Webgiornale 16 giugno – 30
settembre 2025
Buon periodo estivo
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Raggiunto record di un milione e 300mila sfollati. Si lotta per
sopravvivere
Un numero record di quasi 1,3 milioni di persone si è
spostato in cerca di sicurezza, dopo essere fuggito dalla violenza delle bande
che operano ad Haiti. Lo ha riferito ieri l’Organizzazione internazionale per
le migrazioni (Oim), che ha esortato la comunità internazionale a sostenere la
necessaria assistenza e ad affrontare le cause alla radice di questa violenza.
Il numero di sfollati, che segna un aumento del 24% dallo scorso dicembre ad
oggi, è il più alto mai registrato nella storia di Haiti. Sempre ieri, Save the
Children ha denunciato che circa un minore su sei è attualmente sfollato a
causa della violenza.
Amy Pope, direttrice generale dell’Oim, ha ricordato che
i numeri non sono solo dati, ma bambini, anziani, madri, persone di ogni tipo
che in alcuni casi hanno dovuto abbandonare le loro case in più di
un’occasione, “spesso con solo i vestiti che indossavano, e che ora vivono in
condizioni che non sono né sicure né sostenibili”. L’epicentro della violenza
delle bande rimane Port-au-Prince, la capitale; tuttavia, questi gruppi
criminali si stanno espandendo sempre più nel resto del territorio haitiano. L’Oim
ha riferito che centinaia di migliaia di abitanti dei dipartimenti Centro e
Artibonite si rifugiano ora in alloggi precari, perché la violenza li ha
costretti a fuggire dalle loro comunità; si tratta di oltre 147.000 e almeno
92.000 persone, rispettivamente. Nel nord del Paese il numero di sfollati è
aumentato dell’80%.
Questa popolazione non ha accesso ai servizi sanitari,
alle scuole e all’acqua potabile; le famiglie che già si trovavano in una
situazione di vulnerabilità ora lottano per sopravvivere. L’agenzia delle
Nazioni Unite ha precisato che i siti spontanei che ospitano gli sfollati sono
aumentati da 142 a 246 a partire da dicembre. Sir 12
Commissione Ue: Semestre europeo, sfide economiche e sociali
La Commissione europea ha reso noto oggi il pacchetto di
primavera del Semestre europeo 2025, il quale analizza le principali sfide
economiche e sociali in tutta l’Ue e “offre orientamenti strategici agli Stati
membri al fine di rafforzare la competitività, la prosperità e la resilienza”.
A tal fine, il documento include raccomandazioni specifiche per Paese e
“promuove riforme e investimenti in linea con queste priorità dell’Ue”. La
Commissione tiene a precisare che “gli orientamenti politici presentati si collocano
in un contesto commerciale e di sicurezza particolarmente volatile”. Il
pacchetto odierno segna anche la prima valutazione dei progressi compiuti dagli
Stati membri nell’ambito del quadro di governance economica riveduto e dei loro
piani strutturali di bilancio. “Nel contesto delle crescenti sfide in materia
di sicurezza, per la prima volta si ricorre anche alla clausola di salvaguardia
nazionale prevista dal patto di stabilità e crescita”. L’obiettivo della
clausola è “facilitare la transizione verso livelli più elevati di spesa per la
difesa, salvaguardando nel contempo la sostenibilità di bilancio”. Valdis
Dombrovskis, commissario per l’economia, commenta: “Le priorità del pacchetto
di primavera di quest’anno possono essere riassunte in due parole:
competitività e sicurezza. In effetti, questo ci riporta alle basi del progetto
europeo: pace e prosperità. Sebbene l’obiettivo principale del semestre europeo
rimanga la sostenibilità di bilancio e la stabilità macroeconomica, esso è
anche un meccanismo fondamentale per coordinare la nostra spinta comune a
favore della competitività, della sicurezza, della resilienza e della
prosperità sostenibile”.
Il pacchetto del Semestre europeo, documento economico e
orientativo della Commissione, comprende le relazioni per Paese che valutano
gli sviluppi economici, occupazionali e sociali in ciascuno Stato membro, in
linea con le priorità stabilite nella bussola per la competitività. Gli Stati
membri, spiega la Commissione, “sono incoraggiati a rafforzare la loro
competitività colmando il divario in materia di innovazione, promuovendo la
decarbonizzazione in linea con il patto per l’industria pulita, riducendo le
dipendenze eccessive, aumentando la sicurezza e la resilienza, anche
sviluppando capacità di difesa e promuovendo competenze e posti di lavoro di
qualità, garantendo nel contempo l’equità sociale”. Le relazioni per Paese di
quest’anno fanno inoltre il punto sull’attuazione dei piani per la ripresa e la
resilienza (Pnrr) e dei programmi della politica di coesione.
“Con la fine del dispositivo per la ripresa e la
resilienza nel 2026, un’attuazione rapida e mirata è essenziale – si spiega – e
la maggior parte degli Stati membri deve accelerare i progressi. “Il Semestre
europeo è alla base di un approccio più integrato delle politiche economiche
degli Stati membri”, afferma Stéphane Séjourné, vicepresidente esecutivo della
Commissione. “La Commissione è determinata ad approfondire la nostra
integrazione del mercato unico e a coordinare gli sforzi collettivi per la competitività.
Le raccomandazioni di quest’anno sono la continuità del nostro programma di
riforme e mirano a incoraggiare gli Stati membri nel loro impegno a favore di
una maggiore innovazione, di industrie più decarbonizzate e di una maggiore
autonomia strategica”.
Politica di bilancio, comprese le riforme volte ad
aumentare l’efficacia della politica fiscale e della spesa pubblica; attuazione
dei programmi del Pnrr e della politica di coesione; sfide strutturali in
sospeso o emergenti, incentrate sulla bussola per la competitività. Sono i tre
settori chiave su cui si concentrano le raccomandazioni specifiche per Paese
contenute nel pacchetto del Semestre europeo svelato oggi dalla Commissione.
Con una particolarità: il pacchetto di quest’anno sottolinea la “flessibilità
del quadro rivisto per rispondere a sfide impreviste”. Nell’ambito del piano
ReArm Europe/Readiness 2030 presentato nel marzo 2025, la Commissione ha dunque
proposto di attivare la clausola di salvaguardia nazionale, “consentendo agli
Stati membri di superare temporaneamente i tassi massimi di crescita della
spesa netta per stimolare la spesa per la difesa. Su richiesta di 16 Stati
membri (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania,
Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca,
Slovacchia e Slovenia), la Commissione ha adottato oggi raccomandazioni al
Consiglio per l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale per i
Paesi interessati.
Per quanto riguarda gli Stati membri soggetti alla
procedura per i disavanzi eccessivi (Pde), la Commissione “ritiene che per
Francia, Italia, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia non sia necessario
adottare ulteriori misure nell’ambito della Pde per questi Paesi in questa
fase”. Per il Belgio la Commissione ha invece raccomandato un nuovo percorso
correttivo. Al contrario, la crescita della spesa netta della Romania è
“significativamente al di sopra del massimale fissato dal suo percorso
correttivo, con evidenti rischi di correggere il disavanzo eccessivo entro il
2030”. La Commissione ha inoltre valutato i progressi compiuti nell’attuazione
dei piani a medio termine di 18 Stati membri. 12 Stati membri (Austria,
Bulgaria, Croazia, Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia,
Lituania, Slovenia, Svezia) sono “ritenuti conformi” alla crescita massima
della spesa netta raccomandata, tenendo conto della flessibilità prevista dalla
clausola di salvaguardia nazionale, se del caso. Il Portogallo e la Spagna sono
sostanzialmente conformi, con deviazioni limitate dai percorsi raccomandati.
Tuttavia, per Cipro, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi, la Commissione ravvisa
un rischio di deviazione dai tassi massimi di crescita raccomandati fissati dal
Consiglio.
La Commissione ha valutato l’esistenza di squilibri
macroeconomici nei 10 Stati membri selezionati per gli esami approfonditi
nell’ambito della relazione 2025 sul meccanismo di allerta. “Mentre gli
andamenti economici dell’ultimo anno hanno contribuito ad attenuare alcuni
squilibri in diversi Stati membri, la crescente incertezza nel mutevole
contesto commerciale sta aggravando i rischi”, è l’annotazione della
Commissione. L’Estonia non presenta squilibri in quanto “le vulnerabilità
relative al deterioramento della competitività di prezzo e di costo e ai prezzi
delle abitazioni sembrano attualmente contenute”. Cipro è riclassificato come
“Paese che non presenta squilibri”, in quanto “le vulnerabilità legate al
debito estero e privato stanno diminuendo”. La Germania è inoltre
riclassificata come Paese che non presenta squilibri, in quanto “le
vulnerabilità connesse all’ampio avanzo delle partite correnti sono diminuite
nel corso degli anni e sono stati recentemente annunciati progressi
significativi sul piano delle politiche”. Ungheria, Grecia, Italia, Paesi
Bassi, Slovacchia e Svezia continuano invece a presentare squilibri, in quanto
le loro vulnerabilità “rimangono complessivamente rilevanti”. La Romania
presenta squilibri eccessivi a causa dell’ampliamento dei disavanzi di bilancio
e delle partite correnti.
Nell’ambito del Semestre europeo 2025, la Commissione
propone orientamenti aggiornati per le politiche degli Stati membri a favore
dell’occupazione, nell’ambito della convergenza sociale (qualità ed equità
sociale). “L’istruzione è fondamentale per disporre di una forza lavoro
qualificata e, soprattutto, rafforza anche società sane e democrazie
funzionanti”, vi si legge. Gianni Borsa, sir 4
Trasporto aereo, in arrivo le nuove regole Ue: cosa cambia per i passeggeri
Meno risarcimenti ma più assistenza: le nuove regole sui
diritti di chi vola
C’è un vento di cambiamento nei cieli europei, ma non
senza controversie. Dopo oltre vent’anni di regole ferme, il Consiglio europeo
ha approvato una bozza che riscrive i diritti dei passeggeri aerei, un dossier
storico che rischia però di penalizzare chi subisce ritardi e disagi. Il nodo
più controverso riguarda il criterio per ottenere un risarcimento economico:
mentre oggi il limite è fissato a 3 ore di ritardo, la nuova proposta innalza
la soglia a 4 ore per i voli brevi e medi, e addirittura 6 ore per quelli
intercontinentali. Un cambiamento che, secondo i consumatori, rischia di
ridurre drasticamente i casi di risarcimento e di legittimare politiche di low
cost sempre più aggressive, come l’introduzione di un solo bagaglio a mano
gratuito. Ma dietro l’apparente riduzione dei diritti si nasconde anche un
pacchetto di nuove tutele e garanzie inedite, pensate per facilitare la vita
del viaggiatore e rendere più trasparente e rapido il processo di risarcimento.
Tra promesse e polemiche, l’Europa si trova a dover fare i conti con un
equilibrio delicato: proteggere il consumatore senza soffocare la connettività
e la competitività del settore aereo.
Il nodo dei ritardi e dei risarcimenti
Il cuore della riforma riguarda proprio la compensazione
economica per i ritardi dei voli, uno dei temi più sensibili per i viaggiatori.
Secondo la bozza approvata dal Consiglio europeo, il risarcimento scatterà solo
se il ritardo supera le quattro ore per i voli fino a 3.500 km e le sei ore per
quelli di lunga percorrenza, mentre oggi il limite è fissato a tre ore. La
differenza potrebbe sembrare un’ora in più, ma nel concreto si traduce in una
riduzione significativa dei casi in cui i passeggeri potranno chiedere un
rimborso.
In termini economici, la compensazione rimane di 300 euro
per i voli brevi e medi, e 500 euro per quelli lunghi, ma con soglie più alte e
criteri più stringenti. Nel frattempo, il cosiddetto “no show”, ovvero la
penalizzazione per chi non utilizza il volo di andata perdendo quello di
ritorno, sarà più regolato: se un passeggero perde il volo di andata ma viene
negato l’imbarco sul ritorno, potrà ora richiedere una compensazione.
Questa stretta arriva in un momento in cui le compagnie
aeree low cost continuano a spingere per politiche sempre più restrittive sul
bagaglio gratuito: la nuova norma conferma infatti il diritto a trasportare
gratuitamente solo un piccolo bagaglio a mano, generalmente uno zainetto,
legittimando quindi gli extra costi per tutto ciò che va oltre. Un elemento che
infiamma ulteriormente le associazioni dei consumatori, come la Beuc (Bureau
Européen des Unions de Consommateurs), che denuncia già sette compagnie per
costi ingiustificati e chiede più tutele.
Dariusz Klimczak, ministro polacco delle Infrastrutture,
ha sottolineato come questa posizione del Consiglio risponda “all’invito
formulato da passeggeri e compagnie aeree a elaborare urgentemente norme
aggiornate, più chiare e dirette”. Tuttavia, proprio la chiarezza del testo e
il suo impatto pratico sono sotto accusa, perché rischiano di creare nuovi
ostacoli all’accesso ai risarcimenti e al riconoscimento dei diritti dei
viaggiatori.
30 nuovi diritti per i passeggeri, dall’assistenza alla
trasparenza
Nonostante le critiche sulla soglia dei ritardi, il
pacchetto di modifiche approvato introduce una serie di novità che
rappresentano un passo avanti rispetto al vecchio regolamento del 2004. Tra
queste, spicca il diritto alla riprotezione: le compagnie aeree dovranno
offrire ai passeggeri alternative immediate in caso di cancellazione o
interruzione del volo, comprese soluzioni con altri vettori o mezzi di
trasporto alternativi.
Se questa riprotezione non arriva entro tre ore, i
passeggeri potranno autonomamente organizzarsi, ottenendo un rimborso che può
arrivare fino al 400% del costo originario del biglietto. Una norma che mette
pressione alle compagnie per accelerare l’assistenza, evitando lunghe attese e
disagi.
Il diritto all’assistenza è finalmente chiarito in modo
esplicito: ristoro, cibo, bevande e sistemazioni dovranno essere garantiti, e
in caso di ritardo prolungato a bordo (oltre 3 ore), i passeggeri devono essere
fatti sbarcare, una misura che mira a scongiurare le situazioni di stallo
vissute da migliaia di viaggiatori negli ultimi anni.
Sul fronte dell’informazione, le compagnie aeree avranno
l’obbligo di comunicare in tempo reale ogni variazione, ritardo, cancellazione
o cambiamento di gate, mettendo fine a un’antica fonte di stress e incertezza
per chi vola. In più, sarà possibile correggere gratuitamente errori nei dati
personali fino a 48 ore prima della partenza, una novità importante che elimina
uno dei problemi più frequenti e frustranti nei check-in.
Anche la gestione dei reclami diventa più rapida e
semplice: i passeggeri avranno fino a sei mesi per presentare una richiesta di
risarcimento, mentre le compagnie dovranno rispondere entro 14 giorni, o
procedere al pagamento automatico. Questo snellimento mira a tagliare i tempi
di attesa e a ridurre la mole di contenziosi.
Consumatori sul piede di guerra e scontro politico
all’orizzonte
Dietro a questa riforma c’è la necessità di trovare un
bilanciamento tra le tutele per i viaggiatori e le esigenze di un settore aereo
in forte evoluzione e sempre più competitivo. Il Consiglio europeo ha
sottolineato la volontà di mantenere “la connettività e la parità di condizioni
nel mercato interno”, evitando che regole troppo rigide possano danneggiare le
compagnie e, di riflesso, la disponibilità di collegamenti e prezzi
accessibili.
È noto come il trasporto aereo, soprattutto nel segmento
low cost, rappresenti una leva fondamentale per la mobilità di milioni di
cittadini europei e per il turismo. Tuttavia, l’industria si trova a
fronteggiare costi crescenti, regolamentazioni ambientali più stringenti e una
concorrenza globale agguerrita. Da qui la spinta per rivedere i limiti e le
compensazioni, riducendo i risarcimenti potenzialmente “facili” e contenendo
alcune richieste che per le compagnie risultano onerose.
Non mancano però le voci di dissenso, tra le associazioni
dei consumatori e le forze politiche, come il Ppe, che promettono battaglia
contro una riforma che giudicano “inadeguata e penalizzante” per i passeggeri.
La Beuc ha già denunciato diverse compagnie per pratiche scorrette sui bagagli,
mentre il Parlamento europeo si appresta ad esaminare la proposta del
Consiglio, con la possibilità di modifiche sostanziali. Adnkronos 11
Referendum e partecipazione. Quorum non raggiunto
Dal 1997 soltanto in un caso è stato raggiunto il quorum
previsto dalla Costituzione: in campo varie ipotesi per ripensare questo
strumento di partecipazione democratica – di Stefano De Martis
L’affluenza alle urne si è fermata al 30% e quindi
nessuno dei cinque quesiti referendari proposti agli elettori l’8 e il 9 giugno
ha raggiunto il quorum previsto per la validità della consultazione. I votanti
sono stati circa 14 milioni, con minime differenze (da 30,58% a 30,59%) tra un
quesito e l’altro. Fermo restando che in assenza di quorum i referendum non
avranno conseguenze giuridiche, ovviamente gli elettori che hanno deciso di
recarsi ai seggi per votare hanno optato largamente per il Sì all’abrogazione,
con percentuali variabili tra l’87% e l’89%. Fa eccezione il quinto quesito,
quello sulla cittadinanza, che ha registrato il 65,49% di Sì e il 34,51% di No
(rispettivamente 9.023.665 e 4.754,382 voti). Un dato che deve far pensare
soprattutto se si hanno a cuore politiche di accoglienza e di inclusione.
Nel dettaglio, gli altri quattro quesiti hanno registrato
questi risultati: “reintegro licenziamenti illegittimi”, 89,06% di Sì e 10,94%
di No; “licenziamenti e limite indennità”, 87,60 % di Sì e 12,40% di No;
“tutela contratti a termine”, 89,04% dei Sì e 10,96% di No; “responsabilità
infortuni sul lavoro”, 87,35% di Sì e 12,65% di No.
L’esito della tornata ha riproposto il tema della riforma
del referendum abrogativo come strumento principale di democrazia diretta nel
nostro ordinamento.
Dal 1997 soltanto in un caso è stato raggiunto il quorum
previsto dalla Costituzione ed era il comunque il lontano 2011. Si votava per
l’acqua pubblica e il nucleare, ma l’andamento di questi quasi trent’anni
indica che il problema è strutturale e riguarda la partecipazione elettorale
nel suo complesso. Questione di rilevanza capitale per una democrazia, da
affrontare in modo organico e condiviso. Il che non deve però esimere dal
cercare soluzioni tecniche capaci di rendere il quorum un obiettivo realistico
anche nel contesto attuale di bassa partecipazione, evitando che uno strumento
prezioso come il referendum venga di fatto affossato alimentando ulteriormente
la disaffezione. Per esempio, ma è solo una delle ipotesi in campo, si potrebbe
calcolare il quorum sui votanti alle elezioni politiche più recenti e non sul
totale degli aventi diritto.
Sul piano politico generale, il risultato referendario
viene salutato come un successo dalla maggioranza di governo, che aveva
incoraggiato l’astensione, mentre sul versante opposto ci si consola ragionando
sui 14 milioni di votanti. Un numero superiore ai 12 milioni di elettori del
centro-destra alle ultime politiche. Ma è evidente che sarà necessaria una
riflessione su quella che è indiscutibilmente una sconfitta. Sir 10
Cgie Germania: campagna per rivedere la legge sulla cittadinanza
I consiglieri del Consiglio Generale degli Italiani
all'Estero (CGIE) eletti in Germania lanciano una campagna social per chiedere
al Ministro Tajani ed al Parlamento di rivedere il testo della legge 74/2025
sulla cittadinanza, che introduce modifiche sostanziali alla trasmissione della
cittadinanza iure sanguinis per chi nasce all’estero.
La legge 74/2025 introduce cambiamenti rilevanti e, in
alcuni punti, fortemente restrittivi alla normativa vigente sulla cittadinanza
italiana per trasmissione iure sanguinis. Si tratta di un tema delicato, che
tocca i diritti fondamentali di milioni di cittadine e cittadini italiani
residenti all’estero.
Il recente intervento legislativo, volto a limitare il
diritto alla trasmissione della cittadinanza da parte dei discendenti degli
italiani emigrati, avrebbe dovuto rappresentare un passo verso una maggiore
coerenza tra il principio giuridico della cittadinanza (de jure) e la sua
effettiva espressione nella realtá (de facto).
Ma così non è. La nuova norma stabilisce che la
cittadinanza iure sanguinis venga trasmessa automaticamente solo se uno dei
genitori, degli adottanti o dei nonni possiede esclusivamente la cittadinanza
italiana. Questo criterio, di fatto, impedisce a chi ha la doppia
cittadinanza di trasmettere quella italiana ai propri figli e nipoti.
Oltre all’evidente implicazione affettiva e identitaria,
tale disposizione entra in contrasto con il percorso di integrazione europea
degli ultimi trent’anni. Un processo che ha visto Paesi come Italia,
Francia e Germania riconoscere e favorire la doppia cittadinanza, consentendo a
milioni di persone di essere “nel proprio quotidiano” cittadine e cittadini
d’Europa, senza dover fare una scelta di appartenenza identitaria sul piano
nazionale.
Il nuovo impianto normativo rischia di compromettere
questa libertà, costituendo una grave forzatura rispetto al principio della
doppia cittadinanza, ormai consolidato in Italia e in numerosi altri Paesi
europei. Se confermate, queste disposizioni avrebbero un impatto
sproporzionato e discriminatorio sulle comunità italiane all’estero – in
particolare in Europa – dove la mobilità è tuttora viva e dove, da generazioni,
vivono figli e nipoti di emigrati italiani, pienamente integrati nei Paesi
ospitanti ma profondamente legati all’Italia.
Il diritto alla cittadinanza è un pilastro
dell’appartenenza, dell’identità e della partecipazione democratica. Ridurlo
in modo arbitrario significherebbe spezzare un legame storico e culturale con
le nostre comunità all’estero, con conseguenze non solo giuridiche, ma anche
sociali e simboliche.
Per questo, i consiglieri del CGIE eletti in
Germania, insieme alla collettività italiana ivi residente, lanciano una
campagna di sensibilizzazione sui social rivolta al Ministro Tajani ed al
Parlamento, chiedendo con forza una revisione del testo della legge 74/2025
sottolineando la necessità di riconsiderare il percorso normativo, affinché non
vengano penalizzati i cittadini e le cittadine con doppia cittadinanza che
mantengono un legame autentico e sostanziale con il nostro Paese.
Non lasciamo che la cittadinanza diventi ittadinAnsia. In
gioco ci sono molto più che delle semplici parole. Ci sono i diritti, le storie
e l’identitá di milioni di italiane e italiani all’estero che volano via.
Consiglieri CGIE Eletti in Germania
Tommaso Conte, Silvestro Gurrieri,
Gianluca Errico, Marilena Rossi,
Giuseppe Scigliano e Giulio Tallarico, de.it.press 11
Scrive alla SPD per chiedere più inclusione e rappresentanza per gli
italiani in Germania
Düsseldorf. Il numero degli italiani residenti in
Germania “contrasta in modo preoccupante con la quasi assenza di una
rappresentanza politica formale e visibile di questa comunità a livello locale,
regionale e soprattutto federale”. A sostenerlo è Giuseppe Tizza, traduttore e
interprete per il tedesco con qualifica riconosciuta dallo Stato, esaminato
dalla Camera di Commercio di Düsseldorf (IHK), che ha inviato una lettera alla
Direzione SPD per chiedere al partito di favorire la partecipazione politica attiva
degli italiani in Germania. Ne riportiamo di seguito la versione integrale.
“Scrivo oggi per portare alla Vostra attenzione una
questione che riguarda l'inclusione politica e la rappresentanza di una
comunità significativa ma spesso trascurata nella società tedesca: i circa
600.000 cittadini italiani che vivono, lavorano, pagano le tasse e
contribuiscono attivamente alla vita economica, sociale e culturale della
Germania.
Questo numero considerevole – equivalente alla
popolazione di una grande città tedesca – contrasta in modo preoccupante con la
quasi assenza di una rappresentanza politica formale e visibile di questa
comunità a livello locale, regionale e soprattutto federale. Nonostante la loro
lunga storia di integrazione e il loro profondo radicamento nel tessuto sociale
tedesco, gli italiani sembrano rimanere ai margini dei processi decisionali
politici.
Come Partito Socialdemocratico di Germania (SPD),
storicamente paladino della giustizia sociale, dei diritti dei lavoratori e
dell'inclusione di tutte le componenti della società, Vi chiediamo:
Analisi e Consapevolezza: Quali iniziative concrete ha
intrapreso o intende intraprendere lo SPD per comprendere meglio le specifiche
esigenze, preoccupazioni e aspirazioni politiche della comunità italiana in
Germania? Esistono studi o consultazioni mirate?
Promozione della Partecipazione: Come incoraggia
attivamente lo SPD la partecipazione politica attiva degli italiani residenti
in Germania? Quali misure sono previste per:
Stimolare l'iscrizione al partito tra i cittadini
italiani?
Identificare, formare e sostenere candidati con
background italiano per posizioni elettive a tutti i livelli (comunali,
distrettuali, statali, federali)?
Rendere più accessibile la vita interna del partito
(riunioni, materiali, comunicazione) per chi non è madrelingua tedesca?
Rappresentanza nelle Istituzioni: Quale strategia adotta
lo SPD per garantire che la voce della numerosa comunità italiana trovi spazio
nelle sue liste elettorali e, di conseguenza, nelle assemblee legislative? È
prevista una politica proattiva per la ricerca di candidati qualificati di
origine italiana?
Ponte Culturale e Politico: Lo SPD intende istituire
figure di riferimento, uffici di collegamento o gruppi di lavoro specifici
all'interno della sua struttura per dialogare costantemente con le associazioni
italiane e rappresentanti della comunità, fungendo da ponte tra le loro istanze
e le istituzioni politiche tedesche?
Temi Specifici: Quali politiche specifiche (lavoro,
riconoscimento titoli di studio, pensioni transfrontaliere, integrazione
culturale, lotta ai pregiudizi) promuove lo SPD che tengano conto delle
esperienze e delle sfide spesso uniche affrontate dai cittadini italiani in
Germania?
La forza della democrazia sociale tedesca risiede nella
sua capacità di rappresentare e dare voce a tutti i gruppi che compongono la
società. La comunità italiana, con la sua storia, la sua integrazione e le sue
dimensioni, merita di essere pienamente partecipe di questo processo. La loro
mancata rappresentanza non è solo una questione di equità per loro, ma
costituisce una perdita di potenziale, prospettiva e legittimità democratica
per l'intera società tedesca e per lo SPD stesso.
Confidiamo che lo SPD, fedele ai suoi valori fondanti di
uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale, voglia e possa svolgere un ruolo
pionieristico nel colmare questo gap di rappresentanza. Siamo convinti che un
impegno proattivo in questa direzione rafforzerebbe sia la comunità
italo-tedesca sia il partito stesso, rendendolo un vero riflesso della
diversificata società che serve.
Attendiamo con interesse e speranza un Vostro riscontro
sulle azioni concrete che lo SPD intende intraprendere per garantire che i
600.000 italiani in Germania non siano solo residenti, ma cittadini
politicamente rappresentati e pienamente inclusi”. (aise/dip 10)
A Berlino il punto sulla comunità italiana in Germania
Riunione di coordinamento consolare alla presenza dei
rappresentanti della comunità italiana in Germania. Scuola, servizi consolari e
cittadinanza tra le maggiori questioni aperte.
Dal 20 Gennaio 2025 S.E. Fabrizio Bucci ha assunto
servizio come nuovo ambasciatore della Repubblica italiana in sostituzione del
predecessore, Armando Varricchio, giunto a fine mandato.
L’ambasciatore Bucci ha scelto di iniziare il suo mandato
incontrando la sempre più numerosa comunità italiana in Germania per conoscerne
le esigenze e stabilire delle priorità di intervento condivise, questo con una
serie di visite presso le sedi delle rappresentanze consolari. La volontà di
organizzare in tempi brevi una riunione generale di coordinamento consolare con
la partecipazione dei rappresentanti della comunità italiana è pertanto un
segnale positivo e non scontato di disponibilità al confronto e all’ascolto. La
comunità italiana, arrivata alla soglia del milione di connazionali affronta
problemi vecchi e nuovi: scuola, orientamento per i nuovi arrivi, servizi
consolari, nuova legge sulla cittadinanza, pensioni italiane pagate all’estero
e altro ancora.
La riunione di coordinamento, molto intensa per i temi da
affrontare e i tempi a disposizione, si è tenuta il 24 maggio. Presenti ai
lavori erano per parte dell’Ambasciata, oltre a S.E. l’ambasciatore Bucci, il
Vice capomissione ministro Luigi Estero e la consigliera per gli affari sociali
Anna Bertoglio. Per le diverse circoscrizioni erano presenti tutti i titolari
delle sedi consolari, i dirigenti scolastici in servizio in Germania, tutti i
membri eletti nel CGIE per la Germania, tutti i presidenti dei Comites, con
l’eccezione di Francoforte.
Da remoto hanno partecipato ai lavori e sono intervenuti
gli on.Billi, Crisanti e Ricciardi.
In apertura l’ambasciatore Bucci ha affermato credere nel
dialogo con i rappresentanti della comunità italiana, fornendo tutta la propria
disponibilità a una stretta collaborazione sui temi più sentiti. Il confronto
sarà aperto a suggerimenti, idee e critiche.
Nella sua introduzione l’Ambasciatore ha ricordato che i
consolati italiani in Germania operano come piccole ambasciate, data la grande
autonomia dei Länder in molte materie, tra le quali l’istruzione, aspetto
importante e sofferto per la comunità italiana. La presenza dei Consolati ha
inoltre una importante funzione di promozione dell’interscambio commerciale tra
l’Italia e la Germania che, per il 2024, ammonta a ca.160 miliardi di euro.
Sostenere il nostro export è quindi un compito essenziale.
Quest’anno inoltre ricorre il 70° anniversario degli
accordi bilaterali per il collocamento dei lavoratori italiani in Germania.
L’accordo segna il momento di partenza del partenariato Italia-Germania e del
contributo italiano, fondamentale per lo sviluppo dell’economia tedesca. La
ricorrenza verrà celebrata a dicembre a Berlino, ma saranno gli innumerevoli
eventi locali a fornire l’occasione non solo per documentare e ricordare eventi
passati, ma per confrontarsi con le amministrazioni sul contributo ininterrotto,
e negli ultimi anni rafforzato, degli italiani alla crescita civile ed
economica della nazione tedesca. Nella recente visita a Wolfsburg
l’Ambasciatore Bucci ha affermato di aver percepito l’importanza della presenza
italiana, così come la gratitudine tedesca per il loro contributo.
Concretamente, alla celebrazione del 70° degli accordi seguirà a gennaio un
vertice di lavoro con il nuovo governo tedesco per definire i temi sui quali
collaborare in futuro.
Prima degli interventi dei vari presidenti dei Comites
relativamente alle diverse attività e esigenze locali gli on. Ricciardi,
Crisanti e il consigliere CGIE Conte si sono soffermati sulle problematiche
sollevate dalla nuova legge 74/25 sulla cittadinanza, recentemente approvata,
un testo molto discusso che di fatto impedirà la conservazione della
cittadinanza italiana all’estero oltre la terza generazione. Si taglieranno
così i legami con l’Italia delle tantissime comunità di antica emigrazione, ma
anche i discendenti dei nuovi arrivati in Germania perderanno la loro identità
italiana in tempi relativamente brevi. È una legge che va perfezionata e che
contiene secondo gli intervenuti, profili dubbi di costituzionalità. La legge e
le sue implicazioni, come altri provvedimenti che interessano gli italiani
all’estero, è poco conosciuta e solo con un’opera di informazione sarà
possibile esercitare la pressione necessaria per ottenere modifiche e
correzioni.
Nelle relazioni dei membri del CGIE eletti per la
Germania e in quelle dei presidenti dei Comites si sono analizzate le diverse
esigenze e situazioni locali. Complessivamente si è rilevato un miglioramento
dei servizi consolari con attese ridotte per l’ottenimento di passaporti e
carte d’identità, in alcuni consolati persino azzerate. Si sono istituiti anche
canali preferenziali per persone anziane e disabili. Permangono comunque alcune
situazioni di criticità con lunghe attese e la necessità per i territori del
Saarland e di Norimberga di avere uno sportello consolare stabile e efficace.
In tutte le situazioni si registra un aumento di
connazionali, in parte legati alla nuova mobilità e in parte collegati a
connazionali già residenti da tempo. Del tutto particolare è la situazione di
Berlino, con una forte mobilità e con una presenza considerevole di artisti,
gastronomi e in genere di persone alla ricerca di uno stile di vita differente
e aperto, quale quello che la capitale tedesca offre. A Monaco invece la
presenza di numerose startup attira un numero crescente di connazionali giovani
e dinamici, mentre a Friburgo città è significativa la presenza di ricercatori
e personale medico, paramedico e generico nel settore ospedaliero.
Tutti i Comites ospiteranno eventi per il 70° dei patti
sul lavoro e tutti concordano sulla duplice valenza dell’evento: da una parte
documentazione e memoria, prima che scompaiano i protagonisti, specie quelli
delle prime emigrazioni; dall’altra la necessità, partendo dalla memoria, di
costruire reti e relazioni tra le realtà della nuova emigrazione, anche
convocando una sorta di stati generali dell’associazionismo italiano.
Con poche eccezioni, tutti i Comites rilevano le
difficoltà che incontra l’insegnamento della lingua italiana, soprattutto per
quanto riguarda l’aumentata richiesta da parte delle famiglie nuove arrivate.
Su richiesta dei rappresentanti della comunità e con il pieno consenso
dell’ambasciatore si è anticipata nell’ordine del giorno la discussione sui
problemi legati alla scuola e alla diffusione della lingua italiana a tutti i
livelli, dai corsi di lingua e cultura alle cattedre universitarie di italianistica
e romanistica.
La situazione dei corsi di lingua e cultura e degli enti
gestori è notoriamente drammatica e quasi irreversibile, nettamente peggiorata
da quando, nel 2017 c’è stato il passaggio delle competenze alla Direzione
Generale per la diplomazia pubblica e culturale; con il ritorno delle
competenze alla DGIT, come parrebbe prospettarsi, i corsi potrebbero riassumere
il loro carattere di servizio scolastico italiano, offerto alle famiglie
all’estero. È stato anche sottolineato come negli ultimi 4 anni l’ambasciata non
si sia impegnata per difendere i corsi con il risultato di dover constatare la
chiusura di numerosi enti gestori, mentre i pochi rimasti sono a rischio di
chiusura. Per la Germania si è perso nell’ultimo quadriennio circa il 50% del
contributo ministeriale, dato non certo confortante. La mancanza di obiettivi
chiari, sia in generale che per il territorio tedesco, l’assenza di strategie e
un apparato burocratico centrale con richieste di documentazione sempre più
improbabili e vessatorie agli enti gestori hanno portato i corsi al collasso,
obbligando talvolta gli enti a chiedere un contributo di iscrizione e frequenza
alle famiglie per poter affrontare le spese necessarie.
L’Ambasciata condivide la priorità del tema scuola e
concorda sul fatto che ci sia una forte esigenza strutturale da parte
dell’utenza italiana che rimane in parte insoddisfatta, mentre da parte
tedesca, non solo nei corsi, ma anche nelle scuole bilingui è atteso un
sostegno strutturale e una continuità. La risposta da parte italiana è
costituita da un sistema variegato, non sempre strutturale. La proposta
dell’Ambasciata che ogni anno si tenga più di una sessione di incontri sul tema
scuola è stata perciò pienamente condivisa da tutti.
La questione delle pensioni è stata ugualmente dibattuta,
l’ambasciatore ha garantito il proprio intervento per i pensionati italiani
residenti in Italia, ma con pensione pagata dallo stato tedesco. Per loro la
Germania ha sospeso l’emissione della certificazione necessaria per la
dichiarazione dei redditi in Italia, che i pensionati non possono perciò
presentare. Completamente diversa la situazione dei pensionati italiani a
pensione italiana residenti in Germania, per i quali vige, al momento per il 2025,
il blocco della rivalutazione delle pensioni con la conseguenza che nessuna
pensione italiana superiore al minimo e pagata all’estero viene adeguata
all’inflazione crescente. Il trattamento discriminatorio nei confronti dei
pensionati residenti in Germania è evidente.
I rappresentanti della comunità italiana hanno
riconosciuto in questa riunione di coordinamento un segnale di attenzione, di
ascolto e collaborazione da parte dell’ambasciata. I temi affrontati dovranno
ora essere approfonditi in incontri dedicati, in particolare il tema complesso
della scuola e dell’insegnamento della lingua italiana sul quale ci auguriamo
di poter tornare al più presto.
Andrea Gatti, CdI on 11
Francoforte. La Festa della Repubblica al Consolato
Francoforte/M. - In un clima di solenne emozione e vivace
partecipazione, il Consolato Generale d’Italia a Francoforte ha celebrato ieri
la Festa della Repubblica Italiana, accogliendo autorità, rappresentanti della
comunità italiana e ospiti illustri. L’evento, ospitato dal Console Generale
Massimo Darchini, ha rappresentato non solo un momento istituzionale di grande
rilievo, ma anche un’occasione per riflettere sull’identità nazionale italiana
e sul ruolo strategico dei legami tra Italia e Germania.
Nel suo discorso inaugurale, il Console Darchini ha
sottolineato l’importanza di questa ricorrenza nel cuore dell’Europa, dedicando
particolare attenzione alla Regione Emilia-Romagna, che gli è particolarmente
cara, essendo originario di Imola, in provincia di Bologna. Ha ricordato come
la laboriosità e l’innovazione emiliane rappresentino un microcosmo delle
eccellenze italiane nel mondo, contribuendo in modo decisivo all’immagine
positiva dell’Italia all’estero.
Uno dei momenti più significativi dell’intervento è stato
il ricordo del 70° anniversario dell’accordo bilaterale del 1955 tra Italia e
Germania, che segnò una svolta storica nell’emigrazione italiana verso la
Germania, soprattutto nel settore industriale. “Un patto di lavoro e dignità,”
ha affermato Darchini, “che ha gettato le basi per l'integrazione e per i
profondi legami che oggi uniscono i nostri popoli”.
Particolare rilievo è stato dato alla recente decisione
del governo italiano di candidare la Cucina Italiana a patrimonio immateriale
UNESCO per il biennio 2024-2025. Un’iniziativa accolta con entusiasmo anche dal
Segretario di Stato Uwe Becker, ospite d’onore della serata, che ha espresso la
propria ammirazione per la tradizione gastronomica italiana, sottolineando come
“i tedeschi siano sempre più affascinati dalle bellezze, dalla cultura e dalla
tavola italiana”; ha ribadito l’importanza dei lavoratori italiani ancora oggi
nel sistema tedesco, dove molti coprono posizioni di rilievo. Nel corso del suo
discorso, Becker ha sostenuto che bisogna ricostruire la Pace ripartendo dalle
nuove generazioni, ed evidenziato che l’Europa non può fare a meno dell’Italia.
Il Segretario di Stato ha infine consegnato in dono una raffigurazione del
leone, simbolo dello Stato federale dell'Assia, un emblema molto presente in
Germania, sia a livello regionale che nel contesto nazionale, spesso associato
a valori come forza, coraggio e nobiltà.
La serata ha visto la partecipazione di numerose
personalità di rilievo, tra cui Licia Linardi, Direttrice del Corriere
d’Italia, da anni voce autorevole della comunità italiana in Germania;
Antonella Rossi, Direttrice ENIT Germania, promotrice del turismo italiano;
Vito Fagiolino, Presidente A.I.M. Germania; Silvestro Parise, Consultore della
Regione Calabria in Germania, Vicepresidente A.I.M. e promotore della Cultura
Calabrese in Germania; Giulio Tallarico, Consigliere del CGIE-Germania;
Salvatore Maugeri, Sales Account Executive ITA AIRWAYS Germania; Luca Zaccaria,
Direttore della Sede Centrale Deutsche Bank di Francoforte; Giuliano Francesco,
autore calabrese; Antonio Balbi, artista originario di Roccagloriosa; Andrea
Pochiesa, Manager Ivalua Francoforte; Patrizio Maci, Presidente del COMITES
Saarbrücken; Thilo Weicker, avvocato tedesco da anni vicino alla comunità
italiana; e Felix Pfitscher, Giornalista di Economia e Finanza E.N.A.
La Festa della Repubblica a Francoforte ha così
rappresentato un momento di orgoglio nazionale e di coesione, in presenza di
tanti ospiti, con la esibizione di chiusura del Tenore Domenico Straface che ha
eseguito l’aria Nessun Dorma, che narra la storia della principessa cinese
Turandot, ribadendo il ruolo centrale delle comunità italiane all’estero e il
valore delle relazioni bilaterali con la Germania. Un ponte tra passato e
futuro, tra tradizione e innovazione, tra cultura e civiltà condivisa. (si.pa.,
aise/dip 3)
Monaco di Baviera. Visit Emilia alla Festa della Repubblica Italiana
Monaco di Baviera – Un’occasione strategica per
valorizzare il patrimonio enogastronomico regionale e rafforzare i rapporti
diplomatici e commerciali con il mercato tedesco. Visit Emilia –ente
istituito dalla Regione Emilia Romagna per la promozione turistica delle
province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia – ha partecipato alle
celebrazioni ufficiali del 2 giugno per la Festa della Repubblica Italiana a
Monaco di Baviera, consolidando così la propria presenza strategica sul mercato
tedesco. L’evento istituzionale, organizzato dal Consolato Generale d’Italia
nella suggestiva cornice del Castello di Schleißheim, ha rappresentato
un’importante vetrina per l’eccellenza emiliana. La serata ha visto la
partecipazione di autorevoli personalità del panorama politico,
economico e culturale bavarese e tedesco, insieme al Console Generale Sergio
Maffettone. Un appuntamento che si conferma ormai un pilastro nelle relazioni
diplomatiche italo-tedesche, trasformandosi in una prestigiosa occasione per raccontare
l’Italia attraverso cultura, musica e tradizioni enogastronomiche. A
rappresentare Visit Emilia erano presenti il presidente Simone Fornasari e il
direttore Pierangelo Romersi,
Grazie al contributo di Visit Emilia, protagonisti della
serata sono stati alcuni prodotti simbolo del territorio: i salumi piacentini
DOP, il Parmigiano Reggiano e l’aceto balsamico di Reggio Emilia. Eccellenze
che raccontano storie di tradizione millenaria e qualità certificata, portando
con sé l’identità autentica di una terra che sa conquistare anche i palati
internazionali. “La nostra partecipazione a Monaco non è un semplice gesto
simbolico, ma un’azione concreta di promozione che rinnoviamo con convinzione
di anno in anno” ha dichiarato il presidente Simone Fornasari. “Il mercato
tedesco rappresenta una delle principali direttrici turistiche per la nostra
destinazione, e il pubblico bavarese si dimostra particolarmente sensibile alla
qualità della nostra offerta enogastronomica. Essere presenti in contesti
istituzionali di questo calibro significa generare concrete opportunità di
business, consolidare relazioni internazionali durature e rafforzare l’identità
dell’Emilia anche in chiave economica e turistica”. La serata si è
articolata secondo un programma ricco e coinvolgente: aperitivo italiano di
benvenuto, saluti istituzionali, esecuzione degli inni nazionali e concerto
diretto dalla maestra Annunziata De Paola. Il ricevimento finale ha celebrato
il gusto italiano, trasformando la degustazione in un autentico momento di
narrazione culturale e identitaria. Verso un rafforzamento della presenza
internazionale. Consolidare i rapporti con il mercato tedesco, area di primaria
importanza per il turismo emiliano, significa arricchire il prezioso lavoro che
Visit Emilia conduce quotidianamente per la propria destinazione. Un impegno
costante che intreccia identità territoriale, eccellenza qualitativa e visione
strategica, con l’obiettivo ambizioso di posizionare l’Emilia come meta sempre
più attrattiva e competitiva sui mercati internazionali. (Inform/dip 3)
Berlino. L’Italia che innova: in Ambasciata la Festa della Repubblica
Berlino. “La Festa della Repubblica Italiana è
un’occasione non solo per riflettere sul nostro passato, ma anche per
affrontare insieme ciò che ci attende, nella consapevolezza di avere una
responsabilità comune soprattutto nel nostro Continente”. È quanto ha affermato
l’ambasciatore d’Italia in Germania, Fabrizio Bucci, nel suo discorso in
occasione del tradizionale ricevimento celebrativo tenutosi ieri, 3 giugno,
nella sede dell’Ambasciata a Berlino.
Tra gli oltre mille ospiti presenti, numerosi
rappresentanti delle istituzioni italiane e tedesche, del corpo diplomatico,
dell’economia, della scienza e del mondo accademico, della cultura e dei media,
insieme a tanti membri della vivace comunità italiana in Germania. A
rappresentare il governo tedesco, il sottosegretario agli Affari Esteri Gunther
Krichbaum affiancato da vari membri del governo, tra i quali i sottosegretari
Dörte Dinger (Ufficio del Presidente federale), Jörg Semmler (Cancelleria federale)
e Ulrich Lange (Ministero dei Trasporti), insieme a numerosi parlamentari e
altre autorità federali e locali. Una cornice di grande prestigio che ha reso
la festa un momento significativo di dialogo, condivisione e amicizia tra
Italia e Germania.
La celebrazione della Festa della Repubblica si è tenuta
quest’anno all’insegna del motto “L’Italia che innova”, con un allestimento
volto a illustrare le molteplici eccellenze e gli importanti primati
dell’Italia attorno a sei cluster tematici: industria 4.0, energia, trasporti,
difesa, aerospazio e servizi.
La cerimonia è stata aperta con l’esecuzione solenne
degli inni nazionali italiano e tedesco, seguiti da quello europeo,
interpretati dalla voce della talentuosa cantante Malika Ayane, accompagnata
dalla violoncellista Martina Biondi e dalla violinista Cecila Ferron, tre
musiciste italiane che vivono a Berlino e che hanno saputo trasmettere
l’intensità e l’emozione del momento.
L’ambasciatore Bucci, nel salutare gli ospiti presenti,
ha ribadito la profondità del legame tra Italia e Germania, fondato su valori
comuni, cooperazione strategica e una visione condivisa del futuro europeo,
nonché l’importanza della ricca e articolata collaborazione tra i due Paesi in
tutti i settori. Nel mondo attuale, segnato da instabilità crescente, dal
ritorno della guerra sul suolo europeo e da sfide sempre più complesse, “i
nostri due Paesi devono farsi promotori di un’Europa più forte, più competitiva,
più giusta, più protagonista: con la cultura, l’innovazione, la libertà,
l’apertura e l’inclusione e la capacità di fare impresa, per assicurare a tutti
noi e alle generazioni future pace, sicurezza e prosperità”.
Nell’anno in cui ricorre il 70° anniversario dell’accordo
sulla manodopera tra Italia e Germania, l’ambasciatore ha inoltre rivolto un
pensiero affettuoso e sentito ringraziamento alla straordinaria comunità
italiana. “Si tratta di una ricorrenza che ci ricorda l’impegno, la dignità, il
sacrificio e il contributo prezioso di migliaia di italiani che hanno costruito
un ponte tra le nostre due società e che hanno dato un contributo importante al
miracolo tedesco”, ha ricordato l’ambasciatore.
La serata è proseguita con un ricco programma musicale:
lo ha aperto il violino elettrico di Olen Cesari, seguito dall’energia della
band “The Wrong Pillows”, composta dal cantante e chitarrista Bruno di Tillo,
dal bassista Jorge Alejandro Garza Gallardo e dal batterista Edoardo Pappi. Un
coinvolgente dj set a cura di Leonardo di Badia ha animato il finale della
serata. Il programma musicale è stato compilato da Cecilia Ferron e Ege Kavaz,
rispettivamente curatrice artistica e visual director di Lab der Musik, realtà
berlinese dedicata alla formazione musicale avanzata e alla promozione della
cultura musicale contemporanea.
Numerosi gli sponsor della serata a cui l’ambasciatore ha
voluto rivolgere il suo ringraziamento: “la loro partecipazione”, ha detto,
“testimonia quanto la sinergia tra pubblico e privato sia fondamentale per
promuovere l’Italia nel mondo”. (aise/dip 4)
Cosmo italiano. I temi delle ultime puntate
Andrea Mazzotti, infermiere fra Italia, Inghilterra e
Germania
(06.06)Sono moltissimi gli infermieri italiani che da
anni emigrano e trovano lavoro in Germania, ma anche in Gran Bretagna, dove le
loro competenze sono molto richieste. Andrea Mazzotti di Colonia conosce bene
entrambe le realtà e racconta delle sue esperienze e riflessioni a Francesco
Marzano. Ma al di là del lavoro, com'è la sua vita con una famiglia e lontano
dall'Italia?
Più giovani di destra radicali e aggressivi in Germania
(05.06)Una cellula di giovanissimi estremisti di destra
"con fantasie omicide" in Germania e l'aumento dei reati a sfondo
politico di destra: ce ne parla Enzo Savignano. La tendenza è di creare gruppi
piccoli ma in rete, "a mosaico", e chiedere azioni violente anche a
ragazzi interessati: ne parliamo con Andreas Speit, esperto del tema.
Dell'ultradestra europea riunita a Gallarate e di cosa sta succedendo in Italia
su questo fronte parliamo con il giornalista Leonardo Bianchi.
Energie rinnovabili a spese dei più poveri
(04.06)Il caso del contadino peruviano che è riuscito a
portare in tribunale il colosso energetico tedesco RWE riapre la pagina delle
responsabilità dei paesi ricchi per i danni prodotti dal cambiamento climatico:
la vicenda riassunta da Enzo Savignano. Ma la corsa alle energie rinnovabili
non migliora la posizione del Sud del mondo, si parla di "colonialismo
verde", ne discutiamo con Andrea Colli, professore di Storia Economica
alla Bocconi di Milano.
Ma in Germania si lavora veramente troppo poco?
(03.06)Il nuovo cancelliere Friedrich Merz, appena
insediato, ha lanciato la provocazione: tra part time, alto numero di festività
e pensioni anticipate, in Germania, a suo avviso, si lavora troppo poco.
Secondo Merz non è col "work-life balance" che si può risollevare
l'economia tedesca. Enzo Savignano sulla polemica politica seguita alle
dichiarazioni di Merz. Con gli economisti Alexander Kritikos ed Enrico
Giovannini cerchiamo di capire quali strumenti possono veramente aiutare la
ripresa economica.
Prime condanne in Germania per lo scandalo Volkswagen
(02.06)A dieci anni dall'inizio del dieselgate, lo
scandalo delle emissioni truccate sui veicoli Volkswagen, arrivano le prime
condanne, ma i processi sono tutt'altro che conclusi, ce ne parla Enzo
Savignano. Con Alessandro Vai, giornalista esperto di auto e moto, abbiamo
parlato degli errori di Vokswagen e del futuro del mercato automobilistico
europeo.
Meno aiuti umanitari e meno beneficenza: la svolta
tedesca
(28.05)La Germania è da decenni tra i Paesi più impegnati
negli aiuti umanitari e nel sostegno allo sviluppo del Sud globale. E anche i
tedeschi, come privati, sono stati sempre campioni di beneficenza. Negli ultimi
tempi però qualcosa sembra cambiato, sia a livello statale che privato.
Proviamo a capire il perché con l'aiuto del collega Giulio Galoppo e di
Pasquale Ionta della Caritas tedesca.
Quando la ditta fallisce: senza lavoro in Germania
(27.05)Ricominciare a sessant'anni o scegliere il
prepensionamento? Toni Mirra si è trovato di fronte ad un bivio per il
fallimento dell'azienda in cui ha lavorato per decenni in Germania. E c'è poi
il fallimento di Lilium, start up di Monaco per produrre aerotaxi in cui molti
ingegneri hanno creduto, decine di loro arrivati dall'Italia. Uno di loro ci
racconta cos'è successo e come stia lottando per ottenere quello che gli
spetta. Una panoramica su chiusure e fallimenti aziendali da Giulio Galoppo.
Come proteggersi dal cancro alla pelle
(26.05)In Germania i casi di melanoma sono praticamente
raddoppiati negli ultimi vent'anni, con Giulio Galoppo vediamo i dati e quali
visite di prevenzione vengono pagate dalle casse mutue tedesche. Con Andrea
Maurichi, dirigente medico presso l'unità di Chirurgia del Melanoma
dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, parliamo di come prevenire i
tumori alla pelle, come curarli e quanto spesso fare visite di controllo. Cosmo
italiano, De.it.press
Brevi di politica e cronaca tedesca
Washington stende il tappeto rosso al Cancelliere Merz in
visitaIl Cancelliere Friedrich Merz (CDU) in visita per la prima volta oggi a
alla Casa Bianca, a differenza di altri capi di governo, potrà attendersi
un’accoglienza amichevole tant’è che soggiornerà nella “Blair House”, la
residenza ufficiale per ospiti di Stato speciali di fronte alla Casa Bianca. I
motivi per cui Washington stende il tappeto rosso al Cancelliere sono
molteplici: Merz è, insieme a Giorgia Meloni, l’unico capo di governo conservatore
tra gli Stati del G7; quindi l’amministrazione Trump lo considera come una
sorta di “alleato naturale”. Risoluto contro l’immigrazione clandestina, fermo
nell’espansione della spesa per la difesa; contrario all’ideologia gender e
alla “cancel culture”. In più, il suo atteggiamento nei confronti della Cina è
più critico dei suoi due predecessori, Merkel e Scholz ed è un fedele amico di
Israele.
Inoltre, il fatto che il Cancelliere Friedrich Merz abbia
fatto carriera nel mondo finanziario e abbia guidato il gigante degli
investimenti statunitensi BlackRock in Germania dovrebbe essere apprezzato dal
Presidente degli Stati Uniti. In qualità di Presidente di lungo corso
dell’associazione tedesco-americana “Atlantik-Brücke”, Merz può vantare
un’eccellente rete di contatti negli Stati Uniti. Vi sono quindi tutte le
condizioni per instaurare un clima favorevole tra lui e il Presidente Trump,
capace sempre di sorprendere per la sua imprevedibilità.
La visita l’aveva preparata il neo ministro degli Esteri
tedesco Johann Wadephul (CDU), che aveva annunciato che anche la Germania
avrebbe aderito in futuro all’obiettivo di spesa per la difesa della NATO del
5% richiesto da Washington. Anche se a Berlino questa decisione aveva provocato
il caos nella coalizione nero-rossa, a Washington è stata considerata una
scelta esemplare.
Le condizioni per una buona intesa ci sono tutte, se non
fosse per lo spinoso tema dei dazi e la guerra commerciale del Presidente
Trump. In realtà a negoziare per l’Europa è la Commissione europea, e non il
capo del governo tedesco. Ma forse il Cancelliere Merz riuscirà a convincere il
Presidente degli Stati Uniti con la sua competenza finanziaria che, in caso di
un’ulteriore escalation della guerra dei dazi tra l’UE e gli Stati Uniti, a
godere sarà o saranno solo i “terzi”, in primo luogo la Cina.
Politica migratoria: la sentenza del tribunale causa
problemi al governo
Come in Italia, anche in Germania a volte i tribunali
prendono decisioni controverse che causano disappunto tra i cittadini e
sconcerto tra i politici. Ora il tribunale amministrativo di Berlino ha
stabilito in una sentenza d’urgenza che il respingimento dei richiedenti asilo
nel contesto dei controlli alle frontiere sul territorio tedesco è illegale.
Senza l’attuazione della cosiddetta procedura di Dublino, i richiedenti asilo
non possono essere respinti oltre il confine tedesco. I giudici si sono pronunciati
nel caso di tre somali che erano stati precedentemente rispediti da Francoforte
sull’Oder nella vicina Polonia.
Questa è la prima decisione giudiziaria sul nuovo
regolamento introdotto dal ministro dell’Interno Alexander Dobrindt. Il
politico della CSU aveva ordinato l’intensificazione dei controlli alle
frontiere poche ore dopo il suo insediamento. Allo stesso tempo, il ministro ha
autorizzato la polizia federale a respingere i richiedenti asilo alla
frontiera, a eccezione di donne incinte, bambini e altri membri di gruppi
vulnerabili. In precedenza, solo le persone che non avevano presentato domanda
di asilo e i migranti con un divieto temporaneo di ingresso erano stati
respinti.
Nel caso specifico, si è trattato di due uomini e una
donna somali che viaggiavano in treno dalla Polonia in direzione della Germania
e che sono stati controllati alla stazione di Francoforte sull’Oder (la città è
separata dalla Polonia solo da un ponte) dalla polizia federale. Dopo aver
presentato una domanda di asilo, sono stati respinti in Polonia lo stesso
giorno.
Le autorità hanno giustificato la procedura indicando che
i soggetti facevano il loro ingresso da un Paese terzo sicuro. Gli interessati
si sono opposti con una procedura d’urgenza dinanzi al tribunale
amministrativo, che ha dichiarato che la motivazione alla base del
respingimento non era sufficiente. Il ministro dell’Interno Dobrindt ha difeso
la procedura, certo del fatto che “l’interpretazione giuridica alla base non
sia stata sconvolta, in quanto il tribunale ha espresso soltanto critiche in
merito alla motivazione”. Pertanto, “la Germania non cambierà la nuova prassi”.
Anche il Cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha annunciato di voler proseguire con
i respingimenti. Una questione pare però irrisolta: secondo il tribunale, le
decisioni in merito sono inoppugnabili.
Occupazione illegale: il ministro Klingbeil dichiara
guerra al lavoro nero
Anche la Germania ha un problema crescente con il lavoro
illecito. Il ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD) ha quindi chiesto una
repressione più severa della criminalità finanziaria e del lavoro nero. Il
Vicecancelliere ha affermato che “lo Stato di diritto deve agire con severità
nel merito. Si tratta di una questione di giustizia”, annunciando quindi che
conferirà alla polizia finanziaria ulteriori poteri di indagine per poter agire
in modo più efficace contro il lavoro nero. “Ciò comporterà un’inversione
dell’onere della prova per le attività sospette”. L’obiettivo è quello di
essere in grado di valutare grandi quantità di dati, anche con l’impiego
dell’intelligenza artificiale. “A ciò contribuirà un completo scambio di dati
tra le autorità sociali, finanziarie e di sicurezza”, ha spiegato il ministro,
che ha disposto maggiori assunzioni nelle autorità finanziarie, con la speranza
che più controlli portino maggiori entrate nelle casse dello Stato.
La Zollpolizei – la controparte tedesca della Guardia di
Finanza italiana – impiega complessivamente oltre 48.000 persone. 9.200
dipendenti sono impiegati nella lotta al lavoro nero, tra cui anche il
controllo della giusta corresponsione del salario minimo legale. In questo
settore, lo scorso anno l’autorità ha avviato 97.000 procedimenti penali e
50.000 sanzioni pecuniarie. L’importo dei danni accertati è stato stimato in
oltre 766 milioni di euro, nel 2023 invece l’importo era fermo a 615 milioni di
euro.
Politica energetica: il nuovo governo blocca lo
svantaggio del sud
Nel progetto di ampliamento delle centrali a gas, il
nuovo governo intende prestare particolare attenzione alla Germania
meridionale. Due terzi delle nuove capacità sorgeranno nel sud della Germania,
come annunciato dal ministro dell’Economia Katherina Reiche (CDU) durante una
visita in Baviera. A tal fine, il ministro prevede l’istituzione di un “bonus
per il Sud”. Il Primo ministro bavarese e leader della CSU Markus Söder ha
accolto con favore i piani: la Baviera è stata svantaggiata in passato, ora si
intravede davvero un “vero barlume di speranza”. Il Primo ministro ha quindi
annunciato che punterà a una più stretta collaborazione con il nuovo governo
federale guidato da CDU-CSU e SPD. Anche il miglioramento del collegamento
della Baviera alla rete a idrogeno è un segnale importante.
Nello stesso contesto il ministro Reiche ha annunciato
sgravi finanziari per l’economia. Prima della pausa estiva, si prevedono
riduzioni della tassa sull’elettricità e del canone per l’utilizzo della rete,
dato che “i prezzi dell’elettricità in Germania non sono più competitivi” (…)
“L’accessibilità economica dell’energia deve tornare a essere al centro
dell’attenzione politica”. Il previsto ampliamento delle centrali a gas fa
parte di un più ampio riorientamento della politica energetica messo a punto
dalla nuova coalizione nero-rossa. L’accordo di coalizione prevede la
costruzione di circa 40 impianti, quasi il doppio rispetto alla precedente
pianificazione dell’ex ministro della coalizione semaforo Robert Habeck
(Verdi). Un passaggio obbligatorio all’idrogeno, d’altra parte, non è
all’ordine dell’agenda della coalizione nero-rossa.
Rispetto alle zone ventose e costiere della Germania
settentrionale, il sud della Germania è significativamente in ritardo nella
produzione di energia eolica. Per quanto riguarda l’ampliamento dell’energia
fotovoltaica, la soleggiata Baviera si trova invece da anni ai primi posti. Il
Land ha di gran lunga il maggior numero di impianti solari installati in
Germania. Nel 2024 la Baviera ha rappresentato circa un quarto della produzione
fotovoltaica complessiva, diventando il principale fornitore di energia solare
della Germania.
La Baerbock eletta Presidente dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite
L’ex ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock sarà
la prossima Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Durante
l’elezione a New York, la 44enne politica dei Verdi ha ottenuto 167 voti nel
più grande organo delle Nazioni Unite. Prima della nomina l’ex ministro
Baerbock ha dovuto far fronte a una votazione a scrutinio segreto richiesta
dalla Russia. Baerbock si è presentata all’elezione per il ruolo al vertice
della durata di un anno senza oppositori.
L’elezione in seduta plenaria davanti a 193 Paesi membri
delle Nazioni Unite è considerata una formalità: di norma, i delegati decidono
le prossime nomine in assenza di oppositori per acclamazione, ossia per
consenso e senza un’elezione formale. Nelle ultime settimane, la Russia non ha
nascosto di ritenere Baerbock una candidata inadatta e l’ha accusata di
“lampanti pregiudizi”. Come ministro degli Esteri, nel contesto dell’invasione
russa dell’Ucraina Baerbock ha tenuto una linea dura nei confronti di Mosca,
finendo così ripetutamente nel mirino del Cremlino.
Luoghi in Germania: Paderborn
Fedeli in rivolta nel Duomo di Paderborn, la roccaforte
cattolica della Vestfalia. L’occasione della protesta è stata una
rappresentazione artistica in programma nella cerimonia ufficiale per
l’anniversario dei “1250 anni della Vestfalia”, nella quale attori seminudi si
sono esibiti con delle falci e dei polli di plastica avvolti in pannolini
nell’area sacra del duomo. Il capitolo del duomo ha preso le distanze e
“manifesta il suo sentito rammarico per i sentimenti religiosi feriti dalla
messa in scena e ha avviato una revisione interna”. “Oggettivamente blasfemo”,
ha giudicato il parroco della cattedrale.
L’esibizione in una delle più antiche cattedrali della
Germania, alla presenza del Presidente dello Stato, aveva suscitato un’ondata
di indignazione e portato a una petizione con circa 17.000 firmatari. Con il
titolo “Contro la profanazione del duomo di Paderborn: per la difesa dei nostri
luoghi sacri”, i fedeli hanno chiesto una chiara presa di posizione da parte
dell’arcidiocesi. Kas 5
Moda femminile in Germania. L’affermazione di Elisabetta Migliaccio di
Weilheim/Stoccarda
Sarebbe quasi naturale accostare un’indossatrice alle
grandi firme italiane. Ma per la brianzola Elisabetta non è così. Lei veste una
varietà di capi di abbigliamento, prodotti da aziende danesi, scandinave e
tedesche.
La sua storia è un po’ singolare. Nata ad Erba, in
provincia di Como, Elisabetta trascorre la sua infanzia nella sartoria della
mamma. È lì che inizia a tagliare e cucire i vestitini per le sue bambole. Se
fosse stato per la mamma, Elisabetta avrebbe dovuto ereditare l’avviata
sartoria. Dopo le Medie però il padre impone alla figlia di frequentare
l’Istituto Commerciale per Ragionieri, in modo da avere quel “pezzo di carta”,
necessario per un lavoro in ufficio. Infatti, terminata la “maturità” Elisabetta
inizia subito a lavorare come ragioniera in una azienda.
Dopo il matrimonio, da cui ha avuto due figlie, suo
marito Stefano si trasferisce per lavoro a Weilheim unter Teck, una cittadina
di 10mila abitanti, situata ad una 40ina di km a sud-est di Stoccarda. Dopo un
anno di sacrifici, la famiglia assume la decisione di stabilirsi
definitivamente in Germania, garantendo così alle figlie, allora di 5 e 9 anni,
di crescere anche in un sano ambiente bilingue e biculturale.
Oltre a dedicarsi alla loro crescita e al pieno
inserimento nella nuova società di accoglienza, Elisabetta pensa di doversi
rendere utile anche alla terra d’origine promuovendo vini di qualità di aziende
della Franciacorta bresciana. In cuor suo però non si era mai spento il
desiderio dell’abbigliamento. Per cui non appena le viene proposto di indossare
abiti per conto di una boutique locale tedesca, fa salti di gioia.
Per l’ultra 40enne brianzola si avvera così un sogno. E
grazie al suo prestante fisico atletico e all’amore sviscerato per la Moda,
Elisabetta è oggi una fotomodella molto in voga.
È consapevole però del fatto che affermarsi nel variegato
mondo di quel fenomeno sociale che si chiama “Moda”, non è affatto facile tener
botta, a qualsiasi livello. E ciò vale non solo per chi indossa capi di Armani,
Gucci, Chanel, Vuitton, Dolce & Gabbana ed altri, ma anche per chi promuove
altri segmenti del prêt-à-porter (pronto da portare) che vanno
dall’intimissimo, all’Accessories, Allure, Appeal, Applicazioni, Bag Designer
fino ad arrivare agli sleep e al reggiseno.
Ma che significa oggi, nell’era dei “Social”, diventare
indossatrice o meglio, fotomodella della S’Buotiquele?
Elisabetta esordisce così:
In generale ci sono dei parametri come altezza, fisicità,
portamento, essere fotogenica. Per esserlo in modo che diventi una professione
è necessario un portfolio di buoni scatti fotografici, appoggiarsi ad agenzie e
partecipare a corsi che migliorano la postura ed il portamento. Spesso ci sono
dei casting in studi fotografici a cui si è invitati o a cui si può
partecipare.
Che cosa ti affascina?
Mi affascina tutta la preparazione prima degli Shooting.
La scelta degli abiti, la location, il tema dei servizi fotografici.
Dal tema della nuova collezione in negozio, alla promozione di vini e
ristoranti, scatti di vita quotidiana…. Indossare per prima questi abiti e
l’essere presa come esempio è certamente gratificante. La mia fisicità non è
ovviamente da alta moda, ma il progetto è quello di mostrare un corpo ’normale‘
di una donna e di una mamma con i suoi pregi e difetti.
Ci sono compromessi dai quali non ci si può sottrarre?
Assolutamente siiiiii. Soprattutto nelle pose. Bisogna
stare attenti a non cadere nel volgare. A volte se ti spogli degli abiti, vieni
associata ad altro. Avendo delle figlie non voglio che la mia immagine venga
’sporcata‘. Altri compromessi sono quelli alimentari, per cui due settimane
prima degli scatti mi privo di tante prelibatezze e cerco di curare
maggiormente la mia immagine.
Come sei giunta al debutto?
La prima passerella è stata a Tavernerio (Como) quando ho
sfilato per un negozio della mia amica Denise. Era aprile 2015. Ero
passata a trovarla, cercava modelle e mi chiese se potevo indossare un abito
lungo, stile impero.
Essendo un’italiana in Germania l’accesso alla moda è
stato per te facile?
Per me si! Lo stile e la cura italiana sono molto
apprezzati qui. Personalmente ho sempre un mio proprio stile che mi differenzia
dalla moda tedesca; Vuoi per portamento, vuoi per capacità di accostamento, mi
sono sempre distinta.
Che genere di abiti indossi?
Quando poso per gli Shooting sono generalmente sempre a
mio agio con il mio stile, se posso … Quando pubblicizzo abiti in vendita in
boutique sono casual, che è ovviamente lo stile della boutique e che meglio si
sposa con la sua clientela. La maggior parte delle collaborazioni arriva però
dai paesi nordici.
Chi sceglie luoghi ed ambienti?
Se pubblicizzo per la boutique, gli scatti possono anche
avvenire per strada in prossimità del negozio anche per favorire il cambio
abiti (tempo permettendo). Altrimenti in studi fotografici. Per altri
Shooting mi vengono proposti luoghi dove vengono utilizzate scalinate, parti
mozzafiato del paese, presenza del ristorante….
Quali capi di abbigliamento ti hanno richiesto maggiore
espressività?
Ricordo un servizio sulla pelle e trasparente. Era una
giornata piovosa e la pelle come tessuto non è propriamente nelle mie corde. È
stato difficile sentirmi a mio agio, ma la bravura del fotografo mi ha portato
ad avere 5400 like per una Serie di scatti.
Chi decide colori e combinazioni?
Per la boutique sceglie la proprietaria, Yvonne… Spesso è
l’unione dei nostri gusti a creare l’outfit. Se poso con il fotografo al 90%
decido io.
Quante foto vengono scattate?
Intorno alle 300 foto per provare luci ed
esposizioni.
Chi decide la scelta?
Il fotografo. Poi mi vengono fatti vedere gli scatti e mi
viene chiesto se sono d’accordo nell’utilizzarli
L’indossatrice può influire sulla scelta dei
colori?
Purtroppo no, nel senso che viene acquistata la
collezione per la vendita indipendentemente dal fatto che quel colore mi doni o
no.
Quali sono i capi che prediligi?
Adoro le giacche, il tacco ed un gusto classico. Vado
matta per i cappelli!
Hai mai rifiutato pose?
Quando non me la sentivo, ho sempre cercato una soluzione
ed un compromesso.
Che rapporto c’è fra te e il teleobiettivo?
È un rapporto che si costruisce con il tempo. Ti devi
fidare ed essere totalmente a tuo agio…solo allora ottieni scatti pazzeschi. Ë
un rapporto di fiducia con il fotografo, una sintonia … Alla fine lui ti
conosce a tal punto da prendere i tuoi lati migliori. Noi ci divertiamo e
questo credo che in alcuni scatti si percepisca.
Dove vengono pubblicate le foto?
Sui social (fb, Instagram) della boutique, sul profilo
del fotografo e sul mio di base. Vengono aggiunte poi altre menzioni in base al
tema trattato.
Quanto tempo possa fra richiesta e realizzazione?
Per la boutique dipende dai tempi di consegna della
merce. Generalmente all’arrivo di alcuni abiti si pianifica una data nel giro
di una settimana. Per gli altri Shooting la tempistica è un po‘ più lunga, ma
non oltre 3 settimane.
Fare la modella è una passione, un lavoro, una
soddisfazione della propria vanità?
Credo in primis una passione; poi si; è l’esplosione
della vanità.
Per quanto tempo si riesce a stare sulla cresta
dell’onda?
Secondo me non c’è un termine, lo stabilisci
tu. Viviamo in un’era dove non esiste solo il fisico giovane e perfetto;
anzi su alcune passerelle troviamo taglie forti e donne che pubblicizzano
prodotti per qualsiasi età. Lo fai finché sei in sintonia con l’obiettivo.
Quanto si guadagna nel tuo ambiente?
Le cifre sono davvero variabili quando non è la tua
professione principale. Ci sono servizi per i quali puoi raggiungere anche
un migliaio di euro. Appoggiarsi ad una agenzia è la cosa migliore.
Per te si è realizzato un sogno?
Non ho ancora finito di realizzarlo, sono solo
all’inizio! Ma sicuramente è una grande soddisfazione per me e spero di essere
di esempio per tante donne e soprattutto per le mie figlie.
Che consigli daresti?
Direi ad ogni donna di vestirsi ogni giorno come se
dovesse sfilare, perché la nostra vita è una passerella e noi siamo le modelle.
Spesso essere mamma e donna ‘over’ porta a trascurarsi. Direi di fare proprio
l’opposto e di vivere gli anni con una consapevolezza adulta, con la
sfacciataggine di una ragazzina. Sempre a testa alta ed abbassare lo sguardo,
solo per guardare i nostri tacchi.
Dove si possono ammirare le tue foto?
Sul
profilo ja_bin_ich, portrait_momente, portrait.souls, boutique 2016… Questi sono i principali
Che dicono in famiglia?
I miei genitori sono orgogliosi ed amano quando i loro
amici o conoscenti fanno domande su cosa faccio in Germania. In famiglia
mi appoggiano e riscontro successo con le amiche di mia figlia
Francesca. Invece a Carola, che ha 18 anni, credo che le diano fastidio
certi scatti.
Quali sono i tuoi appuntamenti a breve o lungo termine?
Direi che a fine giugno sarò piuttosto impegnata in
alcuni Shooting (Tema ancora da stabilire). Ho altri 3 fotografi tra Stoccarda
ed Allgäu che mi hanno chiesto di incontrarci per stabilire delle date.
Con la bella stagione in arrivo prevedo ottimi appuntamenti. Tony Màzzaro, CdI
on 4
Maci (Comites Saar): siamo il ponte che lega la madrepatria al resto del
mondo
Presidente del Comites di Saarbrucken, Patrizio Nicola
Maci è intervenuto, il 24 maggio scorso, alla riunione di coordinamento
consolare all’Ambasciata d’Italia a Berlino. Nel suo intervento, a ridosso
dell’approvazione definitiva del decreto-cittadinanza, Maci ha voluto
denunciare il rischio di un progressivo allontanamento istituzionale e chiesto
il riconoscimento pieno del ruolo che gli italiani all’estero svolgono ogni
giorno nel tenere viva l’anima del nostro Paese. Di seguito il testo integrale
del suo intervento.
“Eccellenza, oggi prendo la parola in nome di tutti i
miei colleghi, per parlare di un legame che non conosce confini, né distanze,
né barriere burocratiche: il legame tra gli italiani all’estero e la loro terra
d’origine.
L’Italia non è solo un territorio, un insieme di città e
paesaggi. L’Italia è un’anima, un’identità che si tramanda da generazioni e
che, lontano dalla Penisola, si rafforza, si carica di significato, diventa
bandiera e senso di appartenenza.
Paradossalmente, siamo proprio noi italiani all’estero a
sentire l’italianità con una forza e una consapevolezza spesso più intensa di
chi vive ogni giorno dentro i confini nazionali. L’Italia, per noi, non è solo
un luogo sulla carta geografica, ma un faro che guida le nostre vite, che
ispira il nostro lavoro e il nostro impegno quotidiano.
Eppure, troppo spesso l’italiano all’estero viene
trattato come un cittadino di seconda categoria. Troppo spesso il suo
sacrificio, la sua dedizione, il suo contributo vengono ignorati o ridotti a
una questione burocratica. Questo non possiamo accettarlo. Questo non deve più
accadere.
Gli italiani nel mondo non sono semplici spettatori della
storia nazionale, né un numero da conteggiare nelle statistiche. Siamo
ambasciatori dell’Italia, siamo custodi della sua cultura, siamo il ponte che
lega la nostra madrepatria al resto del mondo. E ogni giorno, con impegno e
sacrificio, portiamo avanti un’eredità che merita rispetto e riconoscimento.
Il nuovo Decreto Legge sulla cittadinanza rischia di
spezzare questo legame. Limitare il riconoscimento della cittadinanza iure
sanguinis oltre la seconda generazione significa non considerare il valore
reale dell’appartenenza, significa creare una distanza tra lo Stato e chi da
sempre ha mantenuto vivo il proprio legame con l’Italia.
Ma se l’Italia vuole rafforzare davvero il suo legame con
i suoi cittadini nel mondo, non può limitarsi a ricordarsi di noi solo quando
conviene. Deve riconoscerci, valorizzarci e coinvolgerci. Non siamo
un’appendice della nazione, siamo parte integrante del suo presente e del suo
futuro.
Eccellenza, il legame con gli italiani all’estero non è
solo una questione di diritti, è una questione di identità, di dignità, di
visione. Investire su di noi significa investire sulla forza globale
dell’Italia, su una comunità che non ha mai smesso di amare e rappresentare con
fierezza la propria terra d’origine.
Non chiediamo privilegi, chiediamo rispetto. Non
chiediamo concessioni, chiediamo riconoscimento. Perché essere italiani non
dipende dalla distanza geografica. Essere italiani è un impegno che portiamo
nel cuore, ovunque nel mondo”. (aise/dip 5)
Amburgo. Conferenza sull’UE “alla luce dei cambiamenti geopolitici” (18
giugno)
Amburgo – Mercoledì 18 giugno alle ore 18:00 presso
l’Helmut Schmidt Forum di Amburgo (Kattrepel 10, 20095 Hamburg) l’Istituto
Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con la Fondazione
Bundeskanzler Helmut Schmidt organizza una conferenza intitolata “La fine
dell’ordine liberale? L’UE alla luce dei cambiamenti geopolitici” con il prof.
Vittorio Emanuele Parsi dell’Università Cattolica di Milano e la prof.ssa Funda
Tekin dell’Università di Tubinga. L’incontro vuole aprire un dibattito su
come mai l’idea di comunità europea sia stata messa sempre più sotto pressione
nonostante i suoi risultati politici, economici e sociali. Si proverà a capire
in che misura si debbano ripensare le teorie sulla globalizzazione e
l’interazione tra economia e politica e quanto può resistere l’idea originaria
di un’UE libera e aperta di fronte all’intensificarsi dei conflitti
intraeuropei e internazionali. La serata sarà moderata dalla Dr. Elisabeth
Winter, responsabile del programma Mercati globali e giustizia sociale presso
la Fondazione Bundeskanzler-Helmut-Schmidt (BKHS). Gli interventi del prof.
Parsi si terranno in italiano con traduzione consecutiva in tedesco a cura del
Dr. Claudio Campagna, giornalista freelance presso il Canale televisivo NDR di
Amburgo. La partecipazione all’evento è gratuita, ma occorre registrarsi via
e-mail Il prof. Dr. Vittorio Emanuele Parsi insegna Relazioni
Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica di Milano, dove
dirige l’ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – e all’USI
di Lugano. È membro del gruppo di Riflessione e Indirizzo Strategico presso il
MAECI e insegna presso la scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio
dei Ministri. È Socio Fondatore della Società per lo Studio della Diffusione
della Democrazia e membro dell’Advisory Bord, Centre for Diplomacy and
Strategy, London School of Economics. Si occupa da molti anni dello studio
delle trasformazioni del sistema globale, al crocevia tra politica ed economia
e tra ambito domestico e internazionale. Ultimi volumi: “Vulnerabili: come la
pandemia sta cambiando la politica e il mondo” (2021), “The Wrecking of the
Liberal World Order” (2021) e “Titanic. Naufragio o cambio di rotta per
l’ordine liberale” (2022). La prof.ssa Dr.ssa Funda Tekin lavora dal luglio
2023 come Professoressa Onoraria presso l’Istituto di Scienze Politiche
dell’Università di Tübingen. Dal 2013, è ricercatrice senior/consigliera e dal
2018 direttrice dell’Istituto di Politica Europea (IEP) a Berlino. L’IEP è
considerato “una delle principali istituzioni di ricerca sulla politica estera
e europea” (https://iep-berlin.de/) in Germania. La prof.ssa Tekin ha
conseguito il dottorato all’Università di Colonia nel 2011. La sua tesi di
dottorato si concentrava sulla differenziazione nell’integrazione europea.
Questo focus rimane centrale nel suo lavoro e ha acquisito un’importanza enorme
nel dibattito sulla politica europea negli ultimi anni. Inoltre, è esperta di
relazioni tra UE e Turchia, politica di vicinato e ampliamento dell’UE. Questo
è stato anche il tema della sua eccellente lezione inaugurale intitolata
“Rethinking the EU’s Enlargement Policy: New Drivers and Old Hurdles”. I suoi
altri principali ambiti di ricerca sono Brexit, euroscetticismo, politica
giovanile, dibattiti sulle riforme dell’UE. (Inform/dip 4)
La Collezione Farnesina a Berlino: prima tappa per “Identità oltre confine”
Berlino - La prima tappa del progetto espositivo
“Identità Oltre Confine”, curato da Benedetta Carpi De Resmini e promosso dal
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, si terrà dal
19 giugno al 21 luglio presso l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino.
La scelta curatoriale si concentra sulle artiste presenti
nella Collezione Farnesina, nel venticinquesimo anniversario della sua nascita.
Dopo Berlino, la mostra sarà a Vilnius e La Valletta.
La curatrice pone l’accento sui concetti di identità,
distacco e coesistenza. “Questa mostra”, spiega, “intende aprire una visione
diversa e sottolineare l’importanza di mettere in discussione la centralità
umana e aprire un dialogo più profondo con il pianeta e altre forme naturali,
cercando di spezzare quella relazione basata sul dominio e lo sfruttamento”.
Questa prospettiva si riflette nel dialogo
intergenerazionale che attraversa la mostra, creando un confronto tra visioni
artistiche e sensibilità diverse, ma accomunate dalla necessità di immaginare
nuovi linguaggi di coesistenza. La mostra si apre con l’opera Fibonacci (1975)
di Mario Merz, simbolo di un superamento dei confini identitari e di una
visione globale e interculturale.
A fianco delle opere di Tomaso Binga, Ketty La Rocca,
Maria Lai, Elisa Montessori e Carla Accardi, ci sono i lavori di Silvia
Giambrone, Marinella Senatore, Loredana Di Lillo e Elena Bellantoni. Vengono
poste in dialogo le opere di Letizia Battaglia, Gea Casolaro, Agnese Purgatorio
e Sarah Ciracì. Presenti inoltre i lavori di Rä di Martino, Marta Roberti e
Paola Gandolfi, di Silvia Camporesi, Martina della Valle, Elena Mazzi e Laura
Pugno.
Ogni tappa offrirà prospettive uniche e interventi
pensati in dialogo con il luogo, per valorizzare la specificità di ciascuno
spazio e amplificare il messaggio della mostra attraverso letture plurali. In
particolare alcuni artisti hanno realizzato interventi site-specific per questa
mostra di Berlino: si tratta di Elena Bellantoni, Martina della Valle e Tomaso
Binga. (aise/dip 6)
La piattaforma Orizzonti per informare sul sistema scolastico in Germania
Si chiama Orizzonti ed è la piattaforma per ragazze e
ragazzi che vogliono costruire il loro futuro scolastico e lavorativo in
Germania. “Volevamo uno strumento nuovo, accessibile anche ai giovani per
informare sul sistema scolastico, su quello universitario e sul mondo del
lavoro, mi piace usare la parola Bildung per definire la piattaforma Orizzonti”
(Luciana Stortoni). Temi: scuola, università e formazione professionale.
Orizzonti collabora con enti e associazioni per arricchire il servizio
informativo. Per i giovani in Germania e in Italia. Presentazione al pubblico
di Orizzonti il 13 giugno presso la missione cattolica di Colonia
“Perché non c’era
quando sono arrivata in Germania?” – è la domanda che Simonetta del
Favero e Luciana Stortoni sentono ripetere quando presentano Orizzonti, la
piattaforma in italiano e in tedesco per orientare ragazze e ragazzi nel mondo
della scuola, dell’università, della formazione e del lavoro in Germania.
L’iniziativa era partita dal Com.It.Es di Colonia, che aveva chiesto e
ottenuto i finanziamenti dal ministero, ed è stata appoggiata dal console della
circoscrizione di Colonia, Luis Cavalieri. “Volevamo uno strumento nuovo,
accessibile anche ai giovani per informare sul sistema scolastico, su quello
universitario e sul mondo del lavoro, mi piace usare la parola Bildung per
definire la piattaforma Orizzonti” – dice Luciana Stortoni, politologa, che
lavora in università nella progettazione e cooperazione internazionale per la
formazione, e con una lunga esperienza nel mondo della scuola, fino al 2016 è
stata preside del liceo italiano di Colonia, Italo Svevo. “Il progetto è nato
nella circoscrizione consolare di Colonia ma l’obiettivo è quello di andare
oltre Colonia, oltre il NRW e renderlo uno strumento per tutti i Länder” dice
Simonetta Del Favero, puericultrice di professione, presidente del
Com.It.Es di Colonia, che si è occupata della parte, pratica,
organizzativa e istituzionale del progetto Orizzonti.
I corsi universitari in Germania sono più di 20.000, come
avete gestito una tale mole di informazioni?
Luciana Stortoni: La parte dell’università è quella che è
costata più lavoro ma è anche quella più originale della piattaforma. Volevamo
mettere bene in chiaro le differenze fra il sistema italiano e quello tedesco,
le peculiarità del sistema tedesco, dei diversi tipi di università. È un lavoro
che abbiamo fatto con particolare attenzione perché uno degli obiettivi è non
solo quello di informare ma di avvicinare il mondo universitario ai giovani di
origine italiana perché non sono tantissimi quelli che studiano.
In questo senso a che cosa avete dato particolare rilievo
su Orizzonti?
Abbiamo coinvolto anche realtà che non sono molto
conosciute come i corsi di laurea integrati tra Italia e Germania, sicuramente
attraenti per molti giovani italiani in Germania. Abbiamo riportato le
esperienze di studenti. La Germania offre molte opportunità perché si può
studiare anche senza avere la maturità generale. Ci sono tante possibilità che
non sono conosciute ma che sono interessanti, come i corsi di laurea duali, che
mettono insieme studio e lavoro. Poi abbiamo dato spazio ai dottorandi perché ci
sono tanti ragazzi che vengono dall’Italia per studiare qui.
A chi si rivolge la piattaforma?
Alla comunità italiana stanziale, a ragazze e ragazzi di
seconda e terza generazione che parlano meglio il tedesco che l’italiano, il
che non significa che siano sempre ben informati su tante cose. Lo scoglio non
è quello linguistico. E poi spiegare il sistema scolastico tedesco è molto
importante per chi arriva dall’Italia.
E sul mondo del lavoro che cosa si trova su Orizzonti?
Viviamo in un mondo di formazione permanente in cui
l’apprendimento di nuove competenze non finisce mai a causa del costante
cambiamento del mondo del lavoro. Su Orizzonti si trovano informazioni
sull’aggiornamento professionale. Sempre sul mondo del lavoro ci sono
informazioni sui servizi dei patronati.
Il sistema scolastico tedesco è federale e ogni Land ha
il suo, come sappiamo. Orizzonti, nata nel NRW, si è focalizzata su questo Land
per quanto riguardano le informazioni sulle scuole di primo e secondo grado.
C’è l’idea di estendere la piattaforma agli altri Länder per avere un quadro
completo dei percorsi scolastici? E come fare per muoversi in questa direzione?
Simonetta Del Favero: Sulla piattaforma si trova una
cartina interattiva della Germania, con link su NRW e sulla circoscrizione a
cui fa capo il Com.It.Es di Berlino con cui è iniziata una collaborazione. Con
gli altri presidenti dei Com.It.Es il discorso è avviato. Il progetto è nato
nella circoscrizione consolare di Colonia ma quando abbiamo presentato la
richiesta in Ministero, avevamo scritto che l’obiettivo era quello di andare
oltre Colonia, oltre il NRW e renderlo uno strumento per tutti i Länder perché,
anche se le parti del sistema scolastico differiscono, le altre informazioni
valgono per tutti i Länder, anche quelle che abbiamo dato sui doppi titoli, sui
dottorati, sui centri di ricerca che ci sono in Germania, per esempio, valgono
per tutta la Germania.
Questo è un lavoro costante, che richiede un continuo
aggiornamento delle informazioni da mettere sulla piattaforma. Ci sono altri
contenuti che volete ampliare o introdurre?
Luciana Stortoni: Nel campo della scuola abbiamo cercato
di approfondire alcuni temi, per esempio, quello dell’assistenza psicologica
pubblicando indirizzi a cui i ragazzi possono rivolgersi in casi di necessità;
questo è un tema che vogliamo approfondire. Abbiamo dato spazio anche alle
scuole bilingui anche con presentazioni e con la possibilità di raccontarsi.
Oltre a questo l’idea è di fare di Orizzonti uno
strumento di partecipazione e di comunicazione con la comunità, di aprire un
blog per i ragazzi, per le scuole, per i corsi di lingua e cultura, anche per
le scuole tedesche dove si insegna italiano come lingua straniera. Una
piattaforma per l’espressione dei giovani, per dare loro un’idea di come si fa
comunicazione, Ci piacerebbe introdurre della formazione su come si fa un
video, come si fa un podcast, su come si fa un blog, molti li sanno fare ma
altri no, e ciò richiede un po’ di competenze tecniche e di comunicazione.
Visto che parliamo di ragazzi giovani c’è bisogno della partecipazione di
insegnanti. È uno dei nostri obiettivi più prossimi e importanti. Chiederemo
quest’anno dei fondi aggiuntivi e se ci verranno concessi li indirizzeremo in
questa direzione. Bisogna essere estremamente attivi, essere presenti sui
social, e per questo dobbiamo continuare contare sulla collaborazione di
Federico, giovane studente di informatica che lavora con noi e che è una
risorsa preziosissima.
Otre al Com.It.Es, al consolato di Colonia anche il Forum
Accademico Italiano ha collaborato a realizzare questa piattaforma. Lei,
Luciana Stortoni, fa parte del direttivo. Che cos’è?
Luciana Stortoni – È l’associazione dei ricercatori e
accademici italiani in Germania, nacque nel 2010 nella circoscrizione di
Colonia con lo scopo di promuovere l’interazione tra accademici italiani e
tedeschi. Ora con il nuovo statuto siamo in tutta la Germania.
Ci sono anche realtà associative, altri soggetti che
possono sostenere il progetto. Che cosa avete in programma per i prossimi mesi?
Simonetta Del Favero e Luciana Stortoni – Noi siamo aperti a ogni tipo di
partecipazione. Abbiamo presentato il progetto a Rete Donne a Düsseldorf l’anno
scorso. La presenteremo ancora a giugno presso la Missione cattolica italiana
di Colonia e a settembre con l’associazione Italia Altrove. Inoltre promoviamo
Orizzonti con degli incontri in università. Lo scorso anno abbiamo organizzato
un evento all’università di Colonia, dove studenti di vari corsi integrati
binazionali hanno raccontato le loro esperienze, a fine novembre saremo a
Bielefeld (coinvolgendo anche altri atenei, p.e. Münster e Bonn). Anche
quest’anno contiamo sulla partecipazione del DAAD (Deutscher Akademischer
Austauschdienst) con cui stiamo organizzando tavoli tematici. Nell’ambito della
scuola ci sono altre iniziative. Con l’organizzazione “native scientist”
porteremo nelle tre scuole elementari bilingui di Colonia degli scienziati
italiani che faranno degli esperimenti insieme alle scolari. Ci sarebbe
tantissimo da fare, di idee ne abbiamo tantissime. Siamo in collaborazione e
abbiamo dei progetti con Cosmo Italiano, il podcast di informazione
giornalistica del WDR e, ripeto, siamo aperti a collaborazioni che possano
incrementare la diffusione e lo sviluppo di Orizzonti. Paola Colombo, CdI on 6
Mostra fotografica “Va Pensiero” all’IIC di Amburgo dal 19 giugno
Amburgo. Giovedì 26 giugno 2025 alle ore 19 l’Istituto
Italiano di Cultura di Amburgo inaugurerà la mostra fotografica intitolata “Va’
Sentiero”, una prospettiva inedita sulle Terre Alte italiane dalla spedizione a
piedi sul sentiero più lungo al mondo. La mostra è organizzata dall’Istituto
Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con il Ministero degli Affari
esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), l’Istituto Italiano di
Cultura di Monaco di Baviera, l’Associazione Va’ Sentiero e l’Associazione
Culturale Kublaiklan.
“Come stanno oggi le nostre montagne?”
Tra il 2019 e il 2021, il team Va’ Sentiero ha percorso e
documentato l’intero “Sentiero Italia” – un filo rosso che cuce, una regione
dopo l’altra, le Terre Alte di tutto il Paese, dalle Alpi agli Appennini. In
7.887 chilometri di continuo saliscendi dal Friuli Venezia Giulia alla
Sardegna, passo dopo passo, valle dopo valle, il team ha incontrato un’Italia
spesso contadina, rimasta fuori dai grandi circuiti, in parte preservata dalla
livella della globalizzazione ma logorata dallo spopolamento, depredata dalle
sirene dell’industrializzazione. “Il mondo dei vinti”, come lo chiamò Nuto
Revelli. Al contempo si è toccato con mano gli effetti del parossismo climatico
e dell’abbandono, il senso di isolamento sociale, culturale, economico.
Negli scatti di Sara Furlanetto c’è la volontà di testimoniare la
consistenza di quelle terre, di chi le abita; di restituire la loro bellezza e
di raccontare la loro decadenza. Inevitabilmente, il suo sguardo è stato
passeggero, come di chi cammina; si tratta di istantanee, non di ritratti
meditati. Nel suo lavoro c’è l’intenzione di testimoniare l’esistenza di una
parte di Paese considerata a lungo minore, accostando chi abita la città alla
dimensione montana meno spettacolare, contrastando così lo stereotipo che la
esilia a luogo ludico, senza un futuro proprio; e al contempo invitare chi
guarda a fare lo zaino, a toccare quella vastità, a prenderne coscienza.
Da settembre 2024 sul canale 3sat è stata trasmessa una serie
documentaristica sul Sentiero Italia, cui l’Associazione Va’ Pensiero ha preso
parte come co-conduttore. Le 4 incantevoli puntate (dedicate a Piemonte, Emilia
Romagna e Toscana, Abruzzo, Sicilia) portano gli spettatori negli splendidi
scenari del sentiero, raccontando la straordinaria importanza culturale, ambientale
e sociale di questa riscoperta. In occasione dell’inaugurazione della
mostra sarà proiettato un video racconto inedito (della durata di circa 20
minuti, in italiano con sottotitoli in tedesco) che racconta le tappe del
cammino, l’esperienza del gruppo di camminatori e il lavoro di elaborazione
delle bellissime storie lungo il Sentiero Italia, mostrando gli splendidi
panorami e i piccoli borghi incontrati sulla via, dalle Dolomiti, alla Puglia,
alla Sardegna. Il progetto “Va’ Sentiero” ha ricevuto numerosi patrocini,
tra cui quello del Ministero della Cultura, del Ministero dell’Ambiente e di 16
Regioni italiane. A ragione dell’impatto sociale generato e della carica
innovativa, il progetto ha vinto il Grand Prix for Sustainability and Climate
Action agli European Heritage Awards 2022, finanziato dalla Commissione
Europea. A partire dall’archivio fotografico di Sara Furlanetto, l’Istituto
Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero della Cultura sta
acquisendo un fondo fotografico a testimonianza del valore artistico e
culturale del lavoro di documentazione svolto. La mostra fotografica è curata
da Rica Cerbarano, Sara Furlanetto e Yuri Basilicò e potrà essere visitata fino
al 30 settembre in concomitanza con gli eventi in Istituto oppure dal lunedì al
giovedì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 16.00 e il venerdì dalle
10.00 alle 13.00.
La partecipazione al vernissage è gratuita, ma occorre la
prenotazione tramite il portale Eventbrite: Sentiero_Italia.eventbrite.de.
(Inform/dip 11)
A Berlino il 19 giugno “Sfioramoci”, serata dedicata al cantautore Benvegnú
Berlino. Giovedì 19 giugno, dalle ore 20, l’Oblomov Bar
di Berlino ospiterà “Sfioramoci”, una serata tributo dedicata a Paolo Benvegnù,
il cantautore italiano scomparso lo scorso 31 dicembre. Lo riporta un articolo
di Francesco Orlandi per Berlino Magazine, il sito per gli italiani che vivono
nella capitale tedesca e indirizzato in generale agli oltre 822.000 che
risiedono in Germania. L’evento nasce dal desiderio di rendere omaggio a un
artista che ha saputo toccare con delicatezza e profondità la vita di molti,
lasciando un segno indelebile nel panorama musicale italiano. La data scelta ha
un significato speciale: il 16 maggio 2025 Benvegnù avrebbe dovuto esibirsi
proprio all’Oblomov per una tappa del suo “Piccolissimi Fragilissimi Film
Reloaded Tour”, un concerto a cui teneva moltissimo. Anche se quella serata non
ha potuto avere luogo, “Sfioramoci” rappresenterà un modo per riportare
idealmente la sua musica nel locale berlinese attraverso le voci e i ricordi di
chi gli è stato vicino. Durante la serata saliranno sul palco numerosi artisti
che hanno condiviso con Benvegnù il palco o lo studio. Tra loro ci saranno i
musicisti che lo hanno accompagnato nei suoi ultimi due tour, dedicati ai
dischi “È inutile parlare d’amore” e “Piccoli Fragilissimi Film – Reloaded”,
vale a dire Luca Roccia Baldini, Daniele Berioli, Tazio Aprile, Manuel
Schicchi, Mariel Tahiraj e Stefano Ferri. Accanto a loro, prenderanno parte
all’omaggio anche ospiti come Malika Ayane e Giorgia Poli, ex membro degli
Scisma, la band degli anni Novanta in cui Paolo ha militato. A rendere ancora
più viva la serata contribuiranno inoltre alcuni rappresentanti della scena
musicale berlinese, tra cui Marta Collica, Gianluca Gill, Riccardo Gileno,
Paolo Ferro e Deko. “Sfioramoci” non sarà un semplice concerto, ma una
celebrazione corale, fatta di musica, parole, memorie condivise e
partecipazione. Chiunque potrà contribuire, leggendo un ricordo, raccontando un
aneddoto, suonando un brano o semplicemente lasciandosi attraversare
dall’atmosfera intima e affettuosa dell’evento. L’intero ricavato della serata
sarà destinato a coprire le spese di viaggio e alloggio dei musicisti, in modo
da rendere possibile questo momento di incontro e omaggio collettivo.
NoveColonne 12
Offenbach. CGIL Bildungswerk e.V. non farà più corsi di lingua e cultura
italiana in Germania
È stata una doccia fredda per centinaia di giovani
studenti di lingua e cultura italiana, per i genitori, per gli/le insegnanti,
ricevere a fine maggio la comunicazione lapidaria della fine dei corsi della
CGIL Bildungswerk e.V. di Offenbach; a partire dal nuovo anno scolastico
interromperà l’erogazione delle lezioni di italiano come lingua d’origine.
Nella comunicazione si legge che „le regole per accedere ai finanziamenti del
ministero degli Esteri Italiano per attivare il nuovo progetto 2025/2026 impongono
alla nostra organizzazione no profit di prefinanziare un importo sempre più
considerevole delle spese, cosa che purtroppo non possiamo più permetterci“.
Questa cancellazione improvvisa coinvolge 43 scuole e
oltre 700 alunni (dalle elementari alla scuola secondaria) e decine di
insegnanti nella regione intorno a Offenbach e Francoforte.
La cosa più grave è che questo ritiro dai corsi di
italiano ha avuto come conseguenza l’immediata cancellazione dei finanziamenti
da parte del Ministero, perché se il destinatario dei fondi si ritira, questi
non possono essere trasferiti ad un altro ente per lo stesso progetto.
Se si fosse venuti a conoscenza delle difficoltà della
Bildungswerk non a fine maggio ma qualche mese prima, ci sarebbe stato margine
di intervento. Perché non è stata comunicata precedentemente la situazione, al
Consolato generale, al Dirigente scolastico del consolato? Lo chiederemo al
presidente dell’associazione, CGIL-Bildungswerk e.V., Franco Marincola.
Che fare? Genitori, consolato, dirigente scolastico sono
in contatto fra di loro e alla ricerca di una soluzione, magari provvisoria per
permettere di far partire i corsi ad agosto, per poi trovare un altro soggetto
che possa in futuro erogare i corsi. Circola inoltre una petizione che si può
sottoscrivere:
In Assia, come in molte altre regioni della Germania,
l’insegnamento dell’italiano come lingua d’origine sta attraversando un momento
critico. Questa situazione è stato tema nella riunione di coordinamento a
Berlino dei rappresentanti della comunità italiana in Germania e nell’incontro
con l’ambasciatore Fabrizio Bucci
Dopo anni di presenza stabile all’interno del panorama
scolastico tedesco, oggi la continuità di queste lezioni dipende quasi
esclusivamente dall’iniziativa di genitori, dagli enti gestori sostenuti dal
MAECI e, in alcuni casi, da insegnanti privati. Il Kultusministerium infatti
svolge un lavoro amministrativo: registra le iscrizioni, trova le scuole e
mette i voti in pagella.
A partire da settembre 2025 quindi, centinaia di bambini
e ragazzi di origine italiana rischiano di perdere l’unica occasione formale
per coltivare la propria lingua e identità culturale. In molte città le lezioni
di italiano si tengono solo grazie a un impegno volontario e spesso oneroso da
parte delle famiglie, che si fanno carico non solo dell’organizzazione
logistica, ma anche dei costi.
Per comprendere più da vicino le sfide e le speranze
legate a questa situazione, abbiamo intervistato un genitore di Eltwille in
Assia, Anna, che da anni si dedica con passione per far in modo che l’italiano
venga insegnato. Con lei esploriamo le difficoltà quotidiane, il valore di
questa attività e le prospettive per il futuro.
Anna, per Lei, come genitore, quale valore ha mantenere
viva la lingua italiana all’interno della famiglia?
Ho saputo il 30 maggio che i corsi non sarebbero partiti,
quando ho ricevuto un’e-mail dal CGIL Bildungswerk. Fino a quel momento ero
convinta che i corsi si sarebbero svolti regolarmente. È stato un grande
dispiacere ricevere questa notizia, anche perché come genitori avevamo già
coinvolto i nostri figli e ci stavamo preparando per l’inizio delle lezioni.
Per me, come genitore, mantenere viva la lingua italiana
all’interno della famiglia ha un valore immenso. È fondamentale che i miei
figli non solo parlino l’italiano, ma che conoscano anche la grammatica,
l’ortografia corretta, la storia e la cultura italiana. Desideriamo trasmettere
loro queste competenze come parte integrante della loro identità e del loro
futuro.
Vivendo in Germania, è ancora più importante avere
un’opportunità strutturata come questo corso per colmare le lacune che
naturalmente si creano nel contesto scolastico tedesco, dove l’italiano non è
parte del curriculum quotidiano.
Questo corso rappresenta per noi uno strumento prezioso
per garantire che i nostri figli possano esprimersi correttamente in italiano,
sviluppare capacità retoriche e scritte e sentirsi legati alle proprie radici
culturali. Senza un corso di questo tipo, sarebbe molto difficile per noi, come
famiglia all’estero, mantenere un livello adeguato di competenza linguistica e
culturale.
Quali azioni intende intraprendere per garantire la
ripresa di questi corsi in futuro? Esiste la possibilità che i genitori possano
intraprendere un’azione di” salvataggio” dei corsi dell’annoscolastico 2025/26?
Mi sono già messa in contatto con una rappresentante del
Beirat für ausländische Mitbürger, perché credo profondamente che questi corsi
debbano ripartire. Sono pronta a dare il mio contributo concreto per fare in
modo che ciò accada, perché ritengo che offrire ai nostri figli la possibilità
di crescere bilingui e consapevoli della propria cultura sia un valore
inestimabile.
Per quanto riguarda un’azione di “salvataggio” per l’anno
scolastico 2025/26, penso che noi genitoripossiamo e dobbiamo unirci per
trovare soluzioni. Sono convinta che, se ci organizziamo insieme, possiamo
collaborare con le istituzioni, le associazioni e altri enti per garantire la
continuità dei corsi. Personalmente sono determinata a fare la mia parte e sono
disponibile a partecipare attivamente a ogni iniziativa che possa aiutare a
raggiungere questo obiettivo.
Ho già avviato i primi contatti con una rappresentante
del Beirat für ausländische Mitbürger, che collabora anche con l’Ufficio
scolastico (Schulamt), perché credo che sia fondamentale coinvolgere le
istituzioni locali sin dall’inizio.
Intendo inoltre rivolgermi direttamente al CGIL
Bildungswerk per capire quali sono le possibilità concrete di ripresa dei corsi
e come noi genitori possiamo contribuire. Parallelamente, sto considerando di
contattare il Consolato italiano per ottenere un sostegno istituzionale e
culturale più ampio.
Sono determinata a esplorare ogni canale possibile e a
costruire una rete di contatti e collaborazioni che possa davvero fare la
differenza per il futuro di questi corsi.
A quali enti o istituzioni pensa di rivolgersi per
ottenere supporto?
Penso che il CGIL Bildungswerk potrebbe supportare molto
meglio i corsi di lingua e cultura italiana attraverso una comunicazione più
trasparente e tempestiva con i genitori.
Già nel mese di marzo avevo segnalato che l’attuale
insegnante sarebbe andata in congedo di maternità e mi ero resa disponibile ad
aiutare, proponendo anche nominativi concreti di possibili insegnanti
sostitutivi. Purtroppo non ho ricevuto riscontri concreti, se non una risposta
generica poco prima della comunicazione ufficiale della cancellazione dei
corsi.
Mi sarei aspettata un maggiore coinvolgimento dei
genitori e una gestione più aperta della situazione. Credo che, in futuro, il
Bildungswerk dovrebbe instaurare un dialogo più stretto con le famiglie,
informare con anticipo sulle difficoltà organizzative ed essere più aperto a
soluzioni condivise. Questo renderebbe possibile salvaguardare i corsi e
offrire continuità ai nostri figli.
Può raccontarci la sua esperienza personale: ha
partecipato a questi corsi quando era ragazza?
Sì, da bambina ho frequentato i corsi di lingua e cultura
italiana, che all’epoca erano obbligatori. Ricordo con grande gratitudine
quanto questi corsi mi abbiano arricchito: non solo ho imparato la grammatica e
a scrivere correttamente, ma ho anche sviluppato una capacità di esprimermi in
modo articolato e consapevole nella mia lingua madre.
Ancora oggi, nella vita quotidiana e professionale,
traggo beneficio da quanto ho imparato allora.
Proprio per questa esperienza personale sono
profondamente convinta dell’importanza di offrire ai nostri figli la stessa
possibilità. Vivendo all’estero, questi corsi rappresentano un ponte prezioso
con la nostra lingua e cultura, un legame che desidero fortemente mantenere e
trasmettere.
Laura Latini e Paola Colombo, CdI on 12
Hannover. In Consolato la mostra fotografica “Roma si sveglia”
Hannover - Dal 1° luglio al 30 settembre il Consolato
Generale d’Italia in Hannover ospita la mostra fotografica di Matthias Riemann
“Roma si sveglia”. Organizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale
Italo-Tedesca (DIK), la mostra sarà introdotto il giorno del vernissage da Tom
Deutschmann e Vincenzo Grauso.
La mostra è l’esito di un progetto fotografico che ha
visto l’autore trascorrere, nel settembre 2024, quattro settimane a Roma
fotografando all’inizio di ogni giornata, tra le sei e le otto del mattino,
strade, case, persone e paesaggi. Fotografie di strada si alternano a motivi
architettonici e urbani. In bianco e nero o a colori, gli scatti presentati
catturano le luci e le atmosfere, le pietre e i movimenti che l’alba tende a
decelerare, dando spazio a episodi di vita sociale e quotidianità, nei bar o alle
fermate dell’autobus, e mostrando il “non ancora” che ancora non ha lasciato
spazio alla massa di persone che si impossesseranno della città. Per il
fotografo la bellezza del vuoto e l’imparzialità dello sguardo sono una
costante irrinunciabile.
Il titolo della mostra, “Roma si sveglia”, è servito fin
dall’inizio per accostarsi a un tema molto complesso e va letto alla luce di
ciò che si osserva a inizio giornata in una qualsiasi metropoli del mondo.
Matthias Riemann, classe 1956, ricevette la sua prima
macchina fotografica, una Kodak con esposimetro, dai genitori: “me l’avevano
prestata per un viaggio Interrail nel 1974”, racconta: “è andata persa in un
vagone della metropolitana di Parigi. Ci ho imparato a fotografare. La seconda,
una Canon ftb, è stata la mia compagna analogica per molti anni. Con la mia
attuale fotocamera, una Olympus E M 1, ho ricominciato a fotografare
intensamente dopo diversi anni”.
(aise/dip 3)
"Negativo è Positivo": a Saarbrücken
la prima mostra in Germania di Mario Vetere
Saarbrücken - Con l’inaugurazione della mostra “Negativo
è Positivo” dell’artista calabrese Mario Vetere, l’Associazione Kalabria
Italiae Mundi e.V. si conferma come una delle realtà italiane più attive in
Germania per la promozione culturale della Calabria e dell’Italia intera.
La mostra, organizzata in collaborazione con la VHS di
Saarbrücken e il Regionalverband Saarbrücken, sarà visitabile dal 26 giugno al
29 agosto 2025 presso l’Altes Rathaus (Foyer) a Saarbrücken, location di
prestigio e storia. L’ingresso è libero, e il vernissage si terrà giovedì 26
giugno alle ore 17:00.
L’evento rappresenta il debutto in Germania di Mario
Vetere, artista nato a Torino da genitori calabresi e attualmente residente a
Strongoli (Crotone), che ha già esposto in contesti nazionali e internazionali.
Le sue opere sono il risultato di un’affascinante ricerca sulla percezione del
colore e sull’uso del negativo, che rimanda alle vecchie pellicole
fotografiche, e che prende vita grazie a un filtro sviluppato appositamente dal
brasiliano Scott Martins. Il risultato? Opere che, a occhio nudo, appaiono astratte
e spente, ma che rivelano la loro sorprendente profondità cromatica e dettaglio
quando osservate attraverso la lente digitale. L’amministrazione del Comune di
Strongoli nella persona del Sindaco Francesco Benincasa ha sostenuto l’artista
con Patrocinio.
Kalabria Italiae Mundi e.V. non solo ha sostenuto
attivamente l’iniziativa, anche grazie agli sponsor che renderanno speciale
l`inaugurazione: Ristorante Pizzeria “La Perla Nera” a Rehlingen con un
Catering tutto calabrese, Ristorante Pizzeria “Da Nico” a Saarbrücken con vino
calabrese, e lo sponsor che sostiene attivamente l`associazione l`impresa
Innova Home GmbH a Riegelsberg; ma continua a distinguersi come ponte culturale
tra l’Italia e la Germania, collaborando ufficialmente con il Centro Studi sull’Italiano
dell’Università di Trier, diretto dalla Prof.ssa Mara Onasch, con cui porta
avanti progetti di valorizzazione linguistica e culturale.
“Ringraziamo la VHS di Saarbrücken per questa importante
opportunità – dichiara l’associazione – e auspichiamo che sia l’inizio di una
lunga e proficua collaborazione. Il nostro obiettivo resta quello di promuovere
l’Italia e in particolare la Calabria, terra di origini e di passioni,
attraverso l’arte, la lingua e la cultura”.
Durante la cerimonia inaugurale, Michele Marotta terrà la
laudatio ufficiale, mentre l’accompagnamento musicale sarà curato da Stefan
Röttig, contribuendo a rendere l’evento un momento di alto profilo culturale.
(Silvestro Parise, aise/dip 12)
La piattaforma “Non sei sola”, per aiutare le donne italiane vittime di
violenza in Germania
In Germania, come altrove, la violenza di genere è una
realtà purtroppo quotidiana, spesso taciuta o invisibile. Anche molte donne
italiane che vivono all’estero, lontane dai propri affetti e dalle reti di
sostegno, ne sono vittime. Proprio per rispondere a questa urgenza nasce Non
sei sola, la piattaforma ideata da ReteDonne e.V. – Coordinamento donne
italiane all’estero. Intervista a Luciana Mella, responsabile del progetto Non
sei sola e presidente di ReteDonne e.V., che ci racconta come è nata questa iniziativa,
quali sono gli strumenti offerti e cosa possiamo fare concretamente per
sostenere le donne italiane vittime di violenza in Germania. https://nonseisola.de/
Come è nata l’idea della piattaforma Non sei sola? Qual è
stato l’elemento che ha fatto scattare la decisione di realizzarla?
L’idea nasce da due riflessioni che si sono incrociate
tra di loro. Da una parte la considerazione che in Germania si parli
pubblicamente ancora troppo poco di femminicidi e di violenza di genere. Come
se questi fenomeni non esistessero, o fossero marginali. Mentre, purtroppo, i
dati tedeschi non si discostano da quelli italiani: quasi ogni giorno una donna
viene uccisa da un uomo. E le violenze tra le mura di casa, sia fisiche sia
psicologiche, sono in costante aumento. Dall’altro lato ci siamo rese conto che
questo “silenzio” riguarda anche le donne italiane che vivono qui. Anche loro
subiscono violenze, soprattutto in ambito famigliare, ma raramente ne parlano.
Barriere culturali e linguistiche producono più solitudine e paure di quanto
possiamo immaginarci. Da qui l’idea di uno strumento, facile da consultare sul
proprio cellulare, per individuare strutture dove rivolgersi in lingua
italiana.
So che il progetto è stato lanciato simbolicamente
intorno alla Giornata internazionale della donna, lo scorso marzo. Quanto è
stato importante legarlo a quella data e come è stato accolto inizialmente?
Abbiamo lanciato la piattaforma in coincidenza dell’otto
marzo proprio per sottolineare che la giornata non deve restare una data
celebrativa: le mimose e i fiori non fermano le violenze. Il 10 marzo, inoltre,
a Berlino, in occasione della IV edizione del ciclo “Italiane in Germania.
Donne e salute”, promosso dall’ Ambasciata d’Italia a Berlino, abbiamo avuto
l’opportunità di presentare ufficialmente il progetto. Credo sia importante
sottolineare l’attenzione che l’Ufficio Affari Sociali dell’Ambasciata, e lo
stesso Ambasciatore Fabrizio Bucci, ci hanno dedicato. Ci hanno infatti
indicato di inserire nella piattaforma “nonseisola.de” le sedi dei Consolati
italiani in Germania quali punti di riferimento per donne che hanno subito
violenze.
Come funziona la cartina interattiva sul sito e quali
risorse in lingua italiana offre alle donne che cercano aiuto?
La cartina è abbastanza intuitiva. Quando la si apre si
visualizzano immediatamente tutti gli sportelli disseminati sul territorio
tedesco a disposizione per accogliere fisicamente, o telefonicamente, le donne.
Si usa come una qualsiasi applicazione di navigazione. Attualmente gli
sportelli in lingua italiana sono 54, a cui si aggiungono altre 46 strutture
nelle quali, accanto al tedesco, si parlano anche inglese o altre lingue.
Quali sono, secondo te, le principali difficoltà che
incontrano le donne italiane in Germania quando subiscono violenza domestica?
La prima difficoltà, che purtroppo è comune alle donne di
tutto il mondo, è quella di essere consapevoli che si sta subendo una violenza.
Un marito, o un compagno, che ci prendono a schiaffi, se non peggio, non hanno
nessuna giustificazione. Non dobbiamo considerarli come raptus, o momenti in
cui loro hanno “perso la pazienza, tanto poi gli passerà e non lo farà più”.
Così come non dobbiamo accettare di essere continuamente insultate, denigrate,
sminuite o costrette a restare isolate, o a non poterci rendere economicamente
indipendenti. A questa prima barriera si aggiunge il timore di non saper
raccontare in tedesco quello che ci è successo, di non riuscire a trovare le
parole giuste, di doverci confidare con persone che non ci capiscono.
Denunciare una violenza è già molto difficile farlo nella propria lingua madre;
lo diventa ancora di più se ci dobbiamo esprimere in una lingua che, magari,
conosciamo poco o per nulla. Non dimentichiamoci poi che affrontare una
situazione emotivamente e fisicamente dolorosa, senza poter abbracciare
qualcuno, o senza avere una persona che ci tenga la mano, non è per nulla
facile. E, in molti casi, le amiche del cuore o i famigliari che potrebbero
sostenerci, vivono a mille chilometri di distanza.
Avete già riscontrato dei casi concreti in cui la
piattaforma è riuscita ad aiutare una donna in difficoltà?
Ad oggi abbiamo avuto solo un paio di segnalazioni di
donne che si sono rivolte agli sportelli segnalati e che sono state poi
indirizzate ad altre strutture in grado di aiutarle concretamente. Da un lato
ci piacerebbe dire che, forse, è meglio così. Anche se sappiamo che la realtà è
purtroppo un’altra.
Come speri che Non sei sola cresca nei prossimi mesi?
Avete già in mente altri strumenti o sviluppi futuri?
Nei prossimi mesi contatteremo associazioni italiane,
gruppi o singoli che ancora non abbiamo raggiunto, per chiedere la loro
adesione e un aiuto concreto per far conoscere la piattaforma. Proveremo anche
a ricontattare i soggetti che ancora non hanno risposto al nostro primo
appello. Cercheremo di entrare in contatto con le istituzioni tedesche, a
diversi livelli, non solo perché anche loro diffondano l’informazione, ma anche
per provare ad ampliare i punti di ascolto. Partendo poi dall’idea che “prevenire
è meglio che curare”, insieme all’associazione ItalienVerein di Dortmund,
abbiamo avviato nel Nordreno-Vestfalia, il progetto “Empower Parents:
Kindererziehung ohne Maskulinismus”. L’idea è quella di sensibilizzare genitori
con origini migratorie ad una educazione paritaria dei figli, che riesca a
mettere in discussione e a soppiantare il modello patriarcale. Che sappiamo
bene essere alla base delle tante forme di violenze di genere.
Cosa potrebbero fare, secondo te, le istituzioni tedesche
per supportare meglio le donne straniere vittime di violenza?
Intanto le istituzioni tedesche dovrebbero destinare più
soldi, più investimenti e fornire maggiore supporto a chi se ne occupa
quotidianamente. La tendenza va, invece, esattamente nella direzione opposta.
Mentre in Germania aumentano i casi di violenza di genere, le organizzazioni
della società civile che si occupano di donne in emigrazione, come ad esempio
DaMigra, si trovano ad affrontare tagli finanziari che mettono a rischio la
loro stessa esistenza. Andrebbe poi rafforzato l’aspetto informativo: le donne
devono sapere a chi si possono rivolgere, quali sono i loro diritti e di quali
servizi possono usufruire se hanno subito un qualsiasi tipo di violenza. Le
informazioni devono essere disponibili in tutte le lingue rilevanti, italiano
compreso, così come nel linguaggio semplificato e in formati accessibili alle
persone con disabilità. L’altro aspetto, altrettanto importante, è quello della
carenza di strutture di accoglienza delle donne che hanno subito violenze.
Sappiamo che in Germania attualmente (fonte: Statista, 25.11.2024) sono
presenti e operative circa 400 case di accoglienza per le donne maltrattate,
Frauenhäuser. I posti disponibili sono 7.700. Stando alla Convenzione di
Istanbul ce ne vorrebbero invece almeno 21.000. Vorrei ricordare che la Germania
ha firmato la Convenzione nel 2011 e che l’accordo, ratificato, è entrato in
vigore il 1º febbraio 2018. In queste strutture, va poi sottolineato, il 69%
delle donne ospitate non è nato in Germania. C’è quindi molto lavoro da fare.
E infine: come possiamo – noi che ti seguiamo e
condividiamo questo impegno – sostenervi concretamente?
Credo che darci l’opportunità di presentare e diffondere
la piattaforma nonseisola.de sia già un grande aiuto. Più donne ne vengono a
conoscenza, più donne possono avere la possibilità di provare ad uscire da una
situazione di violenza, incoraggiate dal fatto di poter parlare in italiano.
Approfitto di questo spazio per ricordare alle lettrici e ai lettori del
Corriere d’Italia che l’attività di ReteDonne e.V. si basa esclusivamente sul
lavoro di volontariato e sull’autofinanziamento. Anche una piccola donazione
può esserci d’aiuto per sostenere i nostri progetti e le nostre iniziative.
Queste le nostre coordinate bancarie:
ReteDonne e.V. GLS Gemeinschaftsbank eG
IBAN: DE21 4306 0967 2029 9951 00; BIC: GENODEM1GLS
Grazie. Licia
Linardi, CdI on 6
La Festa della Repubblica a Friburgo
Friburgo - In un clima di grande partecipazione di
pubblico, con oltre 350 ospiti, il Consolato d’Italia a Friburgo ha celebrato
il 79° anniversario della Repubblica Italiana con una cerimonia che ha riunito,
nella cornice di Merzhausen, membri della comunità italiana, numerose autorità
locali e amici tedeschi.
Per la prima volta – evidenzia la sede consolare – ha
preso parte all’evento il Presidente del Regierungspräsidium di Friburgo,
Carsten Gabbert, a testimonianza del crescente radicamento delle relazioni
istituzionali tra Italia e Germania sul territorio. Presenti anche numerosi
sindaci e rappresentanti delle istituzioni politiche, economiche e culturali
locali con le quali il Consolato collabora stabilmente, a conferma del solido
tessuto di scambi e cooperazioni sviluppato nel corso di questi anni.
Nel suo discorso, la Console Francesca Toninato ha posto
in rilievo la fitta rete di collaborazioni con le istituzioni tedesche, la
promozione della lingua e della cultura italiana sul territorio e la forte
presenza della comunità italiana, composta da oltre 60.000 connazionali,
all’interno della circoscrizione consolare di Friburgo. Particolare risalto è
stato dato alla storica amicizia tra Italia e Germania, definita
“indispensabile in tutti i settori della convivenza” e testimoniata dalla
presenza attiva della comunità italiana nella regione, perfettamente integrata
nel circondario del Consolato e protagonista di un vivace intreccio di
relazioni sociali, culturali ed economiche.
Proprio a dimostrazione di questo ruolo da protagonista
che la comunità italiana svolge sul territorio, la Console ha presentato il
progetto “Storie di Volti – Geschichten von Gesichtern”, rassegna promossa dal
Consolato con lo scopo di far conoscere le vite di uomini e donne, appartenenti
alla comunità italiana e tedesca, attraverso il racconto in prima persona delle
loro esperienze di vita e di lavoro nei più disparati ambiti (assistenza
sociale, ricerca, sostenibilità, medicina, diritto, scienza, cucina,
formazione, musica, arte, editoria), al fine di rafforzare il senso di
appartenenza e comunità.
A rendere ancora più significativa la cerimonia è stata
l’accoglienza riservata agli artisti del Fabbrica Young Artist Program del
Teatro dell’Opera di Roma, i quali hanno arricchito con la loro musica il
profondo significato di questa giornata. I tre artisti, la pianista Elettra
Pomponio, il soprano Sofia Barbashova e il tenore Guangwei Yao, hanno incantato
un pubblico di più di 350 persone. Questi giovani talenti fanno parte di un
progetto d’eccellenza dedicato a promuovere le nuove generazioni impegnate nel
tramandare la tradizione del teatro lirico in tutto il mondo. Il Fabbrica Young
Artist Program offre ad artisti selezionati gli strumenti per crescere,
affermarsi ed affrontare i primi passi della loro carriera.
(aise/dip 13)
Festa della Repubblica: attuare la Costituzione, guardare avanti
La Festa della Repubblica è occasione per celebrare, ma
anche per riflettere su identità e attualità costituzionale. Lavoro, pace,
sussidiarietà, democrazia: quattro capisaldi da rileggere oggi. Serve meno
retorica e più visione, anche nell’orizzonte europeo. I cattolici possono
offrire un contributo decisivo - di Francesco Bonini
Festa della Repubblica, per fortuna. Perché uno spazio
per celebrare le istituzioni, in fin dei conti, può essere provvidenziale,
soprattutto di questi tempi. A patto di saperlo utilizzare. Anche se su questo
ci possono essere tutti i più fondati dubbi, il 2 giugno è comunque una data
utile. Per celebrare, in forme cerimoniali e solenni – che sono sempre
opportune –, ma anche per discutere, per chiederci cosa sia e come stia la
Repubblica. Di qui quattro temi, che sembrano risaltare quest’anno, seguendo la
Costituzione, che della scelta della Repubblica è di fatto il primo,
fondamentale frutto. Primo: la Repubblica è fondata sul lavoro. Secondo: la
Repubblica ripudia la guerra ed è disponibile a cessioni di sovranità su base
di reciprocità. Terzo: la Repubblica è costituita su base sussidiaria. Quarto –
e sintetico – la Repubblica è democratica, cioè fondata sul bilanciamento tra
poteri e sul valore prioritario della persona e delle formazioni sociali.
Lo schema repubblicano, elaborato nel 1946 e ancora oggi
fortemente imitato, necessita di continua attuazione.
Il problema di questi ormai ottant’anni di Repubblica –
il referendum istituzionale è del 1946, settantanove anni fa – è che questo
schema, allora profondamente innovativo e oggi straordinariamente coerente e
produttivo, da un lato deve essere sempre inverato, cioè attuato e attualizzato
in circostanze storiche molto mutevoli e accelerate, dall’altro spesso appare
incrostato di retorica. Ne deriva una sensazione di rincorsa, che spiega anche
il motivo per cui, per un malinteso senso di economia, la festa fu addirittura
abolita. Fu ripristinata da quel grande presidente che fu Carlo Azeglio Ciampi,
in un disegno privo di retorica e dunque efficace, di riflessione e rilancio
dell’identità nazionale. Resta la necessità di dire qualcosa sui quattro (tra i
tanti) essenziali punti d’identità della nostra Repubblica.
Temi aperti e nuove sfide per la Repubblica. Ovvero: il
problema del lavoro e dunque delle diseguaglianze, che si percepiscono in modo
sempre più evidente, fino a bloccare la percezione dello sviluppo sociale.
Poi, l’orizzonte europeo, oggi fragile e nebuloso anche
per l’incapacità di articolare un discorso sulla guerra e sulla pace che sia
realistico e propositivo. Infine, l’articolazione dei rapporti tra i diversi
livelli di governo e rappresentanza, dal Comune all’Unione, per quanto riguarda
competenze ed efficacia dell’azione. La sensazione è piuttosto quella di
disordine e conflitto (spesso in un bicchier d’acqua, ovvero tra debolezze),
più che di un chiaro disegno istituzionale e costituzionale. Molta carne al
fuoco, dunque, per la riflessione e per l’azione. Ma anche per la realtà di una
festa e di un anniversario che raccontano la tanta strada positiva fin qui
percorsa. Come pure dei nuovi obiettivi, che incalzano, e richiedono una sana
competizione, ma anche un rinnovato consenso sui fondamentali. In fin dei
conti, è questo il tradizionale problema del nostro sistema-Paese, tanto più
nella prospettiva di un’Unione europea sempre alla ricerca del suo posto e
della sua identità in un mondo in rapida ristrutturazione. Che i cattolici –
anche con la propulsione del nuovo investimento sul pensiero, il discorso, la
dottrina sociale cui sprona Leone XIV – possano lavorare per questo obiettivo
potrebbe rappresentare, qualora si definissero anche modalità operative
adeguate, una bellissima notizia. Sir 2
Videomessaggio ai connazionali all’estero del Ministro Tajani
Roma – Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, ha
pubblicato un videomessaggio di saluto agli italiani nel mondo in occasione
della 79esima Festa della Repubblica. “Cari italiani – ha esordito Tajani – a
tutti voi che ogni giorno portate alto il nome della nostra patria nel mondo, i
miei più calorosi auguri di Festa della Repubblica. In tutte le mie visite
all’estero, – ha continuato il Ministro – gli incontri con voi concittadini,
con gli imprenditori, ricercatori, operatori di pace, come ad esempio i
missionari, sono per me sempre un motivo di grande gioia. In questi contesti
ritrovo sempre l’orgoglio per le nostre radici e la profondità di quei valori
di libertà e democrazia insiti nella nostra Costituzione”. “L’Italia – ha poi
evidenziato il Ministro – è protagonista nell’impegno per la pace, il dialogo e
la crescita, in Europa, nel G7 ed in tutti i contesti internazionali. Mai come
quest’anno Roma ed l’Italia sono crocevia di pace, è la fotografia di milioni
di pellegrini, che sono accorsi a Roma per le elezioni di Papa Leone XIV
nell’anno del Giubileo della speranza. Ce lo dicono i negoziati sul nucleare
tra Stati Uniti ed Iran, la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina di
luglio, l’impegno su Food for Gaza, che nasce a Roma con il programma
alimentare mondiale, gli appuntamenti che presto ospiteremo nella nostra
Capitale, dedicati all’acqua come simbolo di pace”. “L’Italia – ha rilevato
Tajani – è credibile, perché è forte della sua identità, fondata su valori
saldi e su ideali europeisti, atlantisti come pilastri della nostra azione
internazionale. L’impegno del Governo per la pace è costante, così come è
costante la massima attenzione, che dedichiamo a connazionali ed imprese.
Lavoriamo senza sosta alla crescita, per portare sempre di più il saper fare
italiano di eccellenza nel mondo. Abbiate sempre la certezza – ha concluso il
Ministro –di trovare un punto di riferimento nelle nostre Ambasciate e nei
nostri Consolati nel mondo. In questo 2 giugno il mio pensiero va a tutti voi,
insieme possiamo continuare a crescere, forti nel nostro impegno, delle nostre
capacità e del nostro saper fare, insieme possiamo continuare a fare sventolare
in alto il tricolore di cui siamo tanto orgogliosi”. (Lorenzo Morgia – Inform
3)
La primavera scorsa l’atmosfera in Ucraina era cupa. La
gente temeva un’escalation delle conquiste territoriali da parte della Russia e
forse anche il crollo del fronte ucraino. Oggi, il contesto internazionale è
ancora più difficile ma, nonostante i tradimenti dell’amministrazione Trump, a
Kyiv ho trovato un clima più fiducioso.
Questa fiducia deriva dalla crescente autosufficienza
militare del Paese. L’industria ucraina dei droni è impressionante, in termini
di avanguardia tecnologica, adattabilità e capacità produttiva, e si rafforza
di giorno in giorno.
E anche se la manodopera è un problema, l’esercito
ucraino capisce la guerra meglio di altre forze in Europa. Certo, a Kyiv
nessuno pensa che questa comprensione della guerra sia sufficiente per
riconquistare il territorio perduto. Non ci si aspetta più di ottenere la pace
attraverso la vittoria militare sulla Russia, né si teme la sconfitta come in
passato: il paese si sta silenziosamente ricalibrando, cercando un cessate il
fuoco sostenibile attraverso la deterrenza.
Il ruolo degli USA
Questo non significa che gli ucraini pensino di potere, o
tanto meno di volere, andare avanti da soli. Il senso di delusione verso gli
Stati Uniti è acuto, ma c’è una consapevolezza che l’Ucraina ha ancora bisogno
di Washington, soprattutto per l’intelligence, la sorveglianza, la ricognizione
e la difesa aerea.
È vero che l’evidente dimostrazione di sintonia tra la
Casa Bianca e il Cremlino è inquietante. Ma gli ucraini sono convinti che Putin
continuerà a eccedere nelle sue richieste, e prima o poi, Trump sarà costretto
a riconoscere che una tregua è ancora lontana perché Putin la rifiuta.
La guerra in Ucraina non potrà mai terminare in 24 ore
come millantato da Trump, perché non è mai stata una guerra per procura tra
l’Occidente e la Russia. La guerra non sta finendo perché l’unico uomo che può
porvi fine – Putin – continua a pensare di poter vincere. Questa consapevolezza
potrebbe non indurre Trump a fare un’inversione di rotta che lo porti a
sostenere pienamente l’Ucraina, ma potrebbe portare Washington da una posizione
di ostilità attiva nei confronti di Kyiv a una di benevola indifferenza. In
questo scenario, gli Stati Uniti si disimpegnerebbero gradualmente dalla
guerra, pur continuando a fornire o consentire all’Ucraina di acquistare
capacità militari. Non è l’ideale, ma Kyiv può gestire una Casa Bianca
benignamente defilata molto meglio di quanto non potrebbe fare se Washington si
mettesse di traverso.
L’integrazione dell’Ucraina nel contesto di sicurezza
europea
L’altra faccia della medaglia è che l’Ucraina viene
progressivamente integrata nella nuova architettura di sicurezza europea. Il 9
maggio, i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito sono arrivati a
Kyiv, per la prima volta in visita congiunta. Si è trattato di un evento di
grande importanza: questi Stati, insieme ai Paesi nordici e baltici,
costituiscono il nucleo della “coalizione dei volenterosi” che sostiene
l’Ucraina e della nuova architettura di sicurezza europea. Il loro sostegno
all’Ucraina è fondamentale per dimostrare al mondo, e a Washington, che è Putin
e solo Putin a volere che la guerra continui.
Qualunque cosa accada, è essenziale che i leader europei
non si limitino a discutere di una “forza di rassicurazione” post-conflitto.
Gli alleati dell’Ucraina devono essere pronti a sostenerla durante la guerra,
aumentando il sostegno militare europeo, ma anche contribuendo a rafforzare
l’industria della difesa ucraina attraverso progetti congiunti con aziende
europee. Altrettanto importante è la più ampia integrazione dell’Ucraina nei
piani e nelle azioni di sicurezza e di difesa dell’Europa. L’esperienza bellica
dell’Ucraina è preziosa nel momento in cui l’Europa rafforza le sue difese
collettive.
La sicurezza europea passa attraverso Kyiv. Capire questo
significa che i leader della coalizione dei volenterosi continueranno a
sostenere l’Ucraina, consapevoli che la Russia rappresenta la più grande
minaccia per l’Europa.
Ma non è una strada a senso unico: mentre gli europei
rafforzano le proprie difese contro la Russia, non possono che guadagnare
dall’inclusione dell’Ucraina in questo sforzo. Il morale dell’Ucraina è alto
grazie alla crescente fiducia in sé stessa. Mentre le principali potenze
europee continuano a sostenere Kyiv, anch’esse dovrebbero diventare più
fiduciose nel fatto che l’ingresso dell’Ucraina nelle loro istituzioni,
industrie e società comuni non potrà che rafforzare l’Europa nel suo complesso.
Nathalie Tocci, AffInt 3
Scrivere sullo stato di salute “economico/sociale”
italiano è sempre difficile. Soprattutto quando si deve dare spazio alla realtà
dei fatti quotidiani. Certe prese di posizione politiche non allettano più
nessuno. Quindi, essere obiettivi non significa essere né ottimisti, né
pessimisti. Basta attenersi alla realtà dei fatti per comprendere che le
difficoltà del Bel Paese sono lontane dall’essere risolte. La Penisola del
“malessere” continua a tenere lontana quella del “benessere”. Insomma, ora ci
sentiamo “realisti”.
Nella nostra obiettività, non ci sono, al momento,
soluzioni al deterioramento nazionale. E’ la politica che sarebbe da
modificare. Però, ogni riflessione ha il sapore dell’azzardo. Se la coerenza
avesse un seguito logico, avremmo altri scenari da esaltare. Invece, non ce ne
sono.
Il 2025 potrebbe, però, essere l’anno dei “cambiamenti”.
Con la premessa che non ci sentiamo menagrami né, tanto meno, presaghi. Fanno
testo le realtà che pesano come macigni. Ci sono, ancora, troppi
“interrogativi” ai quali sarebbe necessario rispondere. Eccedenti dubbi che
dovrebbero essere chiariti. Sono i politici di “razza” che dovrebbero fare la
differenza.
Allora: come stiamo? Certamente non meglio che per il
passato. Il prossimo anno potrebbe essere ancora compromesso dalle tensioni
politiche dell’attuale. Per cambiare “registro”, oltre alla fermezza politica,
ci vorrebbero uomini preparati a gestirla che, purtroppo, non siamo riusciti,
in concreto, a identificare.
Giorgio Brignola, de.it.press
Reddito minimo in Europa: un percorso di dignità
Presentato a Bruxelles il report sulla povertà curato da
Caritas Europa – di Andrea Regimenti
Sono milioni le persone che in tutta Europa lottano per
soddisfare i propri bisogni di base senza trovare un sostegno adeguato nelle
varie misure di “reddito minimo”, diverse Stato per Stato, ma spesso
insufficienti. Caritas Europa ha presentato a Bruxelles, nei locali del Club
della Stampa, il suo ultimo rapporto, che mette in luce le profonde lacune dei
sistemi nazionali di reddito minimo e sollecita i responsabili politici a
ripensare l’importanza del sostegno al reddito nei percorsi di inclusione sociale.
Il Rapporto – “Thriving, not just surviving. Shaping effective minimum income
systems in Europe” (liberamente: “Non solo sopravvivere, ma vivere bene e
prosperare. Definire sistemi di reddito minimo efficaci in Europa”) – si basa
sull’esperienza di venti Caritas nazionali europee – tra cui Caritas Italiana –
e dà indicazioni concrete per rafforzare i sistemi attualmente in atto. I
risultati dell’indagine parlano da soli: quasi il 90% delle Caritas
intervistate afferma che i sussidi nei loro Paesi non riescono a coprire i
bisogni di base. Solo cinque Paesi forniscono un sostegno che raggiunge almeno
il 75% della soglia di povertà nazionale.
I vari sistemi prevedono barriere di accesso alle
misure che aggravano ulteriormente il problema. Molti sistemi escludono i
giovani adulti, in particolare quelli tra i 18 e i 25 anni, a meno che non
soddisfino condizioni rigide o arbitrarie. I migranti, le persone prive di un
alloggio stabile e coloro che non sono in grado di soddisfare severi criteri di
residenza o di contribuzione spesso non sono ammessi. La burocrazia, lo stigma
e le barriere digitali scoraggiano ulteriormente la presentazione delle domande,
con il risultato di un diffuso mancato utilizzo, ovvero molti rinunciano a
chiedere l’aiuto a cui hanno diritto.
“I programmi di reddito minimo devono consentire alle
persone di vivere con dignità e di partecipare pienamente alla società –
afferma Maria Nyman, segretaria generale di Caritas Europa -. Questo rapporto è
un appello all’azione. Esortiamo i leader europei e nazionali a dare priorità a
un sostegno al reddito inclusivo e adeguato, come pilastro della prossima
strategia dell’UE contro la povertà”.
Nel corso dell’evento di lancio del Rapporto Giulio
Bertoluzza (ricercatore e collaboratore di Caritas Italiana) ha presentato
un intervento intitolato “From universal to categorical” (“Da universale a
categoriale”), illustrando le recenti trasformazioni del sistema di reddito
minimo in Italia. A partire dalla storia concreta di Michele – un giovane
escluso dal sostegno economico fino al riconoscimento ufficiale di una
condizione di svantaggio sociale – Bertoluzza ha mostrato come la riforma italiana
del 2024, che ha sostituito il Reddito di cittadinanza con l’Assegno di
inclusione, abbia introdotto criteri categoriali più ristrettivi, escludendo
molte persone pur in condizioni di povertà. L’intervento ha evidenziato il
ruolo sempre più centrale dei servizi sociali nel mediare l’accesso alle misure
e ha sollevato una questione cruciale: nonostante le Raccomandazioni del
Consiglio dell’UE invitino gli Stati membri ad allargare l’accesso ai regimi di
reddito minimo, l’Italia ha scelto una direzione opposta, rendendo l’accesso
più selettivo e limitato.
Il valore di questo Rapporto risiede nelle storie e nelle
prove condivise dalle équipe Caritas in tutta Europa. Le Caritas offrono spunti
di riflessione nazionali fondati sul loro lavoro quotidiano con le persone in
situazioni di vulnerabilità, dalla Georgia all’Irlanda, dalla Norvegia alla
Grecia. Infatti, oltre il 70% delle Caritas coinvolte sta lavorando attivamente
per colmare le lacune degli attuali quadri di sostegno al reddito attraverso
l’adattamento dei servizi, la ricerca e il lavoro di advocacy.
Il Rapporto è stato realizzato con il contributo di
Pietro Galeone e Michela Braga dell’Università Bocconi e di Massimo Aprea e
Michele Raitano della Sapienza di Roma.
Tra le raccomandazioni principali rivolte ai leader
nazionali e dell’Ue vi sono:
* Garantire l’adeguatezza. Il reddito minimo deve
raggiungere almeno il 75% della soglia di povertà nazionale per tutti i tipi di
famiglia.
* Garantire un accesso inclusivo. I criteri di
ammissibilità devono essere semplificati e ampliati per evitare di escludere i
giovani, gli immigrati e le persone che vivono in condizioni di insicurezza
abitativa.
* Aumentare la partecipazione. Combattere lo stigma
e semplificare le procedure amministrative attraverso un’azione di
sensibilizzazione mirata, alternative di supporto digitale e sistemi di
applicazione di facile utilizzo.
* Azione coordinata dell’Ue. L’Ue dovrebbe promuovere
standard vincolanti per il reddito minimo, collegati alla sua più ampia
strategia sui diritti sociali e sulla riduzione della povertà.
Questo rapporto arriva in un momento cruciale, proprio
mentre la Commissione europea lavora alla sua prima strategia europea contro la
povertà.
Le raccomandazioni di Caritas Europa offrono un
contributo per garantire che i sistemi di reddito minimo riflettano davvero i
valori dell’Unione,
Il valore di questo Rapporto risiede nelle storie e nelle
prove condivise dalle équipe Caritas in tutta Europa. Le Caritas offrono spunti
di riflessione nazionali fondati sul loro lavoro quotidiano con le persone in
situazioni di vulnerabilità, dalla Georgia all’Irlanda, dalla Norvegia alla
Grecia. Infatti, oltre il 70% delle Caritas coinvolte sta lavorando attivamente
per colmare le lacune degli attuali quadri di sostegno al reddito attraverso
l’adattamento dei servizi, la ricerca e il lavoro di advocacy.
Il Rapporto è stato realizzato con il contributo di
Pietro Galeone e Michela Braga dell’Università Bocconi e di Massimo Aprea e
Michele Raitano della Sapienza di Roma.
Tra le raccomandazioni principali rivolte ai leader
nazionali e dell’UE vi sono:
* Garantire l’adeguatezza. Il reddito minimo deve
raggiungere almeno il 75% della soglia di povertà nazionale per tutti i tipi di
famiglia.
* Garantire un accesso inclusivo. I criteri di
ammissibilità devono essere semplificati e ampliati per evitare di escludere i
giovani, gli immigrati e le persone che vivono in condizioni di insicurezza
abitativa.
* Aumentare la partecipazione. Combattere lo stigma
e semplificare le procedure amministrative attraverso un’azione di
sensibilizzazione mirata, alternative di supporto digitale e sistemi di
applicazione di facile utilizzo.
* Azione coordinata dell’UE. L’UE dovrebbe
promuovere standard vincolanti per il reddito minimo, collegati alla sua più
ampia strategia sui diritti sociali e sulla riduzione della povertà.
Questo rapporto arriva in un momento cruciale, proprio
mentre la Commissione europea lavora alla sua prima strategia europea contro la
povertà.
Le raccomandazioni di Caritas Europa offrono un
contributo per garantire che i sistemi di reddito minimo riflettano davvero i
valori dell’Unione, assicurando che nessuno venga lasciato indietro nella
lotta alla povertà. Sir 4
Né giustizia né pace: l’inganno della forza e la fragilità della
Repubblica"
“La guerra è un massacro fra gente che non si conosce, a
beneficio di gente che si conosce ma non si massacra.” (Paul Valéry)
Ci sono silenzi che fanno più rumore delle bombe. Ci sono
assenze che gridano. E ci sono verità che, sebbene sotto gli occhi di tutti,
diventano invisibili per comodità o paura. Oggi, tra le ceneri di Gaza e le
ipocrisie delle capitali occidentali, siamo immersi in una di queste verità
scomode: Israele sta affamando un intero popolo. Non è un’accusa leggera, e non
dovrebbe mai essere pronunciata con leggerezza. Ma i fatti — quelli crudi,
documentati, innegabili — parlano per sé. Ospedali rasi al suolo, ambulanze
bersagliate, aiuti umanitari bloccati ai confini o colpiti durante la
distribuzione. E adesso, la fame: calcolata, pianificata, utilizzata come arma.
Gaza è diventata una prigione a cielo aperto, senza
acqua, senza medicine, senza pane. Una popolazione stremata, in gran parte
composta da bambini, viene lasciata morire con lentezza chirurgica, nel
silenzio complice di chi dovrebbe proteggere il diritto internazionale. Si può
parlare di autodifesa quando il bersaglio è il latte in polvere? Si può ancora
invocare la sicurezza quando si impedisce a un popolo l’accesso al cibo?
Israele, il cui nome significa “colui che lotta con Dio”,
sembra essersi attribuito il diritto di portare questa lotta oltre ogni limite
umano e divino. Ma la vera lotta con Dio non è nella vendetta, bensì nella
giustizia. È nella compassione. È nel limite. Chi combatte contro il volto
umano del nemico, chi disumanizza e punisce collettivamente, non sta lottando
con Dio: sta perdendo la propria anima.
Ma se è vero che il Medio Oriente è la cartina di
tornasole dell’etica internazionale, è altrettanto vero che anche a casa nostra
la barbarie assume forme sempre più sottili. In Italia, recentemente, abbiamo
assistito a un fenomeno allarmante: le minacce rivolte ai figli di leader
politici. Che si tratti di Giorgia Meloni o Matteo Salvini, non è la persona
politica a essere colpita, ma i suoi affetti più indifesi. È un gesto infame,
codardo, che non può essere giustificato né dalla rabbia né dalla disperazione.
È l'espressione più bassa e disumana del dissenso, quella che trasforma la
protesta in persecuzione.
I figli sono sacri. Sempre. Che siano figli di potenti o
di poveri, che abbiano una madre di destra o un padre di sinistra, sono esseri
umani con il diritto di vivere lontano dall’odio degli adulti. Quando iniziamo
a tollerare — o peggio, a giustificare — le minacce ai bambini in nome di una
battaglia politica, abbiamo già perso. La violenza verbale è solo il primo
passo verso una violenza più grande, e più irreparabile.
E poi, come ogni anno, arriva il 2 giugno. Si festeggia
la Repubblica, si sventolano bandiere, si fanno discorsi solenni. Eppure, a ben
guardare, la parola “Repubblica” è forse il termine più teorico di tutti. Nella
realtà quotidiana dell’Italia, esistono i Comuni, i campanili, le famiglie, i
clan, le parrocchie, i bar di paese, le amicizie d’infanzia. L’Italia è un
Paese costruito più su legami orizzontali che verticali. La Repubblica è
un’astrazione, spesso tradita proprio da chi dovrebbe rappresentarla.
C’è chi obbedisce alla Costituzione, e chi la piega alla
convenienza. C’è chi parla di Stato, ma lavora solo per il proprio tornaconto.
C’è chi indossa la fascia tricolore e poi ignora gli ultimi, i fragili, i senza
voce. C’è chi grida "onore alla patria" e poi svende il lavoro,
svilisce la scuola, taglia la sanità.
La verità è che l’Italia non è mai stata davvero una
Repubblica nel senso profondo del termine: una res publica, una "cosa di
tutti". È sempre stata una somma di individui, di egoismi e resistenze, di
slanci nobili e piccoli tradimenti quotidiani. Ma proprio in questa
frammentazione può nascondersi una speranza: se la Repubblica è fragile, è
proprio perché deve essere ogni giorno rifondata. Non da un’istituzione, ma da
ogni persona che sceglie l’onestà, la solidarietà, la verità, anche quando costa.
E protestare davvero, oggi, significa anche alzare la
voce contro tutti i regimi autoritari e antidemocratici del mondo. Contro la
Russia, che imprigiona dissidenti e manda a morire i giovani in guerre
insensate. Contro la Cina, dove milioni vivono sotto sorveglianza e
repressione, e chi parla viene fatto sparire. Contro l’Iran, dove una ragazza
senza velo può diventare un martire, e dove il carcere è destino per chi canta,
scrive, ama o sogna. E contro tutti quei luoghi — anche meno noti — dove
l’essere umano è ridotto a ingranaggio, dove vale la legge dell’uomo lupo per
l’uomo, homo homini lupus, e non quella della dignità.
La guerra in Medio Oriente, la violenza nelle nostre
piazze, l’illusione di una Repubblica unita, la viltà dei totalitarismi: tutto
ci richiama a una stessa scelta morale. O difendiamo ovunque la libertà e la
vita umana, o diventiamo complici del silenzio.
La festa della Repubblica dovrebbe essere l’occasione per
guardarsi allo specchio e domandarsi: stiamo costruendo un Paese giusto o solo
un palcoscenico per maschere stanche? Stiamo difendendo davvero i diritti di
tutti o solo i privilegi di pochi?
Fino a quando un popolo verrà affamato senza che l’Italia
dica "basta", fino a quando i figli verranno minacciati per vendetta
ideologica, fino a quando la Repubblica sarà solo una cerimonia e non una
responsabilità, fino a quando taceremo davanti alla prigione e alla tortura
degli innocenti… non ci sarà nulla da festeggiare. Dip 2
Indossiamo molte maschere. Un viaggio verso Sé stessi senza maschera
C'è una verità che ho compreso non dai libri, né dagli
insegnamenti, né dalla saggezza altrui, ma vivendo, osservando, cadendo e
rialzandomi. La verità è questa:le molte maschere che indossiamo. Questo non è
semplicemente poetico. Non è un tentativo di sembrare filosofico. È ciò che ho
vissuto, visto negli altri e, più dolorosamente, visto anche in me stesso. Da
bambini, siamo senza maschera. Ridiamo troppo forte, piangiamo troppo
improvvisamente e parliamo troppo onestamente. Siamo come siamo. Ma il mondo ci
insegna rapidamente ciò che preferisce. Presto, quell'anima senza maschera
inizia a modellarsi in ciò che crede sarà amato, accettato o anche solo
tollerato. È allora che inizia la maschera.
Le prime Maschere: cercare approvazione
Ricordo, da ragazzo, di aver recitato una poesia con
gioia genuina durante una funzione scolastica. Non era perfetta. Potrei aver
inciampato su una o due versi. Ma parlavo col cuore. Dopo, un compagno di
classe prese in giro la mia voce. Quel commento ebbe più potere di dieci
applausi. Per settimane, smisi di scrivere. Parlavo con più cautela. Quella fu
la mia prima maschera: la maschera della cautela. Poco dopo, indossai la
maschera dell'obbedienza: essere lo studente modello, il figlio ideale, l'amico
che ascoltava sempre ma parlava raramente. Cercavo di essere ciò che gli altri
apprezzavano, perché essere me stesso improvvisamente sembrava rischioso. Tutti
passiamo attraverso questo. Forse non nello stesso modo, ma con lo stesso
risultato: una distanza inizia a crescere tra chi siamo e ciò che presentiamo.
I costumi dell'adulto: ruoli che viviamo
L'età adulta non rimuove queste maschere; le moltiplica.
Indossiamo il ruolo del professionista, del coniuge, del genitore, del
cittadino rispettato. E nessuno di questi ruoli è sbagliato, anzi, sono vitali.
Ma i problemi iniziano quando il ruolo prende il sopravvento sull'anima. Nel
mio percorso professionale, ho incontrato uomini e donne che, in superficie,
avevano tutto: lauree, promozioni, applausi. Eppure, a porte chiuse,
confessavano di sentirsi vuoti. Un uomo una volta mi disse: "Signor Sethi,
sto vivendo il sogno di tutti gli altri tranne il mio." Un altro disse:
"Sorrido tutto il giorno. Ma non ricordo l'ultima volta che ho sorriso
perché lo intendevo davvero."Queste non erano persone deboli. Erano
coraggiose, resilienti e rispettate. Ma avevano indossato maschere così a lungo
da dimenticare dove finiva la maschera e iniziava il volto.
Chi siamo davvero?
È una domanda che non sempre ha una risposta forte. In
effetti, le domande più importanti spesso arrivano nel silenzio.
Chi sono io quando nessuno guarda?
Sono lo scrittore premiato? Il funzionario governativo?
Il marito e padre? Sì, forse. Ma oltre a ciò?
Sono la voce silenziosa che a volte sente il peso del
tempo? Sono il ragazzo che si emoziona ancora per l'odore dei vecchi libri?
Sono l'uomo che osserva le persone in silenzio e vede il loro dolore anche
dietro i sorrisi?
Queste non sono domande drammatiche. Non sono indulgenze
filosofiche. Sono le vere domande. Perché quando il sipario cala, i ruoli
finiscono e gli applausi svaniscono, ciò che resta non è ciò che abbiamo fatto,
ma chi siamo stati.
Lo specchio non mente mai
Tutti abbiamo specchi nella nostra vita. Non solo quelli
di vetro, ma i momenti, le persone, i silenzi che riflettono chi siamo
veramente. Per me, uno di questi momenti è arrivato dopo un evento pubblico.
Ero stato onorato per uno dei miei libri. Incoronato, applaudito, lodato. Ma
quando tornai nella mia stanza e mi guardai allo specchio, non mi sentii
orgoglioso. Mi sentivo stanco. Vedevo occhi grati ma non brillanti. Quella
notte, mi posi una domanda difficile: Sto scrivendo per impressionare? O per esprimere?
Quello fu un punto di svolta. Decisi allora che ogni
parola che scrivevo, ogni pensiero che condividevo, doveva prima sembrare
onesto alla mia anima. Altrimenti, erano solo un'altra maschera.
L'amore e le Maschere dietro cui ci nascondiamo
Anche l'amore non è immune alle maschere. In effetti,
potrebbe essere dove ne indossiamo di più. Nascondiamo le nostre vulnerabilità
pensando che ci renderanno meno amabili. ascondiamo i nostri sogni temendo che
possano essere troppo grandi, o troppo piccoli, o troppo strani. Una volta ho
incontrato una donna che aveva abbandonato silenziosamente il suo amore per la
pittura dopo il matrimonio. Suo marito non glielo aveva mai chiesto. Ma lei
presumeva che il dovere venisse prima. Vent'anni dopo, riprese il pennello e
pianse mentre dipingeva un campo di girasoli. Quello era il suo vero volto.
Quel momento.
L'amore non dovrebbe essere un palcoscenico dove
recitiamo. Dovrebbe essere una stanza dove possiamo spogliare l'anima.
Il ruolo della società: applaudire le Maschere
La società non vuole sempre la tua verità. Vuole la tua
coerenza. Vuole la versione di te che si adatta al titolo, all'immagine,
all'aspettativa. Quando un CEO ammette la depressione, la gente sussurra.
Quando un insegnante mette in discussione il sistema educativo, la gente si
irrigidisce. Quando una madre dice che vuole più della maternità, la gente
giudica. Ma le persone più audaci che ho incontrato sono quelle che,
gentilmente ma fermamente, rimuovono la maschera, guardano il mondo negli occhi
e dicono: "Questo sono io."
E, stranamente, il mondo finisce spesso per rispettarle
di più.
Perché abbiamo bisogno della Maschera inizialmente?
Perché anche questo fa parte del viaggio. Una maschera
protegge. Una maschera ci aiuta a sopravvivere a fasi che non siamo ancora
abbastanza forti da affrontare a viso scoperto. Ma dovrebbe essere uno
strumento temporaneo, non un'identità permanente. Dobbiamo perdonarci per
averla indossata. Ma dobbiamo anche sfidarci a rimuoverla, strato dopo strato,
quando siamo pronti.
La vita senza Maschera: vivere senza finzioni
Cosa significa vivere senza maschera?
Significa parlare anche quando la tua voce trema.
Significa ammettere di non sapere. Significa scegliere la pace rispetto alla
performance. Significa creare arte, anche se nessuno applaude. Significa essere
più fedeli alla tua verità che al tuo titolo.
Una vita senza maschera non è perfetta. È grezza. È
reale. È radiosa.
Ho incontrato persone che non avevano premi, né
istruzione formale, né piattaforme. Ma quando parlavano, scuotevano la mia
anima. Perché parlavano senza filtri, dalla radice del loro essere.
Atti quotidiani di rimozione della Maschera
* Il giovane che lascia un lavoro ben pagato per
insegnare a bambini svantaggiati.
* La donna che rimuove il trucco e pubblica il suo vero
volto online con la didascalia: "Questa sono io."
* L'anziano che finalmente dice a suo figlio: "Ho
avuto paura per la maggior parte della mia vita. Volevo solo proteggerti."
* La ragazza che scrive una poesia sulla sua ansia e la
legge a un microfono aperto, con la voce tremante.
Questi sono atti di coraggio. Di rimozione della
maschera.
L'ultima Maschera: morte ed eredità
Un giorno, tutte le maschere cadranno. Il tempo fa ciò
che temiamo di fare. Alla morte, saremo ricordati non per i costumi che abbiamo
indossato, ma per i momenti in cui siamo stati veramente noi stessi.
Cosa diranno di te? Che eri sempre composto? O che eri
sempre reale?
Spero che dicano questo di me: "Ha vissuto
onestamente. Ha scritto dall'anima. Non aveva paura di essere visto."
Pensiero finale: il volto sotto
Eccoci qui. Tu, io e la verità. Abbiamo tutti indossato
maschere. Lo facciamo ancora. Ma forse è tempo di toglierne alcune. Non tutte
in una volta. Una per una. Con cura. Perché sotto tutto, il tuo vero volto non
è uno sconosciuto. È quello con cui hai iniziato. Quello che il mondo ha
cercato di modellare, ma non ha mai veramente cambiato. E quando trovi quel
volto, tienilo. È il volto che non ha bisogno di una maschera. È il volto che
brilla. Krishan Chand Sethi, dip 6
Decreto Cittadinanza. Non si placa l’indignazione
Ginevra. C’è qualcosa che fa male. Fa male al cuore, alla
memoria, alla storia condivisa di milioni di persone. Il decreto cittadinanza
che il governo italiano ha imposto non è solo una questione di norme, di
articoli di legge, di burocrazia. È una scelta culturale e politica che
colpisce nel profondo ciò che siamo, ciò che siamo stati, e ciò che potremmo
smettere di essere.
L’Italia, lo sappiamo bene, non è solo quella dentro i
suoi confini. L’Italia è anche, e forse soprattutto, quella che vive fuori.
Nelle Americhe, in Europa, in Australia, in Africa. È fatta di figli e nipoti
di emigrati che hanno portato con sé una lingua, dei sapori, una fede, una
musica, una malinconia. Persone che, pur non vivendo più sulla penisola, non
hanno mai smesso di sentirsi italiani. Italiani nel cuore, nelle feste di
famiglia, nei racconti attorno alla tavola, nelle parole dette e in quelle custodite
in silenzio.
Il nuovo decreto cittadinanza, però, sembra ignorare
tutto questo. Dietro la facciata del rigore, si nasconde una scelta di
chiusura. Si fa finta di voler “mettere ordine”, ma in realtà si mette
distanza. Si dice di voler “combattere gli abusi”, ma si colpiscono anche i
giusti. Si vuole “semplificare”, ma si finisce per svuotare di senso l’identità
italiana all’estero.
E allora bisogna dirlo con forza: semplificare non può
significare cancellare. Generalizzare non può voler dire colpire tutti. E
soprattutto: difendere la cittadinanza non può diventare un pretesto per
restringerla, per negarla, per renderla un privilegio da concedere con il
contagocce.
Dietro ogni domanda di cittadinanza ci sono storie vere.
C’è Maria, nata a Rosario, in Argentina, che da bambina ascoltava i racconti
del nonno calabrese. C’è João, in Brasile, che ha imparato a cucinare la pasta
come la faceva la bisnonna di Napoli. C’è Léa, a Bruxelles, che ogni estate
veniva in Sicilia con i genitori per “tornare a casa”, anche se non ci era
nata. Ci sono famiglie intere che hanno trasmesso, con amore e orgoglio, la
lingua, le tradizioni, i valori dell’Italia, come se fossero un’eredità sacra.
A tutte queste persone, oggi, si sta dicendo che non
basta. Che quel legame non è sufficiente. Che serve di più. Che bisogna
dimostrare, certificare, superare ostacoli sempre più rigidi. Che la
cittadinanza non è un riconoscimento di appartenenza, ma una concessione da
meritare.
È questo che fa male. Questo senso di rifiuto. Come se
chi vive all’estero fosse sempre un sospetto da verificare, mai un figlio da
accogliere. Come se non ci fidassimo più della nostra stessa diaspora. Come se
la storia dell’emigrazione italiana fosse un fardello da dimenticare, invece
che un orgoglio da custodire.
Ma l’identità non è una pratica da compilare. Non è un
modulo, un certificato, un timbro. È qualcosa di vivo, che pulsa nel tempo. È
fatta di appartenenza, di ricordi, di scelte quotidiane. È fatta di chi, anche
senza essere mai stato in Italia, ha scelto di sentirsi italiano. E lo ha fatto
con amore, non per interesse.
Sappiamo bene che gli abusi esistono. Ma una democrazia
vera non risponde agli abusi con la chiusura indiscriminata. Risponde con
intelligenza, con equilibrio, con giustizia. Saper distinguere è il compito più
alto della politica. Confondere tutto è il modo più facile per non affrontare
davvero i problemi.
E allora chiediamoci: quale Italia vogliamo? Un’Italia
che taglia i ponti con i suoi figli nel mondo? O un’Italia che li riconosce, li
ascolta, li coinvolge?
Perché una cosa deve essere chiara: gli italiani
all’estero non stanno chiedendo privilegi. Non vogliono corsie preferenziali.
Chiedono solo rispetto. Chiedono che la loro storia venga riconosciuta.
Chiedono di non essere usati come bersaglio per tensioni interne. Chiedono di
non essere dimenticati, esclusi, cancellati.
Un’Italia che rinnega la sua diaspora è un’Italia che
rinnega sé stessa. È un Paese che diventa più povero, più chiuso, più solo. È
un Paese che perde la propria missione storica: quella di essere un ponte tra
le culture, una terra aperta, una comunità solidale.
Chi è cresciuto lontano, ma ha amato l’Italia senza
condizioni, merita ascolto. Merita fiducia. Merita cittadinanza – nel senso più
pieno e nobile del termine. Perché cittadinanza è anche questo: sentirsi parte
di una storia comune, anche quando si è lontani.
Oggi siamo di fronte a un bivio. Possiamo scegliere la
chiusura o l’apertura. Possiamo decidere di semplificare davvero, ma nel senso
migliore del termine: semplificare per includere, per facilitare, per
avvicinare. Oppure possiamo scegliere la scorciatoia facile della diffidenza,
del sospetto, dell’esclusione.
Ma se sceglieremo la seconda strada, perderemo molto più
di qualche documento. Perderemo il cuore dell’Italia.
E allora diciamolo con forza, con dignità, con amore:
l’Italia non è solo un territorio. È un sentimento. È una comunità sparsa, ma
unita. È una famiglia che non può permettersi di lasciare fuori nessuno.
Carmelo vaccaro, Consigliere Cgie eletto
in Svizzera dip 8
Il ruolo strategico del Friuli-Venezia Giulia nell’integrazione europea
Il recente impeto dell’Unione Europea nella politica di
allargamento, guidato dall’apertura dei negoziati di adesione con Ucraina e
Moldavia e dallo status di candidato della Georgia, riflette la nuova
preoccupazione dell’Ue in materia di sicurezza. Negli ultimi tre anni, soprattutto
a causa della guerra in Ucraina, l’Europa ha rimesso al centro dell’agenda
politica il tema dell’allargamento.
Dopo un lungo periodo di “fatica da allargamento”, le
tendenze sfavorevoli verso l’ammissione di nuovi membri si sono invertite: i
più recenti Eurobarometers mostrano come l’opinione pubblica europea, spinta
dalle rinnovate tensioni geopolitiche, sostiene un’Unione più ampia e
integrata.
L’impegno strategico dell’Italia per un’Europa più ampia
L’Italia si è sempre distinta per un atteggiamento
positivo verso l’allargamento dell’Ue, sia verso l’Europa settentrionale che
orientale. I sondaggi hanno mostrato come gli italiani si siano sempre
collocati tra i più entusiasti, tanto che l’Italia è stata tra i primi membri
dell’Ue ad insistere affinché fossero avviati negoziati con la Slovenia e
l’Estonia.
L’interesse strategico italiano è principalmente politico
ed economico. Da un lato, l’ampliamento dell’Ue garantisce maggiore stabilità
politica ed economica in aree oltre i confini, riducendo rischi e tensioni.
Dall’altro, la prossimità geografica dell’Italia ai Balcani e all’Europa
centro-orientale la rende un partner economico privilegiato di questi Paesi,
favorendone l’integrazione economica. Le opportunità di integrazione derivanti
da un’Europa allargata sono particolarmente rilevanti nei settori commerciali e
industriali, come lo sviluppo della connettività infrastrutturale e
dell’energia, della transizione digitale e della manifattura, ma non è da
trascurare un ulteriore rafforzamento del coordinamento politico, dagli affari
interni e della giustizia.
In questo scenario, il Friuli-Venezia Giulia assume una
funzione di ponte naturale tra l’Italia e i nuovi potenziali membri
dell’Unione, permettendole di rafforzare la propria presenza nei processi
decisionali e nei mercati emergenti dell’Europa centro-orientale attraverso
forme di coordinamento delle politiche nazionali e di cooperazione
intergovernativa alla base di una futura integrazione.
Da regione ‘periferica’ a cuore dell’Europa: il caso del
Friuli-Venezia Giulia
Questo rinnovato slancio rappresenta una risposta alla
situazione internazionale e una riscoperta del valore strategico delle aree di
confine europee, tradizionalmente considerate marginali. Il Friuli-Venezia
Giulia emerge come simbolo del nuovo paradigma europeo, passando da periferia a
nodo centrale della futura architettura continentale. Infatti, non è solo una
regione ai margini orientali dell’Italia, ma un ponte naturale che si apre
geograficamente, economicamente e culturalmente verso i Balcani e l’Europa
centrale. Il suo posizionamento geografico, il suo patrimonio culturale
mitteleuropeo e la sua vocazione transfrontaliera lo rendono un attore
essenziale nel processo di ampliamento dell’Unione proprio verso quei Paesi che
necessitano di una rapida integrazione. La regione rappresenta quindi un
laboratorio vivo di integrazione europea, declinandosi su tre livelli:
politico, economico e culturale.
Il piano politico, economico ed identitario: una regione
mitteleuropea modello
Politicamente, la regione ha saputo trasformare antiche
rivalità con i Paesi dell’ex-Jugoslavia in forme concrete di dialogo. Nel
post-Guerra Fredda, dopo aver vissuto sulla propria pelle i confini –
geografici (durante la Guerra Fredda), linguistici (tra italiano, sloveno e
tedesco) e istituzionali, (tra modelli politici diversi) – Trieste è riuscita a
superarli attraverso una concreta progettualità transfrontaliera.
Sul piano economico, il Friuli-Venezia Giulia è
protagonista di esempi tangibili di integrazione europea. È infatti uno snodo
cruciale per i trasporti e la logistica continentale, grazie ai porti di
Trieste e Monfalcone e ai corridoi europei TEN-T, che hanno aperto connessioni
con il Corridoio Baltico-Adriatico e il Corridoio Mediterraneo. È anche al
centro di progetti infrastrutturali strategici, come la possibile riattivazione
della tratta ferroviaria Trieste–Lubiana–Zagabria–Belgrado. Inoltre, i programmi
europei come Interreg Central Europe e IPA ADRION ne fanno un hub di
cooperazione transnazionale che investe nei sistemi di innovazione regionale,
nella protezione del patrimonio culturale e ambientale, nei trasporti
sostenibili e nello sviluppo dell’integrazione. Grazie a queste iniziative
bottom-up, l’Italia può ritagliarsi uno spazio significativo dal punto di vista
economico e imprenditoriale nell’Europa Centrale e nei Balcani occidentali,
facendo sempre più fare rete e incrementandone di conseguenza la competitività.
Sebbene non si possa ignorare il peso delle
considerazioni economiche e geopolitiche sulle azioni di questi attori, sarebbe
un errore sottovalutare l’influenza delle questioni legate all’identità e alla
memoria. L’integrazione non deve quindi escludere attività di natura
specificamente culturale al fine di accrescere la consapevolezza di un
patrimonio comune sviluppando un senso di cordiale e propositivo vicinato.
Culturalmente, il Friuli-Venezia Giulia incarna l’essenza di una regione
mitteleuropea, dove lingue, religioni e tradizioni diverse convivono da secoli.
Dopo il crollo della cortina di ferro, la regione ha saputo riscoprire e
promuovere la propria identità europea, fatta di radici comuni e memorie
condivise con l’Europa centro-orientale. In tal senso, la cultura Mitteleuropea
rappresenta una koinè culturale tra quei territori, ma è anche sinonimo di
cosmopolitismo e pluralismo. La riscoperta di tale cultura ha dimostrato come
la regione ha in sé il seme per promuovere una vera cooperazione. La scoperta
di valori comuni e la cooperazione transnazionale sono state le principali
motivazioni alla base di tutto il progetto comunitario sin dal principio.
Il Friuli-Venezia Giulia può quindi essere considerato un
“modello” per l’Europa policentrica del futuro: dove territori fortemente
interconnessi contribuiscono incisivamente alla costruzione del progetto
europeo attraverso comunità che, pur attraversate da lingue e storie diverse,
hanno imparato a integrarsi senza perdere la propria identità. Questo, se ci
pensiamo, è già Europa. Ecco perché il Friuli-Venezia Giulia non è una
periferia, ma una cerniera viva: una frontiera che, da zona di frizione, può diventare
motore di trasformazione.
Irene Rusconi, AffInt 10
Gli accorgimenti
utili per la ripresa del Paese si potrebbero concretare in tre punti.
Primo: politica
tendente a sanare i problemi dell’economia che sono alla base dell’acuirsi
dell’involuzione nazionale.
Secondo:
riorganizzazione, tramite progetti di rilancio anche settoriale, dei cicli
produttivi; favorendo, soprattutto, l’imprenditoria privata.
Terzo: rivedere il
concetto di produttività nazionale.
Quanto esposto,
però, richiede responsabilità e coerenza. Da parte di tutti. Anche con la collaborazione di chi ha
preferito non schierarsi. Basta con le diatribe di “cordata”e le polemiche
d’”opposizione”.
Gli italiani
chiedono chiare soluzioni sul futuro della Penisola. Insomma, i provvedimenti,
per fronteggiare le mancanze del Paese, dovrebbero evidenziare un “articolato”
impegno. Indubbiamente, in una situazione delicata come quella che stiamo
vivendo, i pubblici poteri sono spesso messi sotto una luce non sempre consona
alle finalità del loro mandato; a questo punto essere critici, anche se a
ragione, non basta più. C’è da essere propositivi.
Al presente è necessario dimostrare un equilibrio che
supporti tutte le classi sociali e, soprattutto, quelle più deboli. La realtà
ha dimostrato, di là da ogni ragionevole dubbio, che la strada che percorriamo
non era quella giusta. Quando la politica non è più gestibile, rimane la
solidarietà sociale che rappresenta, senza nessuna riserva, un mezzo per
tentare di chiarire il frangente; anche per essere più che spettatori,
protagonisti delle sorti della Realtà Nazionale.
Giorgio Brignola, de.it.press
Confini e connessioni: transizioni e geografie politiche in trasformazione
La politica internazionale di oggi è contraddistinta da
un insieme eterogeneo, ma interconnesso, di transizioni – ecologiche, digitali,
geopolitiche e culturali, per citarne alcune – che ridefiniscono in profondità
le modalità attraverso cui si relazionano le società e in cui si esercitano e
si contestano le forme di potere. Le transizioni in corso non si limitano a
modificare gli assetti istituzionali, ma investono i codici culturali, le
gerarchie economiche e le architetture normative che hanno finora sorretto
l’ordine internazionale multipolare.
In un contesto instabile, le transizioni ridisegnano i
confini
Tali cambiamenti avvengono oggi in un quadro di già
pressante instabilità, generata e alimentata da numerosi fattori: tra gli
altri, possiamo citare l’aggressione russa all’Ucraina; la guerra a Gaza; le
crisi climatiche e il loro nesso con le migrazioni e la scarsità di risorse; la
diffusione della minaccia della disinformazione, tra i più giovani ma non solo,
che alimenta divisioni e barriere.
Si tratta di fenomeni che contribuiscono a disegnare una
realtà in cui i confini diventano sempre più porosi, mentre le connessioni
assumono forme nuove, spesso ambivalenti, e impongono una riflessione critica
sulla necessità di rafforzare meccanismi multilivello di cooperazione e
integrazione. A loro volta, le geografie politiche non sono più statiche, ma in
trasformazione, attraversate da attori statali e non statali, reti
transnazionali, e dinamiche locali che assumono rilevanza globale.
Di questi e di altri temi si è parlato durante
l’iniziativa del 17 maggio 2025 “ConfinSenzaConfini”, promossa dal Comune di
Gemona del Friuli e dal suo Assessorato alla Cultura. L’evento (che segue il
filone della prima edizione “Oltre i muri” tenutasi nel 2024), aperto anche
alla partecipazione di giovani studenti degli istituti superiori della regione,
ha rappresentato un’occasione preziosa per riflettere su quanto il concetto
stesso di confine sia oggi in mutamento, e quanto sia urgente immaginare nuove connessioni,
più fluide, più inclusive.
Tre spunti di riflessione danno forma ai concetti di
confine e connessione
La rilevanza analitica e politica dei concetti di confine
e connessione oggi si sviluppa su almeno tre spunti di riflessione:
l’importanza della rilettura del sistema internazionale e del concetto di
governance globale; il destino delle reti di cooperazione politica, economica e
culturale; e, in una prospettiva europea, il ruolo di attori come l’Ue e
l’Italia nel panorama internazionale.
Facendo uno sforzo per tradurre nella pratica tali
spunti, vale la pena sottolineare come lo spazio globale che oggi abitiamo è
fortemente polarizzato, ancor più se si considera l’effetto diverso da paese a
paese, e da regione a regione, delle transizioni sopra menzionate. All’interno
di questo quadro, il legame tra Europa e Stati Uniti, che tradizionalmente si
sono impegnati affinché la cooperazione internazionale e transnazionale
producesse modelli di sviluppo pacifici, appare tutt’altro che lineare o coeso.
Al contrario, si presenta come frammentato, selettivo e disomogeneo, riflesso
di divergenze strategiche, tensioni normative e asimmetrie strutturali. Se da
un lato esistono segnali di rilancio della cooperazione transatlantica su
dossier specifici, dall’altro persistono ambiguità politiche, disallineamenti
economici e sfiducia reciproca che ne limitano la portata sistemica.
Il ruolo dell’Italia e il nodo educativo come terreno di
competizione
In tale prospettiva, l’Italia rappresenta un caso
emblematico. Tradizionalmente ponte tra est e ovest, oltre che centrale nella
geopolitica del Mediterraneo, Roma ha svolto storicamente un ruolo di mediatore
e continua a essere un interlocutore strategico, anche nella valorizzazione
della sua proiezione culturale e di politica estera. Al di là dei tradizionali
esempi che vedono la sicurezza, la difesa, l’energia, la diplomazia della
salute o i mercati al centro del dibattito negli ultimi mesi, il nodo educativo
assume una rilevanza crescente, soprattutto a fronte della decisione
dell’amministrazione Trump – in linea con un orientamento generalmente
protezionista – di restringere l’accesso a studenti e ricercatori stranieri ai
principali atenei americani. Tale rilevanza si accentua ulteriormente se si
pensa al trasferimento di conoscenze e competenze alla base del sistema di
istruzione che ha reso possibile borse di studio, scambi universitari, e
programmi congiunti, anche grazie alla diplomazia culturale e accademica.
L’ambito educativo diventa dunque oggi terreno di competizione e non più
opportunità di cooperazione. A fronte di questa ritirata selettiva, infatti,
l’Europa sta tentando – con risultati ancora diseguali – di occupare lo spazio
lasciato aperto: Francia e Italia provano a giocare un ruolo attivo, in
particolare attraverso le collaborazioni accademiche con i paesi del
Mediterraneo e dei Balcani, o provando ad attrarre o richiamare “cervelli”
dall’estero. La stessa questione educativa è centrale anche per le transizioni
che il mondo dovrà affrontare nel futuro, in particolare per il ruolo che
l’accademia può avere nel decostruire e ricostruire una narrativa efficace e
utile alla lettura di questi fenomeni.
È su questi piani intrecciati che si gioca oggi il ruolo
e l’idea stessa di Occidente come comunità fondata su democrazia, diritti e
libero mercato, seppur sottoposta a tensioni crescenti. Ed è inoltre a fronte
di queste spinte che continuano a intrecciarsi i diversi piani internazionale,
nazionale e locale, che i confini hanno contribuito a ridefinire. Alessia
Chiriatti, AffInt 3
Decreto sulla cittadinanza: il Decreto della Vergogna!
Con 137 voti favorevoli, 83 contrari e 2 astenuti, la
Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il Decreto-Legge n. 36 del
2025, contenente disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. È stato un
voto che ha lasciato un segno profondo non solo nella politica, ma anche nelle
comunità italiane nel mondo.
In quello stesso momento, si è celebrata quella che è
stata definita con forza “la Giornata della Vergogna”. Questa espressione, che
non nasce da me ma dall’On. Toni Ricciardi, parlamentare del Partito
Democratico eletto all’estero, ben sintetizza lo sdegno e la frustrazione di
milioni di italiani nel mondo.
L’urgenza con cui questo decreto è stato imposto
rappresenta l’ennesima manifestazione dell’accanimento ideologico e politico
che questo governo sta dimostrando nei confronti degli italiani all’estero.
Dietro il paravento della “semplificazione” e del “contrasto agli abusi”, si
cela un attacco frontale alla storia, alla memoria e all’identità degli
italiani emigrati e dei loro discendenti.
Personalmente, non posso tacere. Non posso restare in
silenzio di fronte a una norma che calpesta la dignità dei nostri connazionali
all’estero: persone che hanno contribuito in modo decisivo alla costruzione
dell’Italia moderna, spesso a costo di enormi sacrifici, affrontando
discriminazioni, fatiche e solitudine.
Sono uomini e donne che l’Italia non è stata capace di
trattenere entro i suoi confini, restando inerme di fronte alle partenze di
massa.
Storie di una nazione che ha tratto beneficio
dall’emigrazione di milioni di italiani, strappati ai loro affetti e destinati
a vite lontane, dalle quali non tutti hanno fatto ritorno.
Il decreto interviene modificando in modo radicale e
restrittivo la Legge n. 91 del 5 febbraio 1992, che regolamenta l’acquisizione
della cittadinanza italiana. In particolare, il governo ha introdotto
disposizioni che limitano il principio dello “iure sanguinis”: d’ora in poi, i
figli e i discendenti di cittadini italiani nati all’estero potranno ottenere
la cittadinanza solo se non sono in possesso di un’altra cittadinanza al
momento della nascita, salvo rare eccezioni (ancora poco chiare) come nel caso
in cui la cittadinanza straniera sia stata acquisita per motivi di rifugio o
apolidia.
Il decreto rappresenta un attacco senza precedenti ai
diritti degli italiani all’estero. Si spezza il principio del legame di sangue
e si rompe un patto di fiducia tra lo Stato italiano e le sue comunità
emigrate. La cittadinanza non è un favore, ma un diritto naturale per chi
discende da italiani e vuole mantenere vivo quel legame.
Le opposizioni, con il Partito Democratico in testa, si
sono opposte con decisione, denunciando un uso improprio dello strumento della
decretazione d’urgenza.
In una nota ufficiale, il PD ha affermato: “le critiche a
questo provvedimento sono sia di metodo che di merito. Sul metodo, perché si è
fatto ricorso a un decreto-legge in palese violazione dell’articolo 77 della
Costituzione, che consente al governo di legiferare con decreti solo in
presenza di casi straordinari di necessità e urgenza. Qual è l’urgenza che
giustifica la modifica di una legge del 1992, che regola l’accesso alla
cittadinanza per i discendenti degli emigrati italiani?
Sul merito, perché si interviene su un diritto
fondamentale – quello della cittadinanza – senza una discussione parlamentare
seria, ignorando decine di proposte di legge già depositate nelle Commissioni
competenti. Un tema così delicato avrebbe meritato un ampio dibattito, pubblico
e istituzionale”.
Gli eletti all’estero del Partito Democratico, insieme a
molte altre forze sociali e associazioni italiane nel mondo, hanno denunciato
con forza questo decreto. L’On. Toni Ricciardi ha chiuso il suo intervento
parlamentare con un discorso accorato, definendo il 25 maggio 2025 come “il
Giorno della Vergogna”. Un giorno in cui il Parlamento italiano ha voltato le
spalle a milioni di italiani che vivono fuori dal Paese, ma che continuano a
sentirsi profondamente legati all’Italia, alla sua cultura, alla sua lingua,
alla sua storia.
In Aula, durante la dichiarazione di voto contrario del
PD, il deputato eletto nella ripartizione Europa ha pronunciato parole forti e
appassionate: “È l’emigrazione la nostra vera identità collettiva. Che cosa
significa italianità? Dove la troviamo? Nelle comunità all’estero, nella
lingua, nelle tradizioni, nell’italiano parlato in Brasile o in Argentina? Se
vogliamo davvero una definizione comune, è solo una: l’emigrazione è
l’esperienza collettiva che ci unisce.” E ha lanciato un appello accorato. “Come
spiegherete ai bellunesi, veneti, bergamaschi, umbri, lucchesi, marchigiani,
abruzzesi, siciliani, laziali, cilentani, salentini e calabresi che i loro
figli e nipoti, doppi cittadini, rischiano di non essere più italiani? A chi ha
insegnato mestieri in Europa, inventato il fish and chips, fatto conoscere la
pizza, lavorato nelle fabbriche tedesche e pagato con la vita a Marcinelle… ora
dite che non potranno più trasmettere l’identità italiana. Date la cittadinanza
a Milei, ed ai figli e nipoti di Marcinelle? Concludo con un appello: non si
cancellano con un decreto la memoria e il diritto all’identità. Gli italiani
nel mondo sono parte integrante della nostra nazione. Difendere i loro diritti
significa difendere l’Italia stessa. Noi stiamo con le italiane e gli italiani
all’estero. E continueremo a difenderne i diritti”.
Gli italiani all’estero meritano molto di più di queste
umiliazioni che colpiscono la dignità di milioni di italiani e le loro
discendenze. Carmelo Vaccaro, consigliere Cgie, Saig 2
Adesso in UE servono disponibilità e solidarietà.
L’Italia, nei limiti del possibile, ha fatto sempre la sua parte; oggi sono
necessari interventi economici tramite un fondo comunitario che potremmo
chiamare d’“Emergenza”. I “fronti” d’opinione, evidentemente discordanti, non
fanno che complicare le prospettive di ripresa. L’Italia è stata uno dei Paesi
fondatori dell’Unione. Oggi l’UE dovrebbe mettere in campo quello che potrebbe
fare per noi.
L’economia del mondo è in crisi. Ci vogliono interventi,
anche a fondo perduto, per ridare la speranza di una ripresa che, comunque,
sarà lenta. L’attuale situazione nazionale richiede l’investimento di concrete
risorse finanziarie. Ma bisogna provvedere subito. Proprio ora che gli effetti
della recessione sono ancora deboli e, quindi, contenibili. Non ci dovrebbero
essere priorità politiche da tutelare. L’importante è che nessuno degli Stati
membri si tiri indietro.
La solidarietà comunitaria non andrà ad alterare il ruolo
degli Stati membri. La coerenza d’appartenenza dovrebbe essere la prima
sensazione da mettere, concretamente, in campo. Non esistono realtà economiche
europee che non si basino sulla mutua assistenza. Senza”se” e senza”ma”. A
nostro avviso si dovrebbe elaborare, entro poche settimane, un piano di
Protezione Sociale abilitato a intervenire, oltre la burocrazia, là dove se ne
evidenzi la necessità. Questa prova d’emergenza comunitaria sarà la prima concreta
verifica sul muto soccorso dell’Europa Stellata. Come da sempre, l’Italia farà
la sua parte. Con la speranza che gli altri Stati membri UE facciano la loro.
Giorgio Brignola, de.it.press
Migranti, Corte europea diritti dell'uomo dà ragione a Italia su
respingimenti Libia
La Cedu ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato
da 17 migranti che accusavano l'Italia di averli respinti "per
procura" in Libia durante un salvataggio in mare nel 2017
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha
dichiarato inammissibile un ricorso presentato da migranti che accusavano
l'Italia di averli respinti "per procura" in Libia durante un
salvataggio in mare nel 2017. Diciassette ricorrenti, provenienti da Nigeria e
Ghana, avevano presentato ricorso alla Cedu nel maggio 2018 in merito alle
condizioni del loro salvataggio al largo delle coste libiche nel novembre 2017,
quando facevano parte di un gruppo di circa 150 persone stipate in un gommone.
Il caso
Allertato da un segnale di soccorso, il Centro di
Coordinamento del soccorso marittimo di Roma ha inviato una richiesta alle
imbarcazioni vicine per soccorrere i migranti. Tra queste imbarcazioni, si
prevedeva che una nave libica, la Ras Jadir, avrebbe raccolto circa 45 persone,
tra cui due dei ricorrenti. Secondo quanto hanno riferito questi ultimi,
"sono stati legati, picchiati e minacciati; sono stati condotti in un
campo di detenzione a Tajura, in Libia, dove hanno subito maltrattamenti e
violenze", come ricordato in un comunicato stampa della Cedu.
La motivazione
Due ricorrenti hanno inoltre denunciato la morte dei loro
figli durante l'affondamento del gommone, causato dall'arrivo dell'imbarcazione
libica, secondo la stessa fonte. Tuttavia, i giudici di Strasburgo hanno
stabilito che il salvataggio è avvenuto in acque internazionali e che la zona
non era "di fatto sotto l'effettivo controllo dell'Italia".
"Il capitano e l'equipaggio della nave libica hanno
agito in modo autonomo" e non vi sono prove che suggeriscano che il Centro
di Soccorso di Roma avesse "il controllo sull'equipaggio di questa nave e
fosse in grado di influenzarne in alcun modo il comportamento", affermano
i giudici di Strasburgo. "La Corte conclude che i ricorrenti non
rientravano nella giurisdizione italiana (...) Il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile", si legge.
La sentenza della Corte giunge dopo che la Ced è stata
oggetto di critiche il mese scorso da parte dell'Italia e di altri otto Paesi
europei in materia di immigrazione. In una lettera aperta pubblicata
dall'ufficio del primo ministro italiano Giorgia Meloni, nove Paesi, tra cui
Polonia e Belgio, hanno dichiarato di voler esaminare "se la Corte, in
alcuni casi, abbia esteso eccessivamente l'ambito di applicazione della
Convenzione rispetto alle sue intenzioni originarie".
In risposta, il segretario generale del Consiglio
d'Europa, Alain Berset, ha detto che ritiene "fondamentale"
"mantenere l'indipendenza e l'imparzialità della Corte" di fronte
alle "pressioni politiche". La missione della Cedu è garantire il
rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nei 46 Stati membri
del Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale non Ue che ha sede a
Strasburgo. Adnkronos 12
Stranieri alle porte: panico indotto da narrazioni allarmistiche
Nel vortice delle partenze forzate e delle speranze
annegate, l’Europa appare smarrita, incapace di articolare una risposta
coesa, solidale e lungimirante. La sonnacchiosa inerzia dell’agire comunitario,
accompagnata da una crescente tendenza securitaria e da una narrazione
mediatica sempre più ansiogena, produce effetti devastanti tanto sul piano
umano quanto su quello politico. Non solo per i migranti, ma fra noi:
prigionieri di noi stessi. L’Italia, porta meridionale del continente, sembra
ormai orientata a declinare l’accoglienza solo nei termini dell’emergenza o del
respingimento, rinunciando a un’elaborazione sistemica e strutturale che
coniughi diritto, umanità, responsabilità condivisa, crescita del Paese. La
tragedia di Cutro, con il suo straziante corteo di corpi restituiti dal mare,
inchioda le nostre coscienze al banco degli imputati, rivelando l’abisso di un
fallimento collettivo che pesa come una colpa storica, una miopia politica, una
cecità spirituale. In quel tratto di costa calabrese si è infranta non solo una
fragile imbarcazione, ma un intero sistema di protezione che avrebbe dovuto
salvare, e invece ha lasciato morire. Le lacrime tardive né ci sono, né
basterebbero. Servono un ribaltamento delle nostre coordinate morali e la
scoperta della potenza culturale della compassione. Come vescovo della
Calabria, terra di frontiera e di passaggi, sento il dovere di denunciare
l’ipocrisia di un’Europa che alza muri, firma accordi con regimi che calpestano
i suoi valori fondanti e subappalta le proprie responsabilità a Paesi terzi,
spesso in nome di un’apparenza di efficienza che maschera disumanità e crudo
disincanto. Ancora di più, sento il dovere di testimoniare che un’altra via è
possibile. Una via che passa attraverso l’ospitalità come gesto politico,
sociale e spirituale. Un gesto non di mera solidarietà, ma di solidità e
lungimiranza. Zygmunt Bauman, nel suo libro Stranieri alle porte, ci ha messi
in guardia contro il “panico morale” indotto da narrazioni allarmistiche che
fanno dello straniero il deposito dell’ansia collettiva. Scrive: «Il migrante è
il testimone muto delle nostre paure. Non per ciò che è, ma per ciò che ci
ricorda: la nostra nudità esistenziale, l’instabilità del nostro mondo». La sua
vulnerabilità risveglia la nostra. Da qui deve ripartire un’analisi profonda:
riconoscere nel fratello in cammino non una minaccia, ma un orizzonte
spalancato di promessa e di possibilità. Ma perché l’ospite inatteso ci
spaventa così visceralmente? Perché diventa simbolo perturbante, quasi un intruso
che incrina l’illusione della nostra stabilità?
La sua povertà diventa specchio della nostra: è il
riflesso della precarietà delle nostre vite ipermoderne, vissute tra
disgregazione sociale, insicurezza economica, smarrimento del senso. La sua
presenza ci obbliga a riconoscere che anche noi potremmo trovarci al margine e
in larga misura lo siamo già. René Girard in La violenza e il sacro ci ha
insegnato che le società costruiscono l’ordine attraverso meccanismi vittimari:
si individua un capro espiatorio su cui proiettare paure e tensioni, e lo si
sacrifica per ristabilire una parvenza di armonia. In questa prospettiva, il
migrante è divenuto bersaglio perfetto anche delle democrazie. La cura
dell’altro, pertanto, non è più solo un gesto etico, ma un’operazione culturale
e antropologica per restituire umanità a chi ne è stato spogliato. Vediamo
governi che ritengono eversiva la cura, che trattano come inaccia chi soccorre
e come alleato chi discrimina e viola diritti umani fondamentali. Avviene oggi,
alla luce del sole. Urge testimoniare un orizzonte di condivisione entro una
mentalità di esclusione. L’incontro con l’altro riscatta: ci sottrae
all’isolamento e ci fa ripensare l’identità non come fortezza ma come
narrazione plurale. Lévinas ci ricorda che «il volto dell’altro mi chiama, mi
obbliga, mi espone alla responsabilità». È nel volto dell’altro che l’Altro ci
interpella. Ogni muro innalzato, ogni linguaggio disumanizzante che riduce la
persona a flusso, minaccia o emergenza, è un impoverimento culturale e
spirituale. Rifiutare l’incontro significa rinunciare a crescere, a
convertirsi, a trasformarsi.
In un tempo attraversato da crisi multiple, la vera
alternativa non è il controllo ossessivo dei confini, ma la costruzione di
legami, la creazione di comunità inclusive. È tempo di immaginare un’Europa non
come fortezza assediata, ma come casa comune, capace di dare volto politico
all’ospitalità. La solidarietà concreta non è una concessione, ma una scelta
strutturale. Non un’opera di benevolenza, ma la condizione per un futuro
abitabile. La convivenza tra popoli diversi non è un’utopia, bensì un’esigenza.
Come suggeriva Paul Ricoeur, «l’ospitalità è la virtù dell’uomo che è capace di
abitare poeticamente la terra». Sul piano teologico, questa visione si radica
nel cuore del Vangelo. Gesù non solo si identifica con lo straniero, ma chiede
di riconoscerlo: «Ero forestiero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Papa Francesco
ci invitava a non abituarci alla crudeltà del mondo: «Domandiamo al Signore la
grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che
c’è nel mondo, in noi e chiediamoci: chi ha pianto? chi ha pianto oggi nel
mondo?».
Le esperienze virtuose non mancano. I corridoi
umanitari sono un modello replicabile: ingresso legale e integrazione
programmata. Da Nord al Sud si stanno già sperimentando percorsi di accoglienza
diffusa, che è una scelta di civiltà. Non esistono alternative praticabili al
riconoscimento reciproco. Tornare a pensare l’altro come risorsa è la sfida
antropologica e spirituale del nostro tempo. In Calabria, le nostre comunità
già ferite da povertà e spopolamento possono ritrovare un respiro largo accogliendo.
Ospitare l’umano non è un gesto eroico, ma la più alta forma di umanità
autentica. Francesco Savino, Vita past., giugno
Insediata la Consulta dei lombardi nel mondo
Milano - Si è svolta oggi a Palazzo Lombardia la seduta
di insediamento della Consulta Lombardi nel Mondo. L’incontro, presieduto dal
Presidente della Regione, Attilio Fontana, ha visto la partecipazione del
sottosegretario alle Relazioni Internazionali ed Europee Raffaele Cattaneo e
dei rappresentanti istituzionali che fanno parte di questo organismo.
La Consulta, istituita con la legge regionale del 2024,
“guarda alle comunità lombarde in Europa e nel mondo” ha spiegato il presidente
Fontana e “ci permette – ha aggiunto - di agire e collaborare in numerosi
ambiti come, ad esempio, la diffusione della conoscenza del territorio e della
società lombarda, l’attrattività turistica, l’interscambio tra talenti con
borse di studio, i soggiorni culturali e la formazione professionale. A questi
ambiti si aggiungono tutela dei Lombardi nel mondo in caso di calamità
naturali, emergenze umanitarie, sanitarie o pandemiche, indigenza e grave
necessità".
“L’insediamento della Consulta – ha dichiarato il
sottosegretario Cattaneo –rappresenta un passaggio fondamentale per rafforzare
il legame tra la Lombardia e i suoi cittadini nel mondo. Vogliamo accompagnare
chi parte, sostenere chi vive già fuori dai confini regionali e agevolare il
rientro di chi desidera riportare in Lombardia competenze, esperienze e nuove
visioni. Questa Consulta sarà una piattaforma concreta per far sentire la
vicinanza della Regione a tutti coloro che, per studio, lavoro o crescita personale,
hanno scelto di realizzarsi altrove. È un passo avanti verso una Lombardia più
internazionale, aperta e connessa”.
Come deliberato nella seduta del 12 maggio scorso (numero
XII/ 4332) la Consulta è composta dal Presidente della Regione, o suo delegato,
che la convoca e presiede; Christian Garavaglia, Luca Marrelli, Marco Carra
(Consiglieri Regionali della Lombardia); Mario Martinelli (Confartigianato
Lombardia), Giovanna Mavellia (Confcommercio Lombardia), Ilaria Pozzoli
(Confindustria Lombardia); Don Alberto Vitali (Fondazione Migrantes); Matteo
Luigi Bianchi (ANCI Lombardia); Gian Domenico Auricchio (Unioncamere Lombardia);
Francesca Ferrari (Università dell’Insubria); Daniele Marconcini (Associazione
Mantovani nel mondo); Carlo Personeni (Associazione Ente Bergamaschi nel
mondo); Nicola Stivala (Associazione Gente Camuna); Donato Mainieri (Canada),
Paola Sabatti (Cile); Andrea Adamo (Emirati Arabi Uniti); Verónica Crego Porley
(decano pro tempore del Corpo consolare di Milano e della Lombardia). (aise/dip
3)
L’Associazione Bellunesi nel Mondo rilancia la sua missione nel mondo
Belluno – Si è tenuta il 31 maggio a Belluno la 61ª
Assemblea dell’Associazione Bellunesi nel Mondo (Abm). La cerimonia –
riferisce l’Associazione – si è aperta con l’inno d’Italia e l’inno
ufficiale dell’Abm, seguiti dai saluti della vicepresidente dell’associazione
Patrizia Burigo, che ha introdotto i vari momenti dell’Assemblea. Diversi gli
interventi delle autorità. Irene Gallon, consigliera comunale con delega ai
Bellunesi nel mondo, ha portato i saluti del sindaco di Belluno, Oscar De
Pellegrin, e ha espresso grande apprezzamento per l’attività dell’Abm,
definendola “un punto di riferimento per tutti”.
Anche la consigliera regionale Silvia Cestaro ha ribadito
il suo sostegno, dichiarando l’intenzione di organizzare un incontro in Regione
per sensibilizzare maggiormente le istituzioni verso l’associazionismo
migrante: “Negli ultimi anni – ha affermato – si è fatto troppo poco a livello
regionale per sostenere chi lavora nella memoria e nel servizio alle nostre
comunità all’estero”. Centrale è stato l’intervento del presidente Oscar De
Bona, che ha presentato la relazione morale illustrando il vasto lavoro svolto:
dal Museo interattivo delle Migrazioni MiM Belluno a Radio ABM, dalla rivista
Bellunesi nel Mondo al Centro Studi Aletheia, fino all’Accademia ABM, senza
dimenticare le attività delle Famiglie all’estero, d’Italia ed Ex emigranti e
dei volontari singoli. De Bona ha inoltre annunciato la partecipazione dell’Abm
a un bando PNRR del Ministero della Cultura per trasformare il Museo
interattivo delle Migrazioni di Belluno in un vero e proprio Museo
dell’Emigrazione Veneta. De Bona ha anche espresso amarezza per la riduzione
negli ultimi anni dell’85% dei contributi della Regione Veneto. Un altro
aspetto critico evidenziato dal presidente è l’aggravarsi della pressione
burocratica, che rende sempre più difficile operare nel Terzo Settore: “Viviamo
in una società sempre più individualista, dove anche le organizzazioni
no-profit devono confrontarsi con normative e adempimenti che tolgono tempo ed
energie al vero lavoro sociale e culturale”. De Bona ha inoltre lanciato un
appello per contrastare il calo dei soci, che rappresenta una delle principali
preoccupazioni per il futuro dell’Associazione: “Dobbiamo agire adesso e in
fretta, ma non possiamo farlo da soli: serve il sostegno di tutti, anche e
soprattutto delle istituzioni”. Il tesoriere dell’Abm, Angelo Paganin, ha
presentato il bilancio consuntivo 2024, che si è chiuso con un avanzo di
7.825,56 euro, frutto di una gestione attenta e trasparente. “In un contesto di
difficoltà economica generale e rincari continui – ha spiegato – questo
risultato è estremamente positivo. Abbiamo ottimizzato le spese, richiesto più
preventivi per ogni acquisto, garantendo l’efficienza nell’uso dei fondi”.
Importante anche il richiamo al 5×1000, fonte fondamentale per il sostegno
dell’Abm: “Vi invitiamo a promuovere questa forma di supporto tra parenti e
amici. Il potenziale di crescita è ancora molto alto”. L’Assemblea è proseguita
con gli interventi del diacono Francesco D’Alfonso, che ha proposto una
riflessione sulle migrazioni contemporanee, e di Samuele Marcon e Patrizia Burigo,
che hanno riportato l’esperienza vissuta alla Consulta dei Veneti nel Mondo in
Brasile. Burigo ha inoltre fatto il punto sulle attività della Biblioteca delle
Migrazioni “Dino Buzzati”, importante polo culturale dell’Associazione, mentre
Dino Bridda, direttore della rivista Bellunesi nel Mondo, ha illustrato il
successo della versione digitale: oltre 1.200.000 pagine visualizzate nel 2025,
87.000 visitatori unici e 3.000 articoli pubblicati. Il coordinatore delle
Famiglie ex emigranti, Antonio Dazzi, insieme alla vice Gioia Sacchet, ha
ringraziato i membri attivi per il loro impegno e la partecipazione,
sottolineando il valore del lavoro collettivo e della memoria condivisa. Il
presidente onorario Gioachino Bratti ha chiuso l’assemblea con un pensiero
profondo sul significato dell’emigrazione e dell’identità bellunese nel mondo.
L’incontro si è concluso in un clima conviviale con la degustazione del gelato
“Alleluja”, offerto dalla Famiglia Bellunese del Nord Reno Westfalia e
realizzato dal presidente Riccardo Simonetti. Nonostante tutto, avanti con
fiducia L’Abm – spiega la nota – si trova oggi davanti a una sfida
complessa: proseguire la propria missione con risorse sempre più limitate, in
un contesto sociale ed economico che spesso tende a dimenticare il valore
dell’associazionismo. Ma come dimostrato anche in questa 61ª Assemblea, lo
spirito di servizio, la passione e l’orgoglio per le proprie radici continuano
a guidare il lavoro dell’Associazione. E proprio da questi valori può nascere la
forza per affrontare il futuro.
“Abbiamo superato momenti difficili anche in passato – ha
detto Oscar De Bona – e lo faremo anche stavolta. Perché l’Abm è molto più di
un’associazione: è una famiglia che unisce Belluno con il mondo intero”.
(Inform/dip 3)
DGIT, Riunione del Tavolo Tecnico di Coordinamento sul Turismo delle Radici
Roma – Il 29 maggio scorso si è svolta la Riunione del
Tavolo Tecnico di Coordinamento sul Turismo delle Radici. Il Direttore
Generale Italiani all’Estero e Politiche Migratorie, Luigi Maria Vignali, ha
ringraziato – si legge nel report – i partecipanti all’incontro del Tavolo
Tecnico di coordinamento sul Turismo delle Radici, che dal primo incontro del
2018 si è man mano ingrandito e arricchito con numerose iniziative,
raggiungendo risultati straordinari. Il progetto Turismo delle Radici è una
eccellenza, che dimostra la leadership mondiale italiana in questo settore, in
cui non esistono paragoni a livello di impegno sistemico e le cui potenzialità
sono enormi, che mira a valorizzare il legame tra italiani all’estero e i
territori d’origine, con un forte impatto sul turismo, sull’economia locale e
sulla cultura. Nell’ambito del progetto sono stati creati insieme servizi e
metodo di lavoro innovativo, che hanno dato luogo a nuove figure professionali
e a una interlocuzione nuova con i viaggiatori delle radici, offrendo loro
opportunità che prima non esistevano. Inoltre si è contribuito a far conoscere
ancora di più in tutto il mondo la straordinaria bellezza dei nostri borghi e
dei piccoli comuni, con una serie di ricadute positive in termini economici
oltre che turistici. Al centro di questo percorso, c’è la rete Italea,
iniziativa multiforme lanciata nel marzo 2024 e che pian piano si è sviluppata
grazie anche ai centri di coordinamento regionale. Il portale Italea.com ad
oggi ha oltre 1,5 milioni di visite registrate, e un numero crescente di
famiglie italiane è stato messo in contatto con le proprie radici. Il programma
include inoltre una “Italea Card” virtuale, che offre ai turisti sconti e
vantaggi speciali con oltre 730 partner commerciali e più di 12mila viaggiatori
iscritti. Ci sono poi le Italee regionali, che continueranno a svolgere un
ruolo di raccordo tra istituzioni e realtà territoriali, con il raccordo da
parte del Ministero degli Affari Esteri che funge anche da guida per un
ulteriore sviluppo del progetto. Nell’ambito del progetto sono stati
fondamentali la cooperazione con Regioni e Comuni, dimostrando il successo
collettivo: gli oltre 800 Comuni italiani che hanno partecipato al primo bando
e sono stati destinatari di risorse per sviluppare il progetto hanno realizzato
circa 750 eventi destinati ai turisti delle radici con oltre 150mila
partecipanti in tutta Italia; la partecipazione delle Regioni è stato
importante nelle diverse iniziative all’estero (19 in tutto il mondo),
permettendo di mostrare le nostre eccellenze e dare lustro al Paese intero, con
un’eco magnifica tra le nostre comunità. L’importante raccordo con le entità
territoriali e in particolare con i Comuni è stato fortemente voluto dal
ministro Tajani che ha firmato un protocollo di collaborazione per sviluppare
lo scambio di informazioni e di idee, la promozione dei borghi e la formazione.
Anche la formazione ha la sua importanza in questo progetto e si stanno
realizzando delle pillole formative che saranno diffuse dal mese di giugno a
tutta la rete dei comuni insieme ad un ciclo di videoconferenze con tutti gli
816 comuni che hanno partecipato al bando. Nell’ambito del progetto svolge un
ruolo fondamentale la rete dei Musei dell’emigrazione, ospitata sul portale
Italea.com. Inoltre vi è un proficuo raccordo con il Ministero dell’Istruzione
per far sì che la storia dell’emigrazione venga studiata in istituti secondari
e i musei possano avere un ruolo formativo. Sono in corso di analisi i
risultati e l’impatto sull’Italia e i suoi territori. Il prossimo anno ci
saranno evidenze statistiche complete, intanto le prime stime parlano di
5milioni di presenze in più di turisti delle radici tra il 2025 e il 2026, con
una spesa da parte degli stessi turisti di 5,5 miliardi di euro – Confcommercio
sale sino a 8 miliardi in più anni – e secondo uno studio condotto da Deloitte
una ricaduta sul territorio stimata in 1 miliardo di euro e 99mila nuovi posti
di lavoro.
Il Direttore Vignali conclude affermando che l’impatto
importante già nelle stime dimostra l’importanza di questo settore e
sottolineando che occorre continuare a crescere insieme e promuovere il turismo
delle radici in Italia e nel mondo.
Interventi
Il Consigliere Amb. Giovanni Maria De Vita, responsabile
del Progetto “Turismo delle Radici” presso la Direzione Generale Italiani
all’Estero, ribadisce l’importanza di questo segmento sviluppato insieme, con
una sistematizzazione del settore.
La riunione ha evidenziato un forte entusiasmo e una
vasta gamma di iniziative legate al Turismo delle Radici, con un focus sul
coinvolgimento delle comunità locali, degli italo-discendenti all’estero e
delle istituzioni. Sono emersi diversi suggerimenti, problematiche e tematiche,
che possono essere schematizzate come segue:
Suggerimenti e Buone Pratiche
* Formazione e Accoglienza: Proposta di corsi per
“commissari dell’ospitalità” per formare addetti all’accoglienza; Master
universitari in management di TdR con coinvolgimento di università estere
(Brasile, Argentina, Venezuela, Cile) per chi vuole formarsi nel settore; Si
suggerisce di costruire percorsi formativi per operatori dell’accoglienza a
supporto dei comuni per gli italo-discendenti.
* Digitalizzazione e Archivi: Digitalizzazione degli
archivi anagrafici e cimiteriali per facilitare le ricerche genealogiche (es.
Comune di Caiazzo, Toritto, Guardia Sanframondi); Creazione di piattaforme
digitali (es. cimitero digitale in 3D del Comune di Caiazzo); Necessità di
rendere gli archivi accessibili e favorirne la digitalizzazione, con la
creazione di laboratori di genealogia e la formazione del personale degli
uffici anagrafe (Italea Veneto, Ministero della Cultura).
* Coinvolgimento dei Giovani e delle Scuole: Iniziative
scolastiche per lo studio delle migrazioni e l’avvicinamento al TdR (Istituto
Tecnico Economico di Casarano, Monterosso Almo); Sensibilizzazione dei bambini
e ragazzi sulle cause dei fenomeni migratori e sull’importanza di preservare il
patrimonio culturale per contrastare lo spopolamento (Comune di Blufi);
Coinvolgimento delle scuole per la conoscenza e lo studio della storia
dell’emigrazione e per far conoscere i musei tematici (Museo Regionale dell’Emigrazione
dei Piemontesi nel Mondo).
* Collaborazione e Sinergie: Collaborazione tra
associazioni, comuni, università e MAECI per iniziative coordinate; Creazione
di una “rete nazionale dei musei” e un tavolo tecnico per un’offerta organica
del TdR; Coinvolgimento delle comunità d’affari italiane all’estero
(Assocamerestero) per favorire investimenti di ritorno e lo sviluppo economico
locale; Valorizzazione del ruolo di “influencer famosi” per promuovere il TdR
(es. Lionel Scaloni per Magliano di Tenna, Nonna Fina per Guardia Sanframondi).
* Valorizzazione Culturale e Territoriale: Promozione
della lingua e cultura italiana all’estero attraverso la musica (Salty Music) e
la riscoperta delle radici; Creazione di
“musei open air” e progetti come “Il Civico delle radici” per identificare e
raccontare le storie delle case degli emigrati (Museo del Mare di Genova);
Iniziative che collegano l’italianità a figure iconiche (es. Giorgio Morandi
con l’associazione Wonderingstars Bologna); Sviluppo del “turismo sensoriale”
legato alle attività tradizionali dei luoghi d’origine (Comune di
Castelvetrano); ? Rilanciare la rete dei musei dell’emigrazione come “cappello
culturale” per il fenomeno, con valenza didattica per le scuole; Uso di eventi
e tradizioni locali (es. riti settennali del culto mariano a Guardia
Sanframondi) per attrarre italo-discendenti; Creazione di musei dedicati, come
il Museo “La valigia di Cartone” a Pretoro.
* Comunicazione e Visibilità: Utilizzo dei canali
ufficiali di Italea (sito, social) e collaborazioni con testate giornalistiche
per la divulgazione delle iniziative; Proposta di un canale TV dedicato al TdR
per raccontare testimonianze e storie; Partecipazione a fiere e borse
internazionali del turismo (Roots-In a Matera); Presentazione di libri e
pubblicazioni legate alle radici all’estero (es. libro “Radici / Roots” del
Comune di Pretoro).
Problematiche Emerse
* Rendicontazione dei Contributi: Il Comune di Bisenti ha
avuto difficoltà a rendicontare un contributo nei tempi previsti.
* Accesso agli Archivi: Difficoltà nell’accedere agli
archivi per la ricostruzione degli alberi genealogici.
* Mancanza di Fondi Specifici: I gemellaggi culturali non
hanno fondi specifici, ma dipendono dalle risorse territoriali. Non sono
previsti nuovi bandi per il TdR nel breve termine, essendo i fondi PNRR
limitati nel tempo.
* Supporto ai Comuni per la Ricerca: I Comuni chiedono
supporto per il personale esperto nella ricerca negli archivi anagrafici.
* Legge sulla Cittadinanza: Un rappresentante del CGIE ha
sollevato preoccupazioni riguardo una nuova legge sulla cittadinanza, temendo
una diminuzione degli italiani all’estero.
* Sostegno Economico Continuo: Le Italee regionali
ritengono che il progetto non sia ancora autonomo e necessiterebbe di un
continuo supporto economico da parte del Ministero.
* Coordinamento delle Iniziative: Necessità di coordinare
le diverse iniziative per evitare duplicazioni e massimizzare l’efficacia.
* Tempistiche dei Progetti: Le iniziative finanziate con
fondi PNRR devono chiudersi entro il 31 agosto, con necessità di richiesta di
proroga per i comuni.
* Comunicazione con le Rappresentanze Diplomatiche: La
necessità di coinvolgere le Ambasciate per eventi all’estero.
Altre Tematiche
* Rientro e Reinsediamento: L’Università del Molise sta
cercando di favorire il rientro di migranti per turismo e altre motivazioni che
possono aiutarli a restare, supportando il desiderio di rientro in aree
marginali. Il flusso di ritorno di italo-
discendenti che acquistano casa nei luoghi d’origine
offre opportunità
economiche.
* Spopolamento: Il TdR è visto come uno strumento per
contrastare lo spopolamento delle aree interne, ripopolando i piccoli comuni.
* Identità e Memoria: Il TdR è un veicolo per il recupero
della memoria storica e dell’identità degli italo-discendenti.
* Relazioni con le Comunità all’Estero: Il progetto mira
a lanciare una nuova stagione di relazioni con le comunità italiane all’estero,
rinvigorendo il rapporto bilaterale e superando stereotipi. Si punta a spostare
l’attenzione dall’Italia all’estero per una maggiore sinergia.
* Coinvolgimento del Ministero dell’Istruzione:
Importanza del coinvolgimento del Ministero dell’Istruzione per portare il TdR
nelle scuole.
* Ruolo degli Influencer: L’arrivo di personaggi famosi
con radici italiane può incrementare significativamente il turismo (es. Lionel
Scaloni, Nonna Fina).
* Patrocinio Istituzionale: Richiesta di patrocinio per
eventi legati al TdR, con disponibilità a concederlo per iniziative
significative.
* Ecosistema del TdR: Il TdR è definito come un
“ecosistema di relazioni, progetti e persone”, evidenziando la sua
trasversalità e applicabilità in diversi ambiti.
* Sviluppo Post-Progetto: la piattaforma Italea.com e le
Italee regionali continueranno ad essere attive anche dopo la fase iniziale del
progetto. Il Ministero resterà in ascolto e riferimento del progetto.
* Borsa Internazionale del Turismo delle Origini
(Roots-In): Evento chiave per il settore, che invita tutti gli operatori del
TdR.
* Bollino di Qualità per i Comuni: Proposta di un
“bollino di qualità” o riconoscimento per i Comuni che si sono distinti nelle
attività del TdR. Il MAECI ha già dato il titolo di “Comune delle Radici” a
quelli che hanno svolto iniziative.
* Convenzioni con Compagnie Aeree: Accordi con compagnie
aeree per tariffe agevolate per i viaggiatori delle radici (ITA Airways è già
partner con la Italea Card). (Inform/dip 5)
Cgie, Assemblea Plenaria a Roma dal 16 al 20 giugno
Cittadinanza, messa in sicurezza del voto all’estero e
incentivi al rientro al centro dei lavori. Il Presidente Mattarella riceverà il
Consiglio Generale al Quirinale
Roma – Il Consiglio Generale degli italiani all’Estero si
riunisce a Roma dal 16 al 20 giugno. I 63 Consiglieri del CGIE verranno
ricevuti al Quirinale il pomeriggio del 17 giugno dal Presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, passaggio significativo e di grande importanza
per la rappresentanza degli italiani all’estero, che anticipa l’entrata nel
vivo dei lavori dell’Assemblea plenaria. Tra i molti punti all’ordine del
giorno, cittadinanza, messa in sicurezza del voto all’estero e incentivi al
rientro – temi prioritari dell’agenda del primo semestre 2025 – saranno al
centro del dibattito assembleare e del confronto con gli interlocutori
istituzionali: dal vicepresidente del Consiglio, ministro degli Affari esteri e
presidente del CGIE Antonio Tajani, che interverrà il pomeriggio del 16 giugno,
al sottosegretario agli esteri Giorgio Silli, che illustrerà la relazione di
Governo il 18 giugno, alle delegazioni parlamentari, al senatore Guido
Castelli, commissario straordinario per la ricostruzione delle aree del Centro
Italia colpite dal terremoto, che interverrà il pomeriggio del 19 giugno, al
presidente del CNEL Renato Brunetta, che aprirà l’ultima giornata di lavori
assembleari il 20 giugno a Villa Lubin.
L’Assemblea plenaria – informa la nota del Cgie – si
riunisce in un momento particolarmente delicato per la nostra diaspora, in
allarme per l’entrata in vigore del Decreto-legge 36/2025 che, con il passaggio
di conversione in legge, ha ristretto in maniera drastica la trasmissione della
cittadinanza e l’ha condizionata a molte variabili generando disparità di
trattamento tra connazionali, in particolar modo se in possesso di altra
cittadinanza. Il Consiglio Generale da tempo sosteneva la necessità di una riforma,
con la convinzione che questa tematica non possa ridursi esclusivamente a uno
status giuridico, ma debba concernere la consapevolezza, ossia il legame
effettivo identitario con il Paese che passa attraverso la conoscenza della
lingua e della cultura, nonché delle nozioni costituzionali. Dopo essersi
espresso sul decreto-legge, lo scorso aprile, con audizioni in Parlamento e
attraverso l’emissione di un parere formale, il CGIE, a fronte delle novità
introdotte dalla conversione in legge del decreto, ha svolto una capillare
attività sui territori consultando la base e incontrando le autorità
diplomatico-consolari per acquisire il quadro più completo possibile delle
criticità emerse. Ha inoltre impegnato sul tema la III Commissione tematica e
ha riunito le Commissioni continentali, nonché il Gruppo dei Consiglieri di
nomina governativa, per rappresentare le proprie specificità e avanzare
proposte. Questa attività preparatoria andrà a sintesi durante le riunioni
degli organi interni del CGIE nel corso delle due prime giornate di lavori e
dovrà concretizzarsi in Assemblea plenaria con l’espressione di una posizione
condivisa che formerà oggetto del parere del CGIE, chiamato a esprimersi, come
previsto dalla sua legge istitutiva, sui disegni di legge governativi per la
riforma complessiva della materia già depositati in Parlamento. Contribuiranno
al dibattito i Presidenti dei Com.It.Es. di Bogotà e Johannesburg, invitati in
qualità di esperti delle realtà di Colombia e Sudafrica, Paesi che non godono
di una rappresentanza organica in seno al CGIE. La mattina del 19 giugno sarà
dedicata al tema della messa in sicurezza del voto all’estero con il contributo
di due esperti che illustreranno i loro studi sull’argomento: il professor
Saverio D’Auria dell’Università Statale di Milano e il dottor Stefano
Quintarelli, accademico e imprenditore informatico, che da presidente
dell’Agenzia per l’Italia Digitale ha diretto l’implementazione del codice
dell’amministrazione digitale gettando le basi per la modernizzazione della
pubblica amministrazione.
Lo stesso giorno sarà affrontato il tema degli incentivi
al rientro, oggetto del lavoro di diverse commissioni tematiche, coordinate
dalla VII Commissione, che hanno organizzato webinar e proceduto a una
mappatura dei dispositivi esistenti. Il commissario straordinario Castelli, con
il quale il CGIE ha firmato un protocollo d’intesa lo scorso aprile, illustrerà
poi la sua relazione sulla flat tax al 7% per i titolari di pensioni estere che
decidono di stabilirsi nel territorio di sua competenza. Il dibattito
sull’argomento proseguirà il 20 giugno presso la sede del CNEL, istituzione con
cui il CGIE ha riavviato nei mesi scorsi una interlocuzione volta alla
definizione di un protocollo di intesa e alla costituzione di un gruppo di
lavoro per una collaborazione fattiva tra le due istituzioni tesa a valorizzare
l’apporto delle comunità italiane nel mondo e creare le condizioni affinché chi
si è trasferito all’estero e desidera tornare abbia l’opportunità di farlo.
Forniranno inoltre il loro contributo ai lavori il vicepresidente del CNEL
Claudio Risso e il consigliere Alessandro Rosina, nonché Gabriele Marzano della
Direzione generale conoscenza, ricerca, lavoro e imprese presso la Regione
Emilia-Romagna e Michele Valentini del Gruppo Controesodo. (Inform/dip 11)
Frontex-Zahlen. „Irreguläre“
Migration in die EU geht erneut deutlich zurück
Die
Zahl „irregulärer“ Einreisen in die EU sinkt um weitere 20 Prozent – doch die
Methode ist umstritten. Die EU zahlt autoritären Regimen Geld, damit sie
Geflüchtete stoppen – notfalls mit Gewalt. Aus Sicht der EU scheint diese
Politik zu wirken.
Die
Zahl der sogenannten irregulären Grenzübertritte in die Europäische Union ist
in den ersten fünf Monaten dieses Jahres um 20 Prozent zurückgegangen. Wie die
EU-Grenzschutzagentur Frontex am Mittwoch mitteilte, wurden von Januar bis Mai
insgesamt rund 63.700 „unerlaubte“ Einreisen registriert.
Mit
„irregulärer“ Migration sind dabei nicht nur allgemeine Einreisen ohne Papiere
gemeint. Auch Menschen, die aufgrund fehlender legaler Fluchtwege keine andere
Möglichkeit haben, ihr Recht auf Asyl geltend zu machen, fallen unter diese
Kategorie. Menschenrechtsorganisationen kritisieren daher die Bezeichnung als
irreführend, da sie legitime Schutzgesuche kriminalisiere.
Gefährliche
Überfahrten im Mittelmeer
Die
zentrale Mittelmeerroute bleibt laut Frontex weiterhin der am stärksten
genutzte Migrationsweg nach Europa. Jeder dritte Grenzübertritt erfolgte über
diese Route. Zwischen Januar und Mai wurden dort rund 22.700 Übertritte gezählt
– ein leichter Anstieg von sieben Prozent im Vergleich zum Vorjahr.
Hauptausreiseland blieb hier Libyen. Die Zahl der Abfahrten aus Tunesien ging
hingegen um fast 90 Prozent zurück, was Frontex auf verstärkte Kontrollen durch
die dortigen Behörden zurückführt.
Das
östliche Mittelmeer war von Januar bis Mai die zweitaktivste Route mit 15.600
Überfahrten. Dies entspricht einem Rückgang von 30 Prozent im Vergleich zu
2024. Nach Schätzungen der Internationalen Organisation für Migration
(IOM) kamen in diesem Jahr bislang mindestens 651 Menschen bei der gefährlichen
Überfahrt über das Mittelmeer ums Leben.
Auf
der westafrikanischen Route – insbesondere Richtung Kanarische Inseln – sank
die Zahl der Ankünfte um rund ein Drittel auf knapp 11.100. Als Hauptgründe
nennt Frontex verstärkte Zusammenarbeit der EU mit Drittstaaten, speziell mit
Mauretanien sowie gemeinsame spanisch-marokkanische Patrouillen.
Umstrittene
EU-Abkommen mit Drittstaaten
Menschenrechtsorganisationen
kritisieren seit Jahren, dass die EU im Rahmen dieser Zusammenarbeit Gelder an
Regierungen überweist, denen schwere Menschenrechtsverletzungen vorgeworfen
werden. So wird beispielsweise der mauretanischen Regierung vorgeworfen,
Geflüchtete ohne Verfahren inhaftiert oder in gefährliche Herkunftsländer
abgeschoben zu haben. Auch Libyen oder Tunesien stehen wegen Gewalt gegen
Migrantinnen und Migranten sowie Pushbacks massiv in der Kritik.
Trotz
dieser Vorwürfe setzen EU-Staaten zunehmend auf die Strategie, ihre Grenzen
nach außen zu verlagern. Dabei werden Drittstaaten finanziell und logistisch
unterstützt, um Migrant:innen bereits vor der Abreise oder auf dem Transitweg
zu stoppen. Die stark rückläufigen Zahlen auf mehreren Routen deuten darauf
hin, dass diese Politik aus Sicht der EU „wirkt“ – auch wenn sie den
Betroffenen grundlegende Rechte verwehren kann.
Rückgang
auf der Balkanroute, Anstieg im Ärmelkanal
Am
stärksten war der Rückgang laut Frontex auf der Balkanroute. Im Vergleich zum
Vorjahr sanken die Zahlen hier um 56 Prozent.
Auf
dem Ärmelkanal Richtung Großbritannien stieg die Zahl der sogenannten
„irregulären“ Grenzübertritte dagegen. In den ersten fünf Monaten des Jahres
versuchten laut Frontex 25.540 Menschen, auf diesem Weg die britische Küste zu
erreichen – ein Plus von 17 Prozent. Schleusernetzwerke würden zunehmend auf
zeitgleiche Abfahrten setzen, um die Chancen erfolgreicher Übertritte zu
erhöhen. Dies erschwere die Rettungseinsätze und erhöhe das Risiko für die
Migranten erheblich, erklärte Frontex. (epd/mig 13)
Ausgaben für Atomwaffen
überschreiten 100 Milliarden Dollar in 2024
Der
Betrag, der allein im Jahr 2024 für Atomwaffen ausgegeben wurde, würde
ausreichen, um alle 345 Millionen Menschen, die derzeit weltweit unter den
schwersten Formen von Hunger leiden, fast zwei Jahre lang zu ernähren. Das geht
aus dem Jahresbericht über Atomwaffenausgaben hervor, der von der
Internationalen Kampagne zur Abschaffung von Atomwaffen veröffentlicht wurde.
Derzeit gibt es etwa 12.000 Atomsprengköpfe, von denen fast 90° Prozent im
Besitz der Vereinigten Staaten und Russlands sind. Von Francesco Citterich
Mit
den im Jahr 2024 getätigten Ausgaben zur Aufstockung des nuklearen Arsenals in
den neun Atommächten – China, Nordkorea, Frankreich, Indien, Israel, Pakistan,
Vereinigtes Königreich, Russland und Vereinigte Staaten – hätte man fast zwei
Jahre lang alle 345 Millionen Menschen ernähren können, die derzeit weltweit
unter den schwersten Hungerformen leiden, einschließlich Hungersnot.
Der
Jahresbericht von ICAN
Diese
Zahl geht aus dem Jahresbericht über Atomwaffenausgaben hervor, der von der
Internationalen Kampagne zur Abschaffung von Atomwaffen (ICAN) am Freitag -
also genau an dem Tag, an dem Israel einen Angriff auf das iranische
Atomprogramm startete – veröffentlicht wurde. Das ausführliche Dokument zeigt,
dass genannte Länder im vergangenen Jahr mehr als 100 Milliarden Dollar für die
Entwicklung ihrer Atomwaffenarsenale ausgegeben haben, was einem Anstieg von
etwa 11?Prozent gegenüber dem Vorjahr entspricht.
In
einem Moment, in dem die Vereinten Nationen mit massiven Kürzungen ihrer
Finanzierung konfrontiert sind, hätte der Betrag, den diese neun Länder für
ihre Atomwaffen ausgegeben haben, den Haushalt der UNO fast 28 Mal decken
können. „Das sind nur einige Beispiele für all die alternativen Initiativen,
die uns wirklich langfristige Sicherheit bringen würden – ganz im Gegensatz zur
nuklearen Abschreckung“, erklärt Susi Snyder, Mitautorin des Berichts zusammen
mit Alicia Sanders-Zakre und Programmkoordinatorin bei ICAN.
Die
nuklearen Sprengköpfe weltweit
Derzeit
gibt es weltweit etwa 12.000 Atomsprengköpfe, von denen fast 90?Prozent im
Besitz der Vereinigten Staaten und Russlands sind. Laut dem Bericht haben die
USA im vergangenen Jahr erneut mehr ausgegeben als alle anderen
Atomwaffenstaaten zusammen: ganze 56,8 Milliarden Dollar. China liegt mit 12,5
Milliarden Dollar an zweiter Stelle, weniger als ein Viertel der US-Ausgaben.
An dritter Stelle steht das Vereinigte Königreich mit 10,4 Milliarden Dollar,
welches 10° Prozent der Gesamtsumme ausmacht. Es folgen Russland mit etwas mehr
als 8 Milliarden, Frankreich mit 6,8 Milliarden, Indien mit 2,6 Milliarden,
Israel und Pakistan mit etwas mehr als einer Milliarde und schließlich
Nordkorea mit 630 Millionen Dollar. Das Dokument analysiert auch die Kosten, die
von Ländern getragen werden, die Atomwaffen anderer Staaten beherbergen,
darunter Belgien, Deutschland, Italien, die Niederlande und die Türkei.
Geld,
das anders eingesetzt werden sollte
Der
ICAN-Bericht prangert zudem an, dass das für Atomwaffenarsenale ausgegebene
Geld „verschwendet“ sei, da dieselben atomar bewaffneten Staaten formell (mit
einer gemeinsamen Erklärung Anfang 2022) zugestimmt haben, dass „ein Atomkrieg
nicht gewonnen werden kann und niemals geführt werden darf“. Zudem lenke diese
Ausgabe Ressourcen von anderen Prioritäten ab: Die 100 Milliarden Dollar hätten
nämlich zur Finanzierung von Maßnahmen verwendet werden können, die auf die
Bedrohungen der Sicherheit durch den Klimawandel und das Artensterben abzielen,
oder um öffentliche Dienstleistungen wie Gesundheit, Wohnraum und zu
verbessern. Doch trotz wiederholter internationaler Appelle gibt es nach wie
vor derzeit keine Anzeichen für eine Umkehr oder auch nur Verlangsamung der
fortlaufenden Entwicklung von Atomwaffen.
Die
Internationale Kampagne zur Abschaffung von Atomwaffen, mit Sitz in Genf und
seit 2007 in 107 Ländern aktiv, ist ein globales zivilgesellschaftliches
Bündnis, das sich für die Ratifizierung und vollständige Umsetzung des Vertrags
über das Verbot von Atomwaffen einsetzt. 2017 wurde ihr der Friedensnobelpreis
verliehen „für ihre Arbeit, die Aufmerksamkeit auf die katastrophalen
humanitären Folgen jeglichen Einsatzes von Atomwaffen zu lenken und für ihren
außergewöhnlichen Einsatz, einen Vertrag zu erwirken, der diese Waffen
verbietet.“ (vn 13)
UNHCR: Über 122 Millionen Menschen
auf der Flucht
Seit
Jahren steigen mit immer neuen Krisen und Konflikten die weltweiten Flüchtlingszahlen,
aber in diesem Jahr gibt es einen Lichtblick: Syrien. Fast zwei Millionen Syrer
sind in das einstige Bürgerkriegsland zurückgekehrt.
Gewalttätige
Konflikte und Bürgerkriege treiben weiterhin weltweit Hunderttausende in die
Flucht, aber das UN-Flüchtlingshilfswerk (UNHCR) kann erstmals seit Jahren
einen positiven Trend vermelden. Mehr Vertriebene sind 2024 in ihre Heimat
zurückgekehrt als in früheren Jahren, wie es im Weltflüchtlingsbericht heißt.
Unter
den Rückkehrern waren 1,6 Millionen Menschen, die ins Ausland geflüchtet waren.
Dies sei in dieser Kategorie die höchste Zahl seit mehr als zwei Jahrzehnten
gewesen, so das UNHCR. Die anderen Rückkehrer waren im eigenen Land vertrieben
gewesen. In dieser Kategorie war es die zweithöchste Zahl seit Beginn der
Aufzeichnungen.
Welches
Land die meisten Rückkehrer hat
Die
positive Entwicklung ging auch in den ersten Monaten dieses Jahres weiter. Vor
allem Syrer traten nach dem Sturz des Assad-Regimes in Damaskus im Dezember
2024 die Reise in die Heimat an, wie UNHCR-Chef Filippo Grandi mitteilte.
Insgesamt seien bereits fast zwei Millionen Syrer in das einstige
Bürgerkriegsland zurückgekehrt.
So
ist die Gesamtzahl der Flüchtlinge weltweit mit Stichtag Ende April im
Jahresvergleich kaum gestiegen. Es waren 122 Millionen Menschen, fast genau so
viele wie ein Jahr zuvor (120 Millionen). Die Zahlen umfassen sowohl
Vertriebene im eigenen Land als auch die, die in andere Länder geflohen sind.
Rund 60 Prozent sind jeweils Binnenvertriebene. Von den anderen leben rund
Zweidrittel nach UNHCR-Angaben in Nachbarländern ihrer Heimat.
Bezogen
auf das Gesamtjahr 2024 stieg die Zahl der Vertriebenen allerdings im Vergleich
zum Vorjahr um 7 Millionen auf 123,2 Millionen.
Welches
Land die meisten Vertriebenen hat
Schon
Ende 2024 waren nicht mehr Syrer die größte Gruppe von Vertriebenen, sondern
Menschen aus dem Sudan. Insgesamt 14,3 Millionen Menschen hatten dort wegen des
Machtkampfs zwischen der Regierung und Rebellen fliehen müssen. Syrier waren
die zweitgrößte Gruppe mit 13,5 Millionen, gefolgt von Afghanen (10,3
Millionen) und Ukrainern (8,8 Millionen).
„Die
Suche nach Frieden muss im Mittelpunkt aller Bemühungen stehen, langfristige
dauerhafte Lösungen für Flüchtlinge und andere Menschen zu finden, die
gezwungen sind, aus ihrer Heimat zu fliehen“, meinte Grandi. (dpa/mig 13)
Die
Forderung der SPD-Friedenskreise verkennt die Realität. Für Frieden braucht es
eine bessere Verteidigung Europas und glaubwürdige Abschreckung. Von Alexander
Moisseenko
Das
jüngste Manifest der SPD-Friedenskreise sorgt für große Aufmerksamkeit. Mit
ihrer Kritik an der Aufrüstungspolitik der Bundesregierung treffen die Autoren
einen Nerv. Doch eine genauere Analyse zeigt auf, dass einige
sicherheitsrelevante Aspekte in dem Dokument nicht berücksichtigt wurden.
In
dem sechsseitigen Dokument äußern zahlreiche bekannte Sozialdemokraten,
darunter Ralf Stegner und Rolf Mützenich, deutliche Kritik an der
Sicherheitspolitik der Bundesregierung. Anstelle von „hunderten von Milliarden
Euro für Aufrüstung“ seien Gespräche mit Russland gefragt.
Die
Unterzeichner des Manifests sehen keine Notwendigkeit für massive Investitionen
in die Bundeswehr. „Tatsächlich sind allein die europäischen
NATO-Mitgliedsstaaten – auch ohne US-Streitkräfte – Russland konventionell
militärisch deutlich überlegen“, heißt es in dem Papier. Große
Aufrüstungsprogramme und eine alarmistische Rhetorik erhöhten demnach nicht die
Sicherheit Deutschlands und Europas, sondern trügen vielmehr zur
Destabilisierung und zu einer verstärkten Bedrohungswahrnehmung zwischen NATO
und Russland bei.
Tatsächlich
ist Russland der NATO derzeit militärisch deutlich unterlegen. In einer
direkten Konfrontation hätte Moskau aktuell kaum eine Chance, sich gegen das
Bündnis durchzusetzen. Allerdings rechnet kaum jemand mit einem russischen
Angriff auf die NATO in naher Zukunft. Vielmehr sind sich zahlreiche westliche
Verteidigungsminister und Geheimdienste einig, dass ein solches Szenario
frühestens in einigen Jahren denkbar ist – und dass Russland sich gezielt
darauf vorbereitet.
Verteidigungsminister
Boris Pistorius und General Carsten Breuer erklärten beispielsweise, dass die
Bundeswehr im Jahr 2029 auf ein solches Szenario gewappnet sein sollte: Der
scheidende BND-Chef Bruno Kahl spricht davon, dass Russland spätestens im
Jahr 2030 in der Lage sein werde, einen NATO-Staat anzugreifen. Die Möglichkeit
eines solchen Angriffs in den kommenden fünf bis zehn Jahren (in seltenen
Fällen auch in 20 Jahren) wird auch von den Geheimdiensten anderer Länder
explizit thematisiert, darunter Dänemark, Estland und Lettland.
Laut
NATO-Generalsekretär Mark Rutte produziert Russland bereits jetzt in drei
Monaten so viel Munition wie die gesamte Militärallianz in einem Jahr. Einem
Bericht des International Institute for Strategic Studies zufolge
investiert Russland aktuell mehr in seine Rüstungsindustrie als alle
europäischen NATO-Staaten zusammen. Dies entspricht 6,7 Prozent des russischen
Bruttoinlandsprodukts.
Für
eine entsprechende Gegenreaktion der europäischen Staaten sieht das Manifest
allerdings keinen Handlungsbedarf: „Für eine auf Jahre festgelegte Erhöhung des
Verteidigungshaushalts auf 3,5 oder fünf Prozent des Bruttoinlandsprodukts gibt
es keine sicherheitspolitische Begründung.“
Doch
diese Begründung existiert sehr wohl. Die vergangenen Jahre haben deutlich
gemacht, wie sehr Europa in sicherheitspolitischen Fragen von den USA abhängig
war. Diese Zeiten sind jedoch vorbei. Im Februar 2024 erklärte Donald Trump
öffentlich, er werde NATO-Staaten, die nicht ausreichend in Verteidigung
investierten, im Falle eines russischen Angriffs nicht zur Seite stehen. „Nein,
ich würde euch nicht beschützen – im Gegenteil, ich würde [Russland] ermutigen,
zu tun, was sie wollen. Ihr müsst zahlen“, so der US-Präsident.
Trump macht keinen Hehl daraus, dass er den Verteidigungsbeitrag der
NATO-Staaten bei fünf Prozent des Bruttoinlandsprodukts sieht.
Anstelle
der fortdauernden Konfrontationspolitik mit Russland seien mehr Gespräche
vonnöten: „Dazu brauchen wir eine Intensivierung der diplomatischen
Anstrengungen aller europäischen Staaten. Die Unterstützung der Ukraine in
ihren völkerrechtlichen Ansprüchen muss verknüpft werden mit den berechtigten
Interessen aller in Europa an Sicherheit und Stabilität“.
Niemand
sehnt sich mehr nach einem schnellen Frieden als die Ukrainer selbst. Die
Autoren des Manifests lassen jedoch offen, wie genau eine „Intensivierung der
diplomatischen Anstrengungen“ konkret aussehen soll. Das erscheint umso
herausfordernder angesichts der aktuellen Haltung Moskaus: Russland lehnt eine
Waffenruhe weiterhin strikt ab und beharrt stattdessen auf der Abtretung
weiterer ukrainischer Gebiete. Selbst US-Vizepräsident J.D. Vance, dem man
keine besondere Nähe zu Präsident Wolodymyr Selenskyj nachsagen kann, erklärte,
Russland verlange in den bisherigen Gesprächen „zu viel“. Statt einer
Deeskalation haben die jüngsten Verhandlungen vielmehr zur Eröffnung einer
neuen Front im nordöstlichen Oblast Sumy geführt.
In
Zeiten, in denen der Vizechef des Sicherheitsrats der Russischen Föderation
Dmitri Medwedew davon spricht, die baltischen Staaten seien Provinzen
Russlands, Putins Berater Anton Kobyakov meint, die Sowjetunion würde rechtlich
weiterhin fortbestehen, und der Präsident selbst sagt, er würde ähnlich
wie Zar Peter I. die historischen Territorien Russlands zurückholen, erscheint
es wenig wahrscheinlich, dass sich Russland dauerhaft mit den bisherigen
Gebietsgewinnen in der Ukraine zufriedengeben wird.
Ein
Blick zurück auf den Dezember 2021 zeigt: Russlands Ultimatum vor der Invasion
der Ukraine umfasste weit mehr als nur die Forderung nach einem Verzicht auf
eine NATO-Mitgliedschaft der Ukraine. Eine der zentralen Forderungen des Kremls
bestand darin, die NATO-Militärinfrastruktur auf den Stand von 1997
zurückzuführen – ein Anliegen, dem die westliche Militärallianz erwartungsgemäß
nicht nachgekommen ist.
Wenn
ein US-Präsident wie Donald Trump offen erklärt, er werde europäische Staaten
im Falle eines russischen Angriffs nicht schützen – sofern diese nicht
ausreichend in ihre Verteidigung investieren –, und wenn Verteidigungsminister
Pete Hegseth die Sicherheit Europas nicht länger als zentrale Priorität der
US-Außenpolitik einstuft, eröffnet sich für Russland eine historische
Gelegenheit, seine langfristigen strategischen Ziele militärisch zu verfolgen.
Die einzige realistische Möglichkeit, einem solchen Szenario entgegenzuwirken,
besteht in einer deutlichen Erhöhung der europäischen Verteidigungsausgaben.
Zur
Erinnerung: Die Geheimdienste der USA und Großbritanniens warnten im Vorfeld
kontinuierlich vor einer bevorstehenden russischen Invasion der Ukraine.
US-PräsidentJoe Biden betonte noch im Februar 2022 mehrfach seine
Bereitschaft zu Gesprächen mit dem russischen Präsidenten – auch wenige Tage
vor dem Einmarsch. Doch nicht alle nahmen diese Warnungen gleichermaßen ernst.
Vor allem jene, die heute Verhandlungen fordern, spielten die Gefahr damals
herunter und warfen dem Westen Säbelrasseln vor.
Diplomatie
und Dialog sind unverzichtbar, doch sie entfalten nur dann Wirkung, wenn sie
mit Stärke und Entschlossenheit einhergehen. Das entsprach übrigens auch dem
Verständnis von Willy Brandt, der großen Wert darauf legte, dass seine
Entspannungspolitik von den USA mitgetragen wurde – und der die
Rüstungsausgaben in seiner Amtszeit von 3,2 auf 3,4 Prozent des
Bruttosozialprodukts erhöhte. Ohne glaubwürdige Abschreckung und eine Stärkung
der europäischen Verteidigungsfähigkeit bleibt ein dauerhafter Frieden in
Europa kaum erreichbar. IPG 13
Pizzaballa zu Gaza: Situation
weiter katastrophal und unmenschlich
Kardinal
Pierbattista Pizzaballa, Lateinischer Patriarch von Jerusalem, hat sich zur
Lage im Gazastreifen geäußert: „Die Situation hier bleibt katastrophal,
dramatisch und unmenschlich“, sagte er dem öffentlich-rechtlichen italienischen
TV-Sender Rai am Mittwoch. Es herrsche „ein unbegreifliches Treiben von denen,
die Hass säen, nicht nur hier im Heiligen Land, sondern im ganzen Nahen Osten“.
Er warnte zugleich vor Antisemitismus. Von Stefanie Stahlhofen
Zur
Lage vor Ort in Gaza sagt Kardinal Pizzaballa, die Informationen, die sie von
den Gemeinden vor Ort erhielten und auch über Handy seien natürlich immer nur
ein Teileindruck:
„Ein
komplettes, allumfassendes und freies Bild der Lage ist sehr schwer zu
bekommen. Aber abgesehen davon ist offensichtlich und deutlich klar, dass es
eine drammatische, verheerende und unmenschliche Lage ist. (...) Die Lage
bleibt in vielerlei Hinsicht verheerend: Die Krankenhäuser, die sanitäre Lage:
Es gibt keine Hygiene mehr, auch weil es keine Infrastruktur mehr gibt, kein
Wasser, es mangelt an Hygiene. Teils sind es 40 Grad im Schatten. Und dann der
Hunger. Seit Monaten kommen keine Lebensmittel rein, und sie werden langsam
knapp, besonders im Norden, wo die Lage besonders drammatisch ist",
beschreibt der Kardinal die Situation im Gazastreifen.
Lebensmittelhilfen
in den Gaza-Streifen zu bekommen, gilt als schwierig und risikoreich. Bei
einem Angriff auf einen Bus mit palästinensischen Mitarbeitern der Gaza
Humanitarian Foundation (GHF), die von Israel und den USA unterstützt wird,
sind nach Angaben der Organisation fünf Menschen getötet worden. Die
Stiftung machte die islamistische Terrororganisation Hamas für den Angriff
verantwortlich.
Nach
Angaben örtlicher Gesundheitsbehörden sind bei israelischen Angriffen am
Mittwoch im Gazastreifen mindestens 60 Palästinenser getötet worden. Mindestens
25 Menschen starben demnach in der Nähe eines Verteilzentrums der GHF. Die
israelischen Streitkräfte hatten nach eigenen Angaben am Mittwoch bei einem
Einsatz im südlichen Gazastreifen die Leichen von zwei Geiseln geborgen
und nach Israel überführt. Beide Männer stammen demnach aus dem Kibbuz Nir
Oz nahe der Gaza-Grenze. Sie sollen beim Überfall der Hamas und anderer
Terrorgruppen aus dem Gazastreifen am 7. Oktober 2023 getötet und ihre Leichen
nach Gaza verschleppt worden sein. Die Angaben der verschiedenen Beteiligten
sind sind schwer unabhängig zu prüfen. Klar ist jedoch, daran erinnert Kardinal
Pizzaballa, wer unter der Gewalt besonders leidet:
„Es
ist an der Zeit, sich zu bewegen, etwas zu tun, um diese aus meiner Sicht
unverständliche Entwicklung zu stoppen, die Hass in der Bevölkerung sät, nicht
nur hier im Heiligen Land, sondern im gesamten Nahen Osten“
„Ich
bin sprachlos, ich kann den Sinn des Ganzen nicht verstehen. Es sprengt alle
nachvollziehbaren Grenzen für das, was da geschieht. Und natürlich sind
diejenigen, die den Preis dafür zahlen, vor allem die Letzten, die Armen, die
Kleinen und besonders die Kinder, nicht nur die Hungrigen. Es ist etwas,
worüber wenig gesprochen wird, sie sind hungrig, sie sind auch verletzt."
Mit Blick auf die Lage in Gaza erinnert er: „Es gibt Hunderttausende von
Kindern, die seit zwei Jahren nicht mehr zur Schule gegangen sind, sie sind
sich selbst überlassen, es ist schrecklich." Pizzaballa ruft daher alle
eindringlich zum Handeln auf: „Wir können nicht einfach zusehen und nichts
tun, oder? Wir können uns nicht auf die üblichen allgemeinen Worte beschränken.
Es ist an der Zeit, sich zu bewegen, etwas zu tun, um diese aus meiner Sicht
unverständliche Entwicklung zu stoppen, die Hass in der Bevölkerung sät, nicht
nur hier im Heiligen Land, sondern im gesamten Nahen Osten."
Guter
Kontakt zum Papst
Die
katholische Kirche prangere die Lage an und tue mit ihren Vermittlern was gehe,
auch um die Blockade der humanitären Hilfe zu lösen, auch in Zusammenarbeit mit
anderen Hilfsorganisationen. Aber die Lage sei schwierig und er
persönlich fühle „ein starkes Gefühl der Ohnmacht“, gesteht der Kardinal
im Interview mit der Rai. Über diese Themen informiere er auch Papst Leo XIV.,
zu dem es guten und regelmäßigen Kontakt gebe:
„Es
gibt natürlich keinen täglichen, aber einen ständigen Dialog, wir hören uns
sehr oft.“
„Es
gibt natürlich keinen täglichen, aber einen ständigen Dialog, wir hören uns
sehr oft. Wir haben uns vergangene Woche gehört und auch diese. Besonders
ging es darum, aktuelle Informationen auszutauschen, über die laufenden
Kontakte, die laufenden Dialoge, um zu sehen, was getan werden kann, auch um
einen gewissen Druck auf diplomatischer Ebene auszuüben, um zu versuchen,
zumindest den humanitären Aspekt zu lösen", berichtet Pizzaballa im
Interview mit der Rai.
„Die
Politik der Regierung zu verurteilen, bedeutet nicht, das Judentum zu
verurteilen“
Auf
die Frage nach einem wachsenden Antisemitismus antwortetet der Kardinal: „Man
muss aus diesen Diskussionen herauskommen und sich auf das konzentrieren, was
in Gaza passiert. Die Politik der Regierung zu verurteilen, bedeutet nicht, das
Judentum zu verurteilen. Wir dürfen die beiden Dinge nicht gleichsetzen. Aber
wir müssen uns darüber im Klaren sein, dass das, was die Regierung und die
israelische Politik in Gaza tun, unvorstellbar und inakzeptabel ist. Das muss
sehr deutlich gesagt werden. Das bedeutet nicht, dass alle Juden verurteilt
werden müssen, wir müssen das unterscheiden. Aber man muss auch den Mut und die
Freiheit haben, die Dinge so zu sagen, wie sie sind."
(rai/diverse 12)
Neue Bundesregierung: Deutsche
erwarten Rückschritte in den Bereichen Klima, Rente und Wohnen
Hohe
Kompetenzwerte bei Migration, Verteidigung und Wirtschaft
Hamburg
– Gut einen Monat ist die schwarz-rote Regierung unter Bundeskanzler Friedrich
Merz nun im Amt. In einer repräsentativen Umfrage hat das Markt- und
Sozialforschungsinstitut Ipsos ermittelt, in welchen Bereichen die deutsche
Bevölkerung nach dem Regierungswechsel Verbesserungen und in welchen sie
Verschlechterungen erwartet. Am zuversichtlichsten äußern sich die Deutschen
bei den Themen Verteidigung, Migration und Wirtschaft. Etwa die Hälfte der
Befragten ist optimistisch, dass die neue Regierung in diesen Politikfeldern
Fortschritte erzielen wird. Beim Klimaschutz, dem Schaffen von bezahlbarem
Wohnraum und der Sicherung des Rentensystems sieht es anders aus: Hier rechnen
die Deutschen eher mit einer Verschlechterung der aktuellen Situation.
Mehrheit
glaubt an bessere Einsatzfähigkeit der Bundeswehr
53
Prozent der Deutschen gehen davon aus, dass sich die Einsatzfähigkeit der
Bundeswehr zur Landes- und Bündnisverteidigung unter der neuen Bundesregierung
verbessern wird. Nur 17 Prozent erwarten eine Verschlechterung des Status quo.
Ein knappes Viertel (24 %) der Befragten rechnet damit, dass die Situation bei
der Bundeswehr in etwa gleich bleiben wird. In keinem anderen Bereich ist das
Vertrauen in eine Verbesserung der Lage so groß wie bei der Frage der
Verteidigungsfähigkeit.
Zuversicht
in der Migrations- und Wirtschaftspolitik
Auch
Migration und Wirtschaft werden als Stärken der schwarz-roten Koalition
angesehen. 45 Prozent der Befragten sind der Meinung, dass die neue Regierung
Verbesserungen bei der Kontrolle von Migration und Asyl erzielen wird. Etwa
ebenso viele (42 %) erwarten eine Stärkung des Wirtschaftsstandorts
Deutschland. Allerdings geht jeweils etwas mehr als ein Viertel (Migration: 26
%, Wirtschaft: 28 %) auch davon aus, dass es in diesen Bereichen in der
kommenden Legislaturperiode zu Verschlechterungen kommen wird.
Weitere
Politikfelder, bei denen die Bundesbürger eher mit Fortschritten als mit
Rückschritten rechnen, sind das Vorantreiben der Digitalisierung, der Ausbau
und die Modernisierung der Verkehrsinfrastruktur, die Stärkung der inneren
Sicherheit sowie die Bekämpfung von Kriminalität.
Wenig
Vertrauen in Merz-Kabinett bei sozialen Themen
Wenn
es um soziale Themen wie die Sicherung der Renten, die Schaffung von
bezahlbarem Wohnraum oder die Bekämpfung von Armut geht, erwartet die Mehrheit
der Bevölkerung von der neuen Bundesregierung keine positiven Veränderungen.
Lediglich ein Fünftel der Befragten (sichere Rente: 20 %, bezahlbares Wohnen:
19 %, Armutsbekämpfung: 18 %) geht davon aus, dass die schwarz-rote Koalition
in diesen Bereichen Fortschritte erzielen wird. Etwa doppelt so viele Befragte
erwarten bei diesen sozialen Themen hingegen eine Verschlechterung der Lage
unter dem Kabinett Merz: 43 Prozent bei der Schaffung von bezahlbarem Wohnraum,
40 Prozent bei der Sicherung von Renten und ebenfalls 40 Prozent bei der
Bekämpfung von Armut.
Pessimismus
in Bezug auf Klima- und Gesundheitspolitik
Ähnlich
sieht es beim Klimaschutz und der ärztlichen Versorgung aus. Nicht einmal jeder
fünfte Deutsche rechnet damit, dass die neue Bundesregierung wirksame Maßnahmen
zum Klimaschutz (19 %) oder zur Reduktion von Wartezeiten bei Fachärzten (18 %)
umsetzen wird. Etwa ein Drittel der Befragten (Klimaschutz: 33 %, ärztliche
Versorgung: 38 %) geht von Rückschritten aus. Ipsos 12
„Alarmierendes Bild“.
Jahresbericht: 644 antimuslimische Vorfälle erfasst
Muslimische
Frauen mit Kopftuch werden auf der Straße von Unbekannten angepöbelt, Kinder
werden in der Schule beschimpft. Hunderte Fälle von antimuslimischen Verhalten
zählt eine Recherchestelle. Experte warnt: „Berlin hat ein Problem und das
heißt antimuslimischer Rassismus.“
644
antimuslimische Diskriminierungen, Beleidigungen und Angriffe hat eine
Dokumentationsstelle im vergangenen Jahr in Berlin registriert. Besonders
betroffen von den Vorfällen und Übergriffen waren Frauen, wie die Melde- und
Informationsstelle Report Berlin vom Netzwerk Claim bei der Vorstellung der
Jahresbilanz 2024 mitteilte.
Im
Vorjahr 2023 habe die erfasste Zahl der antimuslimischen und rassistischen
Vorfälle mit 382 noch deutlich niedriger gelegen. Seit Oktober 2023 und dem
Terrorangriff der islamistischen Hamas auf Israel sei es in Berlin zu einem
deutlichen Anstieg gekommen, sagte Rima Hanano von der Meldestelle Report
Berlin.
Zugleich
gehe man von einer hohen Dunkelziffer nicht angezeigter Taten aus. „Viele
Vorfälle werden von den Opfern nicht gemeldet“, sagte Hanano. Die Vorfälle in
der Jahresbilanz wurden in sechs Meldestellen, über Online-Nachrichten von
Betroffenen und aus den Mitteilungen und Statistiken der Polizei
zusammengetragen.
„Alarmierendes
Bild“
Hanano
sprach von einem „alarmierendem Bild“ und sagte: „Berlin hat ein Problem und
das heißt antimuslimischer Rassismus.“ Muslime würden besonders seit Oktober
2023 unter Generalverdacht gestellt und zum Sicherheitsproblem gemacht. „Sogar
Kinder und Jugendliche werden angegriffen und beschimpft.“ Es handele sich
nicht um ein Randphänomen oder um Einzelfälle, sondern um ein strukturelles
Problem.
Gezählt
wurden 285 Fälle von Diskriminierung und 248 verbale Beleidigungen oder
Beschimpfungen. Dazu kamen 91 Fälle von verletzendem Verhalten, unter denen
auch 48 Körperverletzungen und 24 Sachbeschädigungen waren. Frauen waren
deutlich häufiger Opfer solcher Übergriffe, besonders, wenn sie ein Kopftuch
oder andere religiöse Kleidung trugen. Über die Täter sei nicht viel bekannt,
hieß es.
Jeder
Dritte Vorfall im Bildungsbereich
Von
415 Vorfällen mit einem bekannten Ort ereigneten sich 35 Prozent im
Bildungsbereich, also in Schulen, Kitas und Universitäten etwa durch
Mitschüler, Lehrer oder Erzieher. 19 Prozent geschahen im öffentlichen Raum, 12
Prozent in der Arbeitswelt, 7 Prozent im öffentlichen Verkehr. Dazu kamen Fälle
aus Behörden, bei der Polizei und im Gesundheitsbereich.
Zahlreiche
Beispiele wurden in der Jahresbilanz angeführt: So sei eine Frau mit einem
Kopftuch von einer unbekannten Frau als Terroristin und Antisemitin bezeichnet
worden. Eine Erzieherin in einer Grundschule sei von einer Kollegin gefragt
worden, warum alle Muslime Terroristen seien.
Kopftuch
löst Anfeindung aus
An
einer Bushaltestelle sei einer Frau von einem Täter das Kopftuch herabgezogen
worden, ein Mann habe eine andere Frau mit einem Messer angegriffen. Eine
Familie sei von einem Mann mit einer Bierflasche beworfen und eines der Kinder
getroffen worden. Eine Oberschule habe eine muslimische Bewerberin als
Aushilfslehrerin abgelehnt, weil sie Beschwerden der Eltern wegen des Kopftuchs
befürchtet habe.
Bundesweite
Zahlen zu entsprechenden Vorfällen im Jahr 2024 will Claim in der nächsten
Woche veröffentlichen. Ähnliche Dokumentationen und Jahresberichte gibt es von
anderen Initiativen und Recherchestellen auch zu antisemitischen, rassistischen
und homophoben Vorfällen. (dpa/mig 12)
ifo Institut hebt Wachstumsprognose
an
München
– Das ifo Institut hat seine Konjunkturprognose für Deutschland nach oben
korrigiert. Die deutsche Wirtschaft soll im Jahr 2025 um 0,3 Prozent und 2026
um 1,5 Prozent wachsen. Gegenüber der Frühjahrsprognose wurden die
Wachstumsraten um 0,1 bzw. 0,7 Prozentpunkte angehoben. „Die Krise der
deutschen Wirtschaft hat im Winterhalbjahr ihren Tiefpunkt erreicht“, sagt ifo
Konjunkturchef Timo Wollmershäuser. „Ein Grund für den Wachstumsschub sind die
angekündigten Fiskalmaßnahmen der neuen Bundesregierung.“
Schon
im ersten Quartal 2025 hat die Wirtschaftsleistung um 0,4 Prozent kräftig
zugelegt. Dies lag laut ifo Institut vor allem an vorgezogenen Exporten in die
USA. Aber auch der private Konsum und die Investitionen konnten erneut zulegen.
Gleichzeitig hellte sich seit Jahresbeginn die Stimmung unter den Unternehmen
auf. „Der zunehmende Optimismus speist sich vermutlich auch aus der Hoffnung,
dass mit der neuen Koalition der wirtschaftspolitische Stillstand endet und es
im Handelsstreit mit den USA zu einer Einigung kommen wird“, sagt
Wollmershäuser.
Die
neue Bundesregierung plant die Ausweitung der Infrastruktur- und
Verteidigungsausgaben sowie Entlastungen durch beschleunigte Abschreibungen,
Steuersenkungen, niedrigere Netzentgelte und eine höhere Pendlerpauschale. Die
Impulse bewertet das ifo Institut in seiner Konjunkturprognose mit 10
Milliarden Euro im Jahr 2025 und mit 57 Milliarden Euro im Jahr 2026. Dadurch
dürfte das Wachstum in diesem Jahr um 0,1 und im kommenden Jahr um 0,7
Prozentpunkte höher ausfallen.
Risiken
sehen die Konjunkturforscher in der US-Handelspolitik. Die bereits verhängten
Importzölle werden – gesetzt den Fall, sie bleiben auf dem jetzigen Niveau –
das Wirtschaftswachstum im Jahr 2025 um 0,1 und im Jahr 2026 um 0,3
Prozentpunkte beeinträchtigen. Bei einer Einigung im Handelskonflikt könnte das
Wachstum in Deutschland höher ausfallen, bei einer Eskalation könnte eine
erneute Rezession drohen.
Die
Inflationsrate wird laut ifo Prognose im Jahr 2025 bei 2,1 Prozent und im Jahr
2026 bei 2,0 Prozent liegen. Am Arbeitsmarkt wird mit einer Stabilisierung
gerechnet. Die Arbeitslosenquote steigt im Jahr 2025 auf 6,3 Prozent und sinkt
im Jahr 2026 leicht auf 6,1 Prozent. Ifo 12
EU-Grundrechteagentur. Immer mehr
Menschenrechtsverletzungen in Europa
Menschenrechte
in Gefahr: Die EU-Grundrechteagentur schlägt Alarm – Diskriminierung, Gewalt
und Entrechtung nehmen in Europa dramatisch zu. Besonders betroffen:
Geflüchtete, Frauen, Muslime und Juden. Expertin warnt: „Das ist ein Weckruf.“
Die
EU-Grundrechteagentur sieht die Grundrechte innerhalb des Staatenbundes in
ernster Gefahr. Der aktuelle „Fundamental Rights Report 2025“ der EU-Agentur
für Grundrechte (FRA) dokumentiert schwerwiegende Missstände, darunter
Misshandlungen von Migrantinnen und Migranten, Gewalt gegen Frauen sowie
Bedrohungen für die Demokratie. „Dies ist ein Weckruf“, erklärte FRA-Direktorin
Sirpa Rautio am Dienstag zur Veröffentlichung des Berichts in Wien.
Trotz
neuer EU-Regelungen zum Asyl- und Migrationsrecht haben sich dem Bericht
zufolge im vergangenen Jahr Menschenrechtsverletzungen an den EU-Außengrenzen
gehäuft. Demnach starben mehr als 3.500 Menschen oder gelten als vermisst auf
See. Die Grundrechteagentur fordert daher eine Verbesserung der Such- und
Rettungseinsätze sowie menschenwürdige Bedingungen bei der Erstaufnahme.
Unabhängige Überwachungsmechanismen an den Grenzen seien dringend erforderlich.
Eine
weitere Gefahr ist laut dem Bericht die Gewalt gegen Frauen. Demnach erlebt
jede dritte Frau in der EU geschlechtsspezifische Gewalt. Die
EU-Grundrechteagentur fordert umfassende Maßnahmen, um Opfer besser zu
schützen, unter anderem durch verbesserte Meldewege, gezielte Schulungen für
Polizei und medizinisches Personal sowie durch die konsequente Anwendung der
neuen EU-Richtlinie zur Bekämpfung von Gewalt gegen Frauen.
Muslime
und Juden stark betroffen
Muslime,
Jüdinnen und Juden, schwarze Menschen sowie LGBTIQ-Personen sind laut
Grundrechteagentur verstärkt von Diskriminierung, Hassrede und körperlicher
Gewalt betroffen, auch im digitalen Raum. Die Agentur appellierte an die
EU-Staaten, Daten zur Diskriminierung besser zu erfassen und
Anti-Rassismus-Strategien zu stärken.
Auch
freie und faire Wahlen in der EU seien zunehmend durch Desinformation, den
Missbrauch Künstlicher Intelligenz und hetzerische Rhetorik bedroht, warnte die
Grundrechteagentur. Sie forderte daher wirksame Schutzmaßnahmen sowie die
konsequente Umsetzung bestehender EU-Gesetze zum Schutz der Demokratie.
Diskriminierende
Algorithmen
Die
Einführung der EU-Digitalgesetze sei ein wichtiger Schritt zum Schutz der
Grundrechte online. Doch ohne entschlossene Umsetzung drohten gefährliche
Lücken. Die Grundrechteagentur warnt insbesondere vor diskriminierenden
Algorithmen und fordert eine bessere Kontrolle von Künstlicher Intelligenz
sowie eine stärkere Aufklärung über deren Risiken.
Geopolitische
Spannungen, zunehmende Intoleranz und Angriffe auf Wahlen testeten die
Widerstandskraft der demokratischen Institutionen, erklärte Direktorin Rautio
und mahnte: „Rufe nach Deregulierung dürfen nicht zu einem Abbau von
Schutzmechanismen führen.“ Der Schutz der Grundrechte müsse im Zentrum aller
politischen Entscheidungen stehen. (epd/mig 11)
Studie. Mehr Einwanderung entlastet
den Sozialstaat
Migration
kostet nicht, sondern entlastet die öffentlichen Haushalte um Milliarden. Das
ist das Ergebnis einer aktuellen Studie des „Wirtschaftsweisen“ Werding. Danach
überwiegen langfristig die Mehreinnahmen die Kosten deutlich.
Mehr
Zuwanderung nach Deutschland kann aus der Sicht des Mediendienstes Integration
die Sozialkassen deutlich entlasten. Das gehe aus einer Studie hervor, die zu
dem Ergebnis kommt, dass eine höhere Migration die öffentlichen Haushalte
langfristig um etwa 100 Milliarden Euro jährlich entlastet, heißt es in einer
Mitteilung vom Freitag.
„Zuwanderung
führt einerseits zu steigenden Ausgaben des Staates. Andererseits bewirkt sie
aber auch steigende Einnahmen – in Zeiten, in denen die öffentlichen Finanzen
aufgrund der demografischen Alterung in immer größere Anspannung geraten“, so
der Mediendienst. Autor der Untersuchung ist der Wirtschaftsweise Martin
Werding, also ein Mitglied des Sachverständigenrats zur Begutachtung der
gesamtwirtschaftlichen Entwicklung.
Werding,
der Professor für Sozialpolitik und öffentliche Finanzen an der
Ruhr-Universität Bochum (RUB) ist, verwies zudem darauf, dass vermehrte
Zuwanderung nach Deutschland auch zu einem verstärkten Wachstum des
Bruttoinlandsproduktes und damit höheren Steuereinnahmen beitrage.
Info
& Download: Die Expertise "Migration und ihr Beitrag zum
Staatshaushalt" kann kostenfrei heruntergeladen werden.
Um
den Download-Link zu sehen, loggen Sie sich bitte über Steady ein. Falls Sie
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Einwanderung
reduziert Finanzierungslücke
Den
Berechnungen zufolge reduziert eine um 200.000 Personen höhere jährliche
Nettozuwanderung nach Deutschland die dauerhaft bestehende Finanzierungslücke
der öffentlichen Haushalte um knapp 2,5 Prozent des Bruttoinlandsprodukts –
oder, gemessen in Werten für 2024, um rund 104 Milliarden Euro jährlich.
„Jede
Person, die im Zuge dieser kontinuierlich hohen Zuwanderung nach Deutschland
kommt, entlastet den Staatshaushalt um 7.100 Euro im Jahr“, heißt es in der
Zusammenfassung der Erhebung. Viele bisherige Studien hätten eine negative
fiskalische Bilanz zugewanderter Personen ermittelt. In einer Situation, in der
die öffentlichen Finanzen insgesamt nicht tragfähig seien, könne
kontinuierliche Zuwanderung die langfristige Tragfähigkeit der öffentlichen
Finanzen in Deutschland verbessern, hieß es. (epd/mig 10)
Trump
erklärt Protest zur Rebellion und setzt die Nationalgarde in Los Angeles ein.
Spielt die Konfrontation dem US-Präsidenten in die Karten? Von Michelle
Goldberg
Seit
Donald Trump erneut gewählt wurde, hatte ich vor einem Szenario mehr Angst als
vor allen anderen: dass er das Militär gegen Menschen einsetzen könnte, die
gegen seine Massenabschiebungen protestieren – und damit das Kriegsrecht in den
USA etabliert. Doch selbst in meinen abwegigsten Vorstellungen dachte ich, dass
er mehr Vorwand brauchen würde – als die vergleichsweise kleinen Proteste, die
letzte Woche in Los Angeles ausbrachen –, um seine Truppen gegen den Willen des
Bürgermeisters und des Gouverneurs einzusetzen. In einer postfaktischen Welt
muss der Präsident jedoch nicht auf eine Krise warten, um einen autoritären
Durchgriff zu starten. Stattdessen kann er einfach eine erfinden.
Sicherlich
waren einige, die gegen die Razzien der Einwanderungsbehörde ICE in Los Angeles
protestierten, gewalttätig. Am Sonntag wurde ein Mann verhaftet, weil er
angeblich einen Molotowcocktail auf einen Polizisten geworfen hatte, ein
anderer soll mit einem Motorrad in eine Reihe von Polizisten gefahren sein.
Solche Gewalt muss verurteilt werden – weil sie unmoralisch und weil sie extrem
kontraproduktiv ist. Jedes brennende Waymo-Auto und jedes eingeschlagene
Schaufenster ist ein Geschenk an die Regierung.
Aber
die Vorstellung, dass Trump Soldaten auf die Straßen der Stadt habe schicken
müssen, weil die Unruhen außer Kontrolle geraten seien, ist reine Fantasie.
„Heute verliefen die Demonstrationen in ganz Los Angeles friedlich, und wir
danken allen, die ihr Recht auf freie Meinungsäußerung verantwortungsvoll
ausgeübt haben“, erklärte das Los Angeles Police Department am Samstagabend.
Das war am selben Tag, an dem Trump Kaliforniens Gouverneur Gavin Newsom
überging und die Nationalgarde des Staates auf Grundlage eines selten genutzten
Gesetzes bundesstaatlich unterstellte, das für „Aufstände oder die Gefahr eines
Aufstands gegen die Autorität der Regierung der Vereinigten Staaten“ vorgesehen
ist.
Am
Montag, mit Tausenden Nationalgardisten in der Stadt, erklärte die Regierung,
dass zusätzlich 700 Marines entsendet würden. Die Polizei von Los Angeles
scheint die Marines jedoch nicht zu wollen. Polizeichef Jim McDonnell sagte in
einer Stellungnahme: „Die Ankunft von Bundesmilitärkräften in Los Angeles –
ohne klare Koordination – stellt eine erhebliche logistische und operative
Herausforderung für diejenigen von uns dar, die für die Sicherheit dieser Stadt
verantwortlich sind.“ Doch für Trump ging es nie darum, die Stadt zu schützen.
Man
muss verstehen, dass für diese Regierung Proteste nicht unbedingt gewalttätig
sein müssen, um als illegitimer Aufstand zu gelten. Das präsidentielle
Memorandum, das den Einsatz der Nationalgarde befiehlt, bezieht sich sowohl auf
Gewalttaten als auch auf alle Proteste, die die Strafverfolgung „behindern“.
Diese Definition scheint auch friedliche Demonstrationen rund um ICE-Razzien
einzuschließen. Im Mai etwa stürmten bewaffnete Bundesbeamte zwei beliebte
italienische Restaurants in San Diego auf der Suche nach illegal eingereisten
Arbeitskräften. Sie fesselten Mitarbeiter und nahmen vier Personen fest.
Währenddessen versammelte sich draußen eine empörte Menge, rief „Schande!“ und
blockierte zeitweise die Beamten beim Verlassen des Restaurants. Nach Trumps
Erlass könnte das Militär diese Menschen als Aufständische behandeln.
Die
Regierung hat schließlich jedes Interesse daran, diejenigen einzuschüchtern,
die zivilen Ungehorsam ausüben. Gewalttätige Proteste spielen ihr in die Hände;
friedliche gefährden das absurde Narrativ, das diese dem Land aufzwingen will.
Man beachte, welche Anstrengungen unternommen werden, um David Huerta, den
Vorsitzenden der Dienstleistungsgewerkschaft SEIU in Kalifornien, zum Schweigen
zu bringen. Letzte Woche wurde Huerta verhaftet, nachdem er sich bei einer
Protestaktion gegen eine Einwanderungsrazzia in Los Angeles auf einen
Bürgersteig gesetzt und das Tor blockiert hatte. Während seiner Festnahme wurde
er niedergeschlagen und musste ins Krankenhaus gebracht werden. Das
Justizministerium erhob Anklage gegen ihn wegen „Verschwörung zur Behinderung eines
Beamten“, ein Verbrechen mit einer Höchststrafe von sechs Jahren.
Am
Montag forderte Trump schließlich die Verhaftung von Newsom. Wenn man all das
in einem anderen Land sähe – Soldaten, die Dissens unterdrücken, verhaftete
Gewerkschaftsführer, bedrohte Oppositionspolitiker –, wäre klar, dass der
Autoritarismus angekommen ist. Die Frage ist nun, ob die Amerikaner, die diese
Tyrannei hassen, zum Handeln bewegt werden können.
Viele
spekulieren bereits, dass die Konfrontation in Los Angeles Trump in die Karten
spielen wird, weil er sich als Verteidiger von Recht und Ordnung inszenieren
kann, der kriminelle Mobs in den Griff bekommt. Vielleicht haben sie Recht:
Trump ist ein Meister der Demagogie, mit dem Talent, genau jene Konfliktszenen
zu schaffen, nach denen seine Anhänger lechzen. Wir wissen, dass Dr. Phil bei
den ICE-Razzien in Los Angeles anwesend war, um eine Prime Time-Sendung zu
drehen. Die Regierung wollte offenbar ein Spektakel.
Doch
die öffentliche Meinung ist nicht in Stein gemeißelt, weshalb es wichtig ist,
dass alle, die eine Plattform haben – Politiker, Veteranen sowie kulturelle und
religiöse Eliten –, die autoritäre Machtanmaßung der Regierung verurteilen.
Regierungsvertreter wie Stephen Miller propagieren die Idee, Los Angeles sei
„besetztes Gebiet“, was angeblich durch die ausländischen Flaggen mancher
Demonstranten belegt werde. Amerikaner, die noch an die Demokratie glauben,
sollten laut und häufig sagen, dass dies eine beleidigend dumme Lüge zur
Rechtfertigung eines diktatorischen Machtgriffs ist. Vielleicht wird sich
herausstellen, dass die Wahrheit gegen die rechte Propaganda keine Chance hat –
aber wenn dem so ist, dann waren wir ohnehin schon verloren.
Man
sollte sich daran erinnern, dass Trump 2020, als er für ein Foto bei der
St.-Johannes-Kirche posierte, nachdem die US-Parkpolizei und der Secret Service
Demonstranten mit Tränengas vertrieben hatten, von religiösen Meinungsführern
und ehemaligen hochrangigen Militärs scharf verurteilt wurde. Das zwang die
Regierung in die Defensive. Eine anschließende Umfrage ergab, dass zwei Drittel
der Amerikaner ihm vorwarfen, die rassistischen Spannungen verschärft zu haben.
Es ist also keineswegs sicher, dass Unruhen Trump nützen – besonders wenn klar
ist, dass er diese selbst provoziert.
Ja,
Amerika ist seit Trumps erster Amtszeit nach rechts gerückt, und er kommt nun
mit Übergriffen davon, die damals Massenproteste ausgelöst hätten. Viele
Demokraten – vorsichtig geworden aufgrund des Backlash gegen die Black Lives
Matter-Bewegung sowie die illegale Masseneinwanderung – diskutieren lieber
nicht über die Unruhen in Los Angeles. „Monatelang versuchten Demokraten, durch
die politische Brisanz des Themas entmutigt, Trumps Immigrationskriege zu
umgehen – sie konzentrierten sich stattdessen auf Wirtschaft, Zölle oder bei
Abschiebungen auf rechtsstaatliche Verfahren“, berichtete Politico.
Aber
einen Präsidenten zu ignorieren, der auf Grundlage absurder Lügen über eine
ausländische Invasion das Militär in einer amerikanischen Stadt einsetzt, ist
keine Option. Es ist schwer, sich ein klareres Warnzeichen auf dem Weg zur
Diktatur vorzustellen. Diesen Samstag, an Trumps Geburtstag, plant er eine
riesige Militärparade in Washington, angeblich zum 250. Geburtstag der
US-Armee. Panzer wurden bereits auf dem Weg in die Stadt fotografiert, mit dem
Lincoln Memorial im tragischen Hintergrund – wie ein Bild aus einer
dystopischen Hollywoodproduktion.
An
diesem Tag wird es landesweit Demonstrationen unter dem Motto „Keine Könige“
geben. Ich hoffe inständig, dass Trumps Versuch, die Proteste zu unterdrücken,
diese letztlich anheizt. Wer in einem freien Land leben will, mag Angst haben –
sollte sich aber nicht einschüchtern lassen. NYT/IPG 10
Im Namen des Staates – gegen das
Recht?
Die
Zurückweisung von Asylsuchenden ist einem Gerichtsurteil zufolge rechtswidrig.
Dennoch hält der Innenminister an den umstrittenen Grenzkontrollen fest. Der
Koalitionspartner fordert Prüfung. Die Debatte nimmt immer weiter Fahrt an –
mit Strafanzeigen, Drohungen, Vorwürfen und Zahlen.
Eine
Woche nach der Eilentscheidung des Berliner Verwaltungsgerichts zu
Zurückweisungen bleibt unklar, wie es langfristig an den deutschen Grenzen
weitergeht. Bundesinnenminister Alexander Dobrindt (CSU) bekräftigte, am
bisherigen Kurs und verstärkten Grenzkontrollen festhalten zu wollen. Die SPD
meldete über das Pfingstwochenende Zweifel an. SPD-Fraktionschef Matthias
Miersch geht nicht davon aus, dass es beim aktuellen Vorgehen bleiben kann.
Bundeskanzler
Friedrich Merz (CDU) und der Innenminister hatten bereits nach der Entscheidung
erklärt, an Zurückweisungen auch von Asylsuchenden festzuhalten. Die
Entscheidung des Gerichts enge die Spielräume möglicherweise noch einmal etwas
ein, sagte Merz. Aber man wisse, dass man nach wie vor Zurückweisungen
vornehmen könne.
Große
Skepsis beim Koalitionspartner
SPD-Fraktionschef
Miersch hingegen sagte der „Frankfurter Allgemeinen Sonntagszeitung“:
„Pauschale Rückweisungen wird es aus meiner Sicht nicht mehr geben können, weil
die Gerichte das stoppen werden.“ Er erwarte eine Prüfung der bisherigen
Praxis, sagte er an den Koalitionspartner Union gerichtet, „weil wir ansonsten
erleben werden, dass wir in den nächsten Monaten weitere Verfahren verlieren“.
Innenminister
Dobrindt hatte kurz nach dem Antritt der neuen Regierung vor einem Monat
intensivere Grenzkontrollen verfügt. Gleichzeitig ordnete er an, dass künftig
auch Asylsuchende an der Grenze zurückgewiesen werden können. Die
Rechtsgrundlage blieb lange unklar. Das Innenministerium machte dazu
unterschiedliche Angaben. Mal berief es sich auf EU-Recht, mal auf deutsche
Gesetze. Vor Gericht ging es um eine „Notlage“, eine Ausnahmeregel im
Europäischen Recht.
Dobrindt
erklärte, er sehe eine „Notlage“ darin, „dass Deutschland in so vielen
wichtigen Lebensbereichen überfordert“ sei. Städte, Gemeinden und Landkreise
seien am Limit. „Wir stehen an einem gesellschaftlichen Kipppunkt“, sagte
Dobrindt. Daraus entstehe eine Notwendigkeit zum Schutz der öffentlichen
Ordnung.
Zahlen
sprechen gegen Dobrindt
Zahlen
aus der Bundespolizei indes lassen Zweifel darüber aufkommen, ob die
Einschränkung des verfassungsrechtlich verbrieften Asylrechts überhaupt
geeignet ist, die vermeintliche „Notlage“ zu bekämpfen. Rechnet man die Zahl
der zurückgewiesenen Asylbewerber seit Beginn der Grenzkontrollen (160) auf das
Jahr hoch, kommt man auf rund 2.000 Personen. Zum Vergleich: Allein aus der
Ukraine hat Deutschland über eine Million Geflüchtete aufgenommen und versorgt.
Ob die Zurückweisung von ein paar tausend Asylbewerbern geeignet ist, den
vermeintlichen „Notstand“ zu bekämpfen, bezweifeln Experten.
Das
Verwaltungsgericht Berlin hatte in seiner Eilentscheidung jedenfalls
festgestellt, dass die Begründung für eine „Notlage“, nicht ausreichend sei,
mithin sei die die Zurückweisung dreier Somalier bei einer Kontrolle am Bahnhof
der Grenzstadt Frankfurt (Oder) rechtswidrig. Ohne eine Klärung, welcher
EU-Staat für einen Asylantrag der Betroffenen zuständig sei, dürften sie nicht
abgewiesen werden. Die drei Somalier sind mittlerweile in Berlin.
Dobrindt:
Europäischer Gerichtshof soll entscheiden
„Das
ist ein Einzelfallurteil“, sagte Dobrindt den Zeitungen der Funke-Mediengruppe.
Das Gericht habe angemerkt, dass die Begründung nicht ausreichend sei. „Wir
werden eine ausreichende Begründung liefern, aber darüber sollte der
Europäische Gerichtshof (EuGH) entscheiden.“ Ein mögliches Veto des
Europäischen Gerichtshofs gegen Zurückweisungen würde er aber
„selbstverständlich“ akzeptieren, so der Innenminister. Erfahrungsgemäß können
viele Jahre vergehen, bis ein Verfahren vor dem EuGH landet und entschieden
wird – wenn es überhaupt dazu kommt.
Die
Präsidentin des Berliner Verwaltungsgerichts Erna Viktoria Xalter sagte im
Interview mit „Zeit Online“: „Wie soll das zum EuGH durchlaufen? Die
Eilentscheidung ist unanfechtbar.“ Sie gehe davon aus, dass es auch an anderen
Grenzen, durch andere Bundespolizeidirektionen, zu Zurückweisungen komme, die
dann von anderen Gerichten überprüft würden.
Nach
Auffassung der Fachanwältin für Migrationsrecht, Gisela Seidler, ist die
Rechtsprechung des Verwaltungsgerichts Berlin und des Europäischen Gerichtshofs
in Luxemburg bereits eindeutig. „Auch wenn ein Gesetz oder eine Rechtsprechung
einem nicht gefällt, muss man sich als Exekutive daran halten“, sagte Seidler,
Vorsitzende im Gesetzgebungsausschuss des Deutschen Anwaltsvereins, dem
Evangelischen Pressedienst.
Migrationsforscher:
Bundesregierung wird weitermachen
Der
Osnabrücker Migrationsforscher Jochen Oltmer kritisierte ebenfalls die
Ankündigung der Bundesregierung, Asylsuchende trotz Gerichtsurteil weiterhin
zurückzuweisen. „Die Schutz suchenden Menschen werden nun von Staat zu Staat
bis an die EU-Außengrenzen weitergereicht und müssen so das politische Versagen
Deutschlands und der EU ausbaden“, sagte Oltmer. Letztlich scheitere das
Asylsystem seit Jahren immer wieder an der mangelnden Solidarität der
EU-Staaten untereinander, wenn es um die Verteilung von Geflüchteten gehe.
Oltmer
sagte, die Bundesregierung werde vermutlich auch bei weiteren zu erwartenden
Urteilen ihr Vorgehen nicht ändern. Bis es zu Grundsatzentscheidungen von
Oberverwaltungsgerichten oder dem Europäischen Gerichtshof komme, werde es
lange dauern. In dieser Zeit wolle die Bundesregierung offenbar die übrigen
EU-Staaten durch die Praxis der Zurückweisung unter Druck setzen.
Weitere
Kritik am Vorgehen der Regierung kam unter anderem von den Grünen. „Was bringt
die Dobrindtsche Migrationspolitik an den Grenzen?“, schrieb die Erste
Parlamentarische Geschäftsführerin Irene Mihalic auf der Plattform X. „Tägliche
Rechtsunsicherheiten und eine massive Überlastung der Bundespolizei“, fügte sie
hinzu.
Strafanzeige
gegen Dobrindt und Bundespolizei
Der
Polizeibeauftragte des Bundes beim Deutschen Bundestag, Uli Grötsch, sagte der
„Rheinischen Post“, er sei zwar kein Jurist, sondern Polizist, sehe aber auf
den ersten Blick, dass die Exekutive hier was anderes sage als die Judikative.
„Das halte ich für einen wahrhaft problematischen Zustand, der schleunigst
geklärt werden muss.“
Die
Rechercheplattform „FragDenStaat“ hatte Strafanzeigen gegen Dobrindt und den
Chef der Bundespolizei, Dieter Romann, gestellt. Die Zurückweisungen von
Asylsuchenden an deutschen Grenzen auf Weisung Dobrindts seien rechtswidrig,
erklärte die Rechercheplattform am Freitag in Berlin. Dennoch rufe der
Innenminister Bundespolizisten dazu auf, seine Weisung durchzusetzen. Diese
machten sich strafbar, wenn sie die Zurückweisungen weiter durchsetzten.
„Alexander Dobrindt setzt mit seiner Weisung auf offenen Rechtsbruch“, erklärte
Arne Semsrott, Projektleiter von „FragDenStaat“.
CSU
attackiert Pro Asyl: „Züge einer Inszenierung“
Derweil
kommen aus der CSU schwere Vorwürfe in Richtung der
Flüchtlingshilfsorganisation Pro Asyl, die die drei somalischen Asylsuchenden
bei ihrer Klage unterstützt hatte. Der Fall trage „fast absurde Züge“ und deute
auf eine „Inszenierung“ hin, sagte der Chef der CSU-Abgeordneten im Bundestag,
Alexander Hoffmann, der „Augsburger Allgemeinen“. „Pro Asyl ist schon seit
Jahren entlang der Fluchtrouten unterwegs, auch an den Grenzübergängen. Dort
wird Flüchtlingen empfohlen, ihre Ausweise wegzuwerfen, weil das eine
Abschiebung aus Deutschland deutlich erschwert“, sagte er.
Hoffmann
sagte weiter: „Eine Person war bei den ersten beiden Einreiseversuchen
volljährig und ist beim dritten Versuch auf einmal minderjährig, sie hat
Ausweisdokumente dabei, die Merkmale von Fälschungen aufweisen.“ Alle drei
Personen hätten nagelneue Handys gehabt, mit denen man die Reiseroute nicht
zurückverfolgen könne. „Für mich trägt das klare Züge einer Inszenierung durch
Asyl-Aktivisten.“
Pro
Asyl weist „falsche Unterstellungen“ zurück
Der
Geschäftsführer von Pro Asyl, Karl Kopp, entgegnete in der Zeitung, diese
Vorwürfe hätten nichts mit den Fakten zu tun. „Wir sind eine
Menschenrechtsorganisation und unterstützen Geflüchtete vor Gericht“, betonte
er. „So war es auch im Fall der drei Menschen aus Somalia, von denen eine Frau
noch minderjährig ist.“ Dass man Menschen empfehle, ihre Ausweise zu entsorgen
oder neue Handys anzuschaffen, seien falsche Unterstellungen. „Damit wird
unsere Arbeit angegriffen.“
In
einer Pressemitteilung der Organisation vom Samstag heißt es, statt die
offensichtlichen Rechtsbrüche zu beenden, würden „menschenrechtliche Arbeit
diffamiert und verleumdet“ sowie Richterinnen und Richter bedroht.
Angriffe
auf Justiz nach Asyl-Entscheidung
Seit
den Eilentscheidungen des Berliner Verwaltungsgerichts über die
Rechtswidrigkeit von Zurückweisungen Asylsuchender werden die beteiligten zwei
Richter diffamiert und bedroht, wie der Deutsche Richterbund am Donnerstag
mitgeteilt hatte. Die Justizminister von Bund und Ländern verurteilten die
Angriffe. „Wer Richterinnen und Richter angreift oder bedroht, greift das Herz
unseres Rechtsstaats an“, erklärte Bundesjustizministerin Stefanie Hubig (SPD)
nach Beratungen mit ihren Ressortkollegen aus den Ländern am Freitag in Bad
Schandau.
Hubig
machte deutlich, dass sich diese Angriffe nicht nur gegen einzelne Personen
richten, „sondern gegen das Recht selbst – und gegen die Idee einer
unabhängigen Justiz“. Die Vorsitzende der Justizministerkonferenz und
sächsische Justizministerin Constanze Geiert (CDU) sowie die Ressortchefs aus
Hamburg und Bayern, Anna Gallina (Grüne) und Georg Eisenreich (CSU), betonten
die richterliche Unabhängigkeit als „tragendes Fundament“ des Rechtsstaats.
(dpa/epd/mig 10)
Jahresbericht. Juden in Deutschland
unter Druck: Rias meldet 8.600 Vorfälle
Für
Juden in Deutschland sei Antisemitismus Alltag, berichtet der Bundesverband der
Recherche- und Informationsstellen und meldet 8.600 Vorfälle. Die Organisation
muss sich allerdings Kritik anhören. Rund zwei Drittel aller erfassten Fälle
haben einen Israelbezug.
Juden
in Deutschland sehen sich sowohl wegen des Nahost-Konflikts als auch durch
Anfeindungen von rechts massiv unter Druck und in Gefahr. „Nie zuvor wurden uns
in einem Kalenderjahr mehr gegen Jüdinnen und Juden gerichtete Angriffe bekannt
als im vergangenen Jahr“, sagte Geschäftsführer Benjamin Steinitz zum
Jahresbericht des Bundesverbands der Recherche- und Informationsstellen
Antisemitismus (Rias). Darin sind 8.627 antisemitische Vorfälle erfasst, 77
Prozent mehr als 2023.
Dazu
zählen laut Rias acht Fälle extremer Gewalt, 186 Angriffe, 443 gezielte
Sachbeschädigungen und 300 Fälle von Bedrohung. Am häufigsten wurde
„verletzendes Verhalten“ gemeldet: 7.514 Vorfälle fielen laut Rias in diese
Kategorie, darunter 1.802 Versammlungen – letztere werden als antisemitischer
Vorfall erfasst, wenn etwa im Aufruf oder in Redebeiträgen antisemitische
Äußerungen dokumentiert werden. Bei 544 Vorfällen wurde ein rechtsextremer
Hintergrund registriert, die höchste Zahl seit Beginn des bundesweiten
Vergleichs 2020.
Zweidrittel
aller Vorfälle „israelbezogener Antisemitismus“
5.857
Fälle oder 68 Prozent aller registrierten Vorfälle wurden als „israelbezogener
Antisemitismus“ eingestuft, mehr als doppelt so viele wie 2023. Darunter
versteht Rias unter anderem, wenn Juden in Deutschland für Handlungen der
israelischen Regierung in Haftung genommen werden, wenn der Staat Israel
dämonisiert und sein Existenzrecht bestritten wird. Kritik an der israelischen
Regierung bleibe jedoch möglich, sagte Steinitz.
An
Hochschulen registrierte Rias im vergangenen Jahr 450 antisemitische Vorfälle.
An Schulen waren es 284, darunter 19 Angriffe. Der Terrorangriff der Hamas auf
Israel 2023 sei eine Zäsur gewesen, sagte Steinitz. „Die Gefahr, als Jude und
Jüdin in Deutschland angefeindet zu werden, hat sich seit dem 7. Oktober
objektiv erhöht.“ Seitdem führt Israel im Gazastreifen einen Krieg, bei der
zehntausende Zivilisten getötet und Hunderttausende vertrieben wurden. Die
israelische Regierung steht zunehmend international unter Druck. Ihr werden
Kriegsverbrechen vorgeworfen.
Die
Beispiele
Als
Fälle extremer Gewalt erfasste Rias nicht nur den Angriff eines Berliner
Studenten auf einen jüdischen Kommilitonen vor einer Bar Anfang 2024. In die
Kategorie fällt für das Netzwerk auch der tödliche Angriff eines mutmaßlichen
Anhängers der Terrormiliz IS auf dem Stadtfest in Solingen und die Attacke
eines mutmaßlichen „Islamisten“ auf das israelische Generalkonsulat und ein
NS-Dokumentationszentrum in München.
Unter
den 186 registrierten Angriffen war einer in Oldenburg: Zwei Männer hielten dem
Rias-Bericht zufolge eine jüdische Schülerin auf dem Schulweg fest und
beschimpften sie als „dreckiger Jude“. In einem Leipziger Park griffen 10 bis
15 Rechtsextremisten drei Männer an, die sich über Antisemitismus unterhalten
hatten. In der Sächsischen Schweiz habe ein Mann eine Frau als „Nazi“
beschimpft und geschubst, die einen Beutel mit der Aufschrift „Feminist
Zionist“ dabeihatte.
Unter
den 443 Sachbeschädigung waren laut Rias 50 Fälle im Wohnumfeld: Im März zum
Beispiel schmierten Unbekannte in Hamburg zwei Hakenkreuze neben die Haustür
eines jüdischen Ehepaars, im April markierte in Leipzig ein Davidstern das Haus
einer jüdischen Person. Dies beinhalte für Betroffene die bedrohliche
Botschaft: Man wisse, wo sie wohnten.
Methode
und Kritik
Der
Anstieg zeigt sich seit dem 7. Oktober 2023 auch in amtlichen Statistiken. Das
Besondere an den Rias-Zahlen: Sie erfassen Vorfälle, die Betroffene oder Zeugen
selbst bei den Meldestellen des Verbands vorbringen. Einfluss auf die Daten hat
also, wie viele Menschen aktiv werden.
Ein
gerade veröffentlichter Bericht des deutsch-israelischen Journalisten Itay
Mashiach im Namen der „Diaspora Alliance“ wirft Rias „undurchsichtige Methoden“
vor und kritisiert eine „Überbetonung des ‚israelbezogenen Antisemitismus’“.
Steinitz wies dies zurück. Der Antisemitismusbeauftragte der Bundesregierung,
Felix Klein, sagte: „Ich vertraue der Arbeit von Rias sehr“.
Was
hilft?
Klein
sprach von schockierenden Zahlen und betonte, die Bekämpfung von Antisemitismus
müsse „noch fokussierter, intensiver und erfolgreicher werden“. Nötig sei das
Zusammenwirken mit Ländern, Kommunen, Verbänden, Vereinen und Individuen,
„damit wir am besten möglichst bald wieder sinkende Zahlen antisemitischer
Vorfälle sehen“.
Sollte
der Gaza-Krieg irgendwann enden, könnte dies aus Sicht der Jüdischen
Studierendenunion auch die Lage in Deutschland und die Konflikte an den Unis
etwas beruhigen: „Ja, ich gehe davon aus, dass sich die Lage möglicherweise
etwas entspannen könnte“, sagte Verbandspräsident Ron Dekel auf eine
entsprechende Frage. Doch sei es so, dass „israelbezogener Antisemitismus schon
lange das Hauptproblem von Jüdinnen und Juden an Hochschulen ist und aus meiner
Sicht leider auch bleiben wird.“ (dpa/mig 6)
Ein
Waffenstillstand in der Ukraine ist nicht in Sicht – weil beide Seiten starke
Anreize haben, weiterzukämpfen. Von Dmytro Kuleba
Seit
Donald Trumps Amtsantritt im Januar blickt die Welt gespannt auf die Aussicht
eines Waffenstillstands in der Ukraine. Der Grund liegt auf der Hand: Mit einem
US-Präsidenten, der sich eher als Vermittler denn als Unterstützer der Ukraine
versteht, schien erstmals die Chance greifbar, den Status quo aufzubrechen und
das Blutvergießen zu beenden.
Wirksame
Kriegsdiplomatie erfordert das richtige Maß an Einfluss – Zuckerbrot und
Peitsche – gegenüber den jeweils richtigen Akteuren sowie klaren Zeitdruck.
Diesen erzeugte Trump zunächst durch das Versprechen schneller Ergebnisse,
später dann durch die – letztlich folgenlose – Drohung, sich aus den
Verhandlungen zurückzuziehen. Doch das Belohnen und Bestrafen ist ihm
misslungen, weil er die Peitsche gegen das angegriffene Land schwang und sich
das ganze Zuckerbrot für den Angreifer aufsparte. Trump wetterte gegen die
Ukraine, gab ihr die Schuld am Krieg und fror zeitweise die Militärhilfe ein –
während er für Russlands Präsident Wladimir Putin lobende Worte fand.
Das
Ergebnis: Seit Trumps Wahlsieg im November ist die Welt substanziellen
Verhandlungen keinen Schritt nähergekommen. Zwar gab es viele Signale: Moskau
zeigte sich trumpfreundlich, Kiew gesprächsbereit und Europa suchte die Nähe zu
Washington. Es wurde sehr viel Pendeldiplomatie betrieben. Doch all das waren
weniger Schritte in Richtung Frieden als vielmehr Versuche, den amerikanischen
Präsidenten zu umwerben. Ziel war es nicht, den Krieg zu beenden, sondern Trump
auf die eigene Seite zu ziehen – und zu verhindern, dass er zur anderen
überläuft.
Dass
Trumps Mission ein schwieriges Unterfangen werden würde, war von Anfang an
klar. Die harte Realität ist, dass es für Russland und die Ukraine kaum Anreize
gibt, die Kampfhandlungen einzustellen. Der Kreml hat eine Kriegswirtschaft
aufgebaut, die es ihm ermöglicht, weiterzukämpfen – und die es schwer macht,
damit aufzuhören. Die Ukraine wiederum ist nicht gewillt, Abstriche an ihrer
Souveränität hinzunehmen, und ist mit ihrer Armee nach wie vor stark genug, um
sich wirksam zu verteidigen. Aus diesen Gründen ist ein Waffenstillstand in der
Ukraine derzeit unmöglich.
Die
Freunde der Ukraine im Westen sind seit Langem uneins darüber, welche Ziele
Russland tatsächlich verfolgt. Einige glauben, Putin verfolge eine begrenzte
Agenda und werde sich mit begrenzten Erfolgen zufriedengeben. Nach dieser Logik
wäre der Hunger des Kreml etwa dann gestillt, wenn die besetzten Teile der
Ukraine als rechtmäßiges russisches Territorium anerkannt würden und wenn eine
Garantie erfolgte, dass die Ukraine nicht der NATO beitritt.
Andere
sind entschieden anderer Meinung. Sie befürchten, dass ein beschwichtigender
Kurs gegenüber Putin diesen nur zusätzlich ermutigen würde. Der russische
Präsident, so ihre Einschätzung, strebe die Kontrolle über die gesamte Ukraine
an, deren Existenz als eigenständiger Staat mit seiner Vorstellung von der
historischen Rolle Russlands unvereinbar sei. Als Beleg verweisen sie auf
Putins vor dem Krieg veröffentlichten Aufsatz „Über die historische Einheit der
Russen und Ukrainer“, in dem er die Ukraine als keine eigenständige Nation,
sondern als widerspenstiger Teil Russlands bezeichnete, der wieder unter
Moskaus Oberhoheit gestellt werden müsse. Auch in seinen Überlegungen zu
möglichen Friedensgesprächen betont Putin immer wieder, jede Einigung müsse eine
Lösung für die „tiefer liegenden Ursachen des Konflikts“ enthalten – sprich:
die Souveränität der Ukraine beseitigen.
Manche
westliche Politiker können diese Einschätzung zwar nachvollziehen,
argumentieren jedoch, je länger sich der Krieg hinziehe, desto schwächer werde
die Position der Ukraine – und desto wahrscheinlicher werde es, dass sie sich
am Ende werde ergeben müssen. Daher solle sie besser jetzt eine schlechte
Einigung akzeptieren als später eine noch schlechtere. Diese Auffassung
vertritt offenbar auch Donald Trump. „Sie haben die Karten nicht in der Hand“,
sagte er dem ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj im Februar.
Dieser
Gedankengang mag rational erscheinen, verkennt jedoch das Blatt, das die
Ukraine tatsächlich auf der Hand hat. Gewiss – es könnte besser sein. Doch das
Land befindet sich nicht in einer derart verzweifelten Lage, dass es die Partie
schon jetzt verloren geben müsste. Die Ukraine setzt darauf, dass Europa sie
vor möglichen dramatischen Veränderungen im Kriegsverlauf bewahren werde, die
sich aus einer nachlassenden militärischen Unterstützung durch die USA ergeben
könnten. Außerdem weiß sie: Die Lage an der Front ist nicht so düster, wie oft
behauptet wird. Im Dezember 2023 kontrollierte Russland rund 109 000
Quadratkilometer ukrainischen Staatsgebiets. Bis Dezember 2024 stieg diese Zahl
nur geringfügig auf 112 950 Quadratkilometer. Seither ist die Größe der von
Russland besetzten Gebiete nahezu konstant geblieben. Ende Mai hatte Russland
wenig mehr als 113 050 Quadratkilometer unter seiner Kontrolle.
Aufmerksame
Beobachter der Nachrichtenlage lesen regelmäßig Meldungen, wonach die russische
Armee Dorf um Dorf, Quadratkilometer um Quadratkilometer einnimmt. Doch bei
nüchterner Betrachtung ergibt sich ein anderes Bild: Das Land, das angeblich
alle Trümpfe in der Hand hält, hat in den vergangenen 16 Monaten lediglich 4
270 Quadratkilometer zusätzlich unter seine Kontrolle gebracht – bei einer
Gesamtfläche der Ukraine von über 603 000 Quadratkilometern. Anders gesagt: Der
von Russland besetzte Anteil des ukrainischen Staatsgebiets ist von Ende 2023
bis heute lediglich von rund 18 auf etwa 19 Prozent gestiegen. Entsprechend
überzeugt ist Kiew davon, genügend Zeit zu haben, um die eigene Position sowohl
diplomatisch als auch militärisch zu stärken.
Natürlich
gibt es neben Russlands Geländegewinnen weitere Faktoren, die das Kalkül der
Ukraine verändern könnten – etwa ein glaubwürdiges Umschwenken Moskaus auf
begrenztere Ziele. Auch könnte sich Kiew bewegen, wenn Europa die wegfallenden
US-Waffenlieferungen nicht kompensiert und die ukrainische Luftabwehr
kollabiert, weil keine amerikanischen PAC-3-Abfangraketen mehr eintreffen.
(Solche Raketen zählen womöglich zu Trumps wichtigsten Druckmitteln.)
Zugeständnisse kämen für Kiew auch dann in Betracht, wenn die zivile
Infrastruktur noch stärker zerstört wird. Das weiß auch Putin – und deshalb
lässt er derzeit so viele Drohnen und Raketen einschlagen wie nie zuvor.
Bislang
jedoch hält die ukrainische Luftabwehr stand. Europa hat neue militärische
Unterstützung angekündigt und investiert verstärkt in die eigene
Rüstungsproduktion. Und obwohl die russische Armee keine entscheidenden
Durchbrüche erzielt, gibt es keinerlei Anzeichen dafür, dass Putin von seinen
absolutistischen Zielen abrückt. Aus diesem Grund wird es Trump – ebenso wie
jedem anderen – kaum gelingen, die Ukraine zu einem Deal zu drängen, den sie
als unvorteilhaft empfindet und bei dem sie befürchten muss, dass Russland sich
ohnehin nicht daran halten wird.
Trumps
Fehlschläge in der Ukrainefrage bedeuten keineswegs, dass seine Russlandpolitik
sicherheitspolitisch irrelevant wäre. Dadurch, dass der Präsident Moskau
umgarnt und sich parallel von Europa abwendet, wird der Kontinent gezwungen,
unabhängiger zu werden und die eigene Bevölkerung viel größeren Gefahren
auszusetzen. Die europäischen Staaten sind dabei, ihre Armeen zu stärken und
die Rüstungsindustrie auf eine solidere Basis zu stellen, aber das geht nicht
schnell genug, um den eigenen Bedürfnissen und denen der Ukraine gerecht zu
werden. Trump erklärt, er werde nicht aus der NATO aussteigen. Doch angesichts
seiner offen zur Schau gestellten Feindseligkeit gegenüber Europa und des
allgemeinen Rückzugs der USA aus internationalen Konflikten fällt es schwer,
sich vorzustellen, dass amerikanische Soldatinnen und Soldaten künftig für
Europa ihr Leben riskieren.
Insgesamt
macht diese Kombination von Faktoren für Putin den Gedanken verlockend, einen
NATO-Verbündeten in Europa anzugreifen. Anders als im Fall der Ukraine ginge es
ihm dabei zunächst nicht darum, das angegriffene Land zu unterwerfen, sondern
Europas Schwäche offenzulegen und zu demonstrieren, dass es mit der kollektiven
Sicherheitsgarantie der NATO nicht weit her ist. Die kommenden Jahre könnten
für Putin das Zeitfenster sein, um ein Stück NATO-Territorium zu erobern, bevor
Europa seine Verteidigungsdefizite schließt und Trump durch einen
US-Präsidenten ersetzt wird, dem der Kontinent nicht gleichgültig ist.
Moskau
wiederum ist in der Lage, eine neue Front zu eröffnen und gleichzeitig den
Krieg gegen Kiew fortzusetzen. An den Grenzen zu Finnland und Norwegen baut
Russland seine Militärpräsenz aus – ähnlich wie im Frühjahr 2021 an der
ukrainischen Grenze. Hinzu kommt ein zunehmend aggressives Auftreten in der
Ostsee. Erst kürzlich kündigte Moskau gemeinsam mit Belarus groß angelegte
Militärübungen an.
Putin
hat bewiesen, dass er bereit ist, seinem Volk Härten in einem Ausmaß zuzumuten,
das für die meisten Nationen kaum vorstellbar ist – um seine militärischen
Ziele zu erreichen. Er pflegt enge Beziehungen zu China, während im Lager der
Ukraine-Unterstützer Uneinigkeit über Russlands strategische Endziele herrscht.
Seine Wirtschaft hat er auf Kriegsbedingungen umgestellt. Es ist daher durchaus
möglich, dass Putin sich darauf vorbereitet, mehrere Kriege unterschiedlicher
Größenordnung gleichzeitig zu führen.
Europa
hat eine Reihe von Sanktionen gegen Moskau verhängt, die politisch und
finanziell nützlich sind, um Russland von Aggressionen abzuschrecken. Doch auch
wenn die Europäische Union sich über jede neue Restriktion freut – aus eigener
Kraft kann sie die russische Kriegsmaschinerie nicht lahmlegen. Dass der Block
inzwischen entschiedener gegen die Schattentankerflotte vorgeht, mit der
Russland die Sanktionen umschifft, ist ermutigend, wird aber den Preis für
russisches Öl nicht weit genug nach unten treiben, um eine wesentliche
Veränderung zu bewirken.
Sollte
der Preis für russisches Öl dauerhaft einbrechen und damit der Kriegswirtschaft
die finanzielle Grundlage entziehen, könnte Putin seine Haltung zum Krieg
womöglich überdenken. Ein solcher Einbruch lässt sich jedoch nur mit
Unterstützung der USA erreichen, denn sie verfügen über den nötigen Einfluss
auf den Weltmarkt. Washington müsste härtere Sanktionen gegen Russland
verhängen und zugleich Saudi-Arabien als eines der größten Förderländer sowie
Indien als einen der größten Abnehmer russischen Erdöls zum Mitziehen bewegen.
Voraussetzung für eine solche Koalition wäre, dass China sich nicht einmischt.
Dafür müsste unter anderem klar kommuniziert werden, dass es nicht um das Ende
Russlands, sondern um das Ende des Krieges geht. Aufgrund seiner engen Beziehungen
sowohl zu Washington als auch zu Peking scheint Riad am besten positioniert, um
einen solchen diplomatischen Vorstoß zu unternehmen.
All
das ist jedoch äußerst unwahrscheinlich. Zwar verschärft Trump inzwischen
seinen Ton gegenüber Putin, doch es gibt keine Anzeichen dafür, dass er zu
entschlossenen Maßnahmen bereit wäre. Auch Indien und Saudi-Arabien haben wenig
Interesse daran, sich in diesem Ausmaß gegen den Kreml zu stellen. Im Klartext
heißt das: Putin wird mit dem Ölgeschäft weiterhin genug verdienen, um den
Krieg zu finanzieren. Möglicherweise nicht nur den in der Ukraine.
Das
Zeitalter des Friedens in Europa scheint vorbei zu sein. Eine Fortsetzung des
Krieges in der Ukraine ist weitaus wahrscheinlicher als sein baldiges Ende.
Putin hat keinen Grund, nachzugeben, und Selenskyj hat keinen, aufzugeben –
denn für den ukrainischen Präsidenten steht fest: Eine Teilabtretung würde
früher oder später den vollständigen Verlust des Landes bedeuten. Unter diesen
Voraussetzungen ist der Waffenstillstand für ihn nicht das Licht am Ende des
Tunnels, sondern das eines entgegenkommenden Zuges. Der Tod ist die einzige
Gewissheit im Leben. Trump und andere mögen ihre Meinungen und Strategien
ändern – doch die Europäer müssen jetzt das Tempo erhöhen: bei der
Unterstützung Kiews und bei der eigenen Verteidigungsfähigkeit. Es ist das
Beste, was sie in dieser Lage tun können. FA/IPG 5
Um
dem Fachkräftemangel entgegenzuwirken, konzentrieren sich viele Betriebe im
Mittelstand auf die Gen Z und die Modernisierung ihres Recruitings. „Dabei
übersehen viele das Fundament einer dauerhaften Mitarbeiterbindung: ihre
Führungskräfte“, warnt Hannes Goth, Leadership-Experte und Vorstand der
Polymundo AG. Wer Fachkräfte dauerhaft halten wolle, müsse Führung modern
denken – und mit typischen Führungsfehlern aufräumen. Denn: „Die meisten
Mitarbeitenden kündigen nicht den Job, sie kündigen ihrem Vorgesetzten.“
Originelle
Recruiting-Kampagnen, großzügige Zusatzleistungen, aufwändiges Onboarding –
viele mittelständische Betriebe legen sich heutzutage mächtig ins Zeug, um neue
Mitarbeitende zu gewinnen. „Aber all das nützt wenig, wenn es am
Führungspersonal hapert“, betont Goth, der seit Jahren KMU in moderner Führung
und Kommunikation berät. Dass es erheblichen Handlungsbedarf gibt, zeigt unter
anderem der aktuelle Gallup Engagement Index Deutschland: Nur noch 16 Prozent
der Mitarbeitenden sind demnach uneingeschränkt mit ihrer Führungskraft
zufrieden. Vor drei Jahren lag dieser Wert noch bei 41 Prozent. Zudem zählt
Unzufriedenheit mit den Vorgesetzten nach dem Gehalt nach wie vor zu den
Top-Kündigungsgründen in Deutschland.
„Angesichts
dieser Zahlen stellt sich die Frage, warum Mittelständler Unsummen in Employer
Branding investieren“, sagt Goth, „aber übersehen, dass ihre Arbeitgeber-Marke
letztlich von der Qualität der Führung abhängt.“ Ein schlechter Teamleiter
mache jedes noch so gut gemeinte Willkommenspaket zunichte.
Fünf
Führungsfehler, die Fachkräfte vertreiben
Fünf
Führungsfehler beobachtet die Polymundo AG, die bereits hunderte Führungskräfte
im Rahmen ihrer Leadership 4.0-Ausbildung begleitet hat, im Mittelstand
besonders häufig. Sie gezielt anzugehen, sei ein erster Schritt in die richtige
Richtung, um langjährige Mitarbeitende dauerhaft zu binden und dem
Fachkräftemangel effektiv entgegenzuwirken.
1.
Rückdelegation: Wenn Aufgaben wie ein Bumerang zurückkommen
Führungsfehler
Nummer 1: Führung bedeutet, Verantwortung abzugeben – nicht sie auf Umwegen
wieder einzusammeln. In KMU delegieren viele Teamleiter Aufgaben an ihre
Mitarbeitenden, nur um sie wenig später selbst wieder auf ihrem Schreibtisch zu
haben. Diese Rückdelegation, die oft aus der Überzeugung entsteht, es selbst
besser und schneller zu machen, ist dreifach kontraproduktiv: Das Hin und Her
raubt beiden Seiten Zeit, nimmt dem Mitarbeitenden Motivation und Lernchancen
und der Führungskraft die Konzentration für wichtigere Aufgaben. Besser:
Teammitglieder befähigen, Aufgaben selbst erledigen – sei es durch mehr Zeit,
Ressourcen oder gezielte Weiterentwicklung.
2.
Personalentwicklung endet nicht nach dem Onboarding
Viele
Betriebe versprechen im Recruiting, was sie nach der Anstellung nicht halten.
Oder sie liefern ein perfektes Onboarding, überlassen den Neuankömmling danach
jedoch mehr oder weniger sich selbst. Gerade bei Mittelständlern, bei denen
Fachkräfte immer noch häufig einige Jahre bleiben, wird so eine Menge Potenzial
verschenkt. Sinnvoll ist es, wenn Führungskraft und Mitarbeitender von Anfang
an gemeinsam einen Plan für dessen Entwicklung erstellen. Wo will er hin, was
braucht das Unternehmen? Diese Fragen zu beantworten und regelmäßig Angebote zu
machen, das helfe auch bei einer schon erfolgten oder drohenden Kündigung, sagt
Goth. Viele überdenken ihre Entscheidung dann noch einmal.
3.
Neue Führungskräfte unbegleitet lassen
Ein
ebenso typischer Fehler: Neue Führungskräfte werden oft aus den eigenen Reihen
befördert – und danach sich selbst überlassen. Der Rollenwechsel vom Kollegen
zum Vorgesetzten ist jedoch heikel und verlangt mehr als einen neuen Titel auf
der Visitenkarte. Wo zuvor auf Augenhöhe gesprochen wurde, geht es plötzlich um
Verantwortung, Zielvorgaben und manchmal auch unangenehme Entscheidungen. Wer
seine Führungskräfte nicht aktiv dabei unterstützt, riskiert viel – Spannungen
im Team, Demotivation – bis hin zur inneren Kündigung oder dem kompletten
Rückzug aus der Führungsrolle.
4.
Gezielte Kommunikation? Fehlanzeige!
Miteinander
zu reden, Informationen weiterzugeben, ist für gute Führung unverzichtbar. Doch
in der Praxis verfügen Teamleiter selten über professionelle
Kommunikationsexpertise. Ein Defizit, denn wer in der Lage ist, klare
Anweisungen zu geben und seinen Mitarbeitenden aktiv zuzuhören, kann nicht nur
Konflikte lösen und mehr Vertrauen schaffen, sondern auch für eine reibungslose
Zusammenarbeit sorgen.
5.
Führungsstil ohne Methode
Moderne
Führung bedeutet situative Führung. Weder zu autoritär noch komplett
laissez-faire. Aber welche Führungskraft versteht es schon, in jeder Situation
authentisch und emphatisch zu handeln? Führungsmethoden übernimmt man im
Mittelstand oft vom Vorgänger, ohne sie zu hinterfragen. Das birgt verschenktes
Potenzial, denn Leadership lässt sich gezielt trainieren. So finden
Führungskräfte ihren eigenen Stil – statt in alten Mustern zu verharren.
Permanent
an der Führung arbeiten
„So
individuell wie die Betriebe im Mittelstand ist auch die Liste an typischen
Führungsfehlern“, stellt Goth klar. Dennoch seien die genannten fünf ein guter
Anfang für Geschäftsführer und Personalverantwortliche, um die
Führungskompetenz im Unternehmen auf den Prüfstand zu stellen. „Noch immer hält
sich bei vielen wacker der Glauben, dass Führungskompetenz nicht mehr als ein
Soft Skill ohne echten ROI sei“, so der Experte. Doch das Gegenteil sei der
Fall. Gezielte Führungskräfteentwicklung zahle sich mehrfach aus, insbesondere
in Zeiten des Fachkräftemangels: Teams arbeiten effizienter, weil Führung
Orientierung bietet. Die Fluktuation sinkt, weil Mitarbeitende sich gesehen
fühlen. Und die Vorgesetzten selbst erleben ihre Rolle als erfüllender und
motivierender. „Wer in Führung investiert“, fasst Goth zusammen, „spart sich am
Ende viele Abgänge – und gewinnt Loyalität, die man nicht kaufen kann.“
Kostenloses
Webinar: „Führen, um zu halten“
Für
Führungskräfte und Personalverantwortliche in KMU veranstaltet die Polymundo AG
am 30.06.2025 ein kostenloses Live-Webinar zu dem Thema „Führen, um zu halten:
Effektive Führungsstrategien gegen den Fachkräftemangel“. Interessierte können
sich unter folgendem Link kostenfrei anmelden: https://polymundo.com/webinar-fuehren-um-zu-halten,
Polymundo AG 5
„Asylwende“. Kabinett beschließt
weitere Beschränkungen für Geflüchtete
Im
Wochentakt präsentiert die Bundesregierung neue Vorhaben zur Migrationspolitik.
Die Opposition hält einige für fragwürdig. Das Kabinett hat nun einen Beschluss
zu sicheren Herkunftsländern gefasst – und weitere Einschränkungen für
Asylbewerber beschlossen. Von Anne-Béatrice Clasmann
Die
Kritik zu den laut einem Gerichtsbeschluss rechtswidrigen Grenzkontrollen ist
noch nicht abgeebbt, hat das schwarz-rote Kabinett eine weitere umstrittene
Reform auf den Weg gebracht, um den von der Union angekündigten Kurswechsel in
der Migrationspolitik zu vollziehen. Es entschied nach Angaben des
Regierungssprechers über eine Formulierungshilfe des Innenministeriums für die
Koalitionsfraktionen zur Benennung von Staaten als sichere Herkunftsländer:
Demnach kann die Bundesregierung diese Einstufung künftig per Rechtsverordnung
vornehmen – also ohne Zustimmung des Bundesrats.
Denn
dort haben Länder mit Regierungsbeteiligung von Grünen und Linken in der
Vergangenheit entsprechende Vorhaben blockiert. Die nun beschlossene Änderung,
über die der Bundestag noch entscheiden muss, soll Asylentscheidungen für
Menschen aus diesen Staaten beschleunigen und Abschiebungen abgelehnter
Asylbewerber erleichtern.
Es
gehe darum, die „Asylwende“ zu vollziehen, sagte Bundesinnenminister Alexander
Dobrindt (CSU), der sich nach der Kabinettssitzung im Innenausschuss den Fragen
der Abgeordneten zu den von ihm angeordneten Zurückweisungen Asylsuchender an
den Grenzen stellte. Von Deutschlands Nachbarstaaten werde dieser Kurswechsel
insgesamt positiv aufgenommen. Politiker der Linken und der Grünen
kritisierten, dass der Minister vor seiner Befragung im Ausschuss erst mit
Pressevertretern sprach.
Sichere
Herkunftsländer: Maghreb-Staaten
Die
vom Kabinett jetzt beschlossene Reform soll Asylentscheidungen für Menschen aus
diesen Staaten beschleunigen und Abschiebungen abgelehnter Asylbewerber
erleichtern. Möglich wird die Einstufung zusätzlicher Länder per Verordnung,
weil sie sich nicht auf das im Grundgesetz verankerte Recht auf Asyl für
politisch Verfolgte erstrecken soll, das ohnehin nur sehr wenige Schutzsuchende
zugesprochen bekommen. Bei den meisten Asylbewerbern, die in Deutschland einen
Schutzstatus erhalten, greift der Flüchtlingsschutz oder der sogenannte
subsidiäre Schutz für Menschen, denen im Herkunftsland ernsthafter Schaden
droht.
Die
Einstufung sicherer Herkunftsstaaten sei kein Verwaltungsakt, sondern ein
Eingriff in individuelle Schutzrechte, kritisierte die Grünen-Abgeordnete,
Filiz Polat. „Wer so handelt, rüttelt an den Grundpfeilern unseres
Rechtsstaatsprinzips.“
Im
Koalitionsvertrag war vereinbart worden, zuerst Algerien, Indien, Marokko und
Tunesien neu als sichere Herkunftsstaaten einzustufen.
Kein
Anwalt mehr vom Staat
Gestrichen
werden soll laut Kabinettsbeschluss zudem eine Vorschrift, wonach Menschen, die
von Abschiebungshaft oder Ausreisegewahrsam betroffen sind, einen vom Staat
bestellten Anwalt bekommen. Diese Verpflichtung war erst in der Zeit der
Ampel-Regierung auf Drängen der Grünen ins Aufenthaltsrecht aufgenommen worden.
Sie gilt auch für Asylbewerber, die im sogenannten Dublin-Verfahren in einen
anderen EU-Staat überstellt werden sollen und für die eine sogenannte
Überstellungshaft angeordnet wurde.
Weniger
Familiennachzug, keine Einbürgerung mehr nach drei Jahren
Nach
bisheriger Planung wird sich der Bundestag an diesem Freitag in erster Lesung
mit der geplanten Aussetzung des Familiennachzugs zu subsidiär
Schutzberechtigten beschäftigen. Der ist – anders als bei Flüchtlingen, die
keinen eingeschränkten Schutzstatus haben – jetzt schon beschränkt auf 1.000
Angehörige pro Monat.
Auch
die im Koalitionsvertrag vereinbarte Abschaffung der Einbürgerung von besonders
gut integrierten Ausländern bereits nach drei Jahren hat vergangene Woche das
Kabinett passiert. Der Union war die von ihr als „Turbo-Einbürgerung“
bezeichnete Regelung, die von der Ampel-Koalition eingeführt worden war, von
Anfang an ein Dorn im Auge. Ihr Argument: So schnell könne sich niemand in die
deutschen Lebensverhältnisse einfügen.
Zurückweisung
von Asylsuchenden
An
den deutschen Grenzen werden auf Anordnung von Dobrindt nun auch Asylsuchende
zurückgewiesen. An dieser Praxis hält die Bundesregierung auch nach einer
Eilentscheidung des Berliner Verwaltungsgerichts fest. Das Gericht hatte
festgestellt, die Zurückweisung von drei Somaliern bei einer Grenzkontrolle am
Bahnhof Frankfurt (Oder) am 9. Mai sei rechtswidrig gewesen. Ohne eine Klärung,
welcher EU-Staat für einen Asylantrag der Betroffenen zuständig sei, dürften
sie nicht abgewiesen werden. Die drei Betroffenen waren nach Polen
zurückgeschickt worden.
Bundesinnenminister
Dobrindt sagte, er befürchte nicht, dass Bundespolizisten für ihr Handeln an
der Grenze haftbar gemacht werden können. „Das ist vollkommen abwegig, dass
Polizisten belangt werden, wenn sie das tun, was ihr Auftrag ist“, sagte der
CSU-Politiker in der ARD-Talkshow „Maischberger“. Der Auftrag sei von der
Politik formuliert worden. „Und deswegen finde ich das eine Einschätzung, die
schon weit hergeholt ist.“
Mihalic:
Polizei ist nicht der Politik verpflichtet
Die
Parlamentarische Geschäftsführerin der Grünen-Fraktion, Irene Mihalic, sagte,
es sei bemerkenswert, dass Dobrindt in Abrede stelle, dass er die Polizisten in
eine schwierige Situation bringe. „Ich will nur mal daran erinnern, dass
Polizeibeamtinnen und -beamte eben nicht der Politik verpflichtet sind, sondern
ausschließlich an Recht und Gesetz gebunden sind“, sagte sie.
Wenn
Beamte der Auffassung sind, dass eine dienstliche Anweisung rechtswidrig ist,
können sie Widerspruch einlegen (remonstrieren). Dies ist dem Vernehmen nach in
Bezug auf die verschärften Grenzkontrollen bislang nicht geschehen.
Linken-Politikerin
traf betroffene Somalier
Dobrindts
Angaben zufolge hatten die Somalier, die sich mit Unterstützung von Pro Asyl an
das Gericht wandten, bereits am 2. und am 3. Mai versucht nach Deutschland
einzureisen – jeweils ohne ein Asylgesuch vorzubringen. Dies hätten sie erst
beim dritten Versuch am 9. Mai getan.
Die
Linken-Innenpolitikerin Clara Bünger geht allerdings davon aus, dass die drei
Migranten auch bei den ersten zwei Einreiseversuchen den Wunsch, einen
Asylantrag in Deutschland zu stellen, geäußert haben. Sie sagte: „Ich selbst
habe die drei getroffen. Sie haben mir glaubwürdig versichert, dass sie sehr
wohl deutlich gesagt haben, dass sie Asyl beantragen wollen.“
Rund
140 zurückgewiesene Asylsuchende
Menschen,
die kein Asylgesuch vorbringen und Ausländer mit Wiedereinreisesperre waren
schon vor der von Dobrindt am 7. Mai erlassenen Anordnung zurückgewiesen
worden. Durch die Änderung gab es nun laut Bundesinnenministerium rund 140
zusätzliche Zurückweisungen.
Der
innenpolitische Sprecher der Grünen, Marcel Emmerich, sagte nach einer Sitzung
des Innenausschusses, an der Dobrindt teilnahm: „Die Zahlen sprechen für sich
und entlarven diesen Grenzblockaden-Zirkus als das, was er ist: teure
Symbolpolitik auf Kosten von Wirtschaft, Pendlern, Bundespolizei und
Schutzsuchenden.“ (dpa/mig 5)
Ein Viertel der Unternehmen rechnet
mit Stellenabbau durch Künstliche Intelligenz
München.
Mehr als ein Viertel der Unternehmen (27,1 Prozent) geht davon aus, dass
Künstliche Intelligenz (KI) in den kommenden fünf Jahren zum Abbau von Stellen
führen wird. Das zeigt eine aktuelle Umfrage des ifo Instituts, die ifo
Präsident Clemens Fuest heute auf der ifo Jahresversammlung vorstellte.
„Unternehmen, insbesondere die Industrie, erwarten einen durch KI
beschleunigten Strukturwandel“, sagt Klaus Wohlrabe, Leiter der ifo Umfragen.
Nur 5,2 Prozent der Unternehmen rechnen mit zusätzlichen Jobs, zwei Drittel
erwarten keine Veränderung. „Momentan loten die Unternehmen aus, in welchen
Feldern KI Produktivitätsgewinne bringt. Bis sich das in messbare Effekte auf
dem Arbeitsmarkt übersetzt, wird es noch ein paar Jahre dauern“, kommentiert
Fuest das Ergebnis.
Wenn
es zu einem Stellenabbau komme, erwarteten die betroffenen Unternehmen im
Durchschnitt eine Reduktion um rund 8 Prozent, so Wohlrabe. In der Industrie rechnet
mehr als ein Drittel der Unternehmen (37,3 Prozent) mit Stellenabbau. Auch im
Handel liegt dieser Anteil mit knapp 30 Prozent deutlich über dem
gesamtwirtschaftlichen Schnitt. Im Baugewerbe dagegen denken über 80 Prozent
der Betriebe, dass sich durch KI an der Beschäftigtenzahl nichts ändern wird.
Gleichzeitig werden positive Beschäftigungsimpulse sichtbar: In technologienahe
Dienstleistungen wie IT oder Informationsverarbeitung rechnen einzelne
Unternehmen bereits mit einem Aufbau – mit erwarteten Zuwächsen von teils über
10 Prozent.
„KI
wird nicht nur zum Rationalisierungsinstrument, sondern auch zum Ausgangspunkt
neuer Tätigkeitsprofile“, sagt Wohlrabe. „Noch sind die Beschäftigungseffekte
von Künstlicher Intelligenz moderat – doch auf längere Sicht könnte KI den
deutschen Arbeitsmarkt verändern.“ Er sieht die Herausforderung darin, die
entstehenden Produktivitätsgewinne in breiten Wohlstand zu übersetzen – ohne
größere Verwerfungen in bestimmten Berufsgruppen zu erzeugen. Ifo 5
Antidiskriminierungsstelle des
Bundes (ADS)-Jahresbericht
Schlechte
Bezahlung, mangelnde Karrierechancen und sexuelle Belästigung: Frauen werden in
Deutschland besonders häufig diskriminiert, wie der Jahresbericht der
Antidiskriminierungsstelle zeigt. Mehrfach betroffen sind Schwarze Frauen und
Frauen mit Kopftuch. Die Beauftragte fordert Gesetzesverschärfung.
Die
Antidiskriminierungsstelle des Bundes hat 2024 einen erneuten Anstieg
gemeldeter Diskriminierungsfälle verzeichnet. Die 11.405 Fälle seien die
„höchste Zahl, die die Antidiskriminierungsstelle des Bundes (ADS) je erreicht
hat“, sagte die Antidiskriminierungsbeauftragte des Bundes, Ferda Ataman, am
Dienstag in Berlin bei der Vorstellung ihres Jahresberichts. Dies entspricht
einem Anstieg von sechs Prozent gegenüber 2023 und einer Verdopplung der Fälle
seit 2019.
Rassistische
Diskriminierung führt die Statistik mit 43 Prozent weiterhin an, gefolgt von
Benachteiligungen aufgrund von Behinderung (27 Prozent) und Geschlecht (24
Prozent). Besonders betroffen sind Frauen: Die Zahl der Fälle hat sich Ataman
zufolge in den vergangenen fünf Jahren verdoppelt.
Zusammenhang
zwischen Diskriminierung und AfD
Frauen
erfahren Diskriminierung hauptsächlich am Arbeitsplatz oder bei der Jobsuche,
sagte die Beauftragte. Junge Frauen würden bereits im Bewerbungsverfahren
aussortiert, weil sie möglicherweise Kinder bekommen könnten. „Wenn Frauen
schwanger werden oder aus der Elternzeit zurückkehren, wird ihre Leistung und
Kompetenz infrage gestellt“, erklärte Ataman. Betroffen sind „insbesondere
Schwarze Frauen und Frauen mit Kopftuch. Sie werden auf der Straße beschimpft,
angespuckt oder angegriffen, manchmal wird ihnen das Kopftuch
heruntergerissen“, heißt es in dem Bericht. Mit 348 gemeldeten Fällen sexueller
Belästigung wurde zudem ein „Spitzenwert“ erreicht.
Ataman
sieht einen direkten Zusammenhang zwischen dem Erstarken der AfD und der
steigenden Zahl von Diskriminierungsfällen. „Was ich beobachte und was wir in
der Stelle beobachten, ist, dass mit den steigenden Zustimmungswerten für eine
rechtsextreme Partei offenbar immer mehr Menschen sich legitimiert fühlen,
menschenverachtende Äußerungen im Alltag zu machen“, erklärte sie. Dies
betreffe nicht nur Migrantinnen und Migranten, sondern auch Menschen mit
Behinderungen, queere Menschen und religiöse Minderheiten. Ataman befürwortet
eine Prüfung eines möglichen AfD-Verbots durch das Verfassungsgericht „im Sinne
der Menschen, die von Diskriminierung betroffen sind.“
Jeder
Vierte erlebt Diskriminierung durch staatliche Stellen
Dem
Jahresbericht zufolge erleben die meisten Ratsuchenden Diskriminierung im
Arbeitsleben. Demnach finde jeder dritte Fall bei der Arbeitssuche, im
Bewerbungsgespräch oder am Arbeitsplatz statt. 22 Prozent der Menschen wurden
bei sogenannten Alltagsgeschäften wie der Wohnungssuche, beim Einkauf oder im
Restaurant diskriminiert.
Rund
ein Viertel der Betroffenen beklagte eine Diskriminierung durch staatliche
Stellen. Diese Fälle, die sich beispielsweise bei Ämtern und Behörden, in der
Justiz, bei der Polizei oder in staatlichen Schulen und Universitäten ereignen,
sind jedoch nicht von dem Allgemeinen Gleichbehandlungsgesetz (AGG) abgedeckt.
Gleiches gilt für Diskriminierungen im öffentlichen Raum, in Vereinen oder in
sozialen Medien. Das Gesetz regelt die Bereiche Arbeitsmarkt und
Alltagsgeschäfte.
Ataman
beklagt eines der schwächsten Antidiskriminierungsgesetze Europas
Ataman
kündigte Gespräche mit der Bundesregierung über die versprochene Stärkung des
Diskriminierungsschutzes an. Die Reform des Allgemeinen
Gleichbehandlungsgesetzes (AGG) sei in der vergangenen Legislatur „leider auf
der Strecke geblieben“. Das Gesetz sei „eines der schwächsten
Antidiskriminierungsgesetze in Europa“ und erfülle oft nicht einmal europäische
Mindeststandards. „In Deutschland wird Falschparken konsequenter geahndet, als
andere Menschen zu diskriminieren“, kritisierte die Beauftragte.
Die
unabhängige Antidiskriminierungsstelle ist beim Bundesfamilienministerium
angesiedelt. Sie berät und unterstützt Menschen, die aus rassistischen oder
antisemitischen Gründen, wegen ihres Geschlechts, ihrer Religion oder
Weltanschauung, einer Behinderung, ihres Alters oder ihrer sexuellen
Orientierung benachteiligt werden. (epd/mig 4)
Deutsche Friedensinstitute:
„Schlecht bestellt“ um den Frieden
Für
Papst Leo XIV. ist der Frieden ein zentraler Begriff. Auf der Welt sieht es
anders aus. Die deutschen Friedensforschungsinstitute analysieren in ihrem
diesjährigen Friedensgutachten die Weltlage. Um den Frieden ist es schlecht
bestellt, aber Europa und Deutschland können handeln.
„Schlecht
bestellt“ ist es gegenwärtig um den Frieden, in einer zunehmend instabilen, auf
Wettbewerb und Konflikt ausgerichteten Welt – das befindet das
Friedensgutachten 2025 unter dem Titel „Frieden retten!“, herausgegeben von den
deutschen Friedensforschungsinstituten in Bonn, Frankfurt, Hamburg und
Düsseldorf. Die Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler zeichnen ein dunkles
Bild von der Weltlage: Der Frieden habe sich offenbar „als politisches Konzept“
erschöpft, das Vertrauen in die Sicherheitsinstitutionen der europäischen
Friedensarchitektur sei geschwunden.
In
einem überblickenden Statement fordert das Gutachten zwar – „so schmerzhaft die
Erkenntnis ist“ – die Aufrüstung in Europa und in Deutschland. Aber: „Rüstung
allein führt in eine gefährliche Sackgasse“. Die Autoren fordern eine
regelbasierte Weltordnung, die Stärkung internationaler Gerichtsbarkeit und
eine ganzheitliche Friedensfähigkeit.
USA:
Konkretes statt moralischer Empörung
Zentral
sei dabei die „Zerstörung der politischen Ordnung“, so das Gutachten - durch
US-Präsident Donald Trump, der schon nach wenigen Monaten im Amt nicht nur das
politische System seines Heimatlandes umbaute, sondern auch als
außenpolitischer „Ordnungsfaktor“ ausgefallen sei. „Deutschland und Europa sind
durch den autoritären Staatsumbau in den USA bedroht“, schließen die Forscher,
und fordern politisch konturiertes Handeln gegen die autoritäre Versuchung und
angedrohte Verletzungen internationaler Normen – statt nur „moralischer
Empörung“.
Konkret
fordern sie, liberale Institutionen und die internationale regelbasierte
Ordnung zu stärken, einen Gegenentwurf zum radikalen und destruktiven
Konservatismus zu schaffen, Alternativen zur NATO in der Sicherheitsarchitektur
zu schaffen und die digitale Abhängigkeit von den USA abzubauen, um
Desinformation und Wahlbeeinflussung zu verhindern.
Verteidigung
öffentlich diskutieren
Die
Präsidentschaft Donald Trumps habe tiefgreifende Auswirkungen auch auf die
Verteidigung. Sie habe die NATO in die „tiefste Krise“ seit ihrer Gründung
gestürzt; Europa, so die Autoren, müsse erwarten, „dass die USA und Russland
eine Rüstungskontrolle betreiben, die europäische Interessen verletzt“. Sie
fordern eine Erhöhung der Verteidigungsausgaben, die auf den Ersatz
US-amerikanischer Leistungen zielt – und eine soziale und gesellschaftliche
Absicherung dieser Ausgaben.
Auch
die öffentliche Auseinandersetzung sei wichtig: „Große Rüstungsentscheidungen
sollten transparent und öffentlich diskutiert werden. Neue Beschaffungen, die
in eine Strategie für die europäische Sicherheit eingebunden werden sollen,
bedürfen einer klaren und nachvollziehbaren Erklärung gegenüber den Bürgern“,
so die Autoren des Gutachtens.
Konflikte
unter dem Radar
Die
Konflikte in der Ukraine und in Gaza stünden im Mittelpunkt des öffentlichen
Bewusstseins; aber die Zahl der Gewaltkonflikte sei weltweit gestiegen, betonen
die Forscher, von denen nur wenige „internationale Aufmerksamkeit“ erhielten,
sowohl medial als auch diplomatisch. Der Krieg im Sudan, führen sie als
Beispiel an, sei derzeit eine der größten humanitären Notlagen; Reaktionen
bleiben jedoch aus.
Die
Autoren sehen „Kernnormen und Prinzipien des Völkerrechts in Gefahr“ – und
fordern völkerrechtliche Mindeststandards, die Achtung menschlicher Sicherheit
und die Stärkung von internationaler Gerichtsbarkeit als Kontrollinstanz. So
müsse sich auch Deutschland positionieren – und könne etwa, so die Forscher,
nicht zugleich glaubwürdig bleiben und den israelischen Ministerpräsidenten
Benjamin Netanjahu, nach dem per internationalem Haftbefehl gefahndet wird, zu
einem Staatsbesuch empfangen. Man müsse sich, so die Autoren, „auf die Seite
des Rechts stellen“ – und ebenso den Staat Palästina anerkennen wie auch keine
Waffen für den völkerrechtswidrigen Einsatz nach Gaza liefern.
Neue
Allianzen bilden
Zentral
sei dabei eine „polarisierungsdämpfende Politik“, erklären die Forscher. Im
Angesicht einer Weltordnung in Bewegung, geprägt von „Machtverschiebungen,
geopolitischen Konflikten und Allianzbildung“ mit den USA und Russland, aber
auch China und Indien sowie einem wegbröckelnden politischen Westen, müssten
Europa und Deutschland „Unterstützer finden, mit denen man der Polarisierung
etwas entgegensetzen und die internationalen Regelwerke stützen kann.“ Ein
besonderes Augenmerk muss dabei auf humanitärer Hilfe, einer klaren Position zu
geächteten Waffensystemen und zu sexualisierter Gewalt stehen.
„Selbst
wenn dies gelingen sollte, wird sich die Sicherheitslage dadurch nicht
automatisch verbessern.“
Ein
weiterer Schwerpunkt der Weltlage ist die Fluchtpolitik in Deutschland. Die
Autoren kritisieren populistische Reflexe in der deutschen Innenpolitik: Sie
mache „Schutzsuchende als Sicherheitsrisiken aus und verspricht, die Anzahl der
Geflüchteten durch Grenzsicherung und ‚konsequente Abschiebungen‘ drastisch zu
verringern“. Das sei Symbolpolitik, beklagen sie: „Selbst wenn dies gelingen
sollte, wird sich die Sicherheitslage dadurch nicht automatisch verbessern. Das
Grundproblem, dass sich immer mehr Menschen auf der Flucht befinden, wird
ebenfalls nicht aus der Welt geschafft“.
Migration:
Schluss mit Symbolpolitik
Der
hohe Stellenwert der Fluchtpolitik in Deutschland habe auch zum Schulterschluss
von CDU/CSU und AfD in der gemeinsamen Abstimmung vor einigen Wochen geführt.
Auch die Kriminalitätsrate, ein häufiges Argument in den öffentlichen Debatten
um Flucht und Migration, sei von vielen Faktoren abhängig.
Die
Studienautoren fordern einen ganzheitlichen Ansatz: Europa müsse sich seiner
„globalen und regionalen Verantwortung für Schutzsuchende“ stellen und die
Fluchtursachen bekämpfen, durch „friedenspolitische und diplomatische
Maßnahmen“.
Aufnahme
und Integration von Geflüchteten müsse statt dem derzeitigen Krisenmodus zu
einer „Daueraufgabe“ werden, über Sprachförderung, Ausbildung, Arbeit,
gesellschaftlicher Teilhabe, Kinderbetreuung und psycho-soziale Angebote.
Humanitäre Aufgaben wie Seenotrettung müssten außerdem auf europäischer Ebene
gelöst, die Fluchtpolitik als Ganzes im Zeichen einer „wirklichen globalen
Solidarität und Verantwortungsteilung“ organisiert werden.
Seit
1987 veröffentlichen die deutschen Friedensforschungsinstitute jährlich das
Friedensgutachten. Sie analysieren darin die Situation des Friedens in der Welt
und geben Handlungsempfehlungen an politische Entscheidungsträger.
(pm
3)
Die
Ukraine entwickelt sich zum Epizentrum militärischer Innovation – und könnte
Europas Verteidigung grundlegend verändern. Von Bojan Stojkovski
Nur
drei Jahre nach dem russischen Angriff auf die Ukraine ist diese zu einem der
aktivsten Zentren für Verteidigungs-Startups weltweit geworden. 2022 hätten
wohl nur wenige vorhergesagt, dass die Ukraine nicht nur großen Widerstand
leisten, sondern ein eigenes Tech-Ökosystem aufbauen und Innovationen im
Verteidigungssektor grundlegend verändern würde. Das Schlachtfeld ist
mittlerweile ebenso ein Labor, in dem Technologie unter realem Beschuss erprobt
wird.
Bestes
Beispiel ist die jüngste ukrainische Operation „Spinnennetz“ – ein präzise
abgestimmter Drohnenangriff auf russische Luftwaffenstützpunkte und
strategische Kampfflugzeuge. Durch die Aktion, die spannend war wie ein
Hollywood-Thriller, gelang die Zerstörung von 34 Prozent der russischen Bomber,
die Marschflugkörper tragen können. Der Angriff, der über anderthalb Jahre
vorbereitet wurde, soll Schäden in Höhe von sieben Milliarden US-Dollar
verursacht haben. Dies stellt eine der bedeutendsten Beeinträchtigungen der
russischen Langstreckenangriffsfähigkeit seit Beginn der Invasion im Februar
2022 dar.
Hinter
solchen wirkstarken Operationen steht ein sich rasant entwickelndes
Verteidigungs-Technologie-Ökosystem. Seit Beginn des Krieges sind in der
Ukraine über 500 verteidigungsorientierte Startups entstanden. Dieser Wandel
wird vorangetrieben durch staatliche Unterstützung, die Dringlichkeit an der
Front sowie Graswurzel-Innovationen. Ingenieure, ehemalige Soldaten und
Software-Entwickler bauen nun gemeinsam Drohnen, Bodenroboter, Sensoren und
KI-Plattformen mit einer Geschwindigkeit, die das Silicon Valley nur aus der
Ferne bewundern kann. Diese neue Welle des Verteidigungs-Unternehmertums ist
schlicht durch Notwendigkeit getrieben. Ukrainische Startups warten nicht
jahrelang auf militärische Beschaffungsverträge; sie liefern direkt an die
Front, testen ihre Lösungen unter Kampfbedingungen und verbessern sie nahezu in
Echtzeit.
Die
Drohnenherstellung in der Ukraine ist zuletzt explosionsartig gestiegen: Im
Jahr 2024 produzierte die Ukraine über 1,5 Millionen FPV-Drohnen (First
Person View) und plant, bis Ende 2025 unglaubliche 4,5 Millionen
herzustellen. Die meisten dieser Drohnen stammen nicht von Rüstungsgiganten,
sondern von dezentralen Teams, die in Industrieparks, umfunktionierten Garagen
und Lean Production-Laboren arbeiten.
Eine
stille, aber bedeutende Entwicklung markiert die kürzliche Enthüllung eines
neuen KI-gesteuerten „Mutterdrohnen“-Systems, das einen Blick in die Zukunft
autonomer Kriegsführung erlaubt. Das System kann zwei GPS-unabhängige
Angriffsdrohnen starten, die in der Lage sind, hochrangige Ziele bis zu 300
Kilometer hinter feindlichen Linien aufzuspüren und zu zerstören – ein
Durchbruch, der die stetige Weiterentwicklung der ukrainischen
Verteidigungs-Technologien im anhaltenden Konflikt aufzeigt.
Die
ukrainische Kriegswirtschaft basiert auf offener Konkurrenz. Wenn die Drohne
funktioniert, wird sie eingesetzt. Wenn sie versagt, bekommen die Hersteller
sofort Rückmeldung von den Soldaten an der Front. Was als freiwillige
Initiative begann, um dringende Bedürfnisse an der Front zu decken, hat sich in
vielen Fällen zu einer strukturierten Verteidigungsindustrie mit globalem
Potenzial entwickelt.
Einige
dieser neuen Akteure sind inzwischen in Militärkreisen bekannte Namen. Griselda
entwickelt eine geobasierte Plattform, um Soldaten in urbanem Kampf und in
Katastrophengebieten bessere Sicht zu ermöglichen. Huless produziert
universelle Drohnenplattformen für militärische und zivile Missionen. Die
verschlüsselten Funkgeräte von Himera gehören zur Standardausrüstung vieler
Einheiten in russischen elektronischen Kriegsführungszonen.
Andere
setzen auf KI und Autonomie. Mantis Analytics bietet Echtzeit-Überwachung des
Schlachtfelds und analysiert dabei sowohl Open-Source-Intelligenz als auch
verschlüsselte Kanäle. Bavovna.ai nimmt sich eines der schwierigsten Probleme
des Krieges an: die Drohnennavigation ohne GPS, ein häufiges Ziel russischer
Störmaßnahmen. Auch Sine.Engineering entwickelt fortschrittliche
Navigationssysteme für Drohnen, die mithilfe von Time of Flight-Technologie
zuverlässige Ortung selbst in elektronisch gestörten Umgebungen ermöglichen.
Auch
im Bereich bodengestützter Robotik gibt es einen Boom. SkyLab Defense Robotics
testet den Sirko-S1, ein halbautonomes unbemanntes Bodenfahrzeug (UGV), während
der Ironclad-Roboter von Roboneers bereits in begrenztem Umfang im Einsatz ist.
Auf dem Gebiet der elektronischen Kriegsführung stellt Kvertus
mobileAnti-Drohnen-Systeme her, die nun an Frontpositionen eingesetzt werden.
Zudem
haben ukrainische Unternehmen ihr Know-how rasch angepasst, um verwundete
Soldaten und Zivilisten zu unterstützen. So haben über 20 000 Ukrainer im Laufe
des Krieges Amputationen erlitten. Ein herausragendes Beispiel ist Esper
Bionics: ein Unternehmen, das sich ursprünglich auf den US-Markt konzentrierte,
seit 2022 aber 70 Prozent seiner Aktivitäten in die Ukraine verlagert hat.
Durch die Verbindung von Robotik, KI und Bionik entwickelt Esper Bionics
Prothesentechnologie, die speziell auf die Realitäten kriegsbedingter
Verletzungen zugeschnitten ist. Das Flaggschiff, die Esper-Hand, ist eine
multifunktionale, KI-gesteuerte Prothese, die ukrainischen Amputierten zur
Verfügung gestellt wird. Was all diese Startups eint, ist eine gemeinsame
Denkweise: Agilität statt Perfektion und direktes Feedback vom Schlachtfeld
statt top-down betriebener Forschung, mit einer Innovation, die schnell und
zweckorientiert ist.
Hinter
vielen dieser Initiativen steht Brave1, die zentrale Plattform der ukrainischen
Regierung für Verteidigungs-Technologie. Gegründet im Jahr 2023 dient Brave1
als Vermittler zwischen militärischen Bedürfnissen und zivilen Innovatoren. Die
Regierungsplattform zur Förderung von Verteidigungs-Technologien hat in den
letzten zwei Jahren rund 1 500 Unternehmen unterstützt und 3 200
militärbezogene Projekte gefördert. Brave1 senkt zudem die bürokratischen
Hürden. Sie hilft Startups bei der Navigation durch militärische
Zertifizierungsprozesse, Tests und sogar Exportkontrollen. Und sie verleiht
Legitimität in einem System, in dem sogar inoffizielle Einheiten neue
Technologien im realen Gefecht testen. Im vergangenen Jahr hat Brave1 zur
Mobilisierung von über zwölf Millionen US-Dollar an privatem Kapital für
Verteidigungs-Startups beigetragen. Auch wenn das noch bescheiden ist, zeigt es
ein wachsendes Vertrauen von Investoren. Ein seltenes Zeichen von Optimismus in
einer ansonsten düsteren Kriegswirtschaft.
Die
Renaissance in der Verteidigungs-Technologie der Ukraine findet nicht im
luftleeren Raum statt und wird zunehmend nachgeahmt, insbesondere von
NATO-Mitgliedern in Mittel- und Osteuropa. Das Vereinigte Königreich und
Lettland führen mittlerweile gemeinsam eine Drohnen-Koalition an, die über 1,8
Milliarden Euro in die Beschaffung und gemeinsame Entwicklung ukrainischer
Drohnen investiert. Europäische Rüstungsfirmen wie Tekever, Milrem und RSI
testen bereits ihre eigenen Plattformen zusammen mit ukrainischen Truppen.
Für
westliche Militärs, die an jahrzehntelange Beschaffungszyklen gewöhnt sind, ist
der schnelle, feedbackgetriebene Ansatz der Ukraine eine Offenbarung. Dabei
geht es nicht nur um Drohnen, sondern um ein neues Paradigma zum Aufbau und zur
Skalierung dualer Technologien. Doch das Modell hat auch Grenzen. Während
ukrainische Ingenieure im Bereich Autonomie – insbesondere Navigation und
Zielerfassung – große Fortschritte machen, bleibt der Einsatz vollautonomer
tödlicher Waffen eine rote Linie. Die meisten Systeme bleiben
„human-in-the-loop“, aus ethischen Gründen und um das Vertrauen in ihre
Zuverlässigkeit auf dem Schlachtfeld zu erhalten.
Auch
das Skalieren stellt eine Herausforderung dar. Nicht alle Startups schaffen den
Sprung vom Prototyp zur Serienfertigung. Lieferketten sind fragil, Kapital ist
begrenzt, und der rechtliche Rahmen für Beschaffungen bleibt im Aufbau. Und
doch beweist die Ukraine, dass Bottom-up-Verteidigungs-Innovation funktionieren
kann – selbst in einem Land im Krieg. Ein Meilenstein ist die Zusage der
Europäischen Kommission, im Rahmen des Europäischen Verteidigungsfonds (EDF)
2024, 910 Millionen Euro zu investieren, um Europas Verteidigungs-Industrie zu
stärken und zu modernisieren. Diese Mittel sollen kritische Fähigkeitslücken,
etwa bei Truppenmobilität und Drohnenabwehr, durch enge Zusammenarbeit zwischen
Wissenschaft und Industrie schließen.
Erstmals
dürfen auch ukrainische Verteidigungs-Unternehmen an EDF-Projekten teilnehmen.
Ein Signal für eine tiefere Integration der Ukraine in das europäische
Verteidigungs-Ökosystem. Diese verstärkte Zusammenarbeit baut auf der Arbeit
des EU Defense Innovation Office in Kiew auf, das enge Partnerschaften fördert
und die Ukraine fest in Europas Innovationslandschaft für Verteidigung
einbettet. Hand in Hand treiben sie gemeinsame Sicherheitsziele voran und
gestalten eine vereinte Vision technologischen Fortschritts.
Wenn
Drohnen für das 21. Jahrhundert sind, was Panzer für das 20. waren, dann setzt
die Ukraine sie nicht nur ein – sondern sie prägt, wie diese entwickelt,
getestet und verbessert werden. Und vor allem: Die hier entstehenden
Innovationen werden weit über die Grenzen der Ukraine hinauswirken. Europa darf
die Durchbrüche der ukrainischen Verteidigungs-Technologie daher nicht als
bloße Kriegsanomalie oder Einbahnstraßenhilfe betrachten. Hier zeigt sich, wie
militärische Innovation erschaffen, erprobt und skaliert wird.
Statt
seine Rüstungsindustrie hinter bürokratischen Mauern und trägen
Beschaffungsprozessen zu verstecken, muss die EU eine noch tiefere Integration
mit ukrainischen Innovatoren vorantreiben, mehr
Dual-use-Finanzierungs-Instrumente öffnen und sie direkt in langfristige
strategische Planungen einbetten. Der Krieg hat die Ukraine zu einem Testfeld
für agile und frontnah entwickelte Technologien gemacht. Diese wird Europa
irgendwann unweigerlich selbst benötigen. Nicht nur, um die Ukraine zu
unterstützen, sondern um sich selbst zu verteidigen. Je länger die EU zögert,
desto mehr riskiert sie, die wichtigste Verteidigungs-Transformation einer
ganzen Generation zu verpassen. IPG 3
Gericht: Zurückweisung von
Asylsuchenden an Grenze ist rechtswidrig
Kurz
nach seinem Amtsantritt ordnet Innenminister Dobrindt an, dass auch
Asylsuchende an der Grenze zurückgewiesen werden können. Die Regelung ist
umstritten. Jetzt kassierte Dobrindt vor Gericht eine seine erste Schlappe. Für
Dobrindt kein Grund, die Praxis zu ändern. Es hagelt Kritik. Von Marion van der
Kraats, Anne-Béatrice Clasmann und Martina Herzog
Bundesinnenminister
Alexander Dobrindt (CSU) ist noch keinen Monat im Amt – und schon kassiert er
seine erste juristische Niederlage vor Gericht: Die Zurückweisung von
Asylsuchenden bei Grenzkontrollen auf deutschem Gebiet ist laut einer
gerichtlichen Eilentscheidung rechtswidrig. Ohne Durchführung des sogenannten
Dublin-Verfahrens dürfe, wer in Deutschland Schutz sucht, nicht abgewiesen
werden, entschied das Berliner Verwaltungsgericht. Im konkreten Fall ging es um
drei Somalier, die am 9. Mai von Frankfurt (Oder) aus nach Polen
zurückgeschickt wurden.
Nach
Angaben einer Gerichtssprecherin handelt es sich um die erste gerichtliche
Entscheidung zu der Neuregelung von Bundesinnenminister Alexander Dobrindt. Der
CSU-Politiker hatte kurz nach dem Regierungswechsel mit intensivierten
Grenzkontrollen und Zurückweisungen von Asylbewerbern an den deutschen Grenzen
erste Vereinbarungen aus dem Koalitionsvertrag umgesetzt. Für die Union zählen
die Maßnahmen zur Begrenzung der irregulären Migration nach Deutschland zu den
zentralen Vorhaben der neuen Regierung.
Dobrindt
will Praxis nicht ändern
Dobrindt
will vorerst aber an den Zurückweisungen von Asylsuchenden festhalten. „Es gibt
keinen Grund aufgrund einer Gerichtsentscheidung, die heute hier erfolgt ist in
diesem Einzelfall, unsere Praxis zu verändern“, sagte er in Berlin. Er wolle
nun ein Hauptsache-Verfahren anstreben. Man glaube, dass man dort „deutlich
Recht bekommen“ werde.
Auch
der innenpolitische Sprecher der Unionsfraktion, Alexander Throm, sieht keine
Notwendigkeit, das derzeitige Vorgehen zu ändern. „Wir werden die Beschlüsse
des Verwaltungsgerichts Berlin natürlich genau prüfen“, sagte der CDU-Politiker
der Deutschen Presse-Agentur. Er betonte gleichzeitig: „Die Zurückweisungen
müssen fortgesetzt werden.“
Bundespolizei
schickte Somalier nach Polen zurück
Im
vorliegenden Fall ging es um zwei Männer und eine Frau aus Somalia, die mit dem
Zug aus Polen nach Deutschland reisten. Am 9. Mai wurden sie am Bahnhof
Frankfurt (Oder) durch die Bundespolizei kontrolliert. Nachdem die Somalier ein
Asylgesuch geäußert hatten, wurden sie noch am selben Tag nach Polen
zurückgewiesen. Die Bundespolizei begründete die Zurückweisung laut Gericht mit
der Einreise aus einem sicheren Drittstaat.
Dagegen
wehrten sich die Betroffenen per Eilverfahren erfolgreich vor dem
Verwaltungsgericht. Die Beschlüsse sind nach Gerichtsangaben unanfechtbar.
Dobrindts
Angaben zufolge hatten die Somalier bereits am 2. und am 3. Mai versucht nach
Deutschland einzureisen, jeweils ohne ein Asylgesuch vorzubringen. Dies hätten
sie erst beim dritten Versuch am 9. Mai getan.
Gericht:
Nicht auf Ausnahmezustand berufen
Nach
der sogenannten Dublin-Verordnung darf die Bundespolizei Asylbewerber nicht
einfach an der Grenze zurückweisen. Vielmehr müssen die deutschen Behörden ein
kompliziertes und in der Praxis oft schlecht funktionierendes Prozedere in Gang
setzen, um sie an den für ihr Asylverfahren zuständigen Staat zu überstellen.
Das ist in der Regel der erste EU-Staat, in dem sie registriert wurden. Wenn
enge Familienangehörige bereits in einem anderen EU-Staat leben oder dort
Schutz erhalten haben, kann aber auch dieser zuständig werden.
Aus
Sicht des Gerichts kann sich die Bundesrepublik nicht darauf berufen, dass die
Dublin-Verordnung angesichts einer Notlage unangewendet bleiben dürfe.
Insbesondere könne sich die Regierung nicht auf eine „nationale Notlage“ – also
eine Art Ausnahmezustand – berufen. Es fehle dafür „an der hinreichenden
Darlegung einer Gefahr für die öffentliche Sicherheit oder Ordnung“, hieß es.
Die Bundesrepublik sei nach der Verordnung verpflichtet, bei Asylgesuchen, die
auf deutschem Staatsgebiet gestellt werden, in jedem Fall das vorgesehene
Verfahren durchzuführen.
Die
Bundesregierung hatte argumentiert, die Nichtanwendung des EU-Rechts sei
gerechtfertigt. Dies habe die Europäische Kommission in einer Mitteilung über
die Abwehr hybrider Bedrohungen infolge des Einsatzes von Migration als Waffe
und die Stärkung der Sicherheit an den EU-Außengrenzen aktuell bestätigt. Die
deutschen Maßnahmen seien zudem temporär und auf bestimmte Personengruppen
beschränkt.
Dublin-Verfahren
in Grenznähe möglich
Dass
Asylsuchende nach einem Grenzübertritt automatisch länger in Deutschland
bleiben können, bedeutet die Entscheidung aber nicht, wie das Gericht selbst
feststellt. In einer Mitteilung heißt es, das Dublin-Verfahren könne auch an
der Grenze oder im grenznahen Bereich durchgeführt werden, „ohne dass damit
zwangsläufig eine Einreisegestattung verbunden sein müsse“.
Dobrindts
Amtsvorgängerin Nancy Faeser (SPD) hatte in den letzten Wochen ihrer Amtszeit
an der Eröffnung von zwei sogenannten Dublin-Zentren mitgewirkt. Diese Zentren
in Hamburg und im brandenburgischen Eisenhüttenstadt sollen helfen, die
Verfahren zu beschleunigen. Denn Rückführungen nach Dublin-III-Verordnung sind
nur in den ersten sechs Monaten nach Einreise möglich – in der Vergangenheit
scheiterten sie häufig an der Frist.
Grüne
sehen sich bestätigt, Linke fordern Rücktritt
Kritiker
der neuen Grenzkontrollen fühlen sich durch die Entscheidung des Gerichts
bestätigt. Der innenpolitische Sprecher der Grünen-Bundestagsfraktion, Marcel
Emmerich, sagte: „Der Beschluss entlarvt Dobrindts Symbolpolitik als das, was
es ist: ein offener Rechtsbruch.“ Bundeskanzler Friedrich Merz (CDU) müsse die
rechtswidrigen Zurückweisungen umgehend stoppen. Die SPD dürfe nicht mehr
länger schweigend zusehen.
Auch
in den Reihen des Koalitionspartners SPD gibt es Zweifel an Dobrindts Vorgehen.
„Das Bundesinnenministerium ist offensichtlich weder ausreichend in die
Abstimmung mit unseren Partnerländern gegangen, noch hat es einen klar
rechtssicheren Weg für Zurückweisungen eingeschlagen“, sagte SPD-Innenpolitiker
Lars Castellucci den Zeitungen der Mediengruppe Bayern. Er plädierte für
grenznahe, beschleunigte Dublin-Verfahren. „Das scheint mir, zumindest bis zur
Einführung des neuen europäischen Asylsystems, der geeignetere Weg“, sagte
Castellucci.
Linke:
Dobrindt untragbar
Deutliche
Kritik kam auch von der Linkspartei im Bundestag. „Das Gericht hat
festgestellt, dass keine nationale Notlage vorliegt, die solche Maßnahmen
rechtfertigen würde. Das Recht auf ein geordnetes und individuelles
Asylverfahren kann nicht einfach so umgangen werden. Auch lassen sich Engpässe
bei Kitaplätzen und der Mangel an bezahlbaren Wohnungen nicht auf
Schutzsuchende zurückführen, auch wenn die Regierung sie gerne als Sündenböcke
für ihre politischen Verfehlungen nutzen möchte“, erklärte Clara Bünger,
fluchtpolitische Sprecherin ihrer Fraktion, und warf Dobrindt vor, bewusst
Recht gebrochen zu haben. Damit sei er untragbar.
Marcus
Engler vom Deutschen Zentrum für Integrations- und Migrationsforschung (Dezim)
mahnt: „Das ist ein Urteil, das die Bundesregierung beachten muss.“ Die
Entscheidung des Gerichts dürfte niemanden überraschen. Pro Asyl begrüßte den
Richterspruch. „Die europarechtswidrige Praxis, Asylsuchende zurückzuweisen,
muss sofort beendet werden“, erklärte Geschäftsführer Karl Kopp.
Dobrindt:
Deutlich mehr Zurückweisungen
Zwischen
dem 8. Mai und dem 1. Juni wurden nach Dobrindts Angaben 2.850 Menschen an den
deutschen Grenzen zurückgewiesen. In 179 Fällen sei ein Asylgesuch gestellt
worden. In 138 dieser Fälle habe es eine Zurückweisung gegeben, 41 Fälle
hingegen hätten zu den vulnerablen Gruppen gehört. (dpa/epd/mig 3)
Wenn Gaza ins Klassenzimmer kommt
Jugendliche
mit arabischen Wurzeln erleben den Gaza-Krieg als persönliches Trauma – und
stoßen auf Sprachlosigkeit. Ein Lehrer fordert mehr Empathie, ehrlichen Umgang
mit ihrer Wut – und Zuhören. Von Dr. Marc Ntouda
Als
Lehrer arbeite ich auch mit Jugendlichen aus Familien mit Wurzeln in Palästina,
Syrien, dem Irak und dem Libanon. In den letzten Monaten hat sich etwas
verändert. Nicht nur in den Nachrichten. Auch in den Gesichtern meiner
Schüler:innen. Seit dem Krieg in Gaza liegt eine neue Schwere über dem
Unterricht. Manche schweigen. Andere kämpfen mit Tränen. Viele sind wütend. Und
sie stellen Fragen, auf die wir Erwachsenen oft keine ehrliche Antwort haben:
„Warum
schweigt ihr, wenn Kinder in Palästina sterben?“
„Warum
dürfen wir nicht sagen, dass wir wütend auf Israel sind?“
Diese
Fragen zeugen nicht von Radikalisierung. Sie entspringen einem tiefen
menschlichen Bedürfnis: dem Wunsch, dass ihr Leid gesehen und ernst genommen
wird.
Zwischen
TikTok und Ohnmacht
„Die
Ohnmacht bleibt oft unbearbeitet und verwandelt sich in Wut. Wut, die im Netz
Verbündete findet.“
Die
meisten Jugendlichen informieren sich nicht über Zeitungen oder
Nachrichtensendungen, sondern über TikTok, Instagram und YouTube. Dort sehen
sie ungefilterte Bilder aus Gaza: tote Kinder, weinende Mütter, zerstörte
Wohnhäuser. Gleichzeitig erleben sie, wie westliche Politiker:innen schweigen
oder das Bombardement rechtfertigen. Diese Ohnmacht bleibt oft unbearbeitet und
verwandelt sich in Wut. Wut, die längst im Netz Verbündete findet. Andere
sprechen längst mit den Jugendlichen, wenn wir es nicht tun.
„Warum
darf ich nicht sagen, dass ich wütend auf Israel bin?“
Ich
höre diese Frage oft. Und sie ist berechtigt. Die Jugendlichen sehen das Leid –
und erleben gleichzeitig, dass ihre Wut schnell als Antisemitismus gelesen
wird. Das ist nicht gerecht. Antisemitismus ist real. Er muss klar benannt und
bekämpft werden. Doch Kritik an der israelischen Regierung – insbesondere an
der zerstörerischen Politik unter Netanjahu – ist kein Antisemitismus. Sie ist
legitim. Sie ist notwendig. Und sie gehört zur demokratischen Debatte. Nicht
die Wut ist das Problem. Das Problem entsteht, wenn wir sie tabuisieren,
pathologisieren oder ignorieren.
Zuhören
ist kein Luxus. Es ist Pflicht.
„Solidarität
mit Palästinenser:innen ist kein Gegensatz zu Empathie für jüdische Menschen.“
Wir
können den Krieg nicht im Klassenzimmer lösen. Aber wir können entscheiden, wie
wir mit ihm umgehen. Wir können Räume schaffen, in denen junge Menschen ihre
Wut und Trauer aussprechen dürfen, ohne Angst vor Stigmatisierung. Wir können
erklären, dass sie nicht allein sind; dass viele Jüdinnen und Juden in Israel
und weltweit sich ebenfalls gegen diese Gewalt stellen; dass Solidarität mit
Palästinenser:innen kein Gegensatz ist zu Empathie für jüdische Menschen.
Und
wir müssen handeln:
*
Durch moderierte Gesprächsformate, in denen Schüler:innen ihre Sicht teilen und
Fragen stellen können, offen, ohne Angst.
*
Durch Fortbildungen für Lehrkräfte, die helfen, auf emotionale und politische
Spannungen sensibel zu reagieren, ohne zu relativieren oder zu moralisieren.
*
Durch medienpädagogische Angebote, die Jugendlichen zeigen, wie sie Bilder und
Botschaften im Netz kritisch einordnen können.
Wer
sich nicht gehört fühlt, hört irgendwann nur noch denen zu, die ihm das Gefühl
geben, recht zu haben. Selbst wenn es gefährliche Stimmen sind.
Menschlichkeit
ist keine Einbahnstraße
„Was
wir in deutschen Klassenzimmern erleben, ist nicht das Ergebnis einer
‚Islamisierung‘. Es ist das Echo eines Schmerzes.“
Was
wir heute in deutschen Klassenzimmern erleben, ist nicht das Ergebnis einer
„Islamisierung“. Es ist das Echo eines Schmerzes, den wir zu lange ignoriert
haben; ein globales Trauma, das auch junge Menschen hier erreicht, weil sie
Teil einer Welt sind, in der ihr Leid oft unsichtbar bleibt. Wer das nicht
sehen will, darf sich morgen nicht wundern, wenn diese Jugendlichen sich
abwenden oder radikalisiert werden. Unsere Aufgabe ist es, ihnen zu zeigen: Wir
sehen euch, wir hören euch und wir stehen an eurer Seite. Auf der Seite der
Menschlichkeit.
Wer
Schulen zu Orten der Demokratie machen will, muss sie zuerst zu Orten der
Empathie machen. Denn wenn junge Menschen das Gefühl haben, übersehen zu
werden, wachsen Misstrauen, Rückzug und Radikalisierung. Empathie schützt.
Ignoranz entfremdet. Wenn wir nicht zuhören, wird es jemand anderes tun. Die
Frage ist nur: Wer? Und mit welcher Absicht? MiG 2
Trumps Zollpolitik schadet
US-Wirtschaft
München
– Die Zollpolitik von US-Präsident Donald Trump wird laut ifo Präsident Clemens
Fuest der US-amerikanischen Wirtschaft Schaden zufügen. Zwar könnte die
geplante Erhöhung von Importzöllen kurzfristig zu Mehreinnahmen führen, würde
jedoch das US-Wirtschaftswachstum erheblich bremsen und das Defizit im
Staatshaushalt weiter verschärfen. „Die Strategie, den US-Staatshaushalt mit
Zöllen zu sanieren, ist auf Sand gebaut“, sagt Fuest. „Die negativen
Auswirkungen auf das Wachstum und höhere Verbraucherpreise werden die erhofften
Steuereinnahmen überwiegen.“
Fuests
Einschätzung basiert auf einer Studie des Washingtoner Peterson-Instituts, die
die Auswirkungen von Zöllen auf die US-Wirtschaft und den Staatshaushalt
untersucht. Demnach würde ein Importzoll von zehn Prozent zwar zu erhöhten
Zolleinnahmen führen, aber Einnahmen aus anderen Steuerquellen, vor allem der
Einkommensteuer, würden sinken. Per saldo würden Mehrehreinnahmen in Höhe von
rund 160 Milliarden US-Dollar pro Jahr bleiben. Zugleich würde das US-BIP um
0,46 Dollar pro Dollar zusätzlicher Steuereinnahmen sinken. Bei höheren Zöllen
von 20 Prozent würden die negativen Effekte noch stärker ausfallen, mit einem
Rückgang des BIP um 1,80 Dollar pro Dollar zusätzlicher Einnahmen.
Außerdem
sieht Fuest die Gefahr, dass Zinsen für US-Staatsanleihen als Folge der
Zollpolitik steigen und damit den Staatshaushalt weiter belasten. Ein Anstieg
um 0,5 Prozentpunkte entspräche einer zusätzlichen Zinslast von rund 150
Milliarden US-Dollar pro Jahr. „Die Zahlen zeigen, dass die US-Zollstrategie
nicht die erhofften fiskalischen Erfolge bringen wird. Stattdessen wird sie die
US-Wirtschaft weiter schwächen“, so Fuest. Ifo 2
Sudan: Humanitäre Krise verschärft
sich
Die
humanitäre Krise im Sudan verschärft sich mit der Intensivierung des Krieges.
Nach Angaben des Sprechers des UN-Generalsekretärs, Stéphane Dujarric de la
Rivière, bleibt die Lage insbesondere in der Stadt El Fasher und im
Flüchtlingscamp Abu Shouk dramatisch.
Beide
Orte werden von den Rapid Support Forces(RSF) belagert, die sie unter ständigen
Beschuss nehmen. Kritisch ist die Lage auch in Süd-Kordofan und West-Kordofan.
In Süd-Kordofan sind nach Angaben der Internationalen Organisation für
Migration rund 2.800 Menschen, vor allem Frauen und Kinder, vor dem
Wiederaufflammen der Kämpfe in der Stadt Dibebad in der vergangenen Woche
geflohen.
In
West-Kordofan sind die Mitglieder des arabischen Stammesverbandes der
Misseriya, die bisher mit den paramilitärischen Streitkräften der RSF verbündet
waren, angesichts des Vormarschs der regulären Armee (Sudan Armed Forces, SAF)
uneins darüber, ob sie die Rebellen weiterhin unterstützen oder sich mit den
Streitkräften in Khartum einigen sollen.
Zahl
der Cholera-Verdachtsfälle um 80 Prozent gestiegen
Nach
Angaben der Vereinten Nationen hat sich unterdessen die Cholera-Epidemie im
Bundesstaat Khartum (zu dem auch die Hauptstadt gehört) verschlimmert, wobei
die Zahl der Verdachtsfälle in den letzten zwei Wochen um 80 Prozent auf über
8.500 gestiegen ist. Obwohl die Weltgesundheitsorganisation einige medizinische
Hilfsgüter an die Krankenhäuser in Khartum geliefert hat, „ist noch viel mehr
nötig, um die Epidemie einzudämmen“, so Dujarric. (fides 1)