Webgiornale 16-28 febbraio 2025

Inhaltsverzeichnis

1.        L’Ue e gli assalti del trumpismo. 1

2.        Sicurezza, clima, migrazioni: l’agenda della Commissione von der Leyen 2. 1

3.        Il risvolto perverso delle politiche migratorie: blindano i confini e favoriscono la tratta di esseri umani 1

4.        Uno scontro senza precedenti nel Bundestag. 1

5.        Germania al voto il 23 febbraio. Come si elegge il Bundestag. 1

6.        Il passo falso di Merz fa tremare la Cdu. 1

7.        Il duello tv Scholz-Merz non ha vincitori: scintille sui migranti e accuse sull’AfD.. 1

8.        Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex-Radio Colonia. 1

9.        Lecce-Wolfsburg: il treno della speranza nell’arte di Croci Sisinni 1

10.  Brevi di cronaca e di politica tedesca. 1

11.  Un aiuto “politico” per il voto tedesco. Il Wahl-O-Mat per è online. 1

12.  La mostra “Italia Rand Tour” all’Istituto IIC di Amburgo fino al 28 febbraio. 1

13.  Corrispondenze. Lettera di Tizza (Düsseldorf) all’UE, sulla lingua italiana. 1

14.  Missione del Ministro Tajani a Monaco di Baviera per la Conferenza sulla Sicurezza. 1

15.  Fiera del Turismo di Stoccarda. L’Italia rimane fra le mete preferite. 1

16.  Il teatro italiano a Friburgo con il Consolato e la compagnia BRAT. 1

17.  In scena a Saarbrücken „Ich Alberich!”, con l’attore Michele Marotta. 1

18.  Il 18 febbraio all’IIC di Amburgo il libro “Denominazione di Origine Inventata”: 1

19.  Francoforte. Il Consolato invita a due importanti eventi 1

20.  145 organizzazioni alla CDU: “Non dividete ulteriormente la società”. 1

21.  A Neunkirchen i Fliednermusiktage: musica inclusiva negli ospedali psichiatrici 1

22.  L’invasione delle finte multe in Germania. 1

23.  Il caos di Trump: segno di potenza politica o debolezza?. 1

24.  Consiglio europeo: vertice dei 27. “Per la difesa fare di più e insieme”. 1

25.  La situazione. 1

26.  La ricorrenza. I 10 anni (intensi) di Sergio Mattarella al Colle. 1

27.  Liberarsi dalla dipendenza affettiva: ritrovare sé stessi con la meditazione e scrittura. 1

28.  “Click day” e Decreto Flussi, il documento del Tavolo asilo e immigrazione al governo. 1

29.  Rapporto sulle nascite in Italia, i dati del 2023. 1

30.  2025 La galassia del terrore. 1

31.  Analisi controcorrente. Riflessioni sulla fine della pazzia e della Terza Guerra Mondiale. 1

32.  Essere propositivi 1

33.  L’Europa di Giorgia Meloni: tra pragmatismo e spinte identitarie. 1

34.  Usa. Dazi a Messico, Canada e Cina, le dogane diventano muri alti 1

35.  L’obiettivo dell’asse Trump-Musk. 1

36.  L’Italia è la più amata dai turisti, ma online perde terreno: ecco cosa manca. 1

37.  I diritti 1

38.  Il progetto LEI a Saarbrücken, il grande dizionario etimologico italiano. 1

39.  La politica estera italiana in Medio Oriente dopo il 7 ottobre 2023. 1

40.  Il CGIE ha avviato le attività del 2025. 1

41.  La forza non viene dalla capacità di ritirarsi dalla vita. 1

42.  Italiani altrove. 1

43.  Meno studenti, più anziani: ecco come il declino demografico cambierà la mobilità. 1

44.  Turismo delle radici, un fenomeno in crescita. 1

45.  Nova Gorica –Gorizia, inaugurata dai Presidenti Mattarella e Pirc Musar la Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera. 1

46.  Sanremo unisce gli italiani nel mondo. 1

 

 

1.        Studie. Klimawandel verstärkt Migrationsdruck nach Deutschland. 1

2.        Münchner Anschlag: Staatsanwältin sieht islamistische Motivation. 1

3.        Auto fährt in Demo. „Schwarzer Tag für München“. 1

4.        Das giftige Erbe der Pandemie. 1

5.        47.000 Zurückweisungen. Bundesregierung verlängert Grenzkontrollen bis September 1

6.        Faeser sieht SPD und Union bei Migration nicht weit auseinander 1

7.        Wahlprogramme 2025 – Viele Geschenke, kaum Gegenfinanzierung. 1

8.        Italien: Toskana verabschiedet Gesetz zu Suizidbeihilfe. 1

9.        Vor der Wahl. Bundestag verabschiedet sich mit Schlagabtausch. 1

10.  Abtreibungsreform vorerst gescheitert 1

11.  Papst an KI-Gipfel in Paris: Wahrung der Menschenwürde achten. 1

12.  Verteilung von Asylsuchenden nach offenen Stellen kostet weniger. 1

13.  Mehr Patrioten, weniger Europa. 1

14.  Faktencheck. Was Merz und Scholz im TV-Duell zur Migration sagten. 1

15.  Umfragen. Migrationsstreit schadet Union nicht. 1

16.  Nahostexperte: Nicht alle können nach Syrien zurück. 1

17.  Gesundheitsrisiko: Gender Data Gap. 1

18.  Ministerpräsident von Rheinland-Pfalz Schweitzer beim Papst. 1

19.  Trump-Maßnahmen gegen USAID spalten. 1

20.  Menschenhandel: Stimmen und Geschichten der Hoffnung und Heilung. 1

21.  Migrationspolitik: Kirchlich aktive Unions-Mitglieder im Dilemma. 1

22.  Welche Auswirkungen haben Stopp der US-Hilfen für den Globalen Süden?. 1

23.  Razzien wegen Sozialbetrug. 1

24.  ifo Institut: Verteilung von Asylsuchenden an offenen Stellen ausrichten. 1

25.  Im Hintertreffen. 1

26.  Weltweit 230 Millionen Frauen von Genitalverstümmelung betroffen. 1

27.  Visionen für einen Neustart in der Gesundheitspolitik: 1

28.  Trump will US-Übernahme von Gaza. „Völlig den Verstand verloren“. 1

29.  Schulen als Orte der Demokratiebildung: Haltung zeigen statt Neutralität. 1

30.  Psychologin zu Migrationsdebatte: „Schaden ist bereits entstanden“. 1

31.  Nach Migrationsdebatte: Merz führt bei K-Frage, Zustimmung zu schwarz-blauer Koalition wächst. 1

32.  Im Notfall gilt die 112 - überall in der EU.. 1

33.  Worum geht’s? Wer will was bei Migration und wie soll das zusammenpassen?. 1

34.  Vielen Geflüchteten in DR Kongo fehlt jegliche Unterstützung?. 1

35.  Vatikan fordert Allianz für Kinderrechte. 1

36.  Rechte Beziehungspflege. 1

37.  Wilde neue Welt. 1

38.  Botschafterinnen gegen den Menschenhandel werben für Aktionen. 1

39.  Dritte Justiz-Niederlage. Meloni muss Flüchtlingslager in Albanien erneut räumen. 1

40.  Rechte führen neue Regierungskoalition in Belgien an. 1

41.  Lob für UBSKM-Gesetz. 1

42.  Die Brandmauer ist Merz auf den Kopf gefallen. 1

43.  Interview: So blickt der Osten Europas auf die Wahl in Deutschland. 1

 

 

 

L’Ue e gli assalti del trumpismo

 

Ancora non abbiamo digerito del tutto le elezioni americane, che già si profilano all’orizzonte quelle anticipate del 23 febbraio in Germania. Sembrano eventi lontani nel tempo e geograficamente agli antipodi, ma in realtà costituiscono entrambi le facce della stessa medaglia. Esse infatti rappresentano, da una parte, il futuro dei rapporti fra Unione europea e Stati Uniti e, dall’altra, la capacità dell’Ue di resistere agli assalti del trumpismo e di mantenere, se non approfondire, la propria unità. 

Ma prima di tutto le prossime elezioni in Germania ci diranno quale sarà il futuro politico di questo paese, che rimane chiave nei confronti dell’intera Europa. Oggi a preoccuparci sono due fatti concomitanti. Il primo è la crisi sistemica dell’economia tedesca: quasi il 20% delle imprese tedesche lavora a ritmi ridotti e almeno 1/3 delle grandi industrie, soprattutto nel comparto automobilistico, hanno avviato licenziamenti e chiusura di impianti. L’arrivo di Trump, che come è noto teme le auto tedesche che inondano il mercato americano, non fa che rendere ancora più pessimistiche le prospettive dell’industria tedesca nell’eventualità di forti dazi statunitensi. Per un’economia ampiamente basata sull’export, la sola menzione di dazi o di aiuti di stato alle industrie concorrenti (vedi il caso Cina) è una minaccia rovinosa. 

L’AfD è per l’Ue una grande novità ed un’imminente minaccia

Il secondo fatto che rischia di indebolire il “modello” politico tedesco è l’impetuosa crescita, sia nei Länder dell’Est ma anche a livello nazionale, delle forze estremiste di destra, in particolare del partito “neo nazista” AfD di Alice Weidel. Già la destra fa da padrona in Austria, Italia, Ungheria e Slovacchia, tanto per citare i paesi dell’Ue che più si rapportano con la Germania, e uno scivolamento tedesco ancora maggiore verso quell’area estrema è fonte di non poche preoccupazioni a Bruxelles e nelle altre capitali europee. 

È quindi comprensibile lo scandalo suscitato dagli ormai ripetuti interventi in totale sostegno dell’AfD e della sua leader Alice Weidel da parte di Elon Musk, il supertrumpiano consulente e collaboratore del nuovo presidente americano. I suoi sfacciati interventi nella campagna elettorale di un paese “amico” fanno impallidire le accuse di interferenze, temute ma non sempre dimostrate, della Russia di Vladimir Putin nelle elezioni dei paesi occidentali, Germania compresa. 

È quindi abbastanza evidente come per Berlino il prossimo appuntamento elettorale si preannunci come decisivo per il ruolo tedesco in Europa nei prossimi anni. A parte l’AfD, che rappresenta la grande novità e un’imminente minaccia, il resto dello scenario partitico tedesco rimane sostanzialmente invariato, con i Verdi e i Liberali al difficoltoso inseguimento delle due tradizionali forze trainanti, i democratico-conservatori della CDU/CSU e i socialdemocratici della SPD. Questi ultimi, in realtà, scontano l’inadeguatezza del loro leader-cancelliere Olaf Scholz, dalle cui dimissioni sono nate le elezioni anticipate. 

Tutto si concentra quindi sulla CDU e sul suo leader Friedrich Merz, figura non certo nuova essendo stato già anni fa un acerrimo nemico e concorrente di Angela Merkel, cui oggi rimprovera sia gli accordi sull’energia con Vladimir Putin che l’apertura nel 2015 ad oltre un milione di immigrati siriani in fuga dalla repressione di Bashar al-Assad. In effetti, ancora oggi a dominare la campagna elettorale è il tema dell’immigrazione, su cui l’AfD ha creato la propria forza nel paese. Per non farsi scavalcare a destra, sia i socialdemocratici di Scholz sia, a maggior ragione, i conservatori di Merz hanno elaborato proposte volte a bloccare l’immigrazione alle frontiere e a rendere particolarmente difficile la richiesta di asilo. 

Le nuove sfide per il futuro cancelliere Merz

A soffiare sul fuoco è ancora una volta Elon Musk che, proprio nell’80° anniversario dell’olocausto, ha invitato i tedeschi (e l’AfD) a “liberarsi delle colpe del passato” e a combattere per preservare la cultura e sovranità tedesca.  Al di là della indecente provocazione, ciò che colpisce è come il tema dell’immigrazione sia di fatto un argomento cruciale, come dimostra la vittoria di Trump negli Usa e le sue draconiane misure di deportazione dei clandestini al di fuori dei confini americani. Un allarme per un’Unione alle prese da anni con questo argomento e incapace di darsi regole e politiche comuni, lasciando a ciascun paese membro l’onere di risolvere (o cercare di risolvere) per proprio conto una questione chiaramente strutturale e di lungo periodo.

Ma certo per il futuro cancelliere tedesco le questioni da affrontare saranno molte altre, tutte enormemente difficili e di grande responsabilità. Friedrich Merz ha cercato di delineare il suo programma interno ed estero, ad iniziare dalla ripresa delle competitività industriale tedesca ed europea, magari aprendo uno spiraglio ad eventuali eurobond e a modificare la previsione costituzionale tedesca sul pareggio obbligatorio del bilancio. Stesso discorso sul piano della difesa, dove Berlino dovrà superare sia i vincoli costituzionali che di bilancio per operare pienamente anche in questo settore, la cui prospettiva dovrebbe essere tuttavia europea. Di qui la ricerca di paesi alleati con cui avviare concretamente l’abbozzo di una difesa comune: il cosiddetto “formato di Varsavia”, composto da Polonia, Germania, Francia (i tre del gruppo di Weimar) con l’aggiunta di Gran Bretagna, Italia e Spagna. Un nucleo di paesi intorno a Berlino che dovrà allo stesso tempo tenere rapporti equilibrati con Washington, sostenere l’adesione dell’Ucraina all’Ue e contenere l’aggressività di Mosca. Insomma, quelle tedesche saranno elezioni per noi ben più importanti delle vicende americane, anche se le due rimangono inevitabilmente legate fra di loro. Gianni Bonvicini

 AffInt 11

 

 

 

Sicurezza, clima, migrazioni: l’agenda della Commissione von der Leyen 2

 

Il 2024 è stato l’anno delle “grandi elezioni”. Quasi quattro miliardi di persone – poco meno della metà della popolazione mondiale – sono state chiamate alle urne in ben 72 paesi. Tra questi, i cittadini dei paesi membri dell’Unione europea, che a giugno hanno eletto il Parlamento europeo ponendo così le basi per il rinnovo delle massime cariche continentali per la legislatura 2024-2029. Le elezioni hanno portato al conferimento di un secondo mandato alla Presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen a luglio, il cui esecutivo è stato confermato dal Parlamento a fine novembre. 

Il contesto in cui la seconda Commissione von der Leyen si trova ad operare è significativamente diverso da quello che aveva caratterizzato il primo mandato della Presidente. Lo scoppio di un conflitto su ampia scala sul suolo europeo a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, i nuovi venti di guerra in Medio Oriente, il rafforzamento delle destre di varia matrice in Europa e la rielezione di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti pongono con forza nuovi temi al centro del dibattito politico europeo. In particolare, se nel suo discorso al Parlamento europeo del 2019 von der Leyen aveva posto l’enfasi su mega-trend quali cambiamento demografico, globalizzazione, digitalizzazione e – soprattutto – cambiamento climatico, nel 2024 il focus è stato incentrato sulla necessità di “proteggere” la prosperità, la competitività e la democrazia di cui godono i cittadini europei.

L’obiettivo di Ursula von der Leyen di preservare e rilanciare la competitività europea 

La difesa del continente – a livello di valori, di sicurezza economica, di coesione sociale, ma anche molto concretamente da un punto di vista militare – è uno dei temi cardine della piattaforma politica della seconda Commissione von der Leyen. Non a caso, per la prima volta la Commissione annovera tra le sue file un Commissario per la Difesa e lo Spazio, l’ex primo ministro lituano Andrius Kubilius. In parallelo, il riconoscimento della necessità di far fronte al cambiamento climatico si associa ora più esplicitamente all’imperativo di preservare e rilanciare la competitività europea, per evitare di restare indietro nella “corsa” che caratterizza l’economia globale, richiamando le sollecitazioni proposte dal Rapporto Draghi sulla competitività europea. Infine, il tema delle migrazioni viene adesso affrontato non solo alla luce dell’ambizione di garantire dei “confini umani” e di contrastare l’immigrazione irregolare e il traffico degli esseri umani, ma anche nella direzione sempre più esplicita di aumentare la sicurezza dei confini esterni dell’Unione e di lavorare con paesi terzi sul tema dei rimpatri. Significativa in questo senso la decisione di includere nella commissione una Commissaria per il Mediterraneo, Dubravka Šuica. Leo Goretti, AffInt 4

 

 

 

 

 

 

Il risvolto perverso delle politiche migratorie: blindano i confini e favoriscono la tratta di esseri umani

 

Almeno 50 milioni nel mondo le persone soggette a schiavitù, quasi 120 milioni i migranti forzati, 25 milioni gli adulti e minori sottoposti a tratta, con circa 2,5 milioni di nuove vittime all’anno. Servono politiche migratorie che mettano al centro le persone e i diritti umani fondamentali. 

Nella 11ª Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, istituita nel 2015 da Papa Francesco in ricordo di santa Giuseppina Bakhita, suora sudanese vittima di tratta, il Centro Studi e Ricerche IDOS aderisce all’invito di sentirsi e agire come “Ambasciatori di speranza. Insieme contro la tratta di persone”.

 

La giornata è l’occasione per rimettere ordine nel vociare, spesso volutamente confuso, che ruota attorno al tema delle migrazioni e che, rovesciando totalmente le priorità umane, etiche e giuridiche, antepone la difesa dei confini alle vite in carne ed ossa di donne, uomini e minori: vite sacrificate alla ragion di Stato, ridotte a oggetto di scambio e contrattazione internazionale, ignorate nelle loro sofferenze e speranze, violate nel rispetto dei loro diritti più elementari. 

 

Secondo l’Onu sono almeno 50 milioni le persone vittime di schiavitù nel mondo (lavoro forzato, sfruttamento sessuale e lavorativo, attività illecite, accattonaggio), in particolare donne, bambini, migranti e rifugiati: 1 vittima su 3 è un minore e, nello sfruttamento sessuale, quasi 8 su 10 sono donne. Eppure, i Paesi europei destinatari dei flussi migratori si rappresentano come vittime dei movimenti di persone e si organizzano per aggirare e rendere ineffettivo il diritto internazionale, faticosamente costruito nel Novecento sulle ceneri delle atrocità della Seconda guerra mondiale. 

 

Guerre, povertà, disuguaglianze, crisi climatiche, persecuzioni hanno portato le persone costrette alla migrazione forzata a quasi 120 milioni; parallelamente, il proibizionismo migratorio e l’esternalizzazione delle politiche di contrasto – affidate a Stati terzi quasi mai rispettosi dei diritti umani – rendono le rotte migratorie verso l’Ue sempre più pericolose e letali, favorendo la caduta nelle reti del traffico e dello sfruttamento di esseri umani.

 

La tratta transnazionale, diretta in gran parte verso l’Europa, è un mercato che alimenta potenti organizzazioni criminali, al pari del traffico di armi o di stupefacenti, spesso grazie all’interconnessione tra questi fenomeni. L’Oil stima che ogni anno nel mondo ci siano circa 2,5 milioni di nuove vittime e che queste siano in totale 25 milioni.

 

Le donne sono tra le più esposte, a causa della loro appartenenza di genere, dei sistemi socio-culturali dei contesti di provenienza, dell’esposizione a sfruttamento e violenza (sessuale, ma non solo) durante il viaggio e nei Paesi di destinazione.

 

I dati scarseggiano, per la difficoltà di intercettare un fenomeno così complesso, ma nel quinquennio 2017-2021 il database del Counter Trafficking Data Collaborative ha registrato circa 29.000 vittime di tratta a livello europeo, nel 53% dei casi a scopo di sfruttamento lavorativo e nel 43% per sfruttamento sessuale. L’84% sono adulti, per il 66% donne, ma vi è anche un 16% di minori. Altri dati della Commissione Europea (Data collection on trafficking in human beings in the EU) evidenziano che le donne sono la quasi totalità (92%) delle vittime per sfruttamento sessuale, mentre gli uomini costituiscono oltre i due terzi (68%) di quelle per sfruttamento lavorativo.

 

Nell’ultimo decennio i canali di ingresso delle vittime di tratta si sono intrecciati con le rotte delle migrazioni non programmate, utilizzate dalle organizzazioni criminali per introdurre in Italia e in Europa anche persone destinate allo sfruttamento. Così, i reati di traffico di migranti (migrant smuggling) e tratta di esseri umani (human trafficking) si fondono pericolosamente e diventano sempre meno distinguibili.

 

Diventa quindi essenziale riconoscere le vittime di tratta e sfruttamento, favorirne l’emersione e avviarle a percorsi di accoglienza protetti. 

 

L’Italia ha un sistema di identificazione delle vittime ancora poco efficace e un sistema di tutela estremamente frammentato, anche per l’assenza di una banca dati centrale. Mancano un nuovo piano d’azione nazionale contro la tratta, la nomina di un relatore ad hoc, il riconoscimento degli indennizzi alle vittime, le tutele legali per proteggerle dai reati cui siano state indotte da trafficanti e sfruttatori.

 

Secondo l’ultimo Report del Numero Verde Nazionale Antitratta, nel 2023 le nuove prese in carico realizzate dal Sistema Antitratta sono state 762 (a fronte delle 861 del 2022) e la Nigeria si conferma il primo Paese di origine delle persone assistite dai progetti, insieme a Marocco, Pakistan, Costa d’Avorio, Brasile, ma anche Bangladesh, Tunisia, Senegal, Mali. 

Stupisce, poi, il numero limitatissimo di stranieri titolari di permessi di soggiorno “per casi speciali” rilasciati a immigrati vittime rispettivamente di:

 

- grave sfruttamento lavorativo: 71 titolari a fine 2023, il che, considerando anche i 69 dell’anno precedente, ha dell’incredibile in un Paese in cui le forme di grave sfruttamento occupazionale degli stranieri, anche sotto caporalato, sono divenute pervasive, evidenziando la debolissima capacità di intercettare le vittime;

 

- tratta e sfruttamento, anche connessi a riduzione in schiavitù, a fini di commercio di manodopera, prostituzione o prelievo d’organi: solo 175 casi, contro i 202 del 2022;

 

- violenza domestica (sia essa fisica, sessuale, psicologica o economica, perpetrata anche da ex partner non necessariamente co-residenti): 169 casi, a fronte dei 131 del 2022.

 

La Convenzione del Consiglio d’Europa n. 197 del 2005 sulla lotta alla tratta di esseri umani ha introdotto importanti obblighi a carico degli Stati: identificare le vittime di tratta, dotare le autorità competenti di personale formato e qualificato, garantire alle vittime il diritto di recupero e riflessione e misure di assistenza e protezione, a prescindere dalla collaborazione della persona con le autorità.

 

Le scelte dell’Italia e dell’Ue vanno purtroppo in senso opposto, rispondendo in termini repressivi a tutti i migranti: volontari o forzati, liberi o sottoposti a tratta.

“Nella giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone – sostiene Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – non bastano la commozione o le parole di circostanza: servono urgentemente azioni concrete di giustizia, decisioni e politiche che tutelino i diritti di chi migra, senza prolungarne inutilmente il viaggio e le sofferenze pur di tenerle lontane, affinché invece dei muri e dei fili spinati si costruiscano le condizioni per una effettiva liberazione dalla schiavitù e dallo sfruttamento”. Idos 7

 

 

 

 

Uno scontro senza precedenti nel Bundestag

 

È stato un dramma in due atti, ciascuno con un epilogo diverso, pieno di tensioni, incertezze e paure. Alla fine, dopo un dibattito estenuante protrattosi sul palco e dietro le quinte con tanti colpi di scena, il sipario è calato su una conclusione chiara e densa di significato. Delusi gli uni, felici gli altri. E se il Bundestag potesse parlare, anche lui esprimerebbe soddisfazione per aver superato una difficile prova di vitalità della democrazia.

Quello che si è svolto nel Parlamento di Berlino, sotto la cupola trasparente di Norman Foster, tra mercoledì e venerdì, è uno scontro senza precedenti per intensità e partecipazione. In discussione c’era il tema dell’immigrazione, prima sotto forma di orientamenti non vincolanti illustrati in una mozione, poi sulla base di un articolato disegno di legge sottoposto all’esame dei deputati tedeschi: linee guida e norme più restrittive della normativa vigente su controlli alle frontiere nazionali, poteri delle forze dell’ordine e respingimenti degli immigrati illegali. In entrambi i casi, l’iniziativa parlamentare era stata della Cdu/Csu, il cui presidente Friedrich Merz, impegnato nella campagna elettorale per il voto del 23 febbraio, è nettamente in testa in tutti i sondaggi e accreditato come assai probabile prossimo Cancelliere federale. Materia controversa e gravida di implicazioni di vario genere, specie per la Germania con la sua consistente presenza di cittadini stranieri o di origine straniera.

In Parlamento, dopo vari rinvii, si arriva così al nodo politico più rischioso e difficile da sciogliere. Le proposte di Merz sono osteggiate da Spd, Verdi e Linke e invece appoggiate dalla AfD, oltre che dai liberali e dai rosso-bruni di Sahra Wagenknecht (nati da una costola dell’estrema sinistra, ma a loro agio accanto alla destra radicale in tema di controllo dei migranti). Per la Cdu/Csu, il cordone sanitario – che sinora ha protetto i partiti democratici da un’estrema destra con venature neo-naziste e ha evitato rigorosamente ogni ipotesi di convergenza parlamentare con l’AfD –, non può paralizzare il varo di una legge più severa, ritenuta essenziale e apparentemente reclamata dalla maggioranza dell’opinione pubblica tedesca. “Non guardo né a destra né a sinistra, ma solo dritto davanti a me”, proclama con tono di sfida Friedrich Merz, aggiungendo che una legge non può essere sbagliata solo perché condivisa da “persone sbagliate”, ma le cose non sono così semplici.

Il dibattito sull’immigrazione e le ombre dell’AfD

È vero che in questi mesi l’intera Germania ha assistito sgomenta a una serie di attentati letali da parte di immigrati irregolari, a Mannheim, Solingen, Magdeburg e, da ultimo, a Aschaffenburg, dove ha perso la vita anche un bambino di due anni, ucciso a coltellate. L’esigenza di un controllo dell’immigrazione irregolare è diffusa e riconosciuta da tutte le forze politiche, a prescindere dalla campagna elettorale in corso. Il problema è con quali strumenti assicurarlo, in conformità con il diritto nazionale e europeo. Certamente la campagna elettorale e la congiuntura negativa  dell’economia alimentano altre tensioni. La questione dei migranti, connessa agli aspetti di integrazione, occupazione e sicurezza è prioritaria per molti, la politica ne deve tener conto. Lo spettacolo offerto dal Bundestag in queste due giornate di fuoco dimostra però che il dibattito sulla regolamentazione dell’ingresso dei migranti ha ceduto il passo allo scontro sull’agibilità politica dell’estrema destra. Su questo, all’atto dell’esame della mozione di mercoledì, si è formata una maggioranza a favore, che comprendeva per la prima volta i voti determinanti dell’AfD. Non è cosa da poco, al di là degli imbarazzati distinguo di Merz nei confronti dei nuovi compagni di strada.

La maggioranza è mancata sul testo di legge. La proposta, nonostante il supporto di Cdu/Csu, liberali e AfD, è stata respinta (350 voti contro 338). Pessimo risultato per Merz; ne escono confortati Spd, Verdi e Linke, fortemente contrari ad accomodamenti con la destra radicale, così come a una stretta di dubbia costituzionalità sull’immigrazione irregolare. Ogni tentativo di comporre un’intesa tra i partiti al di qua del cordone sanitario è stato vano, tra recriminazioni incrociate. Nella concitazione dell’aula e della piazza, il voto di venerdì dice che a Berlino non c’è preoccupazione che giustifichi una normalizzazione dei rapporti con l’AfD. Le ombre del passato restano pesanti. Di migranti si dovrà parlare ancora, ma senza concessioni ai nemici della democrazia. Michele Valensise, AffInt 4

 

 

 

 

Germania al voto il 23 febbraio. Come si elegge il Bundestag

 

I deputati del Bundestag tedesco, il parlamento federale della Germania, vengono scelti attraverso un processo elettorale basato su principi saldamente ancorati alla Costituzione. L’articolo 38, comma 1, della Grundgesetz (Legge fondamentale) stabilisce che l’elezione debba essere generale, diretta, libera, uguale e segreta.

Ma cosa significano esattamente questi principi? E come vengono messi in pratica?

Tutti i cittadini tedeschi possono partecipare

Il principio della generalità garantisce che, in linea di principio, tutti i cittadini tedeschi abbiano il diritto di voto. Questo diritto è indipendente dal sesso, dal reddito, dalla religione, dalla professione o dalle convinzioni politiche. Per essere elettori, tuttavia, bisogna soddisfare alcuni requisiti:

– Avere la cittadinanza tedesca secondo la Legge fondamentale;

– Aver compiuto 18 anni al momento delle elezioni;

– Risiedere in Germania da almeno tre mesi;

Non essere esclusi dal diritto di voto per motivi legali specifici.

Anche i cittadini tedeschi che vivono all’estero, noti come „Auslanddeutsch – tedeschi all’estero“, hanno diritto al voto, purché soddisfino determinati criteri. Tuttavia, a differenza dei residenti in Germania, devono richiedere esplicitamente l’iscrizione al registro elettorale del comune competente per poter esercitare questo diritto.

Elezioni dirette: nessun intermediario tra elettori e deputati

In Germania, gli elettori scelgono direttamente i loro rappresentanti. Questo principio di immediatezza esclude la presenza di organi intermedi come avviene, ad esempio, negli Stati Uniti, dove i cittadini votano per i grandi elettori che a loro volta eleggono il presidente. Nel sistema tedesco, ogni voto va direttamente a determinare la composizione del Bundestag.

Libertà di voto: una scelta senza pressioni

Il principio della libertà di voto garantisce che gli elettori possano esprimere la propria volontà senza coercizioni o influenze indebite. Ogni cittadino è libero di scegliere se votare, per chi votare o di non votare affatto. La libertà elettorale è protetta dalla legge, che vieta qualsiasi forma di pressione, intimidazione o manipolazione esterna.

Uguaglianza: ogni voto ha lo stesso valore

L’uguaglianza è un principio cardine delle elezioni tedesche. Ogni elettore dispone dello stesso numero di voti e ogni voto ha identico peso nel determinare la composizione del parlamento. Questo concetto, noto come „parità di valore numerico“, assicura che tutti i cittadini abbiano un’influenza uguale sull’esito elettorale. Tuttavia, il principio è leggermente limitato dalla soglia di sbarramento del 5%, che impedisce ai partiti con meno del 5% dei voti di ottenere seggi, per garantire la stabilità del sistema politico.

Segretezza: un voto protetto da occhi indiscreti

La segretezza del voto è un pilastro fondamentale della democrazia tedesca. Ogni elettore deve poter esprimere la propria scelta senza che questa sia conoscibile da altri. Per garantire ciò, si vota in cabine elettorali chiuse e le schede elettorali vengono piegate prima di essere depositate nelle urne.

Controllo e contestazioni: il sistema di verifica elettorale

Ogni cittadino avente diritto di voto può contestare le elezioni se ritiene che uno o più dei principi fondamentali siano stati violati. I ricorsi vengono presentati al Bundestag, il cui Comitato per la verifica delle elezioni analizza i casi e formula una decisione. Contro la decisione del Bundestag è possibile ricorrere alla Corte costituzionale federale. CdI on. 7

 

 

 

 

Il passo falso di Merz fa tremare la Cdu

 

Il candidato cancelliere in Germania ha sbagliato i calcoli. Sondaggi incerti: ma il sentimento anti-migranti può aiutarlo - di Mara Gergolet

BERLINO - E adesso, Friedrich Merz? È il titolo di un grande giornale berlinese, il Tagesspiegel, ma anche il riassunto di una settimana memorabile della politica tedesca. Dove emergono due punti fermi. Senza dubbio, il candidato cancelliere dei cristiano-democratici (Cdu), esce ridimensionato dopo la sua decisione di mettere ai voti una legge anti-immigrazione, puntando sui «sì» dell’estrema destra AfD. Il fatto che una decisione così di «rottura» sia stata bocciata, anche per la resistenza nel suo partito, dimostra che ha sbagliato i conti e la strategia, e intacca la sua autorevolezza. Tanto più per una figura che dovrebbe guidare non solo la Germania, ma essere un riferimento per tutta la Ue. L’altro punto però è la domanda: quanto questo peserà sui sondaggi? O meglio, le macerie che si lascia dietro Merz avranno un effetto sugli elettori, o invece l’aver colto un certo spirito del tempo e puntato sull’effetto anti-immigrazione lo lascerà passare indenne attraverso questa débâcle parlamentare?

Merz ha reagito con calma, anche se è noto per le reazioni impulsive. Ha detto, uscendo dal Bundestag, che è stata una settimana «piena di emozioni», dalla quale Cdu/Csu escono «rafforzate». Sull’immigrazione, ha sostenuto, le persone ora sanno cosa pensano i partiti: «E noi perlomeno ci abbiamo provato».

Preoccupazione nel partito

Le cronache e i retroscena dei giornali però parlano di preoccupazione nella Cdu. Alcuni alti esponenti, scrive il Tagesspiegel, temevano un «Super-GAU», un mega-disastro. Toccare i sentimenti sull’estrema destra, aggirare il muro tagliafuoco su singoli temi — pur dichiarando impossibile l’alleanza — è comunque per milioni di tedeschi inaccettabile. E molti nella Cdu si sono stupiti di come Merz abbia così poco considerato le conseguenze.

Il partito però tiene. Merz ha detto di essersi sentito «ben supportato e a suo agio». I dodici deputati che si sono rifiutati di votare la legge, non presentandosi in aula, appartengono all’ala sinistra, merkeliana. Hanno però evitato lo sgarbo di votargli contro. Restiamo compatti, la parola d’ordine.

In realtà, un dubbio alleggia. Se Merz andrà male, se calerà ancora nei sondaggi, arriverà una mossa da Monaco di Baviera? O detto altrimenti, si può proprio stare tranquilli che Markus Söder, il grande capo della Csu, non coltivi ancora qualche ambizione, se le cose dovessero precipitare? La Bild, che resta un metronomo della politica, ieri ha intervistato proprio Söder. Lui promette piena lealtà alla Cdu: «Friedrich Merz ha preso una decisione cruciale sulla questione migratoria. La Csu lo sostiene, nessun deputato della Csu era assente nel Bundestag». Ha assicurato: «I nostri partiti, e io personalmente, garantiamo: non ci sarà mai alcuna collaborazione con l’AfD. L’AfD è il nemico della nostra democrazia, un avversario del sistema. In gran parte, l’AfD è di estrema destra, ostile alla Costituzione e danneggia gravemente il nostro Paese con i suoi piani assurdi». Tutti ricordano, nel campo cristiano-democratico, quanto sono costati cari 4 anni fa i litigi tra la Cdu e i bavaresi: la guida del Paese.

Il Congresso di domani

Lo scenario, molto teorico, per ora è questo. Dovesse precipitare Merz, o rompersi i suoi rapporti con la Spd o i Verdi, forse a formare il governo potrebbe essere un altro, per esempio proprio Söder o il 50enne Hendrik Wüst. Merz scaccia queste ipotesi come follie, i rapporti con la Spd e i Verdi, ha detto venerdì, sono «corretti». «Sono certo che, dopo le elezioni potremo avere colloqui costruttivi». Domani ci sarà il Congresso della Cdu a Berlino: per ora, la compattezza attorno a Merz è assicurata. CdS 2

 

 

 

 

Merz al Congresso Cdu: “Mai con Afd”. Ma l’ombra della destra radicale resta

 

Il leader cristiano-democratico ribadisce il no alla collaborazione con l’estrema destra, mentre la Germania protesta in piazza per salvare il 'cordone sanitario'

 “Non collaboreremo con Afd, né prima, né dopo, mai“. Lo ha chiarito e ribadito Friederich Merz, leader dei cristiano-democratici tedeschi (Cdu), scatenando un’ovazione da parte dei 1001 delegati del suo partito riuniti in Congresso ieri a Berlino. Nel frattempo, decine di migliaia di cittadini scendevano in piazza per protestare contro lo spiraglio aperto da Merz all’estrema destra la scorsa settimana, chiedendo di mantenere il BrandMauer, il cordone sanitario storicamente messo in atto contro i partiti più radicali.

Antefatto: mercoledì 29 gennaio Merz ha ‘accettato’ i voti di Alternative für Deutschland (Afd) per far passare al Bundestag una mozione sui migranti. Era la prima volta che un provvedimento, per quanto non vincolante, passava con i voti di una formazione tanto discussa e considerata tanto pericolosa come lo è questa, vicina al neo-nazismo e monitorata dall’intelligence in quanto forza anti-democratica.

Venerdì poi il Parlamento tedesco ha rigettato l’analoga proposta di legge dei conservatori, ma ormai il danno era fatto. La breve convergenza tra Cdu e Afd infatti ha fatto temere che potesse essere il preludio della rottura del cordone sanitario e dunque di un’alleanza di governo, dopo il voto nazionale in programma per il 23 febbraio.

Merz e Söder chiudono a Afd

Merz, travolto dalle critiche, ha colto l’occasione del Congresso per confermare una posizione già espressa altrove: “Afd si oppone a tutto ciò che il nostro partito e il nostro Paese hanno costruito in Germania negli ultimi anni e decenni, si oppone ai legami occidentali, all’euro, alla Nato”. “Non c’è cooperazione, non c’è tolleranza, non c’è un governo di minoranza: niente“, ha detto Merz, che è il candidato favorito per la cancelleria alle prossime elezioni.

Anche Markus Söder, leader della Csu, sorella bavarese della Cdu, è intervenuto al Congresso: “Non dobbiamo lasciare il nostro Paese all’Afd. Continuiamo a dire no, no e no a ogni forma di cooperazione con Afd“. Poi l’affondo contro il cancelliere socialdemocratico uscente: “Olaf Scholz non è adatto a continuare a guidare il nostro Paese, in alcuna circostanza”.

Il Congresso si è stretto attorno a questa posizione e anche se in molti nella Cdu, come scrive l”Hamburger Abendblatt’, non hanno digerito l’iniziativa su Afd di Merz, oggi, a meno di tre settimane dalle elezioni, nessuno sembra voler danneggiare il leader del partito con critiche o accuse pubbliche.

Secondo gli ultimi sondaggi la Cdu è in calo al 29-30% dei voti, rispetto al 35% registrato a fine 2024, mentre Afd è cresciuta al 21-22%.

Impennata di iscrizioni ai Verdi e alla Linke

Il sospetto che la mossa di Merz di cavalcare il tema immigrazione inasprendo le proprie posizioni per non lasciare il monopolio ad Afd potesse rivelarsi un boomerang è apparso subito fondato.

Ed è stato confermato, oltre che dalle critiche, dall’impennata di iscrizioni ai Verdi e alla Linke (la Sinistra) registrata proprio dopo la tumultuosa seduta del Bundestag e lo ‘strappo’ della Cdu rispetto al tabù della collaborazione con l’Afd.

Tra mercoledì scorso e domenica i Verdi – che hanno visto il loro indice di gradimento subire un brusco calo durante il periodo di governo all’interno della coalizione litigiosa e impopolare con i Socialdemocratici e i Liberali – hanno ricevuto un numero record di 5mila richieste di adesione.

Spiegando il fenomeno, la direttrice politica dei Verdi, Pegah Edalatian, ha dichiarato alla Dpa che “molte persone sono scioccate dalla cooperazione di Friedrich Merz con Afd“.

Da parte sua Die Linke, che nei sondaggi langue al di sotto della soglia del 5% necessaria in Germania per conquistare seggi in parlamento, ha fatto registrare oltre 11mila nuovi iscritti nelle ultime settimane. Alla data di lunedì, il partito contava 71.277 membri, in aumento rispetto ai 60.060 del 18 gennaio e il numero più alto dal 2010, ha dichiarato un portavoce.

Merz: “Pronto a far progredire nuovamente il Paese”

Ma Afd non è stato l’unico punto di cui si è discusso al Congresso. Anche l’economia ha tenuto banco, con il Paese in recessione da due anni. Merz si è dichiarato “pronto a far progredire nuovamente il Paese” e ad impegnarsi a “mettersi al lavoro senza indugi e ad affrontare alla radice le cause dei problemi che hanno paralizzato la Germania per così tanto tempo”.

La Cdu inoltre ha adottato all’unanimità il ‘Programma di azione immediata‘ di ‘prosperità e sicurezza’, un piano in 15 punti da attuare una volta al governo in caso di vittoria. Voluto dallo stesso Merz, sarà la base su cui verranno avviati negoziati di coalizione.

“Garantisco agli elettori tedeschi che ci sarà una vera svolta nella politica economica e in quella dell’asilo”, ha dichiarato domenica il candidato cancelliere della Cdu/Csu alla Bild am Sonntag.

E sull’immigrazione non torna indietro: “La politica migratoria non può continuare così”.

I 15 punti dell’azione di governo della Cdu

Ecco i 15 punti alla base dell’azione di governo

Priorità alla competitività e alla prosperità

1.      Riduzione dell’imposta sull’elettricità e le tariffe di rete per almeno 5 centesimi per kWh.

2.      Riduzione della burocrazia: meno rappresentanti aziendali, niente più obblighi di ricevuta, abolizione della regolamentazione tedesca della catena di fornitura e gli oneri della legge sull’efficienza energetica.

3.      Orario di lavoro massimo settimanale invece che giornaliero per rendere il lavoro più flessibile per dipendenti e aziende.

4.      Straordinari esentasse

5.      Pensione attiva: chi continua a lavorare volontariamente dopo il pensionamento riceverà fino a 2.000 euro al mese esentasse.

6.      Riduzione al 7& dell’imposta sulle vendite di prodotti alimentari nei ristoranti e nei pub

7.      Reintroduzione integralmente il rimborso del diesel agricolo

8.      Abolizione della legge sul riscaldamento, che stabilisce il divieto nei prossimi anni di installare gli impianti di riscaldamento a gas e a gasolio

9.      Dimezzamento del numero dei rappresentanti del governo

Sicurezza per le persone in Germania

10.     Memorizzazione degli indirizzi IP per combattere gli abusi sui bambini.

11.     Braccialetti elettronici alla caviglia per fermare i colpevoli di violenza contro le donne

12.     Contro l’immigrazione clandestina, attuazione del piano in cinque punti di Merz (ovvero quello approvato mercoledì scorso grazie a Afd, che prevede ad esempio controlli permanenti alle frontiere, espulsione di tutti gli stranieri che arrivano senza documenti, compresi i richiedenti asilo, detenzione illimitata e limitata nel tempo per i criminali e per coloro che rischiano di lasciare il Paese).

13.     Approvazione della legge sulla limitazione dell’afflusso (ovvero quella bocciata venerdì): la ‘limitazione’ diventa l’obiettivo legale chiaro, la polizia federale deve avere più poteri.

14.     Abolizione della legge sulla cittadinanza approvata dal governo Scholz

15.     Abolizione della legge che legalizza parzialmente la cannabis voluta dalla coalizione semaforo.

Le manifestazioni di piazza

Intanto ieri, come anticipato, un fiume di persone si è riversato in piazza, a Berlino e in altre città, facendo seguito alle manifestazioni che si erano già tenute la settimana scorsa. Anche Angela Merkel era intervenuta con una delle sue rarissime esternazioni a rimproverare il leader cristianodemocratico per il ‘voltafaccia’ sul tema della collaborazione con l’Afd.

A Berlino almeno 160mila persone secondo le stime della polizia – 250mila secondo gli organizzatori – hanno protestato contro il rischio di rottura del cordone sanitario, con una partecipazione altissima tra i più giovani.

Sui cartelloni si potevano leggere diversi slogan, su tutti “Salvate il Brandmauer“. Su un manifesto campeggiava la scritta “Merz come von Papen“, facendo riferimento al cancelliere che aprì a Hitler, e su un altro ancora c’era un bacio tra Merz e Alice Weidel, leader di Afd, che ricordava la celebre foto del bacio tra Honecker e Breznev, i due leader del blocco comunista, nel 1979, ripresa anche in un murale realizzato nel 1990 lungo una porzione di quello che rimane del Muro di Berlino.

“È ovvio che ci confrontiamo con i dimostranti pacifici. Noi parliamo con gli avversari politici. E portiamo le discussioni dove è giusto che si facciano: e cioè nell’aula del Bundestag tedesco. È dunque uno sviluppo del tutto normale che vi siano adesso delle controversie in Germania“, ha commentato il leader della Cdu. Adnkronos 5

 

 

 

 

Il duello tv Scholz-Merz non ha vincitori: scintille sui migranti e accuse sull’AfD

 

Due settimane dalle elezioni, il leader Cdu apre sul freno al debito. L’ombra della grande coalizione - di Mara Gergolet

BERLINO - «Lei non tiene la parola». «E lei non vive nella realtà».

Olaf Scholz accusa Friedrich Merz di quello che per molti in Germania è imperdonabile, non solo in politica: di non mantenere la parola data. Nel caso specifico, poi, quella di non fare mai alleanze, o di non votare in Parlamento, con l’estrema destra dell’AfD, come Merz aveva promesso a novembre, salvo rompere l’impegno una settimana fa.

Il candidato cristiano-democratico, invece, al cancelliere Spd (che descrive una situazione tedesca meno cupa di quel che normalmente si legge) rimprovera di vivere in un proprio mondo.

È stato un duello tv veloce, in stile americano, come si fa da sempre anche in Germania, a 14 giorni dal voto. I due candidati si sono presentati nervosi, ma sono entrambi politici classici, preparati. Siccome il cancelliere parlava per primo, Merz ha avuto il vantaggio della risposta: e non sembra averlo sprecato. Era Scholz, d’altronde, che inseguiva. I sondaggi lo danno al 16% e salvo clamorosi errori Merz è già, con il 30%, il prossimo cancelliere. Si è quindi comportato, frenando la lingua tagliente, da «statista». Merz si aspettava il colpo sulla promessa infranta. E infatti, per rispondere ha tirato fuori dal taschino un foglietto giallo: conteneva una vecchia intervista di Scholz a un giornale della Turingia, in cui il cancelliere sosteneva che nel voto locale, se una misura è giusta, non si può impedire che l’AfD la voti. Difesa preparata in anticipo, ma che ha spuntato l’assalto di Scholz. Poi Merz ha promesso: «Non ci sarà nessuna collaborazione» con l’AfD.

I migranti hanno dominato l’agenda. Scholz ha difeso il proprio lavoro. E ha accusato Merz di aver voluto solo montare uno show in Parlamento. Il leader Cdu ha replicato che il governo Semaforo sui migranti ha fallito. Scholz infine ha accusato Merz di essere anti-europeo con la sua pretesa di chiudere i confini, e di violare le leggi Ue sull’asilo: «Come si fa a essere così stupidi? Il Paese più grande d’Europa, proprio nel mezzo, è quello che viola il diritto europeo». Proprio mentre sono in arrivo i dazi Usa, diretti in primis contro la Germania, che «potremo respingere solo uniti».

Poi si è passati all’economia. Scholz ha ammesso le difficoltà, ma ha ripetuto che la Germania ha la seconda disoccupazione più bassa tra i G7, le finanze in ordine e che non c’è la deindustrializzazione. Merz ha replicato: abbiamo perso 300mila posti di lavoro nell’industria, e questo per lei non è deindustrializzazione? Scholz si è difeso così: «Non sono io che ho invaso l’Ucraina. Che la situazione economica sia grave è soprattutto colpa di Putin. Non della politica di Scholz». Ma a sorpresa, incalzato in studio dalle due presentatrici, Merz ha fatto la proposta politica della serata: no, non vuole riformare subito la Schuldenbremse (il freno al debito), si dovrà prima risparmiare e creare crescita, «ma in seguito potrà essere discussa». Mai finora l’aveva detto così chiaro.

Molti altri temi in discussione. Scholz ha definito la proposta di Trump di creare una riviera a Gaza «uno scandalo». E rivolto a Merz: «Persone come me e lei dovrebbero pagare più tasse». Merz ha invece insistito, parlando di Trump, che noi europei «non dobbiamo farci più piccoli di quello che siamo». Novanta minuti sono passati: i primi commenti decretano un pareggio, un sondaggio volante una leggera preferenza (37 a 34) per il cancelliere. L’ultima frase di Merz: «Abbiamo un piano per questo Paese». Scholz: «Un governo che porta avanti il Paese c’è solo con un voto per la Spd». Potrebbero benissimo essere le prime parole di una grande coalizione. CdS 10

 

 

 

 

Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex-Radio Colonia

 

31.01.2024. Berlino, la techno e i dj italiani. La musica techno è di casa a Berlino e club mitici come il Berghain e il Tresor si contendono le origini di questo genere musicale. Da qualche mese la techno è entrata a far parte della lista tedesca dei beni immateriali dell'Unesco, cosa che riempie d'orgoglio anche i molti dj italiani che hanno scelto di trasferirsi a Berlino. Come il pugliese Lugi Di Venere, figura di spicco della scena musicale della capitale tedesca e al centro di questo nostro podcast. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/berlino-techno-dj-italiani-germania-100.html

 

30.01.2024. Studiare in Germania con Bafög e altri aiuti. Il costo della vita è la principale preoccupazione degli studenti in Germania, vittime degli affitti troppo alti. Ma a garantire il diritto allo studio in Germania c'è il BAföG, in parte prestito a tasso zero, in parte sussidio. Richiederlo e calcolarlo non è semplice, come ci spiega Cristina Giordano. E migliorare il BAföG è solo una delle richieste dei rappresentanti degli studenti universitari tedeschi al prossimo governo. C'è chi poi sceglie di lavorare e studiare, come Giorgia.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/bafoeg-prestito-studenti-germania-100.html

 

29.01.2024. Migrazione e asilo in Germania, fra proclami e realtà

Cade un tabù: l'Unione porta al Bundestag proposte ultrarestrittive su diritto d'asilo e migrazione in Germania puntando sul sostegno dell'AfD di estrema destra. A una settimana dall'attentato di Aschaffenburg, il tema dell’immigrazione domina sempre più questa campagna elettorale. Ma cosa dicono i numeri? Cristina Giordano su arrivi, criminalità e lavoro degli stranieri. Con Flavio Venturelli di Karlsruhe parliamo invece dei finti biglietti di rimpatrio forzato inviati dall'AfD in città.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/migrazione-elezioni-germania-leggi-dati-lavoro-biglietti-afd-100.html

 

28.01.2024. La Chiesa di Francesco tra crisi, scandali e speranza

È da poco uscita "Spera", l'autobiografia di Papa Francesco. Con il vaticanista Iacopo Scaramuzzi andiamo a scoprirne i contenuti ma parliamo anche del momento di crisi profonda che sta attraversando la Chiesa cattolica in questo anno giubilare. Crisi dovuta anche e soprattutto alla scoperta di sempre nuovi casi di pedofilia tra le fila dei sacerdoti. Cristina Giordano traccia poi un bilancio degli ultimi 15 anni di lotta agli abusi e di rielaborazione degli scandali nella Chiesa tedesca. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/papa-francesco-autobiografia-spera-abusi-sessuali-germania-100.html

 

27.01.2025. La memoria della Shoah a 80 anni dalla liberazione di Auschwitz

A 80 anni dalla liberazione di Auschwitz molti giovani in Germania, hanno un'immagine confusa del periodo storico del nazismo, come conferma un recente studio. Ma è importante ricordare cosa è successo come avverte Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, in un'intervista a COSMO italiano. E ci addentriamo anche nei i profili patologici e criminali dei gerarchi nazisti con il criminologo Antonio Leggiero. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/80-anni-liberazione-auschwitz-germania-italiana-100.html

 

24.01.2025. Come un buon insegnante può cambiarti la vita

Le interviste del venerdì - oggi con Antonietta Zeoli. In occasione della Giornata internazionale dell'educazione, parliamo con la preside del Wim-Wenders-Gymnasium di Düsseldorf, per anni rappresentante degli insegnanti con origini straniere del Nordreno-Vestfalia e autrice del libro: "Wenn Ragazzi sagen: Mamma schreib' ein Buch" (Akres Publishing). Zeoli ci racconta come è nata la sua passione per l'insegnamento e le tante difficoltà - ma anche le molte soddisfazioni - che si incontrano nel suo mestiere.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/buon-insegnante-puo-cambiarti-vita-germania-100.html

 

23.01.2025. L'energia eolica in Germania fra miti e promesse elettorali

Si parla poco di cambiamento climatico, in questa campagna elettorale tedesca, ma molto di eolico: sia Merz, leader CDU, che Weidel, leader del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD), promettono di smantellarle una volta arrivati al potere. Eppure l'eolico copre un terzo del fabbisogno energetico tedesco. Guardiamo a dati e sfatiamo alcuni miti con Giulio Galoppo. Con Davide Chiaroni dell'osservatorio sulle rinnovabili del Politecnico di Milano guardiamo anche all'Italia. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/energia-eolica-germania-100.html

 

22.01.2025. I lavoratori in Germania si mettono troppo spesso in malattia?

Secondo i dati dell'OCSE, in Germania i lavoratori si mettono malati più spesso che in qualsiasi altro Paese, ce ne parla Giulio Galoppo. A questo si aggiungono risultati di un'indagine che rileva una scarsa motivazione sul posto di lavoro, più bassa di quella italiana. Lo psichiatra Francesco Cuniberti ci parla dei fattori di stress che possono incidere sulla malattia e sulla motivazione personale.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/giorni-malattia-lavoro-germania-100.html

 

21.01.2025. Meno fatti, più insulti: la svolta di Meta

No alla verifica dei fatti per contenuti fuorvianti o falsi, sì a insulti espliciti a donne e minoranze: Zuckerberg si posiziona al fianco di Trump e Musk e annuncia una svolta per Facebook, Instagram e Threads negli Stati Uniti. Giulio Galoppo ci spiega i dettagli. In Germania sempre più istituzioni tedesche lasciano X. E di odio in rete e influsso politico dei social parliamo con Manuela Caiani, esperta di populismo, destra radicale e partecipazione politica. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/meta-x-mark-zuckerberg-elon-musk-donald-trump-fact-checking-germania-100.html

 

20.01.2025. Togliere la cittadinanza tedesca a chi commette reati?

Valanga di critiche alla proposta del leader CDU Friedrich Merz di revocare la cittadinanza tedesca agli stranieri con doppio passaporto che commettono crimini, ce ne parla Giulio Galoppo. Ma è possibile farlo in Germania? E riguarda anche i cittadini europei? Abbiamo girato questa e altre domande al costituzionalista Francesco Palermo dell'Università di Verona. Intanto però è allarme sui tempi biblici necessari alle autorità tedesche per smaltire le richieste di cittadinanza.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/cittadinanza-tedesca-friedrich-merz-germania-100.html

 

17.01.2025. Estrema destra: dopo Italia e Austria adesso tocca alla Germania?

In Italia da oltre due anni governa un partito, Fratelli d'Italia, che non ha mai reciso le sue radici neofasciste. A Vienna il prossimo cancelliere sarà con ogni probabilità Herbert Kickl, un estremista anche per i parametri di un partito di ultradestra come la FPÖ. E in Germania, alle elezioni del 23 febbraio, l'AfD rischia di ottenere un risultato storico. Da dove nasce l'ondata di destra che si sta abbattendo sull'Europa? Ne parliamo con il giornalista sudtirolese Valentino Liberto. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/estrema-destra-dopo-italia-austria-tocca-germania-100.html

 

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Lecce-Wolfsburg: il treno della speranza nell’arte di Croci Sisinni

 

Nell’ufficio del Patronato ACLI di Wolfsburg, si trova un dipinto che ritrae una famiglia di lavoratori migranti italiani, in attesa della partenza di un “treno speciale” Lecce-Wolfsburg. Al centro dell’opera, rappresentata con uno stile vagamente modiglianesco, emergono due figure femminili in primo piano, simbolo delle madri dei bambini, che appaiono, volutamente sottodimensionati, in piedi e seduti su una panchina. Intorno a loro, diverse valigie sono disposte in una prospettiva distorta, contribuendo a creare un’atmosfera di attesa e tensione. Sullo sfondo, due uomini, verosimilmente i padri dei bambini, sono impegnati in un dialogo. Sullo sfondo, l’immagine di un “treno speciale” (Sonderzug) recante la scritta “Lecce-Wolfsburg”.

L’autore di questo dipinto è Crocifisso “Croci” Sisinni, pittore e scultore di origini pugliesi, emigrato in Germania all’età di sedici anni per ricongiungersi ai genitori che già lavoravano a Wolfsburg. Quest’opera cattura un momento cruciale della sua vita, offrendo uno spaccato della sua esperienza migratoria.

Sisinni si trasferì in Germania giovanissimo, a sedici anni, lasciando la sua terra natale di Ostuni per affrontare quella che descrive come un’avventura: un “viaggio” oltre i confini, non solo geografici, ma soprattutto culturali e “mentali”, che si rivelò trasformativo per il suo percorso di vita e professionale. Oggi, dopo tanti anni, l’artista ha deciso di condividere la sua storia, contribuendo così alla costruzione di una memoria collettiva delle migrazioni italiane in Europa nel Secondo Dopoguerra. Presentiamo l’intervista realizzata da Francesco Vizzarri, storico dell’emigrazioni.

Vorrei iniziare con una domanda aperta e saperne di più sulla tua vita in Puglia prima di andare in Germania. Potresti dirmi dove vivevi, quale scuola hai frequentato e quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a trasferirti a Wolfsburg?

La nostra famiglia era numerosa, composta da me, mio fratello e tre sorelle. Mio padre, un instancabile artigiano dell’edilizia, ci ha sempre trasmesso valori come il lavoro, il rispetto e la famiglia, accompagnandoci con grande dedizione. Lavorare nell’edilizia significava allora spostarci costantemente da un luogo all’altro, e noi non eravamo un’eccezione. Abbandonammo Trepuzzi, vicino a Lecce, nel cuore del Salento, per stabilirci a Ostuni. Qui, i miei genitori trovarono una nuova casa per noi e la mia giovinezza e gli anni scolastici sono profondamente legati a questa incantevole cittadina. Ostuni, con il suo unico fascino, divenne lo scenario dei nostri ricordi e delle nostre esperienze di crescita. Nel 1964, i miei genitori partirono per la Germania alla ricerca di opportunità.

Mio padre partì dal centro di emigrazione di Verona. Io e mio fratello fummo iscritti a un collegio, il GIL (Giovani Italiani Littorio). Abbiamo trascorso lì l’intero periodo della scuola elementare, cinque anni. Il nostro soggiorno e la nostra vita quotidiana erano completamente regolati da questa istituzione, gestita da sacerdoti e diretta da don Italo Pignatelli, una figura che occupa ancora un posto speciale nella mia memoria. Don Pignatelli ha avuto una grande influenza sulla mia vita, aiutandomi a scoprire e a sviluppare le mie capacità personali e artistiche. Attraverso il suo costante incoraggiamento e i compiti che mi affidava, ha avuto un ruolo decisivo nel mio sviluppo, aprendomi la strada per diventare un artista e uno scultore. La nostra possibilità di rimanere lì era dovuta agli affari dei nostri genitori all’estero, che provvedevano al nostro mantenimento, compresi istruzione, alloggio e cibo.

Al termine del periodo di permanenza in collegio, per esigenze familiari, abbiamo iniziato a esplorare il mondo del lavoro in età molto giovane, intraprendendo diverse professioni. In questo periodo ho affinato le mie capacità di scalpellino, che si sono rivelate molto preziose nel corso degli anni. Le prime esperienze lavorative erano per lo più all’interno del quartiere, con una prospettiva limitata. Eravamo adolescenti “con i paraocchi”, legati a una mentalità tipicamente provinciale che si rifletteva nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Finché, nel 1971, all’età di quindici anni, mi trasferii in Germania con i miei genitori, e precisamente a Wolfsburg.

Vorrei sapere di più sulla tua esperienza migratoria. Puoi raccontarmi quando e come sei andato in Germania? E come è stato il viaggio?

Il nostro viaggio si è svolto principalmente in treno, una „esperienza formativa” di 2.200 km per me. Contrariamente alla procedura abituale prevista per i lavoratori italiani intenzionati a recarsi in Germania per lavoro, noi non siamo passati per il centro di emigrazione di Verona. Con un treno, invece, siamo andati dapprima da Ostuni fino a Bologna, lì abbiamo alloggiato con altri migranti italiani in attesa del treno che sarebbe proseguito fino a Verona e poi attraverso il Brennero, verso la Germania. durante il viaggio ero sbalordito da paesaggi che non avevo visto prima: le Alpi, maestose, i laghi, le grandi città, le stazioni, la gente. Era per me la prima volta fuori dalla Puglia, fuori dal Salento.

La nostra destinazione era Wolfsburg, importante città industriale del Nord della Germania e sede della Volkswagen, dove lavoravano mio padre, mio cognato e mio fratello. Il mio primo „stage” è stato in un supermercato italiano a Wolfsburg. In seguito ho lavorato in un’azienda elettrica specializzata in impianti civili e industriali. Anche se si trattava di un apprendistato, il mio capo mi permetteva di frequentare la scuola una volta alla settimana come forma di istruzione. Questo includeva la stesura di relazioni e valutazioni, e devo ammettere che ho faticato a imparare e a usare la lingua tedesca, soprattutto durante gli esami. I primi giorni in Germania sono stati impegnativi. Per il primo anno mi sono sentito quasi „muto“ perché non capivo molto il tedesco e non sapevo ancora parlarlo.

Parlami ora della tua vita a Wolfsburg: le giornate/la routine, i lavori che hai svolto, le difficoltà che ha incontrato e i ricordi che hai della città negli anni Settanta. Ci sono eventi particolari che hanno definito questa fase della sua vita?

La mia prima impressione di Wolfsburg è stata intensa e allo stesso tempo stimolante, poiché mi sono trovata in una realtà completamente nuova. La città, con il suo carattere industriale avanzato, ha lasciato un forte impatto e mi ha spinto a volermi adattare rapidamente. All’inizio questo adattamento è stato impegnativo e talvolta traumatico, ma col tempo ho cominciato a integrarmi. Noi italiani ci siamo organizzati in gruppi di amici e familiari, trovando un po’ di conforto al Circolo Italiano, dove ho conosciuto molte persone con cui condividere esperienze. Alcuni di loro avevano anche formato un gruppo musicale che arricchiva le nostre serate e i nostri incontri culturali. Questa vicinanza ci permetteva di trascorrere i fine settimana insieme, alleviando in parte le enormi sfide che dovevamo affrontare sia dal punto di vista professionale che da quello dell’integrazione.

Il „ghetto“ di Wolfsburg ha segnato profondamente la mia esperienza. Molti lavoratori italiani erano alloggiati in una sorta di „enclave“, costituita da baracche di legno a due piani con un’area recintata e un controllo di polizia all’ingresso. Questo ambiente era economico in quanto ospitava tutti gli operai della Volkswagen, ma l’organizzazione e la gestione di questo luogo furono per me traumatiche. L’accesso non era libero: solo gli italiani potevano entrare e alloggiare in quest’area ristretta. Quando volevo cercare mio padre, non potevo semplicemente entrare; mio padre doveva uscire e confermare la nostra relazione. Tuttavia, le cose cambiarono in seguito, quando fu costruita una nuova zona residenziale per gli operai della Volkswagen: il quartiere di Käsdorf, nel nord della città. La struttura comprendeva ristoranti, mense, chioschi e tutti i servizi per gli immigrati. Questo segnò un significativo „cambiamento di qualità“ rispetto alle precedenti sistemazioni per i „lavoratori ospiti“, che chiamavamo “baracche”, pur restando ancora riservate ai lavoratori italiani, ma con notevoli differenze rispetto al passato. Dopo qualche anno a Käsdorf, la mia famiglia si trasferì in una casa in affitto in una zona molto centrale, in via Porsche. Ricordo ancora che pagammo circa 2.500 marchi a un’agenzia immobiliare che ci fornì un’ottima sistemazione con tutti i comfort. Ci siamo sentiti a nostro agio durante questo periodo, anche perché i nostri vicini erano italiani e abbiamo trascorso molte serate con loro.

Parlando invece della mia esperienza lavorativa, devo dire che il mio percorso è stato forse un po‘ insolito rispetto a quello di molti connazionali che lavoravano alla Volkswagen. Infatti, grazie ai contatti e al sostegno del Circolo italiano e della missione, mi è stato offerto un lavoro diverso. Ho conosciuto una famiglia veneta che possedeva una gelateria a Hitzacker an der Elbe, una cittadina non lontana da Wolfsburg. Così ho iniziato a lavorare in questa gelateria. Conservo un bel ricordo di quel periodo. Ricordo con piacere che il fiume Elba costituiva il confine tra la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica Tedesca (DDR): dalla nostra sponda del fiume si vedeva la Germania comunista, cioè la Germania dell’Est. Questo periodo fu speciale perché ero l’unico italiano tra i miei amici veneti. Non solo mi hanno dato un lavoro, ma anche un posto dove dormire e vivere. Questi amici sono diventati come una seconda famiglia per me. Qui in paese ho trovato molti amici italiani e tedeschi, che mi hanno insegnato molto. Al lavoro sono stato trattato bene, quasi come un figlio. Mi hanno aiutato e si sono occupati di tutto il necessario. La famiglia italiana con cui ho lavorato si è presa cura di me.

Potresti raccontarmi della comunità italiana a Wolfsburg? Quali erano i tuoi contatti, sia sul luogo di lavoro che all’interno della missione o del centro italiano? Inoltre, come trascorrevi il tempo libero e con chi condividevi queste attività?

La comunità italiana di Wolfsburg era vivace e offriva molte opportunità di networking. Ho avuto contatti sia in ambito professionale che attraverso la Missione Cattolica e il Centro italiano. La maggior parte del mio tempo libero lo trascorrevo al Centro, quando c’erano i festival organizzati nel fine settimana. In quelle occasioni si faceva amicizia con tante altre persone provenienti da varie regioni d’Italia, ma anche con lavoratori provenienti da Paesi extra-europei. Ad esempio conoscevo alcuni marocchini.

Il Centro italiano è stato un punto d’incontro fondamentale per conoscere altre famiglie e formare gruppi di amici. Ci siamo impegnati in molte attività: ad esempio frequentavamo una piscina ben attrezzata di Wolfsburg, organizzavamo partite di calcio e facevamo tante serate organizzate e anche delle lunghe passeggiate. Ad un certo punto avevamo anche un giardino fuori città, uno Schrebergarten, dove con gli amici facevamo lunghe e divertenti grigliate: un’ottima occasione per trascorrere il fine settimana con altre famiglie. Oltre al Centro italiano e alla Missione Cattolica, a Wolfsburg erano attive anche le ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), che svolgevano un ruolo importante come punto di contatto per molti italiani e come „centro sociale”. Per un breve periodo ho lavorato anche nel Patronato ACLI, nel corso degli anni Settanta. poiché per un lungo periodo sono stato malato e impossibilitato a fare lavori pesanti, durante i lunghi periodi di convalescenza, mi recano nell’ufficio del Patronato per dare una mano. Nonostante le mie limitate competenze, assistevo l’allora segretaria in questioni legali, nella traduzione di documenti, potendo mettere in campo le mia conoscenze di base della lingua tedesca. Non chiedevo nulla in cambio e mi sentivo apprezzato per il mio utile contributo.

Durante una visita al Patronato ACLI, ho trovato un tuo dipinto del 1977 che raffigura una famiglia italiana in attesa del treno speciale „Lecce-Wolfsburg”. Puoi dirmi qualcosa di più su questo quadro e sui ricordi ad esso associati?

Che bei ricordi ho di questo quadro! Il quadro faceva parte di una trilogia che presentai durante un concorso d’arte al Centro Italiano di Wolfsburg a metà degli anni Settanta. Il tema del dipinto era la „famiglia italiana di migranti in viaggio verso Wolfsburg“. Il secondo dipinto mostrava uno stormo di uccelli migratori, mentre il terzo raffigurava una strada della mia città natale, Ostuni, esprimendo la nostalgia per il mio luogo d’origine.

Per quanto riguarda il dipinto della famiglia in partenza, ho voluto creare un’immagine toccante degli italiani del Sud costretti dalla mancanza di opportunità di lavoro a intraprendere un viaggio in treno con le loro famiglie e i loro bambini, portando con sé tutto ciò che potevano. Il treno doveva portarli lontano, simboleggiando l’inizio di una nuova vita. Volevo catturare le espressioni di questi italiani del Sud che, nonostante le barbe curate, avevano un aspetto cupo, tormentato e magro, come se fossero „tristi“ ma allo stesso tempo pieni di speranza per la nuova vita che stava per dispiegarsi davanti ai loro occhi. I bambini aggrappati alle gonne delle madri e le valigie di cartone legate con lo spago rappresentavano tutto ciò che potevano portare con sé, l’intero mondo di chi le trasportava. Per questo dipinto ho tratto ispirazione da elementi della vita reale. Per esempio, una delle due figure maschili accanto al treno è stata ispirata da mio padre, mentre uno dei bambini potrebbe rappresentare me stesso quando sono partito per la Germania in pantaloncini, sottolineando la mia giovane età. In effetti, avevo solo quindici anni quando sono partito.

Quando hai deciso di tornare in Italia e quali sono stati i motivi che ti hanno spino a farlo? Vorrei che mi parlassi di questa esperienza del “ritorno” e anche di come hai mantenuto i rapporti con gli amici o familiari a Wolfsburg. Quali ricordi hai di quel periodo e prenderesti la stessa decisione oggi?

La decisione di tornare in Italia è stata presa principalmente per motivi di salute. Durante il periodo trascorso in fabbrica, la mia salute si è deteriorata e ho dovuto subire diversi interventi chirurgici. Per tre o quattro mesi non ho potuto lavorare e ho dovuto sottopormi a una riabilitazione intensiva, spesso costretta a rimanere in posizione orizzontale. In quei momenti difficili, ho promesso a me stesso: „Quando sarò di nuovo in piedi, dovrò tornare in Italia“ per riprendermi completamente. Devo dare atto alla Volkswagen di essere stata molto corretta e gentile durante il mio lungo periodo di recupero. Mi hanno persino inviato pacchetti con cioccolata e panettone per Natale, augurandomi una pronta guarigione senza farmi pressioni sulla data di rientro. Il loro rispetto per un dipendente che non poteva rientrare per motivi di salute era evidente.

Il ritorno in Italia ha suscitato inizialmente un sentimento di euforia, perché non vedevo l’ora di tornare nella mia terra e di rivedere i miei amici. Tuttavia, la situazione familiare era cambiata: solo mia sorella maggiore viveva a Ostuni. Gli altri membri della famiglia, tra cui mio padre, un’altra sorella e mia madre, erano rimasti a Wolfsburg. Mia sorella mi ospitò e iniziai a lavorare come cameriere in un ristorante. Col tempo mi sono ripreso anche fisicamente.

Ho pensato spesso a Wolfsburg e ho avuto l’opportunità, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, di tornarci come „turista“. Ripensandoci, devo ammettere che probabilmente avrei continuato a vivere a Wolfsburg anche senza la mia malattia. Ho iniziato a stringere legami e amicizie con persone tedesche. Forse sarei rimasta lì se non mi fossi ammalata. Ma la decisione di tornare in Italia mi ha portato a una vita diversa, che oggi apprezzo molto. Per fortuna ho anche incontrato mia moglie, con la quale sono felice e con la quale credo che le cose siano andate bene.

Vorrei saperne di più sul tuo percorso di artista, in particolare sulle origini della tua bottega a Ostuni. Quando e come hai iniziato a lavorare con la scultura in pietra? Come si svolge oggi la tua attività?

A mio parere, la mia carriera artistica è iniziata in modo unico. Quando tornai dalla Germania, comprai una casa nel centro storico di Ostuni. Sotto questa casa c’era un piccolo negozio di cappelli che si trovava lì da diversi decenni. Grazie al mio hobby di disegnare e dipingere, avevo l’opportunità di esporre i miei quadri in questo negozio, soprattutto durante l’estate. Dipingevo ritratti e paesaggi e mi divertivo immensamente. Purtroppo accadde qualcosa di spiacevole: una notte i ladri entrarono nel negozio e rubarono tutti i miei quadri. Questo periodo è stato duro per me; ero depresso e volevo arrendermi e lasciarmi tutto alle spalle. Ma come si dice spesso: „Quando cadi da cavallo, risali subito“. Ed è quello che ho fatto: Non mi sono lasciato scoraggiare e ho cercato di ricominciare, di continuare a dipingere.

Fortunatamente ho trovato un modo per ricominciare. Ho ricevuto l’incarico di restaurare la base di una statua per la quale dovevo preparare una tavoletta di pietra. Mentre lavoravo su questa pietra, intagliandola e levigandola, avevo in mano quasi una „tela“ di pietra bianca. Da qui ho pensato di incidere con chiodi e cacciaviti e poi dipingere le rocce. Negli anni ho perfezionato questa tecnica di incisione e pittura. I motivi centrali sono angoli caratteristici del centro storico di Ostuni. Quello che è iniziato come un hobby si è trasformato in un lavoro. Posso dire con grande soddisfazione che molte delle mie opere sono esposte in Canada, Giappone, Stati Uniti e in molte altre parti del mondo.

Nel 2008, dopo molti anni, sei ritornato a Wolfsburg per partecipare a una mostra d’arte. Puoi raccontarmi come è andata, chi è stato coinvolto nell’iniziativa e che ruolo ha avuto l’amministrazione comunale? Che ricordi hai di questo viaggio e che significato questo ha per te?

I legami con Wolfsburg sono rimasti forti nel corso degli anni e non sono mai venuti meno. Ho mantenuto un’amicizia di lunga data con il mio caro amico Cosimo Barletta e sua moglie, che gestiscono un’azienda a Wolfsburg. Quando sono tornato nel 2008 per esporre le mie opere, è stata un’esperienza straordinaria. Finalmente potevo rivisitare la città che mi aveva accolto e ospitato per tanto tempo. Devo dire che De Mitri, in collaborazione con il Consolato italiano, ha organizzato tutto alla perfezione: il volo e tutti i dettagli logistici. Il volo per Colonia e poi il treno per Wolfsburg: tornare in questa città è stato esaltante perché è stato il luogo in cui ho vissuto un’evoluzione notevole in tutti gli aspetti della mia vita.

Ho condiviso le emozioni di questo ritorno con il sindaco durante la mostra. Wolfsburg mi ha dato molto perché sono arrivato qui a quindici anni e ho lasciato la città a venticinque. Ho avuto la fortuna di essere in una città che mi ha insegnato molte cose, sia dal punto di vista professionale che sociale. Qui ho interagito con persone diverse da quelle del mio piccolo paese in Puglia, che hanno allargato i miei orizzonti e mi hanno insegnato molto. La partecipazione alla mostra mi ha fatto sentire meno un lavoratore ospite e più un artista, un „maestro“, come ho sottolineato al sindaco. Ho evidenziato che, come italiani, spesso non abbiamo opportunità, ma possediamo competenze, e ce ne sono molte.

L’occasione della mostra coincideva anche con il 70° anniversario della fondazione di Wolfsburg. Pertanto, ho voluto contribuire con un’opera che evidenziasse in modo specifico il contributo dell’emigrazione italiana alla storia economica e sociale della città. Il pezzo mostra Ostuni, dove vivo, da un lato e Wolfsburg, con il suo castello, dall’altro. C’è una „rottura“, una „crepa“ nella pietra tra queste due città. Vedo questa „crepa“ come un „confine“, sia geografico che culturale e mentale, tra due stati d’animo: quello del giovane in Italia e quello dell’emigrante in Germania. Un confine culturale che deve essere superato. Per me, che provengo da un piccolo paese del Sud Italia, è stata un’esperienza travolgente e indimenticabile quando a quindici anni ho visto per la prima volta lo stabilimento della Volkswagen, ho attraversato le immense ciminiere, ho percorso il Brücke berlinese e sono salito su una „scala mobile“ che ha segnato profondamente il corso della mia vita.

Sei tornato a Wolfsburg di recente? Se si, hai incontrato amici di un tempo? Come sono ora i vostri rapporti?

Nel 2014 ho finalmente realizzato il sogno di andare a Wolfsburg con la mia famiglia. Abbiamo volato fino ad Amburgo, dove mia moglie e i miei figli sono rimasti per qualche giorno (la loro prima volta in Germania). Poi siamo andati a Wolfsburg e anche a Hitzacker sull’Elba. Abbiamo festeggiato il mio 58° compleanno, esattamente 40 anni dopo la mia maggiore età. È stato un momento bellissimo che ho potuto condividere con la mia famiglia.

È stata un’esperienza molto emozionante, soprattutto tornare alla gelateria dove avevo lavorato da giovane. Anche se i proprietari erano cambiati, è stato significativo camminare per le stradine del villaggio, che mi hanno portato tanta gioia. Riunirsi con gli amici è stato un momento prezioso. In un certo senso, posso dire che Hitzacker ha un significato ancora più profondo di Wolfsburg, perché è lì che ho fatto amicizia con i tedeschi e si può dire che mi sono integrata completamente. Alcuni di questi amici li ho ritrovati in seguito attraverso i social network e alcuni sono venuti a trovarmi a Ostuni. È stata un’esperienza meravigliosa perché abbiamo riunito le nostre rispettive famiglie, ricordato momenti del passato. CdI 7

 

 

 

 

Brevi di cronaca e di politica tedesca

I temi chiave del duello televisivo

Già solo il termine “duello” suscita grandi aspettative tra il pubblico. Se, negli Stati Uniti o in Italia, i dibattiti televisivi dei candidati di punta possono riservare emozioni in Germania sono invece più sobri. In un dibattito televisivo di 90 minuti, Olaf Scholz (SPD) e il suo avversario Friedrich Merz (CDU) hanno discusso due temi chiave per il futuro della Germania: la politica migratoria e l’economia.

CDU-CSU puntano sul tema dell’asilo nelle ultime due settimane prima del voto. Il candidato alla Cancelleria della CDU-CSU afferma che il Cancelliere non percepisce più la realtà sulla questione migratoria: “Non vive in questo mondo. Quello che sta raccontando qui è uno scenario da favola“. Il Cancelliere Scholz, a sua volta, ha promesso per il periodo post-elettorale di continuare con una “linea dura” nella politica di asilo: “Non ci sono mai state leggi più severe di quelle che ho fatto approvare”, aggiungendo che “il numero di richiedenti asilo sta diminuendo e anche in Europa si stanno facendo progressi nella gestione della migrazione”. Il Cancelliere ha poi nuovamente respinto come illegali i piani della CDU-CSU che prevedono il respingimento dei migranti alle frontiere e ha messo in guardia da una “crisi europea”.

Un altro tema è stata la gestione del rapporto con l’estrema destra dell’AfD: il Cancelliere Scholz ha nuovamente accusato Merz di una “rottura della parola data” e di “infrazione di tabù”, dato che la CDU-CSU aveva fatto passare al Bundestag il suo piano in cinque punti sulla migrazione con i voti dell’AfD. Il Cancelliere ritiene quindi che dopo le elezioni il Presidente della CDU sia capace di formare una coalizione con l’AfD, cosa questa fermamente respinta dal leader della CDU Merz: “Non ci sarà alcuna collaborazione. Non lo faremo“. Sulle questioni sostanziali, CDU-CSU e AfD restano molto lontane.

Inoltre, il duello televisivo ha avuto come tema anche la persistente debolezza dell’economia tedesca. Il leader della CDU Merz ha accusato il Cancelliere Scholz di una percezione distorta della situazione di crisi: “Sono alquanto scosso dalla percezione con cui stasera Lei descrive lo stato della nostra economia. (…) Questo non ha più nulla a che fare con le realtà in Germania”.

 

Chi ha vinto il duello in TV                                   

Secondo i sondaggisti, il Cancelliere Olaf Scholz dell’SPD avrebbe ottenuto risultati leggermente migliori rispetto al candidato alla Cancelleria CDU-CSU Friedrich Merz. Il Cancelliere ha mostrato un atteggiamento combattivo e prontezza di parola. In alcuni momenti, tuttavia, l’irritazione del Cancelliere Scholz è stata evidente. Merz, d’altra parte, non si è scomposto, accusando con il sorriso il Cancelliere di governare ignorando la realtà dei fatti.

Il giorno dopo non c’è quindi un chiaro vincitore del duello. Fondamentali, restano ancora i molti elettori indecisi. La maggior parte dei commentatori parla di pareggio. Non si tratta infatti solo dei contenuti, ma della postura dei candidati: come si presentano agli spettatori, se suscitano simpatia o meno e se sono in grado esprimersi e spiegare questioni complesse con parole semplici.

In un sondaggio flash condotto dall’emittente televisiva ZDF, il Cancelliere Scholz è apparso un po’ più credibile e simpatico, mentre del democristiano Merz è emerso soprattutto il suo atteggiamento da statista. Per quanto riguarda le competenze, entrambe le controparti sono risultate sullo stesso livello. Il dibattito televisivo ha segnato l’inizio della fase finale della campagna elettorale, che vede Merz e CDU-CSU in grande vantaggio. Nei sondaggi CDU-CSU raggiungono attualmente il 29-34%, mentre l’SPD, con il 15-18%, si trova al terzo posto, dietro l’AfD, che raggiunge valori intorno al 20%. Il Cancelliere rimane indietro anche in termini di popolarità: secondo un sondaggio dell’emittente ARD, il 32% degli intervistati è soddisfatto di Merz, ma solo il 23% del Cancelliere Scholz.

 

Conferenza sulla sicurezza di Monaco: perché l’Europa ha paura di Trump

Dal 20 gennaio scorso Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti, a Bruxelles è iniziata una nuova legislatura e il 23 febbraio si terranno le elezioni federali in Germania: una serie di nuovi inizi farà da cornice alla 61esima Conferenza sulla sicurezza di Monaco (MSC), che aprirà i battenti venerdì 14 febbraio.

Il Presidente Trump domina il tradizionale convegno prima ancora che questo abbia inizio: non si recherà personalmente in Baviera, ma invierà tre dei suoi rappresentanti più importanti. Il Vicepresidente J.D. Vance, il ministro degli Esteri Marco Rubio e il suo inviato speciale per l’Ucraina Keith Kellogg arriveranno all’Hotel Bayerischer Hof. L’invio del trio può essere interpretato in modo positivo dal punto di vista diplomatico: l’attenzione della nuova amministrazione statunitense per gli europei si mostra alquanto solida: “La più grande delegazione statunitense da anni”, queste le lodi che giungono anche dal Presidente della conferenza, Christoph Heusgen. Chi invece la vede in modo più pessimistico, teme che in UE stia per giungere il caos.

Come è certo noto, il “trumpismo” non tiene certo conto delle sensibilità europee. Soprattutto perché l’inviato speciale Keith Kellogg, secondo i resoconti dei media, prevede di presentare un trattato di pace per l’Ucraina alla conferenza. Le ipotesi indicano quindi che il Presidente Trump voglia congelare il conflitto, sbloccare in cambio il mercato del gas russo e allo stesso tempo fornire garanzie di sicurezza a Kiev. La domanda interessante è: fa sul serio?. “I Paesi europei non hanno fatto abbastanza per migliorare le loro capacità militari”, questa la critica mossa da Heusgen prima dell’avvio della Conferenza. In considerazione della “nuova normalità” annunciata dalla seconda amministrazione Trump, ora sembra arrivato il momento dell’Europa.

 

Verdi: un piano in sette punti                                  

Il candidato alla Cancelleria dei Verdi, Robert Habeck, ha presentato un piano in sette punti, che, se vince, intende realizzare nel primo anno di governo. La promessa centrale è la creazione di un “fondo per la Germania”, con l’obiettivo di finanziare investimenti miliardari nel contrasto al cambiamento climatico, nelle infrastrutture e nel rinnovamento dell’economia. A tal fine, anche il freno all’indebitamento dovrà essere allentato. La prima priorità dell’agenda per il futuro del ministro Habeck, intitolata “Ripartenza anziché regressione”, è una strutturazione sociale della lotta al cambiamento climatico. Nel prossimo governo il leader dei Verdi punta quindi a “garantire ancora di più che tutti i cittadini possano partecipare al necessario rinnovamento”.

In concreto, il ministro Habeck promette programmi di incentivi scaglionati a livello sociale per la ristrutturazione di case e appartamenti, nonché per la mobilità elettrica. Le tariffe di rete per le linee elettriche interregionali saranno finanziate dal fondo per la Germania e la tassa sull’elettricità sarà ridotta al minimo europeo. In questo modo, l’elettricità rinnovabile sarà più accessibile dal punto di vista economico. Il leader dei Verdi Habeck intende anche utilizzare il fondo per la Germania per la ristrutturazione di edifici scolastici, prevedendo di destinare dal 2026, 10 miliardi di euro all’anno per la loro manutenzione. Una parte delle promesse socio-politiche di Habeck corrisponde a quelle dell’SPD: anche il candidato alla Cancelleria dei Verdi intende aumentare il salario minimo a 15 euro entro la fine dell’anno e assicurare un livello pensionistico ad almeno il 48% (rispetto al salario medio).

 

I giornali statunitensi considerano l'AfD un “partito neo-nazista”

Di solito la Germania non compare molto spesso nella stampa statunitense. Solo pochi americani mostrano un forte interesse per la politica interna tedesca. Ma ora non passa giorno in cui i media statunitensi non parlino della campagna elettorale tedesca, in particolar modo dell’AfD. Alcuni giornali ritengono che, a differenza di altri partiti di destra presenti in Europa, il termine “neonazisti” potrebbe essere assolutamente pertinente per tale partito. “L’estrema destra tedesca dell’AfD è ossessionata da Trump e Musk”, ha dichiarato l’emittente statunitense CNN, aggiungendo che “l’America e la Germania hanno problemi simili per quanto la questione migratoria”. L’AfD, come i repubblicani in America, danno la colpa di ciò ai partiti liberali.

Il “New York Times” si è concentrato su Angela Merkel: “Se c’è qualcosa che unisce i partiti in questa campagna elettorale tedesca, è la rottura con l’ex Cancelliera, la cui eredità è stata respinta dagli elettori”, si legge nell’ultimo numero di domenica scorsa. Il quotidiano afferma che “nessuna misura politica ha mosso gli elettori tedeschi più della decisione dell’ex Cancelliera Merkel presa sui rifugiati del 2015, motivo per cui “molti politici la incolpano per l’ascesa dell’AfD”. Il “Wall Street Journal” descrive l’AfD per essere stato, in passato, un piccolo partito di protesta, che però “nel frattempo è diventato un grande movimento che sta guadagnando punti tra gli elettori insoddisfatti sul piano economico e sociale, soprattutto, ma non solo, nell’ex Germania Est”. Il quotidiano economico sottolinea: “Anche se molti partiti di destra in Europa vengono spesso erroneamente definiti ‘fascisti’ o ‘neonazisti’, ci sono buone ragioni per credere che ciò possa essere effettivamente il caso dell’AfD”.

 

Luoghi in Germania: i giardini Herrenhäuser di Hannover

È probabilmente l’attrazione più bella della capitale del Land della Bassa Sassonia (536.000 abitanti): ogni anno molte persone visitano i giardini Herrenhäuser ad Hannover. Per il 350° anniversario del Giardino barocco sono stati previsti eventi e concerti speciali. Questo fine settimana si inaugurerà una mostra sulla storia del parco. Soprattutto la cultura delle “Orangerie”, così diffuse a nord delle Alpi, svolgerà un ruolo speciale in questo contesto. Ai visitatori verrà mostrato con quale impegno si lavorava in passato affinché i sovrani dell’epoca potessero presentare le loro piante di agrumi. Nel XVIII secolo, ad esempio, in primavera e in autunno venivano assunti 80 uomini per quattro giorni, che trasportavano le piante dal loro ricovero invernale all’esterno e viceversa.

 

Affinché le piante potessero sopravvivere al gelido inverno di Hannover, venne installato un sistema di riscaldamento ad acqua calda. Il “Grande Giardino” venne costruito a partire dal 1675. È considerato uno dei pochi giardini barocchi che si è conservato intatto nel corso dei secoli nella sua struttura originaria. Inizialmente concepito come parco per la residenza estiva dei monarchi di Hannover, fu aperto ai visitatori già a partire dal 1763.

 

Migrazione: CDU e CSU si schierano con Friedrich Merz

È stata la sua prima apparizione al Bundestag dopo il voto perduto sulla politica migratoria, quando la proposta di legge di CDU-CSU è stata sostenuta dagli estremisti di destra dell’AfD. La reazione dell’opinione pubblica non si è fatta attendere, l’indignazione dell’SPD e dei Verdi è stata grande. Ma a sole tre settimane dalle elezioni anticipate la CDU e la CSU puntano sull’unità.

Tra gli applausi dei circa 1.000 delegati, il candidato alla Cancelleria Friedrich Merz ha aperto lunedì scorso la convention elettorale del suo partito, promettendo un cambiamento nella politica da subito percepibile: “Siamo pronti a riportare la Germania in avanti. Si tratta di inviare un segnale chiaro e forte in tutta la Repubblica Federale. (…) “Un governo guidato dalla CDU si metterà al lavoro senza indugi e affronterà alla radice i problemi che hanno paralizzato a lungo il nostro Paese”, ha dichiarato il leader Merz. La CDU ha quindi in serbo un “piano per la Germania” variegato dal punto di vista dei contenuti.

Tuttavia, nei corridoi del congresso si è discusso molto di quando Merz al Bundestag aveva permesso, per la prima volta, che una mozione della CDU-CSU raggiungesse la maggioranza grazie ai voti dell’AfD. Venerdì scorso, Merz ha poi fallito nel tentativo di approvare la “legge per la limitazione dell’immigrazione” nonostante il sostegno dell’AfD. Ciò è dovuto anche al fatto che una dozzina di deputati della CDU non ha partecipato deliberatamente al voto. Anche l’ex Cancelliera Angela Merkel ha preso le distanze dal modo di procedere del suo partito. Nel frattempo, SPD e Verdi hanno approfittato della situazione per mobilitare il proprio elettorato. Nel fine settimana, solo a Berlino, 160.000 persone hanno manifestato contro la decisione della CDU. 

 

Cosa vuole ottenere la CDU in 100 giorni             

Cosa c’è in quel “programma immediato” con cui la CDU fa il suo ingresso nello sprint finale della campagna elettorale? Si tratta di un mix di sgravi fiscali per l’economia, una svolta nella politica in materia di asilo e il ritiro delle leggi della coalizione semaforo. Il documento contiene il piano in cinque punti di Merz, che prevede, tra le altre cose, controlli permanenti alle frontiere, respingimenti ai confini e arresto a tempo indeterminato ai fini dell’espulsione per i criminali stranieri. La migrazione dovrà quindi essere limitata dalla legge. Altri punti riguardano la riduzione della tassa sull’elettricità e delle tariffe di rete, favorendo un alleggerimento di almeno cinque centesimi per kilowattora.

Altra modifica riguarda la legge sul diritto del lavoro, da modificare in modo tale che l’orario massimo di lavoro giornaliero sia sostituito da un massimo settimanale. L’aliquota IVA per i ristoranti dovrà essere ridotta al 7% e l’obbligo di emissione di scontrino elettronico dovrà essere abolito. La CDU promette anche il rapido ritiro della legge sul riscaldamento e della legalizzazione parziale della cannabis e intende abolire la legge nazionale sulla catena di approvvigionamento. Immediato anche l’abbattimento degli ostacoli burocratici. Le misure dovranno essere applicate nei primi 100 giorni di un futuro governo guidato dalla CDU.

 

I Verdi chiedono le scuse di CDU-CSU                     

L’indignazione di molti dopo il voto congiunto di AfD e CDU nel Bundestag rimane anche tra i Verdi, il cui candidato di punta Habeck non esclude una possibile coalizione con CDU e CSU, ma chiede che il leader della CDU Merz riconosca che sia stato un errore il comportamento di voto congiunto con l’AfD nel Bundestag. “Deve fare dietrofront. Non dobbiamo far sì che il non tenere fede alla parola data diventi il punto di partenza degli accordi”, ha avvertito il ministro Habeck. 

I Verdi hanno presentato un piano in 10 punti per una maggiore sicurezza nella politica dei rifugiati. “Voglio una politica che garantisca al meglio la sicurezza, che non fomenti risentimenti e che rispetti i diritti fondamentali”, si legge nella lettera del candidato alla Cancelleria, ministro, Robert Habeck. I mandati d’arresto contro islamisti e soggetti pericolosi devono essere eseguiti il più rapidamente possibile. A tal fine, “le autorità di sicurezza e la polizia federale dovranno disporre di maggiori poteri. Anche il governo centrale e i Länder devono poter cooperare meglio sulle questioni di sicurezza”, per cui “i potenziali pericoli devono essere identificati in via preventiva”. I Verdi hanno quindi l’intenzione di espellere gli stranieri che rappresentano un rischio per la sicurezza.

Inoltre, i Verdi vogliono porre un freno alla migrazione irregolare alle frontiere esterne dell’UE, facendo sì allo stesso tempo che “tutte le procedure di asilo in Germania vengano drasticamente accelerate”. Gli accordi di migrazione con altri Stati saranno quindi una questione di primaria importanza per il partito.

 

Dazi USA: Scholz mette in guardia dalla guerra commerciale

Una possibile guerra commerciale con gli Stati Uniti alimenta i timori per l’economia anche a Berlino. Il Cancelliere Olaf Scholz (SPD) ha ora annunciato contromisure europee nel caso in cui Washington sotto la guida del Presidente Trump imponga ulteriori dazi sulle merci provenienti dall’UE. “In quanto spazio economico forte, possiamo realizzare le nostre cose in piena autonomia e possiamo anche reagire alla politica dei dazi con politiche basate sui dazi”, ha messo in guardia al vertice informale dell’UE tenutosi a Bruxelles.

“È quello che dobbiamo e vogliamo fare”. Entrambe le parti hanno beneficiato dello scambio di beni e servizi, ha sottolineato il Cancelliere. “Se ora la politica dei dazi rendesse difficile ciò, sarebbe un male per gli Stati Uniti e un male per l’Europa”. L’obiettivo è quindi quello di giungere alla fine a una cooperazione. “Ma è chiaro che la premessa per l’intesa è conoscere le proprie forze. L’Europa è pronta ad agire”.

 

Lutto di Stato: la Germania rende omaggio a Horst Köhler

La Germania piange la morte del suo ex Presidente di Stato Horst Köhler, morto a 81 anni dopo una breve malattia. Il democristiano Köhler è stato eletto capo dello Stato per la prima volta nel 2004. Nel maggio 2010 si dimise a sorpresa, solo un anno dopo la sua rielezione con i voti degli allora partiti di governo CDU, CSU e FDP. 

Il Presidente dello Stato Frank-Walter Steinmeier gli ha reso omaggio definendolo “un colpo di fortuna per il nostro Paese”, sottolineando la profonda gratitudine, a nome di tutti i tedeschi, “di aver avuto l’opportunità di vedere Horst Köhler come nono Presidente della Repubblica federale di Germania”, il quale “ha dato molto a questo Paese”. Con Köhler, per la prima volta nella storia tedesca la massima carica dello Stato venne assunta da una personalità non proveniente da un partito politico.

Laureato in economia, aveva iniziato la sua carriera presso il ministero dell’Economia nel 1976 e nel 1990, dopo varie altre tappe, è diventato Segretario di Stato presso l’allora ministero delle Finanze guidato da Theo Waigel (CSU). Köhler è stato, tra le altre cose, negoziatore principale della Germania per il Trattato di Maastricht sull’Unione monetaria europea. Unico nella storia politica del Dopoguerra è stato anche il sorprendente ritiro di Köhler. Il fattore scatenante fu un’intervista rilasciata alla radio, in cui giustificò le missioni all’estero delle forze armate tedesche anche con la tutela degli interessi economici tedeschi, cosa che suscitò pesanti critiche da parte dei media. Con ciò egli vide il suo mandato irreparabilmente danneggiato e ne trasse le conseguenze. 

A livello internazionale, l’ex Presidente Köhler si è occupato principalmente di Africa, già come capo del Fondo monetario internazionale a Washington, insistendo per una partnership paritaria con il vicino continente. A questa è rimasto fedele anche dopo aver lasciato la più alta carica dello Stato, tra gli altri come inviato speciale delle Nazioni Unite per il conflitto nel Sahara occidentale dal 2017 al 2019.

 

Prezzi degli affitti: sempre più care le città tedesche 

I tedeschi continuano a soffrire per l’aumento dei prezzi degli affitti. Come rivela un’analisi dell’Istituto di Economia, nel quarto trimestre del 2024 i nuovi canoni contrattuali di locazione sono aumentati in media del 4,7% rispetto all’anno precedente. Particolarmente colpite sono le metropoli: a Berlino i nuovi contratti di locazione sono aumentati dell’8,5%, a Essen dell’8,2%, a Francoforte dell’8%. Anche Lipsia (7,3%) e Düsseldorf (7,2%) hanno registrato una crescita significativa. “Questo sviluppo sottolinea il continuo dinamismo del mercato tedesco degli appartamenti in locazione, che, nonostante le incertezze economiche, continua a essere caratterizzato da una forte domanda”, si legge nel rapporto. Uno dei motivi principali dell’aumento dei canoni di locazione è la scarsità dell’offerta.

Il numero di nuovi edifici completati continua a diminuire, il che dovrebbe avere un impatto a lungo termine sul mercato degli edifici in locazione. Allo stesso tempo, i prezzi delle abitazioni di proprietà rimangono sostanzialmente stabili. Nel quarto trimestre del 2024, gli appartamenti di proprietà sono costati in media lo 0,5% in meno rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi delle case unifamiliari e bifamiliari sono aumentati dello 0,6%.

 

Campagna elettorale: la Chiesa esorta a moderare i toni

Il cardinale Reinhard Marx ha esortato alla moderazione verbale nella campagna elettorale, sottolineando che “la discriminazione e il disprezzo dell’essere umano” non sono: “nomi di Dio”. “Ciò non deve essere dimenticato durante la campagna elettorale”, ha ammonito l’arcivescovo di Monaco e Frisinga. Nel dibattito pubblico non bisogna perdersi in “falsi ideali, utopie o persino immagini apocalittiche”, ma osservare realisticamente il mondo e lasciarsi guidare dalla speranza e dall’umanità, perché “nella situazione attuale l’umanità e la dignità dell’essere umano non devono cadere nell’oblio”.

Alla luce della situazione internazionale, il Presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Georg Bätzing di Limburgo ha lanciato un appello per la pace: “Una pace degna di questo nome si basa sulla protezione incondizionata della dignità umana, sulla chiara designazione di vittime e carnefici e sull’insistenza sulla giustizia”. Negli ultimi anni, “forse troppo spesso la pace è stata data per scontata”, ha ammesso il vescovo. “Guardando indietro, ci rendiamo conto che la pace è l’aria di cui una società libera ha bisogno per respirare; il suo significato si realizza solo quando comincia a mancare”.

 

Luoghi in Germania: Stralsund                                

Il problema della raccolta dei rifiuti esiste anche in Germania. Per evitare che i contenitori trabocchino e prevenire inutili viaggi nella raccolta dei rifiuti, la storica città anseatica di Stralsund, affacciata sul Mar Baltico (60.000 abitanti, Land Meclemburgo-Pomerania Anteriore), adotterà contenitori high-tech con sensori radar, che registrano lo stato attuale degli stessi e trasmettono i dati. Su una mappa digitale della città, i bidoni della spazzatura sono contrassegnati da codici colorati: rosso sta per “si prega di svuotare”, giallo significa “pieno per metà” e verde indica la piena disponibilità del contenitore.

Secondo quanto riferisce l’amministrazione comunale, da dicembre scorso la tecnologia è in fase di test su 35 cestini. Il sistema può persino prevedere quando i bidoni della spazzatura saranno pieni. L’obiettivo è quindi aiutare gli addetti alla pulizia delle strade a pianificare in modo più accurato i percorsi di raccolta dei rifiuti. Questo per evitare viaggi di raccolta inutili e lo spreco di tempo. Kas 6/13

 

 

 

 

 

Un aiuto “politico” per il voto tedesco. Il Wahl-O-Mat per è online

 

Ieri, 6 febbraio 2025, la Bundeszentrale für politische Bildung/BpB ha lanciato il tanto atteso „Wahl-O-Mat“ in vista delle elezioni tedesche del 23 febbraio 2025. Durante una conferenza stampa a Berlino, leader dei partiti delle otto formazioni politiche attualmente rappresentate al Bundestag hanno testato insieme alla redazione del Wahl-O-Mat l’ultima versione di questo strumento digitale di informazione.

Con 38 domande, tutti gli elettori possono ora esplorare in modo interattivo i programmi e le posizioni delle varie parti politiche. Comparando le proprie risposte con quelle dei partiti, il Wahl-O-Mat calcola il grado di corrispondenza personale con le diverse opzioni politiche disponibili. Le risposte e le argomentazioni dei partiti su ciascuna affermazione sono fornite direttamente dalle parti stesse, frutto di un processo redazionale che ha coinvolto 36 esperti provenienti dal mondo accademico, dalla formazione politica e dai giovani elettori.

Thomas Krüger, presidente della BpB, ha sottolineato l’importanza fondamentale del Wahl-O-Mat: „Questo strumento è essenziale per orientarsi politicamente, specialmente in vista delle elezioni anticipate del 2025. Grazie alla sua presentazione chiara e comprensibile delle posizioni dei partiti, aiuta i cittadini a ottenere informazioni affidabili e a confrontarsi con gli altri. Spero che nelle prossime settimane si sentirà di nuovo ovunque nel nostro paese: „Hai già giocato con il Wahl-O-Mat?“

Dal suo debutto nel 2002, il Wahl-O-Mat della Bundeszentrale für politische Bildung ha continuato a servire come strumento cruciale per informare e mobilitare soprattutto i giovani elettori. È diventato un punto fermo nell’offerta di informazioni politiche prima delle elezioni, con oltre 130 milioni di utilizzi registrati fino ad oggi in occasione di elezioni federali, europee e regionali. Nella precedente consultazione per le Elezioni Federali del 2021 è stato giocato oltre 21 milioni di volte, mentre per le ultime elezioni europee del 2024 ha superato i 15 milioni di accessi.

Il Wahl-O-Mat è disponibile online su www.wahl-o-mat.de e come app per dispositivi Android e iOS, offrendo a tutti i cittadini la possibilità di partecipare attivamente al processo democratico in Germania.

Per ulteriori informazioni e per giocare con il Wahl-O-Mat, visitate il sito ufficiale e scoprite quali partiti meglio rispecchiano le vostre convinzioni politiche in vista delle prossime elezioni federali. CdI on. 7

 

 

 

 

La mostra “Italia Rand Tour” all’Istituto IIC di Amburgo fino al 28 febbraio

 

Amburgo – Ancora pochi giorni per visitare all’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo “Italia Rand Tour”, mostra d’arte contemporanea dedicata alla scoperta dell’Italia meno nota. Rovesciando l’idea alla base dei Grand Tour – i viaggi con cui gli aristocratici, gli artisti e gli scrittori europei visitavano le mete più iconiche della Penisola –, è il  Collettivo Babele a partire verso l’estero, con l’idea di mettere in risalto la bellezza che spesso rimane al margine (in tedesco: der Rand) e rischia di essere dimenticata. In un percorso turistico immaginario di oltre 1.600 chilometri lungo l’Italia, coordinate geografiche come periferia e centro o Nord e Sud si mescolano e si confondono fino a perdere di significato, lasciando il posto a una costellazione di luoghi, tecniche e materiali. Otto artisti, otto opere, otto destinazioni da scoprire. L’esposizione è  a cura di Gabriele Naddeo. Gli artisti del collettivo Babele: Matteo Bagolin, Ceramica; Francesco Campese, Pittura; Alessandro D’Aquila,  Scultura (Lightbox); Guglielmo Mattei, Pittura; Emanuele Moretti,Mixed media; Filippo Saccà,  Mixed media;

Ricardo Aleodor Venturi; Mixed media; Stefano Volpe , Scultura. La mostra, allestita nella Galleria dell’IIC dal 29 novembre scorso, chiuderà i battenti il 28 febbraio. In occasione del finissage, alle ore 19, si terrà un incontro con l’illustratore Pietro Scarnera. Modera e traduce la dott.ssa Francesca Bravi.  Goethe, Stendhal, Lord Byron, Percy e Mary Shelley… sono innumerevoli gli artisti che hanno attraversato l’Italia, rapiti dalla bellezza del paesaggio, dalla natura selvaggia e dalle vestigia di un passato mitico a lungo idealizzato, oppure profondamente turbati di fronte alla miseria diffusa e alla radicale diversità dei costumi degli italiani. Intrecciando le loro storie a quelle di tanti altri, e mescolando il passato con il presente, nella sua graphic novel (“Viaggio in Italia”, Coconino Press 2024) l’illustratore Pietro Scarnera interroga il senso profondo di un’appartenenza culturale e affettiva, allineando visioni differenti in un meraviglioso Viaggio in Italia. L’ingresso all’evento è libero, ma occorre prenotare i biglietti gratuiti tramite il portale Eventbrite.

Pietro Scarnera, 1979, è cresciuto tra Torino e Bologna e lunghi viaggi verso la Puglia. Nel 2009 ha vinto il concorso Komikazen con il progetto del fumetto “Diario di un addio, testimonianza sui cinque anni passati accanto al padre in stato vegetativo”, uscito nel 2010 per Comma 22. Nel 2014 ha pubblicato “Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi” che nel 2016 ha vinto il Prix Révélation al Festival di Angoulême e nel 2022 è uscito in una nuova edizione per Coconino Press. Il suo ultimo lavoro è “Viaggio in Italia”, Coconino Press 2024. Giornalista pubblicista, ha lavorato come corrispondente per l’agenzia di stampa Redattore Sociale e per altri progetti di giornalismo sociale. Dal 2020 è docente alla Scuola internazionale di Comics di Milano. (Inform/dip 14)

 

 

 

 

Corrispondenze. Lettera di Tizza (Düsseldorf) all’UE, sulla lingua italiana

 

Egregio Presidente della Commissione Europea,

Egregi Membri della Commissione,

 

Con la presente, desidero esprimere un’istanza volta a promuovere il riconoscimento della lingua italiana come lingua di lavoro dell’Unione Europea. Tale richiesta si fonda sul ruolo storico, culturale e simbolico che l’italiano riveste quale erede diretto del latino, lingua matrice della civiltà occidentale e pilastro della tradizione giuridica, filosofica e artistica europea.

 

L’italiano non è solo la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio, padri della letteratura moderna, ma anche lo strumento attraverso cui si è plasmato il Rinascimento, movimento che ha ridisegnato i confini del pensiero umano, dell’arte e della scienza. Il latino, radice dell’italiano, è alla base del diritto romano, fondamento giuridico dell’Europa, e della comunicazione intellettuale del continente per secoli. Riconoscere all’italiano lo status di lingua di lavoro significherebbe onorare questo patrimonio condiviso, rafforzando l’identità culturale europea nella sua diversità.

 

Sebbene l’italiano sia già una delle 24 lingue ufficiali dell’UE, la sua esclusione dalle lingue di lavoro quotidiane (attualmente limitate a inglese, francese e tedesco) rischia di marginalizzare una componente essenziale del multilinguismo europeo. L’Italia, tra i fondatori dell’Unione, contribuisce da sempre ai valori di integrazione e dialogo: includere l’italiano tra le lingue operative agevolerebbe la partecipazione democratica di 60 milioni di cittadini italofoni e valorizzerebbe una lingua studiata a livello globale per il suo legame con la cultura, la musica e il patrimonio artistico.

 

In un’Europa che aspira a essere sempre più unita nella diversità, l’adozione dell’italiano come lingua di lavoro sarebbe un segnale concreto di rispetto per il pluralismo linguistico e per le radici comuni. Chiediamo pertanto alla Commissione di valutare questa proposta, consapevoli che ogni lingua europea porta con sé un universo di valori e storia irripetibile.

 

Confidando in una vostra attenta considerazione, restiamo a disposizione per approfondire le motivazioni tecniche, storiche e culturali a sostegno di questa richiesta.

Giuseppe Tizza, Am Gallberg 4, D 40629 Düsseldorf

Whatsapp 0039 375 620 2511 (dip 14)

 

 

 

 

Missione del Ministro Tajani a Monaco di Baviera per la Conferenza sulla Sicurezza

 

Monaco di Baviera – Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani oggi e domani in missione in Germania in occasione della 61esima Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Oggi l’incontro del Quintetto (Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito) con i Partner arabi (Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti) e con l’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri.

La riunione sarà incentrata sulla situazione di Gaza. “Occorre rafforzare il dialogo per consolidare la tregua a Gaza ed iniziare a lavorare alla ricostruzione per dare un futuro di pace e speranza a tutta la regione” ha dichiarato Tajani, sottolineando il costante impegno italiano a favore della popolazione civile.

“Proprio ieri abbiamo accolto a Roma un gruppo di bambini palestinesi malati oncologici, che abbiamo evacuato da Gaza e che saranno curati negli ospedali italiani. Dobbiamo fare di più, insieme, per intensificare gli interventi umanitari e assistere chi ne ha bisogno”.

Nella giornata di sabato, il Ministro co-presiederà una tavola rotonda sui metodi innovativi contro l’immigrazione irregolare e la criminalità organizzata che opera in tale settore insieme al Segretario di Stato per gli Affari esteri del Regno Unito, David Lammy. Prenderà poi parte anche a un incontro informale dei Ministri degli Esteri G7, il primo sotto Presidenza canadese e primo con il nuovo Segretario di Stato americano Rubio.

Nel pomeriggio di sabato avrà luogo una riunione del Quintetto e dell’Unione Europea, che consentirà di fare il punto sullo stato delle relazioni transatlantiche, anche in relazione agli scenari di crisi e alla luce delle priorità della nuova Amministrazione statunitense.

 A seguire un incontro dei Ministri degli Esteri di Italia, Francia, Spagna, Germania, Polonia con l’Alto Rappresentante UE e l’inviato USA per Russia e Ucraina, Gen. Keith Kellogg, si focalizzerà sulle prospettive del conflitto russo-ucraino. “Il fatto che gli Stati Uniti e la Federazione Russa riprendano a parlarsi ad alto livello è un segnale positivo. Noi europei dobbiamo essere uniti e lavorare per riportare la pace sul nostro continente. Non una pace provvisoria, ma una pace giusta, duratura e che non corrisponda a una resa di Kiyv” ha detto il Ministro Tajani.

A margine dei lavori della Conferenza, sono previsti incontri bilaterali del Ministro Tajani con i Ministri degli Affari Esteri argentino, Gerardo Werthein, saudita, Faisal bin Fahran Al Saud, canadese, Mélanie Joly; con il Presidente della commissione esteri del Senato USA, Sen. Jim Risch, e con l’Inviato USA per Russia e Ucraina, Gen. Keith Kellogg. (Inform/dip 14)

 

 

 

 

Fiera del Turismo di Stoccarda. L’Italia rimane fra le mete preferite

 

Stoccarda – Alla crisi che attanaglia la Germania si contrappone una crescente voglia di viaggiare. È questa in sintesi la considerazione degli oltre 1.600 espositori del variegato mercato della vacanza. Esso comprende ovviamente i diversi segmenti del turismo che va da quello individuale del campeggio, dello sport, del mare, della montagna , del lago, della natura, delle terme e delle città d’arte. La calamità naturale, le guerre e l’instabilità sociale e politica di molti paesi, spinge sempre più il turista tedesco o comunque stabilmente residente in Germania a scegliere mete al quanto sicure. Fra i paesi prescelti si riconfermano la Spagna, l’Italia, la Turchia, la Grecia, la Slovenia, la Croazia e la stessa Germania, sempre più gettonata a livello nazionale e internazionale sia per le bellezze naturali che paesaggistiche e culturali.

Infatti, anche quest’anno si è registrata una forte presenza di Länder quali la Baviera con i suoi laghi, il Baden-Württemberg con la sua Foresta Nera ed il Lago di Costanza, “La strada del vino” Magonza, Kassel e Treviri della Renania Palatinato, e poi le città anseatiche (Amburgo, Brema e Lubecca), il Mar del Nord e dell’Est ed infine gettonatissima Berlino per la plurivariegata offerta culturale, paesaggistica e del divertimento. Ancora una volta si registra un forte interesse per il turismo sulle due ruote e con il camper per le città d’arte, mentre in calo è il segmento termale.

Non dello stesso avviso è Pino Gammaro di Heidenheim (Baden-Württemberg) che da oltre tre decenni promuove in diverse fiere alcuni hotel di bano e Montegrotto: “Il nostro settore termale e non solo, in questa importante fiera, per noi operatori ha avuto un ottimo riscontro. Molti visitatori hanno addirittura prenotato un proprio soggiorno direttamente qui in fiera. Poi, per quanto riguarda la crisi lavorativa che la Germania sta attraversando, dalle molte interlocuzioni con molti potenziali clienti si percepisce una forte voglia di evasione dalla quotidianità almeno per qualche settimana. Una sempre maggiore attenzione è riservata agli over 70 e soprattutto ai disabili o diversamente abili. Sono infatti sempre più le strutture ricettive che hanno adeguato gli accessi alle strutture, agli ascensori ed aree di intrattenimento anche per bambini.

Nonostante “la febbre Sinner” Djokovic, Musetti, Berrettini, Zvererv, Alcaraz ed altri, la richiesta per il tennis stenta a riconquistare l’entusiasmo dei giovani registrato in passato con Boris Becker e Steffi Graf. Oggi i giovani sono fortemente interessati e attratti dal parapendio, dal surf, scalate, motocross, trekking, mountain-bike e down Hill ovvero risalite su impianti e discese mozzafiato. Soddisfazione è stata registrata nel mondo della Caravan, dei Camper ma anche dal mondo crocieristico soprattutto per i Paesi Scandinavi, del Mediterraneo, dell’Ege o dell’Atlantico.

Secondo il Prof. Martin Lehmann, esperto del mercato turistico tedesco, è convinto che né la crisi dell’automobile tedesca e di tutto l’indotto e né le elezioni politiche anticipate influenzeranno negativamente il mercato o meglio l’innata voglia di viaggiare dei tedeschi.

“Ciò vale – sostiene il Prof. Lehmann – anche per il turismo culturale in cui l’Italia detiene da sempre il primato. Basti ricordare Venezia, Firenze, Roma che, giornalmente ed in tutte le stagioni dell’anno, registrano un flusso continuo anche di visitatori stranieri e, fra questi, decine di migliaia di tedeschi”. Non meno importante è il richiamo operistico del Teatro alla Scala di Milano nel periodo dicembre – giugno e dell’Arena di Verona nel periodo estivo, metà giugno – inizio settembre, collegato a vacanze sul Lago di Garda o alle cure Termali ad Abano/Montegrotto.

Come per la Turchia, Grecia, ex Jugoslavia, Polonia, Bulgaria e Romania così per l’Italia un segmento importante di flusso turistico è costituito da oltre mezzo secolo dagli emigrati che puntualmente ogni estate, compatibilmente con il lavoro e/o con la scuola fanno ritorno nei luoghi di origine. Anche questi milioni di persone spostano milioni di euro dalla Germania e non solo. L’Italia politica – come noto – da qualche anno sta riservando una particolare attenzione al Turismo delle Radici o di Ritorno nella speranza di contribuire a bloccare o per lo meno a ridurre o contenere l’emorragia dell’esodo dei pochi giovani e di giovani famiglie rimasti nei piccoli borghi. Col calo demografico, come noto, spariscono anche entità lavorative e dei servizi: banche, ambulatori, scuole, assistenza per anziani, officine, operai per piccole aziende artigianali e agricole.

Una boccata d’ossigeno alle micro-economie del mercato turistico è data oggi dal cosiddetto Turismo delle Radici ovvero dagli emigrati che fanno ritorno in estate nelle località d’origine. Alla ridinamicità dei piccoli borghi si associa la rivitalizzazione delle micro-economie che per l’intero Paese Italia, secondo la Confcommercio ha significato nel 2024 un tesoro potenziale da oltre 8 miliardi di euro. Secondo poi la The European House- Ambrosetti il turismo delle radici può generare in Italia fino a 141 miliardi di euro. Non bisogna tuttavia ignorare che l’industria vacanziera è strettamente collegata o meglio subordinata alle attività lavorative in tutti i settori dell’economie ed in particolare delle grandi aziende, fucina di benessere di un intero territorio.(Tony Màzzaro/Inform 7)

 

 

 

 

Il teatro italiano a Friburgo con il Consolato e la compagnia BRAT

 

Friburgo Brsg - Il Consolato d’Italia a Friburgo ha inaugurato il 2025 con un tuffo nell’affascinante mondo del teatro, insieme ai membri della giovane e intraprendente compagnia BRAT.

Fondata nel 2015 in Friuli Venezia Giulia, la compagnia BRAT è formata da un gruppo di artisti che si occupa di promozione e diffusione del teatro attraverso diversi tipi di performance e attività formative.

La compagnia, per la primissima volta in Germania, grazie ad una collaborazione tra il Consolato d’Italia a Friburgo e l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccarda ha presenziato con un proprio stand all’Internationale Kulturbörse, la più grande fiera annuale di lingua tedesca dedicata a tutti i professionisti e gli appassionati di arti visive. Qui la compagnia BRAT ha avuto modo di farsi conoscere al pubblico, anche grazie alla messa in scena di un estratto del loro marchio di fabbrica “NUNC”.

NUNC, interamente ideata e realizzata dai membri della compagnia, incarna appieno l’idea di teatro popolare, inteso come strumento critico per interpretare la realtà. Infatti, per i giovani artisti “Il teatro è uno strumento vivo e contemporaneo, capace di parlare allo spettatore”. NUNC, grazie all’uso di maschere realizzate dai “mascherai” presenti nella compagnia, propone un teatro al contempo innovativo e tradizionale. Mentre l’immediatezza del linguaggio fatto di simboli, gestualità, odori e suoni, è capace di veicolare messaggi complessi anche ai più piccoli spettatori. Tutto questo è valso a NUNC la vittoria del Premio Scenario infanzia 2022, che favorisce i giovani di età inferiore ai 35 anni che sono stati in grado di utilizzare linguaggi innovativi in opere rivolte a chi è nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza.

Il Consolato d’Italia a Friburgo ha così incentivato e sostenuto, valorizzandolo in tutta la Circoscrizione, il talento e l’impegno dei giovani artisti italiani, riconoscendo che l’arte è spesso il modo più diretto per costruire ponti tra culture. (aise/dip 31.1.)

 

 

 

 

 

In scena a Saarbrücken „Ich Alberich!”, con l’attore Michele Marotta

 

È Michele Marotta, attore italiano con residenza a Saarbrücken, “Ich Alberich”, il nano della saga dei Nibelunghi, la maggiore opera della mitologia germanica, nello spettacolo teatrale messo nuovamente in scena a gennaio da Elmar Ottenthal al teatro “Blauer Hirsch” nella capitale del Saarland.  

Das Nibelungenlied è un dramma tetro e sanguinolento: stupri, imboscate, omicidi per avidità, intrighi per gelosia, tradimenti, inganni per amore e l’immancabile supereroe invulnerabile o… quasi.

Il regista Elmar Ottenthal ha costruito uno spettacolo di pura avanguardia centrato su un solo attore con i testi di Michael Korth, le illustrazioni di Klaus Pitter e le musiche di Aino Laos.

La formula vincente: autoironia, satira e un pizzico di cinismo dosati con leggerezza che fa digerire, anche ai giovani ormai lontani dai classici, uno dei mattoni più pesanti della letteratura tedesca.

Nel racconto condensato in due ore di spettacolo, Sigfrido, supereroe invincibile, ma solo al 99,9 per cento, una specie di Achille d’oltralpe, ammazza il drago di Alberich, nano, piccolo e brutto ma che sa rendersi invisibile. Ne ruba il tesoro, aiuta un tizio a conquistare una specie di Wonder Woman in Islanda, ma solo per sposare la sorella di questo innamorato, e diventa addirittura re. Però, alla fine, viene accoppato a tradimento, colpito nell’unico punto vulnerabile del suo corpo. La vedova, che dopo anni è ancora perdutamente innamorata e addolorata, si vendica, organizzando un vero e proprio massacro. Nel finale travolgente, crepano tutti. Tutti tranne…  Alberich-Marotta!

Marotta interpreta con la stessa maschera Sigfrido, Brunilde, Grimilde, Hagen e compagnia bella, riuscendo a dare a tutti i personaggi la loro peculiarità e la loro caratteristica. L’attore ha così soddisfatto tutte le esigenze del regista Ottenthal concentrate nella riuscita fusione della Commedia dell’Arte con la tetra mitologia germanica.

 Ed Elmar Ottenthal non è un regista qualunque. Gode di fama internazionale, ha diretto importanti teatri a Berlino, Aquisgrana, Colonia fino a Pechino, dove è stato docente e direttore di Joint Ventures teatrali.

Elmar Ottenthal ha puntato sul cavallo vincente, riponendo in Michele Marotta una grande fiducia guidata da un’esperienza e un istinto sinora infallibili.

Michele Marotta si è fidato, dal canto suo, ciecamente di Ottenthal, mettendo il futuro della sua carriera di attore nelle sue mani e nelle mani di Alberich, un nano che Marotta ha saputo trasformare in un gigante da palcoscenico.

“Ich Alberich” è messo in scena con una parsimonia di requisiti incredibile. Basta un proiettore, una sedia, due altoparlanti, rendendolo così realizzabile in un’aula scolastica, in un teatro tenda, in una sala riunioni e, se avete una casa comoda e spaziosa, pure nel giardino di casa vostra.

Per saperne di più: https://cinemusical.com/   Pasquale Marino, CdI on. 7

 

 

 

 

 

Il 18 febbraio all’IIC di Amburgo il libro “Denominazione di Origine Inventata”:

 

Amburgo - Martedì prossimo, 18 febbraio, alle ore 19:00, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo si terrà un incontro con l’autore Alberto Grandi, che presenterà il suo saggio “Denominazione di origine inventata”, edito da Mondadori nel 2020. Il libro è stato pubblicato nel 2024 anche in Germania dal gruppo editoriale HarperCollins, con il titolo “Mythos Nationalgericht. Die erfundenen Traditionen der italienischen Küche” e la traduzione in tedesco di Andrea Kunstmann.

L’evento è organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con l’Istituto di Colonia e le Associazioni Literaturverein di Münster e Deutsch-Italienische Vereinigung di Francoforte. La serata sarà moderata da Stephanie Neu-Wendel, che curerà anche la traduzione in italiano-tedesco-italiano delle domande del pubblico e degli interventi dell’autore.

La partecipazione all’evento è gratuita, ma è richiesta la prenotazione tramite il portale Eventbrite.

Nel suo libro Alberto Grandi, professore all’Università di Parma, svela il ruolo fondamentale del marketing nella costruzione del mito della gastronomia italiana. Il professore sostiene che molti dei prodotti tipici, dei piatti iconici e perfino della dieta mediterranea affondano le loro radici non in epoche lontane, ma nella crisi industriale degli anni Settanta. È in quel periodo che imprenditori e coltivatori italiani collaborano per creare un racconto di antiche tradizioni, rafforzato da un efficace storytelling.

Grandi mette in discussione la storia di prodotti come il Parmigiano Reggiano, che non è quello prodotto secoli fa dai monaci emiliani, ma paradossalmente è il Parmesan del Wisconsin. Il famoso pomodoro di Pachino, simbolo della Sicilia? In realtà, si tratta di un ibrido sviluppato in laboratorio da una multinazionale israeliana. Persino il Marsala, oggi considerato un’eccellenza italiana, è frutto dell’iniziativa di un commerciante inglese, che aggiunse alcool al vino per garantirne una migliore conservazione durante il trasporto.

E se poi parliamo delle certificazioni DOC, DOP e IGP, dove raccontiamo di tradizioni millenarie? La realtà è ben diversa: nella seconda metà dell’Ottocento, un parassita distrusse i vigneti italiani ed europei, costringendo i viticoltori a ricominciare da zero con innesti e varietà non autoctone.

“Denominazione di Origine Inventata” è un libro che mette in discussione molte convinzioni e fa riflettere – o forse arrabbiare – chi crede ciecamente nel mito dell’autenticità del cibo italiano. Le teorie riportate dall’autore hanno suscitato polemiche e acceso dibattiti, ma hanno anche stimolato una riflessione più approfondita sul concetto di autenticità nel cibo. In ogni caso, nei libri del prof. Grandi vengono esaltate la qualità e il gusto di tanti prodotti italiani che, indipendentemente dalla loro storia, sono e rimangono gli ingredienti principali della nostra gastronomia, giustamente apprezzati come prodotti d’eccellenza in Italia e in tutto il mondo.

Alberto Grandi (Mantova, 1967) è un professore universitario e storico dell’alimentazione, noto per il suo approccio critico alla narrazione tradizionale del cibo italiano. Insegna all’Università di Parma e ha dedicato i suoi studi all’evoluzione dell’industria gastronomica, analizzando il ruolo del marketing nella costruzione dell’identità culinaria italiana. È preside del corso di laurea in “Economia e management” all’Università di Parma. È autore di oltre cinquanta lavori tra articoli scientifici e monografie in Italia e all’estero. Per Mondadori ha pubblicato il bestseller “Denominazione di Origine Inventata” (2018), “Parla mentre mangi” (2019) e “La cucina italiana non esiste” (2024). Oltre alla sua attività accademica, Grandi è spesso ospite di conferenze e trasmissioni in cui affronta i temi legati alla storia dell’alimentazione e alla globalizzazione del cibo.

In collaborazione con Daniele Soffiati, autore di libri dedicati al cinema e alla tv, Alberto Grandi conduce il podcast “DOI – Denominazione di origine inventata” pensato ad aiutare gli ascoltatori a separare la verità dalle narrazioni pubblicitarie, ripercorrendo la vera storia della cucina italiana. (aise/dip 14)

 

 

 

 

Francoforte. Il Consolato invita a due importanti eventi

 

Care amiche e cari amici, liebe Freunde der italienischen Kultur,

questa settimana vi proponiamo alcune iniziative culturali delle prossime settimane alle quali vi invitiamo con piacere:

Wir laden sie herzlich zu diesen nächsten Veranstaltungen ein, die am, 20. Februar sowie am 27. und 28.02.2025 stattfinden werden:

CINEMA ITALIANO (rassegna di film italiani) a Bad Soden am Taunus

Lunedì/Montag 24.02.2025, h 20:00 (Accesso/Einlass: 19:30)

Film in lingua italiana ”Un mondo a parte” (2024) regia di Riccardo Milani

In italiano con sottotitoli in tedesco/Originalsprache mit deutschen Untertiteln

Prenotazione e biglietti/ Ticketkauf  über den Link: https://www.casablanca-badsoden.de/show/3129887650

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Ciclo di incontri con autrici e autori italiani "Un mondo di libri"/Im Rahmen der Reihe „Italien, eine Bücherwelt“

Incontro con l'autore / Buchpräsentation mit dem Autor

Alessandro BELLARDITA "Die sizilianische Akte: De Benedettis zweiter Fall" (AKRES Publishing, 2024) (in IT e TED/ auf IT und DEU)

Moderation: Michele Santoriello (Kulturbüro des Ital. Generalkonsulats)

Francoforte sul Meno/ Frankfurt am Main Giovedì/Donnerstag

27. Februar 2025, h 19.00 Buchhandlung Weltenleser

Oeder Weg 40 60318 Frankfurt am Main

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Contributo forfettario/Eintritt: 5,00 € ( inkl. Aperitiv mit dem Autor/ incluso aperitivo con l'autore)

Si prega di prenotare/Wir bitten um Anmeldung: info@weltenleser.de

Während Staatsanwalt Francesco De Benedetti im beschaulichen Heidelberg seiner täglichen Routine nachgeht, erhält er ein Amtshilfeersuchen aus Sizilien. Der im Mannheimer Gefängnis einsitzende Mafia-Boss Vito Macaluso muss wegen eines Mordfalles vernommen werden. Die sizilianischen Ermittler vermuten, dass Macaluso ein wichtiger Zeuge sein könnte. Die Bearbeitung scheint nur eine Formsache. Doch wenige Tage nach der Vernehmung wird dessen Neffe ermordet. Plötzlich überstürzen sich die Ereignisse, und es bestätigt sich, was De Benedetti bereits geahnt hat: Die sizilianische Akte führt direkt zu einer Spur des Todes, die Deutschland und Sizilien miteinander verbindet. In seinem zweiten Ermittlungsfall geht der Heidelberger Staatsanwalt De Benedetti den verborgenen Strukturen der italienischen Mafia im Rhein-Neckar-Gebiet auf die Spur.

Alessandro Bellardita ist gebürtiger Sizilianer und lebt im Rhein-Neckar-Gebiet. Seit 2012 ist er im Justizdienst tätig; journalistisch und schriftstellerisch betätigt er sich seit 2005. Im Jahr 2021 erschien unter dem Titel „Der Zeugenmacher“ der erste Ermittlungsfall seiner deutsch-italienischen Hauptfigur Francesco De Benedetti.

Ulteriori informazioni a questo link: Ciclo “Un mondo di libri – Italien: eine Bücherwelt” – Programma degli incontri/Programm 2025 – Consolato Generale d'Italia a Francoforte

In Kooperation mit der Buchhandlung Weltenleser FFM e IIC Colonia.

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„Se bastasse una sola canzone“ – 70 Jahre Canzone Italiana Elettra de Salvo, Eva Spagna & Holger Schliestedt

Freitag, 28. Februar 2025 | 20.00 UhrRomanfabrik

Hanauer Landstr. 186 (Hof), 60314 Frankfurt

Vorverkauf: AD-Ticket, www.ad-ticket.de

Die Schauspielerin Elettra de Salvo präsentiert gemeinsam mit der Sängerin Eva Spagna und dem Gitarristen Holger Schliestedt ein Stück Geschichte Italiens in Melodien und Texten der Canzone Italiana seit der Nachkriegszeit: Marina, Quando quando quando, O sole mio, Azzurro, Volare …

Caterina Valente, Rocco Granata, Pavarotti, Ramazzotti, Adriano Celentano oder Gianna Nannini. Das fällt zweifellos dem deutschen Italien-Liebhaber ein, wenn er an das italienische Liederrepertoire denkt. Doch es gibt viel, viel mehr: in Deutschland weniger bekannte hervorragende Schlagersänger*innen, Popmusiker*innen und Singer/Songwriter.

Zwei „kleine Italienerinnen“ laden Sie ein zu einem spannenden und amüsanten Streifzug durch 70 Jahre Geschichte Italiens, durch verschiedene Epochen, Genres und Anekdoten der „canzone italiana“. Zum Zuhören und Mitsingen. Idee und Konzeption: Elettra de Salvo.

TICKETS- Eintritt: Solidarisches Preissystem mit 20 Euro (Förderpreis), 15 Euro (regulärer Preis), 10 Euro (Minimalpreis), 6 Euro (Schüler*innen + Studierende)

„[…] ‚se bastasse una sola canzone‘ liess die Zuschauer in Glücksmomente schwelgen. Fachkundig erläutert und charmant begleitet wurde diese lyrisch-akustische Reise von der Schauspielerin und Regisseurin Elettra de Salvo. Sängerin Eva Spagna und Holger Schliestedt an der Gitarre musizierten sich mit viel Leidenschaft und wunderbaren Arrangements. […] die großartige Eva Spagna verstand es, der Seele von Musikstücken und Künstlern nachzuspüren.“ Badische Neueste Nachrichten

Mit freundlicher Unterstützung von Italienischen Generalkonsulats Frankfurt am Main

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Vi ricordiamo infine le due mostre a Francoforte che hanno il nostro Patrocinio e  si concludono nelle prossime settimane. Offrono entrambe anche interessanti visite guidate da non perdere.

Außerdem laden wir Sie ein, die folgenden beiden Ausstellungen zu besuchen, die unter der Schirmherrschaft des italienischen Generalkonsulats stehen und tolle Führungen anbieten:

Mostra/Ausstellung: „Das Anwesende des Abwesenden“ (La presenza dell’assenza)-12.10.24 – 2.03.2025 – Frankfurter Kunstverein

https://consfrancoforte.esteri.it/de/news/dal_consolato/2024/09/ausstellung-la-presenza-dellassenza-das-anwesende-des-abwesenden-12-10-24-2-03-2025-frankfurter-kunstverein/ Mostra/Ausstellung: „AENIGMA 2.0“ – Archäologisches Museum Frankfurt – 14.10. 24 – 23.03.2025

https://consfrancoforte.esteri.it/it/news/dal_consolato/2024/10/mostra-ausstellung-aenigma-2-0-archaologisches-museum-frankfurt-15-10-24-23-03-2025/

 

Ciclo di incontri con autrici e autori italiani "Un mondo di libri"

Im Rahmen der Reihe „Italien, eine Bücherwelt“

Francoforte sul Meno/ Frankfurt am Main

Giovedì/Donnerstag 27. Februar 2025, h 19.00 Buchhandlung Weltenleser

Oeder Weg 40 60318 Frankfurt am Main

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Freitag, 28. Februar 2025 | 20.00 Uhr

Romanfabrik Hanauer Landstr. 186 (Hof), 60314 Frankfurt

Die Schauspielerin Elettra de Salvo präsentiert gemeinsam mit der Sängerin Eva Spagna und dem Gitarristen Holger Schliestedt ein Stück Geschichte Italiens in Melodien und Texten der Canzone Italiana seit der Nachkriegszeit: Marina, Quando quando quando, O sole mio, Azzurro, Volare …

Caterina Valente, Rocco Granata, Pavarotti, Ramazzotti, Adriano Celentano oder Gianna Nannini. Das fällt zweifellos dem deutschen Italien-Liebhaber ein, wenn er an das italienische Liederrepertoire denkt. Doch es gibt viel, viel mehr: in Deutschland weniger bekannte hervorragende Schlagersänger*innen, Popmusiker*innen und Singer/Songwriter.

Zwei „kleine Italienerinnen“ laden Sie ein zu einem spannenden und amüsanten Streifzug durch 70 Jahre Geschichte Italiens, durch verschiedene Epochen, Genres und Anekdoten der „canzone italiana“. Zum Zuhören und Mitsingen. Idee und Konzeption: Elettra de Salvo.

Eintritt: Solidarisches Preissystem mit 20 Euro (Förderpreis), 15 Euro (regulärer Preis), 10 Euro (Minimalpreis), 6 Euro (Schüler*innen + Studierende)

„[…] ‚se bastasse una sola canzone‘ liess die Zuschauer in Glücksmomente schwelgen. Fachkundig erläutert und charmant begleitet wurde diese lyrisch-akustische Reise von der Schauspielerin und Regisseurin Elettra de Salvo. Sängerin Eva Spagna und Holger Schliestedt an der Gitarre musizierten sich mit viel Leidenschaft und wunderbaren Arrangements. […] die großartige Eva Spagna verstand es, der Seele von Musikstücken und Künstlern nachzuspüren.“ Badische Neueste Nachrichten

Mit freundlicher Unterstützung von Italienischen Generalkonsulats Frankfurt am Main

Consolato Generale d’Italia a Francoforte sul Meno

Affari culturali e comunicazione  (dip 14)

 

 

 

 

 

145 organizzazioni alla CDU: “Non dividete ulteriormente la società”

 

“La protezione dei rifugiati e i diritti umani sono parte integrante della nostra democrazia”: è questo il messaggio che 145 organizzazioni sociali e per i diritti umani rivolgono al partito dei Cristiano democratici (Cdu) in vista dell’odierno congresso di partito. Nel messaggio si afferma che i rifugiati provenienti da numerose regioni del mondo sono ormai diventati parte integrante della società locale. Atti orribili compiuti da singoli individui, come l’attacco di Aschaffenburg, non dovrebbero mai portare alla “stigmatizzazione o all’esclusione dei diritti” di interi gruppi. La Cdu ha contribuito a far progredire questo dibattito con il progetto di legge bocciato venerdì scorso che ha rinfocolato le attuali discussioni sull’inasprimento delle leggi sulla cittadinanza, la residenza e l’asilo: ciò minaccia l’immagine che i diritti fondamentali e umani “o valgono per tutti noi o non valgono affatto”. Inoltre, le richieste di respingere le persone in cerca di protezione alle frontiere interne della Germania, l’abolizione del ricongiungimento familiare per le persone che hanno diritto alla protezione sussidiaria, il rimpatrio nelle zone di guerra e di crisi e la detenzione generalizzata di tutte le persone che devono lasciare il Paese sono “gravemente illegali”. L’appello afferma testualmente: “Vi preghiamo di astenervi durante la campagna elettorale da retorica e richieste che dividono ulteriormente la nostra società e mettono le persone le une contro le altre”. Sir 3

 

 

 

 

 

 

A Neunkirchen i Fliednermusiktage: musica inclusiva negli ospedali psichiatrici

 

Neunkirchen - Beijing Concert Hall, Shanghai Oriental Arts, Filarmonica di Berlino, Musikhalle di Amburgo, Alte Oper di Francoforte: solo alcune delle Sale concertistiche dove Ratko Delorko, pianista e compositore di fama mondiale, si è esibito negli anni.

Il 21 febbraio, alle ore 14.00, l'eccezionale musicista sarà a Neunkirchen in Germania per inaugurare il Fliednermusiktage 2025, Festival diretto dal Maestro Giuseppe Scorzelli, un progetto pilota per portare in tutta la Germania la musica inclusiva negli ospedali psichiatrici.

Abbattere le barriere e i pregiudizi nei confronti delle persone affette da malattie mentali e riportarle al centro della nostra società: questo è l'obiettivo del Fliednermusiktage, diretto da Scorzelli, musicoterapeuta e direttore artistico italiano, che da anni lavora nell’Ospedale Psichiatrico Fliedner Krankenhaus di Neunkirchen.

“La Musica è un formidabile strumento di connessione con il paziente psichiatrico e ho voluto realizzare questo progetto, unico in tutta la Germania, per dare al paziente non solo la possibilità di una presa in carico dal punto di vista farmacologico, ma anche sociale e culturale”, spiega Scorzelli, che parla dell’ospedale come “luogo di cura del corpo ma anche dell’anima”.

“Sono stato fortunato ad aver trovato totale appoggio da parte del mio capo, il prof. Vernaleken, e dallo staff della Diakonie”, aggiunge il Maestro. “Quest’anno ci aspettano appuntamenti meravigliosi e davvero vari, che culmineranno a fine Giugno con una giornata piena di Concerti all’aperto per tutta la città di Neunkirchen”.

Ratko Delorko si è esibito in vari Paesi d'Europa e d'Asia, oltre che negli Stati Uniti. Tiene masterclass in Malesia, Russia, Croazia, Italia, Stati Uniti, Vietnam e Cina ed è considerato un pioniere delle lezioni di pianoforte online. È anche un esperto di strumenti a tastiera storici. Nella produzione “Storia del pianoforte”, si esibisce con 22 pianoforti antichi. Quando si siede al pianoforte con una giacca di pelle e suona con passione brani classici, rompe gli stereotipi prevalenti.

“L'uomo giusto per il nostro festival inclusivo”, riassume Giuseppe Scorzelli.

Il Festival proseguirà il 16 maggio con Anatol Ernestus, musicista e costruttore di strumenti di Saarbrücken, che accompagnerà il pubblico nel mondo mistico della musica Handpan. (aise 5)

 

 

 

 

L’invasione delle finte multe in Germania

 

L'ufficio federale dei Trasporti chiarisce di non avere titolo per richiedere il pagamento di multe per infrazioni al Codice della strada: “È una truffa” – Mattia  Eccheli

I «furbetti del tagliandino» ci sono anche in Germania. Tanto da costringere la KBA, l'ufficio federale dei Trasporti, a diramare un comunicato ufficiale per far sapere agli automobilisti che stanno circolando falsi avvisi di notifiche per violazione del Codice della strada: «Si tratta di una truffa», precisa la Motorizzazione tedesca.

Le notifiche vengono inviate per posta elettronica, ma la KBA sottolinea che è «importante sapere che non emette sanzioni per violazioni del codice della strada perché non è responsabile» per questo tipo di provvedimenti. Anche in Germania sono in forte aumento le frodi in rete e l'ufficio federale per i Trasporti ha pertanto deciso di intervenire. Nel sintetico comunicato ricorda come ogni sanzione «è preceduta da un'udienza ai sensi della legge sulla procedura amministrativa da parte delle autorità competenti (autorità della circolazione stradale, ecc.), che coinvolge le persone coinvolte» che hanno l'opportunità di chiarire il caso.

Almeno per il momento non è chiaro chi si nasconda dietro l'operazione delle false multe (nè è dato sapere quanti conducenti abbiano già abboccato al possibile «phishing») che ha costretto la KBA anche a sottolineare di non essere la mittente di queste mail, «né lo sono altri organismi ufficiali». La stessa motorizzazione invita a «non effettuare pagamenti» e a non aprire i link allegati per i quali non esclude un possibile malaware, un programma di disturbo e «parassitario» che è anche capace di sottrarre i dati sensibili contenuti del dispositivo in cui viene lanciato.

In perfetto «burocratichese», la mail - della quale la Kba ha diffuso una sorta di fac-simile del 2 febbraio relativo ad una multa di 158 euro inviata dall’indirizzo Länderkennung @RU senza alcun numero di protocollo - informa l'automobilista della sanzione per eccesso di velocità: «per comodità» può scaricare il Pdf che contiene i dati per il pagamento al link indicato. Con estremo garbo viene anche ricordato che in caso di disaccordo, esiste un limite di 14 giorni per presentare ricorso. In ogni caso, insomma, è concreto il rischio di aprire il documento ed esporsi a rischi di intrusione informatica. LS 10

 

 

 

 

Il caos di Trump: segno di potenza politica o debolezza?

 

“Veramente disgustoso. Ma ecco cosa succede quando Trump non usa il teleprompter… Ecco perché continuo a dire che Donald Trump non potrà vincere l’elezione. Dobbiamo fermare il caos che segue Trump”. Queste le parole di Nikki Haley nel mese di febbraio del 2024 dopo avere ascoltato alcune dichiarazioni razziste fatte da Donald Trump in campagna elettorale. A quei tempi lei continuava a sfidare Trump per la nomination del Partito Repubblicano ma il mese dopo fu costretta a gettare la spugna. La Haley si è ovviamente sbagliata sull’esito elettorale ma aveva ragione sulla questione del caos che ha seguito Trump nelle prime tre settimane di presidenza.

Se c’è una strategia evidente nella pratica politica di Trump sarebbe quella di inondare le informazioni con ordini esecutivi a raffiche che scompigliano i media e i suoi avversari politici causando un tormentone che rende difficile chiarire cosa sta succedendo. Questa strategia politica di Trump non rivela la sua potenza ma infatti suggerisce paradossalmente la sua debolezza, come ha scritto Ezra Klein, editorialista del New York Times. Klein cita Steve Bannon, ex stratega di Trump nella prima campagna elettorale e poi consigliere per un po‘ di tempo alla Casa Bianca. Bannon aveva detto che i nemici sono i media e che Trump li sbilancerebbe perché possono solo seguire “una cosa alla volta” e quindi bisogna colpirli “con altre cose” che li terranno occupati. Nel frattempo Trump riuscirebbe a mettere in atto le sue politiche senza subire influenze dai contrappesi mediatici.

In effetti si tratta di controllare i cicli delle notizie e Trump sia in campagna elettorale che nelle prime settimane del suo secondo mandato è riuscito a fare ciò che Bannon mette a nudo. Mentre i media sono costretti a reagire a ogni sparata grossolana che esce dalla bocca del presidente, Musk, che alcuni hanno etichettato, il vero presidente, fa i fatti suoi, smantellando agenzie e prendendo controllo di informazioni che gli permetteranno di recare grossi danni agli americani.

Le sparate di Trump che da isolazionista del suo primo mandato si è convertito a sostenere l’ampliamento territoriale degli Usa hanno fatto il giro del mondo e destato preoccupazione. Dal cambiare il nome da Golfo del Messico a Golfo d’America, al controllo del Canale di Panama, l’impossessamento della Groenlandia, e l’ultima quella di controllare fisicamente la Striscia di Gaza, Trump ha causato caos e preoccupazione perché non si sa esattamente cosa potrebbe combinare. Per dimostrare il suo potere ha anche minacciato i dazi al Messico e il Canada del 25 percento come pure alla Cina del 10 percento. I dazi con i due Paesi del Nord America sembrano essere sfumati e non si sa esattamente l’esito di quelli con la Cina. Allo stesso tempo le minacce di dazi sono anche un messaggio ad altri Paesi. Gli effetti desiderati però sono stati ottenuti: Trump controlla l’agenda.

Più pericolosi però sono stati gli ordini esecutivi soprattutto per creare un clima di paura. Ciò è divenuto chiarissimo con la sua campagna di deportazione di massa e il piano di deportare migranti a Guantanamo. Difficile capire la logica ma l’effetto è quello di ricalcare il “reato” dei migranti. Metterli a Guantanamo li avvicina al pericoli dei terroristi. Ora però si sa che queste deportazioni di massa non sono realtà. The Guardian, il giornale inglese, ha analizzato le deportazioni e concluso che il motore di ricerca Google ha un algoritmo che li mette in risalto anche se alcuni sono avvenuti durante l’amministrazione Biden. In effetti, i numeri non sono quelli stratosferici desiderati da Trump.

Se i media non sanno che pesci pigliare con il caos di informazione con pochi risultati reali di controllare o mitigare l’operato di Trump, le Corti hanno avuto più successo. L’ordine esecutivo di eliminare la cittadinanza per nascita, lo ius soli, è stato bloccato dal giudice John Coughenour dello Stato di Washington. L’ordine è stato descritto dal giudice come talmente illegale costringendolo a rimproverare gli avvocati di Trump, accusandoli di improprietà professionali. L’altro ordine esecutivo di bloccare miliardi di pagamenti di dollari autorizzati dal Congresso è anche stato bloccato dal giudice federale Loren AliKan di Washington D. C. Altre denunce sono in corso. L’Alliance of Retired Americans ha denunciato il ministro del Tesoro Scott Bessent perché ha condiviso dati confidenziali con DOGE, il cosiddetto Dipartimento di Efficienza Governativa, guidato da Elon Musk. Il padrone di X (già Twitter), Tesla, SpaceX, e di tante altre aziende, ha un ruolo nel governo poco chiaro ma ciononostante è già riuscito a recare grossi danni smantellando USAid con 10 mila dipendenti che distribuiva miliardi di dollari a Paesi poveri nel mondo. Mentre Trump crea il caos e il contrappeso del Congresso sembra essere scomparso dalla circolazione persino nella gestione di programmi approvati con leggi, Musk fa tanti danni e non sembra essere controllato da nessuno. Infatti, Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato che i conflitti di interesse di Musk saranno gestiti proprio dallo stesso Musk.

Nonostante i danni creati da Musk Trump è poco potente perché l’approvazione di leggi che consoliderebbero la sua influenza sono poco fattibili. È vero che i repubblicani controllano il potere esecutivo e quello legislativo ma la loro maggioranza in ambedue Camere consiste di solo tre voti. Margini risicati specialmente al Senato dove vige ancora il filibuster, il requisito della maggioranza ad oltranza di 60 consensi per procedere alle votazioni. Con voti compatti, 41 senatori democratici potranno facilmente bloccare gli eccessi legislativi di Trump. CdI on 10

 

 

 

 

Consiglio europeo: vertice dei 27. “Per la difesa fare di più e insieme”

 

“Dobbiamo fare di più. Dobbiamo farlo meglio e più velocemente. E dobbiamo farlo insieme”. Nelle parole del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, c’è un primo bilancio del vertice informale dei 27 capi di Stato e di governo riuniti ieri, fino a tarda sera, a Bruxelles per discutere di difesa. E proprio alla difesa si riferisce Costa quando afferma, preoccupato: “La guerra in corso in Ucraina, gli attacchi informatici e ibridi, la situazione in Medio Oriente, tutto ciò richiede un forte approccio europeo per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini, per garantire la pace nel nostro continente. E costruire l’Europa della difesa è parte integrante di questo progetto. Le nostre discussioni si sono concentrate su tre argomenti principali: capacità, finanziamenti e partnership”. Sul summit, che ha ospitato in due momenti separati il segretario generale della Nato, Mark Rutte, e il premier britannico Keir Starmer, pesava l’ombra di Trump, con il possibile disimpegno militare degli Usa in Europa e con le continue e ambigue minacce di dazi commerciali.

Sulle capacità di difesa “che dovrebbero essere sviluppate in via prioritaria”, Costa afferma: “Accettiamo di concentrarci sulle lacune più critiche identificate dagli Stati membri attraverso il lavoro dell’Agenzia europea per la difesa, in piena coerenza con la Nato. E di concentrarci sulle aree in cui vi è un chiaro valore aggiunto dell’Ue. Nella discussione odierna, c’è stata un’attenzione alla difesa aerea e missilistica, ad esempio, ma anche, per citarne solo alcuni, missili e munizioni, mobilità militare e abilitatori strategici”. Specifica: “C’è stato un altro messaggio molto chiaro oggi: il rafforzamento dell’industria europea della difesa deve essere al centro di questo sforzo: dobbiamo produrre più capacità di cui abbiamo bisogno e farlo più velocemente”.

In chiusura del vertice informale dei 27 a Bruxelles Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, riferisce del nodo-finanziamenti per l’industria della difesa. “Gli Stati membri hanno compiuto grandi sforzi a livello nazionale. La spesa per la difesa è già aumentata del 30% tra il 2021 e il 2024. Oggi, in media, i 23 Stati membri che sono anche alleati della Nato spendono circa il 2% del loro Pil per la difesa. Dobbiamo continuare nella stessa direzione. La Commissione ha annunciato che avrebbe esaminato le flessibilità all’interno delle nuove regole di governance economica, per consentire una maggiore spesa nazionale per la difesa”. Si parla anche di mobilitare gli investimenti privati: l’industria bellica è un “affare”. “Per quanto riguarda la spesa pubblica, la difesa sarà un argomento importante nelle discussioni sul prossimo ciclo di bilancio dell’Ue a partire dal 2028. Ma è chiaro a tutti che dobbiamo agire più velocemente di così”. “I leader hanno anche concordato che gli investimenti nell’industria europea della difesa non solo contribuiranno a garantire la pace, ma contribuiranno anche alla prosperità e alla nostra competitività”. Sulle partnership Costa cita naturalmente quella con la Nato: “È fondamentale per garantire la sicurezza transatlantica”.

Durante il pranzo con il Segretario generale Mark Rutte, “abbiamo concordato che un’Europa della difesa più forte rafforza anche la partnership transatlantica. Gli Stati Uniti sono nostri amici, nostri alleati e nostri partner. Questa è una relazione che ha radici profonde e durerà nel tempo. Problemi e divergenze di opinioni possono sorgere anche tra amici. Quando ciò accade, dobbiamo affrontarli, parlare e trovare soluzioni. Naturalmente, pur difendendo i nostri valori e sostenendo i nostri principi, e senza compromettere i nostri interessi”.

Infine: “Abbiamo avuto anche il piacere di avere con noi il primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer. Il Regno Unito è il nostro partner naturale. E il nostro incontro ha confermato che c’è una nuova energia positiva nella nostra relazione. C’è molto che possiamo fare insieme sulla difesa e per affrontare le sfide globali. Non vediamo l’ora del nostro vertice con il Regno Unito in questo semestre”.Gianni Borsa, sir 4

 

 

 

 

 

 

La situazione

 

Il disagio è palese. L’attuale momento politico internazionale ha solo accelerato i tempi per una situazione della quale non siamo ancora in grado di stimare gli effetti. Chi si azzarderebbe a negarlo?

L’arcano resta fitto. Dopo gli abbagli per un’Italia meno povera, si è tornati  a fare i conti con un’economia assai variegata. I servizi sociali, quelli di pubblica utilità, sono stati i primi a soffrirne. Tutto il resto, che non è poco, non è stato risparmiato. L’idea di uno Stato protezionista si è tramutata nell’immagine di un Paese delle supposte riforme e dell’incoerenza.

Intanto, molti politici continuano a essere comparse su una scena la cui potenzialità non può essere trascurata. Ciò che à stato impossibile alle loro alleanze di cordata, sembra raggiunto, almeno nella sua fase iniziale, da un’emergenza politica da tamponare. La situazione resta in evoluzione. I problemi del Paese ci sono ancora tutti e, forse, se ne aggiungeranno degli altri. Non è il caso d’ipotizzare miglioramenti che potrebbero non esserci.

Potrà sembrare strano, ma anche da noi si stanno schematizzando, pur senza una tattica combinata, due “fronti”. Come a scrivere che chi è da una “parte”non dovrebbe, poi, transitare a un’’”altra”. Nel Paese è già successo. Da noi, la politica del “passaggio” non è una novità e neppure i suoi nefasti risultati.

Giorgio Brignola, de.itpress

 

 

 

 

 

La ricorrenza. I 10 anni (intensi) di Sergio Mattarella al Colle

 

La sua è la presidenza più lunga (anche Napolitano era stato rieletto, ma aveva lasciato dopo un anno e mezzo). Il tratto distintivo: fermezza mite in difesa della Costituzione e dell'unità del Paese

Dieci anni e non sentirli. Dieci anni per Sergio Mattarella da quello che viene ricordato come il capolavoro di un Matteo Renzi all’apice della sua parabola, segretario del Pd e capo del governo, che, per la complicata successione a Giorgio Napolitano, decise di far saltare il “patto del Nazareno”. Silvio Berlusconi non la prese bene, avendo già dato l’ok per Giuliano Amato, ma anche per il ricordo di un Mattarella che, nell’estate 1990, da ministro dell’Istruzione del governo Andreotti, si fece portavoce dei 5 ministri della sinistra Dc dimissionari contro la legge Mammì, che regolamentò le frequenze tv ratificando l’ascesa del Cavaliere a padrone dell’emittenza privata.

Il nome del più “longevo” presidente della Repubblica – secondo rieletto dopo Napolitano, che però si era dimesso dopo un anno e mezzo – spuntò a sorpresa, essendo in quel momento giudice costituzionale. Mattarella il 31 gennaio 2015 fu chiamato a un trasloco di pochi metri, dalla Consulta al Quirinale. Fu un’elezione più larga del previsto, 665 voti a fronte dei 505 che servivano, per la quale fu coniata la formula dei “franchi sostenitori” a indicare coloro che, dentro Forza Italia, andarono oltre l’astensione decisa dal Cav.: fra i promotori dell’operazione si fece il nome di Raffaele Fitto, che di recente si è visto ricambiare la stima trovando nel capo dello Stato un convinto sostenitore della sua indicazione a commissario europeo.

Il pomeriggio stesso dopo l’elezione Mattarella si recò a rendere omaggio alle Fosse Ardeatine indicando già, nel presidio della memoria condivisa, un filone chiave della sua lunga presidenza. Non a caso, poi, nel gennaio 2018, deciderà di nominare Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, senatrice a vita, unica e sola del decennio.

Mattarella al Quirinale porta il suo bagaglio di politico di lungo corso di popolare del Pd intestatario dell’ultima legge elettorale di cui il promotore non si sia poi vergognato, il “Mattarellum”, formula che riuscì a mettere insieme proporzionale, maggioritario e selezione della classe dirigente. Ma non dimentica il suo essere giurista, approdato alla politica, nel 1984, come commissario della Dc siciliana, chiamato dal segretario Ciriaco De Mita, quattro anni dopo l’assassinio (il 6 gennaio 1980) del fratello Piersanti, un omicidio politico-mafioso ancora avvolto nel mistero. Nel discorso di insediamento si presenta come l’«arbitro «imparziale». Ma, dice rivolto ai parlamentari che l’ascoltano: «I giocatori lo aiutino con la loro correttezza». La sua fermezza mite, sempre in difesa della Carta e dell'unità del Paese, che sarà apprezzata un po' da tutti, comporta “leale collaborazione” con le altre istituzioni, ma non complicità. E vale anche per il suo kingmaker, che pochi mesi dopo “inciampa” nel referendum confermativo alla sua riforma, avendo promesso di lasciare in caso di esito negativo. Mattarella ottiene da Renzi di congelare le sue dimissioni, per non compromettere l’approvazione della legge di Bilancio. A quel punto però lui chiede lo scioglimento delle Camere ma non l’ottiene, Mattarella incarica il suo ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Nel prosieguo di legislatura l’astro di Renzi si consumerà definitivamente, e ne risentiranno a lungo i suoi rapporti con l’inquilino del Quirinale.

Nel suo primo mandato Mattarella ha coabitato con 4 presidenti del Consiglio, di cui 3 da lui incaricati. Dopo Gentiloni (2016-2018), sarà la volta di Giuseppe Conte (2018-2021) e Mario Draghi (2021-2022) con un ruolo sempre più attivo del Quirinale, “motore di riserva” quando il sistema va in avaria. Con Gentiloni stabilirà un asse “fiduciario” venuto utile anche di recente, quando – con l’avvento dell’era Meloni – l’ex premier, diventato Commissario agli Affari economici di Bruxelles, sarà garante della continuità istituzionale fra Italia e Ue.

Con i 5 stelle partito di maggioranza relativa e con un Parlamento a maggioranza “euroscettica”, in omaggio al suo ruolo di garante Mattarella nel 2018 realizzerà l’atto più incisivo del decennio nel respingere l’indicazione di Paolo Savona all’Economia, che aveva dato alle stampe un libro in cui veniva considerata l’ipotesi di uscire dall’euro. Il giorno più lungo sul Colle è il 31 maggio 2018, quando Carlo Cottarelli, il tecnico chiamato dopo la rinuncia di Conte, rinuncia a sua volta perché “l’avvocato del popolo” torna improvvisamente in pista. Ok a Savona ministro, ma spostato agli Affari Europei, mentre il leader M5s Luigi Di Maio ritira la sua estemporanea proposta di impeachment.

Mattarella sarà di nuovo decisivo dopo la cosiddetta “crisi del Papeete” aperta da Matteo Salvini in pieno agosto, nel 2019, convinto - come Renzi - di ottenere il voto anticipato, ed invece a settembre nascerà il governo giallo-rosso, con Conte ancora alla guida. Ma dovrà affrontare una sfida mai vista prima: il Covid. Mattarella nel febbraio 2020 solidarizza con la comunità cinese, visitando una scuola, all’Esquilino. Ma in pochi giorni l’epidemia diventa pandemia, e l’Italia accusa pesantemente il colpo. Sono i giorni delle colonne di camion militari con le bare, dei Dpcr, delle mascherine. Con Mattarella sempre dalla parte della scienza e dei vaccini. Il grande risultato, ottenuto dal governo Conte, con l’ombrello istituzionale di Mattarella, sono i 209 miliardi del Pnrr ottenuti dalla Ue, operazione senza precedenti.

Ma il kingmaker del 2015, ormai con poche truppe, torna in azione. Renzi a fine anno capeggia la fronda contro Conte, e si gioca la carta Mario Draghi. Tocca però ancora a Mattarella mettere insieme una coalizione amplissima a sostegno del salvatore dell’euro richiamato in servizio dal suo Paese. Sono giorni di grande prestigio internazionale per il nostro governo, a partire dal G7 in Cornovaglia, l’Italia è al centro della scena, nel disegnare gli scenari della ripresa.

Nel 2022 cambia tutto. In vista del fine settennato il passaggio di testimone fra Draghi e Mattarella sembra nelle cose. Ma l’astro del premier che brilla nelle cancellerie di mezzo mondo, nel Parlamento convocato in seduta comune non decolla. Mattarella, fallito il tentativo Draghi per la sua successione, dopo aver spiegato le ragioni del suo fermo “no” a un nuovo mandato viene spinto proprio dal premier a restare dov’è per non esser privato del suo sostegno. C’entra ancora una volta Renzi che boccia la candidatura Belloni, contribuisce anche Casini con la sua rinuncia, una volta capito che su Mattarella si stava ricompattando tutto il fronte che reggeva il governo Draghi. Così il 29 gennaio 2022 viene rieletto, risultando il secondo Presidente più votato dopo Pertini (832 voti su 1011: 82,3%).

Ma un’altra minaccia incombe sull’Europa, a stoppare una ripresa che sembrava prorompente. In febbraio la Russia invade l’Ucraina. I fasti del “governo del presidente” e l’eterogenea maggioranza che lo tiene in piedi, impattano con la crisi energetica e l’impennata dei prezzi si abbatte sulle famiglie. Stavolta il voto anticipato è inevitabile, con un inedito appuntamento autunnale, dall’esito ritenuto scontato. Ne scaturisce la più veloce crisi di governo che si ricordi, Giorgia Meloni si presenta al Colle - irritualità concordata - con la lista dei ministri già pronta. Mattarella non obietta nemmeno di fronte a qualche palese conflitto di interessi che in altra situazione (senza una maggioranza chiara e una legge di Bilancio da approvare in fretta) l’avrebbe indotto a intervenire.

Il secondo mandato racconta tutt’altra storia. Racconta di un presidente che riconosce la forza di un governo che ha una maggioranza chiara in entrambi i rami del Parlamento. Ma questi due anni e mezzo raccontano anche di un Mattarella attivo più che mai, che - senza proferire parola sulla riforma del premierato che riduce il ruolo del capo del Stato - è impegnato a difendere la popolarità dell’istituzione garante dell’unità del Paese, convinto che ve ne sia bisogno in un’Italia in cui l’attuale politica “guerreggiata” incontra il disinteresse e l’astensione ormai di una quota maggioritaria degli elettori. Angelo Picariello, Avvenire 30.1.

 

 

 

 

 

Liberarsi dalla dipendenza affettiva: ritrovare sé stessi con la meditazione e scrittura

 

La dipendenza affettiva è una condizione dolorosa e logorante. Chi ne soffre si sente incompleto senza l’altro, ha paura dell’abbandono e si aggrappa alle relazioni anche quando queste sono dannose. Si tratta di un legame emotivo che, anziché nutrire, consuma. Tuttavia, è possibile liberarsi da questa gabbia interiore e riconquistare la propria autonomia emotiva.

Due strumenti potenti per questo percorso di guarigione sono la meditazione e la scrittura terapeutica. Entrambi aiutano a rompere i meccanismi di dipendenza, permettendo di riscoprire il proprio valore e costruire un rapporto più sano con se stessi e con gli altri.

Cos’è la dipendenza affettiva?

La dipendenza affettiva non è amore, ma bisogno. È una forma di attaccamento disfunzionale in cui la propria felicità e autostima dipendono dall’approvazione e dalla presenza di un’altra persona. I segnali più comuni includono:

*       Paura dell’abbandono e dell’isolamento

*       Difficoltà a stare da soli e bisogno costante di conferme

*       Sacrificare i propri bisogni per compiacere l’altro

*       Accettare relazioni tossiche pur di non perdere il legame

*       Ansia e ossessione verso la relazione

Chi soffre di dipendenza affettiva spesso cerca nell’altro una soluzione a un vuoto interiore, ma questa strategia porta solo a maggiore sofferenza. Il vero cambiamento avviene quando si inizia a guardarsi dentro e a coltivare un amore autentico per sé stessi.

Meditazione: riscoprire l’autonomia emotiva

La meditazione è uno strumento straordinario per interrompere i pensieri ossessivi e sviluppare una maggiore consapevolezza di sé. Quando si è dipendenti affettivamente, la mente è sempre proiettata sull’altro, sulla relazione, sul timore di essere lasciati. La meditazione aiuta a riportare l’attenzione nel momento presente e a costruire un equilibrio interiore.

 

Benefici della meditazione nella dipendenza affettiva

*       Interrompe i pensieri ossessivi e riduce l’ansia

*       Aiuta a gestire le emozioni senza farsi travolgere

*       Aumenta l’autostima e il senso di completezza interiore

*       Sviluppa il distacco emotivo sano senza cadere nell’indifferenza

Come iniziare

Non serve essere esperti per beneficiare della meditazione. Bastano pochi minuti al giorno per iniziare a vedere i cambiamenti. Ecco un semplice esercizio:

1.      Trova un posto tranquillo e chiudi gli occhi

2.      Focalizzati sul respiro, osservando l’aria che entra ed esce

3.      Lascia scorrere i pensieri senza giudicarli, come nuvole nel cielo

4.      Ripeti un’affermazione positiva, come “Io sono completo in me stesso”

5.      Dedica 5-10 minuti al giorno a questa pratica

Con il tempo, la meditazione aiuta a creare una distanza tra sé stessi e il bisogno compulsivo dell’altro, permettendo di riscoprire la propria forza interiore.

 

Scrittura terapeutica: dare voce alle emozioni

Oltre alla meditazione, la scrittura è un altro strumento potente per guarire dalla dipendenza affettiva. Spesso, chi vive questa condizione ha difficoltà a esprimere ciò che sente, reprimendo emozioni e bisogni. Scrivere permette di portare alla luce pensieri nascosti e rielaborare le proprie esperienze in modo costruttivo.

Esercizi di scrittura per liberarsi dalla dipendenza affettiva

1.      Diario emotivo – Scrivi ogni giorno ciò che provi senza filtri. Ti aiuterà a riconoscere i tuoi schemi emotivi e a distaccarti da pensieri ricorrenti.

2.      Lettere non spedite – Scrivi una lettera alla persona da cui dipendi emotivamente. Esprimi tutto ciò che senti, poi strappala o bruciala come gesto simbolico di rilascio.

3.      Lista del mio valore – Elenca almeno 10 qualità positive su di te. La dipendenza affettiva spesso nasce da una bassa autostima, quindi questo esercizio aiuta a rafforzare la propria identità.

4.      Visualizzazione del futuro libero – Scrivi una pagina descrivendo la tua vita senza dipendenza affettiva: come ti senti? Cosa fai? Chi sei? Questo ti aiuterà a immaginare un nuovo percorso per te.

Scrivere in modo costante permette di prendere consapevolezza delle proprie emozioni e di trasformarle in crescita personale.

 

Conclusione: il percorso verso la libertà emotiva

Liberarsi dalla dipendenza affettiva non significa smettere di amare, ma imparare ad amare in modo sano, senza perdere se stessi nell’altro. Meditazione e scrittura sono due strumenti preziosi per riscoprire il proprio valore e costruire relazioni più equilibrate.

Il primo passo? Iniziare a dedicare tempo a te stesso, anche solo pochi minuti al giorno, per ascoltare e comprendere ciò che provi. La libertà emotiva non è un sogno irraggiungibile, ma una scelta che puoi fare, un giorno alla volta. Claudia Bassanelli, CdI on 3

 

 

 

 

 

“Click day” e Decreto Flussi, il documento del Tavolo asilo e immigrazione al governo

 

Il Tavolo Asilo e Immigrazione ha inviato un documento sul Decreto flussi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con osservazioni e proposte frutto delle istanze degli enti del Terzo settore che operano nel settore dell’immigrazione, dell’accoglienza delle persone migranti e del contrasto alla tratta di esseri umani.

Il documento sottolinea l’ormai anacronistico meccanismo di programmazione dei flussi in entrata e di allocazione delle quote di ingresso annuali, sempre più insufficienti per le reali esigenze di chi vuole fare ingresso in Italia per lavorare e chi ha necessità di assumere manodopera straniera.

In particolare, lo strumento del click day, come si è visto già in occasione di quello del 5 febbraio, il primo del 2025 – in quattro minuti sono state raggiunte le 25 mila quote previste dal decreto -, rischia di essere una vera e propria lotteria ed esclude, formalmente, chi si trova già in Italia.

Le organizzazioni riunite nel chiedono, in particolare:

1.      La possibilità di assumere direttamente lavoratori/lavoratrici in qualsiasi momento, al di fuori del sistema quote e senza limitazioni per nazionalità o settori produttivi;

2.      la creazione di nuovi canali di ingresso per lavoro: sponsorship e ricerca lavoro;

3.      l’introduzione di una clausola di salvaguardia che dia diritto ad avere un permesso di soggiorno per attesa occupazione nell’ipotesi in cui, per cause non imputabili a lavoratori/lavoratrici, dopo l’ingresso in Italia non si formalizzi il rapporto di lavoro;

4.      la possibilità di assumere lavoratori/lavoratrici già in Italia pur in condizione di soggiorno irregolare, attraverso misure di regolarizzazione su base individuale – non afferenti alla domanda di protezione internazionale – in presenza di un’offerta di lavoro regolare o di radicamento sul territorio nazionale;

5.      lo snellimento della procedura di ingresso e rilascio del permesso di soggiorno e il potenziamento dell’organico della Pubblica amministrazione interessata a tali procedure;

6.      la possibilità di convertire tutti i permessi di soggiorno in permessi per lavoro.

Leggi il documento integrale del Tavolo Asilo e Immigrazione https://www.migrantesonline.it/wp-content/uploads/2025/02/TAI-Osservazioni-decreto-flussi.docx-1.pdf.   migr.on 8

 

 

 

 

 

Rapporto sulle nascite in Italia, i dati del 2023

 

ROMA – Il 90,1% dei parti nel 2023 è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, circa il 20,1% delle madri sono di cittadinanza non italiana, l’età media della madre è di 33,2 anni per le italiane mentre scende a 31,2 anni per le cittadine straniere. È quanto risulta dal Rapporto sull’evento nascita in Italia, realizzato dall’Ufficio di Statistica del Ministero della Salute. Nel Rapporto sono presentate le analisi dei dati rilevati dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CEDAP) dell’anno 2023. La rilevazione – istituita dal Decreto del Ministro della sanità 349/2001 – costituisce a livello nazionale la più ricca fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche relative all’evento nascita e rappresenta uno strumento essenziale per la programmazione sanitaria nazionale e regionale, con un livello di copertura pressoché totale. Il 90,1% dei parti nel 2023 è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 9,8% nelle case di cura e solo lo 0,13% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc.). Il 61,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno1.000 parti annui. Nel 2023, circa il 20,1% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Le aree geografiche di provenienza più rappresentate, sono quella dell’Africa (29,6%) e dell’Unione Europea (17,9%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana costituiscono rispettivamente il 21,0% e l’8,3% delle madri straniere. L’età media della madre è di 33,2 anni per le italiane mentre scende a 31,2 anni per le cittadine straniere. Delle donne che hanno partorito nell’anno 2023 il 42,4% ha una scolarità medio alta, il 22,0% medio bassa ed il 35,6% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (41,2%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 60,1% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 23,7% sono casalinghe e il 14,2% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2023 è per il 50,1% quella di casalinga a fronte del 67,9% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa. Nel 92,9% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 76,7% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive sono state effettuate in media 2,0 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 5,17% dei casi denotando un trend decrescente nell’ultimo triennio. La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 94,84% dei casi il padre del bambino, nel 4,26% un familiare e nello 0,90% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area geografica. Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. In media, nel 2023 il 30,3% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. I dati denotano comunque una tendenza alla diminuzione in linea con le indicazioni delle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”.  Lo 0,9% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi e il 6,1% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 98,5% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10. Sono stati rilevati 919 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,40 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 4.507 casi di malformazioni diagnosticate alla nascita. Il ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media in 3,9 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI). (Inform 7)

 

 

 

 

2025 La galassia del terrore

 

Da quel fatidico 11 settembre 2001, il mondo ha imparato a fare i conti con la minaccia persistente del terrorismo. Un fenomeno di certo non nuovo, ma che negli ultimi vent’anni ha assunto caratteristiche  di autentica minaccia sistemica alla sicurezza internazionale. Prima al-Qaeda, con la sua struttura verticistica e i suoi santuari in Asia Centrale. Dopo la sua decapitazione – con l’uccisione di Osama Bin Laden nel rifugio di Abbottabad, in Pakistan – sono nate diverse cellule locali affiliate nel Maghreb islamico, nella Penisola arabica, in Iraq e gli Shabaab somali, emerse come punti di una rete che ha trovato conveniente assumere il “brand” di al-Qaeda e la missione di costruire piccoli califfati nell’area che va dal Marocco all’Asia Centrale. Una delle caratteristiche essenziali di tutte le organizzazioni terroristiche è l’imprevedibilità. Queste organizzazioni si muovono per gruppi e agiscono di sorpresa, rendendo sterile, se non impossibile, la capacità di deterrenza. Per questo le strade delle nostre città e di quelle mediorientali hanno spesso dovuto fare i conti con attacchi terroristici devastanti. Si colpisce di sorpresa, dove è più doloroso e meno probabile. 

Il tentativo dell’ISIS di costruire un Califfato 

Qualcosa però di recente è cambiato. Con la comparsa sulla scena del Da’esh (o Stato Islamico – ISIS), assistiamo per la prima volta nella storia al tentativo di un’organizzazione terroristica di “farsi Stato”, di dotarsi di una dimensione territoriale e di una giurisdizione, dunque di una forma diversa rispetto alla sua tipica organizzazione orizzontale. E prova a farlo laddove la geografia di altri Stati pre-esistenti, in particolare tra Siria e Iraq, stava collassando, aprendo spazi enormi per la conquista. Da’esh è stato un caso unico ed emblematico: un coacervo di ex combattenti e reduci di al-Qaeda, militanti salafiti giunti da ogni parte del Medio Oriente, piccoli gruppi armati di ispirazione sunnita ed ex militari iracheni vicini a Saddam Hussein, uniti dal progetto di ricostruire un Califfato. Quando il sedicente Califfo e guida dello Stato Islamico, al-Baghdadi, pronuncia il suo celebre sermone nella moschea di Mosul, utilizza espressioni chiare: la missione del Da’esh è “distruggere gli apostati sciiti, terrorizzare l’Occidente e ricostruire il Califfato”. Da quella moschea, al-Baghdadi sale poi su un pick-up per dirigersi verso il luogo in cui, in precedenza, una linea nella sabbia e un po’ di filo spinato dividevano l’Iraq dalla Siria. Da quel luogo simbolico, il Califfo chiama a raccolta i combattenti da ogni parte del mondo, chiedendo loro di raggiungere la battaglia e di dar vita a un nuovo Stato. Saranno molti i combattenti stranieri che aderiranno a quell’appello, partiti anche dall’Occidente e dall’Italia. 

Il grido più forte di Da’esh

Mentre l’ISIS prova a superare la sua natura di organizzazione terroristica e a farsi Stato, l’Occidente e l’Europa tornano preda di attacchi violentissimi ai propri cittadini e ai propri simboli. Monaco di Baviera, Barcellona, Parigi, Strasburgo, Londra, Nizza diventano il proscenio per una lotta interna alla galassia delle organizzazioni integraliste. È il modo che il Da’esh sperimenta per gridare più forte e attrarre più finanziamenti e manodopera. Il tentativo di riportare in vita il Califfato dalle ceneri di Stati di carta però fallisce. Complici le diatribe interne e l’uccisione di al-Baghdadi, Da’esh scompare nella sua forma più organizzata e preoccupante. Non i suoi vertici, né i suoi miliziani, che tornano alla lotta in una dimensione più locale, impegnati a scalare posizioni negli spazi delle guerre civili e di secessione che, improvvidamente, abbiamo chiamato “Primavere arabe”. In Siria e il Libia in particolare, dove tribù e fazioni armate si scontrano da più di dieci anni per il controllo di porzioni di territorio. Bashar al-Assad, il Presidente siriano erede di una dinastia che governa da oltre cinquant’anni il Paese, lo aveva compreso prima di altri. Il suo obiettivo non era riconquistare il controllo dell’intero paese, ma blindare la sua permanenza e quella del suo clan alawita in una striscia di territorio che dalla capitale Damasco arriva fino alla città costiera di Latakia, nel nord. Una sorta di “Alawitistan”, un protettorato di Iran e Russia nel cuore del Medio Oriente. È attorno a questo disegno che si è costruita la narrativa di una mezzaluna sciita che da Teheran poteva raggiungere Damasco e il sud del Libano, trovando, ovviamente, l’opposizione dei Paesi e delle forze sunnite della regione, inclusi i movimenti di ispirazione integralista e le organizzazioni terroristiche figlie del Da’esh. Jabat-al Nusra è una di queste fazioni, forse la più importante e la meglio organizzata in Siria. Ha articolazioni in Libano e in Iraq e un canale di comunicazione diretto con la Turchia di Erdogan. La sua matrice integralista rende il movimento aggressivo e spietato, come in occasione del mai troppo ricordato massacro di Maaloula, la città cristiana costruita nella roccia, teatro di un autentico pogrom. 

La Siria di al-Jolani, dal terrorismo al potere

Il capo di al-Nusra è al-Jolani, un curriculum criminale lungo. Prima in al-Qaeda come luogotenente locale, poi nei ranghi di Da’esh, da dove esce in polemica addirittura con il Califfo al- Baghdadi; infine, fondatore del movimento Hayat Tharir al-Sham (HTS), che abbandona qualsiasi velleità di rivoluzione globale per occuparsi soltanto di Siria. Il compito di al-Jolani è soprattutto quello di cercare sponsor per tenere in piedi una struttura non troppo corposa ma ben addestrata. È il Presidente turco Erdogan a immaginare che quel gruppo, più di altri, possa avere un ruolo nel contenere le ambizioni dei Curdi che operano da anni nell’est della Siria con una propria milizia. Al-Jolani accetta volentieri il sostegno di Ankara e rassicura Erdogan sul futuro. Prima, però, dovrà occuparsi di arrivare a Damasco, cancellare i simboli del potere, magari catturare il dittatore. Il tutto richiederà appena dieci giorni, un tempo sorprendente e impensabile perfino in Turchia. Così la Siria passa da più di mezzo secolo di dittatura a un governo di transizione formalmente gestito da un’organizzazione terroristica, segnalata nella lista delle sanzioni internazionali e americane. Da quel tragico 11 settembre, lo scopo principale della politica estera americana in Medio Oriente è impedire la costruzione di santuari e luoghi sicuri per i terroristi. Il pericolo di una nuova piattaforma per organizzazioni come al-Qaeda, decapitata ma mai distrutta, o il Da’esh, che non potrà più costruire uno stato islamico ma che conta ancora diversi affiliati, è reale. Al ruolo delle diplomazie e degli apparati di sicurezza il compito di scongiurare questo rischio.  Il terrorismo è un fenomeno antico quanto l’uomo. Mutano le sue forme e i protagonisti. Ma soprattutto evolve e si affina la sua capacità di riempire spazi lasciati vuoti da Stati, Governi, forze armate e società civile. In Medio Oriente, ora che è iniziata la più poderosa scomposizione geografica e di interessi della storia contemporanea, di vuoti ce ne sono già parecchi. Gianluca Ansalone, AffInt 11

 

 

 

 

 

 

Analisi controcorrente. Riflessioni sulla fine della pazzia e della Terza Guerra Mondiale

 

Un noto proverbio ci ricorda che "ne uccide più la lingua che la spada" e questo pur essendo indiscutibile costituirà  un grosso problema per gli storici in futuro, che dovranno spiegare come sia stato possibile minchionare un intero continente (Europa) spingendolo in una guerra col rischio dell’annientamento nucleare unicamente usando la censura – asservendo media e stampa ridotte a luridi ed obbedienti striscianti servi - e appunto la cancellazione coatta di una lingua – quella in cui sono stati scritte le opere che primeggiano nella letteratura europea, cioè il russo.

La miope e falsa narrazione ovvero l' opinione dominante inculcata nei cittadini in clima di censura in Occidente e segnatamente in Europa racconta che il Presidente russo, che fino ad allora aveva sonnecchiato e non si era accorto di essere stato accerchiato dalla NATO, un giorno del febbraio 2022 avrebbe deciso di invadere l'Ucraina.

La NATO, alleanza militare spacciata per difensiva ma invece la più aggressiva della storia, aggredì la Serbia nel 1999, l'Irak nel 1992 e nel 2003, l'Afganistan, la Libia, la Siria e ora sotto nemmeno tanto mentite spoglie la Federazione Russa usando i malcapitati ucraini come carne da cannone.

Secondo la falsa ed ipocrita narrativa occidentale/uccidentale, i governanti russi sarebbero stati tanto fiduciosi nella lealtà e nel rispetto dei patti da parte degli USA (la NATO non si avvicinerà  di un pollice ai confini russi) da non supporre o ignorare che invece la NATO li stava circondando.

Certo le cose non andarono così, infatti fin da subito l'attuale Presidente russo aveva capito l'inganno, ben sapendo con che razza di mentitori per tradizione e  professione aveva a che fare. Per quelli come lui che (a differenza di Gorbaciev) la storia la conoscono bene, fidarsi delle promesse statunitensi è ingenuità assoluta.  E documentatamene: non era ancora finita la seconda guerra mondiale che, morto Roosewelt, il nuovo  presidente Truman aveva subito  ignorato tutti i patti stabiliti con Stalin dando inizio a quella che poi fu chiamata “Guerra Fredda”.

Dal 1945 in poi si fatica a contare tutti i Paesi (circa una ventina) aggrediti dagli USA,  con pretesti dimostratisi completamente falsi  o destabilizzati con colpi di Stato di matrice statunitense (Corea, Vietnam, fino a Irak, Libia e Siria).

Giustamente ed intelligentemente Putin  aveva diffidato da queste provocazioni offrendo contestualmente cooperazione e trattative di pace e disarmo, il suo discorso a Monaco nel 2007 era cristallino: se si vuole la pace in Europa e nel mondo nessuno può rafforzare la propria  sicurezza a scapito di quella altrui, cioè non si può estendere un’alleanza militare ai confini di un’altra nazione a meno che non vi sia l’intenzione di dominarla o ricattarla.

Non credo che allora si ripromettesse un qualche effetto delle sue proposte visto il branco di ignavi e striscianti vassalli USA che lo ascoltavano, ma il tentativo almeno lo fece.

Ma il discorso cadde nel vuoto: nel vuoto delle teste dei vassalli europei che da bravi cagnolini addestrati erano come lo sono tuttora pronti a correre a comando  cambiando direzione ad ogni schiocco di frusta del domatore statunitense  di turno.

Nonostante da nord ed ovest la NATO già avesse - in vergognoso dispregio della parola data - inglobato una ventina di  Paesi dell'ex Patto di Varsavia, la pazienza russa non era finita: unica linea da non oltrepassare erano state dichiarate l' Ucraina e la Georgia.

Appunto per questo gli sforzi NATO quale forza di occupazione USA in Europa,  si erano concentrati sulla destabilizzazione e successivo asservimento di ambedue questi Paesi, cercando di raggiungere l’obiettivo con ogni sorta di provocazioni e con l’infiltrazione di organizzazioni sedicenti "non statali" ONG come la appena chiusa USAid (ma con ogni evidenza foraggiate al 100% da USA e fondi di investimento - Soros docet).

Ricordo di aver avuto in margine ad una conferenza a Praga un illuminante colloquio proprio nell'ottobre 2014 con un responsabile di una ONG attiva in Ucraina. Gli avevo posto la semplice domanda: come si poteva giustificare democraticamente la legge approvata dal parlamento ucraino che vietava l'uso della lingua russa, una misura notoriamente di stampo nazifascista con poco nobili precedenti: il dittatore Franco in Spagna aveva vietato lingua basca e catalano, Mussolini il francese e le altre lingue al di fuori dell'italiano, Hitler aveva vietato il sorbo  nelle regioni in cui era lingua dominante. La risposta del responsabile dell'ONG evidentemente invitato ala conferenza a spese di Soros &C. era stata illuminante: l'Ucraina deve staccarsi del tutto dalla Russia e divenire nazione europea, entrare nell'UE e nella NATO per garantire progresso e benessere a tutti i cittadini.

Provai a far notare che la presenza di più lingue non impedisce ad una nazione di progredire e citai la Svizzera con quattro lingue, la Spagna, il Canada con due o più lingue di pari dignità di diritto e di fatto e non ultimo l'Italia, dove in alcune regioni le lingue locali hanno il medesimo diritto di quella nazionale, compreso nelle scuole ed università.

Alla fine il mio interlocutore mi confessò che erano l'UE e gli USA  a volere il "potenziamento" della lingua ucraina per "riunificare il Paese" . Infatti aveva cominciato subito a studiare meglio l'ucraino anche quello che poi dopo Por.oshenko divenne (ed è l'attuale - benchè non rieletto) presidente, appunto di lingua madre russa.

Notoriamente, come puntualmente avvenuto in Ucraina ed altrove, le false ONG agivano anche qui nell’ interesse statunitense a sfruttare le risorse dell'ex-Unione Sovietica. Una volta completato l'accerchiamento la Russia sarebbe divenuta facile preda  poiché minacciata dai missili   della  NATO   a pochi minuti di volo in direzione di Mosca.

Una minaccia che divenne grave dopo il colpo di stato a Kiev nel 2014: nella guerra civile che immediatamente seguì la proclamazione del vassallaggio ucraino agli USA,  la Federazione Russa non poteva abbandonare al proprio destino gli insorti russofoni della Crimea e del Donbass immediatamente aggrediti dall’esercito di Kiev, laddove i soldati subito fraternizzarono con gli insorti e furono necessarie ulteriori campagne e bombardamenti sulla popolazione civile per cercare di sedare la giustificata rivolta ed infine non rimase altra alternativa che inviare i neonazisti del battaglione Azov e simili altre bande criminali al posto dei soldati di leva che disertavano o fraternizzavano con gli insorti.

Notabene, la Crimea era già divenuta il 20 febbrio 1991 repubblica autonoma all’interno della ancora esistente Unione Sovietica per effetto del referendum indetto da Gorbaciov per correggere il colpo di mano col quale il dittatore Krusciov  per motivi di interesse personale (che condussero alla sua meritata destituzione) aveva “regalato” la Crimea all’Ucraina.

Un tentativo di pace per mettere fine ai bombardamenti ucronazisti delle popolazioni civili nel Donbass fu fatto con gli accordi di Minsk (I e II) con cui le regioni russofone del Donbass sarebbero rimaste all’interno della repubblica ucraina ma con un’ampia autonomia e soprattutto col diritto di mantenere la propria lingua, il russo, che poi era sempre stata la lingua parlata da tutti gli ucraini fino ad oggi (anche se col divieto imposto dagli ucronazisti di Kiev, gli ucraini che possono parlare senza timore di rappresaglie il russo sono soltanto quelli emigrati (in Europa ma anche a milioni in Russia).

Come confessarono pubblicamente vantandosene, i complici della tragedia ucraina (Merkel, Hollande che si erano falsamente dichiarati garanti dell'accordo) gli accordi erano stati firmati con l'intenzione unica di guadagnar tempo per preparare la guerra, che dunque fin dal 2014 era nel programma degli USA, e per i cui interessi di citati vassalli avevano ipocritamente firmato.

Ma come seminare ulteriore discordia e provocare così l’intervento russo ?

I falchi statunitensi sapevano che non a caso Hitler aveva iniziato l’operazione” Barbarossa” (cioè la guerra di conquista e sterminio del popolo russo) proprio dall’Ucraina, dove nel 1942i simpatizzanti col nazifascismo altro non attendevano ed infatti si erano uniti gioiosamente alle criminali truppe SS partecipando al massacro di cittadini sovietici, polacchi ed ebrei. Da allora in una parte dell’Ucraina continua ad esistere un cospicuo movimento di neonazisti, infatti non a caso Stepan Bandiera (un collaboratore hitleriano e criminale di guerra) era stato promosso a eroe nazionale ucraino, ed il suo busto ha sostituito le statue prima dedicate a Lenin (vero fondatore dell’Ucraina moderna).

E dunque un facilissimo “divide et impera” con la variante ”etrusca” (lingua che infatti scomparve del tutto ad opera dei romani quando essi occuparono militarmente quelle regioni): bastava cancellare la lingua russa e con essa anche la religione ortodossa del patriarcato di Mosca per costringere la Federazione Russa ad intervenire.

Gustoso quanto venne poi a galla a proposito della religione: gli USA avevano promesso una somma ingente ad un venale patriarca che doveva fondare una chiesa ortodossa alternativa e nemica di quella di Mosca. Il pagamento doveva avvenire tramite l’oligarco-presidente Por.oshenko, il quale però si trattenne una cospicua parte della somma: le proteste del venale patriarca finirono di pubblico dominio. Di qui sappiamo che a pagare erano appunto gli USA.

Colpisci lingua e tradizioni di un popolo e ti garantirai una guerra civile senza esclusione di colpi, e dunque ancora una volta si conferma "ne uccide più la lingua che la spada" : finora gli osservatori internazionali stimano in un milione i soldati ucraini e russi  caduti in questa guerra per procura pianificata e provocata dagli USA.  Per non contare i numerosi mercenari NATO e di altre nazionalità, per i quali si fatica a provare pietà visto che il loro mestiere è uccidere a pagamento.

Come può continuare o meglio finire  la tragedia in corso ?

Continuare fino alla "vittoria ucraina" è l'illusione folle purtroppo condivisa da gran parte dei governanti e ministri della guerra e degli esteri europei: brilla fra di loro per ridicola tonteria un'oca starnazzante di una delle nazioni europee che aveva una classe diplomatica invidiata per competenza dal resto del mondo, dove ora tutti si chiedono come sia ancora tollerabile una  persona di tale incompetenza in una posizione di alta responsabilità. E non è una giustificazione accettabile dire che la si tiene in quella posiizione perché di pari livello con gli altri ministri in quanto ad incompetenza.

Per mettere fine alla tragedia in corso il nuovo presidente statunitense avrebbe un’ occasione storica probabilmente irripetibile con cui potrebbe far dimenticare le altre corbellerie compiute: svuotare e ripulire le moderne “stalle di Augia”, cioè l’apparato statunitense che dal 1945 in poi altro non ha fatto che spingere il mondo verso l’olocausto atomico, per miopi e folli pretese di dominio mondiale, e iniziare una politica di ritorno al rispetto reciproco ed alla pace fra le nazioni.

Non abbiamo certo alcun affidabile motivo per credere a questa eventualità: nemmeno col nuovo presidente USA, ma è anche l’unica che ci permette di guardare avanti con un po’ di fiducia nell’avvenire.

Ma se la pulizia delle stalle del potere corrotto iniziasse negli USA, compito dei cittadini liberi in Europa sarebbe di fare urgentemente altrettanto in casa propria. Un compito altrettanto arduo ma indispensabile: e il primo passo dovrebbe essere la liquidazione dell’UE nella sua attuale forma ipocrita e corrotta che rappresenta una caricatura immonda della vera democrazia.

E per questo basterebbe lasciar lavorare i giudici per colpire e punire la corruzione in quella cupola di stampo mafioso: a cominciare dal vertice. E non si tratta soltanto delle buste di plastica piene di centinaia di migliaia di euro trovate nelle abitazioni di alti rappresentanti dell'UE: la vera corruzione è ancora tutta da scoprire anche se (ad es. contratti segreti con ditte farmaceutiche) fin troppo evidente.

(Graziano Priotto, Konstanz) dip 12

 

 

 

 

 

Essere propositivi

 

Il tempo è galantuomo. Gli eventi, nazionali e internazionali, l’hanno sempre dimostrato e, nei nostri oltre sessant’anni d’attività pubblicistica, ci abbiamo fatto conto.

 L’attuale situazione nel Vecchio Continente ha evidenziato ciò che temevamo. L’Europa è un continente geografico unito, ma politicamente ha delle differenze comportamentali che l’UE aveva tentato di disciplinare ma che, invece, sono tutte emerse in modo palese.

 

 Le differenze, che prima erano secondarie, ora si sono fatte decisive e l’Italia, che è uno degli anelli debole dell’Europa Stellata, ne risente, maggiormente, le conseguenze. Circa la politica nazionale, dovremo essere pronti a fare delle proposte alternative favorendo un programma nato con l’emergenza sanitaria, ma valido anche a pandemia risolta.

 

 L’Italia riprenderà la sua coscienza non più influenzata dalle posizioni politiche di chi ha gestito gli ultimi anni politici di questo Paese. Essere propositivo sarà la nuova meta che gli italiani saranno in grado di gestire. Meglio dimenticare i “campanilismi” politici e rivedere il panorama nazionale con un’ottica non più inquinata da alleanze fittizie che hanno dimostrato, proprio quando ci sarebbe voluta maggiore coesione, la loro inefficacia. Questo Governo dovrebbe presentare il mutamento.

 

 Una nuova presa di coscienza e una più coerente gestione del potere saranno le “terapie” migliori per uscire anche dal marasma politico di quest’ultimo quinquennio. Lo avremmo dovuto capire da qualche tempo. Ora sembra che la lezione sia servita. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

L’Europa di Giorgia Meloni: tra pragmatismo e spinte identitarie

 

I rapporti tra Roma e Bruxelles nel 2024 sono stati caratterizzati da una costante negoziazione di carattere prettamente politico, alla ricerca di reciproche concessioni. La narrativa e l’azione del governo Meloni sono state improntate a un dialogo pragmatico e a una collaborazione condizionata, offrendo sostegno alle iniziative europee, ma reclamando al contempo un ruolo di primo piano per l’Italia nella definizione delle politiche comuni.

Le dimensioni principali attraverso cui si è articolato l’approccio alla politica europea del governo sono state la cautela sulle questioni economiche e di bilancio, l’adesione ferma alla politica europea di sostegno all’Ucraina contro l’aggressione di Mosca, e il protagonismo nella ridefinizione delle politiche in materia di migrazione e asilo.

Fin dall’inizio del suo mandato, Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti hanno improntato la politica economica dell’Italia alla prudenza, in sostanziale continuità con quanto fatto dal precedente governo Draghi. Del resto, la necessità di mantenere rapporti costruttivi con Bruxelles è un imperativo per un Paese con alti livelli di indebitamento come l’Italia, soprattutto nella delicata fase di realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) finanziato dal NextGenerationEU. Tuttavia, si sono registrate alcune prese di posizione eterogenee rispetto al consenso europeo che trovano spiegazione in un approccio ideologico a beneficio di dinamiche politiche nazionali, a partire dalla mancata ratifica dell’Italia della proposta di riforma del Meccanismo europeo di stabilità a dicembre 2023.

Politica estera: dall’Ucraina ai Balcani

Per quanto riguarda il conflitto russo-ucraino, il governo italiano si è schierato fin dagli inizi al fianco di Kyiv nella risposta all’aggressione di Mosca, aderendo alla posizione europea e partecipando a tutte le iniziative di sostegno al governo ucraino. Nel corso del 2024, l’impegno italiano si è focalizzato anche sulla ricostruzione dell’Ucraina, sia attraverso lo Strumento per l’Ucraina sia attraverso aiuti bilaterali. L’Italia, tra l’altro, ospiterà la prossima edizione della conferenza, che si terrà a Roma nel luglio del 2025.

Sulle politiche migratorie la premier italiana è riuscita a costruire un rapporto di collaborazione in particolare con la presidente von der Leyen, facilitata dalla progressiva focalizzazione dell’azione europea sugli aspetti securitari e sulla gestione esterna del fenomeno, a scapito degli aspetti più legati all’integrazione e alla redistribuzione interna dei migranti. Questo approccio si è concretizzato in una serie di accordi sulle migrazioni con Paesi terzi, ma anche nel protocollo bilaterale, che ha suscitato notevole attenzione a livello UE, tra Italia e Albania in materia migratoria. Il via libera del governo italiano al nuovo Patto dell’UE sulla migrazione e l’asilo, adottato dal Consiglio dell’UE a maggio, è stato un ulteriore messaggio di collaborazione costruttiva inviato alle istituzioni europee da Giorgia Meloni.

Le sfide politiche europee e il futuro delle relazioni

L’Italia è stata tra i principali promotori della politica di allargamento dell’UE, in particolare verso i Balcani occidentali. In linea con questa posizione, l’Italia è stata tra i Paesi che più hanno spinto per l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia-Erzegovina nel Consiglio europeo di marzo 2024, e ha sostenuto la Presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’UE nel secondo semestre 2024 per l’apertura dei negoziati di adesione con l’Albania.

La campagna elettorale italiana per il rinnovo del Parlamento europeo ha visto le principali forze di governo scendere in campo con messaggi politici differenti, addirittura antitetici, anche in ragione della loro appartenenza a famiglie politiche diverse a Strasburgo. I diversi approcci tra i partiti di governo italiani emersi durante la campagna per le elezioni del Parlamento europeo hanno quindi generato tensioni nel processo di nomina della nuova leadership dell’UE. Nonostante il rafforzamento elettorale di Fratelli d’Italia (che si è confermato primo partito in Italia con il 28,8 per cento dei consensi) e le buone relazioni coltivate da Giorgia Meloni con i leader dei partiti europeisti, il governo italiano ed Ecr si sono rivelati in ultima analisi ininfluenti per la formazione delle maggioranze politiche al Consiglio e al Parlamento europeo, funzionali alla scelta della nuova classe dirigente dell’Unione.

In un primo momento, al Consiglio europeo di fine giugno, Meloni è rimasta esclusa dagli accordi sulle massime cariche e ha quindi votato contro la nomina di Antonio Costa a presidente del Consiglio europeo e contro la candidatura di Kaja Kallas per la carica di Alto rappresentante, astenendosi invece sulla ricandidatura di von der Leyen a presidente della Commissione. Quest’ultima è arrivata alla prova del voto in Parlamento sostenuta da una maggioranza centrista, moderata e pro-europea, formata dal Partito popolare europeo, dai Socialisti e Democratici, dai Liberali e dai Verdi, che ha totalizzato 401 voti. Dopo l’annuncio dei risultati Fratelli d’Italia ha dichiarato il proprio voto contrario — una scelta che è sembrata confinare il partito all’opposizione a livello europeo, abbandonando in apparenza l’approccio pragmatico in Europa e il ruolo di ponte tra i conservatori e l’ala più radicale della destra continentale.

Tuttavia, nella formazione della nuova Commissione, von der Leyen ha quindi indicato il candidato italiano e membro di Fratelli d’Italia Raffaele Fitto per uno dei posti di vicepresidente esecutivo, con portafoglio alla coesione e alle riforme. L’appoggio di von der Leyen alla nomina di Fitto non è mai venuto meno, neppure quando attorno a essa si è materializzata l’opposizione di Socialisti e Democratici, Liberali e Verdi. Sembra dunque che il rapporto fiduciario tra Giorgia Meloni e la nuova presidente della Commissione von der Leyen non si sia rotto del tutto, nonostante la posizione ambigua del governo italiano sulle nuove istituzioni europee.

Nel 2025, il cambio di amministrazione negli Stati Uniti potrebbe rappresentare un elemento di grande cambiamento anche per le dinamiche politiche italiane e per le relazioni del governo con i partner europei. Giorgia Meloni dovrà trovare la non facile quadra tra il rinnovo di una salda relazione transatlantica, la tenuta interna della sua maggioranza e l’impegno per il mantenimento dell’unità europea. Nicoletta Pirozzi, AffInt. 4

 

 

 

 

Usa. Dazi a Messico, Canada e Cina, le dogane diventano muri alti

 

Le guerre commerciali negli anni Duemila sono sempre più armi di geopolitica come si è visto con il grano in alcuni passaggi della guerra tra Russia e Ucraina. L'uso di dazi rafforzati è stato subito indicato dal nuovo presidente americano, Donald Trump, come uno strumento per spingere la produzione e l'occupazione interna (America First) e come un potente mezzo di pressione per ottenere altro. Da inizio febbraio sono scattate tasse aggiuntive del 25% per i prodotti dei confinanti Messico e Canada, per la Cina l'imposizione ulteriore è del 10% ed entra nel contenzioso tra le due grandi potenze.

Cristoforo Colombo cercava nuove rotte per favorire il commercio verso l’Asia e i Reali di Spagna lo finanziarono. Si ritrovò nel 1492 nella sconosciuta e arretrata America, da quel momento meta di tanti altri navigatori. Tutti più o meno legati ai grandi movimenti di merci. I flussi commerciali, che hanno causato oppressioni coloniali e guerre, sono stati comunque un elemento di conoscenza dei popoli: prodotti agricoli, tessuti, spezie, abitudini e culture. Le guerre commerciali negli anni Duemila sono sempre più armi di geopolitica come si è visto con il grano in alcuni passaggi della guerra tra Russia e Ucraina. L’uso di dazi rafforzati è stato subito indicato dal nuovo presidente americano, Donald Trump, come uno strumento per spingere la produzione e l’occupazione interna (America First) e come un potente mezzo di pressione per ottenere altro. Da inizio febbraio sono scattate tasse aggiuntive del 25% per i prodotti dei confinanti Messico e Canada, per la Cina l’imposizione ulteriore è del 10% ed entra nel contenzioso tra le due grandi potenze.

La Vecchia Europa è in allarme. Per ora non vi sono “punizioni” ma il numero uno della Casa Bianca ha assicurato che l’appesantimento fiscale sulle merci ci sarà perché “la Ue ci ha trattati male”. Qualcosa arriverà e probabilmente scatterà nei primi tre mesi di presidenza. E’ ben esplicito, nel ragionamento di Trump, lo sfondo non solo economico dei provvedimenti. Non si tratta solo di squilibri commerciale import/export, o di settore, che “ruberebbero” ricchezza agli States. Canada e Messico vengono puniti perché non fanno abbastanza per arginare il flusso di migranti verso i confini Usa. Non si battono, e l’accusa viene rivolta anche alla Cina, per stroncare il micidiale Fentanyl, un oppioide sintetico più potente dell’eroina.

Come è evidente i Paesi colpiti reagiranno “dazio per dazio” e non escludono altre forme di ritorsione. C’è il rischio che I Governi entrino in una spirale negativa, oppongano sanzioni e regolamentazione contro i nemici chiudendosi in aree continentali o piccole alleanze. Una difesa dei confini commerciali che ridurrebbe di molto la concorrenza internazionale. Trump ha promesso di contenere l’inflazione ma con un’economia in crescita, e così protetta, non sarà facile. Canada e Messico – ad esempio – forniscono un terzo del greggio raffinato negli Usa. Se non sarà più disponibile i prezzi energetici potrebbero salire.

La nuova amministrazione punta alla centralità del dollaro nelle attività di scambio commerciale. I grandi paesi Brics (innanzitutto Brasile, Russia, India, Cina , Sudafrica) ipotizzano una valuta antagonista? Trump li ha già avvertiti: scatterebbero dazi del 100% sulle merci importate. Paolo Zucca, sir 3

 

 

 

 

L’obiettivo dell’asse Trump-Musk

 

Un vento di estrema destra sta soffiando sull’Atlantico. Anche se il balzo della destra populista in Europa ha preceduto la rielezione di Donald Trump, l’estrema destra europea è ulteriormente rafforzata dal suo ritorno e dall’ascesa di Elon Musk come astro nascente della politica. Si spera che la presidenza Trump possa avere un effetto unificante sull’Europa, ma probabilmente complessivamente avrà l’effetto opposto.

L’evidente disprezzo di Trump per il diritto internazionale, i confini sovrani, la Nato e l’Unione europea ha suscitato una reazione unitaria da parte di Francia, Germania e Spagna in particolare. Ma in settori come il commercio, la tecnologia e lo spazio, è molto più probabile che un’Europa più nazionalista, di fronte a una potenza predatoria come gli Stati Uniti di Trump si frammenti anziché restare unita. Ed è proprio questo l’obiettivo dell’asse Trump-Musk.

La seconda ondata di nazional-populismo sta attraversando l’Europa da più di due anni, dopo una temporanea pausa durante la pandemia e il primo anno di guerra in Ucraina. Dalla fine del 2022, i partiti di estrema destra sono entrati al governo o hanno fornito un appoggio esterno in Svezia, Finlandia e Croazia. In Italia, Giorgia Meloni guida un governo di coalizione di destra, mentre nei Paesi Bassi il Partito per la Libertà di estrema destra di Geert Wilders è l’azionista di maggioranza dell’esecutivo tecnico.

Questa tendenza sembra destinata a rafforzarsi: in Austria il leader di estrema destra Herbert Kickl è stato incaricato di formare un governo, mentre 

in Romania, le elezioni presidenziali, già annullate nel 2024 a causa di interferenze di massa via social a sostegno del candidato di estrema destra C?lin Georgescu, potrebbero comunque far registrare un’altra ondata di consensi per Georgescu. Anche nella Repubblica Ceca le elezioni riporteranno probabilmente al potere il partito populista Azione dei cittadini insoddisfatti (Ano) di Andrej Babiš e persino in Francia, se l’ultimo tentativo di Emmanuel Macron di costituire un governo stabile guidato da François Bayrou dovesse fallire, l’ascesa al potere del Rassemblement National di Marine Le Pen potrebbe diventare inarrestabile. 

 I partiti di estrema destra assumono forme diverse in Europa e sono ancora lontani dal rappresentare una minoranza di blocco nell’Ue. Ma stanno crescendo in forza e numero, hanno fatto progressi nel coordinarsi tra loro nelle istituzioni europee e sono sempre più efficaci nell’influenzare il centrodestra, erodendo e cancellando il ‘cordone sanitario’ che li ha tenuti fuori dal potere per decenni. Per ora il cordone sanitario in Germania regge, ma qualora l’Afd dovesse affermarsi come il principale partito di opposizione dopo le elezioni federali il 23 febbraio, i primi segnali di cedimento potrebbero manifestarsi anche in Germania. In questo contesto, Trump 2.0 e Musk entrano nella mischia, senza fare mistero delle loro preferenze politiche in Europa. 

E non tutti i leader europei sono così critici come i tedeschi, i francesi e gli spagnoli: Orbán e Meloni si sono astenuti dal criticare Trump o Musk, ricevendo in cambio solo elogi.

L’Europa teme il secondo governo di Trump 

L’Europa è impaurita dal ritorno di Trump, temendo un ritiro degli Usa dalla sicurezza europea, a partire dall’Ucraina, una guerra commerciale transatlantica e l’indebolimento del multilateralismo. La domanda è chi potrebbe essere il possibile costruttore di ponti attraverso l’Atlantico. La verità è che non ce n’è uno, o almeno, non c’è nessuno che possa sussurrare all’orecchio di Trump per assicurarsi che gli interessi europei siano protetti.

Alcuni candidati sono già squalificati: Orbán, nonostante i legami con Trump, si è emarginato nell’Ue ed è improbabile che recuperi la sua reputazione; Macron, pur avendo un rapporto relativamente buono con Trump, è debole sul piano interno; Tusk, invece, forte in patria e presidente di turno dell’Ue, può vantare una spesa per la difesa che raggiunge il 4,7% del PIL, ma i rapporti con Trump durante la sua presidenza al Consiglio europeo erano stati tutt’altro che ottimali.

Per questo molti guardano a Meloni, che si vanta del suo rapporto con Trump e Musk e non si è emarginata in Europa come Orbán. Ma Meloni è una nazionalista, non certo un’Europeista, che userà sempre il proprio capitale politico per promuovere gli interessi nazionali, prima di quelli europei. Probabilmente cercherà di attutire i colpi di Washington legati al significativo surplus commerciale dell’Italia con gli Stati Uniti e alla spesa per la difesa, che non raggiunge l’1,5% del PIL. E’ probabile che in cambio di eventuali vittorie, Meloni dovrà fare delle concessioni, e non tutte sono negative per l’Europa. Spendere di più per la difesa o acquistare più gas naturale liquefatto statunitense, ad esempio, avrebbe senso sia per l’Italia che per l’Europa. Ma altre mosse potrebbero essere più problematiche, a partire dal possibile accordo da 1,6 miliardi di euro tra l’Italia e SpaceX di Musk per fornire servizi di comunicazione alle istituzioni italiane, compresa la difesa, attraverso la tecnologia Starlink. Sebbene Starlink sia sicuro, affidarsi a un’azienda straniera di proprietà dell’uomo più ricco della Terra con manifesti interessi politici comporta enormi rischi per la sicurezza del Paese e dell’Europa. Idem sul commercio. Se Meloni riuscisse a strappare qualche concessione bilaterale da Trump, senza che queste si inquadrino in una posizione comune Ue, non solo l’Italia non rafforzerebbe l’Europa ma contribuirebbe a smembrarla in una delle competenze sovranazionali dell’Ue.

La paura sta generando una spasmodica ricerca di qualcuno che possa parlare con Trump in Europa. Ma tali figure potrebbero rivelarsi inefficaci nel migliore dei casi. Nel peggiore, anziché agire da testa di ponte dell’Europa a Washington potrebbero rivelarsi teste di ponte Trumpiane in Europa. Chi sussurra all’orecchio di Trump è molto più probabile che promuova gli interessi di Trump in Europa, piuttosto che gli interessi europei negli Stati Uniti. Invece di preoccuparsi di Trump, l’Europa farebbe meglio a restare unita e a preoccuparsi di più di se stessa. Nathalie Tocci, AffInt 4

 

 

 

 

 

L’Italia è la più amata dai turisti, ma online perde terreno: ecco cosa manca

 

L’ETR Index premia il Belpaese per qualità e popolarità, ma la reputazione digitale non è all’altezza delle altre big del turismo

L’Italia si conferma, per il secondo anno consecutivo, la nazione con la migliore reputazione turistica in Europa, secondo l’European Tourism Reputation Index (ETR Index) elaborato dall’Istituto Demoskopika. Questo risultato non solo premia la qualità dell’offerta turistica del Paese, ma sottolinea anche il forte richiamo che l’Italia esercita a livello internazionale. Con 115,5 punti complessivi, il Belpaese ottiene il primato in due indicatori chiave: la ricerca della destinazione e la popolarità della destinazione. Tuttavia, emerge un’area di miglioramento significativa nel campo della social reputation, dove l’Italia si colloca solo al quarto posto, segnalando la necessità di una strategia digitale più incisiva.

L’ETR Index si basa su un’analisi dettagliata dei flussi turistici europei, considerando dieci tra le principali destinazioni per numero di arrivi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Grecia. Nel 2023, questi paesi hanno accolto oltre 863 milioni di visitatori, rappresentando l’84,7% del totale degli arrivi nei 27 stati membri dell’Unione Europea. L’Italia emerge come leader, grazie alla qualità della sua offerta e alla notorietà della sua destinazione, ma la classifica mostra una competizione sempre più serrata con altre nazioni, specialmente sul fronte della promozione digitale.

 

Nonostante il primato, il posizionamento dell’Italia nel rating della social reputation suggerisce una debolezza strutturale nella gestione dei canali istituzionali online. Enit e il portale Italia.it, pur rappresentando punti di riferimento per la promozione turistica, non sono sfruttati con la stessa efficacia di altri competitor europei come Portogallo, Grecia e Spagna. Questo limite incide sulla percezione internazionale dell’Italia come destinazione turistica innovativa e interattiva, evidenziando la necessità di un maggiore investimento nelle strategie digitali per consolidare il vantaggio competitivo.

Il confronto europeo

 

La Grecia si posiziona al secondo posto nell’ETR Index con 108,4 punti, grazie soprattutto alla qualità della sua offerta ricettiva, ristorativa e culturale, che le vale il primo posto in questa categoria. La nazione ellenica eccelle anche nella gestione della sua presenza online, classificandosi seconda nella social reputation, con oltre 1,7 milioni di like, iscritti e follower sui canali ufficiali di promozione turistica. Questo risultato dimostra come un utilizzo efficace delle piattaforme digitali possa aumentare l’attrattività di una destinazione, consolidando il posizionamento competitivo nel mercato turistico globale.

 

La Spagna, invece, si classifica terza con 102,8 punti, evidenziando una performance particolarmente significativa nel volume di ricerca online della destinazione e nella social reputation. Con oltre 3,3 milioni di like, iscritti e follower, la Spagna si distingue per una strategia digitale più avanzata rispetto all’Italia, che le consente di mantenere un forte appeal turistico. Questo posizionamento dimostra che, oltre alla qualità dell’offerta, la visibilità e l’interazione con il pubblico attraverso i social media stanno diventando elementi determinanti per il successo turistico.

 

Osservando le tendenze europee, emerge che i paesi con le migliori performance digitali stanno consolidando la loro reputazione turistica con strategie di comunicazione mirate, che comprendono campagne promozionali interattive e l’utilizzo dei dati per personalizzare l’offerta turistica. Questo scenario rappresenta una sfida per l’Italia, che dovrà potenziare le proprie iniziative in questo settore per mantenere la leadership e rispondere alle nuove dinamiche del mercato globale.

Reputazione Turistica Ue

Le regioni italiane più attrattive

Sul fronte nazionale, il Regional Tourism Reputation Index, anch’esso elaborato da Demoskopika, vede la Toscana primeggiare con 109,6 punti, superando il Trentino-Alto Adige, che si ferma a 108 punti. La regione toscana si distingue per l’elevato livello di popolarità e interesse online, oltre che per la qualità dell’offerta ricettiva e culturale, valutata positivamente da un ampio numero di visitatori. La Toscana si conferma quindi una destinazione d’eccellenza, capace di coniugare un patrimonio storico-artistico straordinario con un’efficace strategia di promozione digitale.

 

Il Trentino-Alto Adige, pur cedendo il primo posto, mantiene un’ottima reputazione grazie all’efficacia della sua promozione turistica e alla qualità dell’offerta ricettiva. La regione si distingue in particolare per la capacità di attrarre visitatori attraverso campagne digitali mirate, sfruttando al meglio le potenzialità dei social media per incrementare l’engagement del pubblico. Questo approccio le permette di competere con altre destinazioni di rilievo, consolidando la sua posizione tra le mete turistiche più apprezzate d’Italia.

 

La Sicilia, invece, conquista il terzo posto con 104,6 punti, grazie a una combinazione di fattori che includono l’ampia offerta culturale, la qualità delle strutture ricettive e l’elevato numero di pagine indicizzate online, segno di un forte interesse per la destinazione. Il successo della regione dimostra come l’integrazione tra un patrimonio culturale di grande valore e una promozione digitale efficace possa risultare determinante per il posizionamento turistico.

Reputazione Turistica Italia

Toscana al primo posto

La Toscana si impone come la regione con la migliore reputazione turistica in Italia, superando il Trentino-Alto Adige e conquistando il primo posto nel Regional Tourism Reputation Index. Il successo della regione è dovuto a una serie di fattori sinergici, tra cui la forte popolarità online della destinazione, la qualità dell’offerta ricettiva e il consolidamento di una strategia di promozione efficace. Con un punteggio di 109,6 nel ranking di Demoskopika, la Toscana si distingue per il livello di apprezzamento ricevuto su piattaforme di ricerca e social network, nonché per l’ampiezza dell’offerta turistica valutata positivamente dai visitatori.

 

La regione conta quasi 79.000 strutture e attrazioni recensite con elevati standard qualitativi, un dato che riflette la capacità del territorio di attrarre e soddisfare un turismo diversificato. L’utilizzo delle nuove tecnologie e della digitalizzazione gioca un ruolo fondamentale in questo successo. L’agenzia regionale Toscana Promozione Turistica, insieme alla Fondazione Sistema Toscana e agli operatori locali, ha saputo sfruttare gli strumenti digitali per migliorare la comunicazione e rendere più accessibili le informazioni sulle attrazioni regionali. Questa strategia ha contribuito a mantenere alta la visibilità della Toscana e a consolidarne la reputazione nel panorama turistico italiano ed europeo.

 

L’approccio della regione non si è limitato alla promozione, ma ha incluso anche interventi mirati per migliorare l’offerta turistica. Il nuovo Testo unico del turismo ha permesso una gestione più efficiente delle risorse, favorendo una maggiore collaborazione tra istituzioni, imprese e associazioni di categoria. Questo modello integrato ha permesso alla Toscana di rispondere in maniera proattiva alla domanda di turismo, rafforzando il proprio posizionamento e anticipando le esigenze dei visitatori.

Sicilia sul podio

 

La Sicilia raggiunge il terzo posto nella classifica della reputazione turistica regionale, scalando posizioni grazie a un aumento significativo dell’apprezzamento online e a una crescita costante dei flussi turistici. Con un punteggio di 104,6, l’isola registra risultati straordinari in termini di popolarità su Google Trends e indicizzazione online, con oltre 845.000 pagine censite che attestano l’interesse del pubblico nei confronti della destinazione.

 

Uno degli elementi chiave di questo successo è la qualità dell’offerta turistica, che conta quasi 78.000 strutture e attrazioni valutate positivamente dai visitatori. La regione ha puntato su una strategia di destagionalizzazione, ampliando le proposte turistiche al di fuori dei periodi di alta stagione e valorizzando l’intero territorio, dalle città d’arte alle aree meno conosciute. Il governo regionale ha investito risorse considerevoli nella promozione della destinazione, come dimostra la partecipazione alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano con un grande stand di 1.100 metri quadrati, che ha offerto un’esperienza immersiva ai visitatori e operatori del settore.

 

L’assessore regionale al Turismo, Elvira Amata, ha sottolineato l’importanza di una strategia coordinata che coinvolga tutti gli attori del comparto turistico. La Sicilia ha adottato un approccio basato sulla valorizzazione delle Destination Management Organisation (DMO), che hanno giocato un ruolo cruciale nel raccontare l’identità dell’isola in modo strutturato e mirato. Il successo ottenuto si traduce in un incremento dell’11,1% delle presenze rispetto alla media nazionale del 3,7%, un dato che conferma l’efficacia delle iniziative messe in campo per rendere la Sicilia una destinazione sempre più attrattiva.

Il futuro del turismo italiano

 

La centralità dell’Italia nel panorama turistico europeo non è solo una questione di numeri, ma anche di strategie e investimenti. Il settore turistico rappresenta un pilastro dell’economia nazionale, e la sua crescita dipende dalla capacità delle istituzioni di sviluppare politiche innovative per rafforzare l’attrattività del Paese.

 

“L’Italia ancora regina d’Europa come reputazione turistica. E non a caso la spesa degli stranieri continua a crescere: novembre 2024 meglio dello stesso periodo dell’anno precedente. I fatti parlano chiaro: il lavoro, con la squadra del turismo, ottiene sempre grandi risultati” così il ministro del Turismo, Daniela Snatanchè, commentando il rapporto di Demoskopika. In un contesto europeo sempre più competitivo, il futuro del turismo italiano dipenderà dalla capacità del Paese di adattarsi alle nuove sfide, innovando le strategie di comunicazione e valorizzando al meglio il proprio inestimabile patrimonio culturale e naturale. adnkronos 13

 

 

 

 

 

I diritti

 

Scrivere dei Connazionali all’estero continua a non fare notizia. I milioni d’italiani nel mondo hanno sempre meno contatti concreti col Bel Paese. Quasi che gli italiani in Patria si siano scordati, nel concreto, di quelli che vivono oltre frontiera.

 

Se, poi, si tiene conto che la maggioranza di connazionali all’estero si trova nel Vecchio Continente, allora la nostra percezione si fa amarezza. Vale a dire che, pur se tanto geograficamente ”vicini”, molti italiani restano, nel concreto, “lontani”.

 

Insomma, per i Connazionali che vivono ”altrove”, sono più i doveri che la Patria richiede rispetto ai diritti.

Ogni iniziativa resta ovattata tra le tante che non trovano giusto assetto tra quelle da dibattere in Parlamento.

 

Eppure, non abbiamo mai scritto di “privilegi”. Ci siamo sempre impegnati nel fare presente, a chi spetta, lo status degli italiani all’estero. E’ rimasto, comunque, lo scarso apprezzamento per chi ha dovuto cercare altrove pane e lavoro. Insomma, per riavere una meritata dignità.

 

Perciò, prima d’evidenziare i doveri, sarebbe opportuno supportare anche quei diritti di chi ha avuto la sorte di vivere e lavorare lontano dal suo Paese. Intendiamo, quindi, promuovere l’italianità nel mondo. Le ”proroghe” non convincono nessuno. Tanto meno noi che siamo sul fronte dell’informazione da tanti anni.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Il progetto LEI a Saarbrücken, il grande dizionario etimologico italiano

 

Il Console Generale Massimo Darchini: Guardiamo con attenzione ai lavori del Lessico Etimologico Italiano e dell’italianistica di Saarbrücken. Rinnoviamo i ringraziamenti all’Università del Saarland

È stato Max Pfister (1932-2017) il fondatore del dizionario “Lessico Etimologico Italiano”, in breve LEI, la mastodontica opera scientifica che studia e spiega l’origine, la storia e lo sviluppo di ogni singola parola italiana e dialettale.

Una volta consultato il LEI, chiunque voglia sapere qualcosa sul significato e sulle origini di una qualsiasi parola italiana o dialettale, acquisisce senza esclusione alcuna tutte le possibili informazioni.

Quest’opera davvero singolare, per importanza, qualità e dimensioni, è scritta attualmente in sette centri in Germania e in Italia da più di 200 persone.

Ma il cervello che la guida, anzi i due cervelli che ne sono a capo, vivono e lavorano a Saarbrücken.

Il progetto LEI è, infatti, diretto da Elton Prifti e Wolfgang Schweickard.

 

Il Prof. Wolfgang Schweickard

Wolfgang Schweickard si è formato in filologia romanza presso l’Università di Magonza, dove ha conseguito il dottorato nel 1985. È uno studioso di lungo corso.

Risale, infatti, al 1993 la sua nomina a professore di Linguistica romanza all’Università di Jena, dove ha fondato il “Nuovo Istituto di Filologia Romanza” da lui diretto fino al 1995. Nel settembre 2001, è tornato all’Università del Saarland in qualità di professore ordinario di Filologia romanza.

Il Prof. Schweickard è la memoria storica del progetto LEI, che ormai è realizzato a cavallo tra due secoli.

Se fosse ancora vivo il Professor Pfister, lo potremmo incontrare con Schweickard nei giardinetti pubblici, circondati dai piccioni, a discutere sulla lingua italiana come Socrate e Platone dialogavano sulle cose della vita.

Non ci crederete ma a Schweickard piace il calcio ed è autore di un saggio sulla “Cronaca calcistica”, in cui analizza il linguaggio dei quotidiani sportivi italiani, edito da Niemeyer, Tübingen 1987.

 

Il Professor Elton Prifti

Elton Prifti è nato in Albania nel 1975 e ha studiato alle Università di Tirana e di Potsdam. A quest’ultima si è laureato e ha conseguito il dottorato di ricerca. L’abilitazione di ricerca l’ha invece ottenuta proprio nel Saarland.

Ha insegnato in mezza Europa, presso l’Università di Vienna, dove ha diretto per tre anni la Cattedra di Filologia Romanza e precedentemente, per sei anni, all’Università di Mannheim, come professore di linguistica romanza, all’Università di Salisburgo, alla Statale di Milano, a quella di Calabria, all’Università per Stranieri di Siena, all’Università di Potsdam e in altri atenei.

Da tre anni dirige la Cattedra di Filologia Romanza, con particolare attenzione all’italiano e al francese, presso l’Università del Saarland.

È accademico della Crusca, membro dell’Accademia delle Scienze dell’Albania, vicepresidente della Società di Linguistica Italiana e vincitore, assieme a Schweickard, del Premio Cesare Pavese 2020. Si occupa di linguistica romanza, di albanologia e balcanologia.

L’italiano, i dialetti e le lingue parlate in Italia sono al centro della sua attività scientifica. Prodotto della sua penna è la storia linguistica dell’italiano e dei dialetti italiani negli Stati Uniti d’America.

Il Prof. Prifti, a Saarbrücken è una specie di capitano di vascello sul ponte di comando che però passa buona parte del suo tempo nella sala macchine ad oleare bielle e registrare punterie.

La sua maggiore sfida organizzativa, fino ad oggi, è stato il passaggio del LEI da un progetto genuinamente analogico a uno integralmente digitale, così come l’aumento, di circa ben dieci volte del numero delle persone coinvolte alla sua redazione, tra cui molti giovani ricercatori, provenienti da tutte le parti dell’Italia.

Tutto questo avviene a Saarbrücken che è la Capitale del Saarland, il più piccolo Bundesland ad eccezione delle Città Stato, ai confini con la Francia e subito vedremo perché questo particolare geografico è così importante quando si parla della lingua italiana in questa parte della Germania.

Comunque, chi ha davanti a sé l’immagine dell’intellettuale stile Giacomo Leopardi piegato sulle “sudate carte”, dimentichi tutto.

Elton Prifti è tutta energia e forza ma sempre espresse con garbo e gentilezza.

 

Nel Saarland, il francese batte l’italiano 6 a 1

Ed eccoci a quel particolare geografico, di cui sopra. Quando a metà gennaio, il Console Generale d’Italia a Francoforte sul Meno, Massimo Darchini, ha visitato per la seconda volta il Saarland (che con la Renania-Palatinato, l’Assia e la Bassa Franconia, fa parte della sua circoscrizione consolare su un territorio vasto come la Svizzera), non ha potuto fare a meno di notare tutti i cartelli stradali, soprattutto quelli turistici, scritti in due lingue: in tedesco e… in francese!

Ogni nuovo arrivato deve sapere: sei praticamente già con un piede in Francia.

La Francia è in Saarland praticamente e teoricamente onnipresente.

Una presenza che è parte della politica di pace imposta da tutti i governi federali pienamente coscienti che francesi e prussiani prima, francesi e tedeschi dopo, proprio qui nel Saarland se ne sono date di santa ragione.

Per secoli, sembrava che l’occupazione preferita da tedeschi e francesi fosse quella di spararsi addosso con tutte le armi a disposizione.

Adenauer e de Gaulle, e tutti i loro successori, soprattutto Kohl e Mitterand, decisero che proprio dal Saarland dovesse partire quel segnale di fratellanza bilingue e di scambio culturale, secondo la strategia: se parlo la lingua del mio vicino di casa e ne conosco a memoria storia e cultura, più difficilmente mi verrà voglia di accopparlo.

L’università del Saarland, dove oggi tra mille difficoltà gli operatori del LEI offrono al mondo un gigante della letteratura italiana, fu fondata dai francesi e nessuno se lo scorda.

Nella Sezione di Romanistica a Saarbrücken, attualmente, tutte le sei cattedre si occupano anche, o esclusivamente, del francese e solo una, esplicitamente, anche dell’italiano. È la cattedra di Filologia Romanza, diretta da Prifti.

 Nel tentativo di porre rimedio a questo squilibrio, qualche anno fa la presidenza dell’Università ha deciso di modificare il profilo della cattedra di letteratura francese, aggiungendone, nella sua nuova concezione dal 2024, anche una componente italiana. Un eccellente segnale a favore degli studi italiani nel Saarland.

 Il “Capitano Prifti” spera che la cattedra, attualmente ancora vacante, sia occupata presto e di poter potenziare il motore della sua “nave Italia”, assieme ai diversi colleghi, ma soprattutto con chi avrà onore e onere nel mettersi al timone dell’importante cattedra di letteratura francese e italiana.

A Saarbrücken esiste il Ginnasio Franco-tedesco, a Saarbrücken esiste l’università franco-tedesca, a Saarbrücken si mangia la migliore Baguette della Repubblica Federale di Germania, ma non si vive di sola Baguette.

Il Console Generale Massimo Darchini al vicepresidente dell’Università Brodowski: è imminente l’arrivo della nostra lettrice d’italiano.

Ora torniamo all’enorme significato politico, oltre quello scientifico, che il LEI, il più grande dizionario al Mondo, dedicato alla lingua italiana e ai suoi dialetti, assume nel cuore dell’Europa e in una regione in cui l’amore per la cultura francese è imposto come un matrimonio d’altri tempi.

I soccorsi agli operatori della nostra cultura in questa terra, dove l’Italiano ha rischiato quotidianamente l’isolamento, sono arrivati anche con il Console Generale Darchini.

Risale al 2014 la chiusura della cattedra di filologia romanza e letteratura italiana della Professoressa Kleinert e non fu un caso che, proprio qualche anno prima, era stato soppresso il consolato italiano di prima classe nel Saarland.

Solo con grandi sforzi fu salvata la cattedra del Prof. Schweickard con il suo Lessico etimologico dall’accetta dei tagli tedeschi, copia perfetta della nostra famigerata spending review.

Il Console Generale Darchini, con la sua visita a metà gennaio all’Università del Saarland, ha voluto visibilmente dissipare ogni senso di abbandono italiano che ormai si era già diffuso in questa regione della Germania.

E Darchini non è venuto a mani vuote.

Il nostro Console (nostro nel senso che è il console italiano, italiano come noi) ha annunciato l’imminente arrivo a Saarbrücken della nuova lettrice d’Italiano, a carico del nostro Governo, presso la facoltà di romanistica dell’Ateneo saarlandese.

Il diplomatico ha ricordato che il Tricolore (quello con il rosso alla fine) sventola nuovamente a Saarbrücken, dove il Consolato Generale è presente con un proprio ufficio nei locali messi a disposizione dalla Staatszkanzlei, unico esempio di collaborazione tra MAECI e un Governo regionale a livello europeo e forse mondiale.

 

L’Italiano nel Saarland è allora un gigante azzoppato ma in via di guarigione?

Durante l’incontro con il Vicepresidente dell’università del Saarland Brodowski, subito dopo aver visto i docenti, i ricercatori, i dottorandi e gli studenti di italianistica, di cui oltre cento si trovano a Saarbrücken nell’ambito del progetto Erasmus, il Prof. Prifti ha caldeggiato il rafforzamento dell’insegnamento dell’italiano presso la facoltà di romanistica e dell’italianistica in generale; uno degli obiettivi è la realizzazione del corso di laurea di formazione di insegnanti di italiano alle scuole del Saarland, regione questa con una fortissima presenza italiana. È stato riferito al Console Darchini che c’è molto interesse da parte degli studenti.

Prifti ha, infatti, ricordato che gli studenti aspiranti all’insegnamento dell’italiano, al momento, devono lasciare il Saarland e cercano di studiarlo altrove.

La richiesta, in sede ufficiale espressa al vicepresidente dell’Università Brodowski, ha ottenuto un peso sicuramente maggiore giacché caldeggiata dalla presenza del nostro Console Generale.

 

Dopo l’incontro, Tatiana Bisanti, Massimo Darchini ed Elton Prifti tutti col calendario in mano: quando ci rivediamo?

L’appuntamento è presso il Centro di Studi Italiani, l’ultima bella invenzione all’università di Saarbrücken per dare ulteriore spazio al crescente interesse verso l’italiano con una proiezione finalmente esterna. Il Centro di Studi è diretto dal Prof. Prifti coadiuvato dall’instancabile e appassionata Dr.ssa Tatiana Bisanti, la quale, calendario alla mano, ha chiesto al Console Generale Darchini una data per inaugurare ufficialmente questo” Italienzentrum Saarland” al quale, e per non stancarvi troppo, dedicheremo un articolo a parte.

Il Console Generale d’Italia a Francoforte Massimo Darchini ha risposto di sì! “Ci vedremo sicuramente presto anche perché in Saarland trovo sempre e ovunque una bellissima accoglienza!”. E allora, arrivederci a presto Console Generale. Pasquale Marino, CdI on. 3 

 

 

 

 

La politica estera italiana in Medio Oriente dopo il 7 ottobre 2023

 

Da circa un anno l’Italia e l’Europa assistono a cambiamenti epocali nella vicina regione del Medio Oriente. L’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023 ha scatenato una feroce risposta di Israele sulla striscia di Gaza. Benjamin Netanyahu, alla guida di una coalizione di destra, ha posto come suo primo obiettivo quello di indebolire, o forse anche rovesciare, il regime della Repubblica Islamica dell’Iran e i suoi alleati parte del cosiddetto asse della resistenza. Nel corso dell’anno Israele e Iran sono arrivati a più riprese vicini a un conflitto diretto.

La guerra per procura tra Israele e Iran ha inoltre portato a un prevedibile ampliamento del conflitto verso il Libano. Lo Stato ebraico ha infatti cercato di indebolire Hezbollah attraverso operazioni militari al confine tra i due stati, dove è stanziata la missione di pace Unifil, e nella capitale Beirut. Dopo uno scambio di attacchi durato parecchi mesi, a ottobre Israele ha lanciato un’offensiva nel cuore della periferia sud della capitale, quartier generale di Hezbollah. L’indebolimento di Hezbollah e quello dell’asse della resistenza hanno creato le condizioni per un altro cambiamento epocale nella vicina Siria: la caduta del regime di Bashar al-Assad, nodo logistico, militare e territoriale dell’asse della resistenza.

Gli impatti sulla sicurezza marittima e il ruolo italiano

A questo complesso quadro di conflitti e rivolgimenti, si è aggiunta una lunga lista di scontri per procura che hanno avuto un diretto impatto sull’Italia: primi tra tutti gli attacchi delle milizie yemenite degli Houthi – anch’essi alleati di Teheran – contro Israele e imbarcazioni civili e commerciali occidentali nel Mar Rosso. Il puzzle della stabilità regionale trova nella questione palestinese un nodo irrisolto, che continua a generare crisi e tensioni. Sinora, i Paesi del Golfo si sono mostrati titubanti nel prendere posizione, guardando a Israele e all’Iran come cause dell’instabilità nella regione.

Di fronte a questi stravolgimenti repentini, nel complesso l’Italia si è limitata a un ruolo di osservatore. In sede di consiglio europeo, Roma ha sostenuto l’appello al cessate il fuoco umanitario. Nelle dichiarazioni del G7 dei ministri degli Esteri di fine novembre, il governo ha riaffermato il suo sostegno per la “soluzione a due stati” come chiave per la fine della guerra in Medio Oriente. Tuttavia, gli appelli al cessate il fuoco e alla soluzione a due stati si sono rivelati formule prive di sostanza politica, slegati da una visione strategica sul conflitto e sul possibile contributo italiano per risolverlo o alleviarlo.

La gestione interna e le sfide diplomatiche

Tenendo un basso profilo, l’Italia ha tuttavia gestito forse meglio di altri la polarizzazione interna creata dal conflitto in Medio Oriente tra sostenitori di Israele e della Palestina. A dispetto di alcune tensioni registratesi nel contesto universitario, in Italia gli episodi di violenza islamofoba o antisemita sono rimasti limitati in confronto ad altri Paesi europei.

Di fronte a un conflitto complesso, Roma sembra aver deciso di non poter o non voler giocare un ruolo forse perché focalizzata più sull’Africa che sul Medio Oriente, o semplicemente per una questione di calcolo politico. La logica sottostante a questa decisione appare quella di una delega ad altri Paesi europei, ma soprattutto agli Stati Uniti, che negli ultimi decenni hanno avuto un ruolo determinante nel definire gli equilibri di potenza nella regione.

Le conseguenze economiche e strategiche

Il fatto che il conflitto in Medio Oriente sia non solo proseguito, ma si sia anzi ampliato nel corso del 2024 obbliga l’Italia a un ripensamento strategico del suo approccio alla regione e del suo ruolo di possibile mediazione nel conflitto stesso. Roma – ma anche Bruxelles – dovrebbero prendere atto del fatto che le priorità strategiche di Israele non coincidono necessariamente con quelle dell’Italia e dell’Europa.

La riprova più evidente di questo disallineamento è stato l’attacco israeliano alle postazioni ovest dell’UNIFIL dove è stanziato il contingente italiano, che ha suscitato aspre critiche da parte del ministro della Difesa verso Israele. Roma ha storicamente investito personale e risorse in questa missione, finalizzata a garantire il rispetto della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1701, e ha interesse a che sia Israele che il Libano non la compromettano.

La strategia militare di Israele potrebbe inoltre entrare in conflitto con gli interessi economici dell’Italia. Il conflitto per procura ha infatti avuto un forte impatto sui commerci dell’Italia verso l’Asia che transitano attraverso il Mar Rosso. Gli attacchi dei miliziani Houthi hanno aumentato vertiginosamente i costi di assicurazione per le compagnie commerciali marittime italiane, modificato le rotte marittime dal Mediterraneo verso Capo Verde e diminuito considerevolmente l’attività dei porti italiani (Genova, Trieste e Gioia Tauro) e del canale di Suez in Egitto.

Le implicazioni regionali e il ruolo dei partner strategici

La caduta del regime in Siria e l’emergere di una nuova leadership di ribelli fortemente legata agli ambienti islamisti e della Fratellanza musulmana a Damasco mette ulteriormente a rischio la stabilità di Paesi chiave per l’Italia: dall’Egitto e la Giordania fino all’Iraq, dove l’Italia ha investito nella Coalizione per la lotta contro lo Stato Islamico e nella missione NATO a sostegno della riforma del settore della sicurezza.

L’Italia deve anche tenere presente quali sono i suoi possibili alleati in Medio Oriente, come i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), con cui Roma e Bruxelles hanno interessi comuni nel mantenimento della stabilità regionale. In questo senso, l’Italia può fare leva sulle relazioni già costruite in ambito bilaterale e multilaterale, per un più forte coordinamento sulle crisi della regione.

Prospettive future e strategia diplomatica

Roma può lavorare per consolidare la distensione tra CCG e Iran, già in corso grazie alla mediazione della Cina, incentivare una coesistenza pacifica tra le sponde del Golfo e incoraggiare l’Iran a investire nella diplomazia più che nel sostegno militare ai suoi alleati parte dell’asse della resistenza. Supportare un riorientamento strategico di Teheran è anche un passo nel definire i parametri di coesistenza tra questo e Israele. I Paesi del Golfo, così come Egitto, Giordania e Iraq, sono inoltre controparti cruciali per dare sostanza alla formula della “soluzione a due stati” in Israele e Palestina. Se è vero che l’orientamento politico dell’attuale governo israeliano non lascia intravedere molte speranze per l’ottenimento di un tale obiettivo, tuttavia, l’azione coordinata dell’Italia e dell’Europa con quella dei Paesi del CCG può aumentare le possibilità di riuscita.

Per molto tempo l’Italia ha fatto riferimento al concetto di Mediterraneo allargato come area di interesse strategico. Questo concetto, tuttavia, necessita urgentemente una presa di coscienza di quelle che sono le priorità e gli interessi italiani di fronte a un Medio Oriente completamente trasformato dopo il 7 ottobre 2023.

Questo articolo è un estratto dell’annuale Rapporto sulla politica estera italiana 2024, realizzato dall’Istituto Affari Internazionali. La presentazione del Rapporto si terrà il 6 febbraio alle 17:30 presso la sede dello IAI, con una tavola rotonda che vedrà la partecipazione di politici, giornalisti ed esperti nazionali. Maria Luisa Fantappie, AffInt. 6

 

 

 

 

 

 

Il CGIE ha avviato le attività del 2025 

 

Il Cgie ha avviato le attività del primo semestre 2025 con un programma ambizioso: messa in sicurezza del voto all’estero, cittadinanza, incentivi al rientro. Già convocate la riunione in presenza del Comitato di Presidenza e l’Assemblea plenaria

ROMA – “Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero ha avviato le attività del 2025 con grande slancio. Fedele al proprio mandato, è determinato a incidere sul dibattito politico nazionale, tanto che ha già impegnato i suoi organi interni al conseguimento di tre obiettivi strategici per il 2025: l’elaborazione di proposte e pareri da sottoporre al Legislatore, concernenti la messa in sicurezza del voto all’estero, la riforma della legge sulla cittadinanza e la nuova mobilità con incentivi al rientro”.

Inizia così la nota del Cgie che prosegue “Queste attività saranno portate a sintesi durante due momenti nodali: la riunione del Comitato di Presidenza, convocata per la settimana del 31 marzo, e l’Assemblea plenaria, che si svolgerà a partire dal 16 giugno. Il Cgie – continua il comunicato – mantiene i riflettori accesi sui provvedimenti della manovra di bilancio 2025 che sin dalle prime discussioni pubbliche ha segnalato come lesivi della parità di trattamento tra cittadini residenti fuori dai confini nazionali e in patria. Primo tra tutti, la mancata perequazione automatica delle pensioni superiori al minimo erogate dall’INPS ai residenti nel mondo, ma anche l’eliminazione dell’indennità di disoccupazione per i rimpatriati che hanno perso il lavoro all’estero e l’inasprimento delle tasse relative alle richieste di riconoscimento della cittadinanza, anche per via giudiziaria. Misure concepite, peraltro, senza chiedere il parere obbligatorio del Consiglio Generale previsto dalla legge”.

“Il CGIE è a fianco di tutte le categorie di italiani all’estero pesantemente svantaggiate dalla legge di Bilancio – afferma la Segretaria generale del CGIE, Maria Chiara Prodi –. Se noi cittadini siamo tutti chiamati a uno sforzo per rispondere alle necessità finanziarie del nostro Paese, è pur vero che il mancato adeguamento della pensione per gli italiani all’estero e l’incremento delle tasse per la domanda di cittadinanza colpiscono al cuore la relazione di fiducia e di accoglienza che i connazionali, o futuri connazionali, possono aspettarsi dall’Italia. Come CGIE – prosegue Prodi – non lasceremo sole queste voci, che abbiamo raccolto e portato al Parlamento e per le quali abbiamo lottato con tutti i mezzi”.

Nella nota si sottolinea inoltre che “Pur accogliendo con soddisfazione l’incremento di seicentomila euro sullo stanziamento precedentemente previsto a favore dei Comites , il Consiglio Generale lamenti di essere stato penalizzato da un finanziamento che gli consente di svolgere meno della metà delle attività previste dalla sua legge istitutiva”.  “Rivendichiamo la centralità del Consiglio Generale nella vita democratica del nostro Paese – aggiunge Prodi – perché rivendichiamo la centralità dei sette milioni di italiani all’estero. Il 2025 sarà l’anno cruciale per la vita del nostro Consiglio. Invitare a collaborare con noi tutte le reti della rappresentanza e dell’associazionismo non è un esercizio di forma, ma la volontà di dimostrare che la partecipazione degli italiani all’estero è possibile e reca profitto al Paese intero. Reagire con il doppio della motivazione al dimezzamento dei fondi è un modo per scommettere sulla capacità delle istituzioni di riconoscere che occuparsi di italiani all’estero non è un costo ma un investimento”. (Inform/dip 31.1.)

 

 

 

 

 

 

La forza non viene dalla capacità di ritirarsi dalla vita

 

La forza viene spesso confusa con il ritirarsi dalle difficoltà o allontanarsi dalla lotta della vita. La vera forza è quella di staccarsi dalle sensazioni per cercare di controllarle. Molti credono che allontanarsi, evitare un conflitto e fuggire dal dolore li renda forti; non è così. In realtà, la vera forza si trova non nel ritiro, ma nell'impegno, nella resistenza e nella capacità di affrontare la vita stessa.

 

La vita è un gioco di felicità e tristezza, guadagno e perdita. Il tema della forza riguarda il coraggio e la capacità di affrontare questa rappresentazione con piena capacità, affrontandola sia con tristezza che con gioia. Significa anche sostenere le avversità che incontriamo, crescere e trovare il bene in ogni perdita. Ritirarsi completamente da questa vita è il contrario di vivere esperienze e lezioni che costruiscono il carattere e offrono possibilità di trasformazione personale.

 

Capiremo perché il ritiro, e non l'azione, non conferisce potere; comprenderemo come la resilienza, l'intelligenza emotiva, le relazioni, i fallimenti e la crescita personale contribuiscano al vero potere. Infine, arriveremo alla conclusione che chi si ritira non si sta prendendo cura di sé, ma sta riducendo le proprie possibilità. Solo affrontando la vita si trovano coraggio, apertura e la continua ricerca della crescita che portano al vero potere.

 

La falsa illusione di forza nel ritirarsi

Per la maggior parte delle persone, il ritiro è percepito come autoconservazione. Si pensa che il ritiro porti pace e metta al riparo dalle delusioni, evitando il dolore emotivo. Sebbene sia vero che un breve periodo di ritiro possa aiutare a riflettere e recuperare il benessere, un lungo periodo di ritiro non è mai stato descritto come una misura salutare o potenziante per la vita. Eliminare tutte le difficoltà che la vita ci presenta non le riduce; è solo un modo per posticiparne l'impatto. Le sfide tendono ad aumentare di intensità e sono spesso accompagnate da rimpianti, perdite e un peggioramento dell'isolamento. Il potere non nasce dall'evasione, ma dal confronto.

 

Evitare l'amore e le relazioni per paura di essere feriti porta a un processo di mancanza di bellezza, affetto, compagnia e legami affettivi. Allo stesso modo, non correre rischi nella carriera per non fallire e rimanere su terreno sicuro porta a una staticità in cui non si svela mai il proprio potenziale. Ciò significa che la vera forza non implica rinchiudersi in un guscio, ma richiede di affrontare l'ignoto con fede, nonostante l'incertezza del risultato.

 

Resilienza: la radice della vera forza

Forse non c'è altro tratto di forza che sia tanto rivelatore quanto la resilienza. Essa permette a una persona di affrontare situazioni difficili, inclusa la capacità di fare nuovi cambiamenti e raggiungere il successo ogni volta che si cade. Le esperienze negative nella vita non spezzano la persona resiliente, ma alimentano la sua forza nella crescita.

 

Ci sono numerosi esempi di persone che hanno affrontato avversità estreme, ma hanno dimostrato la forza nel confrontarsi con questa realtà. Nelson Mandela è stato imprigionato per 27 anni; tuttavia, dopo la sua liberazione, si è battuto per la pace e l'unità. Helen Keller era sorda e cieca, ma mai un ostacolo così grande è stato sufficiente a impedirle di diventare un'icona di coraggio e speranza. Queste persone non si sono ritirate dalla vita, ma vi sono entrate a pieno titolo, dimostrando che la forza risiede nell'avversità.

 

Come costruire la resilienza

La resilienza non è un dono; è una competenza sviluppata attraverso uno sforzo consapevole. Ecco alcuni modi per costruire la resilienza:

 

1.      Riformulare le sfide come opportunità: invece di vedere gli ostacoli come scogli, prova a vederli come trampolini di lancio per la crescita. Ogni difficoltà porta con sé una lezione che costruisce un carattere forte.

2.      Resilienza emotiva: la forza non sta nel combattere le emozioni, ma nel gestirle meglio. Riconoscere e elaborare i sentimenti è parte dell'auto-riflessione.

3.      Mentalità a lungo termine: a volte la lotta può essere insopportabile per un po', ma quando le difficoltà passano, molto di essa assume un significato. Una visione a lungo termine aiuta a sopportare la sofferenza temporanea.

4.      Essere circondati da persone buone: non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e a chi affidarsi. La forza aumenta quando viene condivisa con chi ci sostiene e ci eleva.

5.      Imparare la perseveranza: i successi non arrivano da chi non ha mai fallito, ma da chi non ha mai mollato. La forza interiore può essere invincibile alle sfide grazie alla perseveranza.

 

Il potere della connessione: forza attraverso le relazioni

La più grande menzogna sulla forza è che essa rende qualcuno indipendente a livello di isolamento. È il contrario della verità, perché spesso la vera forza proviene da un legame. Gli esseri umani sono creature sociali, con una natura biologica predisposta alla connessione. Essere abbastanza vulnerabili da permettere a qualcun altro di essere al nostro fianco e aiutarci dimostra un coraggio straordinario. Le persone che, per paura di soffrire, si ritirano in se stesse, risparmiano alcune parti del dolore, ma negano agli altri la profondità dell'amore, dell'amicizia e delle esperienze condivise. Non sottrarre, ma abbracciare il rischio, nonostante l'incertezza, è forza.

 

Come la connessione costruisce la forza

1.      Supporto emotivo: è confortante e bilanciante appoggiarsi a vicenda nei momenti difficili. Questa forza significa che nessuno ha mai dovuto affrontare nulla da solo.

2.      Crescita reciproca: una relazione è quella che spinge ogni persona coinvolta a crescere, imparare e migliorare. L'onestà nei feedback è accompagnata da incoraggiamento, e le esperienze condivise fanno crescere ciascuna delle persone coinvolte.

3.      Appartenenza: uno spazio vuoto dentro è come si sente una persona durante la solitudine. Le relazioni ricche riempiono la sua vita di significato e scopo.

4.      Forza attraverso l'associazione: che si tratti di famiglia, amici o un mentore, il supporto del team per chi permette a questa persona di affrontare gli alti e bassi della vita e stimolarla a lavorare.

 

Imparare dall'esperienza - forza in azione

La forza non è una teoria, ma un'esperienza. Chi evita le sfide non sa cosa può fare. La forza cresce attraverso lo sforzo, il tentativo, l'errore e sopportando il disagio.

 

Superare la paura come azione

La paura è parte della vita, ma se controlla le nostre azioni, c'è stagnazione. La strada diretta verso la forza è affrontare le paure, sia nelle relazioni personali, nelle aspirazioni professionali o nell'espressione di sé. Più si affronta la paura, meno potere essa avrà. Pensa al parlare in pubblico. La maggior parte delle persone ne ha paura, ma più una persona si sfida a praticare, più diventerà sicura di sé. Evitarlo cementa solo la paura. La forza arriva quando si sceglie l'azione piuttosto che l'evasione.

 

Il fallimento come insegnamento

Molte persone evitano la vita per paura di fallire. Tuttavia, il fallimento non è una debolezza, ma una parte indispensabile del successo. I più grandi inventori, artisti e leader hanno fallito migliaia di volte prima di avere successo. Ciò che li distingue dagli altri è il fatto che non hanno mai mollato.

Thomas Edison fallì migliaia di volte prima di inventare la lampadina.

Walt Disney fu licenziato una volta per "mancanza di immaginazione" prima di creare un impero dell'intrattenimento mondiale.

J.K. Rowling fu rifiutata numerose volte prima che Harry Potter diventasse il fenomeno globale che è oggi.

Queste persone avrebbero potuto fermarsi dopo i fallimenti, ma non lo hanno fatto. La forza non significa evitare il fallimento; significa usare il fallimento come un passo per salire ancora.

 

Gli effetti psicologici del ritirarsi

Il ritiro a lungo termine dalle sfide della vita può avere seri effetti psicologici, tra cui:

1.      Aumento dell'ansia: l'evitamento rafforza la paura, rendendo più difficile affrontare le sfide future.

2.      Depressione e malinconia: l'isolamento crea vuoto e una mancanza di scopo.

3.      Perdita di autostima: la forza si costruisce sull'accomplimento e sull'attività. L'evitamento distrugge l'autostima.

4.      Rimorso: le persone ritirate spesso guardano indietro con un senso di opportunità perse e potenziale non realizzato.

 

Conclusioni: la vera natura della forza

La forza non ha nulla a che fare con il ritirarsi dalla vita. La forza è andare avanti, combattere la buona battaglia e rialzarsi. La forza è quella del cuore, del coraggio e della volontà di andare avanti; ancor di più, la capacità di abbracciare sia la gioia che il dolore come parte dell'esperienza umana. Le persone che si piegano sono a volte protette, ma alla fine si privano di una possibilità di sviluppo, relazione e soddisfazione. I più forti di tutti sono quelli che si rifiutano di evitare le difficoltà, ma vivono tutta la vita e resistono fermamente contro l'avversità. Sono le persone veramente forti quelle che non si ritirano, ma avanzano. Camminano in avanti, anche se non sono sicure, amano con tutto il cuore nonostante la paura e vanno avanti anche di fronte agli ostacoli. Non è il ritiro la forza, ma l'essere fermi, vivere senza rimpianti e pieni di vita.

Krishan Chand Sethi, dip 8

 

 

 

 

 

Italiani altrove

 

La nostra attenzione resta rivolta ai Connazionali residenti all’estero. Gli italiani “altrove” sono più di 5.114.469. Il numero maggiore è in Europa (2.770.175). Oltre il 50% dei nostri Connazionali si trova nel Vecchio Continente. Con un tenore di vita, mediamente, migliore di chi risiede nel Bel Paese (stime 2022/2024).

 

 Resta, però, da evidenziare una riflessione che in Euro Zona è meglio tener sempre presente. Insomma, non è per nulla dato per scontato che, esistendo una moneta unica, il costo della vita sia a uno stesso “livello” in tutti i Paesi UE. Come, del resto, è differentemente gestita la “democrazia” nell’Europa Stellata.

 

In fibrillazione è rimasto il destino della Penisola. A questo punto, cosa possono fare gli italiani “altrove”? Ora poco. Ma la lezione non dovrebbe più ripetersi a causa di una legge elettorale partorita da un Parlamento distratto dai contrasti politici tra i partiti. Ancora una volta, certi che non sarà l’ultima, si dovrà andare avanti; indipendentemente dall’Esecutivo al potere. La necessità di legiferare è palese e ci sono provvedimenti normativi globali che attendono una definitiva approvazione. Non neghiamo, però, che ci aspettiamo una differente “resa” politica degli eletti dall’estero. Nel caso specifico, è il numero che conta; non la residenza.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Meno studenti, più anziani: ecco come il declino demografico cambierà la mobilità

 

Qual è il futuro della mobilità? Mentre aumentano le ciclabili, le auto elettriche sono in crisi e il trasporto pubblico arranca, c’è un ulteriore aspetto da considerare: l’invecchiamento della popolazione e le diverse esigenze di spostamento che questo porta con sé. Se i più giovani sono inclini a soluzioni di traporto maggiormente sostenibili e alternative, è difficile immaginare in futuro schiere di 75-80enni che inforcheranno ancora le due ruote (anche perché in Italia viviamo a lungo ma male in arnese) o prenderanno con scioltezza i mezzi pubblici. Dunque, chi frequenterà treni, bus e stazioni in un domani popolato principalmente da persone anziane?

Invecchiamento della popolazione e mobilità

La domanda se l’è posta GO-Mobility, società che fornisce consulenza ad imprese ed enti locali nel settore della pianificazione della mobilità e dei trasporti, che ha anche provato a dare una risposta. E lo ha fatto insieme a Trenord, l’azienda di trasporto ferroviario lombarda, realizzando una simulazione attraverso il sistema Darwin, una nuova infrastruttura messa a punto dalle due aziende proprio per studiare la mobilità in base ai dati.

Nello specifico, lo studio ha messo in relazione l’invecchiamento della popolazione, utilizzando le proiezioni Istat, con l’evoluzione della mobilità al 2040 per simulare come ci sposteremo tra quindici anni e quali ripercussioni ci saranno sui sistemi di trasporto, utilizzando come caso-studio la Lombardia.

L’obiettivo è quello di aiutare i processi decisionali di breve e lungo periodo nel fornire un servizio di traporto economicamente sostenibile e tagliato su quella che sarà la futura domanda di mobilità. La tenuta del Tpl infatti rischia di essere messa in forse dalle mutate esigenze della popolazione, la cui demografia sta cambiando secondo un trend decennale, ormai strutturale.

Un futuro dominato dagli anziani

Il punto di partenza dell’analisi è proprio questo, come confermano molti studi e i dati Istat: siamo in pieno inverno demografico. L’Italia è uno dei Paesi più vecchi al mondo e uno di quelli con l’aspettativa di vita più alta. Un dato lusinghiero ma che in combinazione con una scarsa natalità fa sì che il futuro rischia di essere dominato dagli anziani, con tutti i problemi che questo comporta.

Per capire la misura del fenomeno, basti pensare che, entro il 2051, gli over 65 potrebbero rappresentare il 34,5% della popolazione, ovvero più di una persona su tre, rispetto all’attuale 24,4%, come fa sapere l’Istituto di Statistica. Un altro dato: mentre nel dopoguerra il rapporto tra nuove nascite e la popolazione era di circa 20 nuovi nati ogni mille abitanti, nel 2023 siamo crollati a 6,4.

Oltre alle problematiche più immediate e discusse del pesante calo demografico in atto – dalle politiche di welfare al mercato del lavoro fino alla sanità e all’assistenza – recentemente anche il tema della mobilità inizia ad essere trattato: lo scorso novembre per la prima volta, infatti, l’impatto della diminuzione delle nascite sulla domanda di mobilità è stato inserito tra le analisi del 21° Rapporto sulla mobilità degli italiani, il report annuale di Isfort.

Le proiezioni stimate dall’osservatorio indicano come il calo demografico, in media, potrebbe produrre una diminuzione degli spostamenti del 2% nei prossimi 20 anni. L’influenza maggiore riguarderà in particolare gli spostamenti della popolazione più giovane (-28%), mentre allo stesso tempo aumenterà la mobilità degli over 75 (39%), con tutte le peculiarità che questo porta con sé.

Si tratta infatti di segmenti con necessità e abitudini molto diverse: la popolazione studentesca (14-19 anni) è quella che si affida maggiormente al trasporto pubblico, mentre gli spostamenti delle persone in pensione, definiti erratici perché meno standardizzati, sono più correlati alla mobilità motorizzata privata. Il che avrà ripercussioni sulla sopravvivenza stessa del settore.

Il caso-studio della Lombardia: più colpite le province

L’analisi realizzata da GO-Mobility e Trenord prende come caso-studio la Lombardia, per la quale sono state simulate le dinamiche di mobilità al 2040 applicando i modelli attuali di scelta relativi alle diverse categorie (classi di età, popolazione studentesca, lavoratori ecc.) e l’offerta di trasporto (numero di linee e corse, numero di saliti e discesi alle stazioni, tipologie di titoli di viaggio venduti ecc.) alla configurazione della popolazione che, secondo le proiezioni Istat, avremo nel 2040.

Ecco in sintesi cosa è emerso:

• i comuni minori sono quelli che subiscono in modo più accentuato gli effetti del calo demografico, anche perché molti giovani si trasferiscono nelle città in cerca di migliori opportunità di lavoro e di studio. Un aspetto importante, calcolando che oltre la metà della popolazione italiana vive in comuni di piccole dimensioni (fino a 10 mila abitanti), territori da cui si generano la maggior parte degli spostamenti, spesso privati e motorizzati.

Secondo le proiezioni, la quota della popolazione studentesca mobile (14-19 anni) nei territori provinciali scende dal 7% al 5,8% (-21,7%) mentre quella degli over 65 sale da 12,5% a 18,7% (+39,9%). La fascia 26-40 registra un calo del 9,2% e quella 41-65 anni del 14,9% passando dal 51,2% al 46,7%.

Il tutto si traduce in un calo dei viaggi complessivi del 6,7%, dovuto specialmente alla diminuzione della popolazione studentesca e attiva, e principalmente sugli spostamenti intercomunali, ovvero di medio-lungo raggio, ovvero la categoria più colpita dalle oscillazioni demografiche.

• sui comuni capoluogo, invece, l’impatto dell’inverno demografico è quasi nullo: il calo della quota delle fasce più giovani è quasi impercettibile, e addirittura la fascia 20-25 è prevista in leggero aumento. Anche qui gli spostamenti rimangono molto connotati dalla popolazione 41-65enne, che però subisce un calo molto più contenuto che in provincia (-3,2% contro -14,9%), sebbene più accentuato nella fascia 26-40 (-16,2%).

Come risultato di queste dinamiche, per i capoluoghi il calo complessivo degli spostamenti è dell’1%. Le caratteristiche degli spostamenti, come la regolarità e il numero di viaggi giornalieri rimangono inoltre perlopiù invariate, al contrario dei territori provinciali in cui si denota un calo più evidente in tutte le categorie.

A rischio la sopravvivenza del Traporto pubblico

L’analisi prospetta diversi scenari per il futuro. Il più pessimistico prevede una diminuzione del 13,2% degli spostamenti effettuati con il trasporto pubblico e del 13% di passeggeri*km, dovuta principalmente alla minor presenza della popolazione studentesca che rappresenta una fetta significativa dell’utenza pendolare, specialmente nei comuni minori.

Questo alimenta dubbi sulla sopravvivenza stessa del Tpl perché, se consideriamo che le tariffe del trasporto pubblico sono su base chilometrica, un calo del 13% sul numero di passeggeri*km si collega direttamente alla redditività del servizio e dunque alla sua capacità di finanziamento.

Consideriamo che già oggi il settore si regge principalmente su finanziamenti pubblici: in media il 65% del Tpl viene finanziato dall’apposito Fondo nazionale, e solo il 30-35% viene dalla vendita dei biglietti.

Il problema, come visto, riguarderà soprattutto le province, perché nelle città più grandi il trasporto pubblico tutto sommato sembra poter reggere. Per avere un’idea, secondo le previsioni nella fascia mattutina, il Tpl in provincia subirà un calo oltre sei volte maggiore di quello dei comuni capoluogo (-21,1% contro –3,3%).

C’è poi un ulteriore aspetto da considerare, ovvero il fatto che gli anziani tendono a spostarsi di meno: in pratica si tratta della fascia meno mobile della popolazione, inoltre tendono a fare affidamento più sulla mobilità privata. Queste persone saranno incentivate a un maggior uso dell’auto nel momento in cui oltre alle proprie difficoltà si troveranno davanti un trasporto pubblico anch’esso con problemi.

Certamente sono pensabili delle soluzioni; ad esempio, per le province, una possibile evoluzione del Tpl è quella l’introduzione di servizi a chiamata (DRT – Demand Responsive Transport), un sistema molto adatto alle aree a domanda debole, dove gli spostamenti sono più dispersi e meno prevedibili. Ma è anche una novità ancora poco esplorata e poco matura, di cui va discusso.

E proprio qui vuole arrivare lo studio di GO-Mobility: evidenziare e prevedere i problemi attraverso l’analisi dei dati, in modo da pensare e pianificare misure che possano garantire la sostenibilità economica, sociale e ambientale dei sistemi di mobilità.

In futuro la domanda di mobilità sarà meno prevedibile

Insomma, il traporto pubblico deve cambiare forma e sostanza per adattarsi alle necessità di una popolazione più anziana, che inevitabilmente cambierà la domanda di mobilità: da quella attuale costruita attorno agli schemi fissi legati alle esigenze di studio e lavoro a una flessibile, dinamica, erratica, dunque meno prevedibile.

Non solo: il settore deve anche modificare il proprio approccio, che oggi si limita a fornire un’alternativa di spostamento a chi non ne ha a disposizione altre ma che non sarà più sufficiente a rispondere ai nuovi bisogni della popolazione.

Infine, va rivisto anche il tema delle infrastrutture, che attualmente è pensato e programmato immaginando di creare sempre più capacità e che la stessa verrà sempre saturata, ma che, come abbiamo visto, potrebbe non essere lo scenario più probabile. Adnkronos 3

 

 

 

 

 

Turismo delle radici, un fenomeno in crescita

 

“Turismo delle radici. Riscoprire le origini, valorizzare le tradizioni, riconnettersi al futuro”: convegno nella sede della Regione Toscana. Presenti il Presidente della Regione Eugenio Giani, il Responsabile del Progetto del Maeci Giovanni Maria De Vita e il Presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano

 

FIRENZE – “Turismo delle radici. Riscoprire le origini, valorizzare le tradizioni, riconnettersi al futuro”: è il convegno  organizzato da Italea Toscana e Confcommercio Toscana, che si è tenuto oggi a Firenze presso Palazzo Strozzi Sacrati, sede della Regione. L’evento ha rappresentato un’importante occasione di riflessione sul tema, offrendo uno spazio privilegiato per delineare le prospettive di crescita di questo particolare settore del turismo. Sempre più persone nel mondo cercano di tracciare le linee della propria genealogia, ritornando nei luoghi d’origine delle proprie famiglie. Una tendenza che diventa opportunità perché il Turismo delle Radici rilancia territori in crisi, contrasta il fenomeno dello spopolamento, genera introiti e sostiene l’occupazione. Oggi riveste un’importanza cruciale per l’Italia dove l’operazione Turismo delle Radici è entrata nel vivo con Italea, il programma lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale all’interno del progetto PNRR e finanziato da NextGenerationEU. Sono intervenuti al convegno, tra gli altri, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, l’assessore regionale all’Economia e Turismo Leonardo Marras, il presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano, il vicedirettore generale Confcommercio Imprese per l’Italia Renato Mattioni, il Responsabile del Progetto Italea per la Farnesina Giovanni Maria De Vita, il presidente di Italea Toscana Pasquale Iervolino.  “Il turismo delle radici – ha affermato Giovanni Maria De Vita – può anche essere una risposta all’overtourism: chi viene è interessato a visitare i nostri piccoli borghi e a vivere le tradizioni e abitudini di quei luoghi di cui tanto ha sentito parlare attraverso i ricordi delle generazioni che lo hanno preceduto. E viene a conoscere un vero e proprio stile di vita italiano: è una grande opportunità per chi fa il viaggio delle radici in Italia e anche per i piccoli borghi spesso segnati dal fenomeno dello spopolamento”.

I numeri di Italea – Italea ha costruito una rete sul territorio capillare e dinamica con 20 gruppi regionali e 16 coordinatori; sono oltre 4.500 le richieste di viaggi o ricerche genealogiche e oltre 1 milioni di accessi a italea.com. Italea Card – che offre tanti vantaggi, sconti e agevolazioni per chi viene in Italia a scoprire le sue origini – conta oltre 650 partner, 55.000 utenti attivi e oltre 11.000 iscritti al programma. E ancora: 833 Comuni delle Radici e 742 eventi già organizzati. Oltre 60 eventi di sensibilizzazione in Italia organizzati dalle Italee regionali per favorire le occasioni di collaborazione e confronto; 19 missioni all’estero in 13 Paesi con una partecipazione stimata di oltre 1,5 milioni di persone.

(Inform/dip 5)

 

 

 

 

 

Nova Gorica –Gorizia, inaugurata dai Presidenti Mattarella e Pirc Musar la Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera

 

Il Capo dello Stato: Con l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, venti anni or sono, i nostri Paesi si sono ricongiunti in un percorso condiviso. Le differenze, le incomprensioni, hanno lasciato il posto a fattori che uniscono. Questo esprime il grande valore storico della integrazione Europea

GORIZIA – Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la Presidente della Repubblica di Slovenia, Nataša Pirc Musar, hanno partecipato nei giorni scorsi all’inaugurazione di Nova Gorica – Gorizia “Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera Go! 2025”. La cerimonia si è svolta in piazza Transalpina, situata al confine tra Nova Gorica, in Slovenia, e Gorizia, in Italia. Nel corso dell’evento sono intervenuti il Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, e il vice Primo Ministro e Ministro per le Comunità Slovene Autoctone, Matej Ar?on; i Ministri della Cultura Asta Vre?ko, per la Slovenia, e Alessandro Giuli, per l’Italia; Marta Kos, Commissaria europea per l’allargamento, Glenn Micallef, Commissario europeo alla cultura. Successivamente, è stato consegnato il Premio Melina Mercouri a Mija Lorbek, Direttrice dell’ente GO! 2025. Presenti anche il Sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, e il Sindaco di Nova Gorica, Samo Turel. Al termine, i due Capi di Stato hanno raggiunto il Municipio di Nova Gorica, dove hanno visitato la mostra fotografica: “L’incontro fra due fiumi e due valli”. Al suo arrivo in mattinata, il Presidente Mattarella era stato accolto dalla Presidente Pirc Musar a Villa Vipolže. Durante l’incontro Mattarella ha consegnato alla Presidente della Slovenia, l’onorificenza dell’OMRI di Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone.

“Ringrazio la Presidente Pirc Musar, anzitutto per le parole che ha adoperato nei confronti miei e dell’Italia, e per avermi invitato a condividere con lei questo momento storico per due città, Nova Gorica e Gorizia, per la Slovenia e l’Italia e per tutta l’Unione Europea”. Ha affermato nel suo intervento il Presidente Mattarella che ha continuato: “Desidero esprimere convinto apprezzamento agli organizzatori, alle autorità locali, ai rappresentanti delle istituzioni europee presenti, per il lavoro svolto in piena intesa e con lungimiranza per portare a compimento un progetto lanciato su questa piazza nel 2021 ma che affonda le sue radici nel lungo percorso di amicizia e riconciliazione di cui i nostri due Paesi, Signora Presidente, sono stati protagonisti e di cui possiamo essere orgogliosi. In un mondo caratterizzato da crescenti tensioni e da conflitti, dall’abbandono della cooperazione come elemento fondante della vita internazionale, – ha proseguito il Capo dello Stato – Slovenia e Italia hanno saputo dimostrare che è possibile scegliere la via della cooperazione. Nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale, un sopravvissuto ad Auschwitz, Roman Kent, ha osservato ‘non vogliamo che il nostro passato sia il futuro dei nostri figli’. Con questo spirito abbiamo affrontato le pagine del dopoguerra, per scriverne una nuova e nulla può far tornare indietro la storia che Slovenia e Italia hanno costruito, e costruiscono, insieme. In questo percorso due elementi hanno fornito un contributo determinante: la comune appartenenza all’Unione Europea e la cultura condivisa dai nostri popoli. Con l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, venti anni or sono, i nostri Paesi si sono ricongiunti in un percorso condiviso: la Repubblica Italiana è stata lieta di poter sostenere e accompagnare il processo di adesione, affinché i due popoli si ritrovassero a contribuire a un destino comune. Lavorando fianco a fianco nelle Istituzioni Europee si è consolidata la fiducia reciproca e vi è maturato senso di appartenenza e di una ulteriore identità: la comune identità europea. Le differenze, le incomprensioni, hanno lasciato il posto a fattori che uniscono. Questo esprime il grande valore storico della integrazione Europea. Una cultura con tante preziose peculiarità nazionali, con più lingue, ma una cultura comune: quella che, insieme, quest’anno le due città celebreranno. Nova Gorica e Gorizia ambiscono a celebrare la cultura dei confini. Con Chemnitz, in Germania, Nova Gorica – ha ricordato Mattarella – è stata scelta come Capitale europea della cultura 2025 e la città slovena ha voluto lanciare con la gemella Gorizia una sfida: proporsi come esperienza di cultura attraverso la frontiera. Se la cultura, per definizione, non conosce confini, essa nasce, pur sempre, come espressione di una comunità ma aperta alla conoscenza, alla ricerca comune, ai reciproci arricchimenti. Sconfitti gli orrori dell’estremismo nazionalista, che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della convivenza e dell’accoglienza. Sono i valori che possono opporsi all’oscurantismo della guerra e del conflitto che si è riproposto con l’aggressione russa all’Ucraina. Essere Capitale europea della cultura transfrontaliera – la prima con questa esperienza – significa avere il coraggio – ha concluso il Presidente della Repubblica – di essere portatori di luce e di fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre, incertezze e paure. Significa che Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso. È un compito che comincia oggi e per il quale mi affianco, con sincera e grande amicizia, alla Presidente Pirc Musar nell’augurarvi ogni successo”.

(Inform/dip 10)

 

 

 

 

 

Sanremo unisce gli italiani nel mondo

 

Proseguono con successo le iniziative di ITALEA: il programma di promozione del turismo delle radici lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

 

Roma - “Il Festival di Sanremo – come ha ricordato anche il conduttore e direttore artistico Carlo Conti - è un evento che unisce gli italiani all’estero. Il Festival è molto più di una competizione musicale: è una festa, una tradizione, una celebrazione della creatività italiana e della sua cultura musicale. Sono tanti gli italiani all’estero e gli italo-discendenti che seguono Sanremo. A loro vogliamo lanciare un invito: venite a fare un viaggio delle radici in Italia, venite a scoprire le vostre origini”. Così Giovanni Maria De Vita, coordinatore del progetto sul Turismo delle Radici per la Direzione generale degli italiani all’estero del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 

ITALEA “Sempre più persone oggi cercano di tracciare le linee della propria genealogia, ritornando nei luoghi d’origine delle proprie famiglie. Una tendenza che diventa opportunità perché il turismo delle radici rilancia territori in crisi, contrasta il fenomeno dello spopolamento, sostiene l’occupazione in settori chiave come l’ospitalità e promuove il patrimonio culturale e naturale. È un turismo lento che può anche rappresentare una risposta al fenomeno dell’overtourism. Oggi riveste un’importanza cruciale per l’Italia dove l’operazione Turismo delle Radici è entrata nel vivo grazie a ITALEA, il programma lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) all’interno del progetto PNRR e finanziato da NextGenerationEU” spiega De Vita. “Tutte le informazioni - aggiunge - si possono trovare sul sito dedicato al progetto italea.com”.  Il Turismo delle radici nasce con l’intento di far scoprire cultura, riti e tradizioni e valorizzare i luoghi che non sono meta del turismo di massa. Il progetto coinvolge oltre 800 piccoli Comuni italiani, vincitori del bando per la realizzazione di attività culturali in favore degli italo-discendenti.

 

I NUMERI Nel 2024 – secondo uno studio Assoturismo Confesercenti in collaborazione con CST – Centro studi turistici di Firenze - gli arrivi turistici strettamente legati alla motivazione di “visita al paese di origine” sono stati oltre 6,6 milioni, cioè il +6,2% rispetto alle aspettative di inizio anno, e circa 34,4 milioni le presenze turistiche. Per il 2024, le stime sulla spesa sostenuta dai viaggiatori delle “radici” indicano un ammontare di circa 5 miliardi di euro. Un valore destinato a crescere ulteriormente per attestarsi oltre i 5,5 miliardi di euro nel 2026. I turisti di ritorno sono in aumento, con una crescita prevista di oltre 3,5 milioni di presenze in più nel biennio 2025/2026 e un incremento di oltre 510 milioni di euro di spesa turistica sul territorio.

Per informazioni: comunicazione@italea.com.  Italea 14

 

 

 

 

 

Studie. Klimawandel verstärkt Migrationsdruck nach Deutschland

 

Der Klimawandel verstärkt laut einer Studie den Migrationsdruck in Europa und Deutschland. Besonders stark von der Klimakrise betroffen sind aber Länder des Globalen Südens. Germanwatch kritisiert, dass das Thema im Wahlkampf kaum Beachtung findet.

Eine nationale Studie stuft den Klimawandel als eines der größten Sicherheitsrisiken für Deutschland ein. Der im Auftrag von Auswärtigem Amt und Verteidigungsministerium erstellte Report warnt vor Ernteausfällen, Preisschocks und wirtschaftlichen Einbußen, die politische Instabilität und verstärkte Migration zur Folge haben könnten. Auch die Umweltorganisation Germanwatch betont die globalen Sicherheitsrisiken und kritisiert, dass der Klimawandel im Wahlkampf kaum eine Rolle spielt.

Die Ergebnisse der 77-seitigen nationalen Studie zeigen Außenministerin Annalena Baerbock (Grüne) zufolge, dass die deutsche Gesellschaft es sich nicht leisten könne, sich solchen Klimasicherheitsrisiken auszusetzen. Sie warnte: „Wer Klimaschutz schleifen lässt, bedroht die Existenzgrundlage von Menschen, ihren Wohlstand, unsere innere Stabilität in Deutschland und Europa und setzt die globale Sicherheit aufs Spiel.“

Klimawandel verstärkt Migrationsdruck

Laut den Sicherheitsexperten sieht sich Europa aufgrund der Klimakrise mit neuen Konflikten konfrontiert. Besonders die südlichen EU-Staaten werden sowohl wirtschaftlich durch die Klimaauswirkungen belastet als auch von politischer Instabilität in ihrer Nachbarschaft stark betroffen sein. Gleichzeitig steige aufgrund der Ressourcenknappheit und zunehmender Konflikte der Migrationsdruck in den betroffenen Ländern.

Nicht nur staatliche Institutionen, sondern auch Umweltorganisationen warnen vor den Sicherheitsrisiken des Klimawandels. Die Klimaexpertin der Umweltorganisation Germanwatch, Laura Schäfer, bezeichnete die Klimakrise als „eine der weltweit größten Bedrohungen für die internationale Sicherheit, die Stabilität von Staaten und Gesellschaften sowie des Finanzsystems“. Die Organisation veröffentlichte am Mittwoch den Klima-Risiko-Index, der die Risiken durch Wetterextreme weltweit betrachtet.

Globaler Süden besonders stark von Klimakrise betroffen

So sind dem Bericht zufolge in den vergangenen 30 Jahren infolge von Wetterextremen weltweit fast 800.000 Menschen gestorben. Stürme, Überflutungen und Hitzewellen haben zwischen 1993 und 2022 zudem wirtschaftliche Schäden in der Höhe von 4,2 Billionen US-Dollar verursacht.

Besonders stark von der Klimakrise betroffen sind laut der Studie Länder des Globalen Südens, aber auch immer mehr europäische Länder finden sich auf den vordersten Plätzen. Basierend auf den Daten aus dem Jahr 2022 liegt Deutschland auf dem 17. Platz. Vor diesem Hintergrund bezeichnete Schäfer es als „fahrlässig“, dass der Klimawandel im deutschen Wahlkampf kaum eine Rolle spiele.

Regierungsbeauftragte: Klimawandel kommt zu kurz

Ähnlich hatte sich die Klimasonderbeauftragte der Bundesregierung, Jennifer Morgan, gegenüber dem „Evangelischen Pressedienst“ geäußert. Der Klimawandel komme zu kurz, sagte Morgan: „Dabei hat er so viele Folgen für das Leben der Menschen hier.“

Viele Menschen seien mit anderen Sorgen beschäftigt, etwa dem russischen Angriffskrieg in der Ukraine oder der Inflation, räumte Morgan ein. Allerdings zeigten Umfragen, dass es trotz allem noch viel Rückhalt für mehr Klimaschutz gebe. Das Thema beschäftige die Leute, „auch wenn es nicht mehr so in den Schlagzeilen ist“, sagte die Sonderbeauftragte für Internationale Klimapolitik. (epd/mig 14)

 

 

 

 

 

Münchner Anschlag: Staatsanwältin sieht islamistische Motivation

 

Der nach dem mutmaßlichen Anschlag in München festgenommene Afghane hat in einer ersten Vernehmung ausgesagt, er sei bewusst in die Menschenmenge gefahren. Oberstaatsanwältin Gabriele Tillmann sagte am Freitag, seine Aussagen ließen auf eine religiöse, islamistische Tatmotivation schließen. Dies sei aber eine vorläufige Bewertung.

Anhaltspunkte für Mittäter, Mitwisser, eine Einbindung in ein Netzwerk wie die Terrororganisation „Islamischer Staat“ gebe es bisher nicht. Die Auswertung seiner Kontakte und Social-Media-Aktivitäten stünden noch am Anfang. Tillmann sagte weiter, der Mann habe unmittelbar nach seiner Festnahme „Allahu akhbar" (Gott ist groß) gerufen und gebetet. Aus diesem Grund habe sich ihre Dienststelle, die Zentralstelle zur Bekämpfung von Extremismus und Terrorismus bei der Münchner Generalstaatsanwaltschaft, eingeschaltet. Für die weiteren Ermittlungen hat das bayerische Landeskriminalamt (LKA) eine Sonderkommission mit derzeit 140 Beamtinnen und Beamten gebildet.

Die Staatsanwältin bestätigte, der 24-jährige Fahrzeuglenker sei 2016 als unbegleiteter, minderjähriger Flüchtling nach Deutschland gekommen und zum Tatzeitpunkt nicht ausreisepflichtig gewesen. Er habe in München zur Miete gewohnt, im Sicherheitsgewerbe gearbeitet und sei nicht vorbestraft. Ein einziges Ermittlungsverfahren gegen ihn sei wegen Betrugs des Arbeitsamtes geführt und gegen eine Geldauflage eingestellt worden.

„Bin vielleicht morgen nicht mehr da“

LKA-Vizepräsident Guido Limmer sagte, die bisherige Auswertung seiner Handy-Daten habe ergeben, dass der Festgenommene vor allem in arabischer Sprache kommuniziert habe. In einem Chat habe er die Botschaft hinterlassen: „Vielleicht bin ich morgen nicht mehr da.“ Bisher gebe es aber keine Hinweise auf eine Planung der Tat. Nach Angaben des Münchner Polizeivizepräsidenten Christian Huber hat sich die Zahl der bekannten Verletzten auf 36 erhöht. Einer der beiden Schwerstverletzten sei ein Kind. Dazu kämen weitere acht Schwerverletzte. Die Zahl könne sich auch noch erhöhen, fügte er hinzu.

Die meisten Demonstrationszüge abgesagt

Für den Schutz der Münchner Sicherheitskonferenz, die am heutigen Freitag beginnt, seien Polizeieinheiten aus anderen Bundesländern hinzugezogen worden, hieß es. Die meisten im Kontext dieser Veranstaltung angemeldeten Demonstrationen seien auf feste Plätze beschränkt worden. Dies gilt auch für eine Kundgebung von „Fridays for Future“ am Nachmittag auf dem Königsplatz. Am Morgen hatten Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier, Bayerns Ministerpräsident Markus Söder (CSU) und der Münchner Oberbürgermeister Dieter Reiter (SPD) am Tatort weiße Rosen abgelegt und der Betroffenen im Stillen gedacht. Der Münchner Kardinal Reinhard Marx sowie ein evangelischer Kirchenvertreter sprachen ein Gebet. (kna 14)

 

 

 

 

 

Auto fährt in Demo. „Schwarzer Tag für München“

 

Ein Auto fährt in einen Demozug mitten in der bayerischen Landeshauptstadt, mindestens 30 Menschen werden zum Teil schwerst verletzt. Schnell scheint klar: der Tatverdächtige ein afghanischer Asylbewerber, die Tat ein Anschlag. Doch dann gibt es neue Erkenntnisse.

Die Seidlstraße in der Münchner Innenstadt ist übersät von Trümmern und Kleidungsstücken. Ein umgestürzter Kinderwagen liegt auf der Fahrbahn. Dort, wo kurz vorher noch Mitglieder der Gewerkschaft Verdi für mehr Geld im öffentlichen Dienst demonstrierten, herrschen Schock, Entsetzen und Sorge um die vielen Verletzten, von denen einige in Lebensgefahr schweben sollen.

Unmittelbar nachdem er den Ort der Tat besucht hat, schreibt Bayerns Ministerpräsident Markus Söder (CSU) auf der Plattform X zunächst: „In München hat sich ein schwerer Anschlag ereignet.“ Die bayerische Zentralstelle für Extremismus und Terrorismus übernimmt die Ermittlungen. Schnell werden Erinnerung wach an Aschaffenburg, die eine Asyldebatte entfacht hat, die noch nicht abgeklungen ist und Rechtsextremisten in die Hände spielt.

Der Vizepräsident des Münchner Polizeipräsidiums, Christian Huber, schildert den Vorfall so: Gegen 10.30 Uhr fährt ein 24 Jahre alter Asylbewerber aus Afghanistan mit seinem Auto hinter der Demo her, überholt einen Polizeiwagen zur Absicherung der Gruppe, beschleunigt – und fährt in das Ende des Demonstrationszuges, zu dem mehrere Menschen ihre Kinder mitgebracht haben. Die Polizei schießt in Richtung des Verdächtigen und nimmt ihn fest. Am Freitag soll der Tatverdächtige laut Polizei dem Ermittlungsrichter vorgeführt werden.

„Aufenthalt war absolut rechtmäßig“

Am Abend werden neue Details zum Tatverdächtigen bekannt. Der junge Afghane hatte nach Worten von Bayerns Innenminister Joachim Herrmann (CSU) einen gültigen Aufenthaltstitel und eine Arbeitserlaubnis. „Damit war der Aufenthalt des Täters bis zum heutigen Tage nach gegenwärtigem Erkenntnisstand absolut rechtmäßig“, sagt Herrmann am Abend der Deutschen Presse-Agentur in München. Zugleich berichtet der Minister, dass der Mann nach neuesten Erkenntnissen und entgegen erster Informationen am Mittag nicht wegen Ladendiebstählen auffällig geworden war.

Nach Worten Herrmanns kam der Afghane Ende 2016 als unbegleiteter minderjähriger Flüchtling nach Deutschland. Sein Asylverfahren wurde demnach im Jahr 2020 endgültig abgeschlossen, mit einem Ablehnungsbescheid und der Aufforderung zur Ausreise. Die Landeshauptstadt München habe dann aber im April 2021 einen Duldungsbescheid erlassen und im Oktober 2021 eine Aufenthaltserlaubnis. Der junge Mann habe eine Schule besucht und eine Berufsausbildung gemacht. „Er war dann als Ladendetektiv für zwei Sicherheitsfirmen tätig.“

Deshalb habe es zunächst auch ein Missverständnis gegeben, eben weil der Mann in mehreren Ladendiebstahlprozessen aufgetreten sei. „Er war nicht selbst Tatverdächtiger, sondern er war Zeuge“, stellt Herrmann klar.

Söder: Afghane war berufstätig und nicht ausreisepflichtig

Ministerpräsident Markus Söder (CSU) sagt am Abend im ZDF, der Tatverdächtige sei „wohl bislang eher unauffällig“ gewesen. „Er war nicht ausreisepflichtig.“ Ein Asylantrag des Mannes sei zwar abgelehnt worden. Die Landeshauptstadt München habe aber eine Aufenthaltsgenehmigung erteilt, der junge Mann sei auch berufstätig gewesen.

„Und auch bisherige extremistische Hintergründe sind jedenfalls nicht auf den ersten Blick so leicht erkennbar“, betont Söder. Deshalb müsse jetzt weiter ermittelt werden, was der Grund für die schlimme und furchtbare Tat sei. Dann wird man auch sagen können, ob es ein Anschlag war.

„Ein bitterer Tag für München“

30 Menschen werden bei der Tat verletzt, einige von ihnen so schwer, dass Söder davon spricht, sie ringen womöglich mit dem Tod. Landesinnenminister Herrmann spricht von ein bis zwei lebensgefährlich Verletzten. Die Opfer werden in Münchner Krankenhäusern behandelt – auch in der Kinderklinik, denn unter ihnen sind laut Oberbürgermeister Dieter Reiter (SPD) auch Kinder.

Die Tat ereignet sich mitten im Wahlkampfendspurt, etwas mehr als eine Woche vor der Bundestagswahl – und Politiker fordern einmal mehr ein hartes Durchgreifen. Bundeskanzler Olaf Scholz sagt: „Dieser Täter kann nicht auf irgendeine Nachsicht rechnen. Er muss bestraft werden, und er muss das Land verlassen“, sagt der SPD-Politiker. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) mahnt: „Der Rechtsstaat muss maximale Härte zeigen.“ AfD-Chefin Alice Weidel fordert eine „Migrationswende“. Grünen-Kanzlerkandidat Habeck (Grüne) zeigt sich auf X „entsetzt angesichts dieser sinnlosen Tat“.

„Ein schwarzer Tag“

„Ein bitterer Tag für München“, sagt Oberbürgermeister Reiter am Tatort, „ein schwarzer Tag“, schreibt er später auf Instagram. „Es schmerzt einfach“, sagt Söder. „Im Januar ein Ereignis wie in Aschaffenburg und jetzt hier in München – es reicht einfach.“

„Wir reagieren bei jedem solchen Anschlag besonnen, aber ich sage Ihnen auch, dass unsere Entschlossenheit wächst. Es ist nicht der erste Fall, und wer weiß, was noch passiert“, sagt Söder am Ort des Geschehens. Neben der Aufarbeitung des Einzelfalls und der Anteilnahme müsse der Vorfall Konsequenzen nach sich ziehen. „Wir können nicht von Anschlag zu Anschlag gehen und Betroffenheit zeigen (…), sondern müssen auch tatsächlich etwas ändern.“

Vorfall kurz vor der Sicherheitskonferenz

Ob die Tat Auswirkungen hat auf die am Freitag nur rund zwei Kilometer vom Tatort beginnende Münchner Sicherheitskonferenz, war zunächst unklar. Mehr als 60 Staats- und Regierungschefs und mehr als 100 Minister werden zu dem weltweit wichtigsten sicherheitspolitischen Expertentreffen erwartet – darunter US-Vizepräsident J.D. Vance, der ukrainische Präsident Wolodymyr Selenskyj und Bundeskanzler Scholz.

Es gebe keinen Hinweis darauf, „dass es irgendeinen Zusammenhang mit der Sicherheitskonferenz gibt“, sagt Innenminister Herrmann nach der Tat. Das Motiv des jungen Mannes sei noch unklar. „Im Moment gehen wir in der Tat davon aus, dass die Zielgruppe hier, dass die Opfer aus den Reihen dieser Verdi-Demonstration eher zufällig waren“, sagt Herrmann. „Aber auch dem muss natürlich nachgegangen werden.“ (dpa/mig 14)

 

 

 

 

 

Das giftige Erbe der Pandemie

 

Die Krisen der letzten Jahre haben tiefe Spuren hinterlassen, das Misstrauen gegenüber der Politik ist beunruhigend. Davon profitieren die Rechten. Jan-Werner Müller

Nicht nur Donald Trump ist ins Weiße Haus zurückgekehrt, die Rechtsextremen sind auch drauf und dran, in Österreich zum ersten Mal in der Nachkriegsgeschichte den Bundeskanzler zu stellen, und in Deutschland stehen nach dem Zusammenbruch der Ampelkoalition im nächsten Monat schwierige Wahlen an. Ist jedes dieser Länder auf seine Weise unglücklich (um Tolstoi zu paraphrasieren), oder gibt es einen gemeinsamen Nenner für ihr Unglück?

Obwohl viele Kommentatoren die jüngsten politischen Ergebnisse als Ausdruck einer weit verbreiteten Tendenz zur Verantwortungslosigkeit werten, sagt dies noch nichts darüber aus, warum sich die Wähler von den etablierten Parteien abwenden. Eine Erklärung ist natürlich die Inflation. Eine andere, weitgehend unterschätzte Ursache sind die Folgen der Pandemie, die in vielen Gemeinden nicht nur ein anhaltendes Gefühl des Verlusts, sondern auch ungelöste Konflikte und tiefes Misstrauen hinterlassen hat.

In Österreich hat die extreme Rechte massiv von der Unzufriedenheit mit dem Umgang mit der Pandemie profitiert. In Italien waren 40 Prozent derjenigen, die bei den letzten Wahlen für die Fratelli d’Italia von Ministerpräsidentin Giorgia Meloni gestimmt hatten, der Ansicht, dass die Entscheidungen der Vorgängerregierung über Impfstoffe „eine undemokratische Einschränkung der Freiheit der Bürger“ darstellten. In seiner zweiten Antrittsrede erntete Trump Beifall, als er erwähnte, dass er Soldaten wieder einstellen werde, die wegen Nichtbeachtung der Impfvorschriften entlassen worden waren.

Die libertäre Unzufriedenheit mit früheren Beschränkungen und Auflagen ist eine Sache, das anhaltende Misstrauen gegenüber Wissenschaftlern eine ganz andere. Letzteres wird sich nicht nur auf das Gesundheitswesen, sondern auch auf die Klimapolitik und andere hochpolitische Bereiche der Wissenschaft auswirken. Der ehemalige US-Präsident Joe Biden fürchtete die Verfolgung von Wissenschaftlern durch die neuen Trumpisten mit ihren diversen „Feindeslisten“ so sehr, dass er in den letzten Stunden seiner Präsidentschaft Anthony Fauci, den Leiter des Instituts für Allergie und Infektionskrankheiten während der Pandemie, vorsorglich begnadigte. (Trump versuchte noch, seiner Basis zu gefallen, indem er Faucis Personenschützer entließ, obwohl er regelmäßig Morddrohungen erhielt.)

Trumps Kandidat für die Leitung des Nationalen Gesundheitsinstituts, Jay Bhattacharya, ist vor allem dafür bekannt, dass er die Auswirkungen der Pandemie herunterspielt und die Meinung vertritt, man solle dem Virus erlauben, sich weiträumig auszubreiten, um eine Herdenimmunität zu entwickeln. Er hat auch versucht, die Finanzierung der Wissenschaft mit dem Grad der akademischen Freiheit an den Universitäten zu verknüpfen, obwohl unklar ist, wie er solche Bewertungen vornehmen würde. Im vergangenen Herbst sagte er zu, bei einem „Benefizdinner“ des Heartland Institute zu sprechen, einer führenden Organisation für die Leugnung des Klimawandels. Zu den anderen Rednern gehörten der rechte Brexit-Befürworter Nigel Farage und der russlandfreundliche rechtsextreme österreichische Politiker Harald Vilimsky.

Es ist nicht falsch, vorsichtig mit wissenschaftlichen Erkenntnissen umzugehen. Wie Karl Popper und viele andere Wissenschaftsphilosophen argumentiert haben, sollten Wissenschaftler offen dafür sein, dass ihre Hypothesen falsifiziert werden; sie sollten Infragestellungen und Revisionen begrüßen. Das Problem ist, dass nur sehr wenige von uns in der Lage sind, wissenschaftliche Debatten zu beurteilen, geschweige denn den vorherrschenden Konsens in Frage zu stellen (selbst wenn wir „eigene Forschungen“ angestellt haben). Im heutigen Informationsökosystem ist es jedoch einfacher denn je, unbequeme Fakten mit vagen Hinweisen auf angebliche Fehler während der Pandemie oder mit Verschwörungstheorien über Vertuschung und unrechtmäßige Übertragung von Regierungsbefugnissen an Wissenschaftler abzutun.

Es stimmt, dass viele der Auseinandersetzungen über die Pandemie einfach auf bestehende politische Differenzen zurückzuführen sind. Aber das war nicht unvermeidlich. Es ist vielmehr das Ergebnis der Tatsache, dass einige Politiker das Virus als eine weitere Front im Kulturkampf behandeln. Selbst innerhalb der extremen Rechten gibt es unterschiedliche politische Strömungen. Während Trump und der ehemalige brasilianische Präsident Jair Bolsonaro eine liberale Politik und Quacksalberei (wie das Spritzen von Bleichmitteln) befürworteten, verfolgte Viktor Orbán einen relativ restriktiven Ansatz.

Was kann getan werden? Eine Möglichkeit ist die Einsetzung unabhängiger Kommissionen, die den Umgang mit der Pandemie historisch korrekt aufarbeiten. Wer traf welche Entscheidungen und warum? Wie groß war die Unsicherheit, und wie wurden Risiken und Kompromisse bewertet?

Theoretisch gibt es in vielen politischen Kreisen bereits Unterstützung für eine solche Idee. Kein Geringerer als Peter Thiel, der Risikokapitalgeber und Finanzier rechtsextremer Anliegen, forderte kürzlich eine Initiative zur Aufarbeitung der Fakten nach dem Vorbild der Wahrheits- und Versöhnungskommission im Post-Apartheid-Südafrika (wo er teilweise aufgewachsen ist).

Natürlich besteht die Gefahr, dass solche Kommissionen sofort als parteiisch wahrgenommen werden, insbesondere von jenen, die Wissenschaftlern ohnehin misstrauen. Dies war sicherlich beim Unterausschuss des Repräsentantenhauses zur Coronavirus-Pandemie der Fall, dessen Abschlussbericht landesweit wenig Beachtung fand. Ein mögliches Mittel ist eine Bürgerversammlung, die sich aus einer zufälligen Auswahl von Erwachsenen zusammensetzt (ähnlich einer Jury vor Gericht). Der scheidende deutsche Bundeskanzler Olaf Scholz, der einräumte, dass die Schulschließungen während der Pandemie wahrscheinlich zu weit gingen, begrüßte kürzlich einen solchen Ansatz.

Kritiker werden einwenden, dass die Auswahl von Expertenmeinungen für Impfskeptiker oder Personen, die noch eine politische Rechnung zu begleichen haben, ein Streitpunkt bleiben werde, da „normale Bürger“ erst einmal Experten anhören müssten. Aber allein die Möglichkeit, unterschiedliche Einschätzungen (aber keine Verschwörungstheorien) öffentlich zu machen, könnte eine kathartische Wirkung haben. Selbst wenn der Abschlussbericht einer Bürgerversammlung vielleicht nicht von allen akzeptiert würde, gäbe es immerhin ein offizielles Protokoll. Fast alle Kommissionen, die sich in ähnlicher Weise mit vergangenen Diktaturen in Mitteleuropa, Lateinamerika und anderswo befasst haben, sind kritisiert worden, aber nur wenige Länder haben es bereut, sie eingesetzt zu haben.

Zum jetzigen Zeitpunkt ist jeder Versuch, das giftige politische Erbe der Pandemie zu entschärfen, zu begrüßen. PS/IPG 14

 

 

 

 

47.000 Zurückweisungen. Bundesregierung verlängert Grenzkontrollen bis September

 

Deutschland hat im September 2024 die Kontrollen an den Grenzen ausgeweitet. Die vieldiskutierte Maßnahme wirkt, sagt die Innenministerin – und ordnet eine Verlängerung an. Bisher seien 47.000 Menschen an den Grenzen zurückgewiesen worden.

Die Bundesregierung will die seit September 2024 an allen deutschen Grenzen geltenden Kontrollen bis zum Herbst verlängern. Wie Kanzler Olaf Scholz und Innenministerin Nancy Faeser (beide SPD) am Mittwoch mitteilten, sind die Kontrollen über Mitte März hinaus für weitere sechs Monate angeordnet und bei der Europäischen Kommission notifiziert worden. Mit den Grenzkontrollen werde die sogenannte irreguläre Migration zurückgedrängt, begründete Scholz den Schritt.

Der Regierungschef verwies dabei auf die aktuellen Zahlen, wonach die Asylgesuche im vergangenen Jahr um ein Drittel zurückgegangen sind. Dem Bundesinnenministerium zufolge äußerten im vergangenen Jahr rund 213.000 Menschen bei der Einreise nach Deutschland die Bitte um Schutz. 2023 waren es rund 111.000 mehr. Das entspricht einem Rückgang von 34 Prozent.

Zahl der Asylanträge sinkt

Die Zahl der Asylanträge sank im gleichen Zeitraum um 30 Prozent. 2024 gingen 230.000 Erstanträge auf Schutz in Deutschland ein.

Zudem hat es Scholz und Faeser zufolge inzwischen Festnahmen von 1.900 Schleusern gegeben. Wie viele der Festgenommenen tatsächlich Schleuser sind, werden die Ermittlungen zeigen. Menschenrechtler werfen ein, viele Beschuldige seien gar keine Schleuser, sondern Menschen auf der Flucht, die beispielsweise ein Boot oder ein Kfz steuern mussten, aber kein Geld an der Flucht anderer Menschen verdienen. Sie kritisieren, dass Geflüchtete oft kriminalisiert würden, obwohl sie ihr Recht auf Asyl in Anspruch nehmen wollen.

47.000 Menschen zurückgewiesen

Rund 47.000 Menschen seien zurückgewiesen worden. Das betrifft Menschen, die keine Einreiseerlaubnis oder einen gültigen Aufenthaltstitel für Deutschland haben. Asylsuchende werden auf Grundlage europäischer Regeln und internationalem Recht nicht zurückgewiesen. Das ist politisch umstritten, juristisch jedoch unumstritten.

An einzelnen deutschen Grenzen gibt es seit der Fluchtbewegung im Jahr 2015 Grenzkontrollen, beispielsweise zu Österreich. Seit dem 15. September wird an allen deutschen Grenzen kontrolliert. Die aktuell geltende Anordnung erfolgte damals für ein halbes Jahr, gilt also bis Mitte März. Die Verlängerung gilt dann bis zum 15. September. (epd/mig 13)

 

 

 

 

 

Faeser sieht SPD und Union bei Migration nicht weit auseinander

 

In der Flüchtlingspolitik ging es zuletzt im Bundestag heiß her. Nun weist Innenministerin Faeser auf Gemeinsamkeiten mit der Union hin. Auch die SPD wolle Migration weiter reduzieren – insbesondere die „irreguläre“. Die Grünen sehen ebenfalls keine unüberwindbaren Hindernisse. Linke bestätigt.

Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) schlägt im Streit mit der Union um die Migrationspolitik versöhnliche Töne an. „Wir sind gar nicht so weit auseinander“, sagte Faeser in einem Podcast des Magazins „Politico“ zum Kurs des Unions-Kanzlerkandidaten Friedrich Merz (CDU). An den deutschen Grenzen werde bereits zurückgewiesen: „Wir haben allein 44.000 Zurückweisungen seit Oktober 2023.“

Die Pläne der Union, alle zurückzuweisen, seien jedoch europarechtlich nicht haltbar. „Wo Herr Merz einen Punkt hat, ist, dass wir ein nicht funktionierendes sogenanntes Dublin-System haben“, führte die SPD-Politikerin aus. „Das heißt, wenn Leute schon mal in einem anderen EU-Land Asyl beantragt haben, dann funktioniert die Rücküberstellung aus Deutschland in diese Länder nicht gut.“

Ziel sei es, die Zahlen bei der Migration zu reduzieren. „Da sind wir völlig konform mit der CDU. Auch wir wollen als Sozialdemokratie die Migration, gerade die irreguläre, weiter reduzieren“, meinte Faeser.

Kretschmann: Mit Union bei Migration „nicht meilenweit auseinander“

Auch der baden-württembergische Ministerpräsident Winfried Kretschmann (Grüne) schließt eine Zusammenarbeit von Union und Grünen in einer künftigen Bundesregierung trotz Differenzen beim Thema Migration nicht aus. „Wir kommen je woanders her, aber dass wir meilenweit auseinanderliegen – ich meine, wir regieren hier auch zu diesem Thema – ich kann nicht sehen, dass wir da meilenweit auseinanderliegen“, sagte er am Dienstag in Stuttgart.

Wenn man zusammenarbeite, „weil man muss oder weil man will“, dann finde man auch inhaltlich zueinander, sagte Kretschmann weiter: „Und jetzt bitte: Irgendjemand muss ja regieren am Schluss, und es ist der Wille aller, dass das nicht unter Beteiligung der AfD geschieht.“ Darum werde er nicht sagen, dass eine Zusammenarbeit nicht möglich sei.

Linke bestätigt Gemeinsamkeiten von SPD und Union

Die Linke-Politikerin im Bundestag, Clara Bünger, stimmte Faeser zu. „SPD und Union unterscheiden sich in ihrem fluchtpolitischen Programm tatsächlich nur marginal. Beide vertreten eine Geflüchtete-raus-Politik“, erklärte Bünger. Während die SPD dieses Programm zusammen mit den europäischen Partnern umsetzen und in erster Linie die EU-Außengrenzen weiter abschotten wolle, fordere Merz, zusätzlich auch die nationalen Grenzen dicht zu machen.

„Schon jetzt führt die Bundespolizei massenhaft Zurückweisungen an den Binnengrenzen durch. 2024 betraf dies mehr als 40.000 Personen, darunter viele Geflüchtete aus Ländern wie Syrien, der Türkei und Afghanistan. Vieles deutet daraufhin, dass die Beamten dabei Asylgesuche systematisch überhören, um die Betreffenden an der Einreise hindern zu können. Diese Praxis verstößt gegen internationales und europäisches Recht und muss beendet werden“, erklärte Bünger weiter. Die permanente Skandalisierung von Migration sei ein gewaltiges Ablenkungsprogramm. Damit täuschten SPD und Union darüber hinweg, dass sie für die echten Probleme der Menschen keine Lösungen haben. (dpa/epd/mig 13)

 

 

 

 

 

Wahlprogramme 2025 – Viele Geschenke, kaum Gegenfinanzierung

 

München – Das ifo Institut hat ermittelt, dass einige Parteien zur Bundestagswahl zwar Steuerentlastungen versprechen, dabei aber wenige Vorschläge zu deren Gegenfinanzierung machen. Die ifo Forscher warnen davor, dass einige der Reformvorschläge zu erheblichen Defiziten im Staatshaushalt führen könnten. „Unsere Analysen zeigen, dass viele Reformvorschläge große Finanzierungslücken aufweisen. Ein tragfähiges Konzept erfordert eine klare Gegenfinanzierung, um langfristig wirtschaftliche Stabilität zu gewährleisten“, sagt Studienautor Maximilian Blömer. 

 

Die Autoren untersuchen zentrale Vorschläge der Wahlprogramme zum Steuer- und Transfersystem und zeigen, welche Impulse dies auf Einkommen und Arbeitsanreize setzen würde. Die Datenanalyse zeigt große Unterschiede zwischen den Wahlprogrammen: 

 

Einige Parteien versprechen umfassende Steuersenkungen. CDU/CSU setzen auf ein umfassendes Reformprogramm, bei dem die betrachteten Elemente zu jährlich 97 Milliarden Euro Mindereinnahmen des Staates führen würden. Etwas weiter gehen die betrachteten Forderungen bei der FDP, die 142 Milliarden Euro kosten würden. Die Vorschläge zu Steuersenkungen könnten Arbeitsanreize stärken, dies reicht aber nicht aus, um die negativen Effekte für den Staatshaushalt auszugleichen. Die Eigenfinanzierungsquote daraus liegt bei etwa 10 Prozent, errechnen die Autoren. SPD und Grüne vermeiden größere Reformen und bieten fiskalisch eher ausgeglichene Forderungen im Steuer- und Transfersystem an. 

 

AfD und BSW haben hingegen Wahlprogramme vorgelegt, die die oben genannten Steuergeschenke nochmals überbieten wollen. Die Nachhaltigkeit dieser Versprechungen bleibt bei den meisten Programmen unklar, sodass Steuererhöhungen oder eine höhere Verschuldung notwendig wären. Die Linke legt Pläne beim Steuer- und Transfersystem vor, die stark negative Arbeitsanreize setzen.

 

Das ifo Institut empfiehlt, die Wahlprogramme unter Berücksichtigung ihrer Finanzierbarkeit zu bewerten. „Berücksichtigt man dies, relativieren sich die ganz großen Steuergeschenke schnell, bei denen oftmals nur in den oberen Einkommen etwas übrigbleibt“, sagt Lilly Fischer, Ko-Autorin der Studie.  

 

Gemeinsam mit der ZEIT stellt das ifo Institut die Ergebnisse der Studie auch über einen interaktiven Steuerrechner (www.zeit.de/steuerrechner) zur Verfügung. 

 

Aufsatz: „Reformvorschläge oder Steuergeschenke? Die Wahlprogramme 2025 auf dem Prüfstand“ von Maximilian Blömer, Eike Johannes Eser, Lilly Fischer und Andreas Peichl, in ifo Schnelldienst digital, 2025, 6, Nr. 2

https://www.ifo.de/publikationen/2025/aufsatz-zeitschrift/reformvorschlaege-oder-steuergeschenke-wahlprogramme-2025.  ifo13

 

 

 

 

 

Italien: Toskana verabschiedet Gesetz zu Suizidbeihilfe

 

Als erste Region Italiens hat die Toskana ein Gesetz mit Regelungen zu medizinisch assistiertem Suizid verabschiedet.

Nach zweitägiger Debatte nahm der Regionalrat am Dienstagabend den Gesetzesvorschlag an. Er legt Zeitrahmen und Zuständigkeiten für den Zugang zum Verfahren der ärztlich assistierten Selbsttötung fest.

Maximal 37 Tage dürfen demnach vergehen von Antragstellung, dem Einsetzen einer Medizin- und Ethik-Kommission, der Zuweisung eines Arztes und eines Medikamentes bis zur Ausführung der Selbsttötung - wenn der Antrag angenommen wird. Weiter sieht das Gesetz die Gleichbehandlung aller Patienten vor, die sich mit dem Anliegen an die lokalen Gesundheitsbehörden wenden. Das gesamte Verfahren ist kostenfrei. Innerhalb von 60 Tagen kann Italiens Regierung das Gesetz vor dem Verfassungsgericht anfechten.

„Niederlage für alle“

Die katholischen Bischöfe der Toskana verurteilten das Gesetz als „Niederlage für alle“. „Wir nehmen die Entscheidung des Regionalrats der Toskana zur Kenntnis, aber dies wird unseren Einsatz zugunsten des Lebens nicht einschränken, niemals und unter keinen Umständen“, so der Vorsitzende der Toskanischen Bischofskonferenz, Kardinal Augusto Paolo Lojudice.

In seiner Stellungnahme am Dienstagabend schreibt er weiter: „Den Krankenhausseelsorgern, den Ordensleuten und den Freiwilligen, die in Hospizen und an all den Orten arbeiten, an denen man jeden Tag mit Krankheit, Schmerz und Tod konfrontiert ist, sage ich, dass sie nicht aufgeben und weiterhin Hoffnung und Leben bringen sollen. Trotz allem.“

Keine nationale Regelung

National gibt es in Italien bislang keine festen Regelungen zu assistiertem Suizid. Im Jahr 2019 entschied das Verfassungsgericht, dass es unter bestimmten Umständen straffrei sei, die Ausführung eines frei gebildeten Suizidvorsatzes zu erleichtern. Im vergangenen Jahr bestätigte es die damals festgelegten Voraussetzungen für den Zugang zu assistiertem Suizid.

Der Aufforderung der Richter, eine gesetzliche Regelung zu entwerfen, kam das italienische Parlament bislang jedoch nicht nach. In anderen Regionen Italiens stehen entsprechende Gesetze zur Diskussion. (kna 12)

 

 

 

 

 

Vor der Wahl. Bundestag verabschiedet sich mit Schlagabtausch

 

Der Kanzler bezichtigt den Oppositionsführer der „Zockerei“. Der wundert sich: „Was war das denn?“ Ein erbitterter Schlagabtausch der beiden bestimmt die Abschiedsdebatte des Bundestags. Zentrales Thema ist weiter die Flüchtlingspolitik – und die AfD.

Tief zerstritten hat sich der Bundestag knapp zwei Wochen vor der vorgezogenen Neuwahl mit einer letzten Debatte über die Lage in Deutschland verabschiedet. Vor allem Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) und sein aussichtsreichster Herausforderer Friedrich Merz von der Union lieferten sich erneut einen harten Schlagabtausch über Migration, den Kurs in der Wirtschaftspolitik und den Umgang mit der AfD.

Scholz warf Merz vor, mit seinen Migrationsplänen die europäische Integration zu gefährden. „Friedrich Merz tritt an, Europa zu Grabe zu tragen“, sagte er. Damit stelle er auch das „stolze Erbe“ der früheren CDU-Kanzler Konrad Adenauer, Helmut Kohl und Angela Merkel infrage. Erneut warnte der Kanzler davor, dass die Union nach der Wahl eine Koalition mit der vom Verfassungsschutz als teilweise rechtsextremistisch eingestuften AfD eingehen könnte.

Merz wies das als gezielte Angstmacherei zurück. „Es kommt eine Zusammenarbeit von uns mit der AfD nicht infrage“, versicherte er. Dem Kanzler warf er vor, einen „Popanz“ aufzubauen – gemeint sei damit eine „Kunstfigur“, mit der man versuche, Menschen Angst zu machen. Für die Zeit nach der Wahl bot Merz den Parteien der „demokratischen Mitte“ die Zusammenarbeit an.

Neuer Bundestag spätestens 30 Tage nach der Wahl

Der erbitterte Schlagabtausch der beiden Kanzlerkandidaten bestimmte die letzte Debatte des 20. Bundestags, der sich nach dem Bruch der Ampel-Koalition im November etwa sieben Monate früher auflöst als geplant. Spätestens 30 Tage nach der Wahl am 23. Februar wird er vom 21. Bundestag abgelöst, der dann deutlich kleiner sein wird. Das neue, von der Ampel-Koalition beschlossene Wahlrecht begrenzt die Größe auf 630 Abgeordnete. Bei der Wahl 2021 waren noch 736 Abgeordnete in den Bundestag eingezogen.

Nach den aktuellen Umfragen hat die Union mit Werten zwischen 28 und 34 Prozent beste Chancen, stärkste Kraft zu werden. Dahinter folgt die AfD mit 20 bis 22 Prozent. Die Kanzlerpartei SPD stagniert bei 15 bis 18 Prozent abgeschlagen auf Platz drei.

Scholz: „Wir kommen da durch“

Scholz reagiert auf die bisher ausbleibende Trendwende mit schärfer werdenden Angriffen gegen Merz, so auch schon beim ersten Fernsehduell mit seinem Herausforderer am Sonntag. In seiner Rede im Bundestag stimmte er die Bürger aber zunächst auf schwierige Zeiten ein, versuchte aber gleichzeitig Zuversicht zu verbreiten: „Der Wind weht derzeit von vorn. Und die Wahrheit ist: Das wird sich in den kommenden Jahren auch nicht grundlegend ändern.“

Er wolle nicht das Blaue vom Himmel versprechen, betonte er. „Aber was ich den Bürgerinnen und Bürgern verspreche, ist: Wir kommen da gemeinsam durch! Wir kommen da durch, wenn wir jetzt nicht falsch abbiegen.“ Das „Wir kommen da durch“ erinnert an eines der bekanntesten Zitate seiner Vorgängerin Angela Merkel aus der Zeit, als sie die Grenzen für Flüchtlinge aus Syrien öffnete: „Wir schaffen das.“

Die Attacken des Kanzlers gegen Merz bezogen sich erneut vor allem auf den Eklat Ende Januar, als die Union mit den Stimmen der AfD einen Fünf-Punkte-Plan zur Migration durch den Bundestag brachte. Er warf Merz erneut „Zockerei“ vor. „Die Bürgerinnen und Bürger wissen jetzt: Wenn Friedrich Merz den Kompromiss unter Demokraten zu schwierig findet, dann macht er gemeinsame Sache mit denen da“, sagte Scholz. Deshalb gehe es bei der Bundestagswahl nun darum, „Schwarz-Blau unmöglich zu machen“.

Merz: „Was war das denn?“

Merz konterte die Rede mit den Worten: „Was war das denn? 25 Minuten abgelesene Empörung über den Oppositionsführer. Herzlichen Glückwunsch, Herr Bundeskanzler.“ Der SPD-Kanzlerkandidat verwechsele die Bundestagssitzung wohl mit einem Juso-Bundeskongress.

Der CDU-Chef versprach erneut, dass die Union nicht mit der AfD koalieren werde. Er nutzte seine Rede für eine Generalabrechnung mit drei Jahren Regierungsarbeit vor allem von SPD und Grünen – die FDP verschonte er. Scholz und sein Vizekanzler Robert Habeck (Grüne) kämen ihm so vor wie zwei angestellte Geschäftsführer, die ein Unternehmen vor die Wand gefahren hätten und anschließend den Eigentümern vorschlagen würden: „Wir würden das jetzt gerne nochmal vier Jahre so weiter machen. So kommen Sie mir vor.“

Die Regierung hinterlasse ein „schieres Desaster“ auf dem Arbeitsmarkt. Scholz verlasse das Bundeskanzleramt mit fast drei Millionen Arbeitslosen, fast 400.000 mehr als zu Beginn der Amtszeit. Zudem habe es in dieser Zeit 50.000 Unternehmensinsolvenzen gegeben und einen Kapitalabfluss in einer Größenordnung von rund 100 Milliarden Euro im Jahr. „Sie nehmen offensichtlich die Wirklichkeit überhaupt nicht mehr wahr“, rief Merz in Richtung Scholz.

Habeck: Klimaschutz darf nicht auf der Strecke bleiben

FDP-Chef Christian Lindner zeigte sich erschüttert über das Auftreten von Scholz und Merz zuletzt auch im TV-Duell am Sonntag. „Es ist eine erschreckende Aussicht, dass Sie beide das Land miteinander alleine regieren könnten“, sagte er.

Grünen-Kanzlerkandidat Robert Habeck widmete seine Rede vor allem dem Klimaschutz – ein Thema, das im Wahlkampf bisher kaum wahrgenommen wird. Es dürfe nicht auf der Strecke bleiben, mahnte er. „Wir können kein Land haben, das regiert wird von Leuten, die Sorge haben, Probleme anzufassen.“ Die Welt werde es verkraften, wenn die USA zeitweise aus dem globalen Klimaschutz ausstiegen. Wenn dies aber Deutschland tue, werde Europa seine Ziele nicht einhalten können. „Wenn Europa umfällt, dann ist es vorbei mit dem globalen Klimaschutz.“

Merz ruft zur Kooperationsbereitschaft nach der Wahl auf

Merz blickte in seiner Rede auch auf die Zeit nach dem 23. Februar und rief die Parteien der demokratischen Mitte dazu auf, sich dann kooperationsbereit zu zeigen. Bis zur Wahl werde man hart kämpfen, sagte er Aber dann sollten „wir in der breiten politischen Mitte“, die Probleme des Landes so lösen, „dass der Populismus in unserem Land, sei er von links oder sei er von rechts, nicht noch stärker wird“, betonte Merz. „Das ist eine Verantwortung, der können Sie sich nicht entziehen und der werden wir uns auch nicht entziehen.“ (dpa/mig 12)

 

 

 

 

Abtreibungsreform vorerst gescheitert

 

Der Bundestag wird vor der Wahl nicht mehr über die geplante Reform des Abtreibungsrechts abstimmen. Das Vorhaben, Schwangerschaftsabbrüche in den ersten zwölf Wochen zu legalisieren, ist damit vorerst gescheitert. Vertreter der katholischen Kirche, Lebensschutz-Organisationen und andere Verbände sind erleichert über diese Entwicklung. Von Mario Galgano

Kurz vor der Bundestagswahl hatten SPD, Grüne und Linke versucht, das Abtreibungsrecht grundlegend zu reformieren und Schwangerschaftsabbrüche in weiten Teilen straffrei zu stellen. Dazu fand eine Expertenanhörung im Rechtsausschuss des Deutschen Bundestages statt. Während Befürworter die Reform als überfällig betrachteten, warnten Kritiker vor einem „Dammbruch“ beim Schutz ungeborenen Lebens. Einer der schärfsten Kritiker war Kristijan Aufiero, Gründer der Schwangerschaftskonfliktberatungsinitiative 1000plus – Pro Femina. Er wurde als Sachverständiger in den Rechtsausschuss geladen und äußerte sich besorgt über die möglichen Folgen des Gesetzesvorhabens.

 „Der vorliegende Gesetzentwurf stellt keine Verbesserung der Situation von Frauen im Schwangerschaftskonflikt in Aussicht“, erklärte Aufiero. „Er verbessert nicht die echte Entscheidungsfreiheit von Schwangeren in Not. Im Gegenteil: Der Entwurf in seiner jetzigen Form verringert wirkliche Entscheidungsfreiheit, weil alle bisherigen lebensbejahenden und lösungsorientierten Elemente und Vorgaben der bestehenden Regelung gestrichen werden.“

Spaltung unter den Experten

Die Anhörung im Bundestag zeigte, wie umstritten das Thema ist. Während einige Sachverständige die geplante Gesetzesänderung für verfassungswidrig hielten, sprachen sich andere für eine Reform aus und sahen darin eine Verbesserung der Versorgungslage bei Schwangerschaftsabbrüchen. Die Sitzung endete jedoch ohne konkrete Absprachen zum weiteren Vorgehen.

Eine der Initiatorinnen des Gesetzentwurfs, die SPD-Abgeordnete Carmen Wegge, räumte nach der Anhörung ein, dass eine Abstimmung vor der Wahl unwahrscheinlich sei. „Wir wollen eine klare demokratische Mehrheit erwirken“, sagte sie. Ohne Unterstützung aus der Union und der FDP bestehe die Gefahr einer Zufallsmehrheit mit Stimmen der AfD. „Diese rote Linie überschreiten wir nicht.“ Dennoch wolle man auch nach der Wahl weiter für eine Reform kämpfen.

Was die Reform des Abtreibungsrechts wollte

Das zentrale Ziel des interfraktionellen Gesetzentwurfs war es, Schwangerschaftsabbrüche aus dem Strafgesetzbuch zu entfernen. Abbrüche bis zur zwölften Woche sollten als „rechtmäßig und straffrei“ gelten und stattdessen im Schwangerschaftskonfliktgesetz geregelt werden.

Union und AfD sprachen sich vehement gegen eine solche Änderung aus, während SPD, Grüne und ein Teil der FDP den Entwurf unterstützten. Derzeit sind Abtreibungen in Deutschland rechtswidrig, aber in den ersten zwölf Wochen unter bestimmten Umständen straffrei; diese Regelung bleibt nun vorerst bestehen.

Kritik an fehlenden Hilfsangeboten

Aufiero betonte, der Gesetzentwurf habe keine ausreichenden Maßnahmen zur Unterstützung von Schwangeren in Not enthalten. „Echte Entscheidungsfreiheit für ungeplant schwangere Frauen wird nur dann ermöglicht, wenn ihnen in ihrer Notlage kompetente Information, bestmögliche Beratung und konkrete Hilfe angeboten werden“, erklärte er. „Nur dann können subjektiv tragbare Alternativen zur Abtreibung in die Entscheidungsfindung miteinbezogen werden.“

„Nicht ein einziges Hilfsangebot“

Laut einer Erhebung der Initiative 1000plus sind die vier häufigsten Gründe für eine Abtreibung biografische Umstände (41,2 Prozent), Überlastung (31,7 Prozent), Probleme in der Partnerschaft (17,5 Prozent) und finanzielle Schwierigkeiten (6 Prozent). „Wenn es wirklich um die Herstellung von Selbstbestimmung und echter Wahlmöglichkeit gehen würde, müssten konkrete Hilfsangebote in den Gesetzentwurf aufgenommen werden“, so Aufiero weiter. Der Entwurf enthalte jedoch „nicht ein einziges Hilfsangebot“ für Schwangere in Not.

Erleichterung bei Lebensschutz-Organisationen

Mit dem Scheitern der Abstimmung sehen viele Lebensschutz-Organisationen die Gefahr eines „Dammbruchs“ vorerst abgewendet. Auch Vertreter der katholischen Kirche begrüßen die Entwicklung. Sie mahnen jedoch an, dass die Debatte um eine Reform des Abtreibungsrechts nach der Wahl weitergehen dürfte.

Die Zukunft des Paragraphen 218 im Strafgesetzbuch bleibt jedoch offen. Während die Befürworter der Reform auf eine erneute Initiative in der kommenden Legislaturperiode setzen, fordern Kritiker verstärkte Hilfsmaßnahmen für Schwangere in Not, um echte Alternativen zur Abtreibung zu ermöglichen. (bundestag.de 11)

 

 

 

 

 

Papst an KI-Gipfel in Paris: Wahrung der Menschenwürde achten

 

Papst Franziskus hat in einer Botschaft an den französischen Präsidenten Emmanuel Macron anlässlich des „Gipfels für Maßnahmen zur Künstlichen Intelligenz“ in Paris vor den Risiken der Technologie gewarnt. Der Papst betonte, dass ohne klare Kontrollmechanismen Künstliche Intelligenz (KI) zu einer Bedrohung für die menschliche Würde werden könnte. Mario Galgano

Bereits beim G7-Gipfel in Apulien im vergangenen Jahr hatte der Papst auf die Notwendigkeit hingewiesen, „einen bedeutenden menschlichen Kontrollraum über den Entscheidungsprozess von KI-Programmen zu gewährleisten und zu schützen“. In seiner aktuellen Botschaft begrüßte er die Bemühungen der Politik, KI nicht auf reine Datenverarbeitung zu reduzieren und ihre Auswirkungen auf Gesellschaft, Kultur und Ethik umfassend zu reflektieren.

Zum Nachhören - was der Papst geschrieben hat

Die Rolle des Heiligen Stuhls in der KI-Debatte

Der Heilige Stuhl engagiert sich seit Jahren intensiv in der Diskussion um Künstliche Intelligenz. Die Päpstliche Akademie für das Leben arbeitet eng mit führenden Technologieunternehmen zusammen, um ethische Standards für KI zu entwickeln. Ein entscheidender Meilenstein war der „Rome call for AI Ethics" (der vier Seiten lange „Römische Aufruf für KI-Ethik“), der am 28. Februar 2020 in Rom verabschiedet wurde. Zu den Erstunterzeichnern gehörten neben dem Vatikan die Tech-Unternehmen Microsoft und IBM, die Ernährungs- und Landwirtschaftsorganisation der Vereinten Nationen (FAO) sowie die italienische Regierung.

Mittlerweile haben sich zahlreiche weitere Akteure dem Aufruf angeschlossen, darunter Vertreter verschiedener Religionen, Unternehmen wie Cisco und die Anglikanische Kirche. Der Präsident der Päpstlichen Akademie für das Leben, Erzbischof Vincenzo Paglia, betont in diesem Zusammenhang im Gespräch mit Radio Vatikan die Notwendigkeit einer „AlgorEthik“ – ein ethischer Rahmen für Algorithmen, der verhindern soll, dass KI-Systeme zur „Algokratie“, einer Tyrannei der Berechnung, werden. Papst Franziskus fordert eine solche Algor-Ethik seit 2019 ein und erneuerte seine Aufforderung beim G7-Gipfel in Apulien am 14. Juni 2024.

Ein neuer Humanismus als Gegengewicht zur Technologie

Papst Franziskus unterstrich in seiner Botschaft an den Pariser Gipfel, dass die zentrale Frage der KI-Entwicklung eine anthropologische sei: „Wird der Mensch im Kontext des technologischen Fortschritts wirklich besser, das heißt reifer, bewusster und verantwortlicher?“ In seiner jüngsten Enzyklika Dilexit nos hebt er hervor, dass Algorithmen den Menschen täuschen können, während das menschliche Herz – im Sinne Blaise Pascals – niemals irrt.

„Wir stehen vor einer radikalen Transformation dessen, was der Mensch ist.“

Auch Erzbischof Paglia warnt vor einer zunehmenden Entfremdung des Menschen von seiner eigenen Natur. Er verweist auf den japanischen Physiker Hiroshi Ishiguro, der bereits vor Jahren prognostizierte, dass die heutige Generation die letzte organische Menschheit sein könnte – künftig könnten Menschen aus synthetischen Materialien bestehen. „Wir stehen vor einer radikalen Transformation dessen, was der Mensch ist“, warnte Paglia.

Europa in der Pflicht

Der Heilige Stuhl fordert internationale Vereinbarungen zur Regulierung von KI, ähnlich dem Pariser Klimaabkommen von 2015. Dabei sieht der Vatikan insbesondere Europa in einer Schlüsselrolle: Dank seiner jahrtausendealten humanistischen Tradition müsse der Kontinent eine führende Rolle in der ethischen Gestaltung der Technologie übernehmen.

„Das eigentliche Risiko ist, dass wir den Menschen technologisieren, anstatt die Technologie zu humanisieren“, mahnt Erzbischof Paglia. Die Kirche wolle dabei Brücken bauen – zwischen Wissenschaftlern, Theologen, Philosophen und Politikern.

Papst Franziskus appelliert an die Teilnehmer des Pariser Gipfels, nicht nur die wirtschaftlichen und technologischen Potenziale von KI zu sehen, sondern vor allem die fundamentale Bedeutung des Menschen in den Mittelpunkt zu stellen. „Unsere größte Herausforderung ist und bleibt der Mensch – vergessen wir das nie“, schreibt er wörtlich in seiner Botschaft an die Teilnehmenden des KI-Gipfels in Paris. (vn 11)

 

 

 

 

 

Verteilung von Asylsuchenden nach offenen Stellen kostet weniger

 

Münchner Wirtschaftsforscher schlagen vor, die Verteilung von Geflüchteten stärker am Arbeitsmarkt zu orientieren – das stärke die Chancen auf Integration und koste am Ende weniger. Ein wichtiger Integrationsfaktor sei auch der rechtsextreme Wähleranteil im Landkreis.

Das Münchner Ifo-Institut schlägt vor, die Verteilung von Asylsuchenden auf Bundesländer und Landkreise stärker davon abhängig zu machen, wie viele offene Stellen es dort gibt. Dadurch würde die Integration erleichtert, sagt Ifo-Experte Panu Poutvaara. Es spiele dafür eine wichtige Rolle, ob die Asylsuchenden einen Job finden – und dabei komme es auch auf die Lage am lokalen Arbeitsmarkt an.

„Wenn die Arbeitslosenquote im Landkreis der Erstunterbringung um einen Prozentpunkt höher ist, führt dies zu einer um fünf Prozentpunkte geringeren Wahrscheinlichkeit, dass Asylsuchende mittelfristig eine Beschäftigung aufnehmen“, sagt Poutvaara. Dadurch sei die Erstunterbringung „entscheidend für eine erfolgreiche Integration“.

Unterbringung nach „Lotterieverfahren“

Doch die Entscheidung über den Unterbringungsort nach der Ankunft in Deutschland gleiche „einem Lotterieverfahren, das potenziell schädlich für den Integrationserfolg ist“, kritisiert er und betont: „Eine gescheiterte Integration führt dabei zu hohen Folgekosten.“ Oder andersherum: „Es ist besser für die Geflüchteten und für Deutschland, wenn sie einen Job finden und sich gut integrieren.“

Bislang werden Asylsuchende in Deutschland nach dem Königsteiner Schlüssel auf die Bundesländer verteilt, wie Poutvaara erklärt. Dieser berücksichtigt Steuereinkommen und Bevölkerungszahl. Die Länder selbst verteilten dann in der Regel proportional zur vorhandenen Bevölkerung in die Landkreise weiter. Der Wirtschaftsforscher, der am Ifo das Zentrum für Migration und Entwicklungsökonomik leitet, schlägt nun vor, sowohl auf Länder- als auch auf Landkreisebene die offenen Stellen als weiteren Faktor einzubeziehen.

Rechtsextremismus hindert Integration

Politisch ist bei diesem Vorschlag allerdings Gegenwind erwartbar. Er würde voraussichtlich bedeuten, dass Länder mit einer besseren Lage auf dem Arbeitsmarkt einen höheren Anteil der Asylsuchenden aufnehmen müssten.

Als weiteren Aspekt, der für den Integrationserfolg wichtig ist, machte Poutvaara den rechtsextremen Wähleranteil im Landkreis aus. Jeder Prozentpunkt, um den dieser höher sei, gehe mit einer um drei Punkte sinkenden Wahrscheinlichkeit einher, dass Asylsuchende einen Job finden oder eine Ausbildung machen. Diesen Faktor sollte man aber nicht in die Verteilung einfließen lassen, warnt er. Sonst könnten Menschen, die Flüchtlingen kritisch gegenüberstehen, dadurch motiviert werden, rechtsextrem zu wählen. (dpa/mig 11)

 

 

 

 

 

Mehr Patrioten, weniger Europa

 

Das Treffen der radikalen Rechten zeigt: Sie will gemeinsam die EU schwächen und die liberale Demokratie untergraben. Von Thomas Greven

Fast schon rührend ahnungslos berichtete die New York Times über das Treffen der „Patrioten für Europa“ (PfE) am 8. Februar 2025. Die Veranstaltung wurde von Santiago Abascal, dem Anführer der spanischen Vox-Partei, organisiert.

Erstaunt stellte die Autorin fest, dass Giorgia Meloni in Madrid nicht dabei gewesen sei. Doch das überrascht kaum. Ihre Partei, Fratelli d’Italia, gehört einer konkurrierenden Fraktion im Europäischen Parlament an: den „Europäischen Konservativen und Reformern“ (EKR). In der Tat, eine „rechte Einheitsfront“ existiert weder global noch in Europa. Regierungschefs verfolgen in erster Linie nationale Interessen. Auch die Parteien der radikalen Rechten konzentrieren sich primär auf ihre jeweiligen politischen Bühnen. Wie Marco Bitschnau in seiner Kritik der „nationalistischen Internationalen“ ausführt, zeigt sich das unter anderem daran, dass Meloni die Ukraine unterstützt, während viele bei den PfE eher russlandfreundlich sind.

Sind Veranstaltungen wie die der Patrioten für Europa also nur Gelegenheiten für gemeinsame Fotos? Dienen sie lediglich dazu, sich im Erfolg anderer Wahlsieger zu sonnen, in der Hoffnung, von deren Popularität zu profitieren? Während fundamentale Differenzen notdürftig übertüncht und persönliche Animositäten gepflegt werden? Das greift zu kurz. Es lohnt sich, nicht nur auf die Gästelisten zu achten, sondern auch die Reden genauer zu analysieren.

Das Madrider Treffen stand unter dem Motto „Make Europe Great Again“. Dabei ging es nicht darum, Europa oder die EU auf künftige Herausforderungen mit einer möglichen Trump-Regierung vorzubereiten. Ganz im Gegenteil. Geert Wilders feierte das „Erdbeben“ von Trumps Wahlsieg. Viktor Orbán ging noch weiter und betonte die mögliche Strahlkraft auf die radikale Rechte: „Trump’s tornado has changed the world in just a couple of weeks. (...) Yesterday we were the heretics. (...) Now we are the mainstream.“

Nicht nur der Slogan der Veranstaltung ähnelte Trumps „MAGA“, sondern auch die Themen, Feindbilder und die Rhetorik wiesen deutliche Parallelen auf. Migration wird nun als „Invasion“ bezeichnet. Gegner werden als „liberale Faschisten“ und Vertreter des „Wokeism“ diffamiert. Verschwörungserzählungen wie die des „großen Austauschs“ (der angeblichen Ersetzung der christlich-weißen Bevölkerung durch muslimische Migranten, gesteuert von liberalen Eliten) sind salonfähig geworden. Matteo Salvini, Angehöriger von Melonis Koalitionspartner Lega, attackierte den Internationalen Strafgerichtshof und die Weltgesundheitsorganisation – beides Institutionen, die auch Trump massiv kritisiert. Wie für Trump geht es also bei den Patrioten für Europa gegen die Institutionen des „Globalismus“, der regelbasierten Weltordnung.

Nur aus der EU aussteigen will kaum jemand mehr, weder bei den PfE noch bei den EKR, nachdem der Brexit sich als wirtschaftliches Desaster für Großbritannien entpuppt hat. Doch die souveränistischen Hoffnungen der radikalen Rechten sind damit keineswegs begraben. Die EU bleibt für die radikale Rechte der Hauptgegner. Statt den EU-Austritt anzustreben, lautet das neue Motto: „Brüssel erobern.“ Das Ziel ist ein Europa souveräner Nationalstaaten, das traditionelle (vorzugsweise christliche) Werte verteidigt.

Überraschenderweise spielt dabei auch die Demokratie eine zentrale Rolle – allerdings nicht im liberalen Sinne. Anstelle von Checks and Balances, unabhängigen Gerichten, starken Minderheitenrechten und freier Presse setzen sie auf eine „illiberale Demokratie“, wie Viktor Orbán sie propagiert. Die Mehrheit soll uneingeschränkt regieren können, internationale Verpflichtungen und Rechtsnormen werden infrage gestellt. Genau deshalb steht die radikale Rechte der regelbasierten internationalen Ordnung so feindlich gegenüber.

Die autokratischen Tendenzen dieser hyper-majoritären Demokratie werden spätestens dann sichtbar, wenn das gesamte Staatswesen schrittweise „auf Linie“ gebracht wird. In diesem Prozess verliert die Opposition nach und nach die Möglichkeit, auf friedlichem, demokratischem Weg die Macht zurückzuerlangen. Dieses Szenario spielte sich bereits in Ungarn ab und breitet sich nun auch in den USA aus. Das Project 2025 der Trump-Regierung orientiert sich konzeptionell an Orbáns Modell. Auch wenn Trump sich im Wahlkampf davon distanzierte, folgt er im Amt doch dessen Prinzipien.

Heute sind insbesondere die Demokratien von einer Welle der Autokratisierung bedroht. Die Attraktivität der „illiberalen Demokratie“ trägt zum Aufstieg der radikalen Rechten bei. Die Repräsentationsdefizite bezüglich der Verwerfungen der ökonomischen Globalisierung und der kulturellen Transformation vermischen sich zunehmend mit einer diffusen Demokratiemüdigkeit. Viele Menschen empfinden die komplexen Entscheidungsprozesse liberaler Demokratien als ineffizient. Sie nehmen nur „faule Kompromisse“ wahr, während ungelöste Probleme bestehen bleiben.

Eine internationale Bewegung der radikalen Rechten ist entstanden, die diese Lage für sich nutzt. Sie ist kein monolithischer Block, sondern zeichnet sich durch ideologische Vernetzung und gemeinsame Feindbilder aus. So sind immer mehr gemeinsame identitätsstiftende „Frames“ entstanden, zur Selbstbeschreibung und zur Beschreibung des politischen Gegners – beziehungsweise des „Feindes“, wie das grenzüberschreitend gängige Framing der radikalen Rechten lautet.

Internationale Treffen wie die „Patrioten für Europa“-Konferenz, die Conservative Political Action Conference und die National Conservatism Conference nehmen stetig zu – sowohl in Frequenz als auch in geografischer Reichweite. Hinzu kommt ein weitgespanntes Netz aus radikal rechten Thinktanks, Stiftungen und Medien, das den wachsenden Ressourcenaufwand der Bewegung verdeutlicht.

Auch wenn die nationale Politik für viele Akteure im Vordergrund steht, verhindern ideologische oder politische Differenzen nicht die pragmatische Zusammenarbeit. Ihr gemeinsames Ziel bleibt die Zerstörung der liberalen Demokratie und der regelbasierten internationalen Ordnung zugunsten eines Modells der uneingeschränkten nationalen Souveränität.

Wir sollten nicht vergessen, dass die Spannungen und Spaltungen innerhalb des progressiven Lagers teilweise sehr groß sind. Auch die Verteidiger der liberalen, pluralistischen Gesellschaft und Demokratie stehen vor Herausforderungen. Innerhalb der EU könnte bald ein weiterer radikal rechter Regierungschef, Herbert Kickl von der Österreichischen FPÖ, die Entscheidungsfindung beeinflussen und blockieren. Auch seine Partei ist übrigens Teil der „Patrioten für Europa“. IPG 11

 

 

 

 

 

Faktencheck. Was Merz und Scholz im TV-Duell zur Migration sagten

 

Der Bundeskanzler und sein CDU-Herausforderer schenken sich im TV-Duell nichts. Vor allem beim Thema Migration werfen sie mit Zahlen nur so um sich. Was stimmt, was eher nicht? Ein Faktencheck:

Zwei Wochen vor der Bundestagswahl haben sich Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) und Unions-Kanzlerkandidat Friedrich Merz (CDU) einen harten Schlagabtausch über den Umgang mit der AfD und die Migrationspolitik geliefert. Bei ihrem ersten von zwei geplanten TV-Duellen zeigten sich beide auch bei anderen Themen wie der Wirtschafts-, Finanz- und Sozialpolitik unversöhnlich. Nach einer Zuschauerbefragung der Forschungsgruppe Wahlen war es ein „Duell ohne klaren Sieger“.

Scholz warf Merz in ARD und ZDF erneut einen „Wortbruch“ und einen „Tabubruch“ vor, weil die Union im Bundestag ihren Fünf-Punkte-Plan zur Migration mit den Stimmen der AfD durchgesetzt hat. Er traue dem CDU-Vorsitzenden zu, nach der Wahl eine Koalition mit der AfD einzugehen. „Das ist meine ernste Sorge.“

Merz: „Es wird diese Zusammenarbeit nicht geben“

Merz wies das zurück: „Es wird diese Zusammenarbeit nicht geben“, sagte er. „Wir werden das nicht tun, uns (Union und AfD) trennen in den Sachfragen Welten.“

Die gemeinsame Abstimmung von Union, FDP und AfD hatte Ende Januar zu einem Eklat im Bundestag geführt. Einen Gesetzentwurf brachte Merz zwei Tage später wegen Abweichlern in seiner eigenen Fraktion und in der FDP aber nicht durch den Bundestag.

Scholz: Werde „harten Kurs“ bei Migration fortsetzen

Beim Thema Migration versprach Scholz für die Zeit nach der Wahl, einen „harten Kurs“ fortzusetzen. Deutschland dürfe Gewalttaten wie die von Aschaffenburg nicht akzeptieren. „Wir können uns niemals abfinden mit solchen Taten und deshalb muss klar und entschieden gehandelt werden.“

Die Pläne der Union zur Zurückweisung von Migranten an der Grenze wies Scholz erneut als rechtswidrig zurück und warnte vor einer „europäischen Krise“. Er drängte Merz zudem dazu, dem von der Regierung vorgelegten Gesetz zur Umsetzung der europäischen Asylreform zuzustimmen. „Warum soll man so doof sein?“, dies nicht zu tun, sagte er.

Merz: „Was Sie hier erzählen, ist ein Märchenschloss“

Merz warf Scholz vor, „weit über zwei Millionen irreguläre Migranten nach Deutschland“ gelassen zu haben. Das entspreche mehr als den Einwohnern der Stadt Hamburg, so der CDU-Vorsitzende. „Sie kriegen es in Ihrer Koalition nicht so hin, wie es notwendig wäre“, hielt er Scholz vor. Der Kanzler nehme die Realität in Bund und Ländern beim Thema Migration nicht mehr wahr. „Sie leben nicht in dieser Welt“, sagte Merz. „Was Sie hier erzählen, ist ein Märchenschloss.“

Märchenschloss? Das Faktencheck zum Duell

Behauptungen von Friedrich Merz

Behauptung Merz: „Wir haben in den drei Jahren Ihrer Amtszeit in Deutschland weit über zwei Millionen irreguläre Migranten nach Deutschland [kommen] gesehen.“

Fakten: Was Merz hier unter „irregulärer Migration“ versteht, ist nicht auf Anhieb ersichtlich. Unerlaubte Einreisen wurden von der Bundespolizei zwischen Dezember 2021 und Januar 2025 weit weniger als zwei Millionen registriert, nämlich nur gut 313.000. Es gab auch nicht so viele Asylgesuche: Während dieser Zeit wurden in Deutschland gut 805.000 Erstanträge gestellt. Zu Erstanträgen gehören unter anderem auch Anträge von in Deutschaland geborenen Kindern von Asylsuchenden Eltern.

Behauptung Merz: „Wir haben immer noch in vier Tagen so viele Zuwanderer, wie in einem Monat abgeschoben werden. Das sind nach wie vor zu viele. Wir hatten im letzten Jahr 240.000.“

Fakten: Die Zahl von 240.000 entspricht in etwa den Angaben des Bamf. Demnach gab es im vergangenen Jahr knapp 230.000 Erstanträge auf Asyl. Das wären im Schnitt 629 pro Tag. Demgegenüber gab es in den elf Monaten von Januar bis November 18.384 Abschiebungen, also im Schnitt 1.671 pro Monat.

Behauptungen von Olaf Scholz

Behauptung Scholz: Seine Regierung habe dafür gesorgt, dass 40.000 Zurückweisungen durchgeführt worden seien.

Fakten: Das entspricht tatsächlich den Angaben des Bundesinnenministeriums (BMI). „Es hat an den deutschen Grenzen 43.500 Zurückweisungen gegeben“, sagte ein Sprecher etwa bei der Regierungspressekonferenz vom 27. Januar. „Solche Zurückweisungen finden in großem Umfang statt, seitdem es Binnengrenzkontrollen an den deutschen Grenzen gibt – seit Oktober 2023 zunächst an vier Grenzen, seit Herbst 2024 an allen deutschen Grenzen.“

Behauptung Scholz: Im letzten Jahr ist die Zahl derjenigen, die irregulär [nach Deutschland] gekommen sind, um 100.000 – über ein Drittel – gesunken.

Fakten: Auch das bestätigte Ende Januar der BMI-Sprecher. „Wir hatten 2024 im Vergleich zu 2023 111.000 Asylgesuche weniger. Das ist ein Rückgang der irregulären Migration um 34 Prozent.“ Nach Angaben des Bundesamtes für Migration und Flüchtlinge (Bamf) gab es 2024 insgesamt knapp 251.000 Asylanträge, im Jahr zuvor waren es fast 352.000.

Behauptung Scholz: Im Januar 2025 gab es den niedrigsten Wert an Asylgesuchen seit 2016.

Fakten: Hier liegt Scholz nicht richtig. Im Januar 2025 wurden nach Bamf-Angaben 16.594 Asylanträge gestellt. In seiner eigenen Regierungszeit gab es schon Monate mit weniger Anträgen, etwa im Dezember 2024 (13.716) oder im April 2022 (13.056). Doch auch während der schwarz-roten Vorgängerregierung unter Angela Merkel (CDU) lagen die Zahlen in einzelnen Monaten darunter – nicht nur in der Corona-Zeit, sondern auch davor wie etwa im Juni 2019 (9.691) oder im Januar 2018 (15.077).

Behauptung Scholz: „Wir haben die Abschiebungen um 70 Prozent gesteigert, seitdem ich Kanzler bin.“

Fakten: Im Corona-Jahr 2020 gab es 10.800 Abschiebungen aus Deutschland. Im Jahr 2021 waren es 11.982 Abschiebungen. Seitdem ist die Gesamtzahl der Abschiebungen jährlich angestiegen. Für den Zeitraum von Januar bis November 2024 lag die Zahl nach BMI-Angaben bei 18.384. Das ist im Vergleich zu 2020 tatsächlich ein Anstieg um knapp 70 Prozent. Scholz hatte das Amt des Bundeskanzlers aber erst am 8. Dezember 2021 übernommen. Seit 2021 beträgt die Steigerung rund 53 Prozent.

Zuschauerbefragung ergibt Patt-Situation

Auch in der Sozial- und Wirtschaftspolitik sowie bei der Schuldenbremse und Steuern gerieten Scholz und Merz aneinander. Bei der Zuschauerbefragung der Forschungsgruppe Wahlen unter 1.374 zufällig ausgewählten Wahlberechtigten gaben 37 Prozent an, Scholz habe sich besser geschlagen, 34 Prozent attestierten dies Merz. Für 29 Prozent lagen die beiden Kontrahenten auf einem Niveau.

Für 42 Prozent war Scholz glaubwürdiger, für 31 Prozent Merz, 27 Prozent der Befragten sahen keine großen Unterschiede. Den sympathischeren Auftritt bescheinigten 46 Prozent Scholz und 27 Prozent Merz. Bei der Frage nach dem Sachverstand lagen Scholz und Merz mit jeweils 36 Prozent gleichauf, 27 Prozent sahen keinen Unterschied.

Merz mit großem Vorsprung in den Umfragen

Das 90-minütige Duell bei den öffentlich-rechtlichen TV-Sendern zur besten Sendezeit wurde von den Talkshow-Profis Maybrit Illner und Sandra Maischberger moderiert. Das Fernsehduell markiert den Start in die heiße Schlussphase des Wahlkampfs, in die Merz und die CDU/CSU mit großem Vorsprung in den Umfragen gehen.

Die Union kommt derzeit auf 29 bis 34 Prozent, Scholz und die SPD liegen dagegen weit abgeschlagen mit 15 bis 18 Prozent nur auf Platz drei hinter der AfD. Die von der SPD erhoffte Trendwende blieb bislang aus. Scholz hat nun nur noch 14 Tage, den Rückstand von 11 bis 17 Prozentpunkten in den Umfragen aufzuholen. Auch bei den persönlichen Beliebtheitswerten liegt er weit hinten. (dpa/mig 11)

 

 

 

 

 

Umfragen. Migrationsstreit schadet Union nicht

 

Nach der denkwürdigen Migration-Abstimmung im Bundestag mit den Stimmen der AfD gibt es in den Umfragen keine großen Veränderungen. Die Bundesbürger sind in der Frage, wie sie gemeinsame Abstimmungen mit der AfD finden, gespalten. In einer Frage gibt es aber eine klare Mehrheit.

Die heftig geführte Debatte um Migration und Abstimmungen mit der AfD hat kaum Veränderung in Umfragen zur Bundestagswahl gebracht. Wäre schon am kommenden Sonntag Bundestagswahl, käme die Union laut ZDF-Politbarometer auf 30 Prozent der Stimmen. Das ist eine minimale Verbesserung um einen Punkt gegenüber der Vorwoche. Die AfD verliert demnach leicht und kommt auf 20 Prozent (minus einen Prozentpunkt), die SPD stagniert bei 15 Prozent.

Minimale Zuwächse von einem Punkt gab es laut der repräsentativen Umfrage der Forschungsgruppe Wahlen für die Grünen, die nun gleichauf mit der SPD liegen, und für die Linken, die mit 6 Prozent auf den Wiedereinzug ins Parlament hoffen können. Nicht reichen würde es dagegen für FDP und BSW, die unverändert bei 4 Prozent liegen. Die Daten wurden von Dienstag bis einschließlich Donnerstag erhoben.

Migrationsdebatte schadete Union offenbar nicht

Nach den von der Union initiierten Abstimmungen zu zwei Anträgen und einem Gesetzentwurf zur Zuwanderungsbegrenzung im Bundestag hatten die Parteien gespannt auf die Umfragen gewartet. Dass Unionskanzlerkandidat Friedrich Merz (CDU) eine Mehrheit mit Stimmen der AfD in Kauf genommen hatte, war von SPD, Grünen und Linke scharf kritisiert worden. Am Wochenende gab es Großdemonstrationen in mehreren Städten.

Der Union scheint die Debatte mit Blick auf die Bundestagswahl am 23. Februar nicht geschadet zu haben. Auch der ARD-Deutschlandtrend sah CDU und CSU zuletzt mit 31 Prozent und einem Plus von einem Prozentpunkt klar vorn. Hier legte auch die AfD leicht auf 21 Prozent zu, die SPD rangiert unverändert bei 15 Prozent. In einer Umfrage des Meinungsforschungsinstituts YouGov konnte die SPD zwar um drei Punkte auf 18 Prozent zulegen, die Union blieb aber mit unveränderten 29 Prozent stabil stärkste Kraft. Zweitstärkste Kraft war auch dort die AfD mit 22 Prozent.

Merz gewinnt bei persönlichen Werten – Aufregung in Parteien

Bei den persönlichen Umfragewerten gewinnt Merz im Deutschlandtrend. 33 Prozent meinen demnach, er wäre ein guter Kanzler. Das sind 5 Punkte mehr als Mitte Dezember. Auch Kanzler und SPD-Spitzenkandidat Olaf Scholz gewinnt an Zustimmung – aktuell sehen ihn 25 Prozent als guten Kanzler (+6). Der Grünen-Spitzenkandidat Robert Habeck verliert bei dieser Frage einen Punkt, 26 Prozent halten ihn für einen guten Kanzler.

Die Migrationsabstimmung sorgt im Bündnis Sahra Wagenknecht für Unruhe. Bayerns BSW-Landeschef Klaus Ernst berichtete auf Anfrage, dass inzwischen sieben Mitglieder ihren Parteiaustritt erklärt hätten, darunter der Europaabgeordnete Friedrich Pürner. Die Aussteiger begründeten den Schritt laut „Spiegel“ mit der Migrationspolitik des BSW und einer Nähe zur AfD. Pürner hatte unabhängig davon schon zuvor mehrfach erklärt, dass er über einen Austritt nachdenke. Das BSW hatte sich bei dem Entschließungsantrag am Mittwoch vergangener Woche enthalten, beim letztlich gescheiterten „Zustrombegrenzungsgesetz“ am Freitag sogar zugestimmt – gemeinsam mit der AfD.

Inkaufnahme von AfD-Stimmen stößt auf geteiltes Echo

Bei den Menschen in Deutschland stößt das Vorgehen von CDU/CSU auf ein geteiltes Echo. 43 Prozent halten laut einer repräsentativen Erhebung für den ARD-Deutschland-Trend das Vorgehen der Union für richtig, auch wenn Stimmen der in Teilen rechtsextremen AfD dafür in Kauf genommen wurden. 50 Prozent sehen das anders: Knapp jeder vierte Befragte (23 Prozent) hielt zwar das grundsätzliche Vorgehen der Union zur Begrenzung der Zuwanderung für richtig, aber nicht, dass dafür auch AfD-Stimmen in Kauf genommen wurden. 27 Prozent bewerteten den Angaben zufolge das Vorgehen der Union grundsätzlich als falsch.

Generell bezeichnete es jeder zweite Befragte (49 Prozent) als nicht akzeptabel, dass Parteien Gesetze einbringen, wenn diese nur mit Stimmen der AfD verabschiedet werden können, 44 Prozent hielten dies hingegen für akzeptabel. Dass Parteien Gesetze gemeinsam mit der AfD einbringen, erachtete eine Mehrheit der Wahlberechtigten (56 Prozent) für nicht akzeptabel. Für knapp vier von zehn Deutschen (38 Prozent) war das akzeptabel.

Merkel erneuert Kritik an Merz’

Für Altbundeskanzlerin Angela Merkel (CDU) ist die Situation eindeutig. Sie hat ihre Kritik an den Anträgen zur Migrationspolitik von Unions-Fraktionschef Merz erneuert. Auch unter schwierigen Bedingungen sollte es nicht dazu kommen, dass Mehrheiten mit der AfD gebildet werden, sagte Merkel am Mittwochabend bei der Veranstaltung „Eine Stunde ‚Zeit‘ mit …“ in Hamburg.

Relative Mehrheit sieht Union, SPD und Grüne verantwortlich

In der Frage zur Bildung einer gemeinsamen Regierungskoalition mit der AfD sind die Bundesbürger geschlossener: zwei Drittel der Befragten (66 Prozent) lehnten eine Koalition mit der AfD als inakzeptabel ab. Mehr als ein Viertel (28 Prozent) hielt hingegen eine Koalition mit der Rechtsaußen-Partei für akzeptabel.

Jeder dritte Befragte (33 Prozent) sah die Verantwortung dafür, dass sich die Bundesregierung und die oppositionelle Union in der vergangenen Woche im Bundestag nicht auf einen Kompromiss in der Migrationspolitik einigen konnten, in erster Linie bei SPD und Grünen. Nur 14 Prozent machten die Union dafür verantwortlich. Eine relative Mehrheit von 43 Prozent befand, dass die Verantwortung für das Scheitern sowohl bei Union wie bei den Regierungsparteien liegt.

Für die Erhebung hatte Infratest dimap rund 1.300 Wahlberechtigte von Montag bis Mittwoch befragt. Wahlumfragen sind generell mit Unsicherheiten behaftet. Unter anderem erschweren nachlassende Parteibindungen und immer kurzfristigere Wahlentscheidungen den Meinungsforschungsinstituten zufolge die Gewichtung der erhobenen Daten. (dpa/epd/mig 10)

 

 

 

 

 

Nahostexperte: Nicht alle können nach Syrien zurück

 

Nach dem politischen Wechsel in Syrien bleibt die Lage vor Ort komplex und ungewiss. Selbiges gilt für eine mögliche Rückkehr von ehemals aus dem Land geflohenen Syrern. Darauf hat der Nahost- und Flüchtlingsberater von Kardinal Schönborn, Manuel Baghdi, hingewiesen.

Es gebe auch „ethnische oder religiöse Minderheiten, die nicht nach Syrien zurückkehren können oder dürfen“, etwa die Alawiten, so Baghdi in der Wiener Kirchenzeitung „Der Sonntag" (Ausgabe 6/2025): „Man muss Racheakte gegen Christen, Alawiten oder Kurden befürchten.“

Er sei in ständigem Kontakt mit vielen Patriarchen, Bischöfen und auch einfachen Menschen, Christen und Nicht-Christen. „Natürlich gibt es auch schreckliche Nachrichten aus Syrien. Wir Christen sollen aber das Positive sehen und unterstützen", so Baghdi.

Einsatz für Menschen in Not

Baghdi, 1961 in Syrien geboren, gehört der Armenisch-katholischen Kirche an. Er wanderte nach dem Studium in Damaskus Ende 1989 nach Österreich aus. Er arbeitet seit 1996 mit Kardinal Christoph Schönborn zusammen, als Beauftragter für Flüchtlinge und als Nahostbeauftragter. Schon seit 1994 engagiert sich Baghdi im Verein „Bewegung Mitmensch - Maria Loley", um Menschen in Not zu helfen.

Die Hilfe für die Christinnen und Christen im Orient war und ist auch Kardinal Schönborn ein Herzensanliegen, so Baghdi. „Unser Motto hat der Kardinal immer so ausgedrückt: ,Wir werden nicht allen Menschen helfen können, nicht vieles ändern können, wir werden nicht Kriege stoppen können. Aber dort, wo wir gefragt sind, wo jemand bei uns anklopft, da sollen wir mit unseren besten Möglichkeiten helfen.'“

Lobende Worte fand Baghdi im Rückblick auf die Flüchtlingspolitik Österreichs: „2015 nahm Österreich viele Flüchtlinge auch aus Syrien auf. Ich bin ein Zeuge dieser Zeit, Kardinal Schönborn hat ein großes Herz für Flüchtlinge, es war ihm ein großes Anliegen, zu helfen.“ Österreich habe „großartige Arbeit geleistet", was Flüchtlinge betrifft. „So haben die zuständigen Beamten die Anträge individuell, aber auch schnell erledigt. Großartig waren auch die Kurse bis hin zur Integration", so Baghdi. (kap 9)

 

 

 

 

 

Gesundheitsrisiko: Gender Data Gap

 

Von der Gender Pay Gap haben viele gehört. Frauen verdienen oft weniger als Männer für dieselbe Arbeit. Doch die Lücke zwischen den Geschlechtern existiert nicht nur in der Arbeitswelt, sondern auch in der Medizin – mit teils tödlichen Folgen. von Kerstin Barton

Medizin nach Schema F – für wen?

Biologische Unterschiede zwischen Männern und Frauen sind unbestreitbar. Warum werden sie in der Akutversorgung ignoriert? Historisch gesehen galt der männliche Körper Jahrhunderte lang als "Norm", während der weibliche oft als Abweichung von diesem Standard gilt. Das zeigt sich in klinischen Studien: Sie werden überwiegend von Männern durchgeführt und vor allem an Männern getestet. Selbst bei Tierversuchen sind 70 % der Versuchstiere männlich. Der Zyklus der Frau macht sie als Testpersonen "unpraktisch", denn die Hormonschwankungen im Körper verhindern standardisierte und generalisierbare Studienergebnisse – mit fatalen Folgen.

Medikamente, die nicht wirken

Arzneistoffe werden an Männern getestet, aber Frauen verschrieben. Dabei werden sie im weiblichen Körper ganz anders verstoffwechselt. Darüber hinaus haben die Geschlechtshormone der Frau Einfluss darauf, wie schnell die Leber bestimmte Wirkstoffe "verarbeiten" kann. Je nach Zyklusstand werden Medikamente deshalb langsamer abgebaut, was häufig zu Überdosierung führt. Schnell kann die im Beipackzettel empfohlene Dosis Schmerzmittel zu deutlichen Beeinträchtigungen im Alltag kommen. Auf der anderen Seite können Arzneimittel und Therapien, die bei Männern erfolgreich angewendet werden, für Frauen wirkungslos sein. Der Einsatz von Immuntherapie bei diversen Krebserkrankungen wird immer beliebter. Bei Männern kann es zu einem langfristig positiven Ergebnis führen, wohingegen der gleiche Therapieansatz bei Frauen weniger gut anspricht. Weil das Immunsystem von Frauen und Männern schlichtweg anders funktioniert. Ein Umstand, den die Forschung zu lange ignorierte.

DER Patient

Auch in der Diagnostik dominiert der männliche Standard. Dadurch, dass jahrhundertelang der männliche Körper als Standard in der Medizin galt, wird gerade bei der Akutversorgung DER Patient behandelt. Bei Engegefühl und Brustschmerzen, die in den linken Arm ausstrahlen, denken die meisten direkt an "Herzinfarkt". Klassische Symptome - für einen Mann. Dass sich bei Frauen ein Herzinfarkt auch durch Magenprobleme, Müdigkeit und Rückenschmerzen äußern kann, ist im Volksmund weniger bekannt. Wer würde auch schon wegen Sodbrennen in die Notaufnahme fahren? Die Folge: Herzinfarkte enden bei Frauen häufiger tödlich, weil sie nicht so schnell entdeckt und behandelt werden.

Frauen und Männer haben zudem ein anderes Schmerzempfinden. Durch ihren höheren Testosteronspiegel nehmen Männer Schmerzen weniger intensiv wahr als Frauen, die zudem noch ein empfindlicheres Nervensystem haben. Auch die soziokulturellen Faktoren, die hinter der Äußerung von Schmerzen stehen, wurden in der Medizin in der Vergangenheit zu wenig berücksichtigt. Frauen tendieren oftmals dazu, Schmerzen und Beschwerden "einfach" in Kauf zu nehmen, weil dafür im Alltag mit Mehrfachbelastung durch Arbeit, Kinder und Haushalt kein Platz für Krankheiten ist. Der Laden muss schließlich am Laufen gehalten werden. Viele Frauen empfinden ein Gefühl des "Im-Stich-lassens", wenn sie krankheitsbedingt nicht funktionieren können. Die Konsequenz ist: Sie gehen viel später zum Arzt.

Nicht ernst genommen

Einige Krankheitsbilder sind aufgrund des "männlichen Standards" noch so wenig erforscht, dass die Beschwerden von Frauen jahrelang undiagnostiziert bleiben. Bestes Beispiel: Endometriose. Was lange Zeit als klassisches "Frauenleiden" betrachtet wurde, betrifft etwa jede zehnte Frau in Deutschland. Bis es jedoch zu einer Diagnose kommt, vergehen oft Jahre. Die damit verbundenen Schmerzen werden nicht ernst genommen und als "einfache" Regelschmerzen abgetan, weshalb auch wenig Studien zu dieser Erkrankung veranlasst wurden. Forschungsergebnisse gibt es erst seit wenigen Jahren, denn Männer haben eben keine Gebärmutter.

Die Medizin muss sich endlich von ihrem männlichen Standard lösen. Klinische Studien brauchen diversere Testgruppen, und Forschung muss geschlechtsspezifische Unterschiede systematisch berücksichtigen. Geschlechtersensible Medizin ist keine Sonderbehandlung – sie ist der einzige Weg zu einer gerechteren und besseren Gesundheitsversorgung für alle. Kath.de 9

 

 

 

 

 

Ministerpräsident von Rheinland-Pfalz Schweitzer beim Papst

 

Papst Franziskus hat an diesem Samstagvormittag den Ministerpräsidenten von Rheinland-Pfalz, Alexander Schweitzer, in der Casa Santa Marta in Audienz mit empfangen. Danach sprach Schweitzer mit dem vatikanischem Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin. Der SPD-Politiker ging später auch durch die Heilige Pforte im Petersdom. Der Ministerpräsident betonte vor der Presse die enge Verbindung zwischen seiner Landesregierung und der katholischen Kirche beim sozialen Engagement in der Region. Mario Galgano – Vatikanstadt

In einem Interview auf der Terrasse des Kollegs des Campo Santo Teutonico im Vatikan hat der Ministerpräsident anschließend an die Audienz seine Eindrücke von einem - wie er betonte - „bewegenden Tag“ geschildert. „Sehr geehrter Herr Kardinal Krajewski, meine Damen und Herren, ich stehe hier vor Ihnen und habe Produkte eines Unternehmens aus der Stadt Boppard“, begann Schweitzer und verwies auf ein Unternehmen, das „über Deutschland hinaus erfolgreich Pflegeprodukte“ herstelle.

Der rheinland-pfälzische Ministerpräsident erklärte, dass er gemeinsam mit dem Unternehmen dem vatikanischen Almosenwerk eine Unterstützung zukommen lasse, was symbolisch die Verbindung Boppards zu Papst Franziskus widerspiegele – einer Stadt, in der der Jorge Mario Bergoglio, der heutige Papst, als junger Mann am Goethe-Institut Deutsch gelernt hatte. Kardinal Konrad Krajewski bedankte sich für die Gabe.

Der Ministerpräsident berichtete, dass er an diesem „besonderen Tag“, den er als „persönlich unvergesslich“ bezeichnete, zusammen mit seiner Frau Barbara und einer Delegation der rheinland-pfälzischen Staatskanzlei die Gelegenheit hatte, dem katholischen Kirchenoberhaupt zu begegnen. In dem Gespräch mit Papst Franziskus ging es vor allem um die Notwendigkeit eines guten Miteinanders zwischen Politik, Gesellschaft und Kirche. Schweitzer betonte: „Ich habe ihm erklären können, dass wir insbesondere mit dem karitativen Werk der katholischen Kirche aufs Engste zusammenarbeiten, wenn es um die Gestaltung des sozialen Miteinanders geht.“ Dabei hob Schweitzer die enge Kooperation hervor, die in Rheinland-Pfalz – von der Kindererziehung über die Ausbildung von Pflegekräften bis hin zur Unterstützung in Krankenhäusern und Pflegeeinrichtungen – mit der Kirche gepflegt werde.

Positiven Eindruck

Der SPD-Politiker berichtete außerdem, dass er den positiven Eindruck gewonnen habe, wie gut der Kontakt zwischen seiner Landesregierung und den Bistümern in Rheinland-Pfalz sei. Auf die Frage, wie der Austausch mit den Bischöfen gelinge, antwortete er: „Sehr gut.“

Der Ministerpräsident merkte an, dass der Dialog mit dem Papst nicht nur persönliche Erinnerungen wecke, sondern auch die gesellschaftliche Verantwortung unterstreiche, der Solidarität und Nächstenliebe Raum zu geben. Er betonte, dass Herausforderungen, denen die Kirche und die Gesellschaft gegenüberstehen, gemeinsam bewältigt werden müssten, um den Menschen nicht das Gefühl zu geben, isoliert wie auf einer Eisscholle zu sein.

Ein weiteres Element des Tages war die Durchschreitung der Heiligen Pforte im Petersdom, was Schweitzer als symbolisch für den Eintritt in eine Phase intensiver Zusammenarbeit zwischen Staat und Kirche wertete. Trotz der leichten Bronchitis des Papstes, die für die Terminverschiebung der Audienz sorgte, habe dieser einen äußerst vitalen und humorvollen Eindruck hinterlassen. Schweitzer erinnerte abschließend: „Ich war beeindruckt von seiner Präsenz. Es war ein Tag, der mir persönlich viel bedeutet – ein Tag, an den ich mich immer erinnern werde.“ (vn 8)

 

 

 

 

Trump-Maßnahmen gegen USAID spalten

 

US-Präsident Donald Trump will die Entwicklungshilfebehörde USAID von 10.000 Mitarbeitern auf 300 reduzieren. Katholiken weltweit protestieren, während der Finanzierungsstopp in den USA auch Befürworter findet. Darüber hinaus leitete Trump Maßnahmen gegen den internationalen Strafgerichtshof ein und gründete eine Taskforce gegen „Christenfeindliche Vorurteile“.

Das größte Entwicklungshilfeprogramm weltweit, die amerikanische Behörde USAID, steht auf dem Prüfstand. Präsident Donald Trump setzte per Dekret als eine seiner ersten Amtshandlungen einen Großteil der Zahlungen an die  „United States Agency for International Developement" für 90 Tage aus. In diesen Tagen solle geprüft werden, wie die Behörde umstrukturiert werden könne.

Auf einer Pressekonferenz am Donnerstag wurden nun die konkreten Pläne bekannt. Die 10.000 Angestellten weltweit sollen auf 300 reduziert werden. Nur „missionskritisches“ Personal in leitenden Positionen soll vorläufig weiterarbeiten. Die Website von USAID wurde aufgelöst. In einer Verlautbarung wird Angestellten mitgeteilt, sie könnten binnen 30 Tage in der Vereinigten Staaten zurückreisen und bekämen diese Reise bezahlt.

Fakten über USAID

USAID besteht seit den frühen 1960er Jahren, um die Entwicklungshilfe der USA zu koordinieren. Die Behörde finanziert seitdem weltweit Hilfsprojekte. Dazu gehören Wasser und Nahrungslieferungen bei Hungersnöten, Medikamente, Impfungen gegen die Kinderlähmung und vieles mehr. Andere Leistungen von der Behörde sind auch Vorhersagen, wo Hungernöte entstehen könnten, um frühzeitig Hilfe zu organisieren. Sie wirkt hauptsächlich in Asien, Subsahara-Afrika und in Europa, genauer der Ukraine.

Durch den Zahlungsstopp mussten viele dieser Projekte kurzfristig enden, so konnten beispielsweise Medikamenten- oder Frischwasserlieferungen über Nacht nicht mehr finanziert werden.

In der Bevölkerung viel Unterstützung

Empfohlen hatte die Maßnahme Tech-Milliardär und Regierungsberater Elon Musk. Am Montag veröffentlichte das Weiße Haus eine Liste an „unnötigen Projekten“, die von USAID unterstützt wurden, zum Beispiel zwei Millionen Dollar an LGBTQI+ Initiativen in Serbien. Ein großer Teil der amerikanischen Bevölkerung unterstützt diesen Sparkurs, zeigen Umfragen.

Denn die Meinung, Steuergelder sollten im eigenen Land und nicht im Ausland ausgegeben werden, ist in den USA weit verbreitet. Dabei besetzt die USA im internationalen Vergleich nur Platz 25 und damit einen der letzten Plätze im OECD-Vergleich. 

Protest von Kirchen und Demokraten

Politiker der demokratischen Partei protestierten gegen den Schritt. Als Argument nannten sie, dass man mit Entwicklungshilfe das eigene Land schütze. Unter anderem bezahle USAID Gefängniswärter in Syrien, um islamistische Kämpfer zu bewachen. Diese hätten nach dem Zahlungsstopp fast ihre Arbeit niedergelegt und die Gefangenen sich selbst überlassen. Außerdem ist es bisher nicht ganz klar, ob die Umstrukturierung ohne Kongressentscheidung rechtswirksam ist. Es gab bereits mehrere Klagen.

Auch die Kirchen in den USA protestieren. Mit über vier Milliarden Dollar fließen die meisten Gelder an die katholische humanitäre Hilfsorganisation „Catholic Relief Services“. Diese hilft armen und bedrohten Menschen, sichert ihr Überleben, unterstützt mit Bildung und schafft Zukunftsperspektiven. Damit reduziert sie Push-Faktoren, die Menschen zur Flucht zwingen, unter anderem in die USA. Tausende Katholiken gehen für die katholischen Hilfsorganisationen auf die Straße.

„Ich frage mich, ob die Entscheidungsträger, Donald Trump und Elon Musk, je mit den Menschen gesprochen haben, denen USAID hilft“, erklärte Marie Dennis, leitende Programmdirektorin der katholischen Gewaltfreiheitsinitiative von Pax Christi International, auf einer Demonstration vor dem Weißen Haus am Mittwoch. „Nennen Sie mir ein Land auf der Welt, in dem Menschen leiden, und USAID ist nicht da ist. Es ist einfach herzzerreißend.“

Taskforce gegen „Christenfeindliche Vorurteile"

Insgesamt setzt Trump seit Beginn seiner Amtszeit zahlreiche Dekrete durch. Am Donnerstag erklärte er, eine neue Taskforce eingesetzt zu haben, die „Christenfeindliche Vorurteile“ in den US-Behörden bekämpfen soll. Generalstaatsanwältin Pam Bondi soll die Leitung übernehmen.

„Die Aufgabe dieser Taskforce wird es sein, sofort alle Formen von antichristlichen Angriffen und Diskriminierung innerhalb der Bundesregierung zu unterbinden, einschließlich des Justizministeriums, das absolut schrecklich war, der IRS, des FBI und anderer Behörden“, sagte Trump.

Pam Bondi solle „antichristliche Gewalt und Vandalismus in unserer Gesellschaft verfolgen und Himmel und Erde bewegen, um die Rechte von Christen und Gläubigen im ganzen Land zu verteidigen“. Man müsse „Gott zurück in unser Leben bringen.“

Maßnahmen gegen den internationalen Strafgerichtshof

Zusätzlich setzte Trump am Donnerstag ein Dekret durch, das Mitarbeitende des internationalen Strafgerichtshofs sanktioniert. Dazu gehören finanzielle Sanktionen sowie Sanktionen, die Visa betreffen. Im November letzten Jahres stellte der Strafgerichtshof einen Haftbefehl gegen den israelischen Präsidenten Benjamin Netanyahu wegen Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit aus. Der Internationale Gerichtshof in Den Haag wird von den USA und Israel nicht anerkannt, doch ein Haftbefehl macht das Reisen in die 125 Mitgliedsstaaten schwierig. (vn 7)

 

 

 

 

 

 

Menschenhandel: Stimmen und Geschichten der Hoffnung und Heilung

 

In Vorbereitung auf den Weltgebetstag gegen den Menschenhandel am 8. Februar fand in Rom eine Veranstaltung statt, bei der Opfer von ihren Sorgen, Träumen und Hoffnungen berichteten. „Ohne die Vernetzung zwischen den verschiedenen Nichtregierungsorganisationen, Vereinigungen und Kongregationen könnten wir unsere Arbeit nicht tun. Und gemeinsam müssen wir den Überlebenden helfen“, sagte Schwester Abby Avelino, internationale Koordinatorin von Talitha Kum. Federico Piana- Vatikanstadt

Stimmen, Geschichten und Erlebnisberichte, in einem gemeinsamen Einsatz dafür, dem Menschenhandel einen Riegel vorzuschieben. Das war der Tenor bei der Veranstaltung mit dem Titel „Appell an die Hoffnung und die Heilung“, die von den Organisationen ausgerichtet wurde, die den Weltgebetstag gegen ein Phänomen unterstützen, von dem Millionen von Menschen, insbesondere Frauen und Kinder, betroffen sind.

Zusammenarbeit erforderlich

In der Aula Magna Giovanni Paolo II der Päpstlichen Universität Santa Croce in Rom eröffnete Sr. Abby Avelino, internationale Koordinatorin von Talitha Kum - dem internationalen Netzwerk des geweihten Lebens gegen den Menschenhandel - das Treffen, indem sie die Notwendigkeit der Zusammenarbeit im Kampf gegen diejenigen, die mit dem Leben anderer spekulieren und damit Schmerz und Tod verursachen, bekräftigte: „Ohne die Vernetzung zwischen den verschiedenen Nichtregierungsorganisationen, Vereinigungen und Kongregationen könnten wir unsere Arbeit nicht tun. Und gemeinsam müssen wir den Überlebenden helfen, wobei zu bedenken ist, dass sich jedes dritte Opfer als minderjährig entpuppt und die Zahl der betroffenen Frauen ebenfalls sehr hoch bleibt“.

Unsichtbare Netzwerke bekämpfen

„Der Menschenhandel entstellt die Menschenwürde und bringt Schmerz und Unterdrückung“, unterstrich Kardinal Michael Czerny. In seiner Grußbotschaft erklärte der Präfekt des Dikasteriums für ganzheitliche menschliche Entwicklung, dass diejenigen, die solche abscheulichen Verbrechen begehen, Teil von Netzwerken seien, die „unsichtbar sind: Um sie zu bekämpfen, müssen wir in der Lage sein, diese Formen der Sklaverei zu erkennen und in der Lage sein, die Opfer zu rehabilitieren. Ich segne aufrichtig alle, die diesen Weg zum Guten gehen“.

Künstlerische Darbietungen und Erlebnisberichte wechselten sich ab, um auf das Phänomen und dessen Opfer aufmerksam zu machen. 

Pauline: „Jetzt bin ich wirklich frei“

„Vor vierzehn Jahren wurde ich sexuell missbraucht und mein Vater schlug mich“, erzählte Pauline, ein Mädchen aus Kenia. „Vor fünf Jahren wurde ich dank der Unterstützung der Ordensfrauen von Talitha Kum wiedergeboren, und jetzt arbeite ich mit ihnen zusammen, um anderen Frauen zu helfen, die gerettet werden müssen. Teil dieses Solidaritätsnetzes zu sein, bedeutet für mich, wirklich frei zu sein“.

Ein anderes Mädchen kolumbianischer Herkunft berührte die Herzen der Zuhörer, als sie zugab, dass sie „eine Überlebende ist, die sich überwältigt, aber nicht besiegt fühlt. Nach dem Missbrauch, den ich erlitten habe, war ich gezwungen, meinen Körper auf den Straßen von New York zu verkaufen, aber jetzt habe ich mir mein Leben zurückerobert, trotz des Leids“. Von diesem Moment an beschloss sie, sich nicht nur gegen den Menschenhandel zu engagieren, sondern auch alle Opfer von Missbrauch und Gewalt zu unterstützen.

Whoopi Goldberg unterstützt die Ordensfrauen

Bei dem Event wurde auch eine Videobotschaft der preisgekrönten Schauspielerin Whoopi Goldberg gezeigt, die zu einer Botschafterin der Hoffnung für Talitha Kum geworden ist. Darin weist sie darauf hin, dass weltweit mehr als 30 Millionen Menschen von Menschenhandel betroffen sind, darunter 12 Millionen Kinder. „Dies“, so ihre Worte, „ist ungeheuerlich. Die Schwestern stellen sich all dem entgegen und sind eine außergewöhnliche Kraft“. (vn 7)

 

 

 

 

 

Migrationspolitik: Kirchlich aktive Unions-Mitglieder im Dilemma

 

Saarlands Ex-Landeschefin Annegret Kramp-Karrenbauer (CDU) macht beim Zentralkomitee der Katholiken (ZdK) nicht mehr mit. Grund ist die Merz-Schelte der Kirchen. Katholische Unionspolitiker sehen sich hin- und hergerissen.  Von Simon Berninger https://www.br.de/nachrichten/autoren/redaktion-religion-und-orientierung,8fc78d66-5fab-4a71-8625-10e123a608f6 

"Angespannt." So beschreibt die frühere Bildungsministerin im Kabinett Merkel und katholische Theologin Annette Schavan (CDU) das derzeitige Verhältnis von Union und Kirche, das in den Ursprüngen der C-Parteien eigentlich ein enges war. Nach dem Brandbrief der Kirchen, in puncto Migrationspolitik keine gemeinsame Sache mit der AfD zu machen, nach der Kritik vieler Kirchenvertreter an dem geplanten harten Kurs der Union in Sachen Asylverfahren sieht sich Schavan im Dilemma.

Nach dieser Kritik erklärte die frühere saarländische Ministerpräsidentin Annegret Kramp-Karrenbauer (CDU) ihren Austritt aus dem Laiengremium der katholischen Kirche. "Das kann ich verstehen, aber ich persönlich folge Frau Kramp-Karrenbauer in diesem Weg nicht", sagt dagegen der ehemalige CSU-Landtagsabgeordnete Joachim Unterländer, der Vorsitzender des Landeskomitees der Katholiken in Bayern bleiben will – Chef also des Pendants zum ZdK auf Ebene des Freistaats.

Nationaler Alleingang oder EU?

Zur Europawahl vor zehn Monaten mahnte das bayerische Landeskomitee der Katholiken noch: Politische Herausforderungen wie Flucht und Migration könnten "nur im Dialog mit unseren europäischen Nachbarländern" gelöst werden. Nun wollen CDU und CSU im nationalen Alleingang allen Menschen ohne Papiere die Einreise an der Grenze strikt verbieten – wegen der "außergewöhnlichen Notlage", in der sich Deutschland angeblich befände.

Wie er mit diesem Sinneswandel klarkomme? "Ich will die Positionierungen nicht unbedingt diskutieren, auch nicht, ob das alles richtig ist, aber im Gesamten ist das natürlich schon nachvollziehbar", sagt Unterländer im BR-Gespräch.

Ähnlich sieht das die CDU-Bundestagsabgeordnete Anja Karliczek, die zugleich dem Katholischen Deutschen Frauenbund (KDFB) vorsteht – und die für das Zustrombegrenzungsgesetz gestimmt hat. "Für die Sorgen und Ängste und den Unmut, der an mich herangetragen wird, hab ich natürlich auch Verständnis", sagt Karliczek dem BR. "Aber was ich nicht akzeptiere, ist, dass mir mangelnde Moral, mangelndes Demokratieverständnis und mangelnde Christlichkeit vorgeworfen wird."

ZdK verteidigt "klare Haltung" bei Migration und Flucht

Davor verwehrt sich auch Annette Schavan mit Blick auf ihre kirchlich engagierten Parteifreunde. Stattdessen rät die Katholikin zu einem Blick zurück: "Erinnern Sie sich an die Diskussion über Stammzellforschung. Das hab ich ja aktiv als Forschungsministerin erlebt. Das heißt, es gab immer Fragen, die ganz heftig im Parlament diskutiert wurden und über die es auch heftigen Streit mit beiden Kirchen gab." Im Idealfall, so Schavan, führe das zu einer Klärung im Streitfall Migration.

Von ihrer Position abweichen will ZdK-Präsidentin Irme Stetter-Karp indessen aber nicht: Das ZdK habe Beschlüsse zu migrationspolitischen Themen gefasst, die den Unions-Vorstößen klar widersprächen, sagte sie der Katholischen Nachrichten-Agentur. Das in entscheidenden Augenblicken zu benennen und eine klare Haltung zu formulieren, sei ihre Aufgabe als Präsidentin. Br 7

 

 

 

 

 

 

 

Welche Auswirkungen haben Stopp der US-Hilfen für den Globalen Süden?

 

Die US-Auslandshilfen sind ein wichtiger Baustein beim Kampf gegen Hunger, Armut und Fluchtursachen. US-Präsident Trump hat die Zahlungen nun ausgesetzt. Was sind die Folgen? Welche Staaten sind besonders betroffen?

In der Entwicklungszusammenarbeit sind die USA in vielen Ländern des Globalen Südens bisher der größte Geldgeber. Die Hilfen sind ein wichtiger Baustein bei der Bekämpfung von Armut, Hunger und Fluchtursachen. Menschenrechtsorganisationen beklagen seit vielen Jahren, dass das Geld nicht reicht, um die Not zu lindern. Sie appellieren an die internationale Gemeinschaft, mehr gegen ungleiche Verteilung von Ressourcen und Wohlstand zu tun.

US-Präsident Donald Trump ist diesem Appell nicht gefolgt. Im Gegenteil: Er hat die Zahlung von US-Hilfsgeldern nun ausgesetzt und einen Schock ausgelöst. Seine Politik wird massive Auswirkungen in Krisen- und Konfliktregionen haben. Einige Beispiele:

Millionen Todesfälle in Afrika befürchtet

„Zwei bis vier Millionen zusätzlichen Todesfälle durch vermeidbare und behandelbare Krankheiten“ – das könnte die Folge der US-Entscheidung sein, wie eine Berechnung der afrikanischen Gesundheitsbehörde CDC Africa ergeben hat. Finanzielle Engpässe könnten die Errungenschaften der vergangenen Jahre im Gesundheitsbereich zunichtemachen, schreibt CDC-Direktor Jean Kaseya in einem offenen Brief an die Afrikanische Union. Für die betroffenen Familien sei dies wiederum mit schweren wirtschaftlichen Konsequenzen verbunden. „Geschätzt 39 Millionen Menschen mehr würden in Armut gestürzt und den Kontinent jährlich Milliarden kosten – das ist nicht nur eine afrikanische Krise, es ist eine globale Krise im Entstehen“, warnt Kaseya.

HIV-Programme in Südafrika in Gefahr

Mit einer der höchsten HIV-Infektionsraten weltweit gehört Südafrika seit mehr als zwei Jahrzehnten zu den größten Empfängern von Mitteln aus dem US-Aidshilfe-Programm Pepfar. Bislang wurden damit knapp 20 Prozent des südafrikanischen HIV-Budgets und damit die medikamentöse Behandlung von 5,5 Millionen Menschen finanziert. Nach Angaben des Gesundheitsministeriums sind rund 8,5 Millionen Südafrikaner – etwa 14 Prozent der Bevölkerung – mit dem Virus infiziert. Zudem seien nun die Stellen von rund 15.000 Beschäftigten im Gesundheitswesen bedroht, sagte Gesundheitsminister Aaron Motsoaledi.

Projekte in Konfliktregionen in Gefahr

Ob Syrien oder Gaza, Ukraine, Sudan oder Demokratische Republik Kongo: Das UN-Nothilfebüro OCHA sieht jetzt seine Projekte in diversen Krisen- und Konfliktregionen in Gefahr. In Gaza etwa hänge der Erfolg der Feuerpause auch vom Gelingen humanitärer Hilfslieferungen ab. In Syrien und dem Sudan seien durch die andauernden Konflikte Millionen Flüchtlinge von Unterstützung abhängig, ebenso in der Ukraine. Könne die dringend notwendige Hilfe nicht mehr geleistet werden, drohe die Ausbreitung von Hunger und Krankheiten.

Ukraine stark betroffen – Gelder für Wiederaufbau fallen weg

Die Ukraine ist von der Einstellung der Zahlungen der US-Entwicklungsbehörde (USAID) mit am stärksten betroffen. Umgerechnet mehr als 2,5 Milliarden Euro an humanitärer Hilfe hat die US-Entwicklungsbehörde seit dem russischen Einmarsch nach Zählung des Zentrums für Oststudien in Warschau geleistet. Dazu kamen noch gut 4,8 Milliarden Euro an Entwicklungshilfe und mehr als 29 Milliarden Euro an US-Haushaltshilfen. Mehrere USAID-geförderte Entwicklungsprojekte beim Wiederaufbau von kritischer Infrastruktur unter anderem für die Stromversorgung, aber auch beim Ausbau von Grenzübergängen in die EU, sind demnach betroffen.

USA größtes Geberland für Afghanistan

Seit der Machtübernahme der Taliban 2021 hat USAID gemeinsam mit anderen US-Behörden umgerechnet mehr als 3,57 Milliarden Euro an humanitärer Hilfe und Entwicklungsunterstützung bereitgestellt. Das geht aus dem Ende Januar veröffentlichten Quartalsbericht des US-Generalinspekteurs für den Wiederaufbau in Afghanistan (Sigar) hervor. Damit sind die USA das wichtigste Geberland für Afghanistan. Rund 64 Prozent der Mittel stammen den Angaben nach von USAID und dem US-Außenministerium.

Ein Stopp der Hilfe wird gravierende Folgen für die humanitäre Lage, das Gesundheitssystem und die Wirtschaft des Landes haben. Während internationale Hilfe in den vergangenen Jahren weiter gekürzt wurde, sind laut UN-Nothilfebüro Ocha rund 22,9 Millionen Menschen – fast die Hälfte der Bevölkerung – auf humanitäre Unterstützung angewiesen.

Projekte der Minenräumung in Kambodscha ausgesetzt

Das südostasiatische Kambodscha gehört zu den am stärksten betroffenen Ländern mit nicht explodierten Kampfmitteln. 93 aktive Projekte bei der Minenräumung müssten nun pausieren, sagte der Vizepräsident der dortigen Behörde für Minenräumung, Ly Thuch, der „Khmer Times“. Die USA hätten die Räumung jährlich mit etwa 10 Millionen Dollar unterstützt. Betroffen seien auch mehr als 1000 Mitarbeiter, denen die Arbeitslosigkeit drohe. Die USA sind nach eigenen Angaben der weltweit größte Unterstützer von Projekten zur Räumung von Landminen und nicht explodierten Sprengsätzen.

UN: Hilfe im Sudan größtenteils aus den USA

Der blutige Machtkampf im Sudan hat zu einer der größten humanitären Krisen weltweit und zu Flucht und Vertreibung von mehr als zwölf Millionen Menschen geführt. Gut 25 Millionen Menschen haben nicht genug zu essen. „Ein Großteil der Hilfsgelder, auf die wir angewiesen sind, kommt aus den USA“, zitierte die Aktivistenplattform Avaaz einen hohen UN-Beamten. Sollte die Finanzierung nicht wieder aufgenommen werden, drohe ein Zusammenbruch der UN-Arbeit in dem Krisenstaat. „Es wäre einfach nicht machbar, weiterhin ernsthafte Hilfe im Sudan zu leisten.“

Gravierende Folgen für Flüchtlinge in Myanmar

In Myanmar ist die Aussetzung der Hilfen schon zu spüren: Im Grenzgebiet zu Thailand mussten seither mindestens acht Krankenhäuser schließen, die sich seit Jahrzehnten um Opfer der bewaffneten Konflikte in dem Vielvölkerstaat gekümmert hatten. Viele Patienten müssen wegen schwerer Verletzungen nach Artilleriebeschuss oder Luftangriffen behandelt werden. „Es ist grausam, die Hilfen ohne Vorwarnung einzustellen“, so Ärztin Linn Nway Oo. Laut der US-Botschaft in dem südostasiatischen Land leisteten die USA im Haushaltsjahr 2024 humanitäre Hilfe in Höhe von umgerechnet 136 Millionen Euro.

Stromprojekt im Senegal in der Schwebe

Im westafrikanischen Senegal ist laut Premierminister Ousmane Sonko ein Projekt zur Verbesserung der Stromversorgung für die 18 Millionen Einwohner betroffen. Mit den umgerechnet mehr als 480 Millionen Euro sollten unter anderem grüne Energieversorgung ausgebaut und damit die Wirtschaft nachhaltig angekurbelt werden. Unklar war zunächst, wie viel des 2021 abgeschlossenen Fünf-Jahres-Programms bereits ausgezahlt wurde.

Sonko betonte erneut, wie wichtig es für afrikanische Staaten sei, sich von internationaler Finanzierung unabhängig zu machen. „Wir können nicht weiterhin auf Hilfe von außen hoffen. Unsere Entwicklung muss in erster Linie von innen kommen.“ (dpa/mig 7)

 

 

 

 

 

Razzien wegen Sozialbetrug

 

Verstärkte Ausnutzung von Einwanderern in „rücksichtslosen Strukturen“

Es wäre nicht das erste Mal: Sozialbetrüger locken Südosteuropäer unter falschen Versprechungen nach Deutschland und beuten sie hier aus. Das NRW-Ministerium spricht von „rücksichtslos agierenden Strukturen“ – und führt Razzien in fünf Städten durch.

Bei Razzien in fünf nordrhein-westfälischen Städten sind mehr als 100 Einsatzkräfte verschiedener Behörden gegen mutmaßliche Sozialbetrüger vorgegangen. Es ging unter anderem um ausbeuterische Arbeitsverhältnisse und Sozialbetrug durch nicht regulär angemeldete Jobs, wie das Bauministerium mitteilte. Die Razzien wurden demnach bereits am Donnerstag vor zwei Wochen am frühen Morgen in Wuppertal, Gelsenkirchen, Duisburg, Leverkusen und Krefeld durchgeführt.

Es seien mehr als 50 Gebäude und rund 80 bis 100 Wohneinheiten kontrolliert worden, die vorwiegend von Menschen aus Südosteuropa bewohnt werden. Zudem wurden mehrere Arbeitgeber überprüft. „Wir beenden das Versteckspiel von Sozialbetrügern und legen kriminelle Machenschaften auf dem Wohnungs- und Arbeitsmarkt offen“, sagte Bauministerin Ina Scharrenbach. Die Überprüfungen seien „ein gezielter Schlag gegen gesetzwidrige Strukturen, die den Sozialstaat mit betrügerischen Tricks hintergehen wollen.“ Damit schütze man Menschen, die mit guten Absichten und Arbeitswillen nach Deutschland kommen. „Mit dem gleichen Einsatz packen wir uns diejenigen, die Menschen ausbeuten.“

„Rücksichtslos agierende Strukturen“

Dem Ministerium zufolge haben es Kommunen in NRW verstärkt mit „rücksichtslos agierenden Strukturen zu tun“, die Bürger aus Südosteuropa unter Vorspiegelung falscher Tatsachen zur Zuwanderung nach Deutschland motivieren. Die Zugewanderten würden sich dann jedoch häufig in ausbeuterischen Arbeitsverhältnissen und problematischen Wohnverhältnissen wiederfinden.

„In Nordrhein-Westfalen dulden wir weder Ausbeutung von Menschen, noch die Verwahrlosung von Wohnraum oder den organisierten Missbrauch unserer Sozialsysteme“, unterstrich die Ministerin.

Bei den Durchsuchungen ging es auch um Melderechtsverstöße, problematische Bau- und Wohnungsbestände, Scheinarbeitgeber und Sozialleistungsmissbrauch sowie Verstöße gegen Hygienevorschriften. Beteiligt an den Razzien waren neben der Polizei auch Gesundheitsamt, Ausländerbehörde, Bauaufsicht, Bundesagentur für Arbeit, Feuerwehr, Finanzkontrolle, Ordnungsamt sowie die Wohnungsaufsicht.

Schutzunterkunft in Berlin für Betroffene

Welche Folgen die Razzien für die Ausgebeuteten haben wird, wurde nicht mitgeteilt. Menschenrechtler und Beobachter kritisieren, dass Rechtsverstöße in solchen Fällen die Arbeiter oft am stärksten treffen. Sie verlieren nicht nur ihre Jobs, sondern müssen nicht selten auch zurück in ihre Heimatländer, wo der Arbeitsmarkt für sie noch desolater ist. Der Journalist und Autor des Buches „Ganz unten im System“, Sascha Lübbe, attestiert manchen Branchen in Deutschland ein strukturelles und systematisches Problem.

Berlins Sozial- und Arbeitssenatorin Cansel K?z?ltepe (SPD) kündigte zuletzt die bundesweit erste Schutzunterkunft für Betroffene von Arbeitsausbeutung an. Damit soll Arbeitsmigranten, die von Unternehmen mit zu geringen Löhnen ausgebeutet werden und in katastrophalen Massenunterkünften hausen müssen, Schutz geboten werden. Zudem sollen sie bei Klagen und Gerichtprozessen gegen die Arbeitgeber bei zu niedrigen oder unbezahlten Löhnen unterstützt werden. (dpa/mig 7)

 

 

 

 

 

ifo Institut: Verteilung von Asylsuchenden an offenen Stellen ausrichten

 

München – Die Zahl offener Stellen sollte bei der Verteilung von Asylsuchenden auf die Landkreise eine größere Rolle spielen als die Bevölkerungszahl. Dies würde laut ifo Institut die langfristige Integration von Asylsuchenden erleichtern. „Die Erstunterbringung von Asylsuchenden ist entscheidend für eine erfolgreiche Integration. Wenn die Arbeitslosenquote im Landkreis der Erstunterbringung um einen Prozentpunkt höher ist, führt dies zu einer um fünf Prozentpunkte geringere Wahrscheinlichkeit, dass Asylsuchende mittelfristig eine Beschäftigung aufnehmen“, sagt Panu Poutvaara, Leiter des ifo Zentrums für Migration und Entwicklungsökonomik. 

 

Die bisherige Verteilung von Asylsuchenden in Deutschland erfolgt nach dem „Königsteiner Schlüssel“. Zwei Drittel der Menschen werden nach dem Steuereinkommen der Bundesländer verteilt und ein Drittel nach der Bevölkerungszahl. Die Länder selbst verteilen dann in der Regel proportional zur vorhandenen Bevölkerung in die Landkreise weiter. „Die Entscheidung über den Unterbringungsort von Asylsuchenden nach ihrer Ankunft in Deutschland gleicht einem Lotterieverfahren, das potenziell schädlich für den Integrationserfolg ist. Eine gescheiterte Integration führt dabei zu hohen Folgekosten“, sagt Poutvaara. 

 

Neben der Arbeitslosigkeit ist auch die Integrationsbereitschaft der Bevölkerung entscheidend für den Integrationserfolg von Asylsuchenden: Ein Anstieg des rechtsextremen Wähleranteils um einen Prozentpunkt bringt eine um drei Prozentpunkte geringere Wahrscheinlichkeit, dass Asylsuchende anschließend einen Job finden oder eine Ausbildung machen. Diese Effekte bleiben auch unter Berücksichtigung lokaler Arbeitslosenquoten bestehen. 

 

Auch innerhalb der EU sei es nicht sinnvoll, Geflüchtete gleichmäßig auf die Mitgliedsstaaten zu verteilen. „Asylsuchende in ein Land zu zwingen, das sie nicht willkommen heißt, würde sie in Armut und sozialer Isolation gefangen halten“, sagt Poutvaara. Wenn ein Land dabei überproportional viele Asylsuchende aufnimmt, sollten die anderen EU-Länder es dabei finanziell unterstützen. Ifo 7

 

 

 

 

 

Im Hintertreffen

 

Europas Autoindustrie wankt, China dominiert den Batteriesektor – Sandersons „Volt Rush“ zeigt, wie der Westen den Rohstoffwettlauf verschlafen hat. Von Claudia Detsch

Die europäische Automobilindustrie steckt in ihrer tiefsten Krise. Mit Trump 2.0 droht die Handelspolitik endgültig zum geoökonomischen Schlachtfeld zu werden. Gleichzeitig ringt die EU mit China um ihr künftiges Verhältnis – Kooperation, Wettbewerb oder Konfrontation? Währenddessen eskaliert der Krieg im Kongo.

Wie einst Bronze, Eisen, Kohle und Öl ihre Epochen prägten, wird dies nun Lithium tun. Henry Sanderson wirft in Volt Rush einen spannenden Blick auf die Geschichte der Elektromobilität und den Aufstieg des Batterie-Zeitalters.  Das ist durchaus sehr unterhaltsam, zumal der Journalist eine flotte Schreibe hat. Zudem ist offenbar ein Hang zum modernen Kreuzrittertum nicht von Nachteil, wenn man es im Rohstoffsektor zu etwas bringen will. Entsprechend reich an Anekdoten ist der Streifzug durch rohstoffreiche Länder, prägende Figuren und die industriepolitische Geschichte.

Das Zeitalter der „Erneuerbaren“ – und mit ihm das der kritischen Rohstoffe – wird mindestens ebenso geopolitisch geprägt sein wie das Öl-Zeitalter. Industriepolitik ist mehr als Rohstoffe, aber ohne Rohstoffe ist alle Industriepolitik nichts. Dementsprechend treibt die Menschheit den Bergbau intensiver voran als je zuvor. Sanderson zitiert den Ökonomen Jeffrey Bernstein, der feststellt: Ein Prozent Wirtschaftswachstum führt zu zwei Prozent Zuwachs bei Bergbau-Aktivitäten.

Ein Blick auf die Wertschöpfungsketten genügt, um zu verdeutlichen, wie sehr sich die ökonomischen Machtverhältnisse durch den klimaneutralen Umbau verändern werden. Ohne China ist die batterie-basierte ökologische Zukunft derzeit nicht denkbar. Aus industriepolitischer Sicht ist das ein Desaster für Europa. Aber auch mit Blick auf die angestrebte strategische Autonomie ist es ein Offenbarungseid. Die Steuerung der kompletten Wertschöpfungsketten bildet Europas größte Achillesferse. Aus europäischer und gerade aus deutscher Sicht ist es entsprechend auch eine schmerzhafte Lektüre. Der Westen hat geschlafen. Für Sanderson besteht kein Zweifel: Es war ein epochaler Fehler, die Forschung und Entwicklung bei Batterien zu vernachlässigen.

Industrieller Erfolg basiert üblicherweise auf zwei Durchbrüchen: zum einen bei Forschung und Entwicklung; zum zweiten über die Skalierung. China managt bei Clean Tech beides. Damit konnten gleich mehrere Fliegen mit einer Klappe geschlagen werden. Mit Blick nach innen ging es darum, die eigenen Städte sauberer zu machen und die Abhängigkeit vom Ausland zu reduzieren, etwa beim Öl. Und extern lockten Prestige und wachsende Anteile am Weltmarkt der Zukunftstechnologien. Die Dominanz bei neuen Technologien, sie ist historisch schon immer verbunden mit nationaler Stärke und Macht. Die Revolution auf dem Automobilmarkt bot China eine once in a lifetime-Möglichkeit – und sie wurde genutzt. Hilfreich dabei, auch diese schmerzhafte Einsicht bietet die Lektüre, war insbesondere die Zusammenarbeit mit deutschen Autobauern. Hohe Standards und kontinuierliche Testreihen halfen, chinesische Technik zu verbessern. Ebenso hilfreich, keine Frage: der brachiale Protektionismus. Dass lokal produzierte Autos lokale Batterien nutzen mussten und müssen, war ein entscheidender Schlüssel zum Erfolg.  

Das Buch legt die gewaltige Subventionsmaschine offen, die Chinas Aufstieg ermöglicht hat. Es zeigt, dass der chinesische Weg beispiellos und extrem kostspielig war – und sich daher nicht ohne Weiteres nachahmen lässt. Gleichzeitig wird deutlich, dass auch in China nicht alles reibungslos verläuft und viele Unternehmungen scheitern. Damit widerspricht das Buch dem im Westen verbreiteten Narrativ eines allumfassenden chinesischen Masterplans. Doch trotz Rückschlägen hat China sein Ziel erreicht: die Marktdominanz in einer wachsenden Zahl von Zukunftstechnologien.

Ein Schlüssel zum Erfolg: China dominiert die gesamte Wertschöpfungskette. Das Land selbst verfügt bei vielen kritischen Rohstoffen keineswegs über große Reserven. Aber es hat den Verarbeitungsprozess unter seine Fittiche gebracht. Unternehmen wie CATL erwarben Minen beziehungsweise Anteile daran und sicherten sich so Zugang zu den nötigen Rohstoffen. Europa dagegen hat nur einen geringen Anteil an der Produktion von Kobalt, Nickel, Lithium und Graphit; noch schlechter sieht es bei der Weiterverarbeitung zu Vorprodukten aus.

Beim Lesen drängt sich unweigerlich die Frage auf: Wie kann Europa darauf reagieren? Wie lässt sich eine erfolgversprechende Kooperation zwischen Staat und Unternehmen gestalten? In den Industriestaaten ist die Vernetzung zwischen Wirtschaft und Politik weit weniger eng als in China. Zwar unterzeichnen Regierungen zahlreiche Memorandums of Understanding, doch die entscheidenden Faktoren – Investitionen, Kooperationen, Technologietransfer und Produktionsstätten vor Ort – liegen größtenteils in der Hand privater Unternehmen. Diese wiederum verfolgen in erster Linie wirtschaftliche Ziele. Sie sind eher den Interessen ihrer Anteilseigner verpflichtet als den makroökonomischen oder sicherheitspolitischen Überlegungen ihrer Regierungen

Zwar gehört zur Wahrheit eben auch, dass es im Fall der chinesischen Batterie- und Automobilindustrie oft private Unternehmen sind, die Pionierarbeit leisten. Aber die chinesische Regierung bietet den rohstoffreichen Partnerländern staatlich finanzierte Infrastruktur. Hinter den Abkommen zwischen Regierungen werden Unternehmen aktiv. Und auch die finanzielle Unterstützung durch chinesische Banken wie die Export-Import-Bank und die Chinesische Entwicklungsbank sind zentral. Europa muss dringend Antworten finden, wie staatliche und privatwirtschaftliche Interessen besser verzahnt und ausreichend finanzielle Anreize und Absicherung bereitgestellt werden können.

Für Europa stellen sich hier naturgemäß gleich zwei Herausforderungen. Es gilt, die aktuelle Krise der Automobilbranche zu überwinden, bevor empfindliche Schneisen in die gesamte Zulieferkette geschlagen sind und viele Jobs verloren gehen. Es gilt aber auch, endlich vor die Welle zu kommen, etwa in der Batterieentwicklung. Auch diese Frage wirft Sanderson auf. Neue Batterietechnologien, die auf anderen, möglichst weniger problematischen Rohstoffen als etwa Kobalt basieren, wären vermutlich der einzige Weg. Aber auch hier hat China üblicherweise die Nase vorn. Ohne mehr gemeinsame Forschung und Entwicklung in Europa wird es nicht gehen.

Dabei sollte sich der Blick auch aufs Recycling richten. Bei der Batterieherstellung fällt Abfall an, gleichzeitig ist dieses Material Millionen wert. Anders als fossile Energie können Metalle schier endlos recycelt werden – ohne größeren Funktionsverlust. Bisher ist die Geschwindigkeit auf dem Weg zur Kreislaufwirtschaft noch gering. Geschätzt 50 Millionen Tonnen Elektroschrott werden aktuell jährlich weggeworfen; nur 20 Prozent wird recycelt. Die Konzentration von Mineralen ist in Elektroschrott wesentlich höher als in der Natur. Geschätzt ist der Schrott insgesamt 57 Milliarden US-Dollar wert.

Wer wie Europa wenig Zugang zu den Rohstoffen über Minen hat, für den sollte dieser Aspekt nochmals interessanter sein. Europa sollte die sich abzeichnende chinesische Dominanz bei der Weiterentwicklung der Kreislaufwirtschaft als einen sehr lauten Weckruf verstehen. Das chinesische Lithiumunternehmen Ganfeng zum Beispiel integriert nicht nur den gesamten Prozess vom Bergbau bis zum fertigen Produkt. Es widmet sich inzwischen auch dem Recycling alter Lithium-Ionen-Batterien zu neuem Rohmaterial sowie der Forschung zu neuen Materialien, mit denen Autos in Minuten geladen werden können. Behalten die Chinesen hier die Nase vorn, werden sie ihre Dominanz zementieren.

Ein großer Verdienst Sandersons ist es, mit einigen falschen Gewissheiten aufzuräumen. Dem Kongo sind gleich zwei Kapitel gewidmet. 2019 etwa verarbeiteten chinesische Unternehmen wie Huayou 90 Prozent des aus dem Kongo stammenden Kobalts. Sanderson macht deutlich, wie schwierig es ist, in solch komplexen Produkten die Herkunft einzelner Rohstoffe zurückzuverfolgen. Auch weil chinesische Batterie-Konzerne und ihre westlichen Abnehmer negative Reaktionen der Verbraucher fürchteten, suchte man nach Alternativen.

Bei der wiederholten Beschreibung dieses internationalen Drucks durch Investoren und letztlich Käufer drängt sich derzeit eine unangenehme Frage unweigerlich auf: Werden angesichts der aktuellen großangelegten Attacke auf Sozial- und Umweltstandards in den USA und Europa solche Erwägungen künftig noch eine vergleichbare Rolle spielen? Europa hat hier selbst ein massives Interesse an CO2-Grenzwerten und einem gesunden Maß an sozialen und Umweltstandards. Von mehr Laisser-faire werden eher die bereits etablierten chinesischen Unternehmen profitieren, auch das wird deutlich. Europas Wettbewerbsvorteil dagegen könnten weiterhin die geringeren Emissionen sein. Etwa 40 Prozent der Emissionen bei der Herstellung eines E-Autos gehen aufs Konto der Batterie. Bei der Herstellung in China werden wegen der hohen Abhängigkeit von Kohle etwa 60 Prozent mehr Emissionen erzeugt. Allerdings sollte man hier die Rechnung nicht ohne den Wirt machen – sprich: ohne die Erzeugerländer.

Um die Margen des Problemrohstoffs Kobalt aus dem Kongo zu reduzieren, wurde mehr Nickel verwendet, das aus Indonesien stammt; chinesische Firmen haben dort in Hütten und Edelstahlwerke investiert. Sanderson stellt in seinem Buch Unternehmen vor, die im Westen kaum jemandem ein Begriff sind, die aber über eine unglaubliche Marktmacht verfügen. Ein eindrucksvolles Beispiel ist Tsingshan, das innerhalb eines Jahrzehnts den globalen Wettbewerb auf dem Stahlmarkt drastisch verändert hat. Der Marktanteil des Unternehmens in der Edelstahlproduktion stieg von fünf Prozent im Jahr 2009 auf 25 Prozent ein Jahrzehnt später. Nach Indonesien zu gehen, spielte eine Schlüsselrolle auf dem Weg zur Dominanz des globalen Stahlmarkts. Das kam der dortigen Regierung entgegen, denn sie wollte die heimische Weiterverarbeitung pushen und damit die eigene Industrialisierung fördern.

Auch an dieser Stelle stolpert man über vermeintliche europäische Gewissheiten. China sei nur am Export der Rohstoffe interessiert; man selbst aber stehe bereit, die Interessen der Partner wesentlich besser zu würdigen, so rühmen sich westliche Regierungen. Das Beispiel Tsingshan zeigt, dass man hier gefährlich auf dem Holzweg sein könnte. Erstens möchten Regierungen im Globalen Süden und hier allzumal die der rohstoffreichen Länder die Bedingungen gern selbst festlegen. Daran wird man künftig schwerlich vorbeikommen. Hier braucht es attraktive Angebote statt oft als überheblich empfundene Appelle sowie als protektionistisch wahrgenommene Standards. Und zweitens macht man es sich hier mit Blick auf China zu einfach. Chinesische Unternehmen sind agil; sie passen sich in aller Regel den Rahmenbedingungen der Partnerländer sehr geschmeidig an. Und von einer stärkeren Marktmacht und von regionalen Wertschöpfungsketten profitieren sie im Zweifel sogar, wie das Beispiel Indonesien zeigt. 2022 erließ die indonesische Regierung einen Exportbann für Nickelerz – ein Schlag für die ohnehin schon angeschlagenen westlichen Produzenten. Der Bann nutzte auch Tsingshan, denn durch ihre Marktmacht in Indonesien selbst konnten sie Preise setzen. Das Unternehmen fand sich in der Pole Position für die Elektrofahrzeug-Industrie aufgrund des höheren Bedarfs an Nickel.

Es sind diese Beispiele, die Volt Rush gerade in der aktuellen Debatte um die Zukunft europäischer Schlüsselindustrien und den globalen Wettlauf um Wettbewerbsfähigkeit zur politischen Pflichtlektüre machen. IPG 6

 

 

 

 

 

Weltweit 230 Millionen Frauen von Genitalverstümmelung betroffen

 

Mehr als 230 Millionen Mädchen und Frauen weltweit sind an ihren Genitalien verstümmelt. Betroffene - verlässliche Zahlen gibt es nicht - leben aufgrund der Migration auch in Europa. Der 6. Februar ist der Internationale Tag gegen weibliche Genitalverstümmelung.

Der Referentin bei der Organisation "Terre des Femmes", Marlene Keller, zufolge braucht es Gespräche und Aufklärungsarbeit in den jeweiligen Gemeinschaften, um die Zahl der Verstümmelungen zu senken. Entscheidend sei es, dabei physische und psychische Kurz- und Langzeitfolgen zu thematisieren und Männer einzubeziehen: „Sie sind oft Entscheidungsträger, aber wenig eingebunden“, sagte Keller der Katholischen Nachrichtenagentur KNA.

Dass die Zahl der Betroffenen zuletzt von 200 auf 230 Millionen - die Dunkelziffer ist hoch - gestiegen ist, hängt laut Keller mit dem Bevölkerungswachstum in jenen Ländern zusammen, in denen Genitalverstümmelung weiter praktiziert wird. In einigen Gemeinschaften bleibt sie eine soziale Norm. Anderswo gehen die Zahlen zurück. Ein Erfolgsmodell ist der Sahel-Staat Niger, der Genitalverstümmelung bereits 2003 unter Strafe stellte. Auch setzten sich Aktivistinnen für ein Ende ein. Das Ergebnis: Laut Unicef sind dort nur noch zwei Prozent der Frauen betroffen.

Es gibt jedoch auch gegenläufige Entwicklungen. Vergangenes Jahr wollte Gambia ein Verbot aufheben, was Proteste aber verhinderten. Bei den Verbotsgegnern handelte es sich um konservative Muslime, die den Verstoß mit „religiöser Reinheit" sowie dem Schutz „kultureller Normen und Werte" begründeten. Es gebe, so Keller, zwar religiöse Gemeinschaften, die die Praxis als „religiöse Pflicht" bezeichneten. „Gleichzeitig gibt es in allen Weltreligionen starke Stimmen, die sich dagegen aussprechen." (kap 6)

 

 

 

 

Visionen für einen Neustart in der Gesundheitspolitik:

 

Versorgungspfade gestaltenFür die nächste Bundesregierung steht in der Gesundheitspolitik viel auf dem Spiel: Die Kosten für die Versicherten steigen in ungekannte Höhen. Die Qualität der Versorgung ist im EU-Schnitt dagegen nur Mittelmaß. Die Aufgabe lautet: Kostenspirale stoppen und dabei die Qualität der Versorgung verbessern. Wir sagen: Das ist möglich. Wie? Dazu skizzieren wir vier Maßnahmen, die wir in den nächsten Wochen vorstellen. Wir starten mit dem Thema „Effiziente Versorgungspfade gestalten“.

München. Um in Deutschland einen Arzttermin zu bekommen, ist Wissen und Eigeninitiative gefragt. „Brauche ich einen Termin beim Facharzt und wenn ja bei welchem? Gehe ich in die Notaufnahme oder reicht ein Besuch bei meiner Hausärztin? Diese und andere Fragen beantworten in der Regel die Patientinnen und Patienten. Und nicht immer können sie alleine die beste Entscheidung treffen“, schildert Dr. Gertrud Demmler, Vorständin der SBK Siemens-Betriebskrankenkasse den Status Quo. Und sie fährt fort: „Versorgungspfade, die analoge und digitale Angebote sinnvoll verknüpfen und eine angemessene Unterstützung bei der Wahl des richtigen Angebots bieten, würden den Betroffenen helfen und das System spürbar entlasten“.

Digital unterstützen wo möglich, vor Ort behandeln wo nötig

Die Zukunft der Versorgung ist hybrid. Das heißt: Digitale und analoge Angebote werden dabei so ineinandergreifen, dass das Beste aus beiden Welten vereint wird. Gerade beim Einstieg in die „Patientenreise“ bieten digitale Services großes Potenzial: Ein Symptomchecker kann bei der Suche nach der ersten Anlaufstelle helfen. Je nach Bedarf kann sich eine hausärztliche Beratung in einer Videosprechstunde anschließen. Wann immer nötig, verweisen diese ersten Anlaufstellen an die passenden Praxen in der Nähe. Dort entscheiden Behandelnde und Patient oder Patientin gemeinsam, wie die Versorgung weiterläuft und welche digitalen Angebote dabei sinnvoll unterstützen.

 

Zusammenarbeit zum Wohl der Patientinnen und Patienten vereinfachen

Damit die „Reise“ der Patientinnen und Patienten durch die Versorgung effizient und patientenzentriert abläuft, müssen alle Beteiligten zusammenarbeiten. Arztpraxen, Krankenhäuser, Einrichtungen zur Reha oder Physiotherapie, die Krankenkassen und weiter Akteure tauschen sich aus, um die Gesundheit der Versicherten bestmöglich zu unterstützen. Gleichzeitig können so Doppeluntersuchungen vermieden werden. Damit dies gelingt, braucht es zwei Voraussetzungen: Zum einen muss der digitale Austausch zwischen den unterschiedlichen Einrichtungen jederzeit einfach möglich sein. Die ePA und weitere Anwendungen der Telematikinfrastruktur legen dafür wichtige Grundlagen. Insbesondere bei der Nutzerfreundlichkeit gibt es jedoch Verbesserungsbedarf. Zum anderen gilt es, bürokratische Hürden zu lockern, zum Beispiel bei der Weitergabe relevanter Informationen von einem Versorgungspartner zum nächsten.

 

Die Krankenkasse als Koordinatorin der Versorgung stärken

Die Krankenkassen sollten in die Begleitung der Versicherten stärker einbezogen werden. Denn sie sind die einzigen Stellen im Gesundheitssystem, an denen alle relevanten Versorgungsinformationen zusammenlaufen. Damit haben sie eine wichtige Rolle in einer Patientenreise. Sie beraten und begleiten an den zentralen Stationen. Dafür gilt es, Hürden bei der Versichertenberatung abzubauen. Zum Beispiel indem Versicherte die Möglichkeit bekommen, ihrer Krankenkasse eine umfassende Genehmigung zur Beratung auf Basis ihrer Daten zu erteilen. Heute muss diese Genehmigung an jeder neuen Station der Patientenreise erneuert werden. Das steht einem bedarfsgerechten Austausch zwischen Kasse und Versicherten im Sinne der optimalen Versorgung im Wege. Die Daten, auf deren Basis die Krankenkassen begleiten, sollten ihnen tagesaktuell zur Verfügung stehen. Bisher erhalten die Krankenkassen die Versorgungsdaten der Versicherten erst viele Monate verspätet. Eine bedarfsbezogene Beratung ist auf dieser Basis erschwert.

 

Digitale Plattformen für alle Versicherten diskriminierungsfrei nutzbar machen

Private Plattformen, wie z.B. Terminserviceanbieter, bieten bei der Suche nach einem Arzttermin einen großen Mehrwert. Sie können zu einem guten Startpunkt für die Patientenreise ausgebaut werden. Voraussetzung dafür ist, dass sie Versicherte nicht aufgrund ihres Versicherungsstatus oder sozialer Faktoren diskriminieren. 

 

Fazit. Indem Patientinnen und Patienten ihren Weg durch die Gesundheitsversorgung unkompliziert und zügig finden, können Effizienz und Qualität der Versorgung gesteigert werden.

Dazu braucht es:

+ Eine einfache Integration digitaler Versorgung in die Versorgungspfade

+ Diskriminierungsfreien Zugang zur Versorgung über digitale und analoge Wege

+ Nutzerfreundliche digitale Kommunikationswege zwischen allen Akteuren

+ Zusammenarbeit zwischen den Versorgungseinrichtungen als Standard

+ Unkomplizierte Möglichkeiten zur zielgerichteten Beratung auf Basis aktueller Daten durch die Krankenkasse

+ Qualitätssicherung über regelmäßige Patientenbefragungen

Freuen Sie sich auf die nächste gesundheitspolitische Idee zur Bundestagswahl! Sie lautet: Gestaltungsspielraum für Leistungserbringende und Krankenkassen schaffen

Über die SBK: Die SBK Siemens-Betriebskrankenkasse ist die größte Betriebskrankenkasse Deutschlands und gehört zu den 20 größten gesetzlichen Krankenkassen. Als geöffnete, bundesweit tätige Krankenkasse versichert sie mehr als eine Million Menschen und betreut über 100.000 Firmenkunden in Deutschland – mit rund 2.000 Mitarbeiterinnen und Mitarbeitern in 86 Geschäftsstellen.

 

Seit über 100 Jahren setzt sich die SBK persönlich und engagiert für die Interessen der Versicherten ein. Sie positioniert sich als Vorreiterin für einen echten Qualitätswettbewerb in der gesetzlichen Krankenversicherung. Voraussetzung dafür ist aus Sicht der SBK mehr Transparenz für die Versicherten – über relevante Finanzkennzahlen, aber auch über Leistungsbereitschaft, Beratung und Dienstleistungsqualität von Krankenkassen. Im Sinne der Versicherten vereint die SBK darüber hinaus das Beste aus persönlicher und digitaler Welt und treibt die Digitalisierung im Gesundheitswesen aktiv voran. SBK/GA 6

 

 

 

 

Trump will US-Übernahme von Gaza. „Völlig den Verstand verloren“

 

Völkerrechtsbruch, Rassismus, ein disruptiver Plan: Für Trumps Vision für den Gazastreifen hagelt es international Kritik – aber nicht nur. Einer schwärmt geradezu von Trumps „frischen Ideen“: Palästinenser umsiedeln und Gaza zum Riviera des Nahen Ostens machen. Von Sara Lemel, Arne Bänsch, Christiane Oelrich und Naveena Kottoor

US-Präsident Donald Trump hat Pläne für die Zukunft des kriegszerstörten Gazastreifens vorgelegt, die umgehend auf viel Kritik gestoßen sind. Der Küstenstreifen am Mittelmeer mit rund zwei Millionen palästinensischen Einwohnern solle in den „Besitz“ der USA übergehen, sagte Trump im Beisein des israelischen Ministerpräsidenten Benjamin Netanjahu in Washington.

Außerdem will Trump eine dauerhafte Umsiedlung der Bevölkerung des Gazastreifens bewirken. Dies verstößt aus Sicht von Experten gegen das Völkerrecht. Mit seinen Plänen stieß Trump in den USA und international auf Widerstand.

Was ist Trumps Vision für den Gazastreifen?

Trump strebt eine Umsiedlung der im Gazastreifen lebenden Menschen in arabische Staaten und einen Wiederaufbau des Gebiets an, das während des mehr als einjährigen Krieges zwischen Israel und der Hamas weitgehend in Schutt und Asche gelegt worden war. Unter der Führung der USA könne der Gazastreifen eine „Riviera des Nahen Ostens“ werden, schwärmte er. Trump sagte, dies werde für die Palästinenser „wunderbar“ sein, sagte aber gleichzeitig, er rechne nach einer Umsiedelung nicht mit der Rückkehr der gegenwärtigen Einwohner des Gazastreifens. Für sie sei Gaza die „Hölle“.

Trump nannte eine Zahl von rund 1,8 Millionen Palästinensern, die ihre Heimat verlassen müssten. Wer dann künftig im Gazastreifen leben soll, ließ der US-Präsident offen. „Viele Menschen“ sollten dort leben, „Palästinenser auch“, sagte er lediglich. Unklar ist auch, welchen Status das Gebiet nach Trumps Plänen künftig haben soll – ab es von den USA annektiert, Israel zugeschlagen oder anders verwaltet werden soll.

Nach Beginn des Friedensprozesses zwischen Israel und den Palästinensern in den 1990er Jahren hatte es Bemühungen geben, den Gazastreifen in ein auch touristisch attraktives Gebiet zu verwandeln. Es entstanden verschiedene Projekte, unter anderem ein Wasser-Vergnügungspark. Die gewaltsame Übernahme der Kontrolle durch die islamistische Hamas in den Küstenstreifen im Jahre 2007 und die Verschärfung einer israelischen Blockade des Gebiets, die von Ägypten mitgetragen wurde, setzte solchen Versuchen allerdings ein Ende.

Was sagt das Völkerrecht?

„Jede erzwungene Umsiedlung oder Vertreibung von Menschen aus besetzten Gebieten ist strikt verboten“, sagt der UN-Hochkommissar für Menschenrechte, Volker Türk.

Relevant ist Regel 129 des internationalen Völkergewohnheitsrechts. Vom Deutsche Roten Kreuz gibt es eine Übersetzung der in der Rechtsdatenbank des Internationalen Komitees vom Roten Kreuz (IKRK) hinterlegten englischen Texte, und da heißt es wörtlich:

„Die an einem internationalen bewaffneten Konflikt beteiligten Parteien dürfen die Zivilbevölkerung eines besetzten Gebiets, in ihrer Gesamtheit oder teilweise, nicht verschleppen oder zwangsweise überführen, sofern dies nicht im Hinblick auf die Sicherheit der betroffenen Zivilpersonen oder aus zwingenden militärischen Gründen geboten ist.“

Warum wehren sich Ägypten und Jordanien und welche Druckmittel haben die USA?

Aus innenpolitischen Gründen lehnen Ägypten und Jordanien eine Umsiedlung der Palästinenser aus dem Gazastreifen ab, da dies erhebliche Spannungen auslösen würde. In Kairo befürchtet die Regierung, dass eine große Zahl Geflüchteter die wirtschaftliche und soziale Lage weiter verschärfen könnte – insbesondere in der Sinai-Region, wo bereits Sicherheitsprobleme mit islamistischen Gruppen bestehen.

Jordanien zählt weltweit zu den Ländern mit der höchsten Flüchtlingszahl pro Einwohner. Neben zahlreichen Syrern lebt dort bereits eine große palästinensische Gemeinschaft. Eine erzwungene Vertreibung aus dem Gazastreifen könnte die innenpolitische Balance destabilisieren und den Einfluss der Palästinenser im Land weiter stärken – ein Szenario, das Spannungen mit der einheimischen Bevölkerung und der Monarchie verstärken könnte.

Experten warnen, dass Trumps Pläne zwei der stabilsten Länder im Nahen Osten destabilisieren könnten. Die USA könnten die Regierungen mit einem Stopp finanzieller Unterstützung jedoch erheblich unter Druck setzen. Ägypten etwa erhält jährlich rund 1,3 Milliarden US-Dollar Militärhilfe.

Wie stark ist der Gazastreifen zerstört, wie lange würde der Wiederaufbau dauern?

Nach Angaben des UN-Nothilfebüros Ocha sind 90 Prozent der rund zwei Millionen Menschen im Gazastreifen während des Krieges aus ihren Häusern und Siedlungen vertrieben worden. Nach Auswertung des UN-Satellitenzentrums UNOSAT von Dezember sind rund 69 Prozent der Gebäude im Gaza-Streifen zerstört oder beschädigt. Es listet allein gut 60.000 zerstörte und gut 20.000 schwer beschädigte Gebäude auf. Nach einem UN-Report von Januar gibt es allein 50 Millionen Tonnen Trümmer.

Viele der Hunderttausenden von Vertriebenen, die nach Beginn der Waffenruhe im vergangenen Monat in den Norden des Gazastreifens zurückkehrten, fanden in ihren Wohnorten nur ein Trümmerfeld vor. Trumps Nahostgesandter Steve Witkoff sagte nach einem Besuch in der Region, im Gazastreifen sei „fast nichts übrig“. Ein Wiederaufbau des Küstenstreifens könne zehn bis 15 Jahre dauern, die Vorstellung, dies in fünf Jahren zu schaffen, sei „absurd“.

Wem gehört der Gazastreifen?

Im Sechstagekrieg 1967 eroberte Israel den von Palästinensern bewohnten Gazastreifen von Ägypten, das den schmalen Küstenstreifen nach dem ersten Nahostkrieg 1948 militärisch verwaltet hatte. Im Rahmen von Israels Friedensverträgen mit den Palästinensern sah das Gaza-Jericho-Abkommen von 1994 unter anderem vor, dass die Palästinenser in einem Großteil des Gazastreifens erstmals Verwaltungsautonomie erhalten.

Im Jahre 2005 zog Israel sich einseitig aus dem Gazastreifen zurück und räumte alle 21 israelischen Siedlungen. Israel steht auf dem Standpunkt, dass die Besatzung des Küstenstreifens damit endete. Die Vereinten Nationen betrachteten es jedoch weiter als besetztes Gebiet, unter anderem, weil Israel alle Zugänge kontrolliert.

Eineinhalb Jahre nach dem Sieg über die rivalisierende Fatah-Organisation des Palästinenserpräsidenten Mahmud Abbas bei den Parlamentswahlen riss die islamistische Hamas 2007 gewaltsam die alleinige Kontrolle im Gazastreifen an sich. Israel verschärfte daraufhin eine Blockade des Gebiets, die von Ägypten mitgetragen wurde. Die Palästinenser beanspruchen den Gazastreifen zusammen mit dem Westjordanland und Ost-Jerusalem als Gebiet eines künftigen eigenen Staates.

Wie reagieren die arabischen Staaten und die Hamas auf Trumps Vorstoß?

Die arabischen Staaten haben eine Umsiedlung der Palästinenser aus dem Gazastreifen grundsätzlich abgelehnt. Die Gründe dafür sind vielfältig. Neben innenpolitischen Erwägungen befürchten die Länder der Region, dass eine solche Umsiedlung die israelische Kontrolle über den Gazastreifen zementieren und eine dauerhafte Vertreibung legitimieren würde. Zudem wollen sie nicht als Komplizen einer Politik gelten, die als ethnische Säuberung interpretiert werden könnte.

Eine erzwungene Migration könnte darüber hinaus als Präzedenzfall für weitere Vertreibungen dienen. Zudem drohen Spannungen innerhalb der Arabischen Liga, da die Last der Aufnahme ungleich verteilt wäre. Vor allem die Golfstaaten, die bislang nur begrenzte Verantwortung in Form von finanzieller Unterstützung für die palästinensische Bevölkerung übernommen haben, könnten unter verstärkten Erklärungsdruck geraten.

Die islamistische Hamas, deren Massaker in Israel am 7. Oktober 2023 den verheerenden Krieg ausgelöst hatte, warf Trump „Rassismus“ vor. Seine Äußerungen seien der unverhohlene Versuch, den Palästinensern ihre unveräußerlichen nationalen Rechte zu verweigern, sagte Issat al-Rischk, Mitglied des Hamas-Politbüros.

Die Bevölkerung des Gazastreifens werde dies nicht zulassen, sagte auch das führende Hamas-Mitglied Sami Abu Suhri. „Was wir brauchen, ist die Beendigung der Besatzung und der Aggression gegen unser Volk, nicht die Vertreibung aus seinem Land.“

Welche Reaktionen gibt es aus den USA?

Trumps Außenminister Marco Rubio unterstützte die Vorschläge des Präsidenten. Die USA seien bereit, „Gaza wieder schönzumachen,“ schrieb Rubio auf der Plattform X. Aber aus dem Lager der Republikaner wurde auch Skepsis laut. Der republikanische Senator Lindsey Graham nannte den Vorschlag „problematisch“ berichten US-Medien übereinstimmend. Er habe Zweifel daran, dass seine Wähler sich über eine Entsendung von US-Soldaten in den Gazastreifen freuen würden, sagte der derzeitige Vorsitzende des Haushaltsausschusses im US-Senat.

Heftige Kritik hagelte es aus dem Lager der Demokraten. US-Senator Chris Van Hollen wertete das Vorhaben als schweren Völkerrechtsbruch und sprach von „ethnischer Säuberung“. Er sagte dem US-Sender MSNBC, der Plan sei „in vielerlei Hinsicht verabscheuungswürdig“. Die palästinensisch-amerikanische US-Abgeordnete Rashida Tlaib zeigte sich auf X entrüstet: „Dieser Präsident ruft offen zu ethnischer Säuberung auf, während er neben einem völkermordenden Kriegsverbrecher sitzt.“ Als keinen ernsthaften Vorschlag bewertete Dan Shapiro, der unter Präsident Barack Obama US-Botschafter in Israel war, die Aussagen Trumps. Senator Chris Murphy schrieb auf X: „Er hat völlig den Verstand verloren.“

Was sagt Israel zu den Plänen?

Gerade bei rechtsorientierten Israelis lösen Trumps Pläne offene Begeisterung aus. Der rechtsextreme Finanzminister Bezalel Smotrich dankte Trump in einem Post auf der Plattform X und kommentierte, es werde „noch besser und noch besser“. Neben einer israelischen und einer US-Flagge schrieb er: „Gemeinsam werden wir die Welt wieder großartig machen.“ Wie andere rechtsextreme Israelis strebt Smotrich eine Wiederbesiedlung des Gazastreifens an, den Israel 2005 geräumt hatte.

Michael Milshtein, Experte für palästinensische Studien an der Universität Tel Aviv, warnte eindringlich vor übertriebener Euphorie über Trumps Pläne. „Wir können uns schweren Schaden zufügen in den Beziehungen zu arabischen Staaten, mit denen wir seit Jahrzehnten Verträge haben, wie Jordanien und Ägypten, aber auch mit den Staaten der Abraham-Verträge“, sagte Milshtein dem israelischen Kan-Sender.

Man könne im Fall einer Umsetzung von Trumps Plänen für Gaza auch die angestrebte Normalisierung mit Saudi-Arabien „vergessen“, warnte er. Er wünsche sich von Netanjahu eine realistische Linie bei diesem Thema.

(dpa/mig 6)

 

 

 

 

 

Schulen als Orte der Demokratiebildung: Haltung zeigen statt Neutralität

 

Berlin – Die Stiftung Bildung betont: Schulen sind Lern- und Lebensorte, Orte gelebter Demokratie. Politische Bildung und Mitbestimmung sind essenziell, um junge Menschen zu befähigen, sich aktiv in die Gesellschaft einzubringen.

Demokratiebildung von Anfang an

Die Verpflichtung, demokratische Werte zu vermitteln, ist im Grundgesetz, in der UN-Kinderrechtskonvention und den Menschenrechten verankert. Schulen müssen jungen Menschen die Möglichkeit geben, Selbstwirksamkeit zu erfahren. Sie müssen ihre Perspektiven ernst nehmen, sie aktiv in Entscheidungsprozesse einbeziehen und sie ins politische Handeln bringen.

Politische Bildung als Schlüssel

Politische Bildung in der Schule ist immer pluralistisch und inklusiv. Sie bietet jungen Menschen Orientierung und ermöglicht einen offenen und sachlichen Diskurs, ohne Menschenrechte oder Werte des Grundgesetzes infrage zu stellen. Sie dient nicht der parteipolitischen Beeinflussung. Der Beutelsbacher Konsens formuliert seit Ende der 1970er-Jahre die Grundsätze der politischen Bildung in Deutschland:

* Überwältigungsverbot: Schüler*innen dürfen nicht zu einer bestimmten Meinung gedrängt werden.

* Kontroversitätsgebot: Politische Themen müssen kontrovers diskutiert werden.

* Teilnehmenden-Orientierung: Schüler*innen sollen befähigt werden, eigene Positionen zu entwickeln und zu vertreten.

Politische Bildung ist ein entscheidendes Werkzeug, um demokratische Werte zu verteidigen. Rassistische, homophobe oder in einer andren Form gruppenbezogen menschenfeindliche oder demokratiefeindlich Positionen haben im schulischen Diskurs keinen Platz.

Haltung zeigen statt Neutralität

Das Neutralitätsgebot wird oft missverstanden oder gezielt instrumentalisiert. Neutralität bedeutet nicht, untätig zu bleiben: Schüler*innenvertretungen, Lehrkräfte und Schulleitungen sind verpflichtet, Haltung zu zeigen und aktiv für Demokratie und Menschenrechte einzutreten. Sie dürfen nicht neutral bleiben, wenn demokratische Prinzipien gefährdet sind.

Schutz vulnerabler Gruppen und aktive Teilhabe

Junge Menschen gehören zu den vulnerabelsten Gruppen unserer Gesellschaft. Gezielte Unterstützung und sichere Räume ermöglichen ihnen eine aktive politische Teilhabe. Schulen müssen insbesondere marginalisierte Schüler*innen stärken, um Pluralität zu ermöglichen. Dafür braucht es Rückendeckung durch Schulleitungen und Behörden.

Schulen tragen Verantwortung für unsere Demokratie

Die Stiftung Bildung ruft dazu auf, Schulen als zentrale Orte der Demokratiebildung zu stärken: durch entsprechende bildungspolitische Maßnahmen und die Bereitstellung von Hauhaltsmitteln, gezielte Angebote von Schulfördervereinen und ehrenamtlich Bildungsengagierten. Lehrkräfte und Schulleitungen müssen sich ihrer Verantwortung bewusst sein und politische Bildung als gelebte Praxis begreifen, die mit Hilfe vielfältiger Akteur*innen des Bildungsbereichs gestaltet werden kann. Demokratie braucht eine klare Haltung – keine Neutralität. SB/dip 6

 

 

 

 

Psychologin zu Migrationsdebatte: „Schaden ist bereits entstanden“

 

Seit Magdeburg und Aschaffenburg diskutieren Politiker scharf über Migration. Psychotherapeutin Eva van Keuk kritisiert diese Debatte als kontraproduktiv. Im Gespräch erklärt sie, was die Herausforderungen sind und die Lösung gar nicht kompliziert ist. Von Nils Sandrisser

Seit den Anschlägen von Magdeburg und Aschaffenburg wird scharf über Migration und insbesondere über Zuwanderungsbegrenzung diskutiert. Genau die falsche Debatte und zudem unethisch sei das, sagt die Psychotherapeutin Eva van Keuk, Vorständin des Psychosozialen Zentrums für Geflüchtete Düsseldorf (PSZ), im Gespräch. Das Problem der psychischen Störungen unter Flüchtlingen lässt sich ihr zufolge relativ einfach beherrschen, doch die Debatte verschlimmere es.

Frau van Keuk, würde eine radikale Begrenzung des Zuzugs die Zahl von Gewalttaten senken?

Eva van Keuk: Das eine hat mit dem anderen nichts zu tun. Die Debatte gibt auf wichtige Fragen völlig falsche Antworten. Wenn Menschen, die schutzbedürftig sind, draußen bleiben, dann ist die Gefahr eines Amoklaufs kein bisschen gebannt oder verringert. Je schwieriger die Fluchtwege gestaltet werden, je höher die Mauern gezogen werden, desto schwerer werden die psychischen Belastungen derjenigen, die es überhaupt noch schaffen anzukommen. Es ist absolut erschütternd, was in Aschaffenburg passiert ist. Aber das, was wir nun erleben, halte ich für eine in hohem Maße unethische Instrumentalisierung dieses Dramas. Ich plädiere für eine rationalere Diskussion über Migration und Flucht, die sich weniger aus Angst und Stereotypen nährt, sondern faktenbasiert und nah an der Realität erfolgt.

Im Fokus der Debatte stehen auch psychische Störungen von Flüchtlingen. Bekannt ist, dass Faktoren vor und während der Migration die Belastung erhöhen, aber auch Erfahrungen hier in Deutschland. Erhöht die Debatte den psychischen Druck auf Flüchtlinge zusätzlich?

Bei traumatisierten Geflüchteten ist durch die Debatte tatsächlich ein Schaden entstanden. Wir erleben hier in unserer Arbeit täglich deren große Angst darum, ob es hier für sie überhaupt noch eine Zukunft geben kann. Übrigens nicht nur bei Geflüchteten – selbst bei Menschen, die hier längst angekommen sind, hohe Bildungsabschlüsse erreicht haben oder sogar schon in zweiter Generation hier sind.

Lässt sich auf diesen Druck zurückführen, dass sich psychische Störungen und Erkrankungen verschlimmern?

„Einer meiner Klienten … hat seit den Wahlkampfdebatten eine um 50 Prozent verstärkte depressive Symptomatik.“

Ein konkretes Beispiel: Einer meiner Klienten, der aus einem afrikanischen Land stammt und in der Ukraine studiert hat, dort bei einem Bombardement seine Verlobte verloren hat, hierher geflohen ist und mit typischen Traumasymptomen kämpft, hat seit den Wahlkampfdebatten eine um 50 Prozent verstärkte depressive Symptomatik. Die Triggerbarkeit von Menschen, die Gewalt erfahren haben und in unsicherer Aufenthaltssituation sind, erleben wir hier jeden Tag. Die Debatten, die wir gerade führen, sind wirklich Gift.

Sie sprachen von Depressionen, die sich verschlimmern. Kann vielleicht auch gewalttätiges Verhalten häufiger auftreten? Sind wir in einem Teufelskreis aus scharfer Migrationsdebatte und Gewalttaten?

Der Eindruck könnte entstehen durch die letzten furchtbaren Attentate. Aber genau betrachtet trifft das wohl nicht zu, auch weil die Taten zu unterschiedlich sind. In Magdeburg war es nach meinem Kenntnisstand ein gut integrierter Islamhasser, der die AfD unterstützte. In Aschaffenburg hatten einige der Opfer selbst eine Einwanderungsgeschichte. Es ist also wesentlich vielschichtiger, als der Diskurs vermuten lässt. In den PSZ sind wir für die Begleitung, Beratung und Behandlung von psychisch belasteten Geflüchteten gut aufgestellt, wir können viel präventiv erkennen und Krisen auffangen. Aber wir als ambulant arbeitende PSZ brauchen die Kooperation mit stationären und ambulanten Angeboten der Psychiatrie, um Menschen mit schweren psychischen Störungsbildern eine erforderliche Medikation und Stabilisierung zu ermöglichen.

Können sich Psychosen mit Gewaltbereitschaft durch die Debatte verstärken?

„Das Ausmaß von Fremdgefährdung wird grotesk überschätzt, wohl auch durch die zurückliegenden Gewalttaten beziehungsweise die anschließenden Debatten.“

Zunächst: Das Ausmaß von Fremdgefährdung wird grotesk überschätzt, wohl auch durch die zurückliegenden Gewalttaten beziehungsweise die anschließenden Debatten. Menschen mit psychotischen Störungsbildern sind stresssensibel und oft von Stigmatisierung betroffen, hier gibt es meines Wissens keine Unterschiede zwischen Geflüchteten und Menschen aus der Mehrheitsgesellschaft.

Was die Debatte betrifft: Wesentlich ist der mangelnde Zugang zu Versorgung für Geflüchtete. Selbst wenn jemand mit einem psychotischen Störungsbild die Debatte beunruhigt verfolgt, hätte er ja ein Ventil, wenn er die Möglichkeit hätte, über seine Sorgen und Ängste zu sprechen, oder könnte gegebenenfalls medikamentös gegensteuern. Es geht – übrigens auch bei traumatisierten Klientinnen und Klienten – um den Unterschied zwischen realer Situation und störungsbedingter Symptomatik, und da dienen wir als vertrauenswürdige Brücken zur Realität.

Wir haben es also in der Hand, psychische Belastungen von Flüchtlingen positiv zu beeinflussen?

Absolut. Das Problem ist, dass Verschärfungen verabschiedet worden sind, die der Abschreckung dienen. Diese Maßnahmen sind das Gegenteil dessen, was nötig wäre und was der Prävention dient. Ein Beispiel hierfür ist die Verlängerung der Zeit, in der Asylsuchende keinen Zugang zur Regelgesundheitsversorgung haben, von 18 auf 36 Monate. Ich denke, dahinter steht die Bemühung, der Stimmung in der Bevölkerung nach mehr Abschottung vermeintlich entgegenzukommen.

„Und gegenläufig zu dem, was notwendig wäre, wurden viele Sozialarbeitsstellen in den Unterkünften gestrichen.“

Grundsätzlich entscheiden vor allem die posttraumatischen Lebensrealitäten darüber, ob traumatisierte Menschen sich stabilisieren oder schwer erkranken. Wer in großen Flüchtlingscamps ohne Privatsphäre, ohne integrative Maßnahmen leben muss, wer Zeuge von Abschiebungen wird, kann schwerlich gut ankommen oder sich in Sicherheit wähnen. Und gegenläufig zu dem, was notwendig wäre, wurden viele Sozialarbeitsstellen in den Unterkünften gestrichen.

Sie haben die aus Ihrer Sicht unethische Instrumentalisierung der Debatte angesprochen. Allerdings kann man ja auch ohne fremdenfeindliche Motivation die Frage stellen, ob man Einwanderung nicht begrenzen müsste. Etwa weil man unsere Möglichkeiten zur Bewältigung als nicht ausreichend einschätzt. Haben wir denn die Strukturen, um Flüchtlinge adäquat zu versorgen?

Es braucht zunächst eine gute Aufnahme und niedrigschwelligen Zugang zur Beratung inklusive systematischer Früherkennung. Wenn die PSZ vernünftig und längerfristig finanziert wären, könnten wir noch wesentlich effizienter arbeiten. Wir hier in Düsseldorf haben mehr als 24 Geldgeber. Für sie sind wir sehr dankbar. Gleichzeitig erstellen wir meist jährliche Anträge und Berichte, organisieren Spendenaktionen. Mit einer langfristigen Regelfinanzierung beziehungsweise einer institutionellen Förderung könnten wir mehr Ressourcen in die Versorgung stecken. Bei schweren psychischen Störungsbildern brauchen wir die Vernetzung mit sozialpsychiatrischen Diensten vor Ort.

Wir könnten diese Strukturen also haben, wenn wir wollten?

Ja. Es ist gar nicht schwer, Menschen mit hohen Belastungen frühzeitig zu erkennen. Die Verfahren dazu sind längst entwickelt und bundesweit erprobt. Die allergrößte Barriere ist oft die Sprache.

„Es brauchen ja nicht nur frisch angekommene Geflüchtete eine Sprachmittlung, sondern auch ältere Migrantinnen oder Migranten, die dement werden und in ihre Muttersprache zurückfallen.“

Eine flächendeckende Sprachmittlung wäre eine große Hilfe. Es brauchen ja nicht nur frisch angekommene Geflüchtete eine Sprachmittlung, sondern auch ältere Migrantinnen oder Migranten, die dement werden und in ihre Muttersprache zurückfallen. Das alles müssten wir als Realität anerkennen und einen angemessenen Umgang damit finden, anstatt sich innerlich und äußerlich abzuschotten. Was oft vernachlässigt wird: Viele der Geflüchteten sind zu Beginn voller Hoffnung und bringen ihrerseits enorme Fähigkeiten und Ressourcen mit. Diese Motivationen sind ein wertvoller Schatz, der dann in den Unsicherheiten und schlechten Lebensbedingungen aufgerieben wird.

Nach vorliegenden Zahlen erhalten nur drei Prozent von Asylsuchenden, die eine psychosoziale Versorgung benötigen, adäquate Hilfe. Bedeutet das, dass wir unsere Ressourcen mehr als verdreißigfachen müssten, um den Bedarf zu decken? Gibt es denn so viele Psychotherapeutinnen und Psychotherapeuten?

Laut einer Metastudie haben ungefähr 30 Prozent der Geflüchteten eine Traumafolgestörung. Aber diese 30 Prozent sind nicht alle therapiebedürftig. Schon die Verbesserung der Aufnahmebedingungen und der oft schlechten Unterkunftssituation würde die psychische Verwundbarkeit verringern, und damit den Therapiebedarf. Wir müssen die Strukturen gar nicht so viel multiplizieren, sondern für andere Aufnahmebedingungen sorgen, den Zugang zur Regelversorgung durch Sprachmittlung vereinfachen, für faire Asylverfahren sorgen und Tools zur Früherkennung flächendeckend einsetzen. Das ist alles gar nicht so geheimnisvoll. (epd/mig 6)

 

 

 

 

 

 

Nach Migrationsdebatte: Merz führt bei K-Frage, Zustimmung zu schwarz-blauer Koalition wächst

 

Hamburg – Nach der Abstimmung über den Unions-Antrag zur Verschärfung der Migrationspolitik, der im Bundestag mit den Stimmen der AfD angenommen wurde, wächst die Zustimmung zu einer möglichen schwarz-blauen Koalition. Kein anderes Regierungsbündnis wird von mehr Deutschen bevorzugt, auch wenn die Zustimmung auf niedrigem Niveau bleibt. Das ergab eine aktuelle Umfrage des Markt- und Sozialforschungsinstituts Ipsos. CDU-Chef Friedrich Merz wird weiterhin als Kanzlerkandidat favorisiert.

Ipsos befragte vom 30. bis 31. Januar 2025 insgesamt 1.000 Wahlberechtigte, die aus einer Liste möglicher Regierungsoptionen und Kanzlerkandidaten die ihrer Meinung nach beste Koalition bzw. den geeignetsten Politiker für das Amt des Bundeskanzlers auswählen sollten.

 

Schwarz-Grün immer unbeliebter, ein Drittel von keiner Koalition überzeugt

Jeder fünfte Deutsche (19 %) würde nach der Bundestagswahl eine Große Koalition aus CDU/CSU und SPD bevorzugen. Dieser Anteil hat sich seit der letzten Umfrage vor zwei Wochen nicht verändert. Eine schwarz-grüne Koalition wird dagegen nach der Migrationsdebatte nur noch von 5 Prozent der Deutschen favorisiert, 3 Prozentpunkte weniger als bei der letzten Befragung. Ähnlich gering ist die Zustimmung für eine schwarz-rot-grüne Kenia-Koalition (8 % | -1), eine schwarz-rot-gelbe Deutschland-Koalition (7 % | +1) und eine schwarz-gelb-grüne Jamaika-Koalition (3 % | ±0).

Unter allen denkbaren Regierungskonstellationen erreicht die schwarz-blaue Koalition aus Union und AfD mit 23 Prozent den höchsten Wert. Im Vergleich zur letzten Ipsos-Umfrage von Mitte Januar bedeutet dies einen Anstieg um 5 Prozentpunkte. Der größte Anteil der Befragten ist jedoch von keiner der möglichen Regierungsoptionen überzeugt. Mehr als ein Drittel der Deutschen (35 % | -2) will sich auf keine der abgefragten Koalitionen festlegen.

Dr. Robert Grimm, Leiter der Politik- und Sozialforschung bei Ipsos in Deutschland, ordnet die Verschiebung ein: „Der offensive Vorstoß von Friedrich Merz, eine restriktive Migrationspolitik mit den Stimmen der in Teilen gesichert rechtsextremen AfD durch den Bundestag zu peitschen, hat die politische Mitte in unserem Land pulverisiert. Ja, es ist richtig, die Entscheidung von Merz zu hinterfragen, mit rechtspopulistischen Geschichtsrevisionisten zusammenzuarbeiten. Aber dem Aufschrei von SPD und Grünen müssen konkrete Lösungen folgen. Denn die Bürgerinnen und Bürger sind es leid, die immer wiederkehrenden Bilder brutaler Gewalttaten tatenlos hinzunehmen. Deshalb hat Merz mit seiner Entschlossenheit, den Unions-Antrag kompromisslos mit den Stimmen der AfD durchzusetzen, einige Wählerinnen und Wähler durchaus beeindruckt."

 

Scholz bei K-Frage auf dem letzten Platz

Zusätzlich wurden die Wahlberechtigten gefragt, welcher Kanzlerkandidat ihrer Meinung nach am besten für das Amt des Bundeskanzlers geeignet sei. Neben dem bisherigen Oppositionsführer und CDU-Bundesvorsitzenden Friedrich Merz standen den Befragten der amtierende Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD), Vizekanzler Robert Habeck (Grüne) sowie die AfD-Kandidatin Alice Weidel zur Auswahl. Die meisten Stimmen erhält Friedrich Merz mit unverändert 18 Prozent. Er bleibt damit auch nach seinem Vorstoß in der Migrationspolitik der bevorzugte Kanzlerkandidat der Deutschen. An zweiter Stelle folgt Alice Weidel von der AfD mit 17 Prozent (+1).

Dahinter liegt der grüne Wirtschaftsminister und Kanzlerkandidat Robert Habeck mit 12 Prozent (-1) auf dem dritten Platz, dicht gefolgt von Olaf Scholz, den nur 11 Prozent (+1) für den geeignetsten Kandidaten halten.

Bemerkenswert: Ein Drittel der Wahlberechtigten (33 %) hält keinen der zur Wahl stehenden Politiker für das Kanzleramt geeignet, weitere 9 Prozent können oder wollen sich zu dieser Frage nicht äußern.

 

Merz und Weidel punkten vor allem bei Männern

Unionskandidat Friedrich Merz überzeugt vor allem die männliche Wählerschaft. 21 Prozent der Männer halten ihn für den geeignetsten Kandidaten. Bei den weiblichen Wählerinnen kann er dagegen nur 15 Prozent für sich gewinnen. Ein ähnliches Bild zeigt sich bei Alice Weidel: Auch die Bundessprecherin der AfD kommt bei Männern besser an als bei Frauen. Während 20 Prozent der männlichen Befragten sie für die geeignetste Kandidatin halten, sind nur 14 Prozent der Frauen dieser Meinung. Bundeskanzler Olaf Scholz überzeugt 12 Prozent der Männer und 9 Prozent der Frauen, bei Robert Habeck gibt es mit jeweils 12 Prozent Zustimmung keine geschlechtsspezifischen Unterschiede.

Auffällig ist, dass der Anteil derjenigen, die keinen Kandidaten für geeignet halten oder unentschieden sind, bei den Frauen mit 50 Prozent deutlich höher liegt als bei den Männern mit 35 Prozent. Ipso 5

 

 

 

 

 

Im Notfall gilt die 112 - überall in der EU

 

Gütersloh/Brüssel. Der Notruf 112 funktioniert in allen Ländern der Europäischen Union. Darauf weist die Stiftung Deutsche Schlaganfall-Hilfe anlässlich des Europäischen Notruftags am 11. Februar hin.

Seit 2009 gilt die Notrufnummer 112 in allen 27 EU-Mitgliedsstaaten, aus dem Festnetz und dem Mobilfunknetz. Nicht alle EU-Bürgerinnen und Bürger wissen das. Denn in 19 der 27 Länder gibt es neben der 112 weitere, nationale Notrufnummern. Deren Nutzung jedoch scheint zurückzugehen, wie ein aktueller Bericht der Europäischen Kommission* nahelegt. Demnach gingen 2023 in der EU insgesamt 285 Millionen Notrufe ein, 62 Prozent davon über die Rufnummer 112. Bei der letzten Auswertung 2021 lag dieser Anteil noch bei 57 Prozent. 

In zunehmend mehr Ländern scheint sich die 112 als nationale Rufnummer durchzusetzen. Reisende sollten jedoch vor allem wissen, dass die 112 überall in der EU funktioniert. Mehr als die Hälfte der Deutschen besucht mindestens einmal jährlich ein anderes EU-Land. Gerade im innereuropäischen Reiseverkehr kann das Wissen um die 112 lebenswichtig werden. Bei einem Schlaganfall kommt es auf jede Minute an, um wichtige Hirnfunktionen zu retten. 

Der Europäische Tag des Notrufs 112 findet jedes Jahr am 11. Februar statt. Durch das symbolische Datum (11.2.) soll sich das Wissen um die EU-weite Notrufnummer verbreiten.  GA 5

 

 

 

 

 

Worum geht’s? Wer will was bei Migration und wie soll das zusammenpassen?

 

„Humanität und Ordnung“ in der Migrationspolitik streben die Parteien der demokratischen Mitte nach eigener Aussage alle an. Dennoch gibt es deutliche Unterschiede – und teilweise auch heftigen Widerspruch. Das zeigt sich in diesen Tagen deutlich. Von Anne-Béatrice Clasmann

Die Migrationspolitik ist neben Wirtschaftsflaute und Inflation zu einem der wichtigsten Wahlkampfthemen geworden. Schaut man auf die Konzepte der Parteien zu Grenzschutz, Flüchtlingen und Familiennachzug, dürfte es hierzu nach dem Wahltermin am 23. Februar schwierige Koalitionsverhandlungen geben. Die FDP, die um ihren Wiedereinzug in den Bundestag bangen muss, bringt sich als Brückenbauer ins Gespräch.

Worum geht es eigentlich?

Die Union will, dass noch mehr Menschen an den deutschen Grenzen zurückgewiesen werden – auch solche, die Asyl beantragen wollen. Zudem soll nach den Vorstellungen von CDU und CSU die Bundespolizei, wenn sie in ihrem Zuständigkeitsbereich – etwa an Bahnhöfen – Ausreisepflichtige antrifft, selbst für eine Abschiebung sorgen können.

Menschen mit subsidiärem Schutzstatus sollen laut Union nur noch in Ausnahmefällen Familienangehörige nach Deutschland holen dürfen. Das würde bis zu 12.000 Menschen pro Jahr betreffen. Denn aktuell gibt es für diese Gruppe eine Kontingentregelung, wonach pro Monat maximal 1.000 Angehörige zu Menschen mit subsidiärem Schutz nachziehen dürfen. Dieser eingeschränkte Schutz gilt für Menschen, die nicht als Flüchtlinge anerkannt werden, aber stichhaltige Gründe liefern, warum ihnen bei einer Rückkehr ins Herkunftsland ernsthafte Schäden drohen – etwa durch Bürgerkrieg.

Deutsche dürfen ihre nahen Angehörigen immer zu sich holen. Für Ehepartner sind grundsätzlich Kenntnisse der deutschen Sprache erforderlich. Relativ großzügig sind auch die Regeln für EU-Bürger. Ausländer aus Nicht-EU-Staaten, die mit einer Niederlassungserlaubnis in Deutschland leben, müssen für Wohnraum, Krankenversicherung und den Lebensunterhalt ihrer nahen Angehörigen sorgen. Anerkannte Flüchtlinge und Asylberechtigte müssen diese Bedingungen nicht erfüllen, wenn sie Angehörige zu sich holen wollen.

SPD, Grüne und Linke haben Vorschläge der Union zu Migrationsfragen im Bundestag vergangene Woche abgelehnt. BSW und AfD votierten dafür. Unter den FDP-Abgeordneten gab es unterschiedliche Auffassungen.

SPD und Grüne haben eigene Gesetzesvorhaben zur Migrationspolitik, für die es nach dem Ausscheiden des Ampel-Koalitionspartners FDP keine Mehrheit mehr im Bundestag gab. Dazu zählen etwa Vorschläge, wie Deutschland die Reform des Gemeinsamen Europäischen Asylsystems (GEAS) in nationales Recht umsetzen sollte.

Was soll die GEAS-Reform ändern und warum wurde sie beschlossen?

Staaten an den EU-Außengrenzen wie Griechenland und Italien sind seit Jahren besonders stark von irregulärer Migration betroffen. Das gilt auch für Staaten wie Deutschland und Frankreich, wo besonders viele Asylbewerber Aufnahme finden wollen – etwa weil sie dort auf bessere Versorgung oder Arbeitsmöglichkeiten hoffen, oder weil dort bereits Angehörige oder Freunde leben. Das sogenannte Dublin-Verfahren klärt zwar eigentlich, welcher EU-Staat für das Schutzersuchen eines bestimmten Asylbewerbers die Verantwortung trägt. In der Praxis funktionieren die Rücküberstellungen in das jeweilige EU-Land aber oft nicht.

Auch deshalb wurde jahrelang über eine Reform verhandelt, die das bestehende System ablösen soll. Das Reformpaket sieht unter anderem eine Verpflichtung zur Identitätskontrolle bei Ankommenden vor. Asylbewerber aus Herkunftsländern mit einer EU-weiten Schutzquote von unter 20 Prozent sollen ihr Verfahren an der EU-Außengrenze durchlaufen und im Falle einer Ablehnung nach Möglichkeit auch gleich von dort abgeschoben werden.

Hat sich dadurch schon etwas geändert?

Nein. Die Reform trat im Juni 2024 in Kraft. Die EU-Mitgliedstaaten haben zwei Jahre Zeit, die Regelungen umzusetzen. Bis Juni 2026 gelten also europaweit noch die bisherigen Regeln.

Warum will Rot-Grün rasch die GEAS-Änderungen im Bundestag beschließen?

In einem Staat mit föderaler Struktur wie Deutschland ist die Umsetzung so einer umfassenden Reform aufwendig. Je eher man sich vorbereitet, desto besser dürfte es gelingen.

Auf EU-Ebene wird allerdings aktuell noch über einen Punkt verhandelt. Dabei geht es darum, ob man das sogenannte Verbindungselement aus dem in der Reform enthaltenen Konzept des sicheren Drittstaats streichen sollte. Vor allem die Grünen lehnen das ab. Bisher dürfen Asylsuchende laut GEAS-Reform nur in Drittstaaten geschickt werden, zu denen sie eine persönliche Verbindung haben – etwa weil sie früher einmal dort gelebt haben.

Was hat die Unionsforderung nach generellen Zurückweisungen damit zu tun?

Im Jahr 2024 stellte die Bundespolizei 83.572 unerlaubte Einreisen fest. 47.487 unerlaubt eingereiste Menschen wurden zurückgewiesen oder zurückgeschoben.

Zurückweisungen sind nur möglich, wenn die Polizei direkt an der Grenze kontrolliert. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) hat inzwischen stationäre Kontrollen für alle deutschen Landgrenzen angeordnet, obwohl das im Schengen-Raum eigentlich nicht vorgesehen ist. Allerdings ist Deutschland auch nicht der einzige Mitgliedstaat, der diese Maßnahme ergriffen hat.

Die Union will nicht auf die Umsetzung der GEAS-Reform warten, sondern erreichen, dass bis auf weiteres auch Menschen, die einen Asylantrag in Deutschland stellen wollen, zurückgewiesen werden. Das ist momentan nicht der Fall.

Was schlägt die FDP jetzt vor?

Die Freien Demokraten wollen, dass SPD und Grüne mit Union und FDP im Bundestag doch noch für das „Zustrombegrenzungsgesetz“ der Union stimmen, das vergangenen Freitag trotz Stimmen von AfD, BSW und Teilen der FDP keine Mehrheit gefunden hatte. Im Gegenzug würde man dann helfen, eine Mehrheit für die GEAS-Änderungen im Bundestag zu organisieren.

Diese Änderungen waren am 6. November, wenige Stunden vor dem Auseinanderbrechen der Ampel-Koalition, im Bundeskabinett beschlossen worden. Am vergangenen Donnerstag wurden sie im Bundestag ohne Debatte behandelt und für weitere Beratungen in die Ausschüsse geschickt. Theoretisch könnten sie also noch vor der Bundestagswahl verabschiedet werden – vorausgesetzt die Ausschüsse kommen zu Sondersitzungen zusammen und die Tagesordnung der letzten Bundestagssitzung vor der Wahl am 11. Februar wird entsprechend geändert.

Hat so ein Kompromiss in letzter Minute noch eine Chance?

Theoretisch machbar wäre es. Doch nach den Schuldzuweisungen der vergangenen Tage und mitten im Wahlkampf ist so eine Einigung schwierig. Wobei es nach der Wahl nicht unbedingt einfacher werden dürfte. Der Streit um den Familiennachzug zu Menschen mit eingeschränktem Schutzstatus war übrigens auch einer der Gründe, weshalb 2017 die Sondierungen für eine Jamaika-Koalition (Union, Grüne und FDP) gescheitert waren.

Und was sagt die Linke?

Die Linke spricht von einem „rassistischen Überbietungswettbewerb“, das enden müsse. Während die Union unbeirrt Pushbacks an deutschen Grenzen fordere, verlange die FDP einen „Migrationspakt der Mitte“, meine aber eigentlich die Abschaffung des Rechts auf Familiennachzug. „Damit betreiben diese Parteien unverändert genau jene Politik, von der seit Monaten allein die AfD profitiert – auf dem Rücken von Geflüchteten und ohne irgendein reales Problem zu lösen“, erklärt Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im Bundestag. Die Folgen dieser Politik zeige sich ganz real im Alltag der Menschen. „Jeden Tag werden Geflüchtete rassistisch angefeindet, bedroht und auch körperlich angegriffen“, kritisiert Bünger. (dpa/mig 5)

 

 

 

 

 

Vielen Geflüchteten in DR Kongo fehlt jegliche Unterstützung? 

 

Goma/Friedrichsdorf – Nach dem Ende der Kämpfe um die Millionenstadt Goma im Osten der DR Kongo haben zehntausende Flüchtlinge ihre Lager verlassen. Das berichten Mitarbeitende der Kinderhilfsorganisation World Vision, die jetzt erstmals wieder die Stadt betreten konnten. Bedingt durch die Unterbrechung der Hilfslieferungen im Zusammenhang mit den Kämpfen sind viele Menschen auf der verzweifelten Suche nach Nahrung und Trinkwasser.? 

Dem Einsatzchef für Ostkongo, David Munkley und seinen Mitarbeitenden bietet sich ein gespenstisches Bild: Wo vor wenigen Tagen noch über 100.000 Geflüchtete in provisorischen Hütten gelebt haben, ist es jetzt menschenleer. Im Lager Kanyaruchinya liegen nur noch Reste der aus Ästen und Plastikfolien erbauten Zelte, Feuerstellen sind von Asche bedeckt, Gesteinsbrocken liegen herum.? 

„Da die Geflüchteten jetzt versprengt in der Stadt unterwegs oder in die Kivu-Region nördlich von Goma zurückgekehrt sind, ist es schwieriger geworden, sie mit Hilfsgütern zu erreichen“, erklärt David Munkley, Programmdirektor von World Vision für Ostkongo. Und weiter: „Jetzt müssen wir herausfinden, wo sie sich aufhalten und sicherstellen, dass wir sie baldmöglichst wieder mit dem Nötigsten versorgen können. Viele Häuser sind zerstört, Krankenhäuser überlastet und die Märkte bieten kaum Lebensmittel.“? 

Besonders dringend benötigen Kinder und stillende Frauen Hilfe. Zum Teil kampieren sie an Straßenrändern und sind Überfällen schutzlos ausgeliefert. Vor allem in den Außenbezirken Gomas ist die Lage noch sehr angespannt. Immer wieder kommt es zu Schießereien. ? 

Ende Januar hatte die Rebellenmiliz M23 die ostkongolesische Metropole Goma nach heftigen Gefechten eingenommen. Dabei starben mehrere hundert Menschen. Die Kämpfe hatten World Vision wie auch andere Hilfsorganisationen dazu gezwungen, ihre Hilfsmaßnahmen vorübergehend einzustellen und einige Mitarbeitende in Sicherheit zu bringen. World Vision wird die Hilfsaktivitäten bald wieder aufnehmen. Entsprechend ausgebildete Teams sind bereits wieder in der Stadt. Die Kinderhilfsorganisation rechnet damit, dass auch die Rückkehr zehntausender Binnenflüchtlinge in verlassene Orte in Nord-Kivu zu einer noch stärker angespannten Versorgungslage führen wird. Es werde vielen Familien schwer fallen sich zu ernähren, weil die Felder nicht bestellt werden konnten. Die Gesundheit von Kindern sei durch Wassermangel, mangelnde Hygiene und fehlenden Schutz gefährdet. „Um in dieser Notlage effektiv helfen zu können, müssen wir dringend neue Hilfsgüter beschaffen, teilweise auch aus Nachbarländern”, sagt David Munkley. ? 

 Eine weitere Zuspitzung der humanitären Krise ist laut David Munkley durchaus denkbar. „Wenn die Kämpfe trotz des jetzt angekündigten Waffenstillstandes weitergehen oder sich nach Süden in Richtung Bukavu verlagern, könnte eine ganz neue Stadt bedroht sein, was Massenevakuierungen und die Vertreibung von Hunderttausenden von Menschen zur Folge haben könnte. Leider ist die humanitäre Gemeinschaft möglicherweise nicht in der Lage, einen derart hohen Bedarf zu decken.”? 

Die Kinderhilfsorganisation ist seit vielen Jahren im Land engagiert und versorgt Geflüchtete unter anderem mit Nahrung, Trinkwasser, Kochutensilien und Hygieneartikeln. Außerdem betreibt World Vision in der Region ein Projekt zur Wiedereingliederung von Kindersoldaten und Zwangsprostituierten.? WV 5

 

 

 

 

 

Vatikan fordert Allianz für Kinderrechte

 

Die Stimmen der Kinder, die gegen Hunger, Krieg, Gewalt, Ungleichheit und Umweltzerstörung aufschreien, dürfen nicht ungehört bleiben – das war die zentrale Botschaft der Ansprache von Kardinal Pietro Parolin, die er am Vorabend des Kinderrechtsgipfels im Vatikan an die Teilnehmer aus aller Welt richtete. Der Kardinalstaatssekretär betonte, alle Menschen müssten auf Kinder achten, egal welcher gesellschaftlichen Schicht sie angehören. Christine Seuss - Vatikanstadt

Kardinal Parolin wandte sich am Sonntagabend in einem Saal der Vatikanischen Museen an die Teilnehmer und schwor sie auf die Arbeiten bei einem „Gipfel der Reflexion“ und des „Zuhörens“ ein. Organisator ist das Päpstliche Komitee für den Weltkindertag. Papst Franziskus hatte diese Initiative am 20. November 2024, zeitgleich mit der Ankündigung des Kinderrechte-Gipfels im Vatikan, ins Leben gerufen.

Parolin hob in seinen einführenden Worten am Vorabend des „World Leaders Summit on Children’s Rights” dessen Motto - „Lasst sie uns lieben und beschützen“ – hervor. Diese beiden Maßnahmen dürften nicht nur Empfehlungen sein, sondern sollten einen „kategorischen Imperativ“ darstellen, „der allgemeine Zustimmung finden und zu konkretem und kollektivem Handeln anregen sollte“.

Zu konkretem Handeln anregen

Die Geschichte habe immer wieder gezeigt, dass Kinder zu den verletzlichsten Mitgliedern der Gesellschaft gehören. Trotz der Fortschritte der modernen Kommunikation leide die heutige Welt jedoch nach wie vor unter einem Mangel an Liebe und Schutz für ihre jüngsten Mitglieder, stellte Kardinal Parolin fest, wobei er insbesondere die tragische Realität von Kriegen, die tausende von jungen und wehrlosen Menschenleben fordern, sowie die anhaltenden humanitären Krisen, darunter auch auf See, wo Migranten - darunter viele Kinder - Gefahr und Tod drohen, im Auge hatte.

Die Kirche bleibe in ihrem Auftrag, die Rechte der Kinder zu verteidigen und zu schützen, unerschütterlich, auch wenn sie ihre eigenen Unzulänglichkeiten anerkenne, unterstrich der Kardinal. In diesem Zusammenhang bekräftigte er, wie wichtig es sei, auf Experten der sozialen, psychologischen und pädagogischen Wissenschaften sowie auf internationale Organisationen und Mitarbeiter vor Ort zu hören.

Maßnahmen ergreifen

Wie Kardinal Parolin in seiner Ansprache vor dem Beginn der Arbeiten auch mit Blick auf den für September 2026 geplanten Weltkindertag weiter hervorhob, sei es nötig, Maßnahmen zu ergreifen, um die wichtigsten Probleme, die Kinder betreffen, anzugehen. Konkret zählte er den Zugang zu Ressourcen, Bildung, Ernährung, Gesundheitsversorgung, Familie und Freizeit auf – jeweils auch Themen, die auf den Gipfel-Panel besprochen werden. „Jedes Kind hat das Recht, in Frieden und Freiheit zu spielen“, bekräftigte der Kardinal.

„Jedes Kind hat das Recht, in Frieden und Freiheit zu spielen“

Who is Who an Führungspersönlichkeiten

Die Teilnehmerliste des Gipfels stellt ein Who is Who aus der Welt der Religion, des Sports, der Politik, sowie internationaler Organisationen dar, die teils auch in Eigenregie entstanden sind. Unterteilt ist die Veranstaltung am Montag in zwei Abschnitte. Papst Franziskus leitete die Arbeiten ein und schließt sie ab. Während der Arbeiten in der prachtvollen Sala Clementina im Apostolischen Palast sind sieben Panels vorgesehen, die sich unter verschiedenen Aspekten mit dem Thema Kinderrechte befassen. Unter den Teilnehmern und rund 50 Rednern sind interreligiöse Gäste wie Rabbi David Rosen oder Indonesiens Ex-Präsidentin Megawati Sukarnopoutri (auch Großimam Ahmed al-Tayyeb war angekündigt); politische Größen wie Al Gore und der italienische Außenminister Tajani, neben Persönlichkeiten wie Königin Rania von Jordanien, Mario Draghi, ehemaliger Chef der EZB, oder FIFA-Chef Gianni Infantino, sowie IOC-Präsident Thomas Bach, außerdem Nobelpreisträger und Führungspersönlichkeiten internationaler Organisationen.

Papst eröffnet und beschließt 

Die Arbeiten des Gipfels wurden am Montagfrüh durch Papst Franziskus persönlich eröffnet, wobei das katholische Kirchenoberhaupt darauf hinwies, dass „nichts wichtiger“ sei als „das Leben eines Kindes“. Ungerechtigkeiten gegenüber Kindern – darunter Armut, Krieg, Schulentzug und Ausbeutung – müsste ein Ende gesetzt werden, so der Papst bei dieser Gelegenheit. Wie Padre Enzo Fortunato, der Vorsitzende des Kinderkomitees hervorhob, gehe es bei dem Gipfel unter der Schirmherrschaft des Papstes darum, in den Kindern das „wichtigste Reservoir an Hoffnung, Liebe und Leben“ zu fördern und zu erhalten.

Sieben Panels

Anschließend starteten die Arbeiten mit einem Panel, das den „Rechten der Kinder in der modernen Welt“ gewidmet war und neben anderen Persönlichkeiten die Teilnahme von Königin Rania von Jordanien sah. Sie unterstrich die große internationale Zustimmung zur UN-Kinderrechtskonvention, die jedoch durch die Zunahme internationaler Konflikte, die vor allem Kinder leiden ließen und in denen die Jüngsten teils selbst zu Soldaten gemacht werden, konterkariert werde. Kinder in diesen Situationen hätten oft nur den Wunsch, zu sterben, um ihrem Leid ein Ende zu setzen, prangerte die jordanische Königin, die sich seit Jahren für die Rechte von Kindern einsetzt, mit Blick auf neuere Untersuchungen über den psychologischen Zustand von Kindern im Gazastreifen an.

Im 2. Panel ging es um das „Recht des Kindes auf Zugang zu Ressourcen“, der erste Redner war Mario Draghi, ehemaliger Präsident der Europäischen Zentralbank und kurzzeitig italienischer Premier. Insbesondere das Investment in die Schule müsse eine Priorität der Politik sein, um die jungen Leute adäquat auf die Herausforderungen des Lebens vorzubereiten, erinnerte Draghi unter dem Beifall der Anwesenden.

Fortgeführt wurde die Diskussion mit dem 3. Panel, „Das Recht des Kindes auf Bildung“, wobei zunächst FIFA-Präsident Gianni Infantino das Wort ergriff und – mit Hilfe eines FIFA-Fußballs auf seinem Tisch - auf ein Best-Practice-Programm seiner Organisation hinwies, mit dem auch schwierige Inhalte Kindern und Jugendlichen nahegebracht werden können: „Football for Schools“ genannt. Dabei gehe es dabei nicht darum, Fußball zu erklären, sondern dank eines Fußballs im Klassenraum und der Ankündigung, über Fußball zu sprechen, die Aufmerksamkeit der Schüler zu fesseln. Dann könne man auch über alles andere sprechen, wie Fairness, Respekt für den anderen, Stärkung von Frauen und vieles mehr - denn Fußball vereine all diese Themen und andere, so Infantino. Das Programm sei bereits in 100 Ländern eingesetzt worden Seine Organisation werde auch für den nächsten Weltkindertag in Rom Schützenhilfe leisten, versprach er auf Anfrage des Verantwortlichen Pater Fortunato augenzwinkernd.

Einig waren sich die Redner des nächsten Panels „Das Recht der Kinder auf Nahrung, Ernährung und Gesundheitsversorgung“ über die Bedeutung der angesprochenen Themen für eine gesunde Entwicklung der Kinder. So berichtete unter anderen der Gründer von Mary’s Meals, Magnuns McFarlane-Barrow, von einem Gespräch mit einem verhungernden Jungen, das ihn vor über 20 Jahren dazu gebracht habe, seine Organisation ins Leben zu rufen, die er nach der Gottesmutter nannte. Einer der Dreh- und Angelpunkte des humanitären Einsatzes für die Kinder sei es, bedürftigen Kindern in der Schule eine warme Mahlzeit zur Verfügung zu stellen, auch mit dem Ziel, dass die Familien sie tatsächlich in die Schule schicken. Mit jährlich 22 Euro könne man für ein Jahr Essen für eines dieser Kinder garantieren, ein geradezu lächerlicher Betrag, wenn man das damit vergleiche, was wir für die Pflege und Ernährung unserer Haustiere ausgäben, so der Schotte, der damit auch einen hin und wieder geäußerten Gedanken des Papstes aufgriff.

Der Großkanzler des Malteserordens, Riccardo Paternò di Montecupo, hob den ganzheitlichen Einsatz – von Nothilfe zu Krankenversorgung über die Unterstützung von Bildungseinrichtungen - seiner Organisation im Heiligen Land und an Krisenherden auf der ganzen Welt hervor.

Im letzten Panel des Vormittags ging es um „Das Recht des Kindes auf Familie“, wobei unter anderen Mariella Enoc zu Wort kam, die ehemalige Präsidentin des vatikanischen Kinderkrankenhauses Bambino Gesu und Vorstandsmitglied der amerikanischen Stiftung „Patrons of the World’s Childrens Hospital“, die die Globale Allianz des Papstes für die gesundheitliche und humanitäre Versorgung von Kindern koordiniert und in Form eines Netzwerks Krankenhauseinrichtungen aus der ganzen Welt zusammenbringt. Sie warnte davor, dem Egoismus freie Hand zu lassen und dadurch beispielsweise die „unsichtbaren“ Kinder links liegen zu lassen, die ohne Familie in Europa ankommen und – schlimmer noch – beim Versuch der Anpassung ihre Wurzeln verlieren. Es gelte, die Erwachsenen zu einem Bewusstseinswandel zu führen, um eine Allianz zu schmieden, die nicht nur allen zugutekomme, sondern auch einen Vorbildcharakter für die gesamte Welt darstellen könne.

„Wir hoffen, dass dieser Gipfel das Licht auf viele unsichtbare Kinder lenken wird“

Rund um den Gipfel positionierten sich auch teilnehmende Kinderschutzorganisationen wie UNICEF oder Save the Children. Kinder müssten im Mittelpunkt der politischen Agenda der Welt stehen, unterstreicht letztere Organisation in einem Statement ihrer Generaldirektorin Daniela Fatarella auf dem Kinderrechtsgipfel im Vatikan. Die Organisation weist darauf hin, dass weltweit jedes Jahr eine Milliarde Kinder von Gewalt betroffen sind, einschließlich körperlichem, sexuellem und emotionalem Missbrauch und Vernachlässigung. Im Jahr 2023 lebte fast jedes fünfte Kind (insgesamt 473 Millionen) in einem Kriegsgebiet, in dem jeden Tag durchschnittlich 31 Kinder verstümmelt oder getötet würden, während eines von 50 Kindern zur Flucht gezwungen wurde, so Save the Children.

„Wir haben die Pflicht, jeden Tag die Kinder, ihre Rechte und ihre Hoffnungen in den Mittelpunkt der internationalen Debatte zu stellen und dazu beizutragen, dass die Notwendigkeit, die Anstrengungen zum Schutz der Kinder in der ganzen Welt zu verstärken, ins Rampenlicht gerückt wird“, so Daniela Fatarella.

Ähnlich äußerte sich UNICEF Italien über seinen Sprecher Andrea Iacomini. Der Gipfel, den Papst Franziskus einberufen habe, stelle eine wichtige Gelegenheit dar, „die Herausforderungen, vor denen wir Erwachsenen, Politiker, Vertragsstaaten und alle, die in irgendeiner Weise zum Schutz und zur Wiederherstellung der Kindheit von Kindern und zur Verbesserung ihrer Lebensbedingungen beitragen können, ins Rampenlicht zu stellen. Kinder sind die Schwächsten in unserer Gesellschaft“, so Iacomini, der ebenfalls die besonders prekäre Lage von Kindern in Krisengebieten hervorhob: „Mit Blick auf das Jahr 2025 gehen wir davon aus, dass in diesem Jahr 213 Millionen Kinder in 146 Ländern und Gebieten auf humanitäre Hilfe angewiesen sein werden - eine erschütternde Zahl. Wir hoffen, dass dieser Gipfel das Licht auf viele unsichtbare Kinder lenken wird“.

Abschluss mit Papst Franziskus

Nach der Mittagspause waren noch zwei Panels vorgesehen: „Das Recht der Kinder auf Freizeit“ mit IOC-Präsident Thomas Bach und anderen; und zuletzt mit Blick auf die besondere Lage von Kindern, die von Ausbeutung betroffen sind oder in Krisengebieten leben, das Panel: „Das Recht des Kindes auf ein Leben frei von Gewalt“. Zum Abschluss der Arbeiten war wieder Papst Franziskus dabei, er gesellte sich, früher als vorgesehen, direkt zum Beginn der Nachmittagssitzung zu den Teilnehmern.

„Sport und körperliche Betätigung sind entscheidend für Kinder, für ihre Gesundheit und für ihre Beziehungen, für ihre Disziplin und für das Fairplay“, sagte Thomas Bach in seinem Redebeitrag. Bach betonte die Verbindung zwischen „Sport und Solidarität“ und erinnerte an die „Millionen von Kindern, die an olympischen Programmen teilnehmen“, denn „Sport bedeutet Integration und Respekt“. Des Weiteren mahnte er: „Sport muss ein Raum sein, der frei von Missbrauch und Ausbeutung ist“.

„Sport ist Frieden“, fügte Bach hinzu und schloss mit den Worten: „Heute werden wir an unsere kollektive Verantwortung erinnert: Um eine bessere Welt für unsere Kinder zu schaffen, müssen wir schneller handeln, höhere Ziele verfolgen, stärker sein und uns die Hände reichen. Deshalb lade ich heute alle Anwesenden ein, unabhängig von ihrer Lebensaufgabe, sich mit uns zusammenzuschließen, um sicherzustellen, dass jedes Kind das Recht auf einen sicheren Sport genießen kann. Damit leben wir unser olympisches Motto: Schneller, höher, stärker. Zusammen.“

Eine Lanze für eine unbeschwerte und behütete Kindheit angesichts der zunehmenden Digitalisierung brach der Franziskaner Paolo Benanti, anerkannter Experte für die Fragen in Zusammenhang mit den Entwicklungen der Künstlichen Intelligenz. Eine Kind verbringe heute durchschnittlich fünf geschlagene Stunden vor dem Bildschirm, erläuterte Benanti. Im Globalen Süden sei es Erhebungen zufolge einfacher, eine Mobilfunksendeanlage zu finden, als eine funktionierende Toilette, so die provozierende Ansage des Ordensmannes. Doch nur ein Bruchteil der Nutzer wisse auch, wie man derartige Geräte programmiere, so dass die allermeisten zu reinen Usern degradiert würden, in den Fängen derjenigen, die sich mit dem Nutzen - berechtigterweise - auch große Einkommen erhofften, darunter beispielsweise Spieleentwickler, die das Verhalten der Kinder vor den Bildschirmen analysierten und gezielt Suchtmechanismen installierten. Umso wichtiger sei es, dass Eltern ihre Kinder bei der Nutzung begleiteten und auch andere Freizeitmöglichkeiten förderten. 

Abschluss: Panel zum Recht der Kinder auf ein Leben ohne Gewalt

Die argentinische Ordensfrau Martha Pelloni wies dann im letzten Panel zum Recht des Kindes auf ein Leben frei von Gewalt in der Sektion, in der es um Kinderarbeit und Ausbeutung ging, auf besonders herzzerreißende Situationen von Kindern hin, darunter auch den Verkauf von Kindern im Rahmen von Adoptionen, durch Raub aus Krankenhäuser oder Entführungen, oder auch die fürchterliche Praxis von Handel mit den Organen von Kindern, die zum Beispiel in psychiatrischen Einrichtungen untergebracht sind, ein besonders schlimmes Phänomen, das weiter verbreitet ist, als man annehmen sollte.

Der indische Menschenrechtsaktivist Kailash Satyarthi, der für seinen Einsatz gegen Kinderarbeit mit dem Nobelpreis 2014 geehrt wurde (gemeinsam mit der damals 17-jährigen pakistanischen Menschenrechtsaktivistin Malala Yousafzay) rief in seinem Beitrag bei dem Panel eindringlich dazu auf, eine „Kultur des Problemlösens“ zu schaffen und „Mitgefühl zu globalisieren“.

Besonders bitter: Ausgebeutete Kinder

Im zweiten Teil des letzten Panels ging es um den Schutz von Kindern in bewaffneten Konflikten und Umweltzerstörung. Dabei ergriff neben dem Präsidenten von Interpol, Ahmed Naser al-Raisi, und dem amerikanischen Ex-Vize-Präsidenten Al Gore in seiner Eigenschaft als Gründer und Vorsitzender des Climate Reality Project auch der Vikar der Kustodie des Heiligen Landes, der Franziskaner Ibrahim Faltas, das Wort. Er berichtete von der desolaten Situation der Kinder im Gazastreifen, die teils nur Krieg erlebt haben und von denen viele wegen des Mangels an adäquater medizinischer Versorgung und Nahrung verstorben sind. Kinder hätten ein Recht darauf, unbeschwert aufzuwachsen, so der Appell des Ordensmannes.

Als letzter Redner trat Al Gore auf, der einen eindringlichen Appell zum konkreten Einsatz für eine Welt formulierte, in der Kinder Hoffnung für die Zukunft haben könnten und dem „Klimachaos“, wie es sich heute darstelle, entgegengewirkt werde. So wie sich die Situation heute darstellte, erbten die Kinder einen „Planeten am Abgrund", so der Politiker und Aktivist.

Appell für Kinderrechte

Abschließend wurde nach einer kurzen Ansprache des Papstes ein Appell von acht konkreten Punkten zum Einsatz für das Kindeswohl unterzeichnet, darunter auch die Herausforderung an die internationalen Regierungen, das Thema auf ihre Agenden zu heben. Es dürfe nicht sein, so ein weiterer Punkt, dass Gleichgültigkeit die Normalität werde, auch sei das Phänomen der schutzlosen Kinder alarmierend, liest es sich dort.

Hier noch einmal zum Nachschauen im Original und ohne Übersetzungen:

1. Teil: https://www.youtube.com/watch?v=adp23WmIjKg

2. Teil: https://www.youtube.com/watch?v=nGRmCpKd-xc

3. Teil:  https://www.youtube.com/watch?v=BceWlKnDn8A

(vn 5) 

 

 

 

 

 

Rechte Beziehungspflege

 

Trumps Amtseinführung schürt die Angst vor einer globalen Allianz der Rechten. Doch wie geeint ist das rechtspopulistische Lager wirklich? Marco Bitschnau

Alle waren sie gekommen, um Donald Trumps zweiter Amtseinführung beizuwohnen: Freunde und Familie, Senatoren und Tech-Milliardäre, Richter des Obersten Gerichtshofs und natürlich auch auswärtige Politprominenz. Doch auf der offiziellen Gästeliste fehlten auffälligerweise einige der wichtigsten europäischen Staats- und Regierungschefs: Weder der wahlkämpfende Olaf Scholz noch Emmanuel Macron oder Ursula von der Leyen waren vertreten. Dafür unter anderem Italiens Regierungschefin Giorgia Meloni, Argentiniens Präsident Javier Milei, der VOX-Gründer Santiago Abascal, die Brexit-Ikone Nigel Farage, der AfD-Vorsitzende Tino Chrupalla sowie der ehemalige polnische Ministerpräsident Mateusz Morawiecki. Wobei Letztgenannter in die bizarre Verlegenheit kam, einige unbedarfte Nationalgardisten unter Zuhilfenahme seines Wikipedia-Artikels überhaupt erst von seiner Identität überzeugen zu müssen. Wie schnell der Ruhm der Welt doch vergeht.

Ein Verstoß gegen das Protokoll lag bei dieser Auswahl nicht vor, denn es ist Privatsache des Gewählten, wen er an seinem großen Tag an seiner Seite haben möchte. (Befreundete Nationen sind ohnehin mit ihren Botschaftern vertreten.) Und doch zeigten sich viele Beobachter besorgt, weil Trump mehrheitlich Akteure in vorderster Front platziert hatte, die man – wie ihn selbst – häufig unter den Begriff der radikalen oder populistischen Rechten fasst. In der Folge ergab sich auf der einen Seite ein detaillierter Ausdeutungsprozess (etwa zur Frage, warum Éric Zemmour statt Marine Le Pen geladen war) und auf der anderen die Erzählung, dass man es hier offenbar mit einer weiteren Manifestation jener nationalistischen Internationalen zu tun habe, von der seit Jahren allerorten die Rede ist. Einem Netzwerk sinistrer Kräfte also, die einander geistige wie materielle Schützenhilfe leisten und die Trump nun für seinen Kreuzzug gegen die liberale Ordnung um sich schart. Ein wenig wie bei Harry Potter, wo die Anhänger Voldemorts ebenfalls keine Zeit verlieren, dem zurückgekehrten Meister ihre Aufwartung zu machen und erneut seinen Befehlen zu lauschen.

Aus dem Umstand, dass die radikale Rechte ebenso gern Beziehungspflege betreibt wie Liberale, Konservative oder Sozialdemokraten, wird so ein Ausweis für das Vorhandensein eines geeinten Machtblocks – und infolgedessen Material für dunkle Vorannahmen und Marktschreierei. Zum Teil fühlt man sich gar an gängige Verschwörungstheorien erinnert, nur dass es dieses Mal nicht ominöse globale Eliten, sondern eben die „Nationalisten“ und „Autokraten“ dieser Welt sind, die klandestine Absprachen treffen. Tritt man nüchterner an die Sache heran, wird indes schnell klar, dass Bekundungen von Nähe und Sympathie (wie sie hier zweifelsohne bestehen) eine relative Weichwährung auf dem politischen Devisenmarkt darstellen: Am Ende mögen sich Politiker A und B noch so gerne die Hände schütteln und vor der Kamera posieren, die interessengeleitete Logik internationaler Politik setzen sie so trotzdem nicht außer Kraft.

Das bedeutet nicht, dass ihre Beziehung in jedem Fall bedeutungslos wäre – sie bleibt aber in der Regel untergeordnetes Element. So mag man konzedieren, dass etwa die deutsch-französischen Beziehungen durchaus von dem Miteinander zwischen Konrad Adenauer und Charles de Gaulle profitiert haben. Man muss im gleichen Atemzug aber anerkennen, dass die Aussöhnung beider Länder eine systemische Notwendigkeit der europäischen Nachkriegsordnung war. Dem Einzelnen kam dabei allenfalls die Rolle des Türöffners und Fazilitators zu.

Auch den verschiedenen US-Regierungen ist zunächst vor allem an der Durchsetzung nationaler Interessen gelegen. Dabei kann es in Nuancen durchaus einige Unterschiede geben, kann der eine Amtsinhaber vorsichtiger und der andere rustikaler zu Werke gehen, kann der eine mehr die Langzeit- und der andere die Kurzzeitperspektive im Kopf haben. All das ändert aber nichts am Interessenprimat selbst oder an den daraus abgeleiteten Kontinuitäten in der Regierungsführung. Trump etwa polterte mit Vorliebe gegen Barack Obama, knüpfte in sicherheitspolitischen Fragen aber dennoch an dessen Vorarbeit an. Und sein Nachfolger/Vorgänger Joe Biden gerierte sich zwar als Partner auf Augenhöhe, dachte aber keineswegs daran, sich vom einst so geschmähten America First-Prinzip zu verabschieden.

Schlägt man den Bogen zurück zur nationalistischen Internationalen, ist festzustellen, dass beispielsweise Viktor Orbán zwar ein gern gesehener Gast der Trump-Regierung sein mag, dass das von ihm regierte Ungarn aus US-Sicht aber dennoch ein semiperipherer Kleinstaat bleibt und auch bei noch so tiefgehender Sympathie kaum je einen anderen Rang einnehmen wird. Die Musik aus Berlin und Paris mag knarziger daherkommen als jene aus Budapest. Aber wenn die Kameras aus und die Besucher abgereist sind, ist sie es, der man am Ehesten Gehör schenkt.

Dazu ist zu bedenken, dass radikale Rechte nicht gleich radikale Rechte sind, sondern dass die so bezeichneten Akteure vielmehr eine erhebliche ideologische Buntscheckigkeit auszeichnet. So geht ein erklärter Freihändler wie Milei in vielen substantiellen Fragen nicht sonderlich gut mit einem Trump zusammen, der lautstark verkündet, Zollschranken hinabsausen und Handelskriege vom Zaun brechen zu wollen. Und auch die Passung zwischen dem Niederländer Geert Wilders, der sich die Verteidigung Homosexueller auf die Fahnen schreibt, und den geschlechterpolitisch konservativen Kräften Osteuropas ist alles andere als gut. Ganz zu schweigen von den diversen Irritationen auf europäischer Ebene, wo der stetig wachsende Rechtsaußenblock seit Jahren in sich befehdende Parlamentsfraktionen gespalten ist. Die einen zieht es in die Mitte, während die anderen an den Rand drängen; die einen haben sich in der Opposition eingerichtet, während die anderen nach realpolitischem Einfluss suchen. Und ehe man sich versieht, sind aus den einen die anderen geworden und aus den anderen die einen.

Nur von Zeit zu Zeit erfährt die Öffentlichkeit, wie sehr es in diesem Gebälk knirscht und wie fassadenhaft die Vorstellung einer rechten Einheitsfront letztlich anmutet. Etwa dann, wenn ein Spitzenfunktionär der AfD über die Verantwortung von SS-Angehörigen philosophiert und der erboste französische Partner umgehend die Beziehungen kappt. Oder wenn durchsickert, wie spinnefeind sich die vermeintlichen Bundesgenossinnen Meloni und Le Pen in Wahrheit sind und wie sehr der italienisch-französische Interessengegensatz ihr Verhältnis belastet. Dass am Ende häufig versucht wird, sich auf die Migrations- und Elitenkritik als kleinsten gemeinsamen Nenner zu verständigen, mag zum einen daran liegen, dass es keine Großideologie als einigende Klammer gibt. Es mag aber auch dem Umstand geschuldet sein, dass radikal rechtes Denken ein erhöhtes Maß an Binnenorientierung nahelegt. Denn so gerne man sich auch im Ruhm fremder Wahlsieger sonnt, am Ende ist man doch Partikularist genug, um das eigene Land als primäres Betätigungsfeld anzusehen und Gesinnungsexport nicht ars gratia artis betreiben zu wollen. Auch vor diesem Hintergrund erscheint das Wort von der nationalistischen Internationalen weniger als Scheinparadox, denn als Widersinn.

Plakativer formuliert: Trump, Meloni, Orbán, Milei und Konsorten sind nicht Filialleiter eines gemeinsamen Mutterkonzerns, sondern auf eigene Rechnung kalkulierende Politunternehmer, die ihr Verhältnis zueinander den Notwendigkeiten des heimischen Geschäfts unterordnen. Um zu verstehen, was etwa den Argentinier Milei großgemacht hat und wie seine Ziele beschaffen sind, nutzt der Blick auf euro-amerikanische Erfahrungswelten daher nur bedingt. Was aber nutzen kann, ist eine Vorstellung davon, wie der Peronismus die Politik des Südkegels über Jahrzehnte geprägt hat, welche Rolle er auch heute noch als gesellschaftliche Spaltungslinie spielt und wie das Land seit der Regierung Kirchner in jene Turbulenzen geschlittert ist, die libertären Ansätzen erst zur Massentauglichkeit verholfen haben.

Mit ihr im intellektuellen Tornister ist man gefeit davor, stilistische Gemeinsamkeiten allzu leichtfertig mit inhaltlicher Essenz zu verwechseln – und man weiß, dass die Idee von Milei als argentinischem Trump ebenso fehlgeht wie jene von Trump als amerikanischem Milei. Den einen als kulturell eingefärbtes Abziehbild des jeweils anderen zu begreifen, ist nicht minder bequem, als eine Gästeliste zum Gründungsdokument weltpolitischer Allianzgestaltung zu erheben. In beiden Fällen lohnt aber ein Blick auf die Verhältnisse unterhalb der Oberfläche und ein vertieftes Bewusstsein dafür, dass auch globale Entwicklungen noch immer national gerastert sind. IPG 4

 

 

 

 

 

Wilde neue Welt

 

Mit Trumps Rückkehr gerät die UN unter Druck – dennoch wird der US-Präsident den Multilateralismus auch für seine Interessen benutzen. Matthias Jobelius

Die Vereinigten Staaten waren über viele Jahrzehnte die unverzichtbare Nation des Multilateralismus. 1945 wurden die USA zum Architekten eines globalen Institutionengefüges, das die Welt vor neuen Abgründen bewahren sollte. Ohne den entschlossenen Einsatz von Präsidenten wie Roosevelt und Truman hätte es keine Vereinten Nationen, keinen Internationalen Währungsfonds und keine Weltbank gegeben. Und ohne das enorme finanzielle Engagement der USA hätte das UN-System die Jahrzehnte nicht überdauert. Es dient US-Interessen, andere Staaten in ein multilaterales System einzubinden, dessen Regeln man wesentlich mitbestimmt – das war das Leitbild, welches die USA in der gesamten zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts unter wechselnden Administrationen zu einem multilateralen Akteur machte.

Dieses Leitbild bekam nach der Jahrhundertwende erste Risse: Die Invasion im Irak, der Drohnenkrieg, die Schwächung des Internationalen Strafgerichtshofs, der erste Austritt aus dem Pariser Klimaabkommen – eine lange Liste politischer Entscheidungen lässt im Rückblick zweifeln, ob es den USA gelungen ist, den „unipolaren Moment“ nach dem Ende des Kalten Krieges klug zu nutzen. In der Folge verlor Washington an Soft Power, die Kritik an Doppelstandards wurde lauter und die weltweite Unzufriedenheit mit der US-dominierten internationalen Ordnung wuchs.

Diese Ordnung gehört der Vergangenheit an, eine Nachfolgeordnung hat sich noch nicht etabliert. Stattdessen befindet sich die Welt in einer Übergangsphase, einem instabilen Interregnum. Sie ist durch mehr Multipolarität und einen relativen Rückgang US-amerikanischer Macht geprägt. Diese Phase wird noch länger anhalten, unabhängig davon, wer in Washington regiert. Daher wäre es falsch, in Trump den Beginn einer neuen Ordnung zu sehen. Aber es gibt Grund zu der Annahme, dass das Verhältnis der USA zur internationalen Staatengemeinschaft nach seiner Wiederwahl in eine qualitativ andere Phase eintritt. Trumps Administration steht für einen neuen Ansatz von Außenpolitik, der Nachahmer finden wird und damit prägend für die Staatenwelt im Interregnum sein könnte.

Es ist der Modus einer Großmacht, die sich nicht durch internationale Regelwerke in ihrer Handlungsfreiheit beschneiden lassen möchte. In dieser Logik sind multilaterale Organisationen Hindernisse, und nur im besten Fall noch nachgeordnete Instrumente zur Durchsetzung von Interessen. Nicht mehr die regelbasierte Ordnung (rules-based order), sondern die geschäftsbasierte Ordnung (deals-based order) scheint Leitbild der USA für ihre Interaktion mit der Staatengemeinschaft zu sein. Eng definierte nationale Vorteile und innenpolitische Erwägungen sind für die Trump-Administration wichtiger als die Sicherung langfristiger Interessen durch multilaterale Regelwerke. Durchgesetzt wird das mittels einer „erzwingenden Diplomatie“ (coercive diplomacy). Zölle, Drohungen, Strafen und Sanktionen sind dabei das Mittel der Wahl. Zugleich gewinnt die bilaterale Ebene gegenüber Bündnissen an Bedeutung. Das UN-System wird bei diesem transaktionalen Powerplay in den Hintergrund treten.

Dieser Ansatz trifft auf ein bereits geschwächtes multilaterales System. Die Anforderungen an den Multilateralismus werden immer höher, doch scheinen die UN immer weniger in der Lage, ihnen gerecht zu werden. Davon zeugen nicht zuletzt die vielen Blockaden im Sicherheitsrat. Die geopolitischen Rivalitäten und der Mangel an wechselseitigem Vertrauen zwischen den Großmächten sind wesentlicher Treiber dieser Entwicklung. Rivalität und Vertrauenserosion werden unter der neuen Administration wachsen. Die US-Regierung erzielt mit ihrem Muskelspiel derzeit zahlreiche Tagessiege über andere Staaten. Doch ihre Verbündeten blicken genau auf den Umgang mit Panama, Kolumbien und Dänemark, und lernen dabei, wie wichtig es ist, nicht zu sehr von den USA abhängig zu sein. Der Verlust an Ansehen, Vertrauen und Soft Power, den die USA dabei erfahren, ist bemerkenswert. Und auch der Rest der Welt hat Grund zur Besorgnis: Nachdem Trump eine Erweiterung des eigenen Territoriums zum Ziel erklärt hat, verfolgen mit China und Russland nun drei der fünf permanenten Mitglieder des UN-Sicherheitsrats eine expansive geopolitische Agenda. Doch je größer die Rivalität, desto unwahrscheinlicher die Einigung auf gemeinsame Regeln.

Das ist problematisch, denn unter den 193 UN-Staaten herrscht ein großer Konsens darüber, dass das multilaterale System reformbedürftig ist. Die bisherige Ordnung wird von vielen Staaten als ungerecht empfunden. Die Staaten Afrikas, Lateinamerikas und Asiens fordern eine Reform des Sicherheitsrats, mehr Mitspracherechte bei IWF und Weltbank, bei globalen Steuerfragen sowie bei der Auswahl von Spitzenpersonal und eine bessere Entwicklungs- und Klimafinanzierung zugunsten des Globalen Südens. Viele dieser Forderungen würden für die USA und andere westliche Staaten bedeuten, Privilegien abzugeben und mehr Ressourcen bereitzustellen. Es ist unwahrscheinlich, dass die Trump-Administration, aber auch andere westliche Regierungen zu solchen Zugeständnissen bereit sind. Die Legitimitätsprobleme des multilateralen Systems werden dadurch wachsen, seine Reformfähigkeit abnehmen.

Potenziert werden die Probleme durch den zu erwartenden Rückgang der finanziellen Zuwendungen der USA. So sind die UN mit Einnahmen von rund 74 Milliarden  US-Dollar – gemessen an ihren Aufgaben – bereits heute unterfinanziert. Die USA trugen zuletzt rund 28 Prozent aller mitgliedstaatlichen Zuwendungen. Nun bereiten sich die UN und viele ihrer Sonderorganisationen darauf vor, dass die USA ihre Beiträge kürzen und in manchen Fällen ganz einstellen. In einigen Bereichen und Regionen könnte das die UN an den Rand der Handlungsunfähigkeit bringen.

Dass der Ukraine-Krieg und viele weitere Kriege unvermindert andauern, ist ebenfalls Ausdruck eines geschwächten Multilateralismus. Bei der Lösung von Kriegen und Konflikten war auch die UN zuletzt kaum mehr präsent. Sollte es Trump gelingen, Waffenstillstände zu erzwingen und Konflikte zu stabilisieren, würde das auf seine außenpolitische Bilanz einzahlen. Die deal-basierte Ordnung erschiene plötzlich dem Multilateralismus überlegen. Es wäre jedoch ein Pyrrhussieg. Denn in der Folge würde ein stabiles Geflecht multilateraler Regeln durch ein labiles Geflecht bilateraler Transaktionen ersetzt. Europa kennt diesen Ansatz zur Genüge aus dem 19. Jahrhundert. Er endete in Gewalt.

Die Staaten Europas haben aus dieser Erfahrung ihre eigenen Schlüsse gezogen. Die Europäische Union ist ein Resultat davon. Und sie gibt der Staatenwelt Ideen in die Hand, um in der wilden Welt, auf die wir zusteuern, zu navigieren. Der aus den EU-Verträgen bekannte Mechanismus der vertieften Zusammenarbeit kann ein Leitbild für neue Allianzen mit Ländern in Lateinamerika, Afrika und Asien sein. Mit ihnen gilt es, strategischer und intensiver an gemeinsamen Projekten zu arbeiten. Gerade die Länder des Globalen Südens haben ein Interesse an gemeinsamen Regeln, die sicherstellen, dass die künftige Weltordnung kein Konzert der Großmächte wird.

Damit solche Reformallianzen funktionieren, muss den Partnern verdeutlicht werden, dass sich in der rules-based order noch immer die besseren „Geschäfte“ machen lassen als in der deals-based order, welche nur jene bevorteilt, die viel Verhandlungsmacht mitbringen. Die EU sollte sich deshalb auf diejenigen Reformfelder konzentrieren, die für die Länder des Globalen Südens dringlich sind: besserer Zugang zu Finanzmitteln und finanziellen Sicherheitsnetzen, nachhaltige Modelle der Entwicklungsfinanzierung, Lösungen für die globale Schuldenkrise, mehr Mitspracherechte in IWF und Weltbank, eine Reform des UN-Sicherheitsrats, ein gerechteres globales Steuersystem.

Viele weitreichende Reformen sind ohne die USA undenkbar. Daher ist die Zusammenarbeit mit der US-Regierung weiterhin von höchster strategischer Bedeutung. Ziel muss es sein, die USA so eng wie möglich an internationale Mitgliedschaften und Abkommen zu binden. Das ist möglich. Mit Elise Stefanik hat Trump eine Person aus seinem engsten Umfeld zur UN-Botschafterin gemacht. Das wertet den Posten auf. Stefanik wird Kabinettrang haben, was für republikanische Administrationen nicht selbstverständlich ist. Sie ist jung, versiert und ambitioniert, und wird ihre Position nutzen, um sich ein eigenes außenpolitisches Profil zu geben, das ihren Karriereplänen dienlich ist. Eine konstruktive Zusammenarbeit mit Stefanik zu ausgewählten UN-Dossiers ist daher möglich.

Doch damit eine multilaterale Zusammenarbeit mit den USA funktioniert, muss Washington der strategische Wert multilateraler Regeln deutlicher gemacht werden. Weder Unordnung noch Machtvakua sind im Interesse der USA. Das waren sie nie. Für die wilde Zeit, vor der die Welt steht, lohnt es sich, in Erinnerung zu rufen, weshalb Roosevelt und Truman so engagiert waren, die Staatengemeinschaft 1945 überhaupt zusammenzuholen, damit sie sich mit der Charta der Vereinten Nationen eine eigene Verfassung geben konnte: um die Völker der Welt vor „der Geisel des Krieges zu bewahren“. Die Ordnung, zu deren Geburt diese Worte in die Präambel der Charta geschrieben wurden, hat sich inzwischen aufgelöst. Nun hat die Staatengemeinschaft keine wichtigere Aufgabe, als diesen Kernauftrag in eine neue Ordnung zu überführen. Dafür bleiben die Vereinigten Staaten unumgänglich. Und die Vereinten Nationen unverzichtbar. IPG 4

 

 

 

 

 

Botschafterinnen gegen den Menschenhandel werben für Aktionen

 

Im Vorfeld des katholischen Welttages gegen den Menschenhandel halten sich derzeit junge Aktivistinnen, die mit dem Netzwerk Talitha Kum zusammenarbeiten, in Rom auf. Am Montag durchschritten sie dort drei Heilige Pforten. Möglichkeiten zur Beteiligung bietet zum Beispiel eine App.  Von Schwester Bernadette M. Reis, FSP

 

Die jungen Leute, vorwiegend Frauen, kommen aus Australien, Kamerun, Japan, Albanien, Rumänien, der Ukraine, Kenia, Mexiko, Uruguay und Peru. Sie alle haben sich als Jugendbotschafterinnen mit „Talitha Kum“, dem internationalen Netzwerk von Ordensfrauen zur Bekämpfung des Menschenhandels, zusammengeschlossen.

Ihre einwöchigen Aktivitäten in Rom begannen am Samstag, 1. Februar, mit einer Orientierungsveranstaltung. Am Sonntag trafen sie sich mit Papst Franziskus auf dem Petersplatz, um den Angelus zu beten.

Pilger der Hoffnung, „walking in dignity“

Am Montag wurden die Jugendbotschafterinnen zu „Pilgerinnen der Hoffnung“: Früh am Morgen versammelten sie sich am Ende der Via della Conciliazione, um ihre Pilgerreise zum Petersdom zu beginnen.

Die Gruppe war nicht nur physisch, sondern auch digital unterwegs: die „Walking in Dignity“-App zählte dabei jeden ihrer Pilgerschritte. Diese Schritte, mit denen die Schwelle der Heiligen Pforte überschritten wurde, tragen zum Kampf gegen den Menschenhandel bei und kommen verschiedenen Initiativen des Netzwerkes gegen den Menschenhandel „Talitha Kum“ in der ganzen Welt zugute.

Nachdem die Botschafterinnen gegen den Menschenhandel die Heilige Pforte des Petersdoms durchschritten hatten, passierten sie auch die Heilige Pforte des Lateran und der Basilika Santa Maria Maggiore. Am Donnerstag wollen sie die Heiligen Pforte in der Basilika Sankt Paul vor den Mauern durchschreiten.

Traum vom Ende des Menschenhandels

Die Jugendbotschafterinnen nutzten das Jubiläumsjahr und den Pilgerweg der Hoffnung, „um viele Menschen einzuladen, mit uns und mit Würde zu gehen“, kommentierte Schwester Abby Avelino, die internationale Koordinatorin von „Talitha Kum“, die Aktion.

Die Aktionswoche im Vorfeld des elften katholischen Welttages gegen den Menschenhandel am 8. Februar bietet viele Aktivitäten, von Gebet über Sensibilisierung bis hin zu Möglichkeiten der Vernetzung. Durch die Verwendung der App „Walking in Dignity“ kann jeder Teilnehmende das Bewusstsein für den Menschenhandel schärfen und gleichzeitig einen Beitrag zu Projekten leisten, die von Ordensfrauen weltweit gegen den Menschenhandel und zur Unterstützung Betroffener durchgeführt werden, wie Schwester Abby erinnerte.

„Unsere Schwestern arbeiten an der Basis – wir sprechen über 6.000 Mitglieder von ,Talitha Kum‘! Und während wir ,mit Würde‘ und mit den Menschen gehen, denken wir daran, wie viele Menschen immer noch in moderner Sklaverei leben; es sind schätzungsweise 50 Millionen. Wenn wir gemeinsam gehen, können wir träumen; wir können hoffen, dass der Menschenhandel ein Ende findet.“

Die „Walking in Dignity”- App

Die App „Walking in Dignity“ hatten Jugendbotschafterinnen von „Talitha Kum“ am 20. Januar 2024 gestartet. Damit laden sie Gleichaltrige ein, sich durch gemeinsames Gehen für Menschenhandelsopfer zu engagieren.

Die App „Walking in Dignity“ mache Informationen über die heimtückische Realität des Menschenhandels für jüngere Generationen zugänglicher, zeigte sich die Präsidentin der „Internationalen Union der Generaloberinnen“ (UISG) überzeugt. Die UISG hatte das Netzwerk „Talitha Kum“ vor fast 16 Jahren gegründet. Das Tool sei hilfreich für die Bewusstseinsbildung potentiell Betroffener und binde diese zugleich weltweit in Aktivitäten gegen den Menschenhandel ein.

Seit dem Start der App haben Nutzer aus 95 Ländern rund 200.000.000 Schritte gespendet, was 200.000 Token beziehungsweise einer Strecke von 52.120.000 Kilometern entspricht. Für neun Projekte, die mit „Talitha Kum“ verbunden seien, sei das angestrebte Ziel von 150.000 Token erreicht worden. Die App kann bei Google Play und im Apple App Store heruntergeladen werden. (vn 4)

 

 

 

 

 

Dritte Justiz-Niederlage. Meloni muss Flüchtlingslager in Albanien erneut räumen

 

Und Niederlage Nummer drei: Wieder stoppt ein Gericht in Rom einen zentralen Plan der rechten Regierung. Das teure Vorhaben hat noch nie funktioniert. Jetzt ist die europäische Justiz an der Reihe. Von Christoph Sator

Italiens rechte Ministerpräsidentin Giorgia Meloni kommt mit ihrem Plan zur schnellen Abschiebung von Mittelmeer-Flüchtlingen in Lagern außerhalb der EU nicht voran. Nach einer neuen Niederlage vor Gericht musste Italien wieder eine Gruppe von Geflüchteten aufnehmen, die zwischenzeitlich in Albanien interniert waren.

Die 43 Männer aus Ägypten und Bangladesch wurden am Samstag über die Adria mit einem Schiff der Küstenwache in die süditalienische Hafenstadt Bari gebracht. Dort stehen ihnen jetzt Unterkünfte zur Verfügung. Die endgültige Entscheidung über ihre Asyl-Anträge dürfte sich hinziehen. Somit hat Melonis „Albanien-Modell“ trotz hoher Kosten weiterhin kein einziges Mal funktioniert.

Meloni will Vorhaben durchziehen

Am Freitagabend hatte ein Berufungsgericht in Rom geurteilt, dass die Asylbewerber, die seit Mittwoch in einem von Italien betriebenen Lager in Albanien einsaßen, in die EU dürfen. Für Melonis Dreier-Koalition war dies bereits der dritte juristische Flop in Folge. Trotzdem will die Vorsitzende der Rechtspartei Fratelli d’Italia (Brüder Italiens) ihr Vorhaben durchziehen.

Bereits im Oktober und November hatten Richter verfügt, dass Italien über Asylanträge nicht außerhalb der EU entscheiden darf. Die beiden eigens errichteten Lager in Albanien stehen nun wieder leer. Unklar ist, ob Meloni nochmals Flüchtlinge dorthin bringen lassen will, bevor sich am 25. Februar der Europäische Gerichtshof (EuGH) äußert. Im Kern geht es um die Einstufung der Heimatländer von Migranten in sogenannte sichere Herkunftsstaaten.

Ablehnung im Schnellverfahren unzulässig

Die 43 Männer hatten sich zusammen mit anderen Migranten in Libyen auf den Weg nach Europa gemacht. Bevor sie in Italien an Land gehen konnten, wurden sie jedoch von der italienischen Marine an Bord genommen und nach Albanien gebracht. Dort lehnten italienische Beamte alle Asylanträge im Schnellverfahren ab. Die Richter kippten diese Entscheidungen jedoch. In sechs anderen Fällen durften Migranten zuvor schon einreisen, aus unterschiedlichen Gründen.

Italien ist der erste Staat der Europäi