al 20 giugno. 1

 

 

1.     Frontex-Zahlen. „Irreguläre“ Migration in die EU geht erneut deutlich zurück. 1

2.     Ausgaben für Atomwaffen überschreiten 100 Milliarden Dollar in 2024. 1

3.     UNHCR: Über 122 Millionen Menschen auf der Flucht 1

4.     Manifester Unsinn. 1

5.     Pizzaballa zu Gaza: Situation weiter katastrophal und unmenschlich. 1

6.     Neue Bundesregierung: Deutsche erwarten Rückschritte in den Bereichen Klima, Rente und Wohnen. 1

7.     „Alarmierendes Bild“. Jahresbericht: 644 antimuslimische Vorfälle erfasst 1

8.     ifo Institut hebt Wachstumsprognose an. 1

9.     EU-Grundrechteagentur. Immer mehr Menschenrechtsverletzungen in Europa. 1

10.  Studie. Mehr Einwanderung entlastet den Sozialstaat. 1

11.  Auf dem Weg in die Autokratie. 1

12.  Im Namen des Staates – gegen das Recht?. 1

13.  Jahresbericht. Juden in Deutschland unter Druck: Rias meldet 8.600 Vorfälle. 1

14.  Die Illusion vom Frieden. 1

15.  Fachkräftemangel im Mittelstand: Wie KMU typische Führungsfehler vermeiden und so Kündigungen vorbeugen. 1

16.  „Asylwende“. Kabinett beschließt weitere Beschränkungen für Geflüchtete. 1

17.  Ein Viertel der Unternehmen rechnet mit Stellenabbau durch Künstliche Intelligenz. 1

18.  Antidiskriminierungsstelle des Bundes (ADS)-Jahresbericht. 1

19.  Deutsche Friedensinstitute: „Schlecht bestellt“ um den Frieden. 1

20.  Operation Startup. 1

21.  Gericht: Zurückweisung von Asylsuchenden an Grenze ist rechtswidrig. 1

22.  Wenn Gaza ins Klassenzimmer kommt 1

23.  Trumps Zollpolitik schadet US-Wirtschaft. 1

24.  Sudan: Humanitäre Krise verschärft sich. 1

 

 

 

Per gli aggiornamenti:

 www.corriereditalia.de;  https://comunicazioneinform.it;  https://www.aise.it;  https://ambberlino.esteri.it/it; https://www.adnkronos.com;

 

 

 

Raggiunto record di un milione e 300mila sfollati. Si lotta per sopravvivere

 

Un numero record di quasi 1,3 milioni di persone si è spostato in cerca di sicurezza, dopo essere fuggito dalla violenza delle bande che operano ad Haiti. Lo ha riferito ieri l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), che ha esortato la comunità internazionale a sostenere la necessaria assistenza e ad affrontare le cause alla radice di questa violenza. Il numero di sfollati, che segna un aumento del 24% dallo scorso dicembre ad oggi, è il più alto mai registrato nella storia di Haiti. Sempre ieri, Save the Children ha denunciato che circa un minore su sei è attualmente sfollato a causa della violenza.

Amy Pope, direttrice generale dell’Oim, ha ricordato che i numeri non sono solo dati, ma bambini, anziani, madri, persone di ogni tipo che in alcuni casi hanno dovuto abbandonare le loro case in più di un’occasione, “spesso con solo i vestiti che indossavano, e che ora vivono in condizioni che non sono né sicure né sostenibili”. L’epicentro della violenza delle bande rimane Port-au-Prince, la capitale; tuttavia, questi gruppi criminali si stanno espandendo sempre più nel resto del territorio haitiano. L’Oim ha riferito che centinaia di migliaia di abitanti dei dipartimenti Centro e Artibonite si rifugiano ora in alloggi precari, perché la violenza li ha costretti a fuggire dalle loro comunità; si tratta di oltre 147.000 e almeno 92.000 persone, rispettivamente. Nel nord del Paese il numero di sfollati è aumentato dell’80%.

Questa popolazione non ha accesso ai servizi sanitari, alle scuole e all’acqua potabile; le famiglie che già si trovavano in una situazione di vulnerabilità ora lottano per sopravvivere. L’agenzia delle Nazioni Unite ha precisato che i siti spontanei che ospitano gli sfollati sono aumentati da 142 a 246 a partire da dicembre. Sir 12

 

 

 

 

Commissione Ue: Semestre europeo, sfide economiche e sociali

 

La Commissione europea ha reso noto oggi il pacchetto di primavera del Semestre europeo 2025, il quale analizza le principali sfide economiche e sociali in tutta l’Ue e “offre orientamenti strategici agli Stati membri al fine di rafforzare la competitività, la prosperità e la resilienza”. A tal fine, il documento include raccomandazioni specifiche per Paese e “promuove riforme e investimenti in linea con queste priorità dell’Ue”. La Commissione tiene a precisare che “gli orientamenti politici presentati si collocano in un contesto commerciale e di sicurezza particolarmente volatile”. Il pacchetto odierno segna anche la prima valutazione dei progressi compiuti dagli Stati membri nell’ambito del quadro di governance economica riveduto e dei loro piani strutturali di bilancio. “Nel contesto delle crescenti sfide in materia di sicurezza, per la prima volta si ricorre anche alla clausola di salvaguardia nazionale prevista dal patto di stabilità e crescita”. L’obiettivo della clausola è “facilitare la transizione verso livelli più elevati di spesa per la difesa, salvaguardando nel contempo la sostenibilità di bilancio”. Valdis Dombrovskis, commissario per l’economia, commenta: “Le priorità del pacchetto di primavera di quest’anno possono essere riassunte in due parole: competitività e sicurezza. In effetti, questo ci riporta alle basi del progetto europeo: pace e prosperità. Sebbene l’obiettivo principale del semestre europeo rimanga la sostenibilità di bilancio e la stabilità macroeconomica, esso è anche un meccanismo fondamentale per coordinare la nostra spinta comune a favore della competitività, della sicurezza, della resilienza e della prosperità sostenibile”.

Il pacchetto del Semestre europeo, documento economico e orientativo della Commissione, comprende le relazioni per Paese che valutano gli sviluppi economici, occupazionali e sociali in ciascuno Stato membro, in linea con le priorità stabilite nella bussola per la competitività. Gli Stati membri, spiega la Commissione, “sono incoraggiati a rafforzare la loro competitività colmando il divario in materia di innovazione, promuovendo la decarbonizzazione in linea con il patto per l’industria pulita, riducendo le dipendenze eccessive, aumentando la sicurezza e la resilienza, anche sviluppando capacità di difesa e promuovendo competenze e posti di lavoro di qualità, garantendo nel contempo l’equità sociale”. Le relazioni per Paese di quest’anno fanno inoltre il punto sull’attuazione dei piani per la ripresa e la resilienza (Pnrr) e dei programmi della politica di coesione.

“Con la fine del dispositivo per la ripresa e la resilienza nel 2026, un’attuazione rapida e mirata è essenziale – si spiega – e la maggior parte degli Stati membri deve accelerare i progressi. “Il Semestre europeo è alla base di un approccio più integrato delle politiche economiche degli Stati membri”, afferma Stéphane Séjourné, vicepresidente esecutivo della Commissione. “La Commissione è determinata ad approfondire la nostra integrazione del mercato unico e a coordinare gli sforzi collettivi per la competitività. Le raccomandazioni di quest’anno sono la continuità del nostro programma di riforme e mirano a incoraggiare gli Stati membri nel loro impegno a favore di una maggiore innovazione, di industrie più decarbonizzate e di una maggiore autonomia strategica”.

 

Politica di bilancio, comprese le riforme volte ad aumentare l’efficacia della politica fiscale e della spesa pubblica; attuazione dei programmi del Pnrr e della politica di coesione; sfide strutturali in sospeso o emergenti, incentrate sulla bussola per la competitività. Sono i tre settori chiave su cui si concentrano le raccomandazioni specifiche per Paese contenute nel pacchetto del Semestre europeo svelato oggi dalla Commissione. Con una particolarità: il pacchetto di quest’anno sottolinea la “flessibilità del quadro rivisto per rispondere a sfide impreviste”. Nell’ambito del piano ReArm Europe/Readiness 2030 presentato nel marzo 2025, la Commissione ha dunque proposto di attivare la clausola di salvaguardia nazionale, “consentendo agli Stati membri di superare temporaneamente i tassi massimi di crescita della spesa netta per stimolare la spesa per la difesa. Su richiesta di 16 Stati membri (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia), la Commissione ha adottato oggi raccomandazioni al Consiglio per l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale per i Paesi interessati.

Per quanto riguarda gli Stati membri soggetti alla procedura per i disavanzi eccessivi (Pde), la Commissione “ritiene che per Francia, Italia, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia non sia necessario adottare ulteriori misure nell’ambito della Pde per questi Paesi in questa fase”. Per il Belgio la Commissione ha invece raccomandato un nuovo percorso correttivo. Al contrario, la crescita della spesa netta della Romania è “significativamente al di sopra del massimale fissato dal suo percorso correttivo, con evidenti rischi di correggere il disavanzo eccessivo entro il 2030”. La Commissione ha inoltre valutato i progressi compiuti nell’attuazione dei piani a medio termine di 18 Stati membri. 12 Stati membri (Austria, Bulgaria, Croazia, Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Svezia) sono “ritenuti conformi” alla crescita massima della spesa netta raccomandata, tenendo conto della flessibilità prevista dalla clausola di salvaguardia nazionale, se del caso. Il Portogallo e la Spagna sono sostanzialmente conformi, con deviazioni limitate dai percorsi raccomandati. Tuttavia, per Cipro, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi, la Commissione ravvisa un rischio di deviazione dai tassi massimi di crescita raccomandati fissati dal Consiglio.

 

La Commissione ha valutato l’esistenza di squilibri macroeconomici nei 10 Stati membri selezionati per gli esami approfonditi nell’ambito della relazione 2025 sul meccanismo di allerta. “Mentre gli andamenti economici dell’ultimo anno hanno contribuito ad attenuare alcuni squilibri in diversi Stati membri, la crescente incertezza nel mutevole contesto commerciale sta aggravando i rischi”, è l’annotazione della Commissione. L’Estonia non presenta squilibri in quanto “le vulnerabilità relative al deterioramento della competitività di prezzo e di costo e ai prezzi delle abitazioni sembrano attualmente contenute”. Cipro è riclassificato come “Paese che non presenta squilibri”, in quanto “le vulnerabilità legate al debito estero e privato stanno diminuendo”. La Germania è inoltre riclassificata come Paese che non presenta squilibri, in quanto “le vulnerabilità connesse all’ampio avanzo delle partite correnti sono diminuite nel corso degli anni e sono stati recentemente annunciati progressi significativi sul piano delle politiche”. Ungheria, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Slovacchia e Svezia continuano invece a presentare squilibri, in quanto le loro vulnerabilità “rimangono complessivamente rilevanti”. La Romania presenta squilibri eccessivi a causa dell’ampliamento dei disavanzi di bilancio e delle partite correnti.

Nell’ambito del Semestre europeo 2025, la Commissione propone orientamenti aggiornati per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione, nell’ambito della convergenza sociale (qualità ed equità sociale). “L’istruzione è fondamentale per disporre di una forza lavoro qualificata e, soprattutto, rafforza anche società sane e democrazie funzionanti”, vi si legge. Gianni Borsa, sir 4

 

 

 

 

 

Trasporto aereo, in arrivo le nuove regole Ue: cosa cambia per i passeggeri

 

Meno risarcimenti ma più assistenza: le nuove regole sui diritti di chi vola

C’è un vento di cambiamento nei cieli europei, ma non senza controversie. Dopo oltre vent’anni di regole ferme, il Consiglio europeo ha approvato una bozza che riscrive i diritti dei passeggeri aerei, un dossier storico che rischia però di penalizzare chi subisce ritardi e disagi. Il nodo più controverso riguarda il criterio per ottenere un risarcimento economico: mentre oggi il limite è fissato a 3 ore di ritardo, la nuova proposta innalza la soglia a 4 ore per i voli brevi e medi, e addirittura 6 ore per quelli intercontinentali. Un cambiamento che, secondo i consumatori, rischia di ridurre drasticamente i casi di risarcimento e di legittimare politiche di low cost sempre più aggressive, come l’introduzione di un solo bagaglio a mano gratuito. Ma dietro l’apparente riduzione dei diritti si nasconde anche un pacchetto di nuove tutele e garanzie inedite, pensate per facilitare la vita del viaggiatore e rendere più trasparente e rapido il processo di risarcimento. Tra promesse e polemiche, l’Europa si trova a dover fare i conti con un equilibrio delicato: proteggere il consumatore senza soffocare la connettività e la competitività del settore aereo.

Il nodo dei ritardi e dei risarcimenti

Il cuore della riforma riguarda proprio la compensazione economica per i ritardi dei voli, uno dei temi più sensibili per i viaggiatori. Secondo la bozza approvata dal Consiglio europeo, il risarcimento scatterà solo se il ritardo supera le quattro ore per i voli fino a 3.500 km e le sei ore per quelli di lunga percorrenza, mentre oggi il limite è fissato a tre ore. La differenza potrebbe sembrare un’ora in più, ma nel concreto si traduce in una riduzione significativa dei casi in cui i passeggeri potranno chiedere un rimborso.

In termini economici, la compensazione rimane di 300 euro per i voli brevi e medi, e 500 euro per quelli lunghi, ma con soglie più alte e criteri più stringenti. Nel frattempo, il cosiddetto “no show”, ovvero la penalizzazione per chi non utilizza il volo di andata perdendo quello di ritorno, sarà più regolato: se un passeggero perde il volo di andata ma viene negato l’imbarco sul ritorno, potrà ora richiedere una compensazione.

Questa stretta arriva in un momento in cui le compagnie aeree low cost continuano a spingere per politiche sempre più restrittive sul bagaglio gratuito: la nuova norma conferma infatti il diritto a trasportare gratuitamente solo un piccolo bagaglio a mano, generalmente uno zainetto, legittimando quindi gli extra costi per tutto ciò che va oltre. Un elemento che infiamma ulteriormente le associazioni dei consumatori, come la Beuc (Bureau Européen des Unions de Consommateurs), che denuncia già sette compagnie per costi ingiustificati e chiede più tutele.

Dariusz Klimczak, ministro polacco delle Infrastrutture, ha sottolineato come questa posizione del Consiglio risponda “all’invito formulato da passeggeri e compagnie aeree a elaborare urgentemente norme aggiornate, più chiare e dirette”. Tuttavia, proprio la chiarezza del testo e il suo impatto pratico sono sotto accusa, perché rischiano di creare nuovi ostacoli all’accesso ai risarcimenti e al riconoscimento dei diritti dei viaggiatori.

30 nuovi diritti per i passeggeri, dall’assistenza alla trasparenza

Nonostante le critiche sulla soglia dei ritardi, il pacchetto di modifiche approvato introduce una serie di novità che rappresentano un passo avanti rispetto al vecchio regolamento del 2004. Tra queste, spicca il diritto alla riprotezione: le compagnie aeree dovranno offrire ai passeggeri alternative immediate in caso di cancellazione o interruzione del volo, comprese soluzioni con altri vettori o mezzi di trasporto alternativi.

Se questa riprotezione non arriva entro tre ore, i passeggeri potranno autonomamente organizzarsi, ottenendo un rimborso che può arrivare fino al 400% del costo originario del biglietto. Una norma che mette pressione alle compagnie per accelerare l’assistenza, evitando lunghe attese e disagi.

Il diritto all’assistenza è finalmente chiarito in modo esplicito: ristoro, cibo, bevande e sistemazioni dovranno essere garantiti, e in caso di ritardo prolungato a bordo (oltre 3 ore), i passeggeri devono essere fatti sbarcare, una misura che mira a scongiurare le situazioni di stallo vissute da migliaia di viaggiatori negli ultimi anni.

Sul fronte dell’informazione, le compagnie aeree avranno l’obbligo di comunicare in tempo reale ogni variazione, ritardo, cancellazione o cambiamento di gate, mettendo fine a un’antica fonte di stress e incertezza per chi vola. In più, sarà possibile correggere gratuitamente errori nei dati personali fino a 48 ore prima della partenza, una novità importante che elimina uno dei problemi più frequenti e frustranti nei check-in.

Anche la gestione dei reclami diventa più rapida e semplice: i passeggeri avranno fino a sei mesi per presentare una richiesta di risarcimento, mentre le compagnie dovranno rispondere entro 14 giorni, o procedere al pagamento automatico. Questo snellimento mira a tagliare i tempi di attesa e a ridurre la mole di contenziosi.

Consumatori sul piede di guerra e scontro politico all’orizzonte

Dietro a questa riforma c’è la necessità di trovare un bilanciamento tra le tutele per i viaggiatori e le esigenze di un settore aereo in forte evoluzione e sempre più competitivo. Il Consiglio europeo ha sottolineato la volontà di mantenere “la connettività e la parità di condizioni nel mercato interno”, evitando che regole troppo rigide possano danneggiare le compagnie e, di riflesso, la disponibilità di collegamenti e prezzi accessibili.

È noto come il trasporto aereo, soprattutto nel segmento low cost, rappresenti una leva fondamentale per la mobilità di milioni di cittadini europei e per il turismo. Tuttavia, l’industria si trova a fronteggiare costi crescenti, regolamentazioni ambientali più stringenti e una concorrenza globale agguerrita. Da qui la spinta per rivedere i limiti e le compensazioni, riducendo i risarcimenti potenzialmente “facili” e contenendo alcune richieste che per le compagnie risultano onerose.

Non mancano però le voci di dissenso, tra le associazioni dei consumatori e le forze politiche, come il Ppe, che promettono battaglia contro una riforma che giudicano “inadeguata e penalizzante” per i passeggeri. La Beuc ha già denunciato diverse compagnie per pratiche scorrette sui bagagli, mentre il Parlamento europeo si appresta ad esaminare la proposta del Consiglio, con la possibilità di modifiche sostanziali. Adnkronos 11

 

 

 

 

 

Referendum e partecipazione. Quorum non raggiunto

 

Dal 1997 soltanto in un caso è stato raggiunto il quorum previsto dalla Costituzione: in campo varie ipotesi per ripensare questo strumento di partecipazione democratica – di Stefano De Martis

L’affluenza alle urne si è fermata al 30% e quindi nessuno dei cinque quesiti referendari proposti agli elettori l’8 e il 9 giugno ha raggiunto il quorum previsto per la validità della consultazione. I votanti sono stati circa 14 milioni, con minime differenze (da 30,58% a 30,59%) tra un quesito e l’altro. Fermo restando che in assenza di quorum i referendum non avranno conseguenze giuridiche, ovviamente gli elettori che hanno deciso di recarsi ai seggi per votare hanno optato largamente per il Sì all’abrogazione, con percentuali variabili tra l’87% e l’89%. Fa eccezione il quinto quesito, quello sulla cittadinanza, che ha registrato il 65,49% di Sì e il 34,51% di No (rispettivamente 9.023.665 e 4.754,382 voti). Un dato che deve far pensare soprattutto se si hanno a cuore politiche di accoglienza e di inclusione.

Nel dettaglio, gli altri quattro quesiti hanno registrato questi risultati: “reintegro licenziamenti illegittimi”, 89,06% di Sì e 10,94% di No; “licenziamenti e limite indennità”, 87,60 % di Sì e 12,40% di No; “tutela contratti a termine”, 89,04% dei Sì e 10,96% di No; “responsabilità infortuni sul lavoro”, 87,35% di Sì e 12,65% di No.

L’esito della tornata ha riproposto il tema della riforma del referendum abrogativo come strumento principale di democrazia diretta nel nostro ordinamento.

Dal 1997 soltanto in un caso è stato raggiunto il quorum previsto dalla Costituzione ed era il comunque il lontano 2011. Si votava per l’acqua pubblica e il nucleare, ma l’andamento di questi quasi trent’anni indica che il problema è strutturale e riguarda la partecipazione elettorale nel suo complesso. Questione di rilevanza capitale per una democrazia, da affrontare in modo organico e condiviso. Il che non deve però esimere dal cercare soluzioni tecniche capaci di rendere il quorum un obiettivo realistico anche nel contesto attuale di bassa partecipazione, evitando che uno strumento prezioso come il referendum venga di fatto affossato alimentando ulteriormente la disaffezione. Per esempio, ma è solo una delle ipotesi in campo, si potrebbe calcolare il quorum sui votanti alle elezioni politiche più recenti e non sul totale degli aventi diritto.

Sul piano politico generale, il risultato referendario viene salutato come un successo dalla maggioranza di governo, che aveva incoraggiato l’astensione, mentre sul versante opposto ci si consola ragionando sui 14 milioni di votanti. Un numero superiore ai 12 milioni di elettori del centro-destra alle ultime politiche. Ma è evidente che sarà necessaria una riflessione su quella che è indiscutibilmente una sconfitta. Sir 10

 

 

 

 

 

Cgie Germania: campagna per rivedere la legge sulla cittadinanza

 

I consiglieri del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero (CGIE) eletti in Germania lanciano una campagna social per chiedere al Ministro Tajani ed al Parlamento di rivedere il testo della legge 74/2025 sulla cittadinanza, che introduce modifiche sostanziali alla trasmissione della cittadinanza iure sanguinis per chi nasce all’estero.

La legge 74/2025 introduce cambiamenti rilevanti e, in alcuni punti, fortemente restrittivi alla normativa vigente sulla cittadinanza italiana per trasmissione iure sanguinis. Si tratta di un tema delicato, che tocca i diritti fondamentali di milioni di cittadine e cittadini italiani residenti all’estero.

Il recente intervento legislativo, volto a limitare il diritto alla trasmissione della cittadinanza da parte dei discendenti degli italiani emigrati, avrebbe dovuto rappresentare un passo verso una maggiore coerenza tra il principio giuridico della cittadinanza (de jure) e la sua effettiva espressione nella realtá (de facto).

Ma così non è. La nuova norma stabilisce che la cittadinanza iure sanguinis venga trasmessa automaticamente solo se uno dei genitori, degli adottanti o dei nonni possiede esclusivamente la cittadinanza italiana. Questo criterio, di fatto, impedisce a chi ha la doppia cittadinanza di trasmettere quella italiana ai propri figli e nipoti.

Oltre all’evidente implicazione affettiva e identitaria, tale disposizione entra in contrasto con il percorso di integrazione europea degli ultimi trent’anni. Un processo che ha visto Paesi come Italia, Francia e Germania riconoscere e favorire la doppia cittadinanza, consentendo a milioni di persone di essere “nel proprio quotidiano” cittadine e cittadini d’Europa, senza dover fare una scelta di appartenenza identitaria sul piano nazionale. 

Il nuovo impianto normativo rischia di compromettere questa libertà, costituendo una grave forzatura rispetto al principio della doppia cittadinanza, ormai consolidato in Italia e in numerosi altri Paesi europei. Se confermate, queste disposizioni avrebbero un impatto sproporzionato e discriminatorio sulle comunità italiane all’estero – in particolare in Europa – dove la mobilità è tuttora viva e dove, da generazioni, vivono figli e nipoti di emigrati italiani, pienamente integrati nei Paesi ospitanti ma profondamente legati all’Italia.

Il diritto alla cittadinanza è un pilastro dell’appartenenza, dell’identità e della partecipazione democratica. Ridurlo in modo arbitrario significherebbe spezzare un legame storico e culturale con le nostre comunità all’estero, con conseguenze non solo giuridiche, ma anche sociali e simboliche.

 Per questo, i consiglieri del CGIE eletti in Germania, insieme alla collettività italiana ivi residente, lanciano una campagna di sensibilizzazione sui social rivolta al Ministro Tajani ed al Parlamento, chiedendo con forza una revisione del testo della legge 74/2025 sottolineando la necessità di riconsiderare il percorso normativo, affinché non vengano penalizzati i cittadini e le cittadine con doppia cittadinanza che mantengono un legame autentico e sostanziale con il nostro Paese.

Non lasciamo che la cittadinanza diventi ittadinAnsia. In gioco ci sono molto più che delle semplici parole. Ci sono i diritti, le storie e l’identitá di milioni di italiane e italiani all’estero che volano via.

Consiglieri CGIE Eletti in Germania

Tommaso Conte, Silvestro Gurrieri, 

Gianluca Errico, Marilena Rossi, 

Giuseppe Scigliano e Giulio Tallarico, de.it.press 11

 

 

 

 

 

Scrive alla SPD per chiedere più inclusione e rappresentanza per gli italiani in Germania

 

Düsseldorf. Il numero degli italiani residenti in Germania “contrasta in modo preoccupante con la quasi assenza di una rappresentanza politica formale e visibile di questa comunità a livello locale, regionale e soprattutto federale”. A sostenerlo è Giuseppe Tizza, traduttore e interprete per il tedesco con qualifica riconosciuta dallo Stato, esaminato dalla Camera di Commercio di Düsseldorf (IHK), che ha inviato una lettera alla Direzione SPD per chiedere al partito di favorire la partecipazione politica attiva degli italiani in Germania. Ne riportiamo di seguito la versione integrale.

“Scrivo oggi per portare alla Vostra attenzione una questione che riguarda l'inclusione politica e la rappresentanza di una comunità significativa ma spesso trascurata nella società tedesca: i circa 600.000 cittadini italiani che vivono, lavorano, pagano le tasse e contribuiscono attivamente alla vita economica, sociale e culturale della Germania.

Questo numero considerevole – equivalente alla popolazione di una grande città tedesca – contrasta in modo preoccupante con la quasi assenza di una rappresentanza politica formale e visibile di questa comunità a livello locale, regionale e soprattutto federale. Nonostante la loro lunga storia di integrazione e il loro profondo radicamento nel tessuto sociale tedesco, gli italiani sembrano rimanere ai margini dei processi decisionali politici.

Come Partito Socialdemocratico di Germania (SPD), storicamente paladino della giustizia sociale, dei diritti dei lavoratori e dell'inclusione di tutte le componenti della società, Vi chiediamo:

Analisi e Consapevolezza: Quali iniziative concrete ha intrapreso o intende intraprendere lo SPD per comprendere meglio le specifiche esigenze, preoccupazioni e aspirazioni politiche della comunità italiana in Germania? Esistono studi o consultazioni mirate?

Promozione della Partecipazione: Come incoraggia attivamente lo SPD la partecipazione politica attiva degli italiani residenti in Germania? Quali misure sono previste per:

Stimolare l'iscrizione al partito tra i cittadini italiani?

Identificare, formare e sostenere candidati con background italiano per posizioni elettive a tutti i livelli (comunali, distrettuali, statali, federali)?

Rendere più accessibile la vita interna del partito (riunioni, materiali, comunicazione) per chi non è madrelingua tedesca?

Rappresentanza nelle Istituzioni: Quale strategia adotta lo SPD per garantire che la voce della numerosa comunità italiana trovi spazio nelle sue liste elettorali e, di conseguenza, nelle assemblee legislative? È prevista una politica proattiva per la ricerca di candidati qualificati di origine italiana?

Ponte Culturale e Politico: Lo SPD intende istituire figure di riferimento, uffici di collegamento o gruppi di lavoro specifici all'interno della sua struttura per dialogare costantemente con le associazioni italiane e rappresentanti della comunità, fungendo da ponte tra le loro istanze e le istituzioni politiche tedesche?

Temi Specifici: Quali politiche specifiche (lavoro, riconoscimento titoli di studio, pensioni transfrontaliere, integrazione culturale, lotta ai pregiudizi) promuove lo SPD che tengano conto delle esperienze e delle sfide spesso uniche affrontate dai cittadini italiani in Germania?

La forza della democrazia sociale tedesca risiede nella sua capacità di rappresentare e dare voce a tutti i gruppi che compongono la società. La comunità italiana, con la sua storia, la sua integrazione e le sue dimensioni, merita di essere pienamente partecipe di questo processo. La loro mancata rappresentanza non è solo una questione di equità per loro, ma costituisce una perdita di potenziale, prospettiva e legittimità democratica per l'intera società tedesca e per lo SPD stesso.

Confidiamo che lo SPD, fedele ai suoi valori fondanti di uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale, voglia e possa svolgere un ruolo pionieristico nel colmare questo gap di rappresentanza. Siamo convinti che un impegno proattivo in questa direzione rafforzerebbe sia la comunità italo-tedesca sia il partito stesso, rendendolo un vero riflesso della diversificata società che serve.

Attendiamo con interesse e speranza un Vostro riscontro sulle azioni concrete che lo SPD intende intraprendere per garantire che i 600.000 italiani in Germania non siano solo residenti, ma cittadini politicamente rappresentati e pienamente inclusi”. (aise/dip 10) 

 

 

 

 

A Berlino il punto sulla comunità italiana in Germania

 

Riunione di coordinamento consolare alla presenza dei rappresentanti della comunità italiana in Germania. Scuola, servizi consolari e cittadinanza tra le maggiori questioni aperte.

Dal 20 Gennaio 2025 S.E. Fabrizio Bucci ha assunto servizio come nuovo ambasciatore della Repubblica italiana in sostituzione del predecessore, Armando Varricchio, giunto a fine mandato.

L’ambasciatore Bucci ha scelto di iniziare il suo mandato incontrando la sempre più numerosa comunità italiana in Germania per conoscerne le esigenze e stabilire delle priorità di intervento condivise, questo con una serie di visite presso le sedi delle rappresentanze consolari. La volontà di organizzare in tempi brevi una riunione generale di coordinamento consolare con la partecipazione dei rappresentanti della comunità italiana è pertanto un segnale positivo e non scontato di disponibilità al confronto e all’ascolto. La comunità italiana, arrivata alla soglia del milione di connazionali affronta problemi vecchi e nuovi: scuola, orientamento per i nuovi arrivi, servizi consolari, nuova legge sulla cittadinanza, pensioni italiane pagate all’estero e altro ancora.

La riunione di coordinamento, molto intensa per i temi da affrontare e i tempi a disposizione, si è tenuta il 24 maggio. Presenti ai lavori erano per parte dell’Ambasciata, oltre a S.E. l’ambasciatore Bucci, il Vice capomissione ministro Luigi Estero e la consigliera per gli affari sociali Anna Bertoglio. Per le diverse circoscrizioni erano presenti tutti i titolari delle sedi consolari, i dirigenti scolastici in servizio in Germania, tutti i membri eletti nel CGIE per la Germania, tutti i presidenti dei Comites, con l’eccezione di Francoforte.

Da remoto hanno partecipato ai lavori e sono intervenuti gli on.Billi, Crisanti e Ricciardi.

In apertura l’ambasciatore Bucci ha affermato credere nel dialogo con i rappresentanti della comunità italiana, fornendo tutta la propria disponibilità a una stretta collaborazione sui temi più sentiti. Il confronto sarà aperto a suggerimenti, idee e critiche.

Nella sua introduzione l’Ambasciatore ha ricordato che i consolati italiani in Germania operano come piccole ambasciate, data la grande autonomia dei Länder in molte materie, tra le quali l’istruzione, aspetto importante e sofferto per la comunità italiana. La presenza dei Consolati ha inoltre una importante funzione di promozione dell’interscambio commerciale tra l’Italia e la Germania che, per il 2024, ammonta a ca.160 miliardi di euro. Sostenere il nostro export è quindi un compito essenziale.

Quest’anno inoltre ricorre il 70° anniversario degli accordi bilaterali per il collocamento dei lavoratori italiani in Germania. L’accordo segna il momento di partenza del partenariato Italia-Germania e del contributo italiano, fondamentale per lo sviluppo dell’economia tedesca. La ricorrenza verrà celebrata a dicembre a Berlino, ma saranno gli innumerevoli eventi locali a fornire l’occasione non solo per documentare e ricordare eventi passati, ma per confrontarsi con le amministrazioni sul contributo ininterrotto, e negli ultimi anni rafforzato, degli italiani alla crescita civile ed economica della nazione tedesca. Nella recente visita a Wolfsburg l’Ambasciatore Bucci ha affermato di aver percepito l’importanza della presenza italiana, così come la gratitudine tedesca per il loro contributo. Concretamente, alla celebrazione del 70° degli accordi seguirà a gennaio un vertice di lavoro con il nuovo governo tedesco per definire i temi sui quali collaborare in futuro.

Prima degli interventi dei vari presidenti dei Comites relativamente alle diverse attività e esigenze locali gli on. Ricciardi, Crisanti e il consigliere CGIE Conte si sono soffermati sulle problematiche sollevate dalla nuova legge 74/25 sulla cittadinanza, recentemente approvata, un testo molto discusso che di fatto impedirà la conservazione della cittadinanza italiana all’estero oltre la terza generazione. Si taglieranno così i legami con l’Italia delle tantissime comunità di antica emigrazione, ma anche i discendenti dei nuovi arrivati in Germania perderanno la loro identità italiana in tempi relativamente brevi. È una legge che va perfezionata e che contiene secondo gli intervenuti, profili dubbi di costituzionalità. La legge e le sue implicazioni, come altri provvedimenti che interessano gli italiani all’estero, è poco conosciuta e solo con un’opera di informazione sarà possibile esercitare la pressione necessaria per ottenere modifiche e correzioni.

Nelle relazioni dei membri del CGIE eletti per la Germania e in quelle dei presidenti dei Comites si sono analizzate le diverse esigenze e situazioni locali. Complessivamente si è rilevato un miglioramento dei servizi consolari con attese ridotte per l’ottenimento di passaporti e carte d’identità, in alcuni consolati persino azzerate. Si sono istituiti anche canali preferenziali per persone anziane e disabili. Permangono comunque alcune situazioni di criticità con lunghe attese e la necessità per i territori del Saarland e di Norimberga di avere uno sportello consolare stabile e efficace.

In tutte le situazioni si registra un aumento di connazionali, in parte legati alla nuova mobilità e in parte collegati a connazionali già residenti da tempo. Del tutto particolare è la situazione di Berlino, con una forte mobilità e con una presenza considerevole di artisti, gastronomi e in genere di persone alla ricerca di uno stile di vita differente e aperto, quale quello che la capitale tedesca offre. A Monaco invece la presenza di numerose startup attira un numero crescente di connazionali giovani e dinamici, mentre a Friburgo città è significativa la presenza di ricercatori e personale medico, paramedico e generico nel settore ospedaliero.

Tutti i Comites ospiteranno eventi per il 70° dei patti sul lavoro e tutti concordano sulla duplice valenza dell’evento: da una parte documentazione e memoria, prima che scompaiano i protagonisti, specie quelli delle prime emigrazioni; dall’altra la necessità, partendo dalla memoria, di costruire reti e relazioni tra le realtà della nuova emigrazione, anche convocando una sorta di stati generali dell’associazionismo italiano.

Con poche eccezioni, tutti i Comites rilevano le difficoltà che incontra l’insegnamento della lingua italiana, soprattutto per quanto riguarda l’aumentata richiesta da parte delle famiglie nuove arrivate. Su richiesta dei rappresentanti della comunità e con il pieno consenso dell’ambasciatore si è anticipata nell’ordine del giorno la discussione sui problemi legati alla scuola e alla diffusione della lingua italiana a tutti i livelli, dai corsi di lingua e cultura alle cattedre universitarie di italianistica e romanistica.

La situazione dei corsi di lingua e cultura e degli enti gestori è notoriamente drammatica e quasi irreversibile, nettamente peggiorata da quando, nel 2017 c’è stato il passaggio delle competenze alla Direzione Generale per la diplomazia pubblica e culturale; con il ritorno delle competenze alla DGIT, come parrebbe prospettarsi, i corsi potrebbero riassumere il loro carattere di servizio scolastico italiano, offerto alle famiglie all’estero. È stato anche sottolineato come negli ultimi 4 anni l’ambasciata non si sia impegnata per difendere i corsi con il risultato di dover constatare la chiusura di numerosi enti gestori, mentre i pochi rimasti sono a rischio di chiusura. Per la Germania si è perso nell’ultimo quadriennio circa il 50% del contributo ministeriale, dato non certo confortante. La mancanza di obiettivi chiari, sia in generale che per il territorio tedesco, l’assenza di strategie e un apparato burocratico centrale con richieste di documentazione sempre più improbabili e vessatorie agli enti gestori hanno portato i corsi al collasso, obbligando talvolta gli enti a chiedere un contributo di iscrizione e frequenza alle famiglie per poter affrontare le spese necessarie.

L’Ambasciata condivide la priorità del tema scuola e concorda sul fatto che ci sia una forte esigenza strutturale da parte dell’utenza italiana che rimane in parte insoddisfatta, mentre da parte tedesca, non solo nei corsi, ma anche nelle scuole bilingui è atteso un sostegno strutturale e una continuità. La risposta da parte italiana è costituita da un sistema variegato, non sempre strutturale. La proposta dell’Ambasciata che ogni anno si tenga più di una sessione di incontri sul tema scuola è stata perciò pienamente condivisa da tutti.

La questione delle pensioni è stata ugualmente dibattuta, l’ambasciatore ha garantito il proprio intervento per i pensionati italiani residenti in Italia, ma con pensione pagata dallo stato tedesco. Per loro la Germania ha sospeso l’emissione della certificazione necessaria per la dichiarazione dei redditi in Italia, che i pensionati non possono perciò presentare. Completamente diversa la situazione dei pensionati italiani a pensione italiana residenti in Germania, per i quali vige, al momento per il 2025, il blocco della rivalutazione delle pensioni con la conseguenza che nessuna pensione italiana superiore al minimo e pagata all’estero viene adeguata all’inflazione crescente. Il trattamento discriminatorio nei confronti dei pensionati residenti in Germania è evidente.

I rappresentanti della comunità italiana hanno riconosciuto in questa riunione di coordinamento un segnale di attenzione, di ascolto e collaborazione da parte dell’ambasciata. I temi affrontati dovranno ora essere approfonditi in incontri dedicati, in particolare il tema complesso della scuola e dell’insegnamento della lingua italiana sul quale ci auguriamo di poter tornare al più presto.

Andrea Gatti, CdI on 11

 

 

 

 

 

Francoforte. La Festa della Repubblica al Consolato

 

Francoforte/M. - In un clima di solenne emozione e vivace partecipazione, il Consolato Generale d’Italia a Francoforte ha celebrato ieri la Festa della Repubblica Italiana, accogliendo autorità, rappresentanti della comunità italiana e ospiti illustri. L’evento, ospitato dal Console Generale Massimo Darchini, ha rappresentato non solo un momento istituzionale di grande rilievo, ma anche un’occasione per riflettere sull’identità nazionale italiana e sul ruolo strategico dei legami tra Italia e Germania.

Nel suo discorso inaugurale, il Console Darchini ha sottolineato l’importanza di questa ricorrenza nel cuore dell’Europa, dedicando particolare attenzione alla Regione Emilia-Romagna, che gli è particolarmente cara, essendo originario di Imola, in provincia di Bologna. Ha ricordato come la laboriosità e l’innovazione emiliane rappresentino un microcosmo delle eccellenze italiane nel mondo, contribuendo in modo decisivo all’immagine positiva dell’Italia all’estero.

Uno dei momenti più significativi dell’intervento è stato il ricordo del 70° anniversario dell’accordo bilaterale del 1955 tra Italia e Germania, che segnò una svolta storica nell’emigrazione italiana verso la Germania, soprattutto nel settore industriale. “Un patto di lavoro e dignità,” ha affermato Darchini, “che ha gettato le basi per l'integrazione e per i profondi legami che oggi uniscono i nostri popoli”.

Particolare rilievo è stato dato alla recente decisione del governo italiano di candidare la Cucina Italiana a patrimonio immateriale UNESCO per il biennio 2024-2025. Un’iniziativa accolta con entusiasmo anche dal Segretario di Stato Uwe Becker, ospite d’onore della serata, che ha espresso la propria ammirazione per la tradizione gastronomica italiana, sottolineando come “i tedeschi siano sempre più affascinati dalle bellezze, dalla cultura e dalla tavola italiana”; ha ribadito l’importanza dei lavoratori italiani ancora oggi nel sistema tedesco, dove molti coprono posizioni di rilievo. Nel corso del suo discorso, Becker ha sostenuto che bisogna ricostruire la Pace ripartendo dalle nuove generazioni, ed evidenziato che l’Europa non può fare a meno dell’Italia. Il Segretario di Stato ha infine consegnato in dono una raffigurazione del leone, simbolo dello Stato federale dell'Assia, un emblema molto presente in Germania, sia a livello regionale che nel contesto nazionale, spesso associato a valori come forza, coraggio e nobiltà.

La serata ha visto la partecipazione di numerose personalità di rilievo, tra cui Licia Linardi, Direttrice del Corriere d’Italia, da anni voce autorevole della comunità italiana in Germania; Antonella Rossi, Direttrice ENIT Germania, promotrice del turismo italiano; Vito Fagiolino, Presidente A.I.M. Germania; Silvestro Parise, Consultore della Regione Calabria in Germania, Vicepresidente A.I.M. e promotore della Cultura Calabrese in Germania; Giulio Tallarico, Consigliere del CGIE-Germania; Salvatore Maugeri, Sales Account Executive ITA AIRWAYS Germania; Luca Zaccaria, Direttore della Sede Centrale Deutsche Bank di Francoforte; Giuliano Francesco, autore calabrese; Antonio Balbi, artista originario di Roccagloriosa; Andrea Pochiesa, Manager Ivalua Francoforte; Patrizio Maci, Presidente del COMITES Saarbrücken; Thilo Weicker, avvocato tedesco da anni vicino alla comunità italiana; e Felix Pfitscher, Giornalista di Economia e Finanza E.N.A.

La Festa della Repubblica a Francoforte ha così rappresentato un momento di orgoglio nazionale e di coesione, in presenza di tanti ospiti, con la esibizione di chiusura del Tenore Domenico Straface che ha eseguito l’aria Nessun Dorma, che narra la storia della principessa cinese Turandot, ribadendo il ruolo centrale delle comunità italiane all’estero e il valore delle relazioni bilaterali con la Germania. Un ponte tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione, tra cultura e civiltà condivisa. (si.pa., aise/dip 3) 

 

 

 

 

 

Monaco di Baviera. Visit Emilia alla Festa della Repubblica Italiana

 

Monaco di Baviera – Un’occasione strategica per valorizzare il patrimonio enogastronomico regionale e rafforzare i rapporti diplomatici e commerciali  con il mercato tedesco. Visit Emilia –ente istituito dalla Regione Emilia Romagna per la promozione turistica delle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia –  ha partecipato alle celebrazioni ufficiali del 2 giugno per la Festa della Repubblica Italiana a Monaco di Baviera, consolidando così la propria presenza strategica sul mercato tedesco. L’evento istituzionale, organizzato dal Consolato Generale d’Italia nella suggestiva cornice del Castello di Schleißheim, ha rappresentato un’importante vetrina per l’eccellenza emiliana. La serata ha visto la partecipazione  di  autorevoli personalità del panorama politico, economico e culturale bavarese e tedesco, insieme al Console Generale Sergio Maffettone. Un appuntamento che si conferma ormai un pilastro nelle relazioni diplomatiche italo-tedesche, trasformandosi in una prestigiosa occasione per raccontare l’Italia attraverso cultura, musica e tradizioni enogastronomiche. A rappresentare Visit Emilia erano presenti il presidente Simone Fornasari e il direttore Pierangelo Romersi,

Grazie al contributo di Visit Emilia, protagonisti della serata sono stati alcuni prodotti simbolo del territorio: i salumi piacentini DOP, il Parmigiano Reggiano e l’aceto balsamico di Reggio Emilia. Eccellenze che raccontano storie di tradizione millenaria e qualità certificata, portando con sé l’identità autentica di una terra che sa conquistare anche i palati internazionali. “La nostra partecipazione a Monaco non è un semplice gesto simbolico, ma un’azione concreta di promozione che rinnoviamo con convinzione di anno in anno” ha dichiarato il presidente Simone Fornasari. “Il mercato tedesco rappresenta una delle principali direttrici turistiche per la nostra destinazione, e il pubblico bavarese si dimostra particolarmente sensibile alla qualità della nostra offerta enogastronomica. Essere presenti in contesti istituzionali di questo calibro significa generare concrete opportunità di business, consolidare relazioni internazionali durature e rafforzare l’identità dell’Emilia anche in chiave economica e turistica”.  La serata si è articolata secondo un programma ricco e coinvolgente: aperitivo italiano di benvenuto, saluti istituzionali, esecuzione degli inni nazionali e concerto diretto dalla maestra Annunziata De Paola. Il ricevimento finale ha celebrato il gusto italiano, trasformando la degustazione in un autentico momento di narrazione culturale e identitaria. Verso un rafforzamento della presenza internazionale. Consolidare i rapporti con il mercato tedesco, area di primaria importanza per il turismo emiliano, significa arricchire il prezioso lavoro che Visit Emilia conduce quotidianamente per la propria destinazione. Un impegno costante che intreccia identità territoriale, eccellenza qualitativa e visione strategica, con l’obiettivo ambizioso di posizionare l’Emilia come meta sempre più attrattiva e competitiva sui mercati internazionali. (Inform/dip 3)

 

 

 

 

Berlino. L’Italia che innova: in Ambasciata la Festa della Repubblica

 

Berlino. “La Festa della Repubblica Italiana è un’occasione non solo per riflettere sul nostro passato, ma anche per affrontare insieme ciò che ci attende, nella consapevolezza di avere una responsabilità comune soprattutto nel nostro Continente”. È quanto ha affermato l’ambasciatore d’Italia in Germania, Fabrizio Bucci, nel suo discorso in occasione del tradizionale ricevimento celebrativo tenutosi ieri, 3 giugno, nella sede dell’Ambasciata a Berlino.

Tra gli oltre mille ospiti presenti, numerosi rappresentanti delle istituzioni italiane e tedesche, del corpo diplomatico, dell’economia, della scienza e del mondo accademico, della cultura e dei media, insieme a tanti membri della vivace comunità italiana in Germania. A rappresentare il governo tedesco, il sottosegretario agli Affari Esteri Gunther Krichbaum affiancato da vari membri del governo, tra i quali i sottosegretari Dörte Dinger (Ufficio del Presidente federale), Jörg Semmler (Cancelleria federale) e Ulrich Lange (Ministero dei Trasporti), insieme a numerosi parlamentari e altre autorità federali e locali. Una cornice di grande prestigio che ha reso la festa un momento significativo di dialogo, condivisione e amicizia tra Italia e Germania.

La celebrazione della Festa della Repubblica si è tenuta quest’anno all’insegna del motto “L’Italia che innova”, con un allestimento volto a illustrare le molteplici eccellenze e gli importanti primati dell’Italia attorno a sei cluster tematici: industria 4.0, energia, trasporti, difesa, aerospazio e servizi.

La cerimonia è stata aperta con l’esecuzione solenne degli inni nazionali italiano e tedesco, seguiti da quello europeo, interpretati dalla voce della talentuosa cantante Malika Ayane, accompagnata dalla violoncellista Martina Biondi e dalla violinista Cecila Ferron, tre musiciste italiane che vivono a Berlino e che hanno saputo trasmettere l’intensità e l’emozione del momento.

L’ambasciatore Bucci, nel salutare gli ospiti presenti, ha ribadito la profondità del legame tra Italia e Germania, fondato su valori comuni, cooperazione strategica e una visione condivisa del futuro europeo, nonché l’importanza della ricca e articolata collaborazione tra i due Paesi in tutti i settori. Nel mondo attuale, segnato da instabilità crescente, dal ritorno della guerra sul suolo europeo e da sfide sempre più complesse, “i nostri due Paesi devono farsi promotori di un’Europa più forte, più competitiva, più giusta, più protagonista: con la cultura, l’innovazione, la libertà, l’apertura e l’inclusione e la capacità di fare impresa, per assicurare a tutti noi e alle generazioni future pace, sicurezza e prosperità”.

Nell’anno in cui ricorre il 70° anniversario dell’accordo sulla manodopera tra Italia e Germania, l’ambasciatore ha inoltre rivolto un pensiero affettuoso e sentito ringraziamento alla straordinaria comunità italiana. “Si tratta di una ricorrenza che ci ricorda l’impegno, la dignità, il sacrificio e il contributo prezioso di migliaia di italiani che hanno costruito un ponte tra le nostre due società e che hanno dato un contributo importante al miracolo tedesco”, ha ricordato l’ambasciatore.

La serata è proseguita con un ricco programma musicale: lo ha aperto il violino elettrico di Olen Cesari, seguito dall’energia della band “The Wrong Pillows”, composta dal cantante e chitarrista Bruno di Tillo, dal bassista Jorge Alejandro Garza Gallardo e dal batterista Edoardo Pappi. Un coinvolgente dj set a cura di Leonardo di Badia ha animato il finale della serata. Il programma musicale è stato compilato da Cecilia Ferron e Ege Kavaz, rispettivamente curatrice artistica e visual director di Lab der Musik, realtà berlinese dedicata alla formazione musicale avanzata e alla promozione della cultura musicale contemporanea.

Numerosi gli sponsor della serata a cui l’ambasciatore ha voluto rivolgere il suo ringraziamento: “la loro partecipazione”, ha detto, “testimonia quanto la sinergia tra pubblico e privato sia fondamentale per promuovere l’Italia nel mondo”. (aise/dip 4)

 

 

 

 

 

Cosmo italiano. I temi delle ultime puntate

 

Andrea Mazzotti, infermiere fra Italia, Inghilterra e Germania

(06.06)Sono moltissimi gli infermieri italiani che da anni emigrano e trovano lavoro in Germania, ma anche in Gran Bretagna, dove le loro competenze sono molto richieste. Andrea Mazzotti di Colonia conosce bene entrambe le realtà e racconta delle sue esperienze e riflessioni a Francesco Marzano. Ma al di là del lavoro, com'è la sua vita con una famiglia e lontano dall'Italia?

 

Più giovani di destra radicali e aggressivi in Germania

(05.06)Una cellula di giovanissimi estremisti di destra "con fantasie omicide" in Germania e l'aumento dei reati a sfondo politico di destra: ce ne parla Enzo Savignano. La tendenza è di creare gruppi piccoli ma in rete, "a mosaico", e chiedere azioni violente anche a ragazzi interessati: ne parliamo con Andreas Speit, esperto del tema. Dell'ultradestra europea riunita a Gallarate e di cosa sta succedendo in Italia su questo fronte parliamo con il giornalista Leonardo Bianchi.

 

Energie rinnovabili a spese dei più poveri

(04.06)Il caso del contadino peruviano che è riuscito a portare in tribunale il colosso energetico tedesco RWE riapre la pagina delle responsabilità dei paesi ricchi per i danni prodotti dal cambiamento climatico: la vicenda riassunta da Enzo Savignano. Ma la corsa alle energie rinnovabili non migliora la posizione del Sud del mondo, si parla di "colonialismo verde", ne discutiamo con Andrea Colli, professore di Storia Economica alla Bocconi di Milano.

 

Ma in Germania si lavora veramente troppo poco?

(03.06)Il nuovo cancelliere Friedrich Merz, appena insediato, ha lanciato la provocazione: tra part time, alto numero di festività e pensioni anticipate, in Germania, a suo avviso, si lavora troppo poco. Secondo Merz non è col "work-life balance" che si può risollevare l'economia tedesca. Enzo Savignano sulla polemica politica seguita alle dichiarazioni di Merz. Con gli economisti Alexander Kritikos ed Enrico Giovannini cerchiamo di capire quali strumenti possono veramente aiutare la ripresa economica.

 

Prime condanne in Germania per lo scandalo Volkswagen

(02.06)A dieci anni dall'inizio del dieselgate, lo scandalo delle emissioni truccate sui veicoli Volkswagen, arrivano le prime condanne, ma i processi sono tutt'altro che conclusi, ce ne parla Enzo Savignano. Con Alessandro Vai, giornalista esperto di auto e moto, abbiamo parlato degli errori di Vokswagen e del futuro del mercato automobilistico europeo.

 

Meno aiuti umanitari e meno beneficenza: la svolta tedesca

(28.05)La Germania è da decenni tra i Paesi più impegnati negli aiuti umanitari e nel sostegno allo sviluppo del Sud globale. E anche i tedeschi, come privati, sono stati sempre campioni di beneficenza. Negli ultimi tempi però qualcosa sembra cambiato, sia a livello statale che privato. Proviamo a capire il perché con l'aiuto del collega Giulio Galoppo e di Pasquale Ionta della Caritas tedesca.

 

Quando la ditta fallisce: senza lavoro in Germania

(27.05)Ricominciare a sessant'anni o scegliere il prepensionamento? Toni Mirra si è trovato di fronte ad un bivio per il fallimento dell'azienda in cui ha lavorato per decenni in Germania. E c'è poi il fallimento di Lilium, start up di Monaco per produrre aerotaxi in cui molti ingegneri hanno creduto, decine di loro arrivati dall'Italia. Uno di loro ci racconta cos'è successo e come stia lottando per ottenere quello che gli spetta. Una panoramica su chiusure e fallimenti aziendali da Giulio Galoppo.

 

Come proteggersi dal cancro alla pelle

(26.05)In Germania i casi di melanoma sono praticamente raddoppiati negli ultimi vent'anni, con Giulio Galoppo vediamo i dati e quali visite di prevenzione vengono pagate dalle casse mutue tedesche. Con Andrea Maurichi, dirigente medico presso l'unità di Chirurgia del Melanoma dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, parliamo di come prevenire i tumori alla pelle, come curarli e quanto spesso fare visite di controllo. Cosmo italiano, De.it.press

 

 

 

 

Brevi di politica e cronaca tedesca

 

Washington stende il tappeto rosso al Cancelliere Merz in visitaIl Cancelliere Friedrich Merz (CDU) in visita per la prima volta oggi a alla Casa Bianca, a differenza di altri capi di governo, potrà attendersi un’accoglienza amichevole tant’è che soggiornerà nella “Blair House”, la residenza ufficiale per ospiti di Stato speciali di fronte alla Casa Bianca. I motivi per cui Washington stende il tappeto rosso al Cancelliere sono molteplici: Merz è, insieme a Giorgia Meloni, l’unico capo di governo conservatore tra gli Stati del G7; quindi l’amministrazione Trump lo considera come una sorta di “alleato naturale”. Risoluto contro l’immigrazione clandestina, fermo nell’espansione della spesa per la difesa; contrario all’ideologia gender e alla “cancel culture”. In più, il suo atteggiamento nei confronti della Cina è più critico dei suoi due predecessori, Merkel e Scholz ed è un fedele amico di Israele.

Inoltre, il fatto che il Cancelliere Friedrich Merz abbia fatto carriera nel mondo finanziario e abbia guidato il gigante degli investimenti statunitensi BlackRock in Germania dovrebbe essere apprezzato dal Presidente degli Stati Uniti. In qualità di Presidente di lungo corso dell’associazione tedesco-americana “Atlantik-Brücke”, Merz può vantare un’eccellente rete di contatti negli Stati Uniti. Vi sono quindi tutte le condizioni per instaurare un clima favorevole tra lui e il Presidente Trump, capace sempre di sorprendere per la sua imprevedibilità. 

La visita l’aveva preparata il neo ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul (CDU), che aveva annunciato che anche la Germania avrebbe aderito in futuro all’obiettivo di spesa per la difesa della NATO del 5% richiesto da Washington. Anche se a Berlino questa decisione aveva provocato il caos nella coalizione nero-rossa, a Washington è stata considerata una scelta esemplare.

Le condizioni per una buona intesa ci sono tutte, se non fosse per lo spinoso tema dei dazi e la guerra commerciale del Presidente Trump. In realtà a negoziare per l’Europa è la Commissione europea, e non il capo del governo tedesco. Ma forse il Cancelliere Merz riuscirà a convincere il Presidente degli Stati Uniti con la sua competenza finanziaria che, in caso di un’ulteriore escalation della guerra dei dazi tra l’UE e gli Stati Uniti, a godere sarà o saranno solo i “terzi”, in primo luogo la Cina. 

 

Politica migratoria: la sentenza del tribunale causa problemi al governo

Come in Italia, anche in Germania a volte i tribunali prendono decisioni controverse che causano disappunto tra i cittadini e sconcerto tra i politici. Ora il tribunale amministrativo di Berlino ha stabilito in una sentenza d’urgenza che il respingimento dei richiedenti asilo nel contesto dei controlli alle frontiere sul territorio tedesco è illegale. Senza l’attuazione della cosiddetta procedura di Dublino, i richiedenti asilo non possono essere respinti oltre il confine tedesco. I giudici si sono pronunciati nel caso di tre somali che erano stati precedentemente rispediti da Francoforte sull’Oder nella vicina Polonia. 

Questa è la prima decisione giudiziaria sul nuovo regolamento introdotto dal ministro dell’Interno Alexander Dobrindt. Il politico della CSU aveva ordinato l’intensificazione dei controlli alle frontiere poche ore dopo il suo insediamento. Allo stesso tempo, il ministro ha autorizzato la polizia federale a respingere i richiedenti asilo alla frontiera, a eccezione di donne incinte, bambini e altri membri di gruppi vulnerabili. In precedenza, solo le persone che non avevano presentato domanda di asilo e i migranti con un divieto temporaneo di ingresso erano stati respinti.

Nel caso specifico, si è trattato di due uomini e una donna somali che viaggiavano in treno dalla Polonia in direzione della Germania e che sono stati controllati alla stazione di Francoforte sull’Oder (la città è separata dalla Polonia solo da un ponte) dalla polizia federale. Dopo aver presentato una domanda di asilo, sono stati respinti in Polonia lo stesso giorno. 

Le autorità hanno giustificato la procedura indicando che i soggetti facevano il loro ingresso da un Paese terzo sicuro. Gli interessati si sono opposti con una procedura d’urgenza dinanzi al tribunale amministrativo, che ha dichiarato che la motivazione alla base del respingimento non era sufficiente. Il ministro dell’Interno Dobrindt ha difeso la procedura, certo del fatto che “l’interpretazione giuridica alla base non sia stata sconvolta, in quanto il tribunale ha espresso soltanto critiche in merito alla motivazione”. Pertanto, “la Germania non cambierà la nuova prassi”. Anche il Cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha annunciato di voler proseguire con i respingimenti. Una questione pare però irrisolta: secondo il tribunale, le decisioni in merito sono inoppugnabili. 

 

Occupazione illegale: il ministro Klingbeil dichiara guerra al lavoro nero

Anche la Germania ha un problema crescente con il lavoro illecito. Il ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD) ha quindi chiesto una repressione più severa della criminalità finanziaria e del lavoro nero. Il Vicecancelliere ha affermato che “lo Stato di diritto deve agire con severità nel merito. Si tratta di una questione di giustizia”, annunciando quindi che conferirà alla polizia finanziaria ulteriori poteri di indagine per poter agire in modo più efficace contro il lavoro nero. “Ciò comporterà un’inversione dell’onere della prova per le attività sospette”. L’obiettivo è quello di essere in grado di valutare grandi quantità di dati, anche con l’impiego dell’intelligenza artificiale. “A ciò contribuirà un completo scambio di dati tra le autorità sociali, finanziarie e di sicurezza”, ha spiegato il ministro, che ha disposto maggiori assunzioni nelle autorità finanziarie, con la speranza che più controlli portino maggiori entrate nelle casse dello Stato.

La Zollpolizei – la controparte tedesca della Guardia di Finanza italiana – impiega complessivamente oltre 48.000 persone. 9.200 dipendenti sono impiegati nella lotta al lavoro nero, tra cui anche il controllo della giusta corresponsione del salario minimo legale. In questo settore, lo scorso anno l’autorità ha avviato 97.000 procedimenti penali e 50.000 sanzioni pecuniarie. L’importo dei danni accertati è stato stimato in oltre 766 milioni di euro, nel 2023 invece l’importo era fermo a 615 milioni di euro.

 

Politica energetica: il nuovo governo blocca lo svantaggio del sud

Nel progetto di ampliamento delle centrali a gas, il nuovo governo intende prestare particolare attenzione alla Germania meridionale. Due terzi delle nuove capacità sorgeranno nel sud della Germania, come annunciato dal ministro dell’Economia Katherina Reiche (CDU) durante una visita in Baviera. A tal fine, il ministro prevede l’istituzione di un “bonus per il Sud”. Il Primo ministro bavarese e leader della CSU Markus Söder ha accolto con favore i piani: la Baviera è stata svantaggiata in passato, ora si intravede davvero un “vero barlume di speranza”. Il Primo ministro ha quindi annunciato che punterà a una più stretta collaborazione con il nuovo governo federale guidato da CDU-CSU e SPD. Anche il miglioramento del collegamento della Baviera alla rete a idrogeno è un segnale importante.

Nello stesso contesto il ministro Reiche ha annunciato sgravi finanziari per l’economia. Prima della pausa estiva, si prevedono riduzioni della tassa sull’elettricità e del canone per l’utilizzo della rete, dato che “i prezzi dell’elettricità in Germania non sono più competitivi” (…) “L’accessibilità economica dell’energia deve tornare a essere al centro dell’attenzione politica”. Il previsto ampliamento delle centrali a gas fa parte di un più ampio riorientamento della politica energetica messo a punto dalla nuova coalizione nero-rossa. L’accordo di coalizione prevede la costruzione di circa 40 impianti, quasi il doppio rispetto alla precedente pianificazione dell’ex ministro della coalizione semaforo Robert Habeck (Verdi). Un passaggio obbligatorio all’idrogeno, d’altra parte, non è all’ordine dell’agenda della coalizione nero-rossa. 

Rispetto alle zone ventose e costiere della Germania settentrionale, il sud della Germania è significativamente in ritardo nella produzione di energia eolica. Per quanto riguarda l’ampliamento dell’energia fotovoltaica, la soleggiata Baviera si trova invece da anni ai primi posti. Il Land ha di gran lunga il maggior numero di impianti solari installati in Germania. Nel 2024 la Baviera ha rappresentato circa un quarto della produzione fotovoltaica complessiva, diventando il principale fornitore di energia solare della Germania.

 

La Baerbock eletta Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite

L’ex ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock sarà la prossima Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Durante l’elezione a New York, la 44enne politica dei Verdi ha ottenuto 167 voti nel più grande organo delle Nazioni Unite. Prima della nomina l’ex ministro Baerbock ha dovuto far fronte a una votazione a scrutinio segreto richiesta dalla Russia. Baerbock si è presentata all’elezione per il ruolo al vertice della durata di un anno senza oppositori.

L’elezione in seduta plenaria davanti a 193 Paesi membri delle Nazioni Unite è considerata una formalità: di norma, i delegati decidono le prossime nomine in assenza di oppositori per acclamazione, ossia per consenso e senza un’elezione formale. Nelle ultime settimane, la Russia non ha nascosto di ritenere Baerbock una candidata inadatta e l’ha accusata di “lampanti pregiudizi”. Come ministro degli Esteri, nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina Baerbock ha tenuto una linea dura nei confronti di Mosca, finendo così ripetutamente nel mirino del Cremlino.

 

Luoghi in Germania: Paderborn                                

Fedeli in rivolta nel Duomo di Paderborn, la roccaforte cattolica della Vestfalia. L’occasione della protesta è stata una rappresentazione artistica in programma nella cerimonia ufficiale per l’anniversario dei “1250 anni della Vestfalia”, nella quale attori seminudi si sono esibiti con delle falci e dei polli di plastica avvolti in pannolini nell’area sacra del duomo. Il capitolo del duomo ha preso le distanze e “manifesta il suo sentito rammarico per i sentimenti religiosi feriti dalla messa in scena e ha avviato una revisione interna”. “Oggettivamente blasfemo”, ha giudicato il parroco della cattedrale.

L’esibizione in una delle più antiche cattedrali della Germania, alla presenza del Presidente dello Stato, aveva suscitato un’ondata di indignazione e portato a una petizione con circa 17.000 firmatari. Con il titolo “Contro la profanazione del duomo di Paderborn: per la difesa dei nostri luoghi sacri”, i fedeli hanno chiesto una chiara presa di posizione da parte dell’arcidiocesi. Kas 5

 

 

 

 

Moda femminile in Germania. L’affermazione di Elisabetta Migliaccio di Weilheim/Stoccarda

 

Sarebbe quasi naturale accostare un’indossatrice alle grandi firme italiane. Ma per la brianzola Elisabetta non è così. Lei veste una varietà di capi di abbigliamento, prodotti da aziende danesi, scandinave e tedesche.

La sua storia è un po’ singolare. Nata ad Erba, in provincia di Como, Elisabetta trascorre la sua infanzia nella sartoria della mamma. È lì che inizia a tagliare e cucire i vestitini per le sue bambole. Se fosse stato per la mamma, Elisabetta avrebbe dovuto ereditare l’avviata sartoria. Dopo le Medie però il padre impone alla figlia di frequentare l’Istituto Commerciale per Ragionieri, in modo da avere quel “pezzo di carta”, necessario per un lavoro in ufficio. Infatti, terminata la “maturità” Elisabetta inizia subito a lavorare come ragioniera in una azienda.

Dopo il matrimonio, da cui ha avuto due figlie, suo marito Stefano si trasferisce per lavoro a Weilheim unter Teck, una cittadina di 10mila abitanti, situata ad una 40ina di km a sud-est di Stoccarda. Dopo un anno di sacrifici, la famiglia assume la decisione di stabilirsi definitivamente in Germania, garantendo così alle figlie, allora di 5 e 9 anni, di crescere anche in un sano ambiente bilingue e biculturale.

Oltre a dedicarsi alla loro crescita e al pieno inserimento nella nuova società di accoglienza, Elisabetta pensa di doversi rendere utile anche alla terra d’origine promuovendo vini di qualità di aziende della Franciacorta bresciana. In cuor suo però non si era mai spento il desiderio dell’abbigliamento. Per cui non appena le viene proposto di indossare abiti per conto di una boutique locale tedesca, fa salti di gioia.

Per l’ultra 40enne brianzola si avvera così un sogno. E grazie al suo prestante fisico atletico e all’amore sviscerato per la Moda, Elisabetta è oggi una fotomodella molto in voga.

È consapevole però del fatto che affermarsi nel variegato mondo di quel fenomeno sociale che si chiama “Moda”, non è affatto facile tener botta, a qualsiasi livello. E ciò vale non solo per chi indossa capi di Armani, Gucci, Chanel, Vuitton, Dolce & Gabbana ed altri, ma anche per chi promuove altri segmenti del prêt-à-porter (pronto da portare) che vanno dall’intimissimo, all’Accessories, Allure, Appeal, Applicazioni, Bag Designer fino ad arrivare agli sleep e al reggiseno.

Ma che significa oggi, nell’era dei “Social”, diventare indossatrice o meglio, fotomodella della S’Buotiquele?    Elisabetta esordisce così:

In generale ci sono dei parametri come altezza, fisicità, portamento, essere fotogenica. Per esserlo in modo che diventi una professione è necessario un portfolio di buoni scatti fotografici, appoggiarsi ad agenzie e partecipare a corsi che migliorano la postura ed il portamento. Spesso ci sono dei casting in studi fotografici a cui si è invitati o a cui si può partecipare. 

Che cosa ti affascina? 

Mi affascina tutta la preparazione prima degli Shooting. La scelta degli abiti, la location, il tema dei servizi fotografici.  Dal tema della nuova collezione in negozio, alla promozione di vini e ristoranti, scatti di vita quotidiana…. Indossare per prima questi abiti e l’essere presa come esempio è certamente gratificante. La mia fisicità non è ovviamente da alta moda, ma il progetto è quello di mostrare un corpo ’normale‘ di una donna e di una mamma con i suoi pregi e difetti.

Ci sono compromessi dai quali non ci si può sottrarre?

Assolutamente siiiiii. Soprattutto nelle pose. Bisogna stare attenti a non cadere nel volgare. A volte se ti spogli degli abiti, vieni associata ad altro. Avendo delle figlie non voglio che la mia immagine venga ’sporcata‘. Altri compromessi sono quelli alimentari, per cui due settimane prima degli scatti mi privo di tante prelibatezze e cerco di curare maggiormente la mia immagine.

Come sei giunta al debutto?

La prima passerella è stata a Tavernerio (Como) quando ho sfilato per un negozio della mia amica Denise. Era aprile 2015.  Ero passata a trovarla, cercava modelle e mi chiese se potevo indossare un abito lungo, stile impero. 

Essendo un’italiana in Germania l’accesso alla moda è stato per te facile?

Per me si! Lo stile e la cura italiana sono molto apprezzati qui. Personalmente ho sempre un mio proprio stile che mi differenzia dalla moda tedesca; Vuoi per portamento, vuoi per capacità di accostamento, mi sono sempre distinta. 

Che genere di abiti indossi?

Quando poso per gli Shooting sono generalmente sempre a mio agio con il mio stile, se posso … Quando pubblicizzo abiti in vendita in boutique sono casual, che è ovviamente lo stile della boutique e che meglio si sposa con la sua clientela. La maggior parte delle collaborazioni arriva però dai paesi nordici. 

Chi sceglie luoghi ed ambienti?

Se pubblicizzo per la boutique, gli scatti possono anche avvenire per strada in prossimità del negozio anche per favorire il cambio abiti (tempo permettendo). Altrimenti in studi fotografici. Per altri Shooting mi vengono proposti luoghi dove vengono utilizzate scalinate, parti mozzafiato del paese, presenza del ristorante…. 

Quali capi di abbigliamento ti hanno richiesto maggiore espressività?

Ricordo un servizio sulla pelle e trasparente. Era una giornata piovosa e la pelle come tessuto non è propriamente nelle mie corde. È stato difficile sentirmi a mio agio, ma la bravura del fotografo mi ha portato ad avere 5400 like per una Serie di scatti. 

Chi decide colori e combinazioni? 

Per la boutique sceglie la proprietaria, Yvonne… Spesso è l’unione dei nostri gusti a creare l’outfit. Se poso con il fotografo al 90% decido io.

Quante foto vengono scattate?

Intorno alle 300 foto per provare luci ed esposizioni. 

Chi decide la scelta? 

Il fotografo. Poi mi vengono fatti vedere gli scatti e mi viene chiesto se sono d’accordo nell’utilizzarli 

L’indossatrice può influire sulla scelta dei colori? 

Purtroppo no, nel senso che viene acquistata la collezione per la vendita indipendentemente dal fatto che quel colore mi doni o no. 

Quali sono i capi che prediligi?

Adoro le giacche, il tacco ed un gusto classico. Vado matta per i cappelli!

Hai mai rifiutato pose? 

Quando non me la sentivo, ho sempre cercato una soluzione ed un compromesso.

Che rapporto c’è fra te e il teleobiettivo?

È un rapporto che si costruisce con il tempo. Ti devi fidare ed essere totalmente a tuo agio…solo allora ottieni scatti pazzeschi. Ë un rapporto di fiducia con il fotografo, una sintonia … Alla fine lui ti conosce a tal punto da prendere i tuoi lati migliori. Noi ci divertiamo e questo credo che in alcuni scatti si percepisca.

Dove vengono pubblicate le foto?

Sui social (fb, Instagram) della boutique, sul profilo del fotografo e sul mio di base. Vengono aggiunte poi altre menzioni in base al tema trattato. 

Quanto tempo possa  fra richiesta e realizzazione?

Per la boutique dipende dai tempi di consegna della merce. Generalmente all’arrivo di alcuni abiti si pianifica una data nel giro di una settimana. Per gli altri Shooting la tempistica è un po‘ più lunga, ma non oltre 3 settimane.

Fare la modella è una passione, un lavoro, una soddisfazione della propria vanità? 

Credo in primis una passione; poi si; è l’esplosione della vanità. 

Per quanto tempo si riesce a stare sulla cresta dell’onda?

Secondo me non c’è un termine, lo stabilisci tu. Viviamo in un’era dove non esiste solo il fisico giovane e perfetto; anzi su alcune passerelle troviamo taglie forti e donne che pubblicizzano prodotti per qualsiasi età. Lo fai finché sei in sintonia con l’obiettivo.

Quanto si guadagna nel tuo ambiente?

Le cifre sono davvero variabili quando non è la tua professione principale. Ci sono servizi per i quali puoi raggiungere anche un migliaio di euro. Appoggiarsi ad una agenzia è la cosa migliore.

Per te si è realizzato un sogno?

Non ho ancora finito di realizzarlo, sono solo all’inizio! Ma sicuramente è una grande soddisfazione per me e spero di essere di esempio per tante donne e soprattutto per le mie figlie.

Che consigli daresti?

Direi ad ogni donna di vestirsi ogni giorno come se dovesse sfilare, perché la nostra vita è una passerella e noi siamo le modelle. Spesso essere mamma e donna ‘over’ porta a trascurarsi. Direi di fare proprio l’opposto e di vivere gli anni con una consapevolezza adulta, con la sfacciataggine di una ragazzina. Sempre a testa alta ed abbassare lo sguardo, solo per guardare i nostri tacchi. 

Dove si possono ammirare le tue foto?

Sul profilo ja_bin_ich, portrait_momente, portrait.souls, boutique 2016… Questi sono i principali 

Che dicono in famiglia?

I miei genitori sono orgogliosi ed amano quando i loro amici o conoscenti fanno domande su cosa faccio in Germania. In famiglia mi appoggiano e riscontro successo con le amiche di mia figlia Francesca. Invece a Carola, che ha 18 anni, credo che le diano fastidio certi scatti.

Quali sono i tuoi appuntamenti a breve o lungo termine?

Direi che a fine giugno sarò piuttosto impegnata in alcuni Shooting (Tema ancora da stabilire). Ho altri 3 fotografi tra Stoccarda ed Allgäu che mi hanno chiesto di incontrarci per stabilire delle date.  Con la bella stagione in arrivo prevedo ottimi appuntamenti. Tony Màzzaro, CdI on 4

 

 

 

 

Maci (Comites Saar): siamo il ponte che lega la madrepatria al resto del mondo

 

Presidente del Comites di Saarbrucken, Patrizio Nicola Maci è intervenuto, il 24 maggio scorso, alla riunione di coordinamento consolare all’Ambasciata d’Italia a Berlino. Nel suo intervento, a ridosso dell’approvazione definitiva del decreto-cittadinanza, Maci ha voluto denunciare il rischio di un progressivo allontanamento istituzionale e chiesto il riconoscimento pieno del ruolo che gli italiani all’estero svolgono ogni giorno nel tenere viva l’anima del nostro Paese. Di seguito il testo integrale del suo intervento.

“Eccellenza, oggi prendo la parola in nome di tutti i miei colleghi, per parlare di un legame che non conosce confini, né distanze, né barriere burocratiche: il legame tra gli italiani all’estero e la loro terra d’origine.

L’Italia non è solo un territorio, un insieme di città e paesaggi. L’Italia è un’anima, un’identità che si tramanda da generazioni e che, lontano dalla Penisola, si rafforza, si carica di significato, diventa bandiera e senso di appartenenza.

Paradossalmente, siamo proprio noi italiani all’estero a sentire l’italianità con una forza e una consapevolezza spesso più intensa di chi vive ogni giorno dentro i confini nazionali. L’Italia, per noi, non è solo un luogo sulla carta geografica, ma un faro che guida le nostre vite, che ispira il nostro lavoro e il nostro impegno quotidiano.

Eppure, troppo spesso l’italiano all’estero viene trattato come un cittadino di seconda categoria. Troppo spesso il suo sacrificio, la sua dedizione, il suo contributo vengono ignorati o ridotti a una questione burocratica. Questo non possiamo accettarlo. Questo non deve più accadere.

Gli italiani nel mondo non sono semplici spettatori della storia nazionale, né un numero da conteggiare nelle statistiche. Siamo ambasciatori dell’Italia, siamo custodi della sua cultura, siamo il ponte che lega la nostra madrepatria al resto del mondo. E ogni giorno, con impegno e sacrificio, portiamo avanti un’eredità che merita rispetto e riconoscimento.

Il nuovo Decreto Legge sulla cittadinanza rischia di spezzare questo legame. Limitare il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis oltre la seconda generazione significa non considerare il valore reale dell’appartenenza, significa creare una distanza tra lo Stato e chi da sempre ha mantenuto vivo il proprio legame con l’Italia.

Ma se l’Italia vuole rafforzare davvero il suo legame con i suoi cittadini nel mondo, non può limitarsi a ricordarsi di noi solo quando conviene. Deve riconoscerci, valorizzarci e coinvolgerci. Non siamo un’appendice della nazione, siamo parte integrante del suo presente e del suo futuro.

Eccellenza, il legame con gli italiani all’estero non è solo una questione di diritti, è una questione di identità, di dignità, di visione. Investire su di noi significa investire sulla forza globale dell’Italia, su una comunità che non ha mai smesso di amare e rappresentare con fierezza la propria terra d’origine.

Non chiediamo privilegi, chiediamo rispetto. Non chiediamo concessioni, chiediamo riconoscimento. Perché essere italiani non dipende dalla distanza geografica. Essere italiani è un impegno che portiamo nel cuore, ovunque nel mondo”. (aise/dip 5) 

 

 

 

 

Amburgo. Conferenza sull’UE “alla luce dei cambiamenti geopolitici” (18 giugno)

 

Amburgo – Mercoledì 18 giugno alle ore 18:00 presso l’Helmut Schmidt Forum di Amburgo (Kattrepel 10, 20095 Hamburg) l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con la Fondazione Bundeskanzler Helmut Schmidt organizza una conferenza intitolata “La fine dell’ordine liberale? L’UE alla luce dei cambiamenti geopolitici” con il prof. Vittorio Emanuele Parsi dell’Università Cattolica di Milano e la prof.ssa Funda Tekin dell’Università di Tubinga.  L’incontro vuole aprire un dibattito su come mai l’idea di comunità europea sia stata messa sempre più sotto pressione nonostante i suoi risultati politici, economici e sociali. Si proverà a capire in che misura si debbano ripensare le teorie sulla globalizzazione e l’interazione tra economia e politica e quanto può resistere l’idea originaria di un’UE libera e aperta di fronte all’intensificarsi dei conflitti intraeuropei e internazionali. La serata sarà moderata dalla Dr. Elisabeth Winter, responsabile del programma Mercati globali e giustizia sociale presso la Fondazione Bundeskanzler-Helmut-Schmidt (BKHS). Gli interventi del prof. Parsi si terranno in italiano con traduzione consecutiva in tedesco a cura del Dr. Claudio Campagna, giornalista freelance presso il Canale televisivo NDR di Amburgo. La partecipazione all’evento è gratuita, ma occorre registrarsi via e-mail  Il prof. Dr. Vittorio Emanuele Parsi insegna Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica di Milano, dove dirige l’ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – e all’USI di Lugano. È membro del gruppo di Riflessione e Indirizzo Strategico presso il MAECI e insegna presso la scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È Socio Fondatore della Società per lo Studio della Diffusione della Democrazia e membro dell’Advisory Bord, Centre for Diplomacy and Strategy, London School of Economics. Si occupa da molti anni dello studio delle trasformazioni del sistema globale, al crocevia tra politica ed economia e tra ambito domestico e internazionale. Ultimi volumi: “Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo” (2021), “The Wrecking of the Liberal World Order” (2021) e “Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale” (2022). La prof.ssa Dr.ssa Funda Tekin lavora dal luglio 2023 come Professoressa Onoraria presso l’Istituto di Scienze Politiche dell’Università di Tübingen. Dal 2013, è ricercatrice senior/consigliera e dal 2018 direttrice dell’Istituto di Politica Europea (IEP) a Berlino. L’IEP è considerato “una delle principali istituzioni di ricerca sulla politica estera e europea” (https://iep-berlin.de/) in Germania. La prof.ssa Tekin ha conseguito il dottorato all’Università di Colonia nel 2011. La sua tesi di dottorato si concentrava sulla differenziazione nell’integrazione europea. Questo focus rimane centrale nel suo lavoro e ha acquisito un’importanza enorme nel dibattito sulla politica europea negli ultimi anni. Inoltre, è esperta di relazioni tra UE e Turchia, politica di vicinato e ampliamento dell’UE. Questo è stato anche il tema della sua eccellente lezione inaugurale intitolata “Rethinking the EU’s Enlargement Policy: New Drivers and Old Hurdles”. I suoi altri principali ambiti di ricerca sono Brexit, euroscetticismo, politica giovanile, dibattiti sulle riforme dell’UE. (Inform/dip 4)

 

 

 

 

La Collezione Farnesina a Berlino: prima tappa per “Identità oltre confine”

 

Berlino - La prima tappa del progetto espositivo “Identità Oltre Confine”, curato da Benedetta Carpi De Resmini e promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, si terrà dal 19 giugno al 21 luglio presso l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino.

La scelta curatoriale si concentra sulle artiste presenti nella Collezione Farnesina, nel venticinquesimo anniversario della sua nascita. Dopo Berlino, la mostra sarà a Vilnius e La Valletta.

La curatrice pone l’accento sui concetti di identità, distacco e coesistenza. “Questa mostra”, spiega, “intende aprire una visione diversa e sottolineare l’importanza di mettere in discussione la centralità umana e aprire un dialogo più profondo con il pianeta e altre forme naturali, cercando di spezzare quella relazione basata sul dominio e lo sfruttamento”.

Questa prospettiva si riflette nel dialogo intergenerazionale che attraversa la mostra, creando un confronto tra visioni artistiche e sensibilità diverse, ma accomunate dalla necessità di immaginare nuovi linguaggi di coesistenza. La mostra si apre con l’opera Fibonacci (1975) di Mario Merz, simbolo di un superamento dei confini identitari e di una visione globale e interculturale.

A fianco delle opere di Tomaso Binga, Ketty La Rocca, Maria Lai, Elisa Montessori e Carla Accardi, ci sono i lavori di Silvia Giambrone, Marinella Senatore, Loredana Di Lillo e Elena Bellantoni. Vengono poste in dialogo le opere di Letizia Battaglia, Gea Casolaro, Agnese Purgatorio e Sarah Ciracì. Presenti inoltre i lavori di Rä di Martino, Marta Roberti e Paola Gandolfi, di Silvia Camporesi, Martina della Valle, Elena Mazzi e Laura Pugno.

Ogni tappa offrirà prospettive uniche e interventi pensati in dialogo con il luogo, per valorizzare la specificità di ciascuno spazio e amplificare il messaggio della mostra attraverso letture plurali. In particolare alcuni artisti hanno realizzato interventi site-specific per questa mostra di Berlino: si tratta di Elena Bellantoni, Martina della Valle e Tomaso Binga. (aise/dip 6)

 

 

 

 

 

La piattaforma Orizzonti per informare sul sistema scolastico in Germania

 

Si chiama Orizzonti ed è la piattaforma per ragazze e ragazzi che vogliono costruire il loro futuro scolastico e lavorativo in Germania. “Volevamo uno strumento nuovo, accessibile anche ai giovani per informare sul sistema scolastico, su quello universitario e sul mondo del lavoro, mi piace usare la parola Bildung per definire la piattaforma Orizzonti” (Luciana Stortoni). Temi: scuola, università e formazione professionale. Orizzonti collabora con enti e associazioni per arricchire il servizio informativo. Per i giovani in Germania e in Italia. Presentazione al pubblico di Orizzonti il 13 giugno presso la missione cattolica di Colonia

 “Perché non c’era quando sono arrivata in Germania?” –   è la domanda che Simonetta del Favero e Luciana Stortoni sentono ripetere quando presentano Orizzonti, la piattaforma in italiano e in tedesco per orientare ragazze e ragazzi nel mondo della scuola, dell’università, della formazione e del lavoro in Germania. L’iniziativa era partita dal Com.It.Es  di Colonia, che aveva chiesto e ottenuto i finanziamenti dal ministero, ed è stata appoggiata dal console della circoscrizione di Colonia, Luis Cavalieri.  “Volevamo uno strumento nuovo, accessibile anche ai giovani per informare sul sistema scolastico, su quello universitario e sul mondo del lavoro, mi piace usare la parola Bildung per definire la piattaforma Orizzonti” – dice Luciana Stortoni, politologa, che lavora in università nella progettazione e cooperazione internazionale per la formazione, e con una lunga esperienza nel mondo della scuola, fino al 2016 è stata preside del liceo italiano di Colonia, Italo Svevo. “Il progetto è nato nella circoscrizione consolare di Colonia ma l’obiettivo è quello di andare oltre Colonia, oltre il NRW e renderlo uno strumento per tutti i Länder” dice Simonetta Del Favero, puericultrice di professione, presidente del Com.It.Es  di Colonia, che si è occupata della parte, pratica, organizzativa e istituzionale del progetto Orizzonti.

I corsi universitari in Germania sono più di 20.000, come avete gestito una tale mole di informazioni?

Luciana Stortoni: La parte dell’università è quella che è costata più lavoro ma è anche quella più originale della piattaforma. Volevamo mettere bene in chiaro le differenze fra il sistema italiano e quello tedesco, le peculiarità del sistema tedesco, dei diversi tipi di università. È un lavoro che abbiamo fatto con particolare attenzione perché uno degli obiettivi è non solo quello di informare ma di avvicinare il mondo universitario ai giovani di origine italiana perché non sono tantissimi quelli che studiano.

In questo senso a che cosa avete dato particolare rilievo su Orizzonti?

Abbiamo coinvolto anche realtà che non sono molto conosciute come i corsi di laurea integrati tra Italia e Germania, sicuramente attraenti per molti giovani italiani in Germania. Abbiamo riportato le esperienze di studenti. La Germania offre molte opportunità perché si può studiare anche senza avere la maturità generale. Ci sono tante possibilità che non sono conosciute ma che sono interessanti, come i corsi di laurea duali, che mettono insieme studio e lavoro. Poi abbiamo dato spazio ai dottorandi perché ci sono tanti ragazzi che vengono dall’Italia per studiare qui.

A chi si rivolge la piattaforma?

Alla comunità italiana stanziale, a ragazze e ragazzi di seconda e terza generazione che parlano meglio il tedesco che l’italiano, il che non significa che siano sempre ben informati su tante cose. Lo scoglio non è quello linguistico. E poi spiegare il sistema scolastico tedesco è molto importante per chi arriva dall’Italia.

E sul mondo del lavoro che cosa si trova su Orizzonti?

Viviamo in un mondo di formazione permanente in cui l’apprendimento di nuove competenze non finisce mai a causa del costante cambiamento del mondo del lavoro. Su Orizzonti si trovano informazioni sull’aggiornamento professionale. Sempre sul mondo del lavoro ci sono informazioni sui servizi dei patronati.

Il sistema scolastico tedesco è federale e ogni Land ha il suo, come sappiamo. Orizzonti, nata nel NRW, si è focalizzata su questo Land per quanto riguardano le informazioni sulle scuole di primo e secondo grado. C’è l’idea di estendere la piattaforma agli altri Länder per avere un quadro completo dei percorsi scolastici? E come fare per muoversi in questa direzione?

Simonetta Del Favero: Sulla piattaforma si trova una cartina interattiva della Germania, con link su NRW e sulla circoscrizione a cui fa capo il Com.It.Es di Berlino con cui è iniziata una collaborazione. Con gli altri presidenti dei Com.It.Es il discorso è avviato. Il progetto è nato nella circoscrizione consolare di Colonia ma quando abbiamo presentato la richiesta in Ministero, avevamo scritto che l’obiettivo era quello di andare oltre Colonia, oltre il NRW e renderlo uno strumento per tutti i Länder perché, anche se le parti del sistema scolastico differiscono, le altre informazioni valgono per tutti i Länder, anche quelle che abbiamo dato sui doppi titoli, sui dottorati, sui centri di ricerca che ci sono in Germania, per esempio, valgono per tutta la Germania.

Questo è un lavoro costante, che richiede un continuo aggiornamento delle informazioni da mettere sulla piattaforma. Ci sono altri contenuti che volete ampliare o introdurre?

Luciana Stortoni: Nel campo della scuola abbiamo cercato di approfondire alcuni temi, per esempio, quello dell’assistenza psicologica pubblicando indirizzi a cui i ragazzi possono rivolgersi in casi di necessità; questo è un tema che vogliamo approfondire. Abbiamo dato spazio anche alle scuole bilingui anche con presentazioni e con la possibilità di raccontarsi.

Oltre a questo l’idea è di fare di Orizzonti uno strumento di partecipazione e di comunicazione con la comunità, di aprire un blog per i ragazzi, per le scuole, per i corsi di lingua e cultura, anche per le scuole tedesche dove si insegna italiano come lingua straniera. Una piattaforma per l’espressione dei giovani, per dare loro un’idea di come si fa comunicazione, Ci piacerebbe introdurre della formazione su come si fa un video, come si fa un podcast, su come si fa un blog, molti li sanno fare ma altri no, e ciò richiede un po’ di competenze tecniche e di comunicazione. Visto che parliamo di ragazzi giovani c’è bisogno della partecipazione di insegnanti. È uno dei nostri obiettivi più prossimi e importanti. Chiederemo quest’anno dei fondi aggiuntivi e se ci verranno concessi li indirizzeremo in questa direzione. Bisogna essere estremamente attivi, essere presenti sui social, e per questo dobbiamo continuare contare sulla collaborazione di Federico, giovane studente di informatica che lavora con noi e che è una risorsa preziosissima.

Otre al Com.It.Es, al consolato di Colonia anche il Forum Accademico Italiano ha collaborato a realizzare questa piattaforma. Lei, Luciana Stortoni, fa parte del direttivo. Che cos’è?

Luciana Stortoni – È l’associazione dei ricercatori e accademici italiani in Germania, nacque nel 2010 nella circoscrizione di Colonia con lo scopo di promuovere l’interazione tra accademici italiani e tedeschi. Ora con il nuovo statuto siamo in tutta la Germania.

Ci sono anche realtà associative, altri soggetti che possono sostenere il progetto. Che cosa avete in programma per i prossimi mesi? Simonetta Del Favero e Luciana Stortoni – Noi siamo aperti a ogni tipo di partecipazione. Abbiamo presentato il progetto a Rete Donne a Düsseldorf l’anno scorso. La presenteremo ancora a giugno presso la Missione cattolica italiana di Colonia e a settembre con l’associazione Italia Altrove. Inoltre promoviamo Orizzonti con degli incontri in università. Lo scorso anno abbiamo organizzato un evento all’università di Colonia, dove studenti di vari corsi integrati binazionali hanno raccontato le loro esperienze, a fine novembre saremo a Bielefeld (coinvolgendo anche altri atenei, p.e. Münster e Bonn).  Anche quest’anno contiamo sulla partecipazione del DAAD (Deutscher Akademischer Austauschdienst) con cui stiamo organizzando tavoli tematici. Nell’ambito della scuola ci sono altre iniziative.  Con l’organizzazione “native scientist” porteremo nelle tre scuole elementari bilingui di Colonia degli scienziati italiani che faranno degli esperimenti insieme alle scolari. Ci sarebbe tantissimo da fare, di idee ne abbiamo tantissime. Siamo in collaborazione e abbiamo dei progetti con Cosmo Italiano, il podcast di informazione giornalistica del WDR e, ripeto, siamo aperti a collaborazioni che possano incrementare la diffusione e lo sviluppo di Orizzonti. Paola Colombo, CdI on 6

 

 

 

 

 

Mostra fotografica “Va Pensiero” all’IIC di Amburgo dal 19 giugno

 

Amburgo. Giovedì 26 giugno 2025 alle ore 19 l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo inaugurerà la mostra fotografica intitolata “Va’ Sentiero”, una prospettiva inedita sulle Terre Alte italiane dalla spedizione a piedi sul sentiero più lungo al mondo. La mostra è organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), l’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera, l’Associazione Va’ Sentiero e l’Associazione Culturale Kublaiklan.

“Come stanno oggi le nostre montagne?”  

Tra il 2019 e il 2021, il team Va’ Sentiero ha percorso e documentato l’intero “Sentiero Italia” – un filo rosso che cuce, una regione dopo l’altra, le Terre Alte di tutto il Paese, dalle Alpi agli Appennini. In 7.887 chilometri di continuo saliscendi dal Friuli Venezia Giulia alla Sardegna, passo dopo passo, valle dopo valle, il team ha incontrato un’Italia spesso contadina, rimasta fuori dai grandi circuiti, in parte preservata dalla livella della globalizzazione ma logorata dallo spopolamento, depredata dalle sirene dell’industrializzazione. “Il mondo dei vinti”, come lo chiamò Nuto Revelli. Al contempo si è toccato con mano gli effetti del parossismo climatico e dell’abbandono, il senso di isolamento sociale, culturale, economico.  Negli scatti di Sara Furlanetto c’è la volontà di testimoniare la consistenza di quelle terre, di chi le abita; di restituire la loro bellezza e di raccontare la loro decadenza. Inevitabilmente, il suo sguardo è stato passeggero, come di chi cammina; si tratta di istantanee, non di ritratti meditati. Nel suo lavoro c’è l’intenzione di testimoniare l’esistenza di una parte di Paese considerata a lungo minore, accostando chi abita la città alla dimensione montana meno spettacolare, contrastando così lo stereotipo che la esilia a luogo ludico, senza un futuro proprio; e al contempo invitare chi guarda a fare lo zaino, a toccare quella vastità, a prenderne coscienza.  Da settembre 2024 sul canale 3sat è stata trasmessa una serie documentaristica sul Sentiero Italia, cui l’Associazione Va’ Pensiero ha preso parte come co-conduttore. Le 4 incantevoli puntate (dedicate a Piemonte, Emilia Romagna e Toscana, Abruzzo, Sicilia) portano gli spettatori negli splendidi scenari del sentiero, raccontando la straordinaria importanza culturale, ambientale e sociale di questa riscoperta.  In occasione dell’inaugurazione della mostra sarà proiettato un video racconto inedito (della durata di circa 20 minuti, in italiano con sottotitoli in tedesco) che racconta le tappe del cammino, l’esperienza del gruppo di camminatori e il lavoro di elaborazione delle bellissime storie lungo il Sentiero Italia, mostrando gli splendidi panorami e i piccoli borghi incontrati sulla via, dalle Dolomiti, alla Puglia, alla Sardegna.  Il progetto “Va’ Sentiero” ha ricevuto numerosi patrocini, tra cui quello del Ministero della Cultura, del Ministero dell’Ambiente e di 16 Regioni italiane. A ragione dell’impatto sociale generato e della carica innovativa, il progetto ha vinto il Grand Prix for Sustainability and Climate Action agli European Heritage Awards 2022, finanziato dalla Commissione Europea. A partire dall’archivio fotografico di Sara Furlanetto, l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero della Cultura sta acquisendo un fondo fotografico a testimonianza del valore artistico e culturale del lavoro di documentazione svolto. La mostra fotografica è curata da Rica Cerbarano, Sara Furlanetto e Yuri Basilicò e potrà essere visitata fino al 30 settembre in concomitanza con gli eventi in Istituto oppure dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 16.00 e il venerdì dalle 10.00 alle 13.00.

La partecipazione al vernissage è gratuita, ma occorre la prenotazione tramite il portale Eventbrite: Sentiero_Italia.eventbrite.de. (Inform/dip 11)

 

 

 

 

 

A Berlino il 19 giugno “Sfioramoci”, serata dedicata al cantautore Benvegnú

 

Berlino. Giovedì 19 giugno, dalle ore 20, l’Oblomov Bar di Berlino ospiterà “Sfioramoci”, una serata tributo dedicata a Paolo Benvegnù, il cantautore italiano scomparso lo scorso 31 dicembre. Lo riporta un articolo di Francesco Orlandi per Berlino Magazine, il sito per gli italiani che vivono nella capitale tedesca e indirizzato in generale agli oltre 822.000 che risiedono in Germania. L’evento nasce dal desiderio di rendere omaggio a un artista che ha saputo toccare con delicatezza e profondità la vita di molti, lasciando un segno indelebile nel panorama musicale italiano. La data scelta ha un significato speciale: il 16 maggio 2025 Benvegnù avrebbe dovuto esibirsi proprio all’Oblomov per una tappa del suo “Piccolissimi Fragilissimi Film Reloaded Tour”, un concerto a cui teneva moltissimo. Anche se quella serata non ha potuto avere luogo, “Sfioramoci” rappresenterà un modo per riportare idealmente la sua musica nel locale berlinese attraverso le voci e i ricordi di chi gli è stato vicino. Durante la serata saliranno sul palco numerosi artisti che hanno condiviso con Benvegnù il palco o lo studio. Tra loro ci saranno i musicisti che lo hanno accompagnato nei suoi ultimi due tour, dedicati ai dischi “È inutile parlare d’amore” e “Piccoli Fragilissimi Film – Reloaded”, vale a dire Luca Roccia Baldini, Daniele Berioli, Tazio Aprile, Manuel Schicchi, Mariel Tahiraj e Stefano Ferri. Accanto a loro, prenderanno parte all’omaggio anche ospiti come Malika Ayane e Giorgia Poli, ex membro degli Scisma, la band degli anni Novanta in cui Paolo ha militato. A rendere ancora più viva la serata contribuiranno inoltre alcuni rappresentanti della scena musicale berlinese, tra cui Marta Collica, Gianluca Gill, Riccardo Gileno, Paolo Ferro e Deko. “Sfioramoci” non sarà un semplice concerto, ma una celebrazione corale, fatta di musica, parole, memorie condivise e partecipazione. Chiunque potrà contribuire, leggendo un ricordo, raccontando un aneddoto, suonando un brano o semplicemente lasciandosi attraversare dall’atmosfera intima e affettuosa dell’evento. L’intero ricavato della serata sarà destinato a coprire le spese di viaggio e alloggio dei musicisti, in modo da rendere possibile questo momento di incontro e omaggio collettivo. NoveColonne 12

 

 

 

 

 

Offenbach. CGIL Bildungswerk e.V. non farà più corsi di lingua e cultura italiana in Germania

 

È stata una doccia fredda per centinaia di giovani studenti di lingua e cultura italiana, per i genitori, per gli/le insegnanti, ricevere a fine maggio la comunicazione lapidaria della fine dei corsi della CGIL Bildungswerk e.V. di Offenbach; a partire dal nuovo anno scolastico interromperà l’erogazione delle lezioni di italiano come lingua d’origine. Nella comunicazione si legge che „le regole per accedere ai finanziamenti del ministero degli Esteri Italiano per attivare il nuovo progetto 2025/2026 impongono alla nostra organizzazione no profit di prefinanziare un importo sempre più considerevole delle spese, cosa che purtroppo non possiamo più permetterci“.

Questa cancellazione improvvisa coinvolge 43 scuole e oltre 700 alunni (dalle elementari alla scuola secondaria) e decine di insegnanti nella regione intorno a Offenbach e Francoforte.

La cosa più grave è che questo ritiro dai corsi di italiano ha avuto come conseguenza l’immediata cancellazione dei finanziamenti da parte del Ministero, perché se il destinatario dei fondi si ritira, questi non possono essere trasferiti ad un altro ente per lo stesso progetto.

Se si fosse venuti a conoscenza delle difficoltà della Bildungswerk non a fine maggio ma qualche mese prima, ci sarebbe stato margine di intervento. Perché non è stata comunicata precedentemente la situazione, al Consolato generale, al Dirigente scolastico del consolato? Lo chiederemo al presidente dell’associazione, CGIL-Bildungswerk e.V., Franco Marincola.

Che fare? Genitori, consolato, dirigente scolastico sono in contatto fra di loro e alla ricerca di una soluzione, magari provvisoria per permettere di far partire i corsi ad agosto, per poi trovare un altro soggetto che possa in futuro erogare i corsi. Circola inoltre una petizione che si può sottoscrivere:

https://www.change.org/p/garantire-la-disponibilit%C3%A0-dei-corsi-di-italiano-per-gli-studenti-italiani-in-germania?recruiter=1375827891&recruited_by_id=b65eb960-447c-11f0-a2d6-4bf8c44dffcc&utm_source=share_petition&utm_campaign=psf_combo_share_initial&utm_medium=native

In Assia, come in molte altre regioni della Germania, l’insegnamento dell’italiano come lingua d’origine sta attraversando un momento critico. Questa situazione è stato tema nella riunione di coordinamento a Berlino dei rappresentanti della comunità italiana in Germania e nell’incontro con l’ambasciatore Fabrizio Bucci

Dopo anni di presenza stabile all’interno del panorama scolastico tedesco, oggi la continuità di queste lezioni dipende quasi esclusivamente dall’iniziativa di genitori, dagli enti gestori sostenuti dal MAECI e, in alcuni casi, da insegnanti privati. Il Kultusministerium infatti svolge un lavoro amministrativo: registra le iscrizioni, trova le scuole e mette i voti in pagella.

A partire da settembre 2025 quindi, centinaia di bambini e ragazzi di origine italiana rischiano di perdere l’unica occasione formale per coltivare la propria lingua e identità culturale. In molte città le lezioni di italiano si tengono solo grazie a un impegno volontario e spesso oneroso da parte delle famiglie, che si fanno carico non solo dell’organizzazione logistica, ma anche dei costi.

Per comprendere più da vicino le sfide e le speranze legate a questa situazione, abbiamo intervistato un genitore di Eltwille in Assia, Anna, che da anni si dedica con passione per far in modo che l’italiano venga insegnato. Con lei esploriamo le difficoltà quotidiane, il valore di questa attività e le prospettive per il futuro.

Anna, per Lei, come genitore, quale valore ha mantenere viva la lingua italiana all’interno della famiglia?

Ho saputo il 30 maggio che i corsi non sarebbero partiti, quando ho ricevuto un’e-mail dal CGIL Bildungswerk. Fino a quel momento ero convinta che i corsi si sarebbero svolti regolarmente. È stato un grande dispiacere ricevere questa notizia, anche perché come genitori avevamo già coinvolto i nostri figli e ci stavamo preparando per l’inizio delle lezioni.

Per me, come genitore, mantenere viva la lingua italiana all’interno della famiglia ha un valore immenso. È fondamentale che i miei figli non solo parlino l’italiano, ma che conoscano anche la grammatica, l’ortografia corretta, la storia e la cultura italiana. Desideriamo trasmettere loro queste competenze come parte integrante della loro identità e del loro futuro.

Vivendo in Germania, è ancora più importante avere un’opportunità strutturata come questo corso per colmare le lacune che naturalmente si creano nel contesto scolastico tedesco, dove l’italiano non è parte del curriculum quotidiano.

Questo corso rappresenta per noi uno strumento prezioso per garantire che i nostri figli possano esprimersi correttamente in italiano, sviluppare capacità retoriche e scritte e sentirsi legati alle proprie radici culturali. Senza un corso di questo tipo, sarebbe molto difficile per noi, come famiglia all’estero, mantenere un livello adeguato di competenza linguistica e culturale.

Quali azioni intende intraprendere per garantire la ripresa di questi corsi in futuro? Esiste la possibilità che i genitori possano intraprendere un’azione di” salvataggio” dei corsi dell’annoscolastico 2025/26?

Mi sono già messa in contatto con una rappresentante del Beirat für ausländische Mitbürger, perché credo profondamente che questi corsi debbano ripartire. Sono pronta a dare il mio contributo concreto per fare in modo che ciò accada, perché ritengo che offrire ai nostri figli la possibilità di crescere bilingui e consapevoli della propria cultura sia un valore inestimabile.

 

Per quanto riguarda un’azione di “salvataggio” per l’anno scolastico 2025/26, penso che noi genitoripossiamo e dobbiamo unirci per trovare soluzioni. Sono convinta che, se ci organizziamo insieme, possiamo collaborare con le istituzioni, le associazioni e altri enti per garantire la continuità dei corsi. Personalmente sono determinata a fare la mia parte e sono disponibile a partecipare attivamente a ogni iniziativa che possa aiutare a raggiungere questo obiettivo.

Ho già avviato i primi contatti con una rappresentante del Beirat für ausländische Mitbürger, che collabora anche con l’Ufficio scolastico (Schulamt), perché credo che sia fondamentale coinvolgere le istituzioni locali sin dall’inizio.

 

Intendo inoltre rivolgermi direttamente al CGIL Bildungswerk per capire quali sono le possibilità concrete di ripresa dei corsi e come noi genitori possiamo contribuire. Parallelamente, sto considerando di contattare il Consolato italiano per ottenere un sostegno istituzionale e culturale più ampio.

Sono determinata a esplorare ogni canale possibile e a costruire una rete di contatti e collaborazioni che possa davvero fare la differenza per il futuro di questi corsi.

A quali enti o istituzioni pensa di rivolgersi per ottenere supporto?

Penso che il CGIL Bildungswerk potrebbe supportare molto meglio i corsi di lingua e cultura italiana attraverso una comunicazione più trasparente e tempestiva con i genitori.

Già nel mese di marzo avevo segnalato che l’attuale insegnante sarebbe andata in congedo di maternità e mi ero resa disponibile ad aiutare, proponendo anche nominativi concreti di possibili insegnanti sostitutivi. Purtroppo non ho ricevuto riscontri concreti, se non una risposta generica poco prima della comunicazione ufficiale della cancellazione dei corsi.

Mi sarei aspettata un maggiore coinvolgimento dei genitori e una gestione più aperta della situazione. Credo che, in futuro, il Bildungswerk dovrebbe instaurare un dialogo più stretto con le famiglie, informare con anticipo sulle difficoltà organizzative ed essere più aperto a soluzioni condivise. Questo renderebbe possibile salvaguardare i corsi e offrire continuità ai nostri figli.

Può raccontarci la sua esperienza personale: ha partecipato a questi corsi quando era ragazza?

Sì, da bambina ho frequentato i corsi di lingua e cultura italiana, che all’epoca erano obbligatori. Ricordo con grande gratitudine quanto questi corsi mi abbiano arricchito: non solo ho imparato la grammatica e a scrivere correttamente, ma ho anche sviluppato una capacità di esprimermi in modo articolato e consapevole nella mia lingua madre.

Ancora oggi, nella vita quotidiana e professionale, traggo beneficio da quanto ho imparato allora.

Proprio per questa esperienza personale sono profondamente convinta dell’importanza di offrire ai nostri figli la stessa possibilità. Vivendo all’estero, questi corsi rappresentano un ponte prezioso con la nostra lingua e cultura, un legame che desidero fortemente mantenere e trasmettere.

Laura Latini e Paola Colombo, CdI on 12

 

 

 

 

 

Hannover. In Consolato la mostra fotografica “Roma si sveglia”

 

Hannover - Dal 1° luglio al 30 settembre il Consolato Generale d’Italia in Hannover ospita la mostra fotografica di Matthias Riemann “Roma si sveglia”. Organizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca (DIK), la mostra sarà introdotto il giorno del vernissage da Tom Deutschmann e Vincenzo Grauso.

La mostra è l’esito di un progetto fotografico che ha visto l’autore trascorrere, nel settembre 2024, quattro settimane a Roma fotografando all’inizio di ogni giornata, tra le sei e le otto del mattino, strade, case, persone e paesaggi. Fotografie di strada si alternano a motivi architettonici e urbani. In bianco e nero o a colori, gli scatti presentati catturano le luci e le atmosfere, le pietre e i movimenti che l’alba tende a decelerare, dando spazio a episodi di vita sociale e quotidianità, nei bar o alle fermate dell’autobus, e mostrando il “non ancora” che ancora non ha lasciato spazio alla massa di persone che si impossesseranno della città. Per il fotografo la bellezza del vuoto e l’imparzialità dello sguardo sono una costante irrinunciabile.

Il titolo della mostra, “Roma si sveglia”, è servito fin dall’inizio per accostarsi a un tema molto complesso e va letto alla luce di ciò che si osserva a inizio giornata in una qualsiasi metropoli del mondo.

Matthias Riemann, classe 1956, ricevette la sua prima macchina fotografica, una Kodak con esposimetro, dai genitori: “me l’avevano prestata per un viaggio Interrail nel 1974”, racconta: “è andata persa in un vagone della metropolitana di Parigi. Ci ho imparato a fotografare. La seconda, una Canon ftb, è stata la mia compagna analogica per molti anni. Con la mia attuale fotocamera, una Olympus E M 1, ho ricominciato a fotografare intensamente dopo diversi anni”.

(aise/dip 3) 

 

 

 

 

 

 

"Negativo è Positivo": a Saarbrücken la prima mostra in Germania di Mario Vetere

 

Saarbrücken - Con l’inaugurazione della mostra “Negativo è Positivo” dell’artista calabrese Mario Vetere, l’Associazione Kalabria Italiae Mundi e.V. si conferma come una delle realtà italiane più attive in Germania per la promozione culturale della Calabria e dell’Italia intera.

La mostra, organizzata in collaborazione con la VHS di Saarbrücken e il Regionalverband Saarbrücken, sarà visitabile dal 26 giugno al 29 agosto 2025 presso l’Altes Rathaus (Foyer) a Saarbrücken, location di prestigio e storia. L’ingresso è libero, e il vernissage si terrà giovedì 26 giugno alle ore 17:00.

L’evento rappresenta il debutto in Germania di Mario Vetere, artista nato a Torino da genitori calabresi e attualmente residente a Strongoli (Crotone), che ha già esposto in contesti nazionali e internazionali. Le sue opere sono il risultato di un’affascinante ricerca sulla percezione del colore e sull’uso del negativo, che rimanda alle vecchie pellicole fotografiche, e che prende vita grazie a un filtro sviluppato appositamente dal brasiliano Scott Martins. Il risultato? Opere che, a occhio nudo, appaiono astratte e spente, ma che rivelano la loro sorprendente profondità cromatica e dettaglio quando osservate attraverso la lente digitale. L’amministrazione del Comune di Strongoli nella persona del Sindaco Francesco Benincasa ha sostenuto l’artista con Patrocinio.

Kalabria Italiae Mundi e.V. non solo ha sostenuto attivamente l’iniziativa, anche grazie agli sponsor che renderanno speciale l`inaugurazione: Ristorante Pizzeria “La Perla Nera” a Rehlingen con un Catering tutto calabrese, Ristorante Pizzeria “Da Nico” a Saarbrücken con vino calabrese, e lo sponsor che sostiene attivamente l`associazione l`impresa Innova Home GmbH a Riegelsberg; ma continua a distinguersi come ponte culturale tra l’Italia e la Germania, collaborando ufficialmente con il Centro Studi sull’Italiano dell’Università di Trier, diretto dalla Prof.ssa Mara Onasch, con cui porta avanti progetti di valorizzazione linguistica e culturale.

“Ringraziamo la VHS di Saarbrücken per questa importante opportunità – dichiara l’associazione – e auspichiamo che sia l’inizio di una lunga e proficua collaborazione. Il nostro obiettivo resta quello di promuovere l’Italia e in particolare la Calabria, terra di origini e di passioni, attraverso l’arte, la lingua e la cultura”.

Durante la cerimonia inaugurale, Michele Marotta terrà la laudatio ufficiale, mentre l’accompagnamento musicale sarà curato da Stefan Röttig, contribuendo a rendere l’evento un momento di alto profilo culturale.

(Silvestro Parise, aise/dip 12) 

 

 

 

 

 

La piattaforma “Non sei sola”, per aiutare le donne italiane vittime di violenza in Germania

 

In Germania, come altrove, la violenza di genere è una realtà purtroppo quotidiana, spesso taciuta o invisibile. Anche molte donne italiane che vivono all’estero, lontane dai propri affetti e dalle reti di sostegno, ne sono vittime. Proprio per rispondere a questa urgenza nasce Non sei sola, la piattaforma ideata da ReteDonne e.V. – Coordinamento donne italiane all’estero. Intervista a Luciana Mella, responsabile del progetto Non sei sola e presidente di ReteDonne e.V., che ci racconta come è nata questa iniziativa, quali sono gli strumenti offerti e cosa possiamo fare concretamente per sostenere le donne italiane vittime di violenza in Germania. https://nonseisola.de/

Come è nata l’idea della piattaforma Non sei sola? Qual è stato l’elemento che ha fatto scattare la decisione di realizzarla?

L’idea nasce da due riflessioni che si sono incrociate tra di loro. Da una parte la considerazione che in Germania si parli pubblicamente ancora troppo poco di femminicidi e di violenza di genere. Come se questi fenomeni non esistessero, o fossero marginali. Mentre, purtroppo, i dati tedeschi non si discostano da quelli italiani: quasi ogni giorno una donna viene uccisa da un uomo. E le violenze tra le mura di casa, sia fisiche sia psicologiche, sono in costante aumento. Dall’altro lato ci siamo rese conto che questo “silenzio” riguarda anche le donne italiane che vivono qui. Anche loro subiscono violenze, soprattutto in ambito famigliare, ma raramente ne parlano. Barriere culturali e linguistiche producono più solitudine e paure di quanto possiamo immaginarci. Da qui l’idea di uno strumento, facile da consultare sul proprio cellulare, per individuare strutture dove rivolgersi in lingua italiana.

So che il progetto è stato lanciato simbolicamente intorno alla Giornata internazionale della donna, lo scorso marzo. Quanto è stato importante legarlo a quella data e come è stato accolto inizialmente?

Abbiamo lanciato la piattaforma in coincidenza dell’otto marzo proprio per sottolineare che la giornata non deve restare una data celebrativa: le mimose e i fiori non fermano le violenze. Il 10 marzo, inoltre, a Berlino, in occasione della IV edizione del ciclo “Italiane in Germania. Donne e salute”, promosso dall’ Ambasciata d’Italia a Berlino, abbiamo avuto l’opportunità di presentare ufficialmente il progetto. Credo sia importante sottolineare l’attenzione che l’Ufficio Affari Sociali dell’Ambasciata, e lo stesso Ambasciatore Fabrizio Bucci, ci hanno dedicato. Ci hanno infatti indicato di inserire nella piattaforma “nonseisola.de” le sedi dei Consolati italiani in Germania quali punti di riferimento per donne che hanno subito violenze.

Come funziona la cartina interattiva sul sito e quali risorse in lingua italiana offre alle donne che cercano aiuto?

La cartina è abbastanza intuitiva. Quando la si apre si visualizzano immediatamente tutti gli sportelli disseminati sul territorio tedesco a disposizione per accogliere fisicamente, o telefonicamente, le donne. Si usa come una qualsiasi applicazione di navigazione. Attualmente gli sportelli in lingua italiana sono 54, a cui si aggiungono altre 46 strutture nelle quali, accanto al tedesco, si parlano anche inglese o altre lingue.

Quali sono, secondo te, le principali difficoltà che incontrano le donne italiane in Germania quando subiscono violenza domestica?

La prima difficoltà, che purtroppo è comune alle donne di tutto il mondo, è quella di essere consapevoli che si sta subendo una violenza. Un marito, o un compagno, che ci prendono a schiaffi, se non peggio, non hanno nessuna giustificazione. Non dobbiamo considerarli come raptus, o momenti in cui loro hanno “perso la pazienza, tanto poi gli passerà e non lo farà più”. Così come non dobbiamo accettare di essere continuamente insultate, denigrate, sminuite o costrette a restare isolate, o a non poterci rendere economicamente indipendenti. A questa prima barriera si aggiunge il timore di non saper raccontare in tedesco quello che ci è successo, di non riuscire a trovare le parole giuste, di doverci confidare con persone che non ci capiscono. Denunciare una violenza è già molto difficile farlo nella propria lingua madre; lo diventa ancora di più se ci dobbiamo esprimere in una lingua che, magari, conosciamo poco o per nulla. Non dimentichiamoci poi che affrontare una situazione emotivamente e fisicamente dolorosa, senza poter abbracciare qualcuno, o senza avere una persona che ci tenga la mano, non è per nulla facile. E, in molti casi, le amiche del cuore o i famigliari che potrebbero sostenerci, vivono a mille chilometri di distanza.

Avete già riscontrato dei casi concreti in cui la piattaforma è riuscita ad aiutare una donna in difficoltà?

Ad oggi abbiamo avuto solo un paio di segnalazioni di donne che si sono rivolte agli sportelli segnalati e che sono state poi indirizzate ad altre strutture in grado di aiutarle concretamente. Da un lato ci piacerebbe dire che, forse, è meglio così. Anche se sappiamo che la realtà è purtroppo un’altra.

Come speri che Non sei sola cresca nei prossimi mesi? Avete già in mente altri strumenti o sviluppi futuri?

Nei prossimi mesi contatteremo associazioni italiane, gruppi o singoli che ancora non abbiamo raggiunto, per chiedere la loro adesione e un aiuto concreto per far conoscere la piattaforma. Proveremo anche a ricontattare i soggetti che ancora non hanno risposto al nostro primo appello. Cercheremo di entrare in contatto con le istituzioni tedesche, a diversi livelli, non solo perché anche loro diffondano l’informazione, ma anche per provare ad ampliare i punti di ascolto. Partendo poi dall’idea che “prevenire è meglio che curare”, insieme all’associazione ItalienVerein di Dortmund, abbiamo avviato nel Nordreno-Vestfalia, il progetto “Empower Parents: Kindererziehung ohne Maskulinismus”. L’idea è quella di sensibilizzare genitori con origini migratorie ad una educazione paritaria dei figli, che riesca a mettere in discussione e a soppiantare il modello patriarcale. Che sappiamo bene essere alla base delle tante forme di violenze di genere.

Cosa potrebbero fare, secondo te, le istituzioni tedesche per supportare meglio le donne straniere vittime di violenza?

Intanto le istituzioni tedesche dovrebbero destinare più soldi, più investimenti e fornire maggiore supporto a chi se ne occupa quotidianamente. La tendenza va, invece, esattamente nella direzione opposta. Mentre in Germania aumentano i casi di violenza di genere, le organizzazioni della società civile che si occupano di donne in emigrazione, come ad esempio DaMigra, si trovano ad affrontare tagli finanziari che mettono a rischio la loro stessa esistenza. Andrebbe poi rafforzato l’aspetto informativo: le donne devono sapere a chi si possono rivolgere, quali sono i loro diritti e di quali servizi possono usufruire se hanno subito un qualsiasi tipo di violenza. Le informazioni devono essere disponibili in tutte le lingue rilevanti, italiano compreso, così come nel linguaggio semplificato e in formati accessibili alle persone con disabilità. L’altro aspetto, altrettanto importante, è quello della carenza di strutture di accoglienza delle donne che hanno subito violenze. Sappiamo che in Germania attualmente (fonte: Statista, 25.11.2024) sono presenti e operative circa 400 case di accoglienza per le donne maltrattate, Frauenhäuser. I posti disponibili sono 7.700. Stando alla Convenzione di Istanbul ce ne vorrebbero invece almeno 21.000. Vorrei ricordare che la Germania ha firmato la Convenzione nel 2011 e che l’accordo, ratificato, è entrato in vigore il 1º febbraio 2018. In queste strutture, va poi sottolineato, il 69% delle donne ospitate non è nato in Germania. C’è quindi molto lavoro da fare.

E infine: come possiamo – noi che ti seguiamo e condividiamo questo impegno – sostenervi concretamente?

Credo che darci l’opportunità di presentare e diffondere la piattaforma nonseisola.de sia già un grande aiuto. Più donne ne vengono a conoscenza, più donne possono avere la possibilità di provare ad uscire da una situazione di violenza, incoraggiate dal fatto di poter parlare in italiano. Approfitto di questo spazio per ricordare alle lettrici e ai lettori del Corriere d’Italia che l’attività di ReteDonne e.V. si basa esclusivamente sul lavoro di volontariato e sull’autofinanziamento. Anche una piccola donazione può esserci d’aiuto per sostenere i nostri progetti e le nostre iniziative. Queste le nostre coordinate bancarie:

ReteDonne e.V. GLS Gemeinschaftsbank eG

IBAN: DE21 4306 0967 2029 9951 00; BIC: GENODEM1GLS

Grazie.  Licia Linardi, CdI on 6

 

 

 

 

La Festa della Repubblica a Friburgo

 

Friburgo - In un clima di grande partecipazione di pubblico, con oltre 350 ospiti, il Consolato d’Italia a Friburgo ha celebrato il 79° anniversario della Repubblica Italiana con una cerimonia che ha riunito, nella cornice di Merzhausen, membri della comunità italiana, numerose autorità locali e amici tedeschi.

Per la prima volta – evidenzia la sede consolare – ha preso parte all’evento il Presidente del Regierungspräsidium di Friburgo, Carsten Gabbert, a testimonianza del crescente radicamento delle relazioni istituzionali tra Italia e Germania sul territorio. Presenti anche numerosi sindaci e rappresentanti delle istituzioni politiche, economiche e culturali locali con le quali il Consolato collabora stabilmente, a conferma del solido tessuto di scambi e cooperazioni sviluppato nel corso di questi anni.

Nel suo discorso, la Console Francesca Toninato ha posto in rilievo la fitta rete di collaborazioni con le istituzioni tedesche, la promozione della lingua e della cultura italiana sul territorio e la forte presenza della comunità italiana, composta da oltre 60.000 connazionali, all’interno della circoscrizione consolare di Friburgo. Particolare risalto è stato dato alla storica amicizia tra Italia e Germania, definita “indispensabile in tutti i settori della convivenza” e testimoniata dalla presenza attiva della comunità italiana nella regione, perfettamente integrata nel circondario del Consolato e protagonista di un vivace intreccio di relazioni sociali, culturali ed economiche.

Proprio a dimostrazione di questo ruolo da protagonista che la comunità italiana svolge sul territorio, la Console ha presentato il progetto “Storie di Volti – Geschichten von Gesichtern”, rassegna promossa dal Consolato con lo scopo di far conoscere le vite di uomini e donne, appartenenti alla comunità italiana e tedesca, attraverso il racconto in prima persona delle loro esperienze di vita e di lavoro nei più disparati ambiti (assistenza sociale, ricerca, sostenibilità, medicina, diritto, scienza, cucina, formazione, musica, arte, editoria), al fine di rafforzare il senso di appartenenza e comunità.

A rendere ancora più significativa la cerimonia è stata l’accoglienza riservata agli artisti del Fabbrica Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, i quali hanno arricchito con la loro musica il profondo significato di questa giornata. I tre artisti, la pianista Elettra Pomponio, il soprano Sofia Barbashova e il tenore Guangwei Yao, hanno incantato un pubblico di più di 350 persone. Questi giovani talenti fanno parte di un progetto d’eccellenza dedicato a promuovere le nuove generazioni impegnate nel tramandare la tradizione del teatro lirico in tutto il mondo. Il Fabbrica Young Artist Program offre ad artisti selezionati gli strumenti per crescere, affermarsi ed affrontare i primi passi della loro carriera.

(aise/dip 13) 

 

 

 

 

Festa della Repubblica: attuare la Costituzione, guardare avanti

 

La Festa della Repubblica è occasione per celebrare, ma anche per riflettere su identità e attualità costituzionale. Lavoro, pace, sussidiarietà, democrazia: quattro capisaldi da rileggere oggi. Serve meno retorica e più visione, anche nell’orizzonte europeo. I cattolici possono offrire un contributo decisivo - di Francesco Bonini

Festa della Repubblica, per fortuna. Perché uno spazio per celebrare le istituzioni, in fin dei conti, può essere provvidenziale, soprattutto di questi tempi. A patto di saperlo utilizzare. Anche se su questo ci possono essere tutti i più fondati dubbi, il 2 giugno è comunque una data utile. Per celebrare, in forme cerimoniali e solenni – che sono sempre opportune –, ma anche per discutere, per chiederci cosa sia e come stia la Repubblica. Di qui quattro temi, che sembrano risaltare quest’anno, seguendo la Costituzione, che della scelta della Repubblica è di fatto il primo, fondamentale frutto. Primo: la Repubblica è fondata sul lavoro. Secondo: la Repubblica ripudia la guerra ed è disponibile a cessioni di sovranità su base di reciprocità. Terzo: la Repubblica è costituita su base sussidiaria. Quarto – e sintetico – la Repubblica è democratica, cioè fondata sul bilanciamento tra poteri e sul valore prioritario della persona e delle formazioni sociali.

Lo schema repubblicano, elaborato nel 1946 e ancora oggi fortemente imitato, necessita di continua attuazione.

Il problema di questi ormai ottant’anni di Repubblica – il referendum istituzionale è del 1946, settantanove anni fa – è che questo schema, allora profondamente innovativo e oggi straordinariamente coerente e produttivo, da un lato deve essere sempre inverato, cioè attuato e attualizzato in circostanze storiche molto mutevoli e accelerate, dall’altro spesso appare incrostato di retorica. Ne deriva una sensazione di rincorsa, che spiega anche il motivo per cui, per un malinteso senso di economia, la festa fu addirittura abolita. Fu ripristinata da quel grande presidente che fu Carlo Azeglio Ciampi, in un disegno privo di retorica e dunque efficace, di riflessione e rilancio dell’identità nazionale. Resta la necessità di dire qualcosa sui quattro (tra i tanti) essenziali punti d’identità della nostra Repubblica.

Temi aperti e nuove sfide per la Repubblica. Ovvero: il problema del lavoro e dunque delle diseguaglianze, che si percepiscono in modo sempre più evidente, fino a bloccare la percezione dello sviluppo sociale.

Poi, l’orizzonte europeo, oggi fragile e nebuloso anche per l’incapacità di articolare un discorso sulla guerra e sulla pace che sia realistico e propositivo. Infine, l’articolazione dei rapporti tra i diversi livelli di governo e rappresentanza, dal Comune all’Unione, per quanto riguarda competenze ed efficacia dell’azione. La sensazione è piuttosto quella di disordine e conflitto (spesso in un bicchier d’acqua, ovvero tra debolezze), più che di un chiaro disegno istituzionale e costituzionale. Molta carne al fuoco, dunque, per la riflessione e per l’azione. Ma anche per la realtà di una festa e di un anniversario che raccontano la tanta strada positiva fin qui percorsa. Come pure dei nuovi obiettivi, che incalzano, e richiedono una sana competizione, ma anche un rinnovato consenso sui fondamentali. In fin dei conti, è questo il tradizionale problema del nostro sistema-Paese, tanto più nella prospettiva di un’Unione europea sempre alla ricerca del suo posto e della sua identità in un mondo in rapida ristrutturazione. Che i cattolici – anche con la propulsione del nuovo investimento sul pensiero, il discorso, la dottrina sociale cui sprona Leone XIV – possano lavorare per questo obiettivo potrebbe rappresentare, qualora si definissero anche modalità operative adeguate, una bellissima notizia. Sir 2

 

 

 

 

 

Videomessaggio ai connazionali all’estero del Ministro Tajani

 

Roma – Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, ha pubblicato un videomessaggio di saluto agli italiani nel mondo in occasione della 79esima Festa della Repubblica. “Cari italiani – ha esordito Tajani – a tutti voi che ogni giorno portate alto il nome della nostra patria nel mondo, i miei più calorosi auguri di Festa della Repubblica. In tutte le mie visite all’estero, – ha continuato il Ministro – gli incontri con voi concittadini, con gli imprenditori, ricercatori, operatori di pace, come ad esempio i missionari, sono per me sempre un motivo di grande gioia. In questi contesti ritrovo sempre l’orgoglio per le nostre radici e la profondità di quei valori di libertà e democrazia insiti nella nostra Costituzione”. “L’Italia – ha poi evidenziato il Ministro – è protagonista nell’impegno per la pace, il dialogo e la crescita, in Europa, nel G7 ed in tutti i contesti internazionali. Mai come quest’anno Roma ed l’Italia sono crocevia di pace, è la fotografia di milioni di pellegrini, che sono accorsi a Roma per le elezioni di Papa Leone XIV nell’anno del Giubileo della speranza. Ce lo dicono i negoziati sul nucleare tra Stati Uniti ed Iran, la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina di luglio, l’impegno su Food for Gaza, che nasce a Roma con il programma alimentare mondiale, gli appuntamenti che presto ospiteremo nella nostra Capitale, dedicati all’acqua come simbolo di pace”. “L’Italia – ha rilevato Tajani – è credibile, perché è forte della sua identità, fondata su valori saldi e su ideali europeisti, atlantisti come pilastri della nostra azione internazionale. L’impegno del Governo per la pace è costante, così come è costante la massima attenzione, che dedichiamo a connazionali ed imprese. Lavoriamo senza sosta alla crescita, per portare sempre di più il saper fare italiano di eccellenza nel mondo. Abbiate sempre la certezza – ha concluso il Ministro –di trovare un punto di riferimento nelle nostre Ambasciate e nei nostri Consolati nel mondo. In questo 2 giugno il mio pensiero va a tutti voi, insieme possiamo continuare a crescere, forti nel nostro impegno, delle nostre capacità e del nostro saper fare, insieme possiamo continuare a fare sventolare in alto il tricolore di cui siamo tanto orgogliosi”. (Lorenzo Morgia – Inform 3)

 

 

 

 

 

 

 

Le buone notizie da Kyiv

 

La primavera scorsa l’atmosfera in Ucraina era cupa. La gente temeva un’escalation delle conquiste territoriali da parte della Russia e forse anche il crollo del fronte ucraino. Oggi, il contesto internazionale è ancora più difficile ma, nonostante i tradimenti dell’amministrazione Trump, a Kyiv ho trovato un clima più fiducioso. 

Questa fiducia deriva dalla crescente autosufficienza militare del Paese. L’industria ucraina dei droni è impressionante, in termini di avanguardia tecnologica, adattabilità e capacità produttiva, e si rafforza di giorno in giorno. 

E anche se la manodopera è un problema, l’esercito ucraino capisce la guerra meglio di altre forze in Europa. Certo, a Kyiv nessuno pensa che questa comprensione della guerra sia sufficiente per riconquistare il territorio perduto. Non ci si aspetta più di ottenere la pace attraverso la vittoria militare sulla Russia, né si teme la sconfitta come in passato: il paese si sta silenziosamente ricalibrando, cercando un cessate il fuoco sostenibile attraverso la deterrenza.

Il ruolo degli USA

Questo non significa che gli ucraini pensino di potere, o tanto meno di volere, andare avanti da soli. Il senso di delusione verso gli Stati Uniti è acuto, ma c’è una consapevolezza che l’Ucraina ha ancora bisogno di Washington, soprattutto per l’intelligence, la sorveglianza, la ricognizione e la difesa aerea.

È vero che l’evidente dimostrazione di sintonia tra la Casa Bianca e il Cremlino è inquietante. Ma gli ucraini sono convinti che Putin continuerà a eccedere nelle sue richieste, e prima o poi, Trump sarà costretto a riconoscere che una tregua è ancora lontana perché Putin la rifiuta. 

La guerra in Ucraina non potrà mai terminare in 24 ore come millantato da Trump, perché non è mai stata una guerra per procura tra l’Occidente e la Russia. La guerra non sta finendo perché l’unico uomo che può porvi fine – Putin – continua a pensare di poter vincere. Questa consapevolezza potrebbe non indurre Trump a fare un’inversione di rotta che lo porti a sostenere pienamente l’Ucraina, ma potrebbe portare Washington da una posizione di ostilità attiva nei confronti di Kyiv a una di benevola indifferenza. In questo scenario, gli Stati Uniti si disimpegnerebbero gradualmente dalla guerra, pur continuando a fornire o consentire all’Ucraina di acquistare capacità militari. Non è l’ideale, ma Kyiv può gestire una Casa Bianca benignamente defilata molto meglio di quanto non potrebbe fare se Washington si mettesse di traverso.

L’integrazione dell’Ucraina nel contesto di sicurezza europea

L’altra faccia della medaglia è che l’Ucraina viene progressivamente integrata nella nuova architettura di sicurezza europea. Il 9 maggio, i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito sono arrivati a Kyiv, per la prima volta in visita congiunta. Si è trattato di un evento di grande importanza: questi Stati, insieme ai Paesi nordici e baltici, costituiscono il nucleo della “coalizione dei volenterosi” che sostiene l’Ucraina e della nuova architettura di sicurezza europea. Il loro sostegno all’Ucraina è fondamentale per dimostrare al mondo, e a Washington, che è Putin e solo Putin a volere che la guerra continui.

Qualunque cosa accada, è essenziale che i leader europei non si limitino a discutere di una “forza di rassicurazione” post-conflitto. Gli alleati dell’Ucraina devono essere pronti a sostenerla durante la guerra, aumentando il sostegno militare europeo, ma anche contribuendo a rafforzare l’industria della difesa ucraina attraverso progetti congiunti con aziende europee. Altrettanto importante è la più ampia integrazione dell’Ucraina nei piani e nelle azioni di sicurezza e di difesa dell’Europa. L’esperienza bellica dell’Ucraina è preziosa nel momento in cui l’Europa rafforza le sue difese collettive.

La sicurezza europea passa attraverso Kyiv. Capire questo significa che i leader della coalizione dei volenterosi continueranno a sostenere l’Ucraina, consapevoli che la Russia rappresenta la più grande minaccia per l’Europa.

Ma non è una strada a senso unico: mentre gli europei rafforzano le proprie difese contro la Russia, non possono che guadagnare dall’inclusione dell’Ucraina in questo sforzo. Il morale dell’Ucraina è alto grazie alla crescente fiducia in sé stessa. Mentre le principali potenze europee continuano a sostenere Kyiv, anch’esse dovrebbero diventare più fiduciose nel fatto che l’ingresso dell’Ucraina nelle loro istituzioni, industrie e società comuni non potrà che rafforzare l’Europa nel suo complesso. Nathalie Tocci, AffInt 3

 

 

 

 

 

Come stiamo?

 

Scrivere sullo stato di salute “economico/sociale” italiano è sempre difficile. Soprattutto quando si deve dare spazio alla realtà dei fatti quotidiani. Certe prese di posizione politiche non allettano più nessuno. Quindi, essere obiettivi non significa essere né ottimisti, né pessimisti. Basta attenersi alla realtà dei fatti per comprendere che le difficoltà del Bel Paese sono lontane dall’essere risolte. La Penisola del “malessere” continua a tenere lontana quella del “benessere”. Insomma, ora ci sentiamo “realisti”.

Nella nostra obiettività, non ci sono, al momento, soluzioni al deterioramento nazionale. E’ la politica che sarebbe da modificare. Però, ogni riflessione ha il sapore dell’azzardo. Se la coerenza avesse un seguito logico, avremmo altri scenari da esaltare. Invece, non ce ne sono.

Il 2025 potrebbe, però, essere l’anno dei “cambiamenti”. Con la premessa che non ci sentiamo menagrami né, tanto meno, presaghi. Fanno testo le realtà che pesano come macigni. Ci sono, ancora, troppi “interrogativi” ai quali sarebbe necessario rispondere. Eccedenti dubbi che dovrebbero essere chiariti. Sono i politici di “razza” che dovrebbero fare la differenza.

Allora: come stiamo? Certamente non meglio che per il passato. Il prossimo anno potrebbe essere ancora compromesso dalle tensioni politiche dell’attuale. Per cambiare “registro”, oltre alla fermezza politica, ci vorrebbero uomini preparati a gestirla che, purtroppo, non siamo riusciti, in concreto, a identificare.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Reddito minimo in Europa: un percorso di dignità

 

Presentato a Bruxelles il report sulla povertà curato da Caritas Europa – di Andrea Regimenti

Sono milioni le persone che in tutta Europa lottano per soddisfare i propri bisogni di base senza trovare un sostegno adeguato nelle varie misure di “reddito minimo”, diverse Stato per Stato, ma spesso insufficienti. Caritas Europa ha presentato a Bruxelles, nei locali del Club della Stampa, il suo ultimo rapporto, che mette in luce le profonde lacune dei sistemi nazionali di reddito minimo e sollecita i responsabili politici a ripensare l’importanza del sostegno al reddito nei percorsi di inclusione sociale. Il Rapporto – “Thriving, not just surviving. Shaping effective minimum income systems in Europe” (liberamente: “Non solo sopravvivere, ma vivere bene e prosperare. Definire sistemi di reddito minimo efficaci in Europa”) – si basa sull’esperienza di venti Caritas nazionali europee – tra cui Caritas Italiana – e dà indicazioni concrete per rafforzare i sistemi attualmente in atto. I risultati dell’indagine parlano da soli: quasi il 90% delle Caritas intervistate afferma che i sussidi nei loro Paesi non riescono a coprire i bisogni di base. Solo cinque Paesi forniscono un sostegno che raggiunge almeno il 75% della soglia di povertà nazionale.

I vari sistemi prevedono barriere di accesso alle misure che aggravano ulteriormente il problema. Molti sistemi escludono i giovani adulti, in particolare quelli tra i 18 e i 25 anni, a meno che non soddisfino condizioni rigide o arbitrarie. I migranti, le persone prive di un alloggio stabile e coloro che non sono in grado di soddisfare severi criteri di residenza o di contribuzione spesso non sono ammessi. La burocrazia, lo stigma e le barriere digitali scoraggiano ulteriormente la presentazione delle domande, con il risultato di un diffuso mancato utilizzo, ovvero molti rinunciano a chiedere l’aiuto a cui hanno diritto.

“I programmi di reddito minimo devono consentire alle persone di vivere con dignità e di partecipare pienamente alla società – afferma Maria Nyman, segretaria generale di Caritas Europa -. Questo rapporto è un appello all’azione. Esortiamo i leader europei e nazionali a dare priorità a un sostegno al reddito inclusivo e adeguato, come pilastro della prossima strategia dell’UE contro la povertà”.

Nel corso dell’evento di lancio del Rapporto Giulio Bertoluzza (ricercatore e collaboratore di Caritas Italiana) ha presentato un intervento intitolato “From universal to categorical” (“Da universale a categoriale”), illustrando le recenti trasformazioni del sistema di reddito minimo in Italia. A partire dalla storia concreta di Michele – un giovane escluso dal sostegno economico fino al riconoscimento ufficiale di una condizione di svantaggio sociale – Bertoluzza ha mostrato come la riforma italiana del 2024, che ha sostituito il Reddito di cittadinanza con l’Assegno di inclusione, abbia introdotto criteri categoriali più ristrettivi, escludendo molte persone pur in condizioni di povertà. L’intervento ha evidenziato il ruolo sempre più centrale dei servizi sociali nel mediare l’accesso alle misure e ha sollevato una questione cruciale: nonostante le Raccomandazioni del Consiglio dell’UE invitino gli Stati membri ad allargare l’accesso ai regimi di reddito minimo, l’Italia ha scelto una direzione opposta, rendendo l’accesso più selettivo e limitato.

Il valore di questo Rapporto risiede nelle storie e nelle prove condivise dalle équipe Caritas in tutta Europa. Le Caritas offrono spunti di riflessione nazionali fondati sul loro lavoro quotidiano con le persone in situazioni di vulnerabilità, dalla Georgia all’Irlanda, dalla Norvegia alla Grecia. Infatti, oltre il 70% delle Caritas coinvolte sta lavorando attivamente per colmare le lacune degli attuali quadri di sostegno al reddito attraverso l’adattamento dei servizi, la ricerca e il lavoro di advocacy.

Il Rapporto è stato realizzato con il contributo di Pietro Galeone e Michela Braga dell’Università Bocconi e di Massimo Aprea e Michele Raitano della Sapienza di Roma.

Tra le raccomandazioni principali rivolte ai leader nazionali e dell’Ue vi sono:

* Garantire l’adeguatezza. Il reddito minimo deve raggiungere almeno il 75% della soglia di povertà nazionale per tutti i tipi di famiglia.

* Garantire un accesso inclusivo. I criteri di ammissibilità devono essere semplificati e ampliati per evitare di escludere i giovani, gli immigrati e le persone che vivono in condizioni di insicurezza abitativa.

* Aumentare la partecipazione. Combattere lo stigma e semplificare le procedure amministrative attraverso un’azione di sensibilizzazione mirata, alternative di supporto digitale e sistemi di applicazione di facile utilizzo.

* Azione coordinata dell’Ue. L’Ue dovrebbe promuovere standard vincolanti per il reddito minimo, collegati alla sua più ampia strategia sui diritti sociali e sulla riduzione della povertà.

Questo rapporto arriva in un momento cruciale, proprio mentre la Commissione europea lavora alla sua prima strategia europea contro la povertà.

Le raccomandazioni di Caritas Europa offrono un contributo per garantire che i sistemi di reddito minimo riflettano davvero i valori dell’Unione,

Il valore di questo Rapporto risiede nelle storie e nelle prove condivise dalle équipe Caritas in tutta Europa. Le Caritas offrono spunti di riflessione nazionali fondati sul loro lavoro quotidiano con le persone in situazioni di vulnerabilità, dalla Georgia all’Irlanda, dalla Norvegia alla Grecia. Infatti, oltre il 70% delle Caritas coinvolte sta lavorando attivamente per colmare le lacune degli attuali quadri di sostegno al reddito attraverso l’adattamento dei servizi, la ricerca e il lavoro di advocacy.

Il Rapporto è stato realizzato con il contributo di Pietro Galeone e Michela Braga dell’Università Bocconi e di Massimo Aprea e Michele Raitano della Sapienza di Roma.

Tra le raccomandazioni principali rivolte ai leader nazionali e dell’UE vi sono:

* Garantire l’adeguatezza. Il reddito minimo deve raggiungere almeno il 75% della soglia di povertà nazionale per tutti i tipi di famiglia.

* Garantire un accesso inclusivo. I criteri di ammissibilità devono essere semplificati e ampliati per evitare di escludere i giovani, gli immigrati e le persone che vivono in condizioni di insicurezza abitativa.

* Aumentare la partecipazione. Combattere lo stigma e semplificare le procedure amministrative attraverso un’azione di sensibilizzazione mirata, alternative di supporto digitale e sistemi di applicazione di facile utilizzo.

* Azione coordinata dell’UE. L’UE dovrebbe promuovere standard vincolanti per il reddito minimo, collegati alla sua più ampia strategia sui diritti sociali e sulla riduzione della povertà.

Questo rapporto arriva in un momento cruciale, proprio mentre la Commissione europea lavora alla sua prima strategia europea contro la povertà.

Le raccomandazioni di Caritas Europa offrono un contributo per garantire che i sistemi di reddito minimo riflettano davvero i valori dell’Unione, assicurando che nessuno venga lasciato indietro nella lotta alla povertà. Sir 4

 

 

 

 

 

 

Né giustizia né pace: l’inganno della forza e la fragilità della Repubblica"

 

“La guerra è un massacro fra gente che non si conosce, a beneficio di gente che si conosce ma non si massacra.” (Paul Valéry)

Ci sono silenzi che fanno più rumore delle bombe. Ci sono assenze che gridano. E ci sono verità che, sebbene sotto gli occhi di tutti, diventano invisibili per comodità o paura. Oggi, tra le ceneri di Gaza e le ipocrisie delle capitali occidentali, siamo immersi in una di queste verità scomode: Israele sta affamando un intero popolo. Non è un’accusa leggera, e non dovrebbe mai essere pronunciata con leggerezza. Ma i fatti — quelli crudi, documentati, innegabili — parlano per sé. Ospedali rasi al suolo, ambulanze bersagliate, aiuti umanitari bloccati ai confini o colpiti durante la distribuzione. E adesso, la fame: calcolata, pianificata, utilizzata come arma.

Gaza è diventata una prigione a cielo aperto, senza acqua, senza medicine, senza pane. Una popolazione stremata, in gran parte composta da bambini, viene lasciata morire con lentezza chirurgica, nel silenzio complice di chi dovrebbe proteggere il diritto internazionale. Si può parlare di autodifesa quando il bersaglio è il latte in polvere? Si può ancora invocare la sicurezza quando si impedisce a un popolo l’accesso al cibo?

Israele, il cui nome significa “colui che lotta con Dio”, sembra essersi attribuito il diritto di portare questa lotta oltre ogni limite umano e divino. Ma la vera lotta con Dio non è nella vendetta, bensì nella giustizia. È nella compassione. È nel limite. Chi combatte contro il volto umano del nemico, chi disumanizza e punisce collettivamente, non sta lottando con Dio: sta perdendo la propria anima.

Ma se è vero che il Medio Oriente è la cartina di tornasole dell’etica internazionale, è altrettanto vero che anche a casa nostra la barbarie assume forme sempre più sottili. In Italia, recentemente, abbiamo assistito a un fenomeno allarmante: le minacce rivolte ai figli di leader politici. Che si tratti di Giorgia Meloni o Matteo Salvini, non è la persona politica a essere colpita, ma i suoi affetti più indifesi. È un gesto infame, codardo, che non può essere giustificato né dalla rabbia né dalla disperazione. È l'espressione più bassa e disumana del dissenso, quella che trasforma la protesta in persecuzione.

I figli sono sacri. Sempre. Che siano figli di potenti o di poveri, che abbiano una madre di destra o un padre di sinistra, sono esseri umani con il diritto di vivere lontano dall’odio degli adulti. Quando iniziamo a tollerare — o peggio, a giustificare — le minacce ai bambini in nome di una battaglia politica, abbiamo già perso. La violenza verbale è solo il primo passo verso una violenza più grande, e più irreparabile.

E poi, come ogni anno, arriva il 2 giugno. Si festeggia la Repubblica, si sventolano bandiere, si fanno discorsi solenni. Eppure, a ben guardare, la parola “Repubblica” è forse il termine più teorico di tutti. Nella realtà quotidiana dell’Italia, esistono i Comuni, i campanili, le famiglie, i clan, le parrocchie, i bar di paese, le amicizie d’infanzia. L’Italia è un Paese costruito più su legami orizzontali che verticali. La Repubblica è un’astrazione, spesso tradita proprio da chi dovrebbe rappresentarla.

C’è chi obbedisce alla Costituzione, e chi la piega alla convenienza. C’è chi parla di Stato, ma lavora solo per il proprio tornaconto. C’è chi indossa la fascia tricolore e poi ignora gli ultimi, i fragili, i senza voce. C’è chi grida "onore alla patria" e poi svende il lavoro, svilisce la scuola, taglia la sanità.

La verità è che l’Italia non è mai stata davvero una Repubblica nel senso profondo del termine: una res publica, una "cosa di tutti". È sempre stata una somma di individui, di egoismi e resistenze, di slanci nobili e piccoli tradimenti quotidiani. Ma proprio in questa frammentazione può nascondersi una speranza: se la Repubblica è fragile, è proprio perché deve essere ogni giorno rifondata. Non da un’istituzione, ma da ogni persona che sceglie l’onestà, la solidarietà, la verità, anche quando costa.

E protestare davvero, oggi, significa anche alzare la voce contro tutti i regimi autoritari e antidemocratici del mondo. Contro la Russia, che imprigiona dissidenti e manda a morire i giovani in guerre insensate. Contro la Cina, dove milioni vivono sotto sorveglianza e repressione, e chi parla viene fatto sparire. Contro l’Iran, dove una ragazza senza velo può diventare un martire, e dove il carcere è destino per chi canta, scrive, ama o sogna. E contro tutti quei luoghi — anche meno noti — dove l’essere umano è ridotto a ingranaggio, dove vale la legge dell’uomo lupo per l’uomo, homo homini lupus, e non quella della dignità.

La guerra in Medio Oriente, la violenza nelle nostre piazze, l’illusione di una Repubblica unita, la viltà dei totalitarismi: tutto ci richiama a una stessa scelta morale. O difendiamo ovunque la libertà e la vita umana, o diventiamo complici del silenzio.

La festa della Repubblica dovrebbe essere l’occasione per guardarsi allo specchio e domandarsi: stiamo costruendo un Paese giusto o solo un palcoscenico per maschere stanche? Stiamo difendendo davvero i diritti di tutti o solo i privilegi di pochi?

Fino a quando un popolo verrà affamato senza che l’Italia dica "basta", fino a quando i figli verranno minacciati per vendetta ideologica, fino a quando la Repubblica sarà solo una cerimonia e non una responsabilità, fino a quando taceremo davanti alla prigione e alla tortura degli innocenti… non ci sarà nulla da festeggiare. Dip 2

 

 

 

 

 

Indossiamo molte maschere. Un viaggio verso Sé stessi senza maschera

 

C'è una verità che ho compreso non dai libri, né dagli insegnamenti, né dalla saggezza altrui, ma vivendo, osservando, cadendo e rialzandomi. La verità è questa:le molte maschere che indossiamo. Questo non è semplicemente poetico. Non è un tentativo di sembrare filosofico. È ciò che ho vissuto, visto negli altri e, più dolorosamente, visto anche in me stesso. Da bambini, siamo senza maschera. Ridiamo troppo forte, piangiamo troppo improvvisamente e parliamo troppo onestamente. Siamo come siamo. Ma il mondo ci insegna rapidamente ciò che preferisce. Presto, quell'anima senza maschera inizia a modellarsi in ciò che crede sarà amato, accettato o anche solo tollerato. È allora che inizia la maschera.

 

Le prime Maschere: cercare approvazione

Ricordo, da ragazzo, di aver recitato una poesia con gioia genuina durante una funzione scolastica. Non era perfetta. Potrei aver inciampato su una o due versi. Ma parlavo col cuore. Dopo, un compagno di classe prese in giro la mia voce. Quel commento ebbe più potere di dieci applausi. Per settimane, smisi di scrivere. Parlavo con più cautela. Quella fu la mia prima maschera: la maschera della cautela. Poco dopo, indossai la maschera dell'obbedienza: essere lo studente modello, il figlio ideale, l'amico che ascoltava sempre ma parlava raramente. Cercavo di essere ciò che gli altri apprezzavano, perché essere me stesso improvvisamente sembrava rischioso. Tutti passiamo attraverso questo. Forse non nello stesso modo, ma con lo stesso risultato: una distanza inizia a crescere tra chi siamo e ciò che presentiamo.

 

I costumi dell'adulto: ruoli che viviamo

L'età adulta non rimuove queste maschere; le moltiplica. Indossiamo il ruolo del professionista, del coniuge, del genitore, del cittadino rispettato. E nessuno di questi ruoli è sbagliato, anzi, sono vitali. Ma i problemi iniziano quando il ruolo prende il sopravvento sull'anima. Nel mio percorso professionale, ho incontrato uomini e donne che, in superficie, avevano tutto: lauree, promozioni, applausi. Eppure, a porte chiuse, confessavano di sentirsi vuoti. Un uomo una volta mi disse: "Signor Sethi, sto vivendo il sogno di tutti gli altri tranne il mio." Un altro disse: "Sorrido tutto il giorno. Ma non ricordo l'ultima volta che ho sorriso perché lo intendevo davvero."Queste non erano persone deboli. Erano coraggiose, resilienti e rispettate. Ma avevano indossato maschere così a lungo da dimenticare dove finiva la maschera e iniziava il volto.

 

Chi siamo davvero?

È una domanda che non sempre ha una risposta forte. In effetti, le domande più importanti spesso arrivano nel silenzio.

Chi sono io quando nessuno guarda?

Sono lo scrittore premiato? Il funzionario governativo? Il marito e padre? Sì, forse. Ma oltre a ciò?

Sono la voce silenziosa che a volte sente il peso del tempo? Sono il ragazzo che si emoziona ancora per l'odore dei vecchi libri? Sono l'uomo che osserva le persone in silenzio e vede il loro dolore anche dietro i sorrisi?

Queste non sono domande drammatiche. Non sono indulgenze filosofiche. Sono le vere domande. Perché quando il sipario cala, i ruoli finiscono e gli applausi svaniscono, ciò che resta non è ciò che abbiamo fatto, ma chi siamo stati.

 

Lo specchio non mente mai

Tutti abbiamo specchi nella nostra vita. Non solo quelli di vetro, ma i momenti, le persone, i silenzi che riflettono chi siamo veramente. Per me, uno di questi momenti è arrivato dopo un evento pubblico. Ero stato onorato per uno dei miei libri. Incoronato, applaudito, lodato. Ma quando tornai nella mia stanza e mi guardai allo specchio, non mi sentii orgoglioso. Mi sentivo stanco. Vedevo occhi grati ma non brillanti. Quella notte, mi posi una domanda difficile: Sto scrivendo per impressionare? O per esprimere?

Quello fu un punto di svolta. Decisi allora che ogni parola che scrivevo, ogni pensiero che condividevo, doveva prima sembrare onesto alla mia anima. Altrimenti, erano solo un'altra maschera.

 

L'amore e le Maschere dietro cui ci nascondiamo

Anche l'amore non è immune alle maschere. In effetti, potrebbe essere dove ne indossiamo di più. Nascondiamo le nostre vulnerabilità pensando che ci renderanno meno amabili. ascondiamo i nostri sogni temendo che possano essere troppo grandi, o troppo piccoli, o troppo strani. Una volta ho incontrato una donna che aveva abbandonato silenziosamente il suo amore per la pittura dopo il matrimonio. Suo marito non glielo aveva mai chiesto. Ma lei presumeva che il dovere venisse prima. Vent'anni dopo, riprese il pennello e pianse mentre dipingeva un campo di girasoli. Quello era il suo vero volto. Quel momento.

L'amore non dovrebbe essere un palcoscenico dove recitiamo. Dovrebbe essere una stanza dove possiamo spogliare l'anima.

 

Il ruolo della società: applaudire le Maschere

La società non vuole sempre la tua verità. Vuole la tua coerenza. Vuole la versione di te che si adatta al titolo, all'immagine, all'aspettativa. Quando un CEO ammette la depressione, la gente sussurra. Quando un insegnante mette in discussione il sistema educativo, la gente si irrigidisce. Quando una madre dice che vuole più della maternità, la gente giudica. Ma le persone più audaci che ho incontrato sono quelle che, gentilmente ma fermamente, rimuovono la maschera, guardano il mondo negli occhi e dicono: "Questo sono io."

E, stranamente, il mondo finisce spesso per rispettarle di più.

 

Perché abbiamo bisogno della Maschera inizialmente?

Perché anche questo fa parte del viaggio. Una maschera protegge. Una maschera ci aiuta a sopravvivere a fasi che non siamo ancora abbastanza forti da affrontare a viso scoperto. Ma dovrebbe essere uno strumento temporaneo, non un'identità permanente. Dobbiamo perdonarci per averla indossata. Ma dobbiamo anche sfidarci a rimuoverla, strato dopo strato, quando siamo pronti.

 

La vita senza Maschera: vivere senza finzioni

Cosa significa vivere senza maschera?

Significa parlare anche quando la tua voce trema. Significa ammettere di non sapere. Significa scegliere la pace rispetto alla performance. Significa creare arte, anche se nessuno applaude. Significa essere più fedeli alla tua verità che al tuo titolo.

Una vita senza maschera non è perfetta. È grezza. È reale. È radiosa.

Ho incontrato persone che non avevano premi, né istruzione formale, né piattaforme. Ma quando parlavano, scuotevano la mia anima. Perché parlavano senza filtri, dalla radice del loro essere.

 

Atti quotidiani di rimozione della Maschera

* Il giovane che lascia un lavoro ben pagato per insegnare a bambini svantaggiati.

* La donna che rimuove il trucco e pubblica il suo vero volto online con la didascalia: "Questa sono io."

* L'anziano che finalmente dice a suo figlio: "Ho avuto paura per la maggior parte della mia vita. Volevo solo proteggerti."

* La ragazza che scrive una poesia sulla sua ansia e la legge a un microfono aperto, con la voce tremante.

Questi sono atti di coraggio. Di rimozione della maschera.

 

L'ultima Maschera: morte ed eredità

Un giorno, tutte le maschere cadranno. Il tempo fa ciò che temiamo di fare. Alla morte, saremo ricordati non per i costumi che abbiamo indossato, ma per i momenti in cui siamo stati veramente noi stessi.

Cosa diranno di te? Che eri sempre composto? O che eri sempre reale?

Spero che dicano questo di me: "Ha vissuto onestamente. Ha scritto dall'anima. Non aveva paura di essere visto."

 

Pensiero finale: il volto sotto

Eccoci qui. Tu, io e la verità. Abbiamo tutti indossato maschere. Lo facciamo ancora. Ma forse è tempo di toglierne alcune. Non tutte in una volta. Una per una. Con cura. Perché sotto tutto, il tuo vero volto non è uno sconosciuto. È quello con cui hai iniziato. Quello che il mondo ha cercato di modellare, ma non ha mai veramente cambiato. E quando trovi quel volto, tienilo. È il volto che non ha bisogno di una maschera. È il volto che brilla.  Krishan Chand Sethi, dip 6

 

 

 

 

 

Decreto Cittadinanza. Non si placa l’indignazione

 

Ginevra. C’è qualcosa che fa male. Fa male al cuore, alla memoria, alla storia condivisa di milioni di persone. Il decreto cittadinanza che il governo italiano ha imposto non è solo una questione di norme, di articoli di legge, di burocrazia. È una scelta culturale e politica che colpisce nel profondo ciò che siamo, ciò che siamo stati, e ciò che potremmo smettere di essere.

L’Italia, lo sappiamo bene, non è solo quella dentro i suoi confini. L’Italia è anche, e forse soprattutto, quella che vive fuori. Nelle Americhe, in Europa, in Australia, in Africa. È fatta di figli e nipoti di emigrati che hanno portato con sé una lingua, dei sapori, una fede, una musica, una malinconia. Persone che, pur non vivendo più sulla penisola, non hanno mai smesso di sentirsi italiani. Italiani nel cuore, nelle feste di famiglia, nei racconti attorno alla tavola, nelle parole dette e in quelle custodite in silenzio.

Il nuovo decreto cittadinanza, però, sembra ignorare tutto questo. Dietro la facciata del rigore, si nasconde una scelta di chiusura. Si fa finta di voler “mettere ordine”, ma in realtà si mette distanza. Si dice di voler “combattere gli abusi”, ma si colpiscono anche i giusti. Si vuole “semplificare”, ma si finisce per svuotare di senso l’identità italiana all’estero.

E allora bisogna dirlo con forza: semplificare non può significare cancellare. Generalizzare non può voler dire colpire tutti. E soprattutto: difendere la cittadinanza non può diventare un pretesto per restringerla, per negarla, per renderla un privilegio da concedere con il contagocce.

Dietro ogni domanda di cittadinanza ci sono storie vere. C’è Maria, nata a Rosario, in Argentina, che da bambina ascoltava i racconti del nonno calabrese. C’è João, in Brasile, che ha imparato a cucinare la pasta come la faceva la bisnonna di Napoli. C’è Léa, a Bruxelles, che ogni estate veniva in Sicilia con i genitori per “tornare a casa”, anche se non ci era nata. Ci sono famiglie intere che hanno trasmesso, con amore e orgoglio, la lingua, le tradizioni, i valori dell’Italia, come se fossero un’eredità sacra.

A tutte queste persone, oggi, si sta dicendo che non basta. Che quel legame non è sufficiente. Che serve di più. Che bisogna dimostrare, certificare, superare ostacoli sempre più rigidi. Che la cittadinanza non è un riconoscimento di appartenenza, ma una concessione da meritare.

È questo che fa male. Questo senso di rifiuto. Come se chi vive all’estero fosse sempre un sospetto da verificare, mai un figlio da accogliere. Come se non ci fidassimo più della nostra stessa diaspora. Come se la storia dell’emigrazione italiana fosse un fardello da dimenticare, invece che un orgoglio da custodire.

Ma l’identità non è una pratica da compilare. Non è un modulo, un certificato, un timbro. È qualcosa di vivo, che pulsa nel tempo. È fatta di appartenenza, di ricordi, di scelte quotidiane. È fatta di chi, anche senza essere mai stato in Italia, ha scelto di sentirsi italiano. E lo ha fatto con amore, non per interesse.

Sappiamo bene che gli abusi esistono. Ma una democrazia vera non risponde agli abusi con la chiusura indiscriminata. Risponde con intelligenza, con equilibrio, con giustizia. Saper distinguere è il compito più alto della politica. Confondere tutto è il modo più facile per non affrontare davvero i problemi.

E allora chiediamoci: quale Italia vogliamo? Un’Italia che taglia i ponti con i suoi figli nel mondo? O un’Italia che li riconosce, li ascolta, li coinvolge?

Perché una cosa deve essere chiara: gli italiani all’estero non stanno chiedendo privilegi. Non vogliono corsie preferenziali. Chiedono solo rispetto. Chiedono che la loro storia venga riconosciuta. Chiedono di non essere usati come bersaglio per tensioni interne. Chiedono di non essere dimenticati, esclusi, cancellati.

Un’Italia che rinnega la sua diaspora è un’Italia che rinnega sé stessa. È un Paese che diventa più povero, più chiuso, più solo. È un Paese che perde la propria missione storica: quella di essere un ponte tra le culture, una terra aperta, una comunità solidale.

Chi è cresciuto lontano, ma ha amato l’Italia senza condizioni, merita ascolto. Merita fiducia. Merita cittadinanza – nel senso più pieno e nobile del termine. Perché cittadinanza è anche questo: sentirsi parte di una storia comune, anche quando si è lontani.

Oggi siamo di fronte a un bivio. Possiamo scegliere la chiusura o l’apertura. Possiamo decidere di semplificare davvero, ma nel senso migliore del termine: semplificare per includere, per facilitare, per avvicinare. Oppure possiamo scegliere la scorciatoia facile della diffidenza, del sospetto, dell’esclusione.

Ma se sceglieremo la seconda strada, perderemo molto più di qualche documento. Perderemo il cuore dell’Italia.

E allora diciamolo con forza, con dignità, con amore: l’Italia non è solo un territorio. È un sentimento. È una comunità sparsa, ma unita. È una famiglia che non può permettersi di lasciare fuori nessuno. Carmelo vaccaro,  Consigliere Cgie eletto in Svizzera dip 8

 

 

 

 

 

Il ruolo strategico del Friuli-Venezia Giulia nell’integrazione europea

 

Il recente impeto dell’Unione Europea nella politica di allargamento, guidato dall’apertura dei negoziati di adesione con Ucraina e Moldavia e dallo status di candidato della Georgia, riflette la nuova preoccupazione dell’Ue in materia di sicurezza. Negli ultimi tre anni, soprattutto a causa della guerra in Ucraina, l’Europa ha rimesso al centro dell’agenda politica il tema dell’allargamento.

Dopo un lungo periodo di “fatica da allargamento”, le tendenze sfavorevoli verso l’ammissione di nuovi membri si sono invertite: i più recenti Eurobarometers mostrano come l’opinione pubblica europea, spinta dalle rinnovate tensioni geopolitiche, sostiene un’Unione più ampia e integrata.

L’impegno strategico dell’Italia per un’Europa più ampia

L’Italia si è sempre distinta per un atteggiamento positivo verso l’allargamento dell’Ue, sia verso l’Europa settentrionale che orientale. I sondaggi hanno mostrato come gli italiani si siano sempre collocati tra i più entusiasti, tanto che l’Italia è stata tra i primi membri dell’Ue ad insistere affinché fossero avviati negoziati con la Slovenia e l’Estonia.

L’interesse strategico italiano è principalmente politico ed economico. Da un lato, l’ampliamento dell’Ue garantisce maggiore stabilità politica ed economica in aree oltre i confini, riducendo rischi e tensioni. Dall’altro, la prossimità geografica dell’Italia ai Balcani e all’Europa centro-orientale la rende un partner economico privilegiato di questi Paesi, favorendone l’integrazione economica. Le opportunità di integrazione derivanti da un’Europa allargata sono particolarmente rilevanti nei settori commerciali e industriali, come lo sviluppo della connettività infrastrutturale e dell’energia, della transizione digitale e della manifattura, ma non è da trascurare un ulteriore rafforzamento del coordinamento politico, dagli affari interni e della giustizia.

In questo scenario, il Friuli-Venezia Giulia assume una funzione di ponte naturale tra l’Italia e i nuovi potenziali membri dell’Unione, permettendole di rafforzare la propria presenza nei processi decisionali e nei mercati emergenti dell’Europa centro-orientale attraverso forme di coordinamento delle politiche nazionali e di cooperazione intergovernativa alla base di una futura integrazione.

Da regione ‘periferica’ a cuore dell’Europa: il caso del Friuli-Venezia Giulia

Questo rinnovato slancio rappresenta una risposta alla situazione internazionale e una riscoperta del valore strategico delle aree di confine europee, tradizionalmente considerate marginali. Il Friuli-Venezia Giulia emerge come simbolo del nuovo paradigma europeo, passando da periferia a nodo centrale della futura architettura continentale. Infatti, non è solo una regione ai margini orientali dell’Italia, ma un ponte naturale che si apre geograficamente, economicamente e culturalmente verso i Balcani e l’Europa centrale. Il suo posizionamento geografico, il suo patrimonio culturale mitteleuropeo e la sua vocazione transfrontaliera lo rendono un attore essenziale nel processo di ampliamento dell’Unione proprio verso quei Paesi che necessitano di una rapida integrazione. La regione rappresenta quindi un laboratorio vivo di integrazione europea, declinandosi su tre livelli: politico, economico e culturale.

Il piano politico, economico ed identitario: una regione mitteleuropea modello

Politicamente, la regione ha saputo trasformare antiche rivalità con i Paesi dell’ex-Jugoslavia in forme concrete di dialogo. Nel post-Guerra Fredda, dopo aver vissuto sulla propria pelle i confini – geografici (durante la Guerra Fredda), linguistici (tra italiano, sloveno e tedesco) e istituzionali, (tra modelli politici diversi) – Trieste è riuscita a superarli attraverso una concreta progettualità transfrontaliera.

Sul piano economico, il Friuli-Venezia Giulia è protagonista di esempi tangibili di integrazione europea. È infatti uno snodo cruciale per i trasporti e la logistica continentale, grazie ai porti di Trieste e Monfalcone e ai corridoi europei TEN-T, che hanno aperto connessioni con il Corridoio Baltico-Adriatico e il Corridoio Mediterraneo. È anche al centro di progetti infrastrutturali strategici, come la possibile riattivazione della tratta ferroviaria Trieste–Lubiana–Zagabria–Belgrado. Inoltre, i programmi europei come Interreg Central Europe e IPA ADRION ne fanno un hub di cooperazione transnazionale che investe nei sistemi di innovazione regionale, nella protezione del patrimonio culturale e ambientale, nei trasporti sostenibili e nello sviluppo dell’integrazione. Grazie a queste iniziative bottom-up, l’Italia può ritagliarsi uno spazio significativo dal punto di vista economico e imprenditoriale nell’Europa Centrale e nei Balcani occidentali, facendo sempre più fare rete e incrementandone di conseguenza la competitività.

Sebbene non si possa ignorare il peso delle considerazioni economiche e geopolitiche sulle azioni di questi attori, sarebbe un errore sottovalutare l’influenza delle questioni legate all’identità e alla memoria. L’integrazione non deve quindi escludere attività di natura specificamente culturale al fine di accrescere la consapevolezza di un patrimonio comune sviluppando un senso di cordiale e propositivo vicinato. Culturalmente, il Friuli-Venezia Giulia incarna l’essenza di una regione mitteleuropea, dove lingue, religioni e tradizioni diverse convivono da secoli. Dopo il crollo della cortina di ferro, la regione ha saputo riscoprire e promuovere la propria identità europea, fatta di radici comuni e memorie condivise con l’Europa centro-orientale. In tal senso, la cultura Mitteleuropea rappresenta una koinè culturale tra quei territori, ma è anche sinonimo di cosmopolitismo e pluralismo. La riscoperta di tale cultura ha dimostrato come la regione ha in sé il seme per promuovere una vera cooperazione. La scoperta di valori comuni e la cooperazione transnazionale sono state le principali motivazioni alla base di tutto il progetto comunitario sin dal principio. 

Il Friuli-Venezia Giulia può quindi essere considerato un “modello” per l’Europa policentrica del futuro: dove territori fortemente interconnessi contribuiscono incisivamente alla costruzione del progetto europeo attraverso comunità che, pur attraversate da lingue e storie diverse, hanno imparato a integrarsi senza perdere la propria identità. Questo, se ci pensiamo, è già Europa. Ecco perché il Friuli-Venezia Giulia non è una periferia, ma una cerniera viva: una frontiera che, da zona di frizione, può diventare motore di trasformazione. 

Irene Rusconi, AffInt 10

 

 

 

 

Corsi e ricorsi

 

 Gli accorgimenti utili per la ripresa del Paese si potrebbero concretare in tre punti.

 Primo: politica tendente a sanare i problemi dell’economia che sono alla base dell’acuirsi dell’involuzione nazionale.

 Secondo: riorganizzazione, tramite progetti di rilancio anche settoriale, dei cicli produttivi; favorendo, soprattutto, l’imprenditoria privata.

 Terzo: rivedere il concetto di produttività nazionale.

  Quanto esposto, però, richiede responsabilità e coerenza. Da parte di tutti.  Anche con la collaborazione di chi ha preferito non schierarsi. Basta con le diatribe di “cordata”e le polemiche d’”opposizione”.

 Gli italiani chiedono chiare soluzioni sul futuro della Penisola. Insomma, i provvedimenti, per fronteggiare le mancanze del Paese, dovrebbero evidenziare un “articolato” impegno. Indubbiamente, in una situazione delicata come quella che stiamo vivendo, i pubblici poteri sono spesso messi sotto una luce non sempre consona alle finalità del loro mandato; a questo punto essere critici, anche se a ragione, non basta più. C’è da essere propositivi.

Al presente è necessario dimostrare un equilibrio che supporti tutte le classi sociali e, soprattutto, quelle più deboli. La realtà ha dimostrato, di là da ogni ragionevole dubbio, che la strada che percorriamo non era quella giusta. Quando la politica non è più gestibile, rimane la solidarietà sociale che rappresenta, senza nessuna riserva, un mezzo per tentare di chiarire il frangente; anche per essere più che spettatori, protagonisti delle sorti della Realtà Nazionale.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

 

Confini e connessioni: transizioni e geografie politiche in trasformazione

 

La politica internazionale di oggi è contraddistinta da un insieme eterogeneo, ma interconnesso, di transizioni – ecologiche, digitali, geopolitiche e culturali, per citarne alcune – che ridefiniscono in profondità le modalità attraverso cui si relazionano le società e in cui si esercitano e si contestano le forme di potere. Le transizioni in corso non si limitano a modificare gli assetti istituzionali, ma investono i codici culturali, le gerarchie economiche e le architetture normative che hanno finora sorretto l’ordine internazionale multipolare. 

In un contesto instabile, le transizioni ridisegnano i confini

Tali cambiamenti avvengono oggi in un quadro di già pressante instabilità, generata e alimentata da numerosi fattori: tra gli altri, possiamo citare l’aggressione russa all’Ucraina; la guerra a Gaza; le crisi climatiche e il loro nesso con le migrazioni e la scarsità di risorse; la diffusione della minaccia della disinformazione, tra i più giovani ma non solo, che alimenta divisioni e barriere. 

Si tratta di fenomeni che contribuiscono a disegnare una realtà in cui i confini diventano sempre più porosi, mentre le connessioni assumono forme nuove, spesso ambivalenti, e impongono una riflessione critica sulla necessità di rafforzare meccanismi multilivello di cooperazione e integrazione. A loro volta, le geografie politiche non sono più statiche, ma in trasformazione, attraversate da attori statali e non statali, reti transnazionali, e dinamiche locali che assumono rilevanza globale. 

Di questi e di altri temi si è parlato durante l’iniziativa del 17 maggio 2025 “ConfinSenzaConfini”, promossa dal Comune di Gemona del Friuli e dal suo Assessorato alla Cultura. L’evento (che segue il filone della prima edizione “Oltre i muri” tenutasi nel 2024), aperto anche alla partecipazione di giovani studenti degli istituti superiori della regione, ha rappresentato un’occasione preziosa per riflettere su quanto il concetto stesso di confine sia oggi in mutamento, e quanto sia urgente immaginare nuove connessioni, più fluide, più inclusive. 

Tre spunti di riflessione danno forma ai concetti di confine e connessione

La rilevanza analitica e politica dei concetti di confine e connessione oggi si sviluppa su almeno tre spunti di riflessione: l’importanza della rilettura del sistema internazionale e del concetto di governance globale; il destino delle reti di cooperazione politica, economica e culturale; e, in una prospettiva europea, il ruolo di attori come l’Ue e l’Italia nel panorama internazionale.

Facendo uno sforzo per tradurre nella pratica tali spunti, vale la pena sottolineare come lo spazio globale che oggi abitiamo è fortemente polarizzato, ancor più se si considera l’effetto diverso da paese a paese, e da regione a regione, delle transizioni sopra menzionate. All’interno di questo quadro, il legame tra Europa e Stati Uniti, che tradizionalmente si sono impegnati affinché la cooperazione internazionale e transnazionale producesse modelli di sviluppo pacifici, appare tutt’altro che lineare o coeso. Al contrario, si presenta come frammentato, selettivo e disomogeneo, riflesso di divergenze strategiche, tensioni normative e asimmetrie strutturali. Se da un lato esistono segnali di rilancio della cooperazione transatlantica su dossier specifici, dall’altro persistono ambiguità politiche, disallineamenti economici e sfiducia reciproca che ne limitano la portata sistemica. 

Il ruolo dell’Italia e il nodo educativo come terreno di competizione

In tale prospettiva, l’Italia rappresenta un caso emblematico. Tradizionalmente ponte tra est e ovest, oltre che centrale nella geopolitica del Mediterraneo, Roma ha svolto storicamente un ruolo di mediatore e continua a essere un interlocutore strategico, anche nella valorizzazione della sua proiezione culturale e di politica estera. Al di là dei tradizionali esempi che vedono la sicurezza, la difesa, l’energia, la diplomazia della salute o i mercati al centro del dibattito negli ultimi mesi, il nodo educativo assume una rilevanza crescente, soprattutto a fronte della decisione dell’amministrazione Trump – in linea con un orientamento generalmente protezionista – di restringere l’accesso a studenti e ricercatori stranieri ai principali atenei americani. Tale rilevanza si accentua ulteriormente se si pensa al trasferimento di conoscenze e competenze alla base del sistema di istruzione che ha reso possibile borse di studio, scambi universitari, e programmi congiunti, anche grazie alla diplomazia culturale e accademica. L’ambito educativo diventa dunque oggi terreno di competizione e non più opportunità di cooperazione. A fronte di questa ritirata selettiva, infatti, l’Europa sta tentando – con risultati ancora diseguali – di occupare lo spazio lasciato aperto: Francia e Italia provano a giocare un ruolo attivo, in particolare attraverso le collaborazioni accademiche con i paesi del Mediterraneo e dei Balcani, o provando ad attrarre o richiamare “cervelli” dall’estero. La stessa questione educativa è centrale anche per le transizioni che il mondo dovrà affrontare nel futuro, in particolare per il ruolo che l’accademia può avere nel decostruire e ricostruire una narrativa efficace e utile alla lettura di questi fenomeni.

È su questi piani intrecciati che si gioca oggi il ruolo e l’idea stessa di Occidente come comunità fondata su democrazia, diritti e libero mercato, seppur sottoposta a tensioni crescenti. Ed è inoltre a fronte di queste spinte che continuano a intrecciarsi i diversi piani internazionale, nazionale e locale, che i confini hanno contribuito a ridefinire. Alessia Chiriatti, AffInt 3

 

 

 

 

 

Decreto sulla cittadinanza: il Decreto della Vergogna!

 

Con 137 voti favorevoli, 83 contrari e 2 astenuti, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il Decreto-Legge n. 36 del 2025, contenente disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. È stato un voto che ha lasciato un segno profondo non solo nella politica, ma anche nelle comunità italiane nel mondo.

In quello stesso momento, si è celebrata quella che è stata definita con forza “la Giornata della Vergogna”. Questa espressione, che non nasce da me ma dall’On. Toni Ricciardi, parlamentare del Partito Democratico eletto all’estero, ben sintetizza lo sdegno e la frustrazione di milioni di italiani nel mondo.

L’urgenza con cui questo decreto è stato imposto rappresenta l’ennesima manifestazione dell’accanimento ideologico e politico che questo governo sta dimostrando nei confronti degli italiani all’estero. Dietro il paravento della “semplificazione” e del “contrasto agli abusi”, si cela un attacco frontale alla storia, alla memoria e all’identità degli italiani emigrati e dei loro discendenti.

Personalmente, non posso tacere. Non posso restare in silenzio di fronte a una norma che calpesta la dignità dei nostri connazionali all’estero: persone che hanno contribuito in modo decisivo alla costruzione dell’Italia moderna, spesso a costo di enormi sacrifici, affrontando discriminazioni, fatiche e solitudine.

Sono uomini e donne che l’Italia non è stata capace di trattenere entro i suoi confini, restando inerme di fronte alle partenze di massa.

Storie di una nazione che ha tratto beneficio dall’emigrazione di milioni di italiani, strappati ai loro affetti e destinati a vite lontane, dalle quali non tutti hanno fatto ritorno.

Il decreto interviene modificando in modo radicale e restrittivo la Legge n. 91 del 5 febbraio 1992, che regolamenta l’acquisizione della cittadinanza italiana. In particolare, il governo ha introdotto disposizioni che limitano il principio dello “iure sanguinis”: d’ora in poi, i figli e i discendenti di cittadini italiani nati all’estero potranno ottenere la cittadinanza solo se non sono in possesso di un’altra cittadinanza al momento della nascita, salvo rare eccezioni (ancora poco chiare) come nel caso in cui la cittadinanza straniera sia stata acquisita per motivi di rifugio o apolidia.

Il decreto rappresenta un attacco senza precedenti ai diritti degli italiani all’estero. Si spezza il principio del legame di sangue e si rompe un patto di fiducia tra lo Stato italiano e le sue comunità emigrate. La cittadinanza non è un favore, ma un diritto naturale per chi discende da italiani e vuole mantenere vivo quel legame.

Le opposizioni, con il Partito Democratico in testa, si sono opposte con decisione, denunciando un uso improprio dello strumento della decretazione d’urgenza.

In una nota ufficiale, il PD ha affermato: “le critiche a questo provvedimento sono sia di metodo che di merito. Sul metodo, perché si è fatto ricorso a un decreto-legge in palese violazione dell’articolo 77 della Costituzione, che consente al governo di legiferare con decreti solo in presenza di casi straordinari di necessità e urgenza. Qual è l’urgenza che giustifica la modifica di una legge del 1992, che regola l’accesso alla cittadinanza per i discendenti degli emigrati italiani?

Sul merito, perché si interviene su un diritto fondamentale – quello della cittadinanza – senza una discussione parlamentare seria, ignorando decine di proposte di legge già depositate nelle Commissioni competenti. Un tema così delicato avrebbe meritato un ampio dibattito, pubblico e istituzionale”.

Gli eletti all’estero del Partito Democratico, insieme a molte altre forze sociali e associazioni italiane nel mondo, hanno denunciato con forza questo decreto. L’On. Toni Ricciardi ha chiuso il suo intervento parlamentare con un discorso accorato, definendo il 25 maggio 2025 come “il Giorno della Vergogna”. Un giorno in cui il Parlamento italiano ha voltato le spalle a milioni di italiani che vivono fuori dal Paese, ma che continuano a sentirsi profondamente legati all’Italia, alla sua cultura, alla sua lingua, alla sua storia.

In Aula, durante la dichiarazione di voto contrario del PD, il deputato eletto nella ripartizione Europa ha pronunciato parole forti e appassionate: “È l’emigrazione la nostra vera identità collettiva. Che cosa significa italianità? Dove la troviamo? Nelle comunità all’estero, nella lingua, nelle tradizioni, nell’italiano parlato in Brasile o in Argentina? Se vogliamo davvero una definizione comune, è solo una: l’emigrazione è l’esperienza collettiva che ci unisce.” E ha lanciato un appello accorato. “Come spiegherete ai bellunesi, veneti, bergamaschi, umbri, lucchesi, marchigiani, abruzzesi, siciliani, laziali, cilentani, salentini e calabresi che i loro figli e nipoti, doppi cittadini, rischiano di non essere più italiani? A chi ha insegnato mestieri in Europa, inventato il fish and chips, fatto conoscere la pizza, lavorato nelle fabbriche tedesche e pagato con la vita a Marcinelle… ora dite che non potranno più trasmettere l’identità italiana. Date la cittadinanza a Milei, ed ai figli e nipoti di Marcinelle? Concludo con un appello: non si cancellano con un decreto la memoria e il diritto all’identità. Gli italiani nel mondo sono parte integrante della nostra nazione. Difendere i loro diritti significa difendere l’Italia stessa. Noi stiamo con le italiane e gli italiani all’estero. E continueremo a difenderne i diritti”.

Gli italiani all’estero meritano molto di più di queste umiliazioni che colpiscono la dignità di milioni di italiani e le loro discendenze. Carmelo Vaccaro, consigliere Cgie, Saig 2

 

 

 

 

 

UE alla prova

 

Adesso in UE servono disponibilità e solidarietà. L’Italia, nei limiti del possibile, ha fatto sempre la sua parte; oggi sono necessari interventi economici tramite un fondo comunitario che potremmo chiamare d’“Emergenza”. I “fronti” d’opinione, evidentemente discordanti, non fanno che complicare le prospettive di ripresa. L’Italia è stata uno dei Paesi fondatori dell’Unione. Oggi l’UE dovrebbe mettere in campo quello che potrebbe fare per noi.

L’economia del mondo è in crisi. Ci vogliono interventi, anche a fondo perduto, per ridare la speranza di una ripresa che, comunque, sarà lenta. L’attuale situazione nazionale richiede l’investimento di concrete risorse finanziarie. Ma bisogna provvedere subito. Proprio ora che gli effetti della recessione sono ancora deboli e, quindi, contenibili. Non ci dovrebbero essere priorità politiche da tutelare. L’importante è che nessuno degli Stati membri si tiri indietro.

La solidarietà comunitaria non andrà ad alterare il ruolo degli Stati membri. La coerenza d’appartenenza dovrebbe essere la prima sensazione da mettere, concretamente, in campo. Non esistono realtà economiche europee che non si basino sulla mutua assistenza. Senza”se” e senza”ma”. A nostro avviso si dovrebbe elaborare, entro poche settimane, un piano di Protezione Sociale abilitato a intervenire, oltre la burocrazia, là dove se ne evidenzi la necessità. Questa prova d’emergenza comunitaria sarà la prima concreta verifica sul muto soccorso dell’Europa Stellata. Come da sempre, l’Italia farà la sua parte. Con la speranza che gli altri Stati membri UE facciano la loro.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

 

Migranti, Corte europea diritti dell'uomo dà ragione a Italia su respingimenti Libia

 

La Cedu ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato da 17 migranti che accusavano l'Italia di averli respinti "per procura" in Libia durante un salvataggio in mare nel 2017

La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato da migranti che accusavano l'Italia di averli respinti "per procura" in Libia durante un salvataggio in mare nel 2017. Diciassette ricorrenti, provenienti da Nigeria e Ghana, avevano presentato ricorso alla Cedu nel maggio 2018 in merito alle condizioni del loro salvataggio al largo delle coste libiche nel novembre 2017, quando facevano parte di un gruppo di circa 150 persone stipate in un gommone.

Il caso

Allertato da un segnale di soccorso, il Centro di Coordinamento del soccorso marittimo di Roma ha inviato una richiesta alle imbarcazioni vicine per soccorrere i migranti. Tra queste imbarcazioni, si prevedeva che una nave libica, la Ras Jadir, avrebbe raccolto circa 45 persone, tra cui due dei ricorrenti. Secondo quanto hanno riferito questi ultimi, "sono stati legati, picchiati e minacciati; sono stati condotti in un campo di detenzione a Tajura, in Libia, dove hanno subito maltrattamenti e violenze", come ricordato in un comunicato stampa della Cedu.

La motivazione

Due ricorrenti hanno inoltre denunciato la morte dei loro figli durante l'affondamento del gommone, causato dall'arrivo dell'imbarcazione libica, secondo la stessa fonte. Tuttavia, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che il salvataggio è avvenuto in acque internazionali e che la zona non era "di fatto sotto l'effettivo controllo dell'Italia".

"Il capitano e l'equipaggio della nave libica hanno agito in modo autonomo" e non vi sono prove che suggeriscano che il Centro di Soccorso di Roma avesse "il controllo sull'equipaggio di questa nave e fosse in grado di influenzarne in alcun modo il comportamento", affermano i giudici di Strasburgo. "La Corte conclude che i ricorrenti non rientravano nella giurisdizione italiana (...) Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile", si legge.

La sentenza della Corte giunge dopo che la Ced è stata oggetto di critiche il mese scorso da parte dell'Italia e di altri otto Paesi europei in materia di immigrazione. In una lettera aperta pubblicata dall'ufficio del primo ministro italiano Giorgia Meloni, nove Paesi, tra cui Polonia e Belgio, hanno dichiarato di voler esaminare "se la Corte, in alcuni casi, abbia esteso eccessivamente l'ambito di applicazione della Convenzione rispetto alle sue intenzioni originarie".

In risposta, il segretario generale del Consiglio d'Europa, Alain Berset, ha detto che ritiene "fondamentale" "mantenere l'indipendenza e l'imparzialità della Corte" di fronte alle "pressioni politiche". La missione della Cedu è garantire il rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nei 46 Stati membri del Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale non Ue che ha sede a Strasburgo. Adnkronos 12

 

 

 

 

 

 

Stranieri alle porte: panico indotto da narrazioni allarmistiche

 

Nel vortice delle partenze forzate e delle speranze annegate, l’Europa appare smarrita, incapace di articolare una risposta coesa, solidale e lungimirante. La sonnacchiosa inerzia dell’agire comunitario, accompagnata da una crescente tendenza securitaria e da una narrazione mediatica sempre più ansiogena, produce effetti devastanti tanto sul piano umano quanto su quello politico. Non solo per i migranti, ma fra noi: prigionieri di noi stessi. L’Italia, porta meridionale del continente, sembra ormai orientata a declinare l’accoglienza solo nei termini dell’emergenza o del respingimento, rinunciando a un’elaborazione sistemica e strutturale che coniughi diritto, umanità, responsabilità condivisa, crescita del Paese. La tragedia di Cutro, con il suo straziante corteo di corpi restituiti dal mare, inchioda le nostre coscienze al banco degli imputati, rivelando l’abisso di un fallimento collettivo che pesa come una colpa storica, una miopia politica, una cecità spirituale. In quel tratto di costa calabrese si è infranta non solo una fragile imbarcazione, ma un intero sistema di protezione che avrebbe dovuto salvare, e invece ha lasciato morire. Le lacrime tardive né ci sono, né basterebbero. Servono un ribaltamento delle nostre coordinate morali e la scoperta della potenza culturale della compassione. Come vescovo della Calabria, terra di frontiera e di passaggi, sento il dovere di denunciare l’ipocrisia di un’Europa che alza muri, firma accordi con regimi che calpestano i suoi valori fondanti e subappalta le proprie responsabilità a Paesi terzi, spesso in nome di un’apparenza di efficienza che maschera disumanità e crudo disincanto. Ancora di più, sento il dovere di testimoniare che un’altra via è possibile. Una via che passa attraverso l’ospitalità come gesto politico, sociale e spirituale. Un gesto non di mera solidarietà, ma di solidità e lungimiranza. Zygmunt Bauman, nel suo libro Stranieri alle porte, ci ha messi in guardia contro il “panico morale” indotto da narrazioni allarmistiche che fanno dello straniero il deposito dell’ansia collettiva. Scrive: «Il migrante è il testimone muto delle nostre paure. Non per ciò che è, ma per ciò che ci ricorda: la nostra nudità esistenziale, l’instabilità del nostro mondo». La sua vulnerabilità risveglia la nostra. Da qui deve ripartire un’analisi profonda: riconoscere nel fratello in cammino non una minaccia, ma un orizzonte spalancato di promessa e di possibilità. Ma perché l’ospite inatteso ci spaventa così visceralmente? Perché diventa simbolo perturbante, quasi un intruso che incrina l’illusione della nostra stabilità?

La sua povertà diventa specchio della nostra: è il riflesso della precarietà delle nostre vite ipermoderne, vissute tra disgregazione sociale, insicurezza economica, smarrimento del senso. La sua presenza ci obbliga a riconoscere che anche noi potremmo trovarci al margine e in larga misura lo siamo già. René Girard in La violenza e il sacro ci ha insegnato che le società costruiscono l’ordine attraverso meccanismi vittimari: si individua un capro espiatorio su cui proiettare paure e tensioni, e lo si sacrifica per ristabilire una parvenza di armonia. In questa prospettiva, il migrante è divenuto bersaglio perfetto anche delle democrazie. La cura dell’altro, pertanto, non è più solo un gesto etico, ma un’operazione culturale e antropologica per restituire umanità a chi ne è stato spogliato. Vediamo governi che ritengono eversiva la cura, che trattano come inaccia chi soccorre e come alleato chi discrimina e viola diritti umani fondamentali. Avviene oggi, alla luce del sole. Urge testimoniare un orizzonte di condivisione entro una mentalità di esclusione. L’incontro con l’altro riscatta: ci sottrae all’isolamento e ci fa ripensare l’identità non come fortezza ma come narrazione plurale. Lévinas ci ricorda che «il volto dell’altro mi chiama, mi obbliga, mi espone alla responsabilità». È nel volto dell’altro che l’Altro ci interpella. Ogni muro innalzato, ogni linguaggio disumanizzante che riduce la persona a flusso, minaccia o emergenza, è un impoverimento culturale e spirituale. Rifiutare l’incontro significa rinunciare a crescere, a convertirsi, a trasformarsi. 

 In un tempo attraversato da crisi multiple, la vera alternativa non è il controllo ossessivo dei confini, ma la costruzione di legami, la creazione di comunità inclusive. È tempo di immaginare un’Europa non come fortezza assediata, ma come casa comune, capace di dare volto politico all’ospitalità. La solidarietà concreta non è una concessione, ma una scelta strutturale. Non un’opera di benevolenza, ma la condizione per un futuro abitabile. La convivenza tra popoli diversi non è un’utopia, bensì un’esigenza. Come suggeriva Paul Ricoeur, «l’ospitalità è la virtù dell’uomo che è capace di abitare poeticamente la terra». Sul piano teologico, questa visione si radica nel cuore del Vangelo. Gesù non solo si identifica con lo straniero, ma chiede di riconoscerlo: «Ero forestiero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Papa Francesco ci invitava a non abituarci alla crudeltà del mondo: «Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi e chiediamoci: chi ha pianto? chi ha pianto oggi nel mondo?». 

 Le esperienze virtuose non mancano. I corridoi umanitari sono un modello replicabile: ingresso legale e integrazione programmata. Da Nord al Sud si stanno già sperimentando percorsi di accoglienza diffusa, che è una scelta di civiltà. Non esistono alternative praticabili al riconoscimento reciproco. Tornare a pensare l’altro come risorsa è la sfida antropologica e spirituale del nostro tempo. In Calabria, le nostre comunità già ferite da povertà e spopolamento possono ritrovare un respiro largo accogliendo. Ospitare l’umano non è un gesto eroico, ma la più alta forma di umanità autentica. Francesco Savino, Vita past., giugno

 

 

 

 

 

Insediata la Consulta dei lombardi nel mondo

 

Milano - Si è svolta oggi a Palazzo Lombardia la seduta di insediamento della Consulta Lombardi nel Mondo. L’incontro, presieduto dal Presidente della Regione, Attilio Fontana, ha visto la partecipazione del sottosegretario alle Relazioni Internazionali ed Europee Raffaele Cattaneo e dei rappresentanti istituzionali che fanno parte di questo organismo.

La Consulta, istituita con la legge regionale del 2024, “guarda alle comunità lombarde in Europa e nel mondo” ha spiegato il presidente Fontana e “ci permette – ha aggiunto - di agire e collaborare in numerosi ambiti come, ad esempio, la diffusione della conoscenza del territorio e della società lombarda, l’attrattività turistica, l’interscambio tra talenti con borse di studio, i soggiorni culturali e la formazione professionale. A questi ambiti si aggiungono tutela dei Lombardi nel mondo in caso di calamità naturali, emergenze umanitarie, sanitarie o pandemiche, indigenza e grave necessità".

“L’insediamento della Consulta – ha dichiarato il sottosegretario Cattaneo –rappresenta un passaggio fondamentale per rafforzare il legame tra la Lombardia e i suoi cittadini nel mondo. Vogliamo accompagnare chi parte, sostenere chi vive già fuori dai confini regionali e agevolare il rientro di chi desidera riportare in Lombardia competenze, esperienze e nuove visioni. Questa Consulta sarà una piattaforma concreta per far sentire la vicinanza della Regione a tutti coloro che, per studio, lavoro o crescita personale, hanno scelto di realizzarsi altrove. È un passo avanti verso una Lombardia più internazionale, aperta e connessa”.

Come deliberato nella seduta del 12 maggio scorso (numero XII/ 4332) la Consulta è composta dal Presidente della Regione, o suo delegato, che la convoca e presiede; Christian Garavaglia, Luca Marrelli, Marco Carra (Consiglieri Regionali della Lombardia); Mario Martinelli (Confartigianato Lombardia), Giovanna Mavellia (Confcommercio Lombardia), Ilaria Pozzoli (Confindustria Lombardia); Don Alberto Vitali (Fondazione Migrantes); Matteo Luigi Bianchi (ANCI Lombardia); Gian Domenico Auricchio (Unioncamere Lombardia); Francesca Ferrari (Università dell’Insubria); Daniele Marconcini (Associazione Mantovani nel mondo); Carlo Personeni (Associazione Ente Bergamaschi nel mondo); Nicola Stivala (Associazione Gente Camuna); Donato Mainieri (Canada), Paola Sabatti (Cile); Andrea Adamo (Emirati Arabi Uniti); Verónica Crego Porley (decano pro tempore del Corpo consolare di Milano e della Lombardia). (aise/dip 3) 

 

 

 

 

L’Associazione Bellunesi nel Mondo rilancia la sua missione nel mondo

 

Belluno – Si è tenuta il 31 maggio a Belluno la 61ª Assemblea dell’Associazione Bellunesi nel Mondo (Abm).  La cerimonia – riferisce l’Associazione – si è aperta con l’inno d’Italia e l’inno ufficiale dell’Abm, seguiti dai saluti della vicepresidente dell’associazione Patrizia Burigo, che ha introdotto i vari momenti dell’Assemblea. Diversi gli interventi delle autorità. Irene Gallon, consigliera comunale con delega ai Bellunesi nel mondo, ha portato i saluti del sindaco di Belluno, Oscar De Pellegrin, e ha espresso grande apprezzamento per l’attività dell’Abm, definendola “un punto di riferimento per tutti”.

Anche la consigliera regionale Silvia Cestaro ha ribadito il suo sostegno, dichiarando l’intenzione di organizzare un incontro in Regione per sensibilizzare maggiormente le istituzioni verso l’associazionismo migrante: “Negli ultimi anni – ha affermato – si è fatto troppo poco a livello regionale per sostenere chi lavora nella memoria e nel servizio alle nostre comunità all’estero”. Centrale è stato l’intervento del presidente Oscar De Bona, che ha presentato la relazione morale illustrando il vasto lavoro svolto: dal Museo interattivo delle Migrazioni MiM Belluno a Radio ABM, dalla rivista Bellunesi nel Mondo al Centro Studi Aletheia, fino all’Accademia ABM, senza dimenticare le attività delle Famiglie all’estero, d’Italia ed Ex emigranti e dei volontari singoli. De Bona ha inoltre annunciato la partecipazione dell’Abm a un bando PNRR del Ministero della Cultura per trasformare il Museo interattivo delle Migrazioni di Belluno in un vero e proprio Museo dell’Emigrazione Veneta. De Bona ha anche espresso amarezza per la riduzione negli ultimi anni dell’85%  dei contributi della Regione Veneto. Un altro aspetto critico evidenziato dal presidente è l’aggravarsi della pressione burocratica, che rende sempre più difficile operare nel Terzo Settore: “Viviamo in una società sempre più individualista, dove anche le organizzazioni no-profit devono confrontarsi con normative e adempimenti che tolgono tempo ed energie al vero lavoro sociale e culturale”. De Bona ha inoltre lanciato un appello per contrastare il calo dei soci, che rappresenta una delle principali preoccupazioni per il futuro dell’Associazione: “Dobbiamo agire adesso e in fretta, ma non possiamo farlo da soli: serve il sostegno di tutti, anche e soprattutto delle istituzioni”. Il tesoriere dell’Abm, Angelo Paganin, ha presentato il bilancio consuntivo 2024, che si è chiuso con un avanzo di 7.825,56 euro, frutto di una gestione attenta e trasparente. “In un contesto di difficoltà economica generale e rincari continui – ha spiegato – questo risultato è estremamente positivo. Abbiamo ottimizzato le spese, richiesto più preventivi per ogni acquisto, garantendo l’efficienza nell’uso dei fondi”. Importante anche il richiamo al 5×1000, fonte fondamentale per il sostegno dell’Abm: “Vi invitiamo a promuovere questa forma di supporto tra parenti e amici. Il potenziale di crescita è ancora molto alto”. L’Assemblea è proseguita con gli interventi del diacono Francesco D’Alfonso, che ha proposto una riflessione sulle migrazioni contemporanee, e di Samuele Marcon e Patrizia Burigo, che hanno riportato l’esperienza vissuta alla Consulta dei Veneti nel Mondo in Brasile. Burigo ha inoltre fatto il punto sulle attività della Biblioteca delle Migrazioni “Dino Buzzati”, importante polo culturale dell’Associazione, mentre Dino Bridda, direttore della rivista Bellunesi nel Mondo, ha illustrato il successo della versione digitale: oltre 1.200.000 pagine visualizzate nel 2025, 87.000 visitatori unici e 3.000 articoli pubblicati. Il coordinatore delle Famiglie ex emigranti, Antonio Dazzi, insieme alla vice Gioia Sacchet, ha ringraziato i membri attivi per il loro impegno e la partecipazione, sottolineando il valore del lavoro collettivo e della memoria condivisa. Il presidente onorario Gioachino Bratti ha chiuso l’assemblea con un pensiero profondo sul significato dell’emigrazione e dell’identità bellunese nel mondo. L’incontro si è concluso in un clima conviviale con la degustazione del gelato “Alleluja”, offerto dalla Famiglia Bellunese del Nord Reno Westfalia e realizzato dal presidente Riccardo Simonetti. Nonostante tutto, avanti con fiducia  L’Abm – spiega la nota – si trova oggi davanti a una sfida complessa: proseguire la propria missione con risorse sempre più limitate, in un contesto sociale ed economico che spesso tende a dimenticare il valore dell’associazionismo. Ma come dimostrato anche in questa 61ª Assemblea, lo spirito di servizio, la passione e l’orgoglio per le proprie radici continuano a guidare il lavoro dell’Associazione. E proprio da questi valori può nascere la forza per affrontare il futuro.

“Abbiamo superato momenti difficili anche in passato – ha detto Oscar De Bona – e lo faremo anche stavolta. Perché l’Abm è molto più di un’associazione: è una famiglia che unisce Belluno con il mondo intero”. (Inform/dip 3)

 

 

 

 

 

DGIT, Riunione del Tavolo Tecnico di Coordinamento sul Turismo delle Radici

 

Roma – Il 29 maggio scorso si è svolta la Riunione del Tavolo Tecnico di Coordinamento sul Turismo delle Radici. Il Direttore Generale Italiani all’Estero e Politiche Migratorie, Luigi Maria Vignali, ha ringraziato – si legge nel report – i partecipanti all’incontro del Tavolo Tecnico di coordinamento sul Turismo delle Radici, che dal primo incontro del 2018 si è man mano ingrandito e arricchito con numerose iniziative, raggiungendo risultati straordinari. Il progetto Turismo delle Radici è una eccellenza, che dimostra la leadership mondiale italiana in questo settore, in cui non esistono paragoni a livello di impegno sistemico e le cui potenzialità sono enormi, che mira a valorizzare il legame tra italiani all’estero e i territori d’origine, con un forte impatto sul turismo, sull’economia locale e sulla cultura. Nell’ambito del progetto sono stati creati insieme servizi e metodo di lavoro innovativo, che hanno dato luogo a nuove figure professionali e a una interlocuzione nuova con i viaggiatori delle radici, offrendo loro opportunità che prima non esistevano. Inoltre si è contribuito a far conoscere ancora di più in tutto il mondo la straordinaria bellezza dei nostri borghi e dei piccoli comuni, con una serie di ricadute positive in termini economici oltre che turistici. Al centro di questo percorso, c’è la rete Italea, iniziativa multiforme lanciata nel marzo 2024 e che pian piano si è sviluppata grazie anche ai centri di coordinamento regionale. Il portale Italea.com ad oggi ha oltre 1,5 milioni di visite registrate, e un numero crescente di famiglie italiane è stato messo in contatto con le proprie radici. Il programma include inoltre una “Italea Card” virtuale, che offre ai turisti sconti e vantaggi speciali con oltre 730 partner commerciali e più di 12mila viaggiatori iscritti. Ci sono poi le Italee regionali, che continueranno a svolgere un ruolo di raccordo tra istituzioni e realtà territoriali, con il raccordo da parte del Ministero degli Affari Esteri che funge anche da guida per un ulteriore sviluppo del progetto. Nell’ambito del progetto sono stati fondamentali la cooperazione con Regioni e Comuni, dimostrando il successo collettivo: gli oltre 800 Comuni italiani che hanno partecipato al primo bando e sono stati destinatari di risorse per sviluppare il progetto hanno realizzato circa 750 eventi destinati ai turisti delle radici con oltre 150mila partecipanti in tutta Italia; la partecipazione delle Regioni è stato importante nelle diverse iniziative all’estero (19 in tutto il mondo), permettendo di mostrare le nostre eccellenze e dare lustro al Paese intero, con un’eco magnifica tra le nostre comunità. L’importante raccordo con le entità territoriali e in particolare con i Comuni è stato fortemente voluto dal ministro Tajani che ha firmato un protocollo di collaborazione per sviluppare lo scambio di informazioni e di idee, la promozione dei borghi e la formazione. Anche la formazione ha la sua importanza in questo progetto e si stanno realizzando delle pillole formative che saranno diffuse dal mese di giugno a tutta la rete dei comuni insieme ad un ciclo di videoconferenze con tutti gli 816 comuni che hanno partecipato al bando. Nell’ambito del progetto svolge un ruolo fondamentale la rete dei Musei dell’emigrazione, ospitata sul portale Italea.com. Inoltre vi è un proficuo raccordo con il Ministero dell’Istruzione per far sì che la storia dell’emigrazione venga studiata in istituti secondari e i musei possano avere un ruolo formativo. Sono in corso di analisi i risultati e l’impatto sull’Italia e i suoi territori. Il prossimo anno ci saranno evidenze statistiche complete, intanto le prime stime parlano di 5milioni di presenze in più di turisti delle radici tra il 2025 e il 2026, con una spesa da parte degli stessi turisti di 5,5 miliardi di euro – Confcommercio sale sino a 8 miliardi in più anni – e secondo uno studio condotto da Deloitte una ricaduta sul territorio stimata in 1 miliardo di euro e 99mila nuovi posti di lavoro.

Il Direttore Vignali conclude affermando che l’impatto importante già nelle stime dimostra l’importanza di questo settore e sottolineando che occorre continuare a crescere insieme e promuovere il turismo delle radici in Italia e nel mondo.

Interventi

Il Consigliere Amb. Giovanni Maria De Vita, responsabile del Progetto “Turismo delle Radici” presso la Direzione Generale Italiani all’Estero, ribadisce l’importanza di questo segmento sviluppato insieme, con una sistematizzazione del settore.

La riunione ha evidenziato un forte entusiasmo e una vasta gamma di iniziative legate al Turismo delle Radici, con un focus sul coinvolgimento delle comunità locali, degli italo-discendenti all’estero e delle istituzioni. Sono emersi diversi suggerimenti, problematiche e tematiche, che possono essere schematizzate come segue:

Suggerimenti e Buone Pratiche

* Formazione e Accoglienza: Proposta di corsi per “commissari dell’ospitalità” per formare addetti all’accoglienza; Master universitari in management di TdR con coinvolgimento di università estere (Brasile, Argentina, Venezuela, Cile) per chi vuole formarsi nel settore; Si suggerisce di costruire percorsi formativi per operatori dell’accoglienza a supporto dei comuni per gli italo-discendenti.

* Digitalizzazione e Archivi: Digitalizzazione degli archivi anagrafici e cimiteriali per facilitare le ricerche genealogiche (es. Comune di Caiazzo, Toritto, Guardia Sanframondi); Creazione di piattaforme digitali (es. cimitero digitale in 3D del Comune di Caiazzo); Necessità di rendere gli archivi accessibili e favorirne la digitalizzazione, con la creazione di laboratori di genealogia e la formazione del personale degli uffici anagrafe (Italea Veneto, Ministero della Cultura).

* Coinvolgimento dei Giovani e delle Scuole: Iniziative scolastiche per lo studio delle migrazioni e l’avvicinamento al TdR (Istituto Tecnico Economico di Casarano, Monterosso Almo); Sensibilizzazione dei bambini e ragazzi sulle cause dei fenomeni migratori e sull’importanza di preservare il patrimonio culturale per contrastare lo spopolamento (Comune di Blufi); Coinvolgimento delle scuole per la conoscenza e lo studio della storia dell’emigrazione e per far conoscere i musei tematici (Museo Regionale dell’Emigrazione dei Piemontesi nel Mondo).

* Collaborazione e Sinergie: Collaborazione tra associazioni, comuni, università e MAECI per iniziative coordinate; Creazione di una “rete nazionale dei musei” e un tavolo tecnico per un’offerta organica del TdR; Coinvolgimento delle comunità d’affari italiane all’estero (Assocamerestero) per favorire investimenti di ritorno e lo sviluppo economico locale; Valorizzazione del ruolo di “influencer famosi” per promuovere il TdR (es. Lionel Scaloni per Magliano di Tenna, Nonna Fina per Guardia Sanframondi).

* Valorizzazione Culturale e Territoriale: Promozione della lingua e cultura italiana all’estero attraverso la musica (Salty Music) e la riscoperta delle radici;  Creazione di “musei open air” e progetti come “Il Civico delle radici” per identificare e raccontare le storie delle case degli emigrati (Museo del Mare di Genova); Iniziative che collegano l’italianità a figure iconiche (es. Giorgio Morandi con l’associazione Wonderingstars Bologna); Sviluppo del “turismo sensoriale” legato alle attività tradizionali dei luoghi d’origine (Comune di Castelvetrano); ? Rilanciare la rete dei musei dell’emigrazione come “cappello culturale” per il fenomeno, con valenza didattica per le scuole; Uso di eventi e tradizioni locali (es. riti settennali del culto mariano a Guardia Sanframondi) per attrarre italo-discendenti; Creazione di musei dedicati, come il Museo “La valigia di Cartone” a Pretoro.

* Comunicazione e Visibilità: Utilizzo dei canali ufficiali di Italea (sito, social) e collaborazioni con testate giornalistiche per la divulgazione delle iniziative; Proposta di un canale TV dedicato al TdR per raccontare testimonianze e storie; Partecipazione a fiere e borse internazionali del turismo (Roots-In a Matera); Presentazione di libri e pubblicazioni legate alle radici all’estero (es. libro “Radici / Roots” del Comune di Pretoro).

Problematiche Emerse

* Rendicontazione dei Contributi: Il Comune di Bisenti ha avuto difficoltà a rendicontare un contributo nei tempi previsti.

* Accesso agli Archivi: Difficoltà nell’accedere agli archivi per la ricostruzione degli alberi genealogici.

* Mancanza di Fondi Specifici: I gemellaggi culturali non hanno fondi specifici, ma dipendono dalle risorse territoriali. Non sono previsti nuovi bandi per il TdR nel breve termine, essendo i fondi PNRR limitati nel tempo.

* Supporto ai Comuni per la Ricerca: I Comuni chiedono supporto per il personale esperto nella ricerca negli archivi anagrafici.

* Legge sulla Cittadinanza: Un rappresentante del CGIE ha sollevato preoccupazioni riguardo una nuova legge sulla cittadinanza, temendo una diminuzione degli italiani all’estero.

* Sostegno Economico Continuo: Le Italee regionali ritengono che il progetto non sia ancora autonomo e necessiterebbe di un continuo supporto economico da parte del Ministero.

* Coordinamento delle Iniziative: Necessità di coordinare le diverse iniziative per evitare duplicazioni e massimizzare l’efficacia.

* Tempistiche dei Progetti: Le iniziative finanziate con fondi PNRR devono chiudersi entro il 31 agosto, con necessità di richiesta di proroga per i comuni.

* Comunicazione con le Rappresentanze Diplomatiche: La necessità di coinvolgere le Ambasciate per eventi all’estero.

Altre Tematiche

* Rientro e Reinsediamento: L’Università del Molise sta cercando di favorire il rientro di migranti per turismo e altre motivazioni che possono aiutarli a restare, supportando il desiderio di rientro in aree marginali. Il flusso di ritorno di italo-

discendenti che acquistano casa nei luoghi d’origine offre opportunità

economiche.

* Spopolamento: Il TdR è visto come uno strumento per contrastare lo spopolamento delle aree interne, ripopolando i piccoli comuni.

* Identità e Memoria: Il TdR è un veicolo per il recupero della memoria storica e dell’identità degli italo-discendenti.

* Relazioni con le Comunità all’Estero: Il progetto mira a lanciare una nuova stagione di relazioni con le comunità italiane all’estero, rinvigorendo il rapporto bilaterale e superando stereotipi. Si punta a spostare l’attenzione dall’Italia all’estero per una maggiore sinergia.

* Coinvolgimento del Ministero dell’Istruzione: Importanza del coinvolgimento del Ministero dell’Istruzione per portare il TdR nelle scuole.

* Ruolo degli Influencer: L’arrivo di personaggi famosi con radici italiane può incrementare significativamente il turismo (es. Lionel Scaloni, Nonna Fina).

* Patrocinio Istituzionale: Richiesta di patrocinio per eventi legati al TdR, con disponibilità a concederlo per iniziative significative.

* Ecosistema del TdR: Il TdR è definito come un “ecosistema di relazioni, progetti e persone”, evidenziando la sua trasversalità e applicabilità in diversi ambiti.

* Sviluppo Post-Progetto: la piattaforma Italea.com e le Italee regionali continueranno ad essere attive anche dopo la fase iniziale del progetto. Il Ministero resterà in ascolto e riferimento del progetto.

* Borsa Internazionale del Turismo delle Origini (Roots-In): Evento chiave per il settore, che invita tutti gli operatori del TdR.

* Bollino di Qualità per i Comuni: Proposta di un “bollino di qualità” o riconoscimento per i Comuni che si sono distinti nelle attività del TdR. Il MAECI ha già dato il titolo di “Comune delle Radici” a quelli che hanno svolto iniziative.

* Convenzioni con Compagnie Aeree: Accordi con compagnie aeree per tariffe agevolate per i viaggiatori delle radici (ITA Airways è già partner con la Italea Card). (Inform/dip 5)

 

 

 

 

Cgie, Assemblea Plenaria a Roma dal 16 al 20 giugno

 

Cittadinanza, messa in sicurezza del voto all’estero e incentivi al rientro al centro dei lavori. Il Presidente Mattarella riceverà il Consiglio Generale al Quirinale

Roma – Il Consiglio Generale degli italiani all’Estero si riunisce a Roma dal 16 al 20 giugno. I 63 Consiglieri del CGIE verranno ricevuti al Quirinale il pomeriggio del 17 giugno dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, passaggio significativo e di grande importanza per la rappresentanza degli italiani all’estero, che anticipa l’entrata nel vivo dei lavori dell’Assemblea plenaria. Tra i molti punti all’ordine del giorno, cittadinanza, messa in sicurezza del voto all’estero e incentivi al rientro – temi prioritari dell’agenda del primo semestre 2025 – saranno al centro del dibattito assembleare e del confronto con gli interlocutori istituzionali: dal vicepresidente del Consiglio, ministro degli Affari esteri e presidente del CGIE Antonio Tajani, che interverrà il pomeriggio del 16 giugno, al sottosegretario agli esteri Giorgio Silli, che illustrerà la relazione di Governo il 18 giugno, alle delegazioni parlamentari, al senatore Guido Castelli, commissario straordinario per la ricostruzione delle aree del Centro Italia colpite dal terremoto, che interverrà il pomeriggio del 19 giugno, al presidente del CNEL Renato Brunetta, che aprirà l’ultima giornata di lavori assembleari il 20 giugno a Villa Lubin.

L’Assemblea plenaria – informa la nota del Cgie – si riunisce in un momento particolarmente delicato per la nostra diaspora, in allarme per l’entrata in vigore del Decreto-legge 36/2025 che, con il passaggio di conversione in legge, ha ristretto in maniera drastica la trasmissione della cittadinanza e l’ha condizionata a molte variabili generando disparità di trattamento tra connazionali, in particolar modo se in possesso di altra cittadinanza. Il Consiglio Generale da tempo sosteneva la necessità di una riforma, con la convinzione che questa tematica non possa ridursi esclusivamente a uno status giuridico, ma debba concernere la consapevolezza, ossia il legame effettivo identitario con il Paese che passa attraverso la conoscenza della lingua e della cultura, nonché delle nozioni costituzionali. Dopo essersi espresso sul decreto-legge, lo scorso aprile, con audizioni in Parlamento e attraverso l’emissione di un parere formale, il CGIE, a fronte delle novità introdotte dalla conversione in legge del decreto, ha svolto una capillare attività sui territori consultando la base e incontrando le autorità diplomatico-consolari per acquisire il quadro più completo possibile delle criticità emerse. Ha inoltre impegnato sul tema la III Commissione tematica e ha riunito le Commissioni continentali, nonché il Gruppo dei Consiglieri di nomina governativa, per rappresentare le proprie specificità e avanzare proposte. Questa attività preparatoria andrà a sintesi durante le riunioni degli organi interni del CGIE nel corso delle due prime giornate di lavori e dovrà concretizzarsi in Assemblea plenaria con l’espressione di una posizione condivisa che formerà oggetto del parere del CGIE, chiamato a esprimersi, come previsto dalla sua legge istitutiva, sui disegni di legge governativi per la riforma complessiva della materia già depositati in Parlamento. Contribuiranno al dibattito i Presidenti dei Com.It.Es. di Bogotà e Johannesburg, invitati in qualità di esperti delle realtà di Colombia e Sudafrica, Paesi che non godono di una rappresentanza organica in seno al CGIE. La mattina del 19 giugno sarà dedicata al tema della messa in sicurezza del voto all’estero con il contributo di due esperti che illustreranno i loro studi sull’argomento: il professor Saverio D’Auria dell’Università Statale di Milano e il dottor Stefano Quintarelli, accademico e imprenditore informatico, che da presidente dell’Agenzia per l’Italia Digitale ha diretto l’implementazione del codice dell’amministrazione digitale gettando le basi per la modernizzazione della pubblica amministrazione.

Lo stesso giorno sarà affrontato il tema degli incentivi al rientro, oggetto del lavoro di diverse commissioni tematiche, coordinate dalla VII Commissione, che hanno organizzato webinar e proceduto a una mappatura dei dispositivi esistenti. Il commissario straordinario Castelli, con il quale il CGIE ha firmato un protocollo d’intesa lo scorso aprile, illustrerà poi la sua relazione sulla flat tax al 7% per i titolari di pensioni estere che decidono di stabilirsi nel territorio di sua competenza. Il dibattito sull’argomento proseguirà il 20 giugno presso la sede del CNEL, istituzione con cui il CGIE ha riavviato nei mesi scorsi una interlocuzione volta alla definizione di un protocollo di intesa e alla costituzione di un gruppo di lavoro per una collaborazione fattiva tra le due istituzioni tesa a valorizzare l’apporto delle comunità italiane nel mondo e creare le condizioni affinché chi si è trasferito all’estero e desidera tornare abbia l’opportunità di farlo. Forniranno inoltre il loro contributo ai lavori il vicepresidente del CNEL Claudio Risso e il consigliere Alessandro Rosina, nonché Gabriele Marzano della Direzione generale conoscenza, ricerca, lavoro e imprese presso la Regione Emilia-Romagna e Michele Valentini del Gruppo Controesodo. (Inform/dip 11)

 

 

 

 

 

 

 

Frontex-Zahlen. „Irreguläre“ Migration in die EU geht erneut deutlich zurück

 

Die Zahl „irregulärer“ Einreisen in die EU sinkt um weitere 20 Prozent – doch die Methode ist umstritten. Die EU zahlt autoritären Regimen Geld, damit sie Geflüchtete stoppen – notfalls mit Gewalt. Aus Sicht der EU scheint diese Politik zu wirken.

Die Zahl der sogenannten irregulären Grenzübertritte in die Europäische Union ist in den ersten fünf Monaten dieses Jahres um 20 Prozent zurückgegangen. Wie die EU-Grenzschutzagentur Frontex am Mittwoch mitteilte, wurden von Januar bis Mai insgesamt rund 63.700 „unerlaubte“ Einreisen registriert.

Mit „irregulärer“ Migration sind dabei nicht nur allgemeine Einreisen ohne Papiere gemeint. Auch Menschen, die aufgrund fehlender legaler Fluchtwege keine andere Möglichkeit haben, ihr Recht auf Asyl geltend zu machen, fallen unter diese Kategorie. Menschenrechtsorganisationen kritisieren daher die Bezeichnung als irreführend, da sie legitime Schutzgesuche kriminalisiere.

Gefährliche Überfahrten im Mittelmeer

Die zentrale Mittelmeerroute bleibt laut Frontex weiterhin der am stärksten genutzte Migrationsweg nach Europa. Jeder dritte Grenzübertritt erfolgte über diese Route. Zwischen Januar und Mai wurden dort rund 22.700 Übertritte gezählt – ein leichter Anstieg von sieben Prozent im Vergleich zum Vorjahr. Hauptausreiseland blieb hier Libyen. Die Zahl der Abfahrten aus Tunesien ging hingegen um fast 90 Prozent zurück, was Frontex auf verstärkte Kontrollen durch die dortigen Behörden zurückführt.

Das östliche Mittelmeer war von Januar bis Mai die zweitaktivste Route mit 15.600 Überfahrten. Dies entspricht einem Rückgang von 30 Prozent im Vergleich zu 2024. Nach Schätzungen der Internationalen Organisation für Migration (IOM) kamen in diesem Jahr bislang mindestens 651 Menschen bei der gefährlichen Überfahrt über das Mittelmeer ums Leben.

Auf der westafrikanischen Route – insbesondere Richtung Kanarische Inseln – sank die Zahl der Ankünfte um rund ein Drittel auf knapp 11.100. Als Hauptgründe nennt Frontex verstärkte Zusammenarbeit der EU mit Drittstaaten, speziell mit Mauretanien sowie gemeinsame spanisch-marokkanische Patrouillen.

Umstrittene EU-Abkommen mit Drittstaaten

Menschenrechtsorganisationen kritisieren seit Jahren, dass die EU im Rahmen dieser Zusammenarbeit Gelder an Regierungen überweist, denen schwere Menschenrechtsverletzungen vorgeworfen werden. So wird beispielsweise der mauretanischen Regierung vorgeworfen, Geflüchtete ohne Verfahren inhaftiert oder in gefährliche Herkunftsländer abgeschoben zu haben. Auch Libyen oder Tunesien stehen wegen Gewalt gegen Migrantinnen und Migranten sowie Pushbacks massiv in der Kritik.

Trotz dieser Vorwürfe setzen EU-Staaten zunehmend auf die Strategie, ihre Grenzen nach außen zu verlagern. Dabei werden Drittstaaten finanziell und logistisch unterstützt, um Migrant:innen bereits vor der Abreise oder auf dem Transitweg zu stoppen. Die stark rückläufigen Zahlen auf mehreren Routen deuten darauf hin, dass diese Politik aus Sicht der EU „wirkt“ – auch wenn sie den Betroffenen grundlegende Rechte verwehren kann.

Rückgang auf der Balkanroute, Anstieg im Ärmelkanal

Am stärksten war der Rückgang laut Frontex auf der Balkanroute. Im Vergleich zum Vorjahr sanken die Zahlen hier um 56 Prozent.

Auf dem Ärmelkanal Richtung Großbritannien stieg die Zahl der sogenannten „irregulären“ Grenzübertritte dagegen. In den ersten fünf Monaten des Jahres versuchten laut Frontex 25.540 Menschen, auf diesem Weg die britische Küste zu erreichen – ein Plus von 17 Prozent. Schleusernetzwerke würden zunehmend auf zeitgleiche Abfahrten setzen, um die Chancen erfolgreicher Übertritte zu erhöhen. Dies erschwere die Rettungseinsätze und erhöhe das Risiko für die Migranten erheblich, erklärte Frontex. (epd/mig 13)

 

 

 

 

 

Ausgaben für Atomwaffen überschreiten 100 Milliarden Dollar in 2024

 

Der Betrag, der allein im Jahr 2024 für Atomwaffen ausgegeben wurde, würde ausreichen, um alle 345 Millionen Menschen, die derzeit weltweit unter den schwersten Formen von Hunger leiden, fast zwei Jahre lang zu ernähren. Das geht aus dem Jahresbericht über Atomwaffenausgaben hervor, der von der Internationalen Kampagne zur Abschaffung von Atomwaffen veröffentlicht wurde. Derzeit gibt es etwa 12.000 Atomsprengköpfe, von denen fast 90° Prozent im Besitz der Vereinigten Staaten und Russlands sind. Von Francesco Citterich

Mit den im Jahr 2024 getätigten Ausgaben zur Aufstockung des nuklearen Arsenals in den neun Atommächten – China, Nordkorea, Frankreich, Indien, Israel, Pakistan, Vereinigtes Königreich, Russland und Vereinigte Staaten – hätte man fast zwei Jahre lang alle 345 Millionen Menschen ernähren können, die derzeit weltweit unter den schwersten Hungerformen leiden, einschließlich Hungersnot.

Der Jahresbericht von ICAN

Diese Zahl geht aus dem Jahresbericht über Atomwaffenausgaben hervor, der von der Internationalen Kampagne zur Abschaffung von Atomwaffen (ICAN) am Freitag - also genau an dem Tag, an dem Israel einen Angriff auf das iranische Atomprogramm startete – veröffentlicht wurde. Das ausführliche Dokument zeigt, dass genannte Länder im vergangenen Jahr mehr als 100 Milliarden Dollar für die Entwicklung ihrer Atomwaffenarsenale ausgegeben haben, was einem Anstieg von etwa 11?Prozent gegenüber dem Vorjahr entspricht.

In einem Moment, in dem die Vereinten Nationen mit massiven Kürzungen ihrer Finanzierung konfrontiert sind, hätte der Betrag, den diese neun Länder für ihre Atomwaffen ausgegeben haben, den Haushalt der UNO fast 28 Mal decken können. „Das sind nur einige Beispiele für all die alternativen Initiativen, die uns wirklich langfristige Sicherheit bringen würden – ganz im Gegensatz zur nuklearen Abschreckung“, erklärt Susi Snyder, Mitautorin des Berichts zusammen mit Alicia Sanders-Zakre und Programmkoordinatorin bei ICAN.

Die nuklearen Sprengköpfe weltweit

Derzeit gibt es weltweit etwa 12.000 Atomsprengköpfe, von denen fast 90?Prozent im Besitz der Vereinigten Staaten und Russlands sind. Laut dem Bericht haben die USA im vergangenen Jahr erneut mehr ausgegeben als alle anderen Atomwaffenstaaten zusammen: ganze 56,8 Milliarden Dollar. China liegt mit 12,5 Milliarden Dollar an zweiter Stelle, weniger als ein Viertel der US-Ausgaben. An dritter Stelle steht das Vereinigte Königreich mit 10,4 Milliarden Dollar, welches 10° Prozent der Gesamtsumme ausmacht. Es folgen Russland mit etwas mehr als 8 Milliarden, Frankreich mit 6,8 Milliarden, Indien mit 2,6 Milliarden, Israel und Pakistan mit etwas mehr als einer Milliarde und schließlich Nordkorea mit 630 Millionen Dollar. Das Dokument analysiert auch die Kosten, die von Ländern getragen werden, die Atomwaffen anderer Staaten beherbergen, darunter Belgien, Deutschland, Italien, die Niederlande und die Türkei.

Geld, das anders eingesetzt werden sollte

Der ICAN-Bericht prangert zudem an, dass das für Atomwaffenarsenale ausgegebene Geld „verschwendet“ sei, da dieselben atomar bewaffneten Staaten formell (mit einer gemeinsamen Erklärung Anfang 2022) zugestimmt haben, dass „ein Atomkrieg nicht gewonnen werden kann und niemals geführt werden darf“. Zudem lenke diese Ausgabe Ressourcen von anderen Prioritäten ab: Die 100 Milliarden Dollar hätten nämlich zur Finanzierung von Maßnahmen verwendet werden können, die auf die Bedrohungen der Sicherheit durch den Klimawandel und das Artensterben abzielen, oder um öffentliche Dienstleistungen wie Gesundheit, Wohnraum und zu verbessern. Doch trotz wiederholter internationaler Appelle gibt es nach wie vor derzeit keine Anzeichen für eine Umkehr oder auch nur Verlangsamung der fortlaufenden Entwicklung von Atomwaffen.

Die Internationale Kampagne zur Abschaffung von Atomwaffen, mit Sitz in Genf und seit 2007 in 107 Ländern aktiv, ist ein globales zivilgesellschaftliches Bündnis, das sich für die Ratifizierung und vollständige Umsetzung des Vertrags über das Verbot von Atomwaffen einsetzt. 2017 wurde ihr der Friedensnobelpreis verliehen „für ihre Arbeit, die Aufmerksamkeit auf die katastrophalen humanitären Folgen jeglichen Einsatzes von Atomwaffen zu lenken und für ihren außergewöhnlichen Einsatz, einen Vertrag zu erwirken, der diese Waffen verbietet.“ (vn 13)

 

 

 

 

 

UNHCR: Über 122 Millionen Menschen auf der Flucht

 

Seit Jahren steigen mit immer neuen Krisen und Konflikten die weltweiten Flüchtlingszahlen, aber in diesem Jahr gibt es einen Lichtblick: Syrien. Fast zwei Millionen Syrer sind in das einstige Bürgerkriegsland zurückgekehrt.

Gewalttätige Konflikte und Bürgerkriege treiben weiterhin weltweit Hunderttausende in die Flucht, aber das UN-Flüchtlingshilfswerk (UNHCR) kann erstmals seit Jahren einen positiven Trend vermelden. Mehr Vertriebene sind 2024 in ihre Heimat zurückgekehrt als in früheren Jahren, wie es im Weltflüchtlingsbericht heißt.

Unter den Rückkehrern waren 1,6 Millionen Menschen, die ins Ausland geflüchtet waren. Dies sei in dieser Kategorie die höchste Zahl seit mehr als zwei Jahrzehnten gewesen, so das UNHCR. Die anderen Rückkehrer waren im eigenen Land vertrieben gewesen. In dieser Kategorie war es die zweithöchste Zahl seit Beginn der Aufzeichnungen.

Welches Land die meisten Rückkehrer hat

Die positive Entwicklung ging auch in den ersten Monaten dieses Jahres weiter. Vor allem Syrer traten nach dem Sturz des Assad-Regimes in Damaskus im Dezember 2024 die Reise in die Heimat an, wie UNHCR-Chef Filippo Grandi mitteilte. Insgesamt seien bereits fast zwei Millionen Syrer in das einstige Bürgerkriegsland zurückgekehrt.

So ist die Gesamtzahl der Flüchtlinge weltweit mit Stichtag Ende April im Jahresvergleich kaum gestiegen. Es waren 122 Millionen Menschen, fast genau so viele wie ein Jahr zuvor (120 Millionen). Die Zahlen umfassen sowohl Vertriebene im eigenen Land als auch die, die in andere Länder geflohen sind. Rund 60 Prozent sind jeweils Binnenvertriebene. Von den anderen leben rund Zweidrittel nach UNHCR-Angaben in Nachbarländern ihrer Heimat.

Bezogen auf das Gesamtjahr 2024 stieg die Zahl der Vertriebenen allerdings im Vergleich zum Vorjahr um 7 Millionen auf 123,2 Millionen.

Welches Land die meisten Vertriebenen hat

Schon Ende 2024 waren nicht mehr Syrer die größte Gruppe von Vertriebenen, sondern Menschen aus dem Sudan. Insgesamt 14,3 Millionen Menschen hatten dort wegen des Machtkampfs zwischen der Regierung und Rebellen fliehen müssen. Syrier waren die zweitgrößte Gruppe mit 13,5 Millionen, gefolgt von Afghanen (10,3 Millionen) und Ukrainern (8,8 Millionen).

„Die Suche nach Frieden muss im Mittelpunkt aller Bemühungen stehen, langfristige dauerhafte Lösungen für Flüchtlinge und andere Menschen zu finden, die gezwungen sind, aus ihrer Heimat zu fliehen“, meinte Grandi. (dpa/mig 13)

 

 

 

 

 

Manifester Unsinn

 

Die Forderung der SPD-Friedenskreise verkennt die Realität. Für Frieden braucht es eine bessere Verteidigung Europas und glaubwürdige Abschreckung. Von Alexander Moisseenko

Das jüngste Manifest der SPD-Friedenskreise sorgt für große Aufmerksamkeit. Mit ihrer Kritik an der Aufrüstungspolitik der Bundesregierung treffen die Autoren einen Nerv. Doch eine genauere Analyse zeigt auf, dass einige sicherheitsrelevante Aspekte in dem Dokument nicht berücksichtigt wurden.

In dem sechsseitigen Dokument äußern zahlreiche bekannte Sozialdemokraten, darunter Ralf Stegner und Rolf Mützenich, deutliche Kritik an der Sicherheitspolitik der Bundesregierung. Anstelle von „hunderten von Milliarden Euro für Aufrüstung“ seien Gespräche mit Russland gefragt.

Die Unterzeichner des Manifests sehen keine Notwendigkeit für massive Investitionen in die Bundeswehr. „Tatsächlich sind allein die europäischen NATO-Mitgliedsstaaten – auch ohne US-Streitkräfte – Russland konventionell militärisch deutlich überlegen“, heißt es in dem Papier. Große Aufrüstungsprogramme und eine alarmistische Rhetorik erhöhten demnach nicht die Sicherheit Deutschlands und Europas, sondern trügen vielmehr zur Destabilisierung und zu einer verstärkten Bedrohungswahrnehmung zwischen NATO und Russland bei.

Tatsächlich ist Russland der NATO derzeit militärisch deutlich unterlegen. In einer direkten Konfrontation hätte Moskau aktuell kaum eine Chance, sich gegen das Bündnis durchzusetzen. Allerdings rechnet kaum jemand mit einem russischen Angriff auf die NATO in naher Zukunft. Vielmehr sind sich zahlreiche westliche Verteidigungsminister und Geheimdienste einig, dass ein solches Szenario frühestens in einigen Jahren denkbar ist – und dass Russland sich gezielt darauf vorbereitet.

Verteidigungsminister Boris Pistorius und General Carsten Breuer erklärten beispielsweise, dass die Bundeswehr im Jahr 2029 auf ein solches Szenario gewappnet sein sollte: Der scheidende BND-Chef Bruno Kahl spricht davon, dass Russland spätestens im Jahr 2030 in der Lage sein werde, einen NATO-Staat anzugreifen. Die Möglichkeit eines solchen Angriffs in den kommenden fünf bis zehn Jahren (in seltenen Fällen auch in 20 Jahren) wird auch von den Geheimdiensten anderer Länder explizit thematisiert, darunter Dänemark, Estland und Lettland.

Laut NATO-Generalsekretär Mark Rutte produziert Russland bereits jetzt in drei Monaten so viel Munition wie die gesamte Militärallianz in einem Jahr. Einem Bericht des International Institute for Strategic Studies zufolge investiert Russland aktuell mehr in seine Rüstungsindustrie als alle europäischen NATO-Staaten zusammen. Dies entspricht 6,7 Prozent des russischen Bruttoinlandsprodukts.

Für eine entsprechende Gegenreaktion der europäischen Staaten sieht das Manifest allerdings keinen Handlungsbedarf: „Für eine auf Jahre festgelegte Erhöhung des Verteidigungshaushalts auf 3,5 oder fünf Prozent des Bruttoinlandsprodukts gibt es keine sicherheitspolitische Begründung.“

Doch diese Begründung existiert sehr wohl. Die vergangenen Jahre haben deutlich gemacht, wie sehr Europa in sicherheitspolitischen Fragen von den USA abhängig war. Diese Zeiten sind jedoch vorbei. Im Februar 2024 erklärte Donald Trump öffentlich, er werde NATO-Staaten, die nicht ausreichend in Verteidigung investierten, im Falle eines russischen Angriffs nicht zur Seite stehen. „Nein, ich würde euch nicht beschützen – im Gegenteil, ich würde [Russland] ermutigen, zu tun, was sie wollen. Ihr müsst zahlen“, so der US-Präsident. Trump macht keinen Hehl daraus, dass er den Verteidigungsbeitrag der NATO-Staaten bei fünf Prozent des Bruttoinlandsprodukts sieht.

Anstelle der fortdauernden Konfrontationspolitik mit Russland seien mehr Gespräche vonnöten: „Dazu brauchen wir eine Intensivierung der diplomatischen Anstrengungen aller europäischen Staaten. Die Unterstützung der Ukraine in ihren völkerrechtlichen Ansprüchen muss verknüpft werden mit den berechtigten Interessen aller in Europa an Sicherheit und Stabilität“.

Niemand sehnt sich mehr nach einem schnellen Frieden als die Ukrainer selbst. Die Autoren des Manifests lassen jedoch offen, wie genau eine „Intensivierung der diplomatischen Anstrengungen“ konkret aussehen soll. Das erscheint umso herausfordernder angesichts der aktuellen Haltung Moskaus: Russland lehnt eine Waffenruhe weiterhin strikt ab und beharrt stattdessen auf der Abtretung weiterer ukrainischer Gebiete. Selbst US-Vizepräsident J.D. Vance, dem man keine besondere Nähe zu Präsident Wolodymyr Selenskyj nachsagen kann, erklärte, Russland verlange in den bisherigen Gesprächen „zu viel“. Statt einer Deeskalation haben die jüngsten Verhandlungen vielmehr zur Eröffnung einer neuen Front im nordöstlichen Oblast Sumy geführt.

In Zeiten, in denen der Vizechef des Sicherheitsrats der Russischen Föderation Dmitri Medwedew davon spricht, die baltischen Staaten seien Provinzen Russlands, Putins Berater Anton Kobyakov meint, die Sowjetunion würde rechtlich weiterhin fortbestehen, und der Präsident selbst sagt, er würde ähnlich wie Zar Peter I. die historischen Territorien Russlands zurückholen, erscheint es wenig wahrscheinlich, dass sich Russland dauerhaft mit den bisherigen Gebietsgewinnen in der Ukraine zufriedengeben wird.

Ein Blick zurück auf den Dezember 2021 zeigt: Russlands Ultimatum vor der Invasion der Ukraine umfasste weit mehr als nur die Forderung nach einem Verzicht auf eine NATO-Mitgliedschaft der Ukraine. Eine der zentralen Forderungen des Kremls bestand darin, die NATO-Militärinfrastruktur auf den Stand von 1997 zurückzuführen – ein Anliegen, dem die westliche Militärallianz erwartungsgemäß nicht nachgekommen ist.

Wenn ein US-Präsident wie Donald Trump offen erklärt, er werde europäische Staaten im Falle eines russischen Angriffs nicht schützen – sofern diese nicht ausreichend in ihre Verteidigung investieren –, und wenn Verteidigungsminister Pete Hegseth die Sicherheit Europas nicht länger als zentrale Priorität der US-Außenpolitik einstuft, eröffnet sich für Russland eine historische Gelegenheit, seine langfristigen strategischen Ziele militärisch zu verfolgen. Die einzige realistische Möglichkeit, einem solchen Szenario entgegenzuwirken, besteht in einer deutlichen Erhöhung der europäischen Verteidigungsausgaben.

Zur Erinnerung: Die Geheimdienste der USA und Großbritanniens warnten im Vorfeld kontinuierlich vor einer bevorstehenden russischen Invasion der Ukraine. US-PräsidentJoe Biden betonte noch im Februar 2022 mehrfach seine Bereitschaft zu Gesprächen mit dem russischen Präsidenten – auch wenige Tage vor dem Einmarsch. Doch nicht alle nahmen diese Warnungen gleichermaßen ernst. Vor allem jene, die heute Verhandlungen fordern, spielten die Gefahr damals herunter und warfen dem Westen Säbelrasseln vor.

Diplomatie und Dialog sind unverzichtbar, doch sie entfalten nur dann Wirkung, wenn sie mit Stärke und Entschlossenheit einhergehen. Das entsprach übrigens auch dem Verständnis von Willy Brandt, der großen Wert darauf legte, dass seine Entspannungspolitik von den USA mitgetragen wurde – und der die Rüstungsausgaben in seiner Amtszeit von 3,2 auf 3,4 Prozent des Bruttosozialprodukts erhöhte. Ohne glaubwürdige Abschreckung und eine Stärkung der europäischen Verteidigungsfähigkeit bleibt ein dauerhafter Frieden in Europa kaum erreichbar. IPG 13

 

 

 

 

 

Pizzaballa zu Gaza: Situation weiter katastrophal und unmenschlich

 

Kardinal Pierbattista Pizzaballa, Lateinischer Patriarch von Jerusalem, hat sich zur Lage im Gazastreifen geäußert: „Die Situation hier bleibt katastrophal, dramatisch und unmenschlich“, sagte er dem öffentlich-rechtlichen italienischen TV-Sender Rai am Mittwoch. Es herrsche „ein unbegreifliches Treiben von denen, die Hass säen, nicht nur hier im Heiligen Land, sondern im ganzen Nahen Osten“. Er warnte zugleich vor Antisemitismus. Von Stefanie Stahlhofen 

Zur Lage vor Ort in Gaza sagt Kardinal Pizzaballa, die Informationen, die sie von den Gemeinden vor Ort erhielten und auch über Handy seien natürlich immer nur ein Teileindruck:

„Ein komplettes, allumfassendes und freies Bild der Lage ist sehr schwer zu bekommen. Aber abgesehen davon ist offensichtlich und deutlich klar, dass es eine drammatische, verheerende und unmenschliche Lage ist. (...) Die Lage bleibt in vielerlei Hinsicht verheerend: Die Krankenhäuser, die sanitäre Lage: Es gibt keine Hygiene mehr, auch weil es keine Infrastruktur mehr gibt, kein Wasser, es mangelt an Hygiene. Teils sind es 40 Grad im Schatten. Und dann der Hunger. Seit Monaten kommen keine Lebensmittel rein, und sie werden langsam knapp, besonders im Norden, wo die Lage besonders drammatisch ist", beschreibt der Kardinal die Situation im Gazastreifen. 

Lebensmittelhilfen in den Gaza-Streifen zu bekommen, gilt als schwierig und risikoreich. Bei einem Angriff auf einen Bus mit palästinensischen Mitarbeitern der Gaza Humanitarian Foundation (GHF), die von Israel und den USA unterstützt wird, sind nach Angaben der Organisation fünf Menschen getötet worden. Die Stiftung machte die islamistische Terrororganisation Hamas für den Angriff verantwortlich.

Nach Angaben örtlicher Gesundheitsbehörden sind bei israelischen Angriffen am Mittwoch im Gazastreifen mindestens 60 Palästinenser getötet worden. Mindestens 25 Menschen starben demnach in der Nähe eines Verteilzentrums der GHF. Die israelischen Streitkräfte hatten nach eigenen Angaben am Mittwoch bei einem Einsatz im südlichen Gazastreifen die Leichen von zwei Geiseln geborgen und nach Israel überführt. Beide Männer stammen demnach aus dem Kibbuz Nir Oz nahe der Gaza-Grenze. Sie sollen beim Überfall der Hamas und anderer Terrorgruppen aus dem Gazastreifen am 7. Oktober 2023 getötet und ihre Leichen nach Gaza verschleppt worden sein. Die Angaben der verschiedenen Beteiligten sind sind schwer unabhängig zu prüfen. Klar ist jedoch, daran erinnert Kardinal Pizzaballa, wer unter der Gewalt besonders leidet: 

„Es ist an der Zeit, sich zu bewegen, etwas zu tun, um diese aus meiner Sicht unverständliche Entwicklung zu stoppen, die Hass in der Bevölkerung sät, nicht nur hier im Heiligen Land, sondern im gesamten Nahen Osten“

„Ich bin sprachlos, ich kann den Sinn des Ganzen nicht verstehen. Es sprengt alle nachvollziehbaren Grenzen für das, was da geschieht. Und natürlich sind diejenigen, die den Preis dafür zahlen, vor allem die Letzten, die Armen, die Kleinen und besonders die Kinder, nicht nur die Hungrigen. Es ist etwas, worüber wenig gesprochen wird, sie sind hungrig, sie sind auch verletzt." Mit Blick auf die Lage in Gaza erinnert er: „Es gibt Hunderttausende von Kindern, die seit zwei Jahren nicht mehr zur Schule gegangen sind, sie sind sich selbst überlassen, es ist schrecklich." Pizzaballa ruft daher alle eindringlich zum Handeln auf: „Wir können nicht einfach zusehen und nichts tun, oder? Wir können uns nicht auf die üblichen allgemeinen Worte beschränken. Es ist an der Zeit, sich zu bewegen, etwas zu tun, um diese aus meiner Sicht unverständliche Entwicklung zu stoppen, die Hass in der Bevölkerung sät, nicht nur hier im Heiligen Land, sondern im gesamten Nahen Osten."

Guter Kontakt zum Papst

Die katholische Kirche prangere die Lage an und tue mit ihren Vermittlern was gehe, auch um die Blockade der humanitären Hilfe zu lösen, auch in Zusammenarbeit mit anderen Hilfsorganisationen. Aber die Lage sei schwierig und er persönlich fühle „ein starkes Gefühl der Ohnmacht“, gesteht der Kardinal im Interview mit der Rai. Über diese Themen informiere er auch Papst Leo XIV., zu dem es guten und regelmäßigen Kontakt gebe:

„Es gibt natürlich keinen täglichen, aber einen ständigen Dialog, wir hören uns sehr oft.“

„Es gibt natürlich keinen täglichen, aber einen ständigen Dialog, wir hören uns sehr oft. Wir haben uns vergangene Woche gehört und auch diese. Besonders ging es darum, aktuelle Informationen auszutauschen, über die laufenden Kontakte, die laufenden Dialoge, um zu sehen, was getan werden kann, auch um einen gewissen Druck auf diplomatischer Ebene auszuüben, um zu versuchen, zumindest den humanitären Aspekt zu lösen", berichtet Pizzaballa im Interview mit der Rai. 

„Die Politik der Regierung zu verurteilen, bedeutet nicht, das Judentum zu verurteilen“

Auf die Frage nach einem wachsenden Antisemitismus antwortetet der Kardinal: „Man muss aus diesen Diskussionen herauskommen und sich auf das konzentrieren, was in Gaza passiert. Die Politik der Regierung zu verurteilen, bedeutet nicht, das Judentum zu verurteilen. Wir dürfen die beiden Dinge nicht gleichsetzen. Aber wir müssen uns darüber im Klaren sein, dass das, was die Regierung und die israelische Politik in Gaza tun, unvorstellbar und inakzeptabel ist. Das muss sehr deutlich gesagt werden. Das bedeutet nicht, dass alle Juden verurteilt werden müssen, wir müssen das unterscheiden. Aber man muss auch den Mut und die Freiheit haben, die Dinge so zu sagen, wie sie sind."

 (rai/diverse 12) 

 

 

 

 

 

Neue Bundesregierung: Deutsche erwarten Rückschritte in den Bereichen Klima, Rente und Wohnen

 

Hohe Kompetenzwerte bei Migration, Verteidigung und Wirtschaft

Hamburg – Gut einen Monat ist die schwarz-rote Regierung unter Bundeskanzler Friedrich Merz nun im Amt. In einer repräsentativen Umfrage hat das Markt- und Sozialforschungsinstitut Ipsos ermittelt, in welchen Bereichen die deutsche Bevölkerung nach dem Regierungswechsel Verbesserungen und in welchen sie Verschlechterungen erwartet. Am zuversichtlichsten äußern sich die Deutschen bei den Themen Verteidigung, Migration und Wirtschaft. Etwa die Hälfte der Befragten ist optimistisch, dass die neue Regierung in diesen Politikfeldern Fortschritte erzielen wird. Beim Klimaschutz, dem Schaffen von bezahlbarem Wohnraum und der Sicherung des Rentensystems sieht es anders aus: Hier rechnen die Deutschen eher mit einer Verschlechterung der aktuellen Situation.

 

Mehrheit glaubt an bessere Einsatzfähigkeit der Bundeswehr

53 Prozent der Deutschen gehen davon aus, dass sich die Einsatzfähigkeit der Bundeswehr zur Landes- und Bündnisverteidigung unter der neuen Bundesregierung verbessern wird. Nur 17 Prozent erwarten eine Verschlechterung des Status quo. Ein knappes Viertel (24 %) der Befragten rechnet damit, dass die Situation bei der Bundeswehr in etwa gleich bleiben wird. In keinem anderen Bereich ist das Vertrauen in eine Verbesserung der Lage so groß wie bei der Frage der Verteidigungsfähigkeit.

 

Zuversicht in der Migrations- und Wirtschaftspolitik

Auch Migration und Wirtschaft werden als Stärken der schwarz-roten Koalition angesehen. 45 Prozent der Befragten sind der Meinung, dass die neue Regierung Verbesserungen bei der Kontrolle von Migration und Asyl erzielen wird. Etwa ebenso viele (42 %) erwarten eine Stärkung des Wirtschaftsstandorts Deutschland. Allerdings geht jeweils etwas mehr als ein Viertel (Migration: 26 %, Wirtschaft: 28 %) auch davon aus, dass es in diesen Bereichen in der kommenden Legislaturperiode zu Verschlechterungen kommen wird.

Weitere Politikfelder, bei denen die Bundesbürger eher mit Fortschritten als mit Rückschritten rechnen, sind das Vorantreiben der Digitalisierung, der Ausbau und die Modernisierung der Verkehrsinfrastruktur, die Stärkung der inneren Sicherheit sowie die Bekämpfung von Kriminalität.

 

Wenig Vertrauen in Merz-Kabinett bei sozialen Themen

Wenn es um soziale Themen wie die Sicherung der Renten, die Schaffung von bezahlbarem Wohnraum oder die Bekämpfung von Armut geht, erwartet die Mehrheit der Bevölkerung von der neuen Bundesregierung keine positiven Veränderungen. Lediglich ein Fünftel der Befragten (sichere Rente: 20 %, bezahlbares Wohnen: 19 %, Armutsbekämpfung: 18 %) geht davon aus, dass die schwarz-rote Koalition in diesen Bereichen Fortschritte erzielen wird. Etwa doppelt so viele Befragte erwarten bei diesen sozialen Themen hingegen eine Verschlechterung der Lage unter dem Kabinett Merz: 43 Prozent bei der Schaffung von bezahlbarem Wohnraum, 40 Prozent bei der Sicherung von Renten und ebenfalls 40 Prozent bei der Bekämpfung von Armut.

 

Pessimismus in Bezug auf Klima- und Gesundheitspolitik

Ähnlich sieht es beim Klimaschutz und der ärztlichen Versorgung aus. Nicht einmal jeder fünfte Deutsche rechnet damit, dass die neue Bundesregierung wirksame Maßnahmen zum Klimaschutz (19 %) oder zur Reduktion von Wartezeiten bei Fachärzten (18 %) umsetzen wird. Etwa ein Drittel der Befragten (Klimaschutz: 33 %, ärztliche Versorgung: 38 %) geht von Rückschritten aus. Ipsos 12

 

 

 

 

 

„Alarmierendes Bild“. Jahresbericht: 644 antimuslimische Vorfälle erfasst

 

Muslimische Frauen mit Kopftuch werden auf der Straße von Unbekannten angepöbelt, Kinder werden in der Schule beschimpft. Hunderte Fälle von antimuslimischen Verhalten zählt eine Recherchestelle. Experte warnt: „Berlin hat ein Problem und das heißt antimuslimischer Rassismus.“

644 antimuslimische Diskriminierungen, Beleidigungen und Angriffe hat eine Dokumentationsstelle im vergangenen Jahr in Berlin registriert. Besonders betroffen von den Vorfällen und Übergriffen waren Frauen, wie die Melde- und Informationsstelle Report Berlin vom Netzwerk Claim bei der Vorstellung der Jahresbilanz 2024 mitteilte.

Im Vorjahr 2023 habe die erfasste Zahl der antimuslimischen und rassistischen Vorfälle mit 382 noch deutlich niedriger gelegen. Seit Oktober 2023 und dem Terrorangriff der islamistischen Hamas auf Israel sei es in Berlin zu einem deutlichen Anstieg gekommen, sagte Rima Hanano von der Meldestelle Report Berlin.

Zugleich gehe man von einer hohen Dunkelziffer nicht angezeigter Taten aus. „Viele Vorfälle werden von den Opfern nicht gemeldet“, sagte Hanano. Die Vorfälle in der Jahresbilanz wurden in sechs Meldestellen, über Online-Nachrichten von Betroffenen und aus den Mitteilungen und Statistiken der Polizei zusammengetragen.

„Alarmierendes Bild“

Hanano sprach von einem „alarmierendem Bild“ und sagte: „Berlin hat ein Problem und das heißt antimuslimischer Rassismus.“ Muslime würden besonders seit Oktober 2023 unter Generalverdacht gestellt und zum Sicherheitsproblem gemacht. „Sogar Kinder und Jugendliche werden angegriffen und beschimpft.“ Es handele sich nicht um ein Randphänomen oder um Einzelfälle, sondern um ein strukturelles Problem.

Gezählt wurden 285 Fälle von Diskriminierung und 248 verbale Beleidigungen oder Beschimpfungen. Dazu kamen 91 Fälle von verletzendem Verhalten, unter denen auch 48 Körperverletzungen und 24 Sachbeschädigungen waren. Frauen waren deutlich häufiger Opfer solcher Übergriffe, besonders, wenn sie ein Kopftuch oder andere religiöse Kleidung trugen. Über die Täter sei nicht viel bekannt, hieß es.

Jeder Dritte Vorfall im Bildungsbereich

Von 415 Vorfällen mit einem bekannten Ort ereigneten sich 35 Prozent im Bildungsbereich, also in Schulen, Kitas und Universitäten etwa durch Mitschüler, Lehrer oder Erzieher. 19 Prozent geschahen im öffentlichen Raum, 12 Prozent in der Arbeitswelt, 7 Prozent im öffentlichen Verkehr. Dazu kamen Fälle aus Behörden, bei der Polizei und im Gesundheitsbereich.

Zahlreiche Beispiele wurden in der Jahresbilanz angeführt: So sei eine Frau mit einem Kopftuch von einer unbekannten Frau als Terroristin und Antisemitin bezeichnet worden. Eine Erzieherin in einer Grundschule sei von einer Kollegin gefragt worden, warum alle Muslime Terroristen seien.

Kopftuch löst Anfeindung aus

An einer Bushaltestelle sei einer Frau von einem Täter das Kopftuch herabgezogen worden, ein Mann habe eine andere Frau mit einem Messer angegriffen. Eine Familie sei von einem Mann mit einer Bierflasche beworfen und eines der Kinder getroffen worden. Eine Oberschule habe eine muslimische Bewerberin als Aushilfslehrerin abgelehnt, weil sie Beschwerden der Eltern wegen des Kopftuchs befürchtet habe.

Bundesweite Zahlen zu entsprechenden Vorfällen im Jahr 2024 will Claim in der nächsten Woche veröffentlichen. Ähnliche Dokumentationen und Jahresberichte gibt es von anderen Initiativen und Recherchestellen auch zu antisemitischen, rassistischen und homophoben Vorfällen. (dpa/mig 12)

 

 

 

 

 

ifo Institut hebt Wachstumsprognose an

 

München – Das ifo Institut hat seine Konjunkturprognose für Deutschland nach oben korrigiert. Die deutsche Wirtschaft soll im Jahr 2025 um 0,3 Prozent und 2026 um 1,5 Prozent wachsen. Gegenüber der Frühjahrsprognose wurden die Wachstumsraten um 0,1 bzw. 0,7 Prozentpunkte angehoben. „Die Krise der deutschen Wirtschaft hat im Winterhalbjahr ihren Tiefpunkt erreicht“, sagt ifo Konjunkturchef Timo Wollmershäuser. „Ein Grund für den Wachstumsschub sind die angekündigten Fiskalmaßnahmen der neuen Bundesregierung.“

 

Schon im ersten Quartal 2025 hat die Wirtschaftsleistung um 0,4 Prozent kräftig zugelegt. Dies lag laut ifo Institut vor allem an vorgezogenen Exporten in die USA. Aber auch der private Konsum und die Investitionen konnten erneut zulegen. Gleichzeitig hellte sich seit Jahresbeginn die Stimmung unter den Unternehmen auf. „Der zunehmende Optimismus speist sich vermutlich auch aus der Hoffnung, dass mit der neuen Koalition der wirtschaftspolitische Stillstand endet und es im Handelsstreit mit den USA zu einer Einigung kommen wird“, sagt Wollmershäuser.

 

Die neue Bundesregierung plant die Ausweitung der Infrastruktur- und Verteidigungsausgaben sowie Entlastungen durch beschleunigte Abschreibungen, Steuersenkungen, niedrigere Netzentgelte und eine höhere Pendlerpauschale. Die Impulse bewertet das ifo Institut in seiner Konjunkturprognose mit 10 Milliarden Euro im Jahr 2025 und mit 57 Milliarden Euro im Jahr 2026. Dadurch dürfte das Wachstum in diesem Jahr um 0,1 und im kommenden Jahr um 0,7 Prozentpunkte höher ausfallen. 

 

Risiken sehen die Konjunkturforscher in der US-Handelspolitik. Die bereits verhängten Importzölle werden – gesetzt den Fall, sie bleiben auf dem jetzigen Niveau – das Wirtschaftswachstum im Jahr 2025 um 0,1 und im Jahr 2026 um 0,3 Prozentpunkte beeinträchtigen. Bei einer Einigung im Handelskonflikt könnte das Wachstum in Deutschland höher ausfallen, bei einer Eskalation könnte eine erneute Rezession drohen.

Die Inflationsrate wird laut ifo Prognose im Jahr 2025 bei 2,1 Prozent und im Jahr 2026 bei 2,0 Prozent liegen. Am Arbeitsmarkt wird mit einer Stabilisierung gerechnet. Die Arbeitslosenquote steigt im Jahr 2025 auf 6,3 Prozent und sinkt im Jahr 2026 leicht auf 6,1 Prozent. Ifo 12

 

 

 

 

 

EU-Grundrechteagentur. Immer mehr Menschenrechtsverletzungen in Europa

 

Menschenrechte in Gefahr: Die EU-Grundrechteagentur schlägt Alarm – Diskriminierung, Gewalt und Entrechtung nehmen in Europa dramatisch zu. Besonders betroffen: Geflüchtete, Frauen, Muslime und Juden. Expertin warnt: „Das ist ein Weckruf.“

Die EU-Grundrechteagentur sieht die Grundrechte innerhalb des Staatenbundes in ernster Gefahr. Der aktuelle „Fundamental Rights Report 2025“ der EU-Agentur für Grundrechte (FRA) dokumentiert schwerwiegende Missstände, darunter Misshandlungen von Migrantinnen und Migranten, Gewalt gegen Frauen sowie Bedrohungen für die Demokratie. „Dies ist ein Weckruf“, erklärte FRA-Direktorin Sirpa Rautio am Dienstag zur Veröffentlichung des Berichts in Wien.

Trotz neuer EU-Regelungen zum Asyl- und Migrationsrecht haben sich dem Bericht zufolge im vergangenen Jahr Menschenrechtsverletzungen an den EU-Außengrenzen gehäuft. Demnach starben mehr als 3.500 Menschen oder gelten als vermisst auf See. Die Grundrechteagentur fordert daher eine Verbesserung der Such- und Rettungseinsätze sowie menschenwürdige Bedingungen bei der Erstaufnahme. Unabhängige Überwachungsmechanismen an den Grenzen seien dringend erforderlich.

Eine weitere Gefahr ist laut dem Bericht die Gewalt gegen Frauen. Demnach erlebt jede dritte Frau in der EU geschlechtsspezifische Gewalt. Die EU-Grundrechteagentur fordert umfassende Maßnahmen, um Opfer besser zu schützen, unter anderem durch verbesserte Meldewege, gezielte Schulungen für Polizei und medizinisches Personal sowie durch die konsequente Anwendung der neuen EU-Richtlinie zur Bekämpfung von Gewalt gegen Frauen.

Muslime und Juden stark betroffen

Muslime, Jüdinnen und Juden, schwarze Menschen sowie LGBTIQ-Personen sind laut Grundrechteagentur verstärkt von Diskriminierung, Hassrede und körperlicher Gewalt betroffen, auch im digitalen Raum. Die Agentur appellierte an die EU-Staaten, Daten zur Diskriminierung besser zu erfassen und Anti-Rassismus-Strategien zu stärken.

Auch freie und faire Wahlen in der EU seien zunehmend durch Desinformation, den Missbrauch Künstlicher Intelligenz und hetzerische Rhetorik bedroht, warnte die Grundrechteagentur. Sie forderte daher wirksame Schutzmaßnahmen sowie die konsequente Umsetzung bestehender EU-Gesetze zum Schutz der Demokratie.

Diskriminierende Algorithmen

Die Einführung der EU-Digitalgesetze sei ein wichtiger Schritt zum Schutz der Grundrechte online. Doch ohne entschlossene Umsetzung drohten gefährliche Lücken. Die Grundrechteagentur warnt insbesondere vor diskriminierenden Algorithmen und fordert eine bessere Kontrolle von Künstlicher Intelligenz sowie eine stärkere Aufklärung über deren Risiken.

Geopolitische Spannungen, zunehmende Intoleranz und Angriffe auf Wahlen testeten die Widerstandskraft der demokratischen Institutionen, erklärte Direktorin Rautio und mahnte: „Rufe nach Deregulierung dürfen nicht zu einem Abbau von Schutzmechanismen führen.“ Der Schutz der Grundrechte müsse im Zentrum aller politischen Entscheidungen stehen. (epd/mig 11)

 

 

 

 

 

Studie. Mehr Einwanderung entlastet den Sozialstaat

 

Migration kostet nicht, sondern entlastet die öffentlichen Haushalte um Milliarden. Das ist das Ergebnis einer aktuellen Studie des „Wirtschaftsweisen“ Werding. Danach überwiegen langfristig die Mehreinnahmen die Kosten deutlich.

Mehr Zuwanderung nach Deutschland kann aus der Sicht des Mediendienstes Integration die Sozialkassen deutlich entlasten. Das gehe aus einer Studie hervor, die zu dem Ergebnis kommt, dass eine höhere Migration die öffentlichen Haushalte langfristig um etwa 100 Milliarden Euro jährlich entlastet, heißt es in einer Mitteilung vom Freitag.

„Zuwanderung führt einerseits zu steigenden Ausgaben des Staates. Andererseits bewirkt sie aber auch steigende Einnahmen – in Zeiten, in denen die öffentlichen Finanzen aufgrund der demografischen Alterung in immer größere Anspannung geraten“, so der Mediendienst. Autor der Untersuchung ist der Wirtschaftsweise Martin Werding, also ein Mitglied des Sachverständigenrats zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung.

Werding, der Professor für Sozialpolitik und öffentliche Finanzen an der Ruhr-Universität Bochum (RUB) ist, verwies zudem darauf, dass vermehrte Zuwanderung nach Deutschland auch zu einem verstärkten Wachstum des Bruttoinlandsproduktes und damit höheren Steuereinnahmen beitrage.

Info & Download: Die Expertise "Migration und ihr Beitrag zum Staatshaushalt" kann kostenfrei heruntergeladen werden.

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Einwanderung reduziert Finanzierungslücke

Den Berechnungen zufolge reduziert eine um 200.000 Personen höhere jährliche Nettozuwanderung nach Deutschland die dauerhaft bestehende Finanzierungslücke der öffentlichen Haushalte um knapp 2,5 Prozent des Bruttoinlandsprodukts – oder, gemessen in Werten für 2024, um rund 104 Milliarden Euro jährlich.

„Jede Person, die im Zuge dieser kontinuierlich hohen Zuwanderung nach Deutschland kommt, entlastet den Staatshaushalt um 7.100 Euro im Jahr“, heißt es in der Zusammenfassung der Erhebung. Viele bisherige Studien hätten eine negative fiskalische Bilanz zugewanderter Personen ermittelt. In einer Situation, in der die öffentlichen Finanzen insgesamt nicht tragfähig seien, könne kontinuierliche Zuwanderung die langfristige Tragfähigkeit der öffentlichen Finanzen in Deutschland verbessern, hieß es. (epd/mig 10)

 

 

 

 

 

Auf dem Weg in die Autokratie

 

Trump erklärt Protest zur Rebellion und setzt die Nationalgarde in Los Angeles ein. Spielt die Konfrontation dem US-Präsidenten in die Karten? Von Michelle Goldberg

Seit Donald Trump erneut gewählt wurde, hatte ich vor einem Szenario mehr Angst als vor allen anderen: dass er das Militär gegen Menschen einsetzen könnte, die gegen seine Massenabschiebungen protestieren – und damit das Kriegsrecht in den USA etabliert. Doch selbst in meinen abwegigsten Vorstellungen dachte ich, dass er mehr Vorwand brauchen würde – als die vergleichsweise kleinen Proteste, die letzte Woche in Los Angeles ausbrachen –, um seine Truppen gegen den Willen des Bürgermeisters und des Gouverneurs einzusetzen. In einer postfaktischen Welt muss der Präsident jedoch nicht auf eine Krise warten, um einen autoritären Durchgriff zu starten. Stattdessen kann er einfach eine erfinden.

Sicherlich waren einige, die gegen die Razzien der Einwanderungsbehörde ICE in Los Angeles protestierten, gewalttätig. Am Sonntag wurde ein Mann verhaftet, weil er angeblich einen Molotowcocktail auf einen Polizisten geworfen hatte, ein anderer soll mit einem Motorrad in eine Reihe von Polizisten gefahren sein. Solche Gewalt muss verurteilt werden – weil sie unmoralisch und weil sie extrem kontraproduktiv ist. Jedes brennende Waymo-Auto und jedes eingeschlagene Schaufenster ist ein Geschenk an die Regierung.

Aber die Vorstellung, dass Trump Soldaten auf die Straßen der Stadt habe schicken müssen, weil die Unruhen außer Kontrolle geraten seien, ist reine Fantasie. „Heute verliefen die Demonstrationen in ganz Los Angeles friedlich, und wir danken allen, die ihr Recht auf freie Meinungsäußerung verantwortungsvoll ausgeübt haben“, erklärte das Los Angeles Police Department am Samstagabend. Das war am selben Tag, an dem Trump Kaliforniens Gouverneur Gavin Newsom überging und die Nationalgarde des Staates auf Grundlage eines selten genutzten Gesetzes bundesstaatlich unterstellte, das für „Aufstände oder die Gefahr eines Aufstands gegen die Autorität der Regierung der Vereinigten Staaten“ vorgesehen ist.

Am Montag, mit Tausenden Nationalgardisten in der Stadt, erklärte die Regierung, dass zusätzlich 700 Marines entsendet würden. Die Polizei von Los Angeles scheint die Marines jedoch nicht zu wollen. Polizeichef Jim McDonnell sagte in einer Stellungnahme: „Die Ankunft von Bundesmilitärkräften in Los Angeles – ohne klare Koordination – stellt eine erhebliche logistische und operative Herausforderung für diejenigen von uns dar, die für die Sicherheit dieser Stadt verantwortlich sind.“ Doch für Trump ging es nie darum, die Stadt zu schützen.

Man muss verstehen, dass für diese Regierung Proteste nicht unbedingt gewalttätig sein müssen, um als illegitimer Aufstand zu gelten. Das präsidentielle Memorandum, das den Einsatz der Nationalgarde befiehlt, bezieht sich sowohl auf Gewalttaten als auch auf alle Proteste, die die Strafverfolgung „behindern“. Diese Definition scheint auch friedliche Demonstrationen rund um ICE-Razzien einzuschließen. Im Mai etwa stürmten bewaffnete Bundesbeamte zwei beliebte italienische Restaurants in San Diego auf der Suche nach illegal eingereisten Arbeitskräften. Sie fesselten Mitarbeiter und nahmen vier Personen fest. Währenddessen versammelte sich draußen eine empörte Menge, rief „Schande!“ und blockierte zeitweise die Beamten beim Verlassen des Restaurants. Nach Trumps Erlass könnte das Militär diese Menschen als Aufständische behandeln.

Die Regierung hat schließlich jedes Interesse daran, diejenigen einzuschüchtern, die zivilen Ungehorsam ausüben. Gewalttätige Proteste spielen ihr in die Hände; friedliche gefährden das absurde Narrativ, das diese dem Land aufzwingen will. Man beachte, welche Anstrengungen unternommen werden, um David Huerta, den Vorsitzenden der Dienstleistungsgewerkschaft SEIU in Kalifornien, zum Schweigen zu bringen. Letzte Woche wurde Huerta verhaftet, nachdem er sich bei einer Protestaktion gegen eine Einwanderungsrazzia in Los Angeles auf einen Bürgersteig gesetzt und das Tor blockiert hatte. Während seiner Festnahme wurde er niedergeschlagen und musste ins Krankenhaus gebracht werden. Das Justizministerium erhob Anklage gegen ihn wegen „Verschwörung zur Behinderung eines Beamten“, ein Verbrechen mit einer Höchststrafe von sechs Jahren.

Am Montag forderte Trump schließlich die Verhaftung von Newsom. Wenn man all das in einem anderen Land sähe – Soldaten, die Dissens unterdrücken, verhaftete Gewerkschaftsführer, bedrohte Oppositionspolitiker –, wäre klar, dass der Autoritarismus angekommen ist. Die Frage ist nun, ob die Amerikaner, die diese Tyrannei hassen, zum Handeln bewegt werden können.

Viele spekulieren bereits, dass die Konfrontation in Los Angeles Trump in die Karten spielen wird, weil er sich als Verteidiger von Recht und Ordnung inszenieren kann, der kriminelle Mobs in den Griff bekommt. Vielleicht haben sie Recht: Trump ist ein Meister der Demagogie, mit dem Talent, genau jene Konfliktszenen zu schaffen, nach denen seine Anhänger lechzen. Wir wissen, dass Dr. Phil bei den ICE-Razzien in Los Angeles anwesend war, um eine Prime Time-Sendung zu drehen. Die Regierung wollte offenbar ein Spektakel.

Doch die öffentliche Meinung ist nicht in Stein gemeißelt, weshalb es wichtig ist, dass alle, die eine Plattform haben – Politiker, Veteranen sowie kulturelle und religiöse Eliten –, die autoritäre Machtanmaßung der Regierung verurteilen. Regierungsvertreter wie Stephen Miller propagieren die Idee, Los Angeles sei „besetztes Gebiet“, was angeblich durch die ausländischen Flaggen mancher Demonstranten belegt werde. Amerikaner, die noch an die Demokratie glauben, sollten laut und häufig sagen, dass dies eine beleidigend dumme Lüge zur Rechtfertigung eines diktatorischen Machtgriffs ist. Vielleicht wird sich herausstellen, dass die Wahrheit gegen die rechte Propaganda keine Chance hat – aber wenn dem so ist, dann waren wir ohnehin schon verloren.

Man sollte sich daran erinnern, dass Trump 2020, als er für ein Foto bei der St.-Johannes-Kirche posierte, nachdem die US-Parkpolizei und der Secret Service Demonstranten mit Tränengas vertrieben hatten, von religiösen Meinungsführern und ehemaligen hochrangigen Militärs scharf verurteilt wurde. Das zwang die Regierung in die Defensive. Eine anschließende Umfrage ergab, dass zwei Drittel der Amerikaner ihm vorwarfen, die rassistischen Spannungen verschärft zu haben. Es ist also keineswegs sicher, dass Unruhen Trump nützen – besonders wenn klar ist, dass er diese selbst provoziert.

Ja, Amerika ist seit Trumps erster Amtszeit nach rechts gerückt, und er kommt nun mit Übergriffen davon, die damals Massenproteste ausgelöst hätten. Viele Demokraten – vorsichtig geworden aufgrund des Backlash gegen die Black Lives Matter-Bewegung sowie die illegale Masseneinwanderung – diskutieren lieber nicht über die Unruhen in Los Angeles. „Monatelang versuchten Demokraten, durch die politische Brisanz des Themas entmutigt, Trumps Immigrationskriege zu umgehen – sie konzentrierten sich stattdessen auf Wirtschaft, Zölle oder bei Abschiebungen auf rechtsstaatliche Verfahren“, berichtete Politico.

Aber einen Präsidenten zu ignorieren, der auf Grundlage absurder Lügen über eine ausländische Invasion das Militär in einer amerikanischen Stadt einsetzt, ist keine Option. Es ist schwer, sich ein klareres Warnzeichen auf dem Weg zur Diktatur vorzustellen. Diesen Samstag, an Trumps Geburtstag, plant er eine riesige Militärparade in Washington, angeblich zum 250. Geburtstag der US-Armee. Panzer wurden bereits auf dem Weg in die Stadt fotografiert, mit dem Lincoln Memorial im tragischen Hintergrund – wie ein Bild aus einer dystopischen Hollywoodproduktion.

An diesem Tag wird es landesweit Demonstrationen unter dem Motto „Keine Könige“ geben. Ich hoffe inständig, dass Trumps Versuch, die Proteste zu unterdrücken, diese letztlich anheizt. Wer in einem freien Land leben will, mag Angst haben – sollte sich aber nicht einschüchtern lassen. NYT/IPG 10

 

 

 

 

 

Im Namen des Staates – gegen das Recht?

 

Die Zurückweisung von Asylsuchenden ist einem Gerichtsurteil zufolge rechtswidrig. Dennoch hält der Innenminister an den umstrittenen Grenzkontrollen fest. Der Koalitionspartner fordert Prüfung. Die Debatte nimmt immer weiter Fahrt an – mit Strafanzeigen, Drohungen, Vorwürfen und Zahlen.

Eine Woche nach der Eilentscheidung des Berliner Verwaltungsgerichts zu Zurückweisungen bleibt unklar, wie es langfristig an den deutschen Grenzen weitergeht. Bundesinnenminister Alexander Dobrindt (CSU) bekräftigte, am bisherigen Kurs und verstärkten Grenzkontrollen festhalten zu wollen. Die SPD meldete über das Pfingstwochenende Zweifel an. SPD-Fraktionschef Matthias Miersch geht nicht davon aus, dass es beim aktuellen Vorgehen bleiben kann.

Bundeskanzler Friedrich Merz (CDU) und der Innenminister hatten bereits nach der Entscheidung erklärt, an Zurückweisungen auch von Asylsuchenden festzuhalten. Die Entscheidung des Gerichts enge die Spielräume möglicherweise noch einmal etwas ein, sagte Merz. Aber man wisse, dass man nach wie vor Zurückweisungen vornehmen könne.

Große Skepsis beim Koalitionspartner

SPD-Fraktionschef Miersch hingegen sagte der „Frankfurter Allgemeinen Sonntagszeitung“: „Pauschale Rückweisungen wird es aus meiner Sicht nicht mehr geben können, weil die Gerichte das stoppen werden.“ Er erwarte eine Prüfung der bisherigen Praxis, sagte er an den Koalitionspartner Union gerichtet, „weil wir ansonsten erleben werden, dass wir in den nächsten Monaten weitere Verfahren verlieren“.

Innenminister Dobrindt hatte kurz nach dem Antritt der neuen Regierung vor einem Monat intensivere Grenzkontrollen verfügt. Gleichzeitig ordnete er an, dass künftig auch Asylsuchende an der Grenze zurückgewiesen werden können. Die Rechtsgrundlage blieb lange unklar. Das Innenministerium machte dazu unterschiedliche Angaben. Mal berief es sich auf EU-Recht, mal auf deutsche Gesetze. Vor Gericht ging es um eine „Notlage“, eine Ausnahmeregel im Europäischen Recht.

Dobrindt erklärte, er sehe eine „Notlage“ darin, „dass Deutschland in so vielen wichtigen Lebensbereichen überfordert“ sei. Städte, Gemeinden und Landkreise seien am Limit. „Wir stehen an einem gesellschaftlichen Kipppunkt“, sagte Dobrindt. Daraus entstehe eine Notwendigkeit zum Schutz der öffentlichen Ordnung.

Zahlen sprechen gegen Dobrindt

Zahlen aus der Bundespolizei indes lassen Zweifel darüber aufkommen, ob die Einschränkung des verfassungsrechtlich verbrieften Asylrechts überhaupt geeignet ist, die vermeintliche „Notlage“ zu bekämpfen. Rechnet man die Zahl der zurückgewiesenen Asylbewerber seit Beginn der Grenzkontrollen (160) auf das Jahr hoch, kommt man auf rund 2.000 Personen. Zum Vergleich: Allein aus der Ukraine hat Deutschland über eine Million Geflüchtete aufgenommen und versorgt. Ob die Zurückweisung von ein paar tausend Asylbewerbern geeignet ist, den vermeintlichen „Notstand“ zu bekämpfen, bezweifeln Experten.

Das Verwaltungsgericht Berlin hatte in seiner Eilentscheidung jedenfalls festgestellt, dass die Begründung für eine „Notlage“, nicht ausreichend sei, mithin sei die die Zurückweisung dreier Somalier bei einer Kontrolle am Bahnhof der Grenzstadt Frankfurt (Oder) rechtswidrig. Ohne eine Klärung, welcher EU-Staat für einen Asylantrag der Betroffenen zuständig sei, dürften sie nicht abgewiesen werden. Die drei Somalier sind mittlerweile in Berlin.

Dobrindt: Europäischer Gerichtshof soll entscheiden

„Das ist ein Einzelfallurteil“, sagte Dobrindt den Zeitungen der Funke-Mediengruppe. Das Gericht habe angemerkt, dass die Begründung nicht ausreichend sei. „Wir werden eine ausreichende Begründung liefern, aber darüber sollte der Europäische Gerichtshof (EuGH) entscheiden.“ Ein mögliches Veto des Europäischen Gerichtshofs gegen Zurückweisungen würde er aber „selbstverständlich“ akzeptieren, so der Innenminister. Erfahrungsgemäß können viele Jahre vergehen, bis ein Verfahren vor dem EuGH landet und entschieden wird – wenn es überhaupt dazu kommt.

Die Präsidentin des Berliner Verwaltungsgerichts Erna Viktoria Xalter sagte im Interview mit „Zeit Online“: „Wie soll das zum EuGH durchlaufen? Die Eilentscheidung ist unanfechtbar.“ Sie gehe davon aus, dass es auch an anderen Grenzen, durch andere Bundespolizeidirektionen, zu Zurückweisungen komme, die dann von anderen Gerichten überprüft würden.

Nach Auffassung der Fachanwältin für Migrationsrecht, Gisela Seidler, ist die Rechtsprechung des Verwaltungsgerichts Berlin und des Europäischen Gerichtshofs in Luxemburg bereits eindeutig. „Auch wenn ein Gesetz oder eine Rechtsprechung einem nicht gefällt, muss man sich als Exekutive daran halten“, sagte Seidler, Vorsitzende im Gesetzgebungsausschuss des Deutschen Anwaltsvereins, dem Evangelischen Pressedienst.

Migrationsforscher: Bundesregierung wird weitermachen

Der Osnabrücker Migrationsforscher Jochen Oltmer kritisierte ebenfalls die Ankündigung der Bundesregierung, Asylsuchende trotz Gerichtsurteil weiterhin zurückzuweisen. „Die Schutz suchenden Menschen werden nun von Staat zu Staat bis an die EU-Außengrenzen weitergereicht und müssen so das politische Versagen Deutschlands und der EU ausbaden“, sagte Oltmer. Letztlich scheitere das Asylsystem seit Jahren immer wieder an der mangelnden Solidarität der EU-Staaten untereinander, wenn es um die Verteilung von Geflüchteten gehe.

Oltmer sagte, die Bundesregierung werde vermutlich auch bei weiteren zu erwartenden Urteilen ihr Vorgehen nicht ändern. Bis es zu Grundsatzentscheidungen von Oberverwaltungsgerichten oder dem Europäischen Gerichtshof komme, werde es lange dauern. In dieser Zeit wolle die Bundesregierung offenbar die übrigen EU-Staaten durch die Praxis der Zurückweisung unter Druck setzen.

Weitere Kritik am Vorgehen der Regierung kam unter anderem von den Grünen. „Was bringt die Dobrindtsche Migrationspolitik an den Grenzen?“, schrieb die Erste Parlamentarische Geschäftsführerin Irene Mihalic auf der Plattform X. „Tägliche Rechtsunsicherheiten und eine massive Überlastung der Bundespolizei“, fügte sie hinzu.

Strafanzeige gegen Dobrindt und Bundespolizei

Der Polizeibeauftragte des Bundes beim Deutschen Bundestag, Uli Grötsch, sagte der „Rheinischen Post“, er sei zwar kein Jurist, sondern Polizist, sehe aber auf den ersten Blick, dass die Exekutive hier was anderes sage als die Judikative. „Das halte ich für einen wahrhaft problematischen Zustand, der schleunigst geklärt werden muss.“

Die Rechercheplattform „FragDenStaat“ hatte Strafanzeigen gegen Dobrindt und den Chef der Bundespolizei, Dieter Romann, gestellt. Die Zurückweisungen von Asylsuchenden an deutschen Grenzen auf Weisung Dobrindts seien rechtswidrig, erklärte die Rechercheplattform am Freitag in Berlin. Dennoch rufe der Innenminister Bundespolizisten dazu auf, seine Weisung durchzusetzen. Diese machten sich strafbar, wenn sie die Zurückweisungen weiter durchsetzten. „Alexander Dobrindt setzt mit seiner Weisung auf offenen Rechtsbruch“, erklärte Arne Semsrott, Projektleiter von „FragDenStaat“.

CSU attackiert Pro Asyl: „Züge einer Inszenierung“

Derweil kommen aus der CSU schwere Vorwürfe in Richtung der Flüchtlingshilfsorganisation Pro Asyl, die die drei somalischen Asylsuchenden bei ihrer Klage unterstützt hatte. Der Fall trage „fast absurde Züge“ und deute auf eine „Inszenierung“ hin, sagte der Chef der CSU-Abgeordneten im Bundestag, Alexander Hoffmann, der „Augsburger Allgemeinen“. „Pro Asyl ist schon seit Jahren entlang der Fluchtrouten unterwegs, auch an den Grenzübergängen. Dort wird Flüchtlingen empfohlen, ihre Ausweise wegzuwerfen, weil das eine Abschiebung aus Deutschland deutlich erschwert“, sagte er.

Hoffmann sagte weiter: „Eine Person war bei den ersten beiden Einreiseversuchen volljährig und ist beim dritten Versuch auf einmal minderjährig, sie hat Ausweisdokumente dabei, die Merkmale von Fälschungen aufweisen.“ Alle drei Personen hätten nagelneue Handys gehabt, mit denen man die Reiseroute nicht zurückverfolgen könne. „Für mich trägt das klare Züge einer Inszenierung durch Asyl-Aktivisten.“

Pro Asyl weist „falsche Unterstellungen“ zurück

Der Geschäftsführer von Pro Asyl, Karl Kopp, entgegnete in der Zeitung, diese Vorwürfe hätten nichts mit den Fakten zu tun. „Wir sind eine Menschenrechtsorganisation und unterstützen Geflüchtete vor Gericht“, betonte er. „So war es auch im Fall der drei Menschen aus Somalia, von denen eine Frau noch minderjährig ist.“ Dass man Menschen empfehle, ihre Ausweise zu entsorgen oder neue Handys anzuschaffen, seien falsche Unterstellungen. „Damit wird unsere Arbeit angegriffen.“

In einer Pressemitteilung der Organisation vom Samstag heißt es, statt die offensichtlichen Rechtsbrüche zu beenden, würden „menschenrechtliche Arbeit diffamiert und verleumdet“ sowie Richterinnen und Richter bedroht.

Angriffe auf Justiz nach Asyl-Entscheidung

Seit den Eilentscheidungen des Berliner Verwaltungsgerichts über die Rechtswidrigkeit von Zurückweisungen Asylsuchender werden die beteiligten zwei Richter diffamiert und bedroht, wie der Deutsche Richterbund am Donnerstag mitgeteilt hatte. Die Justizminister von Bund und Ländern verurteilten die Angriffe. „Wer Richterinnen und Richter angreift oder bedroht, greift das Herz unseres Rechtsstaats an“, erklärte Bundesjustizministerin Stefanie Hubig (SPD) nach Beratungen mit ihren Ressortkollegen aus den Ländern am Freitag in Bad Schandau.

Hubig machte deutlich, dass sich diese Angriffe nicht nur gegen einzelne Personen richten, „sondern gegen das Recht selbst – und gegen die Idee einer unabhängigen Justiz“. Die Vorsitzende der Justizministerkonferenz und sächsische Justizministerin Constanze Geiert (CDU) sowie die Ressortchefs aus Hamburg und Bayern, Anna Gallina (Grüne) und Georg Eisenreich (CSU), betonten die richterliche Unabhängigkeit als „tragendes Fundament“ des Rechtsstaats. (dpa/epd/mig 10)

 

 

 

 

 

Jahresbericht. Juden in Deutschland unter Druck: Rias meldet 8.600 Vorfälle

 

Für Juden in Deutschland sei Antisemitismus Alltag, berichtet der Bundesverband der Recherche- und Informationsstellen und meldet 8.600 Vorfälle. Die Organisation muss sich allerdings Kritik anhören. Rund zwei Drittel aller erfassten Fälle haben einen Israelbezug.

Juden in Deutschland sehen sich sowohl wegen des Nahost-Konflikts als auch durch Anfeindungen von rechts massiv unter Druck und in Gefahr. „Nie zuvor wurden uns in einem Kalenderjahr mehr gegen Jüdinnen und Juden gerichtete Angriffe bekannt als im vergangenen Jahr“, sagte Geschäftsführer Benjamin Steinitz zum Jahresbericht des Bundesverbands der Recherche- und Informationsstellen Antisemitismus (Rias). Darin sind 8.627 antisemitische Vorfälle erfasst, 77 Prozent mehr als 2023.

Dazu zählen laut Rias acht Fälle extremer Gewalt, 186 Angriffe, 443 gezielte Sachbeschädigungen und 300 Fälle von Bedrohung. Am häufigsten wurde „verletzendes Verhalten“ gemeldet: 7.514 Vorfälle fielen laut Rias in diese Kategorie, darunter 1.802 Versammlungen – letztere werden als antisemitischer Vorfall erfasst, wenn etwa im Aufruf oder in Redebeiträgen antisemitische Äußerungen dokumentiert werden. Bei 544 Vorfällen wurde ein rechtsextremer Hintergrund registriert, die höchste Zahl seit Beginn des bundesweiten Vergleichs 2020.

Zweidrittel aller Vorfälle „israelbezogener Antisemitismus“

5.857 Fälle oder 68 Prozent aller registrierten Vorfälle wurden als „israelbezogener Antisemitismus“ eingestuft, mehr als doppelt so viele wie 2023. Darunter versteht Rias unter anderem, wenn Juden in Deutschland für Handlungen der israelischen Regierung in Haftung genommen werden, wenn der Staat Israel dämonisiert und sein Existenzrecht bestritten wird. Kritik an der israelischen Regierung bleibe jedoch möglich, sagte Steinitz.

An Hochschulen registrierte Rias im vergangenen Jahr 450 antisemitische Vorfälle. An Schulen waren es 284, darunter 19 Angriffe. Der Terrorangriff der Hamas auf Israel 2023 sei eine Zäsur gewesen, sagte Steinitz. „Die Gefahr, als Jude und Jüdin in Deutschland angefeindet zu werden, hat sich seit dem 7. Oktober objektiv erhöht.“ Seitdem führt Israel im Gazastreifen einen Krieg, bei der zehntausende Zivilisten getötet und Hunderttausende vertrieben wurden. Die israelische Regierung steht zunehmend international unter Druck. Ihr werden Kriegsverbrechen vorgeworfen.

Die Beispiele

Als Fälle extremer Gewalt erfasste Rias nicht nur den Angriff eines Berliner Studenten auf einen jüdischen Kommilitonen vor einer Bar Anfang 2024. In die Kategorie fällt für das Netzwerk auch der tödliche Angriff eines mutmaßlichen Anhängers der Terrormiliz IS auf dem Stadtfest in Solingen und die Attacke eines mutmaßlichen „Islamisten“ auf das israelische Generalkonsulat und ein NS-Dokumentationszentrum in München.

Unter den 186 registrierten Angriffen war einer in Oldenburg: Zwei Männer hielten dem Rias-Bericht zufolge eine jüdische Schülerin auf dem Schulweg fest und beschimpften sie als „dreckiger Jude“. In einem Leipziger Park griffen 10 bis 15 Rechtsextremisten drei Männer an, die sich über Antisemitismus unterhalten hatten. In der Sächsischen Schweiz habe ein Mann eine Frau als „Nazi“ beschimpft und geschubst, die einen Beutel mit der Aufschrift „Feminist Zionist“ dabeihatte.

Unter den 443 Sachbeschädigung waren laut Rias 50 Fälle im Wohnumfeld: Im März zum Beispiel schmierten Unbekannte in Hamburg zwei Hakenkreuze neben die Haustür eines jüdischen Ehepaars, im April markierte in Leipzig ein Davidstern das Haus einer jüdischen Person. Dies beinhalte für Betroffene die bedrohliche Botschaft: Man wisse, wo sie wohnten.

Methode und Kritik

Der Anstieg zeigt sich seit dem 7. Oktober 2023 auch in amtlichen Statistiken. Das Besondere an den Rias-Zahlen: Sie erfassen Vorfälle, die Betroffene oder Zeugen selbst bei den Meldestellen des Verbands vorbringen. Einfluss auf die Daten hat also, wie viele Menschen aktiv werden.

Ein gerade veröffentlichter Bericht des deutsch-israelischen Journalisten Itay Mashiach im Namen der „Diaspora Alliance“ wirft Rias „undurchsichtige Methoden“ vor und kritisiert eine „Überbetonung des ‚israelbezogenen Antisemitismus’“. Steinitz wies dies zurück. Der Antisemitismusbeauftragte der Bundesregierung, Felix Klein, sagte: „Ich vertraue der Arbeit von Rias sehr“.

Was hilft?

Klein sprach von schockierenden Zahlen und betonte, die Bekämpfung von Antisemitismus müsse „noch fokussierter, intensiver und erfolgreicher werden“. Nötig sei das Zusammenwirken mit Ländern, Kommunen, Verbänden, Vereinen und Individuen, „damit wir am besten möglichst bald wieder sinkende Zahlen antisemitischer Vorfälle sehen“.

Sollte der Gaza-Krieg irgendwann enden, könnte dies aus Sicht der Jüdischen Studierendenunion auch die Lage in Deutschland und die Konflikte an den Unis etwas beruhigen: „Ja, ich gehe davon aus, dass sich die Lage möglicherweise etwas entspannen könnte“, sagte Verbandspräsident Ron Dekel auf eine entsprechende Frage. Doch sei es so, dass „israelbezogener Antisemitismus schon lange das Hauptproblem von Jüdinnen und Juden an Hochschulen ist und aus meiner Sicht leider auch bleiben wird.“ (dpa/mig 6)

 

 

 

 

 

Die Illusion vom Frieden

 

Ein Waffenstillstand in der Ukraine ist nicht in Sicht – weil beide Seiten starke Anreize haben, weiterzukämpfen. Von Dmytro Kuleba

Seit Donald Trumps Amtsantritt im Januar blickt die Welt gespannt auf die Aussicht eines Waffenstillstands in der Ukraine. Der Grund liegt auf der Hand: Mit einem US-Präsidenten, der sich eher als Vermittler denn als Unterstützer der Ukraine versteht, schien erstmals die Chance greifbar, den Status quo aufzubrechen und das Blutvergießen zu beenden.

Wirksame Kriegsdiplomatie erfordert das richtige Maß an Einfluss – Zuckerbrot und Peitsche – gegenüber den jeweils richtigen Akteuren sowie klaren Zeitdruck. Diesen erzeugte Trump zunächst durch das Versprechen schneller Ergebnisse, später dann durch die – letztlich folgenlose – Drohung, sich aus den Verhandlungen zurückzuziehen. Doch das Belohnen und Bestrafen ist ihm misslungen, weil er die Peitsche gegen das angegriffene Land schwang und sich das ganze Zuckerbrot für den Angreifer aufsparte. Trump wetterte gegen die Ukraine, gab ihr die Schuld am Krieg und fror zeitweise die Militärhilfe ein – während er für Russlands Präsident Wladimir Putin lobende Worte fand.

Das Ergebnis: Seit Trumps Wahlsieg im November ist die Welt substanziellen Verhandlungen keinen Schritt nähergekommen. Zwar gab es viele Signale: Moskau zeigte sich trumpfreundlich, Kiew gesprächsbereit und Europa suchte die Nähe zu Washington. Es wurde sehr viel Pendeldiplomatie betrieben. Doch all das waren weniger Schritte in Richtung Frieden als vielmehr Versuche, den amerikanischen Präsidenten zu umwerben. Ziel war es nicht, den Krieg zu beenden, sondern Trump auf die eigene Seite zu ziehen – und zu verhindern, dass er zur anderen überläuft.

Dass Trumps Mission ein schwieriges Unterfangen werden würde, war von Anfang an klar. Die harte Realität ist, dass es für Russland und die Ukraine kaum Anreize gibt, die Kampfhandlungen einzustellen. Der Kreml hat eine Kriegswirtschaft aufgebaut, die es ihm ermöglicht, weiterzukämpfen – und die es schwer macht, damit aufzuhören. Die Ukraine wiederum ist nicht gewillt, Abstriche an ihrer Souveränität hinzunehmen, und ist mit ihrer Armee nach wie vor stark genug, um sich wirksam zu verteidigen. Aus diesen Gründen ist ein Waffenstillstand in der Ukraine derzeit unmöglich.

Die Freunde der Ukraine im Westen sind seit Langem uneins darüber, welche Ziele Russland tatsächlich verfolgt. Einige glauben, Putin verfolge eine begrenzte Agenda und werde sich mit begrenzten Erfolgen zufriedengeben. Nach dieser Logik wäre der Hunger des Kreml etwa dann gestillt, wenn die besetzten Teile der Ukraine als rechtmäßiges russisches Territorium anerkannt würden und wenn eine Garantie erfolgte, dass die Ukraine nicht der NATO beitritt.

Andere sind entschieden anderer Meinung. Sie befürchten, dass ein beschwichtigender Kurs gegenüber Putin diesen nur zusätzlich ermutigen würde. Der russische Präsident, so ihre Einschätzung, strebe die Kontrolle über die gesamte Ukraine an, deren Existenz als eigenständiger Staat mit seiner Vorstellung von der historischen Rolle Russlands unvereinbar sei. Als Beleg verweisen sie auf Putins vor dem Krieg veröffentlichten Aufsatz „Über die historische Einheit der Russen und Ukrainer“, in dem er die Ukraine als keine eigenständige Nation, sondern als widerspenstiger Teil Russlands bezeichnete, der wieder unter Moskaus Oberhoheit gestellt werden müsse. Auch in seinen Überlegungen zu möglichen Friedensgesprächen betont Putin immer wieder, jede Einigung müsse eine Lösung für die „tiefer liegenden Ursachen des Konflikts“ enthalten – sprich: die Souveränität der Ukraine beseitigen.

Manche westliche Politiker können diese Einschätzung zwar nachvollziehen, argumentieren jedoch, je länger sich der Krieg hinziehe, desto schwächer werde die Position der Ukraine – und desto wahrscheinlicher werde es, dass sie sich am Ende werde ergeben müssen. Daher solle sie besser jetzt eine schlechte Einigung akzeptieren als später eine noch schlechtere. Diese Auffassung vertritt offenbar auch Donald Trump. „Sie haben die Karten nicht in der Hand“, sagte er dem ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj im Februar.

Dieser Gedankengang mag rational erscheinen, verkennt jedoch das Blatt, das die Ukraine tatsächlich auf der Hand hat. Gewiss – es könnte besser sein. Doch das Land befindet sich nicht in einer derart verzweifelten Lage, dass es die Partie schon jetzt verloren geben müsste. Die Ukraine setzt darauf, dass Europa sie vor möglichen dramatischen Veränderungen im Kriegsverlauf bewahren werde, die sich aus einer nachlassenden militärischen Unterstützung durch die USA ergeben könnten. Außerdem weiß sie: Die Lage an der Front ist nicht so düster, wie oft behauptet wird. Im Dezember 2023 kontrollierte Russland rund 109 000 Quadratkilometer ukrainischen Staatsgebiets. Bis Dezember 2024 stieg diese Zahl nur geringfügig auf 112 950 Quadratkilometer. Seither ist die Größe der von Russland besetzten Gebiete nahezu konstant geblieben. Ende Mai hatte Russland wenig mehr als 113 050 Quadratkilometer unter seiner Kontrolle.

Aufmerksame Beobachter der Nachrichtenlage lesen regelmäßig Meldungen, wonach die russische Armee Dorf um Dorf, Quadratkilometer um Quadratkilometer einnimmt. Doch bei nüchterner Betrachtung ergibt sich ein anderes Bild: Das Land, das angeblich alle Trümpfe in der Hand hält, hat in den vergangenen 16 Monaten lediglich 4 270 Quadratkilometer zusätzlich unter seine Kontrolle gebracht – bei einer Gesamtfläche der Ukraine von über 603 000 Quadratkilometern. Anders gesagt: Der von Russland besetzte Anteil des ukrainischen Staatsgebiets ist von Ende 2023 bis heute lediglich von rund 18 auf etwa 19 Prozent gestiegen. Entsprechend überzeugt ist Kiew davon, genügend Zeit zu haben, um die eigene Position sowohl diplomatisch als auch militärisch zu stärken.

Natürlich gibt es neben Russlands Geländegewinnen weitere Faktoren, die das Kalkül der Ukraine verändern könnten – etwa ein glaubwürdiges Umschwenken Moskaus auf begrenztere Ziele. Auch könnte sich Kiew bewegen, wenn Europa die wegfallenden US-Waffenlieferungen nicht kompensiert und die ukrainische Luftabwehr kollabiert, weil keine amerikanischen PAC-3-Abfangraketen mehr eintreffen. (Solche Raketen zählen womöglich zu Trumps wichtigsten Druckmitteln.) Zugeständnisse kämen für Kiew auch dann in Betracht, wenn die zivile Infrastruktur noch stärker zerstört wird. Das weiß auch Putin – und deshalb lässt er derzeit so viele Drohnen und Raketen einschlagen wie nie zuvor.

Bislang jedoch hält die ukrainische Luftabwehr stand. Europa hat neue militärische Unterstützung angekündigt und investiert verstärkt in die eigene Rüstungsproduktion. Und obwohl die russische Armee keine entscheidenden Durchbrüche erzielt, gibt es keinerlei Anzeichen dafür, dass Putin von seinen absolutistischen Zielen abrückt. Aus diesem Grund wird es Trump – ebenso wie jedem anderen – kaum gelingen, die Ukraine zu einem Deal zu drängen, den sie als unvorteilhaft empfindet und bei dem sie befürchten muss, dass Russland sich ohnehin nicht daran halten wird.

Trumps Fehlschläge in der Ukrainefrage bedeuten keineswegs, dass seine Russlandpolitik sicherheitspolitisch irrelevant wäre. Dadurch, dass der Präsident Moskau umgarnt und sich parallel von Europa abwendet, wird der Kontinent gezwungen, unabhängiger zu werden und die eigene Bevölkerung viel größeren Gefahren auszusetzen. Die europäischen Staaten sind dabei, ihre Armeen zu stärken und die Rüstungsindustrie auf eine solidere Basis zu stellen, aber das geht nicht schnell genug, um den eigenen Bedürfnissen und denen der Ukraine gerecht zu werden. Trump erklärt, er werde nicht aus der NATO aussteigen. Doch angesichts seiner offen zur Schau gestellten Feindseligkeit gegenüber Europa und des allgemeinen Rückzugs der USA aus internationalen Konflikten fällt es schwer, sich vorzustellen, dass amerikanische Soldatinnen und Soldaten künftig für Europa ihr Leben riskieren.

Insgesamt macht diese Kombination von Faktoren für Putin den Gedanken verlockend, einen NATO-Verbündeten in Europa anzugreifen. Anders als im Fall der Ukraine ginge es ihm dabei zunächst nicht darum, das angegriffene Land zu unterwerfen, sondern Europas Schwäche offenzulegen und zu demonstrieren, dass es mit der kollektiven Sicherheitsgarantie der NATO nicht weit her ist. Die kommenden Jahre könnten für Putin das Zeitfenster sein, um ein Stück NATO-Territorium zu erobern, bevor Europa seine Verteidigungsdefizite schließt und Trump durch einen US-Präsidenten ersetzt wird, dem der Kontinent nicht gleichgültig ist.

Moskau wiederum ist in der Lage, eine neue Front zu eröffnen und gleichzeitig den Krieg gegen Kiew fortzusetzen. An den Grenzen zu Finnland und Norwegen baut Russland seine Militärpräsenz aus – ähnlich wie im Frühjahr 2021 an der ukrainischen Grenze. Hinzu kommt ein zunehmend aggressives Auftreten in der Ostsee. Erst kürzlich kündigte Moskau gemeinsam mit Belarus groß angelegte Militärübungen an.

Putin hat bewiesen, dass er bereit ist, seinem Volk Härten in einem Ausmaß zuzumuten, das für die meisten Nationen kaum vorstellbar ist – um seine militärischen Ziele zu erreichen. Er pflegt enge Beziehungen zu China, während im Lager der Ukraine-Unterstützer Uneinigkeit über Russlands strategische Endziele herrscht. Seine Wirtschaft hat er auf Kriegsbedingungen umgestellt. Es ist daher durchaus möglich, dass Putin sich darauf vorbereitet, mehrere Kriege unterschiedlicher Größenordnung gleichzeitig zu führen.

Europa hat eine Reihe von Sanktionen gegen Moskau verhängt, die politisch und finanziell nützlich sind, um Russland von Aggressionen abzuschrecken. Doch auch wenn die Europäische Union sich über jede neue Restriktion freut – aus eigener Kraft kann sie die russische Kriegsmaschinerie nicht lahmlegen. Dass der Block inzwischen entschiedener gegen die Schattentankerflotte vorgeht, mit der Russland die Sanktionen umschifft, ist ermutigend, wird aber den Preis für russisches Öl nicht weit genug nach unten treiben, um eine wesentliche Veränderung zu bewirken.

Sollte der Preis für russisches Öl dauerhaft einbrechen und damit der Kriegswirtschaft die finanzielle Grundlage entziehen, könnte Putin seine Haltung zum Krieg womöglich überdenken. Ein solcher Einbruch lässt sich jedoch nur mit Unterstützung der USA erreichen, denn sie verfügen über den nötigen Einfluss auf den Weltmarkt. Washington müsste härtere Sanktionen gegen Russland verhängen und zugleich Saudi-Arabien als eines der größten Förderländer sowie Indien als einen der größten Abnehmer russischen Erdöls zum Mitziehen bewegen. Voraussetzung für eine solche Koalition wäre, dass China sich nicht einmischt. Dafür müsste unter anderem klar kommuniziert werden, dass es nicht um das Ende Russlands, sondern um das Ende des Krieges geht. Aufgrund seiner engen Beziehungen sowohl zu Washington als auch zu Peking scheint Riad am besten positioniert, um einen solchen diplomatischen Vorstoß zu unternehmen.

All das ist jedoch äußerst unwahrscheinlich. Zwar verschärft Trump inzwischen seinen Ton gegenüber Putin, doch es gibt keine Anzeichen dafür, dass er zu entschlossenen Maßnahmen bereit wäre. Auch Indien und Saudi-Arabien haben wenig Interesse daran, sich in diesem Ausmaß gegen den Kreml zu stellen. Im Klartext heißt das: Putin wird mit dem Ölgeschäft weiterhin genug verdienen, um den Krieg zu finanzieren. Möglicherweise nicht nur den in der Ukraine.

Das Zeitalter des Friedens in Europa scheint vorbei zu sein. Eine Fortsetzung des Krieges in der Ukraine ist weitaus wahrscheinlicher als sein baldiges Ende. Putin hat keinen Grund, nachzugeben, und Selenskyj hat keinen, aufzugeben – denn für den ukrainischen Präsidenten steht fest: Eine Teilabtretung würde früher oder später den vollständigen Verlust des Landes bedeuten. Unter diesen Voraussetzungen ist der Waffenstillstand für ihn nicht das Licht am Ende des Tunnels, sondern das eines entgegenkommenden Zuges. Der Tod ist die einzige Gewissheit im Leben. Trump und andere mögen ihre Meinungen und Strategien ändern – doch die Europäer müssen jetzt das Tempo erhöhen: bei der Unterstützung Kiews und bei der eigenen Verteidigungsfähigkeit. Es ist das Beste, was sie in dieser Lage tun können. FA/IPG 5

 

 

 

 

 

 

Fachkräftemangel im Mittelstand: Wie KMU typische Führungsfehler vermeiden und so Kündigungen vorbeugen

 

Um dem Fachkräftemangel entgegenzuwirken, konzentrieren sich viele Betriebe im Mittelstand auf die Gen Z und die Modernisierung ihres Recruitings. „Dabei übersehen viele das Fundament einer dauerhaften Mitarbeiterbindung: ihre Führungskräfte“, warnt Hannes Goth, Leadership-Experte und Vorstand der Polymundo AG. Wer Fachkräfte dauerhaft halten wolle, müsse Führung modern denken – und mit typischen Führungsfehlern aufräumen. Denn: „Die meisten Mitarbeitenden kündigen nicht den Job, sie kündigen ihrem Vorgesetzten.“

Originelle Recruiting-Kampagnen, großzügige Zusatzleistungen, aufwändiges Onboarding – viele mittelständische Betriebe legen sich heutzutage mächtig ins Zeug, um neue Mitarbeitende zu gewinnen. „Aber all das nützt wenig, wenn es am Führungspersonal hapert“, betont Goth, der seit Jahren KMU in moderner Führung und Kommunikation berät. Dass es erheblichen Handlungsbedarf gibt, zeigt unter anderem der aktuelle Gallup Engagement Index Deutschland: Nur noch 16 Prozent der Mitarbeitenden sind demnach uneingeschränkt mit ihrer Führungskraft zufrieden. Vor drei Jahren lag dieser Wert noch bei 41 Prozent. Zudem zählt Unzufriedenheit mit den Vorgesetzten nach dem Gehalt nach wie vor zu den Top-Kündigungsgründen in Deutschland.

„Angesichts dieser Zahlen stellt sich die Frage, warum Mittelständler Unsummen in Employer Branding investieren“, sagt Goth, „aber übersehen, dass ihre Arbeitgeber-Marke letztlich von der Qualität der Führung abhängt.“ Ein schlechter Teamleiter mache jedes noch so gut gemeinte Willkommenspaket zunichte.

Fünf Führungsfehler, die Fachkräfte vertreiben

Fünf Führungsfehler beobachtet die Polymundo AG, die bereits hunderte Führungskräfte im Rahmen ihrer Leadership 4.0-Ausbildung begleitet hat, im Mittelstand besonders häufig. Sie gezielt anzugehen, sei ein erster Schritt in die richtige Richtung, um langjährige Mitarbeitende dauerhaft zu binden und dem Fachkräftemangel effektiv entgegenzuwirken.

1. Rückdelegation: Wenn Aufgaben wie ein Bumerang zurückkommen

Führungsfehler Nummer 1: Führung bedeutet, Verantwortung abzugeben – nicht sie auf Umwegen wieder einzusammeln. In KMU delegieren viele Teamleiter Aufgaben an ihre Mitarbeitenden, nur um sie wenig später selbst wieder auf ihrem Schreibtisch zu haben. Diese Rückdelegation, die oft aus der Überzeugung entsteht, es selbst besser und schneller zu machen, ist dreifach kontraproduktiv: Das Hin und Her raubt beiden Seiten Zeit, nimmt dem Mitarbeitenden Motivation und Lernchancen und der Führungskraft die Konzentration für wichtigere Aufgaben. Besser: Teammitglieder befähigen, Aufgaben selbst erledigen – sei es durch mehr Zeit, Ressourcen oder gezielte Weiterentwicklung.

2. Personalentwicklung endet nicht nach dem Onboarding

Viele Betriebe versprechen im Recruiting, was sie nach der Anstellung nicht halten. Oder sie liefern ein perfektes Onboarding, überlassen den Neuankömmling danach jedoch mehr oder weniger sich selbst. Gerade bei Mittelständlern, bei denen Fachkräfte immer noch häufig einige Jahre bleiben, wird so eine Menge Potenzial verschenkt. Sinnvoll ist es, wenn Führungskraft und Mitarbeitender von Anfang an gemeinsam einen Plan für dessen Entwicklung erstellen. Wo will er hin, was braucht das Unternehmen? Diese Fragen zu beantworten und regelmäßig Angebote zu machen, das helfe auch bei einer schon erfolgten oder drohenden Kündigung, sagt Goth. Viele überdenken ihre Entscheidung dann noch einmal.

3. Neue Führungskräfte unbegleitet lassen

Ein ebenso typischer Fehler: Neue Führungskräfte werden oft aus den eigenen Reihen befördert – und danach sich selbst überlassen. Der Rollenwechsel vom Kollegen zum Vorgesetzten ist jedoch heikel und verlangt mehr als einen neuen Titel auf der Visitenkarte. Wo zuvor auf Augenhöhe gesprochen wurde, geht es plötzlich um Verantwortung, Zielvorgaben und manchmal auch unangenehme Entscheidungen. Wer seine Führungskräfte nicht aktiv dabei unterstützt, riskiert viel – Spannungen im Team, Demotivation – bis hin zur inneren Kündigung oder dem kompletten Rückzug aus der Führungsrolle.

4. Gezielte Kommunikation? Fehlanzeige!

Miteinander zu reden, Informationen weiterzugeben, ist für gute Führung unverzichtbar. Doch in der Praxis verfügen Teamleiter selten über professionelle Kommunikationsexpertise. Ein Defizit, denn wer in der Lage ist, klare Anweisungen zu geben und seinen Mitarbeitenden aktiv zuzuhören, kann nicht nur Konflikte lösen und mehr Vertrauen schaffen, sondern auch für eine reibungslose Zusammenarbeit sorgen.

5. Führungsstil ohne Methode

Moderne Führung bedeutet situative Führung. Weder zu autoritär noch komplett laissez-faire. Aber welche Führungskraft versteht es schon, in jeder Situation authentisch und emphatisch zu handeln? Führungsmethoden übernimmt man im Mittelstand oft vom Vorgänger, ohne sie zu hinterfragen. Das birgt verschenktes Potenzial, denn Leadership lässt sich gezielt trainieren. So finden Führungskräfte ihren eigenen Stil – statt in alten Mustern zu verharren.

Permanent an der Führung arbeiten

„So individuell wie die Betriebe im Mittelstand ist auch die Liste an typischen Führungsfehlern“, stellt Goth klar. Dennoch seien die genannten fünf ein guter Anfang für Geschäftsführer und Personalverantwortliche, um die Führungskompetenz im Unternehmen auf den Prüfstand zu stellen. „Noch immer hält sich bei vielen wacker der Glauben, dass Führungskompetenz nicht mehr als ein Soft Skill ohne echten ROI sei“, so der Experte. Doch das Gegenteil sei der Fall. Gezielte Führungskräfteentwicklung zahle sich mehrfach aus, insbesondere in Zeiten des Fachkräftemangels: Teams arbeiten effizienter, weil Führung Orientierung bietet. Die Fluktuation sinkt, weil Mitarbeitende sich gesehen fühlen. Und die Vorgesetzten selbst erleben ihre Rolle als erfüllender und motivierender. „Wer in Führung investiert“, fasst Goth zusammen, „spart sich am Ende viele Abgänge – und gewinnt Loyalität, die man nicht kaufen kann.“

Kostenloses Webinar: „Führen, um zu halten“

Für Führungskräfte und Personalverantwortliche in KMU veranstaltet die Polymundo AG am 30.06.2025 ein kostenloses Live-Webinar zu dem Thema „Führen, um zu halten: Effektive Führungsstrategien gegen den Fachkräftemangel“. Interessierte können sich unter folgendem Link kostenfrei anmelden: https://polymundo.com/webinar-fuehren-um-zu-halten, Polymundo AG 5

 

 

 

 

 

„Asylwende“. Kabinett beschließt weitere Beschränkungen für Geflüchtete

 

Im Wochentakt präsentiert die Bundesregierung neue Vorhaben zur Migrationspolitik. Die Opposition hält einige für fragwürdig. Das Kabinett hat nun einen Beschluss zu sicheren Herkunftsländern gefasst – und weitere Einschränkungen für Asylbewerber beschlossen. Von Anne-Béatrice Clasmann

Die Kritik zu den laut einem Gerichtsbeschluss rechtswidrigen Grenzkontrollen ist noch nicht abgeebbt, hat das schwarz-rote Kabinett eine weitere umstrittene Reform auf den Weg gebracht, um den von der Union angekündigten Kurswechsel in der Migrationspolitik zu vollziehen. Es entschied nach Angaben des Regierungssprechers über eine Formulierungshilfe des Innenministeriums für die Koalitionsfraktionen zur Benennung von Staaten als sichere Herkunftsländer: Demnach kann die Bundesregierung diese Einstufung künftig per Rechtsverordnung vornehmen – also ohne Zustimmung des Bundesrats.

Denn dort haben Länder mit Regierungsbeteiligung von Grünen und Linken in der Vergangenheit entsprechende Vorhaben blockiert. Die nun beschlossene Änderung, über die der Bundestag noch entscheiden muss, soll Asylentscheidungen für Menschen aus diesen Staaten beschleunigen und Abschiebungen abgelehnter Asylbewerber erleichtern.

Es gehe darum, die „Asylwende“ zu vollziehen, sagte Bundesinnenminister Alexander Dobrindt (CSU), der sich nach der Kabinettssitzung im Innenausschuss den Fragen der Abgeordneten zu den von ihm angeordneten Zurückweisungen Asylsuchender an den Grenzen stellte. Von Deutschlands Nachbarstaaten werde dieser Kurswechsel insgesamt positiv aufgenommen. Politiker der Linken und der Grünen kritisierten, dass der Minister vor seiner Befragung im Ausschuss erst mit Pressevertretern sprach.

Sichere Herkunftsländer: Maghreb-Staaten

Die vom Kabinett jetzt beschlossene Reform soll Asylentscheidungen für Menschen aus diesen Staaten beschleunigen und Abschiebungen abgelehnter Asylbewerber erleichtern. Möglich wird die Einstufung zusätzlicher Länder per Verordnung, weil sie sich nicht auf das im Grundgesetz verankerte Recht auf Asyl für politisch Verfolgte erstrecken soll, das ohnehin nur sehr wenige Schutzsuchende zugesprochen bekommen. Bei den meisten Asylbewerbern, die in Deutschland einen Schutzstatus erhalten, greift der Flüchtlingsschutz oder der sogenannte subsidiäre Schutz für Menschen, denen im Herkunftsland ernsthafter Schaden droht.

Die Einstufung sicherer Herkunftsstaaten sei kein Verwaltungsakt, sondern ein Eingriff in individuelle Schutzrechte, kritisierte die Grünen-Abgeordnete, Filiz Polat. „Wer so handelt, rüttelt an den Grundpfeilern unseres Rechtsstaatsprinzips.“

Im Koalitionsvertrag war vereinbart worden, zuerst Algerien, Indien, Marokko und Tunesien neu als sichere Herkunftsstaaten einzustufen.

Kein Anwalt mehr vom Staat

Gestrichen werden soll laut Kabinettsbeschluss zudem eine Vorschrift, wonach Menschen, die von Abschiebungshaft oder Ausreisegewahrsam betroffen sind, einen vom Staat bestellten Anwalt bekommen. Diese Verpflichtung war erst in der Zeit der Ampel-Regierung auf Drängen der Grünen ins Aufenthaltsrecht aufgenommen worden. Sie gilt auch für Asylbewerber, die im sogenannten Dublin-Verfahren in einen anderen EU-Staat überstellt werden sollen und für die eine sogenannte Überstellungshaft angeordnet wurde.

Weniger Familiennachzug, keine Einbürgerung mehr nach drei Jahren

Nach bisheriger Planung wird sich der Bundestag an diesem Freitag in erster Lesung mit der geplanten Aussetzung des Familiennachzugs zu subsidiär Schutzberechtigten beschäftigen. Der ist – anders als bei Flüchtlingen, die keinen eingeschränkten Schutzstatus haben – jetzt schon beschränkt auf 1.000 Angehörige pro Monat.

Auch die im Koalitionsvertrag vereinbarte Abschaffung der Einbürgerung von besonders gut integrierten Ausländern bereits nach drei Jahren hat vergangene Woche das Kabinett passiert. Der Union war die von ihr als „Turbo-Einbürgerung“ bezeichnete Regelung, die von der Ampel-Koalition eingeführt worden war, von Anfang an ein Dorn im Auge. Ihr Argument: So schnell könne sich niemand in die deutschen Lebensverhältnisse einfügen.

Zurückweisung von Asylsuchenden

An den deutschen Grenzen werden auf Anordnung von Dobrindt nun auch Asylsuchende zurückgewiesen. An dieser Praxis hält die Bundesregierung auch nach einer Eilentscheidung des Berliner Verwaltungsgerichts fest. Das Gericht hatte festgestellt, die Zurückweisung von drei Somaliern bei einer Grenzkontrolle am Bahnhof Frankfurt (Oder) am 9. Mai sei rechtswidrig gewesen. Ohne eine Klärung, welcher EU-Staat für einen Asylantrag der Betroffenen zuständig sei, dürften sie nicht abgewiesen werden. Die drei Betroffenen waren nach Polen zurückgeschickt worden.

Bundesinnenminister Dobrindt sagte, er befürchte nicht, dass Bundespolizisten für ihr Handeln an der Grenze haftbar gemacht werden können. „Das ist vollkommen abwegig, dass Polizisten belangt werden, wenn sie das tun, was ihr Auftrag ist“, sagte der CSU-Politiker in der ARD-Talkshow „Maischberger“. Der Auftrag sei von der Politik formuliert worden. „Und deswegen finde ich das eine Einschätzung, die schon weit hergeholt ist.“

Mihalic: Polizei ist nicht der Politik verpflichtet

Die Parlamentarische Geschäftsführerin der Grünen-Fraktion, Irene Mihalic, sagte, es sei bemerkenswert, dass Dobrindt in Abrede stelle, dass er die Polizisten in eine schwierige Situation bringe. „Ich will nur mal daran erinnern, dass Polizeibeamtinnen und -beamte eben nicht der Politik verpflichtet sind, sondern ausschließlich an Recht und Gesetz gebunden sind“, sagte sie.

Wenn Beamte der Auffassung sind, dass eine dienstliche Anweisung rechtswidrig ist, können sie Widerspruch einlegen (remonstrieren). Dies ist dem Vernehmen nach in Bezug auf die verschärften Grenzkontrollen bislang nicht geschehen.

Linken-Politikerin traf betroffene Somalier

Dobrindts Angaben zufolge hatten die Somalier, die sich mit Unterstützung von Pro Asyl an das Gericht wandten, bereits am 2. und am 3. Mai versucht nach Deutschland einzureisen – jeweils ohne ein Asylgesuch vorzubringen. Dies hätten sie erst beim dritten Versuch am 9. Mai getan.

Die Linken-Innenpolitikerin Clara Bünger geht allerdings davon aus, dass die drei Migranten auch bei den ersten zwei Einreiseversuchen den Wunsch, einen Asylantrag in Deutschland zu stellen, geäußert haben. Sie sagte: „Ich selbst habe die drei getroffen. Sie haben mir glaubwürdig versichert, dass sie sehr wohl deutlich gesagt haben, dass sie Asyl beantragen wollen.“

Rund 140 zurückgewiesene Asylsuchende

Menschen, die kein Asylgesuch vorbringen und Ausländer mit Wiedereinreisesperre waren schon vor der von Dobrindt am 7. Mai erlassenen Anordnung zurückgewiesen worden. Durch die Änderung gab es nun laut Bundesinnenministerium rund 140 zusätzliche Zurückweisungen.

Der innenpolitische Sprecher der Grünen, Marcel Emmerich, sagte nach einer Sitzung des Innenausschusses, an der Dobrindt teilnahm: „Die Zahlen sprechen für sich und entlarven diesen Grenzblockaden-Zirkus als das, was er ist: teure Symbolpolitik auf Kosten von Wirtschaft, Pendlern, Bundespolizei und Schutzsuchenden.“ (dpa/mig 5)

 

 

 

 

 

 

Ein Viertel der Unternehmen rechnet mit Stellenabbau durch Künstliche Intelligenz

 

München. Mehr als ein Viertel der Unternehmen (27,1 Prozent) geht davon aus, dass Künstliche Intelligenz (KI) in den kommenden fünf Jahren zum Abbau von Stellen führen wird. Das zeigt eine aktuelle Umfrage des ifo Instituts, die ifo Präsident Clemens Fuest heute auf der ifo Jahresversammlung vorstellte. „Unternehmen, insbesondere die Industrie, erwarten einen durch KI beschleunigten Strukturwandel“, sagt Klaus Wohlrabe, Leiter der ifo Umfragen. Nur 5,2 Prozent der Unternehmen rechnen mit zusätzlichen Jobs, zwei Drittel erwarten keine Veränderung. „Momentan loten die Unternehmen aus, in welchen Feldern KI Produktivitätsgewinne bringt. Bis sich das in messbare Effekte auf dem Arbeitsmarkt übersetzt, wird es noch ein paar Jahre dauern“, kommentiert Fuest das Ergebnis. 

 

Wenn es zu einem Stellenabbau komme, erwarteten die betroffenen Unternehmen im Durchschnitt eine Reduktion um rund 8 Prozent, so Wohlrabe. In der Industrie rechnet mehr als ein Drittel der Unternehmen (37,3 Prozent) mit Stellenabbau. Auch im Handel liegt dieser Anteil mit knapp 30 Prozent deutlich über dem gesamtwirtschaftlichen Schnitt. Im Baugewerbe dagegen denken über 80 Prozent der Betriebe, dass sich durch KI an der Beschäftigtenzahl nichts ändern wird. Gleichzeitig werden positive Beschäftigungsimpulse sichtbar: In technologienahe Dienstleistungen wie IT oder Informationsverarbeitung rechnen einzelne Unternehmen bereits mit einem Aufbau – mit erwarteten Zuwächsen von teils über 10 Prozent.  

„KI wird nicht nur zum Rationalisierungsinstrument, sondern auch zum Ausgangspunkt neuer Tätigkeitsprofile“, sagt Wohlrabe. „Noch sind die Beschäftigungseffekte von Künstlicher Intelligenz moderat – doch auf längere Sicht könnte KI den deutschen Arbeitsmarkt verändern.“ Er sieht die Herausforderung darin, die entstehenden Produktivitätsgewinne in breiten Wohlstand zu übersetzen – ohne größere Verwerfungen in bestimmten Berufsgruppen zu erzeugen. Ifo 5

 

 

 

 

 

Antidiskriminierungsstelle des Bundes (ADS)-Jahresbericht

 

Schlechte Bezahlung, mangelnde Karrierechancen und sexuelle Belästigung: Frauen werden in Deutschland besonders häufig diskriminiert, wie der Jahresbericht der Antidiskriminierungsstelle zeigt. Mehrfach betroffen sind Schwarze Frauen und Frauen mit Kopftuch. Die Beauftragte fordert Gesetzesverschärfung.

Die Antidiskriminierungsstelle des Bundes hat 2024 einen erneuten Anstieg gemeldeter Diskriminierungsfälle verzeichnet. Die 11.405 Fälle seien die „höchste Zahl, die die Antidiskriminierungsstelle des Bundes (ADS) je erreicht hat“, sagte die Antidiskriminierungsbeauftragte des Bundes, Ferda Ataman, am Dienstag in Berlin bei der Vorstellung ihres Jahresberichts. Dies entspricht einem Anstieg von sechs Prozent gegenüber 2023 und einer Verdopplung der Fälle seit 2019.

Rassistische Diskriminierung führt die Statistik mit 43 Prozent weiterhin an, gefolgt von Benachteiligungen aufgrund von Behinderung (27 Prozent) und Geschlecht (24 Prozent). Besonders betroffen sind Frauen: Die Zahl der Fälle hat sich Ataman zufolge in den vergangenen fünf Jahren verdoppelt.

Zusammenhang zwischen Diskriminierung und AfD

Frauen erfahren Diskriminierung hauptsächlich am Arbeitsplatz oder bei der Jobsuche, sagte die Beauftragte. Junge Frauen würden bereits im Bewerbungsverfahren aussortiert, weil sie möglicherweise Kinder bekommen könnten. „Wenn Frauen schwanger werden oder aus der Elternzeit zurückkehren, wird ihre Leistung und Kompetenz infrage gestellt“, erklärte Ataman. Betroffen sind „insbesondere Schwarze Frauen und Frauen mit Kopftuch. Sie werden auf der Straße beschimpft, angespuckt oder angegriffen, manchmal wird ihnen das Kopftuch heruntergerissen“, heißt es in dem Bericht. Mit 348 gemeldeten Fällen sexueller Belästigung wurde zudem ein „Spitzenwert“ erreicht.

Ataman sieht einen direkten Zusammenhang zwischen dem Erstarken der AfD und der steigenden Zahl von Diskriminierungsfällen. „Was ich beobachte und was wir in der Stelle beobachten, ist, dass mit den steigenden Zustimmungswerten für eine rechtsextreme Partei offenbar immer mehr Menschen sich legitimiert fühlen, menschenverachtende Äußerungen im Alltag zu machen“, erklärte sie. Dies betreffe nicht nur Migrantinnen und Migranten, sondern auch Menschen mit Behinderungen, queere Menschen und religiöse Minderheiten. Ataman befürwortet eine Prüfung eines möglichen AfD-Verbots durch das Verfassungsgericht „im Sinne der Menschen, die von Diskriminierung betroffen sind.“

Jeder Vierte erlebt Diskriminierung durch staatliche Stellen

Dem Jahresbericht zufolge erleben die meisten Ratsuchenden Diskriminierung im Arbeitsleben. Demnach finde jeder dritte Fall bei der Arbeitssuche, im Bewerbungsgespräch oder am Arbeitsplatz statt. 22 Prozent der Menschen wurden bei sogenannten Alltagsgeschäften wie der Wohnungssuche, beim Einkauf oder im Restaurant diskriminiert.

Rund ein Viertel der Betroffenen beklagte eine Diskriminierung durch staatliche Stellen. Diese Fälle, die sich beispielsweise bei Ämtern und Behörden, in der Justiz, bei der Polizei oder in staatlichen Schulen und Universitäten ereignen, sind jedoch nicht von dem Allgemeinen Gleichbehandlungsgesetz (AGG) abgedeckt. Gleiches gilt für Diskriminierungen im öffentlichen Raum, in Vereinen oder in sozialen Medien. Das Gesetz regelt die Bereiche Arbeitsmarkt und Alltagsgeschäfte.

Ataman beklagt eines der schwächsten Antidiskriminierungsgesetze Europas

Ataman kündigte Gespräche mit der Bundesregierung über die versprochene Stärkung des Diskriminierungsschutzes an. Die Reform des Allgemeinen Gleichbehandlungsgesetzes (AGG) sei in der vergangenen Legislatur „leider auf der Strecke geblieben“. Das Gesetz sei „eines der schwächsten Antidiskriminierungsgesetze in Europa“ und erfülle oft nicht einmal europäische Mindeststandards. „In Deutschland wird Falschparken konsequenter geahndet, als andere Menschen zu diskriminieren“, kritisierte die Beauftragte.

Die unabhängige Antidiskriminierungsstelle ist beim Bundesfamilienministerium angesiedelt. Sie berät und unterstützt Menschen, die aus rassistischen oder antisemitischen Gründen, wegen ihres Geschlechts, ihrer Religion oder Weltanschauung, einer Behinderung, ihres Alters oder ihrer sexuellen Orientierung benachteiligt werden. (epd/mig 4)

 

 

 

 

 

Deutsche Friedensinstitute: „Schlecht bestellt“ um den Frieden

 

Für Papst Leo XIV. ist der Frieden ein zentraler Begriff. Auf der Welt sieht es anders aus. Die deutschen Friedensforschungsinstitute analysieren in ihrem diesjährigen Friedensgutachten die Weltlage. Um den Frieden ist es schlecht bestellt, aber Europa und Deutschland können handeln.

„Schlecht bestellt“ ist es gegenwärtig um den Frieden, in einer zunehmend instabilen, auf Wettbewerb und Konflikt ausgerichteten Welt – das befindet das Friedensgutachten 2025 unter dem Titel „Frieden retten!“, herausgegeben von den deutschen Friedensforschungsinstituten in Bonn, Frankfurt, Hamburg und Düsseldorf. Die Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler zeichnen ein dunkles Bild von der Weltlage: Der Frieden habe sich offenbar „als politisches Konzept“ erschöpft, das Vertrauen in die Sicherheitsinstitutionen der europäischen Friedensarchitektur sei geschwunden.

In einem überblickenden Statement fordert das Gutachten zwar – „so schmerzhaft die Erkenntnis ist“ – die Aufrüstung in Europa und in Deutschland. Aber: „Rüstung allein führt in eine gefährliche Sackgasse“. Die Autoren fordern eine regelbasierte Weltordnung, die Stärkung internationaler Gerichtsbarkeit und eine ganzheitliche Friedensfähigkeit.

USA: Konkretes statt moralischer Empörung

Zentral sei dabei die „Zerstörung der politischen Ordnung“, so das Gutachten - durch US-Präsident Donald Trump, der schon nach wenigen Monaten im Amt nicht nur das politische System seines Heimatlandes umbaute, sondern auch als außenpolitischer „Ordnungsfaktor“ ausgefallen sei. „Deutschland und Europa sind durch den autoritären Staatsumbau in den USA bedroht“, schließen die Forscher, und fordern politisch konturiertes Handeln gegen die autoritäre Versuchung und angedrohte Verletzungen internationaler Normen – statt nur „moralischer Empörung“.

Konkret fordern sie, liberale Institutionen und die internationale regelbasierte Ordnung zu stärken, einen Gegenentwurf zum radikalen und destruktiven Konservatismus zu schaffen, Alternativen zur NATO in der Sicherheitsarchitektur zu schaffen und die digitale Abhängigkeit von den USA abzubauen, um Desinformation und Wahlbeeinflussung zu verhindern.

Verteidigung öffentlich diskutieren

Die Präsidentschaft Donald Trumps habe tiefgreifende Auswirkungen auch auf die Verteidigung. Sie habe die NATO in die „tiefste Krise“ seit ihrer Gründung gestürzt; Europa, so die Autoren, müsse erwarten, „dass die USA und Russland eine Rüstungskontrolle betreiben, die europäische Interessen verletzt“. Sie fordern eine Erhöhung der Verteidigungsausgaben, die auf den Ersatz US-amerikanischer Leistungen zielt – und eine soziale und gesellschaftliche Absicherung dieser Ausgaben.

Auch die öffentliche Auseinandersetzung sei wichtig: „Große Rüstungsentscheidungen sollten transparent und öffentlich diskutiert werden. Neue Beschaffungen, die in eine Strategie für die europäische Sicherheit eingebunden werden sollen, bedürfen einer klaren und nachvollziehbaren Erklärung gegenüber den Bürgern“, so die Autoren des Gutachtens.

Konflikte unter dem Radar

Die Konflikte in der Ukraine und in Gaza stünden im Mittelpunkt des öffentlichen Bewusstseins; aber die Zahl der Gewaltkonflikte sei weltweit gestiegen, betonen die Forscher, von denen nur wenige „internationale Aufmerksamkeit“ erhielten, sowohl medial als auch diplomatisch. Der Krieg im Sudan, führen sie als Beispiel an, sei derzeit eine der größten humanitären Notlagen; Reaktionen bleiben jedoch aus.

Die Autoren sehen „Kernnormen und Prinzipien des Völkerrechts in Gefahr“ – und fordern völkerrechtliche Mindeststandards, die Achtung menschlicher Sicherheit und die Stärkung von internationaler Gerichtsbarkeit als Kontrollinstanz. So müsse sich auch Deutschland positionieren – und könne etwa, so die Forscher, nicht zugleich glaubwürdig bleiben und den israelischen Ministerpräsidenten Benjamin Netanjahu, nach dem per internationalem Haftbefehl gefahndet wird, zu einem Staatsbesuch empfangen. Man müsse sich, so die Autoren, „auf die Seite des Rechts stellen“ – und ebenso den Staat Palästina anerkennen wie auch keine Waffen für den völkerrechtswidrigen Einsatz nach Gaza liefern.

Neue Allianzen bilden

Zentral sei dabei eine „polarisierungsdämpfende Politik“, erklären die Forscher. Im Angesicht einer Weltordnung in Bewegung, geprägt von „Machtverschiebungen, geopolitischen Konflikten und Allianzbildung“ mit den USA und Russland, aber auch China und Indien sowie einem wegbröckelnden politischen Westen, müssten Europa und Deutschland „Unterstützer finden, mit denen man der Polarisierung etwas entgegensetzen und die internationalen Regelwerke stützen kann.“ Ein besonderes Augenmerk muss dabei auf humanitärer Hilfe, einer klaren Position zu geächteten Waffensystemen und zu sexualisierter Gewalt stehen.

„Selbst wenn dies gelingen sollte, wird sich die Sicherheitslage dadurch nicht automatisch verbessern.“

Ein weiterer Schwerpunkt der Weltlage ist die Fluchtpolitik in Deutschland. Die Autoren kritisieren populistische Reflexe in der deutschen Innenpolitik: Sie mache „Schutzsuchende als Sicherheitsrisiken aus und verspricht, die Anzahl der Geflüchteten durch Grenzsicherung und ‚konsequente Abschiebungen‘ drastisch zu verringern“. Das sei Symbolpolitik, beklagen sie: „Selbst wenn dies gelingen sollte, wird sich die Sicherheitslage dadurch nicht automatisch verbessern. Das Grundproblem, dass sich immer mehr Menschen auf der Flucht befinden, wird ebenfalls nicht aus der Welt geschafft“.

Migration: Schluss mit Symbolpolitik

Der hohe Stellenwert der Fluchtpolitik in Deutschland habe auch zum Schulterschluss von CDU/CSU und AfD in der gemeinsamen Abstimmung vor einigen Wochen geführt. Auch die Kriminalitätsrate, ein häufiges Argument in den öffentlichen Debatten um Flucht und Migration, sei von vielen Faktoren abhängig.

Die Studienautoren fordern einen ganzheitlichen Ansatz: Europa müsse sich seiner „globalen und regionalen Verantwortung für Schutzsuchende“ stellen und die Fluchtursachen bekämpfen, durch „friedenspolitische und diplomatische Maßnahmen“.

Aufnahme und Integration von Geflüchteten müsse statt dem derzeitigen Krisenmodus zu einer „Daueraufgabe“ werden, über Sprachförderung, Ausbildung, Arbeit, gesellschaftlicher Teilhabe, Kinderbetreuung und psycho-soziale Angebote. Humanitäre Aufgaben wie Seenotrettung müssten außerdem auf europäischer Ebene gelöst, die Fluchtpolitik als Ganzes im Zeichen einer „wirklichen globalen Solidarität und Verantwortungsteilung“ organisiert werden.

Seit 1987 veröffentlichen die deutschen Friedensforschungsinstitute jährlich das Friedensgutachten. Sie analysieren darin die Situation des Friedens in der Welt und geben Handlungsempfehlungen an politische Entscheidungsträger.

(pm 3)

 

 

 

 

 

 

Operation Startup

 

Die Ukraine entwickelt sich zum Epizentrum militärischer Innovation – und könnte Europas Verteidigung grundlegend verändern. Von Bojan Stojkovski

Nur drei Jahre nach dem russischen Angriff auf die Ukraine ist diese zu einem der aktivsten Zentren für Verteidigungs-Startups weltweit geworden. 2022 hätten wohl nur wenige vorhergesagt, dass die Ukraine nicht nur großen Widerstand leisten, sondern ein eigenes Tech-Ökosystem aufbauen und Innovationen im Verteidigungssektor grundlegend verändern würde. Das Schlachtfeld ist mittlerweile ebenso ein Labor, in dem Technologie unter realem Beschuss erprobt wird.

Bestes Beispiel ist die jüngste ukrainische Operation „Spinnennetz“ – ein präzise abgestimmter Drohnenangriff auf russische Luftwaffenstützpunkte und strategische Kampfflugzeuge. Durch die Aktion, die spannend war wie ein Hollywood-Thriller, gelang die Zerstörung von 34 Prozent der russischen Bomber, die Marschflugkörper tragen können. Der Angriff, der über anderthalb Jahre vorbereitet wurde, soll Schäden in Höhe von sieben Milliarden US-Dollar verursacht haben. Dies stellt eine der bedeutendsten Beeinträchtigungen der russischen Langstreckenangriffsfähigkeit seit Beginn der Invasion im Februar 2022 dar.

Hinter solchen wirkstarken Operationen steht ein sich rasant entwickelndes Verteidigungs-Technologie-Ökosystem. Seit Beginn des Krieges sind in der Ukraine über 500 verteidigungsorientierte Startups entstanden. Dieser Wandel wird vorangetrieben durch staatliche Unterstützung, die Dringlichkeit an der Front sowie Graswurzel-Innovationen. Ingenieure, ehemalige Soldaten und Software-Entwickler bauen nun gemeinsam Drohnen, Bodenroboter, Sensoren und KI-Plattformen mit einer Geschwindigkeit, die das Silicon Valley nur aus der Ferne bewundern kann. Diese neue Welle des Verteidigungs-Unternehmertums ist schlicht durch Notwendigkeit getrieben. Ukrainische Startups warten nicht jahrelang auf militärische Beschaffungsverträge; sie liefern direkt an die Front, testen ihre Lösungen unter Kampfbedingungen und verbessern sie nahezu in Echtzeit.

Die Drohnenherstellung in der Ukraine ist zuletzt explosionsartig gestiegen: Im Jahr 2024 produzierte die Ukraine über 1,5 Millionen FPV-Drohnen (First Person View) und plant, bis Ende 2025 unglaubliche 4,5 Millionen herzustellen. Die meisten dieser Drohnen stammen nicht von Rüstungsgiganten, sondern von dezentralen Teams, die in Industrieparks, umfunktionierten Garagen und Lean Production-Laboren arbeiten.

Eine stille, aber bedeutende Entwicklung markiert die kürzliche Enthüllung eines neuen KI-gesteuerten „Mutterdrohnen“-Systems, das einen Blick in die Zukunft autonomer Kriegsführung erlaubt. Das System kann zwei GPS-unabhängige Angriffsdrohnen starten, die in der Lage sind, hochrangige Ziele bis zu 300 Kilometer hinter feindlichen Linien aufzuspüren und zu zerstören – ein Durchbruch, der die stetige Weiterentwicklung der ukrainischen Verteidigungs-Technologien im anhaltenden Konflikt aufzeigt.

Die ukrainische Kriegswirtschaft basiert auf offener Konkurrenz. Wenn die Drohne funktioniert, wird sie eingesetzt. Wenn sie versagt, bekommen die Hersteller sofort Rückmeldung von den Soldaten an der Front. Was als freiwillige Initiative begann, um dringende Bedürfnisse an der Front zu decken, hat sich in vielen Fällen zu einer strukturierten Verteidigungsindustrie mit globalem Potenzial entwickelt.

Einige dieser neuen Akteure sind inzwischen in Militärkreisen bekannte Namen. Griselda entwickelt eine geobasierte Plattform, um Soldaten in urbanem Kampf und in Katastrophengebieten bessere Sicht zu ermöglichen. Huless produziert universelle Drohnenplattformen für militärische und zivile Missionen. Die verschlüsselten Funkgeräte von Himera gehören zur Standardausrüstung vieler Einheiten in russischen elektronischen Kriegsführungszonen.

Andere setzen auf KI und Autonomie. Mantis Analytics bietet Echtzeit-Überwachung des Schlachtfelds und analysiert dabei sowohl Open-Source-Intelligenz als auch verschlüsselte Kanäle. Bavovna.ai nimmt sich eines der schwierigsten Probleme des Krieges an: die Drohnennavigation ohne GPS, ein häufiges Ziel russischer Störmaßnahmen. Auch Sine.Engineering entwickelt fortschrittliche Navigationssysteme für Drohnen, die mithilfe von Time of Flight-Technologie zuverlässige Ortung selbst in elektronisch gestörten Umgebungen ermöglichen.

Auch im Bereich bodengestützter Robotik gibt es einen Boom. SkyLab Defense Robotics testet den Sirko-S1, ein halbautonomes unbemanntes Bodenfahrzeug (UGV), während der Ironclad-Roboter von Roboneers bereits in begrenztem Umfang im Einsatz ist. Auf dem Gebiet der elektronischen Kriegsführung stellt Kvertus mobileAnti-Drohnen-Systeme her, die nun an Frontpositionen eingesetzt werden.

Zudem haben ukrainische Unternehmen ihr Know-how rasch angepasst, um verwundete Soldaten und Zivilisten zu unterstützen. So haben über 20 000 Ukrainer im Laufe des Krieges Amputationen erlitten. Ein herausragendes Beispiel ist Esper Bionics: ein Unternehmen, das sich ursprünglich auf den US-Markt konzentrierte, seit 2022 aber 70 Prozent seiner Aktivitäten in die Ukraine verlagert hat. Durch die Verbindung von Robotik, KI und Bionik entwickelt Esper Bionics Prothesentechnologie, die speziell auf die Realitäten kriegsbedingter Verletzungen zugeschnitten ist. Das Flaggschiff, die Esper-Hand, ist eine multifunktionale, KI-gesteuerte Prothese, die ukrainischen Amputierten zur Verfügung gestellt wird. Was all diese Startups eint, ist eine gemeinsame Denkweise: Agilität statt Perfektion und direktes Feedback vom Schlachtfeld statt top-down betriebener Forschung, mit einer Innovation, die schnell und zweckorientiert ist.

Hinter vielen dieser Initiativen steht Brave1, die zentrale Plattform der ukrainischen Regierung für Verteidigungs-Technologie. Gegründet im Jahr 2023 dient Brave1 als Vermittler zwischen militärischen Bedürfnissen und zivilen Innovatoren. Die Regierungsplattform zur Förderung von Verteidigungs-Technologien hat in den letzten zwei Jahren rund 1 500 Unternehmen unterstützt und 3 200 militärbezogene Projekte gefördert. Brave1 senkt zudem die bürokratischen Hürden. Sie hilft Startups bei der Navigation durch militärische Zertifizierungsprozesse, Tests und sogar Exportkontrollen. Und sie verleiht Legitimität in einem System, in dem sogar inoffizielle Einheiten neue Technologien im realen Gefecht testen. Im vergangenen Jahr hat Brave1 zur Mobilisierung von über zwölf Millionen US-Dollar an privatem Kapital für Verteidigungs-Startups beigetragen. Auch wenn das noch bescheiden ist, zeigt es ein wachsendes Vertrauen von Investoren. Ein seltenes Zeichen von Optimismus in einer ansonsten düsteren Kriegswirtschaft.

Die Renaissance in der Verteidigungs-Technologie der Ukraine findet nicht im luftleeren Raum statt und wird zunehmend nachgeahmt, insbesondere von NATO-Mitgliedern in Mittel- und Osteuropa. Das Vereinigte Königreich und Lettland führen mittlerweile gemeinsam eine Drohnen-Koalition an, die über 1,8 Milliarden Euro in die Beschaffung und gemeinsame Entwicklung ukrainischer Drohnen investiert. Europäische Rüstungsfirmen wie Tekever, Milrem und RSI testen bereits ihre eigenen Plattformen zusammen mit ukrainischen Truppen.

Für westliche Militärs, die an jahrzehntelange Beschaffungszyklen gewöhnt sind, ist der schnelle, feedbackgetriebene Ansatz der Ukraine eine Offenbarung. Dabei geht es nicht nur um Drohnen, sondern um ein neues Paradigma zum Aufbau und zur Skalierung dualer Technologien. Doch das Modell hat auch Grenzen. Während ukrainische Ingenieure im Bereich Autonomie – insbesondere Navigation und Zielerfassung – große Fortschritte machen, bleibt der Einsatz vollautonomer tödlicher Waffen eine rote Linie. Die meisten Systeme bleiben „human-in-the-loop“, aus ethischen Gründen und um das Vertrauen in ihre Zuverlässigkeit auf dem Schlachtfeld zu erhalten.

Auch das Skalieren stellt eine Herausforderung dar. Nicht alle Startups schaffen den Sprung vom Prototyp zur Serienfertigung. Lieferketten sind fragil, Kapital ist begrenzt, und der rechtliche Rahmen für Beschaffungen bleibt im Aufbau. Und doch beweist die Ukraine, dass Bottom-up-Verteidigungs-Innovation funktionieren kann – selbst in einem Land im Krieg. Ein Meilenstein ist die Zusage der Europäischen Kommission, im Rahmen des Europäischen Verteidigungsfonds (EDF) 2024, 910 Millionen Euro zu investieren, um Europas Verteidigungs-Industrie zu stärken und zu modernisieren. Diese Mittel sollen kritische Fähigkeitslücken, etwa bei Truppenmobilität und Drohnenabwehr, durch enge Zusammenarbeit zwischen Wissenschaft und Industrie schließen.

Erstmals dürfen auch ukrainische Verteidigungs-Unternehmen an EDF-Projekten teilnehmen. Ein Signal für eine tiefere Integration der Ukraine in das europäische Verteidigungs-Ökosystem. Diese verstärkte Zusammenarbeit baut auf der Arbeit des EU Defense Innovation Office in Kiew auf, das enge Partnerschaften fördert und die Ukraine fest in Europas Innovationslandschaft für Verteidigung einbettet. Hand in Hand treiben sie gemeinsame Sicherheitsziele voran und gestalten eine vereinte Vision technologischen Fortschritts.

Wenn Drohnen für das 21. Jahrhundert sind, was Panzer für das 20. waren, dann setzt die Ukraine sie nicht nur ein – sondern sie prägt, wie diese entwickelt, getestet und verbessert werden. Und vor allem: Die hier entstehenden Innovationen werden weit über die Grenzen der Ukraine hinauswirken. Europa darf die Durchbrüche der ukrainischen Verteidigungs-Technologie daher nicht als bloße Kriegsanomalie oder Einbahnstraßenhilfe betrachten. Hier zeigt sich, wie militärische Innovation erschaffen, erprobt und skaliert wird.

Statt seine Rüstungsindustrie hinter bürokratischen Mauern und trägen Beschaffungsprozessen zu verstecken, muss die EU eine noch tiefere Integration mit ukrainischen Innovatoren vorantreiben, mehr Dual-use-Finanzierungs-Instrumente öffnen und sie direkt in langfristige strategische Planungen einbetten. Der Krieg hat die Ukraine zu einem Testfeld für agile und frontnah entwickelte Technologien gemacht. Diese wird Europa irgendwann unweigerlich selbst benötigen. Nicht nur, um die Ukraine zu unterstützen, sondern um sich selbst zu verteidigen. Je länger die EU zögert, desto mehr riskiert sie, die wichtigste Verteidigungs-Transformation einer ganzen Generation zu verpassen. IPG 3

 

 

 

 

 

Gericht: Zurückweisung von Asylsuchenden an Grenze ist rechtswidrig

 

Kurz nach seinem Amtsantritt ordnet Innenminister Dobrindt an, dass auch Asylsuchende an der Grenze zurückgewiesen werden können. Die Regelung ist umstritten. Jetzt kassierte Dobrindt vor Gericht eine seine erste Schlappe. Für Dobrindt kein Grund, die Praxis zu ändern. Es hagelt Kritik. Von Marion van der Kraats, Anne-Béatrice Clasmann und Martina Herzog

Bundesinnenminister Alexander Dobrindt (CSU) ist noch keinen Monat im Amt – und schon kassiert er seine erste juristische Niederlage vor Gericht: Die Zurückweisung von Asylsuchenden bei Grenzkontrollen auf deutschem Gebiet ist laut einer gerichtlichen Eilentscheidung rechtswidrig. Ohne Durchführung des sogenannten Dublin-Verfahrens dürfe, wer in Deutschland Schutz sucht, nicht abgewiesen werden, entschied das Berliner Verwaltungsgericht. Im konkreten Fall ging es um drei Somalier, die am 9. Mai von Frankfurt (Oder) aus nach Polen zurückgeschickt wurden.

Nach Angaben einer Gerichtssprecherin handelt es sich um die erste gerichtliche Entscheidung zu der Neuregelung von Bundesinnenminister Alexander Dobrindt. Der CSU-Politiker hatte kurz nach dem Regierungswechsel mit intensivierten Grenzkontrollen und Zurückweisungen von Asylbewerbern an den deutschen Grenzen erste Vereinbarungen aus dem Koalitionsvertrag umgesetzt. Für die Union zählen die Maßnahmen zur Begrenzung der irregulären Migration nach Deutschland zu den zentralen Vorhaben der neuen Regierung.

Dobrindt will Praxis nicht ändern

Dobrindt will vorerst aber an den Zurückweisungen von Asylsuchenden festhalten. „Es gibt keinen Grund aufgrund einer Gerichtsentscheidung, die heute hier erfolgt ist in diesem Einzelfall, unsere Praxis zu verändern“, sagte er in Berlin. Er wolle nun ein Hauptsache-Verfahren anstreben. Man glaube, dass man dort „deutlich Recht bekommen“ werde.

Auch der innenpolitische Sprecher der Unionsfraktion, Alexander Throm, sieht keine Notwendigkeit, das derzeitige Vorgehen zu ändern. „Wir werden die Beschlüsse des Verwaltungsgerichts Berlin natürlich genau prüfen“, sagte der CDU-Politiker der Deutschen Presse-Agentur. Er betonte gleichzeitig: „Die Zurückweisungen müssen fortgesetzt werden.“

Bundespolizei schickte Somalier nach Polen zurück

Im vorliegenden Fall ging es um zwei Männer und eine Frau aus Somalia, die mit dem Zug aus Polen nach Deutschland reisten. Am 9. Mai wurden sie am Bahnhof Frankfurt (Oder) durch die Bundespolizei kontrolliert. Nachdem die Somalier ein Asylgesuch geäußert hatten, wurden sie noch am selben Tag nach Polen zurückgewiesen. Die Bundespolizei begründete die Zurückweisung laut Gericht mit der Einreise aus einem sicheren Drittstaat.

Dagegen wehrten sich die Betroffenen per Eilverfahren erfolgreich vor dem Verwaltungsgericht. Die Beschlüsse sind nach Gerichtsangaben unanfechtbar.

Dobrindts Angaben zufolge hatten die Somalier bereits am 2. und am 3. Mai versucht nach Deutschland einzureisen, jeweils ohne ein Asylgesuch vorzubringen. Dies hätten sie erst beim dritten Versuch am 9. Mai getan.

Gericht: Nicht auf Ausnahmezustand berufen

Nach der sogenannten Dublin-Verordnung darf die Bundespolizei Asylbewerber nicht einfach an der Grenze zurückweisen. Vielmehr müssen die deutschen Behörden ein kompliziertes und in der Praxis oft schlecht funktionierendes Prozedere in Gang setzen, um sie an den für ihr Asylverfahren zuständigen Staat zu überstellen. Das ist in der Regel der erste EU-Staat, in dem sie registriert wurden. Wenn enge Familienangehörige bereits in einem anderen EU-Staat leben oder dort Schutz erhalten haben, kann aber auch dieser zuständig werden.

Aus Sicht des Gerichts kann sich die Bundesrepublik nicht darauf berufen, dass die Dublin-Verordnung angesichts einer Notlage unangewendet bleiben dürfe. Insbesondere könne sich die Regierung nicht auf eine „nationale Notlage“ – also eine Art Ausnahmezustand – berufen. Es fehle dafür „an der hinreichenden Darlegung einer Gefahr für die öffentliche Sicherheit oder Ordnung“, hieß es. Die Bundesrepublik sei nach der Verordnung verpflichtet, bei Asylgesuchen, die auf deutschem Staatsgebiet gestellt werden, in jedem Fall das vorgesehene Verfahren durchzuführen.

Die Bundesregierung hatte argumentiert, die Nichtanwendung des EU-Rechts sei gerechtfertigt. Dies habe die Europäische Kommission in einer Mitteilung über die Abwehr hybrider Bedrohungen infolge des Einsatzes von Migration als Waffe und die Stärkung der Sicherheit an den EU-Außengrenzen aktuell bestätigt. Die deutschen Maßnahmen seien zudem temporär und auf bestimmte Personengruppen beschränkt.

Dublin-Verfahren in Grenznähe möglich

Dass Asylsuchende nach einem Grenzübertritt automatisch länger in Deutschland bleiben können, bedeutet die Entscheidung aber nicht, wie das Gericht selbst feststellt. In einer Mitteilung heißt es, das Dublin-Verfahren könne auch an der Grenze oder im grenznahen Bereich durchgeführt werden, „ohne dass damit zwangsläufig eine Einreisegestattung verbunden sein müsse“.

Dobrindts Amtsvorgängerin Nancy Faeser (SPD) hatte in den letzten Wochen ihrer Amtszeit an der Eröffnung von zwei sogenannten Dublin-Zentren mitgewirkt. Diese Zentren in Hamburg und im brandenburgischen Eisenhüttenstadt sollen helfen, die Verfahren zu beschleunigen. Denn Rückführungen nach Dublin-III-Verordnung sind nur in den ersten sechs Monaten nach Einreise möglich – in der Vergangenheit scheiterten sie häufig an der Frist.

Grüne sehen sich bestätigt, Linke fordern Rücktritt

Kritiker der neuen Grenzkontrollen fühlen sich durch die Entscheidung des Gerichts bestätigt. Der innenpolitische Sprecher der Grünen-Bundestagsfraktion, Marcel Emmerich, sagte: „Der Beschluss entlarvt Dobrindts Symbolpolitik als das, was es ist: ein offener Rechtsbruch.“ Bundeskanzler Friedrich Merz (CDU) müsse die rechtswidrigen Zurückweisungen umgehend stoppen. Die SPD dürfe nicht mehr länger schweigend zusehen.

Auch in den Reihen des Koalitionspartners SPD gibt es Zweifel an Dobrindts Vorgehen. „Das Bundesinnenministerium ist offensichtlich weder ausreichend in die Abstimmung mit unseren Partnerländern gegangen, noch hat es einen klar rechtssicheren Weg für Zurückweisungen eingeschlagen“, sagte SPD-Innenpolitiker Lars Castellucci den Zeitungen der Mediengruppe Bayern. Er plädierte für grenznahe, beschleunigte Dublin-Verfahren. „Das scheint mir, zumindest bis zur Einführung des neuen europäischen Asylsystems, der geeignetere Weg“, sagte Castellucci.

Linke: Dobrindt untragbar

Deutliche Kritik kam auch von der Linkspartei im Bundestag. „Das Gericht hat festgestellt, dass keine nationale Notlage vorliegt, die solche Maßnahmen rechtfertigen würde. Das Recht auf ein geordnetes und individuelles Asylverfahren kann nicht einfach so umgangen werden. Auch lassen sich Engpässe bei Kitaplätzen und der Mangel an bezahlbaren Wohnungen nicht auf Schutzsuchende zurückführen, auch wenn die Regierung sie gerne als Sündenböcke für ihre politischen Verfehlungen nutzen möchte“, erklärte Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin ihrer Fraktion, und warf Dobrindt vor, bewusst Recht gebrochen zu haben. Damit sei er untragbar.

Marcus Engler vom Deutschen Zentrum für Integrations- und Migrationsforschung (Dezim) mahnt: „Das ist ein Urteil, das die Bundesregierung beachten muss.“ Die Entscheidung des Gerichts dürfte niemanden überraschen. Pro Asyl begrüßte den Richterspruch. „Die europarechtswidrige Praxis, Asylsuchende zurückzuweisen, muss sofort beendet werden“, erklärte Geschäftsführer Karl Kopp.

Dobrindt: Deutlich mehr Zurückweisungen

Zwischen dem 8. Mai und dem 1. Juni wurden nach Dobrindts Angaben 2.850 Menschen an den deutschen Grenzen zurückgewiesen. In 179 Fällen sei ein Asylgesuch gestellt worden. In 138 dieser Fälle habe es eine Zurückweisung gegeben, 41 Fälle hingegen hätten zu den vulnerablen Gruppen gehört. (dpa/epd/mig 3)

 

 

 

 

 

Wenn Gaza ins Klassenzimmer kommt

 

Jugendliche mit arabischen Wurzeln erleben den Gaza-Krieg als persönliches Trauma – und stoßen auf Sprachlosigkeit. Ein Lehrer fordert mehr Empathie, ehrlichen Umgang mit ihrer Wut – und Zuhören. Von Dr. Marc Ntouda

Als Lehrer arbeite ich auch mit Jugendlichen aus Familien mit Wurzeln in Palästina, Syrien, dem Irak und dem Libanon. In den letzten Monaten hat sich etwas verändert. Nicht nur in den Nachrichten. Auch in den Gesichtern meiner Schüler:innen. Seit dem Krieg in Gaza liegt eine neue Schwere über dem Unterricht. Manche schweigen. Andere kämpfen mit Tränen. Viele sind wütend. Und sie stellen Fragen, auf die wir Erwachsenen oft keine ehrliche Antwort haben:

„Warum schweigt ihr, wenn Kinder in Palästina sterben?“

„Warum dürfen wir nicht sagen, dass wir wütend auf Israel sind?“

Diese Fragen zeugen nicht von Radikalisierung. Sie entspringen einem tiefen menschlichen Bedürfnis: dem Wunsch, dass ihr Leid gesehen und ernst genommen wird.

Zwischen TikTok und Ohnmacht

„Die Ohnmacht bleibt oft unbearbeitet und verwandelt sich in Wut. Wut, die im Netz Verbündete findet.“

Die meisten Jugendlichen informieren sich nicht über Zeitungen oder Nachrichtensendungen, sondern über TikTok, Instagram und YouTube. Dort sehen sie ungefilterte Bilder aus Gaza: tote Kinder, weinende Mütter, zerstörte Wohnhäuser. Gleichzeitig erleben sie, wie westliche Politiker:innen schweigen oder das Bombardement rechtfertigen. Diese Ohnmacht bleibt oft unbearbeitet und verwandelt sich in Wut. Wut, die längst im Netz Verbündete findet. Andere sprechen längst mit den Jugendlichen, wenn wir es nicht tun.

„Warum darf ich nicht sagen, dass ich wütend auf Israel bin?“

Ich höre diese Frage oft. Und sie ist berechtigt. Die Jugendlichen sehen das Leid – und erleben gleichzeitig, dass ihre Wut schnell als Antisemitismus gelesen wird. Das ist nicht gerecht. Antisemitismus ist real. Er muss klar benannt und bekämpft werden. Doch Kritik an der israelischen Regierung – insbesondere an der zerstörerischen Politik unter Netanjahu – ist kein Antisemitismus. Sie ist legitim. Sie ist notwendig. Und sie gehört zur demokratischen Debatte. Nicht die Wut ist das Problem. Das Problem entsteht, wenn wir sie tabuisieren, pathologisieren oder ignorieren.

Zuhören ist kein Luxus. Es ist Pflicht.

„Solidarität mit Palästinenser:innen ist kein Gegensatz zu Empathie für jüdische Menschen.“

Wir können den Krieg nicht im Klassenzimmer lösen. Aber wir können entscheiden, wie wir mit ihm umgehen. Wir können Räume schaffen, in denen junge Menschen ihre Wut und Trauer aussprechen dürfen, ohne Angst vor Stigmatisierung. Wir können erklären, dass sie nicht allein sind; dass viele Jüdinnen und Juden in Israel und weltweit sich ebenfalls gegen diese Gewalt stellen; dass Solidarität mit Palästinenser:innen kein Gegensatz ist zu Empathie für jüdische Menschen.

Und wir müssen handeln:

* Durch moderierte Gesprächsformate, in denen Schüler:innen ihre Sicht teilen und Fragen stellen können, offen, ohne Angst.

* Durch Fortbildungen für Lehrkräfte, die helfen, auf emotionale und politische Spannungen sensibel zu reagieren, ohne zu relativieren oder zu moralisieren.

* Durch medienpädagogische Angebote, die Jugendlichen zeigen, wie sie Bilder und Botschaften im Netz kritisch einordnen können.

Wer sich nicht gehört fühlt, hört irgendwann nur noch denen zu, die ihm das Gefühl geben, recht zu haben. Selbst wenn es gefährliche Stimmen sind.

Menschlichkeit ist keine Einbahnstraße

„Was wir in deutschen Klassenzimmern erleben, ist nicht das Ergebnis einer ‚Islamisierung‘. Es ist das Echo eines Schmerzes.“

Was wir heute in deutschen Klassenzimmern erleben, ist nicht das Ergebnis einer „Islamisierung“. Es ist das Echo eines Schmerzes, den wir zu lange ignoriert haben; ein globales Trauma, das auch junge Menschen hier erreicht, weil sie Teil einer Welt sind, in der ihr Leid oft unsichtbar bleibt. Wer das nicht sehen will, darf sich morgen nicht wundern, wenn diese Jugendlichen sich abwenden oder radikalisiert werden. Unsere Aufgabe ist es, ihnen zu zeigen: Wir sehen euch, wir hören euch und wir stehen an eurer Seite. Auf der Seite der Menschlichkeit.

Wer Schulen zu Orten der Demokratie machen will, muss sie zuerst zu Orten der Empathie machen. Denn wenn junge Menschen das Gefühl haben, übersehen zu werden, wachsen Misstrauen, Rückzug und Radikalisierung. Empathie schützt. Ignoranz entfremdet. Wenn wir nicht zuhören, wird es jemand anderes tun. Die Frage ist nur: Wer? Und mit welcher Absicht? MiG 2

 

 

 

 

 

Trumps Zollpolitik schadet US-Wirtschaft

 

München – Die Zollpolitik von US-Präsident Donald Trump wird laut ifo Präsident Clemens Fuest der US-amerikanischen Wirtschaft Schaden zufügen. Zwar könnte die geplante Erhöhung von Importzöllen kurzfristig zu Mehreinnahmen führen, würde jedoch das US-Wirtschaftswachstum erheblich bremsen und das Defizit im Staatshaushalt weiter verschärfen. „Die Strategie, den US-Staatshaushalt mit Zöllen zu sanieren, ist auf Sand gebaut“, sagt Fuest. „Die negativen Auswirkungen auf das Wachstum und höhere Verbraucherpreise werden die erhofften Steuereinnahmen überwiegen.“

Fuests Einschätzung basiert auf einer Studie des Washingtoner Peterson-Instituts, die die Auswirkungen von Zöllen auf die US-Wirtschaft und den Staatshaushalt untersucht. Demnach würde ein Importzoll von zehn Prozent zwar zu erhöhten Zolleinnahmen führen, aber Einnahmen aus anderen Steuerquellen, vor allem der Einkommensteuer, würden sinken. Per saldo würden Mehrehreinnahmen in Höhe von rund 160 Milliarden US-Dollar pro Jahr bleiben. Zugleich würde das US-BIP um 0,46 Dollar pro Dollar zusätzlicher Steuereinnahmen sinken. Bei höheren Zöllen von 20 Prozent würden die negativen Effekte noch stärker ausfallen, mit einem Rückgang des BIP um 1,80 Dollar pro Dollar zusätzlicher Einnahmen.

Außerdem sieht Fuest die Gefahr, dass Zinsen für US-Staatsanleihen als Folge der Zollpolitik steigen und damit den Staatshaushalt weiter belasten. Ein Anstieg um 0,5 Prozentpunkte entspräche einer zusätzlichen Zinslast von rund 150 Milliarden US-Dollar pro Jahr. „Die Zahlen zeigen, dass die US-Zollstrategie nicht die erhofften fiskalischen Erfolge bringen wird. Stattdessen wird sie die US-Wirtschaft weiter schwächen“, so Fuest. Ifo 2

 

 

 

 

 

Sudan: Humanitäre Krise verschärft sich

 

Die humanitäre Krise im Sudan verschärft sich mit der Intensivierung des Krieges. Nach Angaben des Sprechers des UN-Generalsekretärs, Stéphane Dujarric de la Rivière, bleibt die Lage insbesondere in der Stadt El Fasher und im Flüchtlingscamp Abu Shouk dramatisch.

Beide Orte werden von den Rapid Support Forces(RSF) belagert, die sie unter ständigen Beschuss nehmen. Kritisch ist die Lage auch in Süd-Kordofan und West-Kordofan. In Süd-Kordofan sind nach Angaben der Internationalen Organisation für Migration rund 2.800 Menschen, vor allem Frauen und Kinder, vor dem Wiederaufflammen der Kämpfe in der Stadt Dibebad in der vergangenen Woche geflohen.

In West-Kordofan sind die Mitglieder des arabischen Stammesverbandes der Misseriya, die bisher mit den paramilitärischen Streitkräften der RSF verbündet waren, angesichts des Vormarschs der regulären Armee (Sudan Armed Forces, SAF) uneins darüber, ob sie die Rebellen weiterhin unterstützen oder sich mit den Streitkräften in Khartum einigen sollen.

Zahl der Cholera-Verdachtsfälle um 80 Prozent gestiegen

Nach Angaben der Vereinten Nationen hat sich unterdessen die Cholera-Epidemie im Bundesstaat Khartum (zu dem auch die Hauptstadt gehört) verschlimmert, wobei die Zahl der Verdachtsfälle in den letzten zwei Wochen um 80 Prozent auf über 8.500 gestiegen ist. Obwohl die Weltgesundheitsorganisation einige medizinische Hilfsgüter an die Krankenhäuser in Khartum geliefert hat, „ist noch viel mehr nötig, um die Epidemie einzudämmen“, so Dujarric. (fides 1)