Webgiornale 21 giugno – 15 settembre 2024

Inhaltsverzeichnis

·      Il voto europeo. Italia: conferme e sorprese. 1

·      Il voto europeo rafforza Von der Leyen. Scossone politico Ue. 1

·      Il risultato choc delle Europee in Germania: l'ultradestra AfD secondo partito. 1

·      Elezioni europee: il non voto conquista la maggioranza assoluta. 1

·      Appello. Rompiamo il silenzio sull’Africa. 1

·      Rapporto UNICEF sul clima: l’inquinamento atmosferico responsabile di 8,1 milioni di decessi 1

·      Cgie. M. C. Prodi nuova Segretaria Generale, G. Stabile nuovo Vice per l’Europa. 1

·      Plenaria del Cgie: la relazione di Governo del Sottosegretario Silli 1

·      In Germania il pericolo di una giustizia compromessa? Rafforzare la Corte Costituzionale. 1

·      La destra scuote l’Ue, ma la maggioranza Ursula regge. 1

·      Euro 2024, verdi e pieni di speranza: sono 40mila i volontari in Germania. 1

·      Il “Punto Italia” per l’assistenza ai tifosi italiani in Germania. 1

·      Humbolt Universität di Berlino: a rischio l'istituto di italianistica. 1

·      Berlino. La Festa della Repubblica all’Ambasciata. 1

·      Iserlohn. Premiati i vincitori del concorso “Il migliore gol delle nostre nazionali”. 1

·      Le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia a Monaco di Baviera. 1

·      Recenti puntate di Cosmo italiano, ex-Radio Colonia. 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/alluvioni-germania-baviera-passau-regensburg-100.html. 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/caffe-italiano-tedesco-barista-germania-salute-100.html. 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/afd-crisi-krah-100.html 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/buchmesse-francoforte-italia-paese-ospite-100.html. 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/eike-schmidt-arte-politica-100.html 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/channels/italia-channel-100.html. 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/index.html 1

·      https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/dossier-e-speciali/nuova-app-cosmo-100.html. 1

·      Berlino. Assegnato il Premio 2024 per la traduzione italo-tedesca. 1

·      Brevi di cronaca e politica tedesca. 1

·      Il voto europeo a Friburgo/Brsg: italo-tedeschi a Strasburgo e in Consiglio comunale. 1

·      A Berlino la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. 1

·      Futuro della manifattura tra Italia e Germania: Forum Italo-Tedesco con l'AHK Italien. 1

·      Stoccarda. Intervista a Mario Fadini, uomo del fare. 1

·      Voto europeo. Il seggio elettorale a Kempten. 1

·      “Visioni sarde”: successo per il secondo incontro organizzato dal Comites Berlino. 1

·      IIC di Amburgo: documentario (19 giugno) e Caffè Letterario (25 giugno) 1

·      La pensione di invalidità tedesca. 1

·      80 anni dallo Sbarco in Normandia. 1

·      Il Ministro degli Esteri Tajani interviene all’Assemblea Plenaria del Cgie. 1

·      Plenaria Cgie. Problemi e futuro: le relazioni delle Commissioni e dei Vicesegretari 1

·      Essere italiani 1

·      Autonomia differenziata delle Regioni: approvato in via definitiva il disegno di legge. 1

·      L’amore tossico: quando una relazione fa più male che bene?. 1

·      Storia dell'emigrazione italiana in Europa: uscito il secondo volume. 1

·      Uscito il volume “Storia dell’emigrazione italiana dall’Unità a oggi”. 1

·      Il sole dentro. 1

·      Elezioni europee 2024: la vittoria dell’estrema destra. 1

·      Europee all’estero: affluenza al 7,11. PD primo partito. 1

·      Oltre 35mila biglietti ai giovani per viaggiare gratuitamente in Europa. 1

·      La via del riscatto. 1

·      Quanto pesa la denatalità sull’economia? L’analisi di Bankitalia. 1

·      Il cripto-asset 1

·      Unicef Italia festeggia i suoi 50 anni lanciando due progetti 1

·      Fronte economico nazionale. 1

·      Il terremoto che cambia tutto e niente. 1

·      Dalla fabbrica alla scuola: la lunga strada per eliminare il lavoro minorile. 1

·      Istat. Rapporto sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione italiana. 1

·      Il miraggio. 1

·      Un futuro più sano. 1

·      Esenzione IMU per l’estero: parere favorevole della Commissione. 1

·      Più si è poveri, meno si vota: l’astensionismo in Italia e in Ue. 1

·      Plenaria Cgie. Voto, diritti consolari, enti gestori e cittadinanza: il dibattito in assemblea. 1

·      Cosa fare per non perdere la pensione di invalidità. 1

·      Il concetto. 1

·      Scuole all’estero e turn over dei docenti 1

·      Monaco di Baviera: all’IIC mostra sui campionati europei con le figurine (fino al 15 luglio) 1

·      Sardi all'estero, serve un associazionismo al passo coi tempi 1

·      Campagna di comunicazione del Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana. 1

·      Una piazza messaggera d’amore. Prima edizione del Premio Città di Spoltore. 1

·      A luglio le quattordicesime anche per i pensionati all’estero. 1

·      Vignali sulla piattaforma Italea per il Turismo delle Radici 1

 

 

1.     Zum Weltflüchtlingstag. Die verschwiegene Zuflucht in Afrika. 1

2.     Regierungsbericht. Bedenken gegen Asylverfahren in anderen Ländern. 1

3.     Regierung will Rechte von Missbrauchsopfern stärken. 1

4.     Weltflüchtlingstag: Neue Rekordzahl von 120 Millionen Geflüchteten. 1

5.     „Pakt für Willkommenskultur“. Visaverfahren für Fachkräfte stark beschleunigt. 1

6.     Sachverständige äußern Bedenken gegen Asylverfahren in Drittstaaten. 1

7.     Afrika: „Staatenlosigkeit beenden“. 1

8.     Gipfelerfolg, oder?. 1

9.     25 Jahre Europäische Hochschulreformen. DAAD würdigt Bologna-Prozess. 1

10.  Die Zeit danach. 1

11.  „Ganz unten im System“. Lübbe: „Die Ausbeutung von Arbeitsmigranten hat in Deutschland lange Tradition“  1

12.  Ukraine-Friedensgipfel: Territoriale Souveränität garantieren. 1

13.  200 Millionen Euro. EuGH verurteilt Ungarn zu Zwangsgeld wegen Asylpolitik. 1

14.  EU-Sonderregeln für Ukrainer werden verlängert – nur für Ukrainer! 1

15.  Schweiz: Friedenskonferenz für die Ukraine geht zu Ende. 1

16.  „Zeit, dass sich was dreht“. 1

17.  Die Helden auf dem Rasen: Wenn Fußballer zu Idolen werden. 1

18.  Internationalisierung der Hochschulen. DAAD begrüßt neue Bund-Länder-Strategie. 1

19.  „Erschütternder Rekord“. 1,5 Prozent der gesamten Weltbevölkerung vertrieben. 1

20.  Interviews. „Israel ist Gefangener seiner unrealistischen Ziele“. 1

21.  Anschlag von Hanau. Entschuldigung nach mehr als vier Jahren. 1

22.  Kürzungen der internationalen Hilfe verschärfen weltweite Hungerkrisen. 1

23.  https://www.dropbox.com/scl/fi/gi9u1vdcbaek9owvniw86/WorldVision_Bericht_Hunger_World_Refugee_Day_2024.pdf?rlkey=m3rtqytiacb0ur6f8wq7p6hh3&st=z0zrjoyz&dl=0.. 1

24.  https://www.worldvision.de/informieren/ueber-world-vision/publikationen/bericht-weltfluechtlingstag-hunger   1

25.  EU-Kommission legt Umsetzungsplan für EU-Asylreform vor 1

26.  UNHCR: Weltweite Vertreibung erreicht historischen Höchststand. 1

27.  Anerkennung von Vaterschaften künftig nur mit Ok der Ausländerbehörde. 1

28.  Weidel, Le Pen, Meloni & Co. Rechts auf dem Vormarsch: Was die Europawahl für die EU bedeutet 1

29.  Frustration und Rassismus. Warum die Jugend so oft rechts gewählt hat 1

30.  Studie. Rassismus am Arbeitsplatz weit verbreitet 1

31.  Rechte im Aufwind. Vier Folgen der Europawahl 1

32.  Vormarsch auf Brüssel 1

33.  Nach der EU-Wahl. Der Osten ist blau: Wie umgehen mit der AfD?. 1

34.  Reaktion auf den Rechtsruck. 1

35.  Rechtsextremer Wahlerfolg kann gemeinsames Handeln in der EU untergraben. 1

36.  Papst zu Besuch auf dem römischen Kapitol 1

37.  Seenot im Mittelmeer. Wieder hunderte Menschen gerettet, dutzende Tote. 1

38.  Europarat fordert mehr Maßnahmen gegen Menschenhandel 1

39.  UNICEF: 34 Millionen Kinder in Nahost und Nordafrika unterernährt. 1

40.  Europawahl 2024. Rechte Hoffnungen und ein grünes Dilemma. 1

41.  Bauernopfer 1

42.  Europa vor der Wahl 1

43.  „Italienisches Guantánamo“. Meloni: Flüchtlingslager in Albanien ab August bereit 1

44.  Das Lego-Prinzip. 1

45.  Wahlkampf. Biden verschärft US-Asylregeln für Grenze zu Mexiko. 1

46.  „Nie wieder Krieg!“. 1

47.  Alarm vor vernachlässigten Fluchtkrisen in Afrika. 1

48.  Große Mehrheit für Einführung eines verpflichtenden Gesellschaftsdienstes. 1

49.  Vertreibung aus dem Paradies. 1

50.  Umfrage. Aufnahme von Geflüchteten: Lage hat sich in Kommunen entspannt 1

51.  Bonner Klimakonferenz: 72 Millionen leiden unter Nahrungsnot 1

52.  Debatte entfacht. Entsetzen und Trauer über Polizisten-Tod in Mannheim.. 1

53.  Vatikan: Migrationspolitik entwickeln, die Werten Rechnung trägt 1

54.  Zu kompliziert. Migrationsforscher dämpfen Erwartungen an neue „Chancenkarte“. 1

 

 

 

 

Il voto europeo. Italia: conferme e sorprese

 

In un contesto in cui i risultati delle elezioni del Parlamento europeo confermano la prevista avanzata delle destre, ma anche la sostanziale tenuta della coalizione tra popolari, socialisti e liberali, in Italia l’esito di queste elezioni ci consegna alcune conferme ma anche qualche sorpresa. Soprattutto, il tasso di partecipazione al voto di circa sei punti inferiore a quello del 2019, anche se in linea con la media europea, testimonia un fenomeno diffuso di disaffezione verso la politica e di scarso entusiasmo per una consultazione elettorale che viene vissuta come troppo lontana dalle preoccupazioni dei cittadini.

Vincitori e vinti delle Europee in Italia

Sul fronte dei partiti del centro-destra, queste elezioni fanno registrare l’innegabile successo di Fratelli d’Italia e quello personale di Giorgia Meloni, che supera di circa tre punti il risultato delle politiche del 2022 e si conferma di gran lunga come il partito leader della coalizione che sostiene il governo. Buona anche la prestazione di Forza Italia, che diventa il secondo partito della coalizione, con un risultato che premia la scelta di collocarsi come forza politica moderata, saldamente ancorata alla famiglia dei popolari europei e a sostegno di una linea coerentemente europeista. La Lega riesce a contenere i danni e mantiene più o meno le posizioni delle politiche, ma in larga misura grazie alla scelta di presentare, con un calcolo molto strumentale, un candidato a dir poco discutibile e controverso, in larga misura estraneo alla linea del partito e poco gradito alla sua dirigenza. In sintesi, il risultato delle elezioni europee premia e rafforza la coalizione di governo a differenza di quanto verificatosi in altri importanti Paesi europei. Ne esce consolidata la prospettiva di un governo stabile e destinato a durare per l’intera legislatura.

Sul fronte delle opposizioni, il risultato delle elezioni premia il Partito democratico e la sua segretaria, Elly Schlein, con un esito che è andato oltre le più ottimistiche previsioni, che conferma il partito come la formazione politica più forte nel campo delle opposizioni e che lascia intravedere una prospettiva di ritorno a uno schema di bipartitismo all’italiana. Le elezioni hanno infatti segnato una pesante sconfitta del Movimento Cinque Stelle, su cui ha pesato una campagna elettorale incolore, tutta focalizzata su generici appelli alla pace, e liste con candidati poco noti e di scarso “appeal”. Clamorosa (e meritata) è stata anche la sconfitta dei due presunti leader centristi, Renzi e Calenda, e delle rispettive formazioni politiche. Entrambi troppo concentrati sulle loro rivalità per scegliere l’unica opzione praticabile, quella di una lista comune, con il risultato di disperdere i loro voti (complessivamente più del 7%) a favore di altre liste. Degno di nota invece, anche perché inatteso, il successo relativo di Alleanza Verdi e Sinistra, una formazione politica i cui leader hanno al contrario fatto tesoro della lezione più semplice in politica che uniti si vince.

Da questi dati emerge che l’Italia è forse l’unico tra i grandi Paesi in Europa dove chi governa ha rafforzato il proprio consenso. A differenza della Francia, dove la pesante sconfitta di Macron e della sua formazione politica ha costretto il Presidente a decidere di sciogliere il Parlamento e convocare elezioni anticipate (con tutte le incognite del caso in un Paese che si accinge a ripetere l’esperienza di una difficile coabitazione). A differenza della Germania, dove la prestazione più che modesta della coalizione che sostiene il governo – composta da socialisti, verdi e liberali – , la buona prestazione dei popolari delle CDU/CSU (oggi all’opposizione) e, soprattutto, il successo clamoroso e inquietante di Alternative für Deutschland, lasciano presagire un esecutivo debole e in ulteriore difficoltà fino alla fine della legislatura. E, infine, a differenza della Spagna, dove i socialisti di Sanchez sono riusciti a far registrare un buon risultato, ma si attestano comunque come il secondo partito dopo i popolari, con tutte le difficoltà del caso per un esecutivo che già si trovava a governare un Paese diviso sulla controversa questione della legge di amnistia per i separatisti catalani.

Una vittoria relativa per la destra

In Italia non si prevedono difficoltà sul fronte interno per il governo dopo che la coalizione che lo sostiene in Parlamento e la leadership di Giorgia Meloni ne sono uscite rafforzate dalla consultazione elettorale. Per Meloni sarà invece più difficile gestire al meglio questo successo in Europa. È vero infatti che i partititi di destra in Europa complessivamente si rafforzano, ma con risultati non omogenei nei vari paesi membri. Soprattutto, è anche vero che questi partiti non hanno piattaforme completamente convergenti, anzi su alcuni temi sono profondamente divisi. Infine, il relativo successo del gruppo dei Conservatori e Riformisti è stato in parte compensato dal relativo insuccesso del gruppo di Identità e Democrazia.

Se, come sembra più che probabile, la coalizione composta dai tre partiti più tradizionalmente europeisti – popolari, socialisti e liberali – dovesse continuare a godere nel Parlamento europeo di una maggioranza relativa sufficientemente confortevole – perlomeno per l’elezione del prossimo/a Presidente della Commissione –, per Meloni si porrebbe la difficile scelta se concorrere, prima in Consiglio europeo e successivamente al Parlamento europeo, alla scelta del prossimo Presidente della Commissione. Se volesse effettivamente far prevalere l’interesse nazionale su considerazioni di schieramento politico, avrebbe il massimo della convenienza a sostenere la Von der Leyen – oggi la candidata più forte, anche per effetto dell’indebolimento di Macron e di Scholz –, allo scopo di mantenere un rapporto collaborativo con la prossima Commissione e ottenere un portafoglio di peso per il commissario italiano.

Sul fronte delle opposizioni, il successo del Partito Democratico, combinato con il crollo dei Cinque Stelle e la conferma dell’irrilevanza del cosiddetto terzo polo, non sono destinati ad avere un impatto immediato in Europa. In Italia questo successo rafforza però la leadership della Schlein su un partito che l’ha finora vissuta come un corpo estraneo. Soprattutto rilancia, in chiave diversa rispetto alla vigilia delle elezioni, il tema delle alleanze per le prossime consultazioni elettorali dove, a differenza che in questa occasione, saranno determinanti. Accantonata ogni velleità di Conte e dei Cinque Stelle di assumere la guida politica di un ipotetico fronte unito delle opposizioni, toccherà prevedibilmente alla Schlein il compito ingrato di ricomporre a unità una galassia di formazioni politiche finora soprattutto impegnate a far valere le rispettive identità e le contrapposte differenze.

Tutto questo in un contesto in cui l’Unione europea esce complessivamente indebolita da queste elezioni. Non solo e non tanto per il successo relativo dei partiti di destra più o meno nazionalisti o sovranisti. Quest’ultimi restano infatti divisi fra di loro, ma pur sempre uniti nel chiedere meno Europa e nel resistere a tentativi di conferire all’Ue responsabilità che sarebbero necessarie in una congiuntura internazionale che, per molti aspetti, richiederebbe un maggiore protagonismo dell’Europa. Tuttavia, questi partiti nazionalisti, e in sostanza anti-europei, proprio in Francia e in Germania hanno ottenuto un risultato che destabilizza i due rispettivi governi, e rende più problematica una loro assunzione di responsabilità in Europa. Tutto ciò avviene proprio in una congiuntura in cui ci sarebbe bisogno come non mai di leadership nazionali forti, autorevoli e impegnate a sostegno del progetto europeo. Ferdinando Nelli Feroci, AffInt 17

 

 

 

Il voto europeo rafforza Von der Leyen. Scossone politico Ue

 

Ppe sempre primo nell'emiciclo di Strasburgo, dove regge la "maggioranza Ursula". In Francia vincono i nazionalisti e Macron convoca nuove elezioni parlamentari. Germania: il governo Scholz traballa. In Spagna i popolari superano i socialisti. Meloni e FdI confermano il primato in Italia, seguiti dal Partito democratico – di Gianni Borsa, Marco Calvarese, Sarah Numico

 

Ursula Von der Leyen rafforza la sua posizione in Europa dopo il voto del 6-9 giugno per il rinnovo dell’Europarlamento. È uno degli elementi che prendono forma alla luce dei risultati (ancora parziali) nei 27 Stati Ue.

“È un bel giorno per il Ppe, abbiamo vinto le elezioni, siamo il partito più forte, siamo l’àncora della stabilità”, afferma pacata la presidente uscente della Commissione presentandosi a notte fonda al migliaio di giornalisti che segue in presa diretta a Bruxelles l’esito del voto europeo. I numeri sembrano darle ragione: cresce il Ppe, calano di poco i Socialdemocratici, scendono – ma non crollano – i liberali di Renew. Mentre, questo è un altro elemento certo, avanzano le destre euroscettiche (Conservatori) o nazionaliste (Identità e democrazia).

Secondo Von der Leyen dal voto emergono due messaggi: “La maggioranza è a favore di un’Europa forte”, anche se gli estremi a destra e sinistra hanno avuto buon sostegno elettorale. Ciò significa che “il risultato rappresenta un grande responsabilità per i partiti di centro”. “Inizialmente mi rivolgerò a quelli che erano nella piattaforma” (la cosiddetta “maggioranza Ursula”). Rispetto al consenso da parte dei capi di Stato e di governo ha dichiarato di “riuscire a ottenere la loro fiducia” per un secondo mandato.

Nonostante l’avanzata delle destre estreme, in Europa sembra non esserci alternativa alla coalizione uscente. Non a caso i leader di Popolari, Socialdemocratici e Liberali si lanciano messaggi di futura collaborazione, pur sottolineando aspetti programmatici diversi, ma non divergenti. Anche i Verdi paiono interessanti a una collaborazione (purché non si rinunci al Green Deal).

Non si può peraltro dimenticare che la tornata europea fa tremare diversi governi nazionali. Il successo del Rassemblement National e il crollo di Renaissance in Francia portano il Presidente Macron ad annunciare elezioni anticipate a fine giugno. Un editoriale del quotidiano cattolico La Croix commenta la decisione di Macron come “invito a tutti a uscire dal torpore di fronte al pericolo nazionalista che minaccia il Paese, a cominciare dalla metà di coloro che non hanno partecipato al voto”, si legge. “La decisione è seria e pesante. Si apre un momento di chiarimenti essenziali. Spetta ad ogni francese fare la scelta più giusta”.

Il premier belga De Croo rassegna in lacrime le dimissioni visto il crollo dei suoi liberali. In Germania la coalizione del cancelliere Scholz vede il forte ridimensionamento di Spd e Verdi, mentre crescono Cdu-Csu e l’ultradestra di Afd. In Spagna i popolari superano i socialisti del premier Sanchez.

In Italia, invece, il partito della premier Meloni rimane saldamente in testa nei numeri e nei seggi, seguito a ruota dalla principale forza di opposizione, il Pd. Per una volta è l’Italia a segnalare una sorta di “stabilità” politica.Per ulteriori analisi occorrerà attendere i dati definitivi sia per quanto riguarda la composizione del Parlamento europeo sia quelli relativi ai singoli Paesi membri. Ma di certo queste elezioni “in tempo di guerra” non sembrano rafforzare l’unità europea. A tutti vantaggio dei suoi detrattori, Putin in testa. Sir 10

 

 

 

Il risultato choc delle Europee in Germania: l'ultradestra AfD secondo partito

 

Alternative fur Deutschland, al 16 per cento, è seconda nelle proiezioni: pur travolta dagli scandali, ha superato tutti i partiti al governo. La maggioranza di Scholz intorno al 30 per cento, e i Verdi hanno quasi dimezzato i consensi - Di Mara Gergolet

 

BERLINO - Il grande tabù è rotto, e l’irreparabile — se non altro in termini simbolici, perché un risultato elettorale resta scritto per sempre — è avvenuto in Germania. L’estrema destra ha superato il partito del cancelliere, i socialdemocratici. L’obiettivo minimo che si era dato il governo, o almeno i suoi due principali esponenti, la Spd e i Verdi — di tenersi l’Afd alle spalle — è sfuggito di mano. E così Alternative für Deutschland diventa la seconda formazione a livello nazionale con il 16%, e per la prima volta dal dopoguerra in Germania un partito di destra radicale ha più consensi di tutti quelli al governo.

 

I socialdemocratici con il 14% ottengono il peggior risultato della propria storia, anche sotto il 15,8% di 5 anni fa: sarebbe forse bastato a Olaf Scholz superare quella bassa soglia per dare l’illusione di una ripresa. Non è andata così. 

I Verdi quasi dimezzano i consensi scendendo al 12%, ben 8,5% in meno del 2019. I liberali galleggiano al 5%, superati dalla neonata formazione di sinistra populista, l’Unione Sahra Wagenknecht (6%). Legittimo chiedersi, come hanno fatto ieri all’unisono in tv i commentatori tedeschi, quanto a lungo il governo Scholz riuscirà a sopravvivere. Non raggiunge neppure un terzo dei consensi e litiga su tutto.

Per contro, l’opposizione cristiano-democratica, guidata da Friedrich Merz, può rilanciare le proprie ambizioni. Il 30,3% combinato di Cdu e Csu (l’alleata bavarese) mostra la reale proporzione delle forze nel Paese. Quanto presto vorrà passare all’incasso?

Ma il dato dirompente è l’ascesa di Alternative, prima in tutti i Länder dell’Est (Berlino esclusa). Ha pescato voti ovunque, a cominciare dai vecchi elettori Cdu e Spd. Tra i giovani sotto i trent’anni raccoglie, con il 17%, più consensi di entrambi i Volksparteien, i partiti popolari classici. Nulla hanno influito gli scandali degli ultimi mesi, quando è emerso che i capilista, Maximilian Krah e Petr Bystron, hanno ricevuto soldi dalla Russia e dalla Cina e si è scoperto che l’assistente all’Europarlamento di Krah era una spia effettiva al servizio della Cina. Né ha contato che l’Afd corresse «acefala», quando i due capilista sono stati allontanati dai vertici del partito perché ritenuti indifendibili. Perfino ieri, mentre i leader Alice Wiedel e Tino Chrupalla si abbracciavano e festeggiavano tra uno sventolio di bandiere tedesche, Krah e Bystron — eletti a Bruxelles — non si sono presentati in sala. 

L’Afd ha più anime, quella nazionalista, quella populista, quella radicale di alcuni suoi esponenti che diverse sentenze (e i servizi segreti interni) hanno giudicato antidemocratica. È dichiaratamente votata dal 82% dei suoi elettori «perché parla dei temi giusti»: in primo luogo, l’immigrazione. Ma è indubbiamente riuscita a incanalare il dissenso in un Paese che, da due anni, cresce meno di tutti in Occidente.

Più che a Scholz, occorrerà adesso guardare alle mosse di Friedrich Merz, il «cancelliere in attesa», come viene chiamato. Si farà prendere dalla fretta? Per quanto sembri restare al coperto, è l’azionista di maggioranza dei popolari europei. E Ursula von der Leyen è, appunto, un membro del suo partito, la Cdu. CdS 10

 

 

 

Elezioni europee: il non voto conquista la maggioranza assoluta

 

L’affluenza alle urne si è fermata al 49,69%, un record negativo nella storia della Repubblica. Chi è andato alle urne ha premiato Fratelli d’Italia, Pd, Forza Italia, Alleanza Verdi Sinistra e ha penalizzato Lega, M5S, Azione e Stati Uniti d’Europa. Per FdI un netto rafforzamento della leadership della Meloni alla guida del governo, per il Pd un chiaro rafforzamento della leadership della Schlein alla guida della principale forza di opposizione.

Il non voto conquista la maggioranza assoluta. L’affluenza alle urne si è fermata al 49,69%, un record negativo nella storia della Repubblica. Chi è andato alle urne ha premiato Fratelli d’Italia, Pd, Forza Italia, Alleanza Verdi Sinistra e ha penalizzato Lega, M5S, Azione e Stati Uniti d’Europa. Per FdI un netto rafforzamento della leadership della Meloni alla guida del governo, per il Pd un chiaro rafforzamento della leadership della Schlein alla guida della principale forza di opposizione. Un dato che ha fatto subito parlare di nuovo bipolarismo. Forza Italia sorpassa la Lega (nonostante l’effetto Vannacci) e sorprende coloro che la davano per spacciata dopo la morte di Berlusconi. Sorprende, rispetto alle previsioni della vigilia, anche il buon risultato di Avs, collegato almeno in parte con la candidatura di Ilaria Salis. Male Azione e Sue (quindi Calenda e Renzi) che non superano lo sbarramento del 4% e non ottengono seggi. In difficoltà il M5S, che alle europee non ha mai brillato e che stavolta ha verosimilmente pagato il surplus di astensionismo nelle Regioni meridionali, dove il Movimento ha il suo maggior radicamento.

A spoglio praticamente completato FdI ha ottenuto il 28,77% (6.660 mila voti), il Pd il 24,07% (5.573 mila voti), il M5S il 9,98 (2.310 mila voti), Forza Italia-Noi moderati il 9,64% (2.231 mila voti), la Lega il 9,03% (2.089 mila voti), Avs il 6,73% (1,557 mila voti). Sue si è fermato al 3,76% e Azione al 3,34%, seguiti da altre forze tutte al di sotto della soglia di sbarramento. Stefano De Martis, Sir 10

 

 

 

Appello. Rompiamo il silenzio sull’Africa

 

Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia. 

«Rompiamo il silenzio sull’Africa. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo. 

Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto.

Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.

Mi appello a voi giornalisti/?e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.

Inaccettabile silenzio

È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.

È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.

È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.

È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.

È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.

È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.

È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).

Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.

Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.

Una questione strutturale

Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: ‘Aiutiamoli a casa loro‘, dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.

E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).

Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?

Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/?e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.

P. Alex Zanotelli, Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa

 

 

 

Rapporto UNICEF sul clima: l’inquinamento atmosferico responsabile di 8,1 milioni di decessi

 

NEW YORK - Ogni giorno quasi 2.000 bambini sotto i cinque anni muoiono a causa degli impatti sulla salute legati all'inquinamento atmosferico. È uno dei dati più allarmanti contenuti nella quinta edizione del Rapporto State of Global Air (SoGA), secondo cui l'inquinamento atmosferico sta avendo un impatto crescente sulla salute umana, diventando il secondo principale fattore di rischio di morte a livello globale.

Il Rapporto, pubblicato oggi dall'Health Effects Institute (HEI- un'organizzazione di ricerca indipendente no-profit con sede negli Stati Uniti), realizzato per la prima volta in collaborazione con l'UNICEF, ha rilevato che l'inquinamento atmosferico è stato responsabile di 8,1 milioni di decessi a livello globale nel 2021. In aggiunta a questi decessi, molti altri milioni di persone convivono con malattie croniche debilitanti, mettendo a dura prova i sistemi sanitari, le economie e le società.

Il Rapporto rileva che i bambini al di sotto dei cinque anni sono particolarmente vulnerabili, e gli effetti sulla salute includono nascita prematura, basso peso alla nascita, asma e malattie polmonari. Nel 2021, l'esposizione all'inquinamento atmosferico è stata collegata a più di 700.000 decessi di bambini al di sotto dei cinque anni, rendendolo il secondo fattore principale di rischio di morte a livello globale per questa fascia di età, dopo la malnutrizione. Ben 500.000 di questi decessi di bambini erano legati all'inquinamento atmosferico domestico dovuto alla cottura in casa con combustibili inquinanti, soprattutto in Africa e in Asia.

Una preoccupazione per la salute globale

Il nuovo Rapporto SoGA offre un'analisi dettagliata dei dati recentemente pubblicati dallo studio Global Burden of Disease del 2021, che mostra il grave impatto sulla salute umana di inquinanti come il particolato fine esterno (PM2,5), l'inquinamento atmosferico domestico, l'ozono (O3) e il biossido di azoto (NO2) in tutto il mondo. Il rapporto include dati relativi a più di 200 Paesi e territori in tutto il mondo, indicando che quasi ogni persona sulla terra respira ogni giorno livelli malsani di inquinamento atmosferico, con implicazioni di vasta portata per la salute.

Oltre il 90% dei decessi dovuti all'inquinamento atmosferico - 7,8 milioni di persone - è attribuito all'inquinamento atmosferico da PM2,5, compreso quello

ambientale e domestico. Queste minuscole particelle, che misurano meno di 2,5 micrometri di diametro, sono così piccole che rimangono nei polmoni e possono entrare nel flusso sanguigno, influenzando molti sistemi degli organi e aumentando il rischio di malattie non trasmissibili negli adulti come le malattie cardiache, l'ictus, il diabete, il cancro ai polmoni e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Secondo il rapporto, il PM2,5 è risultato essere il più costante e accurato indicatore di risultati negativi per la salute in tutto il mondo.

"Ci auguriamo che il nostro Rapporto State of Global Air fornisca sia le informazioni che l'ispirazione per un cambiamento", ha dichiarato la presidente dell'HEI, Elena Craft. "L'inquinamento atmosferico ha enormi implicazioni per la salute. Sappiamo che migliorare la qualità dell'aria e la salute pubblica globale è pratico e realizzabile".

Inquinamento atmosferico e cambiamento climatico

L'inquinamento atmosferico da PM2,5 deriva dalla combustione di combustibili fossili e biomassa in settori quali i trasporti, le abitazioni, le centrali elettriche a carbone, le attività industriali e gli incendi boschivi. Queste emissioni non solo hanno un impatto sulla salute delle persone, ma contribuiscono anche ai gas serra che stanno riscaldando il pianeta. Le popolazioni più vulnerabili sono colpite in modo sproporzionato sia dai rischi climatici che dall'aria inquinata.

Nel 2021, l'esposizione a lungo termine all'ozono ha contribuito a 489.518 decessi stimati a livello globale, tra cui 14.000 decessi per BPCO legati all'ozono negli Stati Uniti, più alti rispetto ad altri Paesi ad alto reddito. Con il continuo riscaldamento del mondo dovuto agli effetti del cambiamento climatico, le aree con alti livelli di NO2 possono aspettarsi livelli più elevati di ozono, con effetti ancora più gravi sulla salute.

Per la prima volta, il Rapporto di quest'anno include i livelli di esposizione e i relativi effetti sulla salute del biossido di azoto (NO2), compreso l'impatto dell'esposizione a NO2 sullo sviluppo dell'asma dei bambini. I gas di scarico del traffico sono una delle principali fonti di NO2, il che significa che le aree urbane densamente popolate, in particolare nei Paesi ad alto reddito, registrano spesso i livelli più elevati di esposizione all'NO2 e di impatto sulla salute.

"Questo nuovo Rapporto ci ricorda con chiarezza l'impatto significativo che l'inquinamento atmosferico ha sulla salute umana, con un onere troppo elevato a carico dei bambini piccoli, delle popolazioni più anziane e dei Paesi a basso e medio reddito", ha dichiarato Pallavi Pant, responsabile del settore Salute globale dell'HEI, che ha supervisionato la pubblicazione del rapporto SoGA. "Questo indica chiaramente l'opportunità per le città e i Paesi di considerare la qualità dell'aria e l'inquinamento atmosferico come fattori ad alto rischio quando si sviluppano politiche sanitarie e altri programmi di prevenzione e controllo delle malattie non trasmissibili".

La salute dei bambini

Alcuni dei maggiori impatti sulla salute dell'inquinamento atmosferico si registrano nei bambini. I bambini sono particolarmente vulnerabili all'inquinamento atmosferico e i suoi danni possono iniziare già nel grembo materno, con effetti sulla salute che possono durare tutta la vita. Ad esempio, i bambini inalano più aria per chilogrammo di peso corporeo e assorbono più inquinanti rispetto agli adulti mentre i loro polmoni, i loro corpi e i loro cervelli sono ancora in fase di sviluppo.

L'esposizione all'inquinamento atmosferico nei bambini piccoli è legata alla polmonite, responsabile di 1 decesso su 5 di bambini a livello globale, e all'asma, la malattia respiratoria cronica più comune nei bambini più grandi. Le disuguaglianze legate all'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla salute dei bambini sono impressionanti. Il tasso di mortalità legato all'inquinamento atmosferico nei bambini al di sotto dei cinque anni in Africa orientale, occidentale, centrale e meridionale è 100 volte più alto rispetto alle loro controparti nei Paesi ad alto reddito.

"Nonostante i progressi nella salute materna e dei bambini, ogni giorno quasi 2.000 bambini sotto i cinque anni muoiono a causa degli impatti sulla salute legati all'inquinamento atmosferico", ha dichiarato Kitty van der Heijden, vicedirettrice generale dell'UNICEF. "La nostra inazione sta avendo effetti profondi sulla prossima generazione, con ripercussioni sulla salute e sul benessere per tutta la vita.

L'urgenza globale è innegabile. È indispensabile che i governi e le imprese prendano in considerazione queste stime e i dati disponibili a livello locale e li utilizzino per elaborare azioni significative e incentrate sui bambini per ridurre l'inquinamento atmosferico e proteggere la salute dei bambini".

Si stanno facendo progressi

Il rapporto SoGA contiene anche buone notizie. Dal 2000, il tasso di mortalità dei bambini sotto i cinque anni è diminuito del 53%, grazie soprattutto agli sforzi volti ad ampliare l'accesso all'energia pulita per cucinare, oltre che ai miglioramenti nell'accesso all'assistenza sanitaria e alla nutrizione e a una maggiore consapevolezza dei danni associati all'esposizione all'inquinamento atmosferico domestico.

Molti Paesi, in particolare quelli che registrano i livelli più elevati di inquinamento atmosferico, stanno finalmente affrontando il problema di petto. Le azioni per la qualità dell'aria in regioni come l'Africa, l'America Latina e l'Asia, come l'installazione di reti di monitoraggio dell'inquinamento atmosferico, l'attuazione di politiche più severe sulla qualità dell'aria o la compensazione dell'inquinamento atmosferico dovuto al traffico con il passaggio a veicoli ibridi o elettrici, stanno avendo un impatto misurabile sull'inquinamento e sul miglioramento della salute pubblica.

Sebbene si stiano registrando progressi, si può fare di più per impedire che l'inquinamento atmosferico continui a prevalere su altri rischi per la salute diventando una delle principali minacce per milioni di vite. (aise/dip 19)

 

 

 

Cgie. M. C. Prodi nuova Segretaria Generale, G. Stabile nuovo Vice per l’Europa

 

ROMA – Maria Chiara Prodi è la nuova Segretaria Generale del Cgie. La Prodi ha ottenuto dall’Assemblea Plenaria 36 voti, mentre 12 sono stati gli astenuti. Alla Mangione sono andati 7 suffragi. La seduta è stata aperta dal Direttore Generale per gli Italiani all’Estero Luigi Maria Vignali, che ha invitato i consiglieri a un minuto di silenzio in ricordo del Segretario Generale del Cgie Michele Schiavone e del Segretario Esecutivo Marco Nobili recentemente scomparsi. “Alla mia sinistra – ha affermato Vignali – c’è una sedia vuota. Era la sedia del precedente Segretario Generale, un amico ed una guida che tutti abbiamo amato e che avremmo voluto avere qui oggi”. A seguire Tommaso Conte (CdP – Germania), ha proposto a nome dei Consiglieri della Germania la candidatura di Maria Chiara Prodi a Segretaria Generale. Non è stata presentata nessun’altra candidatura. “Abbiamo avuto un minuto di silenzio molto utile per mettere all’unisono i nostri cuori nei confronti della persona di Michele Schiavone.”. Ha esordito nel suo intervento di presentazione la Prodi.  “A lui – ha continuato la Vice Segretaria per l’Europa e l’Africa del Nord – dobbiamo molto per il suo impegno, utilizzando le parole del consigliere Boccaletti, per portare onore dignità e rispetto al nostro Consiglio e aggiungerei un’altra parola che è ‘futuro’. La discussione che ha preceduto questo momento – ha proseguito Prodi – è stata preziosa perché ha posto dei temi che dovranno essere sciolti. Io porrei la questione in questa ottica, la nostra legge istitutiva ci riconosce una rappresentanza delle comunità nei confronti di tutti gli organismi che si occupano di politiche per gli italiani all’estero. Da quando è nato il nostro organismo abbiamo vissuto importanti cambiamenti dal punto di vista delle migrazioni e noi lo sappiamo non soltanto perché viviamo nei territori, ma perché intelligentemente abbiamo anche richiesto degli studi e prodotto delle ricerche. Quindi – ha aggiunto Prodi – dobbiamo fare una riflessione su come integrare quello che i dati ci dicono con il modo in cui noi agiamo e ci presentiamo agli italiani all’estero. I cambiamenti che abbiamo vissuto pongono una trasformazione da due punti di vista della legge istitutiva. Prima di tutto ci dobbiamo chiedere se ci sono ancora delle comunità all’estero o solo dei singoli. Dall’altro lato si sono moltiplicati in maniera esponenziale gli interlocutori che si occupano di politica degli italiani all’estero. Molti dei quali non sanno nemmeno che possono trovare in noi un sostegno ed un appoggio per lo sviluppo per le proprie attività”. La Prodi ha poi ricordato che il Cgie è un organismo di secondo livello in quanto viene eletto dai Comites. “Nel Cgie – ha aggiunto – vi sono gli eletti territoriali, e gli eletti di nomina governativa. Sono questi i territori a cui noi rispondiamo nella loro diversità geografica, ma anche di sensibilità ed appartenenza. La nostra legge istitutiva ci dà delle regole che si potranno senz’altro cambiare, superando la logica di comunità territoriale, trovando uno spazio di condivisione. Vi è quindi una scommessa che dobbiamo accogliere per i prossimi tre anni perché noi oggi non abbiamo una risposta univoca a questo e facciamo quello che possiamo con gli strumenti che abbiamo”.  “Sarà importante, in un’ottica di trasparenza e democrazia – ha poi rilevato la Prodi – riuscire a rendere intellegibili le modalità con cui lavorano il Comitato di Presidenza, l’Assemblea Plenaria e le Commissioni continentali e tematiche. Con questo lavoro che noi dovremmo fare di renderci trasparenti e anche interessanti, dando di noi un’immagine di capacità di collaborazione, di sguardo alto e di bella progettualità, noi andremo ad incoraggiare quel 95% di italiani all’estero che forse non si è riunito in comunità, forse non sapeva dei Comites, ma in ogni caso non ha partecipato alle lezioni dei Comites”. “Nell’Assemblea del Cgie – ha aggiunto – abbiamo tutti una responsabilità personale e individuale che deve essere oggi l’occasione per ripartire insieme sulla base di un protagonismo nella sfida che sia fatto di convinzione. Occorre riconoscere che tutti noi siamo qui perché abbiamo qualcosa nel cuore che ci spinge a lavorare per il bene della nostra comunità e a cercare un orizzonte comune”. La Prodi infine ha sottolineato la necessità di trovare un accordo di fondo sugli obiettivi da perseguire per il 100% degli italiani all’estero, puntando all’innovazione e trovando degli strumenti che funzionino per l’Assemblea del Cgie.

 

Con 31 voti favorevoli l’Assemblea Plenaria del Cgie ha eletto il consigliere della Spagna Giuseppe Stabile, Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord. Stabile prende il posto di Chiara Prodi che in mattinata era stata eletta alla carica di Segretario Generale. In questa elezione ha inoltre ottenuto 27 voti Tommaso Conte (Germania), due le schede bianche. “Colgo l’occasione per esprimere il mio pensiero – ha esordito Stabile nel suo discorso introduttivo – riguardo a come dovrebbe essere un componente del Comitato di Presidenza. Chi conosce la mia persona sa, che nell’esercizio delle mie azioni e anche nella professione, ho l’obbligo di guardare le cose sempre in maniera oggettiva. Ritengo che nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, nel momento in cui noi acquisiamo una carica, dobbiamo spogliarci di tutto ciò che noi rappresentiamo, se non la parte che riguarda la tutela dei nostri connazionali, perché noi solo a loro dobbiamo rispondere. In questo contesto – ha aggiunto Stabile – il rappresentante del Consiglio Generale del Comitato di Presidenza, dovrebbe esprimere la sua totale oggettività nelle sue decisioni… Come consiglieri nel Consiglio Generale – ha concluso Stabile – questo dobbiamo fare, gli interessi degli italiani all’estero”.  “È nostro compito – ha affermato Conte – garantire a questo organismo un costante dialogo con le collettività italiane all’estero e, con costante impegno, raccoglierne le aspettative, i bisogni e le esigenze da presentare alla nostra amministrazione. Si tratta di mantenere vivo un dialogo a doppio binario, con la nostra gente da una parte e con i responsabili politici dall’altra. In questa doppia azione l’essere radicato su un territorio, l’avere una visione quotidiana della vita da italiano all’estero è di fondamentale importanza. L’emigrazione – ha ricordato il consigliere – è in costante aumento, nello stesso tempo il nostro paese è alle prese con problemi territoriali, nazionali di immense dimensioni. È nostro compito, sempre nelle sedi opportune, mettere sotto gli occhi di chi ci governa la realtà degli oltre 7 milioni di cittadini italiani all’estero”. “Il tempo a disposizione – ha aggiunto Conte – è sufficiente per occuparci con serietà e massima attenzione, della salvaguardia dell’intervento scolastico culturale, anche a favore dei bambini italiani nati o che vivono all’estero. Il diritto all’istruzione è un diritto fondamentale. Istruzione significa anche la cura della lingua madre, la conoscenza del paese di origine, per onorare una cittadinanza da cui scaturiscono, anche se ci si trova all’etero. diritti e doveri alla pari di qualsiasi altro cittadino italiano nato e residente in patria”.  Conte ha poi parlato della necessità di migliorare i servizi consolari e di equiparare il regime fiscale nell’applicazione dell’imposta municipale, così come della tassa sui rifiuti, sugli immobili posseduti in Italia dagli iscritti all’Aire. “Particolare attenzione – ha continuato Conte – va dedicata ai connazionali anziani, che sono stati pionieri del fenomeno migratorio, e quelli che hanno onorato la nazione lasciando l’Italia e imponendosi all’estero con tenacia, intelligenza e serietà. Liberiamo gli anziani dalla burocrazia, ad esempio attraverso il rilascio dei passaporti di durata illimitata a coloro che hanno compiuto 70 anni”. Per Conte è inoltre necessario un pacchetto di riforme riguardanti la modifica della legge sulla cittadinanza, le leggi dei Comites e del Cgie, l’editoria, la revisione sulla disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero e la ratifica della convenzione tra Maeci e patronati.

Lorenzo Morgia, Inform/dip 18

 

 

 

Plenaria del Cgie: la relazione di Governo del Sottosegretario Silli

 

ROMA - Elezioni europee, servizi consolari, assistenza a connazionali e detenuti italiani all’estero, rete consolare, risorse umane e finanziarie, enti gestori e turismo delle radici. Sono alcuni degli argomenti di cui il Sottosegretario agli Affari Esteri, Giorgio Silli, ha parlato durante la relazione di Governo di cui ha parlato questa mattina durante la riunione plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.

In primis, l’esponente dell’esecutivo ha voluto ricordare la figura di Michele Schiavone per poi augurare un buon lavoro alla neo segretaria Maria Chiara Prodi, così come al neo vicesegretario per l’Europa e il Nord Africa, Giuseppe Stabile, e a Carmelo Vaccaro, che è subentrato appunto a Schiavone.

Poi, passando alla discussione, ha parlato delle elezioni per il parlamento europeo ringraziando in primo luogo le Ambasciate e i Consolati nei Paesi dell’Unione Europea per “lo straordinario impegno messo, anche in questa occasione, nell’organizzazione della consultazione elettorale. Le elezioni europee prevedono che il voto venga espresso in seggi fisici e non per posta: un grande sforzo logistico per le nostre Ambasciate e i Consolati, che hanno saputo tenere il passo con l’aumento degli aventi diritto. Con il Ministero dell’Interno abbiamo approntato un numero maggiore di seggi (204 contro 199) e sezioni (451 contro 398) rispetto al 2019, al netto di quelli allora istituiti anche nel Regno Unito, per una spesa di quasi 5 milioni di euro. È stato così garantito il diritto di voto dei quasi 1,7 milioni aventi diritto, circa il 17% in più con riferimento all’Europa a 27, anche se l’affluenza ha fatto segnare un leggero arretramento al 7,08% rispetto al 7,64% del 2019 (dato che include però anche coloro che votarono nel Regno Unito). Tra le grandi Sedi, si segnalano per l’affluenza Vienna (18,7%), Berlino (16%), Lussemburgo (15,78%) e L’Aja (13,24%). A questi dati vanno aggiunti 124.976 elettori optanti – cittadini residenti all’estero che hanno espresso formalmente la volontà di votare per i candidati locali”.

Per quanto concerne i servizi consolari, invece, Silli ha voluto fare il punto sulla loro erogazione che sono “l’essenza stessa della nostra azione all’estero nell’interesse dei cittadini e delle imprese”: “Prosegue l’attività di controllo disposta dal Presidente Tajani dall’inizio del suo mandato in numerose Sedi in tutto il mondo – Asia, Africa e ora America del Sud – a tutela di questa fondamentale funzione. L’obiettivo è contrastare ogni eventuale irregolarità in settori delicati come visti o cittadinanza e continuare a migliorare la qualità dei servizi. In parallelo, prosegue senza quartiere la lotta contro gli intermediari illeciti. Come sapete, la comunità dei connazionali all’estero è in continua crescita e ha ormai superato quota 7 milioni. Un tasso di circa il 4% all’anno. Una traiettoria alla quale il Ministero degli Esteri risponde con una puntuale riorganizzazione della rete e un continuo sforzo di aumento della produttività. Nei primi tre mesi dell’anno, il settore dei documenti di viaggio - passaporti e carte d’identità elettroniche (CIE) ha fatto segnare numeri importanti. Sono stati emessi oltre 147 mila passaporti e più di 42 mila CIE. Un aumento rispettivamente dell’11% e del 23%. Tutto questo con una riduzione ovunque dei tempi medi di attesa, scesi rispettivamente a 5 e 6 settimane. Dal 15 maggio, inoltre, il servizio di emissione delle CIE è ormai fruibile in 170 Sedi in tutto il mondo, in linea con l’obiettivo di dotare tutti gli italiani residenti all’estero di un documento di identità sicuro e tecnologicamente avanzato, con il quale accedere ai servizi online offerti dalla Pubblica Amministrazione. Prosegue il rafforzamento dei servizi on-line. Le iscrizioni AIRE lavorate tramite il portale Fast-It sono sempre più numerose: 60 mila nei primi quattro mesi del 2024 (+30% rispetto allo stesso periodo del 2023). Il portale conta ad oggi oltre 1,7 milioni utenti registrati. Stiamo ampliando i servizi: penso al rilascio del codice fiscale, che dal 15 giugno tutti i connazionali possono scaricare con un semplice click. Uno sforzo di innovazione e di semplificazione al quale continueremo a lavorare per essere ancora più vicini ai nostri connazionali”.

L’esponente governativo ha poi discusso riguardo l’assistenza ai connazionali e ai detenuti italiani all’estero, che sono e restano “una priorità assoluta, sempre”. “Penso alle tragiche alluvioni che hanno colpito il sud del Brasile – ha spiegato Silli -. Anche in quella occasione, nonostante i gravi danni allo stesso Consolato di Porto Alegre, è stata assicurata la massima assistenza consolare possibile, anche facilitando il rientro verso l’Italia dei connazionali a fronte delle difficoltà nei collegamenti aerei. Ma penso anche all’assoluta priorità che attribuiamo ai connazionali detenuti all’estero, sulla quale il Presidente Tajani è tornato più volte, anche in Parlamento. Un lavoro continuo, che ci vede impegnati in tutti i continenti e che svolgiamo in modo silenzioso nell’interesse di ciascuno degli oltre 2.000 connazionali detenuti all’estero: un metodo che può non dare visibilità nell’immediato ma che è l’unico percorribile per ottenere risultati concreti nel medio-lungo termine”.

“Questi risultati positivi – ha aggiunto Silli - si devono al rafforzamento della rete di Ambasciate e Consolati anticipata in occasione della precedente Assemblea Plenaria dal Presidente Tajani, che ha voluto personalmente inaugurare a fine maggio i locali del nuovo Consolato Generale di Bruxelles, che insieme a quello di Madrid sarà pienamente operativo dal 1 luglio. Sono state finalizzate le procedure di elevazione a Consolato Generale di Belo Horizonte in Brasile e Mendoza in Argentina. Seguirà Erbil in Iraq. Abbiamo disposto il rafforzamento di Casablanca, Dubai, Los Angeles, Monaco di Baviera, Zurigo, Francoforte e Toronto. Sempre più importante è il contributo dei 511 consolati onorari (230 in America, 176 in Europa, 40 in Africa, 37 in Asia e 28 nel Mediterraneo-Medio Oriente). Un contributo molto concreto: già 205 Consoli Onorari, in 77 Paesi, sono dotati di postazioni per la raccolta dei dati biometrici. Questo ha favorito l’emissione nel 2023 di oltre 42.000 passaporti, una percentuale del 7,5% salita già al 9% nei primi quattro mesi del 2024. Un servizio che avvicina il Consolato a chi, per età o per le grandi distanze, ha maggiori difficoltà a raggiungere l’ufficio consolare di riferimento. Non a caso registriamo un sempre maggior interesse verso la figura del Console Onorario e un numero crescente di richieste di istituzione. Per questo stiamo lavorando per rafforzare i criteri di individuazione e selezione dei candidati, privilegiando profili giovani, dinamici e in grado di svolgere anche un ruolo attivo anche nella promozione del Sistema Paese”.

Parlando di risorse umane, il Sottosegretario Silli ha evidenziato come sia necessario il loro “rafforzamento” poiché rappresentano “la spina dorsale” del nostro paese”. Per questo il rafforzamento è così importante ed “è stato fortemente voluto dal Presidente Tajani”.

“Dopo le 660 aree funzionali entrate in servizio nel 2023, stiamo completando le procedure per assumere altri 300 funzionari appartenenti anche a profili tecnici – ha aggiunto -. Ingegneri, architetti, informatici ed esperti di telecomunicazioni, figure professionali sempre più necessarie per una struttura che vuole essere al passo con i tempi e offrire servizi all’altezza delle esigenze dei connazionali. Il personale delle aree funzionali arriverà così a superare le 3.000 unità: un aumento del 31% rispetto al 2020. Un nuovo bando per 381 assistenti è stato pubblicato da poco e altri seguiranno. Questo incremento si è tradotto in un immediato rafforzamento degli uffici all’estero, che hanno visto il numero delle unità di personale delle aree funzionali salire a 1.300, un aumento del 17% tra il gennaio 2023 e il marzo 2024”.

Altrettanto “cruciale” è il tema delle risorse finanziare. Silli ha espresso il desiderio di valorizzare la dotazione di ulteriori 200.000 euro per le finalità istituzionali del CGIE – in particolare la riunione delle commissioni continentali – e l’eventuale creazione di un ufficio stampa. Per quanto riguarda i Comites, preso atto delle risorse stanziate nella passata legge di bilancio, “abbiamo messo in sicurezza l’intero importo disponibile, anticipando le erogazioni ordinarie e predisponendo appositi decreti di impegno, per prevenire ulteriori riduzioni nel 2024.”. Infine, ha confermato che ad oggi, “un po’ prima rispetto allo scorso anno, sono state soddisfatte tutte le 44 richieste di anticipo presentate dai Comites, mentre in 35 casi è già stato erogato l’intero importo assegnato”. Il totale erogato finora è pari a 475.000 euro, ha spiegato.

Per concludere, Silli ha parlato della situazione finanziaria e gestionale degli Enti Gestori dei corsi di lingua e cultura italiana nel mondo, di turismo delle radici e delle riforme legislative.

“Nel 2024 sono state ricevute domande da 72 enti gestori, per 113 iniziative – ha spiegato -. Un aumento importante rispetto alle 84 iniziative presentate l’anno scorso”. Silli ha confermato che a fronte di un aumento delle domande, “abbiamo assegnato per queste iniziative ben 11.767.078 Euro”. Inoltre, si è ormai “consolidato il nuovo regime di gestione delle risorse basato sull’approccio a progetto e legato al calendario scolastico”. “Abbiamo ascoltato gli Enti Gestori. Con l’obiettivo di rendere più semplice e trasparente la procedura, a settembre abbiamo emanato - con efficacia dal prossimo anno scolastico - un decreto attuativo con novità significative, come la possibilità di erogare un anticipo del 20% del contributo già alla presentazione della rendicontazione finale dell’ultimo contributo ricevuto”.

Sul progetto Turismo delle Radici, il sottosegretario agli Affari Esteri, ha spiegato come avanzi “a pieno regime”. “Nei mesi scorsi, il Presidente Tajani ha ricevuto al Ministero centinaia di Sindaci dei Comuni che aderiscono al progetto, da tutte le regioni d’Italia. Sono oltre 800 le iniziative culturali promosse dai Comuni con meno di 6.000 abitanti che sono state selezionate e troveranno progressivamente spazio nell’offerta destinata ai turisti delle radici. Sono stati organizzati diversi incontri di presentazione anche all’estero. Il Progetto del Turismo delle Radici ha arruolato un testimonial di eccezione, la nave scuola Amerigo Vespucci. Le tappe del suo Tour mondiale sono una grande occasione di promozione del progetto e del Sistema Paese. Il Vespucci è ora in Messico, dopo aver toccato Uruguay, Argentina, Cile e Perù. Un evento dedicato è inoltre previsto nel “Villaggio Italia” che verrà allestito per la sosta a Los Angeles a luglio. Abbiamo lanciato il programma promozionale “Italea”. Lo stiamo valorizzando in tutte le più prestigiose manifestazioni di settore. A febbraio abbiamo partecipato a Rootstech, la più importante fiera mondiale sulla genealogia. A maggio sono stati presentati al Salone Internazionale del Libro di Torino la quarta “guida alle radici italiane” e un fumetto in tema. Grazie alla collaborazione delle collettività, abbiamo inoltre selezionato alcune manifestazioni particolarmente sentite dalla comunità italiana. La scorsa settimana abbiamo presentato “Italea” a Toronto e prima ancora in Cile, Repubblica Dominicana e Colombia. Lo presenteremo anche a San Paolo del Brasile, Buenos Aires, Melbourne e a New York. Abbiamo anche lanciato “Italea Card”, scaricabile dalla piattaforma italea.com. Con oltre 400 partner, offre vantaggi concreti ai connazionali all’estero e valorizza le realtà produttive italiane delle aree meno interessate dai grandi flussi turistici, favorendo la crescita dell’intero territorio nazionale. A queste proposte si affiancheranno presto nuovi pacchetti speciali di offerte e agevolazioni. Penso alla riduzione delle tariffe sull’alta velocità offerte da per gli italiani residenti all’estero e agli accordi in corso di definizione con altri attori del Sistema Italia come ad esempio Poste Italiane e ITA Airways. Abbiamo infine attivato una collaborazione con la Santa Sede in vista del Giubileo, per cogliere sinergie con il turismo religioso che interesserà anche tantissimi siti religiosi in tutta Italia. Lo stesso stiamo facendo con il CONI per le Olimpiadi Invernali di Milano e Cortina”.

Per concludere la sua relazione governativa, Silli ha parlato del disegno di legge costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio: “il testo è stato approvato ieri dal Senato e passerà ora alla Camera, prima dell’ulteriore passaggio in entrambi i rami del Parlamento. Sarà cura del Governo aggiornarvi su queste tappe, perché la riforma potrebbe comportare una modifica dell’attuale legge elettorale per armonizzarvi il sistema di voto degli Italiani all’estero. Vi invito sin d’ora a presentare eventualmente una proposta unitaria che sarà esaminata con attenzione”. (aise/dip 19) 

 

 

 

In Germania il pericolo di una giustizia compromessa? Rafforzare la Corte Costituzionale

 

Cosa può succedere se l’esecutivo di uno Stato vuole mettere a bando o, comunque, almeno in parte in seria crisi la Giustizia, vale a dire il terzo potere dello Stato, lo abbiamo potuto constatare negli ultimi anni in Ungheria, Turchia, Polonia e negli Stati Uniti. Sistematicamente in tutti e quattro i paesi (più o meno) democratici, le rispettive corti supreme sono state almeno indebolite se non, come è accaduto in Polonia, messe in fuorigioco.

Eppure, nonostante la costante ascesa di un partito populista di destra proprio in Germania, come lo è in maniera sempre più evidente la AfD – gli ultimi fatti riguardanti il candidato leader per le elezioni Europee Maximilian Krah che ha addirittura difeso le SS affermando che poi, tutto sommato, “non erano poi tutti criminali”, la Coalizione semaforo sembra essersi un po’ bloccata riguardo una riforma che era stata presentata già alla fine di gennaio. Una riforma impellente, visto che attualmente i partiti democratici hanno ancora le carte in regola e i numeri per rafforzare la Corte Costituzionale, il Bundesverfassungsgericht con sede a Karlsruhe.

I padri e le madri della Legge fondamentale (che quest’anno a maggio ha compiuto ben 75 anni), hanno implementato tutta una serie di garanzie nella Costituzione federale, dopo le cattive esperienze della Repubblica di Weimar e, ovviamente, quelle legate al periodo più buio della Storia tedesca, quello del nazionalsocialismo. Tra questi c’è la “clausola di eternità” (Ewigkeitsklausel), secondo la quale i pilastri portanti della Costituzione (dignità umana, democrazia, Stato di diritto, Stato federale) non possono essere modificati in alcun modo.

Altri elementi, altre garanzie, come ad esempio la proprietà privata, possono essere invece cambiate con una maggioranza di due terzi. Inoltre, la Costituente ha previsto un nuovo organo di vigilanza con poteri straordinari: per l’appunto la Corte costituzionale federale.

Ma cosa succederebbe se questo organismo di controllo dovesse vacillare?

In tal caso le garanzie contenute nella Legge fondamentale non sarebbero sufficienti. Lo scenario del “Cancelliere unico” (vale a dire: con una maggioranza assoluta del 50 per cento più uno), sta a dimostrare che anche la Corte di Karlsruhe potrebbe divenire il primo bersaglio di un governo populista. Come? Cambiando radicalmente i principi contenuti non nella Costituzione, ma nella semplice legge che regola appunto il funzionamento della Corte suprema.

Difatti molte questioni relative all’organizzazione della Corte e soprattutto riguardo all’elezione dei giudici non sono disciplinate dalla Legge fondamentale, ma, appunto, dalla semplice “Legge sulla Corte costituzionale federale”. In altre parole, in una legge “normale”, dunque il legislatore può cambiare questa legge con una maggioranza semplice (che il “Cancelliere del popolo” nel suddetto scenario avrebbe). A quel punto l’istanza che dovrebbe garantire i diritti fondamentali della Costituzione potrebbe trasformarsi in un potere suddito del governo e, dunque, obsoleto.

Come raggiungere, dunque, più garanzie?

Ovviamente con ulteriori regole e principi fondamentali relative alla Corte costituzionale federale previste dalla Legge fondamentale, dal “Grundgesetz”.

Proprio l’organizzazione del tribunale e l’elezione dei giudici meritano una maggiore protezione, anche perché queste presunte formalità possono esercitare una grande influenza sul lavoro del tribunale e sul suo compito centrale: il controllo di tutti gli organi statali.

Un esempio su tutti: l’elezione e la durata del mandato dei giudici. La legge sulla Corte costituzionale federale stabilisce “solo” che i giudici (una metà dal Bundestag, l’altra metà dal Bundesrat) devono essere eletti con una maggioranza di due terzi. Lo scopo di questa disposizione è quello di garantire che la maggioranza di governo non possa semplicemente inviare i “suoi” candidati a Karlsruhe. Piuttosto, invece, è necessario un certo consenso con gli altri partiti. Ma non solo: un cancelliere forte potrebbe aumentare il numero dei senati, aumentare gli anni massimi del mandato (attualmente di dodici) e, addirittura, modificare la competenza interna dei senati. Insomma: sarebbe un vero e proprio scenario da evitare. Eppure, nonostante il pericolo che incombe da destra, sembra che il disegno di legge sia stato messo in discussione proprio dai liberali. Si vocifera a Berlino che la Fdp voglia far slittare la riforma, che era stata presentata in Parlamento a marzo, e riproporla soltanto dopo le elezioni europee. Come a dire: vediamo quale risultato raggiungerà la Afd e poi si vede. Un tatticismo e temporeggiamento che potrebbe rivelarsi molto pericoloso. Alessandro Bellardita, CdI, giugno/luglio

 

 

La destra scuote l’Ue, ma la maggioranza Ursula regge

 

Bruxelles. La destra e l’estrema destra si affermano in Europa, si scuotono alcuni Paesi Ue (Macron in Francia ha sciolto il Parlamento, De Croo in Belgio si è dimesso), ma gli equilibri del nuovo Parlamento europeo non cambieranno: secondo le proiezioni della notte i deputati delle forze tradizionali europeiste resteranno la maggioranza tra i 720 eletti dai 27 Stati membri. Già poco dopo le 9 di sera era evidente che il Partito popolare europeo si sarebbe confermato la prima forza dell’emiciclo, in linea con i sondaggi dei giorni precedenti il voto. E infatti la presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha fatto la campagna elettorale da candidata leader del Ppe — per un secondo mandato alla guida dell’esecutivo comunitario, non per un posto in Parlamento — ha esultato ancora prima di avere i risultati definitivi: «Abbiamo vinto le elezioni europee, siamo il partito più forte, ancora di stabilità, e questo è un grande messaggio».

Questo cosa vuol dire? Prima i numeri. Il Ppe ottiene secondo i risultati provvisori del mattino 185 seggi, i socialdemocratici 137, i liberali di Renew Europe 80, i conservatori dell’Ecr 73, l’estrema destra di Identità e democrazia 58, i Verdi 52 e la Sinistra 36, i non iscritti 46 e 53 i deputati non affiliati a un gruppo. Indietreggiano i Verdi che da quarto gruppo nella legislatura che si conclude diventano il sesto.

Il Partito popolare è «la più grande forza al Parlamento europeo e nessuna maggioranza potrà essere formata senza il Ppe. Costruiremo un bastione contro gli estremisti da sinistra e da destra», ha detto von der Leyen. Cosa comporti in termini di alleanze lo ha spiegato il presidente e capogruppo del Ppe Manfred Weber: «Invito i Socialisti e Renew a unirsi a noi per un’alleanza pro-europea», ha detto dal palco allestito nell’aula della plenaria per la notte elettorale. «Invito il presidente francese, Emmanuel Macron, a confermare von der Leyen alla Commissione», ha aggiunto. Perché sono i leader Ue a designare la/il presidente della Commissione tenuto conto dell’esito delle elezioni. E cinque anni fa i leader Ue decisero (soprattutto Macron) che non sarebbe stato Weber, allora Spitzenkandidat del Ppe, a guidare la Commissione ma von der Leyen.

Francesca Basso, CdS 11

 

 

 

Euro 2024, verdi e pieni di speranza: sono 40mila i volontari in Germania

 

Sono loro a occuparsi dell’accoglienza e del primo impatto dei visitatori – dall’inviato Maurizio Crosetti

 

DORTMUND – Sono 40mila personcine vestite di verde, sono i volontari di Euro 2024 e rappresentano almeno tre segmenti della popolazione tedesca: gli adolescenti appena maggiorenni e studenti, gli adulti e gli anziani, questi ultimi forse i più numerosi e appassionati in assoluto. Visti da vicino e in azione, i volontari ricordano molto due gruppi di loro predecessori lontani nel tempo e nei luoghi, ma affini per entusiasmo e comune sentire. E cioè il popolo dei volontari di Sydney 2000 e Torino 2006, due edizioni olimpiche estive e invernali. Ma con il calcio, in questi primi giorni di festa, non è poi molto diverso.

La volontaria e l’invasione scozzese

La marea scozzese che ha assistito al debutto (con goleada) della propria, amatissima nazionale a Monaco, venerdì sera, all’ingresso sud dello stadio è stata accolta da un’anziana volontaria con megafono, che dall’alto della sua postazione cantava uno degli inni più amati della “Tartan Army”, quello che dice “No Scotland, no party”. Davvero un bel momento di gemellaggio sentimentale, ben oltre gli schieramenti sportivi. E gli scozzesi, felici comunque prima e dopo la partita, si sono messi a “dare il cinque” ai bambini tedeschi che inneggiavano alla nazionale di Kroos e Musiala. Ma davvero, in certi frangenti, il tifo è l’ultimo dei problemi.

Le indicazioni

Anche dai volontari dipende il buon esito di una grande manifestazione sportiva, ed Euro 2024 non farà eccezione. Perché sono loro a occuparsi dell’accoglienza e del primo impatto dei visitatori, siano tifosi o addetti ai lavori, delegazioni ufficiali o giornalisti, sponsor o semplici imbucati. Un omino verde, o una donnina dello stesso colore, è la prima persona che si incontra non appena scesi dall’aereo o entrati in una stazione ferroviaria. Tutti parlano inglese e non pochi italiano, del resto la Germania è piena di nostri connazionali. Il volontario offre indicazioni pratiche: sui trasporti, la logistica, l’accoglienza, il turismo. Ma, soprattutto, porge quel sorriso di benvenuto e quelle parole che rappresentano sempre un buon inizio, sull’onda di un sentimento di domestica gentilezza.

Quarantamila persone sono un esercito, e stanno funzionando molto bene. Si improvvisano interpreti, accompagnatori e solutori di problemi, quelli basici, i primi che si presentano a chi è appena arrivato, dunque i più urgenti. I volontari sorridono sempre, e amano molto discorrere: è una delle grandi forze dello sport, che è soprattutto una vicenda di comunità che si incontrano e si scambiano esperienze. Una ricchezza che la pandemia aveva zittito nelle ultime edizioni di Europei e Olimpiadi, appena tre anni fa ma sembrano trecento. Nel pieno significato della parola “insieme”, qui in Germania un mondo ritrova sé stesso. LR 15

 

 

 

Il “Punto Italia” per l’assistenza ai tifosi italiani in Germania

 

È stato presentato nel piazzale della Farnesina il “Punto Italia” per l’assistenza ai tifosi italiani in Germania che assisteranno agli Europei di calcio 2024 in programma dalla metà di giugno. Nello specifico si tratta di una postazione consolare itinerante, allestita su un Ufficio mobile della Polizia di Stato, che si sposterà fra le varie città della Germania per fornire assistenza ai numerosi tifosi italiani che seguiranno la nostra Nazionale di calcio. L’iniziativa congiunta di Polizia di Stato e Farnesina costituisce una collaborazione inedita. Il “Punto Italia” sarà collocato nei luoghi di maggior afflusso dei tifosi italiani, quali stazioni o stadi. Le città in cui giocherà la Nazionale e in cui si troverà il “Punto Italia” sono Dortmund (15 giugno Italia-Albania), Gelsenkirchen (20 giugno Italia-Spagna) e Lipsia (24 giugno Italia-Croazia); ulteriori tappe dipenderanno dall’esito delle qualificazioni. Nell’Ufficio mobile saranno presenti: operatori della Polizia di Stato e personale del Ministero degli Esteri in servizio presso gli Uffici consolari in Germania competenti per territorio. La postazione offrirà una serie di servizi di assistenza: contatti con i familiari in Italia in caso di necessità; emissione di documenti di viaggio di emergenza (ETD); assistenza e intermediazione linguistica con le forze dell’ordine locali o in caso di necessità sanitarie; assistenza legale. La presentazione dell’iniziativa è stata aperta dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha sottolineato come i connazionali potranno usufruire del “Punto Italia” per una prima assistenza in caso di necessità. “Abbiamo unito le nostre forze per assistere gli italiani: è lo spirito della rete delle Ambasciate e dei Consolati, è lo spirito della Polizia e di tutto quanto il Governo”, ha spiegato Tajani parlando di tutela degli italiani nel mondo come una priorità. “La rete consolare in Germania è guidata dall’Ambasciata a Berlino ed è pronta a dare assistenza a tutti gli italiani. Abbiamo attivato un numero di emergenza gratuito per tutta la durata degli Europei”, ha aggiunto Tajani precisando che il contatto telefonico sarà attivo dal 14 giugno e sarà il seguente: 0080025442544. Tajani ha inoltre precisato che i connazionali avranno a disposizione anche il numero di emergenza dell’Unità di Crisi, invitando i nostri connazionali in trasferta a registrarsi su “Dove siamo nel mondo” e a seguire gli aggiornamenti sull’applicazione “Viaggiare Sicuri” anche per avere notizie riguardanti il “Punto Italia”. “Il fine ultimo è fare sempre bene per l’Italia, dal punto di vista sportivo e dell’assistenza”, ha sottolineato Tajani, ringraziando la Polizia di Stato non solo per questa collaborazione specifica per gli Europei ma anche più in generale per la lotta alla criminalità organizzata su scala internazionale: con il Ministero dell’Interno è stata messa insieme una rete di 58 esperti in grado di facilitare il lavoro della rete diplomatico-consolare sul fronte della sicurezza. “Oggi diamo un segnale importante di vicinanza ai nostri cittadini e ai nostri tifosi: il nostro Consolato mobile sarà a disposizione per dare la massima assistenza”, ha aggiunto Tajani. E’ poi intervenuto il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha spiegato come questi servizi vadano a beneficio dei connazionali all’estero in vista degli Europei, ma più in generale rappresentino un contributo alla sicurezza dell’evento sportivo in sé. Piantedosi ha espresso soddisfazione per la “piena sinergia” messa in atto tra i due Ministeri anche in funzione dei diversi campi di azione all’estero, a partire dal contrasto all’immigrazione irregolare. “Molto bella questa collaborazione tra Italia e Germania anche in vista del voto per il rinnovo del Parlamento europeo: la presenza qui dei due Ambasciatori – quello italiano in Germania e quello tedesco in Italia – sottolinea una tradizione consolidata di rapporti collaborativi tra Paesi europei”, ha rilevato Piantedosi. E’ stata poi la volta del Ministro dello Sport Andrea Abodi che ha ricordato come l’Italia si presenti a questi Europei da campione in carica: un titolo da difendere non solo sul campo ma anche nell’organizzazione e nei servizi per gli italiani, che non saranno solo tifosi ma anche addetti ai lavori. Abodi ha inoltre auspicato che strumento “Punto Italia” possa essere utilizzato anche in futuro per i grandi avvenimenti in campo sportivo: in estate ci saranno Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi. Il Prefetto Sergio Bracco ha chiuso l’evento di presentazione del “Punto Italia” ricordando che sarà presente in Germania anche un contingente proveniente dalla Polizia Ferroviaria e dalla Polizia di Frontiera per affiancare la Polizia locale nella fase di accoglienza e gestione della tifoseria italiana. (Inform/dip 3)

 

 

 

Humbolt Universität di Berlino: a rischio l'istituto di italianistica

 

Berlino - C’è il “rischio concreto” che “l'istituto di italianistica della Humbolt Universität chiuda per mancanza di fondi”. A comunicarlo è il Presidente del Comites di Berlino, Federico Quadrelli, che ha rilanciato la petizione del Dipartimento “per la salvaguardia dell’Italianistica humboldtiana”.

L'istituto di italianistica della Humboldt “rappresenta un centro di eccellenza nella diffusione della lingua e della cultura italiana”, ricorda Quadrelli che, assicura, “in qualità di Presidente del Comites farò presente la situazione agli interlocutori istituzionali con competenza in materia”.

Nella petizione, lanciata lo scorso 21 maggio e già sottoscritta da quasi 12mila persone, si ricorda anche la Giornata di mobilitazione e di dibattito per la salvaguardia dei corsi di studi di Italianistica prevista il 26 giugno.

Il testo.

“Lo scorso febbraio, poco dopo aver ricevuto un giudizio oltremodo positivo da parte della commissione di accreditamento, i membri del Consiglio d’Istituto del Dipartimento di Romanistica della Humboldt-Universität di Berlino hanno appreso con non poco stupore che il deficit di bilancio dell’Ateneo renderà a quanto pare necessaria la soppressione delle due cattedre di Italiano (rispettivamente di Linguistica e Letteratura) attualmente vacanti.

Ciò comporterà inevitabilmente la chiusura dei corsi di laurea in Italiano, tanto per la triennale quanto per la specialistica (Master of Education). Il corpo docente e tutto il personale dell’Istituto di Romanistica è unanimemente convinto che tale decisione rappresenti un passo falso destinato ad avere conseguenze fatali non solo per l’Istituto, ma anche per tutta la Humboldt-Universität, che ne uscirebbe ridimensionata nella ricchezza e varietà della ricerca e dell’insegnamento, il che assesterebbe un duro colpo al panorama universitario berlinese, attualmente unico nel suo genere nell’attirare studenti da tutto il mondo. Inoltre, è nostra convinzione che la soppressione degli studi di Italianistica presso il nostro Ateneo avrà ripercussioni anche nella ricezione della vita culturale della città di Berlino, per i cui musei, teatri, cinema e sale da concerto l’Italia rappresenta da sempre uno dei principali Paesi di riferimento.

Vi chiediamo, pertanto, di sostenere i nostri sforzi per la salvaguardia dell’Italianistica humboldtiana firmando il presente appello e partecipando (in presenza o da remoto) al “Dies Italicus. La Humboldt siamo (anche noi)! Giornata di mobilitazione e di dibattito per la salvaguardia dei corsi di studi di Italianistica” prevista per il 26 giugno p.v., h 10:00-17:30 (Lichthof, Unter den Linden 6). Per maggiori informazioni si rimanda al sito dell’Istituto di Romanistica: https://www.romanistik.hu-berlin.de/de”. (aise/dip 3) 

 

 

 

Berlino. La Festa della Repubblica all’Ambasciata 

 

Berlino – In occasione della Festa della Repubblica Italiana, l’Ambasciatore d’Italia a Berlino Armando Varricchio ha ospitato il tradizionale ricevimento, con la partecipazione di oltre mille ospiti tra rappresentanti istituzionali e della comunità diplomatica, esponenti di spicco del mondo economico, scientifico, accademico, culturale e dei media italiano e tedesco, nonché numerosi membri della comunità italiana. Informa la nota dell’Ambasciata. A rappresentare il governo tedesco, la Sottosegretaria agli Affari Esteri Susanne Baumann, assieme alla Sottosegretaria e Capo dell’Ufficio della Presidenza federale tedesca Dörte Dinger e a numerosi altri membri di governo e autorità tedesche. “Il 2 giugno 1946 il popolo italiano scelse la Repubblica. Una decisione che ha segnato l’inizio di un processo di rafforzamento democratico che trova la sua massima espressione nel primo voto a suffragio universale e nell’adozione della nostra amata Carta Costituzionale. Questa data segnò anche un riscatto dalla tragica esperienza del fascismo e della Seconda guerra mondiale e la rinascita del nostro Paese, oggi protagonista tra le democrazie più avanzate”, ha detto l’Ambasciatore Varricchio nel suo discorso, omaggiando inoltre la Costituzione tedesca, nell’anno del 75esimo anniversario dalla sua proclamazione. “Con la Germania, in questi mesi abbiamo rinnovato e rilanciato la nostra collaborazione con il Vertice intergovernativo e un ambizioso Piano di Azione bilaterale”, ha proseguito l’Ambasciatore, citando tra le prossime occasioni di incontro e collaborazione, la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina che quest’anno sarà ospitata dalla Germania e il prossimo Vertice G7 sotto Presidenza italiana. Un proficuo e sentito dialogo rappresentato al più alto livello dal rapporto di profonda intesa amicizia che lega i Presidenti Mattarella e Steinmeier. Dopo aver ricordato la profondità dei rapporti politici, economici, di cooperazione scientifica e culturali, l’Ambasciatore Varricchio si è rivolto ai connazionali, esprimendo i più sinceri auguri alla “nutrita e attiva comunità italiana che vive e lavora in Germania, vero ponte tra i nostri Paesi e motore di una reale e fattiva integrazione europea dei cittadini”. Gli interventi sono stati preceduti dagli inni italiano, tedesco ed europeo, eseguiti dal Coro delle alunne e degli alunni dell’Einstein Gymnasium di Berlino. Durante la serata, svoltasi a pochi giorni dall’avvio del Campionato europeo maschile, grazie alla collaborazione con la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), sono inoltre stati esposti in Ambasciata i Trofei vinti dalla Nazionale italiana nel Mondiale 2006 e nell’Europeo 2020, come omaggio ai legami nati tra i nostri Paesi grazie allo sport e al calcio. Dall’Ambasciata anche i ringraziamenti a tutti gli sponsor che hanno contribuito a fare del ricevimento per la Festa della Repubblica Italiana un evento speciale. (Inform/dip 3)

 

 

 

Iserlohn. Premiati i vincitori del concorso “Il migliore gol delle nostre nazionali”

 

Iserlohn. Casa Azzurri, poche ore dopo la vittoria della Nazionale nell’esordio a EURO 2024, si è riempita dell’entusiasmo dei bambini. A Iserlohn, nell’area che ospita i tifosi azzurri e i partner della FIGC, c’è stata la premiazione del concorso “Il migliore gol delle nostre nazionali: fai gol anche tu!”, che ha visto coinvolti oltre 250 tra ragazze e ragazzi di 50 scuole e scuole calcio provenienti da 13 tedesche.

Un’atmosfera di grande festa a Casa Azzurri, con l’emozione dei docenti e dei genitori degli studenti delle scuole primarie e secondarie, nonché dei piccoli giocatori dei club di calcio giovanili: ragazze e ragazzi di tutta la Germania che hanno preso parte con video, animazioni, fumetti e disegni all’iniziativa, riproducendo con fantasia e creatività i gol più famosi delle nazionali italiana e tedesca.

Per i vincitori, la premiazione ma anche la gioia di poter assistere alla prima parte dell’allenamento della Nazionale, all’indomani della vittoria per 2-1 contro l’Albania.

Presenti l’ambasciatore d’Italia in Germania Armando Varricchio, il presidente della FIGC Gabriele Gravina e il capo delegazione Gianluigi Buffon.

“Con la vostra partecipazione al concorso avete dimostrato non solo le vostre abilità tecniche, ma soprattutto la capacità di lavorare in squadra e di sognare in grande”, ha detto l’ambasciatore Varricchio rivolgendosi ai vincitori. “Oggi celebriamo il vostro successo, ma anche lo spirito del calcio che unisce i nostri Paesi e vive in ognuno di voi”.

“L‘iniziativa dell’Ambasciata italiana ha una valenza straordinaria perché esalta le caratteristiche universali del gioco del calcio: la condivisione e la partecipazione, soprattutto tra i giovani”, sono state le parole di Gravina. “Le scuole e gli studenti rappresentano il futuro di una Nazione e della sua società civile; coltivare la memoria dello sport rappresenta una bellissima testimonianza di amicizia, che unisce Italia e Germania al di là della rivalità calcistica. Ringrazio l’Ambasciatore Varricchio per aver scelto Casa Azzurri come luogo della premiazione, qui si respirano gli stessi valori, quelli della maglia Azzurra”.

“Quando il presidente mi ha chiesto di partecipare a questa iniziativa sono stato felicissimo”, ha spiegato Buffon. “Mi piace stare tra i ragazzi, confrontarmi con loro: con i loro sogni, con le loro paure, con i loro obiettivi. Il calcio ha una grande forza: quella di unire. L’Italia è suddivisa in Regioni, ognuna delle quali con un suo dialetto: ma quando c’è l’Italia il campanilismo si lascia da parte e tifiamo tutti per la stessa cosa. Essere stato portiere della Nazionale, aver vinto un Mondiale proprio qui in Germania, è stato uno dei più grandi regali che la vita mi potesse fare. Ancora mi emoziono, mi commuovo, voi e i vostri genitori mi trasmettete ricordi”.

Il concorso, a cui hanno partecipato più di 50 scuole e di 250 ragazzi, ha visto come vincitori al primo posto la Scuola Döhrnstrasse di Amburgo, che ha riprodotto un gol di Baggio del Mondiale del 1994; al secondo il Martin Behaim Gymnasium di Norimberga, con il gol di Philipp Lahm nel 2008 e quello di Helmuth Rahn nel 1954. Al terzo posto due classificati a pari merito: il Wim-Wenders-Gymnasium di Düsseldorf con il gol di Grosso nella semifinale del 2006 segnato proprio a Dortmund (nello stadio che ieri ha ospitato Italia-Albania) e la Finow Schule di Berlino con il gol di Tardelli nella finale del Mondiale del 1982. La prima classificata nella sezione Opera artistica è stata infine la 5c della Finow Schule di Berlino, che ha riprodotto con un montaggio “artistico” il gol di Grosso alla Germania di 18 anni fa. (aise/dip 17)

 

 

 

Le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia a Monaco di Baviera

 

Monaco di Baviera - Le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia protagoniste a Monaco di Baviera, nell’ambito di una cerimonia a cui hanno partecipato numerosi rappresentanti delle istituzioni tedesche, ed ambasciatori e consoli di vari Paesi del mondo. L’appuntamento, organizzato dal Consolato Generale d’Italia, si è svolto il 3 giugno 2024, in occasione della Festa Nazionale della Repubblica Italiana del 2 giugno, negli splendidi spazi della Glyptothek di Monaco, illuminata in notturna con i colori della bandiera tricolore.

Ad accogliere il Presidente di Visit Emilia Simone Fornasari e il Direttore Pierangelo Romersi, il Console Generale d’Italia a Monaco Sergio Maffettone.

"Attraverso le nostre eccellenze - ha commentato Fornasari - vogliamo consolidare i ponti con un territorio che sta portando sempre più incoming sulla nostra destinazione. Crediamo che la valorizzazione dei nostri prodotti dell’enogastronomia, in contesti di prestigio come questo, permetta di svolgere un ruolo chiave per la promozione di marketing territoriale di una terra unica e speciale come l’Emilia".

Oltre 500 gli invitati, che dopo l’incontro istituzionale hanno potuto assaporare il meglio dei prodotti tipici italiani, tra i vini piemontesi, il tartufo, la pizza napoletana (con Luciano Sorbillo), il frico friulano, le delizie preparate dai maestri cioccolatai torinesi e, per l’Emilia i pregiati Salumi DOP Piacentini e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, portati dai rispettivi Consorzi.

"Lo scorso anno, in occasione delle Festa della Repubblica Italiana, eravamo all’OCSE a Parigi e la nostra presenza si rivelò strategica e funzionale – ha concluso il Presidente di Visit Emilia Fornasari -. Quest’anno abbiamo accolto l’invito del Console Generale di Monaco che conobbi in occasione della fiera del turismo F.RE.E dello scorso febbraio e siamo stati davvero felici di raccogliere feedback così importanti nonché di instaurare legami propedeutici allo sviluppo della nostra destinazione turistica". (aise/dip 4) 

 

 

 

 

Recenti puntate di Cosmo italiano, ex-Radio Colonia

 

07.06.2024 Riforme in arrivo per ospedali e medici di base in Germania

Il ministro federale della Sanità, Karl Lauterbach, ha fatto approvare in Consiglio dei ministri una riforma che punta a riorganizzare la distribuzione sul territorio e il finanziamento dei circa 1700 ospedali tedeschi.  Dei contenuti della riforma ce ne parla Enzo Savignano. Con il medico di Krefeld (NRW), Lorenzo Bruno, parliamo, invece, dei tanti problemi che affrontano quotidianamente i medici di base in Germania e quali riforme potrebbero migliorare il loro lavoro e la cura dei pazienti. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/riforme-in-arrivo-ospedali-medici-di-base-germania-100.html

 

06.06.2024 Alluvioni in Baviera e non solo: come prevenire? L'emergenza nel sud della Germania, colpita da gravi piogge e alluvioni, sta lentamente rientrando: Passau e Regensburg le città più colpite. Ma come attenuare le conseguenze e i danni dovuti al cambiamento climatico? Enzo Savignano ci parla del dibattito politico tedesco. E di prevenzione e ricostruzione parliamo con Ivan Mantovani, sindaco di Monterenzio, paese molto colpito dalle alluvioni in Emilia-Romagna di un anno fa. E cosa sono le "città-spugna" di cui ora si parla sempre di più?

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/alluvioni-germania-baviera-passau-regensburg-100.html

 

05.06.2024 La cultura del caffè italiano in Germania. Un buon caffè italiano in Germania si trova oggi molto più facilmente rispetto ad alcuni anni fa, e non solo nei bar italiani. Caffè stilosi, negozi di macchine per espresso e piccole torrefazioni sono ormai presenti in tutte le principali città tedesche. Ne parliamo con Graziano Chessa, maestro di torrefazione a Düsseldorf, che da anni offre corsi di formazione certificati per baristi. Degli effetti sulla salute, anche positivi e sorprendenti, parliamo con la nutrizionista Valentina Valenti.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/caffe-italiano-tedesco-barista-germania-salute-100.html

 

04.06.2024 A 80 anni dal D-Day e dalla liberazione di Roma. 80 anni fa, a distanza di due giorni una dall'altra, avvenivano due svolte fondamentali nella storia della Seconda guerra mondiale: il 4 giugno 1944 veniva liberata Roma, mentre il 6 gli Alleati sbarcavano in Normandia. Ripercorriamo quegli eventi e le celebrazioni di oggi con il collega Enzo Savignano, con lo storico Lutz Klinkhammer e con il documentarista David Orlandelli che ha realizzato un lavoro su Radio Caterina, la radio clandestina degli Internati militari italiani in Germania. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/sbarco-normandia-roma-liberazione-100.html

 

03.06.2024 Gli scandali che indeboliscono l'estrema destra tedesca

Clima pesante in Germania alla vigilia del voto europeo, si moltiplicano gli episodi di intolleranza e violenza politica, ce ne parla Enzo Savignano. Abbiamo raggiunto Tonia Mastrobuoni, corrispondente di Repubblica la cui intervista a Maximilian Krah (AfD) ha causato la rottura con l'estrema destra francese. Christoph Bautz ci parla delle iniziative di Campact che stanno portando in piazza migliaia di persone contro la destra xenofoba.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/afd-crisi-krah-100.html

 

29.05.2024 Storie di migrazione al femminile in Germania. Che tipo di percorso hanno seguito le donne italiane emigrate in Germania negli ultimi decenni? Quali sono state le loro motivazioni e le loro esperienze? Ne parliamo con donne di tre generazioni diverse: la sociologa studiosa della migrazione Edith Pichler, la regista del documentario "Mutterland" Miriam Pucitta, sui traumi dell’emigrazione, vissuta dalla madre anche come riscatto, e Liliana Novelli, storica e autrice di un libro autobiografico. Con uno sguardo al network di Rete Donne e.V. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/emigrazione-femminile-donne-italiane-germania-100.html  

 

28.05.2024 La Buchmesse, i protagonisti italiani e Dacia Maraini

È ora nota la lista di autori che saranno alla Fiera del libro di Francoforte 2024, che ha come ospite d'onore l'Italia. Oggi la presentazione ufficiale del programma e del Padiglione Italia: Cristina Giordano c'è stata per noi. E una dei protagonisti della Fiera - e della letteratura italiana - è Dacia Maraini, con cui parliamo della sua prima Buchmesse e di quella in arrivo, di storia e scrittura, guerra vissuta, emancipazione femminile ed Europa.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/buchmesse-francoforte-italia-paese-ospite-100.html

 

27.05.2024 Speciale: la Firenze di Eike Schmidt, dall'arte alla politica

A tredici anni ha scoperto la passione per l'arte di Firenze, contribuendo in età adulta al rilancio delle Gallerie degli Uffizi di cui è stato direttore per ben due mandati. Heike Schmidt è uno storico dell'arte tedesco naturalizzato italiano, uno dei massimi esperti e conoscitori di scultura europea del Rinascimento e Barocco. Ci parla della sua candidatura a sindaco di Firenze col Centrodestra, dei suoi progetti e della differenza nel mondo del lavoro italiano e tedesco.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/eike-schmidt-arte-politica-100.html

 

Musica italiana non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla app di COSMO e su Spotify.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/channels/italia-channel-100.html

Ascolta COSMO italiano Podcast, streaming e radio:

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/index.html

Nella app gratuita di COSMO:

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/dossier-e-speciali/nuova-app-cosmo-100.html 

Seguici su Facebook https://www.facebook.com/cosmoitalienisch  Cosmo/de.it.press

 

 

 

Berlino. Assegnato il Premio 2024 per la traduzione italo-tedesca

 

Berlino - Si è svolta il 13 giugno, in Ambasciata a Berlino la cerimonia di premiazione dei vincitori del Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend 2024 (ex Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria).

Ad annunciare congiuntamente i vincitori sono stati i ministri della Cultura italiano, Gennaro Sangiuliano, e tedesca, Claudia Roth.

La cerimonia, ospitata dall’ambasciatore Armando Varricchio, ha visto premiati eminenti traduttori letterari che contribuiscono alla reciproca comprensione culturale tra Germania e Italia.

In occasione del conferimento di quest’anno è stata anche annunciata la ridenominazione del “Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria”, istituito nel 2008. Con Lavinia Mazzucchetti (1889-1965) e Ragni Maria Gschwend (1935-2021), il Premio è ora intitolato a due traduttrici che si sono distinte come grandi modelli di stile letterario e impegnate propugnatrici rispettivamente della letteratura tedesca e italiana.

“Il Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend onora il lavoro dei traduttori, tanto prezioso quanto troppo spesso sottovalutato”, ha dichiarato la ministra tedesca Roth, per la quale “la ridenominazione del premio sottolinea la grande importanza delle donne nell’arte della traduzione e onora la straordinaria carriera di due eccezionali personalità letterarie, Ragni Maria Gschwend e Lavinia Mazzucchetti. Il loro lavoro rimane un modello e un’ispirazione per le generazioni future”.

Il ministro Sangiuliano, “nell’anno della partecipazione dell’Italia alla Buchmesse di Francoforte come nazione ospite d’onore”, si è detto “lieto che il Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend sia conferito a tre apprezzati professionisti che hanno fatto conoscere al pubblico tedesco opere letterarie italiane. Il traduttore svolge una essenziale funzione sociale”, ha aggiunto: “accompagna i lettori alla scoperta di frammenti dell’identità culturale di un altro popolo”.

I vincitori sono stati selezionati da una giuria di esperti composta da Maike Albath, presidente della giuria, Florian Höllerer, Verena von Koskull, Adrian La Salvia, Lothar Müller e Irina Rajewsky:

Annette Kopetzki ha ottenuto il premio principale di quest’anno per la sua traduzione del romanzo di Stefano Massini “Qualcosa sui Lehman” (edizione Hanser Verlag 2022).

”Vivace, smagliante, ammaliante: così”, si legge nella motivazione della giuria, “appare la traduzione di Annette Kopetzki dell’epopea contemporanea di Stefano Massini “Qualcosa sui Lehman”. La traduttrice ricrea la forma in versi dell’originale con ingegno lessicale e virtuosismo ritmico, seguendo il flusso linguistico con grande musicalità. Descrizioni lapidarie si alternano a dialoghi arguti, il pathos biblico si contrappone all’umorismo cupo. Il glossario dei termini ebraici e yiddish da lei compilato testimonia la maestria con cui Kopetzki ha saputo padroneggiare la varietà delle stratificazioni linguistiche. È merito dello slancio di Annette Kopetzki se le 850 pagine che raccontano l’ascesa e la caduta di una dinastia scorrono lievi come piume”.

Karin Krieger ha ricevuto il premio alla carriera. “Da trent’anni Karin Krieger firma traduzioni di notevolissima qualità. La sua vasta opera offre una panoramica della letteratura italiana moderna e contemporanea con Alessandro Baricco, Andrea Camilleri, Giorgio Fontana, Alba de Céspedes, Elena Ferrante e Margaret Mazzantini, Claudio Magris e Ugo Riccarelli”, ha dichiarato la giuria.

Moritz Rauchaus è stato premiato per la sua impressionante traduzione del “Trattatello in laude di Dante” di Boccaccio con il premio agli esordienti che include un soggiorno a Villa Massimo a Roma.

Dal 2008 il Premio per la traduzione Mazzucchetti-Gschwend viene conferito di anno in anno, a rotazione, a traduzioni dall’italiano al tedesco e viceversa. Il premio – 10.000 euro per la migliore traduzione, 10.000 euro per il premio alla carriera e una borsa di studio per una residenza come premio esordienti – viene assegnato ogni due anni alternativamente a Roma e a Berlino dall’Incaricata del Governo Federale per la Cultura e i Media (BKM) e dal Ministero italiano della Cultura. Negli anni intermedi, traduttori e traduttrici provenienti dalla Germania e dall’Italia si incontrano per diversi giorni per approfondire lo scambio professionale e personale tra questi mediatori, che sono fondamentali per le relazioni culturali tra i due Paesi.

I partner della cooperazione sono, oltre all’Ambasciata e all’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, anche il Literarisches Colloquium di Berlino, Villa Massimo e il Goethe-Institut di Roma. (aise/dip 14)

 

 

 

Brevi di cronaca e politica tedesca

 

La disputa sul bilancio divide i partner di governo

Dopo la disastrosa sconfitta alle elezioni del Parlamento europeo, l’alleanza tra alleati così diversi è entrata ormai in una crisi da non poter escludere il fallimento. Fra le questioni attualmente in discussione tra Socialdemocratici, Verdi e Liberali, il più grande pericolo si cela nelle trattative in corso per il bilancio pubblico del 2025. Perché qui ne va dell’essenza dei programmi dei partiti. Da mesi i partiti della coalizione semaforo sottolineano che la pianificazione finanziaria possa rappresentare il punto di rottura nella coalizione. I numerosi vertici tra il Cancelliere Olaf Scholz (SPD), il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) e il ministro delle Finanze Christian Lindner (FDP) sono finora senza risultati. Le posizioni dei partner sono inconciliabili. Il ministro Lindner chiede una rigorosa politica di austerità per rispettare il freno all’indebitamento prescritto dalla Costituzione tedesca. Nell’SPD, invece, si avanzano richieste per evitare ulteriori tagli a causa dell’emergenza della guerra in Ucraina. 

Anche il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi) si oppone agli obiettivi di risparmio del ministro Lindner e chiede, tra le altre cose, investimenti per l’Ucraina. Il suo ammonimento: “Sarebbe fatale dover dire tra qualche anno: abbiamo salvato il freno all’indebitamento, ma in cambio abbiamo perso l’Ucraina e l’ordinamento di pace europeo”.  E all’interno della coalizione non mancano altre controversie come un disaccordo tra il Cancelliere Scholz e il ministro Baerbock in merito a possibili nuove sanzioni contro la Russia. Il temporeggiamento del Cancelliere nell’adozione di ulteriori sanzioni è stato descritto dal ministro degli Esteri davanti ai media come “dannoso per l’immagine della Germania”.

Il Segretario generale dell’FDP Bijan Djir-Sarai chiede a nome dei Liberali una riduzione delle prestazioni statali per gli ucraini che fuggono in Germania dalla guerra di aggressione russa. In futuro, i nuovi profughi di guerra provenienti dall’Ucraina non dovranno più ricevere l’indennità di cittadinanza, ma solo le prestazioni dovute ai richiedenti asilo. Richieste simili erano già pervenute diverse volte da CDU/CSU. Il politico dell’FDP ha inoltre dichiarato: “Abbiamo una carenza di manodopera ovunque, ad esempio nella ristorazione, nell’edilizia o nel settore sanitario. Non dovremmo più finanziare la disoccupazione con i soldi dei contribuenti, ma dobbiamo assicurarci che le persone riescano a entrare nel mondo del lavoro“.

 

La Germania preoccupata per le prossime elezioni regionali

Anche qui potrebbe decidersi il destino del governo semaforo, perché a circa due mesi e mezzo dalle elezioni regionali in Turingia, si profila una sconfitta schiacciante per i tre partner di governo. La CDU non potrà trarne però alcun vantaggio: secondo gli ultimi sondaggi, l’AfD è saldamente al primo posto con il 28% delle preferenze. Contando anche i populisti neomarxisti e filo-putiniani della nuova alleanza Bündnis Sarah Wagenknecht (BSW), stimata al 21%, il partito non arriverebbe nemmeno alla maggioranza, dato che le stime per la CDU si attestano al 23%. Per quanto riguarda gli altri partiti invece, l’SPD è data al 7%, la Sinistra (Die Linke) all’11% (e anche in questo caso, contando anche la CDU, il totale sarebbe il 41% delle preferenze).

Con il 4%, i Verdi non sarebbero più rappresentati nel Landtag, stessa cosa per l’FDP, che si avvierebbe verso il crollo. Poiché finora tutti gli altri partiti hanno escluso un’alleanza con l’AfD, allo stato attuale con un tale risultato si potrebbe prendere in considerazione solo la formazione di un governo con la partecipazione della BSW. La CDU è al momento alle prese con una lotta interna per decidere se, in caso di emergenza, entrerebbe a far parte di una coalizione con la BSW, al fine di consentire un governo regionale stabile. In autunno toccherà anche ad altri due Länder della Germania est: in Sassonia si voterà il 1° settembre, come in Turingia, e in Brandeburgo il 22 settembre.

 

La Germania perde posizioni come piazza economica

Cosa ha in comune la Germania come polo economico con il Venezuela? A prima vista le cose in comune tra una delle maggiori economie globali e lo Stato socialista non sono molte. Ma se si tratta di valutare la flessibilità con cui l’economia reagisce ai cambiamenti, Germania e Venezuela sono sullo stesso piano come emerge da uno studio condotto dal World Competitiveness Center (WCC), che suona come una resa dei conti con il governo della coalizone semaforo. Gli esperti del think tank attribuiscono l’attuale debolezza della Germania come piazza economica anche alle conseguenze della guerra in Ucraina. Ma i problemi sono anche di natura interna: in un sondaggio all'interno dello studio, condotto tra i dirigenti di varie aziende, si legge che “il tipico amministratore delegato tedesco oggi è molto più pessimista di tre anni fa”.

Secondo quanto emerso dallo studio, per i manager gli alti livelli di tassazione rappresentano uno svantaggio particolarmente grave nell’ambito della competitività. In questo settore, la Germania si colloca solo al 62° posto su un totale di 67 Stati esaminati. La Germania è indietro anche per le condizioni quadro politiche per le start-up e la burocrazia. Ciò mostra ripercussioni anche sulla valutazione diretta della coalizione di governo: solo circa il 5% dei dirigenti ritiene che il governo rosso-verde-giallo (colori rispettivamente di SPD, Verdi e FDP) lavori in modo competente, e solo il 12% degli intervistati ritiene che la Germania abbia un ambiente vantaggioso per gli affari. In termini di “efficienza di governo” complessiva, la Germania si colloca al 32° posto su 67. Un crollo notevole, dato che fino a pochi anni fa era tra le posizioni 21 e 24.

 

Le spese per la difesa salgono a livelli record

La Germania ha notificato alla NATO per l’anno in corso una spesa per la difesa stimata a 90,6 miliardi di euro per raggiungere l’obiettivo del 2% prefissato dall’Alleanza. Secondo una nuova sintesi emersa della sede centrale della NATO, la somma record corrisponde a una quota del prodotto interno lordo tedesco previsto pari al 2,12%.

La quota sarebbe quindi più alta di quanto stimato all’inizio dell’anno. Sullo sfondo della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, la Germania si è impegnata a raggiungere quest’anno per la prima volta l’obiettivo di spesa per la difesa concordato dalla NATO nel 2014, il quale prevede che gli Stati membri destinino annualmente almeno il 2% del loro prodotto interno alla difesa. La nuova situazione di minaccia in Europa ha riacceso da qualche tempo in Germania la discussione su una possibile reintroduzione del servizio di leva obbligatorio. Poco più della metà dei cittadini (55%) si mostra favorevole, mentre il 42% è contrario.

 

Dimissioni a Magonza: un nuovo problema per la SPD

È uno dei governatori più amati della Germania, stimata e riconosciuta per la sua umanità al di là degli schieramenti di partito. Ora però Malu Dreyer (SPD), da dodici anni capo di governo del Land Renania-Palatinato (capoluogo Magonza), è costretta a dimettersi per motivi di salute. Nonostante le insidie della sclerosi multipla di cui è affetta, la leader dell’SPD aveva dimostrato come sia possibile svolgere anche funzioni importanti, diventando quindi un modello per tantissime persone colpite dalla stessa patologia, senza mai nascondere la sua sofferenza e affrontando a viso aperto la sua malattia.

Ora per i Socialdemocratici si presenta un nuovo problema, considerando infatti che le ultime due vittorie elettorali del partito sono state principalmente dovute alla persona di Dreyer. L’SPD teme ora che la Renania-Palatinato, governata dalla CDU fino al 1991, possa ritornare ai Cristiano-democratici.

 

Mosca chiude l’Istituto Storico Germanico           

L’Istituto Storico Germanico di Mosca (DHI) è stato dichiarato dalle autorità russe “organizzazione non gradita”. Il ministero della Giustizia russo ha inserito l’istituto nella lista nera delle cosiddette “organizzazioni di agenti”. Da adesso quindi la struttura è di fatto vietata in Russia. L’Istituto aveva cessato le sue attività già nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina.  Fondato nel 2005, l’Istituto Storico Germanico fa parte di undici istituti di ricerca umanistica attivi all’estero. Anche a Roma vi è una sede. La sede di Mosca aveva condotto ricerche sulle relazioni russo-tedesche e sulla storia della Russia sovietica, promuovendo anche la collaborazione tra storici tedeschi e russi.

Il ministero degli Esteri tedesco ha espresso dure critiche nei confronti della decisione: “Il fatto che la Russia abbia ora dichiarato l’Istituto organizzazione non gradita mostra ancora una volta la paura di Putin di un confronto scientifico con la storia”, aggiungendo quindi che “le leggi russe sono incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (…) Agendo in questo modo, Putin vuole mettere a tacere anche le ultime voci critiche presenti nel suo Paese”. Anche la Fondazione Konrad Adenauer ha dovuto chiudere il suo ufficio a Mosca nel marzo 2022 per via della “legge sugli agenti stranieri”.

 

Luoghi in Germania: Gelsenkirchen                        

I campionati europei di Germania non producono sempre e solo notizie positive. Stavolta sono stati i tifosi inglesi, che nei social media hanno descritto la sede per le partite del girone della loro nazionale come un “postaccio” (abbiamo scelto un eufemismo…), con tanto di foto pubblicate nei social network. Da allora, stampa britannica e tedesca sono ai ferri corti.

Gelsenkirchen, dove giocherà la nazionale italiana contro la Spagna questa sera (20 giugno), con i fumi delle officine della Ruhr (Land Renania Settentrionale-Vestfalia, 260.000 abitanti), ex centro di estrazione del carbone e sede di acciaierie, ha molti problemi sociali e non è una meta turistica. Ma l’arena “Auf Schalke”, dove gioca in casa l’omonima squadra della Seria A tedesca, è uno degli stadi più moderni della Germania. In tedesco c’è un proverbio che in italiano suona letteralmente più o meno così: “Chi vuole una cosa, deve prendere anche l’altra”. Il pacchetto va preso completo.

Sconfitta elettorale: i partiti della coalizione rifiutano le elezioni anticipate

Dopo la netta vittoria elettorale di CDU e CSU (30%), la coalizione semaforo ha respinto le richieste di elezioni anticipate per i suoi risultati disastrosi alle elezioni europee. “Le prossime elezioni si svolgeranno regolarmente nell’autunno del 2025, e così abbiamo intenzione di attuarle”, queste le affermazioni provenienti dal governo. Dopo le significative perdite soprattutto dell’SPD (13,9%) e dei Verdi (11,9), la CDU ha avanzato richieste per porre la questione di fiducia nei confronti del Cancelliere Olaf Scholz (SPD) in Parlamento e ha chiesto nuove elezioni per il Bundestag. Il leader della CSU Markus Söder ha invitato Scholz alle dimissioni e ha affermato che il governo semaforo non ha più alcuna legittimazione tra la popolazione. Rincarando la dose, ha parlato di “crollo totale” e di una completa perdita di fiducia nei confronti del governo. Il leader dell’FDP Christian Lindner non ha dubbi sulla leadership del Cancelliere Scholz. “Perché dovrebbe essere cambiato qualcosa? Abbiamo un programma di governo comune, un accordo di coalizione su cui lavoriamo insieme. E finché tutti si riconoscono nei fondamenti di quest’accordo di governo, non c’è motivo di mettere in discussione la fiducia”, secondo il ministro Lindner. Tuttavia, il ministro ha chiesto alla coalizione semaforo di “prendere sul serio il risultato di queste elezioni europee”.

L’FDP ha raggiunto il 5,2% evitando una caduta sotto l’importante soglia di sbarramento “psicologica” del 5%, che in Germania si applica ai risultati delle elezioni federali. Nelle elezioni europee invece, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, non vi è alcuna clausola che ponga una soglia di sbarramento per l’accesso al Parlamento europeo. Tutti i partiti democratici hanno espresso forte preoccupazione per i risultati dell’estrema destra dell’AfD, che nonostante una serie di scandali attorno al suo capolista, alle vicende di spionaggio, ai curriculum falsificati e all’espulsione dal gruppo parlamentare europeo dei radicali di destra antieuropeisti (ID – Identità e Democrazia) è comunque arrivato al 15,9%, diventando così il secondo partito dietro CDU/CSU. Da questo punto di vista è andata bene anche a Bündnis Sarah Wagenknecht (BSW) dell’omonima esponente della sinistra Sarah Wagenknecht, che ha portato a casa il 6% dei voti.

 

Vittoria elettorale: CDU e CSU a fianco di Ursula von der Leyen

Dopo la vittoria del Partito Popolare Europeo (PPE), CDU/CSU insistono affinché il Cancelliere Olaf Scholz proponga al Consiglio europeo la Presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen per il secondo mandato. Il leader della CDU Friedrich Merz, riferendosi ai partiti della coalizione semaforo, ha sottolineato che “i perdenti delle elezioni non hanno condizioni da porre”, ricordando ai Socialdemocratici, ai Verdi e ai Liberali che prima delle elezioni “si erano impegnati a rispettare il principio dello Spitzenkandidat”, il candidato di punta. Coerentemente con ciò, “il gruppo parlamentare più forte del Parlamento europeo è nella posizione di occupare il vertice della Commissione”. Il risultato è “un completo disastro per i partiti di governo”, ha dichiarato Merz dopo le riunioni degli organi direttivi della CDU a Berlino, aggiungendo anche che “i Verdi sono stati i grandi perdenti delle elezioni”. CDU/CSU hanno ottenuto un risultato significativamente migliore rispetto alle elezioni federali del 2021, anche se con il risultato del 30% per Merz i partiti si collocano nella soglia minima delle sue aspettative. Pertanto, “la CDU non si adagerà, ma considererà tale esito come uno stimolo”. 

Riferendosi alle imminenti campagne elettorali per i Parlamenti regionali della Germania est, il leader Merz ha ricordato che “il fatto che l’AfD sia diventato il partito più forte nelle elezioni europee nei Länder della Germania est rappresenta una grande sfida per tutti i partiti. “L’AfD è il partito che al momento beneficia maggiormente della coalizione semaforo”, e “molti elettori sono migrati direttamente dall’SPD verso l’AfD perché insoddisfatti”. La CDU considera quindi le prossime sfide elettorali regionali “un mandato per prestare particolare attenzione alle esigenze e alle preoccupazioni delle popolazioni locali.”

Parallelamente alle elezioni europee, si è votato in otto Länder per le elezioni comunali. Nei Länder della Germania est del Brandeburgo, del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, della Sassonia-Anhalt e della Sassonia, l’AfD è risultato in testa. Con questi risultati, l’AfD potrà portare la maggior parte dei suoi politici nei parlamenti comunali della Germania est. Lì, in autunno verranno eletti i nuovi parlamenti regionali.

 

Zelenskyj in visita a Berlino parla al Bundestag

Nel suo discorso al Bundestag tedesco il Presidente Zelensky ha dichiarato che “l’Ucraina sta conducendo questa guerra anche nell’interesse di tutta l’Europa”, per cui “è nel nostro interesse comune che Putin perda questa guerra”, auspicando che l’ ”Europa torni a essere un continente di pace”. Il Presidente ucraino Zelenskyj ha ringraziato la Germania per l’accoglienza dei rifugiati ucraini e il sostegno nella guerra contro la Russia, supporto avvenuto grazie alla fornitura di sistemi di difesa aerea, tali sistemi Patriot, che “hanno permesso di salvare migliaia di vite in Ucraina”. Il Presidente ucraino ha messo in guardia da una divisione del suo Paese causata dalla guerra di aggressione russa e ha tracciato un parallelo con la Germania divisa durante la Guerra fredda: “L’Europa divisa non è mai stata pacifica. E la Germania divisa non è mai stata felice. Potete quindi capire perché lottiamo così duramente contro i tentativi della Russia di dividere l’Ucraina. Perché stiamo facendo di tutto per impedire che venga costruito un muro tra il nostro Paese“, ha ribadito il Presidente Zelenskyj.

Guardando alla conferenza di pace in Svizzera, il Presidente Zelenskyj si è mostrato ottimista. Il Presidente ucraino si era recato a Berlino per presenziare alla conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina. Durante il discorso del Presidente ucraino ha suscitato scalpore la decisione dei gruppi parlamentari filo-russi di AfD e dei populisti di sinistra di BSW di uscire volutamente dall’aula come “atto dimostrativo di protesta”.

 

Commemorazione a Oradour-sur-Glane: i Presidenti Steinmeier e Macron difendono la libertà in Europa

Di fronte all’ascesa dei partiti di estrema destra e dei populisti alle ultime elezioni europee, il Capo di Stato Frank-Walter Steinmeier ha esortato alla difesa di un’Europa cosmopolita e pacifica. “Non dimentichiamo mai ciò che il nazionalismo e l’odio sono stati capaci di provocare in Europa”, ha ammonito il Presidente a Oradour-sur-Glane, nella Francia occidentale, a una cerimonia di commemorazione delle vittime del massacro delle SS avvenuto in questo luogo esattamente 80 anni fa. “Non dimentichiamo mai il miracolo della riconciliazione che l’Unione Europea è stata in grado di realizzare. Proteggiamo la nostra Europa unita! E non dimentichiamo mai il valore della libertà“. 

Steinmeier ha reso omaggio alle vittime del massacro a Oradour-sur-Glane insieme al Presidente francese Emmanuel Macron. Il 10 giugno 1944 i membri di una divisione delle SS sterminarono il villaggio, uccidendo 643 tra uomini, donne e bambini e dando completamente alle fiamme il paese. Pochi sopravvissero alla carneficina. Le rovine del villaggio sono state conservate, e oggi sono diventate un monumento commemorativo. Il Presidente Steinmeier ha anche ricordato lo sbarco in Normandia avvenuto pochi giorni prima del massacro di Oradour-sur-Glane, con il quale gli Alleati, pur subendo gravi perdite, portarono la liberazione in Francia e, in definitiva, in Germania: “Anche oggi occorre affermare la necessità di combattere ogni giorno per la libertà e la nostra difesa”.

 

Elezioni europee: i vescovi si schierano contro il nazionalismo

Anche nella Chiesa si analizzano i risultati delle elezioni. Il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, ha ammonito che “per preservare la democrazia, la libertà e la nostra sopravvivenza, abbiamo bisogno di progetti di intesa come l’Unione europea”. Per questo la Chiesa deve far sentire la sua “forte voce contro ogni nazionalismo”. Nonostante l’aumento dei voti per partiti spesso definiti euroscettici, “non è affatto vero che la maggioranza abbia votato a favore dei partiti estremisti e quindi contro l’Unione europea.

Al contrario, più di due terzi degli elettori hanno votato per questa Unione e per l’intesa“. Il vescovo Franz-Josef Overbeck di Essen, che ricopre anche la carica di vescovo militare tedesco, ha dichiarato che il risultato delle elezioni dimostra “che le forze democratiche ed europeiste sono uscite rafforzate nel loro insieme”. Tuttavia, l’ascesa dei partiti della destra populista deve rappresentare un monito: “Dobbiamo difendere la nostra democrazia con tutte le nostre forze. La democrazia non è scontata, ma ha bisogno di un impegno sostanziale”.

 

Europei di calcio: la Germania pronta al fischio d’inizio

Da venerdì 14 giugno, tutti i tifosi di calcio terranno gli occhi puntati su Monaco di Baviera, da cui prenderà il via ufficiale il campionato europeo di calcio, ospitato in Germania. Le misure di sicurezza sono senza precedenti, ma l’atmosfera è elettrizzante. In occasione della grande celebrazione che precederà la partita inaugurale nell’arena della metropoli bavarese, la Federazione Europea di Calcio UEFA renderà omaggio alla superstar del calcio tedesco Franz Beckenbauer, scomparso a gennaio scorso, con sua moglie Heidi che porterà il trofeo sul campo dello stadio.

Prima della partita di inizio della nazionale tedesca, che giocherà contro la Scozia alle 21:00, la signora Beckenbauer sarà accompagnata da Jürgen Klinsmann e Bernard Dietz, capitani dei titoli europei conquistati nel 1996 e 1980. Franz Beckenbauer è stato il giocatore leader del primo trionfo agli Europei della Germania nel 1972. La cerimonia di apertura onorerà quindi tutti e tre i campioni d’Europa della Germania. “Kaiser” Beckenbauer, è morto a gennaio all’età di 78 anni. Tra i tanti successi, ricordiamo che nel 1974 fu campione del mondo come giocatore e nel 1990, allo stadio Olimpico di Roma, nuovamente campione, come allenatore della nazionale tedesca. 

 

Luoghi in Germania: Iserlohn                                    

Nel nostro viaggio alla scoperta della Germania, oggi vi portiamo a Iserlohn, una città immersa nella foresta al confine con l’area metropolitana del Ruhrgebiet. Iserlohn, fondata circa 800 anni fa e il cui nome si traduce come "foresta di metallo", è famosa per le sue vaste aree forestali e la storica industria metallurgica, oltre a ospitare il più grande museo delle grotte della Germania, la Dechenhöhle.

Proprio qui, la Nazionale Italiana si trova in ritiro prima dell’imminente Campionato Europeo di Calcio in Germania, che vedrà la Squadra Azzurra aprire il torneo incontrando l'Albania sabato 15 e poi la Spagna giovedì 20 negli stadi vicini di Dortmund e Gelsenkirchen, sedi delle rivali storiche Borussia Dortmund e Schalke 04. Auguriamo alle nostre nazionali un buon campionato.

 

CDU/CSU lottano per Ursula von der Leyen

Il Presidente del PPE e candidato di punta della CSU, Manfred Weber, promuove la candidatura di Ursula von der Leyen come Presidente della Commissione. Alla domanda: se il PPE sia disposto a collaborare anche con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Weber risponde che considera il governo Meloni come costruttivo e pronto a una collaborazione congiunta sui progetti. Il Presidente Weber elogia, inoltre, il patto sui migranti e difende le procedure d' asilo nei Paesi terzi.

Come laureato in Ingegneria ambientale, Weber si dice orgoglioso degli aspetti del Green Deal, ma pronto a rinegoziare la neutralità climatica entro il 2050 e a ritirare la decisione di sospendere il bando sui motori a combustione interna per il 2035, affermando che: “già oggi gli automobilisti possono fare rifornimento di gasolio a impatto climatico zero”. Per quanto riguarda invece l’invasione di auto provenienti dalla Cina, il Presidente Weber è intenzionato a proporre interventi sul mercato per garantire “una concorrenza leale”. Se la Cina fa dumping sui prezzi ricorrendo a sovvenzioni statali, l’Europa deve reagire adottando una linea più dura e aumentando i dazi. Il punto è proteggere i posti di lavoro per il leader del PPE.

 

L’SPD difende la politica sull’Ucraina                     

Nella sua campagna elettorale, la candidata dell’SPD Katharina Barley, attualmente Vicepresidente del Parlamento europeo, promuove lo slogan “Pace e chiarezza”. Ma alla critica che l’SPD non riesce a trasmettere chiarezza sulla guerra in Ucraina – ad esempio sul tema dell’uso delle armi tedesche da utilizzare contro obiettivi in Russia, Barley risponde: “Chiarezza significa ciò è consentito dal diritto internazionale”, perché “se si viene attaccati, si può anche sparare nel territorio dell’avversario, se questo impedisce o porta a termine un attacco.”

Tuttavia, chiarezza non significa che il Cancelliere Olaf Scholz sia tenuto a rivelare gli accordi in vigore con l’Ucraina, che rimangono per buone ragioni di sicurezza segreti. Nella politica migratoria, la Vicepresidente Barley promuove un maggiore sostegno europeo per i comuni e le città che accettano volontariamente di accogliere i rifugiati. In Polonia, ad esempio, “le città sarebbero state disposte ad accogliere i rifugiati, ma non il governo centrale di Varsavia”. In definitiva, “chi ha bisogno di lavoratori o ha spazio per accogliere le famiglie dovrebbe ricevere delle sovvenzioni”, sostiene Barley.

 

I Verdi difendono il “Green Deal”                            

La politica climatica occupa soltanto il quarto posto tra i temi principali di queste elezioni. La capolista Terry Reintke, finora in gran parte sconosciuta, ammette che i Verdi potrebbero aver commesso errori, “ma non fare nulla sarebbe stato l’errore più grande”. La crisi climatica e la guerra in Ucraina hanno generato pressioni legate alle azioni da intraprendere. Proprio la guerra in Ucraina ha dimostrato l’importanza del Green Deal, “essendo questo un accordo volto a promuove l’indipendenza energetica da autocrati come Vladimir Putin, mentre l’elevata inflazione è una conseguenza diretta della dipendenza a cui l’Europa è stata soggetta negli anni precedenti”.

Reintke esprime forti critiche verso il patto sulla migrazione, appoggiato dai Verdi nel governo federale, definendo la soluzione dei Paesi terzi come “altamente problematica”. Tra gli obiettivi dei Verdi vi è anche l’abolizione del principio dell’unanimità nell’UE. Considerato che le grandi sfide possono essere risolte solo a livello europeo, l’Europa deve essere messa in grado di agire, per questo “non è ammissibile che nella questione della solidarietà con l’Ucraina il Primo ministro ungherese Viktor Orbán tenga in ostaggio l’UE per imporre i propri interessi”.

 

L’FDP vuole rafforzare Frontex                                

“Eurofighter”, questo il soprannome nei media tedeschi della candidata di punta dell’FDP, Marie-Agnes Strack-Zimmermann che si pone l’obiettivo di rafforzare la capacità di difesa dell’Europa. Su questo tema: “l’Europa, deve puntare a un approvvigionamento congiunto e, concentrandosi sui propri punti di forza, potrebbe accrescere notevolmente la propria efficienza”, questa l’opinione di Strack-Zimmermann. L’obiettivo è favorire una maggiore deterrenza. Per quanto riguarda l’Ucraina, Strack-Zimmermann intende intensificare il sostegno: “Stiamo agendo, ma non abbastanza in fretta.

Ciò lo ha dimostrato, ancora una volta, il dibattito sulle armi occidentali da impiegare contro obiettivi in Russia”. Per quanto riguarda il tema migrazione, Strack-Zimmermann intende rafforzare l’Agenzia di frontiera europea Frontex, che dovrà anche occuparsi del salvataggio in mare. La leader dell’FDP sottolinea anche come sia necessario tenere presente che le persone non vengono in Europa “perché da noi è tutto così bello”, ma perché non vi sono alternative.

 

Gli hacker attaccano la sede CDU                            

Nel mezzo della campagna elettorale europea, aumentano gli attacchi hacker alle istituzioni e ai partiti. Ora è la CDU ad aver subito un attacco informatico. Il governo ha coinvolto dei Servizi segreti interni a causa della sua gravità. “Le procedure attuate indicano un autore molto professionale”, ha dichiarato il Segretario generale della CDU, Carsten Linnemann, che ha definito l’attacco “eclatante” e, pur non fornendo ulteriori dettagli, ha dichiarato che tutti i server sono andati in down, e che per un primo momento non si era capito se fossero stati interessati dati sensibili. Come misura precauzionale, l’intera infrastruttura IT nella sede del partito è stata rimossa dalla rete e isolata. Il Segretario generale Linnemann ha comunicato inoltre che la CDU sta ora lavorando a stretto contatto con le autorità di sicurezza e altri esperti di sicurezza esterni per limitare i danni.

Nel frattempo, il ministero dell’Interno ha allertato tutti i partiti del Bundestag: “Le nostre autorità di sicurezza hanno potenziato tutte le misure di protezione contro le minacce digitali e ibride e stanno esaminando a fondo i pericoli. Ancora una volta osserviamo quanto sia necessario intraprendere tali misure proprio prima delle elezioni“.

A Berlino, dietro gli attacchi si sospetta il coinvolgimento diretto della Russia. Gli episodi di violenza a scapito dei politici si sono verificati ripetutamente anche nelle campagne elettorali su strada. In un gazebo elettorale nel Baden-Württemberg, l’esperto di difesa della CDU del Bundestag, Roderich Kiesewetter, è stato aggredito e ferito fisicamente. Questo è solo l’ultimo episodio di un’intera catena di attacchi ai politici. La settimana precedente, il rappresentante di un piccolo partito populista di destra era stato attaccato da un islamista con un coltello, e il poliziotto corso in suo aiuto è stato aggredito, morendo poi a causa delle ferite riportate.

 

La coalizione semaforo non raggiungerà gli obiettivi climatici

Si tratta di un chiara battuta d’arresto per il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) : secondo gli esperti nominati dal governo tedesco, la Germania non sarà in grado di raggiungere i suoi obiettivi climatici entro il 2030. La legge sulla protezione del clima della coalizione semaforo prevede la riduzione del 65% delle emissioni di gas entro il 2030 rispetto al 1990. Entro il 2040 il calo dovrà essere pari all’88%, e nel 2050 la Germania dovrà rilasciare solo la quantità di emissioni di gas serra che può essere nuovamente assorbita – e quindi diventare neutrale dal punto di vista climatico. Secondo i pareri degli esperti, anche gli obiettivi per il 2040 non saranno raggiunti, stessa cosa per la neutralità climatica, presumibilmente “mancata” entro il 2050. Ciò contraddice chiaramente le ultime dichiarazioni del governo: “Se manteniamo la rotta, raggiungeremo i nostri obiettivi climatici entro il 2030”, aveva ribadito il ministro Habeck (Verdi) a marzo.

Il consiglio degli esperti ritiene invece che le emissioni di gas serra previste entro il 2030 siano state finora sottostimate. Ne è un esempio l’industria, che nell’ultimo periodo ha rilasciato nell’atmosfera meno anidride carbonica, fatto questo da imputare alla debolezza della congiuntura economia. Fatta eccezione per l’agricoltura e la gestione dei rifiuti, il consiglio ritiene che, anche in altri settori, i dati previsti dal governo siano troppo ottimistici.

 

La Chiesa si oppone all’estremismo                     

“Andare alle periferie come Chiesa”, chiede Papa Francesco. Questo è ciò che hanno fatto i cattolici tedeschi nel loro incontro da poco concluso a Erfurt (Turingia). Qui la percentuale di cattolici è di poco inferiore al 10%, mentre i protestanti sono leggermente più numerosi; ma la stragrande maggioranza degli abitanti della Germania est è aconfessionale. Al termine della Giornata dei cattolici, il Presidente della Conferenza episcopale tedesca Georg Bätzing ha dichiarato: “I giorni trascorsi a Erfurt ci hanno permesso di osservare chiaramente la posizione attuale che occupiamo in quanto Chiesa nei nostri dibattiti interni e nella società”. Il vescovo ha inoltre sottolineato che “non ci deve essere alcuni spazio per l’estremismo di destra e l’antisemitismo. La democrazia deve essere difesa e vissuta ogni giorno“. 

In apertura, il Capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier si era rammaricato del fatto che: ”le Chiese stiano subendo una così grande perdita di consenso e fiducia. I cambiamenti sono piuttosto drammatici”. Intervenendo con il suo saluto, Papa Francesco aveva fatto appello alla promozione: “della cura verso la natura, alla giustizia verso i poveri, all’impegno nei confronti della società, alla difesa della vita e della famiglia e alla difesa della dignità di ogni vita umana”. 

 

Luoghi in Germania: Passau                                     

Una delle città più belle della Germania: a Passau (52.000 abitanti, Baviera, al confine con l’Austria), su una lingua di terra alla confluenza dei fiumi Danubio, Inn e Ilz, il Medioevo e il Barocco si incontrano a formare un’architettura unica. Ma la posizione ha le sue insidie: gli abitanti della cosiddetta “città dei tre fiumi” vengono ripetutamente colpiti da inondazioni.

Questa volta la situazione è stata particolarmente grave: l’intero centro storico intorno alla cattedrale è finito sott’acqua. Anche se i livelli dell’acqua sono destinati presto a scendere, i danni risultano enormi. Il Cancelliere Olaf Scholz, insieme al governatore della Baviera Markus Söder, ha visitato l’area colpita dall’alluvione, promettendo aiuti tempestivi. Ciò vale anche per le altre zone colpite dalle alluvioni della Baviera e del Baden-Württemberg. Kas 20

 

 

 

Il voto europeo a Friburgo/Brsg: italo-tedeschi a Strasburgo e in Consiglio comunale

 

Friburgo - “Pochi giorni or sono siamo andati a votare per eleggere i nostri rappresentanti in Europa e nel consiglio comunale di Friburgo. Facciamo i nostri complimenti ed auguri a due eletti che hanno una cittadinanza sia italiana che tedesca”. Così il Comites di Friburgo che, ad una settimana dal voto, dà conto dell’elezione di Vivienne Costanzo al Parlamento Europeo e Franco Orlando al consiglio comunale di Friburgo.

Vivienne Costanzo, riporta il Comites, “ha la cittadinanza italiana e tedesca. I nonni sono emigrati negli anni 60 e i genitori sono rimasti in Germania. Lei vive dal 2014 a Friburgo. È nata in Asia nel 1990, si è laureata in diritto commerciale e ha conseguito un master in diritto sociale. È iscritta al SPD dal 2006 ha svolto copyright SPD MBK e svolge molte attività politiche di rilievo sociale ed internazionale. È animatrice e co-fondatrice di numerose iniziative. Le facciamo i nostri complimenti per il percorso politico fin qui fatto e auguri di buon lavoro per un futuro migliore dell'Europa”.

Al consiglio comunale di Friburgo, invece, è stato (ri)eletto Franco Orlando, anche lui con doppia cittadinanza italiana e tedesca, e consigliere del Comites.

“Laureato in economia, vive da 25 anni a Friburgo – spiega il Comites – dove è anche amministratore delegato di una società rivenditrice di biciclette. Nato 52 anni fa a Waldsee è da molti anni impegnato per una politica locale pragmatica. Si è candidato nelle file del Fdp”. Oltre al Comites, Orlando ha fatto parte di diverse associazioni. “A Franco – conclude il Comites – i nostri complimenti per la riconferma a consigliere comunale e gli auguri di buon lavoro”. (aise/dip18) 

 

 

 

A Berlino la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina

 

Berlino – Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, il 10 giugno è a Berlino per partecipare ai lavori della Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, il più importante appuntamento annuale per discutere del sostegno economico, delle riforme e della ricostruzione dell’Ucraina e che l’Italia organizzerà nel 2025. “Il Governo italiano è fermamente impegnato nel sostegno alla ripresa e ricostruzione dell’Ucraina, come dimostra anche la nutrita e qualificata presenza del nostro sistema imprenditoriale a Berlino. È un tema che abbiamo posto anche al centro della nostra Presidenza G7: dalla Conferenza ci attendiamo risultati concreti e siamo pronti a prendere il testimone per organizzarla in Italia nel 2025” ha commentato Tajani, che ha sottolineato come l’assistenza bilaterale italiana, al netto di quella militare e al contributo a quella europea, ammonti sinora a oltre 2 miliardi di euro.

La missione del Vicepresidente Tajani si è aperta con un evento di sistema presso la residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Berlino intitolato “La strada verso URC 2025: l’Italia per la ricostruzione dell’Ucraina”, al quale partecipano circa quaranta tra aziende, associazioni e istituzioni italiane particolarmente profilate verso l’Ucraina, tra le quali ICE Agenzia, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Confindustria.

L’11 giugno si tiene la prima riunione a livello ministeriale della Piattaforma di Coordinamento dei Donatori per l’Ucraina, mentre successivamente si svolgerà la cerimonia di apertura alla presenza del Cancelliere tedesco Scholz, del Presidente ucraino Zelensky, della Presidente della Commissione Europea von der Leyen, del Presidente del Consiglio europeo Michel. Nel corso della giornata dell’11 giugno, il Vicepresidente Tajani firma il Memorandum d’Intesa bilaterale sul Patronato per la ricostruzione della Città e della regione di Odessa, volto a istituire un quadro generale di cooperazione e coordinamento con le autorità ucraine al fine di massimizzare gli sforzi e le capacità per contribuire alla ricostruzione di Odessa e della sua regione dopo il conflitto.

Il 12 giugno si tiene la sessione di chiusura della Conferenza con la cerimonia di passaggio di consegne all’Italia, che organizzerà l’evento nel 2025, alla quale prenderà parte il Vice Ministro degli Affari Esteri Edmondo Cirielli. Alla Conferenza prendono parte Capi di Stato e di Governo di 77 Paesi: complessivamente si prevedono circa 1800 partecipanti. Vengono invitate 500 aziende, di cui 150 tedesche, 150 ucraine, e 200 dagli altri Paesi partecipanti. Gli obiettivi della Conferenza sono mobilitare il sostegno internazionale per la resilienza, la ripresa e la modernizzazione del paese e fornire assistenza per attuare progetti di recupero, oltre a creare opportune condizioni per le imprese al fine di incoraggiare gli investimenti del settore privato in Ucraina. Dip 12

 

 

 

Futuro della manifattura tra Italia e Germania: Forum Italo-Tedesco con l'AHK Italien

 

Si è svolta il 4 giugno a Milano la diciottesima edizione del Forum Economico Italo-tedesco, l’appuntamento annuale della Camera di Commercio Italo-Germanica (AHK Italien) dedicato ai temi caldi dei rapporti tra i nostri due Paesi. Al centro dell’edizione 2024, le prospettive per la partnership manifatturiera italo-tedesca nel contesto europeo. Ad aprire i lavori, gli interventi della Presidente AHK Italien, Monica Poggio, AD di Bayer S.p.A., dell’Ambasciatore tedesco Hans-Dieter Lucas e del Viceministro delle Imprese e del Made in Italy Valentino Valentini.

Nel corso dell’evento, è stato presentato uno studio sulla situazione e sulle prospettive della manifattura italiana, tedesca ed europea, realizzato con un pool di ricercatori ed economisti.

A fronte di una narrazione molto diffusa di un “caso Germania”, nello studio si rileva come, in realtà, nell’ultimo decennio (2015-2024) i Paesi europei abbiano attraversato fasi macroeconomiche molto simili, con una lunga fase di sostanziale stagnazione nel continente.

Insieme, Italia e Germania detengono il primato industriale nel continente. La Germania resta prima in 52 settori, su un totale di 61 settori presi in esame nel complesso dell’Unione Europea, seconda in 9. L’Italia è il primo Paese in 3 settori, seconda in 17. La forza della partnership industriale italo-tedesca sta nella complementarità e diversificazione che i due Paesi hanno nei settori portanti dell’industria europea. Una complementarità che si osserva anche nelle dimensioni aziendali: in Germania, la produttività del lavoro è più alta nelle grandi imprese (più di 250 dipendenti), in Italia è molto alta anche nelle aziende più piccole (con meno di 250 dipendenti).

"I grandi gruppi tedeschi e le PMI italiane sono veri e propri campioni industriali, fortemente integrati tra loro nelle catene del valore - ha spiegato il Consigliere Delegato AHK Italien, Jörg Buck -. Complementarità e integrazione sono fattori centrali per la competitività della partnership industriale tra i nostri due Paesi. Il caso italo-tedesco può essere considerato un’unica grande piattaforma industriale distribuita su due Paesi, con competenze ed eccellenze nazionali che si incontrano nel quadro più ampio dell’economia e delle politiche europee".

Lo studio evidenzia come in Europa i due Paesi creino spesso conglomerati industriali che travalicano i confini nazionali: l’esempio più evidente è quello dell’automotive e dei macchinari. Anche grazie a Italia e Germania, l’Unione Europea continua a rappresentare, nel suo complesso, uno dei principali blocchi economici, con il 16,8% della ricchezza globale. Un dato che mostra come una maggiore integrazione europea renderebbe l’Unione in grado di competere con Cina (18,6% del PIL globale) e Stati Uniti (30,8%).

I temi del convegno sono stati approfonditi anche in un confronto tra il Deputato Giangiacomo Calovini e la Senatrice Simona Malpezzi, rispettivamente presidente e membro della Sezione bilaterale di amicizia Italia-Germania in Parlamento, e in occasione di una tavola rotonda di vertici aziendali: Luca Conti (E.ON), Natalia Helfer(DB Cargo), Mara Panajia (Henkel) e Giovanni Micaglio (Kaeser Compressori).

"Il futuro non è scritto: l’Europa non è destinata a un ruolo di secondo piano, ma può giocare alla pari con i grandi attori industriali globali. Rafforzare il coordinamento e la complementarità sul piano industriale tra Italia e Germania è fondamentale per creare un’industria europea in grado di competere - ha aggiunto la Presidente AHK Italien, Monica Poggio -. I vantaggi sono anche politici: qualsiasi rafforzamento della partnership bilaterale comporta maggior potere negoziale all’interno delle istituzioni europee, per portare avanti progetti e posizioni comuni. Relazioni più forti, e a più livelli, tra Italia e Germania favoriscono un ruolo più decisivo dei due Paesi in Europa, anche in ambiti strategici quali la politica estera e la realizzazione delle riforme strutturali necessarie per il rafforzamento dell’Unione". (aise/dip 5) 

 

 

 

Stoccarda. Intervista a Mario Fadini, uomo del fare

 

Per l’ormai 90enne bergamasco Mario Fadini è tempo di bilanci. La sua vita è ricca di avvenimenti ed opere che portano il suo nome.

Essendo riconosciuto un po’ da tutti come “l’uomo del fare” si è sempre guardato bene che non si parlasse di lui, ma delle opere necessarie alla crescita di bambini e delle famiglie meno abbienti.

La sua vita è stata caratterizzata da un continuo peregrinare. Si potrebbe azzardare ad affermare che la sua è una ricca ed intensa storia di emigrazione iniziata all’età di 15 anni. Mario Fadini, classe 1934, è terzogenito di 10 figli di una famiglia contadina di Calcinate, una cittadina di 6 mila abitanti della Bassa Bergamasca. La prima tappa d’emigrazione è Arcore, oggi in provincia di Monza, ma allora di Milano. Li trova lavoro come garzone in un panificio e come giardiniere presso Villa Borromeo. Essendo membro di una famiglia numerosa, Mario avverte il dovere di inviare l’intero salario a suo nonno, amministratore della famiglia.

Questo suo spirito di solidarietà lo segna per l’intero percorso di vita. Assolto il servizio di leva negli Alpini, nel 1957 emigra prima a Bellinzona e poi in Germania.

“Ricordo come se fosse ieri – ci racconta con molta lucidità mentale l’ormai 90enne Mario Fadini nella sua casa di Stoccarda – Bad Cannstatt. L’allora mia ragazza e poi moglie Margot, conosciuta a Bellinzona, non potendo partorire in Svizzera, in lambretta ci recammo dai suoi genitori a Hof ai confini con la Cecoslovacchia.

Con la nascita di Roberto, che rimase dai nonni materni, ci sposammo e ritornammo a Bellinzona.

Con l’arrivo del secondo figlio, mia moglie optò per Stoccarda dove io trovai subito lavoro alla Bosch e dove si è sviluppata anche la mia vita familiare, lavorativa e sociale.”

Avete vissuto anche voi in baracca?

No. Fortunatamente abbiamo conosciuto dei tedeschi che ci hanno dato in affitto due stanzette al costo di 100 marchi mensili. Allora io guadagnavo 250 marchi al mese e per raggiungere la fabbrica dovevo prendere il tram fino ad Esslingen e poi il treno per Feuerbach, sede degli stabilimenti Bosch. Essendo però di gamba buona, mi procurai una bicicletta e tutti i giorni mi facevo 44 km da Scharnhausen a Feuerbach e ritorno. Così facendo riuscii a risparmiare 50 marchi al mese di abbonamento che servivano per la nostra famigliola. Ed ho fatto questo sacrificio per ben 2 anni.

Perché, nonostante un buon posto alla Bosch, hai sempre rincorso il sogno di lavorare in proprio?

Dopo 10 anni di fabbrica conobbi dei muratori italiani che lavoravano per il mio padrone di casa Bruno Friedemann, un imprenditore che possedeva una bella villa ed aveva bisogno di tagliare l’erba del giardino. Accettai subito e nel 1971 mi fece conoscere un architetto con cui feci una società. Dopo 5 anni però l’impresa fallì. Allora pensai di costituire la ditta “Mario Fadini – Wege- und Landschaftsbau” dando così subito lavoro a 7 operai. Dei tre figli: Roberto, Peter e Angelo, solo il secondo volle ereditare l’azienda che conduce ormai da quasi 25 anni.

Nell’ambito della nostra nutrita comunità italiana residente a Stoccarda il tuo nome è collegato ai numerosi progetti di solidarietà, realizzati soprattutto in Eritrea, Guatemala e Argentina. Come mai questo tuo spiccato senso di solidarietà concreta per il Terzo Mondo?

Io ho conosciuto la miseria e so benissimo che se qualcuno non ti aiuta, da solo raggiungi poco o niente. Ho visto con i miei occhi lo stato di povertà di tanta gente; e fai molta fatica a girarti dall’altra parte. Questa sensibilità non si manifesta a parole. Ed io sono interiormente contento di esser riuscito a rendere la vita un po’ più accettabile a famiglie e a bambini orfani o abbandonati.

Quali progetti sei riuscito a realizzare col tuo Gruppo Alpini?

Nel 1982 entrai a far parte del Gruppo Alpini di Stoccarda e qualche anno dopo, su richiesta della Missione Cattolica di Stoccarda andammo ad installare un fotovoltaico alle suore di Tesseney, in Eritrea. Successivamente riuscimmo a costruire una scuola elementare, a ferro di cavallo, con 10 aule a Ebaro, una frazione di Barentu, sempre in Eritrea. Ma non fu semplice, poiché andarono persi i container, un fuoristrada, tutti gli attrezzi e le vettovaglie per le 4 settimane di lavoro preventivate. Non si è mai capito che fine abbiano fatto. Tuttavia in qualche modo, che non sto a raccontare, riuscimmo a procurarci l’essenziale e a costruire non solo l’edificio ma anche un pozzo con pompe azionate da un generatore. Con i nostri soldi acquistammo un trattore e diverse altre attrezzature. La buona riuscita del progetto spinse i Padri Scalabriniani a chiedere al nostro Gruppo Alpini di costruire anche un asilo in Guatemala. I miei compagni di avventura furono: Fabio De Pellegrini, Nuccio Nigro, Pasquale Semeraro e Danilo Martinis. Il nostro gruppo non solo lavorò materialmente ma contribuì a raccogliere anche oltre 130 mila marchi, pari a circa 65 mila euro. Dopo queste belle esperienze, le vacanze del Gruppo Alpini furono contrassegnate dalle necessità di prestare la propria opera per la realizzazione di progetti concreti a favore di piccole comunità del Terzo Mondo. Per raccolta-fondi organizzavamo feste, incontri e tombolate, il cui ricavato serviva per l’acquisto dei materiali, necessari per le opere da realizzare. Vorrei sottolineare che tutto ciò che abbiamo fatto, l’abbiamo fatto veramente col cuore. Ora, alla soglia dei miei 90 anni, non potendo essere più operativo mi limito ad aiutare finanziariamente bambini che vanno a scuola e vogliono imparare un mestiere per essere utili un domani alla propria comunità di appartenenza.

Ti ritieni soddisfatto di ciò che sei riuscito a realizzare nella tua attivissima vita, fatta ovviamente di tanti sacrifici, rinunce ma anche ricca di soddisfazioni e riconoscimenti pubblici e privati?

Sono sicuramente contento di aver contribuito con altri miei compagni di avventura a realizzare qualcosa per chi è povero. Le somme di denaro sono state coscienziosamente impiegate tutte per aiutare chi era ed è meno fortunato, più debole ed indifeso. La riconoscenza più bella è l’aver potuto constatare la gioia di tanti bambini facenti parte di comunità veramente molto povere. Perciò, senza falsa modestia, ha fatto piacere a noi tutti l’apprezzamento dei destinatari ed anche di vescovi, suore e missionari di diverse Congregazioni religiose operanti in Eritrea, Bolivia ed Argentina.

Nonostante queste belle opere di beneficenza hai qualche rimpianto o sogno non realizzato?

Il mio sogno rimasto nel cassetto è quello di non essere riuscito ad aprire una panetteria nella mia Calcinate. Ma a quei tempi, essendo io il primo maschio di 10 figli, ho dovuto aiutare la famiglia senza poter accantonare qualcosa di soldi per aprire una mia forneria. Allora la mia famiglia lavorava a mezzadria con la parrocchia e di soldi, neanche l’ombra.

Hai ancora rapporti con i Missionari e con gli Alpini di cui sei un orgoglioso Alfiere?

Sì. Ho ancora ottimi rapporti col Vescovo Thoman Oman di Barentù (Eritrea), con Padre Aldo Pasqualotto di Baja Blanca in Argentina e poi con i miei compagni di sempre degli Alpini di Stoccarda. Purtroppo non riesco ad andare più a Calcinate, perché ho preso una brutta caduta in casa e per il momento i miei movimenti sono piuttosto ridotti. Chissà? Come si dice: finché c’è vita, c’è speranza!

Quanto orgoglio c’è dietro la tua nomina a Cavaliere del lavoro?

Non nascondo che questo bel riconoscimento mi inorgoglisce molto. Da come ho appreso, il promotore è stato Padre Gabriele Parolin, un tempo Missionario a Stoccarda e ora a Monaco di Baviera. Con questo gesto lui ha voluto che il nostro Presidente della Repubblica sapesse della nostra solidarietà concreta verso il Terzo Mondo.

Da persona impegnatissima durante una vita intera, come trascorri le tue giornate oggi?

Essendo ottimista per indole di carattere, mi sto riprendendo dalla brutta caduta. E piano piano riesco ad alzarmi, esco un po’ in giardino, osservo la natura e la domenica con mia moglie Sheny, una vera santa donna, andiamo a Messa. Cogliamo così anche l’occasione per incontrare un po’ di amici e conoscenti con cui fare due chiacchiere. L’unico rammarico di quest’anno è di non aver potuto partecipare all’Adunata degli Alpini a Vicenza. Non è detta l’ultima! Tony Màzzaro, CdI giugno/luglio

Premio Berlino: le due vincitrici Scarpa e Speciale

BERLINO - L’11 luglio prossimo le vincitrici della quarta edizione del Premio Berlino, Federica Scarpa e Alice Laura Speziale, presenteranno i progetti architettonici oggetto della loro residenza presso due importanti studi di architettura berlinesi.

Dal 2017 il Premio Berlino offre a due giovani architette/i italiane/i emergenti la possibilità di trascorrere un periodo di sei mesi a Berlino per approfondire professionalmente tematiche inerenti al riuso e alla rigenerazione urbana. Il premio è promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, dalla Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino.

Federica Scarpa nasce a Jesi nel 1996. Ha studiato Architettura presso l’Università di Firenze e Lisbona e conseguito la Laurea Magistrale nel 2022. Nel 2024 ha vinto il Premio Berlino grazie al quale ha la possibilità di trascorrere un periodo di residenza presso lo studio di architettura urbana e del paesaggio Topotek1 di Berlino.

Alice Laura Speziale (Lucca, 1991) è un’architetta italiana. Ha studiato all’università di Stoccarda e all’università di Roma Tre, dove si è laureata nel 2020. Nel 2024 ha vinto il Premio Berlino grazie al quale collabora per un periodo di sei mesi con il collettivo berlinese raumlabor.

La presentazione si terrà alle ore 19 presso l’Aedes Architekturforum e sarà introdotta da Francesca Moschitta. A dialogare con Scarpa e Speziale sarà poi Hans-Jürgen Commerell (TBC). (aise/dip 18)

 

 

 

Voto europeo. Il seggio elettorale a Kempten

 

Kempten. Il 7 e 8 Giugno scorsi si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo di Strasburgo (76 Parlamentari Italiani) nel seggi allestiti in molte città tedesche. A Kempten, in Baviera, il Consolato Generale d'Italia ha istituito un seggio, per consentire l'espressione del voto a tutti i connazionali dell'Algovia. L'affluenza alle urne è stata piuttosto modesta (155 votanti su un totale di 4600 aventi diritto); e questo nonostante la massiccia campagna informativa intrapresa dall'Ambasciata, dai Consolati, dai Comites, da diverse Associazioni e benché ci fossero il pomeriggio e la serata del venerdì e la giornata di sabato a disposizione. Bisogna tener conto del fatto, però, che, nel seggio di Kempten, risultavano iscritte alcune migliaia di elettori, abitanti a diverse decine di chilometri dalla città e che nelle settimane precedenti, molti connazionali avevano deciso di optare per il voto in favore di candidati tedeschi.

In ogni caso, i lavori del seggio di Kempten si son svolti serenamente e senza intoppi, grazie anche all'indovinata composizione del seggio decisa dall'Ufficio Elettorale di Monaco, sotto la supervisione del Console Generale Dr. Sergio Maffettone e dei suoi Collaboratori. E anche all'attento e scrupoloso lavoro  di tutti i componenti del seggio: Signora Pina Baiano-Polverino (Presidente); Signora Zaira Alongi (Segretario); Signora Gisella Lo Re (Vicepresidente e Scrutatore); Signora Maria Bonfiglio e Signor Angelo Lo Re (Scrutatori).  Seggio, situato nella Bodmastrasse 2 – facilmente accessibile e dotato di parcheggio – che ha consentito, così, a tutti i connazionali – in regola con i documenti richiesti dalla legge – di esprimere il loro voto con tranquillità nel pomeriggio di venerdì e nella giornata di sabato. 

Il materiale per il Seggio è stato portato da Monaco a Kempten – sigillato e vidimato dal Ministero degli Esteri – nel primo pomeriggio dalla Signora Fatima Huskic, Inviata del Console Generale, e ritirati con le schede elettorali dalla stessa alle ore 21:30.

Giuseppina Baiano-Polverino, Alongi, A. Grasso (dip)

 

 

 

“Visioni sarde”: successo per il secondo incontro organizzato dal Comites Berlino

 

Berlino. Sabato 8 giugno, presso la sede del Comites Berlino si è tenuto il secondo appuntamento della rassegna di cortometraggi “Visioni sarde”. Si è ripetuto il successo della prima serata del 27 aprile con un incontro realizzato all’insegna del giovane cinema prodotto in Sardegna. È stata un’occasione importante di condivisione di cultura ed arte, temi su cui il Comites Berlino ha una specifica sensibilità. “Visioni Sarde“ è un progetto sostenuto dalla Regione Autonoma della Sardegna, Sardegna Film Commission e Cineteca di Bologna in collaborazione con il circolo “A. Gramsci” di Torino e associazione “Visioni da Ichnussa” di Bologna con lo scopo di raccontare nel mondo la Sardegna attraverso il cinema, distribuendo le sue migliori produzioni dell’anno in ogni angolo del pianeta.. A Berlino sono stati presentati tre corti, tre storie, tre momenti di grande cinema:  “Giù con Giuali” di Michela Anedda, corto di animazione su due cugini diversi tra loro che troveranno tuttavia il modo di andare oltre le apparenze; “La punizione del prete” di Francesco Tomba, Chiara Tesser, che racconta una storia in cui la furbizia di un cieco prevale sull’avarizia di un prete; “Tilipirche” di Francesco Piras, ambientato in Sardegna durante una terribile invasione di cavallette, che vedrà un allevatore affrontare questa enorme sfida naturale. I film completamente recitati in sardo e sottotitolati in inglese si sono dimostrati formidabili strumenti  per favorire la diffusione della Limba e della cultura sarda anche all’estero. La serata è stata arricchita dalla moderazione di una professionista, la consigliera Elettra de Salvo, che ha accompagnato i cortometraggi con riflessioni e contributi fondamentali.

Ha presentato il progetto “Visioni Sarde” e diretto il partecipato dibattito Federico Quadrelli, Presidente Comites Berlino. (Bruno Mossa, Inform/dip)

 

 

 

IIC di Amburgo: documentario (19 giugno) e Caffè Letterario (25 giugno)

 

Amburgo. Dopo numerose proiezioni nei cinema italiani d’essai e al Filmmuseum di Monaco, il documentario “Il Padiglione sull’Acqua” (2023) dei registi Stefano Croci e Silvia Siberini. arriva nel Nord della Germania.

Nell’ambito dell’iniziativa “Fare Cinema”, la rassegna cinematografica sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale che mira a promuovere il cinema italiano e l’industria cinematografica del nostro Paese, l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo organizza la proiezione del documentario per mercoledì 19 giugno alle ore 19:00 alla presenza dei due registi. “Il Padiglione sull’Acqua” presenta l’opera dell’architetto veneziano Carlo Scarpa, creatore di edifici e scenari monumentali e suggestivi, tanto da essere scelti – per citare solo il caso più recente – come ambientazione dello spettacolare film di fantascienza “Dune 2”. Il documentario e? un viaggio poetico nell’immaginario dell’architetto e ripercorre la sua passione per la cultura giapponese. La proiezione, di 77 minuti, sarà in italiano con sottotitoli in tedesco. Al termine della proiezione i registi saranno a disposizione per le domande del pubblico (in inglese). Il Giappone è stato per Carlo Scarpa, un universo ispiratore, ma anche il luogo dove egli morì misteriosamente nel 1978, all’apice della sua carriera, seguendo le orme del poeta errante Matsuo Basho. Attraverso le impressioni dal filosofo giapponese Ryosuke Ohashi, la narrazione del film si sviluppa lungo una domanda, quella sul senso della bellezza. Le riflessioni su questo tema accomunano così le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese.

Venezia, porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, insieme all’esplorazione incantata delle sue opere, offrono l’opportunità di rievocare la poetica ed episodi simbolici della vita dell’architetto. Tali episodi vengono restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, degli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, e del ricercatore J.K. Mauro Pierconti. Un sentimento di nostalgia pervade la narrazione: la nostalgia di quell’evento raro che e? la nascita di un artista. Carlo Scarpa ci ha lasciato in dono le sue opere e con esse l’entusiasmo e la meraviglia che suscitano ancora oggi. La partecipazione alla proiezione è gratuita, ma è richiesta l’iscrizione tramite il link CarloScarpa.eventbrite.de.  E’ possibile vedere il documentario cliccando sulla pagina della casa di produzione Caucaso e sui social Facebook e Instagram.

“Caffè Letterario”: il 25 giugno l’ultimo appuntamento prima della pausa estiva del ciclo di incontri italo-tedeschi all’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo. Alle ore 19 l’incontro dedicato al romanzo “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Strega 2024. L’evento è organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo. Dopo L’Arminuta, romanzo vincitore del Premio Campiello 2017, e Borgo Sud, finalista allo Strega 2021, Donatella Di Pietrantonio torna nelle librerie con L’età fragile. All’origine di questo nuovo lavoro c’è un episodio di cronaca che risale agli anni Novanta nel cuore dell’Abruzzo appenninico, quando l’orrore si era insinuato in un luogo fino ad allora immacolato. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un’occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.

Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c’è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent’anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c’erano tutti. I pastori dell’Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c’erano più.

Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c’è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Il libro di Donatella Di Pietrantonio è stato presentato al Premio Strega 2024 da Vittorio Lingiardi nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica con la seguente motivazione: «L’età fragile non è un’età della vita, è la vita stessa. La memoria che non può nascondere il dolore, la solitudine dopo la separazione, la colpa per la sopravvivenza. La vita dura come un sasso che Donatella Di Pietrantonio riesce a levigare con le mani sicure della sua scrittura. “L’età fragile” è la storia di una famiglia sospesa nel segreto del trauma, parole mai dette rinchiuse nel cuore di una montagna d’Abruzzo che è insieme psiche e paesaggio. “L’età fragile” è il romanzo di una madre che non trova respiro, stretta tra la severità del padre e il silenzio della figlia. Un libro che raccontando il dolore lo cura, perché a scriverlo è una donna che conosce il miracolo delle parole e il sangue delle ferite.» La partecipazione all’incontro letterario è gratuita, ma è richiesta l’iscrizione tramite il portale Eventbrite: CaffeLetterario_Juni24.eventbrite.de.

Donatella Di Pietrantonio è nata ad Arsita, in provincia di Teramo. Di professione è dentista pediatrica. Nel 2011 esordisce con il romanzo Mia madre è un fiume, ambientato nella terra natale. Nello stesso anno pubblica il racconto Lo sfregio sulla rivista Granta Italia di Rizzoli. Nel 2013 pubblica il suo secondo romanzo,Bella mia, dedicato e ambientato all’Aquila. L’opera, influenzata dalla tragedia del terremoto del 2009 e incentrata sul tema della perdita e dell’elaborazione del lutto, è stata candidata al Premio Strega ed ha vinto il Premio Brancati nel 2014. Il romanzo viene ristampato da Einaudi nel 2018 e nel 2020 vince il premio letterario internazionale “Città di Penne-Mosca”. Nel 2017 pubblica per Einaudi il suo terzo romanzo, L’Arminuta, anch’esso ambientato in Abruzzo; il titolo è un termine dialettale traducibile in «la ritornata». Il libro approfondisce il tema del rapporto madre-figlio nei suoi lati più anomali e patologici ed è risultato vincitore del Premio Campiello e del Premio Napoli. Dal romanzo è stato tratto, nel 2019, uno spettacolo teatrale prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo e, nel 2021, il film diretto da Giuseppe Bonito.

Sempre nel 2017 è stata insignita dell’Ordine della Minerva dall’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti. Nel 2020 pubblica, ancora per Einaudi, Borgo Sud, sempre ambientato in Abruzzo e considerato il seguito de L’Arminuta, poiché descrive storie successive delle due sorelle protagoniste del precedente romanzo. L’opera viene selezionata per partecipare all’edizione 2021 del Premio Strega, classificandosi al secondo posto e riceve il Premio letterario Basilicata nella sezione “Narrativa”.

Gli incontri del “Caffè Letterario” sono dedicati agli appassionati di letteratura italiana e si tengono in italiano e tedesco – generalmente una volta al mese – e danno la possibilità a chi legge volentieri libri italiani di incontrarsi per discutere su un libro letto a casa e scelto durante il precedente incontro, scambiarsi opinioni, cercare nuove ispirazioni, decidendo insieme i prossimi libri da leggere e discutere. Gli incontri riprenderanno a settembre. (Inform/dip 13)

 

 

 

La pensione di invalidità tedesca

 

Rubrica a cura dei patronati Acli Germania, Inca Cgil e Italiul. Questo mese Daniela Bertoldi delle Acli Germania

In questo articolo parliamo della pensione di invalidità tedesca. Vedremo quali sono i requisiti, i tipi di pensione e quali possono essere le problematiche connesse.

Pensione di invalidità totale

Per avere diritto ad una pensione di invalidità tedesca bisogna aver lavorato almeno cinque anni. Per questo requisito vengono presi in considerazione anche i periodi di lavoro all’estero. Inoltre, la persona che presenta la domanda deve avere tre anni di contributi effettivi negli ultimi cinque. Un’eccezione a questo requisito sono i casi di incidenti o malattie sul lavoro dove la persona deve essere assicurata obbligatoriamente da almeno un anno al momento dell’incidente/malattia.

Tuttavia il requisito dei tre anni di contributi effettivi negli ultimi cinque anni esclude spesso quelle persone, che per tanti anni hanno lavorato con un Mini Job e non hanno scelto di versare i contributi (consapevolmente o no). Per questo per chi ha soltanto il Mini Job come attività lavorativa consigliamo sempre di versare contributi, in modo tale che si mantenga il diritto a questo tipo di pensione.

Alcuni periodi senza contributi effettivi, gli Anrechnungszeiten, per esempio i periodi di iscrizione al Job Center oppure i Kinderberücksichtigungszeiten, spostano vantaggiosamente ad un periodo precedente il calcolo di questi contributi.

Altro requisito per la pensione di invalidità totale è che la condizione di salute deve essere tale da non permettere l’attività lavorativa per più di tre ore al giorno e ulteriore requisito è che questo stato persista per più di sei mesi.

La pensione di invalidità totale viene normalmente liquidata a tempo determinato, fino ad un massimo di tre anni. La domanda di rinnovo va presentata prima della scadenza e questo viene concesso se le condizioni di salute sono stabili o peggiorano. Dopo nove anni di pensione la Deutsche Rentenversicherung parte dal presupposto che la persona non possa più lavorare e la pensione viene trasformata in una pensione di invalidità a tempo indeterminato.

Se la pensione viene da subito liquidata a tempo indeterminato è perché le condizioni di salute sono tali da non prospettare un miglioramento.

Il calcolo della pensione dipende dagli anni di contributi versati e dall’ammontare degli stessi. Inoltre, viene aggiunto il periodo, senza contributi, dalla liquidazione della pensione ad una data che viene fissata per legge, chiamato Zurechnungszeit. Ad esempio, se la pensione iniziasse nell’anno 2024, il periodo della Zurechnungszeit finirebbe con 66 anni e 1 mese. Se quindi una persona, in base all’età al momento della domanda, avesse diritto prima alla pensione di invalidità, ci sarebbe una riduzione sulla pensione dello 0,3% per ogni mese di anticipo, ma fino ad un massimo del 10,8%. Ancora un esempio: una persona che ha diritto oggi alla pensione di invalidità e ha 65 anni di età avrebbe una riduzione nel calcolo della pensione del 3,9%.

Pensione di invalidità parziale

Si ha diritto a questo tipo di pensione se, dopo la valutazione della documentazione medica, la Deutsche Rentenversicherung comunica che si può lavorare fra le tre e le sei ore giornaliere. La pensione di invalidità parziale ammonta esattamente alla metà di quella totale.

Le decorrenze delle pensioni dipendono dalla limitazione nel tempo o meno. Se una pensione di invalidità è limitata a tre anni, ad esempio, allora la decorrenza della pensione inizia sette mesi dopo il riconoscimento dell’invalidità. Se invece è a tempo indeterminato la decorrenza sarà il mese successivo alla presentazione.

Particolarità per le persone assicurate nate prima del 2 gennaio 1961

Chi appartiene a questo gruppo è coperto da un regime di protezione: se si hanno restrizioni di salute che riguardano solamente l’occupazione precedente, si ha diritto ad una pensione per riduzione parziale della capacità di guadagno (Rente wegen Erwerbsminderung bei Berufsunfähigkeit), che corrisponde in euro alla pensione di invalidità parziale. Questa pensione viene corrisposta a persone assicurate che non possono più lavorare nella loro precedente occupazione qualificata o che possono lavorare solo meno di sei ore al giorno, e almeno sei in un’altra posizione. Qui va fatta attenzione alla parola qualificata: significa che per poter fare quel lavoro è stato fatto un percorso di specializzazione.

Pensione di invalidità totale per chiusura del mercato del lavoro

Questa dicitura non si troverà nella prima pagina del provvedimento di pensione e per questo va fatta particolare attenzione.

Se una persona è iscritta all’ufficio di disoccupazione da più di un anno e gli viene riconosciuta un’invalidità parziale (quindi può lavorare dalle tre alle sei ore giornaliere) ha diritto a questo tipo di pensione, perché la DRV parte dal presupposto che, essendo stata iscritta per più di un anno e con il tipo di invalidità, non le sarà possibile trovare un lavoro. A questo punto ha diritto a una pensione di invalidità totale, che viene rinnovata ogni tre anni. Attenzione: la domanda di rinnovo va presentata fino al raggiungimento del requisito della pensione di vecchiaia. Non vale quindi il discorso dei nove anni fatto precedentemente. Inoltre, una persona con questo particolare tipo di pensione, non può trasferirsi all’estero perché deve, comunque, rimanere a disposizione del mercato del lavoro tedesco.

Una precisazione

Anche se una persona ha il 100% di invalidità riconosciuta dal Landratsamt/Versorgungsamt, non significa automaticamente che abbia diritto ad una pensione di invalidità. In effetti nel valutare il riconoscimento del grado di invalidità il Landratsamt/Versorgungsamt valuta le limitazioni che le malattie causano alla persona nella sua vita quotidiana. La Deutsche Rentenversicherung invece valuta le limitazioni che si hanno nella vita lavorativa. Queste quindi non sempre combaciano. Infatti, una persona che ha limitazioni nella vita quotidiana causate dalle malattie può poter continuare a fare determinati lavori.

Molti pensionati ci chiedono se possono continuare a lavorare percependo una pensione di invalidità totale o parziale.

L’attività lavorativa o autonoma è possibile ma solo nell’ambito della capacità valutata su cui si basa la pensione a capacità di guadagno ridotta – quindi massimo tre ore per la pensione di invalidità totale e massimo sei ore per la pensione di invalidità parziale.

Se ciò non viene rispettato, il diritto alla pensione di invalidità è compromesso nonostante il rispetto dei limiti di reddito.

Se ad una persona è riconosciuta la pensione di invalidità totale, può, sì, lavorare, ma non potrà lavorare per più di tre ore in un giorno. Se volesse lavorare sei ore alla settimana, può farlo, ma soltanto se queste sei ore sono distribuite su due o più giorni (quindi meno di tre ore giornaliere).

Il limite reddituale oltre il quale non andare è al momento di 18.558,76 euro.

Un’altra domanda che riceviamo spesso è se ci si può trasferire all’estero con una pensione di invalidità. Non ci sono ostacoli al trasferimento.

L’importante è rispondere se si riceve documentazione o richieste da parte dell’ente tedesco. Se l’ente tedesco vuole effettuare una visita di controllo, si rivolgerà all’INPS o comunque all’ente previdenziale del nuovo luogo di residenza per far chiamare a visita la o il pensionato. Anche i rinnovi di pensione possono essere fatti dall’estero. Quindi, ad eccezione della pensione per mercato chiuso la/il cui titolare deve restare a disposizione del mercato del lavoro tedesco, con gli altri tipi di pensione ci si può trasferire.

Daniela Bertoldi, CdI giugno/luglio

 

 

 

 

80 anni dallo Sbarco in Normandia

 

Quando i primi soldati tedeschi, acquartierati nei bunker lungo la costa della Normandia, videro arrivare dal mare l’immensa flotta Alleata, era l’alba del 6 giugno 1944, il D-Day. 80 anni sono passati da quello stupore, misto a terrore e sorpresa, a causa del convincimento dei generali tedeschi che mai una invasione sarebbe potuta avvenire solo dal mare: in un certo senso avevano anche ragione perché nella realtà lo sbarco sulle spiagge normanne di Utah, Omaha, Gold, Juno, Sword era stato anticipato, durante la notte tra il 5 e il 6 giugno, dal lancio di migliaia di paracadutisti britannici, statunitensi e canadesi, che si videro catapultati oltre le linee tedesche, in molti casi soli, dispersi, in molti casi morti affogati nelle paludi della penisola del Cotentin o in mare per errori di rotta. Ma furono questi paracadutisti, il cui emblema è il famoso John Steel, che finì appeso alla torre campanaria della cittadina di Saint-Mère Eglise, a permettere che lo sbarco in Normandia e la conseguente invasione potesse aver luogo, con tutte le storie minime di soldati, uomini, ragazzi, chiamati a combattere a migliaia di chilometri dalla loro casa, per la libertà dal nazifascismo.

La storia dello Sbarco in Normandia è soprattutto la narrazione di un avvenimento epocale, che si posiziona tra il dramma della violenza della guerra, con i suoi orrori, la sua disumanizzazione, gli eccessi d’odio e la morte dominante, e la ritrovata libertà e pace che da quegli orrori è poi scaturita, dando all’Europa ottanta anni di serenità, oggi tradita e violata ancora una volta per l’insipienza di chi vede nelle armi l’unica ragione per la soluzione dei problemi. Lo Sbarco in Normandia, il cui 80mo anniversario sta venendo celebrato con grandi manifestazioni in questi giorni, in quegli stessi luoghi ove avvenne, è un evento che non può essere raccontato senza evidenziarne anche quella matrice spettacolare e di potenza che alla fine fu la chiave della vittoria degli Alleati.

 

Non si deve dimenticare che ciò che gli occhi di quelle sentinelle tedesche videro, ciò che gli abitanti ancora stanziali e non fuggiti dalle cittadine della costa Normanna, come St. Marie du Mont, Virville sur Mer, Port-en-Bessin poterono osservare dai ruderi delle loro case, fu innanzitutto uno spettacolo impressionante di potenza e superiorità umana e militare. Perché i numeri di quello sbarco parlano di 6.483 navi, tra cui 4mila mezzi da sbarco, 9 corazzate, 23 incrociatori, 104 cacciatorpediniere, 11mila tra aerei da caccia, bombardieri e da trasporto. 4mila tonnellate di bombe vennero sganciate dall’aviazione alleata nel giro di poche ore, mentre incessante fu il martellamento delle coste con i cannoni delle navi. Eppure tutto ciò non fu sufficiente perché la vittoria fosse immediata e con poche perdite. Fu un massacro da ambo le parti: dal giorno dello sbarco alla fine della campagna di Normandia, che portò alla liberazione di Parigi il 25 agosto 1944, furono circa 200mila i morti e feriti Alleati e una cifra imprecisata oltre i 350mila tra i tedeschi. La guerra non si interruppe con lo sbarco, durò un altro anno, con momenti di duro impegno per molti soldati che furono tra i protagonisti el D-Day, come la mitica compagnia paracadutisti “Easy” della 101ma divisione aerotrasportata statunitense, che fu fondamentale nella liberazione di Carentan e durante l’assedio di Bastogne, nella controffensiva tedesca nelle Ardenne nell’inverno del 1944. La compagnia “Easy” conquistò anche il “Nido dell’Aquila”, il famoso rifugio alpino di Hitler, nella cittadina bavarese di Berchtesgaden. Alla “Easy” è stata dedicata la serie televisiva in 10 puntate, prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks, che nel 2001 ha narrato le vicende di questo manipolo di soldati statunitensi: “Band of Brothers”. La serie, basata su un saggio storico ricco di testimonianze dei sopravvissuti della “Easy”, scritto dallo storico Stephen Ambrose, presenta con crudezza lo spettacolo tragico e devastante della guerra, senza renderlo edulcorato da eroismi o ideologie: la guerra è morte, sangue, sbudellamenti, esplosioni, freddo, fame, occhi che chiedono pietà, strategie e amicizia, violenza e anelito di pace. I soldati americani sono di origini le più diverse: italiani, germanici, danesi, francesi, polacchi, cattolici, protestanti, ebrei, nativi americani, figli degli stati agricoli o membri di famiglie borghesi della East Coast. Il loro addestramento, meticoloso e asfissiante, li salva, e li pone come macchina mortale al cospetto dei soldati tedeschi, che vengono affrontati senza pietà, quella stessa pietà che loro non avrebbero ricevuto.

“Band of Brothers”, con la narrazione dei reduci, richiama altri due prodotti cinematografici che hanno affrontato lo sbarco in Normandia con accenni tra loro differenti: “Il Giorno più lungo”, film del 1962, tratto dal romanzo di Cornelius Ryan, che nelle mani di un quartetto di registi, attraverso il sistema del film verità, racconta quasi esclusivamente il lato Alleato dello sbarco e dei giorni successivi.

La particolarità del film è che molti degli attori (tra i quali Henry Fonda, Rod Steiger e Richard Todd) furono tra i soldati che realmente presero parte allo sbarco, e con la loro consulenza resero il film realistico anche se decisamente schierato. Ma è con “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg, film del 1998, che la morte che è spettacolo tragico della malvagità umana, raggiunge vertici indimenticabili, a tratti insostenibili: i 20 minuti iniziali del film sono la descrizione del massacro dei primi soldati statunitensi sbarcati nella spiaggia di Omaha. Lunga 8 chilometri, si trasformò in un cimitero di ragazzi che morirono ancora prima di raggiungere la spiaggia, affogati dentro i mezzi da sbarco affondati dalle micidiali artiglierie tedesche, che non erano state scalfite dal cannoneggiamento navale. Immagini che ancora di più ci debbono far riflettere: come ha scritto Papa Francesco a mons. Jacques Habert, vescovo di Bayeux e Lisieux, in occasione di questo anniversario “lo sbarco evoca, più in generale, il disastro rappresentato da questo terribile conflitto globale dove tanti uomini, donne e bambini hanno sofferto, tante famiglie sono state dilaniate, tanta rovina è stata provocata. Sarebbe inutile e ipocrita ricordarlo senza condannarlo e rigettarlo definitivamente, senza ripetere il grido di San Paolo VI dal podio dell’Onu, il 4 ottobre 1965: “Mai più la guerra!”. Massimo Lavena, Sir 6

 

 

 

Il Ministro degli Esteri Tajani interviene all’Assemblea Plenaria del Cgie

 

ROMA – Nel corso della sessione di apertura dell’’Assemblea Plenaria del Cgie è intervenuto per salutare i consiglieri il Ministro degli Esteri Antonio Tajani.  “Ci tenevo particolarmente a salutare il Cgie, ed attraverso di voi tutti i nostri connazionali all’estero, che sono i nostri migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo” ha esordito il Ministro che poi ha ribadito il proprio cordoglio e quello del Governo, per la scomparsa del Segretario Generale Michele Schiavone e del Console Generale Marco Nobili venuto a mancare a gennaio a Vancouver. Il Ministro si è poi congratulato con il neo eletto Segretario Generale del Maria Chiara Prodi: “Le rivolgo i miei più grandi auguri per questo incarico importante e gravoso, il contesto in cui inizia il suo mandato è positivo, un clima unitario che sono sicuro che porterà risultati positivi per gli italiani all’estero. Lo affermo – ha continuato Tajani – da Presidente del Cgie, oltre che da Vice presidente del Consiglio dei ministri e da ex italiano all’estero: l’unità è molto importante., perché poi i nostri concittadini non comprenderebbero divisioni… Io credo – ha aggiunto il Ministro – che sia importante sempre tutelare il nostro interesse, aldilà delle normali e naturali divisioni. Io sono stato 30 anni a lavorare al di là dei confini nazionali come politico, e quando gli italiani si sono dimostrati uniti, superando le normali, naturali e giuste divisioni che possono esserci, abbiamo sempre ottenuto risultati positivi, perché l’unione fa la forza, soprattutto quando ci confrontiamo con altre realtà”. “Ho lavorato per tanti anni all’estero, – ha proseguito il Ministro rivolgendosi ai consiglieri – quindi conosco il vostro impegno, apprezzo l’orgoglio e la passione con le quali portate nel mondo il nome dell’Italia, la forza della nostra cultura, dei nostri territori, del saper fare italiano, di cui il successo del nostro export è uno straordinario interprete…  Gli italiani all’estero – ha poi rilevato Tajani – e la loro tutela rappresentano, come ho detto più volte, una priorità per il nostro Governo, e ho voluto proprio evidenziare il ruolo speciale che nella nostra realtà diplomatica hanno i consoli, facendoli sfilare per la prima volta nella parata del 2 giugno insieme al personale della nostra unità di crisi, che tanto fa nei momenti di grande difficoltà, per aiutare i nostri connazionali che vivono all’estero”. “Il Governo sta valutando – ha continuato Tajani dopo aver ricordato il lavoro di assistenza svolto dalla Farnesina e dai nostri consoli verso gli oltre 2mila detenuti all’estero e i circa 550 bambini contesi o sottratti all’estero – un rafforzamento della rete consolare. A fine maggio ho voluto inaugurare io stesso i nuovi locali del Consolato Generale di Bruxelles, dal primo luglio sarà operativo anche il nuovo Consolato Generale di Madrid. Ho voluto operare anche in America Latina inaugurando i consolati generali di Belo Horizonte in Brasile e di Mendoza in Argentina, ho inoltre disposto il rafforzamento dei consolati di Casablanca, Dubai, Los Angeles, Monaco di Baviera, Zurigo, Francoforte e Toronto con l’invio di vicari diplomatici. Grazie anche alle recenti assunzioni, il personale nelle sedi all’estero è stato molto rafforzato, a beneficio dei servizi che migliorano per i cittadini… Voglio anche ricordare – ha aggiunto Tajani – che è stata inaugurata la nostra ambasciata in Mauritania, perché abbiamo ritenuto fondamentale essere presenti in quell’area dell’Africa subsariana dove operano molte imprese italiane. Abbiamo agito anche sul ruolo delle agenzie dell’internazionalizzazione, nell’ambito della strategia della diplomazia della crescita che ho avviato per sostenere il nostro export. E’ infatti fortemente aumentata la presenza dell’agenzia ICE, di Casse Depositi e Prestiti, Simest e Sace in modo particolare nei Balcani ed in Africa. Tanti sportelli Italia per sostenere le imprese, che rafforzano l’immagine dell’Italia e  aiutano la nostra nazione anche in favore dei nostri connazionali”. Tajani ha poi segnalato come si stia lavorando per il miglioramento dei servizi per i nostri connazionali “Da qualche giorno – ha spiegato – tutti i nostri connazionali all’estero possono scaricare il codice fiscale da internet, la carta d’identità elettronica viene ora rilasciata da 170 ambasciate e consolati nel mondo, un documento che rappresenta la chiave per accedere sempre a maggiori servizi online delle amministrazioni italiane”. Il Ministro, dopo aver rilevato che verrà avviata una riflessione congiunta, anche con il Ministero dell’Interno, sulle procedure della cittadinanza e sulle modalità di voto, ha ricordato che il Maeci è impegnato, al fine di fornire all’estero servizi migliori, sia a premiare i tanti che lavorano al meglio, sia a contrastare ogni possibile forma di irregolarità, soprattutto in settori delicatissimi come quelli della cittadinanza e del rilascio dei visti. A tal fine verranno intensificate le missioni ispettive con l’ausilio dei carabinieri e finanzieri che operano all’interno del ministero.  Tajani si è poi soffermato sul Progetto del Turismo delle Radici. “Il 2024 – ha ricordato il Ministro – è l’Anno delle Radici, nei mesi scorsi ho accolto qui al ministero centinaia di sindaci da tutta Italia. Adesso stiamo coinvolgendo molte associazioni.  Quello del turismo delle radici, come probabilmente sapete, è un progetto del PNRR gestito dal Ministero degli Esteri, che si prefigge di far riscoprire ai connazionali residenti all’estero i luoghi di origine delle proprie famiglie. Questa iniziativa rappresenta anche una grande occasione per i nostri comuni più piccoli, per la loro valorizzazione artistica, per l’export dei loro prodotti ed eccellenze. In questo ambito – ha continuato Tajani – abbiamo messo a fuoco molte iniziative importanti, penso alle agevolazioni ferroviarie per un turismo sostenibile o al settore dell’enogastronomia e dell’accoglienza. Abbiamo inoltre avviato un dialogo con la Santa Sede in vista del Giubileo. Io conto su ognuno di voi. rappresentanti delle comunità all’estero e sui consiglieri di nomina governativa, per dare la massima visibilità al progetto del Turismo delle Radici”. Il Ministro, dopo aver rilevato come all’estero anche problemi apparentemente semplici legati alla pensione , al passaporto e ai documenti da ritirare rivestano per i nostri connazionali grande importanza, ha ringraziato i parlamentari, eletti all’estero e in Italia, che si occupano della situazione dei 7 milioni di italiani all’estero. Lorenzo Morgia, Inform/dip 19

 

 

 

 

Plenaria Cgie. Problemi e futuro: le relazioni delle Commissioni e dei Vicesegretari

 

ROMA - Nuova mobilità, editoria italiana all’estero, rappresentatività, comunicazione mirata, problematiche nei servizi consolari, problematiche riguardo al diritto di voto, possibili riforme per un futuro più inclusivo, relazione con le Istituzioni, turismo delle radici, brexit e parità di genere. Sono tanti gli argomenti affrontati nel pomeriggio di questa terza giornata di Assemblea Plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero – CGIE, in corso fino a venerdì alla Farnesina, che ha visto protagonisti i Vice Segretari Generali per area geografica, i Presidenti di sei delle otto Commissioni tematiche e le Coordinatrici di tre Gruppi di lavoro.

Ad aprire la discussione del pomeriggio è stato Walter Petruzziello, componente del comitato di presidenza, che ha fatto le veci del Vice Segretario Generale per l'America Latina, Mariano Gazzola. “Abbiamo parlato con tanti comites, anche quelli tra i paesi non rappresentati nel Cgie”. E “abbiamo parlato della tragedia del Rio grande do Sul, per la quale si è pensato di istituire un canale istituzionale per raccogliere dei fondi. Lo hanno già fatto i comites ma è difficile fare uscire le risorse raccolte”. Inoltre, ha manifestato “l’appoggio a cambiare sede al Consolato di Porto Alegre, speriamo in una inaugurazione a breve”. Petruzziello ha poi voluto evidenziare la sua preoccupazione per la tabella del Cgie e per la sparizione di diversi paesi, compresi quelli nell’America Centrale. “Nella prossima consiliatura, alcuni paesi avranno un aumento di consiglieri e altri ancora non averne affatto. È una questione seria, dobbiamo pensare a fare qualcosa di diverso per rivedere la tabella”. Infine, ha spiegato di avere sul tavolo delle questioni anche un maggiore accesso alla diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero in America Latina. Ma ancor più preoccupazione, il componente del CDP l’ha manifestata riguardo l’incapacità di riempire tutte le cariche per i funzionari dei consolati: “non c'è mai copertura totale dei posti. Servono modifiche e incentivi per coprire e trasformare il ruolo dei funzionario all'estero. Mancando personale, mancano anche i servizi adatti ai nostri connazionali". Da ultimo, Petruzziello ha chiesto "uniformità nelle procedure dei consolati in tutto il Sud America. Lo dobbiamo fare uniti. Perché alcuni funzionari non sono dovutamente preparati. E questa è una questione che va gestita dalla nostra direzione".

Dopo il breve intervento di Giuseppe Stabile, neo vicesegretario per l'Europa e i paesi del nord Africa, che ha spiegato che nei prossimi giorni verrà prodotto un documento più proficuo, è potuto intervenire Gianluca Lodetti, Vice Segretario Generale di Nomina governativa, che ha spiegato come, con i consiglieri di nomina governativa, abbiano affrontato nelle riunioni di questo periodo diversi punti partendo dall’analisi degli ultimi dati sulla mobilità, ossia: impatrio, spopolamento, sanità e lingua e cultura, con anche una piccola appendice su cittadinanza e servizi, confrontandosi con diversi parlamentari eletti all’estero e altri sono già in programma nel prossimo futuro. Ma soprattutto, Lodetti si è detto soddisfatto per aver inaugurato “un metodo che mira ad avvicinare ulteriormente il mondo istituzionale, il parlamento nello specifico, in modo da avere un rapporto fluido con i parlamentari che aiutino la vita dei nostri connazionali nel mondo”. “Vogliamo riprendere il discorso sugli italiani all'estero nelle istruzioni ma anche nella società civile. Abbiamo analizzato i dati Istat: si nota una grande ripresa della mobilità, specie dei giovani (oltre 100 Mila quest’anno). In Italia aumenta la denatalità, la popolazione e la forza lavoro invecchiano e si accentua lo spopolamento. In un fenomeno migratorio come questo è fondamentale sostenere rapporti tra i paesi di provenienza e gli emigrati. Servono mantenimento del legame e incentivi, tra cui le agevolazioni fiscali per chi possiede la casa. In modo da pensare, nel lungo periodo, alla circolarità del fenomeno”. Il vice segretario di nomina governativa ha poi spiegato come il “nostro gruppo vuole verificare alcune politiche del governo e l'azione dei parlamentari eletti all'estero. Con i deputati abbiamo lavorato sul fronte fiscale, pareggiare le condizioni degli italiani all’estero a quelli italiani; abbiamo parlato di denatalità e dei provvedimenti del deputato Fabio Porta così come del DDL del deputato Andrea Di Giuseppe sul tenere i servizi del SSN con un contributo. Continueremo a lavorare, auspicando un rapporto continuo con il MAECI per ciò che riguarda gli enti gestori”. Secondo quanto comunicato da Lodetti, infatti, è “necessario migliorare i servizi, anche attraverso patronati e CCIE, e migliorare il modo in cui vengono riconosciute le cittadinanze per una cittadinanza consapevole anche attraverso percorsi formativo spiegando diritti e doveri dei cittadini”.

Prima dei Presidenti delle Commissioni Tematiche, ha preso parola anche Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per gli Italiani all’Estero della Farnesina, che ha risposto a diverse questioni e dubbi fuoriusciti dalla prima parte della giornata di lavori, tra cui le problematiche legate alle schede elettorali all’estero, il dialogo spesso complesso fra Ministeri dell'interno dei diversi paesi e sulla mancanza di rappresentatività di tutte le comunità italiane all’estero, specie quella dall’Africa, ad oggi Continente senza nessun rappresentante nel Consiglio Generale. “Il cgie – ha suggerito Vignali - potrebbe invitare rappresentanti dell'Africa per avere un riscontro su quelle comunità”. Poi ha potuto parlare anche del rilascio dei passaporti e delle cittadinanze, specificando come le regole, per la questione, siano fatte dal Ministero degli Interni, ma “insieme, Farnesina e CGIE possiamo portare proposte per risolvere il problema del grande faldone delle cittadinanze”. Così come riguardo il problema degli intermediari sugli appuntamenti per richiedere il Passaporto: “un problema che stiamo contrastando” e che non può annoverarsi solo con le difficoltà del servizio “Prenotami”, che secondo Vignali “funziona”, ma possono verificarsi perché “le richieste sono tante”. Una cosa ha voluto assicurare il Direttore Generale per gli Italiani all’estero della Farnesina, ossia che “nel giro di alcuni mesi riusciremo a mettere a disposizione delle sedi un sistema sempre più sicuro”, e forse anche più “omogeneo” nonostante le sedi all’estero siano “molto diverse tra loro”, così come gli utenti.

È stata poi la volta di sei dei presidenti delle otto commissioni tematiche. A prendere parola, il presidente della I commissione, “Informazione e Comunicazione”, Giangi Cretti, che spiegato di aver avuto, nella riunione di ieri, diverse interlocuzioni per affrontare diverse tematiche accompagnati da due esperti, Franco Sitti e Patrizia Perilli. Tra questi incontri, la Commissione ha incontrato il dipartimento dell’Editoria della Presidenza del Consiglio che “ci hanno dato risposte concrete”. Specie riguardo i contributi per gli editori italiani all’estero e per i quotidiani che fanno informazione per loro. “La prima rata è stata già erogata – ha spiegato Cretti - e il saldo avverrà entro la fine dell'anno, rispettando i tempi. Con la sola esclusione, per mancanza di anzianità, de L'eco di Londra”. Per quanto riguarda i periodici, i “tempi sono più dilatati, è stato liquidato il contributo del 2022”. Ma una cosa è già riscontrabile, ha aggiunto: “il numero delle testate che richiedono contributi è in costante diminuzione”. “Il contributo complessivo rimane attorno ai 2 milioni di euro”. Ma ci sono ancora problemi, specie riguardo la criticità dell'invio dei documenti in tempo utile. Un problema che “riguarda anche gli uffici consolari”. Altro problema segnalato da Cretti è il ruolo dei comites che “non hanno obbligo di inviare la tenuta contabile, ma devono mandare solo un parere. E spesso i pareri sono di natura politico-culturale e bloccano contributi”. È importante, ha informato ancora il Presidente della Commissione I, “che gli statuti stabiliscano in modo chiaro che ogni editore ha diritto a una testata. E i costi che ha devono essere tracciabili, i documenti presentati in lingua italiana e l'invio delle copie fatte a spese proprie”. Cretti ha infine segnalato che all'orizzonte “c'è una riforma del regolamento (non della legge) che dovrebbe entrare in vigore nel 2025 e che punta a una semplificazione che a noi però potrebbe sembrare una complicazione”. Riguardo alle testate digitali, invece, non sono previsti contirbuti al momento in quanto non ci sono i requisiti per capire il valore della testata e i contributi che gli spetterebbero. Infine, ha parlato anche dell’incontro avuto con Fabrizio Ferragni, direttore dell’offerta per l'estero della Rai, e il consigliere d’Ambasciata, Giovanni Maria De Vita, per il turismo delle radici: “c’è ancora da capire i fondi per le pubblicità istituzionali, ci sono ancora dubbi”. E per concludere ha auspicato una collaborazione più intensa con Davide Marotta, responsabile dell’informazione del MAECI, che si è detto disponibile per consulenza al Cgie.

È intervenuto poi Maria Candida Imburgia, della Commissione II “Sicurezza, Tutela Sociale e Sanitaria” che ha spiegato a grandi linee il programma operativo, ossia “monitorare bisogni ed esigenze dei flussi migratori”, specie in un mondo come quello dell’emigrazione sempre più giovane, fatto di lavoratori e studenti “che chiedono risoluzione a problemi fiscali e burocratici. L'Italia fuori è sempre più giovane e l'Italia in Italia è sempre più anziana. La mobilità è sempre più inquieta, c’è chi parte, c’è chi resta e c’è chi torna. Una realtà poi composita rispetto al passato. Da parte nostra serve attenzione sempre più qualificata”. E più in particolare riguardo la sanità “serve ricerca, informazione puntuale ed efficace, capire come procedere alla ricerca”. Ma serve, secondo Imburgia, una “interlocuzione tra MAECI e patronati e definire questa sinergia”.

Dopo di lei, ha preso parola Filippo Ciavaglia, della Commissione II Dirti Civili, Politici e Partecipazione, che ha spiegato di aver discusso principalmente di tre temi: la riforma del regolamento Cgie, la legge istitutiva del comites e la legge istituiva del Cgie. Con una postilla sulla legge elettorale. “C'è stata massima condivisione nella commissione. E conveniamo sul fatto che servano delle riforme”.

Tra una Commissione ed un’altra, hanno preso parola brevemente anche i deputati eletti all’estero Fabio Porta, del Pd, e Simone Billi, della Lega. “Vogliamo dialogare con la nuova segretaria generale – ha spiegato Porta che è stato presente tutto il giorno ai lavori -. Emigrazione e immigrazione sono due realtà che stanno salvando l'Italia”. C’è “da migliorare sul voto: ad ogni tornata elettorale ci sono brogli” ha spiegato ancora. Sul turismo delle radici, invece, ha detto: “la gestione del progetto ha uno strabismo, si rivolge agli italiani all'estero ma si svolge tutto in Italia. Servivano progetti più complessivi per un progetto che ha criticità molto grandi. Ma possiamo migliorarlo.

Billi si è invece detto pronto ad aiutare la causa per qualsiasi cosa.

Ha parlato poi il Presidente della V Commissione, Massimo Romagnoli, Promozione del Sistema Paese all'Estero, che ha evidenziato come in questi mesi di lavoro “abbiamo cercato di farci conoscere alle istituzioni. Abbiamo presenziato a diversi incontri. E abbiamo parlato con organi di stampa. Ma stiamo pensando ancora al futuro affinché gli italiani all'estero ci conoscano meglio. Diverse sono le iniziative pensate: come una banca dati degli imprenditori italiani all'estero”.

In seguito, è intervenuto il Presidente della Commissione VI, Pietro Mariani, Conferenza Permanente Stato, Regioni, Province Autonome, CGIE: che si è detto rammaricato per l’impossibilità di svolgere la conferenza permanente nella scadenza dei tre anni, come da legge (che ricadrebbe quest’anno). “Vorremmo farlo nel 2025”. A tal ragione, Mariani ha pensato alla possibilità di diverse consulenze e si è rammaricato anche sul fatto di essere “esclusi dalla vita politica della regione, non ci possiamo candidare alla regionali. Un tema di cui abbiamo discusso e che dovrebbe cambiare”.

Infine, ha preso parola Matteo Bracciali, della commissione 7, Nuove Migrazioni e Generazioni Nuove: “entro metà novembre vorremo provare a ragionare insieme in un momento pubblico”, ha spiegato. Questo porterebbe a: “allargare e coinvolgere la partecipazione dei nuovi expat, tema che coinvolge tutte le nostre comunità; focalizzare i contenuti e le finalità, scambiando buone prassi; riuscire a isolare una linea progettuale per gli expat sostenuto dalla rete consolare e dalle istituzioni”.

Sul tema, ha parlato anche il Consigliere Raimondo Pancrazio, che ha aggiunto una nota sullo stato dell'arte della questione sanità, frontalieri e iscrizione al SSN.

Hanno preso poi parola 3 delle esponenti di 3 Gruppi di Lavoro: prima Barbara Sorce, del gruppo di lavoro sul Turismo delle Radici: “ci siamo posti

l'obiettivo di sviluppare strategie per esperienze autentiche. Nel frattempo abbiamo creato reti di contatto, abbiamo stabilito partenariati, delineato i profili di viaggiatori, partecipato a dibattiti locali in seguito ai bandi dei comuni e pensando anche al giubileo”.

Poi la consigliera Maria Elena Rossi, del gruppo Parità di Genere, che ha spiegato: “abbiamo promosso una campagna di sensibilizzazione, “soli insieme si può”. Abbiamo coinvolto figure diverse. Cercando di coinvolgere anche uomini e adolescenti, per cercare di attivare un cambiamento complessivo nella società. Abbiamo fatto rete. Abbiamo creato premi e contributi e vogliamo continuare la campagna e creare un manuale per l'uso del linguaggio inclusivo. Il passo in avanti non è più prorogabile. E abbiamo ancora tanti progetti per contribuire alla diffusione di una nuova cultura per una società in cui equità e inclusione sono rappresentati al meglio”.

Infine, ha preso parola Elena Remigi, che ha parlato dell’impatto della brexit sulle difficoltà degli italiani in UK, i problemi alle frontiere, i problemi con la tessera sanitaria europea. “Abbiamo sentito il parlamentare Crisanti e speriamo di risolvere questi problemi”. (l.m. aise/dip 19) 

 

 

 

Essere italiani

 

Il ruolo dei Connazionali all’estero si dovrebbe vagliare in un’ottica più consona ai tempi nei quali viviamo. Specificando che la nostra Collettività oltre frontiera potrebbe avere una più efficace stima anche in Patria. L’”Italianità’” è una particolarità che non dipende soltanto dalla cittadinanza, ma anche da un modo d’impostare la propria vita in sintonia con quella della Comunità nella quale si è nati o nella quale si vive. Lo facciamo rilevare per evitare ogni dubbio.

 

 Essere italiano, indipendentemente dalla residenza, rivela un complesso di percezioni e d’esperienze che ci rende particolarmente disponibili all’incontro; pur mantenendo i nostri principi e tradizioni. Siamo Gente capace d’affrontare gli eventi negativi che, da noi, non mancare mai. Ma anche capaci di “recuperare” ciò che abbiamo smarrito.

 

Premesso che i Connazionali nel mondo sono milioni e le Generazioni si sono evolute, teniamo a rilevare che non è venuta mai meno l’immagine della loro ” Italianità”. Anche quando sarebbe stato più semplice seguire altri percorsi. Vivere la quotidianità, anche all’estero, ci pone a un livello che consente di conservare quei principi di condivisione tipici di un Popolo.

 

Italiani nell’essere rimane, di conseguenza, una qualità che, nei secoli, ha portato il seme della nostra cultura in tutte le contrade del mondo e continua a farlo. Con queste valutazioni, auspichiamo che, nonostante i venti di guerra, questo sia un anno, pur con uno stato di pericolosa belligeranza in corso, per il rilancio del nostro modo di farci valere in Italia e nel mondo.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Autonomia differenziata delle Regioni: approvato in via definitiva il disegno di legge

 

Con 172 sì, 99 no e un astenuto, la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge che contiene le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni. La prima lettura da parte del Senato era avvenuta nel mese di gennaio

Con 172 sì, 99 no e un astenuto, la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge che contiene le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni. La prima lettura da parte del Senato era avvenuta nel mese di gennaio.

Vediamo dunque alcuni punti caratterizzanti del testo approvato e i principali nodi problematici emersi dal dibattito dentro e fuori il Parlamento. La legge (che correntemente viene chiamata con il nome del ministro leghista Calderoli) intende fissare le coordinate e le procedure per dare attuazione al terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, riformato nel 2001, laddove si prevede la possibilità di attribuire “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta. All’attribuzione si provvede con una legge dello Stato “sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Le materie potenzialmente coinvolte sono tutte quelle in cui è prevista la legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni e che l’art.117 della Carta così enumera: “Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”. All’elenco vanno aggiunte tre materie su cui lo Stato ordinariamente detiene l’esclusiva della legislazione: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Un elenco di grande ampiezza, che comprende materie di rilevanza nazionale e persino internazionale. Va inoltre sottolineato che le tre Regioni con cui finora lo Stato ha sottoscritto accordi preliminari (altre si sono mosse nel frattempo) hanno chiesto l’autonomia rafforzata in tutte le materie (il Veneto) o in buon parte di esse (20 su 23 la Lombardia, 16 l’Emilia Romagna). Questo aspetto è stato ed è motivo di polemica politica. Il testo della legge, infatti, contiene espliciti riferimenti ai principi di unità e indivisibilità della Repubblica, ma le opposizioni e i critici rilevano con preoccupazione rischi di frammentazione e disgregazione istituzionale. Così pure sul versante socio-economico, il testo richiama il principio solidaristico e il tema della coesione, ma per le opposizioni e i critici si tratta invece del tentativo di una “secessione dei ricchi”. E’ questo uno dei nodi politicamente più sensibili.

Il finanziamento delle funzioni statali trasferite avverrà attraverso una compartecipazione a uno o più tributi erariali maturati nel territorio della Regione. Il problema è come evitare che questo meccanismo finisca per cristallizzare o addirittura accrescere le disuguaglianze esistenti. A questo fine dovrebbero servire i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale, promuovendo l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali con interventi perequativi anche nelle Regioni che non richiederanno l’autonomia rafforzata e che hanno una minore capacità fiscale per abitante. I Lep, alla cui introduzione le nuove norme sono subordinate, dovranno essere adottati dal governo con uno o più decreti legislativi entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge (che in questo senso agisce come una legge-delega). Resta però tutto da definire il nodo delle risorse finanziarie ed è uno scoglio decisivo da superare per rendere effettivamente praticabile tutta l’operazione. La legge Calderoli stabilisce che da ciascuna intesa con le Regioni non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Per le intese che dovranno essere stipulate con le Regioni si prevede un iter piuttosto complesso. In sintesi, si svolgerà un negoziato tra il governo e ogni Regione che avrà chiesto l’autonomia rafforzata. Sarà il Consiglio dei ministri ad approvare un’intesa preliminare e su di essa esprimeranno un parere la Conferenza unificata (i rappresentanti delle autonomie locali) e le competenti commissioni parlamentari, le quali si esprimeranno con “atti d’indirizzo”. Il presidente del Consiglio, però, non sarà tenuto a conformarsi a questi atti e potrà decidere altrimenti, riferendo alle Camere sulle motivazioni di tale scelta. La palla tornerà quindi al Consiglio dei ministri per deliberare sullo schema definitivo dell’intesa (dopo un ulteriore negoziato con la Regione, se necessario) che sarà allegato a un apposito disegno di legge di approvazione dell’intesa medesima. Questo ddl sarà presentato alle Camere che dovranno approvarlo a maggioranza assoluta. Anche su questa procedura sono state sollevate critiche perché di fatto il Parlamento non potrebbe entrare nel merito dell’intesa e dovrebbe limitarsi ad approvare (o respingere) il testo così com’è stato elaborato nel negoziato tra governo e vertici regionali. Ma l’argomento è molto controverso.

Le intese potranno durare al massimo 10 anni, con possibile rinnovo. Nelle disposizioni finali viene fatta salva la clausola che prevede l’esercizio di un potere sostitutivo del governo, secondo l’art.120 della Costituzione, in caso di inadempienze delle Regioni in materie gravi (trattati internazionali, sicurezza e incolumità pubblica, tutela dell’unità giuridica ed economica, livelli essenziali delle prestazioni sociali, ecc.). Le nuove norme si applicheranno anche alle attuali Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano, in attesa dell’adeguamento dei rispettivi statuti, “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Stefano De Martis, Sir 19

 

 

 

L’amore tossico: quando una relazione fa più male che bene?

 

Qual è la differenza tra l’amore sano e l’amore tossico?

Una storia d’amore sana si basa su rispetto reciproco, gentilezza, supporto, ascolto, fiducia e comprensione. Quando una relazione è funzionale, ognuno dei partner mantiene uno spazio personale e intimo con sé stesso e questo non inficia l’armonia di coppia, al contrario, la promuove. Una coppia che conserva l’equilibrio in questi aspetti avrà tutti gli ingredienti per fiorire, evolvere ed essere felice.

Capita che una relazione che all’inizio sembrava funzionare, semplicemente non funziona più, ma i partner continuano a portarla avanti, sentendosi incastrati. Così, il rapporto può diventare patologico e addirittura pericoloso. In questo caso si parla di amore tossico.

Si instaura un circolo vizioso caratterizzato da un’asimmetria di potere, un processo di idealizzazione di uno dei partner e uno spreco esagerato di energie. Tali meccanismi sono logoranti e portano a una gran sofferenza. Le conseguenze sull’autostima e sul benessere personale sono molto negative e possono anche trasformarsi in sintomi psicologici severi.

Tipi di amore tossico

In base agli schemi comportamentali che si adottano, si possono identificare alcune tipologie di amore tossico:

• Rapporto sado-masochistico: alcune persone, soprattutto donne con vissuti di abusi infantili, ricercano inconsciamente il sadismo nel partner. La persona masochista ha generalmente imparato da bambina che bisogna soffrire per mantenere un legame affettivo e ricevere attenzioni.

• Lotta di potere: a volte entrambi i partner cercano di assumere il ruolo dominante, litigando continuamente. È il tipico caso di coppie con figli che considerano la loro unione un “sacrificio” per l’unità della famiglia.

• Innamorarsi della persona sbagliata: alcuni individui tendono a innamorarsi di persone che in realtà non sono interessate, non fanno per loro, o non sono disponibili. Impiegano moltissime energie cercando di “cambiare” l’altro e di attirare la sua attenzione a tutti i costi. In questi casi spesso l’altro si approfitta dei sentimenti del partner o lo ignora, creando così i presupposti di una relazione tossica.

• Dipendenza affettiva: è il tipo di amore tossico più comune. È una dinamica psicopatologica disfunzionale che colpisce generalmente uno dei due partner della coppia, ma in alcuni casi entrambi possono diventare co-dipendenti. Chi la sviluppa prosciuga le proprie energie per la relazione e si isola dalle altre persone. Così, indebolisce la propria identità individuale e crede che non può a far meno dell’altro, che viene visto come l’unico “salvatore”. Si tratta di una vera e propria dipendenza patologica, che porta a considerare irrinunciabile o inconcepibile una vita senza il partner. Questo legame si caratterizza tipicamente per storie di violenza e abusi, che fanno soffrire molto il partner dipendente, il quale, anche se si mostra consapevole della dinamica malata, non riesce a interrompere la relazione.

Come può nascere una dipendenza affettiva?

In un certo grado, l’attaccamento è normale in ogni relazione. La differenza tra attaccamento e dipendenza è un confine sottile e spesso il passaggio verso una relazione distruttiva è quasi impercettibile. L’attaccamento si trasforma in una vera e propria dipendenza affettiva quando diventa impossibile riconoscersi come persona con un’esistenza individuale.

Allora, diventa dannoso per la salute psico-fisica e può portare ad angoscia, grave malessere mentale, sindrome da astinenza per l’assenza del partner e riduzione di importanti attività sociali, ricreative o professionali per via dell’eccessiva quantità di tempo dedicata al controllo della relazione.

Alla radice di queste dinamiche possono esserci origini profonde, legate alla difficoltà di sviluppare un normale attaccamento. È considerato un fattore di rischio nella costituzione di una dipendenza affettiva l’aver sviluppato un attaccamento di tipo insicuro verso i propri genitori durante l’infanzia. Dato che si tende a ripetere i modelli mentali imparati da bambini, generalmente questi verranno riprodotti, a livello inconscio, nelle relazioni da adulti. Per via di questa modalità appresa, è comune che chi sviluppa dipendenza affettiva abbia avuto ripetute relazioni d’amore dolorose e problematiche nel passato.

Come capire quando una relazione è tossica?

È fondamentale riconoscere i segnali di un amore tossico, per sapere come uscirne e per imparare a gestire meglio le relazioni. Tuttavia, capire di essere di fronte a un rapporto malato non è un compito semplice, dato che spesso la relazione si degrada e si intossica in maniera graduale e impercettibile. Ecco ciò a cui prestare attenzione:

• Violenza fisica e verbale, litigiosità e tensione.

• Manipolazione psico-emotiva (come svalutazioni, umiliazioni, denigrazioni, sarcasmo, induzione di sensi di colpa…).

• Isolamento (un partner viene incoraggiato in maniera subdola a perdere i contatti con amici e familiari).

• Gelosia cieca, ossessività, impazienza, intensità e insistenza (si viene sopraffatti, inondati di chiamate).

• Instabilità (frequenti rotture e riappacificazioni).

• Livelli di energia bassi.

• Ansia.

• Scarsa autostima.

I ruoli dell’amore tossico: dal partner che “salva” alla persona “debole e bisognosa”

Un amore tossico viene a crearsi quando i due partner, con le loro caratteristiche disfunzionali, assumono dei ruoli che si completano in maniera patologica. Anche se uno alimenta la dinamica più dell’altro, entrambi sono responsabili.

Il costrutto del “triangolo drammatico”, teorizzato dallo psicologo S. Karpman, è un elemento tipico di queste relazioni. Consiste in repentini e ciclici cambiamenti tra i ruoli di vittima, salvatore e persecutore.

• Chi gioca il ruolo del salvatore si prende cura del partner bisognoso, la vittima, spesso svalutandone la capacità di agire e facendolo sentire inadeguato. Il salvatore sente l’impulso di “salvare” gli altri perché ha scarsa fiducia in sé stesso e vuole sentirsi utile. Se si sente irritato, può facilmente trasformarsi in un persecutore, se la vittima è recidiva nel suo ruolo, o in vittima, se vede che il suo aiuto viene rifiutato.

• La vittima si sente inferiore agli altri e si sente attratta da un salvatore, che gli dedica tante attenzioni. È un facile bersaglio anche per un persecutore. Anche la vittima può cambiare ruolo, approfittandosene o ribellandosi e diventando così persecutore del partner, che inizialmente era salvatore e ora diviene vittima.

• Il persecutore critica e attacca il partner per sentire di avere un valore. Come nel caso del salvatore, svaluta la vittima, la quale inoltre svaluta sé stessa.

Questo gioco di ruoli genera conflitti che si ripetono ciclicamente e con le stesse modalità. Si tratta di ruoli non autentici, che rappresentano maniere infantili di confrontarsi con l’altro e comportamenti disfunzionali.

Come uscire da una relazione tossica?

Per uscire da questa dinamica, bisognerebbe prenderne coscienza e assumere un atteggiamento razionale. Per agire con maturità ed autenticità, la chiave è valorizzare l’altro e chiedersi il perché dei suoi comportamenti, così come dei propri. La posizione da assumere, come dice lo psicologo E. Berne, è quella di “Io sono ok, tu sei ok”.

Uscire da una relazione tossica è difficile, perché si intrecciano complessi meccanismi patologici. Inoltre, spesso si hanno energie talmente basse che non si vede alcuna via d’uscita.

• Il primo passo è rendersi consapevoli del tipo di rapporto, accettando che non è sano e che ci sta facendo del male. Analizzare i comportamenti e rivedere particolari situazioni passate può essere un inizio.

• Bisogna anche ammettere senza paura i sentimenti che si provano nei confronti della situazione e permettersi di vivere qualsiasi emozione che sorga, in maniera genuina e sincera. Se c’è del dolore, non va respinto, piuttosto bisogna ascoltare sé stessi e vedere se c’è un messaggio dietro ciò che si sente. Vivere la sofferenza richiede coraggio e resilienza, ma è fondamentale per imparare a riconoscere i propri bisogni.

• Amare sé stessi è fondamentale. Bisogna recuperare le proprie passioni messe da parte e gli hobby “sacrificati” in nome della relazione. È utile circondarsi di amici e di persone che abbiano atteggiamenti positivi e diversi da quelli del partner.

• Lavorare su sé stessi, correggendo gli schemi comportamentali che conducono alla dipendenza affettiva e a relazioni patologiche, è imprescindibile.

• Va valutato il rapporto costi-benefici: vale la pena stare in questa relazione? Chiudere la relazione è un compito che spetta proprio a noi.

Perché è così difficile lasciare un partner tossico?

Come accennato prima, lasciare un partner tossico risulta difficile per via delle complesse dinamiche psichiche che si sono consolidate e per via della dipendenza affettiva ed emozionale che spesso si instaura e che porta alla credenza che è meglio soffrire ma mantenere la relazione, piuttosto che stare senza il partner.

Sono diversi gli aspetti complicati da affrontare quando finisce una relazione tossica:

• Spesso si vive la rottura come un lutto, che va elaborato passando per un processo lento, costituito da diverse fasi emozionali, che oscillano tra rabbia e tristezza, e alterazioni comportamentali. L’ultima fase sarà quella dell’accettazione, la quale in alcuni casi può tardare molto a presentarsi.

• Quando finisce un amore tossico è difficile abbandonare l’idealizzazione del partner. Alla base di ciò c’è una parte di noi che rimane fortemente attaccata alla relazione idilliaca dei primi tempi, che non riesce ad accettare che quelle emozioni intense sono finite e che non trova una ragione al perché le cose abbiano preso un’altra direzione.

• Questo processo interno porta a un turbinio di sentimenti contrastanti come rabbia, paura, nostalgia e solitudine. La colpa molto spesso prende il sopravvento e ci domina. Per gestire il senso di colpa è necessario ascoltarsi, accettare la propria sofferenza e perdonare sé stessi. Non bisogna auto-criticarsi né giudicarsi negativamente: ci siamo innamorati di una persona tossica perché probabilmente non eravamo in grado di riconoscere le nostre necessità. Adesso che siamo consapevoli possiamo imparare una grande lezione: un amore tossico non soddisfa i nostri bisogni ma porta solo a sofferenza.

• Non bisogna abbassare la guardia. Anche dopo la rottura si possono avere attacchi di astinenza dall’ex partner, che causano ansia o panico. Le due reazioni comuni sono ricercare l’ex partner o iniziare una nuova relazione con una persona tossica, entrambe con conseguenze disastrose.

Come superare la fine della storia?

Superare la fine della storia ci permetterà di riappropriarci di noi stessi, riconoscere ciò che ci fa stare davvero bene e così rifiorire. Ecco dei consigli per ricominciare:

• Circondarsi di chi ci vuole davvero bene

• Mettersi al primo posto e dedicare molto tempo a sé stessi

• Avere pazienza con sé stessi: ci vorrà del tempo per integrare ciò che ci è capitato e per riuscire ad avere una chiara visione delle cose

• Un percorso psicologico con un professionista può essere un aiuto fondamentale e prezioso per uscire dalla relazione, ma anche per superare la fase post-rottura. Inoltre, aiuterà a evitare recidive di astinenza, elaborare l’abbandono ed aumentare l’autostima. Claudia Bassanelli, CdI giugno/luglio

 

 

 

 

Storia dell'emigrazione italiana in Europa: uscito il secondo volume

 

ROMA - È uscito nei giorni scorsi il secondo volume della “Storia dell'emigrazione italiana in Europa” (Donzelli editore – 232 pagine, 25,65 euro) a cura di Toni Ricciardi, storico delle migrazioni e deputato Pd.

Questo secondo tomo – che raccoglie i saggi di Anna Badino, Corrado Bonifazi, Toni Ricciardi, Sandro Rinauro, Gaetano Sabatini e Matteo Sanfilippo – riguarda in particolare gli anni dal 1957 al 1979, “Dal Trattato di Roma all’elezione del Parlamento europeo”.

Questo volume segue il primo “Dalla Rivoluzione francese a Marcinelle (1789-1956)”. Completeranno la collana altri due tomi: “Dalla generazione Erasmus al Trattato di Nizza (1987-2001)” e “Dall’euro al Covid-19 (2002-2022)”.

La scheda dell’editore

“La firma del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 ebbe un impatto enorme nello sviluppo dei processi migratori in Europa. Con l’art. 48, che di fatto sancì la libera circolazione dei lavoratori all’interno dello spazio comunitario, il processo di avvicinamento di interessi fino a quel momento contrapposti divenne un pilastro della futura, lenta e non sempre facile costruzione e convivenza europea. Le elezioni dirette del Parlamento europeo del 1979 rappresentarono un ulteriore momento di cesura di questa storia iniziata all’indomani della Rivoluzione francese e conclusasi nelle viscere di Marcinelle”.

Il Trattato di Roma, che nel marzo 1957 segnò in maniera decisiva il futuro processo di integrazione europea, rappresentò la risposta più alta alla tragedia di Marcinelle dell’anno precedente, nella quale l’Italia aveva subito il maggior numero di vittime.

L’appuntamento di Roma diede concretezza alla Conferenza di Messina del 1955, nella quale la libera circolazione della forza lavoro tra paesi fondatori doveva rappresentare il punto di svolta, e vide l’Italia partecipare come un nuovo soggetto, che sedeva a pieno titolo al tavolo delle grandi potenze economiche del tempo. Gli accordi di emigrazione trovarono la loro massima consacrazione con una ulteriore direttrice, quella dell’allora Repubblica federale tedesca, pronta dagli anni sessanta ad accogliere lavoratori nelle proprie industrie automobilistiche.

Nel contesto della definitiva divisione in blocchi contrapposti, l’Italia, tra i paesi fondatori della nuova Europa, rimaneva un serbatoio di manodopera, ma allo stesso tempo si apprestava a vivere i fasti del suo pur breve miracolo economico. La provincia italiana – in primis i piccoli comuni del Meridione, il Nord con minore intensità rispetto al passato – continuava ad alimentare i flussi migratori, quasi esclusivamente rivolti verso l’Europa e in particolare verso le ripristinate industrie tedesche.

In questa fase, il modello del lavoro stagionale ebbe la sua massima applicazione, modificando non solo l’approccio verso il lavoro, ma anche gli assetti delle periferie dei grandi centri urbani europei, con le baracche che ospitavano i lavoratori migranti. A chi partiva per una stagione di lavoro veniva vietato, in molti casi, il ricongiungimento familiare e di conseguenza in questo periodo prese forma il fenomeno dei bambini clandestini, diffuso in particolare in Svizzera, paese nel quale il 30 agosto 1965 si consumò l’ultima grande tragedia dell’emigrazione italiana, Mattmark.

Contestualmente, tra la fine degli anni cinquanta e settanta, il processo di integrazione europea visse lo slancio decisivo.

Nel 1979, con le prime elezioni dirette del Parlamento, l’Europa politica, non solo quella economica, avviò la lenta definizione di una nuova cittadinanza europea, nata dalla Rivoluzione francese, forgiatasi nella tragedia di Marcinelle, che vivrà la propria stagione d’oro nei decenni immediatamente successivi – come vedremo nel terzo volume di quest’opera – e fasi alterne con l’avvio del nuovo millennio, come vedremo nel quarto e ultimo volume. Le migrazioni non sono mai state solo il risultato della ricerca di opportunità migliori da parte delle persone, ma anche il frutto di una complessa serie di processi economici e geopolitici.

Allo stesso tempo, le migrazioni sono probabilmente una delle chiavi interpretative, tra le più significative, per comprendere il lungo processo della storia della globalizzazione, intesa nel suo senso più ampio e onnicomprensivo. Per questa ragione, i quattro volumi di Storia dell’emigrazione italiana in Europa – dalla Rivoluzione francese fino ai giorni del Covid-19 – si sviluppano attraverso l’analisi delle direttrici, delle dinamiche e delle politiche migratorie poste in essere dall’Italia e dai paesi europei. L’emigrazione prima e la mobilità poi sono gli elementi primari per definire la cronologia degli eventi, a cui, senza tralasciare i momenti di cesura tradizionali della storia europea e italiana, viene intrecciata la cronologia della costruzione dello spazio comune europeo. (aise/dip 7) 

 

 

 

Uscito il volume “Storia dell’emigrazione italiana dall’Unità a oggi”

 

Lo scorso 5 giugno, presso il CNR a Roma è stato presentato il libro di Enrico Pugliese e Mattia Vitiello, “Storia dell’emigrazione italiana – Dall’Unità a oggi”. Un lavoro importante perché ci riconnette con un pezzo di storia del nostro paese che non è un epifenomeno secondario, ma è piuttosto costitutivo dell’Italia contemporanea. E con ciò si vuole intendere la scelta operata in ripetute occasioni dalle classi dirigenti che si sono susseguite alla sua guida, di lasciare andare, quando non sollecitare, la partenza di consistenti masse di persone verso l’estero ogniqualvolta non si era in grado – o non si è voluto – affrontare i nodi strutturali posti dagli squilibri territoriali o di classe.

Il libro è importante perché nel suo schema di cicli e interludi ricomprende anche l’ultimo flusso emigratorio, quello che stiamo vivendo da circa 15 anni a questa parte e che va sotto il nome di nuova emigrazione italiana; come a confermare che il tempo passa, ma il vizio rimane; ed è un vizio che consiste nell’incapacità o nella mancata volontà di valorizzare le persone e le competenze prodotte dal lavoro di generazioni, solo perché una loro endogena e piena valorizzazione metterebbe in discussione gli equilibri dati, sul piano nazionale, ma anche sul piano dei rapporti con i paesi limitrofi, con l’Europa, ad esempio e con il rapporto che intercorre tra libera circolazione e coesione interna.

Se aggiungiamo alla nuova emigrazione verso l’estero, i flussi emigratori da sud a nord, che sono continuati dal dopoguerra ad oggi e che sono tuttora in grande spolvero, possiamo leggere, attraverso questa lente di ingrandimento che è l’emigrazione, molte delle contraddizioni centrali che attanagliano l’Italia.

Dall’ultima grande crisi globale del 2007-2008 ad oggi sono defluiti dall’Italia circa 3 milioni di persone. E la seconda regione italiana dopo la Lombardia, fatta di 7,1 milioni di persone, è quella all’estero. Numeri, storie personali, storie di territori, che avrebbero dovuto preoccupare e dovrebbero preoccupare chi è stato e chi è alla guida del governo del paese, alla classe politica nel suo complesso, al mondo delle imprese, ai tanti attori sociali che definiscono il presente e il futuro dell’Italia. Si tratta di vicende che Enrico Pugliese e Mattia Vitiello avevano già in parte affrontato in diversi saggi e pubblicazioni fin dal 2017 (vedi.: “La ripresa dell’emigrazione italiana e i suoi numeri: tra innovazioni e persistenze” – Mattia Vitiello, la Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 4/2017 – “Quelli che se ne vanno” – E.Pugliese, Il Mulino, 2018).

Invece, da 30 anni a questa parte, il dibattito sulle migrazioni si è concentrata su discussioni e scontri talvolta degradanti riguardanti esclusivamente l’immigrazione, in un paese, tra l’altro, con il più alto indice di declino demografico dell’occidente che avrebbe grande necessità di accogliere e integrare seriamente chi arriva. (Soltanto nelle dichiarazioni recentissime del nuovo governatore della Banca d’Italia, Panetta, le due vicende vengono rappresentate insieme, anche in riferimento agli scenari demografici, salvo poi non affrontare, ci sembra, neanche in questa occasione, in modo limpido, i nodi della questione).

Forse tutto ciò è avvenuto proprio per nascondere il fallimento – secolare – sull’altro lato della medaglia: quello dell’emigrazione italiana. Un fallimento che ha coinvolto gran parte della politica politicante soprattutto da quando l’egemonia culturale riassunta nei dogmi neoliberisti del pareggio di bilancio, nel jobs act, nella produttività e competitività costruita a spese del lavoro, si è insediata nelle teste dei più cancellando ogni pregressa conquista della teoria economica.

Proprio mentre si abbondava in misure rigoristiche e di contrazione salariale che secondo alcuni avrebbero dovuto attrarre grandi investimenti internazionali per la ripartenza del paese, il paese ripartiva, effettivamente, ma verso l’estero. E il redivivo patto di stabilità post-pandemico ci annuncia che questa stagione migratoria, questo terzo ciclo dell’emigrazione italiana del XXI° secolo avrà probabilmente lunga vita.

Quest’ultimo libro di Enrico Pugliese e Mattia Vitiello merita di essere letto con attenzione e fatto conoscere ai più. E’ un libro di storia sociale, come lo definiscono gli autori, ma apre a scenari di riflessione molto ampi sul presente e sul futuro. Fiei 8

 

 

 

Il sole dentro

 

La natura non è sempre generosa con tutti gli esseri umani. Anche se la società ha l’orgogliosa pretesa di contenere, se non vincere, il dolore. A fronte della realtà di drammi che pongono creature innocenti ai margini della società, l’uomo continua a tentare di sconfiggere la sofferenza. Nell’incapacità di raggiungere sempre lo scopo, c’è chi preferisce non “vedere”. Da qui le case di cura ben celate tra il verde. Anche il dolore ha una sua dignità che ha da essere rispettata. L’indifferenza, le polemiche, i fatalismi non risolvono e, spesso, contribuiscono a rendere, ancora più disagevole, un percorso che potrebbe capitare a ciascuno di noi.

 

Col Nuovo Millennio, le tecnologie socio/sanitarie si sono evolute; ma la matrice del “dolore” resta una parte della natura umana. L’importante è che l’opinione pubblica non si dimostri apatica agli eventi infausti per l’umanità. Non bastano, quindi, i contributi economici, non sempre sufficienti, per rimuovere certi eventi. Non neghiamo, però, le oggettive difficoltà nel concretare un progetto globale in tal senso. Anche perché resta improbabile realizzarlo appieno.

 

 Infatti, quest’aspetto angosciato della vita non è solo un problema d’amore da affidare ai generosi. C’è, per di più, un preciso impegno morale e civile per tentare di garantire a tutti un’esistenza meno sofferente. Le polemiche non servono. Se tale impegno non dovesse essere compreso, guardiamo i nostri cari e riflettiamo sull’immensa felicità d’offrire loro un sorriso.

 

Essere al servizio degli altri è un’azione apprezzabile, ma anche l’occasione per sentirci più utili. Tra tanta incertezza, in direzione di un futuro progettato per dividerci, più che unirci, ci sembra d’essenziale importanza porci una domanda: cosa abbiamo fatto noi per meritarci la salute e il benessere? A questo interrogativo potremmo individuare una razionale risposta solo valutando, con più condivisione, la concreta dimensione del dolore umano. In sostanza, si potrebbe vivere meglio tendendo la mano a chi ne ha bisogno. La “mano testa” non ha bandiere, né Ragioni di Stato e implica l’Umanità.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Elezioni europee 2024: la vittoria dell’estrema destra

 

I partiti di estrema destra hanno guadagnato molte posizioni nelle elezioni dell’Unione europea, mentre i perdenti finali sono stati il presidente francese Emmanuel Macron e i Verdi.

L’estrema destra in testa

I partiti di estrema destra in Europa hanno vinto in molti Paesi, arrivando in testa in Francia, Italia e Austria e registrando un discreto successo anche nei Paesi Bassi. L’AfD in Germania si è piazzato al secondo posto – ma comunque davanti al partito SPD del cancelliere Olaf Scholz.

Tuttavia, gli esperti avvertono di non sopravvalutare troppo il loro successo. “L’estrema destra ha fatto bene ma non benissimo – non dimentichiamo che queste sono elezioni di secondo ordine”, ha detto Francesco Nicoli, visiting fellow del think tank Bruegel. “Non possiamo dire che si tratti di una spinta molto, molto significativa allo stato attuale delle cose”, ha detto Christine Verger, vicepresidente del think tank Jacques Delors. “Potrebbero esserci dei movimenti all’interno dei gruppi politici. Non sappiamo dove andranno a finire alcuni eurodeputati”.

Una grande domanda che viene sollevata è se i due principali gruppi di estrema destra del Parlamento – Identità e Democrazia (ID) e Conservatori e Riformisti Europei (ECR) – possano unirsi, creando un supergruppo. Verger ha respinto l’idea a priori. “Non credo assolutamente a un’unificazione, è fuori questione che ID e ECR si fondano”, ha dichiarato all’AFP. L’ECR comprende il primo ministro italiano di estrema destra Giorgia Meloni, il cui partito Fratelli d’Italia è risultato primo alle elezioni.

Per quanto riguarda il probabile impatto dell’estrema destra sull’attività legislativa del Parlamento europeo, gli esperti sembrano ottimisti. “Il crescente numero di eurodeputati di estrema destra avrà probabilmente un impatto limitato sull’Ue“, ha previsto l’esperta Marta Lorimer. “Non costituiscono una minoranza di blocco”.

Macron più debole

Il più grande sconfitto delle elezioni è stato Macron, dopo che il suo partito liberale ha ricevuto una batosta da parte del Rally National francese guidato da Marine Le Pen. Il presidente francese ha risposto sciogliendo rapidamente il Parlamento nazionale e convocando elezioni lampo.

“La Francia rimane un grande Paese con un presidente che ha molto potere”, ha detto Verger. In quanto capo di un importante Stato membro dell’Ue, Macron rimarrà un attore importante sulla scena europea“. Ma la scarsa performance elettorale del suo partito Renaissance gli farà perdere “un po’ di influenza” all’interno del gruppo Renew di cui fa parte e del parlamento in generale.

Il ritorno di von der Leyen

Gli analisti concordano sul fatto che si è trattato di una notte piuttosto buona per il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che spera di ottenere un secondo mandato quinquennale dopo il voto. Avrà bisogno del sostegno sia dei 27 leader dell’Ue sia del nuovo Parlamento, e per quanto riguarda quest’ultimo aspetto i dati suggeriscono che la von der Leyen può tirare un sospiro di sollievo. Il suo partito, il Partito Popolare Europeo (PPE), rimane infatti il più grande raggruppamento del Parlamento e gli esperti avevano previsto che sarebbe stata in grado di ottenere i voti in più di cui ha bisogno.

Sulla base dei risultati preliminari, Nicoli ha detto che potrebbe contare sul sostegno dei socialisti e dei democratici “con una scelta tra liberali, ECR e Verdi come junior partner” – e potrebbe affrontare 20 defezioni o più in ogni scenario. “Penso che le elezioni avrebbero potuto essere peggiori per lei”.

Verdi in crisi

È stata una notte deludente per il gruppo politico dei Verdi, che si appresta a perdere circa 20 legislatori dell’Ue, con un risultato che non ha sorpreso più di tanto.

“I Verdi sono chiaramente perdenti, così come Macron, ma anche in questo caso si trattava di tendenze già chiaramente evidenti“, ha detto Nicoli. Le preoccupazioni degli europei per la sicurezza e il costo della vita dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022, e altre questioni come l’immigrazione, hanno spostato l’ambiente tra le preoccupazioni degli elettori. “I Verdi non sono stati in grado di rispondere a queste richieste”, ha aggiunto Nicoli.

In tutta Europa, gli oppositori della destra sono riusciti a incanalare il malcontento nella rabbia per la spinta ambientale dell’Ue degli ultimi anni. Ma il legislatore europeo dei Verdi, Bas Eickhout, ha giudicato i risultati come un “misto”, e “un po’ più sfumato che dire semplicemente che è una grande perdita”. Ha sottolineato il successo dei Verdi nei Paesi Bassi e in Spagna, nonché nei Paesi più piccoli del Nord e del Baltico, tra cui Danimarca e Lituania.

Affluenza più alta

Circa 360 milioni di persone hanno potuto votare alle elezioni e, notizia positiva, l’affluenza alle urne è stata la più alta degli ultimi 20 anni, circa il 51%, secondo i dati provvisori dell’UE.

“La buona notizia per la democrazia è che l’affluenza alle urne sembra essere superiore alla metà dell’elettorato, sebbene sia ancora inferiore ai tassi di partecipazione alle elezioni nazionali e molto bassa in Paesi come la Slovacchia e la Lituania”, ha dichiarato Heather Grabbe, senior fellow di Bruegel. AffInt. 11

 

 

 

Europee all’estero: affluenza al 7,11. PD primo partito

 

ROMA - Terminati gli scrutini dei voti degli italiani all’estero alle elezioni europee; un voto che si conferma in controtendenza rispetto a quello sul territorio nazionale.

Tra gli iscritti Aire e i temporaneamente all’estero che hanno votato per i candidati italiani al Parlamento europeo, infatti, ad affermarsi è il Partito democratica che arriva al 30.0% di preferenze con 31.624 voti validi.

Segue Fratelli d’Italia, che con 19.846 si attesta al 18,83% e al terzo posto Alleanza Verdi e Sinistra con 18.074 voti e una percentuale del 17.15%.

Gli altri partiti sono tutti sotto il 10%: Movimento 5 Stelle (7,90), Stati Uniti d’Europa (6,23), Forza Italia (4,93), Azione (4,89), Lega (3,83), Pace, terra e dignità (3,32).

Hanno votato all’estero, nei seggi allestiti dalla Farnesina, gli iscritti Aire residenti in uno dei Paesi dell’Unione europea e i temporaneamente all’estero che ne hanno fatto richiesta entro i termini previsti dalla legge.

Secondo i dati definitivi aggiornati dal Viminale, si è recato a votare il 7,11% degli aventi diritto, un dato in calo rispetto al 7,85% del 2019 quando tra i votanti c’erano anche i residenti in Gran Bretagna.

Gli Aire hanno votato con un giorno di anticipo rispetto all’Italia, dunque venerdì 7 e sabato 8 giugno: le schede sono arrivate ieri a Fiumicino per essere scrutinate con quelle votate sul territorio nazionale. Ad accompagnare i voti dei connazionali sono stati funzionari della Farnesina accolti all’Aeroporto di Fiumicino dal Direttore generale per gli italiani all’estero del Maeci, Luigi Maria Vignali.

I voti, ha ricordato Vignali, sono giunti da “43 tra Ambasciate e Consolati nell’Unione Europea. davvero un grande impegno della nostra rete diplomatico-consolare per consentire ai nostri connazionali di esprimere ancora una volta il loro voto". 

“Vorrei ringraziare gli italiani residenti all’estero per aver confermato ancora una volta la fiducia al Partito Democratico che, con il 30,01% dei voti, si posiziona ancora una volta come primo partito, staccando di più di dieci punti percentuali Fratelli d’Italia. Un risultato che si fa ancora più netto in Svezia, nei Paesi Bassi e in Belgio, dove il PD ha ottenuto, rispettivamente, il 38,18%, il 34,49% e il 33,35%”. Così Andrea Crisanti, senatore Pd eletto in Europa, commenta sul suo profilo facebook i risultati del voto degli italiani all’estero alle elezioni europee.

“Ci tengo inoltre a complimentarmi con Alleanza Verdi-Sinistra che, con il 17,15%, si è affermata come terza forza politica fra gli italiani residenti al di fuori del nostro Paese, tallonando a circa un punto percentuale di distacco Fratelli d’Italia, che in moltissimi Paesi resta ben al di sotto della doppia cifra”, aggiunge.

“Questi numeri, è importante sottolinearlo, - annota il senatore – non tengono conto del voto dei nostri connazionali residenti in Paesi al di fuori dell’Unione europea (come Regno Unito e Svizzera) che, di fatto, sono stati volutamente esclusi dal voto da questo governo, nonostante io abbia provato in tutti i modi a correggere questa grave ingiustizia. Ho infatti depositato una proposta di legge ma nel frattempo, per accelerare i tempi e consentire ai nostri connazionali di votare presso sezioni elettorali appositamente istituite nel territorio dei loro Paesi di residenza già in queste elezioni europee, ho presentato due emendamenti in Aula al decreto Elezioni e al decreto Milleproroghe, che sono stati prontamente bocciati dall’esecutivo”.

“Soltanto vivendo all’estero, in una comunità differente, - conclude Crisanti – si capisce quanto siano importanti i valori fondanti della Comunità europea, ai quali il Partito Democratico ha sempre aderito senza riserve”. (M.C. aise/dip 10/11) 

 

 

 

 

Oltre 35mila biglietti ai giovani per viaggiare gratuitamente in Europa

 

ROMA – Saranno 35.511 i giovani che riceveranno dalla Commissione biglietti per viaggiare in Europa gratuitamente, già a partire da quest’estate. Si tratta dei risultati dell’ultima tornata del programma DiscoverEU, parte del programma Erasmus+, annunciati oggi dalla Commissione. DiscoverEU offre ai diciottenni residenti negli Stati membri dell’UE e nei paesi associati a Erasmus+ la possibilità di viaggiare in tutta Europa ed esplorarne la diversità. I giovani che si sono aggiudicati in titoli di viaggio possono scoprire il patrimonio culturale, conoscere la storia ed entrare in contatto con persone provenienti da tutto il continente. Iliana Ivanova, Commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, ha dichiarato: “In termini di numeri, questa tornata di candidature è la più riuscita da quando nel 2021 DiscoverEU è entrato a far parte del programma Erasmus+. Sono felice che così tanti giovani avranno la possibilità di scoprire l’Europa ed esplorarne la cultura e la storia. L’entusiasmo crescente dei giovani, evidenziato durante l’Anno europeo dei giovani del 2022 e la Settimana europea della gioventù 2024, è davvero stimolante”. I giovani che si sono aggiudicati un biglietto potranno viaggiare da soli o in gruppi di massimo cinque persone tra il 1o luglio 2024 e il 30 settembre 2025. Oltre 180 000 giovani si sono candidati alla tornata di aprile 2024, portando così il numero di candidature a 1,4 milioni dalla nascita del programma nel 2018. È possibile candidarsi a DiscoverEU due volte all’anno, in primavera e in autunno. Ai candidati selezionati viene offerto un biglietto valido per viaggiare di norma in treno. I viaggiatori ricevono anche una carta europea per i giovani, che offre sconti su visite culturali, attività di apprendimento, sport, trasporti locali, alloggio e cibo. I partecipanti possono approfondire la dimensione dell’apprendimento di DiscoverEU grazie a corsi di formazione e incontri prima della partenza. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito web DiscoverEU e nella scheda informativa dell’aprile 2024. (Inform/dip 5)

 

 

 

La via del riscatto

 

Il sistema politico nazionale vive ancora una sorta di “malessere”. Ora basterà la tenacia di questo Esecutivo per un Paese alla ricerca di un suo equilibrio socio/economico. Molti schieramenti politici hanno perso l’originaria compattezza e affidabilità. Certi partiti sembrerebbero delegittimati. In verità, tali li sentiamo; con la differenza che non tutti hanno l’obiettività d’ammetterlo. L’agonia delle idee non consente, però, diverse opinioni.

 

Ci sono ancora troppi punti d’ombra che chiedono d’essere illuminati. Prima di tutto, almeno a parer nostro, si dovrebbero mettere a fuoco i parametri su i quali puntare per frenare la recessione. Chi s’illude di tornare agli Esecutivi del “buon governo” è un utopista in partenza. La teoria dei “poli” opposti non convince.

 

Meglio riconoscere che tutti i partiti, hanno i loro limiti. Una realtà che non dovrebbe, però, implicare confusioni del quadro istituzionale nazionale. I tempi ci hanno fatto capire che politica ed economia, pur convivendo, marciano su binari che potrebbero non incrociarsi più. Il Paese non ha bisogni d’altri confronti per tenare di frenare la sua discesa. L’isolamento, che ancora condiziona tanti politici, affossa anche il buon tratto di chi sarebbe meritevole. Del resto, cambiare al “buio” non giova e la Democrazia è un bene troppo prezioso perché si giochi su posizioni sconsiderate. Così, pur muovendoci verso il nuovo, non ci sentiamo di sminuire le nostre perplessità per l’immediato futuro. Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, non vorremmo che fossimo privati anche di questa. La via del recupero nazionale è ancora da percorrere ed è in salita.

 

Lo abbiamo capito. L’importante, a questo punto, è che la politica, che resta sempre il più inquietante polo di diatriba, non vada a complicarsi. Anche perché altri “apparentamenti” politici non avrebbero futuro se applicati alla solita maniera. Lo abbiamo già scritto: la riabilitazione nazionale dovrebbe avere differenti parametri da evidenziare. Di promesse, rimaste ancora tali, il Paese non ne ha proprio bisogno.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Quanto pesa la denatalità sull’economia? L’analisi di Bankitalia

 

Quanto pesa il calo demografico sull’economia nazionale e internazionale? Per rispondere al quesito è utile analizzare la Relazione Annuale 2023 della Banca d’Italia che tra tensioni geopolitiche, inflazione e immigrazione ha delineato alcuni punti chiave necessari per capire come il presente sta alterando il prossimo futuro.

Innanzitutto, si prevede un calo significativo della popolazione in età lavorativa entro il 2040, con una diminuzione di 5,4 milioni di persone, nonostante un afflusso netto dall’estero. Questo calo demografico potrebbe tradursi in una riduzione del PIL del 13%. Nonostante il calo demografico, l’immigrazione dall’estero ha contribuito a mantenere quasi stabile la popolazione. Il saldo migratorio netto è aumentato da +261mila nel 2022 a +274mila nel 2023.

Nel 2023, le tensioni internazionali, inoltre, si sono acuite, influenzando le politiche economiche e commerciali, aumentando i rischi finanziari per le imprese e inducendo una riconfigurazione degli scambi commerciali verso partner considerati più sicuri. La crescita economica globale è stata pari ad un +3,2%. Le banche centrali nelle maggiori economie avanzate hanno inasprito ulteriormente l’orientamento delle politiche monetarie per contrastare le pressioni sui prezzi. L’inflazione è scesa rapidamente dai picchi raggiunti nel 2022, riportandosi su livelli più vicini agli obiettivi delle stesse banche centrali. Mentre i più alti tassi di interesse hanno accresciuto il rischio di default per i paesi a basso reddito con debiti rilevanti verso l’estero.

Le divisioni tra blocchi di paesi hanno ostacolato la realizzazione di azioni concrete per il raggiungimento di alcuni obiettivi condivisi dalla comunità internazionale, soprattutto relativi alle politiche green. E il tema della finanza sostenibile è stato al centro del G20 e G7 che hanno ribadito gli sforzi volti a rafforzare il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali e la necessità di progredire sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici e alimentari. E la denatalità potrebbe ulteriormente influenzare le politiche future.

L’economia mondiale e le relazioni internazionali

“Sulle prospettive di crescita di lungo termine – spiega la relazione 2023 di Bankitalia – pesa soprattutto la debole dinamica della produttività che, ad esclusione degli Stati Uniti, ha continuato a rallentare durante la pandemia, sia nelle economie avanzate sia in alcune tra quelle emergenti; questo andamento si aggiunge per molti paesi – soprattutto avanzati – a un calo demografico, che pone a sua volta un freno all’attività economica. Tali sviluppi appaiono più preoccupanti se si considera il ridotto spazio di manovra fiscale a disposizione dei governi nazionali. Il debito pubblico a livello globale, dopo la significativa crescita avvenuta nel 2020 a causa delle misure di stimolo varate durante l’emergenza sanitaria, è aumentato nuovamente nel 2023: secondo le stime dell’Fondo Monetario Internazionale (Fmi), ha raggiunto il 93,2 per cento del PIL mondiale (da 91,3 nel 2022) e continuerà a crescere nel decennio in corso, raggiungendo il 98,8 per cento nel 2029”.

Il Fmi promuove la cooperazione globale sulle materie monetarie e finanziarie, vigila sulle politiche macroeconomiche e fornisce assistenza finanziaria in caso di crisi. “Il profondo mutamento del sistema monetario internazionale ha spinto nel tempo gli organi esecutivi del Fondo ad adattarne il ruolo ai nuovi scenari, anche senza una modifica formale del mandato. In particolare, la funzione di sorveglianza è stata estesa alle cosiddette politiche macrocritiche, ossia tutte le politiche nazionali che possono avere un impatto, anche in prospettiva, sulla stabilità macroeconomica e su quella della bilancia dei pagamenti. In questa direzione la Climate Policy Strategy adottata dall’FMI nel 2021 prevede una sorveglianza a livello bilaterale quando la stabilità economica sia minacciata dai rischi climatici. Nella stessa ottica, la sorveglianza dell’FMI considera inoltre l’impatto di altri fattori come le tendenze demografiche, le disuguaglianze sociali e le innovazioni tecnologiche”, ha concluso in merito Bankitalia.

Focus sulle famiglie

Mentre gli andamenti demografici spopolano il Mezzogiorno e la povertà assoluta è in aumento con il rischio di colpire i minori, Bankitalia ha riportato le stime dei dati Istat sulle spese delle famiglie che vedono nel 2023 la quota di individui in condizioni di povertà assoluta raggiungere il 9,8 per cento (8,5 per cento delle famiglie), pressoché come nell’anno precedente; “l’incidenza si è confermata decisamente più elevata tra le famiglie con stranieri (oltre il 30 per cento) e in quelle la cui persona di riferimento è più giovane di 45 anni (quasi il 12) – continua la relazione -. L’incidenza della povertà individuale era di 2,2 punti percentuali superiore a quella del 2019. Vi ha inciso il marcato aumento dei prezzi nel biennio 2022-23, che ha eroso il potere d’acquisto dei redditi soprattutto tra le famiglie meno abbienti per via della composizione del loro paniere di consumo”.

Per il 2023 il Governo ha modificato la disciplina del reddito di cittadinanza (RdC), limitandone la durata a sette mesi per le famiglie in cui non erano presenti componenti minorenni, con più di 59 anni o disabili, o che non erano state prese in carico dai servizi sociali. Il numero di nuclei che hanno percepito almeno una mensilità dell’RdC (o della pensione di cittadinanza, PdC) si è ridotto per il secondo anno consecutivo, da 1,7 a 1,4 milioni. Nel 2024 l’RdC è stato sostituito dall’assegno di inclusione, caratterizzato da requisiti di accesso economici e demografici più restrittivi rispetto all’RdC, tranne che per quelli di residenza per le famiglie straniere.

Secondo i dati dell’INPS, a fine marzo beneficiavano del sostegno 590.000 nuclei familiari. Per le persone in condizione di disagio economico tra i 18 e i 59 anni, il Governo ha inoltre introdotto, da settembre 2023, il supporto per la formazione e il lavoro (SFL), un’indennità non rinnovabile di durata limitata a dodici mesi, condizionata all’adesione a programmi formativi o a progetti utili per la collettività. Secondo i dati dell’INPS, a marzo erano state accolte poco più di 60.000 domande.

L’offerta di lavoro

Nei prossimi anni l’offerta di lavoro continuerà a risentire della dinamica demografica. Lo spiega Bankitalia che riportando lo scenario mediano delle ultime proiezioni dell’Istat, sostiene che entro il 2040 la popolazione tra 15 e 64 anni si ridurrà di 5,4 milioni di individui (14,4 per cento). “Il calo sarebbe in parte attenuato se il saldo migratorio netto con l’estero rimanesse in linea con quanto osservato nell’ultimo biennio (267.000 persone all’anno), al di sopra di quanto attualmente incluso nelle proiezioni (173.000). Il Dpcm del 27 settembre 2023 (decreto “flussi”) prevede l’ingresso di 151.000 lavoratori stranieri in media all’anno nel triennio 2023-25. Lo stesso decreto favorisce un incremento dell’immigrazione al di fuori delle quote per alcune categorie, in particolare per gli stranieri iscritti a un ciclo di studi superiori in Italia e che intendono rimanere nel Paese dopo averlo completato- e continua -. Il saldo migratorio netto è ridotto dall’emigrazione dei giovani italiani, più elevata fra i laureati. I flussi in uscita sono cresciuti marcatamente dopo la crisi del debito sovrano, quando in Italia il tasso di disoccupazione per la fascia di età 20-34 è fortemente aumentato rispetto a quello medio dell’area dell’euro; negli anni più recenti sono lievemente diminuiti”.

In sintesi, questi trend demografici hanno importanti implicazioni per l’economia italiana, influenzando il mercato del lavoro, la crescita economica e la sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale. La Banca d’Italia ha sottolineato l’importanza di politiche efficaci per affrontare queste sfide demografiche. Adnkronos 3

 

 

 

Il cripto-asset

 

Sono almeno ventimila le forme di criptovalute, meglio definite come cripto asset o cripto attività (rappresentazioni digitali fondate su una tecnologia a “registro distribuito”) oggi “minate” a livello internazionale: basate, cioè, su un registro che prevede l’archiviazione delle operazioni su “blocchi” autonomi senza un’unità centrale e la cui principale applicazione è la blockchain. Non si può considerarle valute o monete: la definizione su cui molti convergono – pur non mancando tesi che le considerano indefinibili o, addirittura, strumenti ai limiti se non oltre la liceità, a cominciare dalla sparificazione al gioco d’azzardo – è appunto quella di cripto asset. Si può dire che sono strumenti, diversi per composizione e configurazione giuridica, che possono essere utilizzati per transazioni crittografiche. Ogni quattro anni è previsto l’halving, il dimezzamento della ricompensa per coloro, i miners, che creano, in particolare, i Bitcoin, con la conseguenza di ridurre il numero di tali strumenti in circolazione. Oggi, il valore di uno dei principali di questi asset, il più noto Bitcoin, si aggira intorno ai 60 mila euro.

Cripto-asset: regolamenti ancora incompleti e poco trasparenti

Tra gli altri tipi di cripto si distinguono gli stablecoin, il cui valore è collegato a quello di un bene stabile, che può essere l’oro o una valuta nazionale, in particolare il dollaro o l’euro. Non sono mancati, in questi ultimi tempi, i caveat delle autorità competenti sui rischi dell’impiego del risparmio in tali strumenti, a causa della loro volatilità e per la mancanza di un’organica regolamentazione, affrontata finora solo limitatamente ad alcuni aspetti, quali quelli fiscali (in Italia nella legge di bilancio del 2023) o a livello europeo con il Regolamento MiCA, che entra progressivamente in vigore con la tappa finale al termine di quest’anno. Esso disciplina alcune responsabilità degli operatori – a cominciare dai requisiti per l’offerta al pubblico e l’ammissione alla negoziazione, in cripto attività – e il potere delle autorità competenti in materia di credito e risparmio di imporre restrizioni all’emissione di tali strumenti. La finalità è quella di operare per proteggere, per quanto possibile, il risparmiatore-investitore e prevenire o contrastare operazioni di riciclaggio con il ricorso alle cripto. 

Siamo ancora, però, a una disciplina e supervisione parziali. Naturalmente, la questione principale – sia per i controlli, sia, prima ancora, per la trasparenza – riguarda la possibilità per il supervisore di entrare nei suddetti blocchi. Ciò pone il problema, non facile da affrontare, della conoscenza delle tecnologie impiegate: profili finanziari e tecnologici sono fondamentali se si ambisce ad avviare un percorso di trasparenza. In effetti, è arduo parlare in questo campo di visibilità. Tuttavia, se si considera l’investitore – il quale, però, deve essere consapevole dei rischi connessi – si nota che la regolamentazione sta progredendo oltre l’ambito della sola moral suasion. Non si può, però, trascurare il fatto che queste attività possono oltrepassare i confini nazionali o anche europei, rendendo dunque necessari regole e controlli anche a livello globale. Pur partendo dal presupposto che si tratti di un investimento del risparmio ben lontano da quelli che conosciamo, regolato e controllato dalle autorità coinvolgendo l’operatività di banche e intermediari finanziari, sarebbe eccessivo immaginare unicamente l’applicazione del principio del caveat emptor. Quanto meno per gli impatti che questi investimenti potrebbero causare, anche sulla gestione della politica monetaria. 

Siamo, tuttavia, allo statu nascenti della regolamentazione e supervisione, ancora non organiche e ben lontane dal tipo di norme e controlli sull’attività bancaria e finanziaria. Ovviamente, bisogna tener conto del carattere internazionale di questa operatività, in grado di superare i confini statali e continentali, e della necessità del supervisore di poter entrare – cosa non facile – nelle tecnologie impiegate per l’emissione delle cripto ai fini dell’esercizio di una vera vigilanza. Dato il carattere globale del fenomeno, dovrebbero essere il G7 e il G20 a dettare criteri e vincoli tramite il Fondo monetario internazionale e il Financial stability Board. 

Il futuro dell’eurozona: l’euro digitale?

Altra cosa è l’emissione in forma digitale di banconote di Banche centrali. È il caso dell’euro digitale, il cui progetto è arrivato nell’Europarlamento ma sarà valutato solo nella prossima legislatura. In questo caso si tratta di una vera moneta, non di un generico asset. È difficile, tuttavia, ritenere che possa avere potere liberatorio come la banconota. Ciò potrà avvenire solo se i soggetti condividono che il rapporto – del dare e dell’avere, in ipotesi – venga regolato con la moneta digitale: per estinguere un debito o fronteggiare un caso di mora credendi non si può fare ricorso all’euro digitale senza l’accordo della parte interessata, a differenza di quel che può accadere con le banconote. 

I problemi non sono solo strettamente tecnici e tecnologici, ma anche, e prima ancora, giuridici e applicativi. Complesso è il rapporto con le banche ordinarie se, come previsto, i conti per poter emettere su di essi l’euro digitale saranno detenuti dalla Bce. Per prevenire il rischio di una disintermediazione degli istituti di credito, si ipotizza che potranno essere introdotti limiti all’ammontare degli euro nella disponibilità di ciascun cittadino. Questo punto è cruciale e risponde all’affermazione ripetuta dalla Bce secondo la quale l’euro digitale non sostituisce quello cartaceo ma si affianca ad esso. I vantaggi di tale nuova forma di mezzo di pagamento sono numerosi e stranoti (accanto ai rischi citati). 

Non secondaria è anche l’eventualità, che si è inteso prevenire, di un’egemonizzazione da parte di altre monete digitali che siano entrate o stiano per entrare nel mercato (si pensi alla Cina). Anche in questo caso, i problemi applicativi che dovranno essere risolti non sono da meno. Non si è voluto, almeno finora, cogliere questa circostanza per riformare i rapporti tra politica monetaria e sistema dei pagamenti con la relativa sorveglianza, come proposto con studi rigorosi da Paolo Savona, presidente della Consob. Bisogna, tuttavia, essere convinti che, se gli scogli verranno superati e se si avvierà una più attenta valutazione delle possibilità di una revisione, l’euro digitale e i cripto asset insieme, benché diversi, potrebbero rappresentare un’innovazione storica – anche nella configurazione di una Banca centrale – che segna un traguardo dal quale partire per ulteriori avanzamenti. 

Naturalmente, la digitalizzazione dovrà essere sostenuta da netti miglioramenti delle politiche economiche e di finanza pubblica. Siamo con essa all’epifenomeno. Dobbiamo, quindi, sempre tornare ai fondamentali e ai rapporti tra politica economica e di finanza pubblica, politica monetaria e vigilanza nelle sue diverse forme. Siamo oltre la cashless society e ciò richiede che sia saldo il governo delle trasformazioni, in tutti gli aspetti. Angelo De Mattia, AffInt 11

 

 

 

Unicef Italia festeggia i suoi 50 anni lanciando due progetti

 

Ginevra - “Quest’anno, come UNICEF Italia, celebriamo i nostri 50 anni di impegno per i bambini in Italia e nel mondo. In questi anni, grazie al supporto degli italiani, abbiamo raccolto e trasferito quasi 1,7 miliardi di euro ai programmi dell’UNICEF, fondi che hanno contribuito a vaccinare, curare, proteggere, istruire milioni di bambini. Questo significa aver fatto la differenza. L’UNICEF Italia continuerà a lavorare senza sosta perché ancora oggi troppi bambini hanno bisogno del nostro aiuto e sostegno”. È quanto dichiarato da Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia, che ha spiegato come per l'occasione verranno presentati un video e la pubblicazione “Passione in azione - 50 anni di attività dell’UNICEF Italia per le bambine e i bambini nelle crisi umanitarie”.

In questi anni, anche grazie all’impegno del Comitato Italiano, i programmi dell’UNICEF hanno avuto risultati importanti per i bambini. La mortalità infantile a livello globale si è sensibilmente ridotta: nel 1960 nel mondo morivano ogni giorno oltre 54.000 bambini prima di avere compiuto 5 anni per cause prevenibili, nel 1980 morivano 36.000 bambini. Dal 2000 a oggi, il tasso di mortalità dei bambini è diminuito del 51%, raggiungendo nel 2022 il minimo storico: di 4,9 milioni di bambini sotto i 5 anni.

Molti progressi sono stati realizzati soprattutto grazie alle campagne di vaccinazione di massa sostenute dall’UNICEF. Proprio nel 1974, lo stesso anno in cui nasceva l’UNICEF in Italia quando nel mondo meno del 5% dei bambini era vaccinato, a livello globale veniva lanciato il Programma integrato di vaccinazioni con l’obiettivo di proteggere tutti i bambini contro le malattie più letali per l’infanzia. In 50 anni grazie alle vaccinazioni sono state salvate almeno 154 milioni di vite, ovvero l’equivalente di 6 vite ogni minuto di ogni anno.

“In questi cinque decenni, abbiamo lavorato con grande tenacia per costruire una cultura dell’infanzia basata sui diritti sanciti dalla Convenzione ONU del 1989. Moltissimi sono stati i protagonisti che hanno contribuito alla crescita dell’UNICEF e del Comitato Italiano: i membri fondatori, i volontari di tutta Italia, le istituzioni, i nostri Ambasciatori e Testimonial, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, la Guardia Costiera, la Polizia di Stato, i club service (il Kiwanis International), i rappresentanti delle amministrazioni locali, i donatori, gli educatori, i cittadini, personalità illustri del mondo artistico, culturale, campioni sportivi, media, aziende e tanti partner. A tutti loro e a tanti altri che hanno lavorato per promuovere e tutelare i diritti dei bambini va il più grande riconoscimento”, ha proseguito la Presidente dell’UNICEF Italia Carmela Pace. “Nonostante siano passati 50 anni dalla nostra fondazione, i bambini hanno più che mai bisogno del nostro sostegno. Dalla diffusione di virus come il COVID-19, ai nuovi conflitti come in Ucraina e in Medio Oriente (che si aggiungono a quelli ormai datati come in Siria e Yemen); dalla salute mentale al cambiamento climatico, oggi i bambini devono affrontare vecchie e nuove sfide che mettono in pericolo le loro vite.”

Per ricordare questo anniversario, ieri a Tivoli, in apertura della Conferenza organizzativa, si è tenuto un evento celebrativo, alla presenza della Presidente dell’UNICEF Italia Carmela Pace, del Direttore generale Paolo Rozera, del Portavoce nazionale Andrea Iacomini, che ha coinvolto Presidenti, volontari, ambasciatori, testimonial, responsabili di aziende, staff e sostenitori dell’UNICEF. (aise/dip 17)

 

 

 

 

Fronte economico nazionale

 

I provvedimenti economici proposti da questo Esecutivo ci hanno impressionato. L’impegno, per la verità, evidenzia un’evolutiva concretezza. Il progetto è chiaro. Lo Stato dovrebbe garantire il suo “autofinanziamento”, favorendo la ripresa produttiva. Apparentemente, sembrerebbe solo una questione di tempo. Tempo necessario per impostare programmi di “salute” economica che dovrebbe trovare la “luce” anche come Stato Stellato.

 

 Il fronte occupazionale, però, dovrebbe essere rilanciato su basi operative originali. Investire in occupazione e pace sociale potrebbe essere la meta fondamentale dell’Esecutivo. Con questa prefazione, riteniamo di poter continuare le nostre riflessioni. La deflazione agevolerà solo chi ha liquidità. Il risparmio resta una chimera e vivere continuerà a essere difficile. Chi punta sulle “novità” potrebbe aver fatto male i suoi conti. Del resto, il fronte occupazionale langue e la disoccupazione giovanile resta primaria. L’Italia ha bisogno di ritrovare una sua “vera” dimensione. “Cercarla” è, comunque, un segno di coerenza.

 

A nostro avviso, continuano a essere insufficienti i riferimenti operativi per un rilancio socio/economico che potrebbero alzare la testa in tempi, comunque, non prossimi. Saranno gli anni futuri a chiarire quale potrebbe essere il futuro quadro politico nazionale. Certo è che la “concretezza” sulla quale avremmo voluto contare resta ancora ai margini del nostro fronte economico. Ogni altra considerazione, pur se legittima, passa, per ora, in secondo piano.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Il terremoto che cambia tutto e niente

 

Questa strana elezione europea si può leggere in due modi completamente opposti: cambia tutto per non cambiare nulla; oppure anche se non cambia nulla, cambia tutto.

Il Parlamento europeo che emerge dal voto del 9 giugno dovrebbe portare a una maggioranza analoga a quella dell’ultima legislatura, dunque a un bis di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione.

Ma gli sconvolgimenti all’interno dei singoli Paesi – dall’Italia alla Francia – possono avere forti impatti anche a livello europeo, oltre che domestico.

Il livello europeo

L’avanzata delle destre estreme e il crollo di alcune forze cruciali per la formazione dei gruppi al Parlamento UE non intacca più di tanto la composizione dell’emiciclo. Il Partito popolare europeo (centrodestra) ha vinto in misura netta le elezioni e questo dovrebbe portare – già nel vertice dei capi di Stato e di governo del 17-18 giugno – a indicare la candidata ufficiale del PPE per un secondo mandato alla guida della Commissione: Ursula von der Leyen, che ieri sera parlava già da leader riconfermata.

Nonostante il crollo di Emmanuel Macron in Francia che ha portato a un ridimensionamento del gruppo di Renew (liberali), von der Leyen potrebbe essere confermata dalla stessa maggioranza che ha retto la legislatura 2019-2024, cioè PPE-S&D (i socialisti e democratici) e Renew: insieme valgono 414 seggi, ampiamente sopra la quota richiesta minima, cioè 361.

In questo scenario, per von der Leyen ha senso al massimo cercare un allargamento tattico o strutturale ai Verdi (51 seggi) ma non c’è necessità e non ci sono le condizioni per dover coinvolgere i Conservatori e riformisti di Giorgia Meloni, l’opzione di una maggioranza spostata a destra è molto meno plausibile di quello che si pensava o temeva prima delle elezioni.

Continuità o terremoto?

A guardare il Parlamento europeo, sembra dominare quindi la continuità, tutto come prima, o more of the same, come si dice in inglese. Ma l’Unione Europea non è governata soltanto da Parlamento e Commissione.

C’è anche il Consiglio, cioè la rappresentanza dei governi. E qui le cose si fanno complicate, per il tracollo di Emmanuel Macron in Francia, doppiato dalle destre, ma anche per la crisi della SPD del cancelliere Olaf Scholz in Germania.

All’improvviso l’Ue si trova con il motore franco-tedesco spento: Macron, il leader che ha cercato di dare la linea su guerra, difesa, politica industriale è costretto a una scommessa disperata, cioè chiamare elezioni anticipate che porteranno quasi certamente la destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella al governo.

Così, scommette Macron, perderanno consensi in vista delle presidenziali 2027, ma intanto la coabitazione tra un presidente liberale e un governo di destra renderà la Francia molto meno influente a Bruxelles.

Diventa quindi più improbabile che Macron possa imporre il suo candidato, Mario Draghi, in una delle posizioni apicali della nuova UE (alla Commissione resterà von der Leyen, ma ora diventa difficile anche il Consiglio).

Olaf Scholz è sempre più avvitato in una crisi senza ritorno, e la Germania non ha neanche l’ombra della leadership europea di quando c’era Angela Merkel.

È il momento di Meloni?

L’Italia è sempre più debole quando i suoi partner forti soffrono. E la premier poi non è così centrale come sperava: l’esito più probabile è ora che i suoi Conservatori e riformisti si trovino a votare Ursula von der Leyen senza però entrare nella maggioranza (o almeno per Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni sarebbe abbastanza suicida mettersi in un’opposizione frontale e formale).

In queste condizioni, è difficile pensare che il Consiglio dei capi di Stato e di governo riesca a dare un indirizzo chiaro all’UE, specie nell’area cruciale del posizionamento geopolitico.

Intanto in Italia

A livello domestico, è facile individuare vincitori e vinti. Un chiaro successo per Giorgia Meloni e per il suo centrodestra: da un lato Fratelli d’Italia cresce ancora, quasi al 29 per cento, dall’altro si conferma la notevole capacità dei partiti di area di intercettare i delusi dei propri competitor interni.

La Lega va male, al 9,1 per cento, ma Forza Italia si rigenera in versione moderata ed europeista sotto la guida di Antonio Tajani e arriva al 9,7 per cento.

Si prevedono tensioni dentro il mondo leghista, perché la scommessa di Matteo Salvini sul generale Roberto Vannacci non ha portato nuova linfa e neppure ha evitato il sorpasso di Forza Italia.

Le novità maggiori sono fuori dal centrodestra: l’ex terzo polo conferma il suo suicidio politico, il duello costante tra le due personalità di Matteo Renzi e Carlo Calenda li porta all’irrilevanza che avevamo previsto qui su Appunti. Neanche un eletto, neanche un italiano nel gruppo più europeista, quello dei Liberali, altro che Stati Uniti d’Europa. Un disastro che dovrà avere qualche conseguenza.

Elly Schlein con il PD riesce a ottenere un risultato più che dignitoso a livello assoluto, con il 24 per cento, ma notevole dal punto di vista relativo: la segretaria non offre spunti ai nemici interni per attaccarla, può rivendicare la scelta di aprire il partito a nomi che ne contestano la linea sull’Ucraina, come Marco Tarquinio e Cecilia Strada, visto che quantomeno ha sottratto voti ai Cinque stelle.

La coalizione di centrosinistra esce dalle europee trasformata, se confrontiamo con il 2022: i centristi di Azione che tanto avevano fatto penare Enrico Letta alle elezioni politiche spariscono o quasi, i Cinque stelle di Conte vengono drasticamente ridimensionati sotto il 10 per cento, se continuano così rischiano il sorpasso dall’Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), un progetto che sembrava spacciato dopo le vicende di Aboubakar Soumahoro e le varie liti e polemichette interne e che invece si è dimostrato in grado di proporsi come nuova forza di riferimento per chi nel centrosinistra non si riconosce nel PD.

Il nuovo centrosinistra è più sbilanciato verso sinistra rispetto a quello delle elezioni 2022, e questa è una cosa coerente con un contesto dove c’è un voto proporzionale, che premia le identità delle singole forze (quella dei Cinque stelle è ormai sbiadita), ma potrebbe rivelarsi penalizzante con una legge elettorale come quella italiana che si basa in gran parte su collegi uninominali, dove serve prendere voti anche più al centro.

Insomma, Meloni e Schlein sono entrambe più forti, ma è troppo presto per dire che si sono create le condizioni per un’alternativa di governo davvero competitiva. Stefano Feltri

(Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti) SettNews 10

 

 

 

 

Dalla fabbrica alla scuola: la lunga strada per eliminare il lavoro minorile

 

Ogni anno, il 12 giugno, il mondo si ferma per riflettere su una delle piaghe sociali più profonde e persistenti: il lavoro minorile. La Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile, istituita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 2002, rappresenta un’occasione fondamentale per accendere i riflettori su questa problematica e per coordinare gli sforzi globali volti alla sua eliminazione. Quest’anno, la giornata è dedicata al lavoro domestico, una delle forme più invisibili e pervasive di sfruttamento minorile.

I numeri del lavoro minorile

Il lavoro minorile è un fenomeno globale che continua a rappresentare una seria preoccupazione, nonostante i progressi compiuti negli ultimi decenni. Secondo le ultime rilevazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e di Unicef nel mondo ci sono 160 milioni di bambini e adolescenti tra i 5 e i 17 anni coinvolti nel lavoro minorile. Quasi la metà di questi, circa 79 milioni, sono impegnati in lavori pericolosi che mettono a rischio la loro salute, sicurezza e sviluppo psicofisico.

La maggior parte di questi bambini, circa il 70%, lavora nel settore agricolo, spesso in condizioni estremamente difficili e con scarsa protezione legale. L’Asia e il Pacifico e l’Africa sub-sahariana sono le regioni con il maggior numero di lavoratori minorili, mentre l’incidenza più alta si riscontra in Africa sub-sahariana, dove uno su cinque bambini è coinvolto nel lavoro minorile. Questi numeri sono allarmanti, soprattutto se consideriamo che il lavoro minorile è in aumento in molte aree del mondo, complice la povertà, i conflitti armati e le crisi economiche, inclusa quella scaturita dalla pandemia di Covid-19. La pandemia di COVID-19 ha, infatti, aggravato ulteriormente la situazione, spingendo molte famiglie in condizioni di povertà estrema e aumentando il rischio che i bambini siano costretti a lavorare per contribuire al sostentamento familiare. In sintesi, quasi 1 bambino su 10 è privato della sua infanzia per essere sfruttato nel mondo del lavoro.

Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030

L’eliminazione del lavoro minorile è strettamente legata all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che con l’obiettivo 8.7 si prefigge di porre fine a tutte le forme di lavoro minorile entro il 2025. Questo traguardo richiede un’azione concertata a livello globale, coinvolgendo governi, organizzazioni internazionali, aziende, società civile e singoli individui. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi decenni, la strada da percorrere è ancora lunga e accidentata.

Il lavoro minorile in Italia

In Italia, il fenomeno del lavoro minorile è meno visibile rispetto a molte altre parti del mondo, ma è comunque presente e preoccupante. Quasi 1 minore su 15 tra i 7 e i 15 anni ha avuto esperienza di lavoro minorile. Il numero dei minori in povertà assoluta ha raggiunto la cifra di 1 milione e 382 mila, rappresentando il 12,1% delle famiglie con minori. La povertà è uno dei principali fattori che spinge i bambini verso il lavoro precoce, spesso in condizioni pericolose e senza tutele adeguate.

Il rapporto Unicef

Il Rapporto Unicef “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro”, offre una panoramica dettagliata e preoccupante sulla condizione dei lavoratori minorenni nel nostro paese. Secondo il documento, nel 2023 il numero di lavoratori minorenni tra i 15 e i 17 anni ha raggiunto quota 78.530, un incremento rispetto ai 69.601 del 2022 e ai 51.845 del 2021. Se si estende l’analisi alla fascia di età fino ai 19 anni, i lavoratori erano 376.814 nel 2022, un aumento significativo rispetto ai 310.400 dell’anno precedente. Questo incremento non riguarda solo il periodo post-pandemia, ma rappresenta un trend crescente rispetto agli anni precedenti, evidenziando un problema in costante aggravamento.

Le regioni italiane con la percentuale più alta di minorenni occupati sono Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche. In queste regioni, la percentuale di minorenni lavoratori è significativamente superiore alla media nazionale del 4,5%, con il Trentino-Alto Adige che registra il 21,7% di occupazione tra i 15-17enni.

Questi numeri non solo evidenziano una crescita costante nel numero di minori impiegati, ma rivelano anche un quadro allarmante in termini di sicurezza sul lavoro: tra il 2018 e il 2022, le denunce di infortunio per i minori di 19 anni sono state 338.323, di cui 83 con esito mortale. Il rapporto mette in luce una disparità di genere nei redditi settimanali, con i ragazzi che guadagnano mediamente di più rispetto alle ragazze. La maggior parte di questi incidenti si verifica nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, che insieme rappresentano quasi il 60% delle denunce a livello nazionale. Inoltre, esiste un significativo divario di genere nei salari, con i ragazzi che guadagnano mediamente più delle ragazze: nel 2022, il reddito settimanale medio per i maschi era di 320 euro contro i 259 euro per le femmine.

Il ruolo delle istituzioni

“Nessun bambino dovrebbe essere privato della sua infanzia per essere sfruttato nel mondo del lavoro”, afferma il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile. “L’articolo 32 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce il diritto di ciascun bambino ad essere protetto dallo sfruttamento economico e da qualsiasi lavoro pericoloso”, sottolinea con vigore. La sua voce autorevole e impegnata richiama l’attenzione sulla necessità di un impegno collettivo per garantire un futuro dignitoso ai bambini, liberi da ogni forma di sfruttamento. “Le guerre e la povertà strappano le bambine e i bambini alla vita, obbligandoli ad abbandonare la scuola per forme di lavoro ignobili, molto spesso illegali e clandestine”, denuncia con veemenza. Mattarella pone l’accento sull’importanza di proteggere i diritti dei minori e di creare un ambiente in cui possano crescere sani, istruiti e liberi

Le sue parole risuonano come un richiamo all’azione, un invito a unire gli sforzi di governi, organizzazioni, imprese e individui per eliminare il lavoro minorile e costruire un futuro migliore per le generazioni future. Mattarella ha, poi, lodato le iniziative europee volte a responsabilizzare le imprese lungo tutta la catena del valore e a vietare la commercializzazione di beni realizzati con il lavoro forzato, in particolare quello minorile.

Le iniziative internazionali

La lotta al lavoro minorile richiede un approccio globale. In Bangladesh, ad esempio, il lavoro minorile è una realtà endemica con oltre 1,7 milioni di bambini lavoratori. Organizzazioni come ActionAid lavorano instancabilmente per offrire soluzioni concrete, come le ‘happy home’, case sicure per bambine e ragazze in situazioni di estrema fragilità. Attraverso queste iniziative, ActionAid fornisce protezione, educazione e speranza per un futuro migliore a migliaia di bambini.

Le Storie di Jui e Noor

Nel vasto panorama della lotta contro il lavoro minorile, emergono storie di coraggio e resilienza che ci ricordano la complessità di questa piaga sociale e l’importanza di un impegno congiunto per porvi fine. Tra queste storie, quelle di Jui e Noor, due giovani protagonisti provenienti dal Bangladesh, illuminano la realtà cruda e spesso misconosciuta di milioni di bambini in tutto il mondo.

Jui, una ragazza determinata dal sorriso timido, porta con sé il peso di una realtà familiare difficile. Ha dovuto abbandonare i suoi sogni di diventare medico per aiutare la sua famiglia a far fronte ai debiti. Con solo 12 anni, le sue piccole mani lavorano senza sosta nelle fabbriche di abbigliamento di Dacca, la capitale del Bangladesh. I suoi turni giornalieri, lunghi e faticosi, non le lasciano spazio per l’istruzione o per giocare come faceva una volta. Ma nonostante le sfide, Jui mantiene viva la speranza di un futuro migliore. “Se potessi avere un desiderio, sarebbe diventare medico”, rivela con occhi pieni di determinazione. “Anche se il mio sogno non si è realizzato, lavoro per aiutare mia sorella a crescere e diventare lei un medico”.

Noor, dall’altro lato, ha trovato rifugio e speranza nelle “case felici” create da organizzazioni come ActionAid. Questi spazi sicuri e protetti rappresentano un’oasi di pace per Noor e altri bambini che hanno conosciuto il dolore e la durezza della vita troppo presto. Da quando è entrata in queste case, la sua vita ha preso una svolta positiva. Ha ripreso gli studi e i suoi occhi brillano di nuovo di speranza per un futuro diverso. “Prima di stare qui, ero costretta a lavorare come domestica e avevo smesso di studiare”, racconta Noor con gratitudine. “Qui posso mangiare regolarmente e vado a scuola. Se non fossi venuta qui, avrei probabilmente dovuto lavorare in una fabbrica per sempre”.

Le storie di Jui e Noor sono solo due tra i milioni di bambini che affrontano quotidianamente le sfide del lavoro minorile. Tuttavia, sono anche simboli di speranza e resilienza, dimostrando che anche nelle situazioni più difficili, c’è spazio per il cambiamento e la trasformazione. Adnkronos 12

 

 

 

 

Istat. Rapporto sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione italiana

 

ROMA – 1milione e 81mila gli espatri tra il 2014 e il 2023. Poco più di 515mila i rimpatri. 566mila: la perdita di popolazione italiana dovuta agli scambi con l’estero. Lo rileva il Rapporto Istat sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione.

Nel biennio 2022-2023 sono in lieve ripresa gli espatri.

Dal 2014 l’andamento delle emigrazioni dall’Italia presenta un trend crescente fino al 2019, anno in cui si è rilevato il valore massimo (180mila) dagli anni Settanta del secolo scorso, e una successiva contrazione durante la pandemia da Covid-19. L’accelerazione del trend dal 2016 al 2019 è dovuta principalmente all’aumento degli espatri per effetto della Brexit, che, tuttavia, non è riconducibile a un vero e proprio movimento di persone ma piuttosto a un incremento di iscrizioni in AIRE di cittadini italiani già presenti sul territorio britannico, al fine di confermare il proprio settled status prima dell’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione europea. Tale ipotesi è resa ancora più evidente dal numero di espatri verso il Regno Unito rilevato nel 2020 (36mila), anno in cui tutti i movimenti in uscita dal Paese hanno subìto un brusco rallentamento a causa delle limitazioni internazionali di contrasto al virus imposte ai trasferimenti. Negli anni successivi, esaurito l’effetto Brexit e dopo lo shock pandemico, le emigrazioni verso l’estero riprendono lentamente quota, ma con livelli molto lontani rispetto a quelli osservati negli anni 2016-2019. Il volume delle emigrazioni verso l’estero è dovuto in larga parte agli espatri dei cittadini italiani, che nell’ultimo decennio, sono in media circa sette su 10. Tra il 2014 e il 2023 si conta oltre un milione di espatri, a fronte di poco più di 515mila rimpatri; i saldi migratori dei cittadini italiani sono quindi sempre negativi e la perdita complessiva di popolazione italiana dovuta ai trasferimenti con l’estero è pari a 566mila unità. Nello stesso decennio, tra la componente straniera si osserva un trend oscillante quanto a cancellazioni per l’estero con un picco nel 2021, anno in cui si sono contate circa 64mila emigrazioni. A differenza di quanto si osserva tra gli italiani, i saldi migratori degli stranieri sono quindi largamente positivi, ma tale misura potrebbe in parte risentire della sotto-copertura del fenomeno dovuta alla mancata notifica, da parte del cittadino straniero, della partenza dal territorio italiano. Nel biennio 2022-23 oltre la metà degli espatri ha origine nel Nord (52,7%): in particolare sono partiti dal Nord-ovest del Paese complessivamente circa 61mila italiani (29,6% degli espatri) e dal Nord-est 48mila (23,2%). Numerose anche le partenze dal Sud (in totale 41mila nel periodo 2022-23, 19,8%) e dal Centro (35mila, 16,7%), mentre dalle Isole hanno espatriato in due anni complessivamente 22mila italiani (10,7%). Il tasso di emigratorietà degli italiani, che nel 2021 era pari all’1,7 per mille, nel 2022 all’1,8 e nel 2023 al 2,0 per mille, testimonia una lieve ripresa della propensione a espatriare: si registrano tassi superiori alla media nazionale al Nord (mediamente 2,2 per mille nel biennio 2022-23) e inferiori al Centro-sud (1,7 per mille). Nei due anni 2022-23 la distribuzione degli espatri per regione di provenienza è eterogenea: i tassi più elevati si hanno in Trentino-Alto Adige, grazie anche alla posizione geografica di confine che facilita gli spostamenti con l’estero (3,4 per mille nel biennio 2022-23). Seguono Molise, Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste e Veneto con tassi superiori al 2,5 per mille. Le regioni con tassi più bassi sono invece Puglia, Campania e Lazio (valori pari a 1,3 per mille). A livello provinciale, i tassi più elevati si rilevano a Bolzano/Bozen (4,5 per mille), Treviso (3,4 per mille) e Mantova (3,1 per mille); quelli più bassi si registrano nelle province di Caserta, Taranto e Barletta-Andria-Trani (1,1 per mille)

Il Regno Unito continua ad attrarre italiani nativi e di origine straniera

Anche negli anni 2022-23 l’Europa si conferma la principale area di destinazione delle emigrazioni dei cittadini italiani, sebbene in misura inferiore rispetto agli anni precedenti (75,7% degli espatri, in calo di sette punti percentuali rispetto al 2021). Tra i paesi europei, Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera e Spagna accolgono complessivamente il 55% degli espatri dall’Italia. In aumento, invece, l’incidenza degli espatri verso i paesi dell’America Latina (10,7% del totale, cinque punti percentuali in più rispetto al 2021), in parte per l’effetto dei nuovi cittadini italiani che dopo la permanenza in Italia, necessaria per l’ottenimento della cittadinanza, rientrano in patria. Durante il decennio 2014-2023, infatti, la quota di espatri di italiani nati all’estero è in significativa crescita (dal 22% del 2014 al 31,4% del biennio 2022-23). Per quanto il progressivo aumento della popolazione residente straniera in Italia (da 4,8 milioni nel 2014 a 5,3 milioni al 1° gennaio 2024) possa giustificare tale tendenza, in realtà questo flusso comprende anche immigrati stranieri che, una volta acquisita la cittadinanza italiana, lasciano il Paese come cittadini dell’Unione europea. Tra il 2022 e il 2023 le emigrazioni degli italiani nati all’estero sono state complessivamente 65mila (circa un terzo del totale degli espatri, +40% rispetto al 2021), di questi, tre su 10 sono nati in Brasile (poco meno di 20mila), il 13,7% in Argentina, il 6,8% in Marocco, il 3,5% in Albania. Nel biennio 2022-23, il Regno Unito è la meta europea favorita sia dagli espatriati nativi (complessivamente 21mila), sia da quelli nati all’estero (11mila). Seguono la Germania (21mila espatriati nativi e 6mila di origine straniera), la Svizzera (17mila e 3mila), la Francia (14mila e 6mila) e la Spagna (11mila e 4mila), Paesi nei quali gli espatri sono decisamente appannaggio degli italiani nativi. Tra i paesi extra europei, le mete preferite sono il Brasile (13 mila espatri), gli Stati Uniti (10mila espatri) e l’Argentina (5mila espatri). Mentre il flusso di espatri verso gli Stati Uniti è composto prevalentemente da nativi (75%), le emigrazioni verso Brasile e Argentina sono costituite in larghissima parte (oltre il 92%) da cittadini nati all’estero , I cittadini italiani di origine africana emigrano per lo più in Francia (48%), quelli nati in Asia nella stragrande maggioranza si dirigono verso il Regno Unito (78,9%), quelli nati in un paese dell’Unione europea invece emigrano soprattutto in Germania (25%)

Circa quattro giovani emigrati italiani su 10 hanno almeno la laurea

Il trasferimento di residenza all’estero può essere considerato una scelta, transitoria o di lungo periodo, volta a soddisfare le proprie esigenze di conoscenza, ad acquisire e arricchire il proprio bagaglio di esperienze di studio o lavoro, a migliorare la propria condizione economica e ad ampliare le proprie opportunità di crescita e di realizzazione. Negli ultimi 10 anni i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono costantemente aumentati, mentre molto meno numerosi sono i rientri in patria. Nel decennio 2013-2022 è espatriato dall’Italia oltre un milione di residenti, di essi oltre un terzo (352mila) con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Con riferimento a questo collettivo di giovani espatriati, si osserva che oltre 132mila (37,7%) erano in possesso della laurea al momento della partenza. D’altro canto, i rimpatri di giovani della stessa fascia d’età sono stati circa 104mila nell’intero periodo 2013-2022, di cui oltre 45mila in possesso di laurea: la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 87mila giovani laureati. Dopo il calo del 2021, nel 2022ii si assiste a una significativa ripresa degli espatri di giovani laureati tra i 25 e i 34 anni (18mila, +23,2% sull’anno precedente). Aumenta la quota dei laureati sul flusso dei giovani espatriati (uno su due è in possesso di almeno la laurea), a testimonianza del cambiamento strutturale in atto: solo 10 anni prima, infatti, tale quota era pari a un terzo dei flussi di emigrazione giovanile.  Nel 2022 si riduce il numero dei rientri in patria dei giovani laureati (6mila, -18,9% sul 2021). La contingenza delle due dinamiche, l’aumento degli espatri e il calo dei rimpatri, determina un saldo migratorio negativo che si traduce in una perdita di 12mila giovani risorse qualificate, in linea con le consistenze rilevate prima della pandemia. I paesi europei sono le mete favorite dai giovani laureati. Nel 2022, per la prima volta dall’inizio del decennio, nella classifica delle destinazioni preferite la Germania (con quasi 3mila espatri di giovani laureati) sorpassa il Regno Unito (2,6mila). Seguono la Svizzera (1,8mila), la Francia (1,7mila) e i Paesi Bassi (1,2mila). Tra i paesi extra-europei, al primo posto si trovano gli Stati Uniti (quasi 1.000 giovani laureati). (Sul sito www.istat.it/ il testo integrale del rapporto).  (Inform/dip)

 

 

 

 

Il miraggio

 

Preso atto della mancanza di lavoro si potrebbe fondare il Partito dei Disoccupati d’Italia. Come a scrivere che la “trovata” non è, poi, improponibile, ma anche provocatoria.

La nostra non vuole, però, essere una sfida. Ma una semplice, quanto onesta, valutazione. Scoraggiati, e senza prospettive per il futuro, la politica potrebbe essere una strada da battere, dato il numero dei senza lavoro. Tant’è che le stesse Forze Sociali si sono rese conto del reale scollamento tra il mondo dell’occupazione e quello dei partiti.

 

Tutti i politici vorrebbero “cambiare”la nostra realtà involutiva. Il difficile è stabilire il “come” e “quando”. Ostinarsi con un progetto ”alternativo” resta complicato. Se, per assurdo, le varie anime di governo si fondessero, all’unisono, col varo di un nuovo Movimento d’Opinione, ben lontano dall’essere un nuovo partito, le previsioni sarebbero sempre congetturate. Almeno per una nostra esperienza in diretta.

 

 Per ora, è solo fantapolitica; ma sino a quando? Sopravvivere è una necessità. La deflazione, se mancano i liquidi, aiuta poco. Non basta vendere di più e a prezzo più basso per garantire un’omogenea distribuzione del necessario. C’è, infatti, chi comprerà di più con la stessa somma e chi continuerà a privarsi di tutto per mancanza di moneta. La situazione nazionale è questa. Non ci devono trarre in inganno le“ostentazioni” che, purtroppo, ci sono ancora. Anche se sono più di facciata che applicabili.

 

Anche dopo il rinnovo politico governativo, L’Italia dovrà riconfigurare il suo ruolo in ambito comunitario; evitando prese di posizione che sul fronte politico europeo non significherebbero nulla. Insomma, la realtà nazionale non è nella condizione d’essere “ribaltata” a livello UE. Il miraggio di un Bel Paese all’altezza dei tempi persistente.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Un futuro più sano

 

Da diversi anni, ormai, l’apprendimento dei saperi e delle conoscenze legate al cibo non avviene più in ambito familiare. La trasmissione di nozioni e comportamenti alimentari che, fino a pochi decenni fa, passava da madre in figlia, da padre in figlio, è stata interrotta e non sostituita. Questo fa sì che molti giovani non sappiano da cosa sia composta la loro stessa dieta quotidiana. Le scelte alimentari delle nuove generazioni sono indotte quasi esclusivamente da pubblicità tamburellanti, legate a prodotti molto spesso altamente trasformati e privi di legami con i territori. Ad aggravare la situazione, la gran parte di questi alimenti è poco salutare e costruito appositamente per stimolare dipendenza nel consumatore. Un tasso di obesità infantile in continua crescita in tutta Europa ne è la diretta conseguenza. E badiamo bene, proprio il nostro Paese, riconosciuto a livello mondiale come la patria del “mangiar bene all’italiana”, è a guidare questa triste e perversa classifica con ben il 42% della popolazione in sovrappeso nella fascia d’età tra i 5 e i 9 anni. Insomma, altro che eccellenza del Made in Italy, è necessario che il nostro Governo corra ai ripari per educare al meglio le nuove generazioni.

Sono, infatti, convinto che solo attraverso l’educazione sarà possibile costruire una nuova società civile che, oltre a garantirsi un futuro più sano, sia preparata a esprimersi su quegli argomenti – legati alla produzione e al consumo di cibo – che ormai rientrano quotidianamente all’interno del dibattito pubblico. Mi sto riferendo a temi come la carne coltivata, la desertificazione dei suoli, le migrazioni climatiche, i novel food, fino ad arrivare alle proteste dei trattori di poco tempo fa. Ecco, prendiamo per esempio questo ultimo fatto, che ha smosso così tanto la politica europea da determinare un dietro front sulla strategia del Green Deal che ha davvero dell’incredibile.

La discesa in piazza dei produttori è stata strumentalizzata al punto da creare una tempesta perfetta: mettere in forte contrasto tra loro il mondo contadino e quello ambientalista. Questo ha generato un effetto domino che ha portato la Presidente von der Leyen, anche per questioni elettorali, a cancellare in pochi giorni un lavoro di lunghi anni fatto di proposte che includevano la diminuzione della chimica in agricoltura e altri aspetti necessari per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.

E dirò di più: mentre i produttori protestavano per via del prezzo troppo basso a cui sono costretti a vendere i loro prodotti, i Tg che raccontavano di questa diatriba erano intervallati da pubblicità che, con gran disinvoltura e orgoglio, proponevano prodotti alimentari a prezzi stracciati. A rendere il tutto ancora più paradossale v’è un aspetto per nulla trascurabile: molti di questi spot appartenevano a catene della grande distribuzione organizzata, ovvero alle vere responsabili delle vendite sottocosto; le quali ben si sono guardate d’entrare nel dibattito politico generato dalle proteste. Tutt’altro, hanno continuato imperterrite a comportarsi come di consueto, ovvero facendo solo ed esclusivamente i loro interessi. Tutto questo c’entra eccome con l’educazione alimentare. Perché queste dinamiche assurde e irragionevoli hanno modo di verificarsi solo perché la società civile si trova impreparata e senza alcun strumento per valutare la complessità di un sistema denominato primario proprio perché indispensabile alla nostra sopravvivenza.

Per questo motivo, l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, Slow Food Italia, le Comunità Laudato si’ e il Centro di Studi e Ricerca sul cibo sostenibile in qualità di ideatori, e l’Università di Torino, l’Università del Piemonte orientale e il Politecnico di Torino nella veste di primi promotori, lanciano un appello per chiedere a gran voce al Governo italiano che l’educazione alimentare possa rientrare come insegnamento obbligatorio all’interno della scuola di ogni ordine e grado (https://appelloeducazionealimentare.it/appello).

Quello che mangiamo è ciò che determina la salute, la socialità, l’economia, la storia dei nostri territori. Non possiamo permetterci di recidere il cordone ombelicale che lega il cibo alla vita di ogni essere umano presente e futuro. Solo attraverso una sana educazione alimentare si potranno consegnare alle future generazioni gli adeguati strumenti cognitivi per renderle padrone del proprio destino. Anche alla luce della sfida epocale chiamata crisi climatica. Uno sconquasso che vede il sistema alimentare come principale responsabile (per via delle enormi quantità di Co2 che emette in atmosfera) ma anche come principale vittima. È bene che il percorso formativo possa permettere a ogni individuo di affrontare con le opportune conoscenze i cambiamenti che per forza di cose avverranno.

Questa iniziativa è una campagna determinante e ambiziosa per sensibilizzare sul fatto che solo attraverso una corretta conoscenza e consapevolezza, per mezzo delle nostre scelte quotidiane, sarà possibile cambiare in meglio il futuro che verrà. Per questo, invito tutte le persone che hanno a cuore la salute del Pianeta e il benessere delle giovani generazioni a firmare questo appello e a farsene promotori coinvolgendo un buon numero di amici e parenti. Carlo Petrini

Vita Pastorale giugno

 

 

 

Esenzione IMU per l’estero: parere favorevole della Commissione

 

ROMA – Arriva il parere favorevole della Commissione Esteri della Camera sulla proposta di legge 956 Ricciardi riguardante l’esenzione dell’IMU per gli italiani all’estero che hanno casa in Italia, equiparando di fatto gli iscritti Aire ai residenti in territorio italiano. La modifica riguarda quindi l’equiparazione del regime fiscale nell’applicazione dell’imposta municipale propria e dell’imposta di registro relativamente a immobili posseduti nel territorio nazionale da cittadini iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Il parere è stato espresso alla VI Commissione.

Elisabetta Gardini (FDI), in qualità di relatrice, ha segnalato in premessa che, nel corso dell’esame in sede referente, sono state abbinate, alla proposta Ricciardi, le proposte di legge a prima firma dei deputati Di Giuseppe, Onori, Billi, Lovecchio, Manes e Borrelli: nella seduta del 7 febbraio 2024 la Commissione Finanze aveva adottato quale testo base per il seguito dell’esame del provvedimento la presente proposta di legge 956, sulla quale la Commissione deve esprimere il parere. Gardini ha poi rilevato come la proposta di legge, costituita da un solo articolo, apporti modifiche al regime della fiscalità immobiliare relativa agli immobili posseduti nel territorio nazionale da cittadini italiani iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE). A fini IMU, per tali immobili si prevede l’assimilazione all’abitazione principale – dunque l’esenzione dall’imposta – in presenza di specifiche condizioni. Ricordato inoltre dalla relatrice che la legge di bilancio 2020 ha riformato l’assetto dell’imposizione reale immobiliare, unificando le due previgenti forme di prelievo – IMU e TASI – e facendo confluire la relativa normativa in un unico testo, relativo all’Imposta Municipale Propria – IMU. Con riferimento al regime dell’abitazione principale, la relatrice ha ricordato che essa è esente dal tributo, salvo che si tratti di abitazioni classificate come di lusso. A decorrere dall’anno 2020 non è però più assimilata all’abitazione principale, e dunque non è più esente da imposta, l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza. La legge di bilancio per l’anno 2021 era intervenuta prevedendo, a partire dall’anno 2021, che sugli immobili di proprietà di pensionati non residenti nel territorio dello Stato, non locati o dati in comodato d’uso, l’imposta venisse applicata nella misura della metà, senza condizionare tale agevolazione all’iscrizione all’AIRE; successivamente, con la legge di bilancio per l’anno 2022 era stata disposta, in favore dei medesimi soggetti, limitatamente al 2022, la riduzione della misura dell’IMU al 37,5 per cento. La proposta in esame prevede che sia assimilata all’abitazione principale del contribuente, dunque resa esente da imposta, una sola unità immobiliare ad uso abitativo, con le relative pertinenze, posseduta, a titolo di proprietà o di usufrutto, in Italia da cittadini iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), a condizione che sia situata nel comune di iscrizione nell’AIRE e che non risulti locata o data in comodato d’uso. Vien inoltre chiarito dalla relatrice che le agevolazioni disposte per l’acquisto della prima casa (applicazione dell’aliquota ridotta al 2 per cento) debbano applicarsi in favore dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, in luogo della locuzione che si riferisce ai cittadini “emigrati all’estero” come previsto nella formulazione della norma vigente al momento della presentazione della proposta di legge. Dalla Gardini è stato inoltre evidenziato come, dopo la presentazione della proposta di legge in esame, sia entrato in vigore l’articolo 2 del decreto-legge n. 69 del 2023 (cosiddetto decreto «salva-infrazioni»), con il quale il Governo è intervenuto sulle agevolazioni per l’acquisto della prima casa al fine di rispondere ad una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea ed eliminare una presunta discriminazione fondata sulla nazionalità. Con quel provvedimento d’urgenza, infatti, è stata soppressa l’individuazione soggettiva dell’agevolazione, ovvero la qualifica di cittadino italiano emigrato all’estero, sostituendola con un criterio oggettivo, non legato più alla cittadinanza italiana: in particolare, il decreto-legge ha previsto che l’aliquota agevolata si applica se l’acquirente si è trasferito all’estero per ragioni di lavoro e abbia risieduto o svolto la propria attività in Italia per almeno cinque anni, nel comune di nascita o in quello in cui aveva la residenza o svolgeva la propria attività prima del trasferimento.

Alla luce di ciò dalla relatrice è stato sottolineato che la proposta di legge andrebbe coordinata con questa normativa, sopprimendo la disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 1, in quanto non più riferibile al testo vigente della nota II-bis), comma 1, lettera a), primo periodo, della tariffa, come rilevato nel parere già espresso dalla I Commissione. La relatrice ha infine rilevato come il comma 3 quantifichi gli oneri derivanti dalle norme in esame in 8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, di cui 3 milioni di euro annui destinati al reintegro delle minori entrate dei comuni, cui provvedere mediante corrispondente riduzione del Fondo per esigenze indifferibili istituito dalla legge di stabilità per il 2015.  Alla luce di queste riflessioni la relatrice ha chiesto alla Commissione di esprimere parere favorevole. Ha poi preso la parola il deputato del Pd Fabio Porta, eletto nella ripartizione America Meridionale, che ha espresso un convinto sostegno al provvedimento in esame e soddisfazione per la generale condivisione dei suoi contenuti. Il deputato ha sottolineato l’importanza delle norme in esame in quanto esse non sono solo un riconoscimento nei confronti della comunità italiana all’estero, ma rappresentano anche un investimento, poiché possono favorire gli investimenti degli emigrati e dei discendenti di emigrati nelle aree di origine. Il Simone Billi (Lega – ripartizione Europa), nel ringraziare il collega Toni Ricciardi, primo firmatario della proposta di legge, e gli altri eletti della circoscrizione Estero per l’impegno profuso, ha rilevato che il tema è particolarmente sentito dalla comunità italiana all’estero. Secondo Billi la cancellazione o riduzione dell’IMU nei termini individuati dalla proposta di legge costituirà un incentivo al turismo e alla permanenza degli emigrati italiani nei paesi di origine, incentivando l’economia dei territori. Il deputato ha infine sottolineato come la tassazione prevista dalle normative vigenti incida pesantemente sulla popolazione italiana all’estero, in particolare sugli emigrati negli anni ’50 e ’60 che vivono di trattamenti pensionistici. Il deputato Andrea Di Giuseppe (FDI- ripartizione America settentrionale e centrale.) ha a sua volta ringraziato i colleghi eletti all’estero e ha sottolineato la trasversalità della proposta di legge in esame e di quelle abbinate auspicando una rapida approvazione del provvedimento in Assemblea.

Questo il testo del parere approvato

 La III Commissione (Affari esteri e comunitari), esaminata la proposta di legge C. 956, recante «Modifiche all’articolo 1, comma 741, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, e all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in materia di equiparazione del regime fiscale nell’applicazione dell’imposta municipale propria e dell’imposta di registro relativamente a immobili posseduti nel territorio nazionale da cittadini iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero», e le abbinate proposte di legge C. 1099, C. 1323, C. 1400, C. 1701, C. 1743 e C. 1748;

rilevato che: la proposta di legge modifica il regime della fiscalità immobiliare relativa agli immobili posseduti nel territorio nazionale da cittadini italiani iscritti nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) al fine di rendere esente da IMU una unità immobiliare a uso abitativo, con le relative pertinenze, da loro posseduta, a titolo di proprietà o di usufrutto, in Italia, a condizione che sia situata nel comune di iscrizione nell’AIRE e che non risulti locata o data in comodato d’uso (articolo 1, comma 1);

inoltre, la proposta modifica la disciplina dell’imposta di registro, segnatamente novellando la lettera a) della nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 al fine di chiarire che le agevolazioni ivi disposte per l’acquisto della prima casa si applichino in favore dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, in luogo della locuzione che si riferisce ai cittadini «emigrati all’estero» come previsto nella formulazione della norma vigente al momento della presentazione della proposta di legge (articolo 1, comma 2);

preso atto che: la proposta quantifica gli oneri derivanti dalle norme in commento in 8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, di cui 3 milioni di euro annui destinati al reintegro delle minori entrate dei comuni, cui provvede si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per esigenze indifferibili che si presentano in corso di gestione, di cui all’articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;

segnalata l’opportunità di sopprimere la disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 1, in quanto non più riferibile al testo vigente della nota II-bis), comma 1, lettera a), primo periodo, della tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986,

esprime Parere favorevole. (Inform/dip 16)

 

 

 

Più si è poveri, meno si vota: l’astensionismo in Italia e in Ue

 

Per la prima volta nella storia, alle Europee ha votato meno di un italiano su due, il 49,69% degli aventi diritto. L’astensionismo in Italia non ha una sola risposta, ma stimola delle analisi. Prima di tutto un confronto con l’Ue, dove l’affluenza è rimasta stabile rispetto al 2019, anzi in leggero miglioramento dal 50,66% al 51% di questa tornata. Una percentuale comunque risibile se si pensa al ruolo cruciale delle elezioni europee 2024.

Parlare di astensionismo tout court sarebbe superficiale, e ci sono due tendenze che meritano attenzione:

* L’affluenza degli italiani alle urne per le amministrative ha superato quella delle europee;

* per le europee hanno votato di più gli italiani delle regioni ricche, mentre l’affluenza crolla tra le regioni più povere e nei piccoli centri.

Il primo punto dimostra che c’è una scelta chiara da parte degli elettori, e che l’astensionismo non è semplicemente figlio del lassismo. Se così fosse, i dati delle europee e delle amministrative sarebbero uguali, una volta arrivati al seggio, basterebbe votare per entrambe le elezioni. Se questo in molti casi non avviene, la ragione non può essere che gli italiani preferiscano il mare alle urne.

Chiaramente, il contemporaneo voto per le amministrative in oltre 3.700 comuni e delle regionali in Piemonte ha in parte migliorato il dato delle europee. Secondo le stime di YouTrend, in media nei comuni dove si votava solo per le europee l’affluenza è stata del 42,2%, mentre dove si votava sia per le europee sia per le amministrative è stata del 62,8%.

L’astensionismo in Italia e in Ue

Negli anni, sia l’affluenza media Ue che quella italiana sono calate.

Iniziata con l’82% dei votanti nel 1979, la partecipazione degli italiani alle europee è sempre calata ad eccezione del 2004 (prime elezioni con la moneta unica), quando si recò alle urne il 71,7% degli aventi diritto contro il 69,8% del 1999. L’astensionismo italiano alle europee ha avuto la sua crescita maggiore tra le elezioni del 1989 e quelle del 1994. In appena cinque anni, il Paese passò da un’affluenza dell’81,1% a quella del 73,6%. In quegli anni, la popolazione italiana fu sconvolta dallo scandalo Tangentopoli, che ha segnato la prima grande cesura tra gli italiani e la politica nella storia repubblicana. Non è un caso che il crollo record dell’affluenza si registri in quegli anni.

Nelle elezioni europee più recenti, quelle del 2019, votarono il 54,5% degli elettori italiani, un dato superiore a quello delle elezioni europee 2024, anche se cinque anni fa, in Italia, si votò solo di domenica. Anche in quella circostanza si andò alle urne anche per le regionali in Piemonte e in circa 3.800 comuni.

Spostando lo sguardo sul panorama europeo, l’astensionismo record si è registrato nel 2009 e nel 2014 con un tasso di partecipazione al voto vicino al 43% (42,97% e 42,61%), mentre il calo maggiore registrò tra le elezioni del 1994 e quelle del 1999, quando l’affluenza passò dal 56,7% al 49,5%. Dal 1999 in poi, quindi, la maggioranza assoluta dei cittadini europei ha disertato le urne.

Occorre però considerare che nel corso del periodo storico considerato l’Unione Europea si è allargata a un numero crescente di Paesi membri, ognuno con la propria tendenza più o meno forte al voto.

Alle prime elezioni del 1979 i Paesi membri erano nove: Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Regno Unito, Danimarca e Irlanda. Dalle elezioni del 1984 si è aggiunta la Grecia (che era entrata nella Ue nel 1981), mentre alle elezioni del 1989 e del 1994 i Paesi membri erano 12, grazie all’entrata nella Ue di Spagna e Portogallo nel 1986. I Paesi membri sono poi saliti a 15 alle elezioni del 1999, dopo l’ingresso nella Ue di Austria, Svezia e Finlandia (1995).

Uno spartiacque, poi, è stato registrato nel 2004, anno del grande allargamento a Est dell’Unione. Quell’anno aderirono all’Ue ben 10 Paesi (Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro e Malta), a cui se ne sono aggiunti altri due nel 2007 (Bulgaria e Romania), arrivando ai 27 Stati membri attuali e con l’ingresso di altri Paesi all’orizzonte.

L’astensionismo sale nelle regioni più povere

L’affluenza al voto in Italia continua a mostrare un trend preoccupante di diminuzione, con una partecipazione elettorale particolarmente bassa nelle regioni meridionali e insulari. Questa tendenza evidenzia la necessità di avvicinare la politica ai cittadini, soprattutto in quelle aree dove la povertà cresce e la presenza delle istituzioni diminuisce.

Come avvenuto nelle precedenti tornate elettorali, l’affluenza al voto in Italia ha mostrato marcate differenze tra le varie regioni e anche alle europee 2024, il Nord del Paese ha registrato un astensionismo molto più basso rispetto al Mezzogiorno:

Dati di affluenza per circoscrizione

* Italia Nord-Occidentale: la partecipazione è stata del 55,1%;

* Italia Nord-Orientale: ha votato il 54% degli elettori;

* Italia Centrale: l’affluenza ha raggiunto il 52,5%;

* Meridione: solo il 43,7% degli aventi diritto si è recato alle urne;

* Isole: La partecipazione è stata la più bassa, con solo il 37,8%.

Confronto con le elezioni europee del 2019

 Rispetto alle elezioni europee del 2019, si è osservato un generale calo dell’affluenza, con variazioni significative tra le diverse circoscrizioni:

* Nord-Est: l’affluenza è diminuita del 16%;

* Nord-Ovest: si è registrata una riduzione del 13%;

* Centro: il calo è stato dell’11%;

* Meridione: la diminuzione è stata del 10%.

In linea con i principi base della statistica, il calo è stato più marcato in quelle zone che partivano da un’affluenza più alta. Lo dimostra bene il fatto che la circoscrizione delle Isole non abbia registrato una riduzione dell’affluenza, ma partiva già da una partecipazione molto bassa nelle precedenti elezioni del 2019.

L’analisi regionale conferma in gran parte i trend: la regione con l’affluenza più alta è stata l’Umbria con il 61%, mentre quella con l’affluenza più bassa è stata la Sardegna con il 37%. La Sicilia è l’unica altra regione con un’affluenza inferiore al 40%, mentre la Valle d’Aosta è la regione del Nord con la minore affluenza 42,5%. Quindi, le tre regioni con il maggior astensionismo sono tutte a statuto speciale. Tra il 55% e il 60% ci sono Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia, mentre Marche, Veneto e Liguria hanno avuto un’affluenza tra il 50% e il 55%.

Italia specchio dell’Ue?

La nostra analisi non può chiudersi sull’Italia, anzi ci regala uno spunto interessante guardando all’Ue: le stesse tendenze italiane sull’astensionismo si riscontrano nel resto dei Ventisette. Senza voler scomodare Tacito e la sua ‘Germania’ (che metteva in relazione la latitudine geografica alle usanze dei popoli), emerge come i Paesi dell’Europa settentrionale, che generalmente godono di un’economia più forte, hanno registrato quasi ovunque tassi di partecipazione più alti rispetto ai Paesi del Sud e dell’Est Europa.

La questione si riversa anche nelle città lungo tutta l’Ue. Nelle grandi città e in quelle più ricche si registrano cali più contenuti di partecipazione al voto e resistono i partiti più tradizionali come i progressisti e i conservatori liberali. Nei contesti rurali, invece, cresce l’astensionismo e il supporto ai partiti di estrema destra e che, più in generale, fuoriescono dalla logica del bipolarismo.

In Italia, il Movimento 5 Stelle ha superato il 20% dei voti solo in Campania e il 15% in Sardegna, Sicilia e Calabria, confermando raccogliere al Sud la maggior parte dei voti. Il partito, oggi istituzionalizzato ma nato come movimento anti-establishment, è dietro in tutte le regioni del Nord, e in Veneto, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige si è fermato non ha raggiunto il 5%.

Infine, un dato particolare viene dalla Lega. Nonostante abbia trovato voti soprattutto al Nord, il partito guidato da Salvini ha riscosso maggior successo nel Molise, dove ha raggiunto il 17% delle preferenze.

Numeri e riflessioni da tenere a mente, mentre prende forma il nuovo Parlamento europeo. Adnkronos 11

 

 

 

Plenaria Cgie. Voto, diritti consolari, enti gestori e cittadinanza: il dibattito in assemblea

 

ROMA - Un ampio dibattito ha chiuso la prima mattina dell’assemblea plenaria del Consiglio generale degli italiani all’estero riunito alla Farnesina. Presieduti dalla segretaria generale Maria Chiara Prodi, alla presenza del Direttore generale per gli italiani all’estero, Luigi Maria Vignali, i lavori hanno visto l’intervento di consiglieri e parlamentari commentare diversi punti della relazione di Governo illustrata dal sottosegretario Silli.

“Quando si apre un nuovo capitolo ci sono anche nuove opportunità, più ambiziose che unitarie”, ha osservato Prodi, secondo cui occorre chiedersi “come adattare le infrastrutture ai nuovi bisogni degli italiani all’estero”. Centrale sarà capire “come dare risposte ambiziose, istituzionalmente elevate” ai “7 milioni di iscritti Aire che dovrebbero essere nel cuore della Repubblica e non una “riserva indiana”. C’è anche un cambio generazionale – ha osservato la segretaria generale – che deve essere considerato non come giovanilismo, ma come bisogno di far sentire in maniera nuova le domande di connazionali”. Prime tra tutte quello sul voto all’estero e le sue modalità, l’erogazione dei servizi consolari e “l’imbuto” degli appuntamenti, i problemi degli enti gestori che combattono di anno in anno per le risorse mentre serve “uno sguardo globale” di ampio respiro.

A Silli, la segretaria generale ha chiesto di essere “alleato del Cgie nella discussione con gli altri attori che possono diventare nostri interlocutori”.

Il voto all’estero e la cittadinanza, i servizi consolari e gli enti gestori i temi toccati da consiglieri e parlamentari nel dibattito.

Nuovo vicesegretario per l’Europa, Giuseppe Stabile (Spagna) ha voluto evidenziare il “grande sforzo” fatto dalla rete diplomatica per la gestione del voto europeo e stigmatizzato la mancanza di comunicazione “politica” che orientasse i connazionali tra i candidati. Da rivedere, per Stabile, i tempi della fase pre-elettorale soprattutto per la ricezione dei doppi certificati elettorali, cioè quello italiano e quello del Paese di residenza.

Nessun certificato riceve, invece, l’italiano che vive in un Paese extra Ue, come ricordato dalla Vice segretaria per i paesi anglofoni extra ue, Silvana Mangione (Usa), che ha ricordato una raccomandazione dell'Ue “che suggeriva ai diversi Paesi di fare propria una proposta di legge per consentire ai propri concittadini che vivono al di fuori dell’Unione europea di poter votare”. Mangione ha anche ribadito la richiesta di “rivedere la tabella delle assegnazioni dei rappresentanti dei diversi paesi” nel Cgie per includere di nuovo il Sud Africa e denunciato e difficoltà degli enti gestori alle prese con regole che cambiano di anno in anno e che non garantiscono loro l’arrivo puntuale dei fondi.

Di servizi consolari ha parlato Mariano Gazzola (Argentina), vice segretario per l’America Latina, che ha preso atto dei numeri riferiti dal sottosegretario Silli, riconoscendo i “passi in avanti” che sono stati fatti, ma ricordando che in alcune sedi – citando in particolare Barcellona, città dove vivono molti italo-argentini – la situazione è davvero critica. Secondo Gazzola si dovrebbe discutere “se sia ancora utile un sistema di servizi collegato all’iscrizione Aire” o se sia il momento di riformare anche l’Anagrafe. Così come va modificato Fast it per renderle il suo utilizzo più facile, magari cercando la collaborazione di Comites, associazioni e patronati per aumentare il numero degli iscritti. Ringraziato il Governo per gli aiuti al Rio Grande do Sul, Gazzola ha pure ricordato che nell’area continua ad esserci la percentuale più alta tra funzionari consolari e numero di italiani assistititi: “c'è bisogno di una politica che consenta ai consolati in America Latina di avere un maggior numero personale”.

La convenzione Maeci – patronati e gli enti gestori i temi toccati da Gianluca Lodetti, vicesegretaro di nomina governativa: c’è sempre più bisogno “di tutela, di assistenza nella portabilità dei diritti delle persone” ed è dunque ora di sottoscrivere la convenzione per “costruire un sistema sinergico tra il Ministero e i patronati”. Sul fronte degli enti gestori, “il fatto che la produzione normativa che li riguarda sa così corposa la dice lunga sulla difficoltà di mettere in piedi un sistema che vada veramente incontro agli enti gestori”. Se questi enti “fanno parte, così come io credo, di una strategia complessiva non solo della Farnesina ma del sistema Italia” bisogna dotarli di strumenti e risorse certe e la nuova circolare li mette in difficoltà. Per confrontarsi Lodetti ha proposto “un tavolo permanente del ministero con gli enti gestori” così come questi ultimi “non vengano sentiti solo all'occorrenza, ma costantemente nell'ambito di un progetto comune”.

Di enti gestori ha parlato anche Tommaso Conte (Germania), che ha contestato la relazione del sottosegretario ma soprattutto la gestione del capitolo 3153 da parte della Dg per la diplomazia culturale, che evita ogni confronto perché “non siamo una sua priorità”.

“Ieri in Commissione il consigliere Filippo Romano, responsabile dell'ufficio V, quando si parlava dell'identità culturale italiana, ci ha risposto “voi per noi non siete più un obiettivo prioritario”, cioè i corsi di lingua e cultura per la Dg che se ne occupa non sono più un obiettivo prioritario. Qui dobbiamo fare la rivoluzione”, ha aggiunto ricordando anche i tentativi di contatto fatti da Michele Schiavone con il Dg De Pedys. La richiesta di Conte, quindi, è che competenze e risorse in materia tornino alla Dgit. Quanto alla circolare e alla consultazione degli enti, Conte ha aggiunto: “nella relazione letta dal sottosegretario Silli lui scrive “abbiamo ascoltato gli enti gestori”; credetemi o non li hanno capiti o non li hanno ascoltati” perché quello che prevede la circolare li penalizza grandemente.

Walter Petruzziello (Brasile) ha ringraziato il Governo per gli aiuti al Rio Grande do Sul citando l’abnegazione del Console generale che “ha lavorato con l’acqua alla vita”.

La parola è poi passata al senatore Menia (FdI) che ha illustrato i due ddl che ha presentato in materia di voto all’estero e cittadinanza: criticato il voto per corrispondenza, le modifiche del Rosatellum e pure la “qualità” di alcuni dei rappresentanti eletti all’estero, Menia ha proposto il voto elettronico o, in alternativa, ai seggi.

Quanto alla cittadinanza, essa “non equivale al passaporto”: nei due articoli prevede la riapertura dei termini per il riacquisto dei cosiddetti “naturalizzati” e regole più severe per il riconoscimento tout court a cominciare dalla conoscenza della lingua. Il senatore ha parlato di compravendite, di “Black Friday delle cittadinanze”, soprattutto in Sud American, di “documenti falsificati” che “intasano i Comuni italiani”. E se uno dei primi diritti legati alla cittadinanza è quello del voto, alla luce del Premierato e della nuova legge elettorale che verrà approvata, un cambio di passo, per Menia, sarà fondamentale. “Quando si votò nel 2006 gli iscritti all'aire erano 3.106.000 quindi oggi abbiamo 4 milioni in più? Volete dirmi che sono emigrati 4 milioni di italiani in questi anni, quando l'Istat ci dice che la media dell'ultimo ventennio è stata di 71.000 emigrati l'anno? Oppure si tratta di passaporti comprati? Persone che potrebbero decisivi nell’elezione di un Premier?”. Con la riforma della cittadinanza che ora è in calendario in Senato, Menia ha invitato il Cgie a dire la propria per contribuire al dibattito, così come sul fronte del voto all’estero.

Dell’importanza degli “oltre 70 milioni di persone di origine italiana nel mondo che sono state e continuano ad essere una grande risorsa per il nostro Paese”, ha parlato Francesco Giacobbe (Pd) secondo cui “occorre agire in due direzioni: diffondendo lingua e cultura e anche tramite i servizi di cittadinanza”. Quando le cose funzionano “lo Stato sta solo facendo il suo dovere”, ha aggiunto richiamando l’attenzione anche sul “rafforzamento dell'interscambio anche economico finanziario fra l'Italia e i Paesi dove risiedono le nostre comunità”. Quanto alla cittadinanza e alla riapertura dei termini “se non si riforma ora la 91/92 tra poco non potrà goderne più nessuno”. Fondamentale anche “puntare sui giovani” rinnovando gli organismi di rappresentanza “ridefinendo un ruolo che fu disegnato quando il mondo era diverso da quello di oggi”.

Vincenzo Arcobelli (Usa) ha ricordato le rassicurazioni dell’anno scorso sull’apertura di una sede a Newark e annunciato che il prossimo 8 agosto, nello stesso giorno di Marcinelle, si terrà la prima commemorazione ufficiale a Monongah per ricordare la tragedia mineraria.

Gianluigi Ferretti, dopo aver stigmatizzato l’assenza di Silli andato via subito dopo la relazione, ha fatto le sue congratulazioni a Prodi e plaudito alla “caduta dell'occupazione della sinistra del Cgie”. Quanto alla cittadinanza “è già una bomba atomica ad orologeria: avrete letto, come ho letto io, che alcuni giudici, in assenza di titoli che comprovano la discendenza, hanno sentenziato che comunque essa era “verosimile” e quindi hanno concesso la cittadinanza. Una cosa orribile e tremenda”. Quanto al voto, “solo in Italia si parla di brogli e quindi facciamoci qualche domanda”.

Nello Gargiulo (Cile) ha invitato a riflettere anche sulle cittadinanze per stato civile, ha condiviso l’opportunità di richiedere la conoscenza della lingua per il suo ottenimento, prevedendo corsi gratuiti per chi è in difficoltà, e anche online per raggiungere tutti.

Contro la “strumentalizzazione del tema cittadinanza” da parte del centrodestra si è scagliato il consigliere Taddone (Brasile), nipote di cittadini italiani, nato in Brasile, che in un ottimo italiano ha sostenuto che il ddl del senatore Menia contiene molti errori che “creeranno confusione”. “Noi nati all'estero siamo cittadini dalla nascita: lo dice il codice civile del 1865, la legge del 1912, la Costituzione del 48 e la legge del 92, lo ribadiscono la Corte di Cassazione e, molto recentemente, la Corte costituzionale che ha ribadito che “la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario” e che “lo status di cittadino, una volta acquisito con la nascita, ha natura permanente ed è imprescrittibile”, ribadendo che “il principio di non retroattività della legge costituisce un fondamentale valore di civiltà giuridica”. Noi siamo stati abbandonati dallo stato italiano per molto tempo a causa di tanti motivi, ovviamente i problemi ci sono ma non si risolvono con una riforma della legge. Si risolvono con l'uso dei milioni di euro che i consolati ricevono tutti gli anni per fare le pratiche”. Per Taddone “il tema della cittadinanza è trattata così perché siamo noi nel Sud America: se questo fosse un fenomeno in Nord America o in Europa non sarebbe trattato così”, ha sostenuto il consigliere secondo cui ci sarebbe anche “del razzismo”. Quanto alle frodi, ci sono e vanno punite con gli strumenti a disposizione.

Da informatico Morello (Argentina) ha evidenziato i limiti del Prenot@mi – il portale per la prentoazione dei servizi consolari - dal punto di vista di data base, tema che verrà approfondito venerdì nella sessione dei lavori dedicati alla digitalizzazione.

Per Francesco Papandrea (Australia) i risutlati del Governo da un anno a questo parte sono stati “deludenti”. Il consigliere ha criticato la nuova circolare sugli enti gestori e richiamato l’attenzione sulla difccoltà di attivare le credenziali Cie all’estero. (m.c. aise/dip 19) 

 

 

 

Cosa fare per non perdere la pensione di invalidità

 

Un controllo sul conto, i soldi mancanti, la paura. A gennaio una settantenne di Agrigento ha notato che l’Inps non le stava più pagando la pensione di invalidità. Eppure, l’istituto non le aveva recapitato alcun preavviso.

Dopo aver smaltito lo spavento, l’anziana signora si è rivolta a Dossier per denunciare il fatto. Ed è stata abbastanza fortunata, visto che se avesse aspettato ancora un po’, i termini del ricorso contro la sospensione degli assegni sarebbero scaduti e l’anziana avrebbe perso per sempre la sua pensione di invalidità civile.

Ma non si trattava di un caso isolato: dopo aver raccolto la testimonianza, la testata ha scoperto che molti agrigentini avevano perso improvvisamente la propria pensione di invalidità. C’è poi il fronte di chi, pur avendo ricevuto i solleciti dell’Inps, non colma le lacune documentali che decretano la sospensione del pagamento.

Secondo i calcoli dell’Istituto, nel 2018 sono stati 36.763 i beneficiari delle prestazioni legate all’invalidità civile che hanno ignorato i solleciti.

Non era questo però il caso della settantenne agrigentina: “Lo scorso gennaio – racconta nella lettera a Dossier – è arrivato il solito estratto conto bancario, controllandolo mi sono accorta che nell’elenco dei movimenti, nella voce entrate, mancavano i versamenti dell’assegno della pensione di invalidità civile e della tredicesima. Mi preoccupo e chiedo a mio marito di informarsi con l’ufficio postale. Il giorno dopo scopriamo che la mia pensione era stata sospesa dall’Inps per la mancata comunicazione dei redditi, andiamo in un Caf che ci spiega le procedure per chiedere la ricostituzione reddituale per sospensione”.

L’obbligo di segnalazione

Come spiegato anche dall’operatore Caf alla pensionata, prima di sospendere il pagamento della pensione di invalidità civili, l’Inps deve inviare due comunicazioni al beneficiario. La prima serve a sollecitare la comunicazione dei redditi, mentre l’altra deve essere un avviso della sospensione del trattamento pensionistico. Comunicazioni che, racconta la donna, a lei non sono mai arrivate.

Le istruzioni del Caf hanno permesso all’anziana agrigentina di recuperare le somme arretrate (l’assegno mensile è di circa 400 euro), ma il rischio della prescrizione era dietro l’angolo. Inoltre, come spiega ancora la vittima della omessa segnalazione, “rimanere senza soldi per cinque lunghi mesi non ha fatto bene alla mia già precaria salute”.

Non un caso isolato

La testata ha chiesto ad alcuni Caf se il caso della signora fosse isolato o se anche altri pensionati si fossero ritrovati nella sua stessa situazione. Ne è emerso che molti agrigentini sono stati costretti a rivolgersi ai centri di assistenza fiscale per chiedere la riattivazione dei pagamenti sospesi.

Ma cosa è successo? In pratica, fino a pochi anni fa l’Inps mandava una lettera per ricordare ai pensionati di comunicare all’istituto i redditi, ma nel tempo questa prassi è stata spesso accantonata. La causa potrebbe non dipendere dall’Istituto ma dallo smarrimento della comunicazione nel tragitto, come avviene in altri casi.

Cosa fare per non perdere la pensione di invalidità

Cosa possono fare i cittadini per non perdere il diritto alla pensione di invalidità?

La legge non solo stabilisce un limite reddituale, ma impone anche ai soggetti beneficiari di comunicare all’Inps la propria situazione reddituale, qualora non siano tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi all’Amministrazione finanziaria o non la comunichino integralmente. Quest’obbligo di comunicazione avviene nei casi di:

* pensione di inabilità;

* assegno mensile di assistenza;

* pensione ai ciechi civili;

* pensione ai sordi;

* assegno sociale.

Come recuperare i propri redditi

Per ricostruire la propria situazione reddituale, l’interessato può rivolgersi a dei patronati oppure procedere in autonomia accedendo con Spid o Cie all’area personale MyINPS. A quel punto basta seguire il percorso “Home” > “Prestazioni e servizi” –“Servizi” – “Domanda di Prestazioni pensionistiche: Pensione, Ricostituzione, Ratei maturati e non riscossi, Certificazione del diritto a pensione” – “Variazione prestazione pensionistica”, attivando il successivo sottomenu: “Ricostituzioni/Supplementi” – “Ricostituzione pensione” – “Reddituale” – “Per sospensione art. 35comma 10bis D.L. 207/2008”.

Quando viene sospesa o revocata la pensione di invalidità

Dunque, ogni anno i titolari di trattamenti pensionistici per invalidità civile, sordità e cecità sono tenuti a comunicare ogni anno la propria situazione reddituale all’Inps e se questo non avviene:

* l’Inps deve comunicare un preavviso di sospensione tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno;

* il o la pensionata deve regolarizzare la posizione entro 60 giorni dalla ricezione della lettera;

* oltre questa scadenza, la pensione viene sospesa;

* Allo scadere di ulteriori 120 giorni dall’inizio della sospensione senza alcuna comunicazione da parte dei redditi, l’Inps revoca la pensione di invalidità.

Vale la pena sottolineare che anche in questo caso l’Istituto di previdenza deve notificare l’avvenuta sospensione tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. Adnkronos 1

 

 

 

Il concetto

 

Il primo trimestre di questo 2024 non ci ha consentito di formulare migliori prospettive. Allora, cosa capiterà? Sul fronte dell’economia, le preoccupazioni non potranno essere contenute. L‘Esecutivo Meloni dovrà, comunque, dimostrare la sua validità ”politica”. Le apprensioni per il futuro sono inversamente proporzionali alle realtà. Oggi si dovrebbe adottare un maggiore ”raziocinio” finanziario che, in ultima analisi, andrebbe a favorire quello spirito produttivo del quale siamo carenti. Prima di pensare ad altri sacrifici, ci sarebbero da favorire gli investimenti; avvantaggiando specifici cicli produttivi. La mancanza di liquidità porta a un’accentuazione della depressione che già ipoteca il futuro d’almeno una generazione. L’economia di un Paese non è facile da gestire. Lo riconosciamo. Ma non è neppure prudente rimandare, solo per spostarli nel tempo, provvedimenti che, in ogni caso, potrebbero essere evitati. Anche questo stato di “tensione” internazionale, non solo armata, ci preoccupa.

 

Le percentuali in caduta della produzione, le difficoltà a mantenere una concorrenza nei mercati internazionali hanno provocato un impoverimento “difforme”; che è quello più complesso da allontanare. Dato che non è possibile presupporre una nuova “civiltà dei consumi”, è indispensabile che s’incoraggi un sistema economico che sostenga gli imprenditori nell’investire per l’Azienda Italia. E’ inutile fare del problema una filosofia che non risolve. Le speculazioni internazionali, adesso, ancora meno.

 

 Siamo circondati da Paesi che palesano un’economia più stabile della nostra. Oggi, giacché la governabilità sembra “intoccabile”, è di fondamentale importanza agevolare, in tutti i modi, l’iniziativa privata che potrebbe offrire nuove possibilità d’assorbimento di forza lavoro favorendo, in definitiva, la ripresa di un mercato che, oggi, ha poco futuro. Sarebbe decisivo disgiungere l’economia reale dalla politica. Però i nodi verranno al pettine.  A pagare, come da sempre, sarà il Popolo italiano.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Scuole all’estero e turn over dei docenti

 

ROMA - Garantire il turn over sessennale per i docenti che prestano servizio presso le scuole italiane all'estero. A chiederlo è il deputato 5 Stelle Antonio Caso in una interrogazione ai Ministri degli affari esteri e dell'istruzione, Tajani e Valditara, alla luce delle novità annunciate dal titolare della Farnesina lo scorso 24 maggio.

In una nota del Ministero, infatti, Tajani commentava l’approvazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri contenente una disposizione che permetterebbe al personale scolastico in servizio all'estero di optare per un periodo continuativo di nove anni, sia nelle scuole italiane, sia nelle scuole europee.

“La modifica – richiama Caso nella premessa – interverrebbe sull'articolo 21 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, il quale dispone che “la permanenza all'estero non può essere superiore, nell'arco dell'intera carriera, a due periodi ciascuno dei quali di sei anni scolastici consecutivi, inclusi gli anni in cui ha luogo l'effettiva assunzione in servizio all'estero. I due periodi sono separati da almeno sei anni scolastici di effettivo servizio nel territorio nazionale”; pertanto, secondo la disposizione approvata, coloro che sono attualmente in servizio presso scuole italiane all'estero o scuole europee e che stanno per terminare il mandato sessennale, vedrebbero il proprio contratto prorogato di ulteriori tre anni”.

“Secondo il Ministro Tajani – continua il deputato 5 Stelle – la riforma risulta necessaria per garantire “la continuità didattica a vantaggio degli alunni delle scuole europee e per sanare una disparità di trattamento fra docenti italiani presso il sistema delle scuole europee e i docenti provenienti da altri Paesi Ue, il cui mandato è fissato in nove anni”; tuttavia, nonostante la corretta necessità di equiparare il mandato dei docenti italiani in servizio presso le scuole europee, non si comprende perché la modifica interessi anche i docenti in servizio presso le scuole italiane all'estero, in quanto queste professionalità vengono selezionate in maniera differente e sono regolamentati da normative diverse”.

“Infatti, - ricorda Caso – coloro che sono in servizio presso le scuole europee vengono designati dagli Stati membri secondo le direttive del Consiglio Superiore delle scuole europee, un ente intergovernamentale fondato con la “Convenzione recante statuto delle scuole europee”, ratificata dalla legge 6 marzo 1996, n. 151, mentre coloro che prestano servizio presso le scuole italiane all'estero, presenti in tutto il mondo e non solo in Europa, vengono selezionati da una graduatoria di merito formata a seguito della pubblicazione di un bando da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale”.

“La modifica introdotta – chiarisce il deputato – unificherebbe il mandato per tutti i docenti in servizio all'estero, senza distinzione tra scuole europee e scuole italiane all'estero, bloccando, tuttavia, il turn over previsto per legge per quest'ultimi, in quanto proprio a gennaio 2024 sono stati pubblicati i decreti direttoriali n. 4815/1762 e n. 4815/1763 per selezionare dirigenti scolastici, docenti e personale ATA da inviare all'estero, ma, a seguito della proroga introdotta nel sopracitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, i posti disponibili risulteranno molti di meno rispetto al fabbisogno stimato a inizio anno e, pertanto, i vincitori vedranno la propria possibilità di partire vanificata, nonostante abbiano partecipato e vinto un concorso, così come previsto a legislazione vigente”.

Caso, dunque, chiede ai Ministri se “siano a conoscenza dei profili suesposti e delle gravi conseguenze che la proroga introdotta senza distinzioni provocherà per tutti coloro che sono inseriti in graduatoria e sono in attesa di partire per poter prestare il proprio servizio all'estero” e “quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere affinché venga garantito il turn over sessennale per coloro che prestano servizio presso le scuole italiane all'estero, così come previsto dall'articolo 21 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64”.

(aise/dip 4) 

 

 

 

Monaco di Baviera: all’IIC mostra sui campionati europei con le figurine (fino al 15 luglio)

 

Monaco di Baviera – Quest’anno in Germania si terrà la 17^ edizione dei Campionati Europei di Calcio. Il campionato si aprirà  il 14 giugno con la partita Germania-Scozia a Monaco di Baviera. Per questa occasione l’Istituto Italiano di Cultura inaugurerà una mostra speciale giovedì 13 giugno, alle ore 19.00. La mostra si intitola “Deutschland-Italien: ein Klassiker. Fußballsticker erzählen die Geschichte der EM, ovvero Germania-Italia: un classico. La storia dei Campionati Europei di Calcio attraverso le figurine”. È un progetto elaborato ad hoc che unisce la narrazione alla parte visiva, ripercorrendo tutte le edizioni del Campionato Europeo, dalle sue origini fino a oggi, con diversi focus specifici e un’attenzione particolare verso le nazionali di Germania e Italia e i calciatori che hanno legato la loro carriera ai due Paesi. Saranno inoltre presenti sezioni dedicate alle squadre di Monaco, il Bayern Monaco e il Monaco 1860, per offrire al visitatore una straordinaria galleria di personaggi capaci di mescolare la passione del presente e il fascino del passato. Il percorso di mostra si configura come un racconto visivo e narrativo che attraverso figurine, album, card e materiale diventato di culto conduce tra eventi e personaggi rimasti impressi nella memoria collettiva. Alla narrazione che per le nuove generazioni può rivelarsi una scoperta sorprendente e affascinante si affianca un format che, proprio attraverso questi contenuti, permette d’indagare altre espressioni creative come la grafica e l’illustrazione. Con Mo’ Better Football sono protagonisti del progetto Gianni Bellini, il più importante collezionista al mondo di figurine sul calcio, e Simone Ferrarini, artista autore di una serie di disegni inediti realizzati appositamente. Di prestigio anche i partner, tra cui spicca la collaborazione con Panini che ha accolto con entusiasmo l’iniziativa. sia un elemento di crescente importanza nei rapporti tra Paesi e società civili, tanto più nel caso di due popoli appassionati come italiani e tedeschi. Questi appuntamenti arricchiscono un insieme di attività nel campo della cultura, della creatività, dell’innovazione che l’Ambasciata e la rete dei Consolati e degli Istituti di Cultura stanno curando in tutta la Germania nel corso del 2024. Un percorso di iniziative che da European Film Market, il grande mercato dell’audiovisivo in concomitanza della Berlinale, vissuto nel ruolo di “country in focus” giungerà a destinazione alla Buchmesse di Francoforte, dove saremo ‘ospiti d’onore’ dopo 36 anni”. Giulia Sagliardi, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera: “Germania e Italia sono Paesi accomunati da un’importante tradizione calcistica, che permea la società a tutti i livelli e che scalda i cuori di milioni di tifosi e tifose. Il Campionato Europeo di calcio in Germania – il cui calcio d’inizio sarà proprio a Monaco di Baviera – rappresenta una cornice davvero unica per condividere questa passione: con l’allestimento della mostra l’Istituto di Cultura di Monaco di Baviera aprirà i propri spazi al mondo del calcio, offrendo a visitatori e visitatrici l’occasione di approfondirne aspetti storici e culturali e di esplorare i rapporti tra le nazionali dei nostri Paesi.

L’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera invita all’apertura della mostra presso la sede nella Hermann-Schmid-Str. 8 (80336 München) giovedì 13 giugno alle ore 19.00. L’evento inizierà con una breve presentazione del progetto da parte di Marco Ferrero (Mo’ Better Football) e Gianni Bellini. A seguire, siete cordialmente invitati a visitare la mostra. Seguirà un buffet. Ingresso libero, registrazione obbligatoria presso Eventbrite.

Mo’ Better Football è un collettivo culturale, con forma di associazione, che fa incontrare la narrazione e il calcio trasformandoli in un generatore/contenitore in cui diverse espressioni creative danno vita a un racconto. Attraverso la realizzazione e lo sviluppo di progetti culturali, come rassegne, incontri, spettacoli teatrali, reading, mostre e altre forme espressive, il calcio diventa uno strumento e un linguaggio trasversale che abbraccia la storia, la scrittura e la grafica, l’illustrazione e l’approfondimento, oltre a trattare tematiche socio-culturali. L’associazione è stata fondata a Modena nel 2021 e fino a oggi ha prodotto e realizzato circa 25 progetti. Il gruppo di lavoro è composto da persone preparate, con esperienze professionali pluriennali nell’ambito della progettazione e della produzione culturale e con competenze differenti che permettono la gestione interna di curatela, copywriting, grafica, illustrazione e produzione di contenuti sia editoriali che audiovisivi. Dall’inizio dell’attività dell’associazione, i progetti realizzati sono stati produzioni autonome o co-produzioni sviluppate con enti e soggetti culturali sia privati che istituzionali, sia italiani che stranieri.

Gianni Bellini, dopo aver iniziato a collezionare figurine fin da bambino, a partire dagli anni Ottanta ha trasformato la sua passione facendola diventare un vero e proprio secondo lavoro. Un impegno fatto di studio e ricerca del materiale pubblicato in tutto il mondo e una vasta rete di corrispondenti in tutti i continenti, hanno fatto in modo che la sua collezione assumesse dimensioni sempre più significative e rendendolo oggi il più importante, e ovviamente maggiore, collezionista di album e figurine calcistiche al mondo. La sua collezione attualmente si compone di oltre 5.000 album provenienti da ogni angolo del pianeta, per oltre 4.000.000 figurine.

Simone Ferrarini (aka Collettivo FX) si occupa di “muralismo” con una particolare attenzione agli interventi nello spazio pubblico, ma il suo percorso da disegnatore inizia realizzando le azioni e i goal calcistici nel 1992 per il quotidiano “Il Resto del Carlino”. Il disegno del goal era una pratica molto diffusa sui principali magazine e quotidiani sportivi italiani fino agli anni ’90, che aveva come obiettivo quello di offrire al tifoso un’occasione per rivedere l’azione in un’epoca in cui la tv non era ancora così presente e il web non era diffuso. Oggi che le immagini consentono una fruizione immediata, disegnare i goal non ha più un senso divulgativo, ma ha cambiato la funzione dal “mostrare” al “capire”. In un’unica immagine si può sintetizzare e fissare l’intera azione che nel video è comprensibile solo in parte; a questo bisogna aggiungere la carica evocativa che il disegno porta con sé, rendendo iconico il momento del goal. (Inform/dip 7)

 

 

 

Sardi all'estero, serve un associazionismo al passo coi tempi

 

GINEVRA - L’associazionismo sardo nel mondo ha l’esigenza di decollare. E perché ciò sia possibile occorre passare dalla fase in cui, grazie anche al sostegno generoso della sua Regione, questo si è rivelato tra i più inossidabili e organizzati nel panorama italiano, a un’altra fase in cui sia capace di rispondere adeguatamente non solo alle attese dei corregionali sparsi nel mondo ormai da più generazioni, ma anche di giovare alla Sardegna. E ciò non solo nei problemi relativi allo spopolamento e all’invecchiamento della popolazione penalizzata sempre di più dalla perdita di risorse giovanili, ma anche di fronte alle sfide più ardue legate allo sviluppo economico e all’innovazione tecnologica, dall’approvvigionamento energetico alla transizione ecologica e quant’altro oggi sembra segnare le frontiere della modernità. Si tratta di problemi per la soluzione dei quali nel mondo dei sardi all’estero esistono risorse insospettate. A queste conclusioni, è giunto il Workshop di Bodio Ticino in Svizzera organizzato dalla relativa Federazione e dal locale circolo sardo sabato e domenica 8 e 9 giugno nella sede della municipalità locale, onorato anche dalla presenza delle autorità politiche locali coinvolte nelle manifestazioni collaterali di cultura sarda.

Più in particolare si è concordato sulla necessità di superare l’attuale fase di stallo della politica regionale che, attribuendo fin dall’inizio un ruolo all’emigrazione sarda, negli anni ha ottenuto un certo successo perché, a fronte di un investimento relativamente basso in denaro, si sono ottenuti interessanti ritorni in settori strategici dell’economia isolana, soprattutto in quelli turistico e agroalimentare oltre che nell’ambito della cultura di interesse regionale. Tuttavia, a ciò osta che le relative azioni protraendosi troppo a lungo in un quadro economico e sociale che ne ha già metabolizzato i vantaggi, rischiano di scadere in un assistenzialismo tutt’altro che produttivo basato sulla riproposizione costante di vecchi schemi e idee superate.

Queste linee sono state espresse nella relazione introduttiva del Presidente onorario della Federazione e Vice Presidente Vicario della Consulta Regionale dell’emigrazione, Domenico Scala. E poi sono state sviluppate dai coordinatori dei lavori, per primo da Leonardo Canonico, imprenditore ed economista, da tempo consulente della Federazione dei sardi in Svizzera per i problemi economici e fiscali, che ha illustrato una serie di proposte già cantierabili per una regione come la Sardegna che intendesse assicurarsene i vantaggi e alcune già presentate alle autorità locali. Una prospettiva questa che, nella visione del proponente, esalta il ruolo dell’associazionismo come strumento di mediazione e di collegamento non solo con la terra di origine, ma anche con le altre realtà geografiche in cui sono presenti e operativi i sardi conferendo così un’impronta più globale e universalistica alla stessa Sardegna.

L’altro relatore, Aldo Aledda, anche in veste di coordinatore del Comitato 11 ottobre, un think tank di iniziativa per gli italiani nel mondo oltre che esperto conoscitore del fenomeno dell’emigrazione sarda, si è soffermato a illustrare le potenzialità che vi potrebbero essere nei discendenti delle generazioni degli emigrati sardi per contribuire a risolvere i problemi dello spopolamento e della ripresa economica e sociale dell’isola attraverso il recupero delle risorse giovanili attualmente all’estero; e ciò anche alla luce della recente proposta di legge di istituzione di un visto permanente di residenza in Italia per questa parte di Italia nel mondo, oggi trattata con eccessivo sussiego dalle istituzioni e presentata di recente da alcuni parlamentari alla Camera dei Deputati.

I giovani partecipanti all’iniziativa, tenendo come punti fermi le conclusioni dei precedenti incontri di Zurigo-Lucerna e Ginevra-Losanna, hanno comunque voluto mettere in rilievo che dalle forze giovanili presenti in terra elvetica non ci si deve attendere una disponibilità illimitata a trasferirsi in Sardegna sia che si tratti dei più recenti expat sia dei discendenti delle prime generazioni di emigranti. Fatto questo, del resto, confermato dall’indagine con questionari effettuata nel corso dei vari Work Shop sui partecipanti tra i quali, pure a fronte del grande interesse per la terra di origine, neanche il 30% dichiara di avere progetti di rientro. Viceversa, nonostante vi sia qualche caso documentato di rientro di giovani, maggiore si è rivelata la disponibilità a investire in Sardegna, trasferire parti di attività e fornire eventuali consulenze professionali nelle materie di interesse regionale. E ciò naturalmente a condizione che il percorso del rientro sia bonificato dall’infausta pianta della burocrazia che tuttora lo ricopre quasi del tutto.

Tema dolente con cui è costretto a misurarsi chiunque voglia in qualche modo ritenersi parte integrante della comunità isolana e di quella nazionale è proprio il problema dell’atteggiamento delle istituzioni in cui si continuano a riscontrare tratti di sfiducia, se non di acrimonia, nei confronti dell’emigrazione italiana con l’utilizzo pervicace di strumenti burocratici in funzione punitiva e che, consciamente o inconsciamente, sembrano volti a ostacolare piani di rientro o di svolgimento di iniziative.

Il tema è stato trattato ampiamente da chi scrive, presidente del circolo sardi “Coghinas” di Bodio, che anche nella veste di dirigente sindacale che si occupa di immigrazioni straniere in Svizzera grazie alla quale ha potuto tracciare comportamenti comuni, ha illustrato le difficoltà che incontrano i sardi che intendono rientrare anche per brevi periodi nella propria isola intralciati anche nelle attività più semplici come cambiare moneta, ottenere qualche certificato a tacere di chi prova ad aprire un’impresa o trasferire un’attività; e ciò mentre relativamente alla conclamata opportunità di aprire le porte dell’isola a una fascia di pensionati svizzeri di alto livello ostacola la farraginosità del sistema sardo e italiana fatto di servizi complicati e mal gestiti con relativa perdita di preziose risorse per l’economia dell’isola. Difficoltà che, ha osservato ulteriormente il presidente Scala, si manifestano anche nei rapporti con l’associazionismo sardo gestito da burocrazie, sì volenterose e disponibili, ma spesso all’occorrenza sempre pronte a interfacciarsi con gli utenti con il volto più diffidente e garantista di cui sono capaci e atteggiamenti profondamente provinciali. In buona sostanza per raggiungere obiettivi all’altezza delle nuove missioni, oltre che un rinnovato rapporto con la sua Regione, giusta anche le osservazioni della Vicepresidente del circolo di Bodio, Michela Solinas, che ha contribuito alla riuscita dell’iniziativa favorendo il dialogo intergenerazionale, il mondo dell’associazionismo sardo necessita un aggiornamento a partire dalla sua geografia e dai suoi fini. Vale a dire un cambiamento che vada nel senso di incentivare e privilegiare le aggregazioni che siano in primo luogo rappresentative di comunità estese e, soprattutto, appaiano strutturate in modo che le loro finalità non siano costituite solo dal miraggio del contributo regionale da chiedere e sollecitare in tutti i modi in cambio di qualche iniziativa ricreativa o di corto respiro ma possiedano una ragione sociale al centro della quale sia ben ravvisabile e certo il legame con i problemi della Sardegna.

Tirando le somme della realizzazione di questo progetto che ha coinvolto tutte le organizzazioni dei sardi in Svizzera Domenico Scala, oltre che avere dato il giusto merito alla Regione che lo ha reso possibile, ha espresso la propria soddisfazione per la riuscita confermata anche dal grado di soddisfacimento della trentina di giovani selezionati per partecipare agli appuntamenti di ZurigoLucerna , Ginevra – Losanna e Bodio, come si evince dai questionari che fissano il gradimento al 90 per cento. Anche in qualità di Vicepresidente Vicario della Consulta, attualmente in carica, Scala si augura che questo tipo di iniziative non rimangano isolate e slegate o senza finalità precise limitandosi ad aggregare i giovani a scopi semplicemente conoscitivi ma siano perseguite più metodicamente e finalisticamente dalla stessa Regione perché in questo modo si creano i presupposti non solo per l’auspicato ricambio generazionale di cui ha bisogno l’associazionismo sardo ma anche per reperire le risorse e le disponibilità necessarie a rendere migliore la terra di origine, legandola anche alle nuove patrie elette dai sardi all’estero indispensabili in un mondo che diventa sempre più “glocale”.

Pietro Fadda, Presidente Circolo Culturale Sardo “Coghinas” Bodio TI (CH) 

 

 

 

Campagna di comunicazione del Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana

 

Genova - Presentata lo scorso maggio in occasione del compleanno del MEI – Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, dopo una prima fase di diffusione dei video spot sui social e sui media tradizionali, entra nel vivo a partire da oggi la campagna di comunicazione nazionale del MEI che vede testimonial protagonista l’attore e performer Luca Vullo, ambasciatore della gestualità italiana nel mondo. Lo spot sarà visibile oltre che in tutti i principali aeroporti e metropolitane italiani anche negli hotel, su taxi, autobus e totem cittadini.

Con 431 schermi posizionati in 80 stazioni della metropolitana delle città di Milano, Roma, Brescia e Genova; 290 schermi nei 12 scali aeroportuali di Genova, Torino, Milano, Bergamo, Verona, Venezia, Bologna, Roma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Trapani; e 3.036 schermi su 69 treni della metropolitana di Roma (linee A, B e Roma Lido), inizia oggi la fase più intensa della campagna di comunicazione “MEI – Le mie radici sono qui” che, grazie alla mimica dell’attore protagonista Luca Vullo, coinvolgerà in modo originale gli spettatori di tutta Italia invitandoli a visitare il museo genovese.

In questi video l’attore, attraverso lo straordinario linguaggio del corpo tipico degli italiani, comunica e fornisce agli spettatori tutte le informazioni necessarie alla visita usando esclusivamente i gesti delle mani e le espressioni del viso, supportate dai sottotitoli in diverse lingue (italiano, inglese, francese, portoghese e tedesco).

Luca Vullo, testimonial di questa campagna, è ambasciatore della gestualità italiana del mondo, meritevole di aver trasformato ciò che spesso viene visto come uno stereotipo folcloristico in un patrimonio immateriale della nostra cultura, che può essere studiato. Da diversi anni Vullo tiene infatti lezioni e masterclass in prestigiose università internazionali ed è ospite di Ambasciate, Consolati, Istituti Italiani di Cultura e teatri all’estero con il suo show “La voce del corpo” insieme a sua mamma Angela, dove analizza, con ironia e approfondimento socio-culturale, le differenze tra la gestualità italiana e quella degli altri Paesi. Collabora inoltre con Rai1 dove ogni domenica racconta con la gestualità le arie d'opera che hanno reso l'Italia famosa nel mondo. Vullo, che è stato un emigrato a Londra per quasi dieci anni, con i suoi progetti ha promosso all’estero le eccellenze “made in Italy" e incontrato le tante comunità italiane che ha raccontato con i suoi documentari socio-antropologici. Ecco perché il MEI ha deciso di realizzare proprio con lui una campagna promozionale davvero originale.

"Siamo profondamente convinti che accanto al grande rigore scientifico che ci viene riconosciuto, vada abbinato un approccio popolare e coinvolgente che consenta al nostro pubblico di essere preso letteralmente per mano per accompagnarlo a scoprire i segreti di uno scrigno unico”, commenta Paolo Masini, presidente della Fondazione MEI. “Luca Vullo rappresenta al meglio il senso che volevamo dare a questa operazione. Tener viva la memoria dell’enorme flusso di emigrazione che ha riguardato e riguarda i nostri connazionali, è un compito impegnativo, Stiamo, con l'aiuto di tanti, costruendo con passione e rigore la più grande narrazione popolare e collettiva di questo Paese. Restituirla al grande pubblico, accompagnandola con la gestualità strumento non solo di autoironia, ma primo fondamentale mezzo usato dai nostri emigranti per comunicare, è sicuramente un valore aggiunto".

Il MEI - Museo Nazionale dell'Emigrazione Italiana – è nato dall’accordo tra il Ministero della Cultura, la Regione Liguria e il Comune di Genova con la volontà di raccontare molteplici aspetti del fenomeno migratorio italiano dall’Unità d’Italia ad oggi. Il riallestimento multimediale è? visitabile all'interno della Commenda di San Giovanni di Pré, ristrutturata per l’occasione, e vive in stretta relazione con il Mu.MA - Istituzione Musei del Mare e delle Migrazioni e il Galata Museo del Mare. Da Genova milioni di italiani sono partiti diretti alle Americhe, all’Africa, all’Asia, all’Australia e all’Europa lasciando tutto per giocarsi un viaggio senza ritorno.

Il MEI è nato per ricordare questi migranti, raccontare le storie e i motivi della partenza da punto di vista umano, storico, sociologico. Un museo innovativo e multimediale, dove i visitatori possono interagire con spazi e oggetti e vivere esperienze immersive grazie allo stato dell’arte della tecnologia. Vedere, ascoltare, imparare e mettersi alla prova, negli allestimenti scenografici di uno degli edifici medievali più antichi della città. (aise/dip 12) 

 

 

 

Una piazza messaggera d’amore. Prima edizione del Premio Città di Spoltore

 

Pescara - Il 6 e il 7 settembre si terrà a Spoltore la prima edizione di Scrittura d’amore, festival letterario organizzato dall’Amministrazione Comunale di Spoltore assieme all’Associazione Abruzziamoci e In Service srls. “Con questa manifestazione” spiega il sindaco Chiara Trulli “intendiamo a portare Piazza D’Albenzio all’attenzione del mondo”. Il progetto rientra nell’ambito di INTERAMIAMOCI, la prima rete internet dei messaggi d’amore, che avrà presidi in varie parti del mondo e Piazza D’Albenzio di Spoltore sarà tra le prime “piazze messaggere d’amore” ad accogliere “fisicamente” l’iniziativa. È previsto il collegamento tra piazze reali e virtuali le cui evidenze e peculiarità saranno divulgate in tutto il mondo.

 

L’obiettivo degli organizzatori, Museo della Lettera d’Amore e Associazione AbruzziAMOci, è di promuovere l’unione dei popoli in nome dei messaggi dell’amore e di costituire un relativo Comitato internazionale che ogni anno deciderà di compiere un gesto simbolico, quello di portare i messaggi in un luogo abbisognevole. Verrà altresì sostenuto il progetto di proclamare nel pianeta un minuto di raccoglimento in cui venga condiviso il pensiero dell’amore verso tutti gli altri esseri umani e verso tutte le altre creature.

 

Il primo festival Scrittura d’amore prevede originali iniziative: quella di un premio dedicato al “romanzo d’amore”, intitolato alla memoria di Ugo Riccarelli, assegnato a scrittori che hanno dedicato particolare attenzione, nei loro romanzi, al tema dell’amore e il premio di poesia d’amore “Città di Spoltore”(dedicato a Marco Tornar, scrittore, traduttore, saggista abruzzese) a cui si partecipa stilando in qualsiasi lingua (se straniera o in dialetto, si deve accludere la traduzione in lingua italiana) una sola poesia d’amore, inedita, della lunghezza massima di 40 versi. Non è dovuta alcuna tassa di iscrizione o partecipazione e sono previsti premi in denaro. Il termine ultimo per partecipare è fissato al 30 giugno 2024. Per le informazioni: maxpamio@yahoo.it oppure 3279960722 o 3314075401.

 

Tra i maggiori scrittori italiani a cavallo tra i due secoli, Ugo Riccarelli ha dedicato molti suoi romanzi proprio al tema dell’amore, conseguendo i massimi consensi di critica e di pubblico. Nel 1998 ha vinto il Premio "Selezione Campiello" con il romanzo “Un uomo che forse si chiamava Schulz”, nel 2004 ha vinto il Premio Strega con “Il dolore perfetto”, il 7 settembre 2013, poco dopo la sua morte, ha vinto il Premio Campiello con “L'amore graffia il mondo” che, per la prima volta nella storia del concorso, è stato assegnato postumo.

 

La giuria composta da Lucilla Sergiacomo (Presidente), Milvia Di Michele, Massimo Pamio, Antonella Perlino, Marco Tabellione, presidente onoraria la vedova Riccarelli, professoressa Roberta Bortone, assegnerà, per l’anno 2024, a suo insindacabile giudizio, due riconoscimenti a scrittori italiani di particolare valore. L’altra sezione Città di Spoltore Poesia d’Amore è intitolato alla memoria di Marco Tornar. Marco Tornar (pseudonimo di Enrico Ciancetta) era nato nel 1960 a Pescara, dove è scomparso nel 2015. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Segni naturali (Bastogi, 1983), La scelta (Jaca Book, 1996), Sonetti d’amor sacro (Tabula fati, 2014); i romanzi: Rituali marginali (Bastogi, 1985), Niente più che l’amore (Sperling&Kupfer, 2004), Claire Clairmont (Solfanelli, 2010), Nello specchio di Mabel (Tracce, 2011), Lo splendore dell’aquila nell’oro (Tabula fati, 2013); il monologo teatrale Allegra per sempre (Tabula fati, 2011) e altri scritti, tra cui “Errando di notte in luoghi solitari” (Quaderni del Battello Ebbro, 2000). Ha curato l’antologia La furia di Pegaso. Poesia italiana d’oggi (Archinto, 1996) e tradotto opere di Henry James, Jane Alexander, Kate Field, Vernon Lee, SigridUndset, Constance Fenimore Woolson.

 

Nel 2017 l’edizione ragionata delle sue Opere, curata da Sandro Naglia per Tabula fati, è iniziata con la pubblicazione delle Poesie edite 1980-1992 e Poesie inedite 1985-2000, conclusa con il volume “La scelta e le altre poesie 1986-2014” (Tabula Fati, 2019). La giuria del Premio è formata da Nicoletta Di Gregorio (Presidente), Annamaria Giancarli, Enrico M. Guerra, Daniela Quieti, Stevka Smitran. Si partecipa al Premio Città di Spoltore “Marco Tornar” stilando in qualsiasi lingua (se straniera o in dialetto, si deve accludere la traduzione in lingua italiana) una sola poesia d’amore, inedita, della lunghezza massima di 40 versi. Non è dovuta alcuna tassa di iscrizione o partecipazione.

 

Possono partecipare anche i minori, studenti delle scuole di ogni ordine e grado, nel rispetto delle norme del bando. Per i minorenni l’autorizzazione a partecipare dovrà essere firmata da un genitore o da chi esercita la patria potestà. Il termine ultimo per l'invio dell'elaborato è fissato al 30 giugno 2024 (farà fede il timbro postale di partenza). Saranno assegnati i seguenti premi: Euro 250,00 al primo classificato, Euro 100,00 al secondo, Euro 100,00 al terzo; altri premi ai segnalati. Tra pochi giorni sarà svelato il logo della manifestazione, realizzato da un noto artista abruzzese appositamente per il Festival. G.P., de.it.press 13

 

 

 

 

A luglio le quattordicesime anche per i pensionati all’estero

 

Roma - “Come tutti gli anni a partire dal 2007 anche quest’anno arriva nel mese di luglio la Quattordicesima mensilità aggiuntiva alle pensioni. Con una Circolare che verrà emanata a fine giugno l’Inps fornirà tutti i dettagli dei pagamenti. È utile ricordare che questa somma aggiuntiva fu introdotta dal Governo Prodi nel 2007 ed estesa anche ai pensionati italiani residenti all’estero”. Così in una nota Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, che aggiunge: “la 14ma per le pensioni più basse sarà pagata anche quest’anno a quasi 50.000 nostri connazionali in una unica soluzione. Ogni anno sono circa 3 milioni e mezzo i pensionati in Italia e all’estero a cui l’Inps accredita la Quattordicesima, pagata contestualmente alla mensilità di luglio”.

“Tra i nostri connazionali residenti all’estero – spiega Porta – il 40% degli aventi diritto alla 14ma vive in Europa e il 60% nel resto del mondo (tra questi ultimi la maggioranza risiede in America Latina). Il pagamento d’ufficio riguarda i pensionati di tutte le gestioni pensionistiche sulla base dei redditi degli anni precedenti. L’importo della 14ma varia da un minimo di 336 euro a un massimo di 665 euro. Una buona parte dei pensionati italiani residenti all’estero in possesso dei requisiti avrà diritto, per motivi legati alla loro limitata anzianità contributiva in Italia, ad un importo medio di 437 euro (nonostante le nostre battaglie per modificare la normativa i contributi esteri non vengono presi in considerazione ai fini del calcolo e ciò comporta la concessione di una somma più bassa)”.

“Per beneficiare della Quattordicesima i pensionati residenti all’estero devono soddisfare due requisiti fondamentali, uno legato all’ età anagrafica e l’altro al reddito”, ricorda il deputato. “Infatti la 14ma è erogata a favore dei pensionati ultra sessantaquattrenni (64enni) titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e di altre gestioni previdenziali in presenza di determinate condizioni reddituali personali. Nel caso in cui si rientri nei requisiti richiesti, la quattordicesima spetta ai pensionati, anche per quelli residenti all’estero, in maniera automatica, senza che il beneficiario presenti richiesta all’INPS”.

“Per il 2024 il reddito complessivo individuale (vengono presi in considerazione nel calcolo anche i redditi esteri) deve essere fino a un massimo di 2 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, ovvero fino a 15.563 euro annui. Tuttavia – chiarisce Porta – se si percepisce un reddito complessivo entro 1,5 volte il minimo (11.672 euro annui per il 2024) gli importi spettanti sono di 437 euro per i pensionati che possono far valere fino 15 anni di contributi italiani, di 546 fino a 25 anni di contributi italiani e di 655 euro oltre 25 anni di contributi italiani. Va specificato che il calcolo sul reddito è individuale, e non coniugale”.

“Secondo le norme vigenti, - aggiunge il parlamentare dem – è riconosciuta la quattordicesima mensilità sui seguenti trattamenti previdenziali: pensione di anzianità; pensione di vecchiaia; pensione di reversibilità; assegno di invalidità; pensione anticipata. La quattordicesima viene riconosciuta in via provvisoria in presenza delle condizioni prescritte dalla legge e ai soggetti per i quali sono disponibili i dati reddituali nelle banche dati dell’Inps, e viene successivamente verificata dall’Inps sulla base dei redditi consuntivi non appena disponibili. Consigliamo quindi ai nostri pensionati residenti all’estero di rivolgersi a un patronato di fiducia per verificare l’eventuale diritto (per evitare futuri indebiti) e gli importi spettanti e soprattutto per fare domanda nel caso in cui l’Inps non liquidasse d’ufficio la prestazione. I pensionati che non ricevono la quattordicesima ma ritengono di averne diritto, - ricorda, concludendo, Porta - possono presentare la domanda di ricostituzione non solo “on line” ma anche presso gli Istituti di Patronato”. (aise/dip 13) 

 

 

 

Vignali sulla piattaforma Italea per il Turismo delle Radici

 

Roma – Il Direttore Generale del Maeci degli Italiani all’estero Luigi Maria Vignali è intervenuto nella trasmissione di Rai Italia, “Casa Italia” per parlare del portale ITALEA del turismo delle radici, un’iniziativa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Dgit) realizzata con i fondi del PNRR.  Una piattaforma innovativa che porta i viaggiatori delle radici, ovvero gli italodiscendenti, gli oriundi e gli italiani residenti all’estero, a scoprire i luoghi e le tradizioni delle loro origini. Il portale – spiega il servizio di Rai Italia – Prende il nome da “talea”, la tecnica utilizzata in botanica per la propagazione di una pianta, in quest’ottica si inserisce il progetto del turismo delle radici, di cui il Maeci è attuatore dal 2022, e che fornisce un insieme di servizi turistici, anche per agevolare il viaggio in Italia, grazie al lavoro di una fitta rete di professionisti, guide e ricercatori, che in ogni regione d’Italia assistono i viaggiatori. Il sito fornisce anche dei genealogisti per ripercorrere la propria storia famigliare. Inoltre all’interno del sito sono presenti 20 portali uno per ogni regione. Infine viene fornita l’Italea card, che consente di usufruire di sconti per viaggiare, soggiornare, acquistare prodotti locali e ad accedere ai musei all’interno della penisola. “Il lancio della piattaforma Italea.com è un momento importante  – ha esordito nel suo intervento Vignali – Il sito è in grado di mettere in contatto tutti quelli che vogliono venire in Italia, che vogliono tornare alle loro origini con dei professionisti del settore, che  possono organizzare il viaggio, possono aiutare a muoversi e a trovare esperienze. I risultati dell’iniziativa sono molto incoraggianti, perché l’attività promozionale sta partendo adesso, quindi a macchine ferme abbiamo già avuto 7000 utenti unici, 26mila visualizzazioni, centinaia di richieste di ricostruzione genealogica o di itinerari specifici. Quindi abbiamo un riscontro molto positivo. Viene inoltre apprezzato – ha continuato il Direttore Generale – il linguaggio semplice diretto, che siamo riusciti a veicolare attraverso la piattaforma ed attraverso i nostri esperti. Noi – ha aggiunto Vignali ricordando i servizi offerti dal portale  – vogliamo realizzare viaggi esperienziali, che emozionino, che riconnettano i nostri connazionali all’estero con le loro identità, quindi qualcosa di più profondo di un semplice viaggio turistico. La piattaforma è la vetrina del progetto del turismo delle radici, ci sono 20 siti regionali, ma all’interno vi sono anche vari servizi come il genealogista, l’esperto in esperienze gastronomiche e in esperienze culturali. Quindi una serie di figure che abbiamo contribuito a formare e a preparare, in modo che anche i piccoli comuni italiani, che si apprestano ad attendere questi turisti, che vengono dall’estero siano pronti e sappiano cosa offrire loro”. Durante la trasmissione si è poi parlato del fumetto di Simona Binni “Sotto lo stesso cielo”, dedicato al turismo delle radici e sovvenzionato dal Maeci. “I nostri connazionali potenziali turisti delle radici sono tutti molto importanti, – ha rilevato in proposito Vignali – però certo le nuove generazioni lo sono ancora di più, perché sono proprio loro che dovrebbero rivisitare i luoghi delle origini dei loro antenati. Noi vogliamo distribuire questo fumetto, che abbiamo presentato al salone del libro di Torino, nel circuito scolastico in Italia e all’estero. Il fumetto narra – ha spiegato il Direttore Generale – una storia universale, la storia di un’argentina, ma che potrebbe essere la storia di tantissimi giovani connazionali nel mondo, che attraverso i racconti dei nonni e dei loro genitori vivono storie che loro non hanno mai visto di persona. Questi giovani, attraverso questo viaggio romanzato raccontato nel fumetto, possono davvero riavvicinarsi ed ispirare altri giovani a venire in Italia”.  Sono state segnalate infine le prossime iniziative legate al progetto del turismo delle radici che si terranno nel mondo. “Si tratta – ha evidenziato Vignali – di eventi importanti, che coinvolgeranno centinaia di migliaia di italiani, in particolare a Toronto dove inizia questa festa italiana Taste of Italy. Vi sono già stati altri eventi, per esempio abbiamo sfruttato il passaggio della nostra nave scuola Amerigo Vespucci a Buenos Aires in Argentina, a Valparaiso in Cile, a Lima in Perù per promuovere il turismo delle radici. Poi – ha concluso il Direttore Generale – vi saranno ulteriori eventi. A fine giugno a San Paolo c’è la festa di San Vito, che coinvolgerà tantissimi connazionali; a settembre torneremo a Buenos Aires per la fiera internazionale del turismo e poi andremo al Columbus day a New York e alla festa degli italiani a Melbourne in Australia. Quindi una serie di iniziative per tantissimi italiani, dove verrà presentato il turismo delle radici e dove cercheremo di coinvolgere il più possibile i nostri connazionali.” (Lorenzo Morgia, Inform/dip 16)

 

 

 

 

 

Zum Weltflüchtlingstag. Die verschwiegene Zuflucht in Afrika

 

Jahr für Jahr belegt das UNHCR die herausragende Bedeutung Afrikas als Zufluchtskontinent. Warum sprechen wir trotzdem von einem Exodus nach Europa? Von Tobias Gehring

 

Jedes Jahr zum Weltflüchtlingstag am 20. Juni veröffentlicht das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR seinen Bericht „Global Trends“, der einen Überblick über weltweite Fluchtmigration bietet. Wer des Englischen mächtig ist und eine Internetverbindung hat, findet dort statistische Daten, die zeigen: Fluchtmigration ist in erster Linie Süd-Süd-Migration. Trotz des Krieges in der Ukraine leben laut dem diesjährigen Global-Trends-Bericht 75 Prozent aller Flüchtlinge in „low- and middle-income-countries“ Asiens, Lateinamerikas und Afrikas.

Gerade im Fall Afrikas lohnt sich ein näherer Blick. Oft als Ausgangspunkt einer „neuen Völkerwanderung“ nach Europa dargestellt, ist Afrika tatsächlich einer der bedeutendsten Zufluchtskontinente. Gegenwärtig beherbergen insbesondere Länder in Zentral- und Ostafrika wie Uganda (1,58 Millionen), der Tschad (1,10 Millionen) und Äthiopien (0,98 Millionen) zahlreiche Flüchtlinge. Und in jüngerer Vergangenheit, zwischen 1975 und 2022, haben allein die Länder Subsahara-Afrikas deutlich mehr Flüchtlinge aufgenommen als jede andere Weltregion.

Worüber wir sprechen, wovon wir schweigen

Doch Fakten wie diese fristen ein Nischendasein in öffentlichen Diskursen über afrikanische Fluchtmigration, die Afrika auf eine Position als Herkunftskontinent von Flüchtlingen reduzieren. Wir diskutieren in Talkshows über Fragen wie „Exodus aus Afrika – wer ist schuld?“, suchen Gründe für den „afrikanischen Flüchtlingsstrom, besonders nach Europa“ – und schweigen über Länder wie den Südsudan.

„Fast niemand flüchtete nach Europa. „

Über 2 Millionen Menschen sind aus dem ostafrikanischen Land, wo vor zehn Jahren ein Bürgerkrieg ausbrach, geflüchtet. Fast alle fanden Zuflucht in den Nachbarstaaten Uganda, Sudan, Äthiopien und Kenia. Fast niemand flüchtete nach Europa. Doch für solche Fluchtbewegungen innerhalb Afrikas gilt nach wie vor, was Marc Engelhardt 2015 im MiGAZIN konstatierte: „In Europa nimmt man davon keine Notiz.“

Oh, wie schrecklich ist Afrika

Wie aber kann es sein, dass öffentliche Diskurse die Position Afrikas im globalen Fluchtgeschehen derart verkennen? Warum halten sich Erzählungen von Völkerwanderung und Exodus, obwohl die meisten afrikanischen Flüchtlinge Afrika nie verlassen? Die geografische und soziale Distanz zu in Afrika statt in Deutschland und Europa lebenden Flüchtlingen mag zweifellos ein Faktor sein, der die Aufmerksamkeit fort von ersteren, hin zu letzteren lenkt. Doch möchte ich vorschlagen, Diskursives zuvorderst mit Diskursivem zu erklären: die Ausblendung innerafrikanischer Fluchtmigration mit dem ins kollektive Wissen eingeschriebenen Stereotyp vom „Katastrophenkontinent“ Afrika.

„Den Kern des Stereotyps bildet eine pauschalisierende Darstellung Afrikas als allerorten vom Elend geplagter Erdteil.“

Den Kern des Stereotyps bildet eine pauschalisierende Darstellung Afrikas als allerorten vom Elend geplagter Erdteil: „Afrika als ,Inkarnation apokalyptischer Krisen, Katastrophen, Miseren etc.? wird mit Phänomenen wie Korruption, ökonomischen oder militärischen Krisen, dem Genozid in Ruanda, Aids und Hungersnöten assoziiert“, so Ingrid Jacobs und Anna Weicker. Diskursbeiträge zu Fluchtmigration aus Afrika nach Europa bedienen dieses Bild in unschöner Regelmäßigkeit. „Afrikas demografische Katastrophe […] ist der eigentliche Motor hinter jenem ,biblischen Exodus‘ nach Europa, der jetzt allenfalls begonnen hat“, verkündet der Bayernkurier. Und die WAZ pflichtet bei: „Das wirtschaftliche Elend in Afrika nimmt zu, die Menschen stehen vor der Wahl: verhungern oder [im Mittelmeer] ertrinken.“

Gegensätze ziehen Flüchtlinge an

Zweitens wird mittels einer als othering bezeichneten Diskursstrategie der „Katastrophenkontinent“ Afrika als diametraler Gegensatz Europas konstruiert. „Afrika […] steht – explizit oder implizit – für das Gefährliche, Wilde, letztlich Irrationale“, schreibt der Afrika-Historiker Winfried Speitkamp. „Derartige Konstruktionen des ,Anderen‘ […] spiegeln europäische Selbstbilder von Modernität und Rationalität.“

„Ein Kontrast von Armut und Gewalt drüben, Wohlstand und Sicherheit hüben, übe eine unwiderstehliche Sogwirkung.“

Auch in populären Deutungen afrikanischer Fluchtmigration schlägt sich dies nieder. Ein Kontrast von Armut und Gewalt drüben, Wohlstand und Sicherheit hüben, übe eine unwiderstehliche Sogwirkung auf Abermillionen Afrikaner:innen aus. So bringt das Wissensportal Helles Köpfchen seinen jungen Leser:innen bei: „Weil sie ihrem Elend in Afrika entfliehen und an unserem Wohlstand teilhaben wollen, haben in den vergangenen Wochen tausende Afrikaner versucht, die[…] Grenze [der spanischen Exklave Ceuta] zu durchbrechen.“ Und was lesen Erwachsene beim Deutschlandfunk über Flüchtlinge? „Seit vielen Jahren versuchen sie, vor allem aus den Kriegs- und Krisengebieten in Afrika das sichere Europa zu erreichen.“

Doch die Rettung kommt von außen

Drittens und schließlich mündet das Stereotyp in die These, dass die Errettung aus der afrikanischen Not nicht aus Afrika, nicht von Afrikaner:innen kommen könne, sondern stets „the white mans burden“ war und ist. Darum kursieren in Diskursen über Entwicklung und humanitäre Hilfe noch immer klischeehafte Rollenmuster – „Schwarze als Hilfsobjekte, Weiße als strahlende Retter in der Not“. Und darum finden wir in Diskursen über Fluchtmigration die gleiche Rollenverteilung: Auf der einen Seite notleidende afrikanische Flüchtlinge, auf der anderen Seite europäische Seenotretter:innen, europäische Flüchtlingshelfer:innen.

„Schier unvorstellbar scheint für Patzelt, dass auch afrikanische Staaten afrikanische Flüchtlinge aufnehmen.“

Die Besetzung der Retter:innen-Rolle mit Afrikaner:innen sieht das Stereotyp hingegen nicht vor, ja, es macht sie nachgerade undenkbar. So prognostiziert der Politikwissenschaftler Werner Patzelt eine Massenmigration von Afrikaner:innen, die auf der Flucht vor ihrem Elend allesamt nach Europa ziehen: „Wohin auch sonst? Amerika ist etwas weit entfernt, der Mittlere Osten ist selbst ein Problemgebiet, und China ist eh schon voll besetzt.“ Schier unvorstellbar scheint für Patzelt, dass auch afrikanische Staaten afrikanische Flüchtlinge aufnehmen, ihnen eine Zuflucht bieten, sie, wenn man so will, retten könnten. Ein Land wie Uganda, das weltweit mit die meisten Flüchtlinge beherbergt, schafft es nicht einmal unter seine salopp verworfenen Alternativen zur alleinig verbleibenden rettenden Zuflucht in Europa.

Das Ungesagte sagen

Zu stark sind diese Parallelen, um sich als Zufälle abtun zu lassen. Sie künden von einem allgemeinen Erzählmuster: Dem „Katastrophenkontinent“ Afrika steht ein wohlhabendes, sicheres Europa gegenüber, das Afrikaner:innen rettet. Und sie zeigen dessen Übertragung auf den spezifischen Fall afrikanischer Fluchtmigration: Das Elend in Afrika wird zur Fluchtursache. Europas Wohlstand und Sicherheit machen es zum Ziel der Flüchtlinge. Und so ist Europa – nicht Afrika – die rettende Zuflucht. Das Stereotyp des Katastrophenkontinents trägt die Deutung afrikanischer Fluchtmigration als Völkerwanderung, schreibt sich darin fort.

Gleichsam eng verflochten sind dann aber auch die Gegenthesen zu der einen wie an der anderen faktenwidrigen Darstellung Afrikas und afrikanischer Fluchtmigration: Gerade weil Afrika kein „Katastrophenkontinent“ ist, gibt es in Afrika Länder, in denen Millionen Menschen Schutz und Zuflucht finden. Es gilt, dieses so oft Ungesagte öfter, lauter zu sagen. MiG 20

 

 

 

Regierungsbericht. Bedenken gegen Asylverfahren in anderen Ländern

 

Am Donnerstag beraten Bund und Länder, ob und wie Asylverfahren in Drittstaaten verlagert werden können. Nichtregierungsorganisationen lehnen das strikt ab. Auch ein Regierungsbericht formuliert vorrangig Bedenken: Ruanda- oder Albanien-Modell nicht denkbar.

Vor dem Treffen von Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) mit den Regierungschefinnen und -chefs der Länder haben mehr als 300 Sozial- und Menschenrechtsorganisationen appelliert, die Pläne zur Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten nicht weiter zu verfolgen. Diese Pläne funktionierten in der Praxis nicht, seien „extrem teuer“ und stellten „eine Gefahr für die Rechtsstaatlichkeit dar“, heißt es in dem am Mittwoch veröffentlichten Schreiben. Auch der für das Spitzentreffen erstellte Prüfbericht des Bundesinnenministeriums zählt vor allem Bedenken gegen die Umsetzung solcher Pläne auf. Eindeutig positioniert hat sich die Bundesregierung bislang aber nicht.

Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) hatte den Bundesländern im vergangenen Jahr zugesichert zu prüfen, ob die Prüfung von Asylverfahren auch in Drittstaaten möglich ist. Das Bundesinnenministerium hatte in der Folge 24 deutsche Sachverständige sowie Experten aus anderen Ländern angehört. Am Donnerstag beraten die Regierungschefinnen und -chefs der Länder mit Scholz über das inzwischen vorliegende Zwischenergebnis.

Der 17-seitige Bericht formuliert Skepsis. Die Anhörung Sachverständiger habe erkennen lassen, dass internationales und EU-Recht eine Feststellung des Schutzstatus Geflüchteter in Dritt- und Transitstaaten „zwar nicht grundsätzlich ausschließt“, heißt es darin. Viele Sachverständige hätten sich aber „skeptisch bis kritisch“ zu den tatsächlichen Umsetzungsmöglichkeiten geäußert.

Ruanda- oder Albanien-Modell nicht denkbar

Deutlich formuliert der Bericht etwa, dass das Bundesinnenministerium es nicht für denkbar hält, Modelle anzuwenden, wie sie zwischen Großbritannien und Ruanda sowie Italien und Albanien vereinbart worden sind. Unter den gegebenen rechtlichen und praktischen Rahmenbedingungen seien sie in dieser Form nicht auf Deutschland übertragbar. Der Bericht verweist im Fall von Ruanda beispielsweise auf Hürden durch EU-Recht, das für Großbritannien nach dem Austritt aus der Europäischen Union nicht mehr gilt. Unions- und FDP-Politiker hatten zuletzt ähnliche Modelle auch für Deutschland gefordert.

Wegen der geografischen Lage Deutschlands schließt der Bericht zudem aus, das Italien-Albanien-Modell zu kopieren. Anders als aus Seenot gerettete Schutzsuchende, die Italien nach Albanien bringen will, haben in Deutschland ankommende Flüchtlinge auch deutsches Hoheitsgebiet betreten, womit andere rechtliche Voraussetzungen gelten. Der jetzt vorliegende Bericht formuliert zudem weitere Bedenken, etwa zu den erwartet hohen Kosten, die man tragen müsste, damit Länder bereit sind, die Flüchtlinge aufzunehmen und ihre Fälle zu bearbeiten, oder sogar deutsche Asylverfahren ins Ausland zu verlagern.

Brief an Scholz

Ein eindeutiges Nein zur Verlagerung von Asylverfahren gibt es von der Bundesregierung aber bislang nicht. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) wolle das Thema zunächst mit den Ministerpräsidenten besprechen, sagte ein Sprecher am Mittwoch in Berlin. Gleichzeitig sagte er, dass für Faeser derzeit die Umsetzung der EU-Asylrefom Priorität habe. Zuvor hatte Faeser das italienische Vorhaben in Albanien als „interessant“ bezeichnet.

Strikt gegen die Auslagerung von Asylverfahren sind 309 Organisationen und Initiativen, darunter der Paritätische Gesamtverband, die Diakonie Deutschland, Sea-Watch und Terre des Hommes. In einem offenen Brief direkt an Bundeskanzler Olaf Scholz zeigen sie sich überzeugt, dass die Auslagerung „absehbar zu schweren Menschenrechtsverletzungen führen“ würde.

UNHCR meldet Skepsis an

Solche Pläne seien „unsolidarisch und menschenrechtlich bedenklich“, erklärte „Brot für die Welt“-Präsidentin Dagmar Pruin, deren Werk den Brief mit unterzeichnet hat. Zudem seien sie realitätsfremd, weil sich kein Land finden werde, das zur Aufnahme einer größeren Zahl von Flüchtlingen aus Europa bereit ist.

Klare Worte kommen auch von Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im Bundestag. Die Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten werde die Ämter und Kommunen nicht entlasten, sie werde aber enorme Kosten verursachen und noch dazu eklatante Menschenrechtsverletzungen mit sich bringen. „Das zeigen alle bisherigen Erfahrungen mit solchen Versuchen, und es gibt keinen Grund anzunehmen, dass dies künftig anders sein könnte“, so Bünger.

Skepsis kam auch vom UN-Flüchtlingshilfswerk (UNHCR), dessen Vertreterin in Deutschland unter den Sachverständigen für die Anhörung im Innenministerium war. Rückführungen oder Überstellungen in sogenannte sichere Drittstaaten seien nur dann angemessen, wenn wichtige Standards erfüllt sind, erklärte das Berliner Büro auf Anfrage. Dazu gehöre, dass diese Länder die Genfer Flüchtlingskonvention und die menschenrechtlichen Verpflichtungen in vollem Umfang respektieren. (epd/mig 20)

 

 

 

Regierung will Rechte von Missbrauchsopfern stärken

 

Mehr Rechte für Opfer sexueller Gewalt, besserer Schutz für Kinder: Dazu hat die Bundesregierung am Mittwoch einen Gesetzentwurf auf den Weg gebracht. Betroffene sollen damit ein Recht auf Akteneinsicht in Jugendämtern bekommen. Zudem soll das Amt der Missbrauchsbeauftragten aufgewertet werden. Die aktuelle Missbrauchsbeauftragte der Bundesregierung, Kerstin Claus, lobte das Gesetz.

„Die Bundesregierung verpflichtet sich damit, noch klarer die ressortübergreifenden Herausforderungen im Kampf gegen sexuelle Gewalt an Kindern und Jugendlichen strukturiert und umfassend anzugehen. Darüber werden der Kinderschutz und die Belange von Betroffenen konsequent weiter gestärkt", erklärte Claus in einer Pressemitteilung. Besonders bedeutsam sei, dass mit dem Gesetz nicht nur das Amt der Missbrauchsbeauftragten sondern ebenso auch der Betroffenenrat und die Unabhängige Aufarbeitungskommission dauerhaft gesetzlich verankert werden. „Es braucht diese seit Jahren so erfolgreich arbeitende strukturelle Trias auf Bundesebene, um auch weiterhin zentrale gesellschaftliche Impulse zu setzen und konkrete Maßnahmen im Kampf gegen sexualisierte Gewalt gegen Kinder und Jugendliche einzufordern", so Claus. 

„Kinderschutz und die Belange von Betroffenen konsequent weiter gestärkt“

Der Betroffenenrat sieht den Gesetzentwurf, der nun ins parlamentarische Verfahren gehen kann, als Schritt in die richtige Richtung: „Betroffene haben von je her über ihre Erfahrungen gesprochen und zu Recht insbesondere eine gesellschaftliche und staatliche Verantwortungsübernahme eingefordert. Dieser Gesetzentwurf, an dem wir im Rahmen der Verbändeanhörung selbst mitgewirkt haben, ist ein erster Schritt, dass Betroffenen nachhaltig Wege zur Gerechtigkeit eröffnet werden und der Staat die lang eingeforderte Verantwortung übernimmt.“

„Erster Schritt, dass Betroffenen nachhaltig Wege zur Gerechtigkeit eröffnet werden“

Akteneinsicht für alle gefordert

Die Unabhängige Kommission zur Aufarbeitung sexuellen Kindesmissbrauchs soll künftig regelmäßig einen Bericht vorlegen, in dem es um das Ausmaß sexueller Gewalt gegen Kinder und Jugendliche, Prävention, Unterstützungsangebote sowie Forschung und Aufarbeitung geht. Die Kommission erklärte, dies stelle sicher, „dass Betroffene sexualisierter Gewalt gehört und gesehen werden". Das Gesetz werde aber nicht allen Erwartungen gerecht:

„Keine Institution in Staat und Gesellschaft darf sich der Aufarbeitung verweigern“

„Nötig ist die weitere Stärkung der Rechte der Betroffenen auf Aufarbeitung. Keine Institution in Staat und Gesellschaft darf sich der Aufarbeitung verweigern. Das bedeutet vor allem, dass alle Betroffenen ein umfassendes Akteneinsichtsrecht haben müssen. Dieses darf nicht nur für die Kinder- und Jugendhilfe gelten, es muss sich auch auf andere Bereiche wie Schule, Sport und Kirchen beziehen." Die ehrenamtlich arbeitende Kommission müsse zudem finanziell und personell besser aufgestellt werden: „Nur so kann sie die zusätzlichen Aufgaben, die das Gesetz ihr anvertraut, erfüllen.“

Was das Gesetz vorsieht

Neben dem Betroffenenrat, der unabhängigen Aufarbeitungskommission und dem Amt der Missbrauchsbeauftragten will die Regierung auch einen Arbeitsstab  gesetzlich verankern. Der Bund will darüber hinaus ein Beratungssystem für Betroffene einrichten. Mit Aufklärung, Sensibilisierung und Qualifizierung wird laut dem Gesetzentwurf die Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung beauftragt. Die Anwendung von Schutzkonzepten soll für mehr Institutionen in der Kinder- und Jugendhilfe verpflichtend werden.

Nicht im Gesetzentwurf geregelt ist hingegen die Zukunft des Fonds Sexueller Missbrauch, der 2013 aufgelegt worden war. Er soll Unterstützung zur Bewältigung der Folgen von sexualisierter Gewalt in der Kindheit und Jugend gewähren. Betroffene können bislang Sachleistungen wie Therapien oder Bildungsmaßnahmen im Gesamtwert bis zu 10.000 Euro beantragen. (pm/kna 19)

 

 

 

Weltflüchtlingstag: Neue Rekordzahl von 120 Millionen Geflüchteten

 

Die Zahl der Menschen, die in diesem Jahr aus ihrer Heimat fliehen, beträgt weltweit 120 Millionen. Ein neuer Rekordwert und eine direkte Folge von Krieg und Konflikt in vielen Ländern. Dies geht aus dem neuen Global Trendbericht des UN-Flüchtlingshilfswerks UNHCR hervor, der am Vorabend des Weltflüchtlingstages veröffentlicht wurde.

Der Weltflüchtlingstag ist ein von den Vereinten Nationen eingerichteter Aktionstag, der seit 2001 am 20. Juni stattfindet. In einer Erklärung betont das UNHCR, „trotz eines Narrativs, das oft für Angst und Schrecken sorgt“ und dazu neige, „das tatsächliche Ausmaß der Flüchtlingsströme nach Europa zu überschätzen“, würden 75 Prozent der Flüchtlinge in Ländern mit nur mittleren oder niedrigen Einkommen aufgenommen. Was Italien betrifft, so seien Im vergangenen Jahr knapp 160.000 Menschen an den italienischen Küsten angekommen.

Die „Stärke der Inklusion“ soll im Mittelpunkt des Gedenktages stehen, die an diesem Mittwoch mit einer Veranstaltung eröffnet werden, die für 16.30 Uhr auf dem Luiss Campus in der Viale Pola 12 in Rom geplant ist. Teilnehmen werden Flüchtlinge, Vertreter von Institutionen, Vertreter der Privatwirtschaft und der Zivilgesellschaft. Die Eröffnungsrede werde Kardinal Matteo Maria Zuppi, dem Vorsitzenden der Italienischen Bischofskonferenz, halten.

Solidaritätskampagne #WithRefugees

Anlässlich des Weltflüchtlingstages werden im Rahmen der Solidaritätskampagne #WithRefugees elf italienische Städte ihre Denkmäler beleuchten. An der 2017 ins Leben gerufenen Initiative, die mittlerweile zu einer festen Veranstaltung in Italien und international bekannt ist, nehmen die Städte Agrigent, Ancona, Bari, Florenz, Genua, Neapel, Palermo, Turin, Triest, Verona und Udine teil.

Ein weiteres „ermutigendes Zeichen der Hoffnung und Solidarität“, erklärt das UN-Flüchtlingshilfswerk, stamme aus einer Umfrage, die UNHCR in 52 Ländern durchgeführt habe. Es gehe dabei um die Wahrnehmung von Flüchtlingen. Weltweit hätten sich 51 Prozent der Befragten überzeugt gezeigt, dass „die meisten Flüchtlinge, die in meinem Land ankommen, sich erfolgreich in ihre neue Gesellschaft integrieren“. Die Studie beweise aber auch, dass das Bild der Flüchtlingswahrnehmung komplex ist und je nach Frage und Standort der Befragten erhebliche Meinungsunterschiede bestehen.  (sir 19)

 

 

 

„Pakt für Willkommenskultur“. Visaverfahren für Fachkräfte stark beschleunigt

 

400.000 Menschen müssten jährlich nach Deutschland kommen, um die Zahl der Erwerbstätigen konstant zu halten, heißt es. Ein Bremsklotz waren bisher die Visa-Verfahren. Die Grünen wollen weiter vereinfachen.

Außenministerin Annalena Baerbock zieht ein positives Zwischenfazit des Aktionsplans für schnellere Visaverfahren für ausländische Fachkräfte. Bei der deutschen Botschaft im indischen Neu-Delhi habe man die Wartezeiten für ein nationales Visum mittlerweile auf zwei Wochen gebracht. „Früher lagen sie bei neun Monaten“, sagte die Grünen-Politikerin am Dienstag bei einem Arbeits- und Fachkräftekongress der Grünen-Bundestagsfraktion in Berlin. Die Fortschritte seien erreicht worden, weil die Verfahren digitalisiert und zentralisiert würden. Ziel sei es, bis zum Ende der Legislaturperiode im kommenden Jahr die Digitalisierung des gesamten Visaprozesses umzusetzen.

Das Bundesamt für Auswärtige Angelegenheiten (BfAA) in der Stadt Brandenburg, das die Auslandsvertretungen bei der Bearbeitung von Anträgen unterstützt, sei „schon jetzt die größte Visastelle für nationale Visa weltweit“, sagte Baerbock. Angesichts von 400.000 Menschen, die im Jahr nach Deutschland kommen müssten, um die Zahl der Erwerbstätigen in Deutschland konstant zu halten, gingen die Prognosen davon aus, dass die Zahl der nationalen Visa um etwa 63 Prozent steigen müsse.

„Pakt für Willkommenskultur“

Vor dem Hintergrund der schwierigen Verhandlungen für den Haushalt 2025 mit hohen Sparanforderungen von Finanzminister Christian Lindner (FDP) an ihr Ressort sagte Baerbock, die Visa-Bearbeitung müsse man weiter umsetzen können. Deswegen seien Investitionen und IT- und Personalausstattung nicht nur für das Auswärtige Amt, sondern für den Wirtschaftsstandort Deutschland eine so wichtige Aufgabe.

FDP-Fraktionschef an Baerbock: Richtige Prioritäten im Haushalt setzen

FDP-Fraktionschef Christian Dürr erklärte, wichtig sei nun, dass Baerbock „am Ball bleibt und in ihrem Haushalt die richtigen Prioritäten setzt, damit die Visavergabe weiter beschleunigt und digitalisiert wird“. Beschleunigte Visaverfahren seien ein Schlüssel für mehr Einwanderung in den Arbeitsmarkt. Wer aber neun Monate oder länger auf ein Visum warten müsse, entscheide sich vermutlich für ein anderes Land. „Es ist ein gutes Signal, dass die Koalition deutlich mehr Tempo in die Visavergabe gebracht hat. Damit bringen wir endlich Ordnung in die Migrationspolitik.“ Dürr fügte hinzu: „Wir brauchen Einwanderung in den Arbeitsmarkt, aber nicht in die sozialen Sicherungssysteme.“

Grünen-Fraktionschefin Katharina Dröge schlägt einen „gesellschaftlichen Pakt für Willkommenskultur“ vor. „Unternehmen, Beschäftigte und Politik sollten diesen Pakt gemeinsam schließen und dafür werben“, sagte sie der Deutschen Presse-Agentur am Rande der Tagung. „Dafür wollen wir die Hürden und den Zugang zum deutschen Arbeitsmarkt weiter vereinfachen. Und wir werben für eine politische Debatte, die auf das Schüren von Vorurteilen verzichtet“, ergänzte sie. Zusammen müsse daran gearbeitet werden, dass ausländische Arbeitskräfte sich in Deutschland wohl und sicher fühlten. (dpa/mig 19)

 

 

 

Sachverständige äußern Bedenken gegen Asylverfahren in Drittstaaten

 

Bei der bevorstehenden Ministerpräsidentenkonferenz geht es auch um die Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten. Während Unionspolitiker Kanzler Scholz zu einer Zusage drängen, melden Sachverständige und Menschenrechtsorganisationen erhebliche Bedenken an.

Wenn am Donnerstag die Regierungschefs der Bundesländer zusammenkommen, wollen sie auch über die Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten beraten. Die Bundesregierung will zum Treffen einen Zwischenbericht zum Thema vorlegen. Der stellvertretende Regierungssprecher Wolfgang Büchner sagte, dazu habe es Anhörungen Sachverständiger gegeben. Das Innenministerium stelle derzeit die Ergebnisse zusammen.

Gefordert wird Auslagerung von Asylverfahren von der CDU. Büchner sagte, das Für und Wider werde breit diskutiert. Er verwies auf Großbritannien, das Asylverfahren nach Ruanda auslagern will, und Italien, das entsprechendes mit Albanien plant. Das Vorhaben Italiens hatte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) zuletzt als „interessant“ bezeichnet.

Sachverständige haben Bedenken

Regierungsberater hingegen melden Bedenken und haben sie auch schon öffentlich gemacht. Der Vorsitzende des Sachverständigenrats für Integration und Migration, Hans Vorländer, erklärte, die bisherigen Vorschläge würfen „erhebliche politische, juristische und operative Fragen“ auf. Offen sei vor allem, wie sichergestellt werde, dass Asylbegehrende an der Grenze nicht zurückgewiesen werden dürfen. Das Prinzip der Nichtzurückweisung ist Bestandteil der Genfer Flüchtlingskonvention.

Maßgeblich für die Auslagerung von Asylverfahren ist Vorländer zufolge, dass die menschen- und asylrechtlichen Standards gewahrt werden. Die Suche nach Partnerstaaten gestalte sich deshalb außerordentlich schwierig, erklärte er. Asylverfahren könnten nur dann in einen Drittstaat verlagert werden, wenn dort politische Stabilität herrsche und es sich um einen Verfassungs- und Rechtsstaat handele, der über eine funktionierende Versorgungs- und Bildungsinfrastruktur verfügt. Zudem warnte er vor einer „allzu großen politischen Abhängigkeit von Drittstaaten“.

Vorländer und der stellvertretende Vorsitzende des Sachverständigenrats, Winfried Kluth, nahmen nach eigenen Angaben im Rahmen eines Sachverständigenaustausches im Bundesinnenministerium Stellung zu Überlegungen, Asylverfahren in sichere Drittstaaten auszulagern. Die Bundesregierung hatte den Bundesländern im vergangenen November bei der Ministerpräsidentenkonferenz zugesagt, zu prüfen, ob angesichts der hohen Zahl Asylsuchender der Schutzstatus von Flüchtlingen auch in Ländern außerhalb der EU geprüft werden könnte unter der Voraussetzung, dass die Genfer Flüchtlingskonvention und die Europäische Menschenrechtskonvention geachtet werden.

Hilfsorganisationen warnen vor Auslagerung

Nach Ansicht von Menschenrechts- und Hilfsorganisationen ist das nicht möglich. Sie warnen vor einer Auslagerung von Asylverfahren in Drittstaaten. „Die Auslagerung von Asylverfahren löst die bestehenden Herausforderungen europäischer Asylpolitik nicht, sondern verstärkt diese“, sagte die Asyl-Expertin bei Amnesty International in Deutschland, Sophie Scheytt, am Dienstag in Berlin zu einer gemeinsamen Stellungnahme von Amnesty, Pro Asyl, „Ärzte ohne Grenzen“ und „Brot für die Welt“. Scheytt nannte die Auslagerung von Verfahren in Drittstaaten eine „gescheiterte politische Idee“, die weder rechtlich noch praktisch möglich sei.

Laut einem Gutachten von Amnesty hat jede bisherige Maßnahme zur Auslagerung von Asylverfahren, die tatsächlich in die Praxis umgesetzt wurde, zu erheblichen Menschenrechtsverletzungen geführt. Darüber hinaus hätten solche Verfahren schwerwiegende gesundheitliche und psychische Folgen für die Menschen, gab der politische Referent für Flucht und Migration von „Ärzte ohne Grenzen“, Felix Braunsdorf, zu bedenken. So habe es in den Lagern in Nauru, in die Schutzsuchende von Australien, überstellt wurden, eine hohe Zahl von Suizidgedanken und -versuchen, darunter auch von Kindern, gegeben.

Die Bundesregierung hat sich zum Thema Auslagerung von Asylverfahren bislang nicht eindeutig positioniert. Die Unionsländer hingegen drängen die Bundesregierung zu konkreten Schritten. „Wir erwarten von Bundeskanzler Olaf Scholz klare Aussagen, wie Asylverfahren in Transit- und Drittstaaten außerhalb der EU stattfinden können“, sagte der hessische CDU-Ministerpräsident und Vorsitzende der Ministerpräsidentenkonferenz, Boris Rhein, am Wochenende der „Augsburger Allgemeinen“. Beim Ministerpräsidententreffen kommen die Regierungschefs der Bundesländer zunächst intern, dann zu Beratungen mit Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) zusammen. (epd/mig 19)

 

 

 

Afrika: „Staatenlosigkeit beenden“

 

Vor fast genau zehn Jahren hat das Flüchtlingswerk der Vereinten Nationen UNHCR die #IBelong-Kampagne gegen Staatenlosigkeit lanciert. Das Ziel: bis 2024 die Staatenlosigkeit weltweit weitgehend zu unterbinden und die Rechte betroffener Menschen zu stärken. Viel gibt es immer noch zu tun, berichtet der Erzbischof von Johannesburg, wo in diesen Tagen eine Konferenz mit Vertretern aus Politik, Zivilgesellschaft und Religion zum Thema stattfand.

Erzbischof Buti Tlhagale ist Mitglied eines interreligiösen Rates des UNHCR, der sich für Frieden einsetzt und Unterstützer der #IBelong-Kampagne zur Beendigung der Staatenlosigkeit in der Welt. Immerhin seien Regierungen das Problem in den letzten Jahren angegangen, so Tlhagale. In Afrika gebe es allerdings noch viel zu tun.

„Die Vereinten Nationen haben die Kampagne 2014 lanciert, dieses Jahr sind die zehn Jahre vorbei. Ich glaube allerdings nicht, dass die Ziele erreicht wurden, denn das Problem ist, dass einige Regierungen sich nicht an die Konvention angepasst haben. Das Problem wurde angegangen, aber wir sehen keine riesigen Anstrengungen, um Staatenlosigkeit vollständig zu beseitigen.“

„Wir sehen keine riesigen Anstrengungen, um Staatenlosigkeit vollständig zu beseitigen“

Schätzungsweise 19 Millionen Kinder unter fünf Jahren im südlichen Afrika haben laut einem UNHCR-Bericht des Jahres 2022 keine Geburtsurkunde. Auch heute noch würden in Afrika Kinder geboren, die nach ihrer Geburt nicht registriert würden, so Erzbischof Tlhagale. Behördliche Meldestellen lägen oft weit von den ländlichen Wohngegenden entfernt, nennt er nur eines der Hindernisse infrastruktureller Art.

Registrieren sollte Pflicht sein

Das Flüchtlingswerk der Vereinten Nationen ruft lokale Regierungen dazu auf, alle Kinder zu registrieren und ihnen eine Geburtsurkunde auszustellen. Denn ohne eine staatliche Zugehörigkeit haben sie keinen Zugang zu Bürgerrechten. Auch sind sie von Diskriminierungen und Missbräuchen unterschiedlichster Art bedroht, etwa von Kinderarbeit, Zwangsehen und Menschenhandel. Bischof Tlhagale ergänzt:

„Wenn man nicht als Bürger anerkannt ist, ist man aller Rechte beraubt“

„Wenn man nicht als Bürger anerkannt ist, ist man aller Rechte beraubt, die andere genießen. Du hast keinen Zugang zu Gesundheitsversorgung, weil du nicht sagen kannst, wer du bist, du hast keinen Zugang zu Bildung… Ich glaube nicht, dass wir den Schmerz und die Frustration einer jungen Person verstehen können, die sich ihrer Zukunft beraubt sieht, die nirgends hingehen kann, weil sie keine Dokumente hat. Das bedeutet es, staatenlos zu sein.“

Eine Frage der Menschenwürde - überall auf der Welt

Zu wissen, zu welchem Staat man gehöre, sei eine Frage der Menschenwürde, so der südafrikanische Erzbischof. Laut Tlhagale können Kirche und zivile Organisationen ihren Teil dazu beitragen, weltweit den Kampf gegen die Staatenlosigkeit zu beschleunigen:

„Ökumenisch und interreligiös müssen wir Wege und Mittel finden, um zu erreichen, dass Kinder registriert werden“

„Wir religiösen Führer müssen auch unsere Rolle spielen, gemeinsam mit den Nichtregierungsorganisationen, um das Phänomen zu beseitigen oder ein Bewusstsein für die damit verbundenen Probleme zu schaffen. Staatenlosigkeit raubt Individuen ihre menschliche Würde, sie entzieht ihnen menschliche Rechte, die für die meisten von uns selbstverständlich erscheinen. Ökumenisch und interreligiös müssen wir Wege und Mittel finden, um zu erreichen, dass Kinder registriert werden. Das Problem der Staatenlosigkeit ist nicht nur in Südafrika, sondern weltweit ein Problem, zu viele Menschen wissen nicht, wer sie sind.“

Südafrikas Kirche wendet sich deshalb mit Aufklärung und konkreter Hilfe über ihre diözesanen Netzwerke gezielt an nicht-registrierte Personen und Flüchtlinge. Auch versucht sie Einfluss auf lokale Gemeinschaften und Regierungen zu nehmen, um das Problem der Staatenlosigkeit zu erkennen und anzugehen.

(vn 18)

 

 

 

Gipfelerfolg, oder?

 

Die Friedenskonferenz in der Schweiz liefert eher magere Ergebnisse. Grund dafür waren insbesondere zwei unvereinbare Ziele. Christos Katsioulis

Im Schweizerdeutschen gibt es eine charmante Eigenheit. Menschen aus der Alpenrepublik beenden ihre Sätze sehr oft mit einem „oder“ und fügen somit ein Fragezeichen an ihre ansonsten recht klare Aussage. Das wäre vermutlich auch der passendste Titel für die Konferenz auf dem Bürgenstock gewesen: Gipfel für den Frieden, oder?

Es war die größte internationale Konferenz, die jemals von der Schweiz ausgerichtet wurde. Der „Gipfel für Frieden in der Ukraine“, wie das Treffen schlussendlich genannt wurde, versammelte Vertreterinnen und Vertreter von 92 Staaten und acht internationalen Organisationen im mondänen Bürgenstock am Vierwaldstädter See.

Das Ergebnis liest sich auf dem Papier eher mager und rechtfertigt damit das schweizerdeutsche Fragezeichen. Das Schlusskommuniqué ist zwar recht klar formuliert. Es fordert die Wiederherstellung der territorialen Integrität und Souveränität der Ukraine, Schutz der Atomanlagen und der Getreideexporte, ebenso wie die Rückführung ziviler Gefangener. Aber nur 80 der 92 anwesenden Staatenvertreter haben es unterzeichnet und unter den zwölf Absenzen sind ausgerechnet einige Schwergewichte der Konferenz, wie Saudi-Arabien, Mexiko, Indien und Südafrika.

Aber es wäre unfair, den Gipfel nur an den direkten Ergebnissen zu messen. Seit die Verhandlungen zwischen der Ukraine und Russland in Istanbul im April 2022 scheiterten, ist der Weg zum Frieden zwischen den beiden Ländern mit einer Reihe von Hindernissen versperrt. Nicht zuletzt die kurz vor dem Gipfel verkündeten Maximalforderungen von Präsident Putin illustrieren, wie gering die Bereitschaft Moskaus ist, sich auf Verhandlungen einzulassen, die notwendigerweise mit Zugeständnissen verbunden sind. Aus russischer Perspektive setzt er damit einen Kontrapunkt gegen den Zehn-Punkte-Plan des ukrainischen Präsidenten Selenskyj. Denn Teile aus diesem Plan formten die Agenda der Konferenz in Bürgenstock, eine Konferenz, die zudem auf Bitten Kiews von der Schweizer Präsidentin ausgerichtet wurde.

Die Unvereinbarkeit der russischen und der ukrainischen Positionen war von Beginn an bekannt, das sollte auch nicht Gegenstand des Treffens sein. Niemand hegte die Erwartung, dass dieses (oder irgendein anderes) Gipfeltreffen kurzfristig zu einer gerechten Lösung des Konflikts führen werde. Das Grundproblem des Gipfels war aber ein anderes: Er vereinte zwei Ziele, die miteinander inkompatibel sind. Einerseits sollte er Impulse für einen Friedensprozess zwischen Russland und der Ukraine setzen, andererseits war er eine Art Solidaritätstreffen für die Ukraine, um der Welt zu verdeutlichen, wie breit die weltweite Unterstützung für Kiew ist. Der Eindruck einer „Der Westen gegen den Rest“-Auseinandersetzung sollte mit einem möglichst diversen Gipfelfoto zerstreut werden. Gleichzeitig sollte nach Moskau signalisiert werden, dass Putin nicht der einzige ist, der von Frieden spricht und damit versucht, den Diskurs zu monopolisieren. Insofern ist der Gipfel doch gelungen, oder?

Im Wettlauf um die globale Aufmerksamkeit kann man Teilerfolge von Bürgenstock konstatieren. Allein der Umstand, dass eine Reihe von BRICS-Staaten anwesend war, zeigt, dass das weltweite Unbehagen über den russischen Angriffskrieg weiter reicht als nur in die direkte Unterstützerkoalition für die Ukraine. Das divers besetzte Gruppenfoto vor der eindrucksvollen Kulisse ist ein wichtiges Zeichen für die Aufmerksamkeit, die der Ukraine auch nach zweieinhalb Jahren Krieg weiter gewidmet wird. Problematisch ist dabei weniger das erwartbare Fehlen Russlands. Tiefer klafft die Lücke, die China hinterlässt, aber auch die Tatsache, dass der US-Präsident  Joe Biden vom G7-Gipfel in Italien lieber zu einem Fundraising-Event mit George Clooney und Julia Roberts nach Hollywood reiste als in die Schweiz.

Die Wahrheit ist allerdings, dass Russland trotz der vollmundigen Verhandlungsankündigungen, aber auch die Ukraine aufgrund des aktuellen Frontverlaufs weiterhin auf eine militärische Lösung des Konflikts setzen und der Ansicht sind, die Zeit ticke für sie. Für die Ukraine, deren militärische Strategie von der Unterstützung von außen abhängt, war das Treffen aber deutlich wichtiger als für Russland.

Mittelfristig kann der Gipfel an Bedeutung gewinnen, wenn in der Folge die Webfehler von Bürgenstock vermieden werden. Die Hoffnung war von Beginn an, dass diese Konferenz Teil eines länger andauernden Prozesses sein werde, der auch nicht bei null anfangen müsse. Gerade in den Themenfeldern Gefangenenaustausch, nukleare Sicherheit oder auch Getreideexporte gibt es bereits eine Reihe von direkten Gesprächsfäden zwischen Russland und der Ukraine. Der Fokus auf diese Themen ermöglicht daher eine von beiden Seiten akzeptierte und auch bereits praktizierte Modularisierung. Die Überfrachtung mit Erwartungen wird damit vermieden. Gleichzeitig sollen nach der Schweiz, die von Russland explizit nicht mehr als neutral wahrgenommen wird, andere Länder den Staffelstab übernehmen und ähnliche, aber inklusivere Gesprächsformate anbieten. Im Vorfeld war hier die Rede von Saudi-Arabien, was möglicherweise ein nachvollziehbarer Grund dafür ist, dass der saudische Außenminister das Schlusskommuniqué nicht unterzeichnet hat.

Denn ein Prozess, der langfristig zu erfolgversprechenden Verhandlungen zwischen der Ukraine und Russland führen soll, kann auf Dauer nicht ohne Vertreterinnen und Vertreter aus Moskau stattfinden. Dafür bedarf es auch eines anderen Formats und vor allem einer größeren Vertraulichkeit. Die mediale Aufmerksamkeit für das Event in der Schweiz, die Kommentierung jeder Zu- oder Absage im Vorfeld erzeugte den Eindruck, dass eine Teilnahme bereits mit Parteinahme verbunden sei. Das wollen viele Staaten nicht, sodass sie entweder gleich fernblieben oder eben keine gemeinsame Erklärung unterzeichneten. Der Unwille, sich für die eine oder die andere Seite zu entscheiden, ist vor allem außerhalb des Globalen Nordens weit verbreitet und es ist auch nicht sinnvoll, Staaten, die sich dem verweigern, pauschal dem anderen Lager zuzuordnen.

Daher muss auch der Ausgangspunkt des Folgeprozesses anders gewählt werden. Die Inspiration der Konferenz durch den Friedensplan von Selenskyj wirkte außerhalb des unmittelbaren Unterstützungskreises der Ukraine wie eine einseitige Parteinahme der Schweiz. Darunter litt die Akzeptanz dieses Formats von Beginn an, weil die doppelte Zielsetzung – Solidaritätsbekundung und Friedensprozess – verwirrend war. Gerade das erste Ziel drohte den Gipfel in ein Public Diplomacy Event zu verwandeln. Die terminliche Einbettung direkt nach der Ukraine Recovery Conference in Berlin und dem G7-Gipfel in Italien war in dem Sinne zusätzlich unglücklich.

Aber ein Prozess, mit dem Frieden nicht nur verhandelt, sondern auch gesichert werden kann, braucht einen anderen Kreis von Teilnehmerstaaten. Zugeständnisse von Russland, das aufgrund der Lage an der Front nur wenig Grund sieht, von seinen Maximalforderungen abzurücken, sind kaum zu erreichen, indem beispielsweise der Papst oder auch ein Vertreter von Costa Rica involviert werden. Hierfür bedarf es einer Reihe von Akteuren, die Moskau glaubhafte Angebote machen – und ebenso mit Sanktionen drohen – können, sprich vor allem China, die USA, aber auch die Türkei oder die Golfstaaten. Nur mit deren langfristiger Involvierung kann das Verpflichtungsproblem bei möglichen Abkommen mit Russland glaubhaft adressiert werden. Nur mit ihrer Mitwirkung kann die berechtigte Sorge eingehegt werden, Russland könnte sich an ein mögliches Abkommen nicht halten.

Vom Bürgenstock bleibt erstmal wenig, außer das Schlusskommuniqué und das Gipfelfoto. Dennoch hat die Schweiz die schwierige Gratwanderung zwischen ernsthaftem Friedensimpuls und Unterstützung für die Ukraine erfolgreich bewältigt. Die Erwartungen waren niedrig angesetzt und konnten daher nicht enttäuscht werden. Aber, ob es wirklich ein Erfolg war, wird sich erst in der Folge erweisen. Das Fragezeichen nach dem „Gipfel für den Frieden, oder?“ wird sich erst in den kommenden Monaten auflösen, wenn überhaupt. IPG 18

 

 

 

25 Jahre Europäische Hochschulreformen. DAAD würdigt Bologna-Prozess

 

Der Deutsche Akademische Austauschdienst (DAAD) würdigt anlässlich des 25. Bologna-Jubiläums am morgigen Mittwoch (19. Juni) die Errungenschaften der europaweiten Hochschulreform. Nach einem Vierteljahrhundert umfassender Umstrukturierungen betrachtet der DAAD den Europäischen Hochschulraum als nationalen und internationalen Erfolg. Bonn. „Vor 25 Jahren prophezeiten einige mit Beginn der Bologna-Reform den Niedergang des deutschen Hochschulsystems. Glücklicherweise kam es anders: Deutschlands Hochschulen erfreuen sich international großer Beliebtheit und konnten eine Vielzahl von Studierenden und Talenten anziehen, insbesondere aus bisher unterrepräsentierten Bevölkerungsgruppen. Heutzutage erfolgen 90 Prozent aller Abschlüsse in Deutschland im Bachelor- und Master-Format mit kürzeren Studienzeiten. Der Europäische Hochschulraum umfasst mittlerweile 47 aktive Mitgliedstaaten, in denen von Kasachstan bis Island, von Norwegen bis Malta fast 33 Millionen junge Menschen studieren – darunter über 1,5 Millionen international mobile Studierende in der EU“, erklärte DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato Mukherjee.

Studierende im Zentrum – ECTS als Währung

Die Bologna-Reform führte an den Hochschulen zu einem Paradigmenwechsel: Lehrpläne wurden verbindlicher, die Vermittlung von Kompetenzen wurde zum Leitprinzip und ECTS-Punkte zur „Währung“ des Lernens. Heute studieren fast drei Millionen Studierende in Deutschland effizienter und mit geringeren Abbruchquoten als vor 25 Jahren. Zugleich haben sich die deutschen Hochschulen erfolgreich für eine vielfältigere Studierendenschaft geöffnet und dienen als Vorbild für gesellschaftliche Integration. Vor der weitreichenden Umstellung auf Bachelor- und Masterstudiengänge lag die Zahl der Studierende um eine Million niedriger.

Zudem sorgte Bologna für internationale Sichtbarkeit: Derzeit studieren rund 370.000 internationale Studierende und Promovierende in Deutschland, die Bundesrepublik zählt somit zu den Top-Gastgeberländern weltweit. Ohne Bologna wäre ein solcher Erfolg bei der Anwerbung kaum erreichbar gewesen. Die international vergleichbaren Studienabschlüsse erleichtern zudem Auslandsaufenthalte für deutsche Studierende und die Anerkennung international erworbener Leistungen.

Ausbau der Mobilität und Reduzierung der Abbruchquoten

Neben den genannten Erfolgen gilt es laut DAAD, weiterhin an den Herausforderungen zu arbeiten: Um die Mobilitätsziele des Europäischen Hochschulraums zu erreichen – 20 Prozent auslandsmobile Absolventinnen und Absolventen – sind erhebliche Anstrengungen erforderlich. Ein konsequenter Ausbau des Erasmus-Programms ist ein erster Schritt, zudem bedarf es weiterer Verbesserungen bei der Anerkennung im Ausland erworbener Studienleistungen. Die Studienabbruchquote, besonders bei ausländischen Studierenden, ist nach wie vor zu hoch. Hier gilt es, die Hochschulen mit den notwendigen Mitteln für eine verbesserte Begleitung und Betreuung auszustatten.

Zugleich gelte es, die lange Linie der Entwicklung im Blick zu behalten, so der DAAD-Präsident: „Bologna und der Europäische Hochschulraum stehen exemplarisch für das, was Europa im besten Sinne ausmacht: Zusammenarbeit statt Abschottung, grenzüberschreitende Bildung statt nationaler Selbstbezogenheit und interkulturellen Austausch statt Nationalismus.“ Daad 18

 

 

 

Die Zeit danach

 

Um Frieden im Nahen Osten zu schaffen, muss man den Fanatikern auf beiden Seiten das Handwerk legen, meint die Tochter des Schriftstellers Amos Oz. Fania Oz-Salzberger

Als Israelin bin ich von den am 7. Oktober verübten Gräueltaten der Hamas unmittelbar betroffen. Dieser schwärzeste Tag in Israels Geschichte hat nicht nur mein Analysevermögen getrübt, sondern vor allem meine Hoffnungskraft. Ich teile mit vielen liberalen Israelis das Gefühl, dass mein lebenslanges Wirken für Frieden und Demokratie ebenso in Trümmern liegt wie die niedergebrannten Kibbuzim.

Wenn ich mich an ein internationales Publikum wende, könnte ich es mir einfach machen und als Stimme der Mäßigung und Vernunft auftreten. Ich könnte einmal mehr meine Vision einer Zweistaatenlösung vortragen, der ich anhänge, seit ich in den 1970er Jahren als Teenager gegen die ersten israelischen Siedlungen im Westjordanland demonstriert habe. Ich könnte die Hoffnung äußern, dass Israel und Palästina sich aus der Asche des nordwestlichen Negev und des Gazastreifens erheben und auf einen territorialen Kompromiss verständigen, Frieden schließen und ihre jeweilige Bevölkerung entradikalisieren werden.

Träume zu äußern und Horizonte zu skizzieren, kann nicht schaden. Aber ich muss auch klar und deutlich benennen, welche Stimmung unter den Israelis in meinem Milieu vorherrscht – sowie unter denjenigen, die nicht diesem Milieu angehören. Ich muss mich in die Lage der gemäßigten Palästinenserinnen und Palästinenser hineindenken und davon ausgehen, dass viele von ihnen im Interesse der eigenen Sicherheit lieber schweigen.

Eines kann ich jedoch nicht: Ich kann mich nicht in Palästinenser und Pro-Palästinenser hineindenken, die hoffen, mich umbringen oder vertreiben und mein Land vernichten zu können. Aus Sicht meines verstorbenen Vaters sah der einzige dauerhafte Kompromiss mit der Hamas so aus: Israel existiert immer nur montags, mittwochs und freitags und an den anderen Wochentagen nicht. Der gleiche Ansatz gilt für alle Hamas-Anhänger (in ihrer eigenen Diktion: alle „Pro-Palästinenser“), die Israel als unrechtmäßiges Kolonialprojekt betrachten. Mit ihnen kann ich über politische und historische Fakten debattieren, aber mit jemandem, der einen tot sehen will, kann man nicht versuchen, Frieden zu schließen. Deshalb erhebe ich meine Stimme ausschließlich für diejenigen, deren Ziel ein unabhängiges Palästina und ein sicheres und demokratisches Israel ist, die nebeneinander existieren.

Die Autoren eines auf dieser Website veröffentlichten Meinungsbeitrags haben der deutschen Regierung vorgeworfen, sie unterstütze allein aus der historischen Verpflichtung der Bundesrepublik gegenüber den Juden heraus ein verbrecherisches und 100-prozentig schuldiges Israel. Berlin wird vorgeworfen, die derzeitige Politik werde von einem außer Rand und Band geratenen Post-Holocaust-Autopiloten gesteuert. In dem Artikel kommt das Wort „Hamas“ nur einmal und die Oktober-Katastrophe zweimal vor – und zwar beiläufig als „die Geschehnisse des 7. Oktober“. Es wird die weit verbreitete Forderung wiederholt, den Krieg zu stoppen, aber das Schicksal der israelischen Geiseln wird nicht erwähnt. Ebenso wie viele, die „Free Palestine“-Flaggen schwenken, akzeptiert dieser Artikel, dass die Hamas weiter über Gaza herrscht, und legitimiert damit deren Plan zur Vernichtung Israels. Der Beitrag kritisiert, dass Deutschland die Bemühungen blockiere, die Lieferung von Waffen an Israel einzustellen – unabhängig davon, ob diese Waffen für die Selbstverteidigung gedacht sind; vermutlich als erster Schritt auf dem Weg zur kompletten Lossagung von Israel.

Ich sage in aller Deutlichkeit: Die Bundesrepublik Deutschland sollte über scharfe und entschiedene Sanktionen gegen Netanjahus Koalitionsregierung nachdenken, die ihr Recht, zu regieren, verwirkt hat. Diese Meinung teile ich mit 70 Prozent der israelischen Bevölkerung. Nicht wegen des maßlosen Leids, das diese Regierung Gaza zufügt – und das viele rechtschaffene Menschen in Israel nach wie vor nicht sehen können, weil sie selbst unter Schock stehen und traumatisiert sind –, sondern wegen der Verbrechen, die sie an ihrer eigenen Zivilbevölkerung verübt hat. Während die Welt auf die Kriegsverbrechen der israelischen Armee in Gaza schaut, sehen viele Israelis in dem Einsatz einen schrecklichen, aber absolut notwendigen Versuch, die Hamas zu zerstören. Manche von uns – auch ich – haben unsere Meinung geändert, als der Krieg sich in die Länge zu ziehen begann und die Zahl der zivilen Opfer in Gaza stieg. Entgegen unserer Erwartung gab es keine Neuauflage des Geisel-Deals im November und der humanitären Feuerpause. Im Inland haben Netanjahu und seine Minister die Familien, die Opfer zu beklagen haben oder um Geiseln bangen, beharrlich ignoriert (mit Ausnahme der wenigen, die zu Netanjahus politischer Basis gehören). Die Polizei, die sich unter Sicherheitsminister Ben Gvir radikalisiert hat, ging wiederum dazu über, bei Demonstrationen auf sie einzuschlagen.

Dass die Hamas das Leben sowohl israelischer wie auch palästinensischer Zivilistinnen und Zivilisten zerstört hat, ist offensichtlich. Allerdings fügt auch Israels Regierung beiden Gruppen Schaden zu – nicht auf so barbarische Weise wie die Hamas, sondern auf ihre eigene politisch-machiavellistische Weise. Natürlich stehen Netanjahu und Hamas-Führer Sinwar moralisch nicht auf einer Stufe, aber beide sperren sich gegen eine Beendigung des Krieges, weil beide ihre jeweiligen Eigeninteressen verfolgen und für das Leid ihres eigenen Volkes und erst recht für das Leid anderer blind sind. Für die Hamas war das von Anfang an Programm. Netanjahu verfolgt diese Politik, seit er 2020 wegen Korruption angeklagt wurde. Eine prominente Rolle spielt dabei seine gut geölte Inlandspropaganda-Maschinerie, die verhindert, dass in Israels Medien und Öffentlichkeit das Leid in Gaza diskutiert wird. Nur sehr wenige israelische Medien zeigen ihren Lesern bzw. Zuschauern das verheerende Leid, das unschuldigen Menschen auf der anderen Seite zugefügt wird.

Wie können die Freunde, die Israel noch bleiben, sich auf „die Zeit danach“ vorbereiten? Die vordringlichste Aufgabe ist, die gemäßigten Israelis und Palästinenser zu stärken. Die israelische Zivilgesellschaft, zu der jüdische und palästinensische Bürgerinnen und Bürger Israels gehören, hat im vergangenen Jahr große Widerstandskraft bewiesen, als sie sich gegen die demokratiefeindlichen Gesetze der Regierung stellte. Sie unterstützt einen Waffenstillstand, einen Geisel-Deal und eine politisch ausgehandelte Friedensperspektive für die Region. Der Zivilgesellschaft kann man zum Beispiel dadurch helfen, dass man sich dem akademischen Boykott gegen israelische Universitäten und Studierende widersetzt, dass man deutsche Straßen sowohl für Juden als auch für Israelis zu sicheren Orten macht und – auch das gehört dazu – Extremisten bestraft und abschiebt, die zur Vernichtung Israels und zur Tötung von Israelis aufrufen.

Laut aktuellen Meinungsumfragen, die Hochschulteams in Israel durchgeführt haben, wären über 50 Prozent der Israelis mit einer Zweistaatenlösung einverstanden, wenn das zukünftige Palästina entmilitarisiert und die ganze Region unter internationalen Schutz gestellt würde. Es mag sein, dass die bei dieser Umfrage gestellte Frage von einer allzu optimistischen Zukunft ausgeht, die eine israelische und palästinensische Führung voraussetzt, die nach wie vor schmerzlich fehlt. Trotzdem sind die Ergebnisse einigermaßen ermutigend. Wenn verlässliche Vorsichtsmaßnahmen getroffen würden, gäbe es einen Horizont für die Koexistenz Israels und Palästinas – zumindest auf israelischer Seite. Werden die Palästinenser mitziehen? Unter den palästinensischen Bürgerinnen und Bürgern Israels gibt es dafür eine breite Unterstützung. Sogar in Gaza gibt es Anzeichen für eine wachsende Akzeptanz der Zweistaatenlösung. Im Westjordanland ist das jedoch weit weniger der Fall.

Das Schlimmste von allem ist allerdings die globale „progressive“ Bewegung, die darauf drängt, Israel endgültig (und, wie es in den sozialen Medien vielfach heißt, „auf ewig“) zu delegitimieren. Man braucht einen Demonstranten, der „Free Palestine“ ruft, nur nach seiner Meinung zur Zweistaatenlösung zu fragen und kann an der Antwort eindeutig ablesen, ob der Betreffende für Frieden ist oder nicht. Diese einfache Frage zeigt die rote Linie zwischen Extremismus auf der einen Seite und einer konstruktiven Orientierung Richtung Zukunft auf der anderen.

Der eigentliche Riss, der den Nahen Osten und den Rest der Welt gefährdet, verläuft nämlich nicht zwischen rechts und links, westlich und nicht-westlich oder Juden und Arabern, sondern zwischen Gemäßigten und Extremisten. Betrachtet man die Ergebnisse der jüngsten Europawahl unter diesem Gesichtspunkt, so zeigt sich: Links- und Rechtsextremismus nähren sich gegenseitig und treiben die Fieberkurve in die Höhe, während die meisten gemäßigten Wählerinnen und Wähler untätig zu Hause geblieben sind, als würden wir in den 1920er Jahren leben. Wenn die Vernünftigen politisch träge sind, tun sie den Fanatikern den größtmöglichen Gefallen.

Israel hat diesen globalen Vormarsch des Extremismus eingeläutet (in unserem Fall ist er fast vollständig nationalistisch und/oder religiös geprägt). Netanjahu kam 20 Jahre vor Donald Trump an die Macht. Wir, die israelischen Friedensbefürworter, waren in den 28 Jahren, in denen fast durchgehend Netanjahu regierte, viel zu verschlafen. Man kann es nicht deutlich genug betonen: Netanjahu hat die Hamas stark gemacht, um die Palästinensische Befreiungsorganisation PLO und jeden anderen potenziellen palästinensischen Friedenspartner zu Fall zu bringen. Damit hat er den zunehmenden Fanatismus der Extremisten im eigenen Land befeuert und seine eigene politische Basis radikalisiert. Der jüdische River to the Sea-Fanatismus hat dem palästinensischen River to the Sea-Fanatismus nur zu gern Hilfestellung geleistet – in dem irrigen Glauben, an einem Krieg zwischen Gog und Magog führe kein Weg vorbei und dieser Krieg werde mit dem totalen, gottgewollten Sieg Israels enden.

Dabei wurde eines vergessen: Nach einem solchen Sieg wäre Israel nicht länger Israel. Ein kleineres Israel neben einem unabhängigen Palästina hingegen – abgesichert durch Entmilitarisierung und internationale Garantien – wird Israel näher an seine ursprüngliche Zweckbestimmung heranführen. Denn gedacht war es als ein liberaler, demokratischer Staat für die Juden, der seinen nicht-jüdischen Bürgerinnen und Bürgern die gleichen Bürgerrechte garantiert und Frieden mit seinen Nachbarn anstrebt, wo immer dies möglich ist.

Ich trage eine Mitverantwortung für diesen großen Fehler der Gemäßigten. Deshalb appelliere ich eindringlich an alle moderaten Kräfte, auf die Straße zu gehen – und fordere die gemäßigten westlichen Regierungen auf, zu helfen, Netanjahus Herrschaft mit demokratischen Mitteln zu beenden. Nachdem Benny Gantz jetzt aus der Regierung ausgestiegen ist, ist Netanjahus letztes moralisches Alibi dahin. Er muss mitsamt seinen Kumpanen entmachtet werden – nicht nur wegen des brutalen und zwecklosen Krieges gegen Gaza, sondern auch wegen seiner Todsünden gegen die eigenen Bürgerinnen und Bürger. Er hat mit Hilfe seines abscheulichen Propagandaimperiums die israelische Gesellschaft gespalten, einen hinterhältigen Anschlag auf Israels Demokratie und Gewaltenteilung verübt, unsere Sicherheit extrem vernachlässigt und Israels Wirtschaft und internationales Ansehen zerstört.

„Die Zeit danach“ wird nicht so aussehen, dass wir gleich am nächsten Morgen mit einer Zweistaatenlösung aufwachen. Dafür braucht es zuallererst einen Führungswechsel sowohl in Israel als auch in den palästinensischen Gebieten. Die neuen Führungsfiguren sollten vernünftige Männer und Frauen sein, die klug genug sind, um einen territorialen Kompromiss auszuhandeln, und charismatisch genug, um ihren Anhängern neue Hoffnung einzuflößen und ihre Vernunft zu reaktivieren.

„Ich bin weder für Israel noch für Palästina“, pflegte mein Vater zu sagen. „Ich bin für Frieden.“ Doch solange die Gemäßigten schwach bleiben, wird es einen Frieden der Gemäßigten nicht geben. IPG 18

 

 

 

„Ganz unten im System“. Lübbe: „Die Ausbeutung von Arbeitsmigranten hat in Deutschland lange Tradition“

 

Journalist Sascha Lübbe ist eingetaucht in eine parallele Arbeitswelt in Deutschland. Seine Recherchen und Beobachtungen hat er festgehalten in seinem neuen Buch „Ganz unten im System“. Er schreibt über eine Welt, in der ausländische Arbeiter im großen Stil ausgebeutet werden. Im Gespräch erklärt er diese halblegale Schattenwelt. Von Ekremenol

Knapp 40 Jahre nach Günter Wallrafs „Ganz unten“ schreibt Sacha Lübbe in seinem neuen Buch „Ganz unten im System“ über die Zustände in einer parallelen Arbeitswelt in Deutschland. Eine Welt, in der ausländische Arbeiter im großen Stil ausgebeutet werden; eine Welt, in der Arbeitsmigranten länger arbeiten als gesetzlich erlaubt, weit unter dem Mindestlohn verdienen und im Krankheitsfall gar kein Geld bekommen – eine halblegale Schattenwelt. Lübbe legt das System offen: auf dem Bau, im Schlachthof und auf deutschen Autobahnen. Im MiGAZIN-Gespräch erklärt er, warum Deutschland ein Land der Dumpinglöhne ist, wer sich daran bereichert, warum alle weggucken – und wie lange es solche Strukturen schon gibt.

Herr Lübbe, was hat Sie dazu inspiriert, dieses Buch zu schreiben? Gab es einen speziellen Auslöser oder ein bestimmtes Erlebnis?

Im Herbst 2022 besuchte ich für eine Reportage rumänische Bauarbeiter in einem Arbeiterwohnheim. Sie lebten in beengten Zimmern, mit heruntergekommenen Sanitäranlagen – Zustände, wie ich sie aus Asylbewerberheimen kannte; ein Thema, über das ich oft geschrieben habe. Und doch gab es einen Unterschied: Asylbewerber:innen sind in den Medien als Thema omnipräsent. Osteuropäische Arbeitsmigrant:innen hingegen tauchen nur sporadisch auf, etwa im Zuge der Corona-Pandemie. Sonst sind sie unsichtbar. Dabei sprechen wir von einer großen Gruppe von Menschen (Aktuell arbeiten 2,6 Millionen sozialversicherungspflichtig beschäftigte EU-Ausländer:innen in Deutschland), die extrem wichtig für die deutsche Wirtschaft sind. Diese Menschen übernehmen Jobs, für die sich in Deutschland kaum noch Jemand findet. Ohne sie würden viele Branchen vermutlich kollabieren.

Sie schildern im Buch sehr eindrücklich die Arbeitsbedingungen von Migrant:innen auf dem Bau, im Schlachthaus und auf deutschen Autobahnen. Wie haben Sie diese Geschichten recherchiert und welche Herausforderungen sind Ihnen dabei begegnet?

„Wer sich beschwert, läuft nicht nur Gefahr, seinen Job zu verlieren, sondern auch, auf der Straße zu landen.“

Ich habe mir zunächst Branchen herausgesucht, die nach einem ähnlichen System funktionieren: Große, renommierte Firmen, die an der Spitze stehen und die Arbeit an kleine, mitunter kriminelle Firmen auslagern – und sich damit ein stückweit der Verantwortung entziehen. Gespräche mit Organisationen wie Faire Mobilität, Arbeit und Leben und dem Peco-Institut gaben erste Anhaltspunkte, wo ich Protagonist:innen finden kann. Ich war beispielsweise eine Woche im sogenannten Fettfleck unterwegs, jener Region in Deutschland, in der die meisten Tiere geschlachtet werden, um mit Beschäftigten der Fleischindustrie ins Gespräch zu kommen. Ich war mehrmals auf einer Autobahnraststätte bei Berlin, um mit Lkw-Fahrern zu reden. Besonders in der Fleischindustrie war es schwer, Menschen zu finden, die bereit waren, über ihre Arbeit zu reden, selbst anonym. Man muss wissen: Viele Arbeitsmigrant:innen in diesen Branchen sind in extremen Abhängigkeitsverhältnissen gefangen. Meist hängt an der Arbeit auch die Unterkunft, bei Menschen von außerhalb der EU mitunter sogar das Recht, in Deutschland zu bleiben. Wer sich beschwert, läuft nicht nur Gefahr, seinen Job zu verlieren, sondern auch, auf der Straße zu landen. Im schlimmsten Fall muss er das Land verlassen. Viele bleiben da lieber still.

Können Sie uns mehr über das Ausmaß der Ausbeutung von Arbeitsmigrant:innen in Deutschland erzählen? Wie weit verbreitet ist dieses Problem und gibt es Zahlen, die das Ausmaß verdeutlichen?

In allen Branchen, die ich untersucht habe, gibt es das Problem: auf dem Bau, in der Fleischwirtschaft, im Transportwesen, der häuslichen Betreuung. In anderen Branchen mit hohem Migrant:innenanteil wie Landwirtschaft, Reinigung, Logistik, sieht es nicht besser aus. Ausmaß und Formen der Ausbeutung variieren von Branche zu Branche, es gibt aber Muster, die sich wiederholen: Viele Migrant:innen müssen deutlich länger arbeiten als gesetzlich erlaubt, sie erhalten oftmals kein Urlaubsgeld, kein Geld im Krankheitsfall, oftmals nicht den vollen Lohn. Viele erzählen von enormem Druck, den Vorgesetzte auf sie ausüben würden, bis hin zur Androhung von physischer Gewalt.

„Viel spielt sich in einer halblegalen Schattenwelt ab, die Menschen haben Angst, Vergehen zu melden.“

Es gibt Zahlen zu Ermittlungsverfahren im Bereich Arbeitsausbeutung, aber sie sind viel zu gering. Viel spielt sich in einer halblegalen Schattenwelt ab, die Menschen haben Angst, Vergehen zu melden. Schätzungen gibt es zum Thema Schwarzarbeit, in diesem Kontext ein großes Problem. Das Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung schätzt, dass bis zu 40 Prozent der Arbeitsleistung auf dem Bau schwarz erbracht wird. Es gibt Zollbeamte, die gehen davon aus, dass jede Baustelle in Deutschland von Organisierter Kriminalität betroffen ist. Man muss das wiederholen, weil es so unglaublich ist: Jede Baustelle. Inzwischen warnt der Zoll auch in der Paketbranche vor Ansätzen von Organisierter Kriminalität.

In Ihrem Buch sprechen Sie von einem „parallelen System“ in der deutschen Arbeitswelt. Können Sie erläutern, wie dieses System funktioniert und warum es bestehen bleibt?

Man kann sich das System wie eine Pyramide vorstellen: Oben die großen Firmen, in der Mitte die Subunternehmen, ganz unten die meist ausländischen Arbeiter:innen. Sagen wir, ein großes Unternehmen bewirbt sich um den Bau eines Wohnkomplexes. Es nimmt an einer Ausschreibung teil, gewinnt. Von der vereinbarten Summe behält es einen Teil ein, die Arbeit selbst reicht es an ein Subunternehmen weiter. Das behält ebenfalls einen Teil ein, reicht die Arbeit abermals weiter, an ein weiteres Subunternehmen. Auf jeder dieser Stufen bleibt Geld hängen. Beim vierten oder fünften Glied der Kette – dem Unternehmen, das die Arbeiten tatsächlich ausführt – fehlt schon ein beträchtlicher Teil der ursprünglichen Summe. Will man die Arbeiten legal ausführen, wird es eng. Also bezahlen viele Firmen ihre Arbeiter:innen schwarz, lassen sie unbezahlte Überstunden machen, setzen sie unter Druck oder schauen, dass sie sich über überhöhte Mieten für die Unterkünfte an ihnen bereichern. Es ist der Punkt, an dem es kippt. Die Verantwortung liegt natürlich auch bei den großen Firmen an der Spitze der Pyramide. Viele von ihnen wissen, wie die Subunternehmen agieren – und akzeptieren es stillschweigend.

Sie beschreiben Deutschland als Land der Dumpinglöhne – trotz gesetzlichem Mindestlohn. Was verdienen die Arbeitsmigrant:innen in ihrem Buch?

„In der Realität gibt es oft erhebliche Abweichungen zwischen offiziellen Stundenabrechnungen und tatsächlich geleistete Arbeitsstunden.“

Das variiert. Grundsätzlich muss man sagen: Die Einführung des gesetzlichen Mindestlohns 2015 hat viel bewegt. Arbeiteten Arbeitsmigrant:innen vorher mitunter für zwei bis vier Euro pro Stunde, bekommen sie inzwischen den Mindestlohn. Zumindest auf dem Papier. Das ist das Problem: In der Realität gibt es oft erhebliche Abweichungen zwischen offiziellen Stundenabrechnungen und tatsächlich geleistete Arbeitsstunden. Das hat auch etwas mit der Verfasstheit der Menschen zu tun. Man trifft auf dem Bau beispielsweise Menschen, die monatlich 2.500 Euro verdienen (wenn auch schwarz), weil sie sich behaupten können. Es gibt aber auch Menschen, bei denen es keine 1.000 Euro sind. Ihnen wird ihr Lohn vorenthalten oder nur zum Teil ausgezahlt – weil sie zu schwach sind, sich zu wehren. Das ist das Problem an diesem Bereich: Da er schwer für Gewerkschaften und Behörden zugänglich ist, kann man ihn nur schwer kontrollieren.

Besonders die Fleischindustrie hat während der Corona-Pandemie negative Schlagzeilen gemacht. Der Gesetzgeber hat darauf reagiert. Wie sind Ihre Beobachtungen? Hat sich seitdem etwas geändert?

In der Fleischbranche ist man gegen den Kern des Problems vorgegangen: das Auslagern der Arbeiten an Subunternehmen. Die Bedingungen in der Branche waren extrem: Die Menschen arbeiteten bis zu 16 Stunden, teilten sich zu sechst ein Zimmer, angestellt waren sie über Subunternehmen. In der Fläche sind diese extremen Formen der Ausbeutung vorbei. Seit 2021 gilt das Arbeitsschutzkontrollgesetz, große Unternehmen müssen Mitarbeiter:innen in ihrem Kerngeschäft seitdem fest anstellen. Das Gesetz wurde kürzlich positiv evaluiert. Extreme Überstunden gebe es nicht mehr, Beratungsstellen sagen, es sei jetzt einfacher, Verantwortliche zu erreichen. Das Gesetz gilt gemeinhin als Erfolg. Und das zurecht.

„Es besteht, die Gefahr, dass man nicht mehr hinsieht, denkt, dass in der Branche alles in Ordnung ist. Das ist es nicht.“

Zugleich sehe ich ein Problem. Es besteht die Gefahr, dass man nicht mehr hinsieht, denkt, dass in der Branche alles in Ordnung ist. Das ist es nicht. Auch wenn die Ausmaße nicht mehr so groß sind wie vorher: Man trifft immer noch Menschen, die länger arbeiten als erlaubt, die in schimmeligen Wohnungen untergebracht sind, die man mit falschen Versprechungen nach Deutschland gelockt hat. Zudem gilt das Gesetz nur für den Kernbereich der Branche, das Schlachten, Zerlegen, Verarbeiten des Fleisches. Nicht aber für Arbeiten, die noch in einem Schlachthof anfallen. Das Reinigen der Geräte zum Beispiel. Hier sind die Menschen immer noch bei Subunternehmen angestellt, hier gibt es immer noch viele Probleme.

Sie schreiben von systematischen Problemen. Was meinen Sie: Ist das so gewollt – zumindest in Teilen?

Die Ausbeutung von Arbeitsmigrant:innen hat in Deutschland lange Tradition. Bei der Recherche stieß ich auf eine Dissertation über polnischsprachige Wanderarbeiter:innen in der deutschen Landwirtschaft aus dem Jahr 1914. Da ging es um falsche Versprechungen, heruntergekommene Wohnungen, um Deutsche, die sich an den ausländischen Arbeiter:innen bereichern – all das ließe sich 1:1 auf heute übertragen.

„Viele Bürger:innen denken nicht darüber nach, unter welchen Bedingungen die Menschen leben, die hier Wohnungen bauen, Gebäude reinigen und Pakete transportieren.“

Natürlich halten sich diese Zustände ein stückweit, weil es Menschen gibt, die von ihnen profitieren. Aus rein wirtschaftlicher Sicht macht es – zumindest auf den ersten Blick – ja auch keinen Sinn, die Arbeitsbedingungen der Migrant:innen zu verbessern. Es würde Mehrausgaben bedeuten. Dass sich bestimmte Zustände nicht ändern, hat aber noch mehr Gründe. Die Menschen, um die es hier geht, haben keine Lobby, vielen haben Angst, mit ihren Geschichten an die Öffentlichkeit zu gehen. Zudem fehlt der gesellschaftliche Druck. Viele Bürger:innen denken nicht darüber nach, unter welchen Bedingungen die Menschen leben, die hier Wohnungen bauen, Gebäude reinigen und Pakete transportieren.

Welche gesetzlichen und strukturellen Änderungen wären notwendig, um die Situation der Arbeitsmigrant:innen zu verbessern?

Das geplante Tariftreuegesetz auf Bundesebene scheint mir ein guter Ansatz zu sein. Öffentliche Ausschreibungen des Bundes, etwa beim Wohnungsbau, dürften dann nur noch an Unternehmen gehen, die Tariflohn zahlen. Ebenfalls sinnvoll wäre ein Verbandsklagerecht im Arbeitsrecht. Organisationen wie Gewerkschaften könnten Arbeitgeber, die gegen Gesetze verstoßen, dann verklagen, ohne dass die geschädigten Arbeitnehmer:innen direkt involviert sind. Das würde die Hürden, rechtliche Schritte einzuleiten, für sie wahrscheinlich senken. Sinnvoll wären auch Beratungsstellen im Ausland und ein Fokus auf aufsuchender Arbeit in den Unterkünften in Deutschland. Es gibt hier zwar viele Beratungsangebote für Arbeitsmigrant:innen. Aber nicht jeder kennt sie.

Im Buch beschreiben Sie auch über konkrete Arbeitsbedingungen. Können Sie ein paar Beispiele nennen, die die Arbeitsbedingungen vor Augen führen?

„Es gibt Geschichten von Menschen, denen wurde über Stunden verboten, zur Toilette zu gehen.“

Nehmen wir das Beispiel Bau: Viele Menschen, mit denen ich gesprochen habe, arbeiten unter der Woche zehn Stunden, samstags nochmal fünf. Wir sprechen von harter, körperlich anstrengender Arbeit. Einige von ihnen trugen körperliche Schäden davon. Beschäftigte in der Fleischindustrie berichteten immer wieder von ungeheurem Druck, den Vorarbeiter auf die Arbeiter:innen an den Bändern ausüben. Es gibt Geschichten von Menschen, denen wurde über Stunden verboten, zur Toilette zu gehen. Mit am erschreckendsten fand ich die Bedingungen im Straßentransport. Ich habe zwei usbekische Lkw-Fahrer porträtiert. Die arbeiteten bis zu 15 Stunden am Tag, schliefen jede Nacht in ihren Wagen. Einer hatte seine Kinder seit einem Jahr nicht gesehen. Ein entwurzeltes Leben. Erschreckend sind nicht nur die Arbeits- sondern auch die Lebensbedingungen. In Fürth war ich in einer Zwei-Zimmer-Wohnung, in die hatte ein Vermieter sieben rumänische Bauarbeiter gesteckt – und jedem einzelnen 350 Euro Miete abgeknöpft. Er hatte den Männern befohlen, die Jalousien unten zu lassen, damit man die Zustände von außen nicht sehen kann.

Wie reagieren die betroffenen Arbeiter:innen selbst auf ihre Situation? Gibt es Widerstand, Resignation, Hoffnung?

Es gibt schon viel Resignation. Diese Menschen leben teils seit Jahren in Deutschland. Sie bekommen mit, dass ihre Arbeitsbedingungen hin und wieder Thema sind – und sich oftmals doch nichts grundlegend ändert. Der Eindruck, der entsteht: Windige Firmenchefs kommen in Deutschland mit allem durch. Aber es gibt natürlich auch Widerstand. Im versteckten, etwa, wenn sich Arbeiter:innen in Online-Foren vor schlechten Arbeitgeber:innen warnen. Oder im Großen, in Form von Streiks. Letztes Jahr legten die Fahrer eines polnischen Spediteurs zwei Mal über Wochen die Arbeit nieder, parkten ihre Lkw auf einem Rastplatz im hessischen Gräfenhausen. Das hat zwar das öffentliche Leben nicht zum Erliegen gebracht, aber es war wichtig: Es hat die Arbeits- und Lebensbedingungen der Fahrer öffentlich gemacht.

Ihr Buch thematisiert auch die Rolle der Konsument:innen in diesem System. Was können wir als Gesellschaft tun, um Veränderungen zu unterstützen?

„Bei allen Beispielen, mit denen ich mich auseinandergesetzt habe, waren die Arbeitsbedingungen schwierig bis kriminell.“

Das ist von Branche zu Branche verschieden. Am einfachsten ist es in Sparten, in denen man mit einer Kaufentscheidung direkt Einfluss nehmen kann, etwa in der Fleischindustrie. Man kann sich informieren, welcher Schlachtbetrieb seine Produkte unter welchem Namen ins Kühlregal bringt – und dann entscheiden, ob man die wirklich kaufen will. Schwieriger ist es in Bereichen, in denen Entscheidungen im Hintergrund ablaufen, etwa bei Ausschreibungen im Wohnungsbau. Da kann es helfen, Missstände, von denen man hört, publik zu machen und die verantwortlichen Firmen an der Spitze damit zu konfrontieren. Gleiches gilt für das Transportwesen. Man kann sich informieren, wessen Güter die Fahrer transportieren, und diese Firmen dann auf Missstände ansprechen.

Haben Sie während Ihrer Recherche auch positive Beispiele oder Modelle gesehen, die zeigen, wie Arbeitsmigration fair und menschenwürdig gestaltet werden kann?

Selbst gesehen nicht. Bei allen Beispielen, mit denen ich mich auseinandergesetzt habe, waren die Arbeitsbedingungen schwierig bis kriminell. Aber ich habe Gewerkschaften und Beratungsstellen gezielt nach positiven Beispielen gefragt. Im Bereich der häuslichen Betreuung etwa, in der die ständige Bereitschaft der Beschäftigten ein Riesenproblem ist, gibt es Anbieter, die darauf achten, dass die Arbeitslast verteilt wird, Betreuungskräfte nicht allein verantwortlich sind. In der Baubranche sind erste Unternehmen dazu übergegangen, ausländische Arbeiter:innen fest bei sich anzustellen, statt über Subunternehmen. Aber das ist noch die Ausnahme, es ist kein Massenphänomen.

Herr Lübbe, vielen Dank für das Gespräch! MiG 18

 

 

 

Ukraine-Friedensgipfel: Territoriale Souveränität garantieren

 

Die Friedenskonferenz über den anhaltenden Konflikt im Herzen Europas ist in der Schweiz mit einer von der überwiegenden Mehrheit der Teilnehmer unterzeichneten Erklärung zu Ende gegangen. Die Abschlusserklärung bekräftigt das Recht auf Unabhängigkeit und territoriale Integrität eines jeden Staates. Der Vatikan hat als Beobachter an dem Treffen auf dem Bürgenstock teilgenommen und deshalb – wie es in solchen Fällen üblich ist – die Abschlusserklärung nicht unterzeichnet. Mario Galgano – Vatikanstadt

 

Die Verteidigung der Unabhängigkeit, Souveränität und territorialen Integrität sei ein unveräußerliches Recht der Ukraine wie aller Staaten. Aber nur der Dialog zwischen den Konfliktparteien könne den Krieg beenden. Dies ist der Kern des Abschlusskommuniqués des Gipfels, der am Sonntag auf dem Bürgenstock in der Nähe von Luzern zu Ende ging. Das Abschlusskommuniqué wurde von der Mehrheit der 92 Teilnehmerländer unterzeichnet.

Tür für Verhandlungen offenhalten

Für den Heiligen Stuhl nahm der vatikanische Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin teil. Wie der Ökumenische Patriarch Bartholomaios war auch der Vatikan-Vertreter als Beobachter bei dem Treffen dabei. Es ist üblich, dass Beobachter eine Abschlusserklärung nicht unterzeichnen.

Der Vatikan versucht seit der völkerrechtswidrigen Invasion Russlands in der Ukraine zwischen den beiden Ländern zu vermitteln, um den Frieden wiederherzustellen. Dabei setzen der Papst und der für die Außenpolitik verantwortliche Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin auf Neutralität, in der Hoffnung, Einfluss auf Russland nehmen zu können. Franziskus hat sogar einen Sondervermittler eingesetzt: den Vorsitzenden der Italienischen Bischofskonferenz und Erzbischof von Bologna, Kardinal Matteo Zuppi, der bereits Moskau und Kyiv im Namen des Papstes besucht hat. Auch der Nuntius in Kyiv sowie sein Amtskollege in Moskau haben bisher jeweils eine vermittelnde Rolle gespielt.

Dialog ist einziges Mittel

„Es ist wichtig zu wiederholen, dass das einzige Mittel, das einen echten, stabilen und gerechten Frieden erreichen kann, der Dialog zwischen allen beteiligten Parteien ist“, sagte Kardinal Pietro Parolin auf dem Bürgenstock. Er sei gekommen, um zu bestätigen, dass „der Heilige Stuhl trotz aller Schwierigkeiten verpflichtet bleibt, eine regelmäßige Kommunikation mit den ukrainischen und russischen Behörden aufrechtzuerhalten und bereit ist, mögliche Vermittlungsinitiativen zu unterstützen, die für alle Parteien akzeptabel sind und den Betroffenen zugute kommen“.

Der Vatikan war bei der Friedenskonferenz in der Schweiz zwar „nur“ als Beobachter anwesend, spielt aber eine wichtige Rolle, vor allem auf humanitärer Ebene. In Borgo Egnazia hatte der ukrainische Präsident Selenskyj beim G7-Gipfel Papst Franziskus für die von den Kardinälen Parolin und Zuppi koordinierte Aktion gedankt, die bisher 388 nach Russland verschleppten ukrainischen Kindern die Rückkehr in ihre Heimat ermöglicht hat: „Der Vatikan hilft uns sehr“, so Selenskyj.

Papstbotschaft an die Machthabenden

Der Kardinalstaatssekretär umriss in seiner Rede auf dem Bürgenstock die diplomatische Linie des Heiligen Stuhls klar. Das Gipfeltreffen in der Schweiz sei „ein Ereignis von globaler Bedeutung, das von der Ukraine sorgfältig vorbereitet wurde, die zwar enorme Anstrengungen unternommen hat, um sich gegen die Aggression zu verteidigen, aber auch ständig an der diplomatischen Front gearbeitet hat, um einen gerechten und dauerhaften Frieden zu erreichen“, erklärte der Kardinal. „Angesichts des Krieges und seiner tragischen Folgen ist es wichtig, niemals aufzugeben, sondern weiterhin nach Wegen zu suchen, um den Konflikt mit guten Absichten, Vertrauen und Kreativität im Guten zu beenden“, fügte er an. Dies sei „die Botschaft, die Papst Franziskus mit seinen ständigen Appellen für den Frieden in der Ukraine vor allem den Machthabern der Nationen übermittelt“. So bestand Kardinal Parolin auf der Notwendigkeit eines Dialogs zwischen „allen beteiligten Parteien“, um zu einem „gerechten“ Frieden zu gelangen.

In Parolins Rede ging er auch auf die „besondere Aufmerksamkeit“ für die „Achtung des Völkerrechts“ ein: Der Heilige Stuhl, so sagte er, „möchte die Gültigkeit des grundlegenden Prinzips der Achtung der Souveränität eines jeden Landes und der Integrität seines Territoriums bekräftigen“. Ebenso „bringt er seine große Besorgnis über die tragischen humanitären Folgen zum Ausdruck und setzt sich insbesondere dafür ein, die Rückführung von Kindern zu erleichtern und die Freilassung von Gefangenen, insbesondere von Soldaten und schwer verwundeten Zivilisten, zu fördern“.

Einsatz für Rückkehr ukrainischer Kinder

Der Vatikan setze sich weiterhin für die Rückkehr der ukrainischen Kinder in ihre Heimat ein: „Die Wiedervereinigung der Kinder mit ihren Familien oder Erziehungsberechtigten muss für alle Parteien ein vorrangiges Anliegen sein, und jede Ausnutzung ihrer Situation ist inakzeptabel. Es ist daher zwingend notwendig, alle verfügbaren Kanäle zu stärken, um diesen Prozess zu erleichtern.“ Der Heilige Stuhl nehme außerdem „als Beobachter an den Arbeiten der Internationalen Koalition“ teil, die sich mit diesem Problem befasst. Und der Heilige Stuhl stehe deshalb auch in direktem Kontakt mit den ukrainischen und russischen Behörden, um die Wirksamkeit des Ad-hoc-Mechanismus zu verbessern, der nach dem Besuch von Kardinal Matteo Zuppi in Kyiv und Moskau geschaffen wurde, „um konkrete Fälle zu lösen“.

Aber auch die Frage der Gefangenen, „sowohl der zivilen als auch der militärischen“, hatte Parolin angesprochen, und gesagt, dass „die regelmäßigen Berichte über die Nichteinhaltung der Genfer Konventionen sehr beunruhigend“ seien. Der Kardinal verwies insbesondere auf die Vierte Konvention, „die die Zivilbevölkerung direkter betrifft“, und auf „die Schwierigkeit, zusammen mit dem Internationalen Komitee vom Roten Kreuz eine gemeinsame medizinische Kommission zu bilden, die die Situation der Kriegsgefangenen, die dringend medizinische Hilfe benötigen, beurteilen könnte“.

Der Vatikan sei bereit, seinen Teil dazu beizutragen, und „ermutigt gleichzeitig die Länder und die anderen Mitglieder der internationalen Gemeinschaft, nach Wegen zu suchen, um Hilfe zu leisten und die humanitäre und politische Vermittlung zu erleichtern“. Der Kardinalstaatssekretär schloss mit den Worten: „Im Namen von Papst Franziskus möchte ich seine persönliche Verbundenheit mit dem gemarterten ukrainischen Volk bekunden und sein unermüdliches Engagement für den Frieden bekräftigen.“

Woran gearbeitet werden muss, um Frieden zu fördern

Das Abschlussdokument konzentrierte sich auf drei Bereiche, die von gemeinsamem Interesse sind und an denen weiter gearbeitet werden soll, um den Krieg in Europa einzudämmen. Es handelt sich um die nukleare Sicherheit, die Lebensmittelsicherheit und das Kapitel über Gefangene, einschließlich ukrainischer Kinder, die von den Russen entführt und deportiert wurden. Der ukrainische Präsident Wolodymyr Selenskyj sei optimistisch und werte die Annäherung von mehr als 80 Ländern in wichtigen Fragen als Erfolg, sagte er am Ende der Gespräche.

Moskaus Präsenz auf dem nächsten Gipfel

Unterdessen erklärte die Schweizer Bundespräsidentin Viola Amherd am Rande der Konferenz am Vierwaldstättersee auf Fragen von Journalisten, dass „der russische Präsident Wladimir Putin trotz eines gegen ihn ausgestellten Haftbefehls des Internationalen Strafgerichtshofs an einem möglichen zweiten Friedensgipfel teilnehmen darf“. Die Klarstellung bezog sich auf die Frage, ob Putin auf Schweizer Boden verhaftet werden könnte. Wenn die Anwesenheit des russischen Präsidenten für die Durchführung der Konferenz notwendig sei, so Amherd, „dann kann eine Ausnahme gemacht werden, insbesondere wenn es um die Friedensverhandlungen mit der Ukraine geht“. (vn/corriere 17)

 

 

 

200 Millionen Euro. EuGH verurteilt Ungarn zu Zwangsgeld wegen Asylpolitik

 

Seit Jahren geht Ungarn hart mit Flüchtlingen um – und verstößt mehrfach gegen EU-Asylrecht. Der Europäische Gerichtshof fügt Budapest jetzt eine teure Niederlage zu. Viktor Orban reagiert wütend. Sein Land soll 200 Millionen Euro Zwangsgeld und täglich eine weitere Million zahlen.

Der Europäische Gerichtshof (EuGH) hat finanzielle Sanktionen gegen Ungarn wegen dessen Asylpolitik verhängt. Weil das Land höchstrichterliche Entscheidungen zum Asylsystem nicht umgesetzt habe, müsse es 200 Millionen Euro sowie ein tägliches Zwangsgeld von einer Million Euro für jeden Tag des Verzugs zahlen, entschieden die Richter am Donnerstag in Luxemburg. Die Vertragsverletzung bestehe darin, dass Ungarn die Anwendung einer gemeinsamen Politik der Union bewusst umgehe. Das stelle eine ganz neue und außergewöhnlich schwere Verletzung des EU-Rechts dar, hieß es.

Ungarns Ministerpräsident Viktor Orbán reagierte wütend auf das Urteil: „Die Entscheidung ist empörend und inakzeptabel. Wir geben der finanziellen Erpressung der Brüsseler Bürokraten nicht nach! Wir verteidigen die Grenzen, und wir verteidigen die Ungarn!“, schrieb der Rechtspopulist bei Facebook.

EuGH-Urteil nicht umgesetzt

Wegen seiner rigiden Flüchtlingspolitik wurde Ungarns Regierung schon häufiger von der EU-Kommission gerügt. Der EuGH hat in früheren Urteilen bereits wesentliche Teile des ungarischen Asylsystems für rechtswidrig erklärt.

Hintergrund der aktuellen Entscheidung ist eine Klage der EU-Kommission aus dem Jahr 2022. Die Brüsseler Behörde überwacht in der Staatengemeinschaft die Einhaltung des gemeinsamen Rechts. Die EU-Kommission befand, dass Budapest ein früheres Urteil des EuGH aus dem Dezember 2020 zum ungarischen Asylsystem nicht ausreichend umgesetzt habe.

Verstoß gegen EU-Recht

Die Richter hatten damals entschieden, dass verschiedene Regelungen gegen EU-Recht verstießen. Dabei ging es unter anderem um Verfahren in den mittlerweile geschlossenen Transitlagern an der Grenze zu Serbien. Neue Regeln sahen dann vor, dass Schutzsuchende unter Umständen ein Vorverfahren in ungarischen Botschaften durchlaufen mussten, bevor sie gegebenenfalls nach Ungarn einreisen durften, um dort Asyl zu beantragen. Auch diese Regelung kippte der EuGH im vergangenen Jahr.

Im aktuellen Verfahren bemängelte die EU-Kommission, dass Ungarn auch nach dem Urteil aus dem Jahr 2020 noch immer nicht die erforderlichen Maßnahmen ergriffen habe, um einen effektiven Zugang zum Asylverfahren zu gewährleisten.

Ungarn kein Einzelfall

Dem folgten die Richter nun größtenteils: Budapest verstoße gegen den Grundsatz der loyalen Zusammenarbeit im Bereich des internationalen Schutzes und gegen die Vorschriften über die Rückführung sich illegal aufhaltender Drittstaatsangehöriger. Dieses Verhalten stelle eine erhebliche Bedrohung für die Einheit des EU-Rechts dar.

Ungarn ist nicht das einzige Land, dem in den vergangenen Jahren ein Zwangsgeld aufgebrummt wurde. Polen wurde 2021 vom EuGH zu einer Zahlung von einer Million Euro täglich verurteilt, weil es höchstrichterliche Entscheidungen zu einer umstrittenen Justizreform nicht umgesetzt hatte. Der Betrag wurde später halbiert. (dpa/mig 17)

 

 

 

 

EU-Sonderregeln für Ukrainer werden verlängert – nur für Ukrainer!

 

Flüchtlinge aus der Ukraine können ein Jahr länger ohne Probleme in der EU bleiben. In Deutschland sollen die Sonderregeln aber nicht für alle Geflüchteten aus der Ukraine gelten. Innenministerin Faeser fordert zudem eine bessere Verteilung in der EU.

Kriegsflüchtlinge aus der Ukraine können mindestens bis März 2026 problemlos in der Europäischen Union bleiben. Die EU-Staaten beschlossen am Donnerstag in Luxemburg, Sonderregeln für den vorübergehenden Schutz von Ukrainerinnen und Ukrainern in der EU zu verlängern, wie die EU-Staaten mitteilte. „Wir werden weiterhin Menschenleben retten“, sagte Bundesinnenministerin Nancy Faeser.

Wie aus einem vom 30. Mai datierten Rundschreiben des Bundesinnenministeriums an die Bundesländer, das dem MiGAZIN vorliegt, allerdings hervorgeht, soll die Verlängerung nicht für alle Menschen aus der Ukraine gelten. Die Verlängerung soll nur für Ukrainer gelten sowie für Personen, die in der Ukraine einen unbefristeten Aufenthaltsstatus hatten und die nicht in ihre Herkunftsländer zurückkehren können.

Viele Roma von Sonderregeln ausgeschlossen

Demnach sollen Drittstaatsangehörige, die zum Zeitpunkt des Kriegsausbruchs einen befristeten Aufenthaltstitel in der Ukraine hatten oder Staatenlose vom vorübergehenden Schutz ausgeschlossen sein. Dabei hatte die Bundesregierung nach anhaltender Kritik über Ungleichbehandlungen und Diskriminierung von einzelnen Personengruppen und insbesondere der Roma-Minderheit versprochen, Geflüchtete aus der Ukraine gleichzubehandeln.

Betroffen sind abermals Personen, die sich für ein Studium in der Ukraine aufgehalten hatten oder teilweise auch Angehörige der Minderheit der Roma. Dem Bundesromaverband zufolge sind 20 Prozent ukrainischen Roma aufgrund fehlender Dokumente staatenlos. Ab dem 5. Juni sollen diese Menschen in Deutschland somit keine Aufenthaltserlaubnis mehr erhalten. Die Ausländerbehörden sollen diese Personen auf das Asylverfahren verweisen. Bereits erteilte Aufenthaltserlaubnisse bleiben gültig bis zum 4. März 2025.

Faeser forderte bessere Verteilung innerhalb der EU

Ob der Ausschluss von Drittstaatlern ohne Aufenthaltstitel und Staatenlosen aus der Ukraine mit dem Druck zusammenhängt, den die Opposition in der Migrationspolitik auf die Bundesregierung ausübt, bleibt offen. Fakt ist, dass Faeser inzwischen eine bessere Verteilung von ukrainischen Geflüchteten innerhalb der EU fordert. In der Bundesrepublik seien bereits mehr als eine Million Menschen untergekommen. „Deutschland hat gemeinsam mit Polen und Tschechien mehr als die Hälfte der Geflüchteten aus der Ukraine aufgenommen“, betonte Faser.

Tatsächlich nimmt Deutschland zahlenmäßig die meisten von ihnen auf, im Verhältnis zur Einwohnerzahl ist die Zahl der Ukraine-Flüchtlinge aber in Ländern wie Tschechien, Litauen und Polen deutlich höher. Nach Angaben des EU-Statistikamtes Eurostat waren in den 27 EU-Staaten zuletzt rund 4,2 Millionen Flüchtlinge aus der Ukraine registriert.

Unionspolitiker kritisieren Bürgergeld für Ukrainer

Hinzu kommt, dass Oppositionspolitiker zunehmend die Zahlung von Bürgergeld an Ukrainer kritisieren. „Es passt nicht zusammen, davon zu reden, die Ukraine bestmöglich zu unterstützen und im gleichen Atemzug, fahnenflüchtige Ukrainer zu alimentieren“, sagte der Vorsitzende der Innenministerkonferenz, Brandenburgs Innenminister Michael Stübgen (CDU), dem „RedaktionsNetzwerk Deutschland“ im Hinblick auf Zahlung von Bürgergeld.

Stübgen weiter: „Die Beschäftigungsquote von Ukrainern ist verschwindend gering, weil das Bürgergeld zum Bremsschuh für die Arbeitsaufnahme geworden ist.“ Die Bundesregierung müsse über einen Kurswechsel nachdenken. Mit dieser Forderung schließt sich der CDU-Politiker Bayerns Innenminister Joachim Herrmann (CSU) an, der auf der nächsten Innenministerkonferenz über das Thema sprechen will. Die nächste Sitzung der Innenministerkonferenz ist für Mittwoch bis Freitag in Potsdam geplant.

Sichere Rückkehr in die Ukraine nicht möglich

Angesichts der anhaltenden Angriffe Russlands auf die zivile und kritische Infrastruktur in der gesamten Ukraine sind aus Sicht der EU-Kommission die Voraussetzungen für eine sichere, dauerhafte Rückkehr der Menschen in die Ukraine derzeit nicht gegeben. Sie hatte die Verlängerung der Regeln daher am 11. Juni offiziell vorgeschlagen.

Die EU-Staaten hatten kurz nach Beginn des russischen Angriffskriegs gegen die Ukraine die Richtlinie für den Fall eines „massenhaften Zustroms“ von Vertriebenen aktiviert. Sie wurde zuletzt bis zum 4. März 2025 verlängert. Vorteil der Regel ist, dass die Betroffenen kein langwieriges Asylverfahren durchlaufen müssen. Zudem haben sie unmittelbar etwa das Recht auf Sozialleistungen, Bildung, Unterkunft sowie auf eine Arbeitserlaubnis. (dpa/mig 17)

 

 

 

Schweiz: Friedenskonferenz für die Ukraine geht zu Ende

 

Im Schweizerischen Bürgenstock ist an diesem Sonntag die Friedenskonferenz für die Ukraine mit einer Abschlusserklärung zu Ende gegangen. Fast 100 Staaten hatten durch ihre Vertreter an der Konferenz teilgenommen, der Heilige Stuhl entsandte als Beobachter Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin.

In dem Abschlussdokument, dessen erster Entwurf bereits am Samstagabend verbreitet wurde, sprachen sich Medienberichten zufolge Regierung 80 der 92 Teilnehmerstaaten dafür aus, dass die „territoriale Integrität“ der Ukraine zur Grundlage für ein eventuelles Friedensabkommen gemacht werden müsse. Der Angriffskrieg Russlands sei für großes Leid und Zerstörung verantwortlich. Auch der vatikanische Staatssekretär Pietro Parolin hatte in seinem Redebeitrag bei der Konferenz die territoriale Integrität der Ukraine als Grundlage für einen „gerechten Frieden" hervorgehoben.

Insbesondere die aufstrebenden Industrienationen (die sog. BRICS), die nach wie vor gute Beziehungen zu Russland pflegen, wollten das Dokument nicht unterzeichnen. So fehlen die Unterschriften von Brasilien, Indien, Südafrika, und Saudi-Arabiens, aber auch die von Thailand, Indonesien und der Vereinigten Arabischen Emirate.  

Grundhaltung nicht betroffen

Wie der österreichische Kanzler Karl Nehammer im Anschluss verlauten ließ, gehe es bei der ablehnenden Haltung einzelner Staaten um bestimmte Worte. Die gemeinsame Grundlage sei dadurch nicht betroffen. „Daher bin ich nicht so beunruhigt, wenn jetzt nicht alle unterschreiben“, sagte Nehammer.

Insgesamt sei der Wunsch nach einer Folgekonferenz deutlich geworden. Allerdings sei noch nicht absehbar, wann und in welchem Format diese organisiert werde und ob Russland dabei sein könne. Teilnehmer hatten die Abwesenheit Russlands bei der eben zu Ende gegangenen Konferenz kritisiert.

Der ukrainische Präsident hatte die Konferenz bereits zum Auftakt als Erfolg gelobt. Nun hoffe er auf schnelle Ergebnisse, so Selenskyj zum Abschluss mit Blick auf die teilnehmenden Staaten.  (agenturen 16)

 

 

 

„Zeit, dass sich was dreht“

 

Gestern Abend ist die Fußball-Europameisterschaft in Deutschland gestartet. Einerseits „ist Fußball die schönste Nebensache der Welt“ (Pele), bei der sich Menschen aller Nationen und Religionen friedlich begegnen. Aber andererseits hat der Fußball auch mit Vorwürfen wegen Kommerzialisierung, Korruption und Menschenrechtsverletzungen zu kämpfen. Daher wird es „Zeit, dass sich was dreht“ (Grönemeyer) und sich die Fans den Fußball wieder zurückholen. von Christian Schnaubelt

 

Glaube und Fußball verbindet, überall auf der Welt. Besonders intensiv ist diese Verbindung im Ruhrgebiet, wo bei den Spielen schon mal der „Fußballgott“ beschworen und in Gelsenkirchen das wahrscheinlich einzige Kirchenfenster mit einem fußballspielenden Heiligen zu finden ist.

Am letzten Sonntag wurde in der geschichtsträchtigen „Glückauf – Kampfbahn“ ein Gottesdienst zur Fußball-Europameisterschaft der Männer gefeiert. Im Interview mit mir betonte Zelebrant Klaus Pfeffer, Generalvikar des Bistums Essen, für unser Partnerportal www.explizit.net:

„Mir war wichtig, an die verbindende Kraft des Fußballs zu erinnern und dafür zu werben, dass es hier, wie überall im Leben, nicht um Gegnerschaft oder gar Feindschaft geht, sondern um das Miteinander von Menschen, Kulturen, Nationen.“ „Wir müssen all denen die „Rote Karte“ zeigen, die den Fußball dazu missbrauchen, um Hass und Gewalt zu verbreiten“ (Klaus Pfeffer) „Im Fußball wie überall im Leben dürfen wir „die anderen“ nicht zu Feinden erklären, sondern müssen begreifen, dass das Spiel auf dem Platz und das große Spiel des Lebens nur im Miteinander geht.“

„Rote Karte für Katar“

Fußball ist heute – nach der Religion – das neue „Opium für das Volk“ (das Originalzitat von Karl Marx bezog sich auf die Religion) geworden. Und hat dabei – neben dem reinen Unterhaltungswert – immer stärker auch eine politische Dimension bekommen. Dies wurde besonders bei der letzten Fußball- Weltmeisterschaft in Katar deutlich, bei der Menschenrechtler:innen und Organisationen wie das katholische Hilfswerk missio Aachen wegen Vorwürfen über Menschenrechtsverstöße und der Situation der Gastarbeiter:innen die „Rote Karten für Katar“ forderten. Besonders die Fifa stand damals in der Kritik, wegzusehen. Und bei der Fußball-EM 2024 in Deutschland? Da ist Katar wieder einer der Hauptsponsoren. Haben FIFA und Organisationskomitee nichts dazugelernt? Proteste gegen Katar blieben bisher aus, anders als zuletzt in der 1. Bundesliga.

Fan-Proteste gegen Kommerzialisierung

Denn nicht nur auf der internationalen Fußballbühne, auch in der 1. Bundesliga gab es in der letzten Saison zahlreiche Fan-Proteste gegen Kommerzialisierung und die geplante Zulassung von Großinvestoren. Die „Tennisball“-Proteste in den Stadien zeigten Wirkung: Der ursprüngliche Plan wurde zurückgestellt. Aber die Weichen stehen wohl trotzdem weiterhin auf Kommerzialisierung. Zu sehr locken immer größere Fernseh- sowie Lizenz- und Merchandising-Einnahmen.

Mit dem ursprünglichen (Straßen-) Fußball hat dies schon lange nichts mehr gemein. Auch bereits in den Jugendligen werden Taschengeld und Ablösesummen für Spieler:innen gezahlt und einige Bundesligisten bauen ihre Nachwuchs- und Leistungszentren aus. Dies soll langfristig Fußball für möglichst viele Spieler:innen ermöglichen. Aber dies wird nicht ohne Nebenwirkungen bleiben: Denn Professionalisierung wird auch die Kommerzialisierung weiter vorantreiben. Aber noch ist Zeit, gegenzulenken, wenn die Vereine ihre Verantwortung ernst nehmen wollen.

Fazit: Es ist wichtig, dass Fans, Funktionäre und Spieler gemeinsam klare Position beziehen und sich – wie in den 2000er-Jahren erfolgreich gegen Rassismus im Stadion – jetzt Kommerzialisierung,Korruption und Menschenrechtsverletzungen die „Rote Karte“ zeigen. Wenn sich die Fans den Fußball zurückholen, kann Fußball wieder zur „schönsten Nebensache der Welt“ (Pele) werden. Es wird „Zeit,dass sich was dreht“ (Grönemeyer) – lets go deutsche Nationalmannschaft!

Lesetipp: Unser Partnerportal explizit.net hat anlässlich der Fußball-EM eine Artikelserie „Fußball und der liebe Gott“ gestartet. Hier geht es zu den bisher erschienenen Beiträgen: https://explizit.net/religion/artikel/fussball-und-der-liebe-gott-interview-mit-generalvikar-klaus-pfeffer/  https://explizit.net/religion/artikel/fussball-und-der-liebe-gott-das-fussballkirchenfenster-in-gelsenkirchen/  kath.de 15

 

 

 

Die Helden auf dem Rasen: Wenn Fußballer zu Idolen werden

 

Viele Fußballstars sind bei ihren Fans beliebt, manch einer wird von ihnen regelrecht verehrt oder als Vorbild gesehen, ob im Sport oder anderswo. Aber inwiefern taugen sie als Idole und welche Würdigung ist angemessen? Von Iris Tsakiridis

Fußballtraining beim TSV München Ost: Viele der Kinder hier haben ein Idol und würden gern irgendwann einmal genauso gut spielen können wie sie: "Musiala, weil er Bayern zum Meister geschossen hat." - "Manuel Neuer, weil er sehr viel gewonnen hat." Und tatsächlich haben beide schon Titel gewonnen und begeistern nicht nur die Nachwuchsspieler, sondern ganze Nationen.

Ehrungen für bekannte Spieler

Als Franz Beckenbauer Anfang 2024 starb, war die Trauer groß. Der 78-Jährige war als Spieler und Trainer erfolgreich gewesen, konnte auf viele Titel zurückblicken und hatte die WM 2006 nach Deutschland geholt. Vielen war er als "Kaiser Franz" bekannt. Hans-Joachim Watzke, Aufsichtsratschef der Deutschen Fußball Liga DFL, würdigte Beckenbauer als "definitiv größten deutschen Fußballer aller Zeiten". Im April erklärte dann die Kurt-Landauer-Stiftung, dass Beckenbauer mit einer Statue vor der Allianz-Arena für seine Verdienste geehrt werde – wo seit 2023 auch eine Statue an Torjäger Gerd Müller erinnert.

Augenthaler und Breitner sehen sich nicht als Vorbilder

Klaus Augenthaler, früherer Weggefährte Müllers, findet das berechtigt – für Müller wie für Beckenbauer. Augenthaler selbst, Weltmeister von 1990, ist in Vilshofen mit einem Stadion gewürdigt worden. Für ihn eine Ehre: "Es gibt ja nicht viele Spieler, die ein eigenes Stadion haben." Er habe nie vergessen, wo er herkomme. Als er beim Probetraining des FC Bayern gewesen sei, habe er erst einmal gezittert, sagt er – immerhin traf er dort auf Fußballgrößen wie Beckenbauer, Müller und Sepp Meier. Als Vorbild, als Idol sieht er sich selbst aber nicht: "Ich habe als Spieler geraucht und rauche auch heute noch." Ähnlich geht es wohl auch dem ehemaligen Nationalspieler und Weltmeister von 1974, Paul Breitner. Immerhin schrieb der ein Buch mit dem Titel: "Ich will kein Vorbild sein" – seine Autobiografie.

Idole können im Leben eines Menschen eine wichtige Rolle einnehmen, weiß die Psychologie. Sie können uns dabei helfen, unsere eigene Identität zu entwickeln. Gerade im Sport können sie zudem ein Anreiz sein, die eigenen Fähigkeiten weiterzuentwickeln und so bestimmte Ziele zu verfolgen. Das kann aber auch gefährlich werden, wenn man sich nur noch nach seinen Vorbildern ausrichtet oder daran scheitert, genau so zu werden wie sie.

Fairness und Disziplin als eigentliche Vorbilder

Ein großer Fußballfan ist auch der bekannte Münchner Pfarrer Rainer Maria Schießler, der selbst ein Buch über den Fußball geschrieben hat. Sein Verein: Der TSV 1860 München. So sehr er den Profis ihren Erfolg gönnt, steht für ihn doch fest: Ein Spieler allein macht noch keinen Sieg. "Es braucht immer das ganze Team", sagt Schießler. Das gelte für den Fußball ebenso wie für die Kirche. Auch sich an die Idole von früher zu erinnern und dem Fußball von gestern nachzutrauern, macht für ihn wenig Sinn: "So wie Beckenbauer, Seeler und so weiter. Wenn die erzählen, wie sie groß geworden sind. Da hängen wir nostalgisch an vergangenen Zeiten, die wir uns herbeiwünschen." Heute sehe der Fußball ganz anders aus als damals, sei zu einer Gelddruckmaschine geworden.

Sein einziges Fußball-Idol sei die Fairness auf und neben dem Spielfeld, sagt Schießler, anstatt einen bestimmten Namen zu nennen. Dabei hat er so manchen Fußball-Promi auch selbst kennengelernt und er traute etwa den früheren Kapitän der deutschen Nationalmannschaft und Weltmeister von 2014, Philipp Lahm. In der Disziplin können Sportler für ihn aber durchaus ein Vorbild sein, meint Schießler – schließlich habe schon der Apostel Paulus in der Bibel das Durchhaltevermögen von Athleten gelobt.

Aber auch abseits des Sports können Fußballer durchaus in manchen Dingen Vorbilder sein. So engagierten sich in der Vergangenheit viele aktuelle und ehemalige Nationalspieler wie Manuel Neuer, Toni Kroos oder Leon Goretzka auch sozial, etwa in Stiftungen.

Ob auf dem Feld oder abseits davon: Beim TSV München Ost haben einige der Jugendspieler ihre Idole schon selbst im Stadion spielen sehen oder sie sogar getroffen und mit ihnen Fotos gemacht. Manche von ihnen träumen selbst von einer Fußballkarriere. Vielleicht sind sie eines Tages selbst Vorbild für andere.

Br 14

 

 

 

Internationalisierung der Hochschulen. DAAD begrüßt neue Bund-Länder-Strategie

 

Der Deutsche Akademische Austauschdienst (DAAD) begrüßt die heute vorgestellte Internationalisierungsstrategie von Bund und Ländern für die Hochschulen in Deutschland. Diese Strategie biete eine wichtige Orientierung für die weitere Internationalisierung der Hochschulen. Für eine erfolgreiche Umsetzung seien eine ausreichende Finanzierung und gemeinsame Initiativen von Bund und Ländern notwendig.Bonn. „Mit der neuen Strategie betonen Bund und Länder die Bedeutung von akademischem Austausch und internationaler Wissenschaftskooperation für die Hochschulen. Die Strategie zeigt, dass erfolgreiche Internationalisierung gesellschaftlich, politisch und ökonomisch positive Ergebnisse bringen kann“, sagte DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato Mukherjee in Bonn. 

„Die Strategie lenkt zudem richtigerweise den Blick auf die Chancen der Internationalisierung bei Themen wie wissenschaftlicher Exzellenz und Fachkräftegewinnung. Zugleich berücksichtigt sie die Herausforderungen, insbesondere zu Themen wie Kooperation in Krisen oder der Gestaltung einer Willkommenskultur. Diese realistische und wissenschaftsorientierte Strategie sendet das richtige Signal an die Hochschulen und die Wissenschaftsgemeinschaft in Deutschland in herausfordernden Zeiten.“ Der DAAD-Präsident betonte weiterhin, dass die Umsetzung der Strategie eine angemessene Finanzierung erfordere, um den Hochschulen die notwendigen Weiterentwicklungen zu ermöglichen.

Studienerfolg, Fachkräfte und Digitalisierung

Die Strategie von Bund und Ländern umfasst zentrale Themen wie die Sicherung des Studienerfolgs internationaler Studierender und ihren erfolgreichen Übergang in den Arbeitsmarkt. Sie fordert eine stärkere Verzahnung von Digitalisierung und Internationalisierung sowie den Ausbau der Krisenresilienz der Hochschulen. Das im Juni von der Kultusministerkonferenz verabschiedete Dokument setzt zudem Impulse für die Weiterentwicklung des akademischen Austauschs und der internationalen Wissenschaftskooperation. 

Rahmenbedingungen gestalten

Aus Sicht des DAAD greift die Strategie die veränderten Rahmenbedingungen der Internationalisierung der Hochschulen auf und weist den Weg für die Weiterentwicklung des grenzüberschreitenden Austauschs und der internationalen wissenschaftlichen Zusammenarbeit. Besonders erfreulich sind die Stärkung der Internationalisierungserfahrungen und der Ausbau von Diversität und Nachhaltigkeit. Angesichts der geopolitischen Herausforderungen ist die von Bund und Ländern angestrebte Sensibilisierung der Hochschulen, Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftlern für die Risiken und Herausforderungen internationaler Zusammenarbeit und die Stärkung ihrer Reaktionsfähigkeit ebenfalls begrüßenswert. 

Strategie kein Selbstläufer

Gleichzeitig zeigt das breite Spektrum der anstehenden Aufgaben, dass erfolgreiche Internationalisierung in Deutschland kein Selbstläufer ist. Vor dem Hintergrund der aktuellen politischen, sozialen und technologischen Entwicklungen bedarf es umfassender politischer Unterstützung. „Die Herausforderung in den nächsten Monaten und Jahren besteht darin, die neuen strategischen Linien nicht nur politisch zu verkünden, sondern die Rahmenbedingungen so zu gestalten, dass die Hochschulen die Internationalisierung gewinnbringend umsetzen können“, so der DAAD-Präsident. „Der DAAD wird gemeinsam mit seinen Mitgliedshochschulen seinen Beitrag zur Umsetzung der neuen Strategie leisten und die Hochschulen in allen Bereichen der Strategie beraten und unterstützen.“ Daad 14

 

 

 

„Erschütternder Rekord“. 1,5 Prozent der gesamten Weltbevölkerung vertrieben

 

Ein Blick auf die angespannte Weltlage mit immer mehr Kriegen und Konflikten genügt und es ist klar: Die Zahl der Vertriebenen steigt weiter. Zu Kriegen und Konflikten kommt ein weiteres Problem.

So viele Menschen wie nie zuvor sind weltweit vor Gewalt, Krieg, Konflikten und Verfolgung auf der Flucht. Im Mai waren es 120 Millionen, fast zehn Prozent mehr als vor einem Jahr, wie das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR am Donnerstag in Genf berichtete. Es war der zwölfte Anstieg der Zahlen in Folge. Rund 1,5 Prozent der gesamten Weltbevölkerung ist damit aus ihrer Heimat vertrieben, wie aus dem neuen Weltflüchtlingsbericht hervorgeht.

Gut zwei Drittel der Menschen sind innerhalb der Grenzen des eigenen Heimatlandes auf der Flucht. Der Eindruck, dass Migranten und Flüchtlinge vor allem in reiche Länder strömen, sei falsch, sagte der UN-Hochkommissar für Flüchtlinge, Filippo Grandi. „75 Prozent derjenigen, die vertrieben werden, im eigenen Land oder ins Ausland, leben in armen Ländern oder solchen mit mittleren Einkommen“, sagte Grandi. Zum Großteil seien nicht die reichen Länder betroffen, obwohl manchmal dieser Eindruck erweckt werde, sagte er. Die meisten Menschen harren nach der Flucht in Nachbarländern in der Hoffnung aus, zügig in ihre Heimat zurückkehren zu können.

Deutschland hat nach den USA die meisten Asylgesuche

Bei den Menschen, die keine Chance auf baldige Rückkehr sehen, standen die USA und Deutschland hoch im Kurs: Die USA verzeichneten mit Abstand die meisten Asylanträge, insgesamt 1,2 Millionen. Danach folgte mit großem Abstand Deutschland mit rund 330.000 Anträgen, vor Ägypten, Spanien und Kanada.

Die Zahlen sind von Jahr zu Jahr nur bedingt vergleichbar, weil die Datenlage in manchen Ländern besser wird und die Erhebungsmethoden sich teils ändern. Rekorde beziehen sich auf den Zeitraum seit 1951, als das UNHCR erstmals Flüchtlingszahlen ermittelte.

„Erschütternder Rekord“

Bundesentwicklungsministerin Svenja Schulze hat angesichts der Zahlen (SPD) vor einem Sparkurs in der Entwicklungshilfe gewarnt. Der dramatische Anstieg der Flüchtlingszahlen zeige deutlich, dass gerade jetzt mehr und nicht weniger Entwicklungszusammenarbeit gebraucht werde. Die Bundesregierung verhandelt derzeit über den Haushalt für das kommende Jahr. Dem Entwicklungsministerium drohen dabei deutliche Einschnitte.

Schulze betonte, ausgerechnet die ärmsten Länder zeigten die größte Aufnahmebereitschaft für Flüchtlinge und trügen die schwerste Last. Die deutsche Entwicklungspolitik unterstütze die Aufnahmeländer und -gemeinden, beispielsweise bei der Bereitstellung von sauberem Wasser, ausreichend Nahrung, medizinischer Versorgung und Bildung. „Entwicklungspolitik schafft Perspektiven vor Ort und für eine Rückkehr in die Heimat, sie ist eine Investition in Frieden und Sicherheit weltweit“, sagte Schulze. Das liege auch im deutschen Interesse.

Die Zahlen kompakt: 120 Millionen Vertriebene weltweit, Stand Mai 2024. Der Bericht bezieht sich in seinen Analysen allerdings immer auf das Kalenderjahr 2023. Zum Stichtag 31. Dezember 2023 waren es 117,3 Millionen Vertriebene, acht Prozent mehr als Ende 2022. 68,3 Millionen suchten im eigenen Land Zuflucht. Diese Zahl ist 50 Prozent höher als vor 5 Jahren. Deutschland ist das Land mit der viertgrößten Flüchtlingsgruppe. Das UNHCR nennt die Zahl 2,6 Millionen, hinter dem Iran (3,8 Millionen), der Türkei (3,3 Millionen) und Kolumbien (2,9 Millionen).

Sudan: seit April 2023 mehr als neun Millionen Vertriebene, darunter 1,9, die ins Ausland flüchteten. Gazastreifen: 1,7 Millionen Vertriebene, rund 75 Prozent der Bevölkerung. Myanmar: 2,6 Millionen Vertriebene durch die Kämpfe der Militärdiktatur gegen Aufständische, doppelt so viele wie ein Jahr zuvor. Syrien: bleibt mit 13,8 Millionen Vertriebenen im In- und Ausland die größte Flüchtlingskrise weltweit. Afghanistan: 10,9 Millionen Vertriebene, davon gut 6,4 Millionen im Ausland. Damit sind Afghanen die größte Gruppe von Flüchtlingen im Ausland. Ukraine: 9,7 Millionen Vertriebene, rund 6 Millionen davon im Ausland.

Klimakrise verschärft Lage

Regionen, die durch Konflikte, Armut, Hunger und schlechte Regierungsführung geprägt sind, liegen auch dort, wo die Klimakrise besonders spürbar ist, heißt es in dem Bericht: „Ende 2023 lebten fast drei Viertel der gewaltsam Vertriebenen in Ländern, die hohen bis extrem hohen klimabedingten Gefahren ausgesetzt waren.“ Dazu gehörten die Demokratische Republik Kongo, Somalia, Sudan, Syrien und Jemen.

Der Kampf um Ressourcen in Zufluchtsländern, die vom Klimawandel stark betroffen sind, könne weitere Fluchtbewegungen auslösen, etwa dort, wo das Trinkwasser schon knapp ist, oder Dürre immer mehr Ernten vernichtet und Vieh mangels Wasser und Nahrung verendet. (dpa/epd/mig 14)

 

 

 

Interviews. „Israel ist Gefangener seiner unrealistischen Ziele“

 

Libanons Ex-Außenminister Nassif Hitti über Friedensverhandlungen, die Lage an der Grenze zu Israel und die Rolle der arabischen Staaten. Die Fragen stellte Alexander Isele.

Die israelische Armee kämpft inzwischen seit über acht Monaten gegen die Hamas. Seit Monaten kommt es an der israelisch-libanesischen Grenze zu Zusammenstößen. Wie ist die Lage im Libanon im Moment?

Die Lage ist äußerst kritisch. Die Angst, dass die Situation außer Kontrolle geraten könnte, ist überall und ständig zu spüren. Bis zu einem gewissen Grad werden jedoch bis jetzt noch die sogenannten „Rules of Engagement“ eingehalten, die dem Prinzip der Symmetrie und Zurückhaltung folgenden Spielregeln zwischen Israel und dem Libanon, die vom Sommer 2006 bis zum Oktober 2023 die Situation an der Grenze bestimmten. Im Rahmen des aktuellen Krieges ist jedoch zu beobachten, dass Angriffe in einem größeren Gebiet erfolgen, dass es häufiger zu Beschuss kommt und weitere Ziele ins Visier genommen werden. Auf libanesischer Seite hat die Hisbollah weder das Interesse noch den Willen, in einen offenen Krieg einzutreten, dessen Ausgang ungewiss wäre. Die Hisbollah folgt dabei ihrer Doktrin der „Einheitsfront“: Sie kämpft, um die Palästinenser zu unterstützen, ist aber bereit, jede Kampfhandlung sofort einzustellen, sobald Israel aufhört, den Gazastreifen anzugreifen. Israel möchte dagegen die Situation verändern, die vor dem Krieg an der Grenze zum Libanon herrschte. Israel will die Streitkräfte der Hisbollah hinter den Fluss Litani zurückdrängen, um damit die Resolution 1701 des UN-Sicherheitsrats umzusetzen. Für eine volle Umsetzung dieser Resolution müsste Israel aber auch aufhören, den Luftraum, das Territorium und die Hoheitsgewässer des Libanons zu verletzen, was es nach wie vor tut.

Israel weitet seine Bodenoffensive im Gazastreifen auf Rafah aus, was zu einer Eskalation an der israelisch-libanesischen Grenze führen könnte. Was ist jetzt zu tun?

Israel ist Gefangener seiner angekündigten unrealistischen Ziele: die völlige Vernichtung der Hamas und die Einrichtung einer militärischen Sicherheitskontrolle über den Gazastreifen auf unbefristete Zeit. Gleichzeitig will es Drittstaaten mit der Verwaltung der Alltagsangelegenheiten in Gaza beauftragen. Das ist nicht nur illegal, sondern auch unrealistisch und wird zukünftig zu weiteren Spannungen und Kriegen führen. Zuallererst muss jedoch ein Waffenstillstand her – und nicht nur befristete Feuerpausen oder Waffenruhen. Erfahrungen aus der Vergangenheit zeigen, dass es wichtig ist, sich nicht auf einen allmählichen Verhandlungsprozess mit offenem Ende einzulassen. Das führt zu nichts – es wäre wie der Bau von Brücken, die nur bis zur Flussmitte reichen. Als Besatzungsmacht könnte Israel jahrelang verhandeln und gleichzeitig seine Besatzung der Palästinensergebiete festigen – wie wir es im Westjordanland erlebt haben. Deshalb müssen wir einen Ansatz verfolgen, den wir Reversed Engineering-Prozess nennen: Alle betroffenen internationalen Mächte verpflichten sich zu klar definierten Verhandlungszielen – zu Zielen, die auf den Grundsätzen und Regeln des Völkerrechts und den relevanten Resolutionen des UN-Sicherheitsrats beruhen.

Was sind diese Ziele und wie sind sie zu erreichen?

Erstens das Ende der Besatzung der palästinensischen, syrischen und libanesischen Grenzgebiete durch die Umsetzung der relevanten Resolutionen des UN-Sicherheitsrats. Zweitens die Einrichtung eines unabhängigen Palästinenserstaats mit Ostjerusalem als Hauptstadt innerhalb der Grenzen von 1967. Und drittens die Sicherheit Israels. All diese Ziele gehören zusammen – eins kann nicht ohne die anderen erreicht werden. Sobald sie erreicht sind, könnte Israel normale Beziehungen zu den arabischen Ländern aufbauen.

Im März 2002 hat die Arabische Liga auf ihrem Gipfeltreffen in Beirut die Arabische Friedensinitiative verabschiedet. Es ist die realistischste, umfassendste und zukunftsweisendste Friedensinitiative im Interesse aller. Die Verantwortung für den Frieden liegt jedoch bei den Mitgliedern des UN-Sicherheitsrats und anderen Mächten, die im Nahen Osten eine Rolle spielen. Den Konflikt zu verwalten, statt zu versuchen, ihn zu lösen, bedeutet, in zukünftige Spannungen und Kriege zu investieren. Denn das lässt zu, dass jede Seite den Konflikt für ihre eigenen Ziele instrumentalisieren kann.

Würden sich die Hisbollah und ihre Schutzmacht, der Iran, der Initiative anschließen?

Wenn ein ernsthafter Friedenskurs eingeschlagen wird – hin zu einem Frieden, der auf Gerechtigkeit und der Achtung der legitimen Rechte aller betroffenen Seiten basiert, zu einem Frieden, der den Weg für Sicherheit, Stabilität und Wohlstand für alle eröffnet –, wird es für alle Seiten sehr schwierig, sich einem solchen Bestreben entgegenzustellen. Der Libanon ist ein Gründungsmitglied der Arabischen Liga und setzt sich weiterhin für die Zwei-Staaten-Lösung und einen umfassenden Frieden ein. Solange es noch keine ernsthafte Friedensperspektive gibt und wir noch mitten in einer destruktiven festgefahrenen Situation stecken, erleben Radikalisierungen aller Art eine Blütezeit. Das ist eine Lehre aus der Geschichte, die über den Nahen Osten hinausgeht.

Welche Bedeutung hat es, dass Norwegen, Spanien und Irland Palästina als Staat offiziell anerkannt haben?

Das ist ein wichtiger Anschub und ein Engagement für den Frieden. Europas historische Beziehungen mit seinen „südlichen Nachbarn“ auf der anderen Seite des Mittelmeers gehen mit einer besonderen Verantwortung einher. Die Anerkennung von Palästina als Staat ist ein Schlüsselfaktor für eine umfassende Konfliktlösung. Inzwischen haben 146 Staaten den palästinensischen Staat anerkannt und ich erwarte, dass noch mehr europäische Länder dazukommen.

Was würde eine Zwei-Staaten-Lösung und die Normalisierung der Beziehungen zu Israel für den Libanon bedeuten?

Der Libanon ist seit Ewigkeiten eine Geisel des arabisch-israelischen Konflikts. Ein auf dem Völkerrecht und auf Gerechtigkeit beruhender Frieden würde es uns erlauben, uns auf die notwendigen finanziellen, politischen und wirtschaftlichen Strukturreformen zu konzentrieren. Die wirtschaftliche Lage im Libanon ist desolat. Ein Großteil unserer jungen Menschen, unsere Soft Power, verlässt das Land. Im Libanon und in der Region gibt es ein großes Potenzial für eine multidimensionale Entwicklung, für eine Zusammenarbeit. Aber solange der Konflikt nicht gelöst ist, bleiben wir Geisel dieses Konflikts und all seiner Folgen. Es ist an der Zeit, dass der Libanon wieder auf die Beine kommt – das ist keine leichte Aufgabe, aber ein unbedingtes Muss. IPG 14

 

 

 

Anschlag von Hanau. Entschuldigung nach mehr als vier Jahren

 

Vor mehr als vier Jahren erschütterte der Anschlag von Hanau die Menschen. Nun erläutert Minister Poseck, welche Konsequenzen in der Polizeiarbeit gezogen wurden. Und spricht eine Entschuldigung aus – mehr als vier Jahre nach der Untat.

Mehr als vier Jahre nach dem rassistischen Anschlag von Hanau hat sich Hessens Innenminister Roman Poseck (CDU) bei den Hinterbliebenen entschuldigt. Rund um das Geschehen seien Fehler gemacht worden, auch seitens der Polizei, sagte er am Donnerstag in Wiesbaden. Das betreffe etwa den nicht erreichbaren Notruf in der Tatnacht sowie die Umstände der Überbringung der Todesnachricht. „Hier sind weitere Verletzungen und Schmerzen aufseiten der Angehörigen entstanden“, sagte Poseck. „Das tut mir über alle Maßen leid und ich entschuldige mich ausdrücklich für die Fehler, die passiert sind.“ Er habe dies vor wenigen Tagen bereits bei einem Treffen mit Hinterbliebenen deutlich gemacht, es sei ein weiteres Gespräch im Sommer geplant.

„Fehler sind bei einem so außergewöhnlichen Ereignis, wie es natürlich dieser Terroranschlag in Hanau auch für unsere Polizei gewesen ist, wahrscheinlich nie ganz vermeidbar“, sagte Poseck. „Aber wir müssen feststellen, dass die Polizei den hohen Anforderungen, die sie an sich selbst stellt und die wir an sie stellen, an einigen wichtigen Stellen nicht gerecht geworden ist.“ Der Minister bekräftigte auch, dass die Beamtinnen und Beamten, die in der Tatnacht und danach im Einsatz waren, engagiert und aufopferungsvoll gehandelt hätten.

Grünen-Fraktion: „Endlich gibt es eine Entschuldigung“

Die innenpolitische Sprecherin der hessischen Landtags-Grünen, Vanessa Gronemann, erklärte: „Endlich gibt es eine Entschuldigung gegenüber den Opfern und Angehörigen des rassistischen Anschlags in Hanau aus dem Innenministerium.“ Damit hole Poseck das nach, was ihnen durch seinen Vorgänger Peter Beuth und Ministerpräsidenten Boris Rhein (beide CDU) verwehrt geblieben sei.

Am 19. Februar 2020 hatte ein deutscher Täter in Hanau neun junge Menschen aus rassistischen Motiven erschossen. Danach tötete er seine Mutter und sich selbst. Ein Untersuchungsausschuss des hessischen Landtags hatte sich mit der Tat befasst und in seinem 750-seitigen Abschlussbericht 60 Handlungsempfehlungen genannt – ein Großteil fällt in die Zuständigkeit des Innenressorts.

Hintergrund: Der parlamentarische Untersuchungsausschuss zum Anschlag von Hanau verabschiedete im Dezember 2023 nach mehr als 40 Sitzungen seinen Abschlussbericht mit Handlungsempfehlungen. Es waren zuvor mehr als 80 Zeugen und rund ein Dutzend Sachverständige gehört worden. Zu den prominentesten Zeugen zählte der damalige Innenminister von Hessen, Peter Beuth (CDU). Das Gremium war im Juli 2021 zu seiner ersten Sitzung zusammengekommen. Der Untersuchungsausschuss sollte unter anderem klären, ob es vor, während und nach der Tat zu Behördenversagen kam. Die dem Ausschuss des hessischen Landtags übersandten Akten umfassten rund 326.000 Seiten. Hinzu kamen elektronische Daten wie Excel-Tabellen, Bilder sowie Videos mit einer Gesamtdauer von mehreren Tagen.

„Anschlagsbutton“ soll Warteschleife bei Notrufen verkürzen

Poseck kündigte unter anderem an, dass die polizeiliche Opfer- und Angehörigenbetreuung verbessert werde. Künftig solle gewährleistet sein, dass im Fall der Fälle die Opfer und Angehörigen einen Ansprechpartner haben, der für sie zur Verfügung steht. Das Thema Obduktion und der Umgang mit Angehörigen im Zusammenhang von Obduktionen soll zum Lerninhalt in der Polizeiausbildung werden.

Außerdem sei ein Notrufkonzept mit einem „Anschlagsbutton“ entwickelt worden, sagte Poseck. Wird der Knopf gedrückt, nähmen alle sieben hessischen Leitstellen Notrufe entgegen. Das verkürze die Warteschleife, die bei einer besonderen Vielzahl von Anrufen über die 110 eintreten kann.

Nur Querulant oder gefährlich? Verfassungsschutz schaut genauer hin

Um früher auf mögliche Täter aufmerksam zu werden, werde beim Landesamt für Verfassungsschutz (LfV) ein Amokpräventionszentrum eingerichtet, in dem sich die Sicherheitsbehörden eng austauschen, sagte der Minister. Beim Landesamt gebe es zudem neue Vorgaben zum Umgang mit auffälligen Bürgereingaben. „Das heißt konkret, dass diese nicht mehr so schnell einfach abgelegt und zur Seite gelegt werden, sondern dass sie auch an zuständige Behörden weitergegeben werden“, erläuterte Poseck. Damit sollen diejenigen, die tatsächlich gefährlich sind, besser von Querulanten, die nicht gefährlich sind, unterschieden werden können.

Der Innenminister kündigte zudem an, sich dafür einzusetzen, dass keine Waffen in die Hände von psychisch Erkrankten gelangen. Derzeit werde darüber beraten, wie Waffenbehörden noch besser durch Ärzte und Kliniken über psychische Erkrankungen informiert werden können. Um extremistische Waffenträger früher zu erkennen, solle enger mit den rund 1.000 hessischen Schützenvereinen zusammengearbeitet werden.

„Der 19. Februar 2020 löst bis heute Trauer und Entsetzen aus. Mich persönlich macht das Leid der Opferfamilien tieftraurig“, sagte Poseck. „Wir dürfen das Attentat von Hanau und die Opfer niemals vergessen. Wir sind gerade jetzt verpflichtet, die richtigen Lehren für die Zukunft zu ziehen, damit sich so etwas Furchtbares in unserem Land niemals wiederholen kann.“ (dpa/mig 14)

 

 

 

Kürzungen der internationalen Hilfe verschärfen weltweite Hungerkrisen

 

Friedrichsdorf – Weltweit werden Finanzmittel für humanitäre Hilfe gekürzt. Das wirkt sich dramatisch auf die Versorgung mit Nahrungsmitteln für Menschen in Not aus. Ein neuer Bericht der internationalen Kinderhilfsorganisation World Vision zeigt auf, dass als Folge von Rationskürzungen Kinderheirat und Kinderarbeit deutlich zunehmen.

Viele Hilfsorganisationen seien durch die finanziellen Engpässe gezwungen, die Nahrungsmittelrationen für Vertriebene deutlich zu kürzen. Sie erhalten nur einen Bruchteil der monatlich benötigten Kalorien oder werden ganz von den Hilfslieferungen ausgeschlossen, was auch zu psychischen Belastungen wie Hoffnungslosigkeit führt.

„Ich habe das Gefühl, dass ich in den Südsudan zurückkehren sollte. Es ist besser, in meinem eigenen Land zu sterben, als im Lager zu verhungern.“ Geflüchteter aus Uganda

World Vision hatte für den Bericht mit Betroffenen in insgesamt sechs Ländern gesprochen, darunter in Afghanistan, der Demokratische Republik Kongo und Libanon. Während Kinder vor den Kürzungen im Durchschnitt zwei Mahlzeiten pro Tag zu sich nahmen, hatten die meisten Familien im Januar 2024 nur eine oder gar keine Mahlzeit am Vortag gegessen. Knapp die Hälfte der Geflüchteten (41 Prozent) gab an, dass sowohl Mädchen als auch Jungen jetzt zu Hause mehr Gewalt, Vernachlässigung oder Missbrauch ausgesetzt sind.

„In unserem Dorf werden nun viele von uns sehr früh verheiratet. Manchmal sieht man uns sogar als Belastung für die Familie.“ Mädchen aus der Demokratischen Republik Kongo

Ha-na Schulz, Referentin für humanitäre Hilfe von World Vision, erklärt: „Der Bericht zeigt die verheerenden Folgen von Rationskürzungen. Diese führen nicht nur dazu, dass mehr Menschen hungern und unter gesundheitlichen Folgeschäden leiden, sondern sie bedeuten auch mehr Stress und psychische Belastung für gefährdete Familien und Kinder. Schutzprobleme nehmen zu, da beispielsweise Kinderheirat und Kinderarbeit häufig als Überlebensstrategien eingesetzt werden. Lebensrettende Unterstützung muss gewährleistet werden, um diese negativen Folgen zu verhindern und ihnen entgegenzuwirken.”

Die Umfrage zeigt einen alarmierenden Anstieg von sexueller Gewalt, Kinderarbeit und Kinderhandel. Fast ein Drittel der befragten Eltern sind der Meinung, dass die Nahrungsmittelkürzungen Mädchen in die Kinderheirat treiben, in Afghanistan sind es sogar 97 Prozent der Eltern. Und in der Bidi Bidi-Flüchtlingssiedlung in Uganda berichteten 75 Prozent der Familien, dass sie einen direkten Zusammenhang zwischen der Zunahme von sexueller Gewalt und Schulabbrüchen von Mädchen aufgrund von Schwangerschaften sehen.  

Mary Njeri, Direktorin der Global Hunger Response von World Vision: „Wir müssen die dringend notwendige Hilfe aufstocken, die Kinder und ihre Familien zum Überleben in Fluchtsituationen brauchen. Langfristige Unterstützung von Geflüchteten und aufnehmenden Gemeinden ist ebenfalls unerlässlich, damit die Kinder wieder zur Schule gehen und die Familien wieder Landwirtschaft betreiben, Arbeit finden und sich selbst versorgen können.“

Njeri fügt hinzu: „Wir brauchen nicht nur mehr Nahrungsmittelhilfe, sondern auch bessere Unterstützung in den Bereichen Bildung, psychische Gesundheit und Schutz für besonders stark gefährdete Familien, um eine Epidemie psychischer Erkrankungen zu verhindern. 

Die Ergebnisse zeichnen ein ernüchterndes Bild: So gibt mehr als jeder zehnte Erwachsene (13 Prozent) an, sich so hoffnungslos zu fühlen, dass er nicht mehr weiterleben will.

„Der Hunger tötet die Menschen nicht nur durch Unterernährung, sondern auch durch psychische Erkrankungen“, fasst Njeri zusammen. „Wir wissen, dass es Kindern und ihren Familien mit der richtigen Unterstützung gut gehen kann. Im 21. Jahrhundert sollte niemand mehr hungern müssen. Die Staats- und Regierungschefs der Welt müssen dringend ihre Bemühungen um die Beilegung von Konflikten und die Bewältigung der Folgen des Klimawandels beschleunigen und den betroffenen Kindern und Familien die notwendige humanitäre Unterstützung zukommen lassen.“

Weitere Informationen und der Report zum Download: 

https://www.dropbox.com/scl/fi/gi9u1vdcbaek9owvniw86/WorldVision_Bericht_Hunger_World_Refugee_Day_2024.pdf?rlkey=m3rtqytiacb0ur6f8wq7p6hh3&st=z0zrjoyz&dl=0

https://www.worldvision.de/informieren/ueber-world-vision/publikationen/bericht-weltfluechtlingstag-hunger  WV 13

 

 

 

EU-Kommission legt Umsetzungsplan für EU-Asylreform vor

 

Die EU-Asylreform ist verabschiedet. Aber noch stehen die neuen Regeln nur auf Papier, die Umsetzung werde eine Herkulesaufgabe, erklärte die EU-Kommission. Sie will den Mitgliedsstaaten unter die Arme greifen. Dem umstrittenen Ruanda-Modell erteilt sie eine Absage.

Nach der Einigung auf eine Verschärfung des EU-Asylrechts hat die EU-Kommission einen umfassenden Plan für die Umsetzung des Gesetzespaketes für die kommenden zwei Jahre vorgelegt. Die Reform umfasse Tausende von Seiten, sie zum Leben zu erwecken, sei eine „Herkulesaufgabe“, sagte EU-Kommissar Margaritis Schinas am Mittwoch in Brüssel. Als Hilfestellung lege die Kommission einen Arbeitsplan für die Umsetzung vor und unterstütze die Staaten mit zusätzlichen 3,6 Milliarden Euro allein aus dem Haushalt der EU-Generaldirektion für Migration und Inneres.

Nach jahrelangen Verhandlungen hatte die EU die umstrittene Reform des EU-Asylsystems im Mai final beschlossen. Das Gesetzespaket enthält zehn Bausteine und sieht unter anderem vor, dass Asylsuchende mit geringer Bleibechance schneller und direkt von den EU-Außengrenzen abgeschoben werden. Dahinter stehen die sogenannten Grenzverfahren. Geplant ist außerdem ein Solidaritätsmechanismus zur Verteilung von Schutzsuchenden. Wollen Staaten keine Flüchtlinge aufnehmen, können sie auch finanzielle Hilfe leisten.

Umsetzungsfrist: 11. Juni 2026

Die EU-Asylreform ist am Montag in Kraft getreten. Die EU-Staaten müssen sie bis zum 11. Juni 2026 umsetzen. Die Kommission will die Fortschritte bei der Umsetzung der Reform genau überwachen und dem Europäischen Parlament und dem Rat, dem Gremium der Staats- und Regierungschefs, regelmäßig Bericht erstatten. Der Plan für die Umsetzung soll den Mitgliedsstaaten am Donnerstag vorgelegt werden. Auf dieser Grundlage sollen diese dann bis Dezember nationale Umsetzungspläne vorlegen.

Formal enthalte die Reform keine Vorgaben zur Zusammenarbeit mit Drittstaaten außerhalb der EU. Die Kommission halte diese „externe Dimension“ der Migrationspolitik aber für einen fundamentalen Bestandteil des europäischen Migrationssystems, sagte Schinas. Die aktuelle Kommission habe in dieser Hinsicht einen Paradigmenwechsel angestoßen.

Absage an das britische Ruanda-Modell

Dem sogenannte „Ruanda-Modell“ der britischen Regierung zur Auslagerung von Asylverfahren erteilte er dagegen eine Absage. Das Modell sei nicht vereinbar mit europäischem Recht. „Das ist eine Linie, von der ich mir wünsche, dass die EU sie nicht übertritt. Wir sind eine EU der Werte und das definiert uns“, sagte Schinas. In Deutschland hatten FDP- und Unionspolitiker Interesse an dem britischen Modell gezeigt.

Einige EU-Staaten haben bereits angedroht, die neuen Regeln der EU-Asylreform nicht umsetzen zu wollen, etwa die neue rechte Regierung um Geert Wilders in den Niederlanden. Die Verhandlungen seien beendet und die Reform gültiges EU-Recht, betonte Schinas. „Wir sind zuversichtlich, dass die Umsetzung funktioniert.“ (epd/mig 13)

 

 

 

UNHCR: Weltweite Vertreibung erreicht historischen Höchststand

 

Es sind alarmierende Zahlen: Über 120 Millionen Menschen sind laut dem Flüchtlingshilfswerk der Vereinten Nationen (UNHCR) heute auf der Flucht. Diese Zahl entspricht etwa der Bevölkerungsgröße Japans.

Aus dem am Donnerstag veröffentlichten Global Trends Report geht hervor, dass sich die Zahl der gewaltsam Vertriebenen in den letzten zehn Jahren verdoppelt hat. Ein wesentlicher Aspekt für diese Entwicklung sind die aufkommenden gewaltsamen Konflikte auf der ganzen Welt. So zum Beispiel im Sudan: Ende 2023 flüchteten 10,8 Millionen Menschen aufgrund der Gewalt im Land. In der Demokratischen Republik Kongo und Myanmar wurden Millionen durch Kämpfe vertrieben. In Gaza wurden bis Ende letzten Jahres 1,7 Millionen Menschen gewaltsam vertrieben. Syrien bleibt mit 13,8 Millionen Vertriebenen die größte Krise.

Zahl der Schutzsuchenden steigt

„Hinter diesen Zahlen verbergen sich unzählige menschliche Tragödien. Dieses Leid muss die internationale Gemeinschaft dazu bewegen, dringend die Ursachen der Vertreibung anzugehen“, bekräftigte Filippo Grandi, der UN-Hochkommissar für Flüchtlinge. Die Zahl der Flüchtlinge und Schutzsuchenden stieg auf 43,4 Millionen. Die meisten Flüchtlinge werden in Nachbarländern aufgenommen, wobei 75 Prozent in Ländern mit niedrigem und mittlerem Einkommen leben.

Rückkehr und Neuansiedlung geben Hoffnung

Der Bericht zeigt jedoch auch, dass 2023 mehr als 5 Millionen Binnenvertriebene und 1 Million Flüchtlinge in ihre Heimat zurückkehrten. Außerdem ist auch die Zahl der Neuansiedlungen im Jahr 2023 auf fast 160.000 gestiegen. „Flüchtlinge und die Gemeinschaften, die sie aufnehmen, brauchen Solidarität und Unterstützung“, appelierte Grandi. „Lösungen gibt es – Länder wie Kenia zeigen den Weg bei der Integration von Flüchtlingen – aber es braucht echte Verbindlichkeit und echtes Engagement.“

Hintergrund

Das UNHCR veröffentlicht jedes Jahr zwei statistische Berichte über weltweite Vertreibungen, den Global Trends Report und den Mid-Year Trends Report. Der Global Trends Report, der jährlich im Juni erscheint, analysiert Veränderungen und Trends bei den Vertriebenen im vorangegangenen Kalenderjahr (vom 1. Januar bis zum 31. Dezember). Er enthält Schlüsselstatistiken über die weltweite Anzahl von Flüchtlingen, Asylbewerbern, Binnenvertriebenen und Staatenlosen sowie über ihre wichtigsten Aufnahme- und Herkunftsländer. (unhcr 13)

 

 

 

Anerkennung von Vaterschaften künftig nur mit Ok der Ausländerbehörde

 

Die Anerkennung einer Vaterschaft führt bei einem ausländischen Elternteil in der Regel zu einem Aufenthaltsrecht in Deutschland. Die Bundesregierung befürchtet trotz geringer Fallzahlen, dass das missbraucht wird. Ein neues Gesetz soll das verhindern. Experten üben scharfe Kritik: Generalverdacht und Diskriminierung.

Die Anerkennung von Vaterschaften mit ausländischen Beteiligten soll künftig strenger kontrolliert werden. Das Bundeskabinett brachte am Mittwoch in Berlin ein Gesetz auf den Weg, das sogenannte missbräuchliche Vaterschaftsanerkennungen besser verhindern soll. Diese haben allein zum Ziel, Mutter oder Vater sowie dem Kind ein Aufenthaltsrecht in Deutschland zu verschaffen. Die geltenden Regeln zur Verhinderung dieses Missbrauchs seien nicht effektiv genug, hieß es zur Begründung.

Täuschungen und Rechtsmissbrauch, um an ein Aufenthaltsrecht in Deutschland zu kommen, werde ein deutlicher Riegel vorgeschoben, erklärte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD). Auch der damit verbundene missbräuchliche Bezug von Sozialleistungen solle damit gestoppt werden. Bundesjustizminister Marco Buschmann (FDP) sagte, die geplante Gesetzesänderung stehe beispielhaft für eine „neue Realpolitik in der Migration“. Innen- und Justizministerium haben den Entwurf gemeinsam erarbeitet.

Vaterschaft nur mit Zustimmung der Ausländerbehörde

Demzufolge soll künftig gelten, dass für die Anerkennung der Vaterschaft die Zustimmung der Ausländerbehörde erforderlich ist, wenn Vater oder Mutter die deutsche Staatsbürgerschaft oder ein sicheres Aufenthaltsrecht haben, der Partner oder die Partnerin aber nur ein befristetes Bleiberecht oder eine Duldung. Die Zustimmung soll versagt werden, wenn Missbrauch vermutet wird, etwa weil sich die vermeintlichen Eltern erst kürzlich kennengelernt haben oder der vermeintliche Vater schon mehrfach Vaterschaften von Kindern ohne deutsche Staatsbürgerschaft anerkannt hat.

Umgekehrt soll die Zustimmung erteilt werden, unter anderem wenn ein Vaterschaftstest vorliegt, die Eltern seit mindestens einem halben Jahr zusammenwohnen oder nach der Geburt des Kindes geheiratet haben. Stellt sich nach einer Zustimmung heraus, dass sie auf falschen Tatsachenangaben beruhte oder Mitarbeitende der Ausländerbehörden bedroht oder bestochen wurden, kann die Zustimmung auch nachträglich innerhalb einer fünfjährigen Frist zurückgenommen werden. Die Vaterschaft würde dann rückwirkend entfallen.

900 Verdachtsfälle pro Jahr

Die bisherige Regelung sieht vor, dass die Stellen, die die Vaterschaft beurkunden, etwa ein Notar oder das Jugendamt, die Anerkennung bei Missbrauchsverdacht aussetzen. Diese Stellen könnten die relevanten Informationen aber schwer ermitteln, deshalb sei das Verfahren nicht effektiv, hieß es aus dem Bundesinnenministerium.

Nach Angaben des Ministeriums wurden in den Jahren 2018 bis 2021 insgesamt 1.769 Fälle bearbeitet, in denen ein Missbrauch vermutet wurde. Bei nur rund 290 Fällen davon wurde aber tatsächlich Missbrauch festgestellt. Weitere rund 1.800 Fälle seien in Auslandsvertretungen geprüft worden, mit sehr geringer Quote an festgestellten Missbräuchen. Es werde aber davon ausgegangen, dass die tatsächliche Zahl von Missbräuchen höher ist, da durch das jetzige Verfahren vermutlich nicht jeder Missbrauch erkannt würde, hieß es.

Familienverband kritisiert Diskriminierung

Der Verband binationaler Familien und Partnerschaften (iaf) kritisiert die Gesetzesverschärfung. Aus menschenrechtlicher Perspektive erscheine angesichts der geringen Fallzahl eine Gesetzesverschärfung in diesem Ausmaß „sehr bedenklich“, heißt es in einer Stellungnahme des Verbandes an die beiden zuständigen Ministerien, die dem MiGAZIN vorliegt. Bei umgerechnet 73 Fällen pro Jahr sei es „unverhältnismäßig, eine derart große Bevölkerungsgruppe unter Generalverdacht zu stellen“.

Der iaf sieht in dem Gesetz „eine deutliche Diskriminierung von Menschen mit Migrationsgeschichte aufgrund des Aufenthaltsstatus“, heißt es in der Stellungnahme. „Der derzeitige ausschließlich mit negativen Konnotationen geführte Migrationsdiskurs scheint bei dem vorliegenden Referentenentwurf Pate gestanden zu haben“, so der iaf weiter. (epd/mig 13)

 

 

 

Weidel, Le Pen, Meloni & Co. Rechts auf dem Vormarsch: Was die Europawahl für die EU bedeutet

 

Aus Sicht der Regierungsparteien in Deutschland war die Europawahl ein Debakel. Rechte können hingegen feiern. Nun stellt sich die Frage nach möglichen Bündnissen. Geben jetzt Weidel, Le Pen, Meloni und Co. den Ton an? Von Ansgar Haase, Rachel Boßmeyer und Christoph Sator

Deutschland, Frankreich, Italien und Spanien: In fast allen großen EU-Staaten haben rechte Parteien bei der Europawahl deutlich zugelegt. Doch wird sich das wirklich auf die Politik in Brüssel auswirken? Fragen und Antworten im Überblick:

Nein. Der Kurs der EU wird in erster Linie vom Europäischen Rat vorgegeben, dem Gremium der 27 Staats- und Regierungschefs. Dort ändert sich durch die Europawahl erst einmal nichts. In dem Rat, der regelmäßig zu Gipfeln zusammenkommt, sind derzeit die Parteien des Mitte-Rechts-Bündnisses EVP mit aktuell 13 Staats- und Regierungschefs klar stärkste politische Kraft. Danach kommen die Lager der Sozialdemokraten und der Liberalen. Klare Rechtsaußen-Politiker im Rat sind bislang nur Italiens Ministerpräsidentin Giorgia Meloni und Ungarns Regierungschef Viktor Orbán.

Im Europaparlament bleibt die EVP ebenfalls deutlich stärkste politische Kraft. Selbst wenn sich alle rechten Parteien zusammenschlössen, kämen sie voraussichtlich auf weniger als 200 der künftig 720 Sitze – weit entfernt von einer eigenen Mehrheit. Das bedeutet auch, dass EVP-Spitzenkandidatin Ursula von der Leyen rein rechnerisch nicht auf Stimmen aus dem Rechtsaußen-Lager angewiesen ist, um eine zweite Amtszeit als Kommissionspräsidentin zu bekommen. Eigentlich reicht eine informelle Zusammenarbeit mit Sozialdemokraten und Liberalen aus, wie bereits 2019 vor der damaligen Wahl von der Leyens vereinbart.

Wie geht es mit der AfD im Europaparlament weiter?

Das ist noch unklar. Die bisherigen AfD-Abgeordneten wurden kurz vor der Europawahl aus der rechtsnationalen ID-Fraktion ausgeschlossen. Hintergrund waren Äußerungen des AfD-Spitzenkandidaten Maximilian Krah zur SS der Nationalsozialisten und eine China-Spionageaffäre um einen seiner Mitarbeiter. Am Montag beschlossen die anderen neu gewählten AfD-Abgeordneten, Krah gar nicht erst in ihre neue Delegation aufzunehmen. Dies könnte den Weg für eine Zusammenarbeit mit anderen Rechtsparteien wieder freimachen. Infrage kommen dafür etwa die Fratelli d’Italia (Brüder Italiens) von Meloni und die französische Partei Rassemblement National um Marine Le Pen – beide in ihren Ländern klare Wahlsieger.

Könnte es zur Gründung einer neuen großen Rechtsaußen-Fraktion kommen?

Auch das ist noch ungewiss. Le Pen wirbt derzeit zwar bei Meloni für eine Vereinigung, um die zweitgrößte Fraktion im Europäischen Parlament zu bilden. Dagegen spricht, dass Meloni auch von der mächtigen EVP umworben wird. Für eine zumindest lose Zusammenarbeit mit der EVP spricht aus Sicht der Italienerin, dass sie dann deutlich näher am Machtzentrum der EU wäre. Geht Meloni hingegen eine enge Allianz mit Le Pen ein, dürfte dies einer Zusammenarbeit mit der EVP entgegenstehen – Le Pen wird von der EVP noch immer als EU-feindlich, Russland-nah und rechtsextrem verteufelt – trotz deren Bemühungen, sich von ihrem Vater Jean-Marie Le Pen zu distanzieren.

Welche Rolle spielt Le Pen künftig auf EU-Ebene?

Die Rechtsnationale sieht sich durch das gute Abschneiden bei der Europawahl klar im Aufwind, allerdings mehr noch auf nationaler Ebene als auf europäischem Parkett. Sie wird weder ins EU-Parlament einziehen noch bei den Treffen der Staats- und Regierungschefs dabei sein – und daher eher indirekt Einfluss nehmen. Das Wahlergebnis sieht sie als klaren Auftrag, Europa zu verändern. Sie will mehr Mitsprache der Nationalstaaten, sich von Brüssel bei der Migrationspolitik nicht reinreden lassen und die Handelspolitik protektionistischer gestalten. Deutlich mehr Gewicht könnte die Stimme der 55-Jährigen bekommen, wenn ihre Partei die vorgezogene Parlamentswahl in Frankreich in diesem Sommer gewinnt und Präsident Emmanuel Macron gezwungen wäre, einen Regierungschef aus ihren Reihen zu ernennen.

Und was ist mit Meloni?

Die 47-Jährige ist die neue starke Frau Europas: Seit Angela Merkel war keine Regierungschefin in der EU mehr so mächtig. Mit dem Wahlsieg ihrer Fratelli d’Italia, die im Unterschied zu den meisten anderen Regierungsparteien in der EU nochmals zulegen konnte, hat Meloni noch einmal an Einfluss gewonnen. Das wird man diese Woche schon beim G7-Gipfel der großen Industrienationen merken, wenn die Italienerin Gastgeberin ist. Dann geht es auch um die Frage, ob sie von der Leyen unterstützt. Im Vergleich zu den Wahlverlierern Olaf Scholz und Macron steht sie bestens da.

Immer noch wird gerätselt, wie viel Gedankengut Meloni von ihren postfaschistischen Anfängen behalten hat. Ist sie tatsächlich in die Mitte gerückt – oder tut sie nur so? In der Außenpolitik hat sie sich bislang als zuverlässige Partnerin bewiesen. Mit großem Interesse wird auch verfolgt, ob sie nun eine größere Nähe zur Le Pen suchen wird. Wird das Partnerschaft oder Konkurrenz? Denn wenn Le Pen die Parlamentswahl in Frankreich gewinnt, könnte es mit Melonis Stellung als klare Nummer eins der Rechten in Europa schon wieder vorbei sein.

Dürfte die EU dauerhaft nach rechts rücken?

Dies ist vor allem davon abhängig, wie die nächsten Wahlen in den Mitgliedstaaten verlaufen. Nach den Erfolgen der FPÖ bei der Europawahl ist denkbar, dass die rechte Partei dort auch die nächste Parlamentswahl gewinnt und dann auch den österreichischen Bundeskanzler stellt. Ganz entscheidend dürfte zudem sein, ob es Le Pen gelingt, 2027 in Frankreich Präsidentin zu werden. Dass rechte Parteien nicht überall einen Lauf haben, zeigte sich zuletzt in Polen, wo die rechtsnationale PiS die Macht im vergangenen Jahr an ein Bündnis um den früheren EU-Ratspräsidenten Donald Tusk abgeben musste. Gegen den Trend geht es zudem auch in Ungarn: Dort musste die Fidesz-Partei von Orbán am Sonntag ihr bisher schlechtestes Ergebnis bei einer Europawahl hinnehmen.

MiG 12

 

 

 

Frustration und Rassismus. Warum die Jugend so oft rechts gewählt hat

 

Bei dieser Europawahl durften erstmals junge Menschen ab 16 mitmachen. Das Ergebnis zeigt: Die jungen Menschen haben häufig AfD gewählt, die Grünen sind dagegen abgerutscht. Warum? Von Fatima Abbas

Sie sind jung, politisch interessiert und begeistert von der AfD: Bei der Europawahl haben deutlich mehr junge Wähler als 2019 ihr Kreuzchen bei der Partei gemacht, deren Spitzenkandidaten zuletzt vor allem durch Skandale aufgefallen waren. Auch die Union konnte bei den 16- bis 24-Jährigen zulegen – im Gegensatz zu den einstigen Lieblingen der Jugend, den Grünen, und der FDP. Sind junge Wähler „rechter“ als andere?

Elf Prozentpunkte mehr für die AfD

17 Prozent der teilnehmenden 16- bis 24-Jährigen wählten diesmal CDU oder CSU – bei der vorangegangenen Europawahl 2019 waren es noch 12 Prozent, ein Plus also von fünf Prozentpunkten. Für die AfD haben in der Altersgruppe 16 Prozent gestimmt – das sind sogar satte elf Punkte mehr.

Experte: Junge Menschen sind „grundfrustriert“

„Das hat mich gar nicht überrascht“, sagt der Hamburger Politikberater und Social-Media-Experte Martin Fuchs. Er nehme bei jungen Leuten schon länger eine „Grundfrustration“ wahr. Das habe schon zu Zeiten der Finanzkrise begonnen und sich bis nach der Corona-Pandemie durchgezogen: Es seien immer die Jüngeren gewesen, für die „am wenigsten Politik gemacht“ worden sei. Ein weiterer Grund sei der Umgang der Bundesregierung mit Kriegen und Krisen. Der habe zu einer „maximalen Ernüchterung“ auch von Anhängern progressiver Ideen geführt, analysiert Fuchs. Die AfD habe hier einfache Antworten zu bieten. „Populismus ist anschlussfähig – nicht nur bei jungen Leuten.“

Den Erfolg der Union erklärt Fuchs auch mit der Arbeit von CDU-Chef Friedrich Merz. Der habe es geschafft, seine Partei zu einen und jungen Wählern das Gefühl zu vermitteln, dass es auch jenseits der Ampel-Koalition eine demokratische Alternative gibt.

„Struktureller Rassismus“ helfe der AfD

Und dennoch bleibt die Frage: Warum wählt ein Teil der jungen Menschen dann nicht eher die Union und letztendlich doch die AfD – eine Partei, die vom Verfassungsschutz als rechtsextremer Verdachtsfall und in drei Ländern sogar als gesichert rechtsextrem eingestuft wird? „Junge Menschen sind nicht unbedingt links-progressiv eingestellt, sondern haben auch teilweise ein vielleicht antisemitisches, rassistisches Weltbild“, sagt Fuchs. Einigen sei die CDU „zu mittig“ und „zu wenig nationalistisch“. Die AfD habe es geschafft, das Potenzial von strukturellem Rassismus in Deutschland zu heben – dieser sei schon seit 20, 25 Jahren durch Studien belegt. Das Sylt-Video mit „Ausländer-Raus“-Parolen sei nur die Spitze des Eisbergs.

Der Erfolg der AfD gehe darüber hinaus nicht allein auf deren Dauerpräsenz auf Plattformen wie TikTok zurück. Beim Wahlkampf hätten die anderen Parteien auch große Fehler gemacht. Sie hätten sich an den rechten Kräften „abgearbeitet“ und in der Kommunikation darauf fokussiert, Rechtsextreme im EU-Parlament zu verhindern. Diese Strategie sei nicht aufgegangen. Dadurch hätten nicht nur junge Menschen erst recht die AfD gewählt. „Das ist dann eine Art Trotzreaktion“, die auch durch das immer wieder von der Partei bediente „Opfernarrativ“ verstärkt werde.

Experte: Absturz der Grünen auch durch Regierungsbeteiligung

Die schwerste Niederlage bei den Jüngeren mussten die Grünen einstecken: 23 Prozentpunkte Verlust seit der letzten Wahl. Nur noch elf Prozent der Wählerinnen und Wähler zwischen 16 und 24 Jahren entschieden sich für die Partei, die einst neben der FDP als Magnet für junge Menschen galt und als Garant für gute Klimaschutzpolitik.

Der Politikwissenschaftler Thorsten Faas verweist zwar darauf, dass das Thema Klima in der medialen Wahrnehmung jüngst nicht mehr so präsent war wie beispielsweise Migration. Eine generelle „Klima-Müdigkeit“ sieht er aber nicht. Die Europawahl habe vor allem eines gezeigt: „Keine Gruppe hat so heterogen gewählt wie die Gruppe junger Menschen.“ Das zeige sich auch am Zuspruch zu Volt und anderen Kleinstparteien. In den westdeutschen Groß- und Universitätsstädten sei Volt mit einer progressiven Agenda verstärkt in die „Lücke gestoßen, die die Grünen hinterlassen haben“, analysiert Faas. Seit der letzten Wahl 2019 habe die grüne Regierungsbeteiligung bei jungen Leuten teilweise Enttäuschung hervorgerufen. Debatten wie die um das „Heizungsgesetz“ hätten „extrem polarisiert“ und den Grünen geschadet.

Luisa Neubauer von Fridays for Future findet „Jugend-Bashing“ dagegen nicht angezeigt. Zwar seien die AfD-Ergebnisse „erschütternd“. Viele junge Menschen hätten sich „trotz Rechtsrucks“ aber auch für den Klimaschutz entschieden, sagt Neubauer der dpa. „Zusammengerechnet haben Volt und Grüne – die beiden Parteien, die offensiv mit Klimaschutz Wahlkampf gemacht haben, mehr Prozent von den unter 24-Jährigen bekommen als die AfD.“ Und in der Tat: Grüne und Volt kämen laut Forschungsgruppe Wahlen zusammen auf 20 Prozent.

Rolle des Wahlalters 16

Was die Wahlforscher aus Mannheim indes nicht separat aufgeschlüsselt haben: das Abschneiden der Erstwähler – also nur das Wahlverhalten derjenigen, die dieses Mal zum ersten Mal wählen durften. Zur Erinnerung: Bei dieser Europawahl durften junge Menschen erstmals ab 16 Jahren wählen. Eine separate Auswertung für diese spezifische Gruppe sei auch ihm nicht bekannt, sagt der Politikexperte Faas. Es sei aber klar gewesen, dass von der Senkung des Wahlalters nicht nur jene Parteien profitieren würden, die sich auch dafür eingesetzt hätten – sprich FDP, SPD, Linke und Grüne. Nun zu sagen „Das war alles ein Riesenfehler“ findet der Experte falsch. Und bei SPD und Grünen sieht es die Führung trotz aller Stimmenverluste genauso. Dadurch würde auch die Bedeutung dieser Gruppe überschätzt, sagt Faas. (dpa/mig 12)

 

 

 

Studie. Rassismus am Arbeitsplatz weit verbreitet

 

Rechtsextreme Einstellungen am Arbeitsplatz sind in Deutschland weit verbreitet – sanktioniert werden sie nur ganz selten. Das geht aus einer Studie hervor. Experten appellieren an Entscheider und warnen vor den unternehmerischen Folgen.

Rechtsextremismus macht auch vor Werktoren, Büroräumen oder dem Einzelhandel nicht halt: In Deutschland hat jeder dritte Beschäftigte rechtsextreme Einstellungen am Arbeitsplatz wahrgenommen. Das ergab eine repräsentative Civey-Umfrage im Auftrag von „Gesicht Zeigen!“. Demnach ist fast jeder zehnte Beschäftigte als Opfer rechtsextremer Einstellungen am Arbeitsplatz persönlich betroffen.

„Die Zahlen zeigen, dass Unternehmen handeln müssen“, sagt Geschäftsführerin Sophia Oppermann. Zudem wünschten die Beschäftigten nicht nur eine klare Positionierung der Unternehmen, sondern auch entschiedenes Handeln. Fast zwei Drittel derer, die rechtsextreme Vorfälle wahrgenommen haben, wünschen sich mehr Engagement seitens der Arbeitgeber. Bei denjenigen, die keine rechtsextremen Einstellungen wahrnahmen, sind es nur knapp ein Viertel.

Die Studie zeigt jedoch ein ernüchterndes Bild: Reaktionen oder Sanktionen der Unternehmen bei rechtsextremen Vorfällen gibt es nur ganz selten. In nur weniger als einem von fünf Fällen wurden den Angaben zufolge Maßnahmen ergriffen. Wurden sie jedoch ergriffen, waren diese oft effektiv: „Rund drei Viertel gaben an, dass die ergriffenen Maßnahmen erfolgreich waren und sich rechtsextreme Vorfälle nicht wiederholten“, heißt es. Auch der Wunsch nach mehr Engagement oder Fortbildungen nehme zu, wenn rechtsextreme Einstellungen im Unternehmen wahrgenommen wurden.

Unternehmen unterschätzen Gefahr durch Rechtsextremismus

Umgekehrt wirken sich rechtsextreme Einstellungen am Arbeitsplatz nach Ansicht einer deutlichen Mehrheit der Beschäftigten negativ auf das Betriebsklima aus. Ein gutes Drittel sieht Schwierigkeiten bei der Fachkräfte-Gewinnung und -Sicherung. Dennoch ist jeder fünfte Beschäftigte und jeder dritte Entscheider der Meinung, dass die Verbreitung rechtsextremer Einstellungen keinerlei Auswirkungen auf Arbeitsplatz, Ruf des Unternehmens oder Fachkräfte-Sicherung habe. Hier zeigt sich laut Oppermann, dass die Gefahr durch Rechtsextremismus häufig unterschätzt wird.

Für die Studie befragte das Meinungsforschungsunternehmen Civey zwischen Januar und Februar 2024 in einer repräsentativen Online-Umfrage 2.500 abhängig Beschäftigte und 2.000 privatwirtschaftliche Entscheider. Auftraggeber war „Gesicht Zeigen!“, eine Initiative, die Menschen ermutigt Menschen, aktiv zu werden gegen Rassismus. (mig 12)

 

 

 

Rechte im Aufwind. Vier Folgen der Europawahl

 

Bei den Europawahlen haben Parteien der Ampel-Koalition deutlich verloren, die Union geht als stärkste Kraft aus den Wahlen hervor. Deutlich gewonnen hat die AfD. Gewählt wurde auch im Osten Deutschlands. Wie geht es jetzt weiter? Fragen und Antworten nach der Europawahl.

Nach der Europawahl feiern vor allem die rechten Parteien. So sind etwa in Österreich und Frankreich die Rechtspopulisten stärkste Kraft geworden. Auch in Deutschland verbuchte die AfD Gewinne und landete im Osten sogar auf Platz eins. Die Ampel-Koalition unter Führung von Kanzler Olaf Scholz (SPD) fuhr eine Pleite ein – kein gutes Omen für die Landtagswahlen im Herbst in drei ostdeutschen Bundesländern.

Nach dem von der Bundeswahlleiterin am frühen Montagmorgen bekanntgegebenen vorläufigen amtlichen Ergebnis steigert sich die Union leicht auf 30,0 Prozent (2019: 28,9). Die AfD erreicht mit 15,9 ihr bislang bestes Ergebnis bei einer bundesweiten Abstimmung (2019: 11) – es fällt allerdings niedriger aus als zwischenzeitliche Umfragewerte. In Ostdeutschland ist die Partei mit großem Abstand stärkste Kraft. Die SPD, die im Wahlkampf auch auf Kanzler Olaf Scholz als Zugpferd setzte, fällt auf 13,9 Prozent (15,8) – ihr schlechtestes Ergebnis bei einer bundesweiten Wahl überhaupt. Die Grünen rutschen ab auf 11,9 Prozent (20,5). Nur leicht verliert die FDP, die auf 5,2 Prozent (5,4) kommt.

Die Linke landet bei mageren 2,7 Prozent (5,5) – ihr schlechtestes Ergebnis bei Europawahlen. Die Partei BSW erreicht aus dem Stand 6,2 Prozent. Die Freien Wähler kommen auf 2,7 Prozent (2,2), die Partei Volt liegt bei 2,6 Prozent (0,7).

Bei der Europawahl in Deutschland gilt anders als bei Bundestags- und Landtagswahlen keine Sperrklausel, also etwa eine Fünf-Prozent-Hürde. Die Wahlbeteiligung erreichte mit 64,8 Prozent einen neuen Höchstwert seit der Wiedervereinigung. 2019 waren es 61,4 Prozent, damals lag Deutschland auf Platz 5 im Vergleich der 27 EU-Staaten. Bei der ersten gesamtdeutschen EU-Wahl 1994 lag die Beteiligung bei genau 60,0 Prozent, bei späteren Abstimmungen nur zwischen 40 und 50 Prozent. Erstmals durften in Deutschland bei einer Europawahl auch 16- und 17-Jährige abstimmen.

Antworten auf vier Fragen, die sich nach dem Ergebnis stellen:

Könnte es nach den Landtagswahlen in Thüringen, Sachsen und Brandenburg einen AfD-Ministerpräsidenten geben?

Wenn die AfD Ergebnisse holt wie jetzt bei der Europawahl, könnte sie knapp an dieses Ziel herankommen – und ganz ausgeschlossen ist es zumindest in Sachsen nicht. Würden die Landtagswahlergebnisse im Freistaat so ähnlich ausfallen wie jetzt bei der Europawahl, könnte es theoretisch passieren, dass nur AfD, CDU und Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) in den Landtag einziehen und alle anderen an der Fünf-Prozent-Hürde scheitern. Würden nun CDU und BSW auch noch weniger Sitze als die AfD erringen, was beim Blick auf das Europawahlergebnis ebenfalls nicht ausgeschlossen scheint, könnten sie die Wahl eines AfD-Ministerpräsidenten nicht verhindern.

Wie gefährlich ist das Wahlergebnis für Scholz und die Ampel?

Der französische Präsident Emmanuel Macron machte am Wahlabend kurzen Prozess. Nur eine Stunde nach Verkündung der krachenden Wahlniederlage seines Mitte-Blocks gegen die Rechtsnationale Marine Le Pen kündigte er kurzerhand eine Neuwahl des Parlaments an, die schon in drei Wochen stattfinden soll. „Ich kann also am Ende dieses Tages nicht so tun, als ob nichts geschehen wäre“, sagte er.

Wäre das auch was für Bundeskanzler Olaf Scholz, der mit seiner SPD das bisher schlechteste Ergebnis bei einer bundesweiten Wahl eingefahren hat? Die Union fordert von ihm bereits, die Vertrauensfrage zu stellen. Und dafür gäbe es auch ein historisches Vorbild: 2005 machte der damalige SPD-Kanzler Gerhard Schröder nach einer Wahlniederlage in Nordrhein-Westfalen genau das, um eine Neuwahl des Bundestags zu erwirken.

Scholz ist allerdings nicht der Typ, der einfach mal so hinwirft. Am Wahlabend schlenderte er demonstrativ gelassen über die Wahlparty im Berliner Willy-Brandt-Haus und machte in aller Ruhe Selfies mit den Genossen – als wenn nichts geschehen wäre. Die nächsten Wochen könnten aber ungemütlich für ihn werden. SPD-Chef Lars Klingbeil lässt bereits durchblicken, dass seine Partei nun eine härtere Gangart in der Koalition einschlagen wird. Vielleicht dann ja auch mal auf Kosten des Kanzlers. „Unsere Leute wollen uns kämpfen sehen“, sagte Klingbeil am Wahlabend. Aber auch die Wahlschlappen der Grünen und der FDP werden der Kompromissbereitschaft in der Koalition nicht zuträglich sein – und das mitten in schwierigen Haushaltsverhandlungen, die bis zum 3. Juli abgeschlossen werden sollen. Der Ampel dürften also turbulente Wochen bevorstehen.

Wird CDU-Chef Friedrich Merz jetzt Kanzlerkandidat der Union?

Das ist noch offen. Zurücklehnen kann sich Merz jedenfalls nicht. Zwar ist angesichts des klaren Unionssiegs nicht unbedingt zu erwarten, dass direkt am Montag eine unionsinterne Debatte losbricht, ob der 68 Jahre alte Sauerländer tatsächlich der richtige Kandidat wäre, um Scholz nach der nächsten Bundestagswahl abzulösen. Aber ausgeschlossen ist das nicht. Schon lange wird Merz beispielsweise vorgeworfen, er komme weder bei Jüngeren noch bei Frauen gut an.

Laut einer Analyse der Forschungsgruppe Wahlen vom Sonntag liegt die AfD in der Gruppe der 16- bis 24-Jährigen mit 17 Prozent gleichauf mit der Union, die von den Jungen nur gut halb so viele Stimmen wie insgesamt bekommt. Gut möglich, dass in der Union auch über den Kurs von Merz bei Sicherheit und Migration diskutiert wird. Laut einer vorläufigen Analyse der Wählerwanderung von Infratest Dimap für die ARD sind von der Union zur AfD 600.000, zum BSW (Bündnis Sahra Wagenknecht) 250.000 und zu den Nichtwählern 1,28 Millionen Menschen abgewandert. Auch das könnte Merz mit angekreidet werden.

Offen bleibt dabei, warum die Wähler abwandern. Merz fordert von der Bundesregierung strengere eine Migrationspolitik und versucht selbst immer wieder mit rechtspopulistischen Thesen über angeblich mangelnde Termine beim Zahnarzt wegen Geflüchteten oder Auslassungen über „Paschas“ am rechten Rand zu punkten. Kritik beklagen, Merz treibe mit dieser Rhetorik die Wähler zum Original, zur AfD. Anderen wiederum ist Merz in der Migrationspolitik nicht scharf genug.

So oder so – in der K-Frage, die CDU und CSU nach den Landtagswahlen im September entscheiden wollen, haben die Wahlanalysen für Merz ebenfalls nicht wirklich Erfreuliches parat. So sind laut Analyse der Forschungsgruppe Wahlen vom Sonntag zwar 66 Prozent der Bürger mit der Bundesregierung unzufrieden – aber nur 30 Prozent meinen, dass CDU/CSU die Sache besser machen würde. Weder Merz noch CSU-Chef Markus Söder können sich demnach zudem beim Ansehen klar von Scholz absetzen.

Geben jetzt Le Pen, Meloni und Co in der EU den Ton an?

Nein. Der Kurs der EU wird in erster Linie vom Europäischen Rat vorgegeben und dort ändert sich durch die Europawahl erst einmal nichts. Im Europäischen Rat, dem Gremium der Staats- und Regierungschefs, stellen die Parteien des Mitte-Rechts-Bündnisses EVP derzeit 13 Mitglieder und sind damit mit Abstand das größte Lager.

Im Europaparlament bleibt die EVP ebenfalls deutlich stärkste politische Kraft. Selbst wenn sich alle rechten Parteien zusammenschließen würden, kämen sie voraussichtlich auf weniger als 200 der künftig 720 Sitze und wären damit von einer Mehrheit weit entfernt. Das bedeutet, dass EVP-Spitzenkandidatin Ursula von der Leyen rein rechnerisch nicht auf Stimmen aus dem Rechtsaußen-Lager angewiesen ist, um sich ein zweites Mal zur Präsidentin der EU-Kommission wählen zu lassen.

360 Millionen Bürger waren wahlberechtigt

In den 27 EU-Staaten waren rund 360 Millionen Bürger wahlberechtigt, davon knapp 61 Millionen Deutsche. Gewählt wurde von Donnerstag bis Sonntag – je nach Land – 720 Abgeordnete für das neue Europäische Parlament, davon am letzten Tag 96 in Deutschland. Abgesehen von der Parlamentswahl in Indien ist es die größte demokratische Abstimmung weltweit – und die einzige Direktwahl über Staatsgrenzen hinweg. (dpa/mig 11)

 

 

 

Vormarsch auf Brüssel

 

Rechte Parteien konnten bei der Europawahl deutlich zulegen. Welche Auswirkungen hat ihr Erfolg auf die EU und ihre Handlungsfähigkeit? Tobias Mörschel & Ingmar Naumann & Marco Schwarz

Die jüngsten Wahlen zum Europäischen Parlament haben die politische Landschaft in der Europäischen Union (EU) verändert und nach rechts verschoben. Die europäischen Konservativen (EVP) sind die klaren Gewinner dieser Wahlen, während Sozialdemokraten (S&D) und Linke ihre Positionen weitgehend halten konnten. Verlierer sind Grüne und Liberale, die über 40 Sitze im EP abgeben müssen, wohingegen die rechtspopulistische (EKR) und die rechtsextreme (ID) Fraktion deutliche Zugewinne verbuchen können. Welche Dynamik entwickeln die neuen Kräfteverhältnisse und welche Auswirkungen hat dies auf die Arbeitsfähigkeit des Europäischen Parlaments? Was bedeutet das Wahlergebnis für die neue Europäische Kommission und ihr Arbeitsprogramm? Und welche Folgen werden diese Veränderungen für die europäische Integration und auf Europa als Akteur in einer multipolaren Welt haben?

Die zehnte Direktwahl zum Europäischen Parlament fand in einer Zeit statt, in der sich die weltpolitische Lage durch den russischen Angriffskrieg gegen die Ukraine deutlich gewandelt hat. Gleichzeitig hatten noch nie in der Geschichte der EU rechte und rechtsextreme Parteien einen so starken Einfluss in zahlreichen Staaten der EU. Das Votum der Wählerinnen und Wähler erschwert traditionelle Mehrheitsverhältnisse von Parteien der politischen Mitte und wird die Brüsseler Konsensmaschine einem Stresstest unterziehen.

Wie geht es nun weiter? Mitte Juni befasst sich der Europäische Rat beim Treffen der Staats- und Regierungschefs zunächst inoffiziell und dann Ende des Monats offiziell mit der Wahl seiner eigenen Spitze sowie mit der Besetzung der beiden anderen Topjobs der EU: der Kommissionspräsidentin und des Außenbeauftragten der EU. Hierbei wird eine Paketlösung angestrebt werden, welche die Mehrheitsverhältnisse im Rat und im Parlament widerspiegelt – und wobei eine Wiederholung der dysfunktionalen, geradezu toxischen Beziehung von Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen und Ratspräsident Charles Michel, die die vergangenen fünf Jahre die EU schwächte, unbedingt vermieden werden muss. Als neuer Ratspräsident wird meist der Name des ehemaligen portugiesischen Ministerpräsidenten António Costa genannt, während die estnische Premierministerin Kaja Kallas nächste Außenbeauftragte werden könnte.

Für die Kommission gilt von der Leyen (EVP) als aussichtsreichste Kandidatin, auch wenn in Brüssel in den vergangenen Wochen zahlreiche Alternativen intensiv diskutiert wurden. Von der Leyen kann auf die Unterstützung der zahlreichen Mitte-rechts-Regierungen in der EU sowie auf die des sozialdemokratischen Lagers zählen. So hat der spanische Ministerpräsident Pedro Sánchez bereits öffentlich seine Unterstützung angekündigt und auch Bundeskanzler Olaf Scholz dürfte ein Interesse daran haben, sie im Amt zu halten.

Sollte von der Leyen erneut vom Rat vorgeschlagen werden, wäre die entscheidende Hürde voraussichtlich Mitte Juli in Straßburg zu nehmen. Am 16. Juli wird wahrscheinlich zunächst die maltesische Politikerin Roberta Metsola (EVP) als Parlamentspräsidentin wiedergewählt werden. Zwei Tage später könnte die Wiederwahl von Ursula von der Leyen anstehen. Dann wäre es möglich, noch während der parlamentarischen Sommerpause eine Liste der potenziellen Mitglieder der Kommission zu erstellen. Für ihre Wiederwahl bräuchte von der Leyen die Zustimmung von mindestens 361 der 720 Abgeordneten – eine Mehrheit, die ihr angesichts des Erstarkens der rechten Fraktionen keineswegs sicher ist. Jean-Claude Juncker schaffte dies 2014 mit 46 Stimmen Vorsprung, von der Leyen 2019 mit nur neun Stimmen, damals unterstützt auch von rechtspopulistischen Parteien, die ihr diesmal die Zustimmung verweigern werden. Sollte von der Leyen im Rat durchfallen oder im Parlament keine Mehrheit finden, müsste der Rat – unter ungarischer Präsidentschaft – rasch eine neue Person vorschlagen, was den Arbeitsbeginn der neuen Kommission verzögern würde. Eine solche Hängepartie würde nicht nur die Arbeitsfähigkeit der EU beeinträchtigen, sondern auch ihrem Ansehen erheblichen Schaden zufügen.

Parallel zu diesem hochpolitischen Prozess formieren sich die Fraktionen im Parlament neu. Die Wahl des Parlamentspräsidenten, der Vizepräsidenten und der Ausschussvorsitzenden beeinflusst die Arbeitsweise und die politischen Schwerpunkte des Parlaments in den kommenden Jahren. Es ist zudem wahrscheinlich, dass es zu einer Neuformierung der rechten und rechtsextremen Fraktionen im Europäischen Parlament kommen wird. Eine entscheidende Frage wird dabei der Umgang mit der AfD sein. Unmittelbar vor der Wahl war es der AfD gelungen, zum Paria unter den Rechtsaußenparteien zu werden, als sowohl Marine Le Pen als auch Giorgia Meloni und Matteo Salvini eine weitere Zusammenarbeit mit der AfD ablehnten und diese aus der ID-Fraktion ausgeschlossen wurde.

Allerdings gilt auch hier das Motto, dass nach der Wahl nicht mehr unbedingt das gilt, was vor der Wahl gesagt wurde. Und der Rausschmiss des AfD-Spitzenkandidaten Krah aus der deutschen Delegation zeigt, dass die AfD alles tut, um im rechten Schmuddelsalon wieder hoffähig zu werden. Falls dieses Manöver nicht gelingt, wird die AfD wohl versuchen, eine dritte Rechtsfraktion im Parlament zu gründen, wofür mindestens 23 Abgeordnete aus sieben Mitgliedstaaten nötig wären. Mit von der Partie könnten dabei weitere rechte Parteien sein, die bisher keiner Fraktion angehören, wie etwa die ungarische Fidesz-Partei von Victor Orbán.

Diskutiert wird auch die Option, dass die rechtspopulistischen und rechtsextremen Parteien eine neue „Superfraktion“ bilden könnten, was deren Verhandlungsmacht erheblich stärken und zu einer Polarisierung im Parlament führen würde. Eine solche rechte Großfraktion würde dazu beitragen, die EU-Agenda stärker an nationalen Interessen und weniger an gemeinsamen europäischen Lösungen auszurichten. Dieses Szenario erscheint jedoch unwahrscheinlich, da sich viele europäische Rechtsparteien in zentralen außen- und sicherheitspolitischen Fragen nicht einig sind – insbesondere was das Verhältnis zu Russland, den Krieg gegen die Ukraine und die Zusammenarbeit mit den USA und der NATO betrifft.

Eine Schlüsselrolle im Umgang mit den europäischen Rechtskräften wird künftig umso mehr der EVP zukommen, der auch CDU und CSU angehören. Anstatt um die Grünen zu werben, hat deren Partei- und Fraktionschef Manfred Weber in den letzten Monaten immer wieder die Zusammenarbeit mit der EKR gesucht und dabei auch die Chancen einer verstärkten Mitte-rechts-Kooperation mit der italienischen Regierungschefin Giorgia Meloni ausgelotet. Auch von der Leyen und Meloni hatten in den vergangenen Monaten einen engen und geradezu vertrauensvollen Umgang gepflegt, bei dem Erstere sich die Unterstützung für ihre Wiederwahl zu sichern suchte und Zweitere sich größeren Einfluss auf der europäischen Bühne versprach, war sie doch in den Wahlkampf gezogen mit dem Slogan „Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa“ – „mit Giorgia verändert Italien Europa“. Es bleibt abzuwarten, inwieweit die drei Bedingungen von Weber und von der Leyen für eine Zusammenarbeit mit der Rechten – pro-europäisch, pro-ukrainisch und pro-rechtsstaatlich – am Ende tatsächlich erfüllt werden, wenn es um zentrale europäische Weichenstellungen geht. Aufgrund des offenen Schmusekurses von Weber, von der Leyen und Co mit den (extremen) Rechten droht die EVP jedoch die Unterstützung der Mitte-links Parteien zu verlieren. Die europäischen Sozialdemokraten und auch Bundeskanzler Scholz haben sehr deutlich gemacht, dass die Nominierung von der Leyens kein Selbstläufer ist, sollte sie eine Zusammenarbeit mit Rechtsaußen suchen.

Insgesamt ist der Rechtsruck im Parlament symptomatisch für eine breitere politische Verschiebung, die tief in die nationalen politischen Landschaften der EU-Mitgliedstaaten hineinreicht. Diese Entwicklung spiegelt eine wachsende Unzufriedenheit mit der „etablierten Politik“ und eine zunehmende Hinwendung zu populistischen Lösungen wider, die einfache Antworten auf komplexe Probleme versprechen. Die zunehmende Fragmentierung erschwert die Entscheidungsprozesse in Parlament und Rat und könnte wichtige Reformen blockieren. Nationale Interessen rücken stärker in den Vordergrund, was die Fähigkeit der EU zur Formulierung gemeinsamer Politiken, insbesondere in grenzüberschreitenden Fragen wie Migration, Klimawandel und wirtschaftlicher Zusammenarbeit, erheblich beeinträchtigen könnte.

Unabhängig davon, wer der neuen Kommission vorstehen wird, werden viele der neuen Kommissare politisch deutlich weiter rechts stehen, da sie von den Regierungen der Mitgliedstaaten vorgeschlagen werden und rechte Kräfte in den letzten fünf Jahren bei nationalen Wahlen immer stärker geworden sind. Dies hat natürlich erhebliche Auswirkungen auf das neue Arbeitsprogramm der Kommission und ihre zukünftigen europapolitischen Prioritäten.

Ein stärker nationalistisch geprägtes Europa wird automatisch zu Spannungen mit wichtigen Partnern wie den USA führen und könnte die EU in ihrer Rolle als globaler Akteur schwächen. Nach innen steht die EU vor der Herausforderung, den Zusammenhalt zwischen den Mitgliedstaaten zu wahren. Wachsende politische Differenzen und der Druck populistischer Bewegungen könnten die Solidarität innerhalb der EU schwächen. Dies wäre besonders problematisch in einer Zeit, in der gemeinsame Anstrengungen erforderlich sind, um globale Herausforderungen wie den Klimawandel oder die Digitalisierung zu bewältigen. Die EU befindet sich nun in einer Phase, in der die politischen Kräfteverhältnisse neu austariert werden müssen. Die kommenden Monate werden zeigen, in welche Richtung sie sich entwickeln wird und wie sie auf die neuen politischen Realitäten reagieren kann. IPG 11

 

 

 

Nach der EU-Wahl. Der Osten ist blau: Wie umgehen mit der AfD?

 

Bei den Europa- und Kommunalwahlen in Ostdeutschland hat die AfD so gut abgeschnitten wie nie. Woran das liegt, erklären Experten. Im Herbst stehen auch noch wichtige Landtagswahlen an. Hat die Rechtsaußenpartei Machtoptionen? Hält die Brandmauer? Von Christopher Kissmann, Jörg Schurig, Simone Rothe und Verena Schmitt-Roschmann

Der Osten ist blau. So sieht die Deutschlandkarte am Tag nach der Europawahl aus, jedenfalls auf den ersten Blick. In allen fünf ostdeutschen Flächenländern ist die AfD stärkste Kraft – trotz aller Proteste und Warnungen vor der in Teilen rechtsextremen Partei, trotz ihrer Personalquerelen, trotz Spionagevorwürfen. Auch bei den Kommunalwahlen liegt sie vielerorts vorn. Die AfD wird also gewählt – nicht nur in Ostdeutschland, aber besonders häufig dort. Und nun?

Bei den Landtagswahlen in Thüringen, Sachsen und Brandenburg im September erwarten Experten ähnliche Ergebnisse. Es scheint sogar nicht völlig ausgeschlossen – wenn auch sehr unwahrscheinlich -, dass die AfD erstmals einen Ministerpräsidenten stellen könnte. Den Machtanspruch formuliert die Partei klar. Darauf verlassen kann sich die AfD aber nicht. „Es gibt jetzt keinen Grund für Ohnmacht“, sagt der Extremismusforscher Matthias Quent der Deutschen Presse-Agentur.

Warum die AfD so stark abschnitt

Die AfD-Ergebnisse von um die 30 Prozent in den östlichen Ländern sind aus Sicht von Experten nicht nur Protest. Gerade in Ostdeutschland habe viele Menschen das Thema Krieg und Frieden bewegt, also der künftige Umgang mit der Ukraine, sagt der Berliner Politikwissenschaftler Thorsten Faas. Hier hätten AfD und das Bündnis Sahra Wagenknecht andere Positionen vertreten als die übrigen Parteien. „Und das scheint mir einer der Hauptgründe zu sein, warum viele dann auch dort ihr Kreuzchen gemacht haben.“ Die AfD werde durchaus aus inhaltlichen Gründen gewählt.

„Seit längerem finden große Teile der ostdeutschen Bevölkerung, dass ihre Positionen in der Politik in Deutschland und Europa zu wenig abgebildet sind“, berichtet die Leipziger Sozialwissenschaftlerin Astrid Lorenz. Sie nennt auch die Themen Klimaschutz und Sicherheitslage, die in Ostdeutschland kritisch gesehen würden.

Der Erfurter Politikwissenschaftler André Brodocz geht davon aus, dass zwei von drei AfD-Wählern eine relativ feste Parteibindung entwickelt haben. Sie fühlen sich der AfD verbunden, „weil sie sich mit ihren politischen Forderungen identifizieren“. An ihnen perlten auch die Skandale einzelner AfD-Europapolitiker oder eine noch nicht rechtskräftige Verurteilung von Thüringen Rechtsaußen Björn Höcke wegen Nutzung von Nazi-Parolen ab.

Die AfD sieht das Ende der Brandmauer gekommen

Die AfD sei kommunal immer stärker verankert, beobachtet der Soziologe Quent. Wenn sie im Kommunalparlament stärkste Fraktion sei, könne man noch weniger an ihr vorbei Politik betreiben. „Das ist ja auch die Strategie, sich über die kommunalen Parlamente so zu normalisieren, dass dann in nächster Instanz auf der Länderebene eben auch eine Zusammenarbeit in greifbarere Nähe rückt“, meint der Forscher.

AfD-Parteichef Tino Chrupalla bestätigt das. „Es wird keine Brandmauern mehr geben, weil diese Brandmauern eingestürzt sind“, sagt Chrupalla im Deutschlandfunk. „Der Landrat, aber umgekehrt natürlich auch der Kreistag muss mit dem Landrat zusammenarbeiten.“ Die langfristige Ambition: Ob nun 2029 oder 2032, irgendwann werde man „auch in Fläche die Hauptverantwortung in Landräten und Bürgermeistern stellen“, sagt Chrupalla.

Seine Parteikollegen in den Ländern hoffen auf schnellere Erfolge. „Wir haben die SPD als führende Kraft in diesem Land abgelöst“, sagt zum Beispiel Brandenburgs Landeschef René Springer. Das Ziel sei, bei der Landtagswahl am 22. September über 30 Prozent zu kommen. Sachsen-Anhalts Co-Fraktionschef Ulrich Siegmund bezeichnet die AfD als „die neue Volkspartei“ und zielt auf eine Regierungsübernahme 2026 in Sachsen-Anhalt. „Unser Plan ist es, hier allein zu regieren.“

Stark, aber ohne Machtoption

Die absolute Mehrheit für die AfD? Davon ist die Partei auch mit Werten um die 30 Prozent noch ein gutes Stück entfernt. „Um Politik zu gestalten, müsste die AfD koalitionsfähig werden“, sagt Brodocz. Ohne reale Machtoption könnten „ihre Wähler auf Dauer möglicherweise unzufrieden“ werden. Koalitionspartner sind aber nirgends in Sicht.

Überhaupt lohnt ein genauer Blick. Nicht überall im Osten ist die AfD gleich stark. Die Stichwahlen um Kommunalämter in Thüringen verlor sie. Und Hochburgen gibt es inzwischen auch in westdeutschen Regionen, etwa im Ruhrgebiet, wie der Düsseldorfer Politologen Stefan Marschall berichtet. Das beste Ergebnis in NRW bei der Europawahl hatte die AfD mit 21,7 Prozent in Gelsenkirchen. Marschall führt das zurück auf eine matte SPD. Diese Analyse sticht vielerorts auch im Osten: Die Stärke der AfD liegt eben auch in der Schwäche der etablierten Parteien.

So erzielte die AfD in Sachsen bei der Europawahl 31,8 Prozent und damit mehr als doppelt so viel wie die Ampel-Parteien zusammen: SPD 6,9 Prozent, Grüne 5,9 Prozent und FDP 2,4 Prozent. Die CDU hat immerhin noch 21,8 Prozent und das Bündnis Sahra Wagenknecht aus dem Stand heraus 12,6 Prozent. Das ist der Grund, warum ein AfD-Ministerpräsident in Sachsen nicht völlig ausgeschlossen wird: Verlieren die Ampel-Parteien weiter, könnte es ein Drei-Parteien-Parlament geben und im Extremfall eine Mehrheit der Mandate für die AfD. Aktuell unwahrscheinlich, aber nicht undenkbar.

„Keine Partei kann sich in Sicherheit wiegen“

Denkbar wäre aber auch, dass andere Parteien sich stabilisieren – nicht nur Meinungsforscher kennen Wählerinnen und Wähler inzwischen als sehr wechselfreudig. „Keine der Parteien kann sich in Sicherheit wiegen“, sagt Parteienforscher Faas von der Freien Universität Berlin. „Auch in kürzester Zeit kann sich beim Wahlverhalten unglaublich viel bewegen.“

Der Soziologe Quent sieht Handlungsspielräume, um die AfD zu bremsen. Die Mobilisierung anderer Parteien in Thüringen habe beispielsweise dazu geführt, dass sich die AfD dort bei den Landratswahlen nicht habe durchsetzen können. Bei den Landtagswahlen werde auch der Amtsinhaberbonus eine Rolle spielen, meint er. Der Leipziger Soziologe Johannes Kiess riet den jetzigen Wahlverlierern: „Es kommt viel darauf an, wie sich die demokratischen Parteien nun verhalten. Nur auf die AfD zu zeigen, wird nicht viel helfen. Die Parteien müssen wieder in den konstruktiven Modus schalten.“ (dpa/mig 11)

 

 

 

Reaktion auf den Rechtsruck

 

Ganz Europa spricht über die EU-Wahl. Doch wie schaut der Rest der Welt auf die Wahlergebnisse? Wir berichten aus Argentinien, den USA und Nigeria. Svenja Blanke & Ingrid Ross & Knut Dethlefsen & Lennart Oestergaard

 

Argentinien

Brüssel liegt ungefähr 11 000 Kilometer von Buenos Aires entfernt. Auch wenn Argentinien sich als Einwanderungsland versteht, das stolz auf seine europäischen Wurzeln und dem alten Kontinent gefühlt enger verbunden ist als andere Länder Südamerikas, waren die Wahlen zum Europaparlament an und für sich hier kaum eine Schlagzeile wert. Präsident Javier Milei, der sich in einer seltsamen Doppelrolle als „staatszersetzender Maulwurf“ im Staatsapparat sieht und gleichzeitig dessen Präsident ist, hält die krisengeschüttelte Gesellschaft mit seinen radikalen Initiativen stark in Atem, so dass die Argentinier vor allem mit sich selbst und der Wirtschaftslage beschäftigt sind. Zudem interessiert sich der Präsident nicht für traditionelle Außenpolitik und hat es sich in seiner kurzen Amtszeit bereits mit zahlreichen anderen Staatslenkern wie Kolumbiens Präsident Gustavo Petro und Spaniens Ministerpräsident Pedro Sanchez verscherzt. Man kann sich vorstellen, dass er auf internationalem Parkett ungefähr so beliebt ist wie ein Schulkamerad, der andere ständig tyrannisiert.

Doch dank der Ankündigung von vorgezogenen Neuwahlen in Frankreich am Wahlabend haben es die Europawahlen doch in die Nachrichten geschafft. Das starke Ergebnis der rechtsnationalen Partei Rassemblement National um Marine Le Pen ist ein Thema, das auch hier auf Resonanz stößt, schließlich wird Argentinien seit einem halben Jahr von einem libertären Radau-Populisten als Präsident regiert. Allerdings ist die argentinische Spielart von Rechtsaußen unter Milei eine besondere. Ob der anarchokapitalistische Präsident gemeinsame Interessen mit einem eventuell rechtskonservativ geprägten Europa finden würde, die in konkrete Veränderungen der argentinisch-europäischen Beziehungen münden, bleibt abzuwarten.

Auf der Konferenz, zu der die spanische rechtspopulistische Partei VOX im Wahlkampf eingeladen hatte, wurde rhetorisch der „Kampf für die Freiheit“ beschworen, der Widerstand gegen Sozialismus und Kommunismus, gegen die Agenda 2030, gegen die Gender-Ideologie, gegen die „islamische“ Einwanderung sowie die Verteidigung der nationalen Souveränität und Identität. In vielen dieser Themen steht Milei den europäischen Rechten zwar ideologisch nahe, doch es sind vor allem Wirtschafts- und Handelsfragen, die im Mittelpunkt der Agenda zwischen Argentinien und Europa stehen.

Im Bereich der Handelspolitik wären gemeinsame Interessen ein echter Game Changer, steht doch noch immer der Abschluss der Verhandlungen über das EU-Mercosur-Abkommen zwischen Europa und den südamerikanischen Ländern Brasilien, Argentinien, Paraguay und Uruguay aus. Milei will das an Bodenschätzen und Agrargütern reiche Land für ausländische Investoren öffnen. Zuletzt hatte er folgerichtig Bereitschaft für eine baldige Unterzeichnung des Abkommens signalisiert, doch es war vor allem der französische Präsident Macron, der unter dem Eindruck der Bauernproteste in seinem Land dem Abkommen eine Absage erteilte, da er Wettbewerbsnachteile für die einheimischen Produzenten fürchtete. Diese Position teilt auch Marine Le Pen.

Milei feiert seinen angeblichen Einfluss auf den Siegeszug der Rechten in Europa, aber bei genauerem Hinsehen gibt es doch erhebliche Unterschiede zwischen den verschiedenen Strömungen, vor allem über die Frage, wie das Verhältnis zwischen Staat und Markt ausgestaltet sein sollte. Für den Großteil der Argentinierinnen und Argentinier steht wiederum eine ganz andere Frage im Zentrum. Für sie ist vor allem wichtig, dass sie weiterhin ohne Visum in den Schengenraum einreisen können.

Svenja Blanke und Ingrid Ross, FES Buenos Aires

 

USA

„Sind das denn wirklich wichtige Wahlen?“, fragt mit Erstaunen die New Yorker Journalistin Jennifer Kirby. Sie ist sichtlich irritiert als sie erfährt, dass der Ausgang der Wahlen zum Europäischen Parlament keine personellen Konsequenzen bei den deutschen Parteien haben wird. Dass die Deutschen nur Parteilisten wählen können, finden Amerikaner, die sich mit den EU-Wahlen beschäftigen, seltsam. Parlamentarier, die keine Verantwortung gegenüber Wahlkreisen haben, gibt es in den USA schlicht nicht. Fühlen sich die deutschen Europaabgeordneten dann wirklich den Bürgerinnen und Bürgern verpflichtet, wenn sie für ihre Platzierung auf der Liste vor allem die Zustimmung in der eigenen Partei benötigen?

Selbst bei politisch Interessierten besteht eine gewisse Ferne zu diesen schwer verständlichen Wahlen, die so ganz anders sind, zumal der Wahlkampf aus US-Perspektive fast unpolitisch wirkte. So wird den Europawahlen in den USA deutlich weniger Aufmerksamkeit geschenkt als umgekehrt. Denn in Europa wie im Rest der Welt schaut die Bevölkerung gebannt auf das Drama der US-Wahlen im November. Natürlich auch, weil der Ausgang der Präsidentschaftswahl direkte Implikationen für Europas Sicherheit und Wohlstand haben wird.

Das politische Amerika beschäftigt sich mit den Europawahlen vor allem im Kontext der eigenen Wahlen. Insbesondere der Rechtsruck sowie die zunehmende politische Gewalt in Deutschland und in anderen europäischen Staaten bereiten vor dem Hintergrund der erneuten Kandidatur von Donald Trump große Sorgen. Der Ausgang der EU-Parlamentswahl wird teilweise als Vorwarnung für die anstehenden US-Wahlen gesehen. So schreibt das Urgestein der politischen Kolumne E.J. Dionne am Tag der Wahl in der Washington Post: „Sie warnen uns, dass der Flirt mit dem Autoritarismus nie gut ausgeht.“

Auch im Wei?en Haus wurden die Wahlen aufmerksam verfolgt. In US-Regierungskreisen waren in den vergangenen Wochen Sorgen über einen europäischen Rechtsruck geäußert worden. Die großen Erfolge der Ultrarechten in Deutschland und Frankreich sowie die Entscheidung von Präsident Macron, das französische Parlament aufzulösen, sind nun Realität und Unsicherheitsfaktoren für die Biden-Regierung und die Demokraten. Werden womöglich die wichtigsten Partner bei entscheidenden Fragen schwächeln oder zu sehr mit sich beschäftigt sein? Die Republikaner hoffen hingegen, dass der Trump-Effekt in Europa Einzug gehalten hat.

Die EU galt aus der Perspektive des liberalen Amerikas gerade in den Trump-Jahren als Hort liberaler Werte und als Stabilitätsanker. Die Wahlergebnisse suggerieren nun, dass diese Wahrnehmung trügen mag. Die neue Zusammensetzung des Europäischen Parlaments zeigt, in welche Richtung sich Europa gerade politisch wandeln könnte – Nationalismus und rechtspopulistische bis rechtsextreme Politik finden Anklang. Aus Sicht der Biden-Regierung ist dies kein guter Weg für die transatlantischen Partner. Es besteht die reale Gefahr, dass auf beiden Seiten des Atlantiks die Demokratie und die liberale Weltordnung zunehmend ins Wanken geraten. Und diese Gefahr ist ernst, da sich Amerikas Rechtskonservative und Rechtsextreme zunehmend mit ihren europäischen Pendants vernetzen. Die demokratische Mehrheit im Europaparlament sollte zügig die Zusammenarbeit mit dem liberalen Amerika – mit den Demokraten und den verbliebenen moderaten Republikanern – suchen und nachhaltig stärken.

Knut Dethlefsen, FES Washington, D.C.

 

Nigeria

In Nigeria, dem mit circa 223 Millionen Einwohnern größten Land Afrikas, erhielten die Europawahlen kaum Beachtung. Zu sehr ist das Land, das über zweieinhalb Mal so groß ist wie Deutschland, mit seinen eigenen Problemen beschäftigt: Die aktuellen massiven Steigerungen der Lebenskosten und die wachsende Unsicherheit in weiten Landesteilen prägen den Alltag der Menschen.

Die Regierung unter Präsident Bola Tinubu feierte erst vor wenigen Wochen einjähriges Jubiläum. Seine umfassenden Wirtschaftsreformen – vor allem die Abschaffung der Benzinpreissubvention und die Aufhebung des staatlich vorgegebenen Wechselkurses – bergen die Hoffnung, die Wirtschaft langfristig zu stabilisieren. Kurzfristig haben die Reformen, da sie ohne soziale Ausgleichsmaßnahmen eingeführt wurden, jedoch die Inflation im Land angefeuert (zuletzt 33 Prozent) und das Leben der Nigerianerinnen und Nigerianer noch schwerer gemacht.

Der aktuelle Mindestlohn von 30 000 Naira im Monat (circa 19 Euro) reicht für viele nicht einmal zur Deckung der Transportkosten für den Weg zur Arbeit. Die Gewerkschaften organisierten deshalb vergangene Woche einen Generalstreik. Die schwierige wirtschaftliche Lage des weitgehend vom Ölexport abhängigen Landes verstärkt gleichzeitig die Unsicherheit. Überfälle, gewaltsame Auseinandersetzungen um fruchtbares Land und kommerzielles Kidnapping nehmen kontinuierlich zu.

Doch trotzdem sind die Europawahlen für den „Riesen Afrikas“ nicht unbedeutend. Viele der Investitionen, die die Regierung um jeden Preis anlocken möchte, könnten durch europäische Firmen getätigt werden. Auch als Absatzmarkt für europäische Produkte und als Exporteur von Gas, Agrarprodukten und (verarbeiteten) Rohstoffen nach Europa bietet sich Nigeria an. Aktuell gehen ungefähr die Hälfte der nigerianischen Rohöl- und Gasexporte nach Europa. Als eines der bevölkerungsreichsten Länder der Welt, mit einem Anteil von 70 Prozent der unter 30-Jährigen, ist Nigeria auch ein möglicher Partner Europas für die Gewinnung von Fachkräften. Neben den USA und Kanada ist die EU ein beliebtes Ziel für viele Studierende und zum Teil für hoch qualifizierte Fachkräfte aus Nigeria.

Der Rechtsruck, den die aktuellen Wahlergebnisse in Europa bedeuten, wird nur von einer kleinen, gebildeten und international gut vernetzten Schicht in Nigeria beachtet. Mit Sorge blickt dieser vor allem junge und urbane Teil der Gesellschaft auf eine mögliche Verschärfung der ohnehin als restriktiv wahrgenommenen Migrationspolitik der Europäischen Union. Denn auch für gut situierte Menschen aus Nigeria ist ein Urlaubsbesuch bei Verwandten und Freunden in London, Paris oder Berlin aufgrund der restriktiven Visapolitik immer noch eine große Herausforderung.  

Für die EU wiederum ist Nigeria nicht nur aufgrund seines wirtschaftlichen Potenzials und des Bevölkerungsreichtums relevant, sondern auch aufgrund seiner geopolitischen Bedeutung. Als Stabilitätsanker im Sahel ist Nigeria – anders als andere Staaten in der fragilen Region – aufgrund seiner Größe und Komplexität relativ unabhängig von ausländischem Einfluss, insbesondere von Russland und China. Als grundsätzlich am Westen orientiertes Land ist es trotz demokratischer Defizite ein wichtiger Partner für die Gestaltung einer multilateralen Weltordnung. Damit Nigeria seinen Blick von innen nach außen richten kann, muss es jedoch zunächst seine eigenen Probleme in den Griff bekommen.

Lennard Oestergaard, FES Abuja IPG 11

 

 

 

 

Rechtsextremer Wahlerfolg kann gemeinsames Handeln in der EU untergraben

 

Dresden – Rechtsextreme Wahlerfolge in der EU können laut ifo-Präsident Clemens Fuest gemeinsames Handeln bei der Verteidigung, der Migrationspolitik oder der Handelspolitik untergraben. „Hier kann Europa nur erfolgreich sein, wenn die Bereitschaft besteht, nationale Interessen gelegentlich zurückzustellen und zu kooperieren. Fairerweise muss man allerdings sagen, dass die EU auf diesem Gebiet schon bislang nur sehr begrenzte Erfolge vorzuweisen hat“, sagte er am Dienstag in Dresden. Innerhalb der Eurozone könnten sich die Konflikte in der Schuldenpolitik verschärfen. Die sehr hohe Verschuldung in Frankreich und Italien berge Konfliktpotenziale. Die Reaktion an den Kapitalmärkten heute – Anstieg der Zinsdifferenzen zwischen Deutschland einerseits und Frankreich und Italien andererseits – zeige, dass die Investoren dieses Risiko sähen. ???? 

 

Fuest ergänzte: „Die Dominanz radikaler Parteien wie AfD oder BSW in den ostdeutschen Bundesländern verdüstert deren wirtschaftliche Perspektiven, auch wenn diese Resultate nicht ohne weiteres auf Landtagswahlen übertragbar sind. Die Verluste der Grünen und die Schwäche der SPD werden die Arbeit der Ampel weiter erschweren. Man kann davon ausgehen, dass die Koalitionsparteien sich nun auf den nahenden Bundestagswahlkampf konzentrieren. Größere wirtschaftspolitische Reformen für den Wirtschaftsstandort sind wohl nicht mehr zu erwarten.“

 

Fuest will das Ergebnis aber nicht als ein Scheitern der Ampelregierung bei ihrer Wirtschaftspolitik verstanden wissen. „In dieser Pauschalität würde ich das nicht teilen. Ein Problem besteht sicherlich darin, dass die Ampelregierung nicht den Eindruck erweckt, eine überzeugende und gemeinsame wirtschaftspolitische Strategie zur Bewältigung der anstehenden ökonomischen Herausforderungen zu haben. Man kann das Ergebnis sicherlich auch dadurch erklären, dass viele Menschen die Art und Weise der Transformation der Wirtschaft ablehnen, wie die Grünen sie vertreten.“

 

Die deutsche Wirtschaftspolitik brauche eine überzeugende Strategie, wie sie mit großen Herausforderungen umgehen will, etwa dem demographischen Wandel, der Digitalisierung, der Klimaerwärmung?und der Umweltzerstörung. Dazu gehöre eine ehrliche Bestandsaufnahme. Wer der Bevölkerung erzähle, Dekarbonisierung in Deutschland würde nichts kosten, einen Wirtschaftsboom mit sich bringen oder Flutkatastrophen verhindern, müsse sich nicht wundern, wenn das Vertrauen schwinde. Ähnliches gelte für die Verteidigungslasten und den Ukrainekrieg oder die Folgen der Alterung der Bevölkerung für die sozialen Sicherungssysteme. „Gleichzeitig sollte man Mut statt Angst machen und darlegen, welche Wege es gibt, das Notwendige bestmöglich umzusetzen.“

 

Fuest erwartet auch Veränderungen am Green Deal auf europäischer Ebene: „Er wird in der bisherigen Form wohl nicht weitergeführt. Für den Wirtschaftsstandort kann das positiv sein, sofern übermäßig bürokratische und ineffektive Teile des Green Deal zurückgenommen werden, etwa die Regeln für nachhaltige Finanzen oder die Vorgaben für die Berichterstattung zur Nachhaltigkeit“, sagte er am Dienstag in Dresden. „Es können aber auch Nachteile entstehen, wenn effiziente Instrumente wie etwa der CO2-Preis zurückgedrängt werden. Erhebliche Nachteile könnten sich ergeben, wenn es zu Einschränkungen des Binnenmarktes kommt, oder Uneinigkeit die Zusammenarbeit verhindert, z.B. bei der Verteidigung.“ Ifo 11

 

 

 

Papst zu Besuch auf dem römischen Kapitol

 

Der Papst hofft auf Verbesserungen in Roms Randbezirken durch das Heilige Jahr, das dieses Jahr an Weihnachten startet. Das sagte er am Montagmorgen bei einem Besuch auf dem römischen Kapitol. Anne Preckel – Vatikanstadt

 

Anlass der Begegnung mit Bürgermeister Roberto Gualtieri auf dem Kapitolshügel war das im Dezember beginnende Heilige Jahr, zu dem mehr als 30 Millionen Pilger in der italienischen Hauptstadt und im Vatikan erwartet werden.

Franziskus sprach zum Auftakt des Besuches zunächst unter vier Augen mit dem Bürgermeister. Danach hielt er eine Rede vor dem römischen Stadtrat. Darin zeigte er sich überzeugt davon, dass sich das Jubiläum insgesamt positiv auf die Stadt Rom auswirken werde – „indem es ihr Ansehen verbessert und die öffentlichen Dienstleistungen effizienter macht“. Dies sollte aber nicht nur im Stadtzentrum der Fall sein, sondern auch in den Vororten, unterstrich der Papst, der sich mehr „Annäherung“, Anbindung und Austausch zwischen Stadtkern und Peripherie erhofft.

„Das ist sehr wichtig, denn die Stadt wächst, und diese Aufmerksamkeit, diese Beziehung wird immer wichtiger. Deshalb besuche ich gerne die Gemeinden in den Vororten, damit sie das Gefühl haben, dass der Bischof ihnen nahe ist, denn es ist sehr einfach, dem Zentrum nahe zu sein - ich bin im Zentrum -, aber die Vororte zu besuchen, bedeutet die Anwesenheit des Bischofs dort!“

Erst am Donnerstag hatte Franziskus noch eine Gemeinde in der römischen Westperipherie besucht ; der „Bischof von Rom“ stattet regelmäßig römischen Stadtrandgemeinden persönliche Besuche ab. In manchen römischen Vorstädten kämpfen Pfarrer und Gemeinden seit Jahren gegen Verwahrlosung, Drogenhandel und Gesetzlosigkeit. Bürgermeister Gualtieri, der zum linken „Partito Democratico“ gehört, ist ebenfalls oft in den Vorstädten unterwegs und versucht, durch bauliche Sanierungen und neue Verkehrsanbindungen die soziale Lage dort zu verbessern.

Freundschaftliche Beziehungen

Franziskus dankte der Stadtverwaltung Rom und auch der italienischen Regierung für deren Unterstützung der Vorbereitungen für das Heilige Jahr 2025. Die Kooperation zwischen Italien und dem Heiligen Stuhl seien freundschaftlich und bestünden aus „menschlichen Beziehungen“, hob der Papst hervor, Geldfragen seien „zweitrangig“.

Für das Heilige Jahr 2025 ist Bürgermeister Roberto Gualtieri zusätzlich „Sonderkommissar“ der italienischen Regierung für die zahlreichen Baustellen in Rom, mit denen vor allem die Mobilität für Pilger und Touristen verbessert werden soll. Von den mehr als 60 derzeit offenen Baustellen werden jedoch vermutlich nicht alle bis zur Eröffnung des Heiligen Jahrs am bevorstehenden Heiligen Abend abgeschlossen sein.

Universeller Geist von Rom

Rom sei eine „Stadt mit universellem Geist“, führte Franziskus in seiner Ansprache vor Vertretern der italienischen Politik aus. Ausführlich ging er auf die Geschichte der Stadt von der Antike bis heute ein und hob die globale Bedeutung Roms hervor - vor Hintergrund seiner Geschichte und als Zentrum der weltweiten katholischen Kirche.

Dieser Geist von Rom solle „im Dienst der Nächstenliebe, der Aufnahme und Gastfreundschaft“ stehen, bekräftigte er, vor allem im Dienst an den Schwächsten, so Franziskus.

Ein paar Eindrücke

„Pilger, Touristen, Migranten, Menschen in Not, die Ärmsten, die Einsamen, die Kranken, die Gefangenen, die Ausgeschlossenen seien die wahrhaftigsten Zeugen dieses Geistes. Und deshalb habe ich beschlossen, eine Heilige Pforte in einem Gefängnis zu öffnen. Und diese mögen bezeugen, dass die Autorität voll und ganz eine solche ist, wenn sie im Dienst aller steht, wenn sie ihre legitime Macht dazu nutzt, den Bedürfnissen der Bürger und insbesondere der Schwächsten und Letzten zu entsprechen.“

Franziskus bezog sich hier auf seinen Plan, innerhalb des Heiligen Jahres 2025 eine Heilige Pforte in einem römischen Gefängnis zu öffnen. Die Geste hatte er in der Bulle zum Jubiläum bereits angekündigt. Regelmäßig kehrt der Papst in Gefängnissen ein, wo er Häftlingen an Gründonnerstag etwa die Füße wusch.

 

Rom als Symbol

Das Heilige Jahr sei eine „Chance“ für die Stadt Rom, betonte der Papst, der dazu aufrief, der Stadt mit vereinten Kräften zu einer „Wiedergeburt“ zu verhelfen.

Alle Probleme der Stadt könnten „zu einer Chance für Entwicklung werden: zivil, sozial, wirtschaftlich, kulturell“, so der Papst, der sich für das Heilige Jahr 2025 eine Wiederentdeckung der besonderen Bedeutung Roms als Stadt der Nächstenliebe und der Gastfreundschaft wünscht: „Möge das Bewusstsein für den Wert Roms, für das Symbol, das es auf allen Kontinenten darstellt, in allen wiedergeboren werden.“

Zum Schluss seiner Ansprache ging der Papst auf seine besondere Beziehung zur Marienikone „Salus Populi Romani“ (lat. für „Heil des römischen Volkes“) ein, die er schon als junger Mann verehrt habe. Sie möge über die Stadt und ihre Menschen wachen, Hoffnung schenken und Nächstenliebe wecken, damit Rom auch heute „ein Leuchtturm der Zivilisation und Förderer des Friedens“ sein könne.

Bürgermeister kündigt Projekte an

„Das Jubiläum wird Rom besser machen“, zeigte sich der römische Bürgermeister in seinem Grußwort laut Redetext überzeugt. Roberto Gualtieri kündigte mehrere Projekte im ökologischen und sozialen Bereich ein, die im Kontext des Heiligen Jahres als „greifbare Zeichen der Hoffnung“ umgesetzt würden, darunter ein „neues Altenheim in einem von der Kriminalität beschlagnahmten Gebäude im Aventin-Viertel“ sowie ein Ausbildungsprojekt für Häftlinge im römischen Gefängnis Rebibbia.

Außerdem bemühe sich die Stadtverwaltung darum, „Rom zu einem großen Laboratorium für integrale Ökologie zu machen, die Stadt zu verändern und besser zu machen, näher an den Menschen“, wie Gualtieri ankündigte. Dazu gehöre unter anderem der Kampf gegen Smog, die Schaffung neuer öffentlicher Räume, die vor allem in den städtischen und sozialen Randgebieten zu Integration beitragen sollten.

Wertvoller Beitrag des Papstes und der Kirche

Gualtieri würdigte ausdrücklich den Beitrag der Kirche zu einem sozialen und menschlichen Miteinander in der Stadt. „Heute, da in unseren Vorstädten Migranten ankommen, die vor Krieg und Elend fliehen, und da es immer offensichtlicher wird, dass nur eine Politik, die sich an den Grundsätzen der Brüderlichkeit und der Zentralität der Person orientiert, diese ,abgrundtiefen Entfernungen‘ zwischen den Menschen und den Stadtvierteln überbrücken kann, ist der Anreiz und der Beitrag der Kirche noch wertvoller und fruchtbarer.“

Die Präsenz des Heiligen Stuhles und das Lehramt des Papstes bereicherten Rom als eine „Stadt der Solidarität“ und einen „Ort des Dialogs zwischen Menschen verschiedener Religionen und Kulturen“, formulierte Gualtieri: „Wir wollen, dass das Jubiläum der Hoffnung Rom nicht nur ein materielles Erbe hinterlässt, sondern auch ein Erbe ethischer und sozialer Werte, das wir der Menschheit anbieten können.“

Gruß an römische Bürger

Bei seinem Besuch trug sich Franziskus ins Goldene Buch der Stadt ein. Als Geschenk überreichte der römische Bürgermeister Franziskus eine Silbermedaille zur Erinnerung und eine Urkunde über die Einleitung einiger sozialer Initiativen. Der Papst hinterließ unter anderem ein Mosaik mit der Darstellung des Titusbogens sowie Ausgaben der Bulle zur Verkündigung des Heiligen Jahres 2025.

Von der Loggia des „Palazzo Senatorio“ aus grüßte Papst Franziskus die auf dem Vorplatz „Piazza del Campidoglio“ versammelten römischen Bürger und Mitarbeiter der Stadt, darunter Vertreter des Zivilschutzes, der Müllentsorgung Ama und der Gendarmerie, dankte ihnen und sprach ein „Ave Maria“.

Der letzte Besuch des Papstes auf dem Kapitol liegt fünf Jahre zurück. Damals, am 26. März 2019, forderte Franziskus in einer Ansprache, Rom müsse - auch mit Blick auf die Migranten – „eine Stadt der Brücken und nicht der Mauern“ sein.

(vn/kna 10)

 

 

 

Seenot im Mittelmeer. Wieder hunderte Menschen gerettet, dutzende Tote

 

Erneut sind Menschen im Mittelmeer gestorben – auf der Fluchtroute nach Italien und zu den Kanaren. Seenotretter fordern großflächige Suchaktion. Der UNHCR fordert Rettung auch aus Wüsten.

Die Besatzung des Aufklärungsflugzeugs „Seabird 2“ hat zwölf im Mittelmeer treibende Leichen gesichtet. Elf von ihnen habe die Crew am Freitag vor der libyschen Küste gesehen, eine weitere am Samstag, erklärte die Rettungsorganisation Sea-Watch, die das Flugzeug betreibt, am Samstag. „Es ist zu vermuten, dass die Toten Opfer eines bislang unentdeckten Schiffbruchs wurden.“

Das Schiff „Geo Barents“ von „Ärzte ohne Grenzen“ hatte am Freitag auf den Hinweis der „Seabird“-Crew hin elf Leichen geborgen. Davor hatte die Besatzung insgesamt 165 Menschen aus zwei Booten in Seenot an Bord genommen, die es nun auf Anweisung Italiens zum weit entfernten Hafen von Genua bringen müsse. Noch sei unklar, ob es sich bei den geborgenen Leichen um die elf von der „Seabird“-Crew gesichteten Toten handelt, erklärte Sea-Watch. Unsicher sei auch, wie viele weitere Leichen sich noch in dem Gebiet befinden. Sea-Watch rief die zuständigen Behörden zu einer großflächigen Suchaktion auf. Die elf Leichen wurden unterdessen auf die Insel Lampedusa gebracht.

Mehr als 500 Menschen vor Kanaren gerettet

Bereits in der Nacht von Mittwoch auf Donnerstag hatten spanische Einsatzkräfte innerhalb weniger Stunden Hunderte Menschen gerettet, die vor den Kanarischen Inseln in Seenot geraten waren. Die insgesamt 516 Geflüchteten seien auf fünf Booten unterwegs gewesen, teilte der spanische Seerettungsdienst mit. Die Geflüchteten, darunter zahlreiche Frauen, Minderjährige und Babys, stammten vorwiegend aus afrikanischen Ländern südlich der Sahara. Sie seien unter anderem auf die Inseln Teneriffa, Gran Canaria und El Hierro gebracht worden. Viele von ihnen seien in kritischem Zustand.

Nach Angaben von Insassen eines der Boote starben während der Überfahrt im Atlantik mindestens zehn bis zwölf Menschen. Die Leichen seien über Bord geworfen worden. Eine Frau habe auf der Überfahrt ein Kind auf die Welt gebracht, berichteten die Regionalzeitung „La Provincia“ und andere Medien unter Berufung auf die Rettungsteams.

6.618 Tote im Jahr 2023 vor den Kanaren

Auf der Inselgruppe der Kanaren rund 100 Kilometer vor der Nordwestküste Afrikas kommen schon seit längerer Zeit mehr Flüchtlingsboote an. Die Flucht auf der Route hat seit vergangenem Herbst weiter zugenommen. Es wird vermutet, dass dies unter anderem mit der politischen und sozialen Krise im Senegal zusammenhängt. Nach der jüngsten Erhebung des Innenministeriums in Madrid kamen in den ersten fünf Monaten des Jahres in Spanien knapp 21.000 Menschen auf dem Seeweg an. Das sind 136 Prozent mehr als im Vorjahreszeitraum.

Nach Angaben der spanischen Hilfsorganisation Caminando Fronteras sind im vorigen Jahr mindestens 6.618 Menschen bei dem Versuch ums Leben gekommen, Spanien auf dem Seeweg zu erreichen. Das waren 177 Prozent mehr als im Jahr 2022, als mindestens 2.390 Todesfälle registriert worden seien. Den größten Teil der Todesopfer, und zwar 6.007, gab es demnach im vorigen Jahr auf der Route von Westafrika zu den Kanaren.

Tausende Tote im Mittelmeer

Auf der Mittelmeer-Route nach Italien starben nach Angaben der Internationalen Organisation für Migration (IOM) im vergangenen Jahr mindestens 3.155 Menschen. In diesem Jahr waren es demnach mindestens 923, wobei eine hohe Dunkelziffer vermutet wird.

Es gibt keine staatlich organisierte Hilfe für Geflüchtete in Seenot. Lediglich private Initiativen halten nach ihnen Ausschau. Malta nimmt seit Jahren keine von den Organisationen geretteten Menschen auf, Italien behindert ihre Arbeit durch restriktive Gesetze und das Zuweisen weit entfernter Häfen. Anfang Mai erließt die Flugaufsichtsbehörde zudem ein Verbot für Aufklärungsflüge von nichtstaatlichen Organisationen auf dem Mittelmeer. Trotz der Gefahr einer Festsetzung des Flugzeugs habe sich Sea-Watch für eine Fortsetzung der Flüge entschieden.

UNHCR fordert Rettung auch aus Wüsten

Derweil ruft das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR dazu auf, die Rettung von Menschen auf gefährlichen Migrationsrouten auszuweiten. Es werde viel über die Bergungen im Mittelmeer diskutiert, nötig sei aber auch die Rettung in der Wüste, sagte Vincent Cochetel, beim UNHCR zuständig für die Flüchtlingssituation auf der zentralen Mittelmeer-Route. Er kritisierte humanitäre Organisationen, die in Hauptstädten vieler Länder zahlreich zugegen seien – wo es aber kaum Flüchtlinge und Migranten gebe.

Er verlangte, vielmehr müsse Menschen dort geholfen werden, wo sie in Gefahr seien, etwa in kleineren Ortschaften entlang der Migrationsrouten, wo sie manchmal von Schleppern ohne Versorgung allein gelassen würden. Sie brauchten dort Nothilfe und Informationen über die Gefahren.

Nach UNHCR-Angaben riskieren hunderttausende Menschen ihr Leben, die in Afrika südlich der Sahara unterwegs sind. Die meisten suchten neue Bleiben in der Nähe ihrer Heimatländer und seien nicht auf dem Weg nach Europa, betonte er. Dreiviertel der gut 108 Millionen Zwangsvertriebenen weltweit lebten in Ländern mit niedrigen und mittleren Einkommen. Die Menschen seien auf den Migrationsrouten dem Risiko von Gewalt, Folter und Entführungen ausgesetzt. (epd/dpa/mig 10)

 

 

 

Europarat fordert mehr Maßnahmen gegen Menschenhandel

 

Menschenhandel ist ein Begriff, den man allenfalls weit weg verortet. Doch auch in Deutschland ist Ausbeutung von Arbeitern an der Tagesordnung – auf dem Bau, in der Fleischindustrie und in vielen anderen Branchen. Betroffen sind oft Ausländer. Der Europarat fordert Verbesserungen.

Experten des Europarats fordern von Deutschland stärkere Maßnahmen gegen Menschenhandel. Die deutschen Behörden sollten Menschenhändler wirksamer bestrafen und den Opfern mehr Hilfe und höhere Entschädigungen zur Verfügung stellen, hieß es in einem Bericht einer Sachverständigengruppe des Europarats, der am Freitag in Straßburg veröffentlicht wurde.

Weiterhin finde der Großteil des Menschenhandels in der Prostitution statt. Allerdings sei die Zahl der Menschen gestiegen, die in Arbeitsverhältnissen ausgebeutet werden, hieß es. Die Erkenntnis sei auf umfassende Ermittlungen in der Fleischindustrie und der Getränkelogistik zurückzuführen.

Experten weisen darauf hin, dass insbesondere mit der Osterweiterung in mehreren Branchen Strukturen herrschend sind, die auf Ausbeutung billiger Arbeitskräfte aus dem Ausland ausgerichtet sind. Auf dem Bau etwa agierten Unternehmen in einem Geflecht aus Subunternehmen, um Mindestlöhne zu umgehen oder Rechte von Arbeitern zu unterschlagen. Im Jahr 2023 etwa hatte ein Streik von zumeist ausländischen Lkw-Fahrern an deutschen Raststätten Schlagzeilen gemacht. Sie beklagten überlange Arbeitszeiten, Lohndumping und -betrug sowie zahlreiche andere Missstände.

Lasche Strafen, lange Verfahren, geringe Entschädigung

Zwar erkannte der Europarat in Deutschland einige positive Entwicklungen seit der letzten Evaluierung: Es werden demnach deutlich mehr Personen wegen Menschenhandels verurteilt. Allerdings gebe es Anlass zur Sorge, dass viele Urteile zur Bewährung ausgesetzt würden und die Gerichtsverfahren übermäßig lange dauerten. Außerdem kritisierte das Gremium die geringen Entschädigungszahlungen an Opfer.

Nach Angaben des Bundeskriminalamts (BKA) ist die Aufdeckung von Straftaten im Bereich des Menschenhandels sehr schwierig, man geht von einer hohen Dunkelziffer aus. Kritiker wiederum werfen Behörden vor, Betriebe viel zu selten zu prüfen und Menschenhandel so überhaupt zu ermöglichen. Auch seien die Zuständigkeiten zwischen BKA, Zoll und anderen Kontrollstellen teilweise nicht einmal geklärt.

Mit Gewalt in ausbeuterische Arbeitsverhältnisse gezwungen

BKA-Angaben zufolge stammt die Mehrzahl der Opfer aus Deutschland sowie aus Ost- und Südosteuropa. Häufig wird ihnen eine legale und angeblich gut bezahlte Arbeit versprochen. Anschließend werden sie den Angaben zufolge teils mit Gewalt in die Prostitution oder in ausbeuterische Arbeitsverhältnisse gezwungen. Hauptursachen sind demnach Perspektivlosigkeit sowie Armut der Opfer und die Nachfrage nach Prostitution und billigen Arbeitskräften.

Der Europarat ist von der EU unabhängig und setzt sich zusammen mit seinem Gerichtshof für den Schutz von Menschenrechten, Demokratie und Rechtsstaat ein. Zu den 46 Mitgliedern gehören alle 27 Länder der EU, aber auch Länder wie Großbritannien und die Türkei. (dpa/mig 10)

 

 

 

UNICEF: 34 Millionen Kinder in Nahost und Nordafrika unterernährt

 

Im Nahen Osten und in Nordafrika leidet mehr als jedes zweite Kind unter fünf Jahren an Ernährungsarmut. Das geht aus einem Report von UNICEF hervor, den das Kinderhilfswerk der Vereinten Nationen an diesem Freitag, den 7. Juni, veröffentlichte. Besonders dramatisch hat sich die Ernährungsarmut von Kindern in Gaza verschlimmert.

In absoluten Zahlen spricht UNICEF von 34 Millionen betroffenen Kindern im Nahen Osten und in Nordafrika, das entspricht sechs von zehn Minderjährigen. 3,5 Millionen Kinder in der Region sind akut mangelernährt.

Der Bericht hebt hervor, dass Ungleichheiten, Konflikte und Klimakrisen die Lebensmittelpreise und die Lebenshaltungskosten weiter in die Höhe treiben, was besonders Kinder hart trifft. Viele Kinder in schwerer Ernährungsarmut erhalten eine sehr einseitige Ernährung, die hauptsächlich aus stärkehaltigen Lebensmitteln besteht, oft kombiniert mit Milchprodukten oder Muttermilch.

Ein hoher Anteil der betroffenen Kinder lebt in Konfliktgebieten, führt der Report aus. In Syrien und im Jemen seien 30 bzw. 27 Prozent der Kinder von schwerer Ernährungsarmut betroffen. Besonders dramatisch ist die Lage im Gazastreifen, wo inzwischen 90 Prozent der Kinder unter schwerer Ernährungsarmut leiden – ein drastischer Anstieg gegenüber den 13 Prozent im Jahr 2020. Auch im Sudan, wo fast 5 Millionen Kinder in Ernährungsarmut leben, sind 2 Millionen von schwerer Ernährungsarmut betroffen. Die aktuelle Konfliktsituation und die damit einhergehenden Vertreibungen haben die Lage weiter verschärft.

Selbst im Libanon hungert eines von fünf Kindern 

Im Libanon hat die anhaltende finanzielle und politische Krise ebenfalls drastische Auswirkungen auf die Ernährungssituation von Kindern. Mehr als 75 Prozent der Kinder leben dort in Ernährungsarmut, und 21 Prozent leiden unter schwerer Ernährungsarmut.

UNICEF ruft dringend zu Maßnahmen auf, um die Ernährungsarmut in der Region zu bekämpfen und die Gesundheit und das Wohlergehen der betroffenen Kinder zu sichern. Die internationale Gemeinschaft, Regierungen und humanitäre Organisationen müssen gemeinsam handeln, um diese Krise zu bewältigen und den betroffenen Kindern eine bessere Zukunft zu ermöglichen. (unicef 7)

 

 

 

Europawahl 2024. Rechte Hoffnungen und ein grünes Dilemma

 

Rechte Parteien dürften bei der Europawahl deutliche Zugewinne verbuchen. Doch werden sie in Brüssel wirklich mächtiger? Dies wird vermutlich vom Kurs von Wahlverlierern abhängen. Von Ansgar Haase

Eine Pandemie mit Tausenden Toten und anschließender Wirtschaftskrise, der russische Überfall auf die Ukraine, die darauf folgende Energiekrise und eine wieder starke Migration nach Europa: Die EU war seit der letzten Europawahl 2019 mit einschneidenden Krisen konfrontiert. Hat Brüssel angemessen reagiert? Und wenn Nein: Wie soll es weitergehen?

In diesen Tagen sind in den 27 EU-Staaten insgesamt etwa 360 Millionen Bürgerinnen und Bürger aufgerufen, die 720 Abgeordneten des nächsten Europäischen Parlaments zu bestimmen – und damit auch zu sagen, welche EU-Politik sie sich in den nächsten fünf Jahren wünschen. Soll sie linker, grüner, sozialdemokratischer, liberaler, konservativer oder rechter werden? Das Ergebnis steht Sonntagabend fest; die große Mehrheit der EU-Staaten wählt an diesem Tag. Lediglich die Niederländer sind schon diesen Donnerstag dran, einige andere starten Freitag oder Samstag.

Le Pen und Meloni im Aufwind

Gefeiert werden dürfte im Anschluss vor allem bei rechten Parteien. In Frankreich könnte die rechtsnationale Partei Rassemblement National von Marine Le Pen nach Umfragen die mit Abstand stärkste politische Kraft werden und doppelt so viele Parlamentssitze holen wie das Wahlbündnis „Besoin d’Europe“ von Präsident Emmanuel Macron. Auf deutliche Zugewinne können auch die Fratelli d’Italia (Brüder Italiens) von Italiens Ministerpräsidentin Giorgia Meloni, die Partei für die Freiheit (PVV) des niederländischen Rechtspopulisten Geert Wilders sowie die österreichische FPÖ und die deutsche AfD hoffen.

Doch reichen die Zugewinne aus, um einen Rechtsruck mit spürbaren Konsequenzen zu bewirken? Daran muss schon deswegen gezweifelt werden, weil rechte Parteien selbst bei unerwartet starken Zugewinnen insgesamt auf nicht viel mehr als 200 der 720 Sitze im Europäischen Parlament kommen dürften. Nach aktuellen Prognosen kann die christlich-konservative Parteienfamilie EVP mit den deutschen Parteien CDU und CSU darauf hoffen, mit etwa 180 Sitzen klar stärkste politische Kraft zu werden. Theoretisch wäre es damit möglich, dass sie wie 2019 eine Zusammenarbeit mit Sozialdemokraten und Liberalen vereinbart, die in Prognosen zuletzt trotz deutlicher Verluste noch auf 140 beziehungsweise 90 Sitze kamen.

Zusammen würden die Parteienfamilien damit über eine komfortable Mehrheit verfügen – und über eine Einbindung der Grünen könnte diese noch stabilisiert werden. Diesen wurden zuletzt um die 50 Sitze prognostiziert, was im Vergleich zum Wahlergebnis von 2019 einen deutlichen Verlust von etwa 20 Sitzen bedeuten würde.

Geschlossenheit sieht anders aus

Gegen einen deutlichen Rechtsdruck spricht auch, dass es die rechten Parteien bislang nicht geschafft haben, ein schlagkräftiges, einheitliches Bündnis zu bilden. So gehörte das RN von Le Pen in der nun auslaufenden Legislaturperiode zur rechten Fraktion ID (Identität und Demokratie), Melonis Fratelli d’Italia dagegen zur konkurrierenden EKR (Europäische Konservative und Reformern). Die ID schloss zudem zuletzt alle deutschen AfD-Europaabgeordneten aus. Hintergrund waren unter anderem umstrittene Äußerungen des AfD-Spitzenkandidaten Maximilian Krah zur SS und eine China-Spionageaffäre um einen Mitarbeiter Krahs.

Die Französin Le Pen wirbt derzeit zwar bei Meloni für eine Vereinigung, um nach der Wahl die zweitgrößte Fraktion im Europäischen Parlament zu bilden. Ob es dazu kommt, gilt allerdings als unsicher. Ein Grund ist, dass Meloni auch von der mächtigen EVP umworben wird. Deren Chef Manfred Weber (CSU) betont immer wieder, dass die EVP mit allen Parteien zusammenarbeiten wolle, „die pro Rechtsstaat, pro Europa, pro Ukraine“ sind. Und Spitzenkandidatin Ursula von der Leyen sagt über Meloni: „Sie ist ganz klar proeuropäisch, gegen Putin (…) und pro Rechtsstaat.“

Reiz der Macht

Für eine zumindest lose Zusammenarbeit mit der EVP spricht für Meloni, dass sie dann nah am Machtzentrum der EU wäre. Die EVP stellt derzeit bei EU-Gipfeln 13 der 27 Staats- und Regierungschefs und ist damit mit Abstand die einflussreichste politische Kraft dort. Wenn Meloni hingegen eine enge Allianz mit Le Pen eingeht, dürfte dies einer Zusammenarbeit mit der EVP entgegenstehen – Le Pen wird von der EVP noch immer als EU-feindlich, Russland-nah und rechtsextrem verteufelt – trotz deren Bemühungen, sich von ihrem Vater Jean-Marie Le Pen zu distanzieren.

Für Ursula von der Leyen, die eine zweite Amtszeit als Präsidentin der EU-Kommission anstrebt, ist die Situation Chance und Risiko zugleich. Sie muss nach der Europawahl im ersten Schritt bei einem EU-Gipfel mit qualifizierter Mehrheit dem Parlament als Kandidatin vorgeschlagen werden – das heißt: Es müssen neben den 13 EVP-Staats- und Regierungschefs noch mindestens drei weitere von großen Mitgliedstaaten für sie stimmen.

Von der Leyen braucht Partner

Im zweiten Schritt gilt es dann noch, die Mehrheit der Parlamentsmitglieder bei einer geheimen Wahl hinter sich zu vereinen. Dafür könnten von der Leyen und die EVP darauf setzen, über eine Einbindung von Grünen, Sozialdemokraten und Liberalen eine stabile Allianz für ihre Wahl zu schmieden. Sollten etwa die Grünen dabei nicht mitspielen, könnten Stimmen aus Melonis Partei dazu beitragen, eine Wiederwahl zu sichern. Eine Gefahr ist allerdings, dass ein Anbändeln mit Meloni oder anderen Rechten im Vorfeld dafür sorgt, dass auch Sozialdemokraten von der Leyen die Zustimmung verweigern könnten.

Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) sagte zuletzt im Wahlkampf, wenn die nächste Kommission gebildet werde, „darf sie sich im Parlament nicht auf eine Mehrheit stützen, bei der es auch die Unterstützung von Rechtsextremen braucht“. Ob er dazu auch die Partei von Meloni zählt, ließ er vermutlich absichtlich offen. Aus dem Kanzleramt hatte es bislang eigentlich geheißen, Scholz schätze die Zusammenarbeit mit Meloni auf EU-Ebene sehr.

Gerüchte um Draghi

Vorteil von der Leyens ist, dass keinem der anderen Spitzenkandidaten für den Kommissionsvorsitz ernsthafte Chancen eingeräumt werden, von den Staats- und Regierungschefs nominiert zu werden. Zu ihnen zählen etwa der luxemburgische Sozialdemokrat Nicholas Schmit oder die deutsche Grünen-Politikerin Terry Reintke. Vereinzelt spekuliert wird lediglich noch darüber, dass Macron den früheren italienischen Regierungschef Mario Draghi als Alternative zu von der Leyen vorschlagen könnte.

Gleichzeitig ist allerdings kaum vorstellbar, dass das Parlament noch einmal einen Kandidaten akzeptiert, der zuvor nicht von einer Parteienfamilie nominiert wurde. 2019 hatte dies dazu geführt, dass von der Leyen bei ihrer Wahl im Parlament bis zur letzten Sekunde zittern musste und am Ende nur neun Stimmen mehr bekam als nötig.

Großer Rechtsruck könnte 2027 kommen

Hoffen kann von der Leyen schließlich auch darauf, dass sich vor allem Grüne fragen müssen, was ein Widerstand gegen die CDU-Politikerin für das Erreichen der eigenen politischen Ziele bedeuten könnte. Zwar wurde von der Leyen zuletzt vorgeworfen, wegen der europaweiten Bauernproteste ihre Ambitionen beim Umweltschutz zurückgeschraubt zu haben. Zugleich räumen aber grüne Spitzenpolitiker hinter vorgehaltener Hand ein, dass es aus grüner Sicht wohl keine besseren realistischen Alternativen zu von der Leyen gibt. So gilt die 65-Jährige selbst unter Grünen als engagierte und überzeugte Klimaschützerin, die die EU in den vergangenen Jahren bei dem Thema deutlich vorangebracht hat.

Die Wahrscheinlichkeit eines großen politischen Rechtsrucks ist vor diesem Hintergrund gering. Ihn könnte die EU allerdings erleben, wenn es Le Pen gelingen sollte, 2027 die Präsidentenwahl in Frankreich zu gewinnen. Zum ersten Mal würde dann die zweitgrößte Volkswirtschaft der EU von jemandem regiert werden, der klar rechts ist. (dpa/mig 7)

 

 

 

 

Bauernopfer

 

Ursula von der Leyens Deal mit dem Libanon schadet nicht nur Flüchtlingen dort. Er untergräbt auch die Glaubwürdigkeit der EU. Sabrina Kaschowitz & Hussam Baravi

 

Die Annahme ist naheliegend, dass es sich um ein Wahlkampfmanöver handelt: EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen hat dem Libanon – kurz vor den Europawahlen – eine Milliarde Euro zur Bewältigung der dortigen Flüchtlingskrise zugesagt. Anlass für die jüngste Vereinbarung waren Geflüchtete, die mit Booten nach Zypern gelangten, dem dem Libanon geografisch am nächsten gelegenen EU-Gebiet. Von der einen Milliarde sind 264 Millionen Euro für die Bereitstellung von Ausrüstung, Ausbildung und Grenzschutzinfrastruktur zur Unterstützung der libanesischen Sicherheitsdienste vorgesehen. Die Ankündigung selbst führte zu zahlreichen Vorwürfen gegen die EU, sie wolle die Migrationskontrolle auslagern und nehme dabei kaum Rücksicht auf die Einhaltung von Menschenrechten.

Von der Leyens Wiederwahl hängt davon ab, dass sie die absolute Mehrheit der 720 Abgeordneten im zukünftigen Europäischen Parlaments erhält. Im Moment scheint sie dafür auf die Unterstützung frustrierter Konservativer sowie rechtspopulistischer Parteien zu setzen, deren Beliebtheit in den jüngsten Umfragen auf einem Höhepunkt angekommen ist. Von der Leyen hat diesbezüglich bereits vorgelegt: Bei der Maastricht-Debatte im April signalisierte sie ausdrücklich ihre Bereitschaft, nach den Wahlen mit der Fraktion der Europäischen Konservativen und Reformer verhandeln zu wollen. 

Die jüngste Libanon-Ankündigung deutet dementsprechend auf ein kalkuliertes politisches Manöver von der Leyens hin, um ihre derzeitige Position zu stärken und ihre politische Zukunft zu sichern – koste es, was es wolle.

Abgesehen vom fragwürdigen Zeitpunkt bleibt unklar, inwiefern die Details des neuen Abkommens überhaupt eine Neuerung darstellen. Nach offiziellen Angaben der Europäischen Kommission hat die EU den Libanon seit 2011 finanziell unterstützt, wobei sich das Gesamtvolumen dieser Hilfe auf über drei Milliarden Euro beläuft. Die aktuelle Unterstützung wird hauptsächlich über das Instrument für Nachbarschaft, Entwicklungszusammenarbeit und internationale Zusammenarbeit finanziert und über diverse Kanäle im Zeitraum 2021 bis 2027 verteilt. Die Kommission gibt an, dass von dieser Hilfe 670 Millionen Euro für den Libanon in Form von bilateraler Hilfe und 61 Millionen Euro unter dem sogenannten Stabilitäts- und Friedensinstrument der EU bereitgestellt werden. Im Zeitraum 2018 bis 2020 wurde mindestens ein Paket zur Unterstützung des libanesischen Sicherheitssektors über dieses Instrument angenommen.

Das wirft die Frage auf, ob es sich beim jüngsten Schritt tatsächlich um zusätzliche Mittel oder vielmehr um eine Umwidmung von bereits zuvor mit dem Libanon vereinbarten Finanzierungspaketen handelt. Wadih Al Asmar, Leiter von EuroMed Rights und des Libanesischen Zentrums für Menschenrechte, ist der Meinung, Letzteres sei der Fall. Er vermutet, das neue Abkommen sei nicht mehr als eine Garantie für ein fortgesetztes finanzielles Engagement der EU. Dieses hätte aber auch über die EU-Delegation im Libanon festgelegt werden können – auf deutlich diskretere Weise. Stattdessen wurde das neue Abkommen von der EU-Exekutive als ein außergewöhnliches Ereignis präsentiert.

Es hat also den Anschein, dass von der Leyen die Migrationsdebatte für ihren Wahlkampf nutzen und ihr Profil schärfen will. Dabei bietet sie allerdings keine „Lösung für die Migrationsfrage“ im Einklang mit den europäischen Werten. Vielmehr ist das Gegenteil der Fall. Ihre Ankündigung hat im Libanon Aufsehen erregt: Sie wurde als Versuch empfunden, die libanesische Regierung zu bestechen, um unerwünschte syrische Flüchtlinge im Land und somit fern von der EU zu halten. Im Libanon selbst hat dies zu einer erneuten Anti-Flüchtlings-Stimmung geführt. Sie verschärft die ohnehin schon angespannte Atmosphäre zwischen syrischen Geflüchteten und der libanesischen Bevölkerung.

Die finanzielle Unterstützung der EU für die libanesischen Sicherheitsbehörden und die erneute Fokussierung auf die Migrationsdebatte stärken derweil die Fähigkeiten der libanesischen Sicherheitskräfte, internationales Recht zu brechen. Dies geschieht vor dem Hintergrund eines dysfunktionalen Staates ohne Präsidenten und einer lediglich geschäftsführenden Regierung, die aus einer korrupten politischen Elite besteht. In diesem politischen Kontext gibt es keine Rechenschaftspflicht; Risikobewertungen oder eine unabhängige Überwachung sind unmöglich. In dieser derzeitigen Situation im Libanon werden die ohnehin schon marginalisierten Syrerinnen und Syrer noch vulnerabler. Das bedeutet auch: Noch mehr syrische Menschen werden keine andere Möglichkeit sehen, als aus dem Libanon zu fliehen, egal unter welchen Bedingungen.

Es ist wohl kaum ein Zufall, dass nur eine Woche nach von der Leyens Besuch die libanesische Sicherheitsbehörde eine Reihe neuer Maßnahmen ankündigte, die die Möglichkeiten syrischer Geflüchteter weiter einschränken, eine Aufenthaltsgenehmigung zu erhalten oder zu verlängern. Diese Maßnahmen stellen eine zusätzliche Belastung für die am meisten gefährdeten syrischen Personen dar. Mindestens 83 Prozent der syrischen Flüchtlinge im Libanon sind ohnehin schon ohne offizielle Papiere vor Ort. 

Gemessen an der Einwohnerzahl ist der Libanon der Staat, der weltweit die meisten Geflüchteten aufnimmt. Die politische Elite im Land hat syrische Menschen zum Sündenbock gemacht, um die Tatsache zu verschleiern, dass sie selbst die Krisen im Land durch jahrzehntelange hohe Verschuldung, eine fehlgeleitete neoliberale Wirtschafts- und Sozialpolitik sowie weit verbreitete Korruption verursacht hat. Ihr Narrativ wird von den lokalen Medien und der dafür offenen Bevölkerung erfolgreich verbreitet. In den vergangenen Monaten waren Syrerinnen und Syrer Opfer exzessiver Gewalt, diskriminierender Ausgangssperren, Schikanen, Zwangsräumungen, Einschränkungen ihres legalen Aufenthalts sowie des Zugangs zu Bildung und Beschäftigung – und sogar Morden. Human Rights Watch berichtet über zahlreiche Fälle von willkürlichen Verhaftungen, Folter und gewaltsamer Abschiebung nach Syrien durch die libanesischen Behörden. Unter den Opfern waren auch Oppositionelle gegen das syrische Regime sowie Deserteure der syrischen Armee.

Die sich verschlechternden Lebensbedingungen im Libanon und die Angst vor Abschiebung lassen den Syrerinnen und Syrern nur wenige Möglichkeiten. Für diese Geflüchteten ist es schlichtweg nicht sicher, in ihren Heimatstaat zurückzukehren. Das Regime des Landes hat ein „gutes Gedächtnis“ und sich darauf spezialisiert, Druck auf Dissidenten auszuüben. Was von libanesischer Seite als „freiwillige und sichere Rückkehr“ propagiert wird, ist für die meisten Menschen wahrscheinlich eine Einbahnstraße in Richtung Gewalt, Verletzung der Menschenrechte und manchmal sogar Tod. Menschenrechtsorganisationen haben diverse Fälle dokumentiert, in denen Rückkehrer, darunter Frauen und Kinder, willkürlich inhaftiert, gefoltert, sexuell missbraucht wurden oder einfach verschwunden sind.

Dass die Europäische Union eine solche vermeintlich „freiwillige Rückkehr“ (wie es von der Leyen auch bei ihrem Besuch im Libanon formulierte) unterstützt, bietet Spielraum für andere Kräfte, die schon lange versuchen, syrische Flüchtlinge für ihre Zwecke zu instrumentalisieren. In einer Rede nach von der Leyens Besuch hat beispielsweise der Hisbollah-Führer Hassan Nasrallah, ein enger Verbündeter von Baschar al-Assad, vorgeschlagen, der Libanon solle die Ausreise von Syrern nach Europa erleichtern. Das kann sicherlich so interpretiert werden, dass Druck auf Europa aufgebaut werden soll – wodurch Brüssel sich dann gezwungen fühlen dürfte, sich in der Rückführungsfrage alternativ mit dem syrischen Regime zu arrangieren. Für die Führung von Assad wäre dies ein erster Schritt in Richtung der von ihm seit Langem angestrebten Normalisierung der Beziehungen zu Europa.

Mit ihrem eigennützigen Schritt lässt von der Leyen die Europäische Union einen hohen Preis mit Blick auf ihr internationales Ansehen zahlen. Vorläufige Ergebnisse einer Studie des Swiss Network for International Studies deuten darauf hin, dass in der Wechselbeziehung zwischen europäischen und regionalen Fluchtdynamiken der Einfluss europäischer Akteure und Geldgeber bei der Achtung der internationalen Menschenrechte im Libanon schwindet. Ein wichtiger Faktor ist dabei auch die eigene Praxis der EU, das Thema per Pushbacks und Externalisierung abzuhandeln. Damit setzt sie selbst ein schlechtes Beispiel für den Umgang mit geflüchteten Menschen. Hinzu kommt die weit verbreitete Kritik an der Doppelmoral der EU in Bezug auf die Lage in Gaza. Diese jüngere Entwicklung trägt dazu bei, dass die Europäische Union an Glaubwürdigkeit verliert und immer weniger als moralische Autorität auf der Weltbühne wahrgenommen wird.

Das erwartete Erstarken der radikalen Rechten in der EU wird wahrscheinlich dazu führen, dass Praktiken wie die Auslagerung der Migrationskontrolle in Länder mit einer langen Geschichte von Menschenrechtsverletzungen intensiviert werden. Wenn sich dieser Trend fortsetzt, wird das Image der EU in der Welt und damit ihre Fähigkeit, eigene wichtige außenpolitische Interessen zu verfolgen, weiter leiden.

In Bezug auf den Libanon muss die EU sicherstellen, dass ihre Unterstützung darauf ausgerichtet ist, die Stabilität im Interesse aller Menschen vor Ort zu fördern. Mehr Mittel sollten an lokale und internationale humanitäre Organisationen fließen, anstatt sie über die korrupte Regierung zu leiten. Damit würde auch die Anfälligkeit für Bestechung und Korruption verringert. Darüber hinaus sollte die EU den aktuellen Trend von Abschiebungen in Richtung vermeintlich „sicherer Gebiete“ in Syrien nicht unterstützen. Stattdessen muss sie betonen, dass das Land weiterhin unsicher ist.

Bei ihren legitimen Bemühungen zur Unterstützung von Ländern wie dem Libanon (aber auch Tunesien und Marokko), die viele Geflüchtete aufnehmen, muss die EU sicherstellen, dass sie sich durch diese Unterstützung nicht zur Mittäterin bei Menschenrechtsverletzungen macht. Insbesondere muss in allen Abkommen mit diesen Ländern das unerschütterliche Einstehen Europas für internationale Menschenrechte betont werden. IPG 7

Köln. Terrorziel nicht erreicht – Die Keupstraße 20 Jahre danach

Vor 20 Jahren verübte der rechtsextreme NSU einen Anschlag auf die türkisch geprägte Keupstraße in Köln. Doch das multikulturelle Leben konnten sie damit nicht zerstören: Heute ist die Straße offener denn je. Und zum 20. Jahrestag soll es eine Neuauflage des Birlikte Kulturfestivals geben. Von Christoph Driessen

Neulich hat ein Arzt bei „Meral Deko“ in der Kölner Keupstraße angerufen. Ein biodeutscher Arzt, der um die Hand seiner türkischstämmigen Freundin anhalten wollte. „Er hatte null Ahnung, was man alles braucht“, lacht Dilara, die als Verkäuferin in dem Geschäft für Hochzeitszubehör arbeitet. „Deshalb hat er gefragt: ‚Könnt ihr mir helfen?‘“ Und ja, das konnten sie. Dilara ist bei der Gelegenheit mal wieder aufgefallen, dass sich beide Kulturen – die türkische und die deutsche – in ihren Augen immer weiter vermischen. 20 Jahre nach einem rechtsextremen Anschlag in der Nachbarschaft ist das keine Selbstverständlichkeit.

In der Keupstraße im Stadtteil Mülheim hatten die beiden NSU-Mörder Uwe Mundlos und Uwe Böhnhardt am 9. Juni 2004 eine mit Nägeln gefüllte Bombe gezündet. Durch die Explosion wurden 22 Menschen verletzt, einige lebensgefährlich. Die Polizei vermutete die Urheber der Tat danach lange Zeit in der türkischen Community. In Richtung Rechtsextremismus wurde nicht ermittelt. Lange wurde die Mordserie in Sicherheitsbehörden und Medien als „Dönermorde“ bezeichnet. Erst nachdem Mundlos und Böhnhardt 2011 tot aufgefunden worden waren, wurde deutlich, dass die Terrorgruppe „Nationalsozialistischer Untergrund“ für die Tat verantwortlich war.

Ziel nicht erreicht

Ab 2000 verübte der NSU jahrelang unerkannt zehn Morde in ganz Deutschland. Opfer waren neun Gewerbetreibende türkischer und griechischer Herkunft sowie eine deutsche Polizistin. Zu den Tätern gehörte neben Mundlos und Böhnhardt auch Beate Zschäpe, die 2018 vom Münchner Oberlandesgericht zu einer lebenslangen Haftstrafe verurteilt wurde. Als aufgeklärt gilt der NSU-Komplex nicht. Ohne zahlreiche Helfer, Mitwisser und Hintermänner sei die Verbrechensserie nicht möglich gewesen, heißt es.

Im Rückblick von 20 Jahren lässt sich eines feststellen: Falls die Rechtsterroristen den multikulturellen Charakter der Keupstraße zerstören wollten, falls es ihr Ziel war, Bevölkerungsgruppen dauerhaft gegeneinander aufzustacheln, so ist ihnen das nicht gelungen. Die Straße, in der sich seit Jahrzehnten türkische Restaurants und Geschäfte konzentrieren, wirkt heute offener und einladender als vor 20 Jahren. Man kommt jetzt schnell mit allen möglichen Leuten ins Gespräch.

„Herzlichen Glückwunsch“ in zehn Sprachen

Einer der ältesten Läden ist die Feinkonditorei Özda, geführt von sieben Geschwistern. Ihr Vater, Hasan Özda, kam 1971 mit nur einem einzigen Koffer aus der Türkei nach Deutschland. Anfangs verkaufte er Hefe-Kringel an Haustüren mit türkischen Namen auf dem Klingelschild, später gründete er das Geschäft. Mittlerweile ist die Konditorei bekannt für ihre mehrstöckigen Hochzeitstorten, die schon lange nicht mehr nur an türkische Hochzeitsgesellschaften geliefert werden, sondern auch zu vielen anderen Anlässen. Manche Kunden bestellen Torten, auf denen in zehn verschiedenen Sprachen „Herzlichen Glückwunsch“ steht.

Mitinhaberin Hülya Özda? sagt, dass sie kaum noch an das angestellte Fahrrad mit der Nagelbombe denkt, wenn sie die Straße entlanggeht. „Irgendwann muss man auch mit dem Vergangenen abschließen“, ist ihre Überzeugung. „Ich finde schon wichtig, dass nicht in Vergessenheit gerät, was passiert ist und wie das Ganze aufgearbeitet worden ist, dass das alles nicht so gelaufen ist, wie man es sich gewünscht hätte. Aber ich finde, man sollte sich über das Hier und Jetzt Gedanken machen.“ Damit meint sie insbesondere den Höhenflug der AfD.

„Jetzt ist es sichtbar. Für alle.“

Meralahin, die Inhaberin von „Meral Deko“, ist seit elf Jahren Vorsitzende der Interessengemeinschaft Keupstraße, in der sich die ortsansässigen Geschäftsleute zusammengeschlossen haben. In ihren Augen hat der Erfolg der AfD ein Gutes: Es könne jetzt niemand mehr bestreiten, dass es auch in Deutschland ein Problem mit Rassismus gebe. „Viele deutsche Freunde haben das lange verleugnet. Jetzt ist es sichtbar. Für alle. Und das ist eine Chance für uns, gemeinsam dagegen zu agieren.“

Ein solches gemeinsames Agieren war vor zehn Jahren das Fest „Birlikte – Zusammenstehen“. Zehntausende kamen damals – nicht nur, um des Anschlags zu gedenken und über Rassismus zu diskutieren, sondern auch, um Toleranz und Offenheit zu feiern. „Wir haben dadurch gelernt, dass Begegnung das Wesentliche ist, was hilft“, sagt Sahin. „Wenn sich Mensch und Mensch gegenübersitzen und miteinander ins Gespräch kommen, dann ist das nachhaltig.“ Am 20. Jahrestag des Anschlags soll es eine Neuauflage des Kulturfestivals geben, auch Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier will kommen.

„Unsere Antwort auf den 9. Juni 2004“

Etwas Besonderes ist auch das gemeinsame Fastenbrechen am Ende des Ramadans: Dann stehen auf der Keupstraße Tische in einer unabsehbar langen Reihe aneinander, über Hunderte Meter, und etwa 2.500 Besucher lassen sich zum Essen und Schwatzen nieder. Jeder und jede ist willkommen, man muss kein Muslim sein. Bezahlt wird dieses wohl größte Open-Air-Fastenbrechen in Nordrhein-Westfalen von den Geschäftsleuten der Keupstraße. „Das ist unsere Antwort auf den 9. Juni 2004“, sagt Meralahin nicht ohne Stolz.

In den Jahren nach dem Anschlag hätten die Anwohner auch gelernt, „mit dem eigenen Rassismus umzugehen“, sagt sie selbstkritisch. Gemeint sind „die kleinen feinen Ausgrenzungen im Alltag“, etwa gegenüber Nachbarn, die aus einer anderen Region in der Türkei stammen. „Man hat das nie ausgesprochen, aber man hat den anderen einfach gemieden, weil zum Beispiel jemand behauptet hat ‚Der Kurde mag den Türken nicht‘ oder ‚Der Türke mag den Kurden nicht‘. Heute haben wir ein viel besseres Miteinander.“

„Noch nie in der Keupstraße gewesen“

Wirtschaftlich hat sich die Straße vor allem in dem Punkt verändert, dass es heute mehr Juweliere gibt als vor 20 Jahren. Sie ist noch mehr zu einer Hochzeitsstraße geworden, wobei große Brautmodengeschäfte fehlen, weil die Geschäftsräume in den schmalen Gründerzeit- und Nachkriegshäusern dafür zu klein sind. Weit über die Grenzen von NRW hinaus bekannt ist die Restaurantszene. „Die Restaurants mit dem sehr authentischen Essen, dem Geschmack der Heimat sozusagen, sind unverändert geblieben, aber durch die Schmuckbranche ist die Straße immer heller, bunter, beleuchteter geworden“, sagt der Juwelier Muhammed Özkan.

Schade sei nur, dass das deutsche Kundenklientel immer noch überschaubar sei: „Viele Kölnerinnen und Kölner sind noch nie in der Keupstraße gewesen, dabei ist sie eine Attraktion. Es gibt in Deutschland viele Straßen, in denen sich türkische Geschäfte konzentrieren. Aber so etwas wie die Keupstraße, das findet man nicht noch einmal.“ (dpa/mig 7)

 

 

 

Europa vor der Wahl

 

Was ist das Selbstverständnis der EU und wie könnte ihre zukünftige Rolle in der Weltpolitik aussehen? Ein Blick in Ivan Krastevs Werk könnte helfen. Leander Scholz

 

In diesen Tagen findet die zehnte Direktwahl zum Europäischen Parlament statt. Im Unterschied zur letzten Wahl vor fünf Jahren hat sich mit dem russischen Angriffskrieg gegen die Ukraine und den zunehmenden Drohungen seitens Chinas gegen Taiwan nicht nur die weltpolitische Lage erheblich verändert. Sollten die Prognosen zu dieser Wahl zutreffend sein, könnten auch erstmalig in der Geschichte der Europäischen Union rechtsgerichtete Parteien einen wesentlichen Einfluss auf die Staatengemeinschaft haben. Entschieden wird daher nicht nur über eine neue Zusammensetzung des Parlaments, mit der die traditionelle Mehrheit von Konservativen und Sozialdemokraten beendet werden könnte, sondern auch über das politische Selbstverständnis des Kontinents und über seine zukünftige Rolle in der Weltpolitik. Denn die Wahl fällt zusammen mit dem Ende der historischen Epoche eines globalen Liberalismus, die vor über 30 Jahren mit dem Fall der Berliner Mauer ihren Anfang nahm und deren Hoffnungen heute kaum noch jemand teilt. Das Ende der Geschichte ist tatsächlich eingetroffen, nur anders als erwartet.

Zu den politischen Analysten, die sich intensiv mit der Frage beschäftigt haben, was sich in diesen drei Jahrzehnten seit dem Untergang der Sowjetunion derart grundsätzlich am Gefüge der Weltordnung verändert hat, gehört der bulgarische Politikwissenschaftler Ivan Krastev. Vor allem in seinen beiden Büchern Europadämmerung (2017) und Das Licht, das erlosch. Eine Abrechnung (2019), das letztere geschrieben zusammen mit dem amerikanischen Rechtswissenschaftler Stephen Holmes, versucht er, für die Zeit zwischen 1989 und unserer Gegenwart eine welthistorische Konstellation herauszuarbeiten, in der die politische Mimesis zwischen den verbliebenen Mächten nach dem Ende des Kalten Kriegs eine entscheidende Rolle spielt. Schon häufig haben Politiken der Nachahmung das Schicksal ganzer Epochen bestimmt, vor allem in der europäischen Geschichte, aber auch unter kolonialen Bedingungen. Beispielhaft dafür ist die deutsch-französische Rivalität über mehrere Jahrhunderte, an deren Beginn das deutsche Begehren stand, so sein zu wollen wie der bewunderte Andere.

Ausgangspunkt der Überlegungen von Krastev bildet die These, dass sich die aktuelle Konfliktlage der Weltpolitik nicht allein anhand der Differenz von Demokratien und Autokratien begreifen lässt, die für manche Beobachter an die Stelle der politischen Unterscheidung zwischen Kapitalismus und Kommunismus aus der Blockkonfrontation des 20. Jahrhunderts getreten ist. Denn im Unterschied zum Kalten Krieg ist die gegenwärtige Rivalität der Weltmächte kein symmetrisch angeordneter Streit um philosophische Prinzipien. Der ehemalige Eiserne Vorhang war nicht nur eine territoriale Markierung, sondern auch eine ideologische und sogar geschichtsphilosophische. Beide politischen Systeme waren der gleichen Idee des Fortschritts verpflichtet und bezogen sich auf die gleiche philosophische Tradition. Daher konnten sie sich ineinander spiegeln und miteinander wetteifern. Das machte ihre besondere Feindschaft aus. Beide Systeme sahen sich auf dem einzigen richtigen Weg, der die wahre Geschichte der Menschheit sein sollte. Einer der beiden Wege musste somit zwangsläufig falsch sein und in einer Sackgasse enden.

Als Francis Fukuyama nach den weltpolitischen Umbrüchen von 1989 in diesem Sinne seine berühmte These vom Ende der Geschichte formulierte, sah er sich selbst in der geschichtsphilosophischen Tradition von Hegel und des russisch-französischen Philosophen Alexandre Kojève, der bereits in den 30er Jahren des 20. Jahrhunderts in seinen berüchtigten Hegel-Vorlesungen in Paris die Möglichkeit eines „Stillstands der Geschichte“ diskutiert hatte. In dieser Tradition stellt die Geschichte nicht bloß eine Aneinanderreihung historischer Ereignisse dar, sondern sie verkörpert philosophische Prinzipien, deren Wahrheiten sich nur geschichtlich offenbaren können. Allein vor diesem Hintergrund konnte der Untergang der Sowjetunion für Fukuyama den historischen Beweis dafür liefern, dass der „liberalen Demokratie und dem mit ihr verbundenen Wirtschaftsliberalismus“ keine Alternative mehr entgegenstehe. Das Ende der Geschichte zu diagnostizieren, bedeutete daher nicht, dass nun nichts mehr geschehe, sondern dass es keinen Grund mehr gebe für die gewaltvolle Auseinandersetzung um die richtige politische Überzeugung.

Diese geschichtsphilosophische Rahmung fehlt der gegenwärtigen Konfliktlage. Ihre historischen Bedingungen sieht Krastev im Sieg des Westens und im Aufstieg der einzig verbliebenen Supermacht zum Weltpolizisten gegeben. Mit der neuen unipolaren Weltordnung gerieten demnach alle anderen Mächte unter einen verschärften Druck der Nachahmung, der nur unzureichend als Globalisierung mit ihren weltpolitischen Hoffnungen erfasst werden kann. Denn Nachahmung kann sowohl in Form einer Mimesis vollzogen werden, mit dem Ziel, letztlich genau so zu werden wie das dominante Vorbild, als auch in Form einer Mimikry, mit dem Ziel, sich dieser Dominanz durch eine partielle Anpassung zu entziehen. Spätestens mit Chinas forcierter Einrichtung von Sonderwirtschaftszonen und dem Beitritt zur WTO stand zwar der Kapitalismus international nicht mehr zur Disposition, aber das bedeutete nicht, dass die politischen Unterschiede in einer Weltgesellschaft aufgehen würden. Im Gegenteil, an die Stelle des geschichtsphilosophischen Feldes der Unterschiede ist seitdem ein identitätspolitisches Feld getreten.

Am Beispiel der Flüchtlingskrise von 2015, bei der sich von Anfang an ein tiefer Abgrund der Positionen zwischen westeuropäischen und osteuropäischen Ländern auftat, hat Krastev die Effekte dieses neuen identitätspolitischen Feldes in Europadämmerung als „Graben zwischen denen“ beschrieben, „die den Zusammenbruch des Kommunismus und den Zerfall des einstmals mächtigen kommunistischen Blocks am eigenen Leib erfahren haben, und jenen, die von solchen traumatischen Ereignissen verschont blieben“. Während die Osteuropäer mit ihrem Beitritt zur Europäischen Union die Hoffnung verbanden, endlich souveräne Nationalstaaten nach westeuropäischem Vorbild zu werden, empfanden sie die Forderungen nach Solidarität als eine kosmopolitische Zumutung, die ihre gerade erworbene Identität bedrohe. Für die Westeuropäer bedeutete die Erweiterung der Europäischen Union dagegen die Aussicht auf eine postnationale Globalisierung, in der kein Platz mehr war für ausgeprägte Nationalgefühle. Vor diesem Hintergrund lässt sich das Projekt einer illiberalen Demokratie auch aus den historisch unterschiedlichen Positionen innerhalb des identitätspolitischen Feldes in der Epoche der Nachahmung begreifen.

Mit der erfolgreichen Globalisierung nach 1989 ist erstmals in der Geschichte ein gemeinsamer symbolischer Rahmen für identitätspolitische Rivalitäten im internationalen Maßstab entstanden. Denn im Unterschied zur Blockkonfrontation gibt es heute weltweit sehr viel größere Gemeinsamkeiten, vor deren Hintergrund erst die politischen Unterschiede eine neue Bedeutung gewinnen. Gerade weil es keinen geschichtsphilosophischen Fluchtpunkt mehr gibt, sondern nur noch die dauerhafte Präsenz des Anderen, sind diese Unterschiede deutlich affektgeladener als die geschichtsphilosophischen Differenzen. Es ist ein Irrtum zu glauben, dass es sich dabei um eine Konfrontation einander fremder Kulturen handelt, sondern erst der globale Nachahmungsdruck hat die Frage nach der eigenen Identität überall auf der Welt in den Vordergrund gerückt. Anhand der russischen Rivalität zum Westen hat Krastev in Das Licht, das erlosch in diesem Sinne zu rekonstruieren versucht, wie aus der anfänglichen Nachahmung des Westens in den 1990er Jahren und dem zunehmenden Eingeständnis einer traumatischen Niederlage eine „Kriegserklärung an den Westen“ wurde.

Die Gefahr einer „mimetischen Krise“ ist aber nicht allein auf den Nachahmer beschränkt. Sie kann auch das Vorbild selbst betreffen, das den Folgen seines eigenen Sieges nicht gewachsen ist. Mit dem Status der USA als monopolistischer Anbieter von politischen Werten nach 1989 ging nicht nur eine unkalkulierbare Ausdehnung der liberalen Mission einher, sondern auch das zunehmende Gefühl einer Selbstüberforderung und sogar eine Ablehnung der internationalen Vorbildrolle in den USA selbst. „America First“, der politische Slogan der amerikanischen Populisten, macht den grundsätzlichen Unterschied zur langen geschichtsphilosophischen Tradition des amerikanischen Exzeptionalismus sehr deutlich: „Er [Donald Trump] ist der wohl erste amerikanische Präsident, der niemals, unter keinen Umständen, die berühmten Worte Woodrow Wilsons wiederholen könnte: ‚Ihr seid Amerikaner, es ist euch bestimmt, Freiheit und Gerechtigkeit und die Prinzipien der Menschlichkeit zu bringen, wohin ihr auch geht‘“ (Das Licht, das erlosch). Damit haben auch die USA das geschichtsphilosophische Feld verlassen und sind im identitätspolitischen Feld angekommen. Darauf wird sich Europa in naher Zukunft einstellen müssen, was nur möglich ist, wenn es mehr darüber lernt, wie sich die internationalen Beziehungen im identitätspolitischen Feld gestalten lassen. IPG

 

 

 

„Italienisches Guantánamo“. Meloni: Flüchtlingslager in Albanien ab August bereit

 

Italien will Geflüchtete, die über das Mittelmeer in die EU wollen, in Albanien unterbringen und dort Asylanträge prüfen. Nach einer ersten Verzögerung können die Flüchtlingslager bald in Betrieb gehen. Kritiker sprechen von einem „italienischen Guantánamo“.

Die von Italien geplanten Aufnahmezentren für Geflüchtete außerhalb der EU in Albanien werden nach den Worten der italienischen Ministerpräsidentin Giorgia Meloni ab August in Betrieb gehen können. Knapp sieben Monate nach der Unterzeichnung eines Migrationsabkommens zwischen Italien und Albanien verkündeten Meloni und ihr albanischer Amtskollege Edi Rama am Mittwoch in Shengjin die Fertigstellung des Lagers in der Hafenstadt. Dieses dient laut Plan der ersten Aufnahme von Bootsmigranten sowie einer ersten Prüfung der Asyl-Chancen von Geflüchteten. Ein zweites Lager in Gjader ist allerdings noch nicht fertig.

In beide Lager werden den Plänen zufolge Menschen gebracht, die zuvor von den italienischen Behörden auf hoher See an Bord genommen wurden. Das Vorhaben zielt auf Migranten ab, die sich auf Booten übers zentrale Mittelmeer nach Italien aufmachen. Italien ist eines der Länder, die von der Fluchtbewegung aus Afrika nach Europa übers Mittelmeer besonders betroffen sind. Jedes Jahr kommen Zehntausende Menschen dort an. Meloni war im Herbst 2022 mit dem Versprechen ins Amt gelangt, die Zahlen deutlich zu senken.

„Der größte Nutzen dieses Projekts besteht darin, dass es ein außerordentliches Instrument zur Abschreckung derjenigen sein kann, die Europa irregulär erreichen wollen, und zur Bekämpfung von Schleppern“, sagte Meloni bei einer gemeinsamen Pressekonferenz. Zudem könnten nach Melonis Worten die Asylverfahren der Menschen in den von Italien betriebenen Lagern schneller geprüft werden, sodass etwaige Abschiebungen einfacher seien.

„Italienisches Guantánamo“

In den beiden Einrichtungen in Shengjin und Gjader sollen den Plänen zufolge rund 36.000 Menschen pro Jahr unterkommen können. In Shengjin soll es die ersten medizinischen Untersuchungen sowie die erste Prüfung der Chancen der Migranten auf Asyl geben. Von dort sollen die Menschen sieben Kilometer landeinwärts nach Gjader gebracht werden.

Das Projekt ist sowohl in Italien als auch Albanien umstritten. Die Opposition in Rom zweifelt etwa die Rechtmäßigkeit des Pakts an und kritisierte mögliche schlechte Bedingungen für die Menschen in den Zentren. Sie sprach von einem „italienischen Guantánamo“.

Faeser bekundet Interesse

In Deutschland hingegen stößt das Vorhaben der italienischen Regierung auf Interesse. Ende Mai hatte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) erklärt, sie schaue mit Spannung darauf, was Italien gemeinsam mit Albanien macht. „Italien will selbst Asylverfahren in Albanien abwickeln. Das ist ein interessantes Modell, über das ich mich mit meinem italienischen Amtskollegen austausche“, hatte sie gesagt. Die Bundesregierung prüft, ob und inwieweit Asyl-Prüfungen an EU-Außengrenzen möglich sind.

Die Zentren sind ausdrücklich nicht für Menschen vorgesehen, die per Boot an italienischen Küsten ankommen oder von privaten Hilfsorganisationen aufgegriffen werden – sondern nur für jene, die von den italienischen Behörden in internationalen Gewässern an Bord genommen werden. Italien verwaltet die Lager und sorgt für Sicherheit darin. Außerdem trägt das Mittelmeerland dafür alle „direkten und indirekten“ Kosten. Eingeplant sind 675 Millionen Euro für die nächsten zehn Jahre, davon 142 Millionen Euro in diesem Jahr. (dpa/mig 7)

 

 

 

Das Lego-Prinzip

 

Vom Krieg hart getroffen, braucht die Ukraine Zukunftsperspektiven. Beim Wiederaufbau sollten vier Aspekte besonders im Fokus stehen. Svenja Schulze

Bei Lego-Steinen ist das Prinzip, dass einzelne Bausteine nahtlos ineinandergreifen und aufeinander aufbauen. Und so lässt sich auch Entwicklungszusammenarbeit beschreiben. Mit diesem Bausteinprinzip wird Deutschland zusammen mit der Ukraine und weiteren Geberländern am 11. und 12. Juni die Ukraine Recovery-Konferenz (URC) in Berlin angehen. Um den Wiederaufbau im Land voranzutreiben, setzen wir gemeinsam auf vier Bausteine: Kommunen, kleine und mittelständische Unternehmen (KMU), Fachkräfte sowie Frauen.

Unser Ziel: Zukunftsperspektiven für die Ukrainerinnen und Ukrainer. Und zwar nicht erst nach dem Ende des brutalen russischen Angriffskrieges, sondern bereits jetzt. Damit diese Zukunftsperspektiven nachhaltig und widerstandsfähig sind, bauen sie inhaltlich aufeinander auf. Die Basis des „Bauplans“ bilden die Kommunen. Sie kennen die Bedarfe ihrer Bürgerinnen und Bürger am besten und sind dafür verantwortlich, dass bei ihnen wieder Strom und Wasser fließen. Dass Wohnhäuser, Straßen und Schulen repariert werden. Und dass das, was zerstört wurde, besser und nachhaltiger wiederaufgebaut wird.

Dafür brauchen Kommunen drei Dinge. Erstens mehr Entscheidungsspielraum – Stichwort kommunale Selbstverwaltung. Zweitens mehr Kooperationen – also Partnerschaften, beispielsweise mit der Zivilgesellschaft, den internationalen Partnerkommunen und privaten Unternehmen. Dass solche Partnerschaften eine Win-Win-Lösung sind, zeigt das Beispiel von Lwiw und Freiburg.

Lwiw liegt nur rund 80 Kilometer von der EU-Grenze entfernt. Bürgermeister Andrij Sadovyj hat mir dort kürzlich das Rehazentrum Unbroken gezeigt. In dem Zentrum arbeiten Psychologen, Ärztinnen, Orthopäden und Physiotherapeutinnen Hand in Hand. Sie statten Menschen mit Prothesen aus und richten sie wieder auf. Sie richten damit auch ein Stück Ukraine wieder auf und spenden Hoffnung in schwierigsten Zeiten. Freiburg hat sich gemeinsam mit seiner Partnergemeinde Lwiw für den Aufbau des Rehazentrums eingesetzt, direkt mit finanzieller Unterstützung und über die vom Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung (BMZ) geförderte kommunale Zusammenarbeit.

Um solche Projekte umzusetzen, brauchen Kommunen – drittens – mehr Geld. Deshalb soll die URC ukrainischen Kommunen den Zugang zu internationalen Finanzmitteln erleichtern. Apropos Unternehmen und Geld. Der zweite Baustein der Wiederaufbau-Strategie sind kleine und mittelständische Unternehmen. So wie auch hier in Deutschland sind diese das wirtschaftliche Rückgrat der ukrainischen Gesellschaft. Deshalb wird Deutschland mit der Ukraine eine Allianz für KMU aufsetzen, um diese besser und nachhaltiger zu finanzieren. Das passende Instrument dafür ist der Business Development Fund (BDF), den wir mit der Ukraine nach dem Vorbild der Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) umbauen wollen. Der BDF soll in der Zukunft zu einer starken Förderinstitution nach den besten internationalen Standards ausgebaut werden.

Dabei holt der BDF die Mittel zur KMU-Finanzierung nicht nur vom Staat und von Gebern, sondern auch auf dem lokalen Kapitalmarkt. Den Unternehmen bietet er dadurch passgenaue Finanzierungen: Kredite, Garantien und Zinsverbilligungen. Dass Deutschland und die Ukraine damit gemeinsam richtig etwas bewegen können, zeigen die Zahlen: Seit Anfang 2022 konnten mit deutscher Unterstützung rund 40 000 Unternehmen auf dem Markt bestehen und Arbeitsplätze sichern. Dank schneller und zinsgünstiger Kredite können beispielsweise landwirtschaftliche Betriebe wieder Ackerbau betreiben und das verarbeitende Gewerbe Maschinen beschaffen, die sie zur Produktion benötigen. Es ist wichtig, dass Wiederaufbau auch in dieser wirtschaftlichen Dimension gedacht wird.

Das findet auch Svitlana. Sie hatte vor dem Angriff auf Mykolajiw dort das Trinkwasserunternehmen Chista Voda geleitet. Nachdem sie neun Monate als Binnenvertriebene gelebt hatte, konnte sie wieder in ihre Heimatstadt zurückkehren. Dabei hatte sie ein Ziel: die Wasserversorgung für alle schnell wiederherstellen. Aber das war schwierig, denn die Hälfte ihrer 50 Angestellten kämpfte an der Front und es fehlte an Geld, um Treibstoff für den Wassertransport zu kaufen. Außerdem waren die Trinkwasserleitungen durch den Angriff auf die Stadt weitgehend zerstört worden.

Svitlana hat sich daraufhin auf das EU4Business-Programm beworben und finanzielle Unterstützung erhalten. Davon konnte sie neue Wassertanks und Benzin kaufen. Sie begann wieder mit der Trinkwassergewinnung und versorgte die Menschen in den Gemeinden Cherson und Mykolajiw so lange kostenlos mit Wasser, wie das öffentliche System zusammengebrochen war. Seitdem hat Svitlana Verträge mit zwei Hilfsorganisationen abgeschlossen, die das Trinkwasser kaufen und verteilen. Durch die Einnahmen steht Svitlanas Unternehmen wieder auf sicheren Füßen und sie konnte die Zahl ihrer Mitarbeitenden auf 30 erhöhen. Außerdem wurde in Mykolajiw mit deutscher Unterstützung eine solarbetriebene Trinkwasserentsalzungsanlage gebaut, die die Bevölkerung mit frischem Trinkwasser versorgen wird. Svitlanas Geschichte zeigt ganz klar: Der Wiederaufbau braucht fähige und motivierte Menschen.

Der dritte Baustein ist die WoMen-Power in Form von Fachkräften. Denn auch mit Strom produzieren Fabriken nichts ohne Menschen, die die Maschinen bedienen. Auch Straßen und Häuser bauen sich nicht von alleine wieder auf. Und je neuer die Technik, die die Ukraine installiert, desto mehr Expertinnen und Experten werden dafür gebraucht. Auch im Privatsektor ist die Nachfrage nach Fachkräften in den Bereichen Bau, Logistik, Agrarwirtschaft größer als das Angebot. Deswegen gibt es im Rahmen der URC eine Ausbildungsoffensive. Diese richtet sich insbesondere an ukrainische Jugendliche und Binnenvertriebene. Denn eine (neue) berufliche Zukunft ist ganz wesentlich, um Hoffnung zu schöpfen. Außerdem muss es für Ukrainerinnen und Ukrainer leichter werden, ihre Abschlüsse in der EU anerkannt zu bekommen, um dort in gleichwertigen Jobs arbeiten zu können. Aber bei dem Thema Arbeitskräfte geht es nicht nur um viele helfende Hände. Es geht vor allem auch um deren Köpfe. Um neue Ideen, wie besser wiederaufgebaut werden kann. Um Problemlösung und Kreativität, um den anhaltenden Angriffen zu trotzen. All das bringen viele Menschen in der Ukraine bereits mit.

Gleichwertigkeit ist auch das große Motto für Baustein Nummer vier: Frauen. Frauen wie Tetyana, deren Mann an der Front kämpfte und die nicht nur aus ihrer Heimat fliehen, sondern ihre Kinder plötzlich alleine versorgen musste. Sie bildete sich in einer vom BMZ finanzierten Berufsschule weiter und arbeitet inzwischen als Buchhalterin für einen kleinen Supermarkt. Das ist nicht nur gut für sie, weil sie nun wirtschaftlich unabhängig ist, sondern auch gut für die Gemeinde, der Fachkräfte fehlen.

Frauen wie Tetyana sind diejenigen, die die Gesellschaft am Laufen halten. Die schwere Aufgaben übernehmen und neue Berufe erlernen müssen. Das ist eine große Herausforderung und Chance zugleich. Denn auch bei den Frauen bleibt das neue Wissen, die neuen Fähigkeiten und das neue Selbstbewusstsein nach dem Krieg bestehen. Und hilft ihnen dabei, sich für gleiche Rechte, Ressourcen und politische Teilhabe starkzumachen. Menschen wie Svitlana und Tetyana zeigen, dass die deutsche Unterstützung in der Ukraine wirkt. Dass sie den Wiederaufbau spürbar voranbringt. Deshalb setzt die deutsche Bundesregierung mit ihren ukrainischen Partnerinnen und Partnern auf das bewährte Lego-Prinzip – bis alle Bausteine sicher aufeinander stehen. IPG 7

 

 

 

Wahlkampf. Biden verschärft US-Asylregeln für Grenze zu Mexiko

 

Wenige Monate vor der Präsidentenwahl in den USA möchte Amtsinhaber Biden die Zahl von Geflüchteten mit einer neuen Grenzregelung eindämmen. Das UNHCR zeigt sich „zutiefst besorgt“, politische Gegner sprechen von einem „politischen Stunt“ im Wahljahr.

US-Präsident Joe Biden verschärft mitten im Wahlkampf die Regeln für Migranten, die aus Mexiko in die USA einreisen. Die Maßnahmen, die in der Nacht auf Mittwoch (Ortszeit) in Kraft traten, ermöglichen es den Behörden, sogenannte „irregulär“ eingereiste Menschen – gemeint sind Personen, die mangels legaler Fluchtwege Grenzen ohne gültige Einreisedokumente passieren – teils ohne Bearbeitung ihrer Asylanträge abzuschieben. Ausnahmen gelten nur in wenigen Fällen. Am Dienstag hatte das Weiße Haus ein entsprechendes Dekret des Präsidenten veröffentlicht. „Ich tue, was die Republikaner im Kongress sich weigern zu tun: Ich unternehme die notwendigen Schritte zur Sicherung unserer Grenze“, sagte der Demokrat. Das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR kritisierte die Regelung als eine Untergrabung des Grundrechts auf Asyl. US-Bürgerrechtler kündigten Klagen an.

Die neue Regelung gilt, sobald der Durchschnitt „illegaler“ Grenzübertritte aus Mexiko in einer Woche die Zahl von 2.500 pro Tag übersteigt. Sie wird aufgehoben, wenn diese Zahl wieder unter 1500 fällt. US-Medien berichteten unter Berufung auf die Behörden, derzeit seien es über 4.000 pro Tag. Seit Beginn des Haushaltsjahrs im Oktober gab es demnach rund 1,5 Millionen „irreguläre Begegnungen“ an der Südgrenze – also Fälle, in denen Menschen – meist kurzzeitig – festgenommen oder direkt abgeschoben wurden. Die Fallzahl lag somit höher als zum gleichen Zeitpunkt in den Vorjahren – und im Dezember 2023 gar höher denn je in einem einzelnen Monat. Die Behörden kommen bei der Bearbeitung der Asylanträge kaum hinterher. Zudem fehlen Unterkünfte und andere Ressourcen für die Ankömmlinge.

Kritiker werfen Biden vor, die Kontrolle über den Schutz der Südgrenze verloren zu haben. Das Dekret des Präsidenten sieht nun vor, dass Menschen, die „illegal“ die Grenze übertreten, schneller abgeschoben werden können. Wer um Asyl bittet, soll fortan strenger überprüft werden und unter anderem „glaubwürdige Angst“ vor Verfolgung oder Folter in der Heimat haben müssen. Betroffenen wird dann zwar Schutz gewährt, aber nicht unter denselben Standards wie anderen Asylsuchenden. Wer hingegen regulär vorstellig wird, also zum Beispiel über eine eigens dafür eingerichtete App von außerhalb der USA aus einen Termin beantragt, soll eine faire Chance bekommen – so stellt es zumindest die Regierung dar.

Biden wirft Trump Zynismus vor

Biden beschuldigte Ex-Präsident Donald Trump, der ihn bei der Präsidentenwahl im November schlagen will, eine dringend notwendige Gesetzgebung im Kongress zu torpedieren, um im Wahlkampf einen Vorteil daraus zu schlagen. „Das ist ein äußerst zynischer politischer Schachzug und lässt das amerikanische Volk im Stich, das von uns nicht erwartet, dass wir die Grenze als Waffe einsetzen, sondern, dass wir sie reparieren“, sagte Biden. Er hätte eine überparteiliche Zusammenarbeit bevorzugt, um die zuständigen Behörden mithilfe entsprechender Gesetze personell und finanziell besser auszustatten. „Aber die Republikaner haben mir keine andere Wahl gelassen.“

Ausnahmen von Bidens Dekret sollen etwa für unbegleitete Kinder, ernsthaft kranke Menschen und Opfer von Menschenhandel gelten. Alle anderen sollen entweder nach Mexiko oder in die jeweiligen Herkunftsländer zurückgeführt werden. Zuvor war es den meisten Asylsuchenden gemeinhin erlaubt gewesen, sich bis zu einer richterlichen Entscheidung – die wegen überlasteter Behörden oft Jahre auf sich warten lässt – im Land aufzuhalten.

Zweifel an Umsetzbarkeit und Kritik

Weil die neu gesetzte Schwelle überschritten ist, traten die Maßnahmen direkt um Mitternacht in Kraft. Allerdings blieben etliche Fragen zur Umsetzbarkeit des Dekrets offen. So verlassen sich die USA bei den Abschiebungen etwa auf Mexiko. Es gibt Zweifel daran, ob das aktuell bewilligte Geld für die zusätzliche Arbeit des Grenzschutzes ausreicht – weitere Hilfen vom Bund müsste der Kongress freigeben. Und der juristische Boden könnte wackelig sein: Die Bürgerrechtsorganisation ACLU hat bereits angekündigt, Klage einzureichen.

Der Weg über Mexiko wird von vielen Menschen gewählt, die vor Armut, Gewalt und politischen Krisen in ihrer Heimat flüchten und auf ein besseres Leben in den USA hoffen. Nach Angaben der Internationalen Organisation für Migration der Vereinten Nationen (IOM) ist es tödlichste Landmigrationsroute der Welt. Jährlich sterben demnach Hunderte auf dem strapaziösen und gefährlichen Weg nach Norden, etwa an Wassermangel und Hitzeschlägen. Die Dunkelziffer ist deutlich höher.

Tödliche Route

Am vergangenen Wochenende hatten Grenzschutzbeamte auf mehrere Notfälle reagieren müssen, teilte die US-Grenzschutzbehörde am Montagabend (Ortszeit) mit. Dabei habe es auch vier Todesfälle in Folge von Hitzeschlägen und Dehydrierung gegeben. Die Behörde berichtet im Umkreis der texanischen Stadt El Paso wegen der hohen Temperaturen von vermehrten Verletzungen und Todesfällen bei Menschen, die über Mexiko in die USA fliehen.

Kritik erntete Biden auch aus den Reihen seiner eigenen Partei. Die demokratische Abgeordnete Pramila Jayapal sprach von einem „gefährlichen Schritt in die falsche Richtung“. Das Recht, Asyl zu beantragen, sei in den US-Gesetzen und den internationalen Vertragsverpflichtungen des Landes verankert.

Die Vereinten Nationen betonten ebenfalls das Menschenrecht auf Asyl. „Jede Person, die angibt, eine begründete Angst vor Verfolgung in ihrem Herkunftsland zu haben, sollte Zugang zu sicherem Territorium haben und diesen Anspruch prüfen lassen, bevor sie abgeschoben oder ausgewiesen wird“, sagte UN-Sprecherin Florencia Soto Nino in New York.

Das UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR zeigte sich in einer Mitteilung „zutiefst besorgt“ über das Dekret und forderte die USA auf, die neuen Regeln, „die das Grundrecht auf Asyl untergraben, zu überdenken“. Dem UNHCR sei bewusst, dass die hohe Zahl an Migranten eine Herausforderung für die USA darstellten. „Wir setzen uns weiterhin dafür ein, die USA bei dringend benötigten umfassenden Reformbemühungen zu unterstützen, einschließlich der Verbesserung der Fairness, Qualität und Effizienz ihres Grenzschutz- und Asylsystems.“

Migration als politisches Dauerstreitthema

Der republikanische Sprecher des Repräsentantenhauses, Mike Johnson, bezeichnete das Dekret als „politischen Stunt“ im Wahljahr. Es sehe weder neues Geld für den Grenzschutz vor noch Abschiebungen jener Menschen, die sich schon „illegal“ in den USA aufhalten.

Über eine Reform der Migrationsgesetze wird in den USA seit Langem gestritten, im Präsidentschaftswahlkampf spielt das Reizthema aber eine besonders große Rolle. Bei seiner Ansprache am Dienstag versuchte Biden, sich von der vergleichsweise aggressiven Rhetorik seines Konkurrenten Trump abzuheben, der Migration in die USA etwa als „Invasion“ bezeichnet. „Ich werde Einwanderer niemals dämonisieren“, betonte Biden. „Ich werde niemals sagen, dass sie das Blut eines Landes vergiften.“ (dpa/mig 6)

 

 

 

„Nie wieder Krieg!“

 

Zu mehr Einsatz für den Weltfrieden mahnt eindringlich Papst Franziskus. In einer Botschaft anlässlich des 80. Jahrestages der Landung der Alliierten in der Normandie erinnert er an die Schrecken des Zweiten Weltkrieges. Heute mangele es an Entschlossenheit, einen „neuen offenen Weltkonflikt“ abzuwenden, denn die Menschheit habe „ein kurzes Gedächtnis“. Anne Preckel – Vatikanstadt

 

Die Landung der Alliierten in der Normandie vor 80 Jahren erinnere an die Schrecken des Weltkrieges, „in dem so viele Männer, Frauen und Kinder gelitten haben, so viele Familien zerrissen wurden und so viel Zerstörung angerichtet wurde“, so der Papst in dem auf Französisch verfassten Schreiben, das der Vatikan am Donnerstagnachmittag veröffentlichte. „Nie wieder Krieg!“, erneuert Franziskus darin den Appell des heiligen Paul VI. von 1965 und stellt einen Bezug zur aktuellen Weltlage her.

„Nie wieder Krieg, niemals mehr Krieg! Es ist der Friede, der Friede, der die Geschicke der Völker und der ganzen Menschheit leiten muss! - Papst Paul VI. am 4.10.1965, UN-Vollversammlung, New York“

Ein Weckruf: Erinnern und Begreifen

„Wenn die Erinnerung an die Fehler der Vergangenheit jahrzehntelang die feste Entschlossenheit gestützt hat, alles zu tun, um den Ausbruch eines neuen offenen Weltkonflikts zu verhindern, stelle ich mit Bedauern fest, dass dies heute nicht mehr der Fall ist und dass die Menschen ein kurzes Gedächtnis haben", so Franziskus' Urteil. „Möge dieses Gedenken uns helfen, es wiederzuerlangen!“, appelliert der Papst.

Langsames Gewöhnen an das Grauen

Franziskus sieht in der Welt eine gefährliche Gewöhnung an den Krieg im Gange. Es sei „besorgniserregend, dass die Hypothese eines allgemeinen Konflikts manchmal wieder ernsthaft in Erwägung gezogen wird, dass sich die Völker langsam an diese unannehmbare Möglichkeit gewöhnen“. Die Völker wollten hingegen Frieden, hält er dem entgegen: „Sie wollen Bedingungen der Stabilität, der Sicherheit und des Wohlstands, in denen jeder friedlich seine Aufgabe und sein Schicksal erfüllen kann. Diese edle Ordnung der Dinge aus ideologischen, nationalistischen und wirtschaftlichen Ambitionen zu zerstören, ist ein schwerer Fehler vor den Menschen und vor der Geschichte, eine Sünde vor Gott.“

„Nie wieder Krieg! (...) Die Völker wollen Frieden, sie wollen Bedingungen der Stabilität, der Sicherheit und des Wohlstands, in denen jeder friedlich seine Aufgabe und sein Schicksal erfüllen kann. - Papst Franziskus, 5.6.2024“

Gebet für Bekehrung zum Frieden

Der Papst ruft in seinem Schreiben zum Gebet für die Kriegstreiber, die Friedensstifter und die Kriegsopfer auf.

„Möge Gott ihre Herzen erleuchten, möge er ihnen die Reihe der Unglücke vor Augen führen, die sie provozieren!“, fleht er mit Blick auf all jene, die Kriege beginnen, sie anheizen oder von ihnen profitieren. „Frieden zu wollen ist keine Feigheit, im Gegenteil, es erfordert viel Mut, den Mut, etwas aufgeben zu können“, würdigt er alle Friedensstifter in der Welt. „Mögen sie sich der unerbittlichen und hartnäckigen Logik der Konfrontation widersetzen und friedliche Wege der Begegnung und des Dialogs eröffnen.“ Mit Blick auf die Opfer aller Kriege betet er: „Möge Gott all jene zu sich nehmen, die in diesen schrecklichen Konflikten gestorben sind, und möge er all jenen zu Hilfe kommen, die heute leiden.“

Landung der Alliierten am 6. Juni 1944

Mit Landung der Alliierten in der Normandie hatte am 6. Juni 1944 die Befreiung Frankreichs und Europas begonnen. Der Ansturm auf die „Festung Europa“, wie die Nationalsozialisten ihr Einflussgebiet nannten, sollte zum militärischen Zusammenbruch Deutschlands führen.

Anlässlich des Jahrestages richtete der Papst seinen Brief an den französischen Bischof von Bayeux und Lisieux, Jacques Habert, Gastgeber einer Gedenkveranstaltung zum 80. Jahrestag der Landung der alliierten Streitkräfte in der Normandie. Mit Blick auf die enorme kollektive militärische Anstrengung, die eine „Rückkehr der Freiheit“ bewirken sollte, erinnert der Papst in seinem Schreiben speziell an den hohen menschlichen Blutzoll an dieser Westfront und die unsäglichen Zerstörungen in Frankreich. (vn 5)

 

 

 

Alarm vor vernachlässigten Fluchtkrisen in Afrika

 

Wenn bekannte Konflikte die Schlagzeilen beherrschen, haben es andere Krisen schwer. Die Auswertung einer Hilfsorganisation zeigt eine besonders vernachlässigte Region. UN-Vertreter schlagen Alarm. Von Christina Peters

Mehr als 26 Millionen Menschen sind allein in West- und Zentralafrika und angrenzenden großen Konfliktstaaten auf der Flucht. Humanitäre Organisationen schlagen Alarm: Die wachsenden Krisen erhielten kaum politische und mediale Aufmerksamkeit und viel zu wenig Finanzierung, um die Not zu lindern. Der Großteil der Menschen sucht innerhalb der eigenen Landesgrenzen Schutz, bei der Verschlechterung der Lage und angesichts knapper Mittel könne sich das aber ändern, wenn den Menschen nicht mehr vor Ort geholfen werden könne, sagte der Regionaldirektor für West- und Zentralafrika des UN-Flüchtlingswerks (UNHCR), Abdouraouf Gnon Kondé, der Deutschen Presse-Agentur.

Die Hilfsorganisation Norwegian Refugee Council (NRC) veröffentlichte am Montag ihren jährlichen Bericht, in dem sie die weltweit zehn von Politik, Medien und Gebern am stärksten vernachlässigten Flucht- und Vertreibungskrisen ausmachte. Bis auf eine Ausnahme liegen alle in West- und Zentralafrika oder einem angrenzenden Staat. In den meisten der Länder war der humanitäre Finanzbedarf 2023 NRC zufolge nur höchstens zur Hälfte, oft deutlich weniger, gedeckt. Die Top Ten sind demnach Burkina Faso, Kamerun, die Demokratische Republik Kongo, Mali, der Niger, Honduras, der Südsudan, die Zentralafrikanische Republik, der Tschad und schließlich der Sudan.

Burkina Faso

In dem westafrikanischen Staat mit rund 23 Millionen Einwohnern sind nach UNHCR-Angaben mehr als zwei Millionen Menschen innerhalb des Landes auf der Flucht. Die meisten finden in anderen Dörfern und Städten Zuflucht, was zu enormem Druck auf die knappen Ressourcen führt. Bis zu zwei Millionen Menschen waren zudem nach Angaben von NRC in Orten gefangen, die unter der Blockade von Terrormilizen standen. Bislang spielt sich die Flüchtlingskrise größtenteils im Land ab, doch die Zahl der Burkinabé, die ins Ausland flohen, verdreifachte sich 2023 auf mehr als 148.000 Menschen.

Mali und Niger

Auch Burkina Fasos Nachbarstaaten werden von den Terrormilizen terrorisiert. Alle drei Staaten werden nach Putschen von Militärjuntas regiert. „Die politischen Herausforderungen, die die Geber oder Partner in einigen dieser Länder haben, führen manchmal dazu, dass die humanitäre Hilfe wegen des verfassungswidrigen Charakters des Regimes ausgesetzt wird“, sagt UNHCR-Regionaldirektor Kondé. „Wir sollten die politischen Gespräche und den Dialog trennen und dafür sorgen, dass die Zivilbevölkerung nicht vergessen und nicht allein gelassen wird.“ In Mali zählt das UNHCR zuletzt rund 350.000 aktuell Vertriebene im Land, rund 93.000 Flüchtlinge aus anderen Ländern sowie mehr als 800.000 Malier, die Hilfe bei der Rückkehr benötigen. Im Niger suchen mehr als 400.000 Einwohner sowie mehr als 400.000 Menschen aus anderen Ländern Zuflucht.

Info & Download: Der NRC-Bericht "The world’s most neglected displacement crises 2023" kann kostenfrei gelesen werden.

Um den Download-Link zu sehen, loggen Sie sich bitte über Steady ein. Falls Sie MiGAZIN noch nicht abonniert haben, können Sie sich hier anmelden.

Kamerun

Der zentralafrikanische Küstenstaat zählt nach UNHCR-Angaben insgesamt mehr als 1,6 Millionen Menschen, die weiter im Land auf der Flucht sind oder versuchen, in ihre Heimat zurückzukehren. Dazu kommen fast 500.000 Flüchtlinge aus den Nachbarländern. Im Kamerun schwelt seit sieben Jahren ein gewalttätiger Konflikt zwischen dem von französischsprachigen Eliten dominierten Zentralstaat und Separatisten in den englischsprachigen Regionen im Westen an der Grenze zu Nigeria. Dort grenzt das Land auch an den Tschadsee, wo ein durch Klimaveränderungen angeheizter Konflikt mit Terrormilizen wie der nigerianischen Boko Haram herrscht.

Zentralafrikanische Republik

In dem Land mit mehr als fünf Millionen Einwohnern sind nach Angaben des UNHCR mehr als 500.000 Menschen auf der Flucht, während weitere 500.000 ehemalige Vertriebene Hilfe bei der Rückkehr benötigen. Rund 70.000 Flüchtlinge kamen aus benachbarten Ländern. Das trotz Diamanten und Gold verarmte Land kommt seit einer Rebellion 2013 nicht zur Ruhe, es kommt immer wieder zu Übergriffen durch bewaffnete Gruppen ebenso wie zu Verbrechen, die russischen Söldnern vorgeworfen werden. „Die chronische Vertreibung beeinträchtigte den sozialen Zusammenhalt in Gemeinschaften und behinderte die Möglichkeit des Wiederaufbaus des Landes“, warnen die NRC-Autoren.

Demokratische Republik Kongo

Der Osten der Demokratischen Republik Kongo gilt als eine der gefährlichsten Regionen der Welt, seit einem Vierteljahrhundert begehen Dutzende bewaffnete Gruppen hier immer wieder Anschläge. Vielen von ihnen geht es um die Kontrolle strategisch wichtiger Bodenschätze wie Coltan, Kobalt, Gold und Diamanten. Zuletzt eskalierte der Konflikt, mehr als 1,6 Millionen Menschen mussten laut NRC in anderthalb Jahren in den Provinzen Nord-Kivu und Ituri fliehen. Nach UNHCR-Angaben waren im April 7,2 Millionen Menschen im Land als Vertriebene auf der Flucht sowie eine weitere Million im Ausland. Zusätzlich beherbergt das Land mehr als 500.000 Flüchtlinge aus anderen Staaten.

Tschad und Sudan

Der Ausbruch eines Quasi-Kriegs zwischen der Armee und dem mächtigen Paramilitär im Sudan im April vergangenen Jahres stürzte das Land am östlichen Rand der Sahelzone in eine humanitäre Katastrophe. Die UN bezeichnen den Sudan mittlerweile als weltweit größte Vertreibungskrise. Ein Jahr nach dem Ausbruch waren nach UNHCR-Angaben fast neun Millionen Menschen auf der Flucht, darunter 6,8 Millionen im Land und 1,9 Millionen Menschen, die ins benachbarte Ausland geflohen waren. Mehr als 600.000 von ihnen sind im benachbarten Tschad untergekommen, wo bereits zuvor Hunderttausende Sudanesen teils seit 2003 Zuflucht gesucht hatten. Der Tschad beherbergt zudem Flüchtlinge aus anderen Nachbarländern sowie rund 200.000 eigene Binnenvertriebene. (dpa/mig 5)

 

 

 

Große Mehrheit für Einführung eines verpflichtenden Gesellschaftsdienstes

 

Hamburg – Aktuell wird in Deutschland über die Wiedereinführung der Wehrpflicht diskutiert. Darüber hinaus gibt es Überlegungen zu einem verpflichtenden Gesellschaftsdienst im zivilen oder militärischen Bereich. Die Einführung eines solchen Pflichtdienstes befürworten nach einer Studie des Markt- und Meinungsforschungsinstituts Ipsos knapp drei Viertel (73 %) der Deutschen. Männer (77 %) sprechen sich häufiger dafür aus als Frauen (69 %), bei den jüngeren Befragten (18-25 Jahre) ist der Anteil der Befürworter mit 66 Prozent am geringsten.

Die große Mehrheit der Befürworter (79 %) ist dafür, dass dieser Dienst geschlechtsunabhängig verpflichtend sein sollte. Etwa die Hälfte der Befragten (49 %) versteht die Pflicht nur für junge Erwachsene zwischen 18 und 25 Jahren, knapp jeder Dritte (30 %) sieht alle Erwachsenen ab 18 Jahren in der Pflicht.

Top 3-Bereiche für Pflichtdienst: Pflege, Obdachlose, Katastrophenschutz

An der Spitze der von den Befragten als sinnvoll erachteten Gesellschaftsdienste stehen die Arbeit in Pflegeeinrichtungen (71 %) und Krankenhäusern (66 %), gefolgt von Obdachlosenhilfe (59 %), Katastrophenschutz und Rettungsdienst (je 58 %). Ein Engagement in religiösen Einrichtungen hält nur jeder Fünfte (20 %) für sinnvoll – das Schlusslicht von insgesamt 16 abgefragten Bereichen.

Militärdienst von jungen Männern bevorzugt

Dazwischen bewegt sich der Dienst an der Waffe: Knapp vier von zehn (38 %) Befragten halten einen verpflichtenden Militärdienst für sinnvoll. Männer (44 %) befürworten dies häufiger als Frauen (32 %), junge Befragte im Alter von 18 bis 25 Jahren stimmen ebenfalls überdurchschnittlich oft zu (42 %).

Pro und Contra: Neues lernen vs. Eingriff in persönliche Freiheit

Persönliche und gesellschaftliche Gründe stehen im Vordergrund bei den Einstellungen der Menschen zum verpflichtenden Gesellschaftsdienst. Zwei Drittel (65 %) der Deutschen sehen den Pflichtdienst als gute Möglichkeit, um den eigenen Horizont zu erweitern und neue Fähigkeiten zu lernen. Jeweils sechs von zehn Befragten finden es positiv, dass das Zusammenkommen von Menschen gefördert (61 %) und etwas fürs eigene Land getan wird (60 %). Auch die Förderung der Persönlichkeitsentwicklung ist ein Aspekt, dem mehrheitlich zugestimmt wird (58 %).

Kritiker des Pflichtdienstes sind hörbar, aber in der Minderheit: Etwa jeder Dritte befürchtet eine Ausnutzung der Beteiligten als billige Arbeitskräfte (37 %), eine Erschwerung der Lebensplanung (36 %) und einen zu starken Eingriff in die persönliche Freiheit (34 %). Unter denjenigen, die einen gesellschaftlichen Pflichtdienst ablehnen, liegen diese Werte bis zu 30 Prozentpunkte höher.

Informationsdefizite abhängig vom Bildungsniveau

Nur jeder vierte Bundesbürger (25 %) fühlt sich sehr gut oder gut informiert über aktuelle Möglichkeiten für soziales Engagement in Deutschland. Fast jeder Dritte (30 %) hält sich für nicht informiert, 47 Prozent bezeichnen sich als „mäßig informiert“. Unter den jungen Befragten (18-25 Jahre) würde sich immerhin jeder Dritte (33 %) als gut und nur 17 Prozent als nicht informiert beschreiben.

Je höher das Bildungsniveau, desto bekannter sind die einzelnen sozialen Dienste. So ist beispielsweise nur 17 Prozent der Befragten mit einem niedrigen Bildungsniveau bekannt, dass man ein freiwilliges ökologisches Jahr machen kann, gegenüber 41 Prozent bei denjenigen mit einem höheren Bildungsniveau. Auch der Bundesfreiwilligendienst ist unter den Gutgebildeten (68 %) deutlich bekannter als bei den niedriger Gebildeten (37 %). Ipsos 4

 

 

 

 

Vertreibung aus dem Paradies

 

Nicht nur der Klimawandel ist eine existenzielle Gefahr für kleine Inselstaaten. Auch der Konflikt der Supermächte bedroht sie. Oliver Hasenkamp

 

Fast ein Fünftel aller Mitgliedstaaten der Vereinten Nationen gehört zur Gruppe der Small Island Developing States (SIDS). Vom 27. bis 30. Mai 2024 hat im karibischen Inselstaat Antigua und Barbuda die 4. Internationale Konferenz der Kleinen Inselentwicklungsstaaten (SIDS4) der UN stattgefunden. Die Konferenz hat ein Schlaglicht auf die Gruppe der insgesamt 39 unabhängigen Staaten geworfen, die immer noch zu wenig Aufmerksamkeit von der internationalen Gemeinschaft und auch in Deutschland bekommen. Das Beschlussdokument der SIDS4-Konferenz, die sogenannte Antigua & Barbuda Agenda for SIDS (ABAS) zeigt auf, dass die kommenden zehn Jahre entscheidend sein werden für die Entwicklung von SIDS. Es unterstreicht den dringenden Handlungsbedarf, um Inselstaaten eine nachhaltige Entwicklung zu ermöglichen – trotz der massiven Auswirkungen des Klimawandels und der Beeinträchtigungen, die sich aus ihrer Insellage und geringen Größe ergeben.

Auch hierzulande haben nehmen mittlerweile viele Menschen wahr, dass Inselstaaten zu den Ländern gehören, die am stärksten von den Folgen des Klimawandels betroffen sind. Immer noch dominiert dabei das wenig hilfreiche Bild vollständig versinkender Inseln. Zum einen trifft dieses nur auf niedrig gelegene Inseln zu, die jedoch durch Versalzung der Böden sowie durch Nahrungs- und Wassermangel bereits lange vor einem tatsächlichen Versinken im Meer unbewohnbar werden. An diesem Punkt sind viele überbevölkerte Atollinseln bereits heute. Zum anderen vernachlässigt es andere Folgen des Klimawandels wie zunehmende Stürme, Dürren und Wassermangel, Veränderungen der lebenswichtigen Fischgründe, Erosion und Landdegradation, die viele SIDS gleichermaßen treffen. Barbuda, die kleinere der beiden Inseln des SIDS4-Gastgeberlands, wurde etwa bereits im Jahr 2017 durch Hurrikan Irma so stark zerstört, dass die gesamte Bevölkerung vorübergehend umgesiedelt werden musste.

Mit dem Konzept der Klimaaußenpolitik hat Deutschland einen wichtigen Schritt getan, um die Zusammenarbeit mit SIDS beim Klimawandel weiter zu intensivieren. Positive Beispiele sind die deutsche Unterstützung der Commission of Small Island States on Climate Change and International Law oder die der von SIDS und der dortigen Zivilgesellschaft vorangetriebenen Initiative für ein Rechtsgutachten zum Klimawandel durch den Internationalen Gerichtshof. Wie Germanwatch zu Recht kritisiert, bleibt der Ansatz der Klimaaußenpolitik und vor allem die Finanzierung dieser Politik aber noch zu vage. Aus Sicht vieler SIDS steht die Klimaaußenpolitik zudem im Widerspruch zu den unzureichenden Klimaschutzmaßnahmen Deutschlands im eigenen Land. Für die Glaubwürdigkeit der deutschen Klimaaußenpolitik ist es entscheidend, dass sie sich an den tatsächlichen Bedürfnissen der vom Klimawandel betroffenen Menschen orientiert. Inselstaaten dürfen dabei nicht nur als schöne Kulisse für Regierungsbesuche dienen. Insbesondere benötigen sie dringend mehr finanzielle Mittel für die Anpassung an die bereits unvermeidlichen Folgen des Klimawandels.

Die mangelnde Finanzierung zeigt aber ein größeres Problem auf: Denn obwohl SIDS außenpolitisch seit Jahren an Bedeutung für Deutschland gewinnen, wirkt sich dies bisher kaum auf die entwicklungspolitischen Bemühungen Deutschlands aus. Um SIDS eine nachhaltige Entwicklung zu ermöglichen und den Anspruch der UN-Ziele für nachhaltige Entwicklung – niemanden zurückzulassen – ernst zu nehmen, ist es jedoch unerlässlich, über den Klimawandel hinauszublicken und die enge Verzahnung des Klimawandels mit anderen Entwicklungshindernissen kleiner Inselentwicklungsstaaten zu erkennen. Die Zusammenarbeit auf den Klimawandel zu begrenzen, wird den weitaus vielfältigeren Herausforderungen bei der nachhaltigen Entwicklung von Inselstaaten nicht gerecht. Sie ist gewissermaßen lediglich eine Fokussierung darauf, die ohne den Klimawandel schon schwierigen Ausgangsbedingungen nicht weiter zu verschlechtern.

Zu den besonderen Herausforderungen von SIDS gehören begrenzte natürliche und finanzielle Ressourcen, wirtschaftliche Nachteile aufgrund der Abgelegenheit von wichtigen Märkten, große Entfernungen und Transportwege auch innerhalb von Ländern sowie die Abhängigkeit von Importen. Einige Inselstaaten bestehen aus teils Hunderten kleinen, kaum bevölkerten (oder aufgrund der geringen Größe manchmal trotzdem überbevölkerten) Inseln, was die Versorgung der Menschen mit Bildung oder Gesundheitsversorgung erheblich erschwert und kostspielig macht. SIDS4 fordert daher die Weltgemeinschaft dazu auf, Inselstaaten besser in das globale Wirtschaftssystem zu integrieren, sie bei der Diversifizierung ihrer Wirtschaft zu unterstützen und stärker in Gesundheit und Bildung zu investieren.

Dabei wäre es allerdings ein Fehler, die Vielseitigkeit von Inselstaaten zu übersehen. Sie unterscheiden sich deutlich in ihrer Lage, Größe und den geografischen Gegebenheiten, weshalb one size fits all-Lösungen nicht funktionieren. Ein Land wie Papua-Neuguinea mit einer größeren Landmasse als Deutschland und einer Bevölkerung von weit über zehn Millionen Menschen, in dem sich just während der SIDS4-Konferenz ein verheerender Erdrutsch mit Tausenden Toten ereignete, steht vor ganz anderen Entwicklungsherausforderungen als niedrig gelegene Atollstaaten wie die Malediven oder Tuvalu.

Die SIDS4-Abschlusserklärung ABAS legt zwar einen starken Fokus darauf, privatwirtschaftliche Investitionen in SIDS attraktiver zu machen. Gerade für kleine Inseln wird dies aber auch in Zukunft ein hehres Ziel bleiben. Ohne staatliche Gelder wird es auch in Zukunft nicht gehen. Wenn Klimagerechtigkeit und die UN-Ziele für nachhaltige Entwicklung ernst genommen werden sollen, dann bleibt auch Deutschland in der Pflicht, mehr Mittel bereitzustellen, auch in Zeiten einer schwierigen Haushaltslage. Dies gilt umso mehr, wenn man sieht, wie hoch viele SIDS angesichts des Klimawandels und der Auswirkungen der Corona-Pandemie verschuldet sind. Auch wenn ABAS nicht direkt einen Schuldenerlass fordert, der teilweise unvermeidlich sein dürfte, nimmt der Umgang mit Schulden einen wichtigen Stellenwert im Abschlussdokument ein.

Die Entwicklungschancen von Inselstaaten werden nicht nur durch Verschuldung und Klimawandel, sondern auch durch eine zunehmende geopolitische Polarisierung bedroht. Im Pazifik spitzt sich seit Jahren ein Machtkampf zwischen den USA und China zu. Dieser birgt die Gefahr, dass die Menschen und ihre Bedürfnisse im schlimmsten Fall zu Spielbällen in einem extern kontrollierten Machtkampf werden. Auch deshalb betont ABAS zu Recht, dass SIDS „ownership“ über ihre Entwicklungschancen behalten müssen. Dafür braucht es sowohl Reformen der UN, um diese effektiver bei der Berücksichtigung der besonderen Gegebenheiten von SIDS zu machen, aber auch bessere Beteiligungsmöglichkeiten für SIDS innerhalb der UN.  Denn auch wenn Inselstaaten in der internationalen Politik heute deutlich sichtbarer sind als noch vor zehn Jahren, so sind sie doch in vielen multilateralen Prozessen mit ihren Themen weiter deutlich unterrepräsentiert.

Als kleine Staaten sind SIDS in besonderer Weise auf die internationale Zusammenarbeit angewiesen. In welchem Maße sich SIDS mittlerweile internationaler Institutionen und insbesondere des internationalen Rechts bedienen, zeigt einmal mehr das Rechtsgutachten des Internationalen Seegerichtshofs, das auf Initiative der Commission of Small Island States on Climate Change and International Law kurz vor der SIDS4-Konferenz veröffentlicht wurde.

Schon im Jahr 1994 schrieb der tongaische Autor Epeli Hau’ofa in seinem Aufsatz Our Sea of Islands, der bis heute in der pazifischen Inselregion ein wichtiges Dokument für die regionale Identität ist, dass es einen großen Unterschied macht, die Staaten der Region als verstreute Inseln in einem weiten Meer oder als „sea of islands“ zu betrachten. Die letztere Sichtweise betrachtet den Ozean weniger als etwas Trennendes, sondern vielmehr als verbindendes Element. Auch wenn die Landmasse vieler Inselstaaten tatsächlich relativ klein ist, so ist die Bezeichnung SIDS in sich durchaus problematisch. In den letzten Jahren ist deshalb die Bezeichnung Large Ocean States aufgekommen. Dieser Begriff betont die Potenziale von Inselstaaten und ihren zumeist großen Meereszonen. Kiribati beispielsweise besitzt zwar nur eine Landmasse, die kleiner ist als die Fläche der Stadt Berlin; es ist aber achtmal so groß wie Deutschland, wenn man die ausschließliche Meereswirtschaftszone des Landes berücksichtigt.

Ohne die vielfältigen Herausforderungen von Inselstaaten zu leugnen, sind solche positiven Narrative wichtig, um das Potenzial von Inselstaaten zu unterstreichen. Tatsächlich können Inseln Vorreiter in der internationalen Entwicklung sein, wie etwa Tokelau zeigt, das schon vor über zehn Jahren als erste Nation der Welt eine Versorgung mit 100 Prozent erneuerbarer Energie erreichte. IPG 4

 

 

 

Umfrage. Aufnahme von Geflüchteten: Lage hat sich in Kommunen entspannt

 

Die Lage bei der Aufnahme und Unterbringung von Geflüchteten hat sich in den Kommunen entspannt. Das geht aus einer bundesweiten Umfrage hervor. Vor Ort gibt es dennoch zahlreiche Herausforderungen: Viele Menschen bleiben in den Sammelunterkünften länger – unfreiwillig.

Für die viele Kommunen in Deutschland ist die Unterbringung von Asylbewerbern und Kriegsflüchtlingen aus der Ukraine weiterhin eine große Herausforderung. Bei einer Umfrage des Mediendienstes Integration und der Universität Hildesheim gaben knapp 23 Prozent der 773 teilnehmenden Kommunen an, sie seien bei der Unterbringung aktuell überlastet beziehungsweise im „Notfallmodus“. Rund 71 Prozent der Kommunen nannten die Lage „herausfordernd, aber (noch) machbar“. Mit knapp sechs Prozent ist der Anteil der Kommunen, die angaben, die Lage „ohne größere Schwierigkeiten“ bewältigen zu können, sehr gering.

Im Oktober 2023 hatten auf die gleiche Frage 40,4 Prozent der teilnehmenden Kommunen erklärt, sie befänden sich im „Notfallmodus“. Ein direkter Vergleich der Werte ist allerdings nicht möglich, da nicht alle Kommunen an beiden Befragungen teilnahmen. Eine Tendenz lässt sich gleichwohl aus den Ergebnissen ablesen. Denn laut Mediendienst bezeichneten 207 der 313 Kommunen, die an beiden Umfragen teilnahmen, die Situation als unverändert. In 74 der Kommunen, die an beiden Erhebungen teilnahmen, habe sich die Lage verbessert, in 32 Kommunen sei es schlechter geworden.

Viele bleiben unfreiwillig länger in Sammelunterkünften

Nach den Faktoren gefragt, die aktuell die Unterbringung vor Ort erschweren, nannten 86,7 Prozent der Kommunen, die sich an der aktuellen Umfrage beteiligten, den längeren Verbleib von Auszugsberechtigten in der staatlichen Unterbringung. Wenn sich Vermieter aufgrund der hohen Nachfrage in vielen Regionen Mieter aussuchen könnten, hätten Menschen mit brüchigem Deutsch und geringem Einkommen schlechte Karten, berichteten einzelne Vertreter von Kommunen und Verbänden.

Rund 79 Prozent der Kommunen, die zwischen dem 20. April und dem 10. Mai an der Umfrage teilnahmen, nannten den Angaben zufolge einen Mangel an verfügbaren Gebäuden als erschwerenden Faktor. Aus 68 Kommunen hieß es, der Mangel an verfügbaren Grundstücken sei ein Problem. Fast genauso häufig (66,9 Prozent) wurde eine nicht ausreichende Finanzierung durch das Land als Antwortvariante gewählt. Fehlende Akzeptanz oder Widerstände in der Bevölkerung benannten 53,2 Prozent als Belastungsfaktor.

Auf Sporthallen greifen den Angaben zufolge aktuell knapp sieben Prozent der befragten Kommunen zurück. 66 Prozent von ihnen nutzen kommunale Wohnungen zur Unterbringung. In rund 80 Prozent der Kommunen, die an der Umfrage teilnahmen, werden Schutzsuchende in privat angemieteten Wohnungen untergebracht. Knapp 41 Prozent der befragten Kommunen nutzen demnach eigene Gebäude oder Modulbauten als Sammelunterkünfte. Etwa jede vierte Kommune gab an, Container langfristig zu nutzen. Etwas mehr als jede fünfte Kommune greift demnach auf Container als Unterbringungsform für die Notaufnahme zurück. In 2,2 Prozent der befragten Kommunen werden auch Zelte genutzt.

Zuletzt kamen etwas weniger neue Asylbewerber

Jenseits der Unterbringung sehen die Kommunen laut Umfrage die größte Überlastung bei den Ausländerbehörden. Auch die Kinderbetreuung wird als Problemfeld benannt.

Die Zahl der Asylsuchenden war in den vergangenen Monaten leicht zurückgegangen. In den ersten vier Monaten des Jahres 2023 stellten laut Bundesamt für Migration und Flüchtlinge 101.981 Menschen in Deutschland erstmals einen Antrag auf Schutz. Von Anfang Januar bis Ende April dieses Jahres zählte das Amt 84.984 Asylerstanträge – ein Rückgang von 16,7 Prozent gegenüber dem Vorjahreszeitraum.

Mitte Oktober 2023 hatte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) Kontrollen an den Grenzen zu Polen, Tschechien und der Schweiz angeordnet. Kriegsflüchtlinge aus der Ukraine müssen keinen Asylantrag stellen. Sie werden in der EU über die sogenannte Massenzustrom-Richtlinie aufgenommen. Von den 4,2 Millionen ukrainischen Flüchtlingen in der Europäischen Union sind 1,2 Millionen nach Deutschland geflohen. (dpa/mig 4)

 

 

 

Bonner Klimakonferenz: 72 Millionen leiden unter Nahrungsnot

 

Die Zahl der weltweit hungernden Kinder wegen der Klimakrise hat sich in den vergangenen fünf Jahren mehr als verdoppelt. Darauf weist die Hilfsorganisation „Save the Children“ anlässlich der derzeitigen Klimakonferenz in Bonn hin.

 

Laut der Analyse von „Save the Children“ ist allein im Jahr 2023 die Zahl der leidenden Kinder um 20 Prozent gestiegen. Es handele sich um Kinder, die in einem kritischen Ausmaß an Hunger leiden, präzisiert das Kinderhilfswerk. Die Analyse wurde bewusst jetzt veröffentlicht, denn Regierungen treffen sich derzeit zu einem historischen „Dialog mit Experten“ über die unverhältnismäßigen Auswirkungen des Klimawandels auf Kinder auf der Klimakonferenz der Vereinten Nationen, die an diesem Dienstag in Bonn im Vorfeld der UN-Klimakonferenz COP29 (11.-22. November in Aserbaidschan) beginnt.

Die Analyse von „Save the Children“ ergab, dass mehr als 33 Millionen Kinder und 39 Millionen Erwachsene unter Bedingungen leben, die als Phase 3 der Hungerkrise gemäß der Definition des IPCC gelten. Der Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) (Zu Deutsch: Zwischenstaatlicher Ausschuss für Klimaänderungen) wird oft als Weltklimarat bezeichnet und wurde im November 1988 vom Umweltprogramm der Vereinten Nationen (UNEP) und der Weltorganisation für Meteorologie (WMO) als zwischenstaatliche Institution ins Leben gerufen, um für politische Entscheidungsträger den Stand der wissenschaftlichen Forschung zum Klimawandel zusammenzufassen mit dem Ziel, Grundlagen für wissenschaftsbasierte Entscheidungen zu bieten.

In 18 Ländern, in denen extreme Wetterereignisse wie Dürren, Wirbelstürme oder Überschwemmungen auftreten, war die Klimakrise die Hauptursache für Ernährungsunsicherheit. Das bedeutet, dass sich in Ländern, in denen extreme Wetterereignisse die Hauptursache für Hunger waren, die Zahl der Menschen, die von der IPC-Phase 3 und darüber hinaus betroffen sind, mehr als verdoppelt hat, und zwar von 29 Millionen im Jahr 2018 – darunter 13 Millionen Kinder – auf 72 Millionen im Jahr 2023. (sir 4)

 

 

 

Debatte entfacht. Entsetzen und Trauer über Polizisten-Tod in Mannheim

 

Trauer, Bestürzung, Wut – der Tod eines Polizisten nach einer Messerattacke in Mannheim hat heftige Reaktionen zur Folge. Das Motiv des Täters ist weiter unbekannt. Gleichwohl gibt es erste Forderungen.

Der Tod eines jungen Polizisten nach einer Messerattacke in Mannheim hat bundesweit Bestürzung ausgelöst. Zugleich wird über Konsequenzen des Angriffs vom Freitag debattiert. Für das Rathaus der Stadt hat Oberbürgermeister Christian Specht (CDU) Trauerbeflaggung ab diesem Montag angeordnet.

Bei dem Angriff hatte ein Mann am Freitagvormittag auf dem Marktplatz in der Innenstadt bei der Veranstaltung der islamfeindlichen und vom Bayerischen Verfassungsschutz beobachteten Bewegung Pax Europa (BPE) sechs Männer verletzt, darunter den Polizisten. Der 29-Jährige erlag am Sonntagnachmittag seinen Verletzungen. Der Angreifer habe dem Beamten mehrmals in den Kopfbereich gestochen.

Bundesweit trauerten Polizeibehörden, Landeskriminalämter und das Bundeskriminalamt auf der Plattform X unter dem Hashtag #einervonuns um den gestorbenen Kollegen. Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier erklärte: „Ich bin tief erschüttert über den Tod des Polizisten, der in Mannheim mutig eingriff, um Menschenleben zu schützen.“ Steinmeier zeigte sich zugleich besorgt über eine „Verrohung der politischen Auseinandersetzung und der wachsenden Gewaltbereitschaft in unserem Land.“ „So darf es nicht weitergehen. Gewalt gefährdet, was unsere Demokratie stark gemacht hat“, mahnte der Bundespräsident.

Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) schrieb auf X: „Sein Einsatz für die Sicherheit von uns allen verdient allerhöchste Anerkennung. Ich bin in diesen bitteren Stunden in Gedanken bei seiner Familie und bei allen, die um ihn trauern.“ CDU-Chef Friedrich Merz betonte auf X: „Aus dem Messerangriff am Freitag ist heute heimtückischer Mord geworden. Meine Gedanken sind bei der Familie. Es ist einfach furchtbar. Dieser Mord muss harte Konsequenzen haben, auch für diejenigen, die mit dem Täter sympathisieren.“

Motiv des Täters unklar – Warnung vor „Islamismus“

Der für politische Delikte zuständige Staatsschutzabteilung der Staatsanwaltschaft Karlsruhe hatte nach der Attacke die Ermittlungen übernommen. Das Motiv des 25-jährigen Täters ist aber noch immer unklar. Bisher war der in Afghanistan geborene Mann, der 2014 als Jugendlicher nach Deutschland kam, nicht vernehmungsfähig – er war in den Minuten nach der Attacke ebenfalls verletzt worden.

Zahlreiche Politiker verbanden ihre Stellungnahmen dennoch mit Warnungen vor dem Islamismus. „Der Täter muss mit maximaler Härte des Gesetzes für seine mörderische Tat bestraft werden. Das Motiv wird weiter untersucht, aber klar ist: Unsere Sicherheitsbehörden haben die islamistische Szene fest im Visier und verstärken diesen Kampf weiter“, schrieb Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) auf X. FDP-Chef Christian Lindner zeigte sich auf der Plattform „wütend, was in unserem Land passiert“. „Gegen den islamistischen Terrorismus müssen wir uns zur Wehr setzen. Die Sicherheitsbehörden werden wir dafür finanziell weiter stärken. Schluss mit falscher Toleranz“, mahnte der Bundesfinanzminister.

Kretschmann erschüttert „bis ins Mark“

In Baden-Württemberg zeigten sich Politiker ebenfalls schockiert über den Tod des jungen Polizisten. „Die Nachricht erschüttert mich bis ins Mark“, erklärte Ministerpräsident Winfried Kretschmann. „Uns allen führt diese fürchterliche Tat schmerzhaft vor Augen, welchem oft unkalkulierbaren Risiko Polizeibeamte tagtäglich ausgesetzt sind“, machte der Grünen-Politiker deutlich. Innenminister Thomas Strobl (CDU) sagte, der Tod mache „unendlich traurig“. „Dies sind Momente, in denen die Welt stillzustehen scheint.“ Die Realität sei: „Für die Polizistinnen und Polizisten kann potenziell jeder Einsatz gefährlich sein, mit unabsehbaren Folgen für ihre Gesundheit und ihr Leben.“

Baden-Württembergs Finanzminister Danyal Bayaz (Grüne) richtete aber auch den Blick auf die Gefahren des Islamismus. „Wenn sich der nahe liegende Verdacht bestätigen sollte, dass es sich tatsächlich um eine islamistische Tat handelt, dann wird es höchste Zeit für ehrliche Debatte über die Gefahren von Islamismus – ohne Naivität, ohne Scheuklappen, ohne doppelte Standards“, schrieb Bayaz auf X. Einer aufgeklärten Gesellschaft sei eine schonungslose Debatte zumutbar, „wenn sie niemanden unter Generalverdacht stellt, aber gleichzeitig die Dinge klar beim Namen nennt“, betonte der Grünen-Politiker. Die Grünen-Bundesvorsitzende Ricarda Lang sagte in der ARD-Sendung „Caren Miosga“: „Der Islamismus ist der Feind der freien Gesellschaft. Genau als solcher muss er auch behandelt werden“.

Mannheims Oberbürgermeister Christian Specht sagte nach Bekanntwerden des Todes des Polizisten: „Sein Tod zeigt, was Hass und Hetze anrichten können.“ Zugleich appellierte der CDU-Politiker an die Bürgerinnen und Bürger: „Ich bitte Sie alle: Lassen Sie uns angesichts der tragischen Entwicklung innehalten und gemeinsam daran arbeiten, unsere Stadtgesellschaft in all ihrer Vielfalt zu einen und jegliche Spaltung zu vermeiden!“

Der Vorsitzende des Zentralrats der Muslime, Aiman Mazyek, schrieb auf X: „Der Tod des Polizisten aus #Mannheim macht mich sehr traurig und fassungslos. Wer Polizisten tödlich angreift, greift uns alle an und wir stellen uns dem geschlossen entgegen. Meine Gedanken und Gebete sind jetzt bei seiner Familie. Der Täter muss hart bestraft werden.“ (dpa/mig 4)

 

 

 

Vatikan: Migrationspolitik entwickeln, die Werten Rechnung trägt

 

Kardinal Michael Czerny, der beim Vatikan unter anderem für Migranten und Flüchtlinge zuständig ist, hat diesen Montag bei einer Pressekonferenz die Botschaft von Papst Franziskus zum 110. Welttag der Migranten und Flüchtlinge vorgestellt. Der Präfekt des Dikasteriums für die ganzheitliche Entwicklung des Menschen ging im vatikanischen Pressesaal auch auf die bevorstehenden EU-Wahlen ein. Es wäre gut, wenn sich Europa seiner eigenen migratorischen Wurzeln erinnern würde, so Czerny.  Stefanie Stahlhofen – Vatikanstadt

 

„Es ist eine Herausforderung für die Europäer: Wie können sie eine Migrationspolitik für ihren Kontinent schaffen und unterstützen, die die Werte und Hoffnungen, die Größe dieses Kontinents widerspiegeln?", fragte Kardinal Michael Czerny. Mit Blick besonders auf fremdenfeindliche und rechtsextremistische Parteien und Einstellungen sagte der Ordensmann:    

„Es ist leicht zu sagen, und es wird oft gesagt: ,Migration ist eine weltweite Krise`. Das ist falsch, es ist dumm, aber es macht Angst. Stattdessen muss erkannt werden - und das ist auch ein zentraler Punkt der Papstbotschaft - dass diese Leute unsere Brüder und Schwestern sind. Man sollte das immer wiederholen: Sie als Brüder und Schwestern erkennen. Brüder und Schwestern sind keine globalen Probleme." 

„,Migration ist eine weltweite Krise`. Das ist falsch, es ist dumm, aber es macht Angst. Stattdessen muss erkannt werden - und das ist auch ein zentraler Punkt der Papstbotschaft - dass diese Leute unsere Brüder und Schwestern sind“

Hier im Audio: Pressekonferenz zur Papst-Botschaft anlässlich des katholischen Welttag für Migranten und Flüchtlinge - Migrationspolitik entwickeln, die Werten Rechnung trägt (Audio-Beitrag von Radio Vatikan)

Migranten oder Flüchtlinge verließen ihre Heimat nicht aus „Abenteuerlust", betonte der Kardinal, der auch aus eigener Erfahrung weiß, was es heißt, zu migrieren. Anstatt diejenigen, die auf der Flucht sind, abzulehnen und zu unterdrücken, sollten wir den Push- und Pull-Faktoren, die der erzwungenen Migration zugrunde liegen, Beachtung schenken, mahnte er. Wenn wir einem ähnlichen Druck ausgesetzt wären, würden auch wir fliehen, meinte Czerny. Wie Papst Franziskus erkläre, sei es falsch, „egoistisch Besitz von unserem gottgegebenen Fleckchen Erde zu ergreifen, das wir nur vorübergehend bewohnen." Flüchtlinge, Vertriebene, Opfer des Menschenhandels und viele Migranten würden auf eine harte Probe gestellt.

Der europäische Kontinent solle sich daher seiner Wurzeln und Werte erinnern und entsprechend handeln, lautete Czernys Appell: „Es wäre gut, wenn sich die Europäer ihrer eigenen migratorischen Wurzeln erinnern würden. Viele Leute in Europa sind selbst unterwegs gewesen. Und es ist wirklich schade, dass nach ein oder zwei Generationen Familien ihre eigenen migratorischen Wurzeln vergessen, und die Hilfe, die sie damals von anderen bekommen haben. Und nun haben wir die Chance, zu helfen", betonte der Jesuit Czerny. Er führte dazu konkret weiter aus: „Ich denke, wir leiden alle unter diese Lücke, die zwischen den europäischen Werten, die wir jüngst noch gefeiert haben, und der Migrationspolitik und den Diskursen dazu klafft. Das ist unser Problem."

„Wir leiden alle unter diese Lücke, die zwischen den europäischen Werten, die wir jüngst noch gefeiert haben, und der Migrationspolitik und den Diskursen dazu klafft“

Hilfe für Migranten und Flüchtlinge geht alle an

Bei der Pressekonferenz zur Vorstellung der Papst-Botschaft zum Welttag der Migranten und Flüchtlinge, den die katholische Kirche weltweit am 29. September begeht, war auch die  Generalsekretärin des Dachverbands der katholischen Ordensoberinnen UISG,  Patricia Murray IBVM. Die Ordensfrau betonte, dass bei der Aufnahme, Unterstützung und Integration von Migranten und Flüchtlingen jeder einzelne gefordert sei: 

„Wir können nicht warten, dass es von außen Lösungen gibt, sondern müssen selbst aktiv werden - sei es in Familien, Pfarreien, oder Vereinigungen. Wir müssen uns fragen: Was tun wir? Was können wir tun?“

„Es ist eine Frage, die uns als Bürger und als Mitglieder der katholischen Kirche angeht. Ich denke, wir können nicht warten, dass es von außen Lösungen gibt, sondern müssen selbst aktiv werden - sei es in Familien, Pfarreien, oder Vereinigungen. Wir müssen uns fragen: Was tun wir? Was können wir tun? Wie können wir einen Unterschied machen, wenn es um eine Willkommenskultur für unsere Brüder und Schwestern geht?"

„Nun ist es an uns, ein neues Statement für Inklusion, Akzeptanz und Integration zu setzen“

Wie Kardinal Czerny erinnerte auch Schwester Murray Europa an seine Werte und eigene Geschichte: „Es ist tiefster Teil unseres Europäischen Erbes, dass wir als Menschen, die selbst Migranten waren, nun Dankbarkeit zeigen dafür, dass wir unter schwierigen Bedingungen Willkommen geheißen wurden, auch wenn es zunächst vielleicht ablehnende Reaktionen gab. Nun ist es an uns, ein neues Statement für Inklusion, Akzeptanz und Integration zu setzen."  

Sie rief ebenfalls dazu auf, schon frühzeitig in Familie und Gesellschaft gegen Vorurteile vorzugehen und für Multikulturalität und Interkulturalität zu werben, sowie für die Vision einer Welt, in der jeder seinen Platz habe. Es gelte, wegzukommen vom Gedanken, dass andere einem etwas nehmen wollten, dahin, dass andere eine Bereicherung seien. 

Der Vatikan stellte diesen Montag bei einer Pressekonferenz die Botschaft von Papst Franziskus zum 110. katholischen Welttag des Migranten und Flüchtlings am 29. September 2024 vor. Sie trägt den Titel: „Gott ist mit seinem Volk unterwegs“.  (vn 3)

 

 

 

Zu kompliziert. Migrationsforscher dämpfen Erwartungen an neue „Chancenkarte“

 

Die Bundesregierung will den Zuzug ausländischer Arbeitskräfte mit einer neuen Chancenkarte erleichtern. Experten halten die Regelung aber für sehr kompliziert und rechnen mit einer begrenzten Wirkung.

Migrationsforscher sehen die neue Chancenkarte für ausländische Arbeitskräfte in Deutschland skeptisch. Herbert Brücker vom Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) rechnet mit einer begrenzten Wirkung. Der Migrationsforscher Hans Vorländer von der TU Dresden hält die Chancenkarte für ein nützliches Instrument, bemängelt allerdings ein zu kompliziertes Punktesystem.

„Die Wirkung der Chancenkarte wird sehr überschaubar sein“, sagte der IAB-Experte Brücker der Düsseldorfer „Rheinischen Post“ (Samstag). Anders als beim Punktesystem etwa in Kanada, das einen Weg ins dauerhafte Aufenthaltsrecht ebnet, gehe es bei der deutschen Chancenkarte lediglich um die Möglichkeit der Arbeitssuche.

Kompliziertes Verfahren mit „Haken“

Es gebe ein relativ kompliziertes Verfahren, um überhaupt die Chance zu bekommen, sich in Deutschland einen Job suchen zu können, kritisierte Brücker. Viele würden sich ohnehin eine Arbeitsstelle eher per Videokonferenz oder ein Touristenvisum suchen. Erfolgversprechender sei daher die im Gesetz vorgesehene Erfahrungssäule.

„Wenn jemand eine abgeschlossene Berufsausbildung und Berufserfahrung im Ausland und ein Jobangebot mit einem Mindesteinkommen in Deutschland hat, kann er hier arbeiten, ohne dass die Gleichwertigkeit der Abschlüsse geprüft wird“, erläuterte Brücker. Dies sei der effektivere Weg als die Chancenkarte. Als „Haken“ bezeichnete der Forscher die aus seiner Sicht hoch angesetzte Einkommensschwelle. Diese werde nur für einen kleinen Teil funktionieren.

Kompliziertes Punktesystem ohne „Mut“

Der Migrationsforscher Vorländer von der TU Dresden hält die Chancenkarte für ein nützliches Instrument, bemängelt allerdings ein zu kompliziertes Punktesystem. Die Änderungen vereinfachten den Zugang zum deutschen Arbeitsmarkt und öffneten ihn für neue Zielgruppen, sagte der Vorsitzende des Sachverständigenrats für Migration und Integration (SVR) der „Rheinischen Post“.

„Das ist wichtig, denn wir brauchen inzwischen nicht nur Fachkräfte – wir brauchen ganz allgemein Arbeitskräfte.“ Ausländische Bewerber müssten nun nicht mehr nachweisen, dass ihre im Ausland erworbene Qualifikation gleichwertig zu deutschen Standards sei. Doch hätte sich der SVR beim Punktesystem der Chancenkarte „mehr Mut zur Vereinfachung“ gewünscht. „Das deutsche Migrationsrecht ist mittlerweile so kompliziert, dass nur noch wenige es verstehen.“

Chancenkarte gilt ab 1. Juni 2024

FDP-Fraktionschef Christian Dürr sieht die neue Chancenkarte als Erleichterung für die Erwerbsmigration. Durch die klaren Punktekriterien stelle man sicher, dass nur Menschen einwandern könnten, die eine reale Chance auf dem Arbeitsmarkt haben, sagte Dürr der Zeitung. „In einem nächsten Schritt müssen wir dafür sorgen, dass die langwierigen Visa-Verfahren in den Auslandsvertretungen beschleunigt werden“.

Ab dem 1. Juni 2024 gilt die Chancenkarte. Arbeitssuchende aus Nicht-EU-Ländern können mit ihr für ein Jahr zur Jobsuche nach Deutschland kommen. Voraussetzungen sind ein ausländischer Berufs- oder Hochschulabschluss sowie Sprachkenntnisse in Deutsch oder Englisch. Je nach Sprachkenntnis, Berufserfahrung oder Alter sammeln Interessierte Punkte, die sie zum Erhalt der Chancenkarte berechtigen. Parallel zur Jobsuche ist Arbeit von bis zu 20 Wochenstunden erlaubt. (epd/mig 3)