Webgiornale 21 giugno – 15 settembre 2024
Il voto europeo. Italia: conferme e sorprese
In un contesto in cui i risultati delle elezioni del Parlamento europeo
confermano la prevista avanzata delle destre, ma anche la sostanziale tenuta
della coalizione tra popolari, socialisti e liberali, in Italia l’esito di
queste elezioni ci consegna alcune conferme ma anche qualche sorpresa.
Soprattutto, il tasso di partecipazione al voto di circa sei punti inferiore a
quello del 2019, anche se in linea con la media europea, testimonia un fenomeno
diffuso di disaffezione verso la politica e di scarso entusiasmo per una
consultazione elettorale che viene vissuta come troppo lontana dalle
preoccupazioni dei cittadini.
Vincitori e vinti delle Europee in Italia
Sul fronte dei partiti del centro-destra, queste elezioni fanno registrare
l’innegabile successo di Fratelli d’Italia e quello personale di Giorgia
Meloni, che supera di circa tre punti il risultato delle politiche del 2022 e
si conferma di gran lunga come il partito leader della coalizione che sostiene
il governo. Buona anche la prestazione di Forza Italia, che diventa il secondo
partito della coalizione, con un risultato che premia la scelta di collocarsi
come forza politica moderata, saldamente ancorata alla famiglia dei popolari
europei e a sostegno di una linea coerentemente europeista. La Lega riesce a
contenere i danni e mantiene più o meno le posizioni delle politiche, ma in
larga misura grazie alla scelta di presentare, con un calcolo molto
strumentale, un candidato a dir poco discutibile e controverso, in larga misura
estraneo alla linea del partito e poco gradito alla sua dirigenza. In sintesi,
il risultato delle elezioni europee premia e rafforza la coalizione di governo
a differenza di quanto verificatosi in altri importanti Paesi europei. Ne esce
consolidata la prospettiva di un governo stabile e destinato a durare per
l’intera legislatura.
Sul fronte delle opposizioni, il risultato delle elezioni premia il Partito
democratico e la sua segretaria, Elly Schlein, con un esito che è andato oltre
le più ottimistiche previsioni, che conferma il partito come la formazione
politica più forte nel campo delle opposizioni e che lascia intravedere una
prospettiva di ritorno a uno schema di bipartitismo all’italiana. Le elezioni
hanno infatti segnato una pesante sconfitta del Movimento Cinque Stelle, su cui
ha pesato una campagna elettorale incolore, tutta focalizzata su generici
appelli alla pace, e liste con candidati poco noti e di scarso “appeal”.
Clamorosa (e meritata) è stata anche la sconfitta dei due presunti leader
centristi, Renzi e Calenda, e delle rispettive formazioni politiche. Entrambi
troppo concentrati sulle loro rivalità per scegliere l’unica opzione
praticabile, quella di una lista comune, con il risultato di disperdere i loro
voti (complessivamente più del 7%) a favore di altre liste. Degno di nota
invece, anche perché inatteso, il successo relativo di Alleanza Verdi e
Sinistra, una formazione politica i cui leader hanno al contrario fatto tesoro
della lezione più semplice in politica che uniti si vince.
Da questi dati emerge che l’Italia è forse l’unico tra i grandi Paesi in
Europa dove chi governa ha rafforzato il proprio consenso. A differenza della
Francia, dove la pesante sconfitta di Macron e della sua formazione politica ha
costretto il Presidente a decidere di sciogliere il Parlamento e convocare
elezioni anticipate (con tutte le incognite del caso in un Paese che si accinge
a ripetere l’esperienza di una difficile coabitazione). A differenza della
Germania, dove la prestazione più che modesta della coalizione che sostiene il
governo – composta da socialisti, verdi e liberali – , la buona prestazione dei
popolari delle CDU/CSU (oggi all’opposizione) e, soprattutto, il successo
clamoroso e inquietante di Alternative für Deutschland, lasciano presagire un
esecutivo debole e in ulteriore difficoltà fino alla fine della legislatura. E,
infine, a differenza della Spagna, dove i socialisti di Sanchez sono riusciti a
far registrare un buon risultato, ma si attestano comunque come il secondo
partito dopo i popolari, con tutte le difficoltà del caso per un esecutivo che
già si trovava a governare un Paese diviso sulla controversa questione della
legge di amnistia per i separatisti catalani.
Una vittoria relativa per la destra
In Italia non si prevedono difficoltà sul fronte interno per il governo
dopo che la coalizione che lo sostiene in Parlamento e la leadership di Giorgia
Meloni ne sono uscite rafforzate dalla consultazione elettorale. Per Meloni
sarà invece più difficile gestire al meglio questo successo in Europa. È vero
infatti che i partititi di destra in Europa complessivamente si rafforzano, ma
con risultati non omogenei nei vari paesi membri. Soprattutto, è anche vero che
questi partiti non hanno piattaforme completamente convergenti, anzi su alcuni
temi sono profondamente divisi. Infine, il relativo successo del gruppo dei
Conservatori e Riformisti è stato in parte compensato dal relativo insuccesso
del gruppo di Identità e Democrazia.
Se, come sembra più che probabile, la coalizione composta dai tre partiti
più tradizionalmente europeisti – popolari, socialisti e liberali – dovesse
continuare a godere nel Parlamento europeo di una maggioranza relativa
sufficientemente confortevole – perlomeno per l’elezione del prossimo/a
Presidente della Commissione –, per Meloni si porrebbe la difficile scelta se
concorrere, prima in Consiglio europeo e successivamente al Parlamento europeo,
alla scelta del prossimo Presidente della Commissione. Se volesse
effettivamente far prevalere l’interesse nazionale su considerazioni di
schieramento politico, avrebbe il massimo della convenienza a sostenere la Von
der Leyen – oggi la candidata più forte, anche per effetto dell’indebolimento
di Macron e di Scholz –, allo scopo di mantenere un rapporto collaborativo con
la prossima Commissione e ottenere un portafoglio di peso per il commissario
italiano.
Sul fronte delle opposizioni, il successo del Partito Democratico,
combinato con il crollo dei Cinque Stelle e la conferma dell’irrilevanza del
cosiddetto terzo polo, non sono destinati ad avere un impatto immediato in
Europa. In Italia questo successo rafforza però la leadership della Schlein su
un partito che l’ha finora vissuta come un corpo estraneo. Soprattutto
rilancia, in chiave diversa rispetto alla vigilia delle elezioni, il tema delle
alleanze per le prossime consultazioni elettorali dove, a differenza che in
questa occasione, saranno determinanti. Accantonata ogni velleità di Conte e
dei Cinque Stelle di assumere la guida politica di un ipotetico fronte unito
delle opposizioni, toccherà prevedibilmente alla Schlein il compito ingrato di
ricomporre a unità una galassia di formazioni politiche finora soprattutto
impegnate a far valere le rispettive identità e le contrapposte differenze.
Tutto questo in un contesto in cui l’Unione europea esce complessivamente indebolita
da queste elezioni. Non solo e non tanto per il successo relativo dei partiti
di destra più o meno nazionalisti o sovranisti. Quest’ultimi restano infatti
divisi fra di loro, ma pur sempre uniti nel chiedere meno Europa e nel
resistere a tentativi di conferire all’Ue responsabilità che sarebbero
necessarie in una congiuntura internazionale che, per molti aspetti,
richiederebbe un maggiore protagonismo dell’Europa. Tuttavia, questi partiti
nazionalisti, e in sostanza anti-europei, proprio in Francia e in Germania
hanno ottenuto un risultato che destabilizza i due rispettivi governi, e rende
più problematica una loro assunzione di responsabilità in Europa. Tutto ciò
avviene proprio in una congiuntura in cui ci sarebbe bisogno come non mai di
leadership nazionali forti, autorevoli e impegnate a sostegno del progetto
europeo. Ferdinando Nelli Feroci, AffInt 17
Il voto europeo rafforza Von der Leyen. Scossone politico Ue
Ppe sempre primo nell'emiciclo di Strasburgo, dove regge la
"maggioranza Ursula". In Francia vincono i nazionalisti e Macron
convoca nuove elezioni parlamentari. Germania: il governo Scholz traballa. In
Spagna i popolari superano i socialisti. Meloni e FdI confermano il primato in
Italia, seguiti dal Partito democratico – di Gianni Borsa, Marco Calvarese,
Sarah Numico
Ursula Von der Leyen rafforza la sua posizione in Europa dopo il voto del
6-9 giugno per il rinnovo dell’Europarlamento. È uno degli elementi che
prendono forma alla luce dei risultati (ancora parziali) nei 27 Stati Ue.
“È un bel giorno per il Ppe, abbiamo vinto le elezioni, siamo il partito
più forte, siamo l’àncora della stabilità”, afferma pacata la presidente
uscente della Commissione presentandosi a notte fonda al migliaio di
giornalisti che segue in presa diretta a Bruxelles l’esito del voto europeo. I
numeri sembrano darle ragione: cresce il Ppe, calano di poco i
Socialdemocratici, scendono – ma non crollano – i liberali di Renew. Mentre,
questo è un altro elemento certo, avanzano le destre euroscettiche (Conservatori)
o nazionaliste (Identità e democrazia).
Secondo Von der Leyen dal voto emergono due messaggi: “La maggioranza è a
favore di un’Europa forte”, anche se gli estremi a destra e sinistra hanno
avuto buon sostegno elettorale. Ciò significa che “il risultato rappresenta un
grande responsabilità per i partiti di centro”. “Inizialmente mi rivolgerò a
quelli che erano nella piattaforma” (la cosiddetta “maggioranza Ursula”).
Rispetto al consenso da parte dei capi di Stato e di governo ha dichiarato di
“riuscire a ottenere la loro fiducia” per un secondo mandato.
Nonostante l’avanzata delle destre estreme, in Europa sembra non esserci
alternativa alla coalizione uscente. Non a caso i leader di Popolari,
Socialdemocratici e Liberali si lanciano messaggi di futura collaborazione, pur
sottolineando aspetti programmatici diversi, ma non divergenti. Anche i Verdi
paiono interessanti a una collaborazione (purché non si rinunci al Green Deal).
Non si può peraltro dimenticare che la tornata europea fa tremare diversi
governi nazionali. Il successo del Rassemblement National e il crollo di
Renaissance in Francia portano il Presidente Macron ad annunciare elezioni
anticipate a fine giugno. Un editoriale del quotidiano cattolico La Croix
commenta la decisione di Macron come “invito a tutti a uscire dal torpore di
fronte al pericolo nazionalista che minaccia il Paese, a cominciare dalla metà
di coloro che non hanno partecipato al voto”, si legge. “La decisione è seria e
pesante. Si apre un momento di chiarimenti essenziali. Spetta ad ogni francese
fare la scelta più giusta”.
Il premier belga De Croo rassegna in lacrime le dimissioni visto il crollo
dei suoi liberali. In Germania la coalizione del cancelliere Scholz vede il
forte ridimensionamento di Spd e Verdi, mentre crescono Cdu-Csu e l’ultradestra
di Afd. In Spagna i popolari superano i socialisti del premier Sanchez.
In Italia, invece, il partito della premier Meloni rimane saldamente in
testa nei numeri e nei seggi, seguito a ruota dalla principale forza di
opposizione, il Pd. Per una volta è l’Italia a segnalare una sorta di
“stabilità” politica.Per ulteriori analisi occorrerà attendere i dati
definitivi sia per quanto riguarda la composizione del Parlamento europeo sia
quelli relativi ai singoli Paesi membri. Ma di certo queste elezioni “in tempo
di guerra” non sembrano rafforzare l’unità europea. A tutti vantaggio dei suoi
detrattori, Putin in testa. Sir 10
Il risultato choc delle Europee in Germania: l'ultradestra AfD secondo
partito
Alternative fur Deutschland, al 16 per cento, è seconda nelle proiezioni:
pur travolta dagli scandali, ha superato tutti i partiti al governo. La
maggioranza di Scholz intorno al 30 per cento, e i Verdi hanno quasi dimezzato
i consensi - Di Mara Gergolet
BERLINO - Il grande tabù è rotto, e l’irreparabile — se non altro in
termini simbolici, perché un risultato elettorale resta scritto per sempre — è
avvenuto in Germania. L’estrema destra ha superato il partito del cancelliere,
i socialdemocratici. L’obiettivo minimo che si era dato il governo, o almeno i
suoi due principali esponenti, la Spd e i Verdi — di tenersi l’Afd alle spalle
— è sfuggito di mano. E così Alternative für Deutschland diventa la seconda
formazione a livello nazionale con il 16%, e per la prima volta dal dopoguerra
in Germania un partito di destra radicale ha più consensi di tutti quelli al
governo.
I socialdemocratici con il 14% ottengono il peggior risultato della propria
storia, anche sotto il 15,8% di 5 anni fa: sarebbe forse bastato a Olaf Scholz
superare quella bassa soglia per dare l’illusione di una ripresa. Non è andata
così.
I Verdi quasi dimezzano i consensi scendendo al 12%, ben 8,5% in meno del 2019.
I liberali galleggiano al 5%, superati dalla neonata formazione di sinistra
populista, l’Unione Sahra Wagenknecht (6%). Legittimo chiedersi, come hanno
fatto ieri all’unisono in tv i commentatori tedeschi, quanto a lungo il governo
Scholz riuscirà a sopravvivere. Non raggiunge neppure un terzo dei consensi e
litiga su tutto.
Per contro, l’opposizione cristiano-democratica, guidata da Friedrich Merz,
può rilanciare le proprie ambizioni. Il 30,3% combinato di Cdu e Csu (l’alleata
bavarese) mostra la reale proporzione delle forze nel Paese. Quanto presto
vorrà passare all’incasso?
Ma il dato dirompente è l’ascesa di Alternative, prima in tutti i Länder
dell’Est (Berlino esclusa). Ha pescato voti ovunque, a cominciare dai vecchi
elettori Cdu e Spd. Tra i giovani sotto i trent’anni raccoglie, con il 17%, più
consensi di entrambi i Volksparteien, i partiti popolari classici. Nulla hanno
influito gli scandali degli ultimi mesi, quando è emerso che i capilista,
Maximilian Krah e Petr Bystron, hanno ricevuto soldi dalla Russia e dalla Cina
e si è scoperto che l’assistente all’Europarlamento di Krah era una spia
effettiva al servizio della Cina. Né ha contato che l’Afd corresse «acefala»,
quando i due capilista sono stati allontanati dai vertici del partito perché
ritenuti indifendibili. Perfino ieri, mentre i leader Alice Wiedel e Tino
Chrupalla si abbracciavano e festeggiavano tra uno sventolio di bandiere
tedesche, Krah e Bystron — eletti a Bruxelles — non si sono presentati in
sala.
L’Afd ha più anime, quella nazionalista, quella populista, quella radicale
di alcuni suoi esponenti che diverse sentenze (e i servizi segreti interni)
hanno giudicato antidemocratica. È dichiaratamente votata dal 82% dei suoi
elettori «perché parla dei temi giusti»: in primo luogo, l’immigrazione. Ma è
indubbiamente riuscita a incanalare il dissenso in un Paese che, da due anni,
cresce meno di tutti in Occidente.
Più che a Scholz, occorrerà adesso guardare alle mosse di Friedrich Merz,
il «cancelliere in attesa», come viene chiamato. Si farà prendere dalla fretta?
Per quanto sembri restare al coperto, è l’azionista di maggioranza dei popolari
europei. E Ursula von der Leyen è, appunto, un membro del suo partito, la Cdu.
CdS 10
Elezioni europee: il non voto conquista la maggioranza assoluta
L’affluenza alle urne si è fermata al 49,69%, un record negativo nella
storia della Repubblica. Chi è andato alle urne ha premiato Fratelli d’Italia,
Pd, Forza Italia, Alleanza Verdi Sinistra e ha penalizzato Lega, M5S, Azione e
Stati Uniti d’Europa. Per FdI un netto rafforzamento della leadership della
Meloni alla guida del governo, per il Pd un chiaro rafforzamento della
leadership della Schlein alla guida della principale forza di opposizione.
Il non voto conquista la maggioranza assoluta. L’affluenza alle urne si è
fermata al 49,69%, un record negativo nella storia della Repubblica. Chi è
andato alle urne ha premiato Fratelli d’Italia, Pd, Forza Italia, Alleanza
Verdi Sinistra e ha penalizzato Lega, M5S, Azione e Stati Uniti d’Europa. Per
FdI un netto rafforzamento della leadership della Meloni alla guida del
governo, per il Pd un chiaro rafforzamento della leadership della Schlein alla
guida della principale forza di opposizione. Un dato che ha fatto subito
parlare di nuovo bipolarismo. Forza Italia sorpassa la Lega (nonostante
l’effetto Vannacci) e sorprende coloro che la davano per spacciata dopo la
morte di Berlusconi. Sorprende, rispetto alle previsioni della vigilia, anche
il buon risultato di Avs, collegato almeno in parte con la candidatura di
Ilaria Salis. Male Azione e Sue (quindi Calenda e Renzi) che non superano lo
sbarramento del 4% e non ottengono seggi. In difficoltà il M5S, che alle
europee non ha mai brillato e che stavolta ha verosimilmente pagato il surplus
di astensionismo nelle Regioni meridionali, dove il Movimento ha il suo maggior
radicamento.
A spoglio praticamente completato FdI ha ottenuto il 28,77% (6.660 mila
voti), il Pd il 24,07% (5.573 mila voti), il M5S il 9,98 (2.310 mila voti),
Forza Italia-Noi moderati il 9,64% (2.231 mila voti), la Lega il 9,03% (2.089
mila voti), Avs il 6,73% (1,557 mila voti). Sue si è fermato al 3,76% e Azione
al 3,34%, seguiti da altre forze tutte al di sotto della soglia di sbarramento.
Stefano De Martis, Sir 10
Appello. Rompiamo il silenzio sull’Africa
Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno
qualche notizia.
«Rompiamo il silenzio sull’Africa. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di
tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo
italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.
Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente
sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come
missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido
che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto
il modo del resto.
Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che
televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato
globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi
economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di
scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.
Mi appello a voi giornalisti/?e perché abbiate il coraggio di rompere
l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.
Inaccettabile silenzio
È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud
Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra
civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di
persone in fuga.
È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in
guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire
dell’Africa e contro le etnie del Darfur.
È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre
trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.
È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più
oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in
fuga verso l’Europa.
È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere
dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.
È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal
Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo
Califfato dell’Africa nera.
È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto
uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta
guerra contro Gheddafi.
È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa ,
soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri
minerali più preziosi.
È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in
Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior
crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.
È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia
a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.
È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e
leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci
da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia
ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).
Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire
perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria
vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”,
furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.
Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti
dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi
africani per bloccare i migranti.
Una questione strutturale
Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione
emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta
già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo
dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: ‘Aiutiamoli a casa loro‘, dopo
che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica
economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese,
dall’ENI a Finmeccanica.
E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum
dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando
anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo
rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi
diciamo dei nazisti?).
Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando
i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una
lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza
della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione
Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere
questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i
vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?
Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta
svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/?e da fare perché si rompa questo
maledetto silenzio sull’Africa.
P. Alex Zanotelli, Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa
Rapporto UNICEF sul clima: l’inquinamento atmosferico responsabile di 8,1
milioni di decessi
NEW YORK - Ogni giorno quasi 2.000 bambini sotto i cinque anni muoiono a
causa degli impatti sulla salute legati all'inquinamento atmosferico. È uno dei
dati più allarmanti contenuti nella quinta edizione del Rapporto State of
Global Air (SoGA), secondo cui l'inquinamento atmosferico sta avendo un impatto
crescente sulla salute umana, diventando il secondo principale fattore di
rischio di morte a livello globale.
Il Rapporto, pubblicato oggi dall'Health Effects Institute (HEI-
un'organizzazione di ricerca indipendente no-profit con sede negli Stati
Uniti), realizzato per la prima volta in collaborazione con l'UNICEF, ha
rilevato che l'inquinamento atmosferico è stato responsabile di 8,1 milioni di
decessi a livello globale nel 2021. In aggiunta a questi decessi, molti altri
milioni di persone convivono con malattie croniche debilitanti, mettendo a dura
prova i sistemi sanitari, le economie e le società.
Il Rapporto rileva che i bambini al di sotto dei cinque anni sono
particolarmente vulnerabili, e gli effetti sulla salute includono nascita
prematura, basso peso alla nascita, asma e malattie polmonari. Nel 2021,
l'esposizione all'inquinamento atmosferico è stata collegata a più di 700.000
decessi di bambini al di sotto dei cinque anni, rendendolo il secondo fattore principale
di rischio di morte a livello globale per questa fascia di età, dopo la
malnutrizione. Ben 500.000 di questi decessi di bambini erano legati
all'inquinamento atmosferico domestico dovuto alla cottura in casa con
combustibili inquinanti, soprattutto in Africa e in Asia.
Una preoccupazione per la salute globale
Il nuovo Rapporto SoGA offre un'analisi dettagliata dei dati recentemente
pubblicati dallo studio Global Burden of Disease del 2021, che mostra il grave
impatto sulla salute umana di inquinanti come il particolato fine esterno
(PM2,5), l'inquinamento atmosferico domestico, l'ozono (O3) e il biossido di
azoto (NO2) in tutto il mondo. Il rapporto include dati relativi a più di 200
Paesi e territori in tutto il mondo, indicando che quasi ogni persona sulla
terra respira ogni giorno livelli malsani di inquinamento atmosferico, con
implicazioni di vasta portata per la salute.
Oltre il 90% dei decessi dovuti all'inquinamento atmosferico - 7,8 milioni
di persone - è attribuito all'inquinamento atmosferico da PM2,5, compreso
quello
ambientale e domestico. Queste minuscole particelle, che misurano meno di
2,5 micrometri di diametro, sono così piccole che rimangono nei polmoni e
possono entrare nel flusso sanguigno, influenzando molti sistemi degli organi e
aumentando il rischio di malattie non trasmissibili negli adulti come le
malattie cardiache, l'ictus, il diabete, il cancro ai polmoni e la
broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Secondo il rapporto, il PM2,5 è
risultato essere il più costante e accurato indicatore di risultati negativi
per la salute in tutto il mondo.
"Ci auguriamo che il nostro Rapporto State of Global Air fornisca sia
le informazioni che l'ispirazione per un cambiamento", ha dichiarato la
presidente dell'HEI, Elena Craft. "L'inquinamento atmosferico ha enormi
implicazioni per la salute. Sappiamo che migliorare la qualità dell'aria e la
salute pubblica globale è pratico e realizzabile".
Inquinamento atmosferico e cambiamento climatico
L'inquinamento atmosferico da PM2,5 deriva dalla combustione di
combustibili fossili e biomassa in settori quali i trasporti, le abitazioni, le
centrali elettriche a carbone, le attività industriali e gli incendi boschivi.
Queste emissioni non solo hanno un impatto sulla salute delle persone, ma contribuiscono
anche ai gas serra che stanno riscaldando il pianeta. Le popolazioni più
vulnerabili sono colpite in modo sproporzionato sia dai rischi climatici che
dall'aria inquinata.
Nel 2021, l'esposizione a lungo termine all'ozono ha contribuito a 489.518
decessi stimati a livello globale, tra cui 14.000 decessi per BPCO legati
all'ozono negli Stati Uniti, più alti rispetto ad altri Paesi ad alto reddito.
Con il continuo riscaldamento del mondo dovuto agli effetti del cambiamento
climatico, le aree con alti livelli di NO2 possono aspettarsi livelli più
elevati di ozono, con effetti ancora più gravi sulla salute.
Per la prima volta, il Rapporto di quest'anno include i livelli di
esposizione e i relativi effetti sulla salute del biossido di azoto (NO2),
compreso l'impatto dell'esposizione a NO2 sullo sviluppo dell'asma dei bambini.
I gas di scarico del traffico sono una delle principali fonti di NO2, il che
significa che le aree urbane densamente popolate, in particolare nei Paesi ad
alto reddito, registrano spesso i livelli più elevati di esposizione all'NO2 e
di impatto sulla salute.
"Questo nuovo Rapporto ci ricorda con chiarezza l'impatto
significativo che l'inquinamento atmosferico ha sulla salute umana, con un
onere troppo elevato a carico dei bambini piccoli, delle popolazioni più
anziane e dei Paesi a basso e medio reddito", ha dichiarato Pallavi Pant,
responsabile del settore Salute globale dell'HEI, che ha supervisionato la
pubblicazione del rapporto SoGA. "Questo indica chiaramente l'opportunità
per le città e i Paesi di considerare la qualità dell'aria e l'inquinamento
atmosferico come fattori ad alto rischio quando si sviluppano politiche
sanitarie e altri programmi di prevenzione e controllo delle malattie non
trasmissibili".
La salute dei bambini
Alcuni dei maggiori impatti sulla salute dell'inquinamento atmosferico si
registrano nei bambini. I bambini sono particolarmente vulnerabili
all'inquinamento atmosferico e i suoi danni possono iniziare già nel grembo
materno, con effetti sulla salute che possono durare tutta la vita. Ad esempio,
i bambini inalano più aria per chilogrammo di peso corporeo e assorbono più
inquinanti rispetto agli adulti mentre i loro polmoni, i loro corpi e i loro
cervelli sono ancora in fase di sviluppo.
L'esposizione all'inquinamento atmosferico nei bambini piccoli è legata
alla polmonite, responsabile di 1 decesso su 5 di bambini a livello globale, e
all'asma, la malattia respiratoria cronica più comune nei bambini più grandi.
Le disuguaglianze legate all'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla salute
dei bambini sono impressionanti. Il tasso di mortalità legato all'inquinamento
atmosferico nei bambini al di sotto dei cinque anni in Africa orientale,
occidentale, centrale e meridionale è 100 volte più alto rispetto alle loro
controparti nei Paesi ad alto reddito.
"Nonostante i progressi nella salute materna e dei bambini, ogni
giorno quasi 2.000 bambini sotto i cinque anni muoiono a causa degli impatti
sulla salute legati all'inquinamento atmosferico", ha dichiarato Kitty van
der Heijden, vicedirettrice generale dell'UNICEF. "La nostra inazione sta
avendo effetti profondi sulla prossima generazione, con ripercussioni sulla
salute e sul benessere per tutta la vita.
L'urgenza globale è innegabile. È indispensabile che i governi e le imprese
prendano in considerazione queste stime e i dati disponibili a livello locale e
li utilizzino per elaborare azioni significative e incentrate sui bambini per
ridurre l'inquinamento atmosferico e proteggere la salute dei bambini".
Si stanno facendo progressi
Il rapporto SoGA contiene anche buone notizie. Dal 2000, il tasso di
mortalità dei bambini sotto i cinque anni è diminuito del 53%, grazie
soprattutto agli sforzi volti ad ampliare l'accesso all'energia pulita per
cucinare, oltre che ai miglioramenti nell'accesso all'assistenza sanitaria e
alla nutrizione e a una maggiore consapevolezza dei danni associati
all'esposizione all'inquinamento atmosferico domestico.
Molti Paesi, in particolare quelli che registrano i livelli più elevati di
inquinamento atmosferico, stanno finalmente affrontando il problema di petto.
Le azioni per la qualità dell'aria in regioni come l'Africa, l'America Latina e
l'Asia, come l'installazione di reti di monitoraggio dell'inquinamento
atmosferico, l'attuazione di politiche più severe sulla qualità dell'aria o la
compensazione dell'inquinamento atmosferico dovuto al traffico con il passaggio
a veicoli ibridi o elettrici, stanno avendo un impatto misurabile
sull'inquinamento e sul miglioramento della salute pubblica.
Sebbene si stiano registrando progressi, si può fare di più per impedire
che l'inquinamento atmosferico continui a prevalere su altri rischi per la
salute diventando una delle principali minacce per milioni di vite. (aise/dip
19)
Cgie. M. C. Prodi nuova Segretaria Generale, G. Stabile nuovo Vice per
l’Europa
ROMA – Maria Chiara Prodi è la nuova Segretaria Generale del Cgie. La Prodi
ha ottenuto dall’Assemblea Plenaria 36 voti, mentre 12 sono stati gli astenuti.
Alla Mangione sono andati 7 suffragi. La seduta è stata aperta dal Direttore
Generale per gli Italiani all’Estero Luigi Maria Vignali, che ha invitato i
consiglieri a un minuto di silenzio in ricordo del Segretario Generale del Cgie
Michele Schiavone e del Segretario Esecutivo Marco Nobili recentemente
scomparsi. “Alla mia sinistra – ha affermato Vignali – c’è una sedia vuota. Era
la sedia del precedente Segretario Generale, un amico ed una guida che
tutti abbiamo amato e che avremmo voluto avere qui oggi”. A seguire Tommaso
Conte (CdP – Germania), ha proposto a nome dei Consiglieri della Germania la
candidatura di Maria Chiara Prodi a Segretaria Generale. Non è stata presentata
nessun’altra candidatura. “Abbiamo avuto un minuto di silenzio molto utile per
mettere all’unisono i nostri cuori nei confronti della persona di Michele
Schiavone.”. Ha esordito nel suo intervento di presentazione la Prodi. “A
lui – ha continuato la Vice Segretaria per l’Europa e l’Africa del Nord –
dobbiamo molto per il suo impegno, utilizzando le parole del consigliere
Boccaletti, per portare onore dignità e rispetto al nostro Consiglio e
aggiungerei un’altra parola che è ‘futuro’. La discussione che ha preceduto
questo momento – ha proseguito Prodi – è stata preziosa perché ha posto dei
temi che dovranno essere sciolti. Io porrei la questione in questa ottica, la
nostra legge istitutiva ci riconosce una rappresentanza delle comunità nei
confronti di tutti gli organismi che si occupano di politiche per gli italiani
all’estero. Da quando è nato il nostro organismo abbiamo vissuto importanti
cambiamenti dal punto di vista delle migrazioni e noi lo sappiamo non soltanto
perché viviamo nei territori, ma perché intelligentemente abbiamo anche
richiesto degli studi e prodotto delle ricerche. Quindi – ha aggiunto Prodi –
dobbiamo fare una riflessione su come integrare quello che i dati ci dicono con
il modo in cui noi agiamo e ci presentiamo agli italiani all’estero. I
cambiamenti che abbiamo vissuto pongono una trasformazione da due punti di
vista della legge istitutiva. Prima di tutto ci dobbiamo chiedere se ci sono
ancora delle comunità all’estero o solo dei singoli. Dall’altro lato si sono
moltiplicati in maniera esponenziale gli interlocutori che si occupano di
politica degli italiani all’estero. Molti dei quali non sanno nemmeno che
possono trovare in noi un sostegno ed un appoggio per lo sviluppo per le
proprie attività”. La Prodi ha poi ricordato che il Cgie è un organismo di
secondo livello in quanto viene eletto dai Comites. “Nel Cgie – ha aggiunto –
vi sono gli eletti territoriali, e gli eletti di nomina governativa. Sono
questi i territori a cui noi rispondiamo nella loro diversità geografica, ma
anche di sensibilità ed appartenenza. La nostra legge istitutiva ci dà delle
regole che si potranno senz’altro cambiare, superando la logica di comunità
territoriale, trovando uno spazio di condivisione. Vi è quindi una scommessa
che dobbiamo accogliere per i prossimi tre anni perché noi oggi non abbiamo una
risposta univoca a questo e facciamo quello che possiamo con gli strumenti che
abbiamo”. “Sarà importante, in un’ottica di trasparenza e democrazia – ha
poi rilevato la Prodi – riuscire a rendere intellegibili le modalità con cui
lavorano il Comitato di Presidenza, l’Assemblea Plenaria e le Commissioni
continentali e tematiche. Con questo lavoro che noi dovremmo fare di renderci
trasparenti e anche interessanti, dando di noi un’immagine di capacità di
collaborazione, di sguardo alto e di bella progettualità, noi andremo ad
incoraggiare quel 95% di italiani all’estero che forse non si è riunito in
comunità, forse non sapeva dei Comites, ma in ogni caso non ha partecipato alle
lezioni dei Comites”. “Nell’Assemblea del Cgie – ha aggiunto – abbiamo tutti
una responsabilità personale e individuale che deve essere oggi l’occasione per
ripartire insieme sulla base di un protagonismo nella sfida che sia fatto di
convinzione. Occorre riconoscere che tutti noi siamo qui perché abbiamo qualcosa
nel cuore che ci spinge a lavorare per il bene della nostra comunità e a
cercare un orizzonte comune”. La Prodi infine ha sottolineato la necessità di
trovare un accordo di fondo sugli obiettivi da perseguire per il 100% degli
italiani all’estero, puntando all’innovazione e trovando degli strumenti che
funzionino per l’Assemblea del Cgie.
Con 31 voti favorevoli l’Assemblea Plenaria del Cgie ha eletto il
consigliere della Spagna Giuseppe Stabile, Vice Segretario Generale per
l’Europa e l’Africa del Nord. Stabile prende il posto di Chiara Prodi che in
mattinata era stata eletta alla carica di Segretario Generale. In questa
elezione ha inoltre ottenuto 27 voti Tommaso Conte (Germania), due le schede
bianche. “Colgo l’occasione per esprimere il mio pensiero – ha esordito Stabile
nel suo discorso introduttivo – riguardo a come dovrebbe essere un componente
del Comitato di Presidenza. Chi conosce la mia persona sa, che nell’esercizio
delle mie azioni e anche nella professione, ho l’obbligo di guardare le cose
sempre in maniera oggettiva. Ritengo che nel Consiglio Generale degli Italiani
all’Estero, nel momento in cui noi acquisiamo una carica, dobbiamo spogliarci
di tutto ciò che noi rappresentiamo, se non la parte che riguarda la tutela dei
nostri connazionali, perché noi solo a loro dobbiamo rispondere. In questo
contesto – ha aggiunto Stabile – il rappresentante del Consiglio Generale del
Comitato di Presidenza, dovrebbe esprimere la sua totale oggettività nelle sue
decisioni… Come consiglieri nel Consiglio Generale – ha concluso Stabile –
questo dobbiamo fare, gli interessi degli italiani all’estero”. “È nostro
compito – ha affermato Conte – garantire a questo organismo un costante dialogo
con le collettività italiane all’estero e, con costante impegno, raccoglierne
le aspettative, i bisogni e le esigenze da presentare alla nostra
amministrazione. Si tratta di mantenere vivo un dialogo a doppio binario, con
la nostra gente da una parte e con i responsabili politici dall’altra. In
questa doppia azione l’essere radicato su un territorio, l’avere una visione
quotidiana della vita da italiano all’estero è di fondamentale importanza.
L’emigrazione – ha ricordato il consigliere – è in costante aumento, nello
stesso tempo il nostro paese è alle prese con problemi territoriali, nazionali
di immense dimensioni. È nostro compito, sempre nelle sedi opportune, mettere
sotto gli occhi di chi ci governa la realtà degli oltre 7 milioni di cittadini
italiani all’estero”. “Il tempo a disposizione – ha aggiunto Conte – è sufficiente
per occuparci con serietà e massima attenzione, della salvaguardia
dell’intervento scolastico culturale, anche a favore dei bambini italiani nati
o che vivono all’estero. Il diritto all’istruzione è un diritto fondamentale.
Istruzione significa anche la cura della lingua madre, la conoscenza del paese
di origine, per onorare una cittadinanza da cui scaturiscono, anche se ci si
trova all’etero. diritti e doveri alla pari di qualsiasi altro cittadino
italiano nato e residente in patria”. Conte ha poi parlato della
necessità di migliorare i servizi consolari e di equiparare il regime fiscale
nell’applicazione dell’imposta municipale, così come della tassa sui rifiuti,
sugli immobili posseduti in Italia dagli iscritti all’Aire. “Particolare
attenzione – ha continuato Conte – va dedicata ai connazionali anziani, che
sono stati pionieri del fenomeno migratorio, e quelli che hanno onorato la
nazione lasciando l’Italia e imponendosi all’estero con tenacia, intelligenza e
serietà. Liberiamo gli anziani dalla burocrazia, ad esempio attraverso il
rilascio dei passaporti di durata illimitata a coloro che hanno compiuto 70
anni”. Per Conte è inoltre necessario un pacchetto di riforme riguardanti la
modifica della legge sulla cittadinanza, le leggi dei Comites e del Cgie,
l’editoria, la revisione sulla disciplina per l’esercizio del diritto di voto
dei cittadini italiani residenti all’estero e la ratifica della convenzione tra
Maeci e patronati.
Lorenzo Morgia, Inform/dip 18
Plenaria del Cgie: la relazione di Governo del Sottosegretario Silli
ROMA - Elezioni europee, servizi consolari, assistenza a connazionali e
detenuti italiani all’estero, rete consolare, risorse umane e finanziarie,
enti gestori e turismo delle radici. Sono alcuni degli argomenti di cui il Sottosegretario
agli Affari Esteri, Giorgio Silli, ha parlato durante la relazione di Governo
di cui ha parlato questa mattina durante la riunione plenaria del Consiglio
Generale degli Italiani all’Estero.
In primis, l’esponente dell’esecutivo ha voluto ricordare la figura di
Michele Schiavone per poi augurare un buon lavoro alla neo segretaria Maria
Chiara Prodi, così come al neo vicesegretario per l’Europa e il Nord Africa,
Giuseppe Stabile, e a Carmelo Vaccaro, che è subentrato appunto a Schiavone.
Poi, passando alla discussione, ha parlato delle elezioni per il parlamento
europeo ringraziando in primo luogo le Ambasciate e i Consolati nei Paesi
dell’Unione Europea per “lo straordinario impegno messo, anche in questa
occasione, nell’organizzazione della consultazione elettorale. Le elezioni
europee prevedono che il voto venga espresso in seggi fisici e non per posta:
un grande sforzo logistico per le nostre Ambasciate e i Consolati, che hanno
saputo tenere il passo con l’aumento degli aventi diritto. Con il Ministero
dell’Interno abbiamo approntato un numero maggiore di seggi (204 contro 199) e
sezioni (451 contro 398) rispetto al 2019, al netto di quelli allora istituiti
anche nel Regno Unito, per una spesa di quasi 5 milioni di euro. È stato così
garantito il diritto di voto dei quasi 1,7 milioni aventi diritto, circa il 17%
in più con riferimento all’Europa a 27, anche se l’affluenza ha fatto segnare
un leggero arretramento al 7,08% rispetto al 7,64% del 2019 (dato che include
però anche coloro che votarono nel Regno Unito). Tra le grandi Sedi, si
segnalano per l’affluenza Vienna (18,7%), Berlino (16%), Lussemburgo (15,78%) e
L’Aja (13,24%). A questi dati vanno aggiunti 124.976 elettori optanti –
cittadini residenti all’estero che hanno espresso formalmente la volontà di
votare per i candidati locali”.
Per quanto concerne i servizi consolari, invece, Silli ha voluto fare il
punto sulla loro erogazione che sono “l’essenza stessa della nostra azione
all’estero nell’interesse dei cittadini e delle imprese”: “Prosegue l’attività
di controllo disposta dal Presidente Tajani dall’inizio del suo mandato in
numerose Sedi in tutto il mondo – Asia, Africa e ora America del Sud – a tutela
di questa fondamentale funzione. L’obiettivo è contrastare ogni eventuale
irregolarità in settori delicati come visti o cittadinanza e continuare a
migliorare la qualità dei servizi. In parallelo, prosegue senza quartiere la
lotta contro gli intermediari illeciti. Come sapete, la comunità dei
connazionali all’estero è in continua crescita e ha ormai superato quota 7
milioni. Un tasso di circa il 4% all’anno. Una traiettoria alla quale il
Ministero degli Esteri risponde con una puntuale riorganizzazione della rete e
un continuo sforzo di aumento della produttività. Nei primi tre mesi dell’anno,
il settore dei documenti di viaggio - passaporti e carte d’identità
elettroniche (CIE) ha fatto segnare numeri importanti. Sono stati emessi oltre
147 mila passaporti e più di 42 mila CIE. Un aumento rispettivamente dell’11% e
del 23%. Tutto questo con una riduzione ovunque dei tempi medi di attesa, scesi
rispettivamente a 5 e 6 settimane. Dal 15 maggio, inoltre, il servizio di
emissione delle CIE è ormai fruibile in 170 Sedi in tutto il mondo, in linea
con l’obiettivo di dotare tutti gli italiani residenti all’estero di un
documento di identità sicuro e tecnologicamente avanzato, con il quale accedere
ai servizi online offerti dalla Pubblica Amministrazione. Prosegue il
rafforzamento dei servizi on-line. Le iscrizioni AIRE lavorate tramite il
portale Fast-It sono sempre più numerose: 60 mila nei primi quattro mesi del
2024 (+30% rispetto allo stesso periodo del 2023). Il portale conta ad oggi
oltre 1,7 milioni utenti registrati. Stiamo ampliando i servizi: penso al
rilascio del codice fiscale, che dal 15 giugno tutti i connazionali possono
scaricare con un semplice click. Uno sforzo di innovazione e di semplificazione
al quale continueremo a lavorare per essere ancora più vicini ai nostri
connazionali”.
L’esponente governativo ha poi discusso riguardo l’assistenza ai
connazionali e ai detenuti italiani all’estero, che sono e restano “una
priorità assoluta, sempre”. “Penso alle tragiche alluvioni che hanno colpito il
sud del Brasile – ha spiegato Silli -. Anche in quella occasione, nonostante i
gravi danni allo stesso Consolato di Porto Alegre, è stata assicurata la
massima assistenza consolare possibile, anche facilitando il rientro verso
l’Italia dei connazionali a fronte delle difficoltà nei collegamenti aerei. Ma
penso anche all’assoluta priorità che attribuiamo ai connazionali detenuti
all’estero, sulla quale il Presidente Tajani è tornato più volte, anche in
Parlamento. Un lavoro continuo, che ci vede impegnati in tutti i continenti e
che svolgiamo in modo silenzioso nell’interesse di ciascuno degli oltre 2.000
connazionali detenuti all’estero: un metodo che può non dare visibilità
nell’immediato ma che è l’unico percorribile per ottenere risultati concreti
nel medio-lungo termine”.
“Questi risultati positivi – ha aggiunto Silli - si devono al rafforzamento
della rete di Ambasciate e Consolati anticipata in occasione della precedente
Assemblea Plenaria dal Presidente Tajani, che ha voluto personalmente
inaugurare a fine maggio i locali del nuovo Consolato Generale di Bruxelles,
che insieme a quello di Madrid sarà pienamente operativo dal 1 luglio. Sono
state finalizzate le procedure di elevazione a Consolato Generale di Belo
Horizonte in Brasile e Mendoza in Argentina. Seguirà Erbil in Iraq. Abbiamo
disposto il rafforzamento di Casablanca, Dubai, Los Angeles, Monaco di Baviera,
Zurigo, Francoforte e Toronto. Sempre più importante è il contributo dei 511
consolati onorari (230 in America, 176 in Europa, 40 in Africa, 37 in Asia e 28
nel Mediterraneo-Medio Oriente). Un contributo molto concreto: già 205 Consoli
Onorari, in 77 Paesi, sono dotati di postazioni per la raccolta dei dati
biometrici. Questo ha favorito l’emissione nel 2023 di oltre 42.000 passaporti,
una percentuale del 7,5% salita già al 9% nei primi quattro mesi del 2024. Un
servizio che avvicina il Consolato a chi, per età o per le grandi distanze, ha
maggiori difficoltà a raggiungere l’ufficio consolare di riferimento. Non a
caso registriamo un sempre maggior interesse verso la figura del Console
Onorario e un numero crescente di richieste di istituzione. Per questo stiamo
lavorando per rafforzare i criteri di individuazione e selezione dei candidati,
privilegiando profili giovani, dinamici e in grado di svolgere anche un ruolo
attivo anche nella promozione del Sistema Paese”.
Parlando di risorse umane, il Sottosegretario Silli ha evidenziato come sia
necessario il loro “rafforzamento” poiché rappresentano “la spina dorsale” del
nostro paese”. Per questo il rafforzamento è così importante ed “è stato
fortemente voluto dal Presidente Tajani”.
“Dopo le 660 aree funzionali entrate in servizio nel 2023, stiamo
completando le procedure per assumere altri 300 funzionari appartenenti anche a
profili tecnici – ha aggiunto -. Ingegneri, architetti, informatici ed esperti
di telecomunicazioni, figure professionali sempre più necessarie per una
struttura che vuole essere al passo con i tempi e offrire servizi all’altezza
delle esigenze dei connazionali. Il personale delle aree funzionali arriverà
così a superare le 3.000 unità: un aumento del 31% rispetto al 2020. Un nuovo
bando per 381 assistenti è stato pubblicato da poco e altri seguiranno. Questo
incremento si è tradotto in un immediato rafforzamento degli uffici all’estero,
che hanno visto il numero delle unità di personale delle aree funzionali salire
a 1.300, un aumento del 17% tra il gennaio 2023 e il marzo 2024”.
Altrettanto “cruciale” è il tema delle risorse finanziare. Silli ha
espresso il desiderio di valorizzare la dotazione di ulteriori 200.000 euro per
le finalità istituzionali del CGIE – in particolare la riunione delle
commissioni continentali – e l’eventuale creazione di un ufficio stampa. Per
quanto riguarda i Comites, preso atto delle risorse stanziate nella passata
legge di bilancio, “abbiamo messo in sicurezza l’intero importo disponibile, anticipando
le erogazioni ordinarie e predisponendo appositi decreti di impegno, per
prevenire ulteriori riduzioni nel 2024.”. Infine, ha confermato che ad oggi,
“un po’ prima rispetto allo scorso anno, sono state soddisfatte tutte le 44
richieste di anticipo presentate dai Comites, mentre in 35 casi è già stato
erogato l’intero importo assegnato”. Il totale erogato finora è pari a 475.000
euro, ha spiegato.
Per concludere, Silli ha parlato della situazione finanziaria e gestionale
degli Enti Gestori dei corsi di lingua e cultura italiana nel mondo, di turismo
delle radici e delle riforme legislative.
“Nel 2024 sono state ricevute domande da 72 enti gestori, per 113
iniziative – ha spiegato -. Un aumento importante rispetto alle 84 iniziative
presentate l’anno scorso”. Silli ha confermato che a fronte di un aumento delle
domande, “abbiamo assegnato per queste iniziative ben 11.767.078 Euro”.
Inoltre, si è ormai “consolidato il nuovo regime di gestione delle risorse
basato sull’approccio a progetto e legato al calendario scolastico”. “Abbiamo
ascoltato gli Enti Gestori. Con l’obiettivo di rendere più semplice e
trasparente la procedura, a settembre abbiamo emanato - con efficacia dal
prossimo anno scolastico - un decreto attuativo con novità significative, come
la possibilità di erogare un anticipo del 20% del contributo già alla
presentazione della rendicontazione finale dell’ultimo contributo ricevuto”.
Sul progetto Turismo delle Radici, il sottosegretario agli Affari Esteri,
ha spiegato come avanzi “a pieno regime”. “Nei mesi scorsi, il Presidente
Tajani ha ricevuto al Ministero centinaia di Sindaci dei Comuni che aderiscono
al progetto, da tutte le regioni d’Italia. Sono oltre 800 le iniziative
culturali promosse dai Comuni con meno di 6.000 abitanti che sono state
selezionate e troveranno progressivamente spazio nell’offerta destinata ai
turisti delle radici. Sono stati organizzati diversi incontri di presentazione
anche all’estero. Il Progetto del Turismo delle Radici ha arruolato un
testimonial di eccezione, la nave scuola Amerigo Vespucci. Le tappe del suo
Tour mondiale sono una grande occasione di promozione del progetto e del
Sistema Paese. Il Vespucci è ora in Messico, dopo aver toccato Uruguay,
Argentina, Cile e Perù. Un evento dedicato è inoltre previsto nel “Villaggio
Italia” che verrà allestito per la sosta a Los Angeles a luglio. Abbiamo
lanciato il programma promozionale “Italea”. Lo stiamo valorizzando in tutte le
più prestigiose manifestazioni di settore. A febbraio abbiamo partecipato a
Rootstech, la più importante fiera mondiale sulla genealogia. A maggio sono
stati presentati al Salone Internazionale del Libro di Torino la quarta “guida
alle radici italiane” e un fumetto in tema. Grazie alla collaborazione delle
collettività, abbiamo inoltre selezionato alcune manifestazioni particolarmente
sentite dalla comunità italiana. La scorsa settimana abbiamo presentato
“Italea” a Toronto e prima ancora in Cile, Repubblica Dominicana e Colombia. Lo
presenteremo anche a San Paolo del Brasile, Buenos Aires, Melbourne e a New
York. Abbiamo anche lanciato “Italea Card”, scaricabile dalla piattaforma
italea.com. Con oltre 400 partner, offre vantaggi concreti ai connazionali
all’estero e valorizza le realtà produttive italiane delle aree meno
interessate dai grandi flussi turistici, favorendo la crescita dell’intero
territorio nazionale. A queste proposte si affiancheranno presto nuovi
pacchetti speciali di offerte e agevolazioni. Penso alla riduzione delle
tariffe sull’alta velocità offerte da per gli italiani residenti all’estero e
agli accordi in corso di definizione con altri attori del Sistema Italia come
ad esempio Poste Italiane e ITA Airways. Abbiamo infine attivato una
collaborazione con la Santa Sede in vista del Giubileo, per cogliere sinergie
con il turismo religioso che interesserà anche tantissimi siti religiosi in
tutta Italia. Lo stesso stiamo facendo con il CONI per le Olimpiadi Invernali
di Milano e Cortina”.
Per concludere la sua relazione governativa, Silli ha parlato del disegno
di legge costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio:
“il testo è stato approvato ieri dal Senato e passerà ora alla Camera, prima
dell’ulteriore passaggio in entrambi i rami del Parlamento. Sarà cura del
Governo aggiornarvi su queste tappe, perché la riforma potrebbe comportare una
modifica dell’attuale legge elettorale per armonizzarvi il sistema di voto
degli Italiani all’estero. Vi invito sin d’ora a presentare eventualmente una
proposta unitaria che sarà esaminata con attenzione”. (aise/dip 19)
In Germania il pericolo di una giustizia compromessa? Rafforzare la
Corte Costituzionale
Cosa può succedere se l’esecutivo di uno Stato vuole mettere a bando o,
comunque, almeno in parte in seria crisi la Giustizia, vale a dire il terzo
potere dello Stato, lo abbiamo potuto constatare negli ultimi anni in Ungheria,
Turchia, Polonia e negli Stati Uniti. Sistematicamente in tutti e quattro i
paesi (più o meno) democratici, le rispettive corti supreme sono state almeno
indebolite se non, come è accaduto in Polonia, messe in fuorigioco.
Eppure, nonostante la costante ascesa di un partito populista di destra
proprio in Germania, come lo è in maniera sempre più evidente la AfD – gli
ultimi fatti riguardanti il candidato leader per le elezioni Europee Maximilian
Krah che ha addirittura difeso le SS affermando che poi, tutto sommato, “non
erano poi tutti criminali”, la Coalizione semaforo sembra essersi un po’
bloccata riguardo una riforma che era stata presentata già alla fine di
gennaio. Una riforma impellente, visto che attualmente i partiti democratici
hanno ancora le carte in regola e i numeri per rafforzare la Corte
Costituzionale, il Bundesverfassungsgericht con sede a Karlsruhe.
I padri e le madri della Legge fondamentale (che quest’anno a maggio ha
compiuto ben 75 anni), hanno implementato tutta una serie di garanzie nella
Costituzione federale, dopo le cattive esperienze della Repubblica di Weimar e,
ovviamente, quelle legate al periodo più buio della Storia tedesca, quello del
nazionalsocialismo. Tra questi c’è la “clausola di eternità”
(Ewigkeitsklausel), secondo la quale i pilastri portanti della Costituzione
(dignità umana, democrazia, Stato di diritto, Stato federale) non possono
essere modificati in alcun modo.
Altri elementi, altre garanzie, come ad esempio la proprietà privata,
possono essere invece cambiate con una maggioranza di due terzi. Inoltre, la
Costituente ha previsto un nuovo organo di vigilanza con poteri straordinari:
per l’appunto la Corte costituzionale federale.
Ma cosa succederebbe se questo organismo di controllo dovesse vacillare?
In tal caso le garanzie contenute nella Legge fondamentale non sarebbero
sufficienti. Lo scenario del “Cancelliere unico” (vale a dire: con una
maggioranza assoluta del 50 per cento più uno), sta a dimostrare che anche la
Corte di Karlsruhe potrebbe divenire il primo bersaglio di un governo
populista. Come? Cambiando radicalmente i principi contenuti non nella
Costituzione, ma nella semplice legge che regola appunto il funzionamento della
Corte suprema.
Difatti molte questioni relative all’organizzazione della Corte e
soprattutto riguardo all’elezione dei giudici non sono disciplinate dalla Legge
fondamentale, ma, appunto, dalla semplice “Legge sulla Corte costituzionale
federale”. In altre parole, in una legge “normale”, dunque il legislatore può
cambiare questa legge con una maggioranza semplice (che il “Cancelliere del
popolo” nel suddetto scenario avrebbe). A quel punto l’istanza che dovrebbe
garantire i diritti fondamentali della Costituzione potrebbe trasformarsi in un
potere suddito del governo e, dunque, obsoleto.
Come raggiungere, dunque, più garanzie?
Ovviamente con ulteriori regole e principi fondamentali relative alla Corte
costituzionale federale previste dalla Legge fondamentale, dal “Grundgesetz”.
Proprio l’organizzazione del tribunale e l’elezione dei giudici meritano
una maggiore protezione, anche perché queste presunte formalità possono
esercitare una grande influenza sul lavoro del tribunale e sul suo compito
centrale: il controllo di tutti gli organi statali.
Un esempio su tutti: l’elezione e la durata del mandato dei giudici. La
legge sulla Corte costituzionale federale stabilisce “solo” che i giudici (una
metà dal Bundestag, l’altra metà dal Bundesrat) devono essere eletti con una
maggioranza di due terzi. Lo scopo di questa disposizione è quello di garantire
che la maggioranza di governo non possa semplicemente inviare i “suoi”
candidati a Karlsruhe. Piuttosto, invece, è necessario un certo consenso con
gli altri partiti. Ma non solo: un cancelliere forte potrebbe aumentare il
numero dei senati, aumentare gli anni massimi del mandato (attualmente di
dodici) e, addirittura, modificare la competenza interna dei senati. Insomma:
sarebbe un vero e proprio scenario da evitare. Eppure, nonostante il pericolo
che incombe da destra, sembra che il disegno di legge sia stato messo in
discussione proprio dai liberali. Si vocifera a Berlino che la Fdp voglia far
slittare la riforma, che era stata presentata in Parlamento a marzo, e
riproporla soltanto dopo le elezioni europee. Come a dire: vediamo quale
risultato raggiungerà la Afd e poi si vede. Un tatticismo e temporeggiamento
che potrebbe rivelarsi molto pericoloso. Alessandro Bellardita, CdI,
giugno/luglio
La destra scuote l’Ue, ma la maggioranza Ursula regge
Bruxelles. La destra e l’estrema destra si affermano in Europa, si scuotono
alcuni Paesi Ue (Macron in Francia ha sciolto il Parlamento, De Croo in Belgio
si è dimesso), ma gli equilibri del nuovo Parlamento europeo non cambieranno:
secondo le proiezioni della notte i deputati delle forze tradizionali
europeiste resteranno la maggioranza tra i 720 eletti dai 27 Stati membri. Già
poco dopo le 9 di sera era evidente che il Partito popolare europeo si sarebbe
confermato la prima forza dell’emiciclo, in linea con i sondaggi dei giorni
precedenti il voto. E infatti la presidente uscente della Commissione europea
Ursula von der Leyen, che ha fatto la campagna elettorale da candidata leader
del Ppe — per un secondo mandato alla guida dell’esecutivo comunitario, non per
un posto in Parlamento — ha esultato ancora prima di avere i risultati
definitivi: «Abbiamo vinto le elezioni europee, siamo il partito più forte,
ancora di stabilità, e questo è un grande messaggio».
Questo cosa vuol dire? Prima i numeri. Il Ppe ottiene secondo i risultati
provvisori del mattino 185 seggi, i socialdemocratici 137, i liberali di Renew
Europe 80, i conservatori dell’Ecr 73, l’estrema destra di Identità e
democrazia 58, i Verdi 52 e la Sinistra 36, i non iscritti 46 e 53 i deputati
non affiliati a un gruppo. Indietreggiano i Verdi che da quarto gruppo nella
legislatura che si conclude diventano il sesto.
Il Partito popolare è «la più grande forza al Parlamento europeo e nessuna
maggioranza potrà essere formata senza il Ppe. Costruiremo un bastione contro
gli estremisti da sinistra e da destra», ha detto von der Leyen. Cosa comporti
in termini di alleanze lo ha spiegato il presidente e capogruppo del Ppe
Manfred Weber: «Invito i Socialisti e Renew a unirsi a noi per un’alleanza
pro-europea», ha detto dal palco allestito nell’aula della plenaria per la
notte elettorale. «Invito il presidente francese, Emmanuel Macron, a confermare
von der Leyen alla Commissione», ha aggiunto. Perché sono i leader Ue a
designare la/il presidente della Commissione tenuto conto dell’esito delle
elezioni. E cinque anni fa i leader Ue decisero (soprattutto Macron) che non
sarebbe stato Weber, allora Spitzenkandidat del Ppe, a guidare la Commissione
ma von der Leyen.
Francesca Basso, CdS 11
Euro 2024, verdi e pieni di speranza: sono 40mila i volontari in Germania
Sono loro a occuparsi dell’accoglienza e del primo impatto dei visitatori –
dall’inviato Maurizio Crosetti
DORTMUND – Sono 40mila personcine vestite di verde, sono i volontari di
Euro 2024 e rappresentano almeno tre segmenti della popolazione tedesca: gli
adolescenti appena maggiorenni e studenti, gli adulti e gli anziani, questi
ultimi forse i più numerosi e appassionati in assoluto. Visti da vicino e in
azione, i volontari ricordano molto due gruppi di loro predecessori lontani nel
tempo e nei luoghi, ma affini per entusiasmo e comune sentire. E cioè il popolo
dei volontari di Sydney 2000 e Torino 2006, due edizioni olimpiche estive e
invernali. Ma con il calcio, in questi primi giorni di festa, non è poi molto
diverso.
La volontaria e l’invasione scozzese
La marea scozzese che ha assistito al debutto (con goleada) della propria,
amatissima nazionale a Monaco, venerdì sera, all’ingresso sud dello stadio è
stata accolta da un’anziana volontaria con megafono, che dall’alto della sua
postazione cantava uno degli inni più amati della “Tartan Army”, quello che
dice “No Scotland, no party”. Davvero un bel momento di gemellaggio
sentimentale, ben oltre gli schieramenti sportivi. E gli scozzesi, felici
comunque prima e dopo la partita, si sono messi a “dare il cinque” ai bambini
tedeschi che inneggiavano alla nazionale di Kroos e Musiala. Ma davvero, in
certi frangenti, il tifo è l’ultimo dei problemi.
Le indicazioni
Anche dai volontari dipende il buon esito di una grande manifestazione
sportiva, ed Euro 2024 non farà eccezione. Perché sono loro a occuparsi dell’accoglienza
e del primo impatto dei visitatori, siano tifosi o addetti ai lavori,
delegazioni ufficiali o giornalisti, sponsor o semplici imbucati. Un omino
verde, o una donnina dello stesso colore, è la prima persona che si incontra
non appena scesi dall’aereo o entrati in una stazione ferroviaria. Tutti
parlano inglese e non pochi italiano, del resto la Germania è piena di nostri
connazionali. Il volontario offre indicazioni pratiche: sui trasporti, la
logistica, l’accoglienza, il turismo. Ma, soprattutto, porge quel sorriso di
benvenuto e quelle parole che rappresentano sempre un buon inizio, sull’onda di
un sentimento di domestica gentilezza.
Quarantamila persone sono un esercito, e stanno funzionando molto bene. Si
improvvisano interpreti, accompagnatori e solutori di problemi, quelli basici,
i primi che si presentano a chi è appena arrivato, dunque i più urgenti. I
volontari sorridono sempre, e amano molto discorrere: è una delle grandi forze
dello sport, che è soprattutto una vicenda di comunità che si incontrano e si
scambiano esperienze. Una ricchezza che la pandemia aveva zittito nelle ultime
edizioni di Europei e Olimpiadi, appena tre anni fa ma sembrano trecento. Nel
pieno significato della parola “insieme”, qui in Germania un mondo ritrova sé
stesso. LR 15
Il “Punto Italia” per l’assistenza ai tifosi italiani in Germania
È stato presentato nel piazzale della Farnesina il “Punto Italia” per
l’assistenza ai tifosi italiani in Germania che assisteranno agli Europei di
calcio 2024 in programma dalla metà di giugno. Nello specifico si tratta di una
postazione consolare itinerante, allestita su un Ufficio mobile della Polizia
di Stato, che si sposterà fra le varie città della Germania per fornire
assistenza ai numerosi tifosi italiani che seguiranno la nostra Nazionale di
calcio. L’iniziativa congiunta di Polizia di Stato e Farnesina costituisce una
collaborazione inedita. Il “Punto Italia” sarà collocato nei luoghi di maggior
afflusso dei tifosi italiani, quali stazioni o stadi. Le città in cui giocherà
la Nazionale e in cui si troverà il “Punto Italia” sono Dortmund (15 giugno
Italia-Albania), Gelsenkirchen (20 giugno Italia-Spagna) e Lipsia (24 giugno
Italia-Croazia); ulteriori tappe dipenderanno dall’esito delle qualificazioni.
Nell’Ufficio mobile saranno presenti: operatori della Polizia di Stato e
personale del Ministero degli Esteri in servizio presso gli Uffici consolari in
Germania competenti per territorio. La postazione offrirà una serie di servizi
di assistenza: contatti con i familiari in Italia in caso di necessità;
emissione di documenti di viaggio di emergenza (ETD); assistenza e
intermediazione linguistica con le forze dell’ordine locali o in caso di
necessità sanitarie; assistenza legale. La presentazione dell’iniziativa è
stata aperta dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha sottolineato come
i connazionali potranno usufruire del “Punto Italia” per una prima assistenza
in caso di necessità. “Abbiamo unito le nostre forze per assistere gli
italiani: è lo spirito della rete delle Ambasciate e dei Consolati, è lo
spirito della Polizia e di tutto quanto il Governo”, ha spiegato Tajani
parlando di tutela degli italiani nel mondo come una priorità. “La rete
consolare in Germania è guidata dall’Ambasciata a Berlino ed è pronta a dare assistenza
a tutti gli italiani. Abbiamo attivato un numero di emergenza gratuito per
tutta la durata degli Europei”, ha aggiunto Tajani precisando che il contatto
telefonico sarà attivo dal 14 giugno e sarà il seguente: 0080025442544. Tajani
ha inoltre precisato che i connazionali avranno a disposizione anche il numero
di emergenza dell’Unità di Crisi, invitando i nostri connazionali in trasferta
a registrarsi su “Dove siamo nel mondo” e a seguire gli aggiornamenti
sull’applicazione “Viaggiare Sicuri” anche per avere notizie riguardanti il
“Punto Italia”. “Il fine ultimo è fare sempre bene per l’Italia, dal punto di
vista sportivo e dell’assistenza”, ha sottolineato Tajani, ringraziando la
Polizia di Stato non solo per questa collaborazione specifica per gli Europei
ma anche più in generale per la lotta alla criminalità organizzata su scala
internazionale: con il Ministero dell’Interno è stata messa insieme una rete di
58 esperti in grado di facilitare il lavoro della rete diplomatico-consolare
sul fronte della sicurezza. “Oggi diamo un segnale importante di vicinanza ai
nostri cittadini e ai nostri tifosi: il nostro Consolato mobile sarà a
disposizione per dare la massima assistenza”, ha aggiunto Tajani. E’ poi
intervenuto il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha spiegato come
questi servizi vadano a beneficio dei connazionali all’estero in vista degli
Europei, ma più in generale rappresentino un contributo alla sicurezza
dell’evento sportivo in sé. Piantedosi ha espresso soddisfazione per la “piena
sinergia” messa in atto tra i due Ministeri anche in funzione dei diversi campi
di azione all’estero, a partire dal contrasto all’immigrazione irregolare.
“Molto bella questa collaborazione tra Italia e Germania anche in vista del
voto per il rinnovo del Parlamento europeo: la presenza qui dei due
Ambasciatori – quello italiano in Germania e quello tedesco in Italia –
sottolinea una tradizione consolidata di rapporti collaborativi tra Paesi
europei”, ha rilevato Piantedosi. E’ stata poi la volta del Ministro dello
Sport Andrea Abodi che ha ricordato come l’Italia si presenti a questi Europei
da campione in carica: un titolo da difendere non solo sul campo ma anche
nell’organizzazione e nei servizi per gli italiani, che non saranno solo tifosi
ma anche addetti ai lavori. Abodi ha inoltre auspicato che strumento “Punto
Italia” possa essere utilizzato anche in futuro per i grandi avvenimenti in
campo sportivo: in estate ci saranno Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi. Il
Prefetto Sergio Bracco ha chiuso l’evento di presentazione del “Punto Italia”
ricordando che sarà presente in Germania anche un contingente proveniente dalla
Polizia Ferroviaria e dalla Polizia di Frontiera per affiancare la Polizia
locale nella fase di accoglienza e gestione della tifoseria italiana.
(Inform/dip 3)
Humbolt Universität di Berlino: a rischio l'istituto di italianistica
Berlino - C’è il “rischio concreto” che “l'istituto di italianistica della
Humbolt Universität chiuda per mancanza di fondi”. A comunicarlo è il
Presidente del Comites di Berlino, Federico Quadrelli, che ha rilanciato la
petizione del Dipartimento “per la salvaguardia dell’Italianistica
humboldtiana”.
L'istituto di italianistica della Humboldt “rappresenta un centro di
eccellenza nella diffusione della lingua e della cultura italiana”, ricorda
Quadrelli che, assicura, “in qualità di Presidente del Comites farò presente la
situazione agli interlocutori istituzionali con competenza in materia”.
Nella petizione, lanciata lo scorso 21 maggio e già sottoscritta da quasi
12mila persone, si ricorda anche la Giornata di mobilitazione e di dibattito
per la salvaguardia dei corsi di studi di Italianistica prevista il 26 giugno.
Il testo.
“Lo scorso febbraio, poco dopo aver ricevuto un giudizio oltremodo positivo
da parte della commissione di accreditamento, i membri del Consiglio d’Istituto
del Dipartimento di Romanistica della Humboldt-Universität di Berlino hanno
appreso con non poco stupore che il deficit di bilancio dell’Ateneo renderà a
quanto pare necessaria la soppressione delle due cattedre di Italiano
(rispettivamente di Linguistica e Letteratura) attualmente vacanti.
Ciò comporterà inevitabilmente la chiusura dei corsi di laurea in Italiano,
tanto per la triennale quanto per la specialistica (Master of Education). Il corpo
docente e tutto il personale dell’Istituto di Romanistica è unanimemente
convinto che tale decisione rappresenti un passo falso destinato ad avere
conseguenze fatali non solo per l’Istituto, ma anche per tutta la
Humboldt-Universität, che ne uscirebbe ridimensionata nella ricchezza e varietà
della ricerca e dell’insegnamento, il che assesterebbe un duro colpo al
panorama universitario berlinese, attualmente unico nel suo genere
nell’attirare studenti da tutto il mondo. Inoltre, è nostra convinzione che la
soppressione degli studi di Italianistica presso il nostro Ateneo avrà
ripercussioni anche nella ricezione della vita culturale della città di
Berlino, per i cui musei, teatri, cinema e sale da concerto l’Italia
rappresenta da sempre uno dei principali Paesi di riferimento.
Vi chiediamo, pertanto, di sostenere i nostri sforzi per la salvaguardia
dell’Italianistica humboldtiana firmando il presente appello e partecipando (in
presenza o da remoto) al “Dies Italicus. La Humboldt siamo (anche noi)! Giornata
di mobilitazione e di dibattito per la salvaguardia dei corsi di studi di
Italianistica” prevista per il 26 giugno p.v., h 10:00-17:30 (Lichthof, Unter
den Linden 6). Per maggiori informazioni si rimanda al sito dell’Istituto di
Romanistica: https://www.romanistik.hu-berlin.de/de”. (aise/dip 3)
Berlino. La Festa della Repubblica all’Ambasciata
Berlino – In occasione della Festa della Repubblica Italiana,
l’Ambasciatore d’Italia a Berlino Armando Varricchio ha ospitato il
tradizionale ricevimento, con la partecipazione di oltre mille ospiti tra
rappresentanti istituzionali e della comunità diplomatica, esponenti di spicco
del mondo economico, scientifico, accademico, culturale e dei media italiano e
tedesco, nonché numerosi membri della comunità italiana. Informa la nota
dell’Ambasciata. A rappresentare il governo tedesco, la Sottosegretaria
agli Affari Esteri Susanne Baumann, assieme alla Sottosegretaria e Capo
dell’Ufficio della Presidenza federale tedesca Dörte Dinger e a numerosi
altri membri di governo e autorità tedesche. “Il 2 giugno 1946 il popolo
italiano scelse la Repubblica. Una decisione che ha segnato l’inizio di un
processo di rafforzamento democratico che trova la sua massima espressione nel
primo voto a suffragio universale e nell’adozione della nostra amata Carta
Costituzionale. Questa data segnò anche un riscatto dalla tragica esperienza
del fascismo e della Seconda guerra mondiale e la rinascita del nostro
Paese, oggi protagonista tra le democrazie più avanzate”, ha detto l’Ambasciatore
Varricchio nel suo discorso, omaggiando inoltre la Costituzione tedesca,
nell’anno del 75esimo anniversario dalla sua proclamazione. “Con la Germania,
in questi mesi abbiamo rinnovato e rilanciato la nostra collaborazione con
il Vertice intergovernativo e un ambizioso Piano di Azione bilaterale”, ha
proseguito l’Ambasciatore, citando tra le prossime occasioni di incontro e
collaborazione, la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina che quest’anno
sarà ospitata dalla Germania e il prossimo Vertice G7 sotto Presidenza
italiana. Un proficuo e sentito dialogo rappresentato al più alto livello dal
rapporto di profonda intesa amicizia che lega i Presidenti
Mattarella e Steinmeier. Dopo aver ricordato la profondità dei
rapporti politici, economici, di cooperazione scientifica e culturali,
l’Ambasciatore Varricchio si è rivolto ai connazionali, esprimendo i più
sinceri auguri alla “nutrita e attiva comunità italiana che vive e lavora in
Germania, vero ponte tra i nostri Paesi e motore di una reale e fattiva integrazione
europea dei cittadini”. Gli interventi sono stati preceduti dagli inni
italiano, tedesco ed europeo, eseguiti dal Coro delle alunne e degli
alunni dell’Einstein Gymnasium di Berlino. Durante la serata, svoltasi a pochi
giorni dall’avvio del Campionato europeo maschile, grazie alla collaborazione
con la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), sono inoltre stati
esposti in Ambasciata i Trofei vinti dalla Nazionale italiana nel Mondiale 2006
e nell’Europeo 2020, come omaggio ai legami nati tra i nostri Paesi grazie allo
sport e al calcio. Dall’Ambasciata anche i ringraziamenti a tutti
gli sponsor che hanno contribuito a fare del ricevimento per la Festa
della Repubblica Italiana un evento speciale. (Inform/dip 3)
Iserlohn. Premiati i vincitori del concorso “Il migliore gol delle nostre
nazionali”
Iserlohn. Casa Azzurri, poche ore dopo la vittoria della Nazionale
nell’esordio a EURO 2024, si è riempita dell’entusiasmo dei bambini. A
Iserlohn, nell’area che ospita i tifosi azzurri e i partner della FIGC, c’è
stata la premiazione del concorso “Il migliore gol delle nostre nazionali: fai
gol anche tu!”, che ha visto coinvolti oltre 250 tra ragazze e ragazzi di 50
scuole e scuole calcio provenienti da 13 tedesche.
Un’atmosfera di grande festa a Casa Azzurri, con l’emozione dei docenti e
dei genitori degli studenti delle scuole primarie e secondarie, nonché dei
piccoli giocatori dei club di calcio giovanili: ragazze e ragazzi di tutta la
Germania che hanno preso parte con video, animazioni, fumetti e disegni
all’iniziativa, riproducendo con fantasia e creatività i gol più famosi delle
nazionali italiana e tedesca.
Per i vincitori, la premiazione ma anche la gioia di poter assistere alla
prima parte dell’allenamento della Nazionale, all’indomani della vittoria per
2-1 contro l’Albania.
Presenti l’ambasciatore d’Italia in Germania Armando Varricchio, il
presidente della FIGC Gabriele Gravina e il capo delegazione Gianluigi Buffon.
“Con la vostra partecipazione al concorso avete dimostrato non solo le
vostre abilità tecniche, ma soprattutto la capacità di lavorare in squadra e di
sognare in grande”, ha detto l’ambasciatore Varricchio rivolgendosi ai
vincitori. “Oggi celebriamo il vostro successo, ma anche lo spirito del calcio
che unisce i nostri Paesi e vive in ognuno di voi”.
“L‘iniziativa dell’Ambasciata italiana ha una valenza straordinaria perché
esalta le caratteristiche universali del gioco del calcio: la condivisione e la
partecipazione, soprattutto tra i giovani”, sono state le parole di Gravina.
“Le scuole e gli studenti rappresentano il futuro di una Nazione e della sua
società civile; coltivare la memoria dello sport rappresenta una bellissima
testimonianza di amicizia, che unisce Italia e Germania al di là della rivalità
calcistica. Ringrazio l’Ambasciatore Varricchio per aver scelto Casa Azzurri
come luogo della premiazione, qui si respirano gli stessi valori, quelli della
maglia Azzurra”.
“Quando il presidente mi ha chiesto di partecipare a questa iniziativa sono
stato felicissimo”, ha spiegato Buffon. “Mi piace stare tra i ragazzi,
confrontarmi con loro: con i loro sogni, con le loro paure, con i loro
obiettivi. Il calcio ha una grande forza: quella di unire. L’Italia è suddivisa
in Regioni, ognuna delle quali con un suo dialetto: ma quando c’è l’Italia il
campanilismo si lascia da parte e tifiamo tutti per la stessa cosa. Essere
stato portiere della Nazionale, aver vinto un Mondiale proprio qui in Germania,
è stato uno dei più grandi regali che la vita mi potesse fare. Ancora mi
emoziono, mi commuovo, voi e i vostri genitori mi trasmettete ricordi”.
Il concorso, a cui hanno partecipato più di 50 scuole e di 250 ragazzi, ha
visto come vincitori al primo posto la Scuola Döhrnstrasse di Amburgo, che ha
riprodotto un gol di Baggio del Mondiale del 1994; al secondo il Martin Behaim
Gymnasium di Norimberga, con il gol di Philipp Lahm nel 2008 e quello di
Helmuth Rahn nel 1954. Al terzo posto due classificati a pari merito: il
Wim-Wenders-Gymnasium di Düsseldorf con il gol di Grosso nella semifinale del
2006 segnato proprio a Dortmund (nello stadio che ieri ha ospitato
Italia-Albania) e la Finow Schule di Berlino con il gol di Tardelli nella
finale del Mondiale del 1982. La prima classificata nella sezione Opera artistica
è stata infine la 5c della Finow Schule di Berlino, che ha riprodotto con un
montaggio “artistico” il gol di Grosso alla Germania di 18 anni fa. (aise/dip
17)
Le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia a Monaco di Baviera
Monaco di Baviera - Le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia protagoniste
a Monaco di Baviera, nell’ambito di una cerimonia a cui hanno partecipato
numerosi rappresentanti delle istituzioni tedesche, ed ambasciatori e consoli
di vari Paesi del mondo. L’appuntamento, organizzato dal Consolato Generale
d’Italia, si è svolto il 3 giugno 2024, in occasione della Festa Nazionale
della Repubblica Italiana del 2 giugno, negli splendidi spazi della Glyptothek
di Monaco, illuminata in notturna con i colori della bandiera tricolore.
Ad accogliere il Presidente di Visit Emilia Simone Fornasari e il Direttore
Pierangelo Romersi, il Console Generale d’Italia a Monaco Sergio Maffettone.
"Attraverso le nostre eccellenze - ha commentato Fornasari - vogliamo
consolidare i ponti con un territorio che sta portando sempre più incoming
sulla nostra destinazione. Crediamo che la valorizzazione dei nostri prodotti
dell’enogastronomia, in contesti di prestigio come questo, permetta di svolgere
un ruolo chiave per la promozione di marketing territoriale di una terra unica
e speciale come l’Emilia".
Oltre 500 gli invitati, che dopo l’incontro istituzionale hanno potuto
assaporare il meglio dei prodotti tipici italiani, tra i vini piemontesi, il
tartufo, la pizza napoletana (con Luciano Sorbillo), il frico friulano, le
delizie preparate dai maestri cioccolatai torinesi e, per l’Emilia i pregiati
Salumi DOP Piacentini e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia,
portati dai rispettivi Consorzi.
"Lo scorso anno, in occasione delle Festa della Repubblica Italiana,
eravamo all’OCSE a Parigi e la nostra presenza si rivelò strategica e
funzionale – ha concluso il Presidente di Visit Emilia Fornasari -. Quest’anno
abbiamo accolto l’invito del Console Generale di Monaco che conobbi in
occasione della fiera del turismo F.RE.E dello scorso febbraio e siamo stati
davvero felici di raccogliere feedback così importanti nonché di instaurare
legami propedeutici allo sviluppo della nostra destinazione turistica".
(aise/dip 4)
Recenti puntate di Cosmo italiano, ex-Radio Colonia
07.06.2024 Riforme in arrivo per ospedali e medici di base in Germania
Il ministro federale della Sanità, Karl Lauterbach, ha fatto approvare in
Consiglio dei ministri una riforma che punta a riorganizzare la distribuzione
sul territorio e il finanziamento dei circa 1700 ospedali tedeschi. Dei
contenuti della riforma ce ne parla Enzo Savignano. Con il medico di Krefeld
(NRW), Lorenzo Bruno, parliamo, invece, dei tanti problemi che affrontano
quotidianamente i medici di base in Germania e quali riforme potrebbero
migliorare il loro lavoro e la cura dei pazienti. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/riforme-in-arrivo-ospedali-medici-di-base-germania-100.html
06.06.2024 Alluvioni in Baviera e non solo: come prevenire? L'emergenza nel
sud della Germania, colpita da gravi piogge e alluvioni, sta lentamente
rientrando: Passau e Regensburg le città più colpite. Ma come attenuare le
conseguenze e i danni dovuti al cambiamento climatico? Enzo Savignano ci parla
del dibattito politico tedesco. E di prevenzione e ricostruzione parliamo con
Ivan Mantovani, sindaco di Monterenzio, paese molto colpito dalle alluvioni in
Emilia-Romagna di un anno fa. E cosa sono le "città-spugna" di cui
ora si parla sempre di più?
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/alluvioni-germania-baviera-passau-regensburg-100.html
05.06.2024 La cultura del caffè italiano in Germania. Un buon caffè
italiano in Germania si trova oggi molto più facilmente rispetto ad alcuni anni
fa, e non solo nei bar italiani. Caffè stilosi, negozi di macchine per espresso
e piccole torrefazioni sono ormai presenti in tutte le principali città
tedesche. Ne parliamo con Graziano Chessa, maestro di torrefazione a
Düsseldorf, che da anni offre corsi di formazione certificati per baristi.
Degli effetti sulla salute, anche positivi e sorprendenti, parliamo con la
nutrizionista Valentina Valenti.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/caffe-italiano-tedesco-barista-germania-salute-100.html
04.06.2024 A 80 anni dal D-Day e dalla liberazione di Roma. 80 anni fa, a
distanza di due giorni una dall'altra, avvenivano due svolte fondamentali nella
storia della Seconda guerra mondiale: il 4 giugno 1944 veniva liberata Roma,
mentre il 6 gli Alleati sbarcavano in Normandia. Ripercorriamo quegli eventi e
le celebrazioni di oggi con il collega Enzo Savignano, con lo storico Lutz
Klinkhammer e con il documentarista David Orlandelli che ha realizzato un
lavoro su Radio Caterina, la radio clandestina degli Internati militari
italiani in Germania. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/sbarco-normandia-roma-liberazione-100.html
03.06.2024 Gli scandali che indeboliscono l'estrema destra tedesca
Clima pesante in Germania alla vigilia del voto europeo, si moltiplicano
gli episodi di intolleranza e violenza politica, ce ne parla Enzo Savignano.
Abbiamo raggiunto Tonia Mastrobuoni, corrispondente di Repubblica la cui
intervista a Maximilian Krah (AfD) ha causato la rottura con l'estrema destra
francese. Christoph Bautz ci parla delle iniziative di Campact che stanno
portando in piazza migliaia di persone contro la destra xenofoba.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/afd-crisi-krah-100.html
29.05.2024 Storie di migrazione al femminile in Germania. Che tipo di
percorso hanno seguito le donne italiane emigrate in Germania negli ultimi
decenni? Quali sono state le loro motivazioni e le loro esperienze? Ne parliamo
con donne di tre generazioni diverse: la sociologa studiosa della migrazione
Edith Pichler, la regista del documentario "Mutterland" Miriam
Pucitta, sui traumi dell’emigrazione, vissuta dalla madre anche come riscatto,
e Liliana Novelli, storica e autrice di un libro autobiografico. Con uno
sguardo al network di Rete Donne e.V. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/emigrazione-femminile-donne-italiane-germania-100.html
28.05.2024 La Buchmesse, i protagonisti italiani e Dacia Maraini
È ora nota la lista di autori che saranno alla Fiera del libro di
Francoforte 2024, che ha come ospite d'onore l'Italia. Oggi la presentazione
ufficiale del programma e del Padiglione Italia: Cristina Giordano c'è stata
per noi. E una dei protagonisti della Fiera - e della letteratura italiana - è
Dacia Maraini, con cui parliamo della sua prima Buchmesse e di quella in
arrivo, di storia e scrittura, guerra vissuta, emancipazione femminile ed
Europa.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/buchmesse-francoforte-italia-paese-ospite-100.html
27.05.2024 Speciale: la Firenze di Eike Schmidt, dall'arte alla politica
A tredici anni ha scoperto la passione per l'arte di Firenze, contribuendo
in età adulta al rilancio delle Gallerie degli Uffizi di cui è stato direttore
per ben due mandati. Heike Schmidt è uno storico dell'arte tedesco
naturalizzato italiano, uno dei massimi esperti e conoscitori di scultura
europea del Rinascimento e Barocco. Ci parla della sua candidatura a sindaco di
Firenze col Centrodestra, dei suoi progetti e della differenza nel mondo del
lavoro italiano e tedesco.
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Berlino. Assegnato il Premio 2024 per la traduzione italo-tedesca
Berlino - Si è svolta il 13 giugno, in Ambasciata a Berlino la cerimonia di
premiazione dei vincitori del Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend
2024 (ex Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria).
Ad annunciare congiuntamente i vincitori sono stati i ministri della
Cultura italiano, Gennaro Sangiuliano, e tedesca, Claudia Roth.
La cerimonia, ospitata dall’ambasciatore Armando Varricchio, ha visto
premiati eminenti traduttori letterari che contribuiscono alla reciproca
comprensione culturale tra Germania e Italia.
In occasione del conferimento di quest’anno è stata anche annunciata la
ridenominazione del “Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria”,
istituito nel 2008. Con Lavinia Mazzucchetti (1889-1965) e Ragni Maria Gschwend
(1935-2021), il Premio è ora intitolato a due traduttrici che si sono distinte
come grandi modelli di stile letterario e impegnate propugnatrici
rispettivamente della letteratura tedesca e italiana.
“Il Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend onora il lavoro dei
traduttori, tanto prezioso quanto troppo spesso sottovalutato”, ha dichiarato
la ministra tedesca Roth, per la quale “la ridenominazione del premio
sottolinea la grande importanza delle donne nell’arte della traduzione e onora
la straordinaria carriera di due eccezionali personalità letterarie, Ragni
Maria Gschwend e Lavinia Mazzucchetti. Il loro lavoro rimane un modello e
un’ispirazione per le generazioni future”.
Il ministro Sangiuliano, “nell’anno della partecipazione dell’Italia alla
Buchmesse di Francoforte come nazione ospite d’onore”, si è detto “lieto che il
Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend sia conferito a tre apprezzati
professionisti che hanno fatto conoscere al pubblico tedesco opere letterarie
italiane. Il traduttore svolge una essenziale funzione sociale”, ha aggiunto:
“accompagna i lettori alla scoperta di frammenti dell’identità culturale di un
altro popolo”.
I vincitori sono stati selezionati da una giuria di esperti composta da
Maike Albath, presidente della giuria, Florian Höllerer, Verena von Koskull,
Adrian La Salvia, Lothar Müller e Irina Rajewsky:
Annette Kopetzki ha ottenuto il premio principale di quest’anno per la sua
traduzione del romanzo di Stefano Massini “Qualcosa sui Lehman” (edizione
Hanser Verlag 2022).
”Vivace, smagliante, ammaliante: così”, si legge nella motivazione della
giuria, “appare la traduzione di Annette Kopetzki dell’epopea contemporanea di
Stefano Massini “Qualcosa sui Lehman”. La traduttrice ricrea la forma in versi
dell’originale con ingegno lessicale e virtuosismo ritmico, seguendo il flusso
linguistico con grande musicalità. Descrizioni lapidarie si alternano a
dialoghi arguti, il pathos biblico si contrappone all’umorismo cupo. Il
glossario dei termini ebraici e yiddish da lei compilato testimonia la maestria
con cui Kopetzki ha saputo padroneggiare la varietà delle stratificazioni
linguistiche. È merito dello slancio di Annette Kopetzki se le 850 pagine che
raccontano l’ascesa e la caduta di una dinastia scorrono lievi come piume”.
Karin Krieger ha ricevuto il premio alla carriera. “Da trent’anni Karin
Krieger firma traduzioni di notevolissima qualità. La sua vasta opera offre una
panoramica della letteratura italiana moderna e contemporanea con Alessandro
Baricco, Andrea Camilleri, Giorgio Fontana, Alba de Céspedes, Elena Ferrante e
Margaret Mazzantini, Claudio Magris e Ugo Riccarelli”, ha dichiarato la giuria.
Moritz Rauchaus è stato premiato per la sua impressionante traduzione del
“Trattatello in laude di Dante” di Boccaccio con il premio agli esordienti che
include un soggiorno a Villa Massimo a Roma.
Dal 2008 il Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend viene conferito
di anno in anno, a rotazione, a traduzioni dall’italiano al tedesco e
viceversa. Il premio – 10.000 euro per la migliore traduzione, 10.000 euro per
il premio alla carriera e una borsa di studio per una residenza come premio
esordienti – viene assegnato ogni due anni alternativamente a Roma e a Berlino
dall’Incaricata del Governo Federale per la Cultura e i Media (BKM) e dal
Ministero italiano della Cultura. Negli anni intermedi, traduttori e traduttrici
provenienti dalla Germania e dall’Italia si incontrano per diversi giorni per
approfondire lo scambio professionale e personale tra questi mediatori, che
sono fondamentali per le relazioni culturali tra i due Paesi.
I partner della cooperazione sono, oltre all’Ambasciata e all’Istituto
Italiano di Cultura di Berlino, anche il Literarisches Colloquium di Berlino,
Villa Massimo e il Goethe-Institut di Roma. (aise/dip 14)
Brevi di cronaca e politica tedesca
La disputa sul bilancio divide i partner di governo
Dopo la disastrosa sconfitta alle elezioni del Parlamento europeo,
l’alleanza tra alleati così diversi è entrata ormai in una crisi da non poter
escludere il fallimento. Fra le questioni attualmente in discussione tra
Socialdemocratici, Verdi e Liberali, il più grande pericolo si cela nelle
trattative in corso per il bilancio pubblico del 2025. Perché qui ne va
dell’essenza dei programmi dei partiti. Da mesi i partiti della coalizione
semaforo sottolineano che la pianificazione finanziaria possa rappresentare il
punto di rottura nella coalizione. I numerosi vertici tra il Cancelliere Olaf
Scholz (SPD), il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) e il ministro
delle Finanze Christian Lindner (FDP) sono finora senza risultati. Le posizioni
dei partner sono inconciliabili. Il ministro Lindner chiede una rigorosa
politica di austerità per rispettare il freno all’indebitamento prescritto
dalla Costituzione tedesca. Nell’SPD, invece, si avanzano richieste per evitare
ulteriori tagli a causa dell’emergenza della guerra in Ucraina.
Anche il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi) si oppone agli
obiettivi di risparmio del ministro Lindner e chiede, tra le altre cose,
investimenti per l’Ucraina. Il suo ammonimento: “Sarebbe fatale dover dire tra
qualche anno: abbiamo salvato il freno all’indebitamento, ma in cambio abbiamo
perso l’Ucraina e l’ordinamento di pace europeo”. E all’interno della
coalizione non mancano altre controversie come un disaccordo tra il Cancelliere
Scholz e il ministro Baerbock in merito a possibili nuove sanzioni contro la
Russia. Il temporeggiamento del Cancelliere nell’adozione di ulteriori sanzioni
è stato descritto dal ministro degli Esteri davanti ai media come “dannoso per
l’immagine della Germania”.
Il Segretario generale dell’FDP Bijan Djir-Sarai chiede a nome dei Liberali
una riduzione delle prestazioni statali per gli ucraini che fuggono in Germania
dalla guerra di aggressione russa. In futuro, i nuovi profughi di guerra
provenienti dall’Ucraina non dovranno più ricevere l’indennità di cittadinanza,
ma solo le prestazioni dovute ai richiedenti asilo. Richieste simili erano già
pervenute diverse volte da CDU/CSU. Il politico dell’FDP ha inoltre dichiarato:
“Abbiamo una carenza di manodopera ovunque, ad esempio nella ristorazione,
nell’edilizia o nel settore sanitario. Non dovremmo più finanziare la
disoccupazione con i soldi dei contribuenti, ma dobbiamo assicurarci che le
persone riescano a entrare nel mondo del lavoro“.
La Germania preoccupata per le prossime elezioni regionali
Anche qui potrebbe decidersi il destino del governo semaforo, perché a
circa due mesi e mezzo dalle elezioni regionali in Turingia, si profila una
sconfitta schiacciante per i tre partner di governo. La CDU non potrà trarne
però alcun vantaggio: secondo gli ultimi sondaggi, l’AfD è saldamente al primo
posto con il 28% delle preferenze. Contando anche i populisti neomarxisti e
filo-putiniani della nuova alleanza Bündnis Sarah Wagenknecht (BSW), stimata al
21%, il partito non arriverebbe nemmeno alla maggioranza, dato che le stime per
la CDU si attestano al 23%. Per quanto riguarda gli altri partiti invece, l’SPD
è data al 7%, la Sinistra (Die Linke) all’11% (e anche in questo caso, contando
anche la CDU, il totale sarebbe il 41% delle preferenze).
Con il 4%, i Verdi non sarebbero più rappresentati nel Landtag, stessa cosa
per l’FDP, che si avvierebbe verso il crollo. Poiché finora tutti gli altri
partiti hanno escluso un’alleanza con l’AfD, allo stato attuale con un tale
risultato si potrebbe prendere in considerazione solo la formazione di un
governo con la partecipazione della BSW. La CDU è al momento alle prese con una
lotta interna per decidere se, in caso di emergenza, entrerebbe a far parte di una
coalizione con la BSW, al fine di consentire un governo regionale stabile. In
autunno toccherà anche ad altri due Länder della Germania est: in Sassonia si
voterà il 1° settembre, come in Turingia, e in Brandeburgo il 22 settembre.
La Germania perde posizioni come piazza economica
Cosa ha in comune la Germania come polo economico con il Venezuela? A prima
vista le cose in comune tra una delle maggiori economie globali e lo Stato
socialista non sono molte. Ma se si tratta di valutare la flessibilità con cui
l’economia reagisce ai cambiamenti, Germania e Venezuela sono sullo stesso
piano come emerge da uno studio condotto dal World Competitiveness Center
(WCC), che suona come una resa dei conti con il governo della coalizone
semaforo. Gli esperti del think tank attribuiscono l’attuale debolezza della
Germania come piazza economica anche alle conseguenze della guerra in Ucraina.
Ma i problemi sono anche di natura interna: in un sondaggio all'interno dello
studio, condotto tra i dirigenti di varie aziende, si legge che “il tipico
amministratore delegato tedesco oggi è molto più pessimista di tre anni fa”.
Secondo quanto emerso dallo studio, per i manager gli alti livelli di
tassazione rappresentano uno svantaggio particolarmente grave nell’ambito della
competitività. In questo settore, la Germania si colloca solo al 62° posto su
un totale di 67 Stati esaminati. La Germania è indietro anche per le condizioni
quadro politiche per le start-up e la burocrazia. Ciò mostra ripercussioni
anche sulla valutazione diretta della coalizione di governo: solo circa il 5%
dei dirigenti ritiene che il governo rosso-verde-giallo (colori rispettivamente
di SPD, Verdi e FDP) lavori in modo competente, e solo il 12% degli
intervistati ritiene che la Germania abbia un ambiente vantaggioso per gli
affari. In termini di “efficienza di governo” complessiva, la Germania si
colloca al 32° posto su 67. Un crollo notevole, dato che fino a pochi anni fa
era tra le posizioni 21 e 24.
Le spese per la difesa salgono a livelli record
La Germania ha notificato alla NATO per l’anno in corso una spesa per la
difesa stimata a 90,6 miliardi di euro per raggiungere l’obiettivo del 2%
prefissato dall’Alleanza. Secondo una nuova sintesi emersa della sede centrale
della NATO, la somma record corrisponde a una quota del prodotto interno lordo
tedesco previsto pari al 2,12%.
La quota sarebbe quindi più alta di quanto stimato all’inizio dell’anno.
Sullo sfondo della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, la Germania si
è impegnata a raggiungere quest’anno per la prima volta l’obiettivo di spesa
per la difesa concordato dalla NATO nel 2014, il quale prevede che gli Stati
membri destinino annualmente almeno il 2% del loro prodotto interno alla
difesa. La nuova situazione di minaccia in Europa ha riacceso da qualche tempo
in Germania la discussione su una possibile reintroduzione del servizio di leva
obbligatorio. Poco più della metà dei cittadini (55%) si mostra favorevole,
mentre il 42% è contrario.
Dimissioni a Magonza: un nuovo problema per la SPD
È uno dei governatori più amati della Germania, stimata e riconosciuta per
la sua umanità al di là degli schieramenti di partito. Ora però Malu Dreyer
(SPD), da dodici anni capo di governo del Land Renania-Palatinato (capoluogo
Magonza), è costretta a dimettersi per motivi di salute. Nonostante le insidie
della sclerosi multipla di cui è affetta, la leader dell’SPD aveva dimostrato
come sia possibile svolgere anche funzioni importanti, diventando quindi un
modello per tantissime persone colpite dalla stessa patologia, senza mai
nascondere la sua sofferenza e affrontando a viso aperto la sua malattia.
Ora per i Socialdemocratici si presenta un nuovo problema, considerando
infatti che le ultime due vittorie elettorali del partito sono state
principalmente dovute alla persona di Dreyer. L’SPD teme ora che la
Renania-Palatinato, governata dalla CDU fino al 1991, possa ritornare ai
Cristiano-democratici.
Mosca chiude l’Istituto Storico Germanico
L’Istituto Storico Germanico di Mosca (DHI) è stato dichiarato dalle
autorità russe “organizzazione non gradita”. Il ministero della Giustizia russo
ha inserito l’istituto nella lista nera delle cosiddette “organizzazioni di
agenti”. Da adesso quindi la struttura è di fatto vietata in Russia. L’Istituto
aveva cessato le sue attività già nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Fondato nel 2005, l’Istituto Storico Germanico fa parte di undici
istituti di ricerca umanistica attivi all’estero. Anche a Roma vi è una sede.
La sede di Mosca aveva condotto ricerche sulle relazioni russo-tedesche e sulla
storia della Russia sovietica, promuovendo anche la collaborazione tra storici
tedeschi e russi.
Il ministero degli Esteri tedesco ha espresso dure critiche nei confronti
della decisione: “Il fatto che la Russia abbia ora dichiarato l’Istituto
organizzazione non gradita mostra ancora una volta la paura di Putin di un
confronto scientifico con la storia”, aggiungendo quindi che “le leggi russe
sono incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (…) Agendo
in questo modo, Putin vuole mettere a tacere anche le ultime voci critiche
presenti nel suo Paese”. Anche la Fondazione Konrad Adenauer ha dovuto chiudere
il suo ufficio a Mosca nel marzo 2022 per via della “legge sugli agenti
stranieri”.
Luoghi in Germania: Gelsenkirchen
I campionati europei di Germania non producono sempre e solo notizie
positive. Stavolta sono stati i tifosi inglesi, che nei social media hanno
descritto la sede per le partite del girone della loro nazionale come un
“postaccio” (abbiamo scelto un eufemismo…), con tanto di foto pubblicate nei
social network. Da allora, stampa britannica e tedesca sono ai ferri corti.
Gelsenkirchen, dove giocherà la nazionale italiana contro la Spagna questa
sera (20 giugno), con i fumi delle officine della Ruhr (Land Renania
Settentrionale-Vestfalia, 260.000 abitanti), ex centro di estrazione del
carbone e sede di acciaierie, ha molti problemi sociali e non è una meta
turistica. Ma l’arena “Auf Schalke”, dove gioca in casa l’omonima squadra della
Seria A tedesca, è uno degli stadi più moderni della Germania. In tedesco c’è
un proverbio che in italiano suona letteralmente più o meno così: “Chi vuole
una cosa, deve prendere anche l’altra”. Il pacchetto va preso completo.
Sconfitta elettorale: i partiti della coalizione rifiutano le elezioni
anticipate
Dopo la netta vittoria elettorale di CDU e CSU (30%), la coalizione
semaforo ha respinto le richieste di elezioni anticipate per i suoi risultati
disastrosi alle elezioni europee. “Le prossime elezioni si svolgeranno
regolarmente nell’autunno del 2025, e così abbiamo intenzione di attuarle”,
queste le affermazioni provenienti dal governo. Dopo le significative perdite
soprattutto dell’SPD (13,9%) e dei Verdi (11,9), la CDU ha avanzato richieste
per porre la questione di fiducia nei confronti del Cancelliere Olaf Scholz
(SPD) in Parlamento e ha chiesto nuove elezioni per il Bundestag. Il leader
della CSU Markus Söder ha invitato Scholz alle dimissioni e ha affermato che il
governo semaforo non ha più alcuna legittimazione tra la popolazione.
Rincarando la dose, ha parlato di “crollo totale” e di una completa perdita di
fiducia nei confronti del governo. Il leader dell’FDP Christian Lindner non ha
dubbi sulla leadership del Cancelliere Scholz. “Perché dovrebbe essere cambiato
qualcosa? Abbiamo un programma di governo comune, un accordo di coalizione su
cui lavoriamo insieme. E finché tutti si riconoscono nei fondamenti di
quest’accordo di governo, non c’è motivo di mettere in discussione la fiducia”,
secondo il ministro Lindner. Tuttavia, il ministro ha chiesto alla coalizione
semaforo di “prendere sul serio il risultato di queste elezioni europee”.
L’FDP ha raggiunto il 5,2% evitando una caduta sotto l’importante soglia di
sbarramento “psicologica” del 5%, che in Germania si applica ai risultati delle
elezioni federali. Nelle elezioni europee invece, a seguito di una sentenza
della Corte costituzionale, non vi è alcuna clausola che ponga una soglia di
sbarramento per l’accesso al Parlamento europeo. Tutti i partiti democratici
hanno espresso forte preoccupazione per i risultati dell’estrema destra
dell’AfD, che nonostante una serie di scandali attorno al suo capolista, alle
vicende di spionaggio, ai curriculum falsificati e all’espulsione dal gruppo
parlamentare europeo dei radicali di destra antieuropeisti (ID – Identità e
Democrazia) è comunque arrivato al 15,9%, diventando così il secondo partito
dietro CDU/CSU. Da questo punto di vista è andata bene anche a Bündnis Sarah
Wagenknecht (BSW) dell’omonima esponente della sinistra Sarah Wagenknecht, che
ha portato a casa il 6% dei voti.
Vittoria elettorale: CDU e CSU a fianco di Ursula von der Leyen
Dopo la vittoria del Partito Popolare Europeo (PPE), CDU/CSU insistono
affinché il Cancelliere Olaf Scholz proponga al Consiglio europeo la Presidente
uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen per il secondo mandato.
Il leader della CDU Friedrich Merz, riferendosi ai partiti della coalizione
semaforo, ha sottolineato che “i perdenti delle elezioni non hanno condizioni
da porre”, ricordando ai Socialdemocratici, ai Verdi e ai Liberali che prima
delle elezioni “si erano impegnati a rispettare il principio dello
Spitzenkandidat”, il candidato di punta. Coerentemente con ciò, “il gruppo
parlamentare più forte del Parlamento europeo è nella posizione di occupare il
vertice della Commissione”. Il risultato è “un completo disastro per i partiti
di governo”, ha dichiarato Merz dopo le riunioni degli organi direttivi della
CDU a Berlino, aggiungendo anche che “i Verdi sono stati i grandi perdenti
delle elezioni”. CDU/CSU hanno ottenuto un risultato significativamente
migliore rispetto alle elezioni federali del 2021, anche se con il risultato
del 30% per Merz i partiti si collocano nella soglia minima delle sue
aspettative. Pertanto, “la CDU non si adagerà, ma considererà tale esito come
uno stimolo”.
Riferendosi alle imminenti campagne elettorali per i Parlamenti regionali
della Germania est, il leader Merz ha ricordato che “il fatto che l’AfD sia
diventato il partito più forte nelle elezioni europee nei Länder della Germania
est rappresenta una grande sfida per tutti i partiti. “L’AfD è il partito che al
momento beneficia maggiormente della coalizione semaforo”, e “molti elettori
sono migrati direttamente dall’SPD verso l’AfD perché insoddisfatti”. La CDU
considera quindi le prossime sfide elettorali regionali “un mandato per
prestare particolare attenzione alle esigenze e alle preoccupazioni delle
popolazioni locali.”
Parallelamente alle elezioni europee, si è votato in otto Länder per le
elezioni comunali. Nei Länder della Germania est del Brandeburgo, del
Meclemburgo-Pomerania Anteriore, della Sassonia-Anhalt e della Sassonia, l’AfD
è risultato in testa. Con questi risultati, l’AfD potrà portare la maggior
parte dei suoi politici nei parlamenti comunali della Germania est. Lì, in
autunno verranno eletti i nuovi parlamenti regionali.
Zelenskyj in visita a Berlino parla al Bundestag
Nel suo discorso al Bundestag tedesco il Presidente Zelensky ha dichiarato
che “l’Ucraina sta conducendo questa guerra anche nell’interesse di tutta
l’Europa”, per cui “è nel nostro interesse comune che Putin perda questa guerra”,
auspicando che l’ ”Europa torni a essere un continente di pace”. Il Presidente
ucraino Zelenskyj ha ringraziato la Germania per l’accoglienza dei rifugiati
ucraini e il sostegno nella guerra contro la Russia, supporto avvenuto grazie
alla fornitura di sistemi di difesa aerea, tali sistemi Patriot, che “hanno
permesso di salvare migliaia di vite in Ucraina”. Il Presidente ucraino ha
messo in guardia da una divisione del suo Paese causata dalla guerra di
aggressione russa e ha tracciato un parallelo con la Germania divisa durante la
Guerra fredda: “L’Europa divisa non è mai stata pacifica. E la Germania divisa
non è mai stata felice. Potete quindi capire perché lottiamo così duramente
contro i tentativi della Russia di dividere l’Ucraina. Perché stiamo facendo di
tutto per impedire che venga costruito un muro tra il nostro Paese“, ha
ribadito il Presidente Zelenskyj.
Guardando alla conferenza di pace in Svizzera, il Presidente Zelenskyj si è
mostrato ottimista. Il Presidente ucraino si era recato a Berlino per
presenziare alla conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina. Durante il
discorso del Presidente ucraino ha suscitato scalpore la decisione dei gruppi
parlamentari filo-russi di AfD e dei populisti di sinistra di BSW di uscire
volutamente dall’aula come “atto dimostrativo di protesta”.
Commemorazione a Oradour-sur-Glane: i Presidenti Steinmeier e Macron
difendono la libertà in Europa
Di fronte all’ascesa dei partiti di estrema destra e dei populisti alle
ultime elezioni europee, il Capo di Stato Frank-Walter Steinmeier ha esortato
alla difesa di un’Europa cosmopolita e pacifica. “Non dimentichiamo mai ciò che
il nazionalismo e l’odio sono stati capaci di provocare in Europa”, ha ammonito
il Presidente a Oradour-sur-Glane, nella Francia occidentale, a una cerimonia
di commemorazione delle vittime del massacro delle SS avvenuto in questo luogo
esattamente 80 anni fa. “Non dimentichiamo mai il miracolo della
riconciliazione che l’Unione Europea è stata in grado di realizzare.
Proteggiamo la nostra Europa unita! E non dimentichiamo mai il valore della
libertà“.
Steinmeier ha reso omaggio alle vittime del massacro a Oradour-sur-Glane
insieme al Presidente francese Emmanuel Macron. Il 10 giugno 1944 i membri di
una divisione delle SS sterminarono il villaggio, uccidendo 643 tra uomini,
donne e bambini e dando completamente alle fiamme il paese. Pochi sopravvissero
alla carneficina. Le rovine del villaggio sono state conservate, e oggi sono
diventate un monumento commemorativo. Il Presidente Steinmeier ha anche
ricordato lo sbarco in Normandia avvenuto pochi giorni prima del massacro di
Oradour-sur-Glane, con il quale gli Alleati, pur subendo gravi perdite,
portarono la liberazione in Francia e, in definitiva, in Germania: “Anche oggi
occorre affermare la necessità di combattere ogni giorno per la libertà e la
nostra difesa”.
Elezioni europee: i vescovi si schierano contro il nazionalismo
Anche nella Chiesa si analizzano i risultati delle elezioni. Il cardinale
Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, ha ammonito che “per
preservare la democrazia, la libertà e la nostra sopravvivenza, abbiamo bisogno
di progetti di intesa come l’Unione europea”. Per questo la Chiesa deve far
sentire la sua “forte voce contro ogni nazionalismo”. Nonostante l’aumento dei voti
per partiti spesso definiti euroscettici, “non è affatto vero che la
maggioranza abbia votato a favore dei partiti estremisti e quindi contro
l’Unione europea.
Al contrario, più di due terzi degli elettori hanno votato per questa
Unione e per l’intesa“. Il vescovo Franz-Josef Overbeck di Essen, che ricopre
anche la carica di vescovo militare tedesco, ha dichiarato che il risultato
delle elezioni dimostra “che le forze democratiche ed europeiste sono uscite
rafforzate nel loro insieme”. Tuttavia, l’ascesa dei partiti della destra
populista deve rappresentare un monito: “Dobbiamo difendere la nostra
democrazia con tutte le nostre forze. La democrazia non è scontata, ma ha
bisogno di un impegno sostanziale”.
Europei di calcio: la Germania pronta al fischio d’inizio
Da venerdì 14 giugno, tutti i tifosi di calcio terranno gli occhi puntati
su Monaco di Baviera, da cui prenderà il via ufficiale il campionato europeo di
calcio, ospitato in Germania. Le misure di sicurezza sono senza precedenti, ma
l’atmosfera è elettrizzante. In occasione della grande celebrazione che
precederà la partita inaugurale nell’arena della metropoli bavarese, la
Federazione Europea di Calcio UEFA renderà omaggio alla superstar del calcio
tedesco Franz Beckenbauer, scomparso a gennaio scorso, con sua moglie Heidi che
porterà il trofeo sul campo dello stadio.
Prima della partita di inizio della nazionale tedesca, che giocherà contro
la Scozia alle 21:00, la signora Beckenbauer sarà accompagnata da Jürgen
Klinsmann e Bernard Dietz, capitani dei titoli europei conquistati nel 1996 e
1980. Franz Beckenbauer è stato il giocatore leader del primo trionfo agli
Europei della Germania nel 1972. La cerimonia di apertura onorerà quindi tutti
e tre i campioni d’Europa della Germania. “Kaiser” Beckenbauer, è morto a
gennaio all’età di 78 anni. Tra i tanti successi, ricordiamo che nel 1974 fu
campione del mondo come giocatore e nel 1990, allo stadio Olimpico di Roma,
nuovamente campione, come allenatore della nazionale tedesca.
Luoghi in Germania: Iserlohn
Nel nostro viaggio alla scoperta della Germania, oggi vi portiamo a
Iserlohn, una città immersa nella foresta al confine con l’area metropolitana
del Ruhrgebiet. Iserlohn, fondata circa 800 anni fa e il cui nome si traduce
come "foresta di metallo", è famosa per le sue vaste aree forestali e
la storica industria metallurgica, oltre a ospitare il più grande museo delle
grotte della Germania, la Dechenhöhle.
Proprio qui, la Nazionale Italiana si trova in ritiro prima dell’imminente
Campionato Europeo di Calcio in Germania, che vedrà la Squadra Azzurra aprire
il torneo incontrando l'Albania sabato 15 e poi la Spagna giovedì 20 negli
stadi vicini di Dortmund e Gelsenkirchen, sedi delle rivali storiche Borussia
Dortmund e Schalke 04. Auguriamo alle nostre nazionali un buon campionato.
CDU/CSU lottano per Ursula von der Leyen
Il Presidente del PPE e candidato di punta della CSU, Manfred Weber,
promuove la candidatura di Ursula von der Leyen come Presidente della
Commissione. Alla domanda: se il PPE sia disposto a collaborare anche con
Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Weber risponde che considera il governo
Meloni come costruttivo e pronto a una collaborazione congiunta sui progetti.
Il Presidente Weber elogia, inoltre, il patto sui migranti e difende le
procedure d' asilo nei Paesi terzi.
Come laureato in Ingegneria ambientale, Weber si dice orgoglioso degli
aspetti del Green Deal, ma pronto a rinegoziare la neutralità climatica entro
il 2050 e a ritirare la decisione di sospendere il bando sui motori a
combustione interna per il 2035, affermando che: “già oggi gli automobilisti
possono fare rifornimento di gasolio a impatto climatico zero”. Per quanto
riguarda invece l’invasione di auto provenienti dalla Cina, il Presidente Weber
è intenzionato a proporre interventi sul mercato per garantire “una concorrenza
leale”. Se la Cina fa dumping sui prezzi ricorrendo a sovvenzioni statali,
l’Europa deve reagire adottando una linea più dura e aumentando i dazi. Il
punto è proteggere i posti di lavoro per il leader del PPE.
L’SPD difende la politica sull’Ucraina
Nella sua campagna elettorale, la candidata dell’SPD Katharina Barley,
attualmente Vicepresidente del Parlamento europeo, promuove lo slogan “Pace e
chiarezza”. Ma alla critica che l’SPD non riesce a trasmettere chiarezza sulla
guerra in Ucraina – ad esempio sul tema dell’uso delle armi tedesche da
utilizzare contro obiettivi in Russia, Barley risponde: “Chiarezza significa
ciò è consentito dal diritto internazionale”, perché “se si viene attaccati, si
può anche sparare nel territorio dell’avversario, se questo impedisce o porta a
termine un attacco.”
Tuttavia, chiarezza non significa che il Cancelliere Olaf Scholz sia tenuto
a rivelare gli accordi in vigore con l’Ucraina, che rimangono per buone ragioni
di sicurezza segreti. Nella politica migratoria, la Vicepresidente Barley
promuove un maggiore sostegno europeo per i comuni e le città che accettano
volontariamente di accogliere i rifugiati. In Polonia, ad esempio, “le città
sarebbero state disposte ad accogliere i rifugiati, ma non il governo centrale
di Varsavia”. In definitiva, “chi ha bisogno di lavoratori o ha spazio per
accogliere le famiglie dovrebbe ricevere delle sovvenzioni”, sostiene Barley.
I Verdi difendono il “Green Deal”
La politica climatica occupa soltanto il quarto posto tra i temi principali
di queste elezioni. La capolista Terry Reintke, finora in gran parte
sconosciuta, ammette che i Verdi potrebbero aver commesso errori, “ma non fare
nulla sarebbe stato l’errore più grande”. La crisi climatica e la guerra in
Ucraina hanno generato pressioni legate alle azioni da intraprendere. Proprio
la guerra in Ucraina ha dimostrato l’importanza del Green Deal, “essendo questo
un accordo volto a promuove l’indipendenza energetica da autocrati come
Vladimir Putin, mentre l’elevata inflazione è una conseguenza diretta della
dipendenza a cui l’Europa è stata soggetta negli anni precedenti”.
Reintke esprime forti critiche verso il patto sulla migrazione, appoggiato
dai Verdi nel governo federale, definendo la soluzione dei Paesi terzi come
“altamente problematica”. Tra gli obiettivi dei Verdi vi è anche l’abolizione
del principio dell’unanimità nell’UE. Considerato che le grandi sfide possono
essere risolte solo a livello europeo, l’Europa deve essere messa in grado di
agire, per questo “non è ammissibile che nella questione della solidarietà con
l’Ucraina il Primo ministro ungherese Viktor Orbán tenga in ostaggio l’UE per
imporre i propri interessi”.
L’FDP vuole rafforzare Frontex
“Eurofighter”, questo il soprannome nei media tedeschi della candidata di
punta dell’FDP, Marie-Agnes Strack-Zimmermann che si pone l’obiettivo di
rafforzare la capacità di difesa dell’Europa. Su questo tema: “l’Europa, deve
puntare a un approvvigionamento congiunto e, concentrandosi sui propri punti di
forza, potrebbe accrescere notevolmente la propria efficienza”, questa
l’opinione di Strack-Zimmermann. L’obiettivo è favorire una maggiore
deterrenza. Per quanto riguarda l’Ucraina, Strack-Zimmermann intende
intensificare il sostegno: “Stiamo agendo, ma non abbastanza in fretta.
Ciò lo ha dimostrato, ancora una volta, il dibattito sulle armi occidentali
da impiegare contro obiettivi in Russia”. Per quanto riguarda il tema
migrazione, Strack-Zimmermann intende rafforzare l’Agenzia di frontiera europea
Frontex, che dovrà anche occuparsi del salvataggio in mare. La leader dell’FDP
sottolinea anche come sia necessario tenere presente che le persone non vengono
in Europa “perché da noi è tutto così bello”, ma perché non vi sono
alternative.
Gli hacker attaccano la sede CDU
Nel mezzo della campagna elettorale europea, aumentano gli attacchi hacker
alle istituzioni e ai partiti. Ora è la CDU ad aver subito un attacco
informatico. Il governo ha coinvolto dei Servizi segreti interni a causa della
sua gravità. “Le procedure attuate indicano un autore molto professionale”, ha
dichiarato il Segretario generale della CDU, Carsten Linnemann, che ha definito
l’attacco “eclatante” e, pur non fornendo ulteriori dettagli, ha dichiarato che
tutti i server sono andati in down, e che per un primo momento non si era
capito se fossero stati interessati dati sensibili. Come misura precauzionale,
l’intera infrastruttura IT nella sede del partito è stata rimossa dalla rete e
isolata. Il Segretario generale Linnemann ha comunicato inoltre che la CDU sta
ora lavorando a stretto contatto con le autorità di sicurezza e altri esperti
di sicurezza esterni per limitare i danni.
Nel frattempo, il ministero dell’Interno ha allertato tutti i partiti del
Bundestag: “Le nostre autorità di sicurezza hanno potenziato tutte le misure di
protezione contro le minacce digitali e ibride e stanno esaminando a fondo i
pericoli. Ancora una volta osserviamo quanto sia necessario intraprendere tali
misure proprio prima delle elezioni“.
A Berlino, dietro gli attacchi si sospetta il coinvolgimento diretto della
Russia. Gli episodi di violenza a scapito dei politici si sono verificati
ripetutamente anche nelle campagne elettorali su strada. In un gazebo
elettorale nel Baden-Württemberg, l’esperto di difesa della CDU del Bundestag,
Roderich Kiesewetter, è stato aggredito e ferito fisicamente. Questo è solo
l’ultimo episodio di un’intera catena di attacchi ai politici. La settimana
precedente, il rappresentante di un piccolo partito populista di destra era
stato attaccato da un islamista con un coltello, e il poliziotto corso in suo
aiuto è stato aggredito, morendo poi a causa delle ferite riportate.
La coalizione semaforo non raggiungerà gli obiettivi climatici
Si tratta di un chiara battuta d’arresto per il ministro dell’Economia
Robert Habeck (Verdi) : secondo gli esperti nominati dal governo tedesco, la
Germania non sarà in grado di raggiungere i suoi obiettivi climatici entro il
2030. La legge sulla protezione del clima della coalizione semaforo prevede la
riduzione del 65% delle emissioni di gas entro il 2030 rispetto al 1990. Entro
il 2040 il calo dovrà essere pari all’88%, e nel 2050 la Germania dovrà
rilasciare solo la quantità di emissioni di gas serra che può essere nuovamente
assorbita – e quindi diventare neutrale dal punto di vista climatico. Secondo i
pareri degli esperti, anche gli obiettivi per il 2040 non saranno raggiunti,
stessa cosa per la neutralità climatica, presumibilmente “mancata” entro il
2050. Ciò contraddice chiaramente le ultime dichiarazioni del governo: “Se manteniamo
la rotta, raggiungeremo i nostri obiettivi climatici entro il 2030”, aveva
ribadito il ministro Habeck (Verdi) a marzo.
Il consiglio degli esperti ritiene invece che le emissioni di gas serra
previste entro il 2030 siano state finora sottostimate. Ne è un esempio
l’industria, che nell’ultimo periodo ha rilasciato nell’atmosfera meno anidride
carbonica, fatto questo da imputare alla debolezza della congiuntura economia.
Fatta eccezione per l’agricoltura e la gestione dei rifiuti, il consiglio ritiene
che, anche in altri settori, i dati previsti dal governo siano troppo
ottimistici.
La Chiesa si oppone all’estremismo
“Andare alle periferie come Chiesa”, chiede Papa Francesco. Questo è ciò
che hanno fatto i cattolici tedeschi nel loro incontro da poco concluso a
Erfurt (Turingia). Qui la percentuale di cattolici è di poco inferiore al 10%,
mentre i protestanti sono leggermente più numerosi; ma la stragrande
maggioranza degli abitanti della Germania est è aconfessionale. Al termine
della Giornata dei cattolici, il Presidente della Conferenza episcopale tedesca
Georg Bätzing ha dichiarato: “I giorni trascorsi a Erfurt ci hanno permesso di
osservare chiaramente la posizione attuale che occupiamo in quanto Chiesa nei
nostri dibattiti interni e nella società”. Il vescovo ha inoltre sottolineato
che “non ci deve essere alcuni spazio per l’estremismo di destra e
l’antisemitismo. La democrazia deve essere difesa e vissuta ogni giorno“.
In apertura, il Capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier si era rammaricato
del fatto che: ”le Chiese stiano subendo una così grande perdita di consenso e
fiducia. I cambiamenti sono piuttosto drammatici”. Intervenendo con il suo
saluto, Papa Francesco aveva fatto appello alla promozione: “della cura verso la
natura, alla giustizia verso i poveri, all’impegno nei confronti della società,
alla difesa della vita e della famiglia e alla difesa della dignità di ogni
vita umana”.
Luoghi in Germania: Passau
Una delle città più belle della Germania: a Passau (52.000 abitanti,
Baviera, al confine con l’Austria), su una lingua di terra alla confluenza dei
fiumi Danubio, Inn e Ilz, il Medioevo e il Barocco si incontrano a formare
un’architettura unica. Ma la posizione ha le sue insidie: gli abitanti della
cosiddetta “città dei tre fiumi” vengono ripetutamente colpiti da inondazioni.
Questa volta la situazione è stata particolarmente grave: l’intero centro
storico intorno alla cattedrale è finito sott’acqua. Anche se i livelli dell’acqua
sono destinati presto a scendere, i danni risultano enormi. Il Cancelliere Olaf
Scholz, insieme al governatore della Baviera Markus Söder, ha visitato l’area
colpita dall’alluvione, promettendo aiuti tempestivi. Ciò vale anche per le
altre zone colpite dalle alluvioni della Baviera e del
Baden-Württemberg. Kas 20
Il voto europeo a Friburgo/Brsg: italo-tedeschi a Strasburgo e in Consiglio
comunale
Friburgo - “Pochi giorni or sono siamo andati a votare per eleggere i
nostri rappresentanti in Europa e nel consiglio comunale di Friburgo. Facciamo
i nostri complimenti ed auguri a due eletti che hanno una cittadinanza sia
italiana che tedesca”. Così il Comites di Friburgo che, ad una settimana dal
voto, dà conto dell’elezione di Vivienne Costanzo al Parlamento Europeo e
Franco Orlando al consiglio comunale di Friburgo.
Vivienne Costanzo, riporta il Comites, “ha la cittadinanza italiana e
tedesca. I nonni sono emigrati negli anni 60 e i genitori sono rimasti in
Germania. Lei vive dal 2014 a Friburgo. È nata in Asia nel 1990, si è laureata
in diritto commerciale e ha conseguito un master in diritto sociale. È iscritta
al SPD dal 2006 ha svolto copyright SPD MBK e svolge molte attività politiche
di rilievo sociale ed internazionale. È animatrice e co-fondatrice di numerose
iniziative. Le facciamo i nostri complimenti per il percorso politico fin qui
fatto e auguri di buon lavoro per un futuro migliore dell'Europa”.
Al consiglio comunale di Friburgo, invece, è stato (ri)eletto Franco
Orlando, anche lui con doppia cittadinanza italiana e tedesca, e consigliere
del Comites.
“Laureato in economia, vive da 25 anni a Friburgo – spiega il Comites –
dove è anche amministratore delegato di una società rivenditrice di biciclette.
Nato 52 anni fa a Waldsee è da molti anni impegnato per una politica locale
pragmatica. Si è candidato nelle file del Fdp”. Oltre al Comites, Orlando ha
fatto parte di diverse associazioni. “A Franco – conclude il Comites – i nostri
complimenti per la riconferma a consigliere comunale e gli auguri di buon
lavoro”. (aise/dip18)
A Berlino la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina
Berlino – Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, il 10 giugno è a
Berlino per partecipare ai lavori della Conferenza per la ricostruzione
dell’Ucraina, il più importante appuntamento annuale per discutere del sostegno
economico, delle riforme e della ricostruzione dell’Ucraina e che l’Italia
organizzerà nel 2025. “Il Governo italiano è fermamente impegnato nel sostegno
alla ripresa e ricostruzione dell’Ucraina, come dimostra anche la nutrita e
qualificata presenza del nostro sistema imprenditoriale a Berlino. È un tema
che abbiamo posto anche al centro della nostra Presidenza G7: dalla Conferenza
ci attendiamo risultati concreti e siamo pronti a prendere il testimone per
organizzarla in Italia nel 2025” ha commentato Tajani, che ha sottolineato come
l’assistenza bilaterale italiana, al netto di quella militare e al contributo a
quella europea, ammonti sinora a oltre 2 miliardi di euro.
La missione del Vicepresidente Tajani si è aperta con un evento di sistema
presso la residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Berlino intitolato “La strada
verso URC 2025: l’Italia per la ricostruzione dell’Ucraina”, al quale
partecipano circa quaranta tra aziende, associazioni e istituzioni italiane
particolarmente profilate verso l’Ucraina, tra le quali ICE Agenzia, SACE,
SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Confindustria.
L’11 giugno si tiene la prima riunione a livello ministeriale della
Piattaforma di Coordinamento dei Donatori per l’Ucraina, mentre successivamente
si svolgerà la cerimonia di apertura alla presenza del Cancelliere tedesco
Scholz, del Presidente ucraino Zelensky, della Presidente della Commissione
Europea von der Leyen, del Presidente del Consiglio europeo Michel. Nel corso
della giornata dell’11 giugno, il Vicepresidente Tajani firma il Memorandum
d’Intesa bilaterale sul Patronato per la ricostruzione della Città e della
regione di Odessa, volto a istituire un quadro generale di cooperazione e
coordinamento con le autorità ucraine al fine di massimizzare gli sforzi e le
capacità per contribuire alla ricostruzione di Odessa e della sua regione dopo
il conflitto.
Il 12 giugno si tiene la sessione di chiusura della Conferenza con la
cerimonia di passaggio di consegne all’Italia, che organizzerà l’evento nel
2025, alla quale prenderà parte il Vice Ministro degli Affari Esteri Edmondo
Cirielli. Alla Conferenza prendono parte Capi di Stato e di Governo di 77
Paesi: complessivamente si prevedono circa 1800 partecipanti. Vengono invitate
500 aziende, di cui 150 tedesche, 150 ucraine, e 200 dagli altri Paesi
partecipanti. Gli obiettivi della Conferenza sono mobilitare il sostegno internazionale
per la resilienza, la ripresa e la modernizzazione del paese e fornire
assistenza per attuare progetti di recupero, oltre a creare opportune
condizioni per le imprese al fine di incoraggiare gli investimenti del settore
privato in Ucraina. Dip 12
Futuro della manifattura tra Italia e Germania: Forum Italo-Tedesco con
l'AHK Italien
Si è svolta il 4 giugno a Milano la diciottesima edizione del Forum
Economico Italo-tedesco, l’appuntamento annuale della Camera di Commercio
Italo-Germanica (AHK Italien) dedicato ai temi caldi dei rapporti tra i nostri
due Paesi. Al centro dell’edizione 2024, le prospettive per la partnership
manifatturiera italo-tedesca nel contesto europeo. Ad aprire i lavori, gli
interventi della Presidente AHK Italien, Monica Poggio, AD di Bayer S.p.A.,
dell’Ambasciatore tedesco Hans-Dieter Lucas e del Viceministro delle Imprese e
del Made in Italy Valentino Valentini.
Nel corso dell’evento, è stato presentato uno studio sulla situazione e
sulle prospettive della manifattura italiana, tedesca ed europea, realizzato
con un pool di ricercatori ed economisti.
A fronte di una narrazione molto diffusa di un “caso Germania”, nello
studio si rileva come, in realtà, nell’ultimo decennio (2015-2024) i Paesi
europei abbiano attraversato fasi macroeconomiche molto simili, con una lunga
fase di sostanziale stagnazione nel continente.
Insieme, Italia e Germania detengono il primato industriale nel continente.
La Germania resta prima in 52 settori, su un totale di 61 settori presi in
esame nel complesso dell’Unione Europea, seconda in 9. L’Italia è il primo
Paese in 3 settori, seconda in 17. La forza della partnership industriale
italo-tedesca sta nella complementarità e diversificazione che i due Paesi
hanno nei settori portanti dell’industria europea. Una complementarità che si
osserva anche nelle dimensioni aziendali: in Germania, la produttività del
lavoro è più alta nelle grandi imprese (più di 250 dipendenti), in Italia è
molto alta anche nelle aziende più piccole (con meno di 250 dipendenti).
"I grandi gruppi tedeschi e le PMI italiane sono veri e propri
campioni industriali, fortemente integrati tra loro nelle catene del valore -
ha spiegato il Consigliere Delegato AHK Italien, Jörg Buck -. Complementarità e
integrazione sono fattori centrali per la competitività della partnership
industriale tra i nostri due Paesi. Il caso italo-tedesco può essere
considerato un’unica grande piattaforma industriale distribuita su due Paesi,
con competenze ed eccellenze nazionali che si incontrano nel quadro più ampio
dell’economia e delle politiche europee".
Lo studio evidenzia come in Europa i due Paesi creino spesso conglomerati
industriali che travalicano i confini nazionali: l’esempio più evidente è
quello dell’automotive e dei macchinari. Anche grazie a Italia e Germania,
l’Unione Europea continua a rappresentare, nel suo complesso, uno dei
principali blocchi economici, con il 16,8% della ricchezza globale. Un dato che
mostra come una maggiore integrazione europea renderebbe l’Unione in grado di
competere con Cina (18,6% del PIL globale) e Stati Uniti (30,8%).
I temi del convegno sono stati approfonditi anche in un confronto tra il
Deputato Giangiacomo Calovini e la Senatrice Simona Malpezzi, rispettivamente
presidente e membro della Sezione bilaterale di amicizia Italia-Germania in
Parlamento, e in occasione di una tavola rotonda di vertici aziendali: Luca
Conti (E.ON), Natalia Helfer(DB Cargo), Mara Panajia (Henkel) e Giovanni
Micaglio (Kaeser Compressori).
"Il futuro non è scritto: l’Europa non è destinata a un ruolo di
secondo piano, ma può giocare alla pari con i grandi attori industriali
globali. Rafforzare il coordinamento e la complementarità sul piano industriale
tra Italia e Germania è fondamentale per creare un’industria europea in grado
di competere - ha aggiunto la Presidente AHK Italien, Monica Poggio -. I
vantaggi sono anche politici: qualsiasi rafforzamento della partnership
bilaterale comporta maggior potere negoziale all’interno delle istituzioni
europee, per portare avanti progetti e posizioni comuni. Relazioni più forti, e
a più livelli, tra Italia e Germania favoriscono un ruolo più decisivo dei due
Paesi in Europa, anche in ambiti strategici quali la politica estera e la
realizzazione delle riforme strutturali necessarie per il rafforzamento
dell’Unione". (aise/dip 5)
Stoccarda. Intervista a Mario Fadini, uomo del fare
Per l’ormai 90enne bergamasco Mario Fadini è tempo di bilanci. La sua vita
è ricca di avvenimenti ed opere che portano il suo nome.
Essendo riconosciuto un po’ da tutti come “l’uomo del fare” si è sempre
guardato bene che non si parlasse di lui, ma delle opere necessarie alla
crescita di bambini e delle famiglie meno abbienti.
La sua vita è stata caratterizzata da un continuo peregrinare. Si potrebbe azzardare
ad affermare che la sua è una ricca ed intensa storia di emigrazione iniziata
all’età di 15 anni. Mario Fadini, classe 1934, è terzogenito di 10 figli di una
famiglia contadina di Calcinate, una cittadina di 6 mila abitanti della Bassa
Bergamasca. La prima tappa d’emigrazione è Arcore, oggi in provincia di Monza,
ma allora di Milano. Li trova lavoro come garzone in un panificio e come
giardiniere presso Villa Borromeo. Essendo membro di una famiglia numerosa,
Mario avverte il dovere di inviare l’intero salario a suo nonno, amministratore
della famiglia.
Questo suo spirito di solidarietà lo segna per l’intero percorso di vita.
Assolto il servizio di leva negli Alpini, nel 1957 emigra prima a Bellinzona e
poi in Germania.
“Ricordo come se fosse ieri – ci racconta con molta lucidità mentale
l’ormai 90enne Mario Fadini nella sua casa di Stoccarda – Bad Cannstatt.
L’allora mia ragazza e poi moglie Margot, conosciuta a Bellinzona, non potendo
partorire in Svizzera, in lambretta ci recammo dai suoi genitori a Hof ai
confini con la Cecoslovacchia.
Con la nascita di Roberto, che rimase dai nonni materni, ci sposammo e
ritornammo a Bellinzona.
Con l’arrivo del secondo figlio, mia moglie optò per Stoccarda dove io
trovai subito lavoro alla Bosch e dove si è sviluppata anche la mia vita
familiare, lavorativa e sociale.”
Avete vissuto anche voi in baracca?
No. Fortunatamente abbiamo conosciuto dei tedeschi che ci hanno dato in
affitto due stanzette al costo di 100 marchi mensili. Allora io guadagnavo 250
marchi al mese e per raggiungere la fabbrica dovevo prendere il tram fino ad
Esslingen e poi il treno per Feuerbach, sede degli stabilimenti Bosch. Essendo
però di gamba buona, mi procurai una bicicletta e tutti i giorni mi facevo 44
km da Scharnhausen a Feuerbach e ritorno. Così facendo riuscii a risparmiare 50
marchi al mese di abbonamento che servivano per la nostra famigliola. Ed ho
fatto questo sacrificio per ben 2 anni.
Perché, nonostante un buon posto alla Bosch, hai sempre rincorso il sogno
di lavorare in proprio?
Dopo 10 anni di fabbrica conobbi dei muratori italiani che lavoravano per
il mio padrone di casa Bruno Friedemann, un imprenditore che possedeva una
bella villa ed aveva bisogno di tagliare l’erba del giardino. Accettai subito e
nel 1971 mi fece conoscere un architetto con cui feci una società. Dopo 5 anni
però l’impresa fallì. Allora pensai di costituire la ditta “Mario Fadini –
Wege- und Landschaftsbau” dando così subito lavoro a 7 operai. Dei tre figli:
Roberto, Peter e Angelo, solo il secondo volle ereditare l’azienda che conduce
ormai da quasi 25 anni.
Nell’ambito della nostra nutrita comunità italiana residente a Stoccarda il
tuo nome è collegato ai numerosi progetti di solidarietà, realizzati
soprattutto in Eritrea, Guatemala e Argentina. Come mai questo tuo spiccato
senso di solidarietà concreta per il Terzo Mondo?
Io ho conosciuto la miseria e so benissimo che se qualcuno non ti aiuta, da
solo raggiungi poco o niente. Ho visto con i miei occhi lo stato di povertà di
tanta gente; e fai molta fatica a girarti dall’altra parte. Questa sensibilità
non si manifesta a parole. Ed io sono interiormente contento di esser riuscito
a rendere la vita un po’ più accettabile a famiglie e a bambini orfani o
abbandonati.
Quali progetti sei riuscito a realizzare col tuo Gruppo Alpini?
Nel 1982 entrai a far parte del Gruppo Alpini di Stoccarda e qualche anno
dopo, su richiesta della Missione Cattolica di Stoccarda andammo ad installare
un fotovoltaico alle suore di Tesseney, in Eritrea. Successivamente riuscimmo a
costruire una scuola elementare, a ferro di cavallo, con 10 aule a Ebaro, una
frazione di Barentu, sempre in Eritrea. Ma non fu semplice, poiché andarono
persi i container, un fuoristrada, tutti gli attrezzi e le vettovaglie per le 4
settimane di lavoro preventivate. Non si è mai capito che fine abbiano fatto.
Tuttavia in qualche modo, che non sto a raccontare, riuscimmo a procurarci
l’essenziale e a costruire non solo l’edificio ma anche un pozzo con pompe
azionate da un generatore. Con i nostri soldi acquistammo un trattore e diverse
altre attrezzature. La buona riuscita del progetto spinse i Padri Scalabriniani
a chiedere al nostro Gruppo Alpini di costruire anche un asilo in Guatemala. I
miei compagni di avventura furono: Fabio De Pellegrini, Nuccio Nigro, Pasquale
Semeraro e Danilo Martinis. Il nostro gruppo non solo lavorò materialmente ma
contribuì a raccogliere anche oltre 130 mila marchi, pari a circa 65 mila euro.
Dopo queste belle esperienze, le vacanze del Gruppo Alpini furono
contrassegnate dalle necessità di prestare la propria opera per la
realizzazione di progetti concreti a favore di piccole comunità del Terzo
Mondo. Per raccolta-fondi organizzavamo feste, incontri e tombolate, il cui
ricavato serviva per l’acquisto dei materiali, necessari per le opere da
realizzare. Vorrei sottolineare che tutto ciò che abbiamo fatto, l’abbiamo
fatto veramente col cuore. Ora, alla soglia dei miei 90 anni, non potendo
essere più operativo mi limito ad aiutare finanziariamente bambini che vanno a
scuola e vogliono imparare un mestiere per essere utili un domani alla propria
comunità di appartenenza.
Ti ritieni soddisfatto di ciò che sei riuscito a realizzare nella tua
attivissima vita, fatta ovviamente di tanti sacrifici, rinunce ma anche ricca
di soddisfazioni e riconoscimenti pubblici e privati?
Sono sicuramente contento di aver contribuito con altri miei compagni di
avventura a realizzare qualcosa per chi è povero. Le somme di denaro sono state
coscienziosamente impiegate tutte per aiutare chi era ed è meno fortunato, più
debole ed indifeso. La riconoscenza più bella è l’aver potuto constatare la
gioia di tanti bambini facenti parte di comunità veramente molto povere.
Perciò, senza falsa modestia, ha fatto piacere a noi tutti l’apprezzamento dei
destinatari ed anche di vescovi, suore e missionari di diverse Congregazioni
religiose operanti in Eritrea, Bolivia ed Argentina.
Nonostante queste belle opere di beneficenza hai qualche rimpianto o sogno
non realizzato?
Il mio sogno rimasto nel cassetto è quello di non essere riuscito ad aprire
una panetteria nella mia Calcinate. Ma a quei tempi, essendo io il primo
maschio di 10 figli, ho dovuto aiutare la famiglia senza poter accantonare
qualcosa di soldi per aprire una mia forneria. Allora la mia famiglia lavorava
a mezzadria con la parrocchia e di soldi, neanche l’ombra.
Hai ancora rapporti con i Missionari e con gli Alpini di cui sei un
orgoglioso Alfiere?
Sì. Ho ancora ottimi rapporti col Vescovo Thoman Oman di Barentù (Eritrea),
con Padre Aldo Pasqualotto di Baja Blanca in Argentina e poi con i miei
compagni di sempre degli Alpini di Stoccarda. Purtroppo non riesco ad andare
più a Calcinate, perché ho preso una brutta caduta in casa e per il momento i
miei movimenti sono piuttosto ridotti. Chissà? Come si dice: finché c’è vita,
c’è speranza!
Quanto orgoglio c’è dietro la tua nomina a Cavaliere del lavoro?
Non nascondo che questo bel riconoscimento mi inorgoglisce molto. Da come
ho appreso, il promotore è stato Padre Gabriele Parolin, un tempo Missionario a
Stoccarda e ora a Monaco di Baviera. Con questo gesto lui ha voluto che il
nostro Presidente della Repubblica sapesse della nostra solidarietà concreta
verso il Terzo Mondo.
Da persona impegnatissima durante una vita intera, come trascorri le tue
giornate oggi?
Essendo ottimista per indole di carattere, mi sto riprendendo dalla brutta
caduta. E piano piano riesco ad alzarmi, esco un po’ in giardino, osservo la
natura e la domenica con mia moglie Sheny, una vera santa donna, andiamo a
Messa. Cogliamo così anche l’occasione per incontrare un po’ di amici e
conoscenti con cui fare due chiacchiere. L’unico rammarico di quest’anno è di
non aver potuto partecipare all’Adunata degli Alpini a Vicenza. Non è detta
l’ultima! Tony Màzzaro, CdI giugno/luglio
Premio Berlino: le due vincitrici Scarpa e Speciale
BERLINO - L’11 luglio prossimo le vincitrici della quarta edizione del
Premio Berlino, Federica Scarpa e Alice Laura Speziale, presenteranno i
progetti architettonici oggetto della loro residenza presso due importanti
studi di architettura berlinesi.
Dal 2017 il Premio Berlino offre a due giovani architette/i italiane/i
emergenti la possibilità di trascorrere un periodo di sei mesi a Berlino per
approfondire professionalmente tematiche inerenti al riuso e alla rigenerazione
urbana. Il premio è promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea
del Ministero della Cultura, dalla Direzione Generale per la Diplomazia
Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale e dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino.
Federica Scarpa nasce a Jesi nel 1996. Ha studiato Architettura presso
l’Università di Firenze e Lisbona e conseguito la Laurea Magistrale nel 2022.
Nel 2024 ha vinto il Premio Berlino grazie al quale ha la possibilità di
trascorrere un periodo di residenza presso lo studio di architettura urbana e
del paesaggio Topotek1 di Berlino.
Alice Laura Speziale (Lucca, 1991) è un’architetta italiana. Ha studiato
all’università di Stoccarda e all’università di Roma Tre, dove si è laureata
nel 2020. Nel 2024 ha vinto il Premio Berlino grazie al quale collabora per un
periodo di sei mesi con il collettivo berlinese raumlabor.
La presentazione si terrà alle ore 19 presso l’Aedes Architekturforum e
sarà introdotta da Francesca Moschitta. A dialogare con Scarpa e Speziale sarà
poi Hans-Jürgen Commerell (TBC). (aise/dip 18)
Voto europeo. Il seggio elettorale a Kempten
Kempten. Il 7 e 8 Giugno scorsi si sono svolte le elezioni per il rinnovo
del Parlamento Europeo di Strasburgo (76 Parlamentari Italiani) nel seggi
allestiti in molte città tedesche. A Kempten, in Baviera, il Consolato Generale
d'Italia ha istituito un seggio, per consentire l'espressione del voto a tutti
i connazionali dell'Algovia. L'affluenza alle urne è stata piuttosto modesta
(155 votanti su un totale di 4600 aventi diritto); e questo nonostante la
massiccia campagna informativa intrapresa dall'Ambasciata, dai Consolati, dai
Comites, da diverse Associazioni e benché ci fossero il pomeriggio e la serata
del venerdì e la giornata di sabato a disposizione. Bisogna tener conto del
fatto, però, che, nel seggio di Kempten, risultavano iscritte alcune migliaia
di elettori, abitanti a diverse decine di chilometri dalla città e che nelle
settimane precedenti, molti connazionali avevano deciso di optare per il voto
in favore di candidati tedeschi.
In ogni caso, i lavori del seggio di Kempten si son svolti serenamente e
senza intoppi, grazie anche all'indovinata composizione del seggio decisa
dall'Ufficio Elettorale di Monaco, sotto la supervisione del Console Generale
Dr. Sergio Maffettone e dei suoi Collaboratori. E anche all'attento e
scrupoloso lavoro di tutti i componenti del seggio: Signora Pina
Baiano-Polverino (Presidente); Signora Zaira Alongi (Segretario); Signora
Gisella Lo Re (Vicepresidente e Scrutatore); Signora Maria Bonfiglio e Signor
Angelo Lo Re (Scrutatori). Seggio, situato nella Bodmastrasse 2 –
facilmente accessibile e dotato di parcheggio – che ha consentito, così, a
tutti i connazionali – in regola con i documenti richiesti dalla legge –
di esprimere il loro voto con tranquillità nel pomeriggio di venerdì e
nella giornata di sabato.
Il materiale per il Seggio è stato portato da Monaco a Kempten – sigillato
e vidimato dal Ministero degli Esteri – nel primo pomeriggio dalla Signora
Fatima Huskic, Inviata del Console Generale, e ritirati con le schede
elettorali dalla stessa alle ore 21:30.
Giuseppina Baiano-Polverino, Alongi, A. Grasso (dip)
“Visioni sarde”: successo per il secondo incontro organizzato dal Comites
Berlino
Berlino. Sabato 8 giugno, presso la sede del Comites Berlino si è tenuto il
secondo appuntamento della rassegna di cortometraggi “Visioni sarde”. Si è
ripetuto il successo della prima serata del 27 aprile con un incontro
realizzato all’insegna del giovane cinema prodotto in Sardegna. È stata
un’occasione importante di condivisione di cultura ed arte, temi su cui il
Comites Berlino ha una specifica sensibilità. “Visioni Sarde“ è un progetto
sostenuto dalla Regione Autonoma della Sardegna, Sardegna Film Commission e
Cineteca di Bologna in collaborazione con il circolo “A. Gramsci” di Torino e
associazione “Visioni da Ichnussa” di Bologna con lo scopo di raccontare nel
mondo la Sardegna attraverso il cinema, distribuendo le sue migliori produzioni
dell’anno in ogni angolo del pianeta.. A Berlino sono stati presentati tre
corti, tre storie, tre momenti di grande cinema: “Giù con Giuali” di
Michela Anedda, corto di animazione su due cugini diversi tra loro che
troveranno tuttavia il modo di andare oltre le apparenze; “La punizione del
prete” di Francesco Tomba, Chiara Tesser, che racconta una storia in cui la
furbizia di un cieco prevale sull’avarizia di un prete; “Tilipirche” di
Francesco Piras, ambientato in Sardegna durante una terribile invasione di
cavallette, che vedrà un allevatore affrontare questa enorme sfida naturale. I
film completamente recitati in sardo e sottotitolati in inglese si sono dimostrati
formidabili strumenti per favorire la diffusione della Limba e della
cultura sarda anche all’estero. La serata è stata arricchita dalla moderazione
di una professionista, la consigliera Elettra de Salvo, che ha accompagnato i
cortometraggi con riflessioni e contributi fondamentali.
Ha presentato il progetto “Visioni Sarde” e diretto il partecipato
dibattito Federico Quadrelli, Presidente Comites Berlino. (Bruno Mossa, Inform/dip)
IIC di Amburgo: documentario (19 giugno) e Caffè Letterario (25 giugno)
Amburgo. Dopo numerose proiezioni nei cinema italiani d’essai e al
Filmmuseum di Monaco, il documentario “Il Padiglione sull’Acqua” (2023) dei
registi Stefano Croci e Silvia Siberini. arriva nel Nord della Germania.
Nell’ambito dell’iniziativa “Fare Cinema”, la rassegna cinematografica
sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
che mira a promuovere il cinema italiano e l’industria cinematografica del
nostro Paese, l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo organizza la proiezione
del documentario per mercoledì 19 giugno alle ore 19:00 alla presenza dei
due registi. “Il Padiglione sull’Acqua” presenta l’opera dell’architetto
veneziano Carlo Scarpa, creatore di edifici e scenari monumentali e suggestivi,
tanto da essere scelti – per citare solo il caso più recente – come
ambientazione dello spettacolare film di fantascienza “Dune 2”. Il documentario
e? un viaggio poetico nell’immaginario dell’architetto e ripercorre la sua
passione per la cultura giapponese. La proiezione, di 77 minuti, sarà in
italiano con sottotitoli in tedesco. Al termine della proiezione i registi
saranno a disposizione per le domande del pubblico (in inglese). Il Giappone è
stato per Carlo Scarpa, un universo ispiratore, ma anche il luogo
dove egli morì misteriosamente nel 1978, all’apice della sua carriera, seguendo
le orme del poeta errante Matsuo Basho. Attraverso le impressioni dal filosofo
giapponese Ryosuke Ohashi, la narrazione del film si sviluppa lungo una
domanda, quella sul senso della bellezza. Le riflessioni su questo tema
accomunano così le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese.
Venezia, porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, insieme
all’esplorazione incantata delle sue opere, offrono l’opportunità di rievocare
la poetica ed episodi simbolici della vita dell’architetto. Tali episodi
vengono restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, degli allievi Guido
Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, e del ricercatore J.K. Mauro
Pierconti. Un sentimento di nostalgia pervade la narrazione: la nostalgia di
quell’evento raro che e? la nascita di un artista. Carlo Scarpa ci ha lasciato
in dono le sue opere e con esse l’entusiasmo e la meraviglia che suscitano
ancora oggi. La partecipazione alla proiezione è gratuita, ma è richiesta
l’iscrizione tramite il link CarloScarpa.eventbrite.de. E’ possibile
vedere il documentario cliccando sulla pagina della casa di produzione Caucaso
e sui social Facebook e Instagram.
“Caffè Letterario”: il 25 giugno l’ultimo appuntamento prima della pausa
estiva del ciclo di incontri italo-tedeschi all’Istituto Italiano di Cultura di
Amburgo. Alle ore 19 l’incontro dedicato al romanzo “L’età fragile” di
Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Strega 2024. L’evento è
organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo. Dopo L’Arminuta,
romanzo vincitore del Premio Campiello 2017, e Borgo Sud, finalista allo Strega
2021, Donatella Di Pietrantonio torna nelle librerie con L’età fragile.
All’origine di questo nuovo lavoro c’è un episodio di cronaca che risale agli
anni Novanta nel cuore dell’Abruzzo appenninico, quando l’orrore si era
insinuato in un luogo fino ad allora immacolato. Con la sua scrittura scabra,
vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un’occhiata e il suono
di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo
romanzo una tensione tutta nuova.
Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da
figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le
fondamenta. Ma c’è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui
siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una
notte di trent’anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il
silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c’erano tutti. I pastori
dell’Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri.
Tutti, tranne tre ragazze che non c’erano più.
Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel
paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno
sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano
aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto
scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al
riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può
nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro
famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di
un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il
tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre
cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i
fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e
questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c’è una forza che la
attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Il libro di Donatella
Di Pietrantonio è stato presentato al Premio Strega 2024 da Vittorio Lingiardi
nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica con la seguente motivazione:
«L’età fragile non è un’età della vita, è la vita stessa. La memoria che non
può nascondere il dolore, la solitudine dopo la separazione, la colpa per la
sopravvivenza. La vita dura come un sasso che Donatella Di Pietrantonio riesce
a levigare con le mani sicure della sua scrittura. “L’età fragile” è la storia
di una famiglia sospesa nel segreto del trauma, parole mai dette rinchiuse nel
cuore di una montagna d’Abruzzo che è insieme psiche e paesaggio. “L’età
fragile” è il romanzo di una madre che non trova respiro, stretta tra la
severità del padre e il silenzio della figlia. Un libro che raccontando il
dolore lo cura, perché a scriverlo è una donna che conosce il miracolo delle
parole e il sangue delle ferite.» La partecipazione all’incontro letterario è
gratuita, ma è richiesta l’iscrizione tramite il portale Eventbrite:
CaffeLetterario_Juni24.eventbrite.de.
Donatella Di Pietrantonio è nata ad Arsita, in provincia di Teramo. Di
professione è dentista pediatrica. Nel 2011 esordisce con il romanzo Mia madre
è un fiume, ambientato nella terra natale. Nello stesso anno pubblica il
racconto Lo sfregio sulla rivista Granta Italia di Rizzoli. Nel 2013 pubblica
il suo secondo romanzo,Bella mia, dedicato e ambientato all’Aquila. L’opera,
influenzata dalla tragedia del terremoto del 2009 e incentrata sul tema della
perdita e dell’elaborazione del lutto, è stata candidata al Premio Strega ed ha
vinto il Premio Brancati nel 2014. Il romanzo viene ristampato da Einaudi nel
2018 e nel 2020 vince il premio letterario internazionale “Città di
Penne-Mosca”. Nel 2017 pubblica per Einaudi il suo terzo romanzo, L’Arminuta,
anch’esso ambientato in Abruzzo; il titolo è un termine dialettale traducibile
in «la ritornata». Il libro approfondisce il tema del rapporto madre-figlio nei
suoi lati più anomali e patologici ed è risultato vincitore del Premio
Campiello e del Premio Napoli. Dal romanzo è stato tratto, nel 2019, uno
spettacolo teatrale prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo e, nel 2021, il film
diretto da Giuseppe Bonito.
Sempre nel 2017 è stata insignita dell’Ordine della Minerva dall’Università
degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti. Nel 2020 pubblica, ancora per
Einaudi, Borgo Sud, sempre ambientato in Abruzzo e considerato il seguito de
L’Arminuta, poiché descrive storie successive delle due sorelle protagoniste
del precedente romanzo. L’opera viene selezionata per partecipare all’edizione
2021 del Premio Strega, classificandosi al secondo posto e riceve il Premio
letterario Basilicata nella sezione “Narrativa”.
Gli incontri del “Caffè Letterario” sono dedicati agli appassionati di
letteratura italiana e si tengono in italiano e tedesco – generalmente una
volta al mese – e danno la possibilità a chi legge volentieri libri italiani di
incontrarsi per discutere su un libro letto a casa e scelto durante il
precedente incontro, scambiarsi opinioni, cercare nuove ispirazioni, decidendo
insieme i prossimi libri da leggere e discutere. Gli incontri riprenderanno a
settembre. (Inform/dip 13)
La pensione di invalidità tedesca
Rubrica a cura dei patronati Acli Germania, Inca Cgil e Italiul. Questo
mese Daniela Bertoldi delle Acli Germania
In questo articolo parliamo della pensione di invalidità tedesca. Vedremo
quali sono i requisiti, i tipi di pensione e quali possono essere le
problematiche connesse.
Pensione di invalidità totale
Per avere diritto ad una pensione di invalidità tedesca bisogna aver
lavorato almeno cinque anni. Per questo requisito vengono presi in
considerazione anche i periodi di lavoro all’estero. Inoltre, la persona che
presenta la domanda deve avere tre anni di contributi effettivi negli ultimi
cinque. Un’eccezione a questo requisito sono i casi di incidenti o malattie sul
lavoro dove la persona deve essere assicurata obbligatoriamente da almeno un anno
al momento dell’incidente/malattia.
Tuttavia il requisito dei tre anni di contributi effettivi negli ultimi
cinque anni esclude spesso quelle persone, che per tanti anni hanno lavorato
con un Mini Job e non hanno scelto di versare i contributi (consapevolmente o
no). Per questo per chi ha soltanto il Mini Job come attività lavorativa
consigliamo sempre di versare contributi, in modo tale che si mantenga il
diritto a questo tipo di pensione.
Alcuni periodi senza contributi effettivi, gli Anrechnungszeiten, per
esempio i periodi di iscrizione al Job Center oppure
i Kinderberücksichtigungszeiten, spostano vantaggiosamente ad un periodo
precedente il calcolo di questi contributi.
Altro requisito per la pensione di invalidità totale è che la condizione di
salute deve essere tale da non permettere l’attività lavorativa per più di tre
ore al giorno e ulteriore requisito è che questo stato persista per più di sei
mesi.
La pensione di invalidità totale viene normalmente liquidata a tempo
determinato, fino ad un massimo di tre anni. La domanda di rinnovo va
presentata prima della scadenza e questo viene concesso se le condizioni di
salute sono stabili o peggiorano. Dopo nove anni di pensione la Deutsche
Rentenversicherung parte dal presupposto che la persona non possa più
lavorare e la pensione viene trasformata in una pensione di invalidità a tempo
indeterminato.
Se la pensione viene da subito liquidata a tempo indeterminato è perché le
condizioni di salute sono tali da non prospettare un miglioramento.
Il calcolo della pensione dipende dagli anni di contributi versati e
dall’ammontare degli stessi. Inoltre, viene aggiunto il periodo, senza
contributi, dalla liquidazione della pensione ad una data che viene fissata per
legge, chiamato Zurechnungszeit. Ad esempio, se la pensione iniziasse
nell’anno 2024, il periodo della Zurechnungszeit finirebbe con 66
anni e 1 mese. Se quindi una persona, in base all’età al momento della domanda,
avesse diritto prima alla pensione di invalidità, ci sarebbe una riduzione sulla
pensione dello 0,3% per ogni mese di anticipo, ma fino ad un massimo del 10,8%.
Ancora un esempio: una persona che ha diritto oggi alla pensione di invalidità
e ha 65 anni di età avrebbe una riduzione nel calcolo della pensione del 3,9%.
Pensione di invalidità parziale
Si ha diritto a questo tipo di pensione se, dopo la valutazione della
documentazione medica, la Deutsche Rentenversicherung comunica che si
può lavorare fra le tre e le sei ore giornaliere. La pensione di invalidità
parziale ammonta esattamente alla metà di quella totale.
Le decorrenze delle pensioni dipendono dalla limitazione nel tempo o meno.
Se una pensione di invalidità è limitata a tre anni, ad esempio, allora la
decorrenza della pensione inizia sette mesi dopo il riconoscimento
dell’invalidità. Se invece è a tempo indeterminato la decorrenza sarà il mese
successivo alla presentazione.
Particolarità per le persone assicurate nate prima del 2 gennaio 1961
Chi appartiene a questo gruppo è coperto da un regime di protezione: se si
hanno restrizioni di salute che riguardano solamente l’occupazione precedente,
si ha diritto ad una pensione per riduzione parziale della capacità di guadagno
(Rente wegen Erwerbsminderung bei Berufsunfähigkeit), che corrisponde in euro
alla pensione di invalidità parziale. Questa pensione viene corrisposta a
persone assicurate che non possono più lavorare nella loro precedente
occupazione qualificata o che possono lavorare solo meno di sei ore al giorno,
e almeno sei in un’altra posizione. Qui va fatta attenzione alla parola
qualificata: significa che per poter fare quel lavoro è stato fatto un percorso
di specializzazione.
Pensione di invalidità totale per chiusura del mercato del lavoro
Questa dicitura non si troverà nella prima pagina del provvedimento di
pensione e per questo va fatta particolare attenzione.
Se una persona è iscritta all’ufficio di disoccupazione da più di un anno e
gli viene riconosciuta un’invalidità parziale (quindi può lavorare dalle tre
alle sei ore giornaliere) ha diritto a questo tipo di pensione, perché la DRV
parte dal presupposto che, essendo stata iscritta per più di un anno e con il
tipo di invalidità, non le sarà possibile trovare un lavoro. A questo punto ha
diritto a una pensione di invalidità totale, che viene rinnovata ogni tre anni.
Attenzione: la domanda di rinnovo va presentata fino al raggiungimento del
requisito della pensione di vecchiaia. Non vale quindi il discorso dei nove
anni fatto precedentemente. Inoltre, una persona con questo particolare tipo di
pensione, non può trasferirsi all’estero perché deve, comunque, rimanere a
disposizione del mercato del lavoro tedesco.
Una precisazione
Anche se una persona ha il 100% di invalidità riconosciuta
dal Landratsamt/Versorgungsamt, non significa automaticamente che abbia
diritto ad una pensione di invalidità. In effetti nel valutare il
riconoscimento del grado di invalidità
il Landratsamt/Versorgungsamt valuta le limitazioni che le malattie
causano alla persona nella sua vita quotidiana. La Deutsche
Rentenversicherung invece valuta le limitazioni che si hanno nella vita
lavorativa. Queste quindi non sempre combaciano. Infatti, una persona che ha
limitazioni nella vita quotidiana causate dalle malattie può poter continuare a
fare determinati lavori.
Molti pensionati ci chiedono se possono continuare a lavorare percependo
una pensione di invalidità totale o parziale.
L’attività lavorativa o autonoma è possibile ma solo nell’ambito della
capacità valutata su cui si basa la pensione a capacità di guadagno ridotta –
quindi massimo tre ore per la pensione di invalidità totale e massimo sei ore
per la pensione di invalidità parziale.
Se ciò non viene rispettato, il diritto alla pensione di invalidità è
compromesso nonostante il rispetto dei limiti di reddito.
Se ad una persona è riconosciuta la pensione di invalidità totale, può, sì,
lavorare, ma non potrà lavorare per più di tre ore in un giorno. Se volesse
lavorare sei ore alla settimana, può farlo, ma soltanto se queste sei ore sono
distribuite su due o più giorni (quindi meno di tre ore giornaliere).
Il limite reddituale oltre il quale non andare è al momento di 18.558,76
euro.
Un’altra domanda che riceviamo spesso è se ci si può trasferire all’estero
con una pensione di invalidità. Non ci sono ostacoli al trasferimento.
L’importante è rispondere se si riceve documentazione o richieste da parte
dell’ente tedesco. Se l’ente tedesco vuole effettuare una visita di controllo,
si rivolgerà all’INPS o comunque all’ente previdenziale del nuovo luogo di
residenza per far chiamare a visita la o il pensionato. Anche i rinnovi di
pensione possono essere fatti dall’estero. Quindi, ad eccezione della pensione
per mercato chiuso la/il cui titolare deve restare a disposizione del mercato
del lavoro tedesco, con gli altri tipi di pensione ci si può trasferire.
Daniela Bertoldi, CdI giugno/luglio
80 anni dallo Sbarco in Normandia
Quando i primi soldati tedeschi, acquartierati nei bunker lungo la costa
della Normandia, videro arrivare dal mare l’immensa flotta Alleata, era l’alba
del 6 giugno 1944, il D-Day. 80 anni sono passati da quello stupore, misto a
terrore e sorpresa, a causa del convincimento dei generali tedeschi che mai una
invasione sarebbe potuta avvenire solo dal mare: in un certo senso avevano anche
ragione perché nella realtà lo sbarco sulle spiagge normanne di Utah, Omaha,
Gold, Juno, Sword era stato anticipato, durante la notte tra il 5 e il 6
giugno, dal lancio di migliaia di paracadutisti britannici, statunitensi e
canadesi, che si videro catapultati oltre le linee tedesche, in molti casi
soli, dispersi, in molti casi morti affogati nelle paludi della penisola del
Cotentin o in mare per errori di rotta. Ma furono questi paracadutisti, il cui
emblema è il famoso John Steel, che finì appeso alla torre campanaria della
cittadina di Saint-Mère Eglise, a permettere che lo sbarco in Normandia e la
conseguente invasione potesse aver luogo, con tutte le storie minime di
soldati, uomini, ragazzi, chiamati a combattere a migliaia di chilometri dalla loro
casa, per la libertà dal nazifascismo.
La storia dello Sbarco in Normandia è soprattutto la narrazione di un
avvenimento epocale, che si posiziona tra il dramma della violenza della
guerra, con i suoi orrori, la sua disumanizzazione, gli eccessi d’odio e la
morte dominante, e la ritrovata libertà e pace che da quegli orrori è poi
scaturita, dando all’Europa ottanta anni di serenità, oggi tradita e violata
ancora una volta per l’insipienza di chi vede nelle armi l’unica ragione per la
soluzione dei problemi. Lo Sbarco in Normandia, il cui 80mo anniversario sta
venendo celebrato con grandi manifestazioni in questi giorni, in quegli stessi
luoghi ove avvenne, è un evento che non può essere raccontato senza
evidenziarne anche quella matrice spettacolare e di potenza che alla fine fu la
chiave della vittoria degli Alleati.
Non si deve dimenticare che ciò che gli occhi di quelle sentinelle tedesche
videro, ciò che gli abitanti ancora stanziali e non fuggiti dalle cittadine
della costa Normanna, come St. Marie du Mont, Virville sur Mer, Port-en-Bessin
poterono osservare dai ruderi delle loro case, fu innanzitutto uno spettacolo
impressionante di potenza e superiorità umana e militare. Perché i numeri di
quello sbarco parlano di 6.483 navi, tra cui 4mila mezzi da sbarco, 9
corazzate, 23 incrociatori, 104 cacciatorpediniere, 11mila tra aerei da caccia,
bombardieri e da trasporto. 4mila tonnellate di bombe vennero sganciate
dall’aviazione alleata nel giro di poche ore, mentre incessante fu il
martellamento delle coste con i cannoni delle navi. Eppure tutto ciò non fu
sufficiente perché la vittoria fosse immediata e con poche perdite. Fu un
massacro da ambo le parti: dal giorno dello sbarco alla fine della campagna di
Normandia, che portò alla liberazione di Parigi il 25 agosto 1944, furono circa
200mila i morti e feriti Alleati e una cifra imprecisata oltre i 350mila tra i
tedeschi. La guerra non si interruppe con lo sbarco, durò un altro anno, con
momenti di duro impegno per molti soldati che furono tra i protagonisti el
D-Day, come la mitica compagnia paracadutisti “Easy” della 101ma divisione
aerotrasportata statunitense, che fu fondamentale nella liberazione di Carentan
e durante l’assedio di Bastogne, nella controffensiva tedesca nelle Ardenne
nell’inverno del 1944. La compagnia “Easy” conquistò anche il “Nido
dell’Aquila”, il famoso rifugio alpino di Hitler, nella cittadina bavarese di
Berchtesgaden. Alla “Easy” è stata dedicata la serie televisiva in 10 puntate,
prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks, che nel 2001 ha narrato le vicende di
questo manipolo di soldati statunitensi: “Band of Brothers”. La serie, basata
su un saggio storico ricco di testimonianze dei sopravvissuti della “Easy”,
scritto dallo storico Stephen Ambrose, presenta con crudezza lo spettacolo
tragico e devastante della guerra, senza renderlo edulcorato da eroismi o
ideologie: la guerra è morte, sangue, sbudellamenti, esplosioni, freddo, fame,
occhi che chiedono pietà, strategie e amicizia, violenza e anelito di pace. I
soldati americani sono di origini le più diverse: italiani, germanici, danesi,
francesi, polacchi, cattolici, protestanti, ebrei, nativi americani, figli
degli stati agricoli o membri di famiglie borghesi della East Coast. Il loro
addestramento, meticoloso e asfissiante, li salva, e li pone come macchina
mortale al cospetto dei soldati tedeschi, che vengono affrontati senza pietà,
quella stessa pietà che loro non avrebbero ricevuto.
“Band of Brothers”, con la narrazione dei reduci, richiama altri due
prodotti cinematografici che hanno affrontato lo sbarco in Normandia con
accenni tra loro differenti: “Il Giorno più lungo”, film del 1962, tratto dal
romanzo di Cornelius Ryan, che nelle mani di un quartetto di registi,
attraverso il sistema del film verità, racconta quasi esclusivamente il lato
Alleato dello sbarco e dei giorni successivi.
La particolarità del film è che molti degli attori (tra i quali Henry
Fonda, Rod Steiger e Richard Todd) furono tra i soldati che realmente presero
parte allo sbarco, e con la loro consulenza resero il film realistico anche se
decisamente schierato. Ma è con “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg,
film del 1998, che la morte che è spettacolo tragico della malvagità umana,
raggiunge vertici indimenticabili, a tratti insostenibili: i 20 minuti iniziali
del film sono la descrizione del massacro dei primi soldati statunitensi
sbarcati nella spiaggia di Omaha. Lunga 8 chilometri, si trasformò in un
cimitero di ragazzi che morirono ancora prima di raggiungere la spiaggia,
affogati dentro i mezzi da sbarco affondati dalle micidiali artiglierie
tedesche, che non erano state scalfite dal cannoneggiamento navale. Immagini
che ancora di più ci debbono far riflettere: come ha scritto Papa Francesco a
mons. Jacques Habert, vescovo di Bayeux e Lisieux, in occasione di questo
anniversario “lo sbarco evoca, più in generale, il disastro rappresentato da
questo terribile conflitto globale dove tanti uomini, donne e bambini hanno
sofferto, tante famiglie sono state dilaniate, tanta rovina è stata provocata.
Sarebbe inutile e ipocrita ricordarlo senza condannarlo e rigettarlo
definitivamente, senza ripetere il grido di San Paolo VI dal podio dell’Onu, il
4 ottobre 1965: “Mai più la guerra!”. Massimo Lavena, Sir 6
Il Ministro degli Esteri Tajani interviene all’Assemblea Plenaria del Cgie
ROMA – Nel corso della sessione di apertura dell’’Assemblea Plenaria del
Cgie è intervenuto per salutare i consiglieri il Ministro degli Esteri Antonio
Tajani. “Ci tenevo particolarmente a salutare il Cgie, ed attraverso di
voi tutti i nostri connazionali all’estero, che sono i nostri migliori
ambasciatori dell’Italia nel mondo” ha esordito il Ministro che poi ha ribadito
il proprio cordoglio e quello del Governo, per la scomparsa del Segretario
Generale Michele Schiavone e del Console Generale Marco Nobili venuto a mancare
a gennaio a Vancouver. Il Ministro si è poi congratulato con il neo eletto
Segretario Generale del Maria Chiara Prodi: “Le rivolgo i miei più grandi
auguri per questo incarico importante e gravoso, il contesto in cui inizia il
suo mandato è positivo, un clima unitario che sono sicuro che porterà risultati
positivi per gli italiani all’estero. Lo affermo – ha continuato Tajani – da
Presidente del Cgie, oltre che da Vice presidente del Consiglio dei ministri e
da ex italiano all’estero: l’unità è molto importante., perché poi i nostri
concittadini non comprenderebbero divisioni… Io credo – ha aggiunto il Ministro
– che sia importante sempre tutelare il nostro interesse, aldilà delle normali
e naturali divisioni. Io sono stato 30 anni a lavorare al di là dei confini
nazionali come politico, e quando gli italiani si sono dimostrati uniti,
superando le normali, naturali e giuste divisioni che possono esserci, abbiamo sempre
ottenuto risultati positivi, perché l’unione fa la forza, soprattutto quando ci
confrontiamo con altre realtà”. “Ho lavorato per tanti anni all’estero, – ha
proseguito il Ministro rivolgendosi ai consiglieri – quindi conosco il vostro
impegno, apprezzo l’orgoglio e la passione con le quali portate nel mondo il
nome dell’Italia, la forza della nostra cultura, dei nostri territori, del
saper fare italiano, di cui il successo del nostro export è uno straordinario
interprete… Gli italiani all’estero – ha poi rilevato Tajani – e la loro
tutela rappresentano, come ho detto più volte, una priorità per il nostro
Governo, e ho voluto proprio evidenziare il ruolo speciale che nella nostra
realtà diplomatica hanno i consoli, facendoli sfilare per la prima volta nella
parata del 2 giugno insieme al personale della nostra unità di crisi, che tanto
fa nei momenti di grande difficoltà, per aiutare i nostri connazionali che
vivono all’estero”. “Il Governo sta valutando – ha continuato Tajani dopo aver
ricordato il lavoro di assistenza svolto dalla Farnesina e dai nostri
consoli verso gli oltre 2mila detenuti all’estero e i circa 550 bambini
contesi o sottratti all’estero – un rafforzamento della rete consolare. A fine
maggio ho voluto inaugurare io stesso i nuovi locali del Consolato Generale di
Bruxelles, dal primo luglio sarà operativo anche il nuovo Consolato Generale di
Madrid. Ho voluto operare anche in America Latina inaugurando i consolati
generali di Belo Horizonte in Brasile e di Mendoza in Argentina, ho inoltre
disposto il rafforzamento dei consolati di Casablanca, Dubai, Los Angeles,
Monaco di Baviera, Zurigo, Francoforte e Toronto con l’invio di vicari
diplomatici. Grazie anche alle recenti assunzioni, il personale nelle sedi
all’estero è stato molto rafforzato, a beneficio dei servizi che migliorano per
i cittadini… Voglio anche ricordare – ha aggiunto Tajani – che è stata
inaugurata la nostra ambasciata in Mauritania, perché abbiamo ritenuto
fondamentale essere presenti in quell’area dell’Africa subsariana dove operano
molte imprese italiane. Abbiamo agito anche sul ruolo delle agenzie
dell’internazionalizzazione, nell’ambito della strategia della diplomazia della
crescita che ho avviato per sostenere il nostro export. E’ infatti fortemente
aumentata la presenza dell’agenzia ICE, di Casse Depositi e Prestiti, Simest e
Sace in modo particolare nei Balcani ed in Africa. Tanti sportelli Italia per
sostenere le imprese, che rafforzano l’immagine dell’Italia e aiutano la
nostra nazione anche in favore dei nostri connazionali”. Tajani ha poi
segnalato come si stia lavorando per il miglioramento dei servizi per i nostri
connazionali “Da qualche giorno – ha spiegato – tutti i nostri connazionali
all’estero possono scaricare il codice fiscale da internet, la carta d’identità
elettronica viene ora rilasciata da 170 ambasciate e consolati nel mondo, un
documento che rappresenta la chiave per accedere sempre a maggiori servizi
online delle amministrazioni italiane”. Il Ministro, dopo aver rilevato che
verrà avviata una riflessione congiunta, anche con il Ministero dell’Interno,
sulle procedure della cittadinanza e sulle modalità di voto, ha ricordato che
il Maeci è impegnato, al fine di fornire all’estero servizi migliori, sia a
premiare i tanti che lavorano al meglio, sia a contrastare ogni possibile forma
di irregolarità, soprattutto in settori delicatissimi come quelli della
cittadinanza e del rilascio dei visti. A tal fine verranno intensificate le
missioni ispettive con l’ausilio dei carabinieri e finanzieri che operano all’interno
del ministero. Tajani si è poi soffermato sul Progetto del Turismo delle
Radici. “Il 2024 – ha ricordato il Ministro – è l’Anno delle Radici, nei mesi
scorsi ho accolto qui al ministero centinaia di sindaci da tutta Italia. Adesso
stiamo coinvolgendo molte associazioni. Quello del turismo delle radici,
come probabilmente sapete, è un progetto del PNRR gestito dal Ministero degli
Esteri, che si prefigge di far riscoprire ai connazionali residenti all’estero
i luoghi di origine delle proprie famiglie. Questa iniziativa rappresenta anche
una grande occasione per i nostri comuni più piccoli, per la loro
valorizzazione artistica, per l’export dei loro prodotti ed eccellenze. In
questo ambito – ha continuato Tajani – abbiamo messo a fuoco molte iniziative
importanti, penso alle agevolazioni ferroviarie per un turismo sostenibile o al
settore dell’enogastronomia e dell’accoglienza. Abbiamo inoltre avviato un
dialogo con la Santa Sede in vista del Giubileo. Io conto su ognuno di voi.
rappresentanti delle comunità all’estero e sui consiglieri di nomina
governativa, per dare la massima visibilità al progetto del Turismo delle
Radici”. Il Ministro, dopo aver rilevato come all’estero anche problemi
apparentemente semplici legati alla pensione , al passaporto e ai documenti da
ritirare rivestano per i nostri connazionali grande importanza, ha ringraziato
i parlamentari, eletti all’estero e in Italia, che si occupano della situazione
dei 7 milioni di italiani all’estero. Lorenzo Morgia, Inform/dip 19
Plenaria Cgie. Problemi e futuro: le relazioni delle Commissioni e dei
Vicesegretari
ROMA - Nuova mobilità, editoria italiana all’estero, rappresentatività,
comunicazione mirata, problematiche nei servizi consolari, problematiche
riguardo al diritto di voto, possibili riforme per un futuro più inclusivo,
relazione con le Istituzioni, turismo delle radici, brexit e parità di genere.
Sono tanti gli argomenti affrontati nel pomeriggio di questa terza giornata di
Assemblea Plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero – CGIE, in
corso fino a venerdì alla Farnesina, che ha visto protagonisti i Vice Segretari
Generali per area geografica, i Presidenti di sei delle otto Commissioni
tematiche e le Coordinatrici di tre Gruppi di lavoro.
Ad aprire la discussione del pomeriggio è stato Walter Petruzziello,
componente del comitato di presidenza, che ha fatto le veci del Vice Segretario
Generale per l'America Latina, Mariano Gazzola. “Abbiamo parlato con tanti
comites, anche quelli tra i paesi non rappresentati nel Cgie”. E “abbiamo
parlato della tragedia del Rio grande do Sul, per la quale si è pensato di
istituire un canale istituzionale per raccogliere dei fondi. Lo hanno già fatto
i comites ma è difficile fare uscire le risorse raccolte”. Inoltre, ha manifestato
“l’appoggio a cambiare sede al Consolato di Porto Alegre, speriamo in una
inaugurazione a breve”. Petruzziello ha poi voluto evidenziare la sua
preoccupazione per la tabella del Cgie e per la sparizione di diversi paesi,
compresi quelli nell’America Centrale. “Nella prossima consiliatura, alcuni
paesi avranno un aumento di consiglieri e altri ancora non averne affatto. È
una questione seria, dobbiamo pensare a fare qualcosa di diverso per rivedere
la tabella”. Infine, ha spiegato di avere sul tavolo delle questioni anche un
maggiore accesso alla diffusione della lingua e della cultura italiana
all’estero in America Latina. Ma ancor più preoccupazione, il componente del
CDP l’ha manifestata riguardo l’incapacità di riempire tutte le cariche per i
funzionari dei consolati: “non c'è mai copertura totale dei posti. Servono
modifiche e incentivi per coprire e trasformare il ruolo dei funzionario
all'estero. Mancando personale, mancano anche i servizi adatti ai nostri
connazionali". Da ultimo, Petruzziello ha chiesto "uniformità nelle
procedure dei consolati in tutto il Sud America. Lo dobbiamo fare uniti. Perché
alcuni funzionari non sono dovutamente preparati. E questa è una questione che
va gestita dalla nostra direzione".
Dopo il breve intervento di Giuseppe Stabile, neo vicesegretario per
l'Europa e i paesi del nord Africa, che ha spiegato che nei prossimi giorni
verrà prodotto un documento più proficuo, è potuto intervenire Gianluca
Lodetti, Vice Segretario Generale di Nomina governativa, che ha spiegato come,
con i consiglieri di nomina governativa, abbiano affrontato nelle riunioni di
questo periodo diversi punti partendo dall’analisi degli ultimi dati sulla
mobilità, ossia: impatrio, spopolamento, sanità e lingua e cultura, con anche
una piccola appendice su cittadinanza e servizi, confrontandosi con diversi
parlamentari eletti all’estero e altri sono già in programma nel prossimo
futuro. Ma soprattutto, Lodetti si è detto soddisfatto per aver inaugurato “un
metodo che mira ad avvicinare ulteriormente il mondo istituzionale, il
parlamento nello specifico, in modo da avere un rapporto fluido con i
parlamentari che aiutino la vita dei nostri connazionali nel mondo”. “Vogliamo
riprendere il discorso sugli italiani all'estero nelle istruzioni ma anche
nella società civile. Abbiamo analizzato i dati Istat: si nota una grande
ripresa della mobilità, specie dei giovani (oltre 100 Mila quest’anno). In
Italia aumenta la denatalità, la popolazione e la forza lavoro invecchiano e si
accentua lo spopolamento. In un fenomeno migratorio come questo è fondamentale
sostenere rapporti tra i paesi di provenienza e gli emigrati. Servono
mantenimento del legame e incentivi, tra cui le agevolazioni fiscali per chi
possiede la casa. In modo da pensare, nel lungo periodo, alla circolarità del
fenomeno”. Il vice segretario di nomina governativa ha poi spiegato come il
“nostro gruppo vuole verificare alcune politiche del governo e l'azione dei
parlamentari eletti all'estero. Con i deputati abbiamo lavorato sul fronte
fiscale, pareggiare le condizioni degli italiani all’estero a quelli italiani;
abbiamo parlato di denatalità e dei provvedimenti del deputato Fabio Porta così
come del DDL del deputato Andrea Di Giuseppe sul tenere i servizi del SSN con
un contributo. Continueremo a lavorare, auspicando un rapporto continuo con il
MAECI per ciò che riguarda gli enti gestori”. Secondo quanto comunicato da
Lodetti, infatti, è “necessario migliorare i servizi, anche attraverso
patronati e CCIE, e migliorare il modo in cui vengono riconosciute le
cittadinanze per una cittadinanza consapevole anche attraverso percorsi
formativo spiegando diritti e doveri dei cittadini”.
Prima dei Presidenti delle Commissioni Tematiche, ha preso parola anche
Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per gli Italiani all’Estero della
Farnesina, che ha risposto a diverse questioni e dubbi fuoriusciti dalla prima
parte della giornata di lavori, tra cui le problematiche legate alle schede
elettorali all’estero, il dialogo spesso complesso fra Ministeri dell'interno
dei diversi paesi e sulla mancanza di rappresentatività di tutte le comunità
italiane all’estero, specie quella dall’Africa, ad oggi Continente senza nessun
rappresentante nel Consiglio Generale. “Il cgie – ha suggerito Vignali -
potrebbe invitare rappresentanti dell'Africa per avere un riscontro su quelle
comunità”. Poi ha potuto parlare anche del rilascio dei passaporti e delle
cittadinanze, specificando come le regole, per la questione, siano
fatte dal Ministero degli Interni, ma “insieme, Farnesina e CGIE possiamo
portare proposte per risolvere il problema del grande faldone delle
cittadinanze”. Così come riguardo il problema degli intermediari sugli
appuntamenti per richiedere il Passaporto: “un problema che stiamo
contrastando” e che non può annoverarsi solo con le difficoltà del servizio
“Prenotami”, che secondo Vignali “funziona”, ma possono verificarsi perché “le
richieste sono tante”. Una cosa ha voluto assicurare il Direttore Generale per
gli Italiani all’estero della Farnesina, ossia che “nel giro di alcuni mesi
riusciremo a mettere a disposizione delle sedi un sistema sempre più sicuro”, e
forse anche più “omogeneo” nonostante le sedi all’estero siano “molto diverse
tra loro”, così come gli utenti.
È stata poi la volta di sei dei presidenti delle otto commissioni
tematiche. A prendere parola, il presidente della I commissione, “Informazione
e Comunicazione”, Giangi Cretti, che spiegato di aver avuto, nella riunione di
ieri, diverse interlocuzioni per affrontare diverse tematiche accompagnati da
due esperti, Franco Sitti e Patrizia Perilli. Tra questi incontri, la
Commissione ha incontrato il dipartimento dell’Editoria della Presidenza del
Consiglio che “ci hanno dato risposte concrete”. Specie riguardo i contributi
per gli editori italiani all’estero e per i quotidiani che fanno informazione
per loro. “La prima rata è stata già erogata – ha spiegato Cretti - e il saldo
avverrà entro la fine dell'anno, rispettando i tempi. Con la sola esclusione,
per mancanza di anzianità, de L'eco di Londra”. Per quanto riguarda i
periodici, i “tempi sono più dilatati, è stato liquidato il contributo del
2022”. Ma una cosa è già riscontrabile, ha aggiunto: “il numero delle testate
che richiedono contributi è in costante diminuzione”. “Il contributo
complessivo rimane attorno ai 2 milioni di euro”. Ma ci sono ancora problemi,
specie riguardo la criticità dell'invio dei documenti in tempo utile. Un
problema che “riguarda anche gli uffici consolari”. Altro problema segnalato da
Cretti è il ruolo dei comites che “non hanno obbligo di inviare la tenuta
contabile, ma devono mandare solo un parere. E spesso i pareri sono di natura
politico-culturale e bloccano contributi”. È importante, ha informato ancora il
Presidente della Commissione I, “che gli statuti stabiliscano in modo chiaro
che ogni editore ha diritto a una testata. E i costi che ha devono essere
tracciabili, i documenti presentati in lingua italiana e l'invio delle copie
fatte a spese proprie”. Cretti ha infine segnalato che all'orizzonte “c'è una
riforma del regolamento (non della legge) che dovrebbe entrare in vigore nel
2025 e che punta a una semplificazione che a noi però potrebbe sembrare una
complicazione”. Riguardo alle testate digitali, invece, non sono previsti
contirbuti al momento in quanto non ci sono i requisiti per capire il valore
della testata e i contributi che gli spetterebbero. Infine, ha parlato anche
dell’incontro avuto con Fabrizio Ferragni, direttore dell’offerta per l'estero
della Rai, e il consigliere d’Ambasciata, Giovanni Maria De Vita, per il turismo
delle radici: “c’è ancora da capire i fondi per le pubblicità istituzionali, ci
sono ancora dubbi”. E per concludere ha auspicato una collaborazione più
intensa con Davide Marotta, responsabile dell’informazione del MAECI, che si è
detto disponibile per consulenza al Cgie.
È intervenuto poi Maria Candida Imburgia, della Commissione II “Sicurezza,
Tutela Sociale e Sanitaria” che ha spiegato a grandi linee il programma
operativo, ossia “monitorare bisogni ed esigenze dei flussi migratori”, specie
in un mondo come quello dell’emigrazione sempre più giovane, fatto di
lavoratori e studenti “che chiedono risoluzione a problemi fiscali e
burocratici. L'Italia fuori è sempre più giovane e l'Italia in Italia è sempre
più anziana. La mobilità è sempre più inquieta, c’è chi parte, c’è chi resta e
c’è chi torna. Una realtà poi composita rispetto al passato. Da parte nostra
serve attenzione sempre più qualificata”. E più in particolare riguardo la
sanità “serve ricerca, informazione puntuale ed efficace, capire come procedere
alla ricerca”. Ma serve, secondo Imburgia, una “interlocuzione tra MAECI e
patronati e definire questa sinergia”.
Dopo di lei, ha preso parola Filippo Ciavaglia, della Commissione II Dirti
Civili, Politici e Partecipazione, che ha spiegato di aver discusso
principalmente di tre temi: la riforma del regolamento Cgie, la legge
istitutiva del comites e la legge istituiva del Cgie. Con una postilla sulla
legge elettorale. “C'è stata massima condivisione nella commissione. E
conveniamo sul fatto che servano delle riforme”.
Tra una Commissione ed un’altra, hanno preso parola brevemente anche i
deputati eletti all’estero Fabio Porta, del Pd, e Simone Billi, della Lega.
“Vogliamo dialogare con la nuova segretaria generale – ha spiegato Porta che è
stato presente tutto il giorno ai lavori -. Emigrazione e immigrazione sono due
realtà che stanno salvando l'Italia”. C’è “da migliorare sul voto: ad ogni
tornata elettorale ci sono brogli” ha spiegato ancora. Sul turismo delle
radici, invece, ha detto: “la gestione del progetto ha uno strabismo, si
rivolge agli italiani all'estero ma si svolge tutto in Italia. Servivano
progetti più complessivi per un progetto che ha criticità molto grandi. Ma
possiamo migliorarlo.
Billi si è invece detto pronto ad aiutare la causa per qualsiasi cosa.
Ha parlato poi il Presidente della V Commissione, Massimo Romagnoli,
Promozione del Sistema Paese all'Estero, che ha evidenziato come in questi mesi
di lavoro “abbiamo cercato di farci conoscere alle istituzioni. Abbiamo
presenziato a diversi incontri. E abbiamo parlato con organi di stampa. Ma
stiamo pensando ancora al futuro affinché gli italiani all'estero ci conoscano
meglio. Diverse sono le iniziative pensate: come una banca dati degli
imprenditori italiani all'estero”.
In seguito, è intervenuto il Presidente della Commissione VI, Pietro
Mariani, Conferenza Permanente Stato, Regioni, Province Autonome, CGIE: che si
è detto rammaricato per l’impossibilità di svolgere la conferenza permanente
nella scadenza dei tre anni, come da legge (che ricadrebbe quest’anno).
“Vorremmo farlo nel 2025”. A tal ragione, Mariani ha pensato alla possibilità
di diverse consulenze e si è rammaricato anche sul fatto di essere “esclusi
dalla vita politica della regione, non ci possiamo candidare alla regionali. Un
tema di cui abbiamo discusso e che dovrebbe cambiare”.
Infine, ha preso parola Matteo Bracciali, della commissione 7, Nuove
Migrazioni e Generazioni Nuove: “entro metà novembre vorremo provare a
ragionare insieme in un momento pubblico”, ha spiegato. Questo porterebbe a:
“allargare e coinvolgere la partecipazione dei nuovi expat, tema che coinvolge
tutte le nostre comunità; focalizzare i contenuti e le finalità, scambiando
buone prassi; riuscire a isolare una linea progettuale per gli expat sostenuto
dalla rete consolare e dalle istituzioni”.
Sul tema, ha parlato anche il Consigliere Raimondo Pancrazio, che ha
aggiunto una nota sullo stato dell'arte della questione sanità, frontalieri e
iscrizione al SSN.
Hanno preso poi parola 3 delle esponenti di 3 Gruppi di Lavoro: prima
Barbara Sorce, del gruppo di lavoro sul Turismo delle Radici: “ci siamo posti
l'obiettivo di sviluppare strategie per esperienze autentiche. Nel
frattempo abbiamo creato reti di contatto, abbiamo stabilito partenariati,
delineato i profili di viaggiatori, partecipato a dibattiti locali in seguito
ai bandi dei comuni e pensando anche al giubileo”.
Poi la consigliera Maria Elena Rossi, del gruppo Parità di Genere, che ha
spiegato: “abbiamo promosso una campagna di sensibilizzazione, “soli insieme si
può”. Abbiamo coinvolto figure diverse. Cercando di coinvolgere anche uomini e
adolescenti, per cercare di attivare un cambiamento complessivo nella società.
Abbiamo fatto rete. Abbiamo creato premi e contributi e vogliamo continuare la
campagna e creare un manuale per l'uso del linguaggio inclusivo. Il passo in
avanti non è più prorogabile. E abbiamo ancora tanti progetti per contribuire
alla diffusione di una nuova cultura per una società in cui equità e inclusione
sono rappresentati al meglio”.
Infine, ha preso parola Elena Remigi, che ha parlato dell’impatto della
brexit sulle difficoltà degli italiani in UK, i problemi alle frontiere, i
problemi con la tessera sanitaria europea. “Abbiamo sentito il parlamentare
Crisanti e speriamo di risolvere questi problemi”. (l.m. aise/dip 19)
Il ruolo dei Connazionali all’estero si dovrebbe vagliare in un’ottica più
consona ai tempi nei quali viviamo. Specificando che la nostra Collettività
oltre frontiera potrebbe avere una più efficace stima anche in Patria.
L’”Italianità’” è una particolarità che non dipende soltanto dalla
cittadinanza, ma anche da un modo d’impostare la propria vita in sintonia con
quella della Comunità nella quale si è nati o nella quale si vive. Lo facciamo
rilevare per evitare ogni dubbio.
Essere italiano, indipendentemente
dalla residenza, rivela un complesso di percezioni e d’esperienze che ci rende
particolarmente disponibili all’incontro; pur mantenendo i nostri principi e
tradizioni. Siamo Gente capace d’affrontare gli eventi negativi che, da noi,
non mancare mai. Ma anche capaci di “recuperare” ciò che abbiamo smarrito.
Premesso che i Connazionali nel mondo sono milioni e le Generazioni si sono
evolute, teniamo a rilevare che non è venuta mai meno l’immagine della loro ”
Italianità”. Anche quando sarebbe stato più semplice seguire altri percorsi.
Vivere la quotidianità, anche all’estero, ci pone a un livello che consente di
conservare quei principi di condivisione tipici di un Popolo.
Italiani nell’essere rimane, di conseguenza, una qualità che, nei secoli,
ha portato il seme della nostra cultura in tutte le contrade del mondo e
continua a farlo. Con queste valutazioni, auspichiamo che, nonostante i venti
di guerra, questo sia un anno, pur con uno stato di pericolosa belligeranza in
corso, per il rilancio del nostro modo di farci valere in Italia e nel mondo.
Giorgio Brignola, de.it.press
Autonomia differenziata delle Regioni: approvato in via definitiva il
disegno di legge
Con 172 sì, 99 no e un astenuto, la Camera ha approvato in via definitiva
il disegno di legge che contiene le disposizioni per l’attuazione
dell’autonomia differenziata delle Regioni. La prima lettura da parte del
Senato era avvenuta nel mese di gennaio
Con 172 sì, 99 no e un astenuto, la Camera ha approvato in via definitiva
il disegno di legge che contiene le disposizioni per l’attuazione
dell’autonomia differenziata delle Regioni. La prima lettura da parte del
Senato era avvenuta nel mese di gennaio.
Vediamo dunque alcuni punti caratterizzanti del testo approvato e i
principali nodi problematici emersi dal dibattito dentro e fuori il Parlamento.
La legge (che correntemente viene chiamata con il nome del ministro leghista
Calderoli) intende fissare le coordinate e le procedure per dare attuazione al
terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, riformato nel 2001, laddove si
prevede la possibilità di attribuire “ulteriori forme e condizioni particolari
di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta.
All’attribuzione si provvede con una legge dello Stato “sulla base di intesa
fra lo Stato e la Regione interessata”. Le materie potenzialmente coinvolte
sono tutte quelle in cui è prevista la legislazione “concorrente” tra Stato e
Regioni e che l’art.117 della Carta così enumera: “Rapporti internazionali e
con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza
del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con
esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni;
ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori
produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo;
protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi
reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione;
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare
e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di
attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a
carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere
regionale”. All’elenco vanno aggiunte tre materie su cui lo Stato
ordinariamente detiene l’esclusiva della legislazione: organizzazione della
giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali.
Un elenco di grande ampiezza, che comprende materie di rilevanza nazionale
e persino internazionale. Va inoltre sottolineato che le tre Regioni con cui
finora lo Stato ha sottoscritto accordi preliminari (altre si sono mosse nel
frattempo) hanno chiesto l’autonomia rafforzata in tutte le materie (il Veneto)
o in buon parte di esse (20 su 23 la Lombardia, 16 l’Emilia Romagna). Questo
aspetto è stato ed è motivo di polemica politica. Il testo della legge, infatti,
contiene espliciti riferimenti ai principi di unità e indivisibilità della
Repubblica, ma le opposizioni e i critici rilevano con preoccupazione rischi di
frammentazione e disgregazione istituzionale. Così pure sul versante
socio-economico, il testo richiama il principio solidaristico e il tema della
coesione, ma per le opposizioni e i critici si tratta invece del tentativo di
una “secessione dei ricchi”. E’ questo uno dei nodi politicamente più
sensibili.
Il finanziamento delle funzioni statali trasferite avverrà attraverso una
compartecipazione a uno o più tributi erariali maturati nel territorio della
Regione. Il problema è come evitare che questo meccanismo finisca per
cristallizzare o addirittura accrescere le disuguaglianze esistenti. A questo
fine dovrebbero servire i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da
assicurare su tutto il territorio nazionale, promuovendo l’esercizio effettivo
dei diritti civili e sociali con interventi perequativi anche nelle Regioni che
non richiederanno l’autonomia rafforzata e che hanno una minore capacità
fiscale per abitante. I Lep, alla cui introduzione le nuove norme sono
subordinate, dovranno essere adottati dal governo con uno o più decreti
legislativi entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge (che in questo
senso agisce come una legge-delega). Resta però tutto da definire il nodo delle
risorse finanziarie ed è uno scoglio decisivo da superare per rendere
effettivamente praticabile tutta l’operazione. La legge Calderoli stabilisce
che da ciascuna intesa con le Regioni non dovranno derivare nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica.
Per le intese che dovranno essere stipulate con le Regioni si prevede un
iter piuttosto complesso. In sintesi, si svolgerà un negoziato tra il governo e
ogni Regione che avrà chiesto l’autonomia rafforzata. Sarà il Consiglio dei
ministri ad approvare un’intesa preliminare e su di essa esprimeranno un parere
la Conferenza unificata (i rappresentanti delle autonomie locali) e le
competenti commissioni parlamentari, le quali si esprimeranno con “atti
d’indirizzo”. Il presidente del Consiglio, però, non sarà tenuto a conformarsi
a questi atti e potrà decidere altrimenti, riferendo alle Camere sulle
motivazioni di tale scelta. La palla tornerà quindi al Consiglio dei ministri per
deliberare sullo schema definitivo dell’intesa (dopo un ulteriore negoziato con
la Regione, se necessario) che sarà allegato a un apposito disegno di legge di
approvazione dell’intesa medesima. Questo ddl sarà presentato alle Camere che
dovranno approvarlo a maggioranza assoluta. Anche su questa procedura sono
state sollevate critiche perché di fatto il Parlamento non potrebbe entrare nel
merito dell’intesa e dovrebbe limitarsi ad approvare (o respingere) il testo
così com’è stato elaborato nel negoziato tra governo e vertici regionali. Ma
l’argomento è molto controverso.
Le intese potranno durare al massimo 10 anni, con possibile rinnovo. Nelle
disposizioni finali viene fatta salva la clausola che prevede l’esercizio di un
potere sostitutivo del governo, secondo l’art.120 della Costituzione, in caso
di inadempienze delle Regioni in materie gravi (trattati internazionali,
sicurezza e incolumità pubblica, tutela dell’unità giuridica ed economica,
livelli essenziali delle prestazioni sociali, ecc.). Le nuove norme si
applicheranno anche alle attuali Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome di Trento e Bolzano, in attesa dell’adeguamento dei rispettivi
statuti, “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a
quelle già attribuite”. Stefano De Martis, Sir 19
L’amore tossico: quando una relazione fa più male che bene?
Qual è la differenza tra l’amore sano e l’amore tossico?
Una storia d’amore sana si basa su rispetto reciproco, gentilezza,
supporto, ascolto, fiducia e comprensione. Quando una relazione è funzionale,
ognuno dei partner mantiene uno spazio personale e intimo con sé stesso e
questo non inficia l’armonia di coppia, al contrario, la promuove. Una coppia
che conserva l’equilibrio in questi aspetti avrà tutti gli ingredienti per
fiorire, evolvere ed essere felice.
Capita che una relazione che all’inizio sembrava funzionare, semplicemente
non funziona più, ma i partner continuano a portarla avanti, sentendosi
incastrati. Così, il rapporto può diventare patologico e addirittura
pericoloso. In questo caso si parla di amore tossico.
Si instaura un circolo vizioso caratterizzato da un’asimmetria di potere,
un processo di idealizzazione di uno dei partner e uno spreco esagerato di
energie. Tali meccanismi sono logoranti e portano a una gran sofferenza. Le
conseguenze sull’autostima e sul benessere personale sono molto negative e
possono anche trasformarsi in sintomi psicologici severi.
Tipi di amore tossico
In base agli schemi comportamentali che si adottano, si possono
identificare alcune tipologie di amore tossico:
• Rapporto sado-masochistico: alcune persone, soprattutto donne
con vissuti di abusi infantili, ricercano inconsciamente il sadismo nel
partner. La persona masochista ha generalmente imparato da bambina che bisogna
soffrire per mantenere un legame affettivo e ricevere attenzioni.
• Lotta di potere: a volte entrambi i partner cercano di assumere
il ruolo dominante, litigando continuamente. È il tipico caso di coppie con
figli che considerano la loro unione un “sacrificio” per l’unità della
famiglia.
• Innamorarsi della persona sbagliata: alcuni individui tendono a
innamorarsi di persone che in realtà non sono interessate, non fanno per loro,
o non sono disponibili. Impiegano moltissime energie cercando di “cambiare”
l’altro e di attirare la sua attenzione a tutti i costi. In questi casi spesso
l’altro si approfitta dei sentimenti del partner o lo ignora, creando così i
presupposti di una relazione tossica.
• Dipendenza affettiva: è il tipo di amore tossico più comune. È
una dinamica psicopatologica disfunzionale che colpisce generalmente uno dei
due partner della coppia, ma in alcuni casi entrambi possono diventare
co-dipendenti. Chi la sviluppa prosciuga le proprie energie per la relazione e
si isola dalle altre persone. Così, indebolisce la propria identità individuale
e crede che non può a far meno dell’altro, che viene visto come l’unico
“salvatore”. Si tratta di una vera e propria dipendenza patologica, che porta a
considerare irrinunciabile o inconcepibile una vita senza il partner. Questo
legame si caratterizza tipicamente per storie di violenza e abusi, che fanno
soffrire molto il partner dipendente, il quale, anche se si mostra consapevole
della dinamica malata, non riesce a interrompere la relazione.
Come può nascere una dipendenza affettiva?
In un certo grado, l’attaccamento è normale in ogni relazione. La
differenza tra attaccamento e dipendenza è un confine sottile e spesso il
passaggio verso una relazione distruttiva è quasi impercettibile.
L’attaccamento si trasforma in una vera e propria dipendenza affettiva quando
diventa impossibile riconoscersi come persona con un’esistenza individuale.
Allora, diventa dannoso per la salute psico-fisica e può portare ad
angoscia, grave malessere mentale, sindrome da astinenza per l’assenza del
partner e riduzione di importanti attività sociali, ricreative o professionali
per via dell’eccessiva quantità di tempo dedicata al controllo della relazione.
Alla radice di queste dinamiche possono esserci origini profonde, legate
alla difficoltà di sviluppare un normale attaccamento. È considerato un fattore
di rischio nella costituzione di una dipendenza affettiva l’aver sviluppato un
attaccamento di tipo insicuro verso i propri genitori durante l’infanzia. Dato
che si tende a ripetere i modelli mentali imparati da bambini, generalmente
questi verranno riprodotti, a livello inconscio, nelle relazioni da adulti. Per
via di questa modalità appresa, è comune che chi sviluppa dipendenza affettiva
abbia avuto ripetute relazioni d’amore dolorose e problematiche nel passato.
Come capire quando una relazione è tossica?
È fondamentale riconoscere i segnali di un amore tossico, per sapere come
uscirne e per imparare a gestire meglio le relazioni. Tuttavia, capire di
essere di fronte a un rapporto malato non è un compito semplice, dato che
spesso la relazione si degrada e si intossica in maniera graduale e
impercettibile. Ecco ciò a cui prestare attenzione:
• Violenza fisica e verbale, litigiosità e tensione.
• Manipolazione psico-emotiva (come svalutazioni, umiliazioni,
denigrazioni, sarcasmo, induzione di sensi di colpa…).
• Isolamento (un partner viene incoraggiato in maniera subdola a perdere i
contatti con amici e familiari).
• Gelosia cieca, ossessività, impazienza, intensità e insistenza (si viene
sopraffatti, inondati di chiamate).
• Instabilità (frequenti rotture e riappacificazioni).
• Livelli di energia bassi.
• Ansia.
• Scarsa autostima.
I ruoli dell’amore tossico: dal partner che “salva” alla persona “debole e
bisognosa”
Un amore tossico viene a crearsi quando i due partner, con le loro
caratteristiche disfunzionali, assumono dei ruoli che si completano in maniera
patologica. Anche se uno alimenta la dinamica più dell’altro, entrambi sono
responsabili.
Il costrutto del “triangolo drammatico”, teorizzato dallo psicologo S.
Karpman, è un elemento tipico di queste relazioni. Consiste in repentini e
ciclici cambiamenti tra i ruoli di vittima, salvatore e persecutore.
• Chi gioca il ruolo del salvatore si prende cura del partner bisognoso, la
vittima, spesso svalutandone la capacità di agire e facendolo sentire
inadeguato. Il salvatore sente l’impulso di “salvare” gli altri perché ha
scarsa fiducia in sé stesso e vuole sentirsi utile. Se si sente irritato, può
facilmente trasformarsi in un persecutore, se la vittima è recidiva nel suo
ruolo, o in vittima, se vede che il suo aiuto viene rifiutato.
• La vittima si sente inferiore agli altri e si sente attratta da un
salvatore, che gli dedica tante attenzioni. È un facile bersaglio anche per un
persecutore. Anche la vittima può cambiare ruolo, approfittandosene o
ribellandosi e diventando così persecutore del partner, che inizialmente era
salvatore e ora diviene vittima.
• Il persecutore critica e attacca il partner per sentire di avere un
valore. Come nel caso del salvatore, svaluta la vittima, la quale inoltre
svaluta sé stessa.
Questo gioco di ruoli genera conflitti che si ripetono ciclicamente e con
le stesse modalità. Si tratta di ruoli non autentici, che rappresentano maniere
infantili di confrontarsi con l’altro e comportamenti disfunzionali.
Come uscire da una relazione tossica?
Per uscire da questa dinamica, bisognerebbe prenderne coscienza e assumere
un atteggiamento razionale. Per agire con maturità ed autenticità, la chiave è
valorizzare l’altro e chiedersi il perché dei suoi comportamenti, così come dei
propri. La posizione da assumere, come dice lo psicologo E. Berne, è quella di
“Io sono ok, tu sei ok”.
Uscire da una relazione tossica è difficile, perché si intrecciano
complessi meccanismi patologici. Inoltre, spesso si hanno energie talmente
basse che non si vede alcuna via d’uscita.
• Il primo passo è rendersi consapevoli del tipo di rapporto, accettando
che non è sano e che ci sta facendo del male. Analizzare i comportamenti e
rivedere particolari situazioni passate può essere un inizio.
• Bisogna anche ammettere senza paura i sentimenti che si provano nei
confronti della situazione e permettersi di vivere qualsiasi emozione che
sorga, in maniera genuina e sincera. Se c’è del dolore, non va respinto,
piuttosto bisogna ascoltare sé stessi e vedere se c’è un messaggio dietro ciò
che si sente. Vivere la sofferenza richiede coraggio e resilienza, ma è
fondamentale per imparare a riconoscere i propri bisogni.
• Amare sé stessi è fondamentale. Bisogna recuperare le proprie passioni
messe da parte e gli hobby “sacrificati” in nome della relazione. È utile
circondarsi di amici e di persone che abbiano atteggiamenti positivi e diversi
da quelli del partner.
• Lavorare su sé stessi, correggendo gli schemi comportamentali che
conducono alla dipendenza affettiva e a relazioni patologiche, è
imprescindibile.
• Va valutato il rapporto costi-benefici: vale la pena stare in questa
relazione? Chiudere la relazione è un compito che spetta proprio a noi.
Perché è così difficile lasciare un partner tossico?
Come accennato prima, lasciare un partner tossico risulta difficile per via
delle complesse dinamiche psichiche che si sono consolidate e per via della
dipendenza affettiva ed emozionale che spesso si instaura e che porta alla
credenza che è meglio soffrire ma mantenere la relazione, piuttosto che stare
senza il partner.
Sono diversi gli aspetti complicati da affrontare quando finisce una
relazione tossica:
• Spesso si vive la rottura come un lutto, che va elaborato passando per un
processo lento, costituito da diverse fasi emozionali, che oscillano tra rabbia
e tristezza, e alterazioni comportamentali. L’ultima fase sarà quella dell’accettazione,
la quale in alcuni casi può tardare molto a presentarsi.
• Quando finisce un amore tossico è difficile abbandonare l’idealizzazione
del partner. Alla base di ciò c’è una parte di noi che rimane fortemente
attaccata alla relazione idilliaca dei primi tempi, che non riesce ad accettare
che quelle emozioni intense sono finite e che non trova una ragione al perché
le cose abbiano preso un’altra direzione.
• Questo processo interno porta a un turbinio di sentimenti contrastanti
come rabbia, paura, nostalgia e solitudine. La colpa molto spesso prende il
sopravvento e ci domina. Per gestire il senso di colpa è necessario ascoltarsi,
accettare la propria sofferenza e perdonare sé stessi. Non bisogna
auto-criticarsi né giudicarsi negativamente: ci siamo innamorati di una persona
tossica perché probabilmente non eravamo in grado di riconoscere le nostre
necessità. Adesso che siamo consapevoli possiamo imparare una grande lezione:
un amore tossico non soddisfa i nostri bisogni ma porta solo a sofferenza.
• Non bisogna abbassare la guardia. Anche dopo la rottura si possono avere
attacchi di astinenza dall’ex partner, che causano ansia o panico. Le due
reazioni comuni sono ricercare l’ex partner o iniziare una nuova relazione con
una persona tossica, entrambe con conseguenze disastrose.
Come superare la fine della storia?
Superare la fine della storia ci permetterà di riappropriarci di noi
stessi, riconoscere ciò che ci fa stare davvero bene e così rifiorire. Ecco dei
consigli per ricominciare:
• Circondarsi di chi ci vuole davvero bene
• Mettersi al primo posto e dedicare molto tempo a sé stessi
• Avere pazienza con sé stessi: ci vorrà del tempo per integrare ciò che ci
è capitato e per riuscire ad avere una chiara visione delle cose
• Un percorso psicologico con un professionista può essere un aiuto
fondamentale e prezioso per uscire dalla relazione, ma anche per superare la
fase post-rottura. Inoltre, aiuterà a evitare recidive di astinenza, elaborare
l’abbandono ed aumentare l’autostima. Claudia Bassanelli, CdI giugno/luglio
Storia dell'emigrazione italiana in Europa: uscito il secondo volume
ROMA - È uscito nei giorni scorsi il secondo volume della “Storia
dell'emigrazione italiana in Europa” (Donzelli editore – 232 pagine, 25,65
euro) a cura di Toni Ricciardi, storico delle migrazioni e deputato Pd.
Questo secondo tomo – che raccoglie i saggi di Anna Badino, Corrado
Bonifazi, Toni Ricciardi, Sandro Rinauro, Gaetano Sabatini e Matteo Sanfilippo
– riguarda in particolare gli anni dal 1957 al 1979, “Dal Trattato di Roma
all’elezione del Parlamento europeo”.
Questo volume segue il primo “Dalla Rivoluzione francese a Marcinelle
(1789-1956)”. Completeranno la collana altri due tomi: “Dalla generazione
Erasmus al Trattato di Nizza (1987-2001)” e “Dall’euro al Covid-19
(2002-2022)”.
La scheda dell’editore
“La firma del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 ebbe un impatto enorme
nello sviluppo dei processi migratori in Europa. Con l’art. 48, che di fatto
sancì la libera circolazione dei lavoratori all’interno dello spazio
comunitario, il processo di avvicinamento di interessi fino a quel momento
contrapposti divenne un pilastro della futura, lenta e non sempre facile
costruzione e convivenza europea. Le elezioni dirette del Parlamento europeo
del 1979 rappresentarono un ulteriore momento di cesura di questa storia
iniziata all’indomani della Rivoluzione francese e conclusasi nelle viscere di
Marcinelle”.
Il Trattato di Roma, che nel marzo 1957 segnò in maniera decisiva il futuro
processo di integrazione europea, rappresentò la risposta più alta alla
tragedia di Marcinelle dell’anno precedente, nella quale l’Italia aveva subito
il maggior numero di vittime.
L’appuntamento di Roma diede concretezza alla Conferenza di Messina del
1955, nella quale la libera circolazione della forza lavoro tra paesi fondatori
doveva rappresentare il punto di svolta, e vide l’Italia partecipare come un
nuovo soggetto, che sedeva a pieno titolo al tavolo delle grandi potenze
economiche del tempo. Gli accordi di emigrazione trovarono la loro massima
consacrazione con una ulteriore direttrice, quella dell’allora Repubblica
federale tedesca, pronta dagli anni sessanta ad accogliere lavoratori nelle
proprie industrie automobilistiche.
Nel contesto della definitiva divisione in blocchi contrapposti, l’Italia,
tra i paesi fondatori della nuova Europa, rimaneva un serbatoio di manodopera,
ma allo stesso tempo si apprestava a vivere i fasti del suo pur breve miracolo
economico. La provincia italiana – in primis i piccoli comuni del Meridione, il
Nord con minore intensità rispetto al passato – continuava ad alimentare i
flussi migratori, quasi esclusivamente rivolti verso l’Europa e in particolare
verso le ripristinate industrie tedesche.
In questa fase, il modello del lavoro stagionale ebbe la sua massima
applicazione, modificando non solo l’approccio verso il lavoro, ma anche gli
assetti delle periferie dei grandi centri urbani europei, con le baracche che
ospitavano i lavoratori migranti. A chi partiva per una stagione di lavoro
veniva vietato, in molti casi, il ricongiungimento familiare e di conseguenza
in questo periodo prese forma il fenomeno dei bambini clandestini, diffuso in
particolare in Svizzera, paese nel quale il 30 agosto 1965 si consumò l’ultima
grande tragedia dell’emigrazione italiana, Mattmark.
Contestualmente, tra la fine degli anni cinquanta e settanta, il processo
di integrazione europea visse lo slancio decisivo.
Nel 1979, con le prime elezioni dirette del Parlamento, l’Europa politica,
non solo quella economica, avviò la lenta definizione di una nuova cittadinanza
europea, nata dalla Rivoluzione francese, forgiatasi nella tragedia di
Marcinelle, che vivrà la propria stagione d’oro nei decenni immediatamente
successivi – come vedremo nel terzo volume di quest’opera – e fasi alterne con
l’avvio del nuovo millennio, come vedremo nel quarto e ultimo volume. Le
migrazioni non sono mai state solo il risultato della ricerca di opportunità
migliori da parte delle persone, ma anche il frutto di una complessa serie di
processi economici e geopolitici.
Allo stesso tempo, le migrazioni sono probabilmente una delle chiavi
interpretative, tra le più significative, per comprendere il lungo processo
della storia della globalizzazione, intesa nel suo senso più ampio e
onnicomprensivo. Per questa ragione, i quattro volumi di Storia
dell’emigrazione italiana in Europa – dalla Rivoluzione francese fino ai giorni
del Covid-19 – si sviluppano attraverso l’analisi delle direttrici, delle
dinamiche e delle politiche migratorie poste in essere dall’Italia e dai paesi
europei. L’emigrazione prima e la mobilità poi sono gli elementi primari per
definire la cronologia degli eventi, a cui, senza tralasciare i momenti di
cesura tradizionali della storia europea e italiana, viene intrecciata la
cronologia della costruzione dello spazio comune europeo. (aise/dip 7)
Uscito il volume “Storia dell’emigrazione italiana dall’Unità a oggi”
Lo scorso 5 giugno, presso il CNR a Roma è stato presentato il libro di
Enrico Pugliese e Mattia Vitiello, “Storia dell’emigrazione italiana –
Dall’Unità a oggi”. Un lavoro importante perché ci riconnette con un pezzo di
storia del nostro paese che non è un epifenomeno secondario, ma è piuttosto
costitutivo dell’Italia contemporanea. E con ciò si vuole intendere la scelta
operata in ripetute occasioni dalle classi dirigenti che si sono susseguite
alla sua guida, di lasciare andare, quando non sollecitare, la partenza di
consistenti masse di persone verso l’estero ogniqualvolta non si era in grado –
o non si è voluto – affrontare i nodi strutturali posti dagli squilibri
territoriali o di classe.
Il libro è importante perché nel suo schema di cicli e interludi
ricomprende anche l’ultimo flusso emigratorio, quello che stiamo vivendo da
circa 15 anni a questa parte e che va sotto il nome di nuova emigrazione
italiana; come a confermare che il tempo passa, ma il vizio rimane; ed è un
vizio che consiste nell’incapacità o nella mancata volontà di valorizzare le
persone e le competenze prodotte dal lavoro di generazioni, solo perché una
loro endogena e piena valorizzazione metterebbe in discussione gli equilibri
dati, sul piano nazionale, ma anche sul piano dei rapporti con i paesi
limitrofi, con l’Europa, ad esempio e con il rapporto che intercorre tra libera
circolazione e coesione interna.
Se aggiungiamo alla nuova emigrazione verso l’estero, i flussi emigratori
da sud a nord, che sono continuati dal dopoguerra ad oggi e che sono tuttora in
grande spolvero, possiamo leggere, attraverso questa lente di ingrandimento che
è l’emigrazione, molte delle contraddizioni centrali che attanagliano l’Italia.
Dall’ultima grande crisi globale del 2007-2008 ad oggi sono defluiti dall’Italia
circa 3 milioni di persone. E la seconda regione italiana dopo la Lombardia,
fatta di 7,1 milioni di persone, è quella all’estero. Numeri, storie personali,
storie di territori, che avrebbero dovuto preoccupare e dovrebbero preoccupare
chi è stato e chi è alla guida del governo del paese, alla classe politica nel
suo complesso, al mondo delle imprese, ai tanti attori sociali che definiscono
il presente e il futuro dell’Italia. Si tratta di vicende che Enrico Pugliese e
Mattia Vitiello avevano già in parte affrontato in diversi saggi e
pubblicazioni fin dal 2017 (vedi.: “La ripresa dell’emigrazione italiana e i
suoi numeri: tra innovazioni e persistenze” – Mattia Vitiello, la Rivista delle
Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 4/2017 – “Quelli che se
ne vanno” – E.Pugliese, Il Mulino, 2018).
Invece, da 30 anni a questa parte, il dibattito sulle migrazioni si è
concentrata su discussioni e scontri talvolta degradanti riguardanti
esclusivamente l’immigrazione, in un paese, tra l’altro, con il più alto
indice di declino demografico dell’occidente che avrebbe grande necessità di
accogliere e integrare seriamente chi arriva. (Soltanto nelle dichiarazioni
recentissime del nuovo governatore della Banca d’Italia, Panetta, le due
vicende vengono rappresentate insieme, anche in riferimento agli scenari
demografici, salvo poi non affrontare, ci sembra, neanche in questa occasione,
in modo limpido, i nodi della questione).
Forse tutto ciò è avvenuto proprio per nascondere il fallimento – secolare –
sull’altro lato della medaglia: quello dell’emigrazione italiana. Un fallimento
che ha coinvolto gran parte della politica politicante soprattutto da quando
l’egemonia culturale riassunta nei dogmi neoliberisti del pareggio di bilancio,
nel jobs act, nella produttività e competitività costruita a spese del lavoro,
si è insediata nelle teste dei più cancellando ogni pregressa conquista della
teoria economica.
Proprio mentre si abbondava in misure rigoristiche e di contrazione
salariale che secondo alcuni avrebbero dovuto attrarre grandi investimenti
internazionali per la ripartenza del paese, il paese ripartiva, effettivamente,
ma verso l’estero. E il redivivo patto di stabilità post-pandemico ci annuncia
che questa stagione migratoria, questo terzo ciclo dell’emigrazione italiana
del XXI° secolo avrà probabilmente lunga vita.
Quest’ultimo libro di Enrico Pugliese e Mattia Vitiello merita di essere
letto con attenzione e fatto conoscere ai più. E’ un libro di storia sociale,
come lo definiscono gli autori, ma apre a scenari di riflessione molto ampi sul
presente e sul futuro. Fiei 8
La natura non è sempre generosa con tutti gli esseri umani. Anche se la
società ha l’orgogliosa pretesa di contenere, se non vincere, il dolore. A
fronte della realtà di drammi che pongono creature innocenti ai margini della
società, l’uomo continua a tentare di sconfiggere la sofferenza.
Nell’incapacità di raggiungere sempre lo scopo, c’è chi preferisce non
“vedere”. Da qui le case di cura ben celate tra il verde. Anche il dolore ha
una sua dignità che ha da essere rispettata. L’indifferenza, le polemiche, i
fatalismi non risolvono e, spesso, contribuiscono a rendere, ancora più
disagevole, un percorso che potrebbe capitare a ciascuno di noi.
Col Nuovo Millennio, le tecnologie socio/sanitarie si sono evolute; ma la
matrice del “dolore” resta una parte della natura umana. L’importante è che
l’opinione pubblica non si dimostri apatica agli eventi infausti per l’umanità.
Non bastano, quindi, i contributi economici, non sempre sufficienti, per
rimuovere certi eventi. Non neghiamo, però, le oggettive difficoltà nel
concretare un progetto globale in tal senso. Anche perché resta improbabile realizzarlo
appieno.
Infatti, quest’aspetto angosciato
della vita non è solo un problema d’amore da affidare ai generosi. C’è, per di
più, un preciso impegno morale e civile per tentare di garantire a tutti
un’esistenza meno sofferente. Le polemiche non servono. Se tale impegno non
dovesse essere compreso, guardiamo i nostri cari e riflettiamo sull’immensa
felicità d’offrire loro un sorriso.
Essere al servizio degli altri è un’azione apprezzabile, ma anche
l’occasione per sentirci più utili. Tra tanta incertezza, in direzione di un
futuro progettato per dividerci, più che unirci, ci sembra d’essenziale
importanza porci una domanda: cosa abbiamo fatto noi per meritarci la salute e
il benessere? A questo interrogativo potremmo individuare una razionale risposta
solo valutando, con più condivisione, la concreta dimensione del dolore umano.
In sostanza, si potrebbe vivere meglio tendendo la mano a chi ne ha bisogno. La
“mano testa” non ha bandiere, né Ragioni di Stato e implica l’Umanità.
Giorgio Brignola, de.it.press
Elezioni europee 2024: la vittoria dell’estrema destra
I partiti di estrema destra hanno guadagnato molte posizioni nelle elezioni
dell’Unione europea, mentre i perdenti finali sono stati il presidente francese
Emmanuel Macron e i Verdi.
L’estrema destra in testa
I partiti di estrema destra in Europa hanno vinto in molti Paesi, arrivando
in testa in Francia, Italia e Austria e registrando un discreto successo anche
nei Paesi Bassi. L’AfD in Germania si è piazzato al secondo posto – ma comunque
davanti al partito SPD del cancelliere Olaf Scholz.
Tuttavia, gli esperti avvertono di non sopravvalutare troppo il loro
successo. “L’estrema destra ha fatto bene ma non benissimo – non dimentichiamo
che queste sono elezioni di secondo ordine”, ha detto Francesco Nicoli,
visiting fellow del think tank Bruegel. “Non possiamo dire che si tratti di una
spinta molto, molto significativa allo stato attuale delle cose”, ha detto
Christine Verger, vicepresidente del think tank Jacques Delors. “Potrebbero
esserci dei movimenti all’interno dei gruppi politici. Non sappiamo dove
andranno a finire alcuni eurodeputati”.
Una grande domanda che viene sollevata è se i due principali gruppi di
estrema destra del Parlamento – Identità e Democrazia (ID) e Conservatori e
Riformisti Europei (ECR) – possano unirsi, creando un supergruppo. Verger ha
respinto l’idea a priori. “Non credo assolutamente a un’unificazione, è fuori
questione che ID e ECR si fondano”, ha dichiarato all’AFP. L’ECR comprende il
primo ministro italiano di estrema destra Giorgia Meloni, il cui partito
Fratelli d’Italia è risultato primo alle elezioni.
Per quanto riguarda il probabile impatto dell’estrema destra sull’attività
legislativa del Parlamento europeo, gli esperti sembrano ottimisti. “Il
crescente numero di eurodeputati di estrema destra avrà probabilmente un
impatto limitato sull’Ue“, ha previsto l’esperta Marta Lorimer. “Non
costituiscono una minoranza di blocco”.
Macron più debole
Il più grande sconfitto delle elezioni è stato Macron, dopo che il suo partito
liberale ha ricevuto una batosta da parte del Rally National francese guidato
da Marine Le Pen. Il presidente francese ha risposto sciogliendo rapidamente il
Parlamento nazionale e convocando elezioni lampo.
“La Francia rimane un grande Paese con un presidente che ha molto potere”,
ha detto Verger. In quanto capo di un importante Stato membro dell’Ue, Macron
rimarrà un attore importante sulla scena europea“. Ma la scarsa performance
elettorale del suo partito Renaissance gli farà perdere “un po’ di influenza”
all’interno del gruppo Renew di cui fa parte e del parlamento in generale.
Il ritorno di von der Leyen
Gli analisti concordano sul fatto che si è trattato di una notte piuttosto
buona per il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che
spera di ottenere un secondo mandato quinquennale dopo il voto. Avrà bisogno
del sostegno sia dei 27 leader dell’Ue sia del nuovo Parlamento, e per quanto
riguarda quest’ultimo aspetto i dati suggeriscono che la von der Leyen può
tirare un sospiro di sollievo. Il suo partito, il Partito Popolare Europeo
(PPE), rimane infatti il più grande raggruppamento del Parlamento e gli esperti
avevano previsto che sarebbe stata in grado di ottenere i voti in più di cui ha
bisogno.
Sulla base dei risultati preliminari, Nicoli ha detto che potrebbe contare
sul sostegno dei socialisti e dei democratici “con una scelta tra liberali, ECR
e Verdi come junior partner” – e potrebbe affrontare 20 defezioni o più in ogni
scenario. “Penso che le elezioni avrebbero potuto essere peggiori per lei”.
Verdi in crisi
È stata una notte deludente per il gruppo politico dei Verdi, che si
appresta a perdere circa 20 legislatori dell’Ue, con un risultato che non ha
sorpreso più di tanto.
“I Verdi sono chiaramente perdenti, così come Macron, ma anche in questo
caso si trattava di tendenze già chiaramente evidenti“, ha detto Nicoli. Le
preoccupazioni degli europei per la sicurezza e il costo della vita dopo lo
scoppio della guerra in Ucraina nel 2022, e altre questioni come l’immigrazione,
hanno spostato l’ambiente tra le preoccupazioni degli elettori. “I Verdi non
sono stati in grado di rispondere a queste richieste”, ha aggiunto Nicoli.
In tutta Europa, gli oppositori della destra sono riusciti a incanalare il
malcontento nella rabbia per la spinta ambientale dell’Ue degli ultimi anni. Ma
il legislatore europeo dei Verdi, Bas Eickhout, ha giudicato i risultati come
un “misto”, e “un po’ più sfumato che dire semplicemente che è una grande
perdita”. Ha sottolineato il successo dei Verdi nei Paesi Bassi e in Spagna,
nonché nei Paesi più piccoli del Nord e del Baltico, tra cui Danimarca e
Lituania.
Affluenza più alta
Circa 360 milioni di persone hanno potuto votare alle elezioni e, notizia
positiva, l’affluenza alle urne è stata la più alta degli ultimi 20 anni, circa
il 51%, secondo i dati provvisori dell’UE.
“La buona notizia per la democrazia è che l’affluenza alle urne sembra
essere superiore alla metà dell’elettorato, sebbene sia ancora inferiore ai
tassi di partecipazione alle elezioni nazionali e molto bassa in Paesi come la
Slovacchia e la Lituania”, ha dichiarato Heather Grabbe, senior fellow di
Bruegel. AffInt. 11
Europee all’estero: affluenza al 7,11. PD primo partito
ROMA - Terminati gli scrutini dei voti degli italiani all’estero alle
elezioni europee; un voto che si conferma in controtendenza rispetto a quello
sul territorio nazionale.
Tra gli iscritti Aire e i temporaneamente all’estero che hanno votato per i
candidati italiani al Parlamento europeo, infatti, ad affermarsi è il Partito
democratica che arriva al 30.0% di preferenze con 31.624 voti validi.
Segue Fratelli d’Italia, che con 19.846 si attesta al 18,83% e al terzo posto
Alleanza Verdi e Sinistra con 18.074 voti e una percentuale del 17.15%.
Gli altri partiti sono tutti sotto il 10%: Movimento 5 Stelle (7,90), Stati
Uniti d’Europa (6,23), Forza Italia (4,93), Azione (4,89), Lega (3,83), Pace,
terra e dignità (3,32).
Hanno votato all’estero, nei seggi allestiti dalla Farnesina, gli iscritti
Aire residenti in uno dei Paesi dell’Unione europea e i temporaneamente
all’estero che ne hanno fatto richiesta entro i termini previsti dalla legge.
Secondo i dati definitivi aggiornati dal Viminale, si è recato a votare il
7,11% degli aventi diritto, un dato in calo rispetto al 7,85% del 2019 quando
tra i votanti c’erano anche i residenti in Gran Bretagna.
Gli Aire hanno votato con un giorno di anticipo rispetto all’Italia, dunque
venerdì 7 e sabato 8 giugno: le schede sono arrivate ieri a Fiumicino per
essere scrutinate con quelle votate sul territorio nazionale. Ad accompagnare i
voti dei connazionali sono stati funzionari della Farnesina accolti
all’Aeroporto di Fiumicino dal Direttore generale per gli italiani all’estero
del Maeci, Luigi Maria Vignali.
I voti, ha ricordato Vignali, sono giunti da “43 tra Ambasciate e Consolati
nell’Unione Europea. davvero un grande impegno della nostra rete
diplomatico-consolare per consentire ai nostri connazionali di esprimere ancora
una volta il loro voto".
“Vorrei ringraziare gli italiani residenti all’estero per aver confermato
ancora una volta la fiducia al Partito Democratico che, con il 30,01% dei voti,
si posiziona ancora una volta come primo partito, staccando di più di dieci
punti percentuali Fratelli d’Italia. Un risultato che si fa ancora più netto in
Svezia, nei Paesi Bassi e in Belgio, dove il PD ha ottenuto, rispettivamente,
il 38,18%, il 34,49% e il 33,35%”. Così Andrea Crisanti, senatore Pd eletto in
Europa, commenta sul suo profilo facebook i risultati del voto degli italiani
all’estero alle elezioni europee.
“Ci tengo inoltre a complimentarmi con Alleanza Verdi-Sinistra che, con il
17,15%, si è affermata come terza forza politica fra gli italiani residenti al
di fuori del nostro Paese, tallonando a circa un punto percentuale di distacco
Fratelli d’Italia, che in moltissimi Paesi resta ben al di sotto della doppia
cifra”, aggiunge.
“Questi numeri, è importante sottolinearlo, - annota il senatore – non
tengono conto del voto dei nostri connazionali residenti in Paesi al di fuori
dell’Unione europea (come Regno Unito e Svizzera) che, di fatto, sono stati
volutamente esclusi dal voto da questo governo, nonostante io abbia provato in tutti
i modi a correggere questa grave ingiustizia. Ho infatti depositato una
proposta di legge ma nel frattempo, per accelerare i tempi e consentire ai
nostri connazionali di votare presso sezioni elettorali appositamente istituite
nel territorio dei loro Paesi di residenza già in queste elezioni europee, ho
presentato due emendamenti in Aula al decreto Elezioni e al decreto
Milleproroghe, che sono stati prontamente bocciati dall’esecutivo”.
“Soltanto vivendo all’estero, in una comunità differente, - conclude
Crisanti – si capisce quanto siano importanti i valori fondanti della Comunità
europea, ai quali il Partito Democratico ha sempre aderito senza riserve”.
(M.C. aise/dip 10/11)
Oltre 35mila biglietti ai giovani per viaggiare gratuitamente in Europa
ROMA – Saranno 35.511 i giovani che riceveranno dalla Commissione biglietti
per viaggiare in Europa gratuitamente, già a partire da quest’estate. Si tratta
dei risultati dell’ultima tornata del programma DiscoverEU, parte del programma
Erasmus+, annunciati oggi dalla Commissione. DiscoverEU offre ai diciottenni
residenti negli Stati membri dell’UE e nei paesi associati a Erasmus+ la
possibilità di viaggiare in tutta Europa ed esplorarne la diversità. I giovani
che si sono aggiudicati in titoli di viaggio possono scoprire il patrimonio
culturale, conoscere la storia ed entrare in contatto con persone provenienti
da tutto il continente. Iliana Ivanova, Commissaria per l’Innovazione, la
ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, ha dichiarato: “In termini di
numeri, questa tornata di candidature è la più riuscita da quando nel 2021
DiscoverEU è entrato a far parte del programma Erasmus+. Sono felice che così
tanti giovani avranno la possibilità di scoprire l’Europa ed esplorarne la
cultura e la storia. L’entusiasmo crescente dei giovani, evidenziato durante
l’Anno europeo dei giovani del 2022 e la Settimana europea della gioventù 2024,
è davvero stimolante”. I giovani che si sono aggiudicati un biglietto potranno
viaggiare da soli o in gruppi di massimo cinque persone tra il 1o luglio 2024 e
il 30 settembre 2025. Oltre 180 000 giovani si sono candidati alla tornata di
aprile 2024, portando così il numero di candidature a 1,4 milioni dalla nascita
del programma nel 2018. È possibile candidarsi a DiscoverEU due volte all’anno,
in primavera e in autunno. Ai candidati selezionati viene offerto un biglietto
valido per viaggiare di norma in treno. I viaggiatori ricevono anche una carta
europea per i giovani, che offre sconti su visite culturali, attività di apprendimento,
sport, trasporti locali, alloggio e cibo. I partecipanti possono approfondire
la dimensione dell’apprendimento di DiscoverEU grazie a corsi di formazione e
incontri prima della partenza. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito
web DiscoverEU e nella scheda informativa dell’aprile 2024. (Inform/dip 5)
Il sistema politico nazionale vive ancora una sorta di “malessere”. Ora
basterà la tenacia di questo Esecutivo per un Paese alla ricerca di un suo
equilibrio socio/economico. Molti schieramenti politici hanno perso
l’originaria compattezza e affidabilità. Certi partiti sembrerebbero
delegittimati. In verità, tali li sentiamo; con la differenza che non tutti
hanno l’obiettività d’ammetterlo. L’agonia delle idee non consente, però,
diverse opinioni.
Ci sono ancora troppi punti d’ombra che chiedono d’essere illuminati. Prima
di tutto, almeno a parer nostro, si dovrebbero mettere a fuoco i parametri su i
quali puntare per frenare la recessione. Chi s’illude di tornare agli Esecutivi
del “buon governo” è un utopista in partenza. La teoria dei “poli” opposti non
convince.
Meglio riconoscere che tutti i partiti, hanno i loro limiti. Una realtà che
non dovrebbe, però, implicare confusioni del quadro istituzionale nazionale. I
tempi ci hanno fatto capire che politica ed economia, pur convivendo, marciano
su binari che potrebbero non incrociarsi più. Il Paese non ha bisogni d’altri
confronti per tenare di frenare la sua discesa. L’isolamento, che ancora
condiziona tanti politici, affossa anche il buon tratto di chi sarebbe
meritevole. Del resto, cambiare al “buio” non giova e la Democrazia è un bene
troppo prezioso perché si giochi su posizioni sconsiderate. Così, pur
muovendoci verso il nuovo, non ci sentiamo di sminuire le nostre perplessità
per l’immediato futuro. Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, non
vorremmo che fossimo privati anche di questa. La via del recupero nazionale è ancora
da percorrere ed è in salita.
Lo abbiamo capito. L’importante, a questo punto, è che la politica, che
resta sempre il più inquietante polo di diatriba, non vada a complicarsi. Anche
perché altri “apparentamenti” politici non avrebbero futuro se applicati alla
solita maniera. Lo abbiamo già scritto: la riabilitazione nazionale dovrebbe
avere differenti parametri da evidenziare. Di promesse, rimaste ancora tali, il
Paese non ne ha proprio bisogno.
Giorgio Brignola, de.it.press
Quanto pesa la denatalità sull’economia? L’analisi di Bankitalia
Quanto pesa il calo demografico sull’economia nazionale e internazionale?
Per rispondere al quesito è utile analizzare la Relazione Annuale 2023 della
Banca d’Italia che tra tensioni geopolitiche, inflazione e immigrazione ha
delineato alcuni punti chiave necessari per capire come il presente sta
alterando il prossimo futuro.
Innanzitutto, si prevede un calo significativo della popolazione in età
lavorativa entro il 2040, con una diminuzione di 5,4 milioni di persone,
nonostante un afflusso netto dall’estero. Questo calo demografico potrebbe
tradursi in una riduzione del PIL del 13%. Nonostante il calo demografico,
l’immigrazione dall’estero ha contribuito a mantenere quasi stabile la
popolazione. Il saldo migratorio netto è aumentato da +261mila nel 2022 a
+274mila nel 2023.
Nel 2023, le tensioni internazionali, inoltre, si sono acuite, influenzando
le politiche economiche e commerciali, aumentando i rischi finanziari per le
imprese e inducendo una riconfigurazione degli scambi commerciali verso partner
considerati più sicuri. La crescita economica globale è stata pari ad un +3,2%.
Le banche centrali nelle maggiori economie avanzate hanno inasprito
ulteriormente l’orientamento delle politiche monetarie per contrastare le
pressioni sui prezzi. L’inflazione è scesa rapidamente dai picchi raggiunti nel
2022, riportandosi su livelli più vicini agli obiettivi delle stesse banche
centrali. Mentre i più alti tassi di interesse hanno accresciuto il rischio di
default per i paesi a basso reddito con debiti rilevanti verso l’estero.
Le divisioni tra blocchi di paesi hanno ostacolato la realizzazione di
azioni concrete per il raggiungimento di alcuni obiettivi condivisi dalla
comunità internazionale, soprattutto relativi alle politiche green. E il tema
della finanza sostenibile è stato al centro del G20 e G7 che hanno ribadito gli
sforzi volti a rafforzare il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali
e la necessità di progredire sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici
e alimentari. E la denatalità potrebbe ulteriormente influenzare le politiche
future.
L’economia mondiale e le relazioni internazionali
“Sulle prospettive di crescita di lungo termine – spiega la relazione 2023
di Bankitalia – pesa soprattutto la debole dinamica della produttività che, ad
esclusione degli Stati Uniti, ha continuato a rallentare durante la pandemia,
sia nelle economie avanzate sia in alcune tra quelle emergenti; questo
andamento si aggiunge per molti paesi – soprattutto avanzati – a un calo
demografico, che pone a sua volta un freno all’attività economica. Tali
sviluppi appaiono più preoccupanti se si considera il ridotto spazio di manovra
fiscale a disposizione dei governi nazionali. Il debito pubblico a livello
globale, dopo la significativa crescita avvenuta nel 2020 a causa delle misure
di stimolo varate durante l’emergenza sanitaria, è aumentato nuovamente nel
2023: secondo le stime dell’Fondo Monetario Internazionale (Fmi), ha raggiunto
il 93,2 per cento del PIL mondiale (da 91,3 nel 2022) e continuerà a crescere
nel decennio in corso, raggiungendo il 98,8 per cento nel 2029”.
Il Fmi promuove la cooperazione globale sulle materie monetarie e
finanziarie, vigila sulle politiche macroeconomiche e fornisce assistenza
finanziaria in caso di crisi. “Il profondo mutamento del sistema monetario
internazionale ha spinto nel tempo gli organi esecutivi del Fondo ad adattarne
il ruolo ai nuovi scenari, anche senza una modifica formale del mandato. In
particolare, la funzione di sorveglianza è stata estesa alle cosiddette
politiche macrocritiche, ossia tutte le politiche nazionali che possono avere
un impatto, anche in prospettiva, sulla stabilità macroeconomica e su quella
della bilancia dei pagamenti. In questa direzione la Climate Policy Strategy
adottata dall’FMI nel 2021 prevede una sorveglianza a livello bilaterale quando
la stabilità economica sia minacciata dai rischi climatici. Nella stessa
ottica, la sorveglianza dell’FMI considera inoltre l’impatto di altri fattori
come le tendenze demografiche, le disuguaglianze sociali e le innovazioni
tecnologiche”, ha concluso in merito Bankitalia.
Focus sulle famiglie
Mentre gli andamenti demografici spopolano il Mezzogiorno e la povertà
assoluta è in aumento con il rischio di colpire i minori, Bankitalia ha
riportato le stime dei dati Istat sulle spese delle famiglie che vedono nel
2023 la quota di individui in condizioni di povertà assoluta raggiungere il 9,8
per cento (8,5 per cento delle famiglie), pressoché come nell’anno precedente;
“l’incidenza si è confermata decisamente più elevata tra le famiglie con
stranieri (oltre il 30 per cento) e in quelle la cui persona di riferimento è
più giovane di 45 anni (quasi il 12) – continua la relazione -. L’incidenza
della povertà individuale era di 2,2 punti percentuali superiore a quella del
2019. Vi ha inciso il marcato aumento dei prezzi nel biennio 2022-23, che ha
eroso il potere d’acquisto dei redditi soprattutto tra le famiglie meno
abbienti per via della composizione del loro paniere di consumo”.
Per il 2023 il Governo ha modificato la disciplina del reddito di
cittadinanza (RdC), limitandone la durata a sette mesi per le famiglie in cui
non erano presenti componenti minorenni, con più di 59 anni o disabili, o che
non erano state prese in carico dai servizi sociali. Il numero di nuclei che
hanno percepito almeno una mensilità dell’RdC (o della pensione di
cittadinanza, PdC) si è ridotto per il secondo anno consecutivo, da 1,7 a 1,4
milioni. Nel 2024 l’RdC è stato sostituito dall’assegno di inclusione,
caratterizzato da requisiti di accesso economici e demografici più restrittivi
rispetto all’RdC, tranne che per quelli di residenza per le famiglie straniere.
Secondo i dati dell’INPS, a fine marzo beneficiavano del sostegno 590.000
nuclei familiari. Per le persone in condizione di disagio economico tra i 18 e
i 59 anni, il Governo ha inoltre introdotto, da settembre 2023, il supporto per
la formazione e il lavoro (SFL), un’indennità non rinnovabile di durata
limitata a dodici mesi, condizionata all’adesione a programmi formativi o a
progetti utili per la collettività. Secondo i dati dell’INPS, a marzo erano
state accolte poco più di 60.000 domande.
L’offerta di lavoro
Nei prossimi anni l’offerta di lavoro continuerà a risentire della dinamica
demografica. Lo spiega Bankitalia che riportando lo scenario mediano delle
ultime proiezioni dell’Istat, sostiene che entro il 2040 la popolazione tra 15
e 64 anni si ridurrà di 5,4 milioni di individui (14,4 per cento). “Il calo
sarebbe in parte attenuato se il saldo migratorio netto con l’estero rimanesse
in linea con quanto osservato nell’ultimo biennio (267.000 persone all’anno),
al di sopra di quanto attualmente incluso nelle proiezioni (173.000). Il Dpcm
del 27 settembre 2023 (decreto “flussi”) prevede l’ingresso di 151.000
lavoratori stranieri in media all’anno nel triennio 2023-25. Lo stesso decreto
favorisce un incremento dell’immigrazione al di fuori delle quote per alcune
categorie, in particolare per gli stranieri iscritti a un ciclo di studi
superiori in Italia e che intendono rimanere nel Paese dopo averlo completato-
e continua -. Il saldo migratorio netto è ridotto dall’emigrazione dei giovani
italiani, più elevata fra i laureati. I flussi in uscita sono cresciuti marcatamente
dopo la crisi del debito sovrano, quando in Italia il tasso di disoccupazione
per la fascia di età 20-34 è fortemente aumentato rispetto a quello medio
dell’area dell’euro; negli anni più recenti sono lievemente diminuiti”.
In sintesi, questi trend demografici hanno importanti implicazioni per
l’economia italiana, influenzando il mercato del lavoro, la crescita economica
e la sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale. La Banca d’Italia ha
sottolineato l’importanza di politiche efficaci per affrontare queste sfide
demografiche. Adnkronos 3
Sono almeno ventimila le forme di criptovalute, meglio definite come cripto
asset o cripto attività (rappresentazioni digitali fondate su una tecnologia a
“registro distribuito”) oggi “minate” a livello internazionale: basate, cioè,
su un registro che prevede l’archiviazione delle operazioni su “blocchi”
autonomi senza un’unità centrale e la cui principale applicazione è la
blockchain. Non si può considerarle valute o monete: la definizione su cui
molti convergono – pur non mancando tesi che le considerano indefinibili o,
addirittura, strumenti ai limiti se non oltre la liceità, a cominciare dalla
sparificazione al gioco d’azzardo – è appunto quella di cripto asset. Si può
dire che sono strumenti, diversi per composizione e configurazione giuridica,
che possono essere utilizzati per transazioni crittografiche. Ogni quattro anni
è previsto l’halving, il dimezzamento della ricompensa per coloro, i miners,
che creano, in particolare, i Bitcoin, con la conseguenza di ridurre il numero
di tali strumenti in circolazione. Oggi, il valore di uno dei principali di
questi asset, il più noto Bitcoin, si aggira intorno ai 60 mila euro.
Cripto-asset: regolamenti ancora incompleti e poco trasparenti
Tra gli altri tipi di cripto si distinguono gli stablecoin, il cui valore è
collegato a quello di un bene stabile, che può essere l’oro o una valuta
nazionale, in particolare il dollaro o l’euro. Non sono mancati, in questi
ultimi tempi, i caveat delle autorità competenti sui rischi dell’impiego del
risparmio in tali strumenti, a causa della loro volatilità e per la mancanza di
un’organica regolamentazione, affrontata finora solo limitatamente ad alcuni
aspetti, quali quelli fiscali (in Italia nella legge di bilancio del 2023) o a
livello europeo con il Regolamento MiCA, che entra progressivamente in vigore
con la tappa finale al termine di quest’anno. Esso disciplina alcune
responsabilità degli operatori – a cominciare dai requisiti per l’offerta al
pubblico e l’ammissione alla negoziazione, in cripto attività – e il potere
delle autorità competenti in materia di credito e risparmio di imporre
restrizioni all’emissione di tali strumenti. La finalità è quella di operare
per proteggere, per quanto possibile, il risparmiatore-investitore e prevenire
o contrastare operazioni di riciclaggio con il ricorso alle cripto.
Siamo ancora, però, a una disciplina e supervisione parziali. Naturalmente,
la questione principale – sia per i controlli, sia, prima ancora, per la trasparenza
– riguarda la possibilità per il supervisore di entrare nei suddetti blocchi.
Ciò pone il problema, non facile da affrontare, della conoscenza delle
tecnologie impiegate: profili finanziari e tecnologici sono fondamentali se si
ambisce ad avviare un percorso di trasparenza. In effetti, è arduo parlare in
questo campo di visibilità. Tuttavia, se si considera l’investitore – il quale,
però, deve essere consapevole dei rischi connessi – si nota che la
regolamentazione sta progredendo oltre l’ambito della sola moral suasion. Non
si può, però, trascurare il fatto che queste attività possono oltrepassare i
confini nazionali o anche europei, rendendo dunque necessari regole e controlli
anche a livello globale. Pur partendo dal presupposto che si tratti di un
investimento del risparmio ben lontano da quelli che conosciamo, regolato e
controllato dalle autorità coinvolgendo l’operatività di banche e intermediari
finanziari, sarebbe eccessivo immaginare unicamente l’applicazione del
principio del caveat emptor. Quanto meno per gli impatti che questi
investimenti potrebbero causare, anche sulla gestione della politica
monetaria.
Siamo, tuttavia, allo statu nascenti della regolamentazione e supervisione,
ancora non organiche e ben lontane dal tipo di norme e controlli sull’attività
bancaria e finanziaria. Ovviamente, bisogna tener conto del carattere
internazionale di questa operatività, in grado di superare i confini statali e
continentali, e della necessità del supervisore di poter entrare – cosa non
facile – nelle tecnologie impiegate per l’emissione delle cripto ai fini
dell’esercizio di una vera vigilanza. Dato il carattere globale del fenomeno,
dovrebbero essere il G7 e il G20 a dettare criteri e vincoli tramite il Fondo
monetario internazionale e il Financial stability Board.
Il futuro dell’eurozona: l’euro digitale?
Altra cosa è l’emissione in forma digitale di banconote di Banche centrali.
È il caso dell’euro digitale, il cui progetto è arrivato nell’Europarlamento ma
sarà valutato solo nella prossima legislatura. In questo caso si tratta di una
vera moneta, non di un generico asset. È difficile, tuttavia, ritenere che
possa avere potere liberatorio come la banconota. Ciò potrà avvenire solo se i
soggetti condividono che il rapporto – del dare e dell’avere, in ipotesi –
venga regolato con la moneta digitale: per estinguere un debito o fronteggiare
un caso di mora credendi non si può fare ricorso all’euro digitale senza
l’accordo della parte interessata, a differenza di quel che può accadere con le
banconote.
I problemi non sono solo strettamente tecnici e tecnologici, ma anche, e
prima ancora, giuridici e applicativi. Complesso è il rapporto con le banche
ordinarie se, come previsto, i conti per poter emettere su di essi l’euro
digitale saranno detenuti dalla Bce. Per prevenire il rischio di una
disintermediazione degli istituti di credito, si ipotizza che potranno essere
introdotti limiti all’ammontare degli euro nella disponibilità di ciascun
cittadino. Questo punto è cruciale e risponde all’affermazione ripetuta dalla
Bce secondo la quale l’euro digitale non sostituisce quello cartaceo ma si
affianca ad esso. I vantaggi di tale nuova forma di mezzo di pagamento sono
numerosi e stranoti (accanto ai rischi citati).
Non secondaria è anche l’eventualità, che si è inteso prevenire, di
un’egemonizzazione da parte di altre monete digitali che siano entrate o stiano
per entrare nel mercato (si pensi alla Cina). Anche in questo caso, i problemi
applicativi che dovranno essere risolti non sono da meno. Non si è voluto,
almeno finora, cogliere questa circostanza per riformare i rapporti tra
politica monetaria e sistema dei pagamenti con la relativa sorveglianza, come
proposto con studi rigorosi da Paolo Savona, presidente della Consob. Bisogna,
tuttavia, essere convinti che, se gli scogli verranno superati e se si avvierà
una più attenta valutazione delle possibilità di una revisione, l’euro digitale
e i cripto asset insieme, benché diversi, potrebbero rappresentare
un’innovazione storica – anche nella configurazione di una Banca centrale – che
segna un traguardo dal quale partire per ulteriori avanzamenti.
Naturalmente, la digitalizzazione dovrà essere sostenuta da netti
miglioramenti delle politiche economiche e di finanza pubblica. Siamo con essa
all’epifenomeno. Dobbiamo, quindi, sempre tornare ai fondamentali e ai rapporti
tra politica economica e di finanza pubblica, politica monetaria e vigilanza
nelle sue diverse forme. Siamo oltre la cashless society e ciò richiede che sia
saldo il governo delle trasformazioni, in tutti gli aspetti. Angelo De Mattia,
AffInt 11
Unicef Italia festeggia i suoi 50 anni lanciando due progetti
Ginevra - “Quest’anno, come UNICEF Italia, celebriamo i nostri 50 anni di
impegno per i bambini in Italia e nel mondo. In questi anni, grazie al supporto
degli italiani, abbiamo raccolto e trasferito quasi 1,7 miliardi di euro ai
programmi dell’UNICEF, fondi che hanno contribuito a vaccinare, curare,
proteggere, istruire milioni di bambini. Questo significa aver fatto la
differenza. L’UNICEF Italia continuerà a lavorare senza sosta perché ancora
oggi troppi bambini hanno bisogno del nostro aiuto e sostegno”. È quanto
dichiarato da Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia, che ha spiegato come
per l'occasione verranno presentati un video e la pubblicazione “Passione in
azione - 50 anni di attività dell’UNICEF Italia per le bambine e i bambini
nelle crisi umanitarie”.
In questi anni, anche grazie all’impegno del Comitato Italiano, i programmi
dell’UNICEF hanno avuto risultati importanti per i bambini. La mortalità
infantile a livello globale si è sensibilmente ridotta: nel 1960 nel mondo
morivano ogni giorno oltre 54.000 bambini prima di avere compiuto 5 anni per
cause prevenibili, nel 1980 morivano 36.000 bambini. Dal 2000 a oggi, il tasso di
mortalità dei bambini è diminuito del 51%, raggiungendo nel 2022 il minimo
storico: di 4,9 milioni di bambini sotto i 5 anni.
Molti progressi sono stati realizzati soprattutto grazie alle campagne di
vaccinazione di massa sostenute dall’UNICEF. Proprio nel 1974, lo stesso anno
in cui nasceva l’UNICEF in Italia quando nel mondo meno del 5% dei bambini era
vaccinato, a livello globale veniva lanciato il Programma integrato di
vaccinazioni con l’obiettivo di proteggere tutti i bambini contro le malattie
più letali per l’infanzia. In 50 anni grazie alle vaccinazioni sono state
salvate almeno 154 milioni di vite, ovvero l’equivalente di 6 vite ogni minuto
di ogni anno.
“In questi cinque decenni, abbiamo lavorato con grande tenacia per
costruire una cultura dell’infanzia basata sui diritti sanciti dalla
Convenzione ONU del 1989. Moltissimi sono stati i protagonisti che hanno
contribuito alla crescita dell’UNICEF e del Comitato Italiano: i membri
fondatori, i volontari di tutta Italia, le istituzioni, i nostri Ambasciatori e
Testimonial, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, la Guardia Costiera, la
Polizia di Stato, i club service (il Kiwanis International), i rappresentanti
delle amministrazioni locali, i donatori, gli educatori, i cittadini,
personalità illustri del mondo artistico, culturale, campioni sportivi, media,
aziende e tanti partner. A tutti loro e a tanti altri che hanno lavorato per
promuovere e tutelare i diritti dei bambini va il più grande riconoscimento”,
ha proseguito la Presidente dell’UNICEF Italia Carmela Pace. “Nonostante siano
passati 50 anni dalla nostra fondazione, i bambini hanno più che mai bisogno
del nostro sostegno. Dalla diffusione di virus come il COVID-19, ai nuovi
conflitti come in Ucraina e in Medio Oriente (che si aggiungono a quelli ormai
datati come in Siria e Yemen); dalla salute mentale al cambiamento climatico,
oggi i bambini devono affrontare vecchie e nuove sfide che mettono in pericolo
le loro vite.”
Per ricordare questo anniversario, ieri a Tivoli, in apertura della Conferenza
organizzativa, si è tenuto un evento celebrativo, alla presenza della
Presidente dell’UNICEF Italia Carmela Pace, del Direttore generale Paolo
Rozera, del Portavoce nazionale Andrea Iacomini, che ha coinvolto Presidenti,
volontari, ambasciatori, testimonial, responsabili di aziende, staff e
sostenitori dell’UNICEF. (aise/dip 17)
I provvedimenti economici proposti da questo Esecutivo ci hanno
impressionato. L’impegno, per la verità, evidenzia un’evolutiva concretezza. Il
progetto è chiaro. Lo Stato dovrebbe garantire il suo “autofinanziamento”,
favorendo la ripresa produttiva. Apparentemente, sembrerebbe solo una questione
di tempo. Tempo necessario per impostare programmi di “salute” economica che
dovrebbe trovare la “luce” anche come Stato Stellato.
Il fronte occupazionale, però,
dovrebbe essere rilanciato su basi operative originali. Investire in
occupazione e pace sociale potrebbe essere la meta fondamentale dell’Esecutivo.
Con questa prefazione, riteniamo di poter continuare le nostre riflessioni. La
deflazione agevolerà solo chi ha liquidità. Il risparmio resta una chimera e
vivere continuerà a essere difficile. Chi punta sulle “novità” potrebbe aver
fatto male i suoi conti. Del resto, il fronte occupazionale langue e la
disoccupazione giovanile resta primaria. L’Italia ha bisogno di ritrovare una
sua “vera” dimensione. “Cercarla” è, comunque, un segno di coerenza.
A nostro avviso, continuano a essere insufficienti i riferimenti operativi
per un rilancio socio/economico che potrebbero alzare la testa in tempi,
comunque, non prossimi. Saranno gli anni futuri a chiarire quale potrebbe
essere il futuro quadro politico nazionale. Certo è che la “concretezza” sulla
quale avremmo voluto contare resta ancora ai margini del nostro fronte
economico. Ogni altra considerazione, pur se legittima, passa, per ora, in
secondo piano.
Giorgio Brignola, de.it.press
Il terremoto che cambia tutto e niente
Questa strana elezione europea si può leggere in due modi completamente
opposti: cambia tutto per non cambiare nulla; oppure anche se non cambia nulla,
cambia tutto.
Il Parlamento europeo che emerge dal voto del 9 giugno dovrebbe portare a
una maggioranza analoga a quella dell’ultima legislatura, dunque a un bis di
Ursula von der Leyen come presidente della Commissione.
Ma gli sconvolgimenti all’interno dei singoli Paesi – dall’Italia alla Francia
– possono avere forti impatti anche a livello europeo, oltre che domestico.
Il livello europeo
L’avanzata delle destre estreme e il crollo di alcune forze cruciali per la
formazione dei gruppi al Parlamento UE non intacca più di tanto la composizione
dell’emiciclo. Il Partito popolare europeo (centrodestra) ha vinto in misura
netta le elezioni e questo dovrebbe portare – già nel vertice dei capi di Stato
e di governo del 17-18 giugno – a indicare la candidata ufficiale del PPE per
un secondo mandato alla guida della Commissione: Ursula von der Leyen, che ieri
sera parlava già da leader riconfermata.
Nonostante il crollo di Emmanuel Macron in Francia che ha portato a un
ridimensionamento del gruppo di Renew (liberali), von der Leyen potrebbe essere
confermata dalla stessa maggioranza che ha retto la legislatura 2019-2024, cioè
PPE-S&D (i socialisti e democratici) e Renew: insieme valgono 414 seggi,
ampiamente sopra la quota richiesta minima, cioè 361.
In questo scenario, per von der Leyen ha senso al massimo cercare un
allargamento tattico o strutturale ai Verdi (51 seggi) ma non c’è necessità e
non ci sono le condizioni per dover coinvolgere i Conservatori e riformisti di
Giorgia Meloni, l’opzione di una maggioranza spostata a destra è molto meno
plausibile di quello che si pensava o temeva prima delle elezioni.
Continuità o terremoto?
A guardare il Parlamento europeo, sembra dominare quindi la continuità,
tutto come prima, o more of the same, come si dice in inglese. Ma l’Unione
Europea non è governata soltanto da Parlamento e Commissione.
C’è anche il Consiglio, cioè la rappresentanza dei governi. E qui le cose
si fanno complicate, per il tracollo di Emmanuel Macron in Francia, doppiato
dalle destre, ma anche per la crisi della SPD del cancelliere Olaf Scholz in
Germania.
All’improvviso l’Ue si trova con il motore franco-tedesco spento: Macron,
il leader che ha cercato di dare la linea su guerra, difesa, politica
industriale è costretto a una scommessa disperata, cioè chiamare elezioni
anticipate che porteranno quasi certamente la destra di Marine Le Pen e Jordan
Bardella al governo.
Così, scommette Macron, perderanno consensi in vista delle presidenziali
2027, ma intanto la coabitazione tra un presidente liberale e un governo di
destra renderà la Francia molto meno influente a Bruxelles.
Diventa quindi più improbabile che Macron possa imporre il suo candidato,
Mario Draghi, in una delle posizioni apicali della nuova UE (alla Commissione
resterà von der Leyen, ma ora diventa difficile anche il Consiglio).
Olaf Scholz è sempre più avvitato in una crisi senza ritorno, e la Germania
non ha neanche l’ombra della leadership europea di quando c’era Angela Merkel.
È il momento di Meloni?
L’Italia è sempre più debole quando i suoi partner forti soffrono. E la
premier poi non è così centrale come sperava: l’esito più probabile è ora che i
suoi Conservatori e riformisti si trovino a votare Ursula von der Leyen senza
però entrare nella maggioranza (o almeno per Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni
sarebbe abbastanza suicida mettersi in un’opposizione frontale e formale).
In queste condizioni, è difficile pensare che il Consiglio dei capi di
Stato e di governo riesca a dare un indirizzo chiaro all’UE, specie nell’area
cruciale del posizionamento geopolitico.
Intanto in Italia
A livello domestico, è facile individuare vincitori e vinti. Un chiaro
successo per Giorgia Meloni e per il suo centrodestra: da un lato Fratelli
d’Italia cresce ancora, quasi al 29 per cento, dall’altro si conferma la
notevole capacità dei partiti di area di intercettare i delusi dei propri
competitor interni.
La Lega va male, al 9,1 per cento, ma Forza Italia si rigenera in versione
moderata ed europeista sotto la guida di Antonio Tajani e arriva al 9,7 per
cento.
Si prevedono tensioni dentro il mondo leghista, perché la scommessa di
Matteo Salvini sul generale Roberto Vannacci non ha portato nuova linfa e
neppure ha evitato il sorpasso di Forza Italia.
Le novità maggiori sono fuori dal centrodestra: l’ex terzo polo conferma il
suo suicidio politico, il duello costante tra le due personalità di Matteo
Renzi e Carlo Calenda li porta all’irrilevanza che avevamo previsto qui su
Appunti. Neanche un eletto, neanche un italiano nel gruppo più europeista,
quello dei Liberali, altro che Stati Uniti d’Europa. Un disastro che dovrà
avere qualche conseguenza.
Elly Schlein con il PD riesce a ottenere un risultato più che dignitoso a
livello assoluto, con il 24 per cento, ma notevole dal punto di vista relativo:
la segretaria non offre spunti ai nemici interni per attaccarla, può
rivendicare la scelta di aprire il partito a nomi che ne contestano la linea
sull’Ucraina, come Marco Tarquinio e Cecilia Strada, visto che quantomeno ha
sottratto voti ai Cinque stelle.
La coalizione di centrosinistra esce dalle europee trasformata, se
confrontiamo con il 2022: i centristi di Azione che tanto avevano fatto penare
Enrico Letta alle elezioni politiche spariscono o quasi, i Cinque stelle di
Conte vengono drasticamente ridimensionati sotto il 10 per cento, se continuano
così rischiano il sorpasso dall’Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), un progetto che
sembrava spacciato dopo le vicende di Aboubakar Soumahoro e le varie liti e
polemichette interne e che invece si è dimostrato in grado di proporsi come
nuova forza di riferimento per chi nel centrosinistra non si riconosce nel PD.
Il nuovo centrosinistra è più sbilanciato verso sinistra rispetto a quello
delle elezioni 2022, e questa è una cosa coerente con un contesto dove c’è un
voto proporzionale, che premia le identità delle singole forze (quella dei
Cinque stelle è ormai sbiadita), ma potrebbe rivelarsi penalizzante con una
legge elettorale come quella italiana che si basa in gran parte su collegi
uninominali, dove serve prendere voti anche più al centro.
Insomma, Meloni e Schlein sono entrambe più forti, ma è troppo presto per
dire che si sono create le condizioni per un’alternativa di governo davvero
competitiva. Stefano Feltri
(Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti) SettNews 10
Dalla fabbrica alla scuola: la lunga strada per eliminare il lavoro
minorile
Ogni anno, il 12 giugno, il mondo si ferma per riflettere su una delle
piaghe sociali più profonde e persistenti: il lavoro minorile. La Giornata
Mondiale contro il Lavoro Minorile, istituita dall’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL) nel 2002, rappresenta un’occasione fondamentale
per accendere i riflettori su questa problematica e per coordinare gli sforzi
globali volti alla sua eliminazione. Quest’anno, la giornata è dedicata al
lavoro domestico, una delle forme più invisibili e pervasive di sfruttamento
minorile.
I numeri del lavoro minorile
Il lavoro minorile è un fenomeno globale che continua a rappresentare una
seria preoccupazione, nonostante i progressi compiuti negli ultimi decenni.
Secondo le ultime rilevazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e
di Unicef nel mondo ci sono 160 milioni di bambini e adolescenti tra i 5 e i 17
anni coinvolti nel lavoro minorile. Quasi la metà di questi, circa 79 milioni,
sono impegnati in lavori pericolosi che mettono a rischio la loro salute,
sicurezza e sviluppo psicofisico.
La maggior parte di questi bambini, circa il 70%, lavora nel settore
agricolo, spesso in condizioni estremamente difficili e con scarsa protezione
legale. L’Asia e il Pacifico e l’Africa sub-sahariana sono le regioni con il
maggior numero di lavoratori minorili, mentre l’incidenza più alta si riscontra
in Africa sub-sahariana, dove uno su cinque bambini è coinvolto nel lavoro
minorile. Questi numeri sono allarmanti, soprattutto se consideriamo che il
lavoro minorile è in aumento in molte aree del mondo, complice la povertà, i
conflitti armati e le crisi economiche, inclusa quella scaturita dalla pandemia
di Covid-19. La pandemia di COVID-19 ha, infatti, aggravato ulteriormente la
situazione, spingendo molte famiglie in condizioni di povertà estrema e
aumentando il rischio che i bambini siano costretti a lavorare per contribuire
al sostentamento familiare. In sintesi, quasi 1 bambino su 10 è privato della
sua infanzia per essere sfruttato nel mondo del lavoro.
Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030
L’eliminazione del lavoro minorile è strettamente legata all’Agenda 2030
delle Nazioni Unite, che con l’obiettivo 8.7 si prefigge di porre fine a tutte
le forme di lavoro minorile entro il 2025. Questo traguardo richiede un’azione
concertata a livello globale, coinvolgendo governi, organizzazioni
internazionali, aziende, società civile e singoli individui. Nonostante i
progressi compiuti negli ultimi decenni, la strada da percorrere è ancora lunga
e accidentata.
Il lavoro minorile in Italia
In Italia, il fenomeno del lavoro minorile è meno visibile rispetto a molte
altre parti del mondo, ma è comunque presente e preoccupante. Quasi 1 minore su
15 tra i 7 e i 15 anni ha avuto esperienza di lavoro minorile. Il numero dei
minori in povertà assoluta ha raggiunto la cifra di 1 milione e 382 mila,
rappresentando il 12,1% delle famiglie con minori. La povertà è uno dei
principali fattori che spinge i bambini verso il lavoro precoce, spesso in
condizioni pericolose e senza tutele adeguate.
Il rapporto Unicef
Il Rapporto Unicef “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e
sicurezza sui luoghi di lavoro”, offre una panoramica dettagliata e
preoccupante sulla condizione dei lavoratori minorenni nel nostro paese.
Secondo il documento, nel 2023 il numero di lavoratori minorenni tra i 15 e i
17 anni ha raggiunto quota 78.530, un incremento rispetto ai 69.601 del 2022 e
ai 51.845 del 2021. Se si estende l’analisi alla fascia di età fino ai 19 anni,
i lavoratori erano 376.814 nel 2022, un aumento significativo rispetto ai
310.400 dell’anno precedente. Questo incremento non riguarda solo il periodo
post-pandemia, ma rappresenta un trend crescente rispetto agli anni precedenti,
evidenziando un problema in costante aggravamento.
Le regioni italiane con la percentuale più alta di minorenni occupati sono
Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche. In queste regioni, la
percentuale di minorenni lavoratori è significativamente superiore alla media
nazionale del 4,5%, con il Trentino-Alto Adige che registra il 21,7% di
occupazione tra i 15-17enni.
Questi numeri non solo evidenziano una crescita costante nel numero di
minori impiegati, ma rivelano anche un quadro allarmante in termini di
sicurezza sul lavoro: tra il 2018 e il 2022, le denunce di infortunio per i
minori di 19 anni sono state 338.323, di cui 83 con esito mortale. Il rapporto
mette in luce una disparità di genere nei redditi settimanali, con i ragazzi
che guadagnano mediamente di più rispetto alle ragazze. La maggior parte di
questi incidenti si verifica nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e
Piemonte, che insieme rappresentano quasi il 60% delle denunce a livello
nazionale. Inoltre, esiste un significativo divario di genere nei salari, con i
ragazzi che guadagnano mediamente più delle ragazze: nel 2022, il reddito
settimanale medio per i maschi era di 320 euro contro i 259 euro per le
femmine.
Il ruolo delle istituzioni
“Nessun bambino dovrebbe essere privato della sua infanzia per essere
sfruttato nel mondo del lavoro”, afferma il Presidente della Repubblica
Italiana, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata Mondiale contro il
Lavoro Minorile. “L’articolo 32 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza riconosce il diritto di ciascun bambino ad essere protetto
dallo sfruttamento economico e da qualsiasi lavoro pericoloso”, sottolinea con
vigore. La sua voce autorevole e impegnata richiama l’attenzione sulla
necessità di un impegno collettivo per garantire un futuro dignitoso ai
bambini, liberi da ogni forma di sfruttamento. “Le guerre e la povertà
strappano le bambine e i bambini alla vita, obbligandoli ad abbandonare la
scuola per forme di lavoro ignobili, molto spesso illegali e clandestine”,
denuncia con veemenza. Mattarella pone l’accento sull’importanza di proteggere
i diritti dei minori e di creare un ambiente in cui possano crescere sani,
istruiti e liberi
Le sue parole risuonano come un richiamo all’azione, un invito a unire gli
sforzi di governi, organizzazioni, imprese e individui per eliminare il lavoro
minorile e costruire un futuro migliore per le generazioni future. Mattarella
ha, poi, lodato le iniziative europee volte a responsabilizzare le imprese
lungo tutta la catena del valore e a vietare la commercializzazione di beni
realizzati con il lavoro forzato, in particolare quello minorile.
Le iniziative internazionali
La lotta al lavoro minorile richiede un approccio globale. In Bangladesh,
ad esempio, il lavoro minorile è una realtà endemica con oltre 1,7 milioni di
bambini lavoratori. Organizzazioni come ActionAid lavorano instancabilmente per
offrire soluzioni concrete, come le ‘happy home’, case sicure per bambine e
ragazze in situazioni di estrema fragilità. Attraverso queste iniziative,
ActionAid fornisce protezione, educazione e speranza per un futuro migliore a
migliaia di bambini.
Le Storie di Jui e Noor
Nel vasto panorama della lotta contro il lavoro minorile, emergono storie
di coraggio e resilienza che ci ricordano la complessità di questa piaga
sociale e l’importanza di un impegno congiunto per porvi fine. Tra queste
storie, quelle di Jui e Noor, due giovani protagonisti provenienti dal
Bangladesh, illuminano la realtà cruda e spesso misconosciuta di milioni di
bambini in tutto il mondo.
Jui, una ragazza determinata dal sorriso timido, porta con sé il peso di
una realtà familiare difficile. Ha dovuto abbandonare i suoi sogni di diventare
medico per aiutare la sua famiglia a far fronte ai debiti. Con solo 12 anni, le
sue piccole mani lavorano senza sosta nelle fabbriche di abbigliamento di
Dacca, la capitale del Bangladesh. I suoi turni giornalieri, lunghi e faticosi,
non le lasciano spazio per l’istruzione o per giocare come faceva una volta. Ma
nonostante le sfide, Jui mantiene viva la speranza di un futuro migliore. “Se
potessi avere un desiderio, sarebbe diventare medico”, rivela con occhi pieni
di determinazione. “Anche se il mio sogno non si è realizzato, lavoro per
aiutare mia sorella a crescere e diventare lei un medico”.
Noor, dall’altro lato, ha trovato rifugio e speranza nelle “case felici”
create da organizzazioni come ActionAid. Questi spazi sicuri e protetti
rappresentano un’oasi di pace per Noor e altri bambini che hanno conosciuto il
dolore e la durezza della vita troppo presto. Da quando è entrata in queste
case, la sua vita ha preso una svolta positiva. Ha ripreso gli studi e i suoi
occhi brillano di nuovo di speranza per un futuro diverso. “Prima di stare qui,
ero costretta a lavorare come domestica e avevo smesso di studiare”, racconta
Noor con gratitudine. “Qui posso mangiare regolarmente e vado a scuola. Se non
fossi venuta qui, avrei probabilmente dovuto lavorare in una fabbrica per
sempre”.
Le storie di Jui e Noor sono solo due tra i milioni di bambini che
affrontano quotidianamente le sfide del lavoro minorile. Tuttavia, sono anche
simboli di speranza e resilienza, dimostrando che anche nelle situazioni più
difficili, c’è spazio per il cambiamento e la trasformazione. Adnkronos 12
Istat. Rapporto sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione
italiana
ROMA – 1milione e 81mila gli espatri tra il 2014 e il 2023. Poco più di
515mila i rimpatri. 566mila: la perdita di popolazione italiana dovuta agli
scambi con l’estero. Lo rileva il Rapporto Istat sulle migrazioni interne e
internazionali della popolazione.
Nel biennio 2022-2023 sono in lieve ripresa gli espatri.
Dal 2014 l’andamento delle emigrazioni dall’Italia presenta un trend
crescente fino al 2019, anno in cui si è rilevato il valore massimo (180mila)
dagli anni Settanta del secolo scorso, e una successiva contrazione durante la
pandemia da Covid-19. L’accelerazione del trend dal 2016 al 2019 è dovuta
principalmente all’aumento degli espatri per effetto della Brexit, che,
tuttavia, non è riconducibile a un vero e proprio movimento di persone ma
piuttosto a un incremento di iscrizioni in AIRE di cittadini italiani già
presenti sul territorio britannico, al fine di confermare il proprio settled
status prima dell’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione
europea. Tale ipotesi è resa ancora più evidente dal numero di espatri
verso il Regno Unito rilevato nel 2020 (36mila), anno in cui tutti i movimenti
in uscita dal Paese hanno subìto un brusco rallentamento a causa delle
limitazioni internazionali di contrasto al virus imposte ai trasferimenti.
Negli anni successivi, esaurito l’effetto Brexit e dopo lo shock pandemico, le
emigrazioni verso l’estero riprendono lentamente quota, ma con livelli molto
lontani rispetto a quelli osservati negli anni 2016-2019. Il volume delle
emigrazioni verso l’estero è dovuto in larga parte agli espatri dei cittadini
italiani, che nell’ultimo decennio, sono in media circa sette su 10. Tra il
2014 e il 2023 si conta oltre un milione di espatri, a fronte di poco più di
515mila rimpatri; i saldi migratori dei cittadini italiani sono quindi sempre
negativi e la perdita complessiva di popolazione italiana dovuta ai
trasferimenti con l’estero è pari a 566mila unità. Nello stesso decennio, tra
la componente straniera si osserva un trend oscillante quanto a cancellazioni
per l’estero con un picco nel 2021, anno in cui si sono contate circa 64mila
emigrazioni. A differenza di quanto si osserva tra gli italiani, i saldi
migratori degli stranieri sono quindi largamente positivi, ma tale misura
potrebbe in parte risentire della sotto-copertura del fenomeno dovuta alla
mancata notifica, da parte del cittadino straniero, della partenza dal
territorio italiano. Nel biennio 2022-23 oltre la metà degli espatri ha origine
nel Nord (52,7%): in particolare sono partiti dal Nord-ovest del Paese
complessivamente circa 61mila italiani (29,6% degli espatri) e dal Nord-est
48mila (23,2%). Numerose anche le partenze dal Sud (in totale 41mila nel
periodo 2022-23, 19,8%) e dal Centro (35mila, 16,7%), mentre dalle Isole hanno
espatriato in due anni complessivamente 22mila italiani (10,7%). Il tasso di
emigratorietà degli italiani, che nel 2021 era pari all’1,7 per mille, nel 2022
all’1,8 e nel 2023 al 2,0 per mille, testimonia una lieve ripresa della
propensione a espatriare: si registrano tassi superiori alla media nazionale al
Nord (mediamente 2,2 per mille nel biennio 2022-23) e inferiori al Centro-sud
(1,7 per mille). Nei due anni 2022-23 la distribuzione degli espatri per
regione di provenienza è eterogenea: i tassi più elevati si hanno in
Trentino-Alto Adige, grazie anche alla posizione geografica di confine che
facilita gli spostamenti con l’estero (3,4 per mille nel biennio 2022-23).
Seguono Molise, Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste e Veneto con tassi superiori al
2,5 per mille. Le regioni con tassi più bassi sono invece Puglia, Campania e
Lazio (valori pari a 1,3 per mille). A livello provinciale, i tassi più elevati
si rilevano a Bolzano/Bozen (4,5 per mille), Treviso (3,4 per mille) e Mantova
(3,1 per mille); quelli più bassi si registrano nelle province di Caserta,
Taranto e Barletta-Andria-Trani (1,1 per mille)
Il Regno Unito continua ad attrarre italiani nativi e di origine straniera
Anche negli anni 2022-23 l’Europa si conferma la principale area di
destinazione delle emigrazioni dei cittadini italiani, sebbene in misura
inferiore rispetto agli anni precedenti (75,7% degli espatri, in calo di sette
punti percentuali rispetto al 2021). Tra i paesi europei, Regno Unito,
Germania, Francia, Svizzera e Spagna accolgono complessivamente il 55% degli
espatri dall’Italia. In aumento, invece, l’incidenza degli espatri verso i
paesi dell’America Latina (10,7% del totale, cinque punti percentuali in più
rispetto al 2021), in parte per l’effetto dei nuovi cittadini italiani che dopo
la permanenza in Italia, necessaria per l’ottenimento della cittadinanza,
rientrano in patria. Durante il decennio 2014-2023, infatti, la quota di
espatri di italiani nati all’estero è in significativa crescita (dal 22% del
2014 al 31,4% del biennio 2022-23). Per quanto il progressivo aumento della
popolazione residente straniera in Italia (da 4,8 milioni nel 2014 a 5,3
milioni al 1° gennaio 2024) possa giustificare tale tendenza, in realtà questo
flusso comprende anche immigrati stranieri che, una volta acquisita la
cittadinanza italiana, lasciano il Paese come cittadini dell’Unione europea.
Tra il 2022 e il 2023 le emigrazioni degli italiani nati all’estero sono state
complessivamente 65mila (circa un terzo del totale degli espatri, +40% rispetto
al 2021), di questi, tre su 10 sono nati in Brasile (poco meno di 20mila), il
13,7% in Argentina, il 6,8% in Marocco, il 3,5% in Albania. Nel biennio
2022-23, il Regno Unito è la meta europea favorita sia dagli espatriati nativi
(complessivamente 21mila), sia da quelli nati all’estero (11mila). Seguono la
Germania (21mila espatriati nativi e 6mila di origine straniera), la Svizzera
(17mila e 3mila), la Francia (14mila e 6mila) e la Spagna (11mila e 4mila),
Paesi nei quali gli espatri sono decisamente appannaggio degli italiani nativi.
Tra i paesi extra europei, le mete preferite sono il Brasile (13 mila espatri),
gli Stati Uniti (10mila espatri) e l’Argentina (5mila espatri). Mentre il
flusso di espatri verso gli Stati Uniti è composto prevalentemente da nativi
(75%), le emigrazioni verso Brasile e Argentina sono costituite in larghissima
parte (oltre il 92%) da cittadini nati all’estero , I cittadini italiani
di origine africana emigrano per lo più in Francia (48%), quelli nati in Asia
nella stragrande maggioranza si dirigono verso il Regno Unito (78,9%), quelli
nati in un paese dell’Unione europea invece emigrano soprattutto in Germania
(25%)
Circa quattro giovani emigrati italiani su 10 hanno almeno la laurea
Il trasferimento di residenza all’estero può essere considerato una scelta,
transitoria o di lungo periodo, volta a soddisfare le proprie esigenze di
conoscenza, ad acquisire e arricchire il proprio bagaglio di esperienze di
studio o lavoro, a migliorare la propria condizione economica e ad ampliare le
proprie opportunità di crescita e di realizzazione. Negli ultimi 10 anni i
giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono
costantemente aumentati, mentre molto meno numerosi sono i rientri in
patria. Nel decennio 2013-2022 è espatriato dall’Italia oltre un milione
di residenti, di essi oltre un terzo (352mila) con un’età compresa tra i 25 e i
34 anni. Con riferimento a questo collettivo di giovani espatriati, si osserva
che oltre 132mila (37,7%) erano in possesso della laurea al momento della
partenza. D’altro canto, i rimpatri di giovani della stessa fascia d’età sono
stati circa 104mila nell’intero periodo 2013-2022, di cui oltre 45mila in
possesso di laurea: la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani
laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per
l’intero periodo di oltre 87mila giovani laureati. Dopo il calo del 2021, nel
2022ii si assiste a una significativa ripresa degli espatri di giovani laureati
tra i 25 e i 34 anni (18mila, +23,2% sull’anno precedente). Aumenta la quota
dei laureati sul flusso dei giovani espatriati (uno su due è in possesso di
almeno la laurea), a testimonianza del cambiamento strutturale in atto: solo 10
anni prima, infatti, tale quota era pari a un terzo dei flussi di emigrazione
giovanile. Nel 2022 si riduce il numero dei rientri in patria dei giovani
laureati (6mila, -18,9% sul 2021). La contingenza delle due dinamiche,
l’aumento degli espatri e il calo dei rimpatri, determina un saldo migratorio
negativo che si traduce in una perdita di 12mila giovani risorse qualificate,
in linea con le consistenze rilevate prima della pandemia. I paesi europei sono
le mete favorite dai giovani laureati. Nel 2022, per la prima volta dall’inizio
del decennio, nella classifica delle destinazioni preferite la Germania (con
quasi 3mila espatri di giovani laureati) sorpassa il Regno Unito (2,6mila).
Seguono la Svizzera (1,8mila), la Francia (1,7mila) e i Paesi Bassi (1,2mila).
Tra i paesi extra-europei, al primo posto si trovano gli Stati Uniti (quasi
1.000 giovani laureati). (Sul sito www.istat.it/ il testo integrale del
rapporto). (Inform/dip)
Preso atto della mancanza di lavoro si potrebbe fondare il Partito dei
Disoccupati d’Italia. Come a scrivere che la “trovata” non è, poi,
improponibile, ma anche provocatoria.
La nostra non vuole, però, essere una sfida. Ma una semplice, quanto
onesta, valutazione. Scoraggiati, e senza prospettive per il futuro, la
politica potrebbe essere una strada da battere, dato il numero dei senza
lavoro. Tant’è che le stesse Forze Sociali si sono rese conto del reale
scollamento tra il mondo dell’occupazione e quello dei partiti.
Tutti i politici vorrebbero “cambiare”la nostra realtà involutiva. Il
difficile è stabilire il “come” e “quando”. Ostinarsi con un progetto
”alternativo” resta complicato. Se, per assurdo, le varie anime di governo si
fondessero, all’unisono, col varo di un nuovo Movimento d’Opinione, ben lontano
dall’essere un nuovo partito, le previsioni sarebbero sempre congetturate.
Almeno per una nostra esperienza in diretta.
Per ora, è solo fantapolitica; ma
sino a quando? Sopravvivere è una necessità. La deflazione, se mancano i
liquidi, aiuta poco. Non basta vendere di più e a prezzo più basso per
garantire un’omogenea distribuzione del necessario. C’è, infatti, chi comprerà
di più con la stessa somma e chi continuerà a privarsi di tutto per mancanza di
moneta. La situazione nazionale è questa. Non ci devono trarre in inganno
le“ostentazioni” che, purtroppo, ci sono ancora. Anche se sono più di facciata
che applicabili.
Anche dopo il rinnovo politico governativo, L’Italia dovrà riconfigurare il
suo ruolo in ambito comunitario; evitando prese di posizione che sul fronte
politico europeo non significherebbero nulla. Insomma, la realtà nazionale non
è nella condizione d’essere “ribaltata” a livello UE. Il miraggio di un Bel
Paese all’altezza dei tempi persistente.
Giorgio Brignola, de.it.press
Da diversi anni, ormai, l’apprendimento dei saperi e delle conoscenze
legate al cibo non avviene più in ambito familiare. La trasmissione di nozioni
e comportamenti alimentari che, fino a pochi decenni fa, passava da madre in
figlia, da padre in figlio, è stata interrotta e non sostituita. Questo fa sì
che molti giovani non sappiano da cosa sia composta la loro stessa dieta
quotidiana. Le scelte alimentari delle nuove generazioni sono indotte quasi
esclusivamente da pubblicità tamburellanti, legate a prodotti molto spesso
altamente trasformati e privi di legami con i territori. Ad aggravare la
situazione, la gran parte di questi alimenti è poco salutare e costruito
appositamente per stimolare dipendenza nel consumatore. Un tasso di obesità
infantile in continua crescita in tutta Europa ne è la diretta conseguenza. E
badiamo bene, proprio il nostro Paese, riconosciuto a livello mondiale come la
patria del “mangiar bene all’italiana”, è a guidare questa triste e perversa
classifica con ben il 42% della popolazione in sovrappeso nella fascia d’età
tra i 5 e i 9 anni. Insomma, altro che eccellenza del Made in Italy, è
necessario che il nostro Governo corra ai ripari per educare al meglio le nuove
generazioni.
Sono, infatti, convinto che solo attraverso l’educazione sarà possibile
costruire una nuova società civile che, oltre a garantirsi un futuro più sano,
sia preparata a esprimersi su quegli argomenti – legati alla produzione e al
consumo di cibo – che ormai rientrano quotidianamente all’interno del dibattito
pubblico. Mi sto riferendo a temi come la carne coltivata, la desertificazione
dei suoli, le migrazioni climatiche, i novel food, fino ad arrivare alle
proteste dei trattori di poco tempo fa. Ecco, prendiamo per esempio questo
ultimo fatto, che ha smosso così tanto la politica europea da determinare un
dietro front sulla strategia del Green Deal che ha davvero dell’incredibile.
La discesa in piazza dei produttori è stata strumentalizzata al punto da
creare una tempesta perfetta: mettere in forte contrasto tra loro il mondo
contadino e quello ambientalista. Questo ha generato un effetto domino che ha
portato la Presidente von der Leyen, anche per questioni elettorali, a
cancellare in pochi giorni un lavoro di lunghi anni fatto di proposte che
includevano la diminuzione della chimica in agricoltura e altri aspetti
necessari per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
E dirò di più: mentre i produttori protestavano per via del prezzo troppo
basso a cui sono costretti a vendere i loro prodotti, i Tg che raccontavano di
questa diatriba erano intervallati da pubblicità che, con gran disinvoltura e
orgoglio, proponevano prodotti alimentari a prezzi stracciati. A rendere il
tutto ancora più paradossale v’è un aspetto per nulla trascurabile: molti di
questi spot appartenevano a catene della grande distribuzione organizzata,
ovvero alle vere responsabili delle vendite sottocosto; le quali ben si sono
guardate d’entrare nel dibattito politico generato dalle proteste. Tutt’altro,
hanno continuato imperterrite a comportarsi come di consueto, ovvero facendo
solo ed esclusivamente i loro interessi. Tutto questo c’entra eccome con
l’educazione alimentare. Perché queste dinamiche assurde e irragionevoli hanno
modo di verificarsi solo perché la società civile si trova impreparata e senza
alcun strumento per valutare la complessità di un sistema denominato primario
proprio perché indispensabile alla nostra sopravvivenza.
Per questo motivo, l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, Slow
Food Italia, le Comunità Laudato si’ e il Centro di Studi e Ricerca sul cibo
sostenibile in qualità di ideatori, e l’Università di Torino, l’Università del
Piemonte orientale e il Politecnico di Torino nella veste di primi promotori,
lanciano un appello per chiedere a gran voce al Governo italiano che
l’educazione alimentare possa rientrare come insegnamento obbligatorio
all’interno della scuola di ogni ordine e grado (https://appelloeducazionealimentare.it/appello).
Quello che mangiamo è ciò che determina la salute, la socialità,
l’economia, la storia dei nostri territori. Non possiamo permetterci di
recidere il cordone ombelicale che lega il cibo alla vita di ogni essere umano
presente e futuro. Solo attraverso una sana educazione alimentare si potranno
consegnare alle future generazioni gli adeguati strumenti cognitivi per
renderle padrone del proprio destino. Anche alla luce della sfida epocale
chiamata crisi climatica. Uno sconquasso che vede il sistema alimentare come
principale responsabile (per via delle enormi quantità di Co2 che emette in
atmosfera) ma anche come principale vittima. È bene che il percorso formativo
possa permettere a ogni individuo di affrontare con le opportune conoscenze i
cambiamenti che per forza di cose avverranno.
Questa iniziativa è una campagna determinante e ambiziosa per
sensibilizzare sul fatto che solo attraverso una corretta conoscenza e
consapevolezza, per mezzo delle nostre scelte quotidiane, sarà possibile
cambiare in meglio il futuro che verrà. Per questo, invito tutte le persone che
hanno a cuore la salute del Pianeta e il benessere delle giovani generazioni a
firmare questo appello e a farsene promotori coinvolgendo un buon numero di
amici e parenti. Carlo Petrini
Vita Pastorale giugno
Esenzione IMU per l’estero: parere favorevole della Commissione
ROMA – Arriva il parere favorevole della Commissione Esteri della Camera
sulla proposta di legge 956 Ricciardi riguardante l’esenzione dell’IMU per gli
italiani all’estero che hanno casa in Italia, equiparando di fatto gli iscritti
Aire ai residenti in territorio italiano. La modifica riguarda quindi
l’equiparazione del regime fiscale nell’applicazione dell’imposta municipale
propria e dell’imposta di registro relativamente a immobili posseduti nel
territorio nazionale da cittadini iscritti nell’Anagrafe degli italiani
residenti all’estero. Il parere è stato espresso alla VI Commissione.
Elisabetta Gardini (FDI), in qualità di relatrice, ha segnalato in premessa
che, nel corso dell’esame in sede referente, sono state abbinate, alla proposta
Ricciardi, le proposte di legge a prima firma dei deputati Di Giuseppe, Onori,
Billi, Lovecchio, Manes e Borrelli: nella seduta del 7 febbraio 2024 la
Commissione Finanze aveva adottato quale testo base per il seguito dell’esame
del provvedimento la presente proposta di legge 956, sulla quale la Commissione
deve esprimere il parere. Gardini ha poi rilevato come la proposta di legge,
costituita da un solo articolo, apporti modifiche al regime della fiscalità
immobiliare relativa agli immobili posseduti nel territorio nazionale da cittadini
italiani iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE). A
fini IMU, per tali immobili si prevede l’assimilazione all’abitazione
principale – dunque l’esenzione dall’imposta – in presenza di specifiche
condizioni. Ricordato inoltre dalla relatrice che la legge di bilancio 2020 ha
riformato l’assetto dell’imposizione reale immobiliare, unificando le due
previgenti forme di prelievo – IMU e TASI – e facendo confluire la relativa
normativa in un unico testo, relativo all’Imposta Municipale Propria – IMU. Con
riferimento al regime dell’abitazione principale, la relatrice ha ricordato che
essa è esente dal tributo, salvo che si tratti di abitazioni classificate come
di lusso. A decorrere dall’anno 2020 non è però più assimilata all’abitazione
principale, e dunque non è più esente da imposta, l’unità immobiliare posseduta
dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti
all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei
rispettivi Paesi di residenza. La legge di bilancio per l’anno 2021 era
intervenuta prevedendo, a partire dall’anno 2021, che sugli immobili di
proprietà di pensionati non residenti nel territorio dello Stato, non locati o
dati in comodato d’uso, l’imposta venisse applicata nella misura della metà,
senza condizionare tale agevolazione all’iscrizione all’AIRE; successivamente,
con la legge di bilancio per l’anno 2022 era stata disposta, in favore dei
medesimi soggetti, limitatamente al 2022, la riduzione della misura dell’IMU al
37,5 per cento. La proposta in esame prevede che sia assimilata all’abitazione
principale del contribuente, dunque resa esente da imposta, una sola unità
immobiliare ad uso abitativo, con le relative pertinenze, posseduta, a titolo
di proprietà o di usufrutto, in Italia da cittadini iscritti nell’Anagrafe
degli italiani residenti all’estero (AIRE), a condizione che sia situata nel
comune di iscrizione nell’AIRE e che non risulti locata o data in comodato
d’uso. Vien inoltre chiarito dalla relatrice che le agevolazioni disposte per
l’acquisto della prima casa (applicazione dell’aliquota ridotta al 2 per cento)
debbano applicarsi in favore dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, in luogo
della locuzione che si riferisce ai cittadini “emigrati all’estero” come
previsto nella formulazione della norma vigente al momento della presentazione
della proposta di legge. Dalla Gardini è stato inoltre evidenziato come, dopo
la presentazione della proposta di legge in esame, sia entrato in vigore
l’articolo 2 del decreto-legge n. 69 del 2023 (cosiddetto decreto
«salva-infrazioni»), con il quale il Governo è intervenuto sulle agevolazioni
per l’acquisto della prima casa al fine di rispondere ad una procedura
d’infrazione avviata dalla Commissione europea ed eliminare una presunta
discriminazione fondata sulla nazionalità. Con quel provvedimento d’urgenza,
infatti, è stata soppressa l’individuazione soggettiva dell’agevolazione,
ovvero la qualifica di cittadino italiano emigrato all’estero, sostituendola
con un criterio oggettivo, non legato più alla cittadinanza italiana: in
particolare, il decreto-legge ha previsto che l’aliquota agevolata si applica
se l’acquirente si è trasferito all’estero per ragioni di lavoro e abbia
risieduto o svolto la propria attività in Italia per almeno cinque anni, nel
comune di nascita o in quello in cui aveva la residenza o svolgeva la propria
attività prima del trasferimento.
Alla luce di ciò dalla relatrice è stato sottolineato che la proposta di
legge andrebbe coordinata con questa normativa, sopprimendo la disposizione di
cui al comma 2 dell’articolo 1, in quanto non più riferibile al testo vigente
della nota II-bis), comma 1, lettera a), primo periodo, della tariffa, come
rilevato nel parere già espresso dalla I Commissione. La relatrice ha infine
rilevato come il comma 3 quantifichi gli oneri derivanti dalle norme in esame
in 8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, di cui 3 milioni di euro
annui destinati al reintegro delle minori entrate dei comuni, cui provvedere
mediante corrispondente riduzione del Fondo per esigenze indifferibili
istituito dalla legge di stabilità per il 2015. Alla luce di queste
riflessioni la relatrice ha chiesto alla Commissione di esprimere parere
favorevole. Ha poi preso la parola il deputato del Pd Fabio Porta, eletto nella
ripartizione America Meridionale, che ha espresso un convinto sostegno al
provvedimento in esame e soddisfazione per la generale condivisione dei suoi
contenuti. Il deputato ha sottolineato l’importanza delle norme in esame in
quanto esse non sono solo un riconoscimento nei confronti della comunità
italiana all’estero, ma rappresentano anche un investimento, poiché possono
favorire gli investimenti degli emigrati e dei discendenti di emigrati nelle
aree di origine. Il Simone Billi (Lega – ripartizione Europa), nel ringraziare
il collega Toni Ricciardi, primo firmatario della proposta di legge, e gli
altri eletti della circoscrizione Estero per l’impegno profuso, ha rilevato che
il tema è particolarmente sentito dalla comunità italiana all’estero. Secondo
Billi la cancellazione o riduzione dell’IMU nei termini individuati dalla
proposta di legge costituirà un incentivo al turismo e alla permanenza degli
emigrati italiani nei paesi di origine, incentivando l’economia dei territori.
Il deputato ha infine sottolineato come la tassazione prevista dalle normative
vigenti incida pesantemente sulla popolazione italiana all’estero, in
particolare sugli emigrati negli anni ’50 e ’60 che vivono di trattamenti
pensionistici. Il deputato Andrea Di Giuseppe (FDI- ripartizione America
settentrionale e centrale.) ha a sua volta ringraziato i colleghi eletti
all’estero e ha sottolineato la trasversalità della proposta di legge in esame
e di quelle abbinate auspicando una rapida approvazione del provvedimento in
Assemblea.
Questo il testo del parere approvato
La III Commissione (Affari esteri e comunitari), esaminata la
proposta di legge C. 956, recante «Modifiche all’articolo 1, comma 741, della
legge 27 dicembre 2019, n. 160, e all’articolo 1 della tariffa, parte prima,
allegata al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26
aprile 1986, n. 131, in materia di equiparazione del regime fiscale
nell’applicazione dell’imposta municipale propria e dell’imposta di registro
relativamente a immobili posseduti nel territorio nazionale da cittadini
iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero», e le abbinate
proposte di legge C. 1099, C. 1323, C. 1400, C. 1701, C. 1743 e C. 1748;
rilevato che: la proposta di legge modifica il regime della fiscalità
immobiliare relativa agli immobili posseduti nel territorio nazionale da
cittadini italiani iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero
(AIRE) al fine di rendere esente da IMU una unità immobiliare a uso abitativo, con
le relative pertinenze, da loro posseduta, a titolo di proprietà o di
usufrutto, in Italia, a condizione che sia situata nel comune di iscrizione
nell’AIRE e che non risulti locata o data in comodato d’uso (articolo 1, comma
1);
inoltre, la proposta modifica la disciplina dell’imposta di registro,
segnatamente novellando la lettera a) della nota
II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al decreto del
Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 al fine di chiarire che le
agevolazioni ivi disposte per l’acquisto della prima casa si applichino in
favore dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, in luogo della locuzione che
si riferisce ai cittadini «emigrati all’estero» come previsto nella
formulazione della norma vigente al momento della presentazione della proposta
di legge (articolo 1, comma 2);
preso atto che: la proposta quantifica gli oneri derivanti dalle norme in
commento in 8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, di cui 3
milioni di euro annui destinati al reintegro delle minori entrate dei comuni,
cui provvede si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per
esigenze indifferibili che si presentano in corso di gestione, di cui
all’articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
segnalata l’opportunità di sopprimere la disposizione di cui al comma 2
dell’articolo 1, in quanto non più riferibile al testo vigente della nota
II-bis), comma 1, lettera a), primo periodo, della tariffa, parte prima,
allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986,
esprime Parere favorevole. (Inform/dip 16)
Più si è poveri, meno si vota: l’astensionismo in Italia e in Ue
Per la prima volta nella storia, alle Europee ha votato meno di un italiano
su due, il 49,69% degli aventi diritto. L’astensionismo in Italia non ha una
sola risposta, ma stimola delle analisi. Prima di tutto un confronto con l’Ue,
dove l’affluenza è rimasta stabile rispetto al 2019, anzi in leggero
miglioramento dal 50,66% al 51% di questa tornata. Una percentuale comunque
risibile se si pensa al ruolo cruciale delle elezioni europee 2024.
Parlare di astensionismo tout court sarebbe superficiale, e ci sono due
tendenze che meritano attenzione:
* L’affluenza degli italiani alle urne per le amministrative ha superato
quella delle europee;
* per le europee hanno votato di più gli italiani delle regioni ricche,
mentre l’affluenza crolla tra le regioni più povere e nei piccoli centri.
Il primo punto dimostra che c’è una scelta chiara da parte degli elettori,
e che l’astensionismo non è semplicemente figlio del lassismo. Se così fosse, i
dati delle europee e delle amministrative sarebbero uguali, una volta arrivati
al seggio, basterebbe votare per entrambe le elezioni. Se questo in molti casi
non avviene, la ragione non può essere che gli italiani preferiscano il mare
alle urne.
Chiaramente, il contemporaneo voto per le amministrative in oltre 3.700
comuni e delle regionali in Piemonte ha in parte migliorato il dato delle
europee. Secondo le stime di YouTrend, in media nei comuni dove si votava solo
per le europee l’affluenza è stata del 42,2%, mentre dove si votava sia per le
europee sia per le amministrative è stata del 62,8%.
L’astensionismo in Italia e in Ue
Negli anni, sia l’affluenza media Ue che quella italiana sono calate.
Iniziata con l’82% dei votanti nel 1979, la partecipazione degli italiani
alle europee è sempre calata ad eccezione del 2004 (prime elezioni con la
moneta unica), quando si recò alle urne il 71,7% degli aventi diritto contro il
69,8% del 1999. L’astensionismo italiano alle europee ha avuto la sua crescita
maggiore tra le elezioni del 1989 e quelle del 1994. In appena cinque anni, il
Paese passò da un’affluenza dell’81,1% a quella del 73,6%. In quegli anni, la
popolazione italiana fu sconvolta dallo scandalo Tangentopoli, che ha segnato
la prima grande cesura tra gli italiani e la politica nella storia
repubblicana. Non è un caso che il crollo record dell’affluenza si registri in
quegli anni.
Nelle elezioni europee più recenti, quelle del 2019, votarono il 54,5%
degli elettori italiani, un dato superiore a quello delle elezioni europee
2024, anche se cinque anni fa, in Italia, si votò solo di domenica. Anche in
quella circostanza si andò alle urne anche per le regionali in Piemonte e in
circa 3.800 comuni.
Spostando lo sguardo sul panorama europeo, l’astensionismo record si è
registrato nel 2009 e nel 2014 con un tasso di partecipazione al voto vicino al
43% (42,97% e 42,61%), mentre il calo maggiore registrò tra le elezioni del
1994 e quelle del 1999, quando l’affluenza passò dal 56,7% al 49,5%. Dal 1999
in poi, quindi, la maggioranza assoluta dei cittadini europei ha disertato le
urne.
Occorre però considerare che nel corso del periodo storico considerato
l’Unione Europea si è allargata a un numero crescente di Paesi membri, ognuno
con la propria tendenza più o meno forte al voto.
Alle prime elezioni del 1979 i Paesi membri erano nove: Germania, Francia,
Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Regno Unito, Danimarca e Irlanda.
Dalle elezioni del 1984 si è aggiunta la Grecia (che era entrata nella Ue nel
1981), mentre alle elezioni del 1989 e del 1994 i Paesi membri erano 12, grazie
all’entrata nella Ue di Spagna e Portogallo nel 1986. I Paesi membri sono poi
saliti a 15 alle elezioni del 1999, dopo l’ingresso nella Ue di Austria, Svezia
e Finlandia (1995).
Uno spartiacque, poi, è stato registrato nel 2004, anno del grande
allargamento a Est dell’Unione. Quell’anno aderirono all’Ue ben 10 Paesi
(Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania,
Cipro e Malta), a cui se ne sono aggiunti altri due nel 2007 (Bulgaria e
Romania), arrivando ai 27 Stati membri attuali e con l’ingresso di altri Paesi
all’orizzonte.
L’astensionismo sale nelle regioni più povere
L’affluenza al voto in Italia continua a mostrare un trend preoccupante di
diminuzione, con una partecipazione elettorale particolarmente bassa nelle
regioni meridionali e insulari. Questa tendenza evidenzia la necessità di
avvicinare la politica ai cittadini, soprattutto in quelle aree dove la povertà
cresce e la presenza delle istituzioni diminuisce.
Come avvenuto nelle precedenti tornate elettorali, l’affluenza al voto in
Italia ha mostrato marcate differenze tra le varie regioni e anche alle europee
2024, il Nord del Paese ha registrato un astensionismo molto più basso rispetto
al Mezzogiorno:
Dati di affluenza per circoscrizione
* Italia Nord-Occidentale: la partecipazione è stata del 55,1%;
* Italia Nord-Orientale: ha votato il 54% degli elettori;
* Italia Centrale: l’affluenza ha raggiunto il 52,5%;
* Meridione: solo il 43,7% degli aventi diritto si è recato alle urne;
* Isole: La partecipazione è stata la più bassa, con solo il 37,8%.
Confronto con le elezioni europee del 2019
Rispetto alle elezioni europee del 2019, si è osservato un generale
calo dell’affluenza, con variazioni significative tra le diverse
circoscrizioni:
* Nord-Est: l’affluenza è diminuita del 16%;
* Nord-Ovest: si è registrata una riduzione del 13%;
* Centro: il calo è stato dell’11%;
* Meridione: la diminuzione è stata del 10%.
In linea con i principi base della statistica, il calo è stato più marcato
in quelle zone che partivano da un’affluenza più alta. Lo dimostra bene il
fatto che la circoscrizione delle Isole non abbia registrato una riduzione
dell’affluenza, ma partiva già da una partecipazione molto bassa nelle
precedenti elezioni del 2019.
L’analisi regionale conferma in gran parte i trend: la regione con
l’affluenza più alta è stata l’Umbria con il 61%, mentre quella con l’affluenza
più bassa è stata la Sardegna con il 37%. La Sicilia è l’unica altra regione
con un’affluenza inferiore al 40%, mentre la Valle d’Aosta è la regione del
Nord con la minore affluenza 42,5%. Quindi, le tre regioni con il maggior
astensionismo sono tutte a statuto speciale. Tra il 55% e il 60% ci sono
Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia, mentre Marche, Veneto e Liguria
hanno avuto un’affluenza tra il 50% e il 55%.
Italia specchio dell’Ue?
La nostra analisi non può chiudersi sull’Italia, anzi ci regala uno spunto
interessante guardando all’Ue: le stesse tendenze italiane sull’astensionismo
si riscontrano nel resto dei Ventisette. Senza voler scomodare Tacito e la sua
‘Germania’ (che metteva in relazione la latitudine geografica alle usanze dei popoli),
emerge come i Paesi dell’Europa settentrionale, che generalmente godono di
un’economia più forte, hanno registrato quasi ovunque tassi di partecipazione
più alti rispetto ai Paesi del Sud e dell’Est Europa.
La questione si riversa anche nelle città lungo tutta l’Ue. Nelle grandi
città e in quelle più ricche si registrano cali più contenuti di partecipazione
al voto e resistono i partiti più tradizionali come i progressisti e i
conservatori liberali. Nei contesti rurali, invece, cresce l’astensionismo e il
supporto ai partiti di estrema destra e che, più in generale, fuoriescono dalla
logica del bipolarismo.
In Italia, il Movimento 5 Stelle ha superato il 20% dei voti solo in
Campania e il 15% in Sardegna, Sicilia e Calabria, confermando raccogliere al
Sud la maggior parte dei voti. Il partito, oggi istituzionalizzato ma nato come
movimento anti-establishment, è dietro in tutte le regioni del Nord, e in
Veneto, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige si è fermato non ha raggiunto il
5%.
Infine, un dato particolare viene dalla Lega. Nonostante abbia trovato voti
soprattutto al Nord, il partito guidato da Salvini ha riscosso maggior successo
nel Molise, dove ha raggiunto il 17% delle preferenze.
Numeri e riflessioni da tenere a mente, mentre prende forma il nuovo
Parlamento europeo. Adnkronos 11
Plenaria Cgie. Voto, diritti consolari, enti gestori e cittadinanza: il
dibattito in assemblea
ROMA - Un ampio dibattito ha chiuso la prima mattina dell’assemblea
plenaria del Consiglio generale degli italiani all’estero riunito alla
Farnesina. Presieduti dalla segretaria generale Maria Chiara Prodi, alla
presenza del Direttore generale per gli italiani all’estero, Luigi Maria
Vignali, i lavori hanno visto l’intervento di consiglieri e parlamentari
commentare diversi punti della relazione di Governo illustrata dal
sottosegretario Silli.
“Quando si apre un nuovo capitolo ci sono anche nuove opportunità, più
ambiziose che unitarie”, ha osservato Prodi, secondo cui occorre chiedersi
“come adattare le infrastrutture ai nuovi bisogni degli italiani all’estero”.
Centrale sarà capire “come dare risposte ambiziose, istituzionalmente elevate”
ai “7 milioni di iscritti Aire che dovrebbero essere nel cuore della Repubblica
e non una “riserva indiana”. C’è anche un cambio generazionale – ha osservato
la segretaria generale – che deve essere considerato non come giovanilismo, ma
come bisogno di far sentire in maniera nuova le domande di connazionali”. Prime
tra tutte quello sul voto all’estero e le sue modalità, l’erogazione dei
servizi consolari e “l’imbuto” degli appuntamenti, i problemi degli enti
gestori che combattono di anno in anno per le risorse mentre serve “uno sguardo
globale” di ampio respiro.
A Silli, la segretaria generale ha chiesto di essere “alleato del Cgie
nella discussione con gli altri attori che possono diventare nostri
interlocutori”.
Il voto all’estero e la cittadinanza, i servizi consolari e gli enti
gestori i temi toccati da consiglieri e parlamentari nel dibattito.
Nuovo vicesegretario per l’Europa, Giuseppe Stabile (Spagna) ha voluto
evidenziare il “grande sforzo” fatto dalla rete diplomatica per la gestione del
voto europeo e stigmatizzato la mancanza di comunicazione “politica” che
orientasse i connazionali tra i candidati. Da rivedere, per Stabile, i tempi
della fase pre-elettorale soprattutto per la ricezione dei doppi certificati
elettorali, cioè quello italiano e quello del Paese di residenza.
Nessun certificato riceve, invece, l’italiano che vive in un Paese extra
Ue, come ricordato dalla Vice segretaria per i paesi anglofoni extra ue,
Silvana Mangione (Usa), che ha ricordato una raccomandazione dell'Ue “che
suggeriva ai diversi Paesi di fare propria una proposta di legge per consentire
ai propri concittadini che vivono al di fuori dell’Unione europea di poter
votare”. Mangione ha anche ribadito la richiesta di “rivedere la tabella delle
assegnazioni dei rappresentanti dei diversi paesi” nel Cgie per includere di
nuovo il Sud Africa e denunciato e difficoltà degli enti gestori alle prese con
regole che cambiano di anno in anno e che non garantiscono loro l’arrivo
puntuale dei fondi.
Di servizi consolari ha parlato Mariano Gazzola (Argentina), vice
segretario per l’America Latina, che ha preso atto dei numeri riferiti dal
sottosegretario Silli, riconoscendo i “passi in avanti” che sono stati fatti,
ma ricordando che in alcune sedi – citando in particolare Barcellona, città
dove vivono molti italo-argentini – la situazione è davvero critica. Secondo
Gazzola si dovrebbe discutere “se sia ancora utile un sistema di servizi
collegato all’iscrizione Aire” o se sia il momento di riformare anche
l’Anagrafe. Così come va modificato Fast it per renderle il suo utilizzo più
facile, magari cercando la collaborazione di Comites, associazioni e patronati
per aumentare il numero degli iscritti. Ringraziato il Governo per gli aiuti al
Rio Grande do Sul, Gazzola ha pure ricordato che nell’area continua ad esserci
la percentuale più alta tra funzionari consolari e numero di italiani
assistititi: “c'è bisogno di una politica che consenta ai consolati in America
Latina di avere un maggior numero personale”.
La convenzione Maeci – patronati e gli enti gestori i temi toccati da
Gianluca Lodetti, vicesegretaro di nomina governativa: c’è sempre più bisogno
“di tutela, di assistenza nella portabilità dei diritti delle persone” ed è
dunque ora di sottoscrivere la convenzione per “costruire un sistema sinergico
tra il Ministero e i patronati”. Sul fronte degli enti gestori, “il fatto che
la produzione normativa che li riguarda sa così corposa la dice lunga sulla
difficoltà di mettere in piedi un sistema che vada veramente incontro agli enti
gestori”. Se questi enti “fanno parte, così come io credo, di una strategia
complessiva non solo della Farnesina ma del sistema Italia” bisogna dotarli di
strumenti e risorse certe e la nuova circolare li mette in difficoltà. Per
confrontarsi Lodetti ha proposto “un tavolo permanente del ministero con gli
enti gestori” così come questi ultimi “non vengano sentiti solo all'occorrenza,
ma costantemente nell'ambito di un progetto comune”.
Di enti gestori ha parlato anche Tommaso Conte (Germania), che ha
contestato la relazione del sottosegretario ma soprattutto la gestione del
capitolo 3153 da parte della Dg per la diplomazia culturale, che evita ogni
confronto perché “non siamo una sua priorità”.
“Ieri in Commissione il consigliere Filippo Romano, responsabile
dell'ufficio V, quando si parlava dell'identità culturale italiana, ci ha
risposto “voi per noi non siete più un obiettivo prioritario”, cioè i corsi di
lingua e cultura per la Dg che se ne occupa non sono più un obiettivo
prioritario. Qui dobbiamo fare la rivoluzione”, ha aggiunto ricordando anche i
tentativi di contatto fatti da Michele Schiavone con il Dg De Pedys. La
richiesta di Conte, quindi, è che competenze e risorse in materia tornino alla
Dgit. Quanto alla circolare e alla consultazione degli enti, Conte ha aggiunto:
“nella relazione letta dal sottosegretario Silli lui scrive “abbiamo ascoltato
gli enti gestori”; credetemi o non li hanno capiti o non li hanno ascoltati”
perché quello che prevede la circolare li penalizza grandemente.
Walter Petruzziello (Brasile) ha ringraziato il Governo per gli aiuti al
Rio Grande do Sul citando l’abnegazione del Console generale che “ha lavorato
con l’acqua alla vita”.
La parola è poi passata al senatore Menia (FdI) che ha illustrato i due ddl
che ha presentato in materia di voto all’estero e cittadinanza: criticato il
voto per corrispondenza, le modifiche del Rosatellum e pure la “qualità” di
alcuni dei rappresentanti eletti all’estero, Menia ha proposto il voto
elettronico o, in alternativa, ai seggi.
Quanto alla cittadinanza, essa “non equivale al passaporto”: nei due
articoli prevede la riapertura dei termini per il riacquisto dei cosiddetti
“naturalizzati” e regole più severe per il riconoscimento tout court a
cominciare dalla conoscenza della lingua. Il senatore ha parlato di
compravendite, di “Black Friday delle cittadinanze”, soprattutto in Sud
American, di “documenti falsificati” che “intasano i Comuni italiani”. E se uno
dei primi diritti legati alla cittadinanza è quello del voto, alla luce del
Premierato e della nuova legge elettorale che verrà approvata, un cambio di
passo, per Menia, sarà fondamentale. “Quando si votò nel 2006 gli iscritti
all'aire erano 3.106.000 quindi oggi abbiamo 4 milioni in più? Volete dirmi che
sono emigrati 4 milioni di italiani in questi anni, quando l'Istat ci dice che
la media dell'ultimo ventennio è stata di 71.000 emigrati l'anno? Oppure si
tratta di passaporti comprati? Persone che potrebbero decisivi nell’elezione di
un Premier?”. Con la riforma della cittadinanza che ora è in calendario in
Senato, Menia ha invitato il Cgie a dire la propria per contribuire al
dibattito, così come sul fronte del voto all’estero.
Dell’importanza degli “oltre 70 milioni di persone di origine italiana nel
mondo che sono state e continuano ad essere una grande risorsa per il nostro
Paese”, ha parlato Francesco Giacobbe (Pd) secondo cui “occorre agire in due
direzioni: diffondendo lingua e cultura e anche tramite i servizi di
cittadinanza”. Quando le cose funzionano “lo Stato sta solo facendo il suo
dovere”, ha aggiunto richiamando l’attenzione anche sul “rafforzamento dell'interscambio
anche economico finanziario fra l'Italia e i Paesi dove risiedono le nostre
comunità”. Quanto alla cittadinanza e alla riapertura dei termini “se non si
riforma ora la 91/92 tra poco non potrà goderne più nessuno”. Fondamentale
anche “puntare sui giovani” rinnovando gli organismi di rappresentanza
“ridefinendo un ruolo che fu disegnato quando il mondo era diverso da quello di
oggi”.
Vincenzo Arcobelli (Usa) ha ricordato le rassicurazioni dell’anno scorso
sull’apertura di una sede a Newark e annunciato che il prossimo 8 agosto, nello
stesso giorno di Marcinelle, si terrà la prima commemorazione ufficiale a
Monongah per ricordare la tragedia mineraria.
Gianluigi Ferretti, dopo aver stigmatizzato l’assenza di Silli andato via
subito dopo la relazione, ha fatto le sue congratulazioni a Prodi e plaudito
alla “caduta dell'occupazione della sinistra del Cgie”. Quanto alla
cittadinanza “è già una bomba atomica ad orologeria: avrete letto, come ho
letto io, che alcuni giudici, in assenza di titoli che comprovano la
discendenza, hanno sentenziato che comunque essa era “verosimile” e quindi
hanno concesso la cittadinanza. Una cosa orribile e tremenda”. Quanto al voto,
“solo in Italia si parla di brogli e quindi facciamoci qualche domanda”.
Nello Gargiulo (Cile) ha invitato a riflettere anche sulle cittadinanze per
stato civile, ha condiviso l’opportunità di richiedere la conoscenza della
lingua per il suo ottenimento, prevedendo corsi gratuiti per chi è in
difficoltà, e anche online per raggiungere tutti.
Contro la “strumentalizzazione del tema cittadinanza” da parte del
centrodestra si è scagliato il consigliere Taddone (Brasile), nipote di
cittadini italiani, nato in Brasile, che in un ottimo italiano ha sostenuto che
il ddl del senatore Menia contiene molti errori che “creeranno confusione”.
“Noi nati all'estero siamo cittadini dalla nascita: lo dice il codice civile
del 1865, la legge del 1912, la Costituzione del 48 e la legge del 92, lo
ribadiscono la Corte di Cassazione e, molto recentemente, la Corte
costituzionale che ha ribadito che “la cittadinanza per fatto di nascita si
acquista a titolo originario” e che “lo status di cittadino, una volta
acquisito con la nascita, ha natura permanente ed è imprescrittibile”,
ribadendo che “il principio di non retroattività della legge costituisce un
fondamentale valore di civiltà giuridica”. Noi siamo stati abbandonati dallo
stato italiano per molto tempo a causa di tanti motivi, ovviamente i problemi
ci sono ma non si risolvono con una riforma della legge. Si risolvono con l'uso
dei milioni di euro che i consolati ricevono tutti gli anni per fare le
pratiche”. Per Taddone “il tema della cittadinanza è trattata così perché siamo
noi nel Sud America: se questo fosse un fenomeno in Nord America o in Europa
non sarebbe trattato così”, ha sostenuto il consigliere secondo cui ci sarebbe
anche “del razzismo”. Quanto alle frodi, ci sono e vanno punite con gli
strumenti a disposizione.
Da informatico Morello (Argentina) ha evidenziato i limiti del Prenot@mi –
il portale per la prentoazione dei servizi consolari - dal punto di vista di
data base, tema che verrà approfondito venerdì nella sessione dei lavori
dedicati alla digitalizzazione.
Per Francesco Papandrea (Australia) i risutlati del Governo da un anno a
questo parte sono stati “deludenti”. Il consigliere ha criticato la nuova
circolare sugli enti gestori e richiamato l’attenzione sulla difccoltà di
attivare le credenziali Cie all’estero. (m.c. aise/dip 19)
Cosa fare per non perdere la pensione di invalidità
Un controllo sul conto, i soldi mancanti, la paura. A gennaio una
settantenne di Agrigento ha notato che l’Inps non le stava più pagando la
pensione di invalidità. Eppure, l’istituto non le aveva recapitato alcun
preavviso.
Dopo aver smaltito lo spavento, l’anziana signora si è rivolta a Dossier
per denunciare il fatto. Ed è stata abbastanza fortunata, visto che se avesse
aspettato ancora un po’, i termini del ricorso contro la sospensione degli
assegni sarebbero scaduti e l’anziana avrebbe perso per sempre la sua pensione
di invalidità civile.
Ma non si trattava di un caso isolato: dopo aver raccolto la testimonianza,
la testata ha scoperto che molti agrigentini avevano perso improvvisamente la
propria pensione di invalidità. C’è poi il fronte di chi, pur avendo ricevuto i
solleciti dell’Inps, non colma le lacune documentali che decretano la
sospensione del pagamento.
Secondo i calcoli dell’Istituto, nel 2018 sono stati 36.763 i beneficiari
delle prestazioni legate all’invalidità civile che hanno ignorato i solleciti.
Non era questo però il caso della settantenne agrigentina: “Lo scorso
gennaio – racconta nella lettera a Dossier – è arrivato il solito estratto
conto bancario, controllandolo mi sono accorta che nell’elenco dei movimenti,
nella voce entrate, mancavano i versamenti dell’assegno della pensione di
invalidità civile e della tredicesima. Mi preoccupo e chiedo a mio marito di
informarsi con l’ufficio postale. Il giorno dopo scopriamo che la mia pensione
era stata sospesa dall’Inps per la mancata comunicazione dei redditi, andiamo
in un Caf che ci spiega le procedure per chiedere la ricostituzione reddituale
per sospensione”.
L’obbligo di segnalazione
Come spiegato anche dall’operatore Caf alla pensionata, prima di sospendere
il pagamento della pensione di invalidità civili, l’Inps deve inviare due
comunicazioni al beneficiario. La prima serve a sollecitare la comunicazione
dei redditi, mentre l’altra deve essere un avviso della sospensione del
trattamento pensionistico. Comunicazioni che, racconta la donna, a lei non sono
mai arrivate.
Le istruzioni del Caf hanno permesso all’anziana agrigentina di recuperare
le somme arretrate (l’assegno mensile è di circa 400 euro), ma il rischio della
prescrizione era dietro l’angolo. Inoltre, come spiega ancora la vittima della
omessa segnalazione, “rimanere senza soldi per cinque lunghi mesi non ha fatto
bene alla mia già precaria salute”.
Non un caso isolato
La testata ha chiesto ad alcuni Caf se il caso della signora fosse isolato
o se anche altri pensionati si fossero ritrovati nella sua stessa situazione.
Ne è emerso che molti agrigentini sono stati costretti a rivolgersi ai centri
di assistenza fiscale per chiedere la riattivazione dei pagamenti sospesi.
Ma cosa è successo? In pratica, fino a pochi anni fa l’Inps mandava una
lettera per ricordare ai pensionati di comunicare all’istituto i redditi, ma
nel tempo questa prassi è stata spesso accantonata. La causa potrebbe non
dipendere dall’Istituto ma dallo smarrimento della comunicazione nel tragitto,
come avviene in altri casi.
Cosa fare per non perdere la pensione di invalidità
Cosa possono fare i cittadini per non perdere il diritto alla pensione di
invalidità?
La legge non solo stabilisce un limite reddituale, ma impone anche ai
soggetti beneficiari di comunicare all’Inps la propria situazione reddituale,
qualora non siano tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi
all’Amministrazione finanziaria o non la comunichino integralmente.
Quest’obbligo di comunicazione avviene nei casi di:
* pensione di inabilità;
* assegno mensile di assistenza;
* pensione ai ciechi civili;
* pensione ai sordi;
* assegno sociale.
Come recuperare i propri redditi
Per ricostruire la propria situazione reddituale, l’interessato può
rivolgersi a dei patronati oppure procedere in autonomia accedendo con Spid o
Cie all’area personale MyINPS. A quel punto basta seguire il percorso “Home”
> “Prestazioni e servizi” –“Servizi” – “Domanda di Prestazioni
pensionistiche: Pensione, Ricostituzione, Ratei maturati e non riscossi,
Certificazione del diritto a pensione” – “Variazione prestazione
pensionistica”, attivando il successivo sottomenu: “Ricostituzioni/Supplementi”
– “Ricostituzione pensione” – “Reddituale” – “Per sospensione art. 35comma
10bis D.L. 207/2008”.
Quando viene sospesa o revocata la pensione di invalidità
Dunque, ogni anno i titolari di trattamenti pensionistici per invalidità
civile, sordità e cecità sono tenuti a comunicare ogni anno la propria
situazione reddituale all’Inps e se questo non avviene:
* l’Inps deve comunicare un preavviso di sospensione tramite raccomandata
postale con ricevuta di ritorno;
* il o la pensionata deve regolarizzare la posizione entro 60 giorni dalla
ricezione della lettera;
* oltre questa scadenza, la pensione viene sospesa;
* Allo scadere di ulteriori 120 giorni dall’inizio della sospensione senza
alcuna comunicazione da parte dei redditi, l’Inps revoca la pensione di
invalidità.
Vale la pena sottolineare che anche in questo caso l’Istituto di previdenza
deve notificare l’avvenuta sospensione tramite raccomandata con ricevuta di
ritorno. Adnkronos 1
Il primo trimestre di questo 2024 non ci ha consentito di formulare
migliori prospettive. Allora, cosa capiterà? Sul fronte dell’economia, le
preoccupazioni non potranno essere contenute. L‘Esecutivo Meloni dovrà,
comunque, dimostrare la sua validità ”politica”. Le apprensioni per il futuro
sono inversamente proporzionali alle realtà. Oggi si dovrebbe adottare un
maggiore ”raziocinio” finanziario che, in ultima analisi, andrebbe a favorire
quello spirito produttivo del quale siamo carenti. Prima di pensare ad altri
sacrifici, ci sarebbero da favorire gli investimenti; avvantaggiando specifici
cicli produttivi. La mancanza di liquidità porta a un’accentuazione della
depressione che già ipoteca il futuro d’almeno una generazione. L’economia di
un Paese non è facile da gestire. Lo riconosciamo. Ma non è neppure prudente
rimandare, solo per spostarli nel tempo, provvedimenti che, in ogni caso,
potrebbero essere evitati. Anche questo stato di “tensione” internazionale, non
solo armata, ci preoccupa.
Le percentuali in caduta della produzione, le difficoltà a mantenere una
concorrenza nei mercati internazionali hanno provocato un impoverimento
“difforme”; che è quello più complesso da allontanare. Dato che non è possibile
presupporre una nuova “civiltà dei consumi”, è indispensabile che s’incoraggi
un sistema economico che sostenga gli imprenditori nell’investire per l’Azienda
Italia. E’ inutile fare del problema una filosofia che non risolve. Le
speculazioni internazionali, adesso, ancora meno.
Siamo circondati da Paesi che
palesano un’economia più stabile della nostra. Oggi, giacché la governabilità
sembra “intoccabile”, è di fondamentale importanza agevolare, in tutti i modi,
l’iniziativa privata che potrebbe offrire nuove possibilità d’assorbimento di
forza lavoro favorendo, in definitiva, la ripresa di un mercato che, oggi, ha
poco futuro. Sarebbe decisivo disgiungere l’economia reale dalla politica. Però
i nodi verranno al pettine. A pagare,
come da sempre, sarà il Popolo italiano.
Giorgio Brignola, de.it.press
Scuole all’estero e turn over dei docenti
ROMA - Garantire il turn over sessennale per i docenti che prestano
servizio presso le scuole italiane all'estero. A chiederlo è il deputato 5
Stelle Antonio Caso in una interrogazione ai Ministri degli affari esteri e
dell'istruzione, Tajani e Valditara, alla luce delle novità annunciate dal
titolare della Farnesina lo scorso 24 maggio.
In una nota del Ministero, infatti, Tajani commentava l’approvazione di un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri contenente una disposizione
che permetterebbe al personale scolastico in servizio all'estero di optare per
un periodo continuativo di nove anni, sia nelle scuole italiane, sia nelle
scuole europee.
“La modifica – richiama Caso nella premessa – interverrebbe sull'articolo
21 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, il quale dispone che “la
permanenza all'estero non può essere superiore, nell'arco dell'intera carriera,
a due periodi ciascuno dei quali di sei anni scolastici consecutivi, inclusi
gli anni in cui ha luogo l'effettiva assunzione in servizio all'estero. I due
periodi sono separati da almeno sei anni scolastici di effettivo servizio nel
territorio nazionale”; pertanto, secondo la disposizione approvata, coloro che
sono attualmente in servizio presso scuole italiane all'estero o scuole europee
e che stanno per terminare il mandato sessennale, vedrebbero il proprio
contratto prorogato di ulteriori tre anni”.
“Secondo il Ministro Tajani – continua il deputato 5 Stelle – la riforma
risulta necessaria per garantire “la continuità didattica a vantaggio degli
alunni delle scuole europee e per sanare una disparità di trattamento fra
docenti italiani presso il sistema delle scuole europee e i docenti provenienti
da altri Paesi Ue, il cui mandato è fissato in nove anni”; tuttavia, nonostante
la corretta necessità di equiparare il mandato dei docenti italiani in servizio
presso le scuole europee, non si comprende perché la modifica interessi anche i
docenti in servizio presso le scuole italiane all'estero, in quanto queste
professionalità vengono selezionate in maniera differente e sono regolamentati
da normative diverse”.
“Infatti, - ricorda Caso – coloro che sono in servizio presso le scuole
europee vengono designati dagli Stati membri secondo le direttive del Consiglio
Superiore delle scuole europee, un ente intergovernamentale fondato con la
“Convenzione recante statuto delle scuole europee”, ratificata dalla legge 6
marzo 1996, n. 151, mentre coloro che prestano servizio presso le scuole
italiane all'estero, presenti in tutto il mondo e non solo in Europa, vengono
selezionati da una graduatoria di merito formata a seguito della pubblicazione
di un bando da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione
internazionale”.
“La modifica introdotta – chiarisce il deputato – unificherebbe il mandato
per tutti i docenti in servizio all'estero, senza distinzione tra scuole
europee e scuole italiane all'estero, bloccando, tuttavia, il turn over
previsto per legge per quest'ultimi, in quanto proprio a gennaio 2024 sono
stati pubblicati i decreti direttoriali n. 4815/1762 e n. 4815/1763 per
selezionare dirigenti scolastici, docenti e personale ATA da inviare
all'estero, ma, a seguito della proroga introdotta nel sopracitato decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, i posti disponibili risulteranno molti
di meno rispetto al fabbisogno stimato a inizio anno e, pertanto, i vincitori
vedranno la propria possibilità di partire vanificata, nonostante abbiano
partecipato e vinto un concorso, così come previsto a legislazione vigente”.
Caso, dunque, chiede ai Ministri se “siano a conoscenza dei profili
suesposti e delle gravi conseguenze che la proroga introdotta senza distinzioni
provocherà per tutti coloro che sono inseriti in graduatoria e sono in attesa
di partire per poter prestare il proprio servizio all'estero” e “quali
iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere affinché venga
garantito il turn over sessennale per coloro che prestano servizio presso le
scuole italiane all'estero, così come previsto dall'articolo 21 del decreto
legislativo 13 aprile 2017, n. 64”.
(aise/dip 4)
Monaco di Baviera: all’IIC mostra sui campionati europei con le figurine
(fino al 15 luglio)
Monaco di Baviera – Quest’anno in Germania si terrà la 17^ edizione dei
Campionati Europei di Calcio. Il campionato si aprirà il 14 giugno con la
partita Germania-Scozia a Monaco di Baviera. Per questa occasione l’Istituto
Italiano di Cultura inaugurerà una mostra speciale giovedì 13 giugno, alle ore
19.00. La mostra si intitola “Deutschland-Italien: ein Klassiker.
Fußballsticker erzählen die Geschichte der EM, ovvero Germania-Italia: un
classico. La storia dei Campionati Europei di Calcio attraverso le figurine”. È
un progetto elaborato ad hoc che unisce la narrazione alla parte visiva,
ripercorrendo tutte le edizioni del Campionato Europeo, dalle sue origini fino
a oggi, con diversi focus specifici e un’attenzione particolare verso le
nazionali di Germania e Italia e i calciatori che hanno legato la loro carriera
ai due Paesi. Saranno inoltre presenti sezioni dedicate alle squadre di Monaco,
il Bayern Monaco e il Monaco 1860, per offrire al visitatore una straordinaria
galleria di personaggi capaci di mescolare la passione del presente e il
fascino del passato. Il percorso di mostra si configura come un racconto visivo
e narrativo che attraverso figurine, album, card e materiale diventato di culto
conduce tra eventi e personaggi rimasti impressi nella memoria collettiva. Alla
narrazione che per le nuove generazioni può rivelarsi una scoperta sorprendente
e affascinante si affianca un format che, proprio attraverso questi contenuti,
permette d’indagare altre espressioni creative come la grafica e
l’illustrazione. Con Mo’ Better Football sono protagonisti del progetto Gianni
Bellini, il più importante collezionista al mondo di figurine sul calcio, e
Simone Ferrarini, artista autore di una serie di disegni inediti realizzati
appositamente. Di prestigio anche i partner, tra cui spicca la collaborazione
con Panini che ha accolto con entusiasmo l’iniziativa. sia un elemento di
crescente importanza nei rapporti tra Paesi e società civili, tanto più nel
caso di due popoli appassionati come italiani e tedeschi. Questi appuntamenti
arricchiscono un insieme di attività nel campo della cultura, della creatività,
dell’innovazione che l’Ambasciata e la rete dei Consolati e degli Istituti di
Cultura stanno curando in tutta la Germania nel corso del 2024. Un percorso di
iniziative che da European Film Market, il grande mercato dell’audiovisivo in
concomitanza della Berlinale, vissuto nel ruolo di “country in focus” giungerà
a destinazione alla Buchmesse di Francoforte, dove saremo ‘ospiti d’onore’ dopo
36 anni”. Giulia Sagliardi, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di
Monaco di Baviera: “Germania e Italia sono Paesi accomunati da un’importante
tradizione calcistica, che permea la società a tutti i livelli e che scalda i
cuori di milioni di tifosi e tifose. Il Campionato Europeo di calcio in
Germania – il cui calcio d’inizio sarà proprio a Monaco di Baviera –
rappresenta una cornice davvero unica per condividere questa passione: con
l’allestimento della mostra l’Istituto di Cultura di Monaco di Baviera aprirà i
propri spazi al mondo del calcio, offrendo a visitatori e visitatrici l’occasione
di approfondirne aspetti storici e culturali e di esplorare i rapporti tra le
nazionali dei nostri Paesi.
L’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera invita all’apertura
della mostra presso la sede nella Hermann-Schmid-Str. 8 (80336 München) giovedì
13 giugno alle ore 19.00. L’evento inizierà con una breve presentazione del
progetto da parte di Marco Ferrero (Mo’ Better Football) e Gianni Bellini. A
seguire, siete cordialmente invitati a visitare la mostra. Seguirà un buffet.
Ingresso libero, registrazione obbligatoria presso Eventbrite.
Mo’ Better Football è un collettivo culturale, con forma di associazione,
che fa incontrare la narrazione e il calcio trasformandoli in un
generatore/contenitore in cui diverse espressioni creative danno vita a un
racconto. Attraverso la realizzazione e lo sviluppo di progetti culturali, come
rassegne, incontri, spettacoli teatrali, reading, mostre e altre forme
espressive, il calcio diventa uno strumento e un linguaggio trasversale che
abbraccia la storia, la scrittura e la grafica, l’illustrazione e
l’approfondimento, oltre a trattare tematiche socio-culturali. L’associazione è
stata fondata a Modena nel 2021 e fino a oggi ha prodotto e realizzato circa 25
progetti. Il gruppo di lavoro è composto da persone preparate, con esperienze
professionali pluriennali nell’ambito della progettazione e della produzione
culturale e con competenze differenti che permettono la gestione interna di
curatela, copywriting, grafica, illustrazione e produzione di contenuti sia
editoriali che audiovisivi. Dall’inizio dell’attività dell’associazione, i
progetti realizzati sono stati produzioni autonome o co-produzioni sviluppate
con enti e soggetti culturali sia privati che istituzionali, sia italiani che
stranieri.
Gianni Bellini, dopo aver iniziato a collezionare figurine fin da bambino,
a partire dagli anni Ottanta ha trasformato la sua passione facendola diventare
un vero e proprio secondo lavoro. Un impegno fatto di studio e ricerca del
materiale pubblicato in tutto il mondo e una vasta rete di corrispondenti in
tutti i continenti, hanno fatto in modo che la sua collezione assumesse
dimensioni sempre più significative e rendendolo oggi il più importante, e
ovviamente maggiore, collezionista di album e figurine calcistiche al mondo. La
sua collezione attualmente si compone di oltre 5.000 album provenienti da ogni
angolo del pianeta, per oltre 4.000.000 figurine.
Simone Ferrarini (aka Collettivo FX) si occupa di “muralismo” con una
particolare attenzione agli interventi nello spazio pubblico, ma il suo
percorso da disegnatore inizia realizzando le azioni e i goal calcistici nel
1992 per il quotidiano “Il Resto del Carlino”. Il disegno del goal era una
pratica molto diffusa sui principali magazine e quotidiani sportivi italiani
fino agli anni ’90, che aveva come obiettivo quello di offrire al tifoso
un’occasione per rivedere l’azione in un’epoca in cui la tv non era ancora così
presente e il web non era diffuso. Oggi che le immagini consentono una
fruizione immediata, disegnare i goal non ha più un senso divulgativo, ma ha
cambiato la funzione dal “mostrare” al “capire”. In un’unica immagine si può
sintetizzare e fissare l’intera azione che nel video è comprensibile solo in parte;
a questo bisogna aggiungere la carica evocativa che il disegno porta con sé,
rendendo iconico il momento del goal. (Inform/dip 7)
Sardi all'estero, serve un associazionismo al passo coi tempi
GINEVRA - L’associazionismo sardo nel mondo ha l’esigenza di decollare. E
perché ciò sia possibile occorre passare dalla fase in cui, grazie anche al
sostegno generoso della sua Regione, questo si è rivelato tra i più
inossidabili e organizzati nel panorama italiano, a un’altra fase in cui sia
capace di rispondere adeguatamente non solo alle attese dei corregionali sparsi
nel mondo ormai da più generazioni, ma anche di giovare alla Sardegna. E ciò
non solo nei problemi relativi allo spopolamento e all’invecchiamento della
popolazione penalizzata sempre di più dalla perdita di risorse giovanili, ma
anche di fronte alle sfide più ardue legate allo sviluppo economico e
all’innovazione tecnologica, dall’approvvigionamento energetico alla
transizione ecologica e quant’altro oggi sembra segnare le frontiere della modernità.
Si tratta di problemi per la soluzione dei quali nel mondo dei sardi all’estero
esistono risorse insospettate. A queste conclusioni, è giunto il Workshop
di Bodio Ticino in Svizzera organizzato dalla relativa Federazione e dal locale
circolo sardo sabato e domenica 8 e 9 giugno nella sede della municipalità
locale, onorato anche dalla presenza delle autorità politiche locali coinvolte
nelle manifestazioni collaterali di cultura sarda.
Più in particolare si è concordato sulla necessità di superare l’attuale
fase di stallo della politica regionale che, attribuendo fin dall’inizio un
ruolo all’emigrazione sarda, negli anni ha ottenuto un certo successo perché, a
fronte di un investimento relativamente basso in denaro, si sono ottenuti
interessanti ritorni in settori strategici dell’economia isolana, soprattutto
in quelli turistico e agroalimentare oltre che nell’ambito della cultura di
interesse regionale. Tuttavia, a ciò osta che le relative azioni protraendosi
troppo a lungo in un quadro economico e sociale che ne ha già metabolizzato i
vantaggi, rischiano di scadere in un assistenzialismo tutt’altro che produttivo
basato sulla riproposizione costante di vecchi schemi e idee superate.
Queste linee sono state espresse nella relazione introduttiva del Presidente
onorario della Federazione e Vice Presidente Vicario della Consulta
Regionale dell’emigrazione, Domenico Scala. E poi sono state sviluppate dai
coordinatori dei lavori, per primo da Leonardo Canonico, imprenditore ed
economista, da tempo consulente della Federazione dei sardi in Svizzera per i
problemi economici e fiscali, che ha illustrato una serie di proposte già
cantierabili per una regione come la Sardegna che intendesse assicurarsene i
vantaggi e alcune già presentate alle autorità locali. Una prospettiva questa
che, nella visione del proponente, esalta il ruolo dell’associazionismo come
strumento di mediazione e di collegamento non solo con la terra di origine, ma
anche con le altre realtà geografiche in cui sono presenti e operativi i sardi conferendo
così un’impronta più globale e universalistica alla stessa Sardegna.
L’altro relatore, Aldo Aledda, anche in veste di coordinatore del Comitato
11 ottobre, un think tank di iniziativa per gli italiani nel mondo oltre che
esperto conoscitore del fenomeno dell’emigrazione sarda, si è soffermato a
illustrare le potenzialità che vi potrebbero essere nei discendenti delle
generazioni degli emigrati sardi per contribuire a risolvere i problemi dello
spopolamento e della ripresa economica e sociale dell’isola attraverso il
recupero delle risorse giovanili attualmente all’estero; e ciò anche alla luce
della recente proposta di legge di istituzione di un visto permanente di
residenza in Italia per questa parte di Italia nel mondo, oggi trattata con
eccessivo sussiego dalle istituzioni e presentata di recente da alcuni
parlamentari alla Camera dei Deputati.
I giovani partecipanti all’iniziativa, tenendo come punti fermi le
conclusioni dei precedenti incontri di Zurigo-Lucerna e Ginevra-Losanna, hanno
comunque voluto mettere in rilievo che dalle forze giovanili presenti in terra
elvetica non ci si deve attendere una disponibilità illimitata a trasferirsi in
Sardegna sia che si tratti dei più recenti expat sia dei discendenti delle
prime generazioni di emigranti. Fatto questo, del resto, confermato
dall’indagine con questionari effettuata nel corso dei vari Work Shop sui
partecipanti tra i quali, pure a fronte del grande interesse per la terra di
origine, neanche il 30% dichiara di avere progetti di rientro. Viceversa,
nonostante vi sia qualche caso documentato di rientro di giovani, maggiore si è
rivelata la disponibilità a investire in Sardegna, trasferire parti di attività
e fornire eventuali consulenze professionali nelle materie di interesse
regionale. E ciò naturalmente a condizione che il percorso del rientro sia
bonificato dall’infausta pianta della burocrazia che tuttora lo ricopre quasi
del tutto.
Tema dolente con cui è costretto a misurarsi chiunque voglia in qualche
modo ritenersi parte integrante della comunità isolana e di quella nazionale è
proprio il problema dell’atteggiamento delle istituzioni in cui si continuano a
riscontrare tratti di sfiducia, se non di acrimonia, nei confronti
dell’emigrazione italiana con l’utilizzo pervicace di strumenti burocratici in
funzione punitiva e che, consciamente o inconsciamente, sembrano volti a
ostacolare piani di rientro o di svolgimento di iniziative.
Il tema è stato trattato ampiamente da chi scrive, presidente del
circolo sardi “Coghinas” di Bodio, che anche nella veste di dirigente sindacale
che si occupa di immigrazioni straniere in Svizzera grazie alla quale ha potuto
tracciare comportamenti comuni, ha illustrato le difficoltà che incontrano i
sardi che intendono rientrare anche per brevi periodi nella propria isola
intralciati anche nelle attività più semplici come cambiare moneta, ottenere
qualche certificato a tacere di chi prova ad aprire un’impresa o trasferire
un’attività; e ciò mentre relativamente alla conclamata opportunità di aprire
le porte dell’isola a una fascia di pensionati svizzeri di alto livello
ostacola la farraginosità del sistema sardo e italiana fatto di servizi
complicati e mal gestiti con relativa perdita di preziose risorse per
l’economia dell’isola. Difficoltà che, ha osservato ulteriormente il presidente
Scala, si manifestano anche nei rapporti con l’associazionismo sardo gestito da
burocrazie, sì volenterose e disponibili, ma spesso all’occorrenza sempre
pronte a interfacciarsi con gli utenti con il volto più diffidente e garantista
di cui sono capaci e atteggiamenti profondamente provinciali. In buona sostanza
per raggiungere obiettivi all’altezza delle nuove missioni, oltre che un
rinnovato rapporto con la sua Regione, giusta anche le osservazioni della
Vicepresidente del circolo di Bodio, Michela Solinas, che ha contribuito alla
riuscita dell’iniziativa favorendo il dialogo intergenerazionale, il mondo
dell’associazionismo sardo necessita un aggiornamento a partire dalla sua
geografia e dai suoi fini. Vale a dire un cambiamento che vada nel senso di
incentivare e privilegiare le aggregazioni che siano in primo luogo
rappresentative di comunità estese e, soprattutto, appaiano strutturate in modo
che le loro finalità non siano costituite solo dal miraggio del contributo
regionale da chiedere e sollecitare in tutti i modi in cambio di qualche
iniziativa ricreativa o di corto respiro ma possiedano una ragione sociale al
centro della quale sia ben ravvisabile e certo il legame con i problemi della
Sardegna.
Tirando le somme della realizzazione di questo progetto che ha coinvolto
tutte le organizzazioni dei sardi in Svizzera Domenico Scala, oltre che avere
dato il giusto merito alla Regione che lo ha reso possibile, ha espresso la
propria soddisfazione per la riuscita confermata anche dal grado di
soddisfacimento della trentina di giovani selezionati per partecipare agli
appuntamenti di ZurigoLucerna , Ginevra – Losanna e Bodio, come si evince dai
questionari che fissano il gradimento al 90 per cento. Anche in qualità di
Vicepresidente Vicario della Consulta, attualmente in carica, Scala si augura
che questo tipo di iniziative non rimangano isolate e slegate o senza finalità
precise limitandosi ad aggregare i giovani a scopi semplicemente conoscitivi ma
siano perseguite più metodicamente e finalisticamente dalla stessa Regione
perché in questo modo si creano i presupposti non solo per l’auspicato ricambio
generazionale di cui ha bisogno l’associazionismo sardo ma anche per reperire
le risorse e le disponibilità necessarie a rendere migliore la terra di
origine, legandola anche alle nuove patrie elette dai sardi all’estero
indispensabili in un mondo che diventa sempre più “glocale”.
Pietro Fadda, Presidente Circolo Culturale Sardo “Coghinas” Bodio TI
(CH)
Campagna di comunicazione del Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana
Genova - Presentata lo scorso maggio in occasione del compleanno del MEI –
Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, dopo una prima fase di diffusione
dei video spot sui social e sui media tradizionali, entra nel vivo a partire da
oggi la campagna di comunicazione nazionale del MEI che vede testimonial
protagonista l’attore e performer Luca Vullo, ambasciatore della gestualità
italiana nel mondo. Lo spot sarà visibile oltre che in tutti i principali
aeroporti e metropolitane italiani anche negli hotel, su taxi, autobus e totem
cittadini.
Con 431 schermi posizionati in 80 stazioni della metropolitana delle città
di Milano, Roma, Brescia e Genova; 290 schermi nei 12 scali aeroportuali di
Genova, Torino, Milano, Bergamo, Verona, Venezia, Bologna, Roma, Napoli, Reggio
Calabria, Palermo, Trapani; e 3.036 schermi su 69 treni della metropolitana di
Roma (linee A, B e Roma Lido), inizia oggi la fase più intensa della campagna
di comunicazione “MEI – Le mie radici sono qui” che, grazie alla mimica
dell’attore protagonista Luca Vullo, coinvolgerà in modo originale gli
spettatori di tutta Italia invitandoli a visitare il museo genovese.
In questi video l’attore, attraverso lo straordinario linguaggio del corpo
tipico degli italiani, comunica e fornisce agli spettatori tutte le
informazioni necessarie alla visita usando esclusivamente i gesti delle mani e
le espressioni del viso, supportate dai sottotitoli in diverse lingue
(italiano, inglese, francese, portoghese e tedesco).
Luca Vullo, testimonial di questa campagna, è ambasciatore della gestualità
italiana del mondo, meritevole di aver trasformato ciò che spesso viene visto
come uno stereotipo folcloristico in un patrimonio immateriale della nostra
cultura, che può essere studiato. Da diversi anni Vullo tiene infatti lezioni e
masterclass in prestigiose università internazionali ed è ospite di Ambasciate,
Consolati, Istituti Italiani di Cultura e teatri all’estero con il suo show “La
voce del corpo” insieme a sua mamma Angela, dove analizza, con ironia e
approfondimento socio-culturale, le differenze tra la gestualità italiana e
quella degli altri Paesi. Collabora inoltre con Rai1 dove ogni domenica
racconta con la gestualità le arie d'opera che hanno reso l'Italia famosa nel
mondo. Vullo, che è stato un emigrato a Londra per quasi dieci anni, con i suoi
progetti ha promosso all’estero le eccellenze “made in Italy" e incontrato
le tante comunità italiane che ha raccontato con i suoi documentari
socio-antropologici. Ecco perché il MEI ha deciso di realizzare proprio con lui
una campagna promozionale davvero originale.
"Siamo profondamente convinti che accanto al grande rigore scientifico
che ci viene riconosciuto, vada abbinato un approccio popolare e coinvolgente
che consenta al nostro pubblico di essere preso letteralmente per mano per
accompagnarlo a scoprire i segreti di uno scrigno unico”, commenta Paolo
Masini, presidente della Fondazione MEI. “Luca Vullo rappresenta al meglio il
senso che volevamo dare a questa operazione. Tener viva la memoria dell’enorme
flusso di emigrazione che ha riguardato e riguarda i nostri connazionali, è un
compito impegnativo, Stiamo, con l'aiuto di tanti, costruendo con passione e
rigore la più grande narrazione popolare e collettiva di questo Paese. Restituirla
al grande pubblico, accompagnandola con la gestualità strumento non solo di
autoironia, ma primo fondamentale mezzo usato dai nostri emigranti per
comunicare, è sicuramente un valore aggiunto".
Il MEI - Museo Nazionale dell'Emigrazione Italiana – è nato dall’accordo
tra il Ministero della Cultura, la Regione Liguria e il Comune di Genova con la
volontà di raccontare molteplici aspetti del fenomeno migratorio italiano
dall’Unità d’Italia ad oggi. Il riallestimento multimediale è? visitabile all'interno
della Commenda di San Giovanni di Pré, ristrutturata per l’occasione, e vive in
stretta relazione con il Mu.MA - Istituzione Musei del Mare e delle Migrazioni
e il Galata Museo del Mare. Da Genova milioni di italiani sono partiti diretti
alle Americhe, all’Africa, all’Asia, all’Australia e all’Europa lasciando tutto
per giocarsi un viaggio senza ritorno.
Il MEI è nato per ricordare questi migranti, raccontare le storie e i
motivi della partenza da punto di vista umano, storico, sociologico. Un museo
innovativo e multimediale, dove i visitatori possono interagire con spazi e
oggetti e vivere esperienze immersive grazie allo stato dell’arte della
tecnologia. Vedere, ascoltare, imparare e mettersi alla prova, negli
allestimenti scenografici di uno degli edifici medievali più antichi della
città. (aise/dip 12)
Una piazza messaggera d’amore. Prima edizione del Premio Città di Spoltore
Pescara - Il 6 e il 7 settembre si terrà a Spoltore la prima edizione di
Scrittura d’amore, festival letterario organizzato dall’Amministrazione
Comunale di Spoltore assieme all’Associazione Abruzziamoci e In Service srls.
“Con questa manifestazione” spiega il sindaco Chiara Trulli “intendiamo a
portare Piazza D’Albenzio all’attenzione del mondo”. Il progetto rientra
nell’ambito di INTERAMIAMOCI, la prima rete internet dei messaggi d’amore, che
avrà presidi in varie parti del mondo e Piazza D’Albenzio di Spoltore sarà tra
le prime “piazze messaggere d’amore” ad accogliere “fisicamente” l’iniziativa.
È previsto il collegamento tra piazze reali e virtuali le cui evidenze e
peculiarità saranno divulgate in tutto il mondo.
L’obiettivo degli organizzatori, Museo della Lettera d’Amore e Associazione
AbruzziAMOci, è di promuovere l’unione dei popoli in nome dei messaggi
dell’amore e di costituire un relativo Comitato internazionale che ogni anno
deciderà di compiere un gesto simbolico, quello di portare i messaggi in un
luogo abbisognevole. Verrà altresì sostenuto il progetto di proclamare nel
pianeta un minuto di raccoglimento in cui venga condiviso il pensiero
dell’amore verso tutti gli altri esseri umani e verso tutte le altre creature.
Il primo festival Scrittura d’amore prevede originali iniziative: quella di
un premio dedicato al “romanzo d’amore”, intitolato alla memoria di Ugo
Riccarelli, assegnato a scrittori che hanno dedicato particolare attenzione,
nei loro romanzi, al tema dell’amore e il premio di poesia d’amore “Città di
Spoltore”(dedicato a Marco Tornar, scrittore, traduttore, saggista abruzzese) a
cui si partecipa stilando in qualsiasi lingua (se straniera o in dialetto, si
deve accludere la traduzione in lingua italiana) una sola poesia d’amore,
inedita, della lunghezza massima di 40 versi. Non è dovuta alcuna tassa di
iscrizione o partecipazione e sono previsti premi in denaro. Il termine ultimo
per partecipare è fissato al 30 giugno 2024. Per le informazioni:
maxpamio@yahoo.it oppure 3279960722 o 3314075401.
Tra i maggiori scrittori italiani a cavallo tra i due secoli, Ugo
Riccarelli ha dedicato molti suoi romanzi proprio al tema dell’amore,
conseguendo i massimi consensi di critica e di pubblico. Nel 1998 ha vinto il
Premio "Selezione Campiello" con il romanzo “Un uomo che forse si chiamava
Schulz”, nel 2004 ha vinto il Premio Strega con “Il dolore perfetto”, il 7
settembre 2013, poco dopo la sua morte, ha vinto il Premio Campiello con
“L'amore graffia il mondo” che, per la prima volta nella storia del concorso, è
stato assegnato postumo.
La giuria composta da Lucilla Sergiacomo (Presidente), Milvia Di Michele,
Massimo Pamio, Antonella Perlino, Marco Tabellione, presidente onoraria la
vedova Riccarelli, professoressa Roberta Bortone, assegnerà, per l’anno 2024, a
suo insindacabile giudizio, due riconoscimenti a scrittori italiani di
particolare valore. L’altra sezione Città di Spoltore Poesia d’Amore è
intitolato alla memoria di Marco Tornar. Marco Tornar (pseudonimo di Enrico
Ciancetta) era nato nel 1960 a Pescara, dove è scomparso nel 2015. Ha
pubblicato le raccolte di poesia: Segni naturali (Bastogi, 1983), La scelta
(Jaca Book, 1996), Sonetti d’amor sacro (Tabula fati, 2014); i romanzi: Rituali
marginali (Bastogi, 1985), Niente più che l’amore (Sperling&Kupfer, 2004),
Claire Clairmont (Solfanelli, 2010), Nello specchio di Mabel (Tracce, 2011), Lo
splendore dell’aquila nell’oro (Tabula fati, 2013); il monologo teatrale
Allegra per sempre (Tabula fati, 2011) e altri scritti, tra cui “Errando di
notte in luoghi solitari” (Quaderni del Battello Ebbro, 2000). Ha curato
l’antologia La furia di Pegaso. Poesia italiana d’oggi (Archinto, 1996) e
tradotto opere di Henry James, Jane Alexander, Kate Field, Vernon Lee,
SigridUndset, Constance Fenimore Woolson.
Nel 2017 l’edizione ragionata delle sue Opere, curata da Sandro Naglia per
Tabula fati, è iniziata con la pubblicazione delle Poesie edite 1980-1992 e
Poesie inedite 1985-2000, conclusa con il volume “La scelta e le altre poesie
1986-2014” (Tabula Fati, 2019). La giuria del Premio è formata da Nicoletta Di
Gregorio (Presidente), Annamaria Giancarli, Enrico M. Guerra, Daniela Quieti,
Stevka Smitran. Si partecipa al Premio Città di Spoltore “Marco Tornar”
stilando in qualsiasi lingua (se straniera o in dialetto, si deve accludere la
traduzione in lingua italiana) una sola poesia d’amore, inedita, della
lunghezza massima di 40 versi. Non è dovuta alcuna tassa di iscrizione o
partecipazione.
Possono partecipare anche i minori, studenti delle scuole di ogni ordine e
grado, nel rispetto delle norme del bando. Per i minorenni l’autorizzazione a
partecipare dovrà essere firmata da un genitore o da chi esercita la patria
potestà. Il termine ultimo per l'invio dell'elaborato è fissato al 30 giugno
2024 (farà fede il timbro postale di partenza). Saranno assegnati i seguenti
premi: Euro 250,00 al primo classificato, Euro 100,00 al secondo, Euro 100,00
al terzo; altri premi ai segnalati. Tra pochi giorni sarà svelato il logo della
manifestazione, realizzato da un noto artista abruzzese appositamente per il
Festival. G.P., de.it.press 13
A luglio le quattordicesime anche per i pensionati all’estero
Roma - “Come tutti gli anni a partire dal 2007 anche quest’anno arriva nel
mese di luglio la Quattordicesima mensilità aggiuntiva alle pensioni. Con una
Circolare che verrà emanata a fine giugno l’Inps fornirà tutti i dettagli dei
pagamenti. È utile ricordare che questa somma aggiuntiva fu introdotta dal
Governo Prodi nel 2007 ed estesa anche ai pensionati italiani residenti
all’estero”. Così in una nota Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America,
che aggiunge: “la 14ma per le pensioni più basse sarà pagata anche quest’anno a
quasi 50.000 nostri connazionali in una unica soluzione. Ogni anno sono circa 3
milioni e mezzo i pensionati in Italia e all’estero a cui l’Inps accredita la
Quattordicesima, pagata contestualmente alla mensilità di luglio”.
“Tra i nostri connazionali residenti all’estero – spiega Porta – il 40%
degli aventi diritto alla 14ma vive in Europa e il 60% nel resto del mondo (tra
questi ultimi la maggioranza risiede in America Latina). Il pagamento d’ufficio
riguarda i pensionati di tutte le gestioni pensionistiche sulla base dei
redditi degli anni precedenti. L’importo della 14ma varia da un minimo di 336
euro a un massimo di 665 euro. Una buona parte dei pensionati italiani
residenti all’estero in possesso dei requisiti avrà diritto, per motivi legati
alla loro limitata anzianità contributiva in Italia, ad un importo medio di 437
euro (nonostante le nostre battaglie per modificare la normativa i contributi
esteri non vengono presi in considerazione ai fini del calcolo e ciò comporta
la concessione di una somma più bassa)”.
“Per beneficiare della Quattordicesima i pensionati residenti all’estero
devono soddisfare due requisiti fondamentali, uno legato all’ età anagrafica e
l’altro al reddito”, ricorda il deputato. “Infatti la 14ma è erogata a favore
dei pensionati ultra sessantaquattrenni (64enni) titolari di uno o più
trattamenti pensionistici a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e
di altre gestioni previdenziali in presenza di determinate condizioni
reddituali personali. Nel caso in cui si rientri nei requisiti richiesti, la
quattordicesima spetta ai pensionati, anche per quelli residenti all’estero, in
maniera automatica, senza che il beneficiario presenti richiesta all’INPS”.
“Per il 2024 il reddito complessivo individuale (vengono presi in
considerazione nel calcolo anche i redditi esteri) deve essere fino a un
massimo di 2 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori
dipendenti, ovvero fino a 15.563 euro annui. Tuttavia – chiarisce Porta – se si
percepisce un reddito complessivo entro 1,5 volte il minimo (11.672 euro annui
per il 2024) gli importi spettanti sono di 437 euro per i pensionati che
possono far valere fino 15 anni di contributi italiani, di 546 fino a 25 anni
di contributi italiani e di 655 euro oltre 25 anni di contributi italiani. Va
specificato che il calcolo sul reddito è individuale, e non coniugale”.
“Secondo le norme vigenti, - aggiunge il parlamentare dem – è riconosciuta
la quattordicesima mensilità sui seguenti trattamenti previdenziali: pensione
di anzianità; pensione di vecchiaia; pensione di reversibilità; assegno di
invalidità; pensione anticipata. La quattordicesima viene riconosciuta in via
provvisoria in presenza delle condizioni prescritte dalla legge e ai soggetti
per i quali sono disponibili i dati reddituali nelle banche dati dell’Inps, e
viene successivamente verificata dall’Inps sulla base dei redditi consuntivi
non appena disponibili. Consigliamo quindi ai nostri pensionati residenti
all’estero di rivolgersi a un patronato di fiducia per verificare l’eventuale
diritto (per evitare futuri indebiti) e gli importi spettanti e soprattutto per
fare domanda nel caso in cui l’Inps non liquidasse d’ufficio la prestazione. I
pensionati che non ricevono la quattordicesima ma ritengono di averne diritto,
- ricorda, concludendo, Porta - possono presentare la domanda di ricostituzione
non solo “on line” ma anche presso gli Istituti di Patronato”. (aise/dip
13)
Vignali sulla piattaforma Italea per il Turismo delle Radici
Roma – Il Direttore Generale del Maeci degli Italiani all’estero Luigi
Maria Vignali è intervenuto nella trasmissione di Rai Italia, “Casa Italia” per
parlare del portale ITALEA del turismo delle radici, un’iniziativa del
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Dgit)
realizzata con i fondi del PNRR. Una piattaforma innovativa che porta i
viaggiatori delle radici, ovvero gli italodiscendenti, gli oriundi e gli
italiani residenti all’estero, a scoprire i luoghi e le tradizioni delle loro
origini. Il portale – spiega il servizio di Rai Italia – Prende il nome da “talea”,
la tecnica utilizzata in botanica per la propagazione di una pianta, in
quest’ottica si inserisce il progetto del turismo delle radici, di cui il Maeci
è attuatore dal 2022, e che fornisce un insieme di servizi turistici, anche per
agevolare il viaggio in Italia, grazie al lavoro di una fitta rete di
professionisti, guide e ricercatori, che in ogni regione d’Italia assistono i
viaggiatori. Il sito fornisce anche dei genealogisti per ripercorrere la
propria storia famigliare. Inoltre all’interno del sito sono presenti 20
portali uno per ogni regione. Infine viene fornita l’Italea card, che consente
di usufruire di sconti per viaggiare, soggiornare, acquistare prodotti locali e
ad accedere ai musei all’interno della penisola. “Il lancio della piattaforma Italea.com
è un momento importante – ha esordito nel suo intervento Vignali – Il
sito è in grado di mettere in contatto tutti quelli che vogliono venire in
Italia, che vogliono tornare alle loro origini con dei professionisti del
settore, che possono organizzare il viaggio, possono aiutare a muoversi e
a trovare esperienze. I risultati dell’iniziativa sono molto incoraggianti,
perché l’attività promozionale sta partendo adesso, quindi a macchine ferme
abbiamo già avuto 7000 utenti unici, 26mila visualizzazioni, centinaia di
richieste di ricostruzione genealogica o di itinerari specifici. Quindi abbiamo
un riscontro molto positivo. Viene inoltre apprezzato – ha continuato il
Direttore Generale – il linguaggio semplice diretto, che siamo riusciti a
veicolare attraverso la piattaforma ed attraverso i nostri esperti. Noi – ha
aggiunto Vignali ricordando i servizi offerti dal portale – vogliamo
realizzare viaggi esperienziali, che emozionino, che riconnettano i nostri
connazionali all’estero con le loro identità, quindi qualcosa di più profondo
di un semplice viaggio turistico. La piattaforma è la vetrina del progetto del
turismo delle radici, ci sono 20 siti regionali, ma all’interno vi sono anche
vari servizi come il genealogista, l’esperto in esperienze gastronomiche e in
esperienze culturali. Quindi una serie di figure che abbiamo contribuito a
formare e a preparare, in modo che anche i piccoli comuni italiani, che si
apprestano ad attendere questi turisti, che vengono dall’estero siano pronti e
sappiano cosa offrire loro”. Durante la trasmissione si è poi parlato del
fumetto di Simona Binni “Sotto lo stesso cielo”, dedicato al turismo delle
radici e sovvenzionato dal Maeci. “I nostri connazionali potenziali turisti
delle radici sono tutti molto importanti, – ha rilevato in proposito Vignali –
però certo le nuove generazioni lo sono ancora di più, perché sono proprio loro
che dovrebbero rivisitare i luoghi delle origini dei loro antenati. Noi
vogliamo distribuire questo fumetto, che abbiamo presentato al salone del libro
di Torino, nel circuito scolastico in Italia e all’estero. Il fumetto narra –
ha spiegato il Direttore Generale – una storia universale, la storia di
un’argentina, ma che potrebbe essere la storia di tantissimi giovani
connazionali nel mondo, che attraverso i racconti dei nonni e dei loro genitori
vivono storie che loro non hanno mai visto di persona. Questi giovani,
attraverso questo viaggio romanzato raccontato nel fumetto, possono davvero
riavvicinarsi ed ispirare altri giovani a venire in Italia”. Sono state
segnalate infine le prossime iniziative legate al progetto del turismo delle
radici che si terranno nel mondo. “Si tratta – ha evidenziato Vignali – di
eventi importanti, che coinvolgeranno centinaia di migliaia di italiani, in particolare
a Toronto dove inizia questa festa italiana Taste of Italy. Vi sono già stati
altri eventi, per esempio abbiamo sfruttato il passaggio della nostra nave
scuola Amerigo Vespucci a Buenos Aires in Argentina, a Valparaiso in Cile, a
Lima in Perù per promuovere il turismo delle radici. Poi – ha concluso il
Direttore Generale – vi saranno ulteriori eventi. A fine giugno a San Paolo c’è
la festa di San Vito, che coinvolgerà tantissimi connazionali; a settembre
torneremo a Buenos Aires per la fiera internazionale del turismo e poi andremo
al Columbus day a New York e alla festa degli italiani a Melbourne in
Australia. Quindi una serie di iniziative per tantissimi italiani, dove verrà
presentato il turismo delle radici e dove cercheremo di coinvolgere il più possibile
i nostri connazionali.” (Lorenzo Morgia, Inform/dip
16)
Zum Weltflüchtlingstag. Die
verschwiegene Zuflucht in Afrika
Jahr für Jahr belegt
das UNHCR die herausragende Bedeutung Afrikas als Zufluchtskontinent. Warum
sprechen wir trotzdem von einem Exodus nach Europa? Von Tobias Gehring
Jedes Jahr zum
Weltflüchtlingstag am 20. Juni veröffentlicht das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR
seinen Bericht „Global Trends“, der einen Überblick über weltweite
Fluchtmigration bietet. Wer des Englischen mächtig ist und eine
Internetverbindung hat, findet dort statistische Daten, die zeigen:
Fluchtmigration ist in erster Linie Süd-Süd-Migration. Trotz des Krieges in der
Ukraine leben laut dem diesjährigen Global-Trends-Bericht 75 Prozent aller
Flüchtlinge in „low- and middle-income-countries“ Asiens, Lateinamerikas und
Afrikas.
Gerade im Fall Afrikas lohnt
sich ein näherer Blick. Oft als Ausgangspunkt einer „neuen Völkerwanderung“
nach Europa dargestellt, ist Afrika tatsächlich einer der bedeutendsten
Zufluchtskontinente. Gegenwärtig beherbergen insbesondere Länder in Zentral-
und Ostafrika wie Uganda (1,58 Millionen), der Tschad (1,10 Millionen) und
Äthiopien (0,98 Millionen) zahlreiche Flüchtlinge. Und in jüngerer
Vergangenheit, zwischen 1975 und 2022, haben allein die Länder
Subsahara-Afrikas deutlich mehr Flüchtlinge aufgenommen als jede andere
Weltregion.
Worüber wir sprechen, wovon
wir schweigen
Doch Fakten wie diese fristen
ein Nischendasein in öffentlichen Diskursen über afrikanische Fluchtmigration,
die Afrika auf eine Position als Herkunftskontinent von Flüchtlingen
reduzieren. Wir diskutieren in Talkshows über Fragen wie „Exodus aus Afrika –
wer ist schuld?“, suchen Gründe für den „afrikanischen Flüchtlingsstrom,
besonders nach Europa“ – und schweigen über Länder wie den Südsudan.
„Fast niemand flüchtete nach
Europa. „
Über 2 Millionen Menschen
sind aus dem ostafrikanischen Land, wo vor zehn Jahren ein Bürgerkrieg
ausbrach, geflüchtet. Fast alle fanden Zuflucht in den Nachbarstaaten Uganda,
Sudan, Äthiopien und Kenia. Fast niemand flüchtete nach Europa. Doch für solche
Fluchtbewegungen innerhalb Afrikas gilt nach wie vor, was Marc Engelhardt 2015
im MiGAZIN konstatierte: „In Europa nimmt man davon keine Notiz.“
Oh, wie schrecklich ist
Afrika
Wie aber kann es sein, dass
öffentliche Diskurse die Position Afrikas im globalen Fluchtgeschehen derart
verkennen? Warum halten sich Erzählungen von Völkerwanderung und Exodus, obwohl
die meisten afrikanischen Flüchtlinge Afrika nie verlassen? Die geografische
und soziale Distanz zu in Afrika statt in Deutschland und Europa lebenden
Flüchtlingen mag zweifellos ein Faktor sein, der die Aufmerksamkeit fort von
ersteren, hin zu letzteren lenkt. Doch möchte ich vorschlagen, Diskursives
zuvorderst mit Diskursivem zu erklären: die Ausblendung innerafrikanischer
Fluchtmigration mit dem ins kollektive Wissen eingeschriebenen Stereotyp vom
„Katastrophenkontinent“ Afrika.
„Den Kern des Stereotyps
bildet eine pauschalisierende Darstellung Afrikas als allerorten vom Elend
geplagter Erdteil.“
Den Kern des Stereotyps
bildet eine pauschalisierende Darstellung Afrikas als allerorten vom Elend
geplagter Erdteil: „Afrika als ,Inkarnation apokalyptischer Krisen,
Katastrophen, Miseren etc.? wird mit Phänomenen wie Korruption, ökonomischen
oder militärischen Krisen, dem Genozid in Ruanda, Aids und Hungersnöten
assoziiert“, so Ingrid Jacobs und Anna Weicker. Diskursbeiträge zu Fluchtmigration
aus Afrika nach Europa bedienen dieses Bild in unschöner Regelmäßigkeit.
„Afrikas demografische Katastrophe […] ist der eigentliche Motor hinter jenem
,biblischen Exodus‘ nach Europa, der jetzt allenfalls begonnen hat“, verkündet
der Bayernkurier. Und die WAZ pflichtet bei: „Das wirtschaftliche Elend in
Afrika nimmt zu, die Menschen stehen vor der Wahl: verhungern oder [im
Mittelmeer] ertrinken.“
Gegensätze ziehen Flüchtlinge
an
Zweitens wird mittels einer
als othering bezeichneten Diskursstrategie der „Katastrophenkontinent“ Afrika
als diametraler Gegensatz Europas konstruiert. „Afrika […] steht – explizit
oder implizit – für das Gefährliche, Wilde, letztlich Irrationale“, schreibt
der Afrika-Historiker Winfried Speitkamp. „Derartige Konstruktionen des
,Anderen‘ […] spiegeln europäische Selbstbilder von Modernität und
Rationalität.“
„Ein Kontrast von Armut und
Gewalt drüben, Wohlstand und Sicherheit hüben, übe eine unwiderstehliche
Sogwirkung.“
Auch in populären Deutungen
afrikanischer Fluchtmigration schlägt sich dies nieder. Ein Kontrast von Armut
und Gewalt drüben, Wohlstand und Sicherheit hüben, übe eine unwiderstehliche
Sogwirkung auf Abermillionen Afrikaner:innen aus. So bringt das Wissensportal
Helles Köpfchen seinen jungen Leser:innen bei: „Weil sie ihrem Elend in Afrika
entfliehen und an unserem Wohlstand teilhaben wollen, haben in den vergangenen
Wochen tausende Afrikaner versucht, die[…] Grenze [der spanischen Exklave
Ceuta] zu durchbrechen.“ Und was lesen Erwachsene beim Deutschlandfunk über
Flüchtlinge? „Seit vielen Jahren versuchen sie, vor allem aus den Kriegs- und
Krisengebieten in Afrika das sichere Europa zu erreichen.“
Doch die Rettung kommt von
außen
Drittens und schließlich
mündet das Stereotyp in die These, dass die Errettung aus der afrikanischen Not
nicht aus Afrika, nicht von Afrikaner:innen kommen könne, sondern stets „the
white mans burden“ war und ist. Darum kursieren in Diskursen über Entwicklung
und humanitäre Hilfe noch immer klischeehafte Rollenmuster – „Schwarze als
Hilfsobjekte, Weiße als strahlende Retter in der Not“. Und darum finden wir in
Diskursen über Fluchtmigration die gleiche Rollenverteilung: Auf der einen
Seite notleidende afrikanische Flüchtlinge, auf der anderen Seite europäische
Seenotretter:innen, europäische Flüchtlingshelfer:innen.
„Schier unvorstellbar scheint
für Patzelt, dass auch afrikanische Staaten afrikanische Flüchtlinge
aufnehmen.“
Die Besetzung der
Retter:innen-Rolle mit Afrikaner:innen sieht das Stereotyp hingegen nicht vor,
ja, es macht sie nachgerade undenkbar. So prognostiziert der
Politikwissenschaftler Werner Patzelt eine Massenmigration von Afrikaner:innen,
die auf der Flucht vor ihrem Elend allesamt nach Europa ziehen: „Wohin auch
sonst? Amerika ist etwas weit entfernt, der Mittlere Osten ist selbst ein
Problemgebiet, und China ist eh schon voll besetzt.“ Schier unvorstellbar
scheint für Patzelt, dass auch afrikanische Staaten afrikanische Flüchtlinge
aufnehmen, ihnen eine Zuflucht bieten, sie, wenn man so will, retten könnten.
Ein Land wie Uganda, das weltweit mit die meisten Flüchtlinge beherbergt,
schafft es nicht einmal unter seine salopp verworfenen Alternativen zur
alleinig verbleibenden rettenden Zuflucht in Europa.
Das Ungesagte sagen
Zu stark sind diese
Parallelen, um sich als Zufälle abtun zu lassen. Sie künden von einem
allgemeinen Erzählmuster: Dem „Katastrophenkontinent“ Afrika steht ein
wohlhabendes, sicheres Europa gegenüber, das Afrikaner:innen rettet. Und sie
zeigen dessen Übertragung auf den spezifischen Fall afrikanischer
Fluchtmigration: Das Elend in Afrika wird zur Fluchtursache. Europas Wohlstand
und Sicherheit machen es zum Ziel der Flüchtlinge. Und so ist Europa – nicht
Afrika – die rettende Zuflucht. Das Stereotyp des Katastrophenkontinents trägt
die Deutung afrikanischer Fluchtmigration als Völkerwanderung, schreibt sich
darin fort.
Gleichsam eng verflochten
sind dann aber auch die Gegenthesen zu der einen wie an der anderen
faktenwidrigen Darstellung Afrikas und afrikanischer Fluchtmigration: Gerade
weil Afrika kein „Katastrophenkontinent“ ist, gibt es in Afrika Länder, in
denen Millionen Menschen Schutz und Zuflucht finden. Es gilt, dieses so oft
Ungesagte öfter, lauter zu sagen. MiG 20
Regierungsbericht. Bedenken gegen
Asylverfahren in anderen Ländern
Am Donnerstag beraten Bund
und Länder, ob und wie Asylverfahren in Drittstaaten verlagert werden können.
Nichtregierungsorganisationen lehnen das strikt ab. Auch ein Regierungsbericht
formuliert vorrangig Bedenken: Ruanda- oder Albanien-Modell nicht denkbar.
Vor dem Treffen von
Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) mit den Regierungschefinnen und -chefs der
Länder haben mehr als 300 Sozial- und Menschenrechtsorganisationen appelliert,
die Pläne zur Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten nicht weiter zu
verfolgen. Diese Pläne funktionierten in der Praxis nicht, seien „extrem teuer“
und stellten „eine Gefahr für die Rechtsstaatlichkeit dar“, heißt es in dem am
Mittwoch veröffentlichten Schreiben. Auch der für das Spitzentreffen erstellte
Prüfbericht des Bundesinnenministeriums zählt vor allem Bedenken gegen die
Umsetzung solcher Pläne auf. Eindeutig positioniert hat sich die
Bundesregierung bislang aber nicht.
Bundeskanzler Olaf Scholz
(SPD) hatte den Bundesländern im vergangenen Jahr zugesichert zu prüfen, ob die
Prüfung von Asylverfahren auch in Drittstaaten möglich ist. Das
Bundesinnenministerium hatte in der Folge 24 deutsche Sachverständige sowie
Experten aus anderen Ländern angehört. Am Donnerstag beraten die
Regierungschefinnen und -chefs der Länder mit Scholz über das inzwischen
vorliegende Zwischenergebnis.
Der 17-seitige Bericht
formuliert Skepsis. Die Anhörung Sachverständiger habe erkennen lassen, dass
internationales und EU-Recht eine Feststellung des Schutzstatus Geflüchteter in
Dritt- und Transitstaaten „zwar nicht grundsätzlich ausschließt“, heißt es
darin. Viele Sachverständige hätten sich aber „skeptisch bis kritisch“ zu den
tatsächlichen Umsetzungsmöglichkeiten geäußert.
Ruanda- oder Albanien-Modell
nicht denkbar
Deutlich formuliert der
Bericht etwa, dass das Bundesinnenministerium es nicht für denkbar hält,
Modelle anzuwenden, wie sie zwischen Großbritannien und Ruanda sowie Italien
und Albanien vereinbart worden sind. Unter den gegebenen rechtlichen und
praktischen Rahmenbedingungen seien sie in dieser Form nicht auf Deutschland
übertragbar. Der Bericht verweist im Fall von Ruanda beispielsweise auf Hürden
durch EU-Recht, das für Großbritannien nach dem Austritt aus der Europäischen
Union nicht mehr gilt. Unions- und FDP-Politiker hatten zuletzt ähnliche
Modelle auch für Deutschland gefordert.
Wegen der geografischen Lage
Deutschlands schließt der Bericht zudem aus, das Italien-Albanien-Modell zu
kopieren. Anders als aus Seenot gerettete Schutzsuchende, die Italien nach
Albanien bringen will, haben in Deutschland ankommende Flüchtlinge auch
deutsches Hoheitsgebiet betreten, womit andere rechtliche Voraussetzungen
gelten. Der jetzt vorliegende Bericht formuliert zudem weitere Bedenken, etwa
zu den erwartet hohen Kosten, die man tragen müsste, damit Länder bereit sind,
die Flüchtlinge aufzunehmen und ihre Fälle zu bearbeiten, oder sogar deutsche
Asylverfahren ins Ausland zu verlagern.
Brief an Scholz
Ein eindeutiges Nein zur
Verlagerung von Asylverfahren gibt es von der Bundesregierung aber bislang
nicht. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) wolle das Thema zunächst mit
den Ministerpräsidenten besprechen, sagte ein Sprecher am Mittwoch in Berlin.
Gleichzeitig sagte er, dass für Faeser derzeit die Umsetzung der EU-Asylrefom
Priorität habe. Zuvor hatte Faeser das italienische Vorhaben in Albanien als
„interessant“ bezeichnet.
Strikt gegen die Auslagerung
von Asylverfahren sind 309 Organisationen und Initiativen, darunter der
Paritätische Gesamtverband, die Diakonie Deutschland, Sea-Watch und Terre des
Hommes. In einem offenen Brief direkt an Bundeskanzler Olaf Scholz zeigen sie
sich überzeugt, dass die Auslagerung „absehbar zu schweren
Menschenrechtsverletzungen führen“ würde.
UNHCR meldet Skepsis an
Solche Pläne seien „unsolidarisch
und menschenrechtlich bedenklich“, erklärte „Brot für die Welt“-Präsidentin
Dagmar Pruin, deren Werk den Brief mit unterzeichnet hat. Zudem seien sie
realitätsfremd, weil sich kein Land finden werde, das zur Aufnahme einer
größeren Zahl von Flüchtlingen aus Europa bereit ist.
Klare Worte kommen auch von
Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im Bundestag. Die
Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten werde die Ämter und Kommunen
nicht entlasten, sie werde aber enorme Kosten verursachen und noch dazu
eklatante Menschenrechtsverletzungen mit sich bringen. „Das zeigen alle
bisherigen Erfahrungen mit solchen Versuchen, und es gibt keinen Grund
anzunehmen, dass dies künftig anders sein könnte“, so Bünger.
Skepsis kam auch vom UN-Flüchtlingshilfswerk
(UNHCR), dessen Vertreterin in Deutschland unter den Sachverständigen für die
Anhörung im Innenministerium war. Rückführungen oder Überstellungen in
sogenannte sichere Drittstaaten seien nur dann angemessen, wenn wichtige
Standards erfüllt sind, erklärte das Berliner Büro auf Anfrage. Dazu gehöre,
dass diese Länder die Genfer Flüchtlingskonvention und die menschenrechtlichen
Verpflichtungen in vollem Umfang respektieren. (epd/mig 20)
Regierung will Rechte von
Missbrauchsopfern stärken
Mehr Rechte für Opfer
sexueller Gewalt, besserer Schutz für Kinder: Dazu hat die Bundesregierung am
Mittwoch einen Gesetzentwurf auf den Weg gebracht. Betroffene sollen damit ein
Recht auf Akteneinsicht in Jugendämtern bekommen. Zudem soll das Amt der Missbrauchsbeauftragten
aufgewertet werden. Die aktuelle Missbrauchsbeauftragte der Bundesregierung,
Kerstin Claus, lobte das Gesetz.
„Die Bundesregierung
verpflichtet sich damit, noch klarer die ressortübergreifenden
Herausforderungen im Kampf gegen sexuelle Gewalt an Kindern und Jugendlichen
strukturiert und umfassend anzugehen. Darüber werden der Kinderschutz und die
Belange von Betroffenen konsequent weiter gestärkt", erklärte Claus in
einer Pressemitteilung. Besonders bedeutsam sei, dass mit dem Gesetz nicht
nur das Amt der Missbrauchsbeauftragten sondern ebenso auch der Betroffenenrat
und die Unabhängige Aufarbeitungskommission dauerhaft gesetzlich verankert
werden. „Es braucht diese seit Jahren so erfolgreich arbeitende strukturelle
Trias auf Bundesebene, um auch weiterhin zentrale gesellschaftliche Impulse zu
setzen und konkrete Maßnahmen im Kampf gegen sexualisierte Gewalt gegen Kinder
und Jugendliche einzufordern", so Claus.
„Kinderschutz und die Belange
von Betroffenen konsequent weiter gestärkt“
Der Betroffenenrat sieht den
Gesetzentwurf, der nun ins parlamentarische Verfahren gehen kann, als
Schritt in die richtige Richtung: „Betroffene haben von je her über ihre
Erfahrungen gesprochen und zu Recht insbesondere eine gesellschaftliche und staatliche
Verantwortungsübernahme eingefordert. Dieser Gesetzentwurf, an dem wir im
Rahmen der Verbändeanhörung selbst mitgewirkt haben, ist ein erster Schritt,
dass Betroffenen nachhaltig Wege zur Gerechtigkeit eröffnet werden und der
Staat die lang eingeforderte Verantwortung übernimmt.“
„Erster Schritt, dass
Betroffenen nachhaltig Wege zur Gerechtigkeit eröffnet werden“
Akteneinsicht für alle
gefordert
Die Unabhängige Kommission
zur Aufarbeitung sexuellen Kindesmissbrauchs soll künftig regelmäßig einen
Bericht vorlegen, in dem es um das Ausmaß sexueller Gewalt gegen Kinder und
Jugendliche, Prävention, Unterstützungsangebote sowie Forschung und
Aufarbeitung geht. Die Kommission erklärte, dies stelle sicher, „dass
Betroffene sexualisierter Gewalt gehört und gesehen werden". Das Gesetz
werde aber nicht allen Erwartungen gerecht:
„Keine Institution in Staat
und Gesellschaft darf sich der Aufarbeitung verweigern“
„Nötig ist die weitere
Stärkung der Rechte der Betroffenen auf Aufarbeitung. Keine Institution in
Staat und Gesellschaft darf sich der Aufarbeitung verweigern. Das bedeutet vor
allem, dass alle Betroffenen ein umfassendes Akteneinsichtsrecht haben müssen.
Dieses darf nicht nur für die Kinder- und Jugendhilfe gelten, es muss sich auch
auf andere Bereiche wie Schule, Sport und Kirchen beziehen." Die
ehrenamtlich arbeitende Kommission müsse zudem finanziell und personell besser
aufgestellt werden: „Nur so kann sie die zusätzlichen Aufgaben, die das Gesetz
ihr anvertraut, erfüllen.“
Was das Gesetz vorsieht
Neben dem Betroffenenrat, der
unabhängigen Aufarbeitungskommission und dem Amt der Missbrauchsbeauftragten
will die Regierung auch einen Arbeitsstab gesetzlich verankern. Der Bund
will darüber hinaus ein Beratungssystem für Betroffene einrichten. Mit Aufklärung,
Sensibilisierung und Qualifizierung wird laut dem Gesetzentwurf die
Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung beauftragt. Die Anwendung von
Schutzkonzepten soll für mehr Institutionen in der Kinder- und Jugendhilfe
verpflichtend werden.
Nicht im Gesetzentwurf
geregelt ist hingegen die Zukunft des Fonds Sexueller Missbrauch, der 2013
aufgelegt worden war. Er soll Unterstützung zur Bewältigung der Folgen von
sexualisierter Gewalt in der Kindheit und Jugend gewähren. Betroffene können
bislang Sachleistungen wie Therapien oder Bildungsmaßnahmen im Gesamtwert bis
zu 10.000 Euro beantragen. (pm/kna 19)
Weltflüchtlingstag: Neue Rekordzahl
von 120 Millionen Geflüchteten
Die Zahl der Menschen, die in
diesem Jahr aus ihrer Heimat fliehen, beträgt weltweit 120 Millionen. Ein neuer
Rekordwert und eine direkte Folge von Krieg und Konflikt in vielen Ländern.
Dies geht aus dem neuen Global Trendbericht des UN-Flüchtlingshilfswerks UNHCR
hervor, der am Vorabend des Weltflüchtlingstages veröffentlicht wurde.
Der Weltflüchtlingstag ist
ein von den Vereinten Nationen eingerichteter Aktionstag, der seit 2001 am 20.
Juni stattfindet. In einer Erklärung betont das UNHCR, „trotz eines Narrativs,
das oft für Angst und Schrecken sorgt“ und dazu neige, „das tatsächliche Ausmaß
der Flüchtlingsströme nach Europa zu überschätzen“, würden 75 Prozent der
Flüchtlinge in Ländern mit nur mittleren oder niedrigen Einkommen aufgenommen.
Was Italien betrifft, so seien Im vergangenen Jahr knapp 160.000 Menschen an
den italienischen Küsten angekommen.
Die „Stärke der Inklusion“
soll im Mittelpunkt des Gedenktages stehen, die an diesem Mittwoch mit einer
Veranstaltung eröffnet werden, die für 16.30 Uhr auf dem Luiss Campus in der
Viale Pola 12 in Rom geplant ist. Teilnehmen werden Flüchtlinge, Vertreter von
Institutionen, Vertreter der Privatwirtschaft und der Zivilgesellschaft. Die
Eröffnungsrede werde Kardinal Matteo Maria Zuppi, dem Vorsitzenden der
Italienischen Bischofskonferenz, halten.
Solidaritätskampagne
#WithRefugees
Anlässlich des Weltflüchtlingstages
werden im Rahmen der Solidaritätskampagne #WithRefugees elf italienische Städte
ihre Denkmäler beleuchten. An der 2017 ins Leben gerufenen Initiative, die
mittlerweile zu einer festen Veranstaltung in Italien und international bekannt
ist, nehmen die Städte Agrigent, Ancona, Bari, Florenz, Genua, Neapel, Palermo,
Turin, Triest, Verona und Udine teil.
Ein weiteres „ermutigendes
Zeichen der Hoffnung und Solidarität“, erklärt das UN-Flüchtlingshilfswerk,
stamme aus einer Umfrage, die UNHCR in 52 Ländern durchgeführt habe. Es gehe
dabei um die Wahrnehmung von Flüchtlingen. Weltweit hätten sich 51 Prozent der
Befragten überzeugt gezeigt, dass „die meisten Flüchtlinge, die in meinem Land
ankommen, sich erfolgreich in ihre neue Gesellschaft integrieren“. Die Studie
beweise aber auch, dass das Bild der Flüchtlingswahrnehmung komplex ist und je
nach Frage und Standort der Befragten erhebliche Meinungsunterschiede
bestehen. (sir 19)
„Pakt für Willkommenskultur“. Visaverfahren
für Fachkräfte stark beschleunigt
400.000 Menschen müssten
jährlich nach Deutschland kommen, um die Zahl der Erwerbstätigen konstant zu
halten, heißt es. Ein Bremsklotz waren bisher die Visa-Verfahren. Die Grünen
wollen weiter vereinfachen.
Außenministerin Annalena
Baerbock zieht ein positives Zwischenfazit des Aktionsplans für schnellere
Visaverfahren für ausländische Fachkräfte. Bei der deutschen Botschaft im
indischen Neu-Delhi habe man die Wartezeiten für ein nationales Visum
mittlerweile auf zwei Wochen gebracht. „Früher lagen sie bei neun Monaten“,
sagte die Grünen-Politikerin am Dienstag bei einem Arbeits- und
Fachkräftekongress der Grünen-Bundestagsfraktion in Berlin. Die Fortschritte
seien erreicht worden, weil die Verfahren digitalisiert und zentralisiert
würden. Ziel sei es, bis zum Ende der Legislaturperiode im kommenden Jahr die
Digitalisierung des gesamten Visaprozesses umzusetzen.
Das Bundesamt für Auswärtige
Angelegenheiten (BfAA) in der Stadt Brandenburg, das die Auslandsvertretungen
bei der Bearbeitung von Anträgen unterstützt, sei „schon jetzt die größte
Visastelle für nationale Visa weltweit“, sagte Baerbock. Angesichts von 400.000
Menschen, die im Jahr nach Deutschland kommen müssten, um die Zahl der
Erwerbstätigen in Deutschland konstant zu halten, gingen die Prognosen davon
aus, dass die Zahl der nationalen Visa um etwa 63 Prozent steigen müsse.
„Pakt für Willkommenskultur“
Vor dem Hintergrund der
schwierigen Verhandlungen für den Haushalt 2025 mit hohen Sparanforderungen von
Finanzminister Christian Lindner (FDP) an ihr Ressort sagte Baerbock, die
Visa-Bearbeitung müsse man weiter umsetzen können. Deswegen seien Investitionen
und IT- und Personalausstattung nicht nur für das Auswärtige Amt, sondern für
den Wirtschaftsstandort Deutschland eine so wichtige Aufgabe.
FDP-Fraktionschef an
Baerbock: Richtige Prioritäten im Haushalt setzen
FDP-Fraktionschef Christian
Dürr erklärte, wichtig sei nun, dass Baerbock „am Ball bleibt und in ihrem
Haushalt die richtigen Prioritäten setzt, damit die Visavergabe weiter
beschleunigt und digitalisiert wird“. Beschleunigte Visaverfahren seien ein
Schlüssel für mehr Einwanderung in den Arbeitsmarkt. Wer aber neun Monate oder
länger auf ein Visum warten müsse, entscheide sich vermutlich für ein anderes
Land. „Es ist ein gutes Signal, dass die Koalition deutlich mehr Tempo in die
Visavergabe gebracht hat. Damit bringen wir endlich Ordnung in die
Migrationspolitik.“ Dürr fügte hinzu: „Wir brauchen Einwanderung in den
Arbeitsmarkt, aber nicht in die sozialen Sicherungssysteme.“
Grünen-Fraktionschefin
Katharina Dröge schlägt einen „gesellschaftlichen Pakt für Willkommenskultur“
vor. „Unternehmen, Beschäftigte und Politik sollten diesen Pakt gemeinsam
schließen und dafür werben“, sagte sie der Deutschen Presse-Agentur am Rande
der Tagung. „Dafür wollen wir die Hürden und den Zugang zum deutschen
Arbeitsmarkt weiter vereinfachen. Und wir werben für eine politische Debatte,
die auf das Schüren von Vorurteilen verzichtet“, ergänzte sie. Zusammen müsse
daran gearbeitet werden, dass ausländische Arbeitskräfte sich in Deutschland
wohl und sicher fühlten. (dpa/mig 19)
Sachverständige äußern Bedenken
gegen Asylverfahren in Drittstaaten
Bei der bevorstehenden
Ministerpräsidentenkonferenz geht es auch um die Auslagerung von Asylverfahren
in Drittstaaten. Während Unionspolitiker Kanzler Scholz zu einer Zusage
drängen, melden Sachverständige und Menschenrechtsorganisationen erhebliche
Bedenken an.
Wenn am Donnerstag die Regierungschefs
der Bundesländer zusammenkommen, wollen sie auch über die Auslagerung von
Asylverfahren in Drittstaaten beraten. Die Bundesregierung will zum Treffen
einen Zwischenbericht zum Thema vorlegen. Der stellvertretende
Regierungssprecher Wolfgang Büchner sagte, dazu habe es Anhörungen
Sachverständiger gegeben. Das Innenministerium stelle derzeit die Ergebnisse
zusammen.
Gefordert wird Auslagerung
von Asylverfahren von der CDU. Büchner sagte, das Für und Wider werde breit
diskutiert. Er verwies auf Großbritannien, das Asylverfahren nach Ruanda
auslagern will, und Italien, das entsprechendes mit Albanien plant. Das
Vorhaben Italiens hatte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) zuletzt als
„interessant“ bezeichnet.
Sachverständige haben
Bedenken
Regierungsberater hingegen
melden Bedenken und haben sie auch schon öffentlich gemacht. Der Vorsitzende
des Sachverständigenrats für Integration und Migration, Hans Vorländer,
erklärte, die bisherigen Vorschläge würfen „erhebliche politische, juristische
und operative Fragen“ auf. Offen sei vor allem, wie sichergestellt werde, dass
Asylbegehrende an der Grenze nicht zurückgewiesen werden dürfen. Das Prinzip
der Nichtzurückweisung ist Bestandteil der Genfer Flüchtlingskonvention.
Maßgeblich für die
Auslagerung von Asylverfahren ist Vorländer zufolge, dass die menschen- und
asylrechtlichen Standards gewahrt werden. Die Suche nach Partnerstaaten
gestalte sich deshalb außerordentlich schwierig, erklärte er. Asylverfahren
könnten nur dann in einen Drittstaat verlagert werden, wenn dort politische
Stabilität herrsche und es sich um einen Verfassungs- und Rechtsstaat handele,
der über eine funktionierende Versorgungs- und Bildungsinfrastruktur verfügt.
Zudem warnte er vor einer „allzu großen politischen Abhängigkeit von Drittstaaten“.
Vorländer und der
stellvertretende Vorsitzende des Sachverständigenrats, Winfried Kluth, nahmen
nach eigenen Angaben im Rahmen eines Sachverständigenaustausches im
Bundesinnenministerium Stellung zu Überlegungen, Asylverfahren in sichere Drittstaaten
auszulagern. Die Bundesregierung hatte den Bundesländern im vergangenen
November bei der Ministerpräsidentenkonferenz zugesagt, zu prüfen, ob
angesichts der hohen Zahl Asylsuchender der Schutzstatus von Flüchtlingen auch
in Ländern außerhalb der EU geprüft werden könnte unter der Voraussetzung, dass
die Genfer Flüchtlingskonvention und die Europäische Menschenrechtskonvention
geachtet werden.
Hilfsorganisationen warnen
vor Auslagerung
Nach Ansicht von
Menschenrechts- und Hilfsorganisationen ist das nicht möglich. Sie warnen vor
einer Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten. „Die Auslagerung von
Asylverfahren löst die bestehenden Herausforderungen europäischer Asylpolitik
nicht, sondern verstärkt diese“, sagte die Asyl-Expertin bei Amnesty International
in Deutschland, Sophie Scheytt, am Dienstag in Berlin zu einer gemeinsamen
Stellungnahme von Amnesty, Pro Asyl, „Ärzte ohne Grenzen“ und „Brot für die
Welt“. Scheytt nannte die Auslagerung von Verfahren in Drittstaaten eine
„gescheiterte politische Idee“, die weder rechtlich noch praktisch möglich sei.
Laut einem Gutachten von
Amnesty hat jede bisherige Maßnahme zur Auslagerung von Asylverfahren, die
tatsächlich in die Praxis umgesetzt wurde, zu erheblichen
Menschenrechtsverletzungen geführt. Darüber hinaus hätten solche Verfahren
schwerwiegende gesundheitliche und psychische Folgen für die Menschen, gab der
politische Referent für Flucht und Migration von „Ärzte ohne Grenzen“, Felix
Braunsdorf, zu bedenken. So habe es in den Lagern in Nauru, in die
Schutzsuchende von Australien, überstellt wurden, eine hohe Zahl von
Suizidgedanken und -versuchen, darunter auch von Kindern, gegeben.
Die Bundesregierung hat sich
zum Thema Auslagerung von Asylverfahren bislang nicht eindeutig positioniert.
Die Unionsländer hingegen drängen die Bundesregierung zu konkreten Schritten.
„Wir erwarten von Bundeskanzler Olaf Scholz klare Aussagen, wie Asylverfahren
in Transit- und Drittstaaten außerhalb der EU stattfinden können“, sagte der
hessische CDU-Ministerpräsident und Vorsitzende der
Ministerpräsidentenkonferenz, Boris Rhein, am Wochenende der „Augsburger
Allgemeinen“. Beim Ministerpräsidententreffen kommen die Regierungschefs der
Bundesländer zunächst intern, dann zu Beratungen mit Bundeskanzler Olaf Scholz
(SPD) zusammen. (epd/mig 19)
Afrika: „Staatenlosigkeit beenden“
Vor fast genau zehn Jahren
hat das Flüchtlingswerk der Vereinten Nationen UNHCR die #IBelong-Kampagne
gegen Staatenlosigkeit lanciert. Das Ziel: bis 2024 die Staatenlosigkeit
weltweit weitgehend zu unterbinden und die Rechte betroffener Menschen zu
stärken. Viel gibt es immer noch zu tun, berichtet der Erzbischof von
Johannesburg, wo in diesen Tagen eine Konferenz mit Vertretern aus Politik,
Zivilgesellschaft und Religion zum Thema stattfand.
Erzbischof Buti Tlhagale ist
Mitglied eines interreligiösen Rates des UNHCR, der sich für Frieden einsetzt
und Unterstützer der #IBelong-Kampagne zur Beendigung der Staatenlosigkeit in
der Welt. Immerhin seien Regierungen das Problem in den letzten Jahren
angegangen, so Tlhagale. In Afrika gebe es allerdings noch viel zu tun.
„Die Vereinten Nationen haben
die Kampagne 2014 lanciert, dieses Jahr sind die zehn Jahre vorbei. Ich glaube
allerdings nicht, dass die Ziele erreicht wurden, denn das Problem ist, dass
einige Regierungen sich nicht an die Konvention angepasst haben. Das Problem
wurde angegangen, aber wir sehen keine riesigen Anstrengungen, um
Staatenlosigkeit vollständig zu beseitigen.“
„Wir sehen keine riesigen
Anstrengungen, um Staatenlosigkeit vollständig zu beseitigen“
Schätzungsweise 19 Millionen
Kinder unter fünf Jahren im südlichen Afrika haben laut einem UNHCR-Bericht des
Jahres 2022 keine Geburtsurkunde. Auch heute noch würden in Afrika Kinder
geboren, die nach ihrer Geburt nicht registriert würden, so Erzbischof
Tlhagale. Behördliche Meldestellen lägen oft weit von den ländlichen
Wohngegenden entfernt, nennt er nur eines der Hindernisse infrastruktureller
Art.
Registrieren sollte Pflicht
sein
Das Flüchtlingswerk der
Vereinten Nationen ruft lokale Regierungen dazu auf, alle Kinder zu
registrieren und ihnen eine Geburtsurkunde auszustellen. Denn ohne eine
staatliche Zugehörigkeit haben sie keinen Zugang zu Bürgerrechten. Auch sind
sie von Diskriminierungen und Missbräuchen unterschiedlichster Art bedroht,
etwa von Kinderarbeit, Zwangsehen und Menschenhandel. Bischof Tlhagale ergänzt:
„Wenn man nicht als Bürger
anerkannt ist, ist man aller Rechte beraubt“
„Wenn man nicht als Bürger
anerkannt ist, ist man aller Rechte beraubt, die andere genießen. Du hast
keinen Zugang zu Gesundheitsversorgung, weil du nicht sagen kannst, wer du
bist, du hast keinen Zugang zu Bildung… Ich glaube nicht, dass wir den Schmerz
und die Frustration einer jungen Person verstehen können, die sich ihrer
Zukunft beraubt sieht, die nirgends hingehen kann, weil sie keine Dokumente
hat. Das bedeutet es, staatenlos zu sein.“
Eine Frage der Menschenwürde
- überall auf der Welt
Zu wissen, zu welchem Staat
man gehöre, sei eine Frage der Menschenwürde, so der südafrikanische
Erzbischof. Laut Tlhagale können Kirche und zivile Organisationen ihren Teil
dazu beitragen, weltweit den Kampf gegen die Staatenlosigkeit zu beschleunigen:
„Ökumenisch und interreligiös
müssen wir Wege und Mittel finden, um zu erreichen, dass Kinder registriert
werden“
„Wir religiösen Führer müssen
auch unsere Rolle spielen, gemeinsam mit den Nichtregierungsorganisationen, um
das Phänomen zu beseitigen oder ein Bewusstsein für die damit verbundenen
Probleme zu schaffen. Staatenlosigkeit raubt Individuen ihre menschliche Würde,
sie entzieht ihnen menschliche Rechte, die für die meisten von uns
selbstverständlich erscheinen. Ökumenisch und interreligiös müssen wir Wege und
Mittel finden, um zu erreichen, dass Kinder registriert werden. Das Problem der
Staatenlosigkeit ist nicht nur in Südafrika, sondern weltweit ein Problem, zu
viele Menschen wissen nicht, wer sie sind.“
Südafrikas Kirche wendet sich
deshalb mit Aufklärung und konkreter Hilfe über ihre diözesanen Netzwerke
gezielt an nicht-registrierte Personen und Flüchtlinge. Auch versucht sie
Einfluss auf lokale Gemeinschaften und Regierungen zu nehmen, um das Problem
der Staatenlosigkeit zu erkennen und anzugehen.
(vn 18)
Die Friedenskonferenz in der
Schweiz liefert eher magere Ergebnisse. Grund dafür waren insbesondere zwei
unvereinbare Ziele. Christos Katsioulis
Im Schweizerdeutschen gibt es
eine charmante Eigenheit. Menschen aus der Alpenrepublik beenden ihre Sätze
sehr oft mit einem „oder“ und fügen somit ein Fragezeichen an ihre ansonsten
recht klare Aussage. Das wäre vermutlich auch der passendste Titel für die
Konferenz auf dem Bürgenstock gewesen: Gipfel für den Frieden, oder?
Es war die größte
internationale Konferenz, die jemals von der Schweiz ausgerichtet wurde. Der
„Gipfel für Frieden in der Ukraine“, wie das Treffen schlussendlich genannt
wurde, versammelte Vertreterinnen und Vertreter von 92 Staaten und acht
internationalen Organisationen im mondänen Bürgenstock am Vierwaldstädter See.
Das Ergebnis liest sich auf
dem Papier eher mager und rechtfertigt damit das schweizerdeutsche
Fragezeichen. Das Schlusskommuniqué ist zwar recht klar formuliert. Es fordert
die Wiederherstellung der territorialen Integrität und Souveränität der
Ukraine, Schutz der Atomanlagen und der Getreideexporte, ebenso wie die
Rückführung ziviler Gefangener. Aber nur 80 der 92 anwesenden Staatenvertreter
haben es unterzeichnet und unter den zwölf Absenzen sind ausgerechnet einige
Schwergewichte der Konferenz, wie Saudi-Arabien, Mexiko, Indien und Südafrika.
Aber es wäre unfair, den
Gipfel nur an den direkten Ergebnissen zu messen. Seit die Verhandlungen
zwischen der Ukraine und Russland in Istanbul im April 2022 scheiterten, ist
der Weg zum Frieden zwischen den beiden Ländern mit einer Reihe von
Hindernissen versperrt. Nicht zuletzt die kurz vor dem Gipfel verkündeten
Maximalforderungen von Präsident Putin illustrieren, wie gering die
Bereitschaft Moskaus ist, sich auf Verhandlungen einzulassen, die
notwendigerweise mit Zugeständnissen verbunden sind. Aus russischer Perspektive
setzt er damit einen Kontrapunkt gegen den Zehn-Punkte-Plan des ukrainischen
Präsidenten Selenskyj. Denn Teile aus diesem Plan formten die Agenda der
Konferenz in Bürgenstock, eine Konferenz, die zudem auf Bitten Kiews von der
Schweizer Präsidentin ausgerichtet wurde.
Die Unvereinbarkeit der
russischen und der ukrainischen Positionen war von Beginn an bekannt, das
sollte auch nicht Gegenstand des Treffens sein. Niemand hegte die Erwartung,
dass dieses (oder irgendein anderes) Gipfeltreffen kurzfristig zu einer
gerechten Lösung des Konflikts führen werde. Das Grundproblem des Gipfels war
aber ein anderes: Er vereinte zwei Ziele, die miteinander inkompatibel sind. Einerseits
sollte er Impulse für einen Friedensprozess zwischen Russland und der Ukraine
setzen, andererseits war er eine Art Solidaritätstreffen für die Ukraine, um
der Welt zu verdeutlichen, wie breit die weltweite Unterstützung für Kiew ist.
Der Eindruck einer „Der Westen gegen den Rest“-Auseinandersetzung sollte mit
einem möglichst diversen Gipfelfoto zerstreut werden. Gleichzeitig sollte nach
Moskau signalisiert werden, dass Putin nicht der einzige ist, der von Frieden
spricht und damit versucht, den Diskurs zu monopolisieren. Insofern ist der
Gipfel doch gelungen, oder?
Im Wettlauf um die globale
Aufmerksamkeit kann man Teilerfolge von Bürgenstock konstatieren. Allein der
Umstand, dass eine Reihe von BRICS-Staaten anwesend war, zeigt, dass das
weltweite Unbehagen über den russischen Angriffskrieg weiter reicht als nur in
die direkte Unterstützerkoalition für die Ukraine. Das divers besetzte
Gruppenfoto vor der eindrucksvollen Kulisse ist ein wichtiges Zeichen für die
Aufmerksamkeit, die der Ukraine auch nach zweieinhalb Jahren Krieg weiter
gewidmet wird. Problematisch ist dabei weniger das erwartbare Fehlen Russlands.
Tiefer klafft die Lücke, die China hinterlässt, aber auch die Tatsache, dass
der US-Präsident Joe Biden vom G7-Gipfel in Italien lieber zu einem
Fundraising-Event mit George Clooney und Julia Roberts nach Hollywood reiste
als in die Schweiz.
Die Wahrheit ist allerdings,
dass Russland trotz der vollmundigen Verhandlungsankündigungen, aber auch die
Ukraine aufgrund des aktuellen Frontverlaufs weiterhin auf eine militärische
Lösung des Konflikts setzen und der Ansicht sind, die Zeit ticke für sie. Für
die Ukraine, deren militärische Strategie von der Unterstützung von außen
abhängt, war das Treffen aber deutlich wichtiger als für Russland.
Mittelfristig kann der Gipfel
an Bedeutung gewinnen, wenn in der Folge die Webfehler von Bürgenstock
vermieden werden. Die Hoffnung war von Beginn an, dass diese Konferenz Teil
eines länger andauernden Prozesses sein werde, der auch nicht bei null anfangen
müsse. Gerade in den Themenfeldern Gefangenenaustausch, nukleare Sicherheit
oder auch Getreideexporte gibt es bereits eine Reihe von direkten
Gesprächsfäden zwischen Russland und der Ukraine. Der Fokus auf diese Themen
ermöglicht daher eine von beiden Seiten akzeptierte und auch bereits
praktizierte Modularisierung. Die Überfrachtung mit Erwartungen wird damit
vermieden. Gleichzeitig sollen nach der Schweiz, die von Russland explizit
nicht mehr als neutral wahrgenommen wird, andere Länder den Staffelstab übernehmen
und ähnliche, aber inklusivere Gesprächsformate anbieten. Im Vorfeld war hier
die Rede von Saudi-Arabien, was möglicherweise ein nachvollziehbarer Grund
dafür ist, dass der saudische Außenminister das Schlusskommuniqué nicht
unterzeichnet hat.
Denn ein Prozess, der
langfristig zu erfolgversprechenden Verhandlungen zwischen der Ukraine und
Russland führen soll, kann auf Dauer nicht ohne Vertreterinnen und Vertreter
aus Moskau stattfinden. Dafür bedarf es auch eines anderen Formats und vor
allem einer größeren Vertraulichkeit. Die mediale Aufmerksamkeit für das Event
in der Schweiz, die Kommentierung jeder Zu- oder Absage im Vorfeld erzeugte den
Eindruck, dass eine Teilnahme bereits mit Parteinahme verbunden sei. Das wollen
viele Staaten nicht, sodass sie entweder gleich fernblieben oder eben keine
gemeinsame Erklärung unterzeichneten. Der Unwille, sich für die eine oder die
andere Seite zu entscheiden, ist vor allem außerhalb des Globalen Nordens weit
verbreitet und es ist auch nicht sinnvoll, Staaten, die sich dem verweigern,
pauschal dem anderen Lager zuzuordnen.
Daher muss auch der
Ausgangspunkt des Folgeprozesses anders gewählt werden. Die Inspiration der
Konferenz durch den Friedensplan von Selenskyj wirkte außerhalb des
unmittelbaren Unterstützungskreises der Ukraine wie eine einseitige Parteinahme
der Schweiz. Darunter litt die Akzeptanz dieses Formats von Beginn an, weil die
doppelte Zielsetzung – Solidaritätsbekundung und Friedensprozess – verwirrend
war. Gerade das erste Ziel drohte den Gipfel in ein Public Diplomacy Event
zu verwandeln. Die terminliche Einbettung direkt nach der Ukraine Recovery
Conference in Berlin und dem G7-Gipfel in Italien war in dem Sinne zusätzlich
unglücklich.
Aber ein Prozess, mit dem
Frieden nicht nur verhandelt, sondern auch gesichert werden kann, braucht einen
anderen Kreis von Teilnehmerstaaten. Zugeständnisse von Russland, das aufgrund
der Lage an der Front nur wenig Grund sieht, von seinen Maximalforderungen
abzurücken, sind kaum zu erreichen, indem beispielsweise der Papst oder auch
ein Vertreter von Costa Rica involviert werden. Hierfür bedarf es einer Reihe
von Akteuren, die Moskau glaubhafte Angebote machen – und ebenso
mit Sanktionen drohen – können, sprich vor allem China, die USA, aber auch
die Türkei oder die Golfstaaten. Nur mit deren langfristiger Involvierung kann
das Verpflichtungsproblem bei möglichen Abkommen mit Russland glaubhaft
adressiert werden. Nur mit ihrer Mitwirkung kann die berechtigte Sorge
eingehegt werden, Russland könnte sich an ein mögliches Abkommen nicht halten.
Vom Bürgenstock bleibt
erstmal wenig, außer das Schlusskommuniqué und das Gipfelfoto. Dennoch hat die
Schweiz die schwierige Gratwanderung zwischen ernsthaftem Friedensimpuls und
Unterstützung für die Ukraine erfolgreich bewältigt. Die Erwartungen waren
niedrig angesetzt und konnten daher nicht enttäuscht werden. Aber, ob es
wirklich ein Erfolg war, wird sich erst in der Folge erweisen. Das Fragezeichen
nach dem „Gipfel für den Frieden, oder?“ wird sich erst in den kommenden Monaten
auflösen, wenn überhaupt. IPG 18
25 Jahre Europäische
Hochschulreformen. DAAD würdigt Bologna-Prozess
Der Deutsche Akademische
Austauschdienst (DAAD) würdigt anlässlich des 25. Bologna-Jubiläums am morgigen
Mittwoch (19. Juni) die Errungenschaften der europaweiten Hochschulreform. Nach
einem Vierteljahrhundert umfassender Umstrukturierungen betrachtet der DAAD den
Europäischen Hochschulraum als nationalen und internationalen
Erfolg. Bonn. „Vor 25 Jahren prophezeiten einige mit Beginn der Bologna-Reform
den Niedergang des deutschen Hochschulsystems. Glücklicherweise kam es anders:
Deutschlands Hochschulen erfreuen sich international großer Beliebtheit und
konnten eine Vielzahl von Studierenden und Talenten anziehen, insbesondere aus
bisher unterrepräsentierten Bevölkerungsgruppen. Heutzutage erfolgen 90 Prozent
aller Abschlüsse in Deutschland im Bachelor- und Master-Format mit kürzeren
Studienzeiten. Der Europäische Hochschulraum umfasst mittlerweile 47 aktive
Mitgliedstaaten, in denen von Kasachstan bis Island, von Norwegen bis Malta
fast 33 Millionen junge Menschen studieren – darunter über 1,5 Millionen
international mobile Studierende in der EU“, erklärte DAAD-Präsident Prof. Dr.
Joybrato Mukherjee.
Studierende im Zentrum – ECTS
als Währung
Die Bologna-Reform führte an
den Hochschulen zu einem Paradigmenwechsel: Lehrpläne wurden verbindlicher, die
Vermittlung von Kompetenzen wurde zum Leitprinzip und ECTS-Punkte zur „Währung“
des Lernens. Heute studieren fast drei Millionen Studierende in Deutschland
effizienter und mit geringeren Abbruchquoten als vor 25 Jahren. Zugleich haben
sich die deutschen Hochschulen erfolgreich für eine vielfältigere
Studierendenschaft geöffnet und dienen als Vorbild für gesellschaftliche
Integration. Vor der weitreichenden Umstellung auf Bachelor- und
Masterstudiengänge lag die Zahl der Studierende um eine Million niedriger.
Zudem sorgte Bologna für
internationale Sichtbarkeit: Derzeit studieren rund 370.000 internationale
Studierende und Promovierende in Deutschland, die Bundesrepublik zählt somit zu
den Top-Gastgeberländern weltweit. Ohne Bologna wäre ein solcher Erfolg bei der
Anwerbung kaum erreichbar gewesen. Die international vergleichbaren
Studienabschlüsse erleichtern zudem Auslandsaufenthalte für deutsche Studierende
und die Anerkennung international erworbener Leistungen.
Ausbau der Mobilität und
Reduzierung der Abbruchquoten
Neben den genannten Erfolgen
gilt es laut DAAD, weiterhin an den Herausforderungen zu arbeiten: Um die
Mobilitätsziele des Europäischen Hochschulraums zu erreichen – 20 Prozent
auslandsmobile Absolventinnen und Absolventen – sind erhebliche Anstrengungen
erforderlich. Ein konsequenter Ausbau des Erasmus-Programms ist ein erster
Schritt, zudem bedarf es weiterer Verbesserungen bei der Anerkennung im Ausland
erworbener Studienleistungen. Die Studienabbruchquote, besonders bei
ausländischen Studierenden, ist nach wie vor zu hoch. Hier gilt es, die
Hochschulen mit den notwendigen Mitteln für eine verbesserte Begleitung und
Betreuung auszustatten.
Zugleich gelte es, die lange
Linie der Entwicklung im Blick zu behalten, so der DAAD-Präsident: „Bologna und
der Europäische Hochschulraum stehen exemplarisch für das, was Europa im besten
Sinne ausmacht: Zusammenarbeit statt Abschottung, grenzüberschreitende Bildung
statt nationaler Selbstbezogenheit und interkulturellen Austausch statt
Nationalismus.“ Daad 18
Um Frieden im Nahen Osten zu
schaffen, muss man den Fanatikern auf beiden Seiten das Handwerk legen, meint
die Tochter des Schriftstellers Amos Oz. Fania Oz-Salzberger
Als Israelin bin ich von den
am 7. Oktober verübten Gräueltaten der Hamas unmittelbar betroffen. Dieser
schwärzeste Tag in Israels Geschichte hat nicht nur mein Analysevermögen
getrübt, sondern vor allem meine Hoffnungskraft. Ich teile mit vielen liberalen
Israelis das Gefühl, dass mein lebenslanges Wirken für Frieden und Demokratie
ebenso in Trümmern liegt wie die niedergebrannten Kibbuzim.
Wenn ich mich an ein
internationales Publikum wende, könnte ich es mir einfach machen und als Stimme
der Mäßigung und Vernunft auftreten. Ich könnte einmal mehr meine Vision einer
Zweistaatenlösung vortragen, der ich anhänge, seit ich in den 1970er Jahren als
Teenager gegen die ersten israelischen Siedlungen im Westjordanland demonstriert
habe. Ich könnte die Hoffnung äußern, dass Israel und Palästina sich aus der
Asche des nordwestlichen Negev und des Gazastreifens erheben und auf einen
territorialen Kompromiss verständigen, Frieden schließen und ihre jeweilige
Bevölkerung entradikalisieren werden.
Träume zu äußern und
Horizonte zu skizzieren, kann nicht schaden. Aber ich muss auch klar und
deutlich benennen, welche Stimmung unter den Israelis in meinem Milieu
vorherrscht – sowie unter denjenigen, die nicht diesem Milieu angehören. Ich
muss mich in die Lage der gemäßigten Palästinenserinnen und Palästinenser
hineindenken und davon ausgehen, dass viele von ihnen im Interesse der eigenen
Sicherheit lieber schweigen.
Eines kann ich jedoch nicht:
Ich kann mich nicht in Palästinenser und Pro-Palästinenser hineindenken, die
hoffen, mich umbringen oder vertreiben und mein Land vernichten zu können. Aus
Sicht meines verstorbenen Vaters sah der einzige dauerhafte Kompromiss mit der
Hamas so aus: Israel existiert immer nur montags, mittwochs und freitags und an
den anderen Wochentagen nicht. Der gleiche Ansatz gilt für alle Hamas-Anhänger
(in ihrer eigenen Diktion: alle „Pro-Palästinenser“), die Israel als
unrechtmäßiges Kolonialprojekt betrachten. Mit ihnen kann ich über politische
und historische Fakten debattieren, aber mit jemandem, der einen tot sehen
will, kann man nicht versuchen, Frieden zu schließen. Deshalb erhebe ich meine
Stimme ausschließlich für diejenigen, deren Ziel ein unabhängiges Palästina und
ein sicheres und demokratisches Israel ist, die nebeneinander existieren.
Die Autoren eines auf dieser
Website veröffentlichten Meinungsbeitrags haben der deutschen Regierung
vorgeworfen, sie unterstütze allein aus der historischen Verpflichtung der
Bundesrepublik gegenüber den Juden heraus ein verbrecherisches und
100-prozentig schuldiges Israel. Berlin wird vorgeworfen, die derzeitige
Politik werde von einem außer Rand und Band geratenen
Post-Holocaust-Autopiloten gesteuert. In dem Artikel kommt das Wort „Hamas“ nur
einmal und die Oktober-Katastrophe zweimal vor – und zwar beiläufig als „die
Geschehnisse des 7. Oktober“. Es wird die weit verbreitete Forderung
wiederholt, den Krieg zu stoppen, aber das Schicksal der israelischen Geiseln
wird nicht erwähnt. Ebenso wie viele, die „Free Palestine“-Flaggen schwenken,
akzeptiert dieser Artikel, dass die Hamas weiter über Gaza herrscht, und
legitimiert damit deren Plan zur Vernichtung Israels. Der Beitrag kritisiert,
dass Deutschland die Bemühungen blockiere, die Lieferung von Waffen an Israel einzustellen
– unabhängig davon, ob diese Waffen für die Selbstverteidigung gedacht sind;
vermutlich als erster Schritt auf dem Weg zur kompletten Lossagung von Israel.
Ich sage in aller
Deutlichkeit: Die Bundesrepublik Deutschland sollte über scharfe und entschiedene
Sanktionen gegen Netanjahus Koalitionsregierung nachdenken, die ihr Recht, zu
regieren, verwirkt hat. Diese Meinung teile ich mit 70 Prozent der israelischen
Bevölkerung. Nicht wegen des maßlosen Leids, das diese Regierung Gaza zufügt –
und das viele rechtschaffene Menschen in Israel nach wie vor nicht sehen
können, weil sie selbst unter Schock stehen und traumatisiert sind –, sondern
wegen der Verbrechen, die sie an ihrer eigenen Zivilbevölkerung verübt hat.
Während die Welt auf die Kriegsverbrechen der israelischen Armee in Gaza
schaut, sehen viele Israelis in dem Einsatz einen schrecklichen, aber absolut
notwendigen Versuch, die Hamas zu zerstören. Manche von uns – auch ich – haben
unsere Meinung geändert, als der Krieg sich in die Länge zu ziehen begann und
die Zahl der zivilen Opfer in Gaza stieg. Entgegen unserer Erwartung gab es
keine Neuauflage des Geisel-Deals im November und der humanitären Feuerpause.
Im Inland haben Netanjahu und seine Minister die Familien, die Opfer zu
beklagen haben oder um Geiseln bangen, beharrlich ignoriert (mit Ausnahme der
wenigen, die zu Netanjahus politischer Basis gehören). Die Polizei, die sich
unter Sicherheitsminister Ben Gvir radikalisiert hat, ging wiederum dazu über,
bei Demonstrationen auf sie einzuschlagen.
Dass die Hamas das Leben
sowohl israelischer wie auch palästinensischer Zivilistinnen und Zivilisten
zerstört hat, ist offensichtlich. Allerdings fügt auch Israels Regierung beiden
Gruppen Schaden zu – nicht auf so barbarische Weise wie die Hamas, sondern auf
ihre eigene politisch-machiavellistische Weise. Natürlich stehen Netanjahu und
Hamas-Führer Sinwar moralisch nicht auf einer Stufe, aber beide sperren sich
gegen eine Beendigung des Krieges, weil beide ihre jeweiligen Eigeninteressen
verfolgen und für das Leid ihres eigenen Volkes und erst recht für das Leid
anderer blind sind. Für die Hamas war das von Anfang an Programm. Netanjahu
verfolgt diese Politik, seit er 2020 wegen Korruption angeklagt wurde. Eine
prominente Rolle spielt dabei seine gut geölte Inlandspropaganda-Maschinerie,
die verhindert, dass in Israels Medien und Öffentlichkeit das Leid in Gaza
diskutiert wird. Nur sehr wenige israelische Medien zeigen ihren Lesern bzw.
Zuschauern das verheerende Leid, das unschuldigen Menschen auf der anderen
Seite zugefügt wird.
Wie können die Freunde, die
Israel noch bleiben, sich auf „die Zeit danach“ vorbereiten? Die
vordringlichste Aufgabe ist, die gemäßigten Israelis und Palästinenser zu stärken.
Die israelische Zivilgesellschaft, zu der jüdische und palästinensische
Bürgerinnen und Bürger Israels gehören, hat im vergangenen Jahr große
Widerstandskraft bewiesen, als sie sich gegen die demokratiefeindlichen Gesetze
der Regierung stellte. Sie unterstützt einen Waffenstillstand, einen
Geisel-Deal und eine politisch ausgehandelte Friedensperspektive für die
Region. Der Zivilgesellschaft kann man zum Beispiel dadurch helfen, dass man
sich dem akademischen Boykott gegen israelische Universitäten und Studierende
widersetzt, dass man deutsche Straßen sowohl für Juden als auch für Israelis zu
sicheren Orten macht und – auch das gehört dazu – Extremisten bestraft und
abschiebt, die zur Vernichtung Israels und zur Tötung von Israelis aufrufen.
Laut aktuellen
Meinungsumfragen, die Hochschulteams in Israel durchgeführt haben, wären über
50 Prozent der Israelis mit einer Zweistaatenlösung einverstanden, wenn das
zukünftige Palästina entmilitarisiert und die ganze Region unter
internationalen Schutz gestellt würde. Es mag sein, dass die bei dieser Umfrage
gestellte Frage von einer allzu optimistischen Zukunft ausgeht, die eine
israelische und palästinensische Führung voraussetzt, die nach wie vor
schmerzlich fehlt. Trotzdem sind die Ergebnisse einigermaßen ermutigend. Wenn
verlässliche Vorsichtsmaßnahmen getroffen würden, gäbe es einen Horizont für
die Koexistenz Israels und Palästinas – zumindest auf israelischer Seite.
Werden die Palästinenser mitziehen? Unter den palästinensischen Bürgerinnen und
Bürgern Israels gibt es dafür eine breite Unterstützung. Sogar in Gaza gibt es
Anzeichen für eine wachsende Akzeptanz der Zweistaatenlösung. Im Westjordanland
ist das jedoch weit weniger der Fall.
Das Schlimmste von allem ist
allerdings die globale „progressive“ Bewegung, die darauf drängt, Israel
endgültig (und, wie es in den sozialen Medien vielfach heißt, „auf ewig“) zu
delegitimieren. Man braucht einen Demonstranten, der „Free Palestine“ ruft, nur
nach seiner Meinung zur Zweistaatenlösung zu fragen und kann an der Antwort
eindeutig ablesen, ob der Betreffende für Frieden ist oder nicht. Diese
einfache Frage zeigt die rote Linie zwischen Extremismus auf der einen Seite
und einer konstruktiven Orientierung Richtung Zukunft auf der anderen.
Der eigentliche Riss, der den
Nahen Osten und den Rest der Welt gefährdet, verläuft nämlich nicht zwischen
rechts und links, westlich und nicht-westlich oder Juden und Arabern, sondern
zwischen Gemäßigten und Extremisten. Betrachtet man die Ergebnisse der jüngsten
Europawahl unter diesem Gesichtspunkt, so zeigt sich: Links- und
Rechtsextremismus nähren sich gegenseitig und treiben die Fieberkurve in die
Höhe, während die meisten gemäßigten Wählerinnen und Wähler untätig zu Hause
geblieben sind, als würden wir in den 1920er Jahren leben. Wenn die
Vernünftigen politisch träge sind, tun sie den Fanatikern den größtmöglichen
Gefallen.
Israel hat diesen globalen
Vormarsch des Extremismus eingeläutet (in unserem Fall ist er fast vollständig
nationalistisch und/oder religiös geprägt). Netanjahu kam 20 Jahre vor Donald
Trump an die Macht. Wir, die israelischen Friedensbefürworter, waren in den 28
Jahren, in denen fast durchgehend Netanjahu regierte, viel zu verschlafen. Man
kann es nicht deutlich genug betonen: Netanjahu hat die Hamas stark gemacht, um
die Palästinensische Befreiungsorganisation PLO und jeden anderen potenziellen
palästinensischen Friedenspartner zu Fall zu bringen. Damit hat er den
zunehmenden Fanatismus der Extremisten im eigenen Land befeuert und seine
eigene politische Basis radikalisiert. Der jüdische River to the Sea-Fanatismus
hat dem palästinensischen River to the Sea-Fanatismus nur zu gern Hilfestellung
geleistet – in dem irrigen Glauben, an einem Krieg zwischen Gog und Magog führe
kein Weg vorbei und dieser Krieg werde mit dem totalen, gottgewollten Sieg
Israels enden.
Dabei wurde eines vergessen:
Nach einem solchen Sieg wäre Israel nicht länger Israel. Ein kleineres Israel
neben einem unabhängigen Palästina hingegen – abgesichert durch
Entmilitarisierung und internationale Garantien – wird Israel näher an seine
ursprüngliche Zweckbestimmung heranführen. Denn gedacht war es als ein
liberaler, demokratischer Staat für die Juden, der seinen nicht-jüdischen
Bürgerinnen und Bürgern die gleichen Bürgerrechte garantiert und Frieden mit
seinen Nachbarn anstrebt, wo immer dies möglich ist.
Ich trage eine
Mitverantwortung für diesen großen Fehler der Gemäßigten. Deshalb appelliere
ich eindringlich an alle moderaten Kräfte, auf die Straße zu gehen – und
fordere die gemäßigten westlichen Regierungen auf, zu helfen, Netanjahus
Herrschaft mit demokratischen Mitteln zu beenden. Nachdem Benny Gantz jetzt aus
der Regierung ausgestiegen ist, ist Netanjahus letztes moralisches Alibi dahin.
Er muss mitsamt seinen Kumpanen entmachtet werden – nicht nur wegen des
brutalen und zwecklosen Krieges gegen Gaza, sondern auch wegen seiner Todsünden
gegen die eigenen Bürgerinnen und Bürger. Er hat mit Hilfe seines abscheulichen
Propagandaimperiums die israelische Gesellschaft gespalten, einen hinterhältigen
Anschlag auf Israels Demokratie und Gewaltenteilung verübt, unsere Sicherheit
extrem vernachlässigt und Israels Wirtschaft und internationales Ansehen
zerstört.
„Die Zeit danach“ wird nicht
so aussehen, dass wir gleich am nächsten Morgen mit einer Zweistaatenlösung
aufwachen. Dafür braucht es zuallererst einen Führungswechsel sowohl in Israel
als auch in den palästinensischen Gebieten. Die neuen Führungsfiguren sollten
vernünftige Männer und Frauen sein, die klug genug sind, um einen territorialen
Kompromiss auszuhandeln, und charismatisch genug, um ihren Anhängern neue
Hoffnung einzuflößen und ihre Vernunft zu reaktivieren.
„Ich bin weder für Israel
noch für Palästina“, pflegte mein Vater zu sagen. „Ich bin für Frieden.“ Doch
solange die Gemäßigten schwach bleiben, wird es einen Frieden der Gemäßigten
nicht geben. IPG 18
Journalist Sascha Lübbe ist
eingetaucht in eine parallele Arbeitswelt in Deutschland. Seine Recherchen und
Beobachtungen hat er festgehalten in seinem neuen Buch „Ganz unten im System“.
Er schreibt über eine Welt, in der ausländische Arbeiter im großen Stil
ausgebeutet werden. Im Gespräch erklärt er diese halblegale Schattenwelt. Von
Ekremenol
Knapp 40 Jahre nach Günter
Wallrafs „Ganz unten“ schreibt Sacha Lübbe in seinem neuen Buch „Ganz unten im
System“ über die Zustände in einer parallelen Arbeitswelt in Deutschland. Eine
Welt, in der ausländische Arbeiter im großen Stil ausgebeutet werden; eine
Welt, in der Arbeitsmigranten länger arbeiten als gesetzlich erlaubt, weit
unter dem Mindestlohn verdienen und im Krankheitsfall gar kein Geld bekommen –
eine halblegale Schattenwelt. Lübbe legt das System offen: auf dem Bau, im
Schlachthof und auf deutschen Autobahnen. Im MiGAZIN-Gespräch erklärt er, warum
Deutschland ein Land der Dumpinglöhne ist, wer sich daran bereichert, warum
alle weggucken – und wie lange es solche Strukturen schon gibt.
Herr Lübbe, was hat Sie dazu
inspiriert, dieses Buch zu schreiben? Gab es einen speziellen Auslöser oder ein
bestimmtes Erlebnis?
Im Herbst 2022 besuchte ich
für eine Reportage rumänische Bauarbeiter in einem Arbeiterwohnheim. Sie lebten
in beengten Zimmern, mit heruntergekommenen Sanitäranlagen – Zustände, wie ich
sie aus Asylbewerberheimen kannte; ein Thema, über das ich oft geschrieben
habe. Und doch gab es einen Unterschied: Asylbewerber:innen sind in den Medien
als Thema omnipräsent. Osteuropäische Arbeitsmigrant:innen hingegen tauchen nur
sporadisch auf, etwa im Zuge der Corona-Pandemie. Sonst sind sie unsichtbar.
Dabei sprechen wir von einer großen Gruppe von Menschen (Aktuell arbeiten 2,6
Millionen sozialversicherungspflichtig beschäftigte EU-Ausländer:innen in
Deutschland), die extrem wichtig für die deutsche Wirtschaft sind. Diese
Menschen übernehmen Jobs, für die sich in Deutschland kaum noch Jemand findet.
Ohne sie würden viele Branchen vermutlich kollabieren.
Sie schildern im Buch sehr
eindrücklich die Arbeitsbedingungen von Migrant:innen auf dem Bau, im
Schlachthaus und auf deutschen Autobahnen. Wie haben Sie diese Geschichten
recherchiert und welche Herausforderungen sind Ihnen dabei begegnet?
„Wer sich beschwert, läuft
nicht nur Gefahr, seinen Job zu verlieren, sondern auch, auf der Straße zu
landen.“
Ich habe mir zunächst
Branchen herausgesucht, die nach einem ähnlichen System funktionieren: Große,
renommierte Firmen, die an der Spitze stehen und die Arbeit an kleine, mitunter
kriminelle Firmen auslagern – und sich damit ein stückweit der Verantwortung
entziehen. Gespräche mit Organisationen wie Faire Mobilität, Arbeit und Leben
und dem Peco-Institut gaben erste Anhaltspunkte, wo ich Protagonist:innen
finden kann. Ich war beispielsweise eine Woche im sogenannten Fettfleck
unterwegs, jener Region in Deutschland, in der die meisten Tiere geschlachtet
werden, um mit Beschäftigten der Fleischindustrie ins Gespräch zu kommen. Ich
war mehrmals auf einer Autobahnraststätte bei Berlin, um mit Lkw-Fahrern zu
reden. Besonders in der Fleischindustrie war es schwer, Menschen zu finden, die
bereit waren, über ihre Arbeit zu reden, selbst anonym. Man muss wissen: Viele
Arbeitsmigrant:innen in diesen Branchen sind in extremen
Abhängigkeitsverhältnissen gefangen. Meist hängt an der Arbeit auch die Unterkunft,
bei Menschen von außerhalb der EU mitunter sogar das Recht, in Deutschland zu
bleiben. Wer sich beschwert, läuft nicht nur Gefahr, seinen Job zu verlieren,
sondern auch, auf der Straße zu landen. Im schlimmsten Fall muss er das Land
verlassen. Viele bleiben da lieber still.
Können Sie uns mehr über das
Ausmaß der Ausbeutung von Arbeitsmigrant:innen in Deutschland erzählen? Wie
weit verbreitet ist dieses Problem und gibt es Zahlen, die das Ausmaß
verdeutlichen?
In allen Branchen, die ich
untersucht habe, gibt es das Problem: auf dem Bau, in der Fleischwirtschaft, im
Transportwesen, der häuslichen Betreuung. In anderen Branchen mit hohem
Migrant:innenanteil wie Landwirtschaft, Reinigung, Logistik, sieht es nicht
besser aus. Ausmaß und Formen der Ausbeutung variieren von Branche zu Branche,
es gibt aber Muster, die sich wiederholen: Viele Migrant:innen müssen deutlich
länger arbeiten als gesetzlich erlaubt, sie erhalten oftmals kein Urlaubsgeld,
kein Geld im Krankheitsfall, oftmals nicht den vollen Lohn. Viele erzählen von
enormem Druck, den Vorgesetzte auf sie ausüben würden, bis hin zur Androhung
von physischer Gewalt.
„Viel spielt sich in einer
halblegalen Schattenwelt ab, die Menschen haben Angst, Vergehen zu melden.“
Es gibt Zahlen zu
Ermittlungsverfahren im Bereich Arbeitsausbeutung, aber sie sind viel zu
gering. Viel spielt sich in einer halblegalen Schattenwelt ab, die Menschen
haben Angst, Vergehen zu melden. Schätzungen gibt es zum Thema Schwarzarbeit,
in diesem Kontext ein großes Problem. Das Institut für Arbeitsmarkt- und
Berufsforschung schätzt, dass bis zu 40 Prozent der Arbeitsleistung auf dem Bau
schwarz erbracht wird. Es gibt Zollbeamte, die gehen davon aus, dass jede
Baustelle in Deutschland von Organisierter Kriminalität betroffen ist. Man muss
das wiederholen, weil es so unglaublich ist: Jede Baustelle. Inzwischen warnt
der Zoll auch in der Paketbranche vor Ansätzen von Organisierter Kriminalität.
In Ihrem Buch sprechen Sie
von einem „parallelen System“ in der deutschen Arbeitswelt. Können Sie
erläutern, wie dieses System funktioniert und warum es bestehen bleibt?
Man kann sich das System wie
eine Pyramide vorstellen: Oben die großen Firmen, in der Mitte die
Subunternehmen, ganz unten die meist ausländischen Arbeiter:innen. Sagen wir,
ein großes Unternehmen bewirbt sich um den Bau eines Wohnkomplexes. Es nimmt an
einer Ausschreibung teil, gewinnt. Von der vereinbarten Summe behält es einen
Teil ein, die Arbeit selbst reicht es an ein Subunternehmen weiter. Das behält
ebenfalls einen Teil ein, reicht die Arbeit abermals weiter, an ein weiteres
Subunternehmen. Auf jeder dieser Stufen bleibt Geld hängen. Beim vierten oder
fünften Glied der Kette – dem Unternehmen, das die Arbeiten tatsächlich
ausführt – fehlt schon ein beträchtlicher Teil der ursprünglichen Summe. Will
man die Arbeiten legal ausführen, wird es eng. Also bezahlen viele Firmen ihre
Arbeiter:innen schwarz, lassen sie unbezahlte Überstunden machen, setzen sie
unter Druck oder schauen, dass sie sich über überhöhte Mieten für die Unterkünfte
an ihnen bereichern. Es ist der Punkt, an dem es kippt. Die Verantwortung liegt
natürlich auch bei den großen Firmen an der Spitze der Pyramide. Viele von
ihnen wissen, wie die Subunternehmen agieren – und akzeptieren es
stillschweigend.
Sie beschreiben Deutschland
als Land der Dumpinglöhne – trotz gesetzlichem Mindestlohn. Was verdienen die
Arbeitsmigrant:innen in ihrem Buch?
„In der Realität gibt es oft
erhebliche Abweichungen zwischen offiziellen Stundenabrechnungen und
tatsächlich geleistete Arbeitsstunden.“
Das variiert. Grundsätzlich
muss man sagen: Die Einführung des gesetzlichen Mindestlohns 2015 hat viel
bewegt. Arbeiteten Arbeitsmigrant:innen vorher mitunter für zwei bis vier Euro
pro Stunde, bekommen sie inzwischen den Mindestlohn. Zumindest auf dem Papier.
Das ist das Problem: In der Realität gibt es oft erhebliche Abweichungen
zwischen offiziellen Stundenabrechnungen und tatsächlich geleistete
Arbeitsstunden. Das hat auch etwas mit der Verfasstheit der Menschen zu tun.
Man trifft auf dem Bau beispielsweise Menschen, die monatlich 2.500 Euro
verdienen (wenn auch schwarz), weil sie sich behaupten können. Es gibt aber
auch Menschen, bei denen es keine 1.000 Euro sind. Ihnen wird ihr Lohn
vorenthalten oder nur zum Teil ausgezahlt – weil sie zu schwach sind, sich zu
wehren. Das ist das Problem an diesem Bereich: Da er schwer für Gewerkschaften
und Behörden zugänglich ist, kann man ihn nur schwer kontrollieren.
Besonders die
Fleischindustrie hat während der Corona-Pandemie negative Schlagzeilen gemacht.
Der Gesetzgeber hat darauf reagiert. Wie sind Ihre Beobachtungen? Hat sich
seitdem etwas geändert?
In der Fleischbranche ist man
gegen den Kern des Problems vorgegangen: das Auslagern der Arbeiten an
Subunternehmen. Die Bedingungen in der Branche waren extrem: Die Menschen
arbeiteten bis zu 16 Stunden, teilten sich zu sechst ein Zimmer, angestellt
waren sie über Subunternehmen. In der Fläche sind diese extremen Formen der
Ausbeutung vorbei. Seit 2021 gilt das Arbeitsschutzkontrollgesetz, große
Unternehmen müssen Mitarbeiter:innen in ihrem Kerngeschäft seitdem fest anstellen.
Das Gesetz wurde kürzlich positiv evaluiert. Extreme Überstunden gebe es nicht
mehr, Beratungsstellen sagen, es sei jetzt einfacher, Verantwortliche zu
erreichen. Das Gesetz gilt gemeinhin als Erfolg. Und das zurecht.
„Es besteht, die Gefahr, dass
man nicht mehr hinsieht, denkt, dass in der Branche alles in Ordnung ist. Das
ist es nicht.“
Zugleich sehe ich ein
Problem. Es besteht die Gefahr, dass man nicht mehr hinsieht, denkt, dass in
der Branche alles in Ordnung ist. Das ist es nicht. Auch wenn die Ausmaße nicht
mehr so groß sind wie vorher: Man trifft immer noch Menschen, die länger
arbeiten als erlaubt, die in schimmeligen Wohnungen untergebracht sind, die man
mit falschen Versprechungen nach Deutschland gelockt hat. Zudem gilt das Gesetz
nur für den Kernbereich der Branche, das Schlachten, Zerlegen, Verarbeiten des
Fleisches. Nicht aber für Arbeiten, die noch in einem Schlachthof anfallen. Das
Reinigen der Geräte zum Beispiel. Hier sind die Menschen immer noch bei
Subunternehmen angestellt, hier gibt es immer noch viele Probleme.
Sie schreiben von
systematischen Problemen. Was meinen Sie: Ist das so gewollt – zumindest in
Teilen?
Die Ausbeutung von
Arbeitsmigrant:innen hat in Deutschland lange Tradition. Bei der Recherche
stieß ich auf eine Dissertation über polnischsprachige Wanderarbeiter:innen in
der deutschen Landwirtschaft aus dem Jahr 1914. Da ging es um falsche
Versprechungen, heruntergekommene Wohnungen, um Deutsche, die sich an den
ausländischen Arbeiter:innen bereichern – all das ließe sich 1:1 auf heute
übertragen.
„Viele Bürger:innen denken
nicht darüber nach, unter welchen Bedingungen die Menschen leben, die hier
Wohnungen bauen, Gebäude reinigen und Pakete transportieren.“
Natürlich halten sich diese
Zustände ein stückweit, weil es Menschen gibt, die von ihnen profitieren. Aus
rein wirtschaftlicher Sicht macht es – zumindest auf den ersten Blick – ja auch
keinen Sinn, die Arbeitsbedingungen der Migrant:innen zu verbessern. Es würde
Mehrausgaben bedeuten. Dass sich bestimmte Zustände nicht ändern, hat aber noch
mehr Gründe. Die Menschen, um die es hier geht, haben keine Lobby, vielen haben
Angst, mit ihren Geschichten an die Öffentlichkeit zu gehen. Zudem fehlt der
gesellschaftliche Druck. Viele Bürger:innen denken nicht darüber nach, unter
welchen Bedingungen die Menschen leben, die hier Wohnungen bauen, Gebäude
reinigen und Pakete transportieren.
Welche gesetzlichen und
strukturellen Änderungen wären notwendig, um die Situation der
Arbeitsmigrant:innen zu verbessern?
Das geplante Tariftreuegesetz
auf Bundesebene scheint mir ein guter Ansatz zu sein. Öffentliche
Ausschreibungen des Bundes, etwa beim Wohnungsbau, dürften dann nur noch an
Unternehmen gehen, die Tariflohn zahlen. Ebenfalls sinnvoll wäre ein
Verbandsklagerecht im Arbeitsrecht. Organisationen wie Gewerkschaften könnten
Arbeitgeber, die gegen Gesetze verstoßen, dann verklagen, ohne dass die
geschädigten Arbeitnehmer:innen direkt involviert sind. Das würde die Hürden,
rechtliche Schritte einzuleiten, für sie wahrscheinlich senken. Sinnvoll wären
auch Beratungsstellen im Ausland und ein Fokus auf aufsuchender Arbeit in den
Unterkünften in Deutschland. Es gibt hier zwar viele Beratungsangebote für
Arbeitsmigrant:innen. Aber nicht jeder kennt sie.
Im Buch beschreiben Sie auch
über konkrete Arbeitsbedingungen. Können Sie ein paar Beispiele nennen, die die
Arbeitsbedingungen vor Augen führen?
„Es gibt Geschichten von
Menschen, denen wurde über Stunden verboten, zur Toilette zu gehen.“
Nehmen wir das Beispiel Bau:
Viele Menschen, mit denen ich gesprochen habe, arbeiten unter der Woche zehn
Stunden, samstags nochmal fünf. Wir sprechen von harter, körperlich
anstrengender Arbeit. Einige von ihnen trugen körperliche Schäden davon.
Beschäftigte in der Fleischindustrie berichteten immer wieder von ungeheurem
Druck, den Vorarbeiter auf die Arbeiter:innen an den Bändern ausüben. Es gibt
Geschichten von Menschen, denen wurde über Stunden verboten, zur Toilette zu
gehen. Mit am erschreckendsten fand ich die Bedingungen im Straßentransport.
Ich habe zwei usbekische Lkw-Fahrer porträtiert. Die arbeiteten bis zu 15
Stunden am Tag, schliefen jede Nacht in ihren Wagen. Einer hatte seine Kinder
seit einem Jahr nicht gesehen. Ein entwurzeltes Leben. Erschreckend sind nicht
nur die Arbeits- sondern auch die Lebensbedingungen. In Fürth war ich in einer
Zwei-Zimmer-Wohnung, in die hatte ein Vermieter sieben rumänische Bauarbeiter
gesteckt – und jedem einzelnen 350 Euro Miete abgeknöpft. Er hatte den Männern
befohlen, die Jalousien unten zu lassen, damit man die Zustände von außen nicht
sehen kann.
Wie reagieren die betroffenen
Arbeiter:innen selbst auf ihre Situation? Gibt es Widerstand, Resignation,
Hoffnung?
Es gibt schon viel
Resignation. Diese Menschen leben teils seit Jahren in Deutschland. Sie
bekommen mit, dass ihre Arbeitsbedingungen hin und wieder Thema sind – und sich
oftmals doch nichts grundlegend ändert. Der Eindruck, der entsteht: Windige
Firmenchefs kommen in Deutschland mit allem durch. Aber es gibt natürlich auch
Widerstand. Im versteckten, etwa, wenn sich Arbeiter:innen in Online-Foren vor
schlechten Arbeitgeber:innen warnen. Oder im Großen, in Form von Streiks.
Letztes Jahr legten die Fahrer eines polnischen Spediteurs zwei Mal über Wochen
die Arbeit nieder, parkten ihre Lkw auf einem Rastplatz im hessischen
Gräfenhausen. Das hat zwar das öffentliche Leben nicht zum Erliegen gebracht,
aber es war wichtig: Es hat die Arbeits- und Lebensbedingungen der Fahrer
öffentlich gemacht.
Ihr Buch thematisiert auch
die Rolle der Konsument:innen in diesem System. Was können wir als Gesellschaft
tun, um Veränderungen zu unterstützen?
„Bei allen Beispielen, mit
denen ich mich auseinandergesetzt habe, waren die Arbeitsbedingungen schwierig
bis kriminell.“
Das ist von Branche zu
Branche verschieden. Am einfachsten ist es in Sparten, in denen man mit einer
Kaufentscheidung direkt Einfluss nehmen kann, etwa in der Fleischindustrie. Man
kann sich informieren, welcher Schlachtbetrieb seine Produkte unter welchem
Namen ins Kühlregal bringt – und dann entscheiden, ob man die wirklich kaufen
will. Schwieriger ist es in Bereichen, in denen Entscheidungen im Hintergrund
ablaufen, etwa bei Ausschreibungen im Wohnungsbau. Da kann es helfen,
Missstände, von denen man hört, publik zu machen und die verantwortlichen
Firmen an der Spitze damit zu konfrontieren. Gleiches gilt für das
Transportwesen. Man kann sich informieren, wessen Güter die Fahrer
transportieren, und diese Firmen dann auf Missstände ansprechen.
Haben Sie während Ihrer
Recherche auch positive Beispiele oder Modelle gesehen, die zeigen, wie
Arbeitsmigration fair und menschenwürdig gestaltet werden kann?
Selbst gesehen nicht. Bei
allen Beispielen, mit denen ich mich auseinandergesetzt habe, waren die
Arbeitsbedingungen schwierig bis kriminell. Aber ich habe Gewerkschaften und
Beratungsstellen gezielt nach positiven Beispielen gefragt. Im Bereich der
häuslichen Betreuung etwa, in der die ständige Bereitschaft der Beschäftigten
ein Riesenproblem ist, gibt es Anbieter, die darauf achten, dass die
Arbeitslast verteilt wird, Betreuungskräfte nicht allein verantwortlich sind.
In der Baubranche sind erste Unternehmen dazu übergegangen, ausländische
Arbeiter:innen fest bei sich anzustellen, statt über Subunternehmen. Aber das
ist noch die Ausnahme, es ist kein Massenphänomen.
Herr Lübbe, vielen Dank für
das Gespräch! MiG 18
Ukraine-Friedensgipfel:
Territoriale Souveränität garantieren
Die Friedenskonferenz über
den anhaltenden Konflikt im Herzen Europas ist in der Schweiz mit einer von der
überwiegenden Mehrheit der Teilnehmer unterzeichneten Erklärung zu Ende
gegangen. Die Abschlusserklärung bekräftigt das Recht auf Unabhängigkeit und
territoriale Integrität eines jeden Staates. Der Vatikan hat als Beobachter an
dem Treffen auf dem Bürgenstock teilgenommen und deshalb – wie es in solchen
Fällen üblich ist – die Abschlusserklärung nicht unterzeichnet. Mario Galgano –
Vatikanstadt
Die Verteidigung der
Unabhängigkeit, Souveränität und territorialen Integrität sei ein unveräußerliches
Recht der Ukraine wie aller Staaten. Aber nur der Dialog zwischen den
Konfliktparteien könne den Krieg beenden. Dies ist der Kern des
Abschlusskommuniqués des Gipfels, der am Sonntag auf dem Bürgenstock in der
Nähe von Luzern zu Ende ging. Das Abschlusskommuniqué wurde von der
Mehrheit der 92 Teilnehmerländer unterzeichnet.
Tür für Verhandlungen
offenhalten
Für den Heiligen Stuhl nahm
der vatikanische Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin teil. Wie der
Ökumenische Patriarch Bartholomaios war auch der Vatikan-Vertreter als
Beobachter bei dem Treffen dabei. Es ist üblich, dass Beobachter eine
Abschlusserklärung nicht unterzeichnen.
Der Vatikan versucht seit der
völkerrechtswidrigen Invasion Russlands in der Ukraine zwischen den beiden
Ländern zu vermitteln, um den Frieden wiederherzustellen. Dabei setzen der
Papst und der für die Außenpolitik verantwortliche Kardinalstaatssekretär
Pietro Parolin auf Neutralität, in der Hoffnung, Einfluss auf Russland nehmen
zu können. Franziskus hat sogar einen Sondervermittler eingesetzt: den
Vorsitzenden der Italienischen Bischofskonferenz und Erzbischof von Bologna,
Kardinal Matteo Zuppi, der bereits Moskau und Kyiv im Namen des Papstes besucht
hat. Auch der Nuntius in Kyiv sowie sein Amtskollege in Moskau haben bisher
jeweils eine vermittelnde Rolle gespielt.
Dialog ist einziges Mittel
„Es ist wichtig zu
wiederholen, dass das einzige Mittel, das einen echten, stabilen und gerechten
Frieden erreichen kann, der Dialog zwischen allen beteiligten Parteien ist“,
sagte Kardinal Pietro Parolin auf dem Bürgenstock. Er sei gekommen, um zu
bestätigen, dass „der Heilige Stuhl trotz aller Schwierigkeiten verpflichtet
bleibt, eine regelmäßige Kommunikation mit den ukrainischen und russischen
Behörden aufrechtzuerhalten und bereit ist, mögliche Vermittlungsinitiativen zu
unterstützen, die für alle Parteien akzeptabel sind und den Betroffenen zugute
kommen“.
Der Vatikan war bei der
Friedenskonferenz in der Schweiz zwar „nur“ als Beobachter anwesend, spielt
aber eine wichtige Rolle, vor allem auf humanitärer Ebene. In Borgo Egnazia
hatte der ukrainische Präsident Selenskyj beim G7-Gipfel Papst Franziskus für
die von den Kardinälen Parolin und Zuppi koordinierte Aktion gedankt, die
bisher 388 nach Russland verschleppten ukrainischen Kindern die Rückkehr in
ihre Heimat ermöglicht hat: „Der Vatikan hilft uns sehr“, so Selenskyj.
Papstbotschaft an die
Machthabenden
Der Kardinalstaatssekretär
umriss in seiner Rede auf dem Bürgenstock die diplomatische Linie des Heiligen
Stuhls klar. Das Gipfeltreffen in der Schweiz sei „ein Ereignis von globaler
Bedeutung, das von der Ukraine sorgfältig vorbereitet wurde, die zwar enorme
Anstrengungen unternommen hat, um sich gegen die Aggression zu verteidigen,
aber auch ständig an der diplomatischen Front gearbeitet hat, um einen
gerechten und dauerhaften Frieden zu erreichen“, erklärte der Kardinal.
„Angesichts des Krieges und seiner tragischen Folgen ist es wichtig, niemals
aufzugeben, sondern weiterhin nach Wegen zu suchen, um den Konflikt mit guten
Absichten, Vertrauen und Kreativität im Guten zu beenden“, fügte er an. Dies
sei „die Botschaft, die Papst Franziskus mit seinen ständigen Appellen für den
Frieden in der Ukraine vor allem den Machthabern der Nationen übermittelt“. So
bestand Kardinal Parolin auf der Notwendigkeit eines Dialogs zwischen „allen
beteiligten Parteien“, um zu einem „gerechten“ Frieden zu gelangen.
In Parolins Rede ging er auch
auf die „besondere Aufmerksamkeit“ für die „Achtung des Völkerrechts“ ein: Der
Heilige Stuhl, so sagte er, „möchte die Gültigkeit des grundlegenden Prinzips
der Achtung der Souveränität eines jeden Landes und der Integrität seines
Territoriums bekräftigen“. Ebenso „bringt er seine große Besorgnis über die
tragischen humanitären Folgen zum Ausdruck und setzt sich insbesondere dafür
ein, die Rückführung von Kindern zu erleichtern und die Freilassung von
Gefangenen, insbesondere von Soldaten und schwer verwundeten Zivilisten, zu
fördern“.
Einsatz für Rückkehr
ukrainischer Kinder
Der Vatikan setze sich
weiterhin für die Rückkehr der ukrainischen Kinder in ihre Heimat ein: „Die
Wiedervereinigung der Kinder mit ihren Familien oder Erziehungsberechtigten
muss für alle Parteien ein vorrangiges Anliegen sein, und jede Ausnutzung ihrer
Situation ist inakzeptabel. Es ist daher zwingend notwendig, alle verfügbaren
Kanäle zu stärken, um diesen Prozess zu erleichtern.“ Der Heilige Stuhl nehme
außerdem „als Beobachter an den Arbeiten der Internationalen Koalition“ teil,
die sich mit diesem Problem befasst. Und der Heilige Stuhl stehe deshalb auch
in direktem Kontakt mit den ukrainischen und russischen Behörden, um die
Wirksamkeit des Ad-hoc-Mechanismus zu verbessern, der nach dem Besuch von
Kardinal Matteo Zuppi in Kyiv und Moskau geschaffen wurde, „um konkrete Fälle
zu lösen“.
Aber auch die Frage der
Gefangenen, „sowohl der zivilen als auch der militärischen“, hatte Parolin
angesprochen, und gesagt, dass „die regelmäßigen Berichte über die
Nichteinhaltung der Genfer Konventionen sehr beunruhigend“ seien. Der Kardinal
verwies insbesondere auf die Vierte Konvention, „die die Zivilbevölkerung
direkter betrifft“, und auf „die Schwierigkeit, zusammen mit dem
Internationalen Komitee vom Roten Kreuz eine gemeinsame medizinische Kommission
zu bilden, die die Situation der Kriegsgefangenen, die dringend medizinische
Hilfe benötigen, beurteilen könnte“.
Der Vatikan sei bereit,
seinen Teil dazu beizutragen, und „ermutigt gleichzeitig die Länder und die
anderen Mitglieder der internationalen Gemeinschaft, nach Wegen zu suchen, um
Hilfe zu leisten und die humanitäre und politische Vermittlung zu erleichtern“.
Der Kardinalstaatssekretär schloss mit den Worten: „Im Namen von Papst
Franziskus möchte ich seine persönliche Verbundenheit mit dem gemarterten
ukrainischen Volk bekunden und sein unermüdliches Engagement für den Frieden
bekräftigen.“
Woran gearbeitet werden muss,
um Frieden zu fördern
Das Abschlussdokument
konzentrierte sich auf drei Bereiche, die von gemeinsamem Interesse sind und an
denen weiter gearbeitet werden soll, um den Krieg in Europa einzudämmen. Es
handelt sich um die nukleare Sicherheit, die Lebensmittelsicherheit und das
Kapitel über Gefangene, einschließlich ukrainischer Kinder, die von den Russen
entführt und deportiert wurden. Der ukrainische Präsident Wolodymyr Selenskyj sei
optimistisch und werte die Annäherung von mehr als 80 Ländern in wichtigen
Fragen als Erfolg, sagte er am Ende der Gespräche.
Moskaus Präsenz auf dem
nächsten Gipfel
Unterdessen erklärte die
Schweizer Bundespräsidentin Viola Amherd am Rande der Konferenz am
Vierwaldstättersee auf Fragen von Journalisten, dass „der russische Präsident
Wladimir Putin trotz eines gegen ihn ausgestellten Haftbefehls des
Internationalen Strafgerichtshofs an einem möglichen zweiten Friedensgipfel
teilnehmen darf“. Die Klarstellung bezog sich auf die Frage, ob Putin auf
Schweizer Boden verhaftet werden könnte. Wenn die Anwesenheit des russischen
Präsidenten für die Durchführung der Konferenz notwendig sei, so Amherd, „dann
kann eine Ausnahme gemacht werden, insbesondere wenn es um die
Friedensverhandlungen mit der Ukraine geht“. (vn/corriere 17)
200 Millionen Euro. EuGH verurteilt
Ungarn zu Zwangsgeld wegen Asylpolitik
Seit Jahren geht Ungarn hart
mit Flüchtlingen um – und verstößt mehrfach gegen EU-Asylrecht. Der Europäische
Gerichtshof fügt Budapest jetzt eine teure Niederlage zu. Viktor Orban reagiert
wütend. Sein Land soll 200 Millionen Euro Zwangsgeld und täglich eine weitere
Million zahlen.
Der Europäische Gerichtshof
(EuGH) hat finanzielle Sanktionen gegen Ungarn wegen dessen Asylpolitik
verhängt. Weil das Land höchstrichterliche Entscheidungen zum Asylsystem nicht
umgesetzt habe, müsse es 200 Millionen Euro sowie ein tägliches Zwangsgeld von
einer Million Euro für jeden Tag des Verzugs zahlen, entschieden die Richter am
Donnerstag in Luxemburg. Die Vertragsverletzung bestehe darin, dass Ungarn die
Anwendung einer gemeinsamen Politik der Union bewusst umgehe. Das stelle eine
ganz neue und außergewöhnlich schwere Verletzung des EU-Rechts dar, hieß es.
Ungarns Ministerpräsident
Viktor Orbán reagierte wütend auf das Urteil: „Die Entscheidung ist empörend
und inakzeptabel. Wir geben der finanziellen Erpressung der Brüsseler
Bürokraten nicht nach! Wir verteidigen die Grenzen, und wir verteidigen die
Ungarn!“, schrieb der Rechtspopulist bei Facebook.
EuGH-Urteil nicht umgesetzt
Wegen seiner rigiden
Flüchtlingspolitik wurde Ungarns Regierung schon häufiger von der EU-Kommission
gerügt. Der EuGH hat in früheren Urteilen bereits wesentliche Teile des
ungarischen Asylsystems für rechtswidrig erklärt.
Hintergrund der aktuellen
Entscheidung ist eine Klage der EU-Kommission aus dem Jahr 2022. Die Brüsseler
Behörde überwacht in der Staatengemeinschaft die Einhaltung des gemeinsamen
Rechts. Die EU-Kommission befand, dass Budapest ein früheres Urteil des EuGH
aus dem Dezember 2020 zum ungarischen Asylsystem nicht ausreichend umgesetzt
habe.
Verstoß gegen EU-Recht
Die Richter hatten damals
entschieden, dass verschiedene Regelungen gegen EU-Recht verstießen. Dabei ging
es unter anderem um Verfahren in den mittlerweile geschlossenen Transitlagern
an der Grenze zu Serbien. Neue Regeln sahen dann vor, dass Schutzsuchende unter
Umständen ein Vorverfahren in ungarischen Botschaften durchlaufen mussten,
bevor sie gegebenenfalls nach Ungarn einreisen durften, um dort Asyl zu
beantragen. Auch diese Regelung kippte der EuGH im vergangenen Jahr.
Im aktuellen Verfahren
bemängelte die EU-Kommission, dass Ungarn auch nach dem Urteil aus dem Jahr
2020 noch immer nicht die erforderlichen Maßnahmen ergriffen habe, um einen
effektiven Zugang zum Asylverfahren zu gewährleisten.
Ungarn kein Einzelfall
Dem folgten die Richter nun
größtenteils: Budapest verstoße gegen den Grundsatz der loyalen Zusammenarbeit
im Bereich des internationalen Schutzes und gegen die Vorschriften über die
Rückführung sich illegal aufhaltender Drittstaatsangehöriger. Dieses Verhalten
stelle eine erhebliche Bedrohung für die Einheit des EU-Rechts dar.
Ungarn ist nicht das einzige
Land, dem in den vergangenen Jahren ein Zwangsgeld aufgebrummt wurde. Polen
wurde 2021 vom EuGH zu einer Zahlung von einer Million Euro täglich verurteilt,
weil es höchstrichterliche Entscheidungen zu einer umstrittenen Justizreform
nicht umgesetzt hatte. Der Betrag wurde später halbiert. (dpa/mig 17)
EU-Sonderregeln für Ukrainer werden
verlängert – nur für Ukrainer!
Flüchtlinge aus der Ukraine
können ein Jahr länger ohne Probleme in der EU bleiben. In Deutschland sollen
die Sonderregeln aber nicht für alle Geflüchteten aus der Ukraine gelten.
Innenministerin Faeser fordert zudem eine bessere Verteilung in der EU.
Kriegsflüchtlinge aus der
Ukraine können mindestens bis März 2026 problemlos in der Europäischen Union
bleiben. Die EU-Staaten beschlossen am Donnerstag in Luxemburg, Sonderregeln
für den vorübergehenden Schutz von Ukrainerinnen und Ukrainern in der EU zu
verlängern, wie die EU-Staaten mitteilte. „Wir werden weiterhin Menschenleben
retten“, sagte Bundesinnenministerin Nancy Faeser.
Wie aus einem vom 30. Mai
datierten Rundschreiben des Bundesinnenministeriums an die Bundesländer, das
dem MiGAZIN vorliegt, allerdings hervorgeht, soll die Verlängerung nicht für
alle Menschen aus der Ukraine gelten. Die Verlängerung soll nur für Ukrainer
gelten sowie für Personen, die in der Ukraine einen unbefristeten
Aufenthaltsstatus hatten und die nicht in ihre Herkunftsländer zurückkehren
können.
Viele Roma von Sonderregeln
ausgeschlossen
Demnach sollen
Drittstaatsangehörige, die zum Zeitpunkt des Kriegsausbruchs einen befristeten
Aufenthaltstitel in der Ukraine hatten oder Staatenlose vom vorübergehenden
Schutz ausgeschlossen sein. Dabei hatte die Bundesregierung nach anhaltender
Kritik über Ungleichbehandlungen und Diskriminierung von einzelnen
Personengruppen und insbesondere der Roma-Minderheit versprochen, Geflüchtete
aus der Ukraine gleichzubehandeln.
Betroffen sind abermals
Personen, die sich für ein Studium in der Ukraine aufgehalten hatten oder
teilweise auch Angehörige der Minderheit der Roma. Dem Bundesromaverband
zufolge sind 20 Prozent ukrainischen Roma aufgrund fehlender Dokumente
staatenlos. Ab dem 5. Juni sollen diese Menschen in Deutschland somit keine
Aufenthaltserlaubnis mehr erhalten. Die Ausländerbehörden sollen diese Personen
auf das Asylverfahren verweisen. Bereits erteilte Aufenthaltserlaubnisse
bleiben gültig bis zum 4. März 2025.
Faeser forderte bessere
Verteilung innerhalb der EU
Ob der Ausschluss von
Drittstaatlern ohne Aufenthaltstitel und Staatenlosen aus der Ukraine mit dem
Druck zusammenhängt, den die Opposition in der Migrationspolitik auf die
Bundesregierung ausübt, bleibt offen. Fakt ist, dass Faeser inzwischen eine
bessere Verteilung von ukrainischen Geflüchteten innerhalb der EU fordert. In
der Bundesrepublik seien bereits mehr als eine Million Menschen untergekommen.
„Deutschland hat gemeinsam mit Polen und Tschechien mehr als die Hälfte der
Geflüchteten aus der Ukraine aufgenommen“, betonte Faser.
Tatsächlich nimmt Deutschland
zahlenmäßig die meisten von ihnen auf, im Verhältnis zur Einwohnerzahl ist die
Zahl der Ukraine-Flüchtlinge aber in Ländern wie Tschechien, Litauen und Polen
deutlich höher. Nach Angaben des EU-Statistikamtes Eurostat waren in den 27
EU-Staaten zuletzt rund 4,2 Millionen Flüchtlinge aus der Ukraine registriert.
Unionspolitiker kritisieren
Bürgergeld für Ukrainer
Hinzu kommt, dass
Oppositionspolitiker zunehmend die Zahlung von Bürgergeld an Ukrainer
kritisieren. „Es passt nicht zusammen, davon zu reden, die Ukraine bestmöglich
zu unterstützen und im gleichen Atemzug, fahnenflüchtige Ukrainer zu
alimentieren“, sagte der Vorsitzende der Innenministerkonferenz, Brandenburgs
Innenminister Michael Stübgen (CDU), dem „RedaktionsNetzwerk Deutschland“ im
Hinblick auf Zahlung von Bürgergeld.
Stübgen weiter: „Die
Beschäftigungsquote von Ukrainern ist verschwindend gering, weil das Bürgergeld
zum Bremsschuh für die Arbeitsaufnahme geworden ist.“ Die Bundesregierung müsse
über einen Kurswechsel nachdenken. Mit dieser Forderung schließt sich der
CDU-Politiker Bayerns Innenminister Joachim Herrmann (CSU) an, der auf der
nächsten Innenministerkonferenz über das Thema sprechen will. Die nächste
Sitzung der Innenministerkonferenz ist für Mittwoch bis Freitag in Potsdam
geplant.
Sichere Rückkehr in die
Ukraine nicht möglich
Angesichts der anhaltenden
Angriffe Russlands auf die zivile und kritische Infrastruktur in der gesamten
Ukraine sind aus Sicht der EU-Kommission die Voraussetzungen für eine sichere,
dauerhafte Rückkehr der Menschen in die Ukraine derzeit nicht gegeben. Sie
hatte die Verlängerung der Regeln daher am 11. Juni offiziell vorgeschlagen.
Die EU-Staaten hatten kurz
nach Beginn des russischen Angriffskriegs gegen die Ukraine die Richtlinie für
den Fall eines „massenhaften Zustroms“ von Vertriebenen aktiviert. Sie wurde
zuletzt bis zum 4. März 2025 verlängert. Vorteil der Regel ist, dass die
Betroffenen kein langwieriges Asylverfahren durchlaufen müssen. Zudem haben sie
unmittelbar etwa das Recht auf Sozialleistungen, Bildung, Unterkunft sowie auf
eine Arbeitserlaubnis. (dpa/mig 17)
Schweiz: Friedenskonferenz für die
Ukraine geht zu Ende
Im Schweizerischen Bürgenstock
ist an diesem Sonntag die Friedenskonferenz für die Ukraine mit einer
Abschlusserklärung zu Ende gegangen. Fast 100 Staaten hatten durch ihre
Vertreter an der Konferenz teilgenommen, der Heilige Stuhl entsandte als
Beobachter Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin.
In dem Abschlussdokument,
dessen erster Entwurf bereits am Samstagabend verbreitet wurde, sprachen sich
Medienberichten zufolge Regierung 80 der 92 Teilnehmerstaaten dafür aus, dass
die „territoriale Integrität“ der Ukraine zur Grundlage für ein eventuelles
Friedensabkommen gemacht werden müsse. Der Angriffskrieg Russlands sei für
großes Leid und Zerstörung verantwortlich. Auch der vatikanische Staatssekretär
Pietro Parolin hatte in seinem Redebeitrag bei der Konferenz die territoriale Integrität
der Ukraine als Grundlage für einen „gerechten Frieden" hervorgehoben.
Insbesondere die
aufstrebenden Industrienationen (die sog. BRICS), die nach wie vor gute
Beziehungen zu Russland pflegen, wollten das Dokument nicht unterzeichnen. So
fehlen die Unterschriften von Brasilien, Indien, Südafrika, und Saudi-Arabiens,
aber auch die von Thailand, Indonesien und der Vereinigten Arabischen
Emirate.
Grundhaltung nicht betroffen
Wie der österreichische
Kanzler Karl Nehammer im Anschluss verlauten ließ, gehe es bei der ablehnenden
Haltung einzelner Staaten um bestimmte Worte. Die gemeinsame Grundlage sei
dadurch nicht betroffen. „Daher bin ich nicht so beunruhigt, wenn jetzt nicht
alle unterschreiben“, sagte Nehammer.
Insgesamt sei der Wunsch nach
einer Folgekonferenz deutlich geworden. Allerdings sei noch nicht absehbar,
wann und in welchem Format diese organisiert werde und ob Russland dabei sein
könne. Teilnehmer hatten die Abwesenheit Russlands bei der eben zu Ende
gegangenen Konferenz kritisiert.
Der ukrainische Präsident
hatte die Konferenz bereits zum Auftakt als Erfolg gelobt. Nun hoffe er auf
schnelle Ergebnisse, so Selenskyj zum Abschluss mit Blick auf die teilnehmenden
Staaten. (agenturen 16)
Gestern Abend ist die
Fußball-Europameisterschaft in Deutschland gestartet. Einerseits „ist Fußball
die schönste Nebensache der Welt“ (Pele), bei der sich Menschen aller Nationen
und Religionen friedlich begegnen. Aber andererseits hat der Fußball auch mit
Vorwürfen wegen Kommerzialisierung, Korruption und Menschenrechtsverletzungen
zu kämpfen. Daher wird es „Zeit, dass sich was dreht“ (Grönemeyer) und sich die
Fans den Fußball wieder zurückholen. von Christian Schnaubelt
Glaube und Fußball verbindet,
überall auf der Welt. Besonders intensiv ist diese Verbindung im Ruhrgebiet, wo
bei den Spielen schon mal der „Fußballgott“ beschworen und in Gelsenkirchen das
wahrscheinlich einzige Kirchenfenster mit einem fußballspielenden Heiligen zu
finden ist.
Am letzten Sonntag wurde in
der geschichtsträchtigen „Glückauf – Kampfbahn“ ein Gottesdienst zur
Fußball-Europameisterschaft der Männer gefeiert. Im Interview mit mir betonte
Zelebrant Klaus Pfeffer, Generalvikar des Bistums Essen, für unser
Partnerportal www.explizit.net:
„Mir war wichtig, an die
verbindende Kraft des Fußballs zu erinnern und dafür zu werben, dass es hier,
wie überall im Leben, nicht um Gegnerschaft oder gar Feindschaft geht, sondern
um das Miteinander von Menschen, Kulturen, Nationen.“ „Wir müssen all denen die
„Rote Karte“ zeigen, die den Fußball dazu missbrauchen, um Hass und Gewalt zu
verbreiten“ (Klaus Pfeffer) „Im Fußball wie überall im Leben dürfen wir „die
anderen“ nicht zu Feinden erklären, sondern müssen begreifen, dass das Spiel
auf dem Platz und das große Spiel des Lebens nur im Miteinander geht.“
„Rote Karte für Katar“
Fußball ist heute – nach der
Religion – das neue „Opium für das Volk“ (das Originalzitat von Karl Marx bezog
sich auf die Religion) geworden. Und hat dabei – neben dem reinen
Unterhaltungswert – immer stärker auch eine politische Dimension bekommen. Dies
wurde besonders bei der letzten Fußball- Weltmeisterschaft in Katar deutlich,
bei der Menschenrechtler:innen und Organisationen wie das katholische Hilfswerk
missio Aachen wegen Vorwürfen über Menschenrechtsverstöße und der Situation der
Gastarbeiter:innen die „Rote Karten für Katar“ forderten. Besonders die Fifa
stand damals in der Kritik, wegzusehen. Und bei der Fußball-EM 2024 in
Deutschland? Da ist Katar wieder einer der Hauptsponsoren. Haben FIFA und
Organisationskomitee nichts dazugelernt? Proteste gegen Katar blieben bisher
aus, anders als zuletzt in der 1. Bundesliga.
Fan-Proteste gegen
Kommerzialisierung
Denn nicht nur auf der
internationalen Fußballbühne, auch in der 1. Bundesliga gab es in der letzten
Saison zahlreiche Fan-Proteste gegen Kommerzialisierung und die geplante
Zulassung von Großinvestoren. Die „Tennisball“-Proteste in den Stadien zeigten
Wirkung: Der ursprüngliche Plan wurde zurückgestellt. Aber die Weichen stehen
wohl trotzdem weiterhin auf Kommerzialisierung. Zu sehr locken immer größere
Fernseh- sowie Lizenz- und Merchandising-Einnahmen.
Mit dem ursprünglichen
(Straßen-) Fußball hat dies schon lange nichts mehr gemein. Auch bereits in den
Jugendligen werden Taschengeld und Ablösesummen für Spieler:innen gezahlt und
einige Bundesligisten bauen ihre Nachwuchs- und Leistungszentren aus. Dies soll
langfristig Fußball für möglichst viele Spieler:innen ermöglichen. Aber dies
wird nicht ohne Nebenwirkungen bleiben: Denn Professionalisierung wird auch die
Kommerzialisierung weiter vorantreiben. Aber noch ist Zeit, gegenzulenken, wenn
die Vereine ihre Verantwortung ernst nehmen wollen.
Fazit: Es ist wichtig, dass
Fans, Funktionäre und Spieler gemeinsam klare Position beziehen und sich – wie
in den 2000er-Jahren erfolgreich gegen Rassismus im Stadion – jetzt
Kommerzialisierung,Korruption und Menschenrechtsverletzungen die „Rote Karte“
zeigen. Wenn sich die Fans den Fußball zurückholen, kann Fußball wieder zur
„schönsten Nebensache der Welt“ (Pele) werden. Es wird „Zeit,dass sich was
dreht“ (Grönemeyer) – lets go deutsche Nationalmannschaft!
Lesetipp: Unser Partnerportal
explizit.net hat anlässlich der Fußball-EM eine Artikelserie „Fußball und der
liebe Gott“ gestartet. Hier geht es zu den bisher erschienenen Beiträgen: https://explizit.net/religion/artikel/fussball-und-der-liebe-gott-interview-mit-generalvikar-klaus-pfeffer/
https://explizit.net/religion/artikel/fussball-und-der-liebe-gott-das-fussballkirchenfenster-in-gelsenkirchen/ kath.de 15
Die Helden auf dem Rasen: Wenn
Fußballer zu Idolen werden
Viele Fußballstars sind bei
ihren Fans beliebt, manch einer wird von ihnen regelrecht verehrt oder als
Vorbild gesehen, ob im Sport oder anderswo. Aber inwiefern taugen sie als Idole
und welche Würdigung ist angemessen? Von Iris Tsakiridis
Fußballtraining beim TSV München
Ost: Viele der Kinder hier haben ein Idol und würden gern irgendwann einmal
genauso gut spielen können wie sie: "Musiala, weil er Bayern zum Meister
geschossen hat." - "Manuel Neuer, weil er sehr viel gewonnen
hat." Und tatsächlich haben beide schon Titel gewonnen und begeistern
nicht nur die Nachwuchsspieler, sondern ganze Nationen.
Ehrungen für bekannte Spieler
Als Franz Beckenbauer Anfang
2024 starb, war die Trauer groß. Der 78-Jährige war als Spieler und Trainer
erfolgreich gewesen, konnte auf viele Titel zurückblicken und hatte die WM 2006
nach Deutschland geholt. Vielen war er als "Kaiser Franz" bekannt.
Hans-Joachim Watzke, Aufsichtsratschef der Deutschen Fußball Liga DFL, würdigte
Beckenbauer als "definitiv größten deutschen Fußballer aller Zeiten".
Im April erklärte dann die Kurt-Landauer-Stiftung, dass Beckenbauer mit einer
Statue vor der Allianz-Arena für seine Verdienste geehrt werde – wo seit 2023
auch eine Statue an Torjäger Gerd Müller erinnert.
Augenthaler und Breitner
sehen sich nicht als Vorbilder
Klaus Augenthaler, früherer
Weggefährte Müllers, findet das berechtigt – für Müller wie für Beckenbauer.
Augenthaler selbst, Weltmeister von 1990, ist in Vilshofen mit einem Stadion
gewürdigt worden. Für ihn eine Ehre: "Es gibt ja nicht viele Spieler, die
ein eigenes Stadion haben." Er habe nie vergessen, wo er herkomme. Als er
beim Probetraining des FC Bayern gewesen sei, habe er erst einmal gezittert,
sagt er – immerhin traf er dort auf Fußballgrößen wie Beckenbauer, Müller und
Sepp Meier. Als Vorbild, als Idol sieht er sich selbst aber nicht: "Ich
habe als Spieler geraucht und rauche auch heute noch." Ähnlich geht es
wohl auch dem ehemaligen Nationalspieler und Weltmeister von 1974, Paul
Breitner. Immerhin schrieb der ein Buch mit dem Titel: "Ich will kein
Vorbild sein" – seine Autobiografie.
Idole können im Leben eines
Menschen eine wichtige Rolle einnehmen, weiß die Psychologie. Sie können uns
dabei helfen, unsere eigene Identität zu entwickeln. Gerade im Sport können sie
zudem ein Anreiz sein, die eigenen Fähigkeiten weiterzuentwickeln und so
bestimmte Ziele zu verfolgen. Das kann aber auch gefährlich werden, wenn man
sich nur noch nach seinen Vorbildern ausrichtet oder daran scheitert, genau so
zu werden wie sie.
Fairness und Disziplin als
eigentliche Vorbilder
Ein großer Fußballfan ist
auch der bekannte Münchner Pfarrer Rainer Maria Schießler, der selbst ein Buch
über den Fußball geschrieben hat. Sein Verein: Der TSV 1860 München. So sehr er
den Profis ihren Erfolg gönnt, steht für ihn doch fest: Ein Spieler allein
macht noch keinen Sieg. "Es braucht immer das ganze Team", sagt
Schießler. Das gelte für den Fußball ebenso wie für die Kirche. Auch sich an
die Idole von früher zu erinnern und dem Fußball von gestern nachzutrauern,
macht für ihn wenig Sinn: "So wie Beckenbauer, Seeler und so weiter. Wenn
die erzählen, wie sie groß geworden sind. Da hängen wir nostalgisch an
vergangenen Zeiten, die wir uns herbeiwünschen." Heute sehe der Fußball
ganz anders aus als damals, sei zu einer Gelddruckmaschine geworden.
Sein einziges Fußball-Idol
sei die Fairness auf und neben dem Spielfeld, sagt Schießler, anstatt einen
bestimmten Namen zu nennen. Dabei hat er so manchen Fußball-Promi auch selbst
kennengelernt und er traute etwa den früheren Kapitän der deutschen
Nationalmannschaft und Weltmeister von 2014, Philipp Lahm. In der Disziplin
können Sportler für ihn aber durchaus ein Vorbild sein, meint Schießler –
schließlich habe schon der Apostel Paulus in der Bibel das Durchhaltevermögen
von Athleten gelobt.
Aber auch abseits des Sports
können Fußballer durchaus in manchen Dingen Vorbilder sein. So engagierten sich
in der Vergangenheit viele aktuelle und ehemalige Nationalspieler wie Manuel
Neuer, Toni Kroos oder Leon Goretzka auch sozial, etwa in Stiftungen.
Ob auf dem Feld oder abseits
davon: Beim TSV München Ost haben einige der Jugendspieler ihre Idole schon
selbst im Stadion spielen sehen oder sie sogar getroffen und mit ihnen Fotos
gemacht. Manche von ihnen träumen selbst von einer Fußballkarriere. Vielleicht
sind sie eines Tages selbst Vorbild für andere.
Br 14
Internationalisierung der
Hochschulen. DAAD begrüßt neue Bund-Länder-Strategie
Der Deutsche Akademische
Austauschdienst (DAAD) begrüßt die heute vorgestellte
Internationalisierungsstrategie von Bund und Ländern für die Hochschulen in
Deutschland. Diese Strategie biete eine wichtige Orientierung für die weitere
Internationalisierung der Hochschulen. Für eine erfolgreiche Umsetzung seien
eine ausreichende Finanzierung und gemeinsame Initiativen von Bund und Ländern
notwendig.Bonn. „Mit der neuen Strategie betonen Bund und Länder die Bedeutung
von akademischem Austausch und internationaler Wissenschaftskooperation für die
Hochschulen. Die Strategie zeigt, dass erfolgreiche Internationalisierung
gesellschaftlich, politisch und ökonomisch positive Ergebnisse bringen kann“,
sagte DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato Mukherjee in Bonn.
„Die Strategie lenkt zudem
richtigerweise den Blick auf die Chancen der Internationalisierung bei Themen
wie wissenschaftlicher Exzellenz und Fachkräftegewinnung. Zugleich
berücksichtigt sie die Herausforderungen, insbesondere zu Themen wie
Kooperation in Krisen oder der Gestaltung einer Willkommenskultur. Diese
realistische und wissenschaftsorientierte Strategie sendet das richtige Signal
an die Hochschulen und die Wissenschaftsgemeinschaft in Deutschland in
herausfordernden Zeiten.“ Der DAAD-Präsident betonte weiterhin, dass die
Umsetzung der Strategie eine angemessene Finanzierung erfordere, um den
Hochschulen die notwendigen Weiterentwicklungen zu ermöglichen.
Studienerfolg, Fachkräfte und
Digitalisierung
Die Strategie von Bund und
Ländern umfasst zentrale Themen wie die Sicherung des Studienerfolgs
internationaler Studierender und ihren erfolgreichen Übergang in den Arbeitsmarkt.
Sie fordert eine stärkere Verzahnung von Digitalisierung und
Internationalisierung sowie den Ausbau der Krisenresilienz der Hochschulen. Das
im Juni von der Kultusministerkonferenz verabschiedete Dokument setzt zudem
Impulse für die Weiterentwicklung des akademischen Austauschs und der
internationalen Wissenschaftskooperation.
Rahmenbedingungen gestalten
Aus Sicht des DAAD greift die
Strategie die veränderten Rahmenbedingungen der Internationalisierung der
Hochschulen auf und weist den Weg für die Weiterentwicklung des
grenzüberschreitenden Austauschs und der internationalen wissenschaftlichen
Zusammenarbeit. Besonders erfreulich sind die Stärkung der
Internationalisierungserfahrungen und der Ausbau von Diversität und
Nachhaltigkeit. Angesichts der geopolitischen Herausforderungen ist die von
Bund und Ländern angestrebte Sensibilisierung der Hochschulen,
Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftlern für die Risiken und Herausforderungen
internationaler Zusammenarbeit und die Stärkung ihrer Reaktionsfähigkeit
ebenfalls begrüßenswert.
Strategie kein Selbstläufer
Gleichzeitig zeigt das breite
Spektrum der anstehenden Aufgaben, dass erfolgreiche Internationalisierung in
Deutschland kein Selbstläufer ist. Vor dem Hintergrund der aktuellen
politischen, sozialen und technologischen Entwicklungen bedarf es umfassender
politischer Unterstützung. „Die Herausforderung in den nächsten Monaten und
Jahren besteht darin, die neuen strategischen Linien nicht nur politisch zu
verkünden, sondern die Rahmenbedingungen so zu gestalten, dass die Hochschulen
die Internationalisierung gewinnbringend umsetzen können“, so der
DAAD-Präsident. „Der DAAD wird gemeinsam mit seinen Mitgliedshochschulen seinen
Beitrag zur Umsetzung der neuen Strategie leisten und die Hochschulen in allen
Bereichen der Strategie beraten und unterstützen.“ Daad 14
„Erschütternder Rekord“. 1,5
Prozent der gesamten Weltbevölkerung vertrieben
Ein Blick auf die angespannte
Weltlage mit immer mehr Kriegen und Konflikten genügt und es ist klar: Die Zahl
der Vertriebenen steigt weiter. Zu Kriegen und Konflikten kommt ein weiteres
Problem.
So viele Menschen wie nie
zuvor sind weltweit vor Gewalt, Krieg, Konflikten und Verfolgung auf der
Flucht. Im Mai waren es 120 Millionen, fast zehn Prozent mehr als vor einem
Jahr, wie das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR am Donnerstag in Genf berichtete.
Es war der zwölfte Anstieg der Zahlen in Folge. Rund 1,5 Prozent der gesamten
Weltbevölkerung ist damit aus ihrer Heimat vertrieben, wie aus dem neuen
Weltflüchtlingsbericht hervorgeht.
Gut zwei Drittel der Menschen
sind innerhalb der Grenzen des eigenen Heimatlandes auf der Flucht. Der
Eindruck, dass Migranten und Flüchtlinge vor allem in reiche Länder strömen,
sei falsch, sagte der UN-Hochkommissar für Flüchtlinge, Filippo Grandi. „75
Prozent derjenigen, die vertrieben werden, im eigenen Land oder ins Ausland,
leben in armen Ländern oder solchen mit mittleren Einkommen“, sagte Grandi. Zum
Großteil seien nicht die reichen Länder betroffen, obwohl manchmal dieser
Eindruck erweckt werde, sagte er. Die meisten Menschen harren nach der Flucht
in Nachbarländern in der Hoffnung aus, zügig in ihre Heimat zurückkehren zu können.
Deutschland hat nach den USA
die meisten Asylgesuche
Bei den Menschen, die keine
Chance auf baldige Rückkehr sehen, standen die USA und Deutschland hoch im
Kurs: Die USA verzeichneten mit Abstand die meisten Asylanträge, insgesamt 1,2
Millionen. Danach folgte mit großem Abstand Deutschland mit rund 330.000
Anträgen, vor Ägypten, Spanien und Kanada.
Die Zahlen sind von Jahr zu
Jahr nur bedingt vergleichbar, weil die Datenlage in manchen Ländern besser
wird und die Erhebungsmethoden sich teils ändern. Rekorde beziehen sich auf den
Zeitraum seit 1951, als das UNHCR erstmals Flüchtlingszahlen ermittelte.
„Erschütternder Rekord“
Bundesentwicklungsministerin
Svenja Schulze hat angesichts der Zahlen (SPD) vor einem Sparkurs in der
Entwicklungshilfe gewarnt. Der dramatische Anstieg der Flüchtlingszahlen zeige
deutlich, dass gerade jetzt mehr und nicht weniger Entwicklungszusammenarbeit
gebraucht werde. Die Bundesregierung verhandelt derzeit über den Haushalt für
das kommende Jahr. Dem Entwicklungsministerium drohen dabei deutliche
Einschnitte.
Schulze betonte, ausgerechnet
die ärmsten Länder zeigten die größte Aufnahmebereitschaft für Flüchtlinge und
trügen die schwerste Last. Die deutsche Entwicklungspolitik unterstütze die
Aufnahmeländer und -gemeinden, beispielsweise bei der Bereitstellung von
sauberem Wasser, ausreichend Nahrung, medizinischer Versorgung und Bildung.
„Entwicklungspolitik schafft Perspektiven vor Ort und für eine Rückkehr in die
Heimat, sie ist eine Investition in Frieden und Sicherheit weltweit“, sagte
Schulze. Das liege auch im deutschen Interesse.
Die Zahlen kompakt: 120
Millionen Vertriebene weltweit, Stand Mai 2024. Der Bericht bezieht sich in
seinen Analysen allerdings immer auf das Kalenderjahr 2023. Zum Stichtag 31.
Dezember 2023 waren es 117,3 Millionen Vertriebene, acht Prozent mehr als Ende
2022. 68,3 Millionen suchten im eigenen Land Zuflucht. Diese Zahl ist 50
Prozent höher als vor 5 Jahren. Deutschland ist das Land mit der viertgrößten
Flüchtlingsgruppe. Das UNHCR nennt die Zahl 2,6 Millionen, hinter dem Iran (3,8
Millionen), der Türkei (3,3 Millionen) und Kolumbien (2,9 Millionen).
Sudan: seit April 2023 mehr
als neun Millionen Vertriebene, darunter 1,9, die ins Ausland flüchteten.
Gazastreifen: 1,7 Millionen Vertriebene, rund 75 Prozent der Bevölkerung.
Myanmar: 2,6 Millionen Vertriebene durch die Kämpfe der Militärdiktatur gegen
Aufständische, doppelt so viele wie ein Jahr zuvor. Syrien: bleibt mit 13,8
Millionen Vertriebenen im In- und Ausland die größte Flüchtlingskrise weltweit.
Afghanistan: 10,9 Millionen Vertriebene, davon gut 6,4 Millionen im Ausland.
Damit sind Afghanen die größte Gruppe von Flüchtlingen im Ausland. Ukraine: 9,7
Millionen Vertriebene, rund 6 Millionen davon im Ausland.
Klimakrise verschärft Lage
Regionen, die durch
Konflikte, Armut, Hunger und schlechte Regierungsführung geprägt sind, liegen
auch dort, wo die Klimakrise besonders spürbar ist, heißt es in dem Bericht:
„Ende 2023 lebten fast drei Viertel der gewaltsam Vertriebenen in Ländern, die
hohen bis extrem hohen klimabedingten Gefahren ausgesetzt waren.“ Dazu gehörten
die Demokratische Republik Kongo, Somalia, Sudan, Syrien und Jemen.
Der Kampf um Ressourcen in
Zufluchtsländern, die vom Klimawandel stark betroffen sind, könne weitere
Fluchtbewegungen auslösen, etwa dort, wo das Trinkwasser schon knapp ist, oder
Dürre immer mehr Ernten vernichtet und Vieh mangels Wasser und Nahrung
verendet. (dpa/epd/mig 14)
Interviews. „Israel ist Gefangener
seiner unrealistischen Ziele“
Libanons Ex-Außenminister
Nassif Hitti über Friedensverhandlungen, die Lage an der Grenze zu Israel und
die Rolle der arabischen Staaten. Die Fragen stellte Alexander Isele.
Die israelische Armee kämpft
inzwischen seit über acht Monaten gegen die Hamas. Seit Monaten kommt es an der
israelisch-libanesischen Grenze zu Zusammenstößen. Wie ist die Lage im Libanon
im Moment?
Die Lage ist äußerst
kritisch. Die Angst, dass die Situation außer Kontrolle geraten könnte, ist
überall und ständig zu spüren. Bis zu einem gewissen Grad werden jedoch bis
jetzt noch die sogenannten „Rules of Engagement“ eingehalten, die dem Prinzip
der Symmetrie und Zurückhaltung folgenden Spielregeln zwischen Israel und dem
Libanon, die vom Sommer 2006 bis zum Oktober 2023 die Situation an der Grenze
bestimmten. Im Rahmen des aktuellen Krieges ist jedoch zu beobachten, dass
Angriffe in einem größeren Gebiet erfolgen, dass es häufiger zu Beschuss kommt
und weitere Ziele ins Visier genommen werden. Auf libanesischer Seite hat die
Hisbollah weder das Interesse noch den Willen, in einen offenen Krieg
einzutreten, dessen Ausgang ungewiss wäre. Die Hisbollah folgt dabei ihrer
Doktrin der „Einheitsfront“: Sie kämpft, um die Palästinenser zu unterstützen,
ist aber bereit, jede Kampfhandlung sofort einzustellen, sobald Israel aufhört,
den Gazastreifen anzugreifen. Israel möchte dagegen die Situation verändern,
die vor dem Krieg an der Grenze zum Libanon herrschte. Israel will die
Streitkräfte der Hisbollah hinter den Fluss Litani zurückdrängen, um damit die
Resolution 1701 des UN-Sicherheitsrats umzusetzen. Für eine volle Umsetzung
dieser Resolution müsste Israel aber auch aufhören, den Luftraum, das
Territorium und die Hoheitsgewässer des Libanons zu verletzen, was es nach wie
vor tut.
Israel weitet seine
Bodenoffensive im Gazastreifen auf Rafah aus, was zu einer Eskalation an der
israelisch-libanesischen Grenze führen könnte. Was ist jetzt zu tun?
Israel ist Gefangener seiner
angekündigten unrealistischen Ziele: die völlige Vernichtung der Hamas und die
Einrichtung einer militärischen Sicherheitskontrolle über den Gazastreifen auf
unbefristete Zeit. Gleichzeitig will es Drittstaaten mit der Verwaltung der
Alltagsangelegenheiten in Gaza beauftragen. Das ist nicht nur illegal, sondern
auch unrealistisch und wird zukünftig zu weiteren Spannungen und Kriegen
führen. Zuallererst muss jedoch ein Waffenstillstand her – und nicht nur
befristete Feuerpausen oder Waffenruhen. Erfahrungen aus der Vergangenheit
zeigen, dass es wichtig ist, sich nicht auf einen allmählichen
Verhandlungsprozess mit offenem Ende einzulassen. Das führt zu nichts – es wäre
wie der Bau von Brücken, die nur bis zur Flussmitte reichen. Als
Besatzungsmacht könnte Israel jahrelang verhandeln und gleichzeitig seine
Besatzung der Palästinensergebiete festigen – wie wir es im Westjordanland
erlebt haben. Deshalb müssen wir einen Ansatz verfolgen, den wir Reversed
Engineering-Prozess nennen: Alle betroffenen internationalen Mächte
verpflichten sich zu klar definierten Verhandlungszielen – zu Zielen, die auf
den Grundsätzen und Regeln des Völkerrechts und den relevanten Resolutionen des
UN-Sicherheitsrats beruhen.
Was sind diese Ziele und wie
sind sie zu erreichen?
Erstens das Ende der
Besatzung der palästinensischen, syrischen und libanesischen Grenzgebiete durch
die Umsetzung der relevanten Resolutionen des UN-Sicherheitsrats. Zweitens die
Einrichtung eines unabhängigen Palästinenserstaats mit Ostjerusalem als
Hauptstadt innerhalb der Grenzen von 1967. Und drittens die Sicherheit Israels.
All diese Ziele gehören zusammen – eins kann nicht ohne die anderen erreicht
werden. Sobald sie erreicht sind, könnte Israel normale Beziehungen zu den
arabischen Ländern aufbauen.
Im März 2002 hat die
Arabische Liga auf ihrem Gipfeltreffen in Beirut die Arabische
Friedensinitiative verabschiedet. Es ist die realistischste, umfassendste und
zukunftsweisendste Friedensinitiative im Interesse aller. Die Verantwortung für
den Frieden liegt jedoch bei den Mitgliedern des UN-Sicherheitsrats und anderen
Mächten, die im Nahen Osten eine Rolle spielen. Den Konflikt zu verwalten,
statt zu versuchen, ihn zu lösen, bedeutet, in zukünftige Spannungen und Kriege
zu investieren. Denn das lässt zu, dass jede Seite den Konflikt für ihre eigenen
Ziele instrumentalisieren kann.
Würden sich die Hisbollah und
ihre Schutzmacht, der Iran, der Initiative anschließen?
Wenn ein ernsthafter
Friedenskurs eingeschlagen wird – hin zu einem Frieden, der auf Gerechtigkeit
und der Achtung der legitimen Rechte aller betroffenen Seiten basiert, zu einem
Frieden, der den Weg für Sicherheit, Stabilität und Wohlstand für alle eröffnet
–, wird es für alle Seiten sehr schwierig, sich einem solchen Bestreben
entgegenzustellen. Der Libanon ist ein Gründungsmitglied der Arabischen Liga
und setzt sich weiterhin für die Zwei-Staaten-Lösung und einen umfassenden
Frieden ein. Solange es noch keine ernsthafte Friedensperspektive gibt und wir
noch mitten in einer destruktiven festgefahrenen Situation stecken, erleben Radikalisierungen
aller Art eine Blütezeit. Das ist eine Lehre aus der Geschichte, die über den
Nahen Osten hinausgeht.
Welche Bedeutung hat es, dass
Norwegen, Spanien und Irland Palästina als Staat offiziell anerkannt haben?
Das ist ein wichtiger Anschub
und ein Engagement für den Frieden. Europas historische Beziehungen mit seinen
„südlichen Nachbarn“ auf der anderen Seite des Mittelmeers gehen mit einer
besonderen Verantwortung einher. Die Anerkennung von Palästina als Staat ist
ein Schlüsselfaktor für eine umfassende Konfliktlösung. Inzwischen haben 146
Staaten den palästinensischen Staat anerkannt und ich erwarte, dass noch mehr
europäische Länder dazukommen.
Was würde eine
Zwei-Staaten-Lösung und die Normalisierung der Beziehungen zu Israel für den
Libanon bedeuten?
Der Libanon ist seit
Ewigkeiten eine Geisel des arabisch-israelischen Konflikts. Ein auf dem
Völkerrecht und auf Gerechtigkeit beruhender Frieden würde es uns erlauben, uns
auf die notwendigen finanziellen, politischen und wirtschaftlichen Strukturreformen
zu konzentrieren. Die wirtschaftliche Lage im Libanon ist desolat. Ein Großteil
unserer jungen Menschen, unsere Soft Power, verlässt das Land. Im Libanon und
in der Region gibt es ein großes Potenzial für eine multidimensionale
Entwicklung, für eine Zusammenarbeit. Aber solange der Konflikt nicht gelöst
ist, bleiben wir Geisel dieses Konflikts und all seiner Folgen. Es ist an der
Zeit, dass der Libanon wieder auf die Beine kommt – das ist keine leichte
Aufgabe, aber ein unbedingtes Muss. IPG 14
Anschlag von Hanau. Entschuldigung
nach mehr als vier Jahren
Vor mehr als vier Jahren
erschütterte der Anschlag von Hanau die Menschen. Nun erläutert Minister
Poseck, welche Konsequenzen in der Polizeiarbeit gezogen wurden. Und spricht
eine Entschuldigung aus – mehr als vier Jahre nach der Untat.
Mehr als vier Jahre nach dem
rassistischen Anschlag von Hanau hat sich Hessens Innenminister Roman Poseck
(CDU) bei den Hinterbliebenen entschuldigt. Rund um das Geschehen seien Fehler
gemacht worden, auch seitens der Polizei, sagte er am Donnerstag in Wiesbaden.
Das betreffe etwa den nicht erreichbaren Notruf in der Tatnacht sowie die
Umstände der Überbringung der Todesnachricht. „Hier sind weitere Verletzungen
und Schmerzen aufseiten der Angehörigen entstanden“, sagte Poseck. „Das tut mir
über alle Maßen leid und ich entschuldige mich ausdrücklich für die Fehler, die
passiert sind.“ Er habe dies vor wenigen Tagen bereits bei einem Treffen mit
Hinterbliebenen deutlich gemacht, es sei ein weiteres Gespräch im Sommer
geplant.
„Fehler sind bei einem so
außergewöhnlichen Ereignis, wie es natürlich dieser Terroranschlag in Hanau
auch für unsere Polizei gewesen ist, wahrscheinlich nie ganz vermeidbar“, sagte
Poseck. „Aber wir müssen feststellen, dass die Polizei den hohen Anforderungen,
die sie an sich selbst stellt und die wir an sie stellen, an einigen wichtigen
Stellen nicht gerecht geworden ist.“ Der Minister bekräftigte auch, dass die
Beamtinnen und Beamten, die in der Tatnacht und danach im Einsatz waren, engagiert
und aufopferungsvoll gehandelt hätten.
Grünen-Fraktion: „Endlich
gibt es eine Entschuldigung“
Die innenpolitische
Sprecherin der hessischen Landtags-Grünen, Vanessa Gronemann, erklärte:
„Endlich gibt es eine Entschuldigung gegenüber den Opfern und Angehörigen des
rassistischen Anschlags in Hanau aus dem Innenministerium.“ Damit hole Poseck
das nach, was ihnen durch seinen Vorgänger Peter Beuth und Ministerpräsidenten
Boris Rhein (beide CDU) verwehrt geblieben sei.
Am 19. Februar 2020 hatte ein
deutscher Täter in Hanau neun junge Menschen aus rassistischen Motiven
erschossen. Danach tötete er seine Mutter und sich selbst. Ein
Untersuchungsausschuss des hessischen Landtags hatte sich mit der Tat befasst
und in seinem 750-seitigen Abschlussbericht 60 Handlungsempfehlungen genannt –
ein Großteil fällt in die Zuständigkeit des Innenressorts.
Hintergrund: Der
parlamentarische Untersuchungsausschuss zum Anschlag von Hanau verabschiedete
im Dezember 2023 nach mehr als 40 Sitzungen seinen Abschlussbericht mit Handlungsempfehlungen.
Es waren zuvor mehr als 80 Zeugen und rund ein Dutzend Sachverständige gehört
worden. Zu den prominentesten Zeugen zählte der damalige Innenminister von
Hessen, Peter Beuth (CDU). Das Gremium war im Juli 2021 zu seiner ersten
Sitzung zusammengekommen. Der Untersuchungsausschuss sollte unter anderem
klären, ob es vor, während und nach der Tat zu Behördenversagen kam. Die dem
Ausschuss des hessischen Landtags übersandten Akten umfassten rund 326.000
Seiten. Hinzu kamen elektronische Daten wie Excel-Tabellen, Bilder sowie Videos
mit einer Gesamtdauer von mehreren Tagen.
„Anschlagsbutton“ soll
Warteschleife bei Notrufen verkürzen
Poseck kündigte unter anderem
an, dass die polizeiliche Opfer- und Angehörigenbetreuung verbessert werde.
Künftig solle gewährleistet sein, dass im Fall der Fälle die Opfer und
Angehörigen einen Ansprechpartner haben, der für sie zur Verfügung steht. Das
Thema Obduktion und der Umgang mit Angehörigen im Zusammenhang von Obduktionen
soll zum Lerninhalt in der Polizeiausbildung werden.
Außerdem sei ein
Notrufkonzept mit einem „Anschlagsbutton“ entwickelt worden, sagte Poseck. Wird
der Knopf gedrückt, nähmen alle sieben hessischen Leitstellen Notrufe entgegen.
Das verkürze die Warteschleife, die bei einer besonderen Vielzahl von Anrufen
über die 110 eintreten kann.
Nur Querulant oder
gefährlich? Verfassungsschutz schaut genauer hin
Um früher auf mögliche Täter
aufmerksam zu werden, werde beim Landesamt für Verfassungsschutz (LfV) ein
Amokpräventionszentrum eingerichtet, in dem sich die Sicherheitsbehörden eng
austauschen, sagte der Minister. Beim Landesamt gebe es zudem neue Vorgaben zum
Umgang mit auffälligen Bürgereingaben. „Das heißt konkret, dass diese nicht
mehr so schnell einfach abgelegt und zur Seite gelegt werden, sondern dass sie
auch an zuständige Behörden weitergegeben werden“, erläuterte Poseck. Damit
sollen diejenigen, die tatsächlich gefährlich sind, besser von Querulanten, die
nicht gefährlich sind, unterschieden werden können.
Der Innenminister kündigte
zudem an, sich dafür einzusetzen, dass keine Waffen in die Hände von psychisch
Erkrankten gelangen. Derzeit werde darüber beraten, wie Waffenbehörden noch
besser durch Ärzte und Kliniken über psychische Erkrankungen informiert werden
können. Um extremistische Waffenträger früher zu erkennen, solle enger mit den
rund 1.000 hessischen Schützenvereinen zusammengearbeitet werden.
„Der 19. Februar 2020 löst
bis heute Trauer und Entsetzen aus. Mich persönlich macht das Leid der
Opferfamilien tieftraurig“, sagte Poseck. „Wir dürfen das Attentat von Hanau
und die Opfer niemals vergessen. Wir sind gerade jetzt verpflichtet, die
richtigen Lehren für die Zukunft zu ziehen, damit sich so etwas Furchtbares in
unserem Land niemals wiederholen kann.“ (dpa/mig 14)
Kürzungen der internationalen Hilfe
verschärfen weltweite Hungerkrisen
Friedrichsdorf – Weltweit
werden Finanzmittel für humanitäre Hilfe gekürzt. Das wirkt sich dramatisch auf
die Versorgung mit Nahrungsmitteln für Menschen in Not aus. Ein neuer Bericht der
internationalen Kinderhilfsorganisation World Vision zeigt auf, dass als Folge
von Rationskürzungen Kinderheirat und Kinderarbeit deutlich zunehmen.
Viele Hilfsorganisationen
seien durch die finanziellen Engpässe gezwungen, die Nahrungsmittelrationen für
Vertriebene deutlich zu kürzen. Sie erhalten nur einen Bruchteil der monatlich
benötigten Kalorien oder werden ganz von den Hilfslieferungen ausgeschlossen,
was auch zu psychischen Belastungen wie Hoffnungslosigkeit führt.
„Ich habe das Gefühl, dass
ich in den Südsudan zurückkehren sollte. Es ist besser, in meinem eigenen Land
zu sterben, als im Lager zu verhungern.“ Geflüchteter aus Uganda
World Vision hatte für den
Bericht mit Betroffenen in insgesamt sechs Ländern gesprochen, darunter in
Afghanistan, der Demokratische Republik Kongo und Libanon. Während Kinder vor
den Kürzungen im Durchschnitt zwei Mahlzeiten pro Tag zu sich nahmen, hatten
die meisten Familien im Januar 2024 nur eine oder gar keine Mahlzeit am Vortag
gegessen. Knapp die Hälfte der Geflüchteten (41 Prozent) gab an, dass sowohl
Mädchen als auch Jungen jetzt zu Hause mehr Gewalt, Vernachlässigung oder
Missbrauch ausgesetzt sind.
„In unserem Dorf werden nun
viele von uns sehr früh verheiratet. Manchmal sieht man uns sogar als Belastung
für die Familie.“ Mädchen aus der Demokratischen Republik Kongo
Ha-na Schulz, Referentin für
humanitäre Hilfe von World Vision, erklärt: „Der Bericht zeigt die verheerenden
Folgen von Rationskürzungen. Diese führen nicht nur dazu, dass mehr Menschen
hungern und unter gesundheitlichen Folgeschäden leiden, sondern sie bedeuten
auch mehr Stress und psychische Belastung für gefährdete Familien und Kinder.
Schutzprobleme nehmen zu, da beispielsweise Kinderheirat und Kinderarbeit
häufig als Überlebensstrategien eingesetzt werden. Lebensrettende Unterstützung
muss gewährleistet werden, um diese negativen Folgen zu verhindern und ihnen
entgegenzuwirken.”
Die Umfrage zeigt einen
alarmierenden Anstieg von sexueller Gewalt, Kinderarbeit und Kinderhandel. Fast
ein Drittel der befragten Eltern sind der Meinung, dass die
Nahrungsmittelkürzungen Mädchen in die Kinderheirat treiben, in Afghanistan
sind es sogar 97 Prozent der Eltern. Und in der Bidi Bidi-Flüchtlingssiedlung
in Uganda berichteten 75 Prozent der Familien, dass sie einen direkten
Zusammenhang zwischen der Zunahme von sexueller Gewalt und Schulabbrüchen von
Mädchen aufgrund von Schwangerschaften sehen.
Mary Njeri, Direktorin der
Global Hunger Response von World Vision: „Wir müssen die dringend notwendige
Hilfe aufstocken, die Kinder und ihre Familien zum Überleben in
Fluchtsituationen brauchen. Langfristige Unterstützung von Geflüchteten und
aufnehmenden Gemeinden ist ebenfalls unerlässlich, damit die Kinder wieder zur
Schule gehen und die Familien wieder Landwirtschaft betreiben, Arbeit finden
und sich selbst versorgen können.“
Njeri fügt hinzu: „Wir
brauchen nicht nur mehr Nahrungsmittelhilfe, sondern auch bessere Unterstützung
in den Bereichen Bildung, psychische Gesundheit und Schutz für besonders stark
gefährdete Familien, um eine Epidemie psychischer Erkrankungen zu
verhindern.
Die Ergebnisse zeichnen ein
ernüchterndes Bild: So gibt mehr als jeder zehnte Erwachsene (13 Prozent) an,
sich so hoffnungslos zu fühlen, dass er nicht mehr weiterleben will.
„Der Hunger tötet die
Menschen nicht nur durch Unterernährung, sondern auch durch psychische
Erkrankungen“, fasst Njeri zusammen. „Wir wissen, dass es Kindern und ihren
Familien mit der richtigen Unterstützung gut gehen kann. Im 21. Jahrhundert
sollte niemand mehr hungern müssen. Die Staats- und Regierungschefs der Welt
müssen dringend ihre Bemühungen um die Beilegung von Konflikten und die
Bewältigung der Folgen des Klimawandels beschleunigen und den betroffenen
Kindern und Familien die notwendige humanitäre Unterstützung zukommen lassen.“
Weitere Informationen und der
Report zum Download:
https://www.dropbox.com/scl/fi/gi9u1vdcbaek9owvniw86/WorldVision_Bericht_Hunger_World_Refugee_Day_2024.pdf?rlkey=m3rtqytiacb0ur6f8wq7p6hh3&st=z0zrjoyz&dl=0
https://www.worldvision.de/informieren/ueber-world-vision/publikationen/bericht-weltfluechtlingstag-hunger WV
13
EU-Kommission legt Umsetzungsplan
für EU-Asylreform vor
Die EU-Asylreform ist
verabschiedet. Aber noch stehen die neuen Regeln nur auf Papier, die Umsetzung
werde eine Herkulesaufgabe, erklärte die EU-Kommission. Sie will den
Mitgliedsstaaten unter die Arme greifen. Dem umstrittenen Ruanda-Modell erteilt
sie eine Absage.
Nach der Einigung auf eine
Verschärfung des EU-Asylrechts hat die EU-Kommission einen umfassenden Plan für
die Umsetzung des Gesetzespaketes für die kommenden zwei Jahre vorgelegt. Die
Reform umfasse Tausende von Seiten, sie zum Leben zu erwecken, sei eine
„Herkulesaufgabe“, sagte EU-Kommissar Margaritis Schinas am Mittwoch in
Brüssel. Als Hilfestellung lege die Kommission einen Arbeitsplan für die
Umsetzung vor und unterstütze die Staaten mit zusätzlichen 3,6 Milliarden Euro
allein aus dem Haushalt der EU-Generaldirektion für Migration und Inneres.
Nach jahrelangen
Verhandlungen hatte die EU die umstrittene Reform des EU-Asylsystems im Mai
final beschlossen. Das Gesetzespaket enthält zehn Bausteine und sieht unter
anderem vor, dass Asylsuchende mit geringer Bleibechance schneller und direkt
von den EU-Außengrenzen abgeschoben werden. Dahinter stehen die sogenannten
Grenzverfahren. Geplant ist außerdem ein Solidaritätsmechanismus zur Verteilung
von Schutzsuchenden. Wollen Staaten keine Flüchtlinge aufnehmen, können sie
auch finanzielle Hilfe leisten.
Umsetzungsfrist: 11. Juni
2026
Die EU-Asylreform ist am
Montag in Kraft getreten. Die EU-Staaten müssen sie bis zum 11. Juni 2026
umsetzen. Die Kommission will die Fortschritte bei der Umsetzung der Reform
genau überwachen und dem Europäischen Parlament und dem Rat, dem Gremium der
Staats- und Regierungschefs, regelmäßig Bericht erstatten. Der Plan für die
Umsetzung soll den Mitgliedsstaaten am Donnerstag vorgelegt werden. Auf dieser
Grundlage sollen diese dann bis Dezember nationale Umsetzungspläne vorlegen.
Formal enthalte die Reform
keine Vorgaben zur Zusammenarbeit mit Drittstaaten außerhalb der EU. Die
Kommission halte diese „externe Dimension“ der Migrationspolitik aber für einen
fundamentalen Bestandteil des europäischen Migrationssystems, sagte Schinas.
Die aktuelle Kommission habe in dieser Hinsicht einen Paradigmenwechsel angestoßen.
Absage an das britische
Ruanda-Modell
Dem sogenannte
„Ruanda-Modell“ der britischen Regierung zur Auslagerung von Asylverfahren
erteilte er dagegen eine Absage. Das Modell sei nicht vereinbar mit
europäischem Recht. „Das ist eine Linie, von der ich mir wünsche, dass die EU
sie nicht übertritt. Wir sind eine EU der Werte und das definiert uns“, sagte
Schinas. In Deutschland hatten FDP- und Unionspolitiker Interesse an dem
britischen Modell gezeigt.
Einige EU-Staaten haben
bereits angedroht, die neuen Regeln der EU-Asylreform nicht umsetzen zu wollen,
etwa die neue rechte Regierung um Geert Wilders in den Niederlanden. Die
Verhandlungen seien beendet und die Reform gültiges EU-Recht, betonte Schinas.
„Wir sind zuversichtlich, dass die Umsetzung funktioniert.“ (epd/mig 13)
UNHCR: Weltweite Vertreibung
erreicht historischen Höchststand
Es sind alarmierende Zahlen:
Über 120 Millionen Menschen sind laut dem Flüchtlingshilfswerk der Vereinten
Nationen (UNHCR) heute auf der Flucht. Diese Zahl entspricht etwa der
Bevölkerungsgröße Japans.
Aus dem am Donnerstag
veröffentlichten Global Trends Report geht hervor, dass sich die Zahl der
gewaltsam Vertriebenen in den letzten zehn Jahren verdoppelt hat. Ein
wesentlicher Aspekt für diese Entwicklung sind die aufkommenden gewaltsamen
Konflikte auf der ganzen Welt. So zum Beispiel im Sudan: Ende 2023 flüchteten
10,8 Millionen Menschen aufgrund der Gewalt im Land. In der Demokratischen
Republik Kongo und Myanmar wurden Millionen durch Kämpfe vertrieben. In Gaza
wurden bis Ende letzten Jahres 1,7 Millionen Menschen gewaltsam vertrieben.
Syrien bleibt mit 13,8 Millionen Vertriebenen die größte Krise.
Zahl der Schutzsuchenden
steigt
„Hinter diesen Zahlen
verbergen sich unzählige menschliche Tragödien. Dieses Leid muss die
internationale Gemeinschaft dazu bewegen, dringend die Ursachen der Vertreibung
anzugehen“, bekräftigte Filippo Grandi, der UN-Hochkommissar für Flüchtlinge.
Die Zahl der Flüchtlinge und Schutzsuchenden stieg auf 43,4 Millionen. Die
meisten Flüchtlinge werden in Nachbarländern aufgenommen, wobei 75 Prozent in
Ländern mit niedrigem und mittlerem Einkommen leben.
Rückkehr und Neuansiedlung
geben Hoffnung
Der Bericht zeigt jedoch
auch, dass 2023 mehr als 5 Millionen Binnenvertriebene und 1 Million
Flüchtlinge in ihre Heimat zurückkehrten. Außerdem ist auch die Zahl der
Neuansiedlungen im Jahr 2023 auf fast 160.000 gestiegen. „Flüchtlinge und die
Gemeinschaften, die sie aufnehmen, brauchen Solidarität und Unterstützung“,
appelierte Grandi. „Lösungen gibt es – Länder wie Kenia zeigen den Weg bei der
Integration von Flüchtlingen – aber es braucht echte Verbindlichkeit und echtes
Engagement.“
Hintergrund
Das UNHCR veröffentlicht
jedes Jahr zwei statistische Berichte über weltweite Vertreibungen, den Global
Trends Report und den Mid-Year Trends Report. Der Global Trends Report, der
jährlich im Juni erscheint, analysiert Veränderungen und Trends bei den
Vertriebenen im vorangegangenen Kalenderjahr (vom 1. Januar bis zum 31.
Dezember). Er enthält Schlüsselstatistiken über die weltweite Anzahl von
Flüchtlingen, Asylbewerbern, Binnenvertriebenen und Staatenlosen sowie über
ihre wichtigsten Aufnahme- und Herkunftsländer. (unhcr 13)
Anerkennung von Vaterschaften
künftig nur mit Ok der Ausländerbehörde
Die Anerkennung einer
Vaterschaft führt bei einem ausländischen Elternteil in der Regel zu einem
Aufenthaltsrecht in Deutschland. Die Bundesregierung befürchtet trotz geringer
Fallzahlen, dass das missbraucht wird. Ein neues Gesetz soll das verhindern.
Experten üben scharfe Kritik: Generalverdacht und Diskriminierung.
Die Anerkennung von Vaterschaften
mit ausländischen Beteiligten soll künftig strenger kontrolliert werden. Das
Bundeskabinett brachte am Mittwoch in Berlin ein Gesetz auf den Weg, das
sogenannte missbräuchliche Vaterschaftsanerkennungen besser verhindern soll.
Diese haben allein zum Ziel, Mutter oder Vater sowie dem Kind ein
Aufenthaltsrecht in Deutschland zu verschaffen. Die geltenden Regeln zur
Verhinderung dieses Missbrauchs seien nicht effektiv genug, hieß es zur
Begründung.
Täuschungen und
Rechtsmissbrauch, um an ein Aufenthaltsrecht in Deutschland zu kommen, werde
ein deutlicher Riegel vorgeschoben, erklärte Bundesinnenministerin Nancy Faeser
(SPD). Auch der damit verbundene missbräuchliche Bezug von Sozialleistungen
solle damit gestoppt werden. Bundesjustizminister Marco Buschmann (FDP) sagte,
die geplante Gesetzesänderung stehe beispielhaft für eine „neue Realpolitik in
der Migration“. Innen- und Justizministerium haben den Entwurf gemeinsam
erarbeitet.
Vaterschaft nur mit
Zustimmung der Ausländerbehörde
Demzufolge soll künftig gelten,
dass für die Anerkennung der Vaterschaft die Zustimmung der Ausländerbehörde
erforderlich ist, wenn Vater oder Mutter die deutsche Staatsbürgerschaft oder
ein sicheres Aufenthaltsrecht haben, der Partner oder die Partnerin aber nur
ein befristetes Bleiberecht oder eine Duldung. Die Zustimmung soll versagt
werden, wenn Missbrauch vermutet wird, etwa weil sich die vermeintlichen Eltern
erst kürzlich kennengelernt haben oder der vermeintliche Vater schon mehrfach
Vaterschaften von Kindern ohne deutsche Staatsbürgerschaft anerkannt hat.
Umgekehrt soll die Zustimmung
erteilt werden, unter anderem wenn ein Vaterschaftstest vorliegt, die Eltern
seit mindestens einem halben Jahr zusammenwohnen oder nach der Geburt des
Kindes geheiratet haben. Stellt sich nach einer Zustimmung heraus, dass sie auf
falschen Tatsachenangaben beruhte oder Mitarbeitende der Ausländerbehörden
bedroht oder bestochen wurden, kann die Zustimmung auch nachträglich innerhalb
einer fünfjährigen Frist zurückgenommen werden. Die Vaterschaft würde dann
rückwirkend entfallen.
900 Verdachtsfälle pro Jahr
Die bisherige Regelung sieht
vor, dass die Stellen, die die Vaterschaft beurkunden, etwa ein Notar oder das
Jugendamt, die Anerkennung bei Missbrauchsverdacht aussetzen. Diese Stellen
könnten die relevanten Informationen aber schwer ermitteln, deshalb sei das
Verfahren nicht effektiv, hieß es aus dem Bundesinnenministerium.
Nach Angaben des Ministeriums
wurden in den Jahren 2018 bis 2021 insgesamt 1.769 Fälle bearbeitet, in denen
ein Missbrauch vermutet wurde. Bei nur rund 290 Fällen davon wurde aber
tatsächlich Missbrauch festgestellt. Weitere rund 1.800 Fälle seien in Auslandsvertretungen
geprüft worden, mit sehr geringer Quote an festgestellten Missbräuchen. Es
werde aber davon ausgegangen, dass die tatsächliche Zahl von Missbräuchen höher
ist, da durch das jetzige Verfahren vermutlich nicht jeder Missbrauch erkannt
würde, hieß es.
Familienverband kritisiert
Diskriminierung
Der Verband binationaler
Familien und Partnerschaften (iaf) kritisiert die Gesetzesverschärfung. Aus
menschenrechtlicher Perspektive erscheine angesichts der geringen Fallzahl eine
Gesetzesverschärfung in diesem Ausmaß „sehr bedenklich“, heißt es in einer
Stellungnahme des Verbandes an die beiden zuständigen Ministerien, die dem
MiGAZIN vorliegt. Bei umgerechnet 73 Fällen pro Jahr sei es „unverhältnismäßig,
eine derart große Bevölkerungsgruppe unter Generalverdacht zu stellen“.
Der iaf sieht in dem Gesetz
„eine deutliche Diskriminierung von Menschen mit Migrationsgeschichte aufgrund
des Aufenthaltsstatus“, heißt es in der Stellungnahme. „Der derzeitige
ausschließlich mit negativen Konnotationen geführte Migrationsdiskurs scheint
bei dem vorliegenden Referentenentwurf Pate gestanden zu haben“, so der iaf
weiter. (epd/mig 13)
Weidel, Le Pen, Meloni & Co. Rechts
auf dem Vormarsch: Was die Europawahl für die EU bedeutet
Aus Sicht der
Regierungsparteien in Deutschland war die Europawahl ein Debakel. Rechte können
hingegen feiern. Nun stellt sich die Frage nach möglichen Bündnissen. Geben
jetzt Weidel, Le Pen, Meloni und Co. den Ton an? Von Ansgar Haase, Rachel
Boßmeyer und Christoph Sator
Deutschland, Frankreich,
Italien und Spanien: In fast allen großen EU-Staaten haben rechte Parteien bei
der Europawahl deutlich zugelegt. Doch wird sich das wirklich auf die Politik
in Brüssel auswirken? Fragen und Antworten im Überblick:
Nein. Der Kurs der EU wird in
erster Linie vom Europäischen Rat vorgegeben, dem Gremium der 27 Staats- und
Regierungschefs. Dort ändert sich durch die Europawahl erst einmal nichts. In
dem Rat, der regelmäßig zu Gipfeln zusammenkommt, sind derzeit die Parteien des
Mitte-Rechts-Bündnisses EVP mit aktuell 13 Staats- und Regierungschefs klar
stärkste politische Kraft. Danach kommen die Lager der Sozialdemokraten und der
Liberalen. Klare Rechtsaußen-Politiker im Rat sind bislang nur Italiens
Ministerpräsidentin Giorgia Meloni und Ungarns Regierungschef Viktor Orbán.
Im Europaparlament bleibt die
EVP ebenfalls deutlich stärkste politische Kraft. Selbst wenn sich alle rechten
Parteien zusammenschlössen, kämen sie voraussichtlich auf weniger als 200 der
künftig 720 Sitze – weit entfernt von einer eigenen Mehrheit. Das bedeutet
auch, dass EVP-Spitzenkandidatin Ursula von der Leyen rein rechnerisch nicht
auf Stimmen aus dem Rechtsaußen-Lager angewiesen ist, um eine zweite Amtszeit
als Kommissionspräsidentin zu bekommen. Eigentlich reicht eine informelle
Zusammenarbeit mit Sozialdemokraten und Liberalen aus, wie bereits 2019 vor der
damaligen Wahl von der Leyens vereinbart.
Wie geht es mit der AfD im
Europaparlament weiter?
Das ist noch unklar. Die
bisherigen AfD-Abgeordneten wurden kurz vor der Europawahl aus der
rechtsnationalen ID-Fraktion ausgeschlossen. Hintergrund waren Äußerungen des
AfD-Spitzenkandidaten Maximilian Krah zur SS der Nationalsozialisten und eine
China-Spionageaffäre um einen seiner Mitarbeiter. Am Montag beschlossen die
anderen neu gewählten AfD-Abgeordneten, Krah gar nicht erst in ihre neue
Delegation aufzunehmen. Dies könnte den Weg für eine Zusammenarbeit mit anderen
Rechtsparteien wieder freimachen. Infrage kommen dafür etwa die Fratelli d’Italia
(Brüder Italiens) von Meloni und die französische Partei Rassemblement National
um Marine Le Pen – beide in ihren Ländern klare Wahlsieger.
Könnte es zur Gründung einer
neuen großen Rechtsaußen-Fraktion kommen?
Auch das ist noch ungewiss.
Le Pen wirbt derzeit zwar bei Meloni für eine Vereinigung, um die zweitgrößte
Fraktion im Europäischen Parlament zu bilden. Dagegen spricht, dass Meloni auch
von der mächtigen EVP umworben wird. Für eine zumindest lose Zusammenarbeit mit
der EVP spricht aus Sicht der Italienerin, dass sie dann deutlich näher am
Machtzentrum der EU wäre. Geht Meloni hingegen eine enge Allianz mit Le Pen
ein, dürfte dies einer Zusammenarbeit mit der EVP entgegenstehen – Le Pen wird
von der EVP noch immer als EU-feindlich, Russland-nah und rechtsextrem
verteufelt – trotz deren Bemühungen, sich von ihrem Vater Jean-Marie Le Pen zu
distanzieren.
Welche Rolle spielt Le Pen
künftig auf EU-Ebene?
Die Rechtsnationale sieht
sich durch das gute Abschneiden bei der Europawahl klar im Aufwind, allerdings
mehr noch auf nationaler Ebene als auf europäischem Parkett. Sie wird weder ins
EU-Parlament einziehen noch bei den Treffen der Staats- und Regierungschefs
dabei sein – und daher eher indirekt Einfluss nehmen. Das Wahlergebnis sieht
sie als klaren Auftrag, Europa zu verändern. Sie will mehr Mitsprache der
Nationalstaaten, sich von Brüssel bei der Migrationspolitik nicht reinreden
lassen und die Handelspolitik protektionistischer gestalten. Deutlich mehr
Gewicht könnte die Stimme der 55-Jährigen bekommen, wenn ihre Partei die
vorgezogene Parlamentswahl in Frankreich in diesem Sommer gewinnt und Präsident
Emmanuel Macron gezwungen wäre, einen Regierungschef aus ihren Reihen zu
ernennen.
Und was ist mit Meloni?
Die 47-Jährige ist die neue
starke Frau Europas: Seit Angela Merkel war keine Regierungschefin in der EU
mehr so mächtig. Mit dem Wahlsieg ihrer Fratelli d’Italia, die im Unterschied
zu den meisten anderen Regierungsparteien in der EU nochmals zulegen konnte,
hat Meloni noch einmal an Einfluss gewonnen. Das wird man diese Woche schon
beim G7-Gipfel der großen Industrienationen merken, wenn die Italienerin
Gastgeberin ist. Dann geht es auch um die Frage, ob sie von der Leyen
unterstützt. Im Vergleich zu den Wahlverlierern Olaf Scholz und Macron steht sie
bestens da.
Immer noch wird gerätselt,
wie viel Gedankengut Meloni von ihren postfaschistischen Anfängen behalten hat.
Ist sie tatsächlich in die Mitte gerückt – oder tut sie nur so? In der
Außenpolitik hat sie sich bislang als zuverlässige Partnerin bewiesen. Mit
großem Interesse wird auch verfolgt, ob sie nun eine größere Nähe zur Le Pen
suchen wird. Wird das Partnerschaft oder Konkurrenz? Denn wenn Le Pen die
Parlamentswahl in Frankreich gewinnt, könnte es mit Melonis Stellung als klare
Nummer eins der Rechten in Europa schon wieder vorbei sein.
Dürfte die EU dauerhaft nach
rechts rücken?
Dies ist vor allem davon
abhängig, wie die nächsten Wahlen in den Mitgliedstaaten verlaufen. Nach den
Erfolgen der FPÖ bei der Europawahl ist denkbar, dass die rechte Partei dort
auch die nächste Parlamentswahl gewinnt und dann auch den österreichischen
Bundeskanzler stellt. Ganz entscheidend dürfte zudem sein, ob es Le Pen
gelingt, 2027 in Frankreich Präsidentin zu werden. Dass rechte Parteien nicht
überall einen Lauf haben, zeigte sich zuletzt in Polen, wo die rechtsnationale
PiS die Macht im vergangenen Jahr an ein Bündnis um den früheren
EU-Ratspräsidenten Donald Tusk abgeben musste. Gegen den Trend geht es zudem
auch in Ungarn: Dort musste die Fidesz-Partei von Orbán am Sonntag ihr bisher
schlechtestes Ergebnis bei einer Europawahl hinnehmen.
MiG 12
Frustration und Rassismus. Warum
die Jugend so oft rechts gewählt hat
Bei dieser Europawahl durften
erstmals junge Menschen ab 16 mitmachen. Das Ergebnis zeigt: Die jungen
Menschen haben häufig AfD gewählt, die Grünen sind dagegen abgerutscht. Warum?
Von Fatima Abbas
Sie sind jung, politisch
interessiert und begeistert von der AfD: Bei der Europawahl haben deutlich mehr
junge Wähler als 2019 ihr Kreuzchen bei der Partei gemacht, deren
Spitzenkandidaten zuletzt vor allem durch Skandale aufgefallen waren. Auch die
Union konnte bei den 16- bis 24-Jährigen zulegen – im Gegensatz zu den
einstigen Lieblingen der Jugend, den Grünen, und der FDP. Sind junge Wähler
„rechter“ als andere?
Elf Prozentpunkte mehr für
die AfD
17 Prozent der teilnehmenden
16- bis 24-Jährigen wählten diesmal CDU oder CSU – bei der vorangegangenen
Europawahl 2019 waren es noch 12 Prozent, ein Plus also von fünf
Prozentpunkten. Für die AfD haben in der Altersgruppe 16 Prozent gestimmt – das
sind sogar satte elf Punkte mehr.
Experte: Junge Menschen sind
„grundfrustriert“
„Das hat mich gar nicht
überrascht“, sagt der Hamburger Politikberater und Social-Media-Experte Martin
Fuchs. Er nehme bei jungen Leuten schon länger eine „Grundfrustration“ wahr.
Das habe schon zu Zeiten der Finanzkrise begonnen und sich bis nach der
Corona-Pandemie durchgezogen: Es seien immer die Jüngeren gewesen, für die „am
wenigsten Politik gemacht“ worden sei. Ein weiterer Grund sei der Umgang der
Bundesregierung mit Kriegen und Krisen. Der habe zu einer „maximalen
Ernüchterung“ auch von Anhängern progressiver Ideen geführt, analysiert Fuchs.
Die AfD habe hier einfache Antworten zu bieten. „Populismus ist anschlussfähig
– nicht nur bei jungen Leuten.“
Den Erfolg der Union erklärt
Fuchs auch mit der Arbeit von CDU-Chef Friedrich Merz. Der habe es geschafft,
seine Partei zu einen und jungen Wählern das Gefühl zu vermitteln, dass es auch
jenseits der Ampel-Koalition eine demokratische Alternative gibt.
„Struktureller Rassismus“
helfe der AfD
Und dennoch bleibt die Frage:
Warum wählt ein Teil der jungen Menschen dann nicht eher die Union und letztendlich
doch die AfD – eine Partei, die vom Verfassungsschutz als rechtsextremer
Verdachtsfall und in drei Ländern sogar als gesichert rechtsextrem eingestuft
wird? „Junge Menschen sind nicht unbedingt links-progressiv eingestellt,
sondern haben auch teilweise ein vielleicht antisemitisches, rassistisches
Weltbild“, sagt Fuchs. Einigen sei die CDU „zu mittig“ und „zu wenig
nationalistisch“. Die AfD habe es geschafft, das Potenzial von strukturellem
Rassismus in Deutschland zu heben – dieser sei schon seit 20, 25 Jahren durch
Studien belegt. Das Sylt-Video mit „Ausländer-Raus“-Parolen sei nur die Spitze
des Eisbergs.
Der Erfolg der AfD gehe
darüber hinaus nicht allein auf deren Dauerpräsenz auf Plattformen wie TikTok
zurück. Beim Wahlkampf hätten die anderen Parteien auch große Fehler gemacht.
Sie hätten sich an den rechten Kräften „abgearbeitet“ und in der Kommunikation
darauf fokussiert, Rechtsextreme im EU-Parlament zu verhindern. Diese Strategie
sei nicht aufgegangen. Dadurch hätten nicht nur junge Menschen erst recht die
AfD gewählt. „Das ist dann eine Art Trotzreaktion“, die auch durch das immer
wieder von der Partei bediente „Opfernarrativ“ verstärkt werde.
Experte: Absturz der Grünen
auch durch Regierungsbeteiligung
Die schwerste Niederlage bei
den Jüngeren mussten die Grünen einstecken: 23 Prozentpunkte Verlust seit der
letzten Wahl. Nur noch elf Prozent der Wählerinnen und Wähler zwischen 16 und
24 Jahren entschieden sich für die Partei, die einst neben der FDP als Magnet
für junge Menschen galt und als Garant für gute Klimaschutzpolitik.
Der Politikwissenschaftler
Thorsten Faas verweist zwar darauf, dass das Thema Klima in der medialen
Wahrnehmung jüngst nicht mehr so präsent war wie beispielsweise Migration. Eine
generelle „Klima-Müdigkeit“ sieht er aber nicht. Die Europawahl habe vor allem
eines gezeigt: „Keine Gruppe hat so heterogen gewählt wie die Gruppe junger
Menschen.“ Das zeige sich auch am Zuspruch zu Volt und anderen Kleinstparteien.
In den westdeutschen Groß- und Universitätsstädten sei Volt mit einer
progressiven Agenda verstärkt in die „Lücke gestoßen, die die Grünen
hinterlassen haben“, analysiert Faas. Seit der letzten Wahl 2019 habe die grüne
Regierungsbeteiligung bei jungen Leuten teilweise Enttäuschung hervorgerufen.
Debatten wie die um das „Heizungsgesetz“ hätten „extrem polarisiert“ und den
Grünen geschadet.
Luisa Neubauer von Fridays
for Future findet „Jugend-Bashing“ dagegen nicht angezeigt. Zwar seien die
AfD-Ergebnisse „erschütternd“. Viele junge Menschen hätten sich „trotz Rechtsrucks“
aber auch für den Klimaschutz entschieden, sagt Neubauer der dpa.
„Zusammengerechnet haben Volt und Grüne – die beiden Parteien, die offensiv mit
Klimaschutz Wahlkampf gemacht haben, mehr Prozent von den unter 24-Jährigen
bekommen als die AfD.“ Und in der Tat: Grüne und Volt kämen laut
Forschungsgruppe Wahlen zusammen auf 20 Prozent.
Rolle des Wahlalters 16
Was die Wahlforscher aus
Mannheim indes nicht separat aufgeschlüsselt haben: das Abschneiden der
Erstwähler – also nur das Wahlverhalten derjenigen, die dieses Mal zum ersten
Mal wählen durften. Zur Erinnerung: Bei dieser Europawahl durften junge
Menschen erstmals ab 16 Jahren wählen. Eine separate Auswertung für diese
spezifische Gruppe sei auch ihm nicht bekannt, sagt der Politikexperte Faas. Es
sei aber klar gewesen, dass von der Senkung des Wahlalters nicht nur jene
Parteien profitieren würden, die sich auch dafür eingesetzt hätten – sprich
FDP, SPD, Linke und Grüne. Nun zu sagen „Das war alles ein Riesenfehler“ findet
der Experte falsch. Und bei SPD und Grünen sieht es die Führung trotz aller
Stimmenverluste genauso. Dadurch würde auch die Bedeutung dieser Gruppe
überschätzt, sagt Faas. (dpa/mig 12)
Studie. Rassismus am Arbeitsplatz
weit verbreitet
Rechtsextreme Einstellungen
am Arbeitsplatz sind in Deutschland weit verbreitet – sanktioniert werden sie
nur ganz selten. Das geht aus einer Studie hervor. Experten appellieren an
Entscheider und warnen vor den unternehmerischen Folgen.
Rechtsextremismus macht auch
vor Werktoren, Büroräumen oder dem Einzelhandel nicht halt: In Deutschland hat
jeder dritte Beschäftigte rechtsextreme Einstellungen am Arbeitsplatz
wahrgenommen. Das ergab eine repräsentative Civey-Umfrage im Auftrag von
„Gesicht Zeigen!“. Demnach ist fast jeder zehnte Beschäftigte als Opfer
rechtsextremer Einstellungen am Arbeitsplatz persönlich betroffen.
„Die Zahlen zeigen, dass
Unternehmen handeln müssen“, sagt Geschäftsführerin Sophia Oppermann. Zudem
wünschten die Beschäftigten nicht nur eine klare Positionierung der
Unternehmen, sondern auch entschiedenes Handeln. Fast zwei Drittel derer, die
rechtsextreme Vorfälle wahrgenommen haben, wünschen sich mehr Engagement
seitens der Arbeitgeber. Bei denjenigen, die keine rechtsextremen Einstellungen
wahrnahmen, sind es nur knapp ein Viertel.
Die Studie zeigt jedoch ein
ernüchterndes Bild: Reaktionen oder Sanktionen der Unternehmen bei
rechtsextremen Vorfällen gibt es nur ganz selten. In nur weniger als einem von
fünf Fällen wurden den Angaben zufolge Maßnahmen ergriffen. Wurden sie jedoch
ergriffen, waren diese oft effektiv: „Rund drei Viertel gaben an, dass die
ergriffenen Maßnahmen erfolgreich waren und sich rechtsextreme Vorfälle nicht
wiederholten“, heißt es. Auch der Wunsch nach mehr Engagement oder
Fortbildungen nehme zu, wenn rechtsextreme Einstellungen im Unternehmen
wahrgenommen wurden.
Unternehmen unterschätzen
Gefahr durch Rechtsextremismus
Umgekehrt wirken sich
rechtsextreme Einstellungen am Arbeitsplatz nach Ansicht einer deutlichen
Mehrheit der Beschäftigten negativ auf das Betriebsklima aus. Ein gutes Drittel
sieht Schwierigkeiten bei der Fachkräfte-Gewinnung und -Sicherung. Dennoch ist
jeder fünfte Beschäftigte und jeder dritte Entscheider der Meinung, dass die
Verbreitung rechtsextremer Einstellungen keinerlei Auswirkungen auf
Arbeitsplatz, Ruf des Unternehmens oder Fachkräfte-Sicherung habe. Hier zeigt
sich laut Oppermann, dass die Gefahr durch Rechtsextremismus häufig
unterschätzt wird.
Für die Studie befragte das
Meinungsforschungsunternehmen Civey zwischen Januar und Februar 2024 in einer
repräsentativen Online-Umfrage 2.500 abhängig Beschäftigte und 2.000
privatwirtschaftliche Entscheider. Auftraggeber war „Gesicht Zeigen!“, eine
Initiative, die Menschen ermutigt Menschen, aktiv zu werden gegen Rassismus.
(mig 12)
Rechte im Aufwind. Vier Folgen der
Europawahl
Bei den Europawahlen haben
Parteien der Ampel-Koalition deutlich verloren, die Union geht als stärkste
Kraft aus den Wahlen hervor. Deutlich gewonnen hat die AfD. Gewählt wurde auch
im Osten Deutschlands. Wie geht es jetzt weiter? Fragen und Antworten nach der
Europawahl.
Nach der Europawahl feiern
vor allem die rechten Parteien. So sind etwa in Österreich und Frankreich die
Rechtspopulisten stärkste Kraft geworden. Auch in Deutschland verbuchte die AfD
Gewinne und landete im Osten sogar auf Platz eins. Die Ampel-Koalition unter
Führung von Kanzler Olaf Scholz (SPD) fuhr eine Pleite ein – kein gutes Omen
für die Landtagswahlen im Herbst in drei ostdeutschen Bundesländern.
Nach dem von der
Bundeswahlleiterin am frühen Montagmorgen bekanntgegebenen vorläufigen
amtlichen Ergebnis steigert sich die Union leicht auf 30,0 Prozent (2019:
28,9). Die AfD erreicht mit 15,9 ihr bislang bestes Ergebnis bei einer
bundesweiten Abstimmung (2019: 11) – es fällt allerdings niedriger aus als
zwischenzeitliche Umfragewerte. In Ostdeutschland ist die Partei mit großem
Abstand stärkste Kraft. Die SPD, die im Wahlkampf auch auf Kanzler Olaf Scholz
als Zugpferd setzte, fällt auf 13,9 Prozent (15,8) – ihr schlechtestes Ergebnis
bei einer bundesweiten Wahl überhaupt. Die Grünen rutschen ab auf 11,9 Prozent
(20,5). Nur leicht verliert die FDP, die auf 5,2 Prozent (5,4) kommt.
Die Linke landet bei mageren
2,7 Prozent (5,5) – ihr schlechtestes Ergebnis bei Europawahlen. Die Partei BSW
erreicht aus dem Stand 6,2 Prozent. Die Freien Wähler kommen auf 2,7 Prozent
(2,2), die Partei Volt liegt bei 2,6 Prozent (0,7).
Bei der Europawahl in
Deutschland gilt anders als bei Bundestags- und Landtagswahlen keine
Sperrklausel, also etwa eine Fünf-Prozent-Hürde. Die Wahlbeteiligung erreichte
mit 64,8 Prozent einen neuen Höchstwert seit der Wiedervereinigung. 2019 waren
es 61,4 Prozent, damals lag Deutschland auf Platz 5 im Vergleich der 27
EU-Staaten. Bei der ersten gesamtdeutschen EU-Wahl 1994 lag die Beteiligung bei
genau 60,0 Prozent, bei späteren Abstimmungen nur zwischen 40 und 50 Prozent.
Erstmals durften in Deutschland bei einer Europawahl auch 16- und 17-Jährige
abstimmen.
Antworten auf vier Fragen,
die sich nach dem Ergebnis stellen:
Könnte es nach den
Landtagswahlen in Thüringen, Sachsen und Brandenburg einen
AfD-Ministerpräsidenten geben?
Wenn die AfD Ergebnisse holt
wie jetzt bei der Europawahl, könnte sie knapp an dieses Ziel herankommen – und
ganz ausgeschlossen ist es zumindest in Sachsen nicht. Würden die
Landtagswahlergebnisse im Freistaat so ähnlich ausfallen wie jetzt bei der
Europawahl, könnte es theoretisch passieren, dass nur AfD, CDU und Bündnis
Sahra Wagenknecht (BSW) in den Landtag einziehen und alle anderen an der
Fünf-Prozent-Hürde scheitern. Würden nun CDU und BSW auch noch weniger Sitze
als die AfD erringen, was beim Blick auf das Europawahlergebnis ebenfalls nicht
ausgeschlossen scheint, könnten sie die Wahl eines AfD-Ministerpräsidenten
nicht verhindern.
Wie gefährlich ist das Wahlergebnis
für Scholz und die Ampel?
Der französische Präsident
Emmanuel Macron machte am Wahlabend kurzen Prozess. Nur eine Stunde nach
Verkündung der krachenden Wahlniederlage seines Mitte-Blocks gegen die
Rechtsnationale Marine Le Pen kündigte er kurzerhand eine Neuwahl des
Parlaments an, die schon in drei Wochen stattfinden soll. „Ich kann also am
Ende dieses Tages nicht so tun, als ob nichts geschehen wäre“, sagte er.
Wäre das auch was für
Bundeskanzler Olaf Scholz, der mit seiner SPD das bisher schlechteste Ergebnis
bei einer bundesweiten Wahl eingefahren hat? Die Union fordert von ihm bereits,
die Vertrauensfrage zu stellen. Und dafür gäbe es auch ein historisches
Vorbild: 2005 machte der damalige SPD-Kanzler Gerhard Schröder nach einer
Wahlniederlage in Nordrhein-Westfalen genau das, um eine Neuwahl des Bundestags
zu erwirken.
Scholz ist allerdings nicht
der Typ, der einfach mal so hinwirft. Am Wahlabend schlenderte er demonstrativ
gelassen über die Wahlparty im Berliner Willy-Brandt-Haus und machte in aller
Ruhe Selfies mit den Genossen – als wenn nichts geschehen wäre. Die nächsten
Wochen könnten aber ungemütlich für ihn werden. SPD-Chef Lars Klingbeil lässt
bereits durchblicken, dass seine Partei nun eine härtere Gangart in der
Koalition einschlagen wird. Vielleicht dann ja auch mal auf Kosten des
Kanzlers. „Unsere Leute wollen uns kämpfen sehen“, sagte Klingbeil am
Wahlabend. Aber auch die Wahlschlappen der Grünen und der FDP werden der
Kompromissbereitschaft in der Koalition nicht zuträglich sein – und das mitten
in schwierigen Haushaltsverhandlungen, die bis zum 3. Juli abgeschlossen werden
sollen. Der Ampel dürften also turbulente Wochen bevorstehen.
Wird CDU-Chef Friedrich Merz
jetzt Kanzlerkandidat der Union?
Das ist noch offen.
Zurücklehnen kann sich Merz jedenfalls nicht. Zwar ist angesichts des klaren
Unionssiegs nicht unbedingt zu erwarten, dass direkt am Montag eine
unionsinterne Debatte losbricht, ob der 68 Jahre alte Sauerländer tatsächlich
der richtige Kandidat wäre, um Scholz nach der nächsten Bundestagswahl
abzulösen. Aber ausgeschlossen ist das nicht. Schon lange wird Merz
beispielsweise vorgeworfen, er komme weder bei Jüngeren noch bei Frauen gut an.
Laut einer Analyse der
Forschungsgruppe Wahlen vom Sonntag liegt die AfD in der Gruppe der 16- bis
24-Jährigen mit 17 Prozent gleichauf mit der Union, die von den Jungen nur gut
halb so viele Stimmen wie insgesamt bekommt. Gut möglich, dass in der Union
auch über den Kurs von Merz bei Sicherheit und Migration diskutiert wird. Laut
einer vorläufigen Analyse der Wählerwanderung von Infratest Dimap für die ARD
sind von der Union zur AfD 600.000, zum BSW (Bündnis Sahra Wagenknecht) 250.000
und zu den Nichtwählern 1,28 Millionen Menschen abgewandert. Auch das könnte
Merz mit angekreidet werden.
Offen bleibt dabei, warum die
Wähler abwandern. Merz fordert von der Bundesregierung strengere eine
Migrationspolitik und versucht selbst immer wieder mit rechtspopulistischen
Thesen über angeblich mangelnde Termine beim Zahnarzt wegen Geflüchteten oder
Auslassungen über „Paschas“ am rechten Rand zu punkten. Kritik beklagen, Merz
treibe mit dieser Rhetorik die Wähler zum Original, zur AfD. Anderen wiederum
ist Merz in der Migrationspolitik nicht scharf genug.
So oder so – in der K-Frage,
die CDU und CSU nach den Landtagswahlen im September entscheiden wollen, haben
die Wahlanalysen für Merz ebenfalls nicht wirklich Erfreuliches parat. So sind
laut Analyse der Forschungsgruppe Wahlen vom Sonntag zwar 66 Prozent der Bürger
mit der Bundesregierung unzufrieden – aber nur 30 Prozent meinen, dass CDU/CSU
die Sache besser machen würde. Weder Merz noch CSU-Chef Markus Söder können
sich demnach zudem beim Ansehen klar von Scholz absetzen.
Geben jetzt Le Pen, Meloni
und Co in der EU den Ton an?
Nein. Der Kurs der EU wird in
erster Linie vom Europäischen Rat vorgegeben und dort ändert sich durch die
Europawahl erst einmal nichts. Im Europäischen Rat, dem Gremium der Staats- und
Regierungschefs, stellen die Parteien des Mitte-Rechts-Bündnisses EVP derzeit
13 Mitglieder und sind damit mit Abstand das größte Lager.
Im Europaparlament bleibt die
EVP ebenfalls deutlich stärkste politische Kraft. Selbst wenn sich alle rechten
Parteien zusammenschließen würden, kämen sie voraussichtlich auf weniger als
200 der künftig 720 Sitze und wären damit von einer Mehrheit weit entfernt. Das
bedeutet, dass EVP-Spitzenkandidatin Ursula von der Leyen rein rechnerisch
nicht auf Stimmen aus dem Rechtsaußen-Lager angewiesen ist, um sich ein zweites
Mal zur Präsidentin der EU-Kommission wählen zu lassen.
360 Millionen Bürger waren
wahlberechtigt
In den 27 EU-Staaten waren
rund 360 Millionen Bürger wahlberechtigt, davon knapp 61 Millionen Deutsche.
Gewählt wurde von Donnerstag bis Sonntag – je nach Land – 720 Abgeordnete für
das neue Europäische Parlament, davon am letzten Tag 96 in Deutschland.
Abgesehen von der Parlamentswahl in Indien ist es die größte demokratische
Abstimmung weltweit – und die einzige Direktwahl über Staatsgrenzen hinweg.
(dpa/mig 11)
Rechte Parteien konnten bei
der Europawahl deutlich zulegen. Welche Auswirkungen hat ihr Erfolg auf die EU
und ihre Handlungsfähigkeit? Tobias Mörschel & Ingmar Naumann & Marco
Schwarz
Die jüngsten Wahlen zum
Europäischen Parlament haben die politische Landschaft in der Europäischen
Union (EU) verändert und nach rechts verschoben. Die europäischen Konservativen
(EVP) sind die klaren Gewinner dieser Wahlen, während Sozialdemokraten
(S&D) und Linke ihre Positionen weitgehend halten konnten. Verlierer sind
Grüne und Liberale, die über 40 Sitze im EP abgeben müssen, wohingegen die
rechtspopulistische (EKR) und die rechtsextreme (ID) Fraktion deutliche
Zugewinne verbuchen können. Welche Dynamik entwickeln die neuen
Kräfteverhältnisse und welche Auswirkungen hat dies auf die Arbeitsfähigkeit
des Europäischen Parlaments? Was bedeutet das Wahlergebnis für die neue
Europäische Kommission und ihr Arbeitsprogramm? Und welche Folgen werden diese
Veränderungen für die europäische Integration und auf Europa als Akteur in einer
multipolaren Welt haben?
Die zehnte Direktwahl zum
Europäischen Parlament fand in einer Zeit statt, in der sich die weltpolitische
Lage durch den russischen Angriffskrieg gegen die Ukraine deutlich gewandelt
hat. Gleichzeitig hatten noch nie in der Geschichte der EU rechte und
rechtsextreme Parteien einen so starken Einfluss in zahlreichen Staaten der EU.
Das Votum der Wählerinnen und Wähler erschwert traditionelle
Mehrheitsverhältnisse von Parteien der politischen Mitte und wird die Brüsseler
Konsensmaschine einem Stresstest unterziehen.
Wie geht es nun weiter? Mitte
Juni befasst sich der Europäische Rat beim Treffen der Staats- und
Regierungschefs zunächst inoffiziell und dann Ende des Monats offiziell mit der
Wahl seiner eigenen Spitze sowie mit der Besetzung der beiden anderen Topjobs
der EU: der Kommissionspräsidentin und des Außenbeauftragten der EU. Hierbei
wird eine Paketlösung angestrebt werden, welche die Mehrheitsverhältnisse im
Rat und im Parlament widerspiegelt – und wobei eine Wiederholung der
dysfunktionalen, geradezu toxischen Beziehung von Kommissionspräsidentin Ursula
von der Leyen und Ratspräsident Charles Michel, die die vergangenen fünf Jahre
die EU schwächte, unbedingt vermieden werden muss. Als neuer Ratspräsident wird
meist der Name des ehemaligen portugiesischen Ministerpräsidenten António Costa
genannt, während die estnische Premierministerin Kaja Kallas nächste
Außenbeauftragte werden könnte.
Für die Kommission gilt von
der Leyen (EVP) als aussichtsreichste Kandidatin, auch wenn in Brüssel in den
vergangenen Wochen zahlreiche Alternativen intensiv diskutiert wurden. Von der
Leyen kann auf die Unterstützung der zahlreichen Mitte-rechts-Regierungen in
der EU sowie auf die des sozialdemokratischen Lagers zählen. So hat der
spanische Ministerpräsident Pedro Sánchez bereits öffentlich seine
Unterstützung angekündigt und auch Bundeskanzler Olaf Scholz dürfte ein
Interesse daran haben, sie im Amt zu halten.
Sollte von der Leyen erneut
vom Rat vorgeschlagen werden, wäre die entscheidende Hürde voraussichtlich
Mitte Juli in Straßburg zu nehmen. Am 16. Juli wird wahrscheinlich zunächst die
maltesische Politikerin Roberta Metsola (EVP) als Parlamentspräsidentin
wiedergewählt werden. Zwei Tage später könnte die Wiederwahl von Ursula von der
Leyen anstehen. Dann wäre es möglich, noch während der parlamentarischen
Sommerpause eine Liste der potenziellen Mitglieder der Kommission zu erstellen.
Für ihre Wiederwahl bräuchte von der Leyen die Zustimmung von mindestens 361
der 720 Abgeordneten – eine Mehrheit, die ihr angesichts des Erstarkens der
rechten Fraktionen keineswegs sicher ist. Jean-Claude Juncker schaffte dies
2014 mit 46 Stimmen Vorsprung, von der Leyen 2019 mit nur neun Stimmen, damals
unterstützt auch von rechtspopulistischen Parteien, die ihr diesmal die
Zustimmung verweigern werden. Sollte von der Leyen im Rat durchfallen oder im
Parlament keine Mehrheit finden, müsste der Rat – unter ungarischer
Präsidentschaft – rasch eine neue Person vorschlagen, was den Arbeitsbeginn der
neuen Kommission verzögern würde. Eine solche Hängepartie würde nicht nur die
Arbeitsfähigkeit der EU beeinträchtigen, sondern auch ihrem Ansehen erheblichen
Schaden zufügen.
Parallel zu diesem
hochpolitischen Prozess formieren sich die Fraktionen im Parlament neu. Die
Wahl des Parlamentspräsidenten, der Vizepräsidenten und der
Ausschussvorsitzenden beeinflusst die Arbeitsweise und die politischen
Schwerpunkte des Parlaments in den kommenden Jahren. Es ist zudem
wahrscheinlich, dass es zu einer Neuformierung der rechten und rechtsextremen
Fraktionen im Europäischen Parlament kommen wird. Eine entscheidende Frage wird
dabei der Umgang mit der AfD sein. Unmittelbar vor der Wahl war es der AfD
gelungen, zum Paria unter den Rechtsaußenparteien zu werden, als sowohl Marine
Le Pen als auch Giorgia Meloni und Matteo Salvini eine weitere Zusammenarbeit
mit der AfD ablehnten und diese aus der ID-Fraktion ausgeschlossen wurde.
Allerdings gilt auch hier das
Motto, dass nach der Wahl nicht mehr unbedingt das gilt, was vor der Wahl gesagt
wurde. Und der Rausschmiss des AfD-Spitzenkandidaten Krah aus der deutschen
Delegation zeigt, dass die AfD alles tut, um im rechten Schmuddelsalon wieder
hoffähig zu werden. Falls dieses Manöver nicht gelingt, wird die AfD wohl
versuchen, eine dritte Rechtsfraktion im Parlament zu gründen, wofür mindestens
23 Abgeordnete aus sieben Mitgliedstaaten nötig wären. Mit von der Partie
könnten dabei weitere rechte Parteien sein, die bisher keiner Fraktion
angehören, wie etwa die ungarische Fidesz-Partei von Victor Orbán.
Diskutiert wird auch die
Option, dass die rechtspopulistischen und rechtsextremen Parteien eine neue
„Superfraktion“ bilden könnten, was deren Verhandlungsmacht erheblich stärken
und zu einer Polarisierung im Parlament führen würde. Eine solche rechte
Großfraktion würde dazu beitragen, die EU-Agenda stärker an nationalen
Interessen und weniger an gemeinsamen europäischen Lösungen auszurichten.
Dieses Szenario erscheint jedoch unwahrscheinlich, da sich viele europäische
Rechtsparteien in zentralen außen- und sicherheitspolitischen Fragen nicht
einig sind – insbesondere was das Verhältnis zu Russland, den Krieg gegen die
Ukraine und die Zusammenarbeit mit den USA und der NATO betrifft.
Eine Schlüsselrolle im Umgang
mit den europäischen Rechtskräften wird künftig umso mehr der EVP zukommen, der
auch CDU und CSU angehören. Anstatt um die Grünen zu werben, hat deren Partei-
und Fraktionschef Manfred Weber in den letzten Monaten immer wieder die
Zusammenarbeit mit der EKR gesucht und dabei auch die Chancen einer verstärkten
Mitte-rechts-Kooperation mit der italienischen Regierungschefin Giorgia Meloni
ausgelotet. Auch von der Leyen und Meloni hatten in den vergangenen Monaten
einen engen und geradezu vertrauensvollen Umgang gepflegt, bei dem Erstere sich
die Unterstützung für ihre Wiederwahl zu sichern suchte und Zweitere sich
größeren Einfluss auf der europäischen Bühne versprach, war sie doch in den
Wahlkampf gezogen mit dem Slogan „Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa“ – „mit
Giorgia verändert Italien Europa“. Es bleibt abzuwarten, inwieweit die drei
Bedingungen von Weber und von der Leyen für eine Zusammenarbeit mit der Rechten
– pro-europäisch, pro-ukrainisch und pro-rechtsstaatlich – am Ende tatsächlich
erfüllt werden, wenn es um zentrale europäische Weichenstellungen geht.
Aufgrund des offenen Schmusekurses von Weber, von der Leyen und Co mit den
(extremen) Rechten droht die EVP jedoch die Unterstützung der Mitte-links
Parteien zu verlieren. Die europäischen Sozialdemokraten und auch Bundeskanzler
Scholz haben sehr deutlich gemacht, dass die Nominierung von der Leyens kein
Selbstläufer ist, sollte sie eine Zusammenarbeit mit Rechtsaußen suchen.
Insgesamt ist der Rechtsruck
im Parlament symptomatisch für eine breitere politische Verschiebung, die tief
in die nationalen politischen Landschaften der EU-Mitgliedstaaten hineinreicht.
Diese Entwicklung spiegelt eine wachsende Unzufriedenheit mit der „etablierten
Politik“ und eine zunehmende Hinwendung zu populistischen Lösungen wider, die
einfache Antworten auf komplexe Probleme versprechen. Die zunehmende
Fragmentierung erschwert die Entscheidungsprozesse in Parlament und Rat und
könnte wichtige Reformen blockieren. Nationale Interessen rücken stärker in den
Vordergrund, was die Fähigkeit der EU zur Formulierung gemeinsamer Politiken,
insbesondere in grenzüberschreitenden Fragen wie Migration, Klimawandel und
wirtschaftlicher Zusammenarbeit, erheblich beeinträchtigen könnte.
Unabhängig davon, wer der
neuen Kommission vorstehen wird, werden viele der neuen Kommissare politisch
deutlich weiter rechts stehen, da sie von den Regierungen der Mitgliedstaaten
vorgeschlagen werden und rechte Kräfte in den letzten fünf Jahren bei
nationalen Wahlen immer stärker geworden sind. Dies hat natürlich erhebliche
Auswirkungen auf das neue Arbeitsprogramm der Kommission und ihre zukünftigen
europapolitischen Prioritäten.
Ein stärker nationalistisch
geprägtes Europa wird automatisch zu Spannungen mit wichtigen Partnern wie den
USA führen und könnte die EU in ihrer Rolle als globaler Akteur schwächen. Nach
innen steht die EU vor der Herausforderung, den Zusammenhalt zwischen den
Mitgliedstaaten zu wahren. Wachsende politische Differenzen und der Druck
populistischer Bewegungen könnten die Solidarität innerhalb der EU schwächen. Dies
wäre besonders problematisch in einer Zeit, in der gemeinsame Anstrengungen
erforderlich sind, um globale Herausforderungen wie den Klimawandel oder die
Digitalisierung zu bewältigen. Die EU befindet sich nun in einer Phase, in der
die politischen Kräfteverhältnisse neu austariert werden müssen. Die kommenden
Monate werden zeigen, in welche Richtung sie sich entwickeln wird und wie sie
auf die neuen politischen Realitäten reagieren kann. IPG 11
Nach der EU-Wahl. Der Osten ist
blau: Wie umgehen mit der AfD?
Bei den Europa- und
Kommunalwahlen in Ostdeutschland hat die AfD so gut abgeschnitten wie nie.
Woran das liegt, erklären Experten. Im Herbst stehen auch noch wichtige
Landtagswahlen an. Hat die Rechtsaußenpartei Machtoptionen? Hält die
Brandmauer? Von Christopher Kissmann, Jörg Schurig, Simone Rothe und Verena
Schmitt-Roschmann
Der Osten ist blau. So sieht
die Deutschlandkarte am Tag nach der Europawahl aus, jedenfalls auf den ersten
Blick. In allen fünf ostdeutschen Flächenländern ist die AfD stärkste Kraft –
trotz aller Proteste und Warnungen vor der in Teilen rechtsextremen Partei,
trotz ihrer Personalquerelen, trotz Spionagevorwürfen. Auch bei den
Kommunalwahlen liegt sie vielerorts vorn. Die AfD wird also gewählt – nicht nur
in Ostdeutschland, aber besonders häufig dort. Und nun?
Bei den Landtagswahlen in
Thüringen, Sachsen und Brandenburg im September erwarten Experten ähnliche
Ergebnisse. Es scheint sogar nicht völlig ausgeschlossen – wenn auch sehr
unwahrscheinlich -, dass die AfD erstmals einen Ministerpräsidenten stellen
könnte. Den Machtanspruch formuliert die Partei klar. Darauf verlassen kann
sich die AfD aber nicht. „Es gibt jetzt keinen Grund für Ohnmacht“, sagt der
Extremismusforscher Matthias Quent der Deutschen Presse-Agentur.
Warum die AfD so stark
abschnitt
Die AfD-Ergebnisse von um die
30 Prozent in den östlichen Ländern sind aus Sicht von Experten nicht nur
Protest. Gerade in Ostdeutschland habe viele Menschen das Thema Krieg und
Frieden bewegt, also der künftige Umgang mit der Ukraine, sagt der Berliner
Politikwissenschaftler Thorsten Faas. Hier hätten AfD und das Bündnis Sahra
Wagenknecht andere Positionen vertreten als die übrigen Parteien. „Und das
scheint mir einer der Hauptgründe zu sein, warum viele dann auch dort ihr Kreuzchen
gemacht haben.“ Die AfD werde durchaus aus inhaltlichen Gründen gewählt.
„Seit längerem finden große
Teile der ostdeutschen Bevölkerung, dass ihre Positionen in der Politik in
Deutschland und Europa zu wenig abgebildet sind“, berichtet die Leipziger Sozialwissenschaftlerin
Astrid Lorenz. Sie nennt auch die Themen Klimaschutz und Sicherheitslage, die
in Ostdeutschland kritisch gesehen würden.
Der Erfurter
Politikwissenschaftler André Brodocz geht davon aus, dass zwei von drei
AfD-Wählern eine relativ feste Parteibindung entwickelt haben. Sie fühlen sich
der AfD verbunden, „weil sie sich mit ihren politischen Forderungen
identifizieren“. An ihnen perlten auch die Skandale einzelner
AfD-Europapolitiker oder eine noch nicht rechtskräftige Verurteilung von Thüringen
Rechtsaußen Björn Höcke wegen Nutzung von Nazi-Parolen ab.
Die AfD sieht das Ende der
Brandmauer gekommen
Die AfD sei kommunal immer
stärker verankert, beobachtet der Soziologe Quent. Wenn sie im
Kommunalparlament stärkste Fraktion sei, könne man noch weniger an ihr vorbei
Politik betreiben. „Das ist ja auch die Strategie, sich über die kommunalen
Parlamente so zu normalisieren, dass dann in nächster Instanz auf der
Länderebene eben auch eine Zusammenarbeit in greifbarere Nähe rückt“, meint der
Forscher.
AfD-Parteichef Tino Chrupalla
bestätigt das. „Es wird keine Brandmauern mehr geben, weil diese Brandmauern
eingestürzt sind“, sagt Chrupalla im Deutschlandfunk. „Der Landrat, aber
umgekehrt natürlich auch der Kreistag muss mit dem Landrat zusammenarbeiten.“
Die langfristige Ambition: Ob nun 2029 oder 2032, irgendwann werde man „auch in
Fläche die Hauptverantwortung in Landräten und Bürgermeistern stellen“, sagt
Chrupalla.
Seine Parteikollegen in den
Ländern hoffen auf schnellere Erfolge. „Wir haben die SPD als führende Kraft in
diesem Land abgelöst“, sagt zum Beispiel Brandenburgs Landeschef René Springer.
Das Ziel sei, bei der Landtagswahl am 22. September über 30 Prozent zu kommen.
Sachsen-Anhalts Co-Fraktionschef Ulrich Siegmund bezeichnet die AfD als „die
neue Volkspartei“ und zielt auf eine Regierungsübernahme 2026 in
Sachsen-Anhalt. „Unser Plan ist es, hier allein zu regieren.“
Stark, aber ohne Machtoption
Die absolute Mehrheit für die
AfD? Davon ist die Partei auch mit Werten um die 30 Prozent noch ein gutes
Stück entfernt. „Um Politik zu gestalten, müsste die AfD koalitionsfähig
werden“, sagt Brodocz. Ohne reale Machtoption könnten „ihre Wähler auf Dauer
möglicherweise unzufrieden“ werden. Koalitionspartner sind aber nirgends in
Sicht.
Überhaupt lohnt ein genauer
Blick. Nicht überall im Osten ist die AfD gleich stark. Die Stichwahlen um
Kommunalämter in Thüringen verlor sie. Und Hochburgen gibt es inzwischen auch
in westdeutschen Regionen, etwa im Ruhrgebiet, wie der Düsseldorfer Politologen
Stefan Marschall berichtet. Das beste Ergebnis in NRW bei der Europawahl hatte
die AfD mit 21,7 Prozent in Gelsenkirchen. Marschall führt das zurück auf eine
matte SPD. Diese Analyse sticht vielerorts auch im Osten: Die Stärke der AfD
liegt eben auch in der Schwäche der etablierten Parteien.
So erzielte die AfD in
Sachsen bei der Europawahl 31,8 Prozent und damit mehr als doppelt so viel wie
die Ampel-Parteien zusammen: SPD 6,9 Prozent, Grüne 5,9 Prozent und FDP 2,4
Prozent. Die CDU hat immerhin noch 21,8 Prozent und das Bündnis Sahra
Wagenknecht aus dem Stand heraus 12,6 Prozent. Das ist der Grund, warum ein
AfD-Ministerpräsident in Sachsen nicht völlig ausgeschlossen wird: Verlieren
die Ampel-Parteien weiter, könnte es ein Drei-Parteien-Parlament geben und im
Extremfall eine Mehrheit der Mandate für die AfD. Aktuell unwahrscheinlich,
aber nicht undenkbar.
„Keine Partei kann sich in
Sicherheit wiegen“
Denkbar wäre aber auch, dass
andere Parteien sich stabilisieren – nicht nur Meinungsforscher kennen
Wählerinnen und Wähler inzwischen als sehr wechselfreudig. „Keine der Parteien
kann sich in Sicherheit wiegen“, sagt Parteienforscher Faas von der Freien Universität
Berlin. „Auch in kürzester Zeit kann sich beim Wahlverhalten unglaublich viel
bewegen.“
Der Soziologe Quent sieht
Handlungsspielräume, um die AfD zu bremsen. Die Mobilisierung anderer Parteien
in Thüringen habe beispielsweise dazu geführt, dass sich die AfD dort bei den
Landratswahlen nicht habe durchsetzen können. Bei den Landtagswahlen werde auch
der Amtsinhaberbonus eine Rolle spielen, meint er. Der Leipziger Soziologe
Johannes Kiess riet den jetzigen Wahlverlierern: „Es kommt viel darauf an, wie
sich die demokratischen Parteien nun verhalten. Nur auf die AfD zu zeigen, wird
nicht viel helfen. Die Parteien müssen wieder in den konstruktiven Modus
schalten.“ (dpa/mig 11)
Ganz Europa spricht über die
EU-Wahl. Doch wie schaut der Rest der Welt auf die Wahlergebnisse? Wir
berichten aus Argentinien, den USA und Nigeria. Svenja Blanke & Ingrid Ross
& Knut Dethlefsen & Lennart Oestergaard
Argentinien
Brüssel liegt ungefähr 11 000
Kilometer von Buenos Aires entfernt. Auch wenn Argentinien sich als
Einwanderungsland versteht, das stolz auf seine europäischen Wurzeln und dem
alten Kontinent gefühlt enger verbunden ist als andere Länder Südamerikas,
waren die Wahlen zum Europaparlament an und für sich hier kaum eine Schlagzeile
wert. Präsident Javier Milei, der sich in einer seltsamen Doppelrolle als
„staatszersetzender Maulwurf“ im Staatsapparat sieht und gleichzeitig dessen
Präsident ist, hält die krisengeschüttelte Gesellschaft mit seinen radikalen
Initiativen stark in Atem, so dass die Argentinier vor allem mit sich selbst
und der Wirtschaftslage beschäftigt sind. Zudem interessiert sich der Präsident
nicht für traditionelle Außenpolitik und hat es sich in seiner kurzen Amtszeit
bereits mit zahlreichen anderen Staatslenkern wie Kolumbiens Präsident Gustavo
Petro und Spaniens Ministerpräsident Pedro Sanchez verscherzt. Man kann sich
vorstellen, dass er auf internationalem Parkett ungefähr so beliebt ist wie ein
Schulkamerad, der andere ständig tyrannisiert.
Doch dank der Ankündigung von
vorgezogenen Neuwahlen in Frankreich am Wahlabend haben es die Europawahlen
doch in die Nachrichten geschafft. Das starke Ergebnis der rechtsnationalen
Partei Rassemblement National um Marine Le Pen ist ein Thema, das auch hier auf
Resonanz stößt, schließlich wird Argentinien seit einem halben Jahr von einem
libertären Radau-Populisten als Präsident regiert. Allerdings ist die
argentinische Spielart von Rechtsaußen unter Milei eine besondere. Ob der
anarchokapitalistische Präsident gemeinsame Interessen mit einem eventuell
rechtskonservativ geprägten Europa finden würde, die in konkrete Veränderungen
der argentinisch-europäischen Beziehungen münden, bleibt abzuwarten.
Auf der Konferenz, zu der die
spanische rechtspopulistische Partei VOX im Wahlkampf eingeladen hatte, wurde
rhetorisch der „Kampf für die Freiheit“ beschworen, der Widerstand gegen
Sozialismus und Kommunismus, gegen die Agenda 2030, gegen die Gender-Ideologie,
gegen die „islamische“ Einwanderung sowie die Verteidigung der nationalen
Souveränität und Identität. In vielen dieser Themen steht Milei den
europäischen Rechten zwar ideologisch nahe, doch es sind vor allem Wirtschafts-
und Handelsfragen, die im Mittelpunkt der Agenda zwischen Argentinien und
Europa stehen.
Im Bereich der Handelspolitik
wären gemeinsame Interessen ein echter Game Changer, steht doch noch immer der
Abschluss der Verhandlungen über das EU-Mercosur-Abkommen zwischen Europa und
den südamerikanischen Ländern Brasilien, Argentinien, Paraguay und Uruguay aus.
Milei will das an Bodenschätzen und Agrargütern reiche Land für ausländische
Investoren öffnen. Zuletzt hatte er folgerichtig Bereitschaft für eine baldige
Unterzeichnung des Abkommens signalisiert, doch es war vor allem der
französische Präsident Macron, der unter dem Eindruck der Bauernproteste in
seinem Land dem Abkommen eine Absage erteilte, da er Wettbewerbsnachteile für
die einheimischen Produzenten fürchtete. Diese Position teilt auch Marine Le
Pen.
Milei feiert seinen
angeblichen Einfluss auf den Siegeszug der Rechten in Europa, aber bei
genauerem Hinsehen gibt es doch erhebliche Unterschiede zwischen den
verschiedenen Strömungen, vor allem über die Frage, wie das Verhältnis zwischen
Staat und Markt ausgestaltet sein sollte. Für den Großteil der Argentinierinnen
und Argentinier steht wiederum eine ganz andere Frage im Zentrum. Für sie ist
vor allem wichtig, dass sie weiterhin ohne Visum in den Schengenraum einreisen
können.
Svenja Blanke und Ingrid Ross, FES Buenos Aires
USA
„Sind das denn wirklich
wichtige Wahlen?“, fragt mit Erstaunen die New Yorker Journalistin Jennifer
Kirby. Sie ist sichtlich irritiert als sie erfährt, dass der Ausgang der Wahlen
zum Europäischen Parlament keine personellen Konsequenzen bei den deutschen
Parteien haben wird. Dass die Deutschen nur Parteilisten wählen können, finden
Amerikaner, die sich mit den EU-Wahlen beschäftigen, seltsam. Parlamentarier,
die keine Verantwortung gegenüber Wahlkreisen haben, gibt es in den USA
schlicht nicht. Fühlen sich die deutschen Europaabgeordneten dann wirklich den
Bürgerinnen und Bürgern verpflichtet, wenn sie für ihre Platzierung auf der
Liste vor allem die Zustimmung in der eigenen Partei benötigen?
Selbst bei politisch
Interessierten besteht eine gewisse Ferne zu diesen schwer verständlichen Wahlen,
die so ganz anders sind, zumal der Wahlkampf aus US-Perspektive fast
unpolitisch wirkte. So wird den Europawahlen in den USA deutlich weniger
Aufmerksamkeit geschenkt als umgekehrt. Denn in Europa wie im Rest der Welt
schaut die Bevölkerung gebannt auf das Drama der US-Wahlen im November.
Natürlich auch, weil der Ausgang der Präsidentschaftswahl direkte Implikationen
für Europas Sicherheit und Wohlstand haben wird.
Das politische Amerika
beschäftigt sich mit den Europawahlen vor allem im Kontext der eigenen Wahlen.
Insbesondere der Rechtsruck sowie die zunehmende politische Gewalt in
Deutschland und in anderen europäischen Staaten bereiten vor dem Hintergrund
der erneuten Kandidatur von Donald Trump große Sorgen. Der Ausgang der
EU-Parlamentswahl wird teilweise als Vorwarnung für die anstehenden US-Wahlen
gesehen. So schreibt das Urgestein der politischen Kolumne E.J. Dionne am Tag
der Wahl in der Washington Post: „Sie warnen uns, dass der Flirt mit dem
Autoritarismus nie gut ausgeht.“
Auch im Wei?en Haus wurden die Wahlen aufmerksam verfolgt. In US-Regierungskreisen waren in den vergangenen Wochen Sorgen über einen europäischen Rechtsruck geäußert worden. Die großen Erfolge der Ultrarechten in Deutschland und Frankreich sowie die Entscheidung von Präsident Macron, das französische Parlament aufzulösen, sind nun Realität und Unsicherheitsfaktoren für die Biden-Regierung und die Demokraten. Werden womöglich die wichtigsten Partner bei entscheidenden