Webgiornale 1-15 giugno 2023

Inhaltsverzeichnis

1.    Alluvione Emilia Romagna, il decreto: tutte le misure del governo  1

2.    La competizione strategica del futuro sarà “underwater”  1

3.    Il ruolo del G7 nella cooperazione allo sviluppo  1

4.    Prigozhin, Wagner e la possibilità di una “guerra di tutti contro tutti”  1

5.    Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina  1

6.    Elezioni europee: si vota dal 6 al 9 giugno 2024  1

7.    Ita Airways batte bandiera tedesca. Contratto alla firma: a Lufthansa il 40%    1

8.    Più che Ita, Lufthansa: i tedeschi con 300 milioni si prendono il 40% della società  1

9.    Lufthansa e ITA confermano accordo: incontro al MEF tra il Ministro Giorgetti, il CEO Spohr e il Presidente Turicchi 1

10. Visita dell’Ambasciatore Armando Varricchio a Monaco di Baviera, in occasione della “Transport Logistic Fair”  1

11. Riunito a Wolfsburg l’Intercomites Germania  1

12. Le ultime puntate di COSMO italiano, ex-radio Colonia  1

13. All’IIC di Amburgo film e documentari su alcuni dei più importanti designer italiani 1

14. Kempten. La festa del Primo Maggio  1

15. All’IIC Istituto Amburgo l’inaugurazione della mostra “Visioni dispotiche della città” di Cemolin il 15 giugno  1

16. Brevi di politica e cronaca tedesca  1

17. Bronzi del Benin, la restituzione divide la Germania  1

18. Germania, il ministro Habeck silura il braccio destro per nepotismo  1

19. Usa 2024: De Santis in campo, una cattiva notizia per Trump e Biden  1

20. La psicologa. Come superare la paura del giudizio degli altri 1

21. Preparazione e opzioni della controffensiva ucraina  1

22. Elezioni comunali: in 6 su 7 città capoluogo vince il centro destra  1

23. Il reshoring europeo come occasione d’investimento per la Cina  1

24. La via del riscatto  1

25. Nuove guerre  1

26. Assegno di inclusione e supporto per il lavoro negati agli italiani che rientrano  1

27. La meta  1

28. "L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli" in 42 sedi italiane all’estero  1

29. Tajani/ Eletti all’estero: La Marca (Pd) chiede più servizi e interventi per la carenza di personale nei consolati 1

30. Una questione da chiarire  1

31. Le origini abruzzesi di Ron DeSantis, in corsa per la Casa Bianca  1

32. Tra alluvione e crisi della politica  1

33. Difficile intesa sulle riforme. E’ necessario evitare sia le paure che le ipocrisie  1

34. Francesco Giacobbe (Pd): “Serve sforzo condiviso per gli italiani all’estero”  1

35. Gli eletti all’estero incontrano il ministro Tajani 1

36. Commissioni, la palla al piede del turismo  1

37. Un giorno da dimenticare  1

38. Assemblea parlamentare Nato, Carè (Pd): guerra in Ucraina e cybersicurezza  1

39. Carta d’identità elettronica più semplice e veloce  1

40. La consapevolezza  1

41. Lucani nel mondo: Approvati i Programmi 2023 e 2023/2025  1

42. Israele, Nicola Carè eletto Vicepresidente del Transatlantic Friends of Israel (TFI)  1

43. A Pratola Peligna la prima edizione del premio “Migranti d’Abruzzo”  1

44. Bergamaschi Bruxelles e Centro D.L.C.M.: Migrazioni, Mobilità e Turismo delle Radici 1

45. Tirocini in Ambasciata: il nuovo bando  1

46. La mostra “Da nord a sud”. Studi e contaminazioni degli artisti trentini 1

47. Gli italiani all’estero durante la pandemia: a Roma il documentario di Martina  1

48. Bologna la riunione della Consulta emiliano-romagnoli nel mondo  1

49. La XIV edizione del Premio Nazionale Pratola. La premiazione  1

 

 

1.    U-Ethikgremium wird wohl ein zahnloser Tiger 1

2.    Kliniken begrüßen Vorstoß. Ministerin Schulze will Fachkräfte aus Entwicklungsländern anwerben  1

3.    Nordkosovo: NATO-Soldaten durch serbische Demonstranten verletzt 1

4.    Durch Russland verbunden  1

5.    30 Jahre Solingen-Anschlag. Steinmeier: „Ich spreche von Rechtsextremismus. Von Rassismus. Von Menschenfeindlichkeit.“  1

6.    EU: Kurschus gegen zu hartes Asylrecht 1

7.    Leichtes Spiel 1

8.    Strompreiszone: Länderstreit könnte in Brüssel entschieden werden  1

9.    Fünf kostenfreie Online-Veranstaltungen für Menschen mit Krebs, Angehörige und Interessierte  1

10. EU-Parlament will ehemaligen Abgeordneten Pension kürzen  1

11. NRW-Regierungschef Wüst zum 30. Jahrestag des Brandanschlags von Solingen  1

12. „Moderne Sklaverei" wächst weltweit 1

13. Gericht: Rumänien muss gleichgeschlechtliche Partnerschaft anerkennen  1

14. CDU verbreitet „Fake-News“. Streit um Einbürgerungsreform   1

15. Mitgliedstaaten geeint: Unverkaufte Waren dürfen nicht vernichtet werden  1

16. Deutliche „Repräsentationslücken“. Studie: Anteil von Abgeordneten mit Migrationsbiografie steigt langsam   1

17. Ukraine erzürnt: Polen fordert Weltkrieg-Entschuldigung von Selenskyj 1

18. Erleichterungen und Verschärfungen. Bundesregierung einigt sich auf Reformgesetz zur Einbürgerung  1

19. Fragen und Antworten. Staatsangehörigkeitsrecht: Die Pass-Pläne der Koalition  1

20. Hilfswerke zum G7-Milliardenpaket gegen humanitäre Krisen  1

21. G7: Bischöfe fordern Abschaffung von Atomwaffen  1

22. Einseitiges Geschäft 1

23. Das Goethe-Institut bei der Eröffnung des Deutschen Pavillons in Venedig  1

24. Deutschlands Wirtschaftsmodell. It's a Match! 1

25. Solinger Anschlag. Aus Mercimek-Platz wird Mevlüde Genç-Platz  1

26. Afrika: Bischöfe appellieren vor G7-Gipfel für Schuldenerlass  1

27. EU-Wahlen 2024 werden zwischen dem 6. und 9. Juni stattfinden  1

28. Vatikan/Europarat: Kardinal Parolin erinnert an Ukraine-Krieg  1

29. Im Ruhestand gut versorgt. Viele Angestellte fürchten sich vor Altersarmut. 1

30. Erweiterungskommissar: 2023 ist Schlüsseljahr für EU-Erweiterung  1

31. Studie. Gegen Polizeigewalt haben Betroffene „kaum eine Chance“  1

32. Europarat in Reykjavik: Erhöhte Bedrohung durch Cyberangriffe  1

33. „Sozial selektiv“. Ehegattennachzug scheitert in über 13.000 Fällen an Sprachkenntnissen  1

 

 

Alluvione Emilia Romagna, il decreto: tutte le misure del governo

 

Il presidente del Consiglio Meloni annuncia uno "stanziamento di oltre 2 miliardi di euro". Tasse, bollette, esami di maturità: le novità

 

Alluvione in Emilia Romagna, ecco le misure del decreto per fronteggiare le conseguenze dell'emergenza maltempo di maggio 2023. Dalle tasse alle bollette, dalla cassa integrazione al fondo per le imprese: il provvedimento da 2 miliardi è stato approvato dal Consiglio dei ministri con, spiega il presidente del Consilio Giorgia Meloni, "i primi interventi che consideriamo urgenti". "Questo primo provvedimento complessivamente prevede uno stanziamento di oltre 2 miliardi di euro per le zone colpite dall'alluvione". "In passato, interventi di emergenza da 2 miliardi di euro non so se si erano visti...". "Nella situazione attuale trovare 2 miliardi di euro in qualche giorno non è una cosa facile. Penso vada dato atto a tutto il governo di essersi dedicato a questa emergenza con il massimo della concentrazione, della disponibilità e della operatività possibile". Un provvedimento, ha rimarcato la presidente del Consiglio, che offre "prime importanti risposte ai territori colpiti dall'alluvione in Emilia Romagna".

TASSE E MUTUI

"Sospensione dei termini relativi agli adempimenti e ai versamenti tributari e contributivi fino al 31 agosto, quindi, con ripresa dei pagamenti fino al 20 novembre" dice Meloni a proposito del decreto alluvioni. "Il decreto prevede, inoltre, il differimento per i comuni e le province del pagamento dei mutui nei confronti di Cassa depositi e prestiti". "Per quello che riguarda i mutui" dei privati "non c'è bisogno di una norma perché su questo fa fede il protocollo di intesa che già esiste tra governo e Abi per la sospensione del pagamento dei mutui in caso di eventi calamitosi".

STATO DI EMERGENZA

Il governo ha approvato "un'ordinanza di Protezione Civile che estende lo stato d'emergenza a tutti i comuni che sono stati colpiti dalla seconda ondata dell'alluvione e che non erano previsti nella prima, con riserva di estendere lo stato d'emergenza anche ai comuni colpiti nelle Marche e in Toscana, che però necessitano di un altro percorso".

BOLLETTE

"Sul tema delle utenze, è già stata deliberata la sospensione del pagamento da parte di Arera, ma c'è una norma che rafforza questa previsione".

BIGLIETTI MUSEI

"Il ministro della Cultura Sangiuliano prevede l'aumento temporaneo di un euro dei biglietti di ingresso ai musei. I proventi che arriveranno da questa misura serviranno a ripristinare i beni culturali interessati dall'alluvione".

RINVIO PROCESSI

"Prevediamo, per quello che concerne la giustizia, il rinvio dei processi civili e penali, quando una delle parti o l'avvocato difensore risiedano nelle zone colpite e la sospensione fino al 31 agosto per quello che riguarda i giudizi amministrativi, contabili, militari e tributari".

ESAMI DI MATURITA'

Il decreto legge approvato dal governo prevede "un fondo da 20 milioni di euro per la continuità didattica". "Abbiamo dato facoltà al ministro dell'Istruzione, con ordinanza, di lavorare con una certa flessibilità per l'adempimento degli esami di maturità in base alle necessità degli istituti coinvolti. Anche il ministro dell'Università prevede la possibilità di didattica ed esami a distanza". "Stiamo lavorando - ha proseguito Meloni - per l'acquisto di computer da mettere a disposizione di quegli studenti che dovessero operare con didattica a distanza e che non ne fossero in possesso".

CASSA INTEGRAZIONE

"Prevediamo una cassa integrazione in deroga per tutti i dipendenti fino a 90 giorni" dice Meloni. "Questa misura complessivamente è coperta fino a 580 milioni di euro. Prevediamo anche una tantum fino a 3mila euro per i lavoratori autonomi costretti a interrompere l'attività. Questa misura ha una copertura che arriva fino a 300 milioni di euro", ha inoltre spiegato il presidente del Consiglio.

FONDO PER LE IMPRESE

"Prevediamo un rafforzamento dell'accesso al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, con previsione di un aumento della garanzia anche fino al 100%" con copertura di "110 milioni di euro".

Il Ministero degli Affari Esteri ha previsto, inoltre, "contributi a fondo perduto per le imprese esportatrici danneggiate dall'alluvione, a valere sul fondo Simest, con una copertura di ulteriori 300 milioni di euro". Sempre la Farnesina ha predisposto "la creazione di una quota riservata di 400 milioni di euro" dedicata "all'erogazione di finanziamenti a tassi agevolati con quote a fondo perduto del 10%", ha inoltre spiegato Meloni.

"Il Ministero della sovranità alimentare e dell'agricoltura ha stanziato 100 milioni di euro per interventi di indennizzo a favore delle aziende agricole e ulteriori 75 milioni di euro, a valere sul fondo innovazione, per l'acquisto di macchinari per le aziende danneggiate".

SANITA'

"Il Ministero della Salute ha messo a disposizione 8 milioni di euro per i primi interventi di ripristino delle strutture sanitarie e prevediamo il riconoscimento di crediti formativi al personale sanitario che opera nei comuni interessati".

LOTTO E SUPERENALOTTO

"Ci sono alcune proposte formulate dal Ministero dell'Economia, come la vendita dei mezzi confiscati dall'Agenzia delle dogane, con proventi destinati a questo fine; e abbiamo anche autorizzato estrazioni straordinarie del Lotto e del Superenalotto interamente dedicate all'emergenza".

L'Agenzia delle dogane e dei monopoli istituirà nel 2023 "estrazioni settimanali aggiuntive del gioco del Lotto e del gioco del Superenalotto", per finanziare "interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi metereologici" in Emilia-Romagna. È quanto si legge nella bozza del decreto approvato oggi dal Consiglio dei Ministri, che Agipronews ha potuto visionare. Adm istituirà le estrazioni speciali "con propri decreti dirigenziali adottati entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto" e le maggiori entrate saranno "destinate a un fondo da istituire presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia".

Inoltre, per "finanziare gli interventi di protezione civile conseguenti agli eventi alluvionali, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli è autorizzata a disporre la vendita" all'asta "dei beni mobili oggetto di confisca amministrativa" oppure "oggetto di abbandono allo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni doganali". Adnkronos 23

 

 

 

 

La competizione strategica del futuro sarà “underwater”

 

Grazie all’innovazione tecnologica e all’importanza strategica delle infrastrutture critiche posate sui fondali marini come gasdotti, oleodotti e cavi internet, il dominio subacqueo, o underwater, è divenuto una frontiera di grande rilevanza nella competizione fra Stati, rinnovando e ampliando i termini delle operazioni militari sottomarine. Se ne discuterà il 30 maggio nel webinar IAI “L’Italia, il Mediterraneo allargato e il dominio subacqueo”. 

Infrastrutture subacquee: vitali e vulnerabili

L’economia globale e il benessere delle società occidentali dipendono largamente dal funzionamento di un grande e crescente numero di infrastrutture critiche sottomarine, a partire dai cavi subacquei per internet e le telecomunicazioni, i gasdotti e gli oleodotti. Senza contare che il mare è ovviamente fonte di nutrimento essenziale per miliardi di persone e, da migliaia di anni, ospita le più importanti vie di comunicazione per lo scambio di merci. 

Ad oggi, oltre il 97 per cento del traffico internet globale attraversa più di 400 cavi in fibra ottica appoggiati sui fondali marini, per una lunghezza complessiva che supera il milione di chilometri.  Inoltre, circa il 30 per cento degli idrocarburi sono estratti da piattaforme offshore, mentre una porzione significativa di tutti gli idrocarburi è trasportata via mare per mezzo di oleodotti, gasdotti o navi prima di arrivare al consumatore. Se cavi subacquei e condotti sottomarini sono ormai in uso da più di ottanta anni e hanno sempre sofferto di un certo grado di vulnerabilità – specialmente in acque basse e costiere – storicamente hanno potuto contare sull’opacità e inaccessibilità del mare come prima linea di difesa. 

Oggi, vista la crescente dipendenza delle economie europee – inclusa quella italiana – da queste infrastrutture e grazie sia all’innovazione tecnologica che rende i fondali e le grandi profondità più accessibili a operatori civili e militari, esse diventano obiettivi strategici e dunque più vulnerabili che mai al sabotaggio. Si può dire in altre parole che ci sia stata, negli ultimi decenni, una graduale convergenza fra le capacità operative a disposizione e la volontà di diversi attori di colpire tali obiettivi, come dimostrato nel 2022 dal sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico. 

Fra le principali potenze, la Russia è quella che più di tutte ha investito nella capacità di sabotaggio in profondità, dotandosi di mezzi specializzati in alcuni casi unici nel loro genere. L’approccio di Mosca a questo dominio rientra in una dottrina che dà grande valore alla difficile attribuzione di attacchi situati nella ‘zona grigia’ fra la guerra e la pace. Attacchi che non sono affatto nuovi guardando alla storia della guerra sottomarina. 

Un secolo e mezzo di guerra sottomarina

Il 17 febbraio del 1864, a Charleston in South Carolina durante la Guerra Civile americana, un sommergibile colpiva e affondava per la prima volta nella storia una nave. L’H.L. Hunley era stato progettato e costruito dalle forze confederate nel disperato tentativo di spezzare il blocco navale al quale la marina americana sottoponeva i maggiori porti secessionisti. Nell’impossibilità di affrontare la US Navy, in condizioni di assoluta inferiorità navale, si intuì che un sommergibile operante sotto il pelo dell’acqua e nel buio della notte avrebbe potuto avvicinarsi abbastanza alle navi avversarie per poterle colpire con una carica esplosiva. Il battello era lungo dodici metri e si muoveva a propulsione ‘muscolare’, grazie alle braccia del suo equipaggio che agivano su un lungo albero a gomiti collegato all’elica. Nonostante il successo dell’affondamento della nave nemica, tutti i membri dell’equipaggio persero la vita durante l’azione. Fu però evidente la potenziale efficacia dello sfruttamento del dominio subacqueo in operazioni militari – soprattutto in situazioni di asimmetricità, come nel caso del fronte navale del conflitto americano. 

A poco meno di un secolo dall’azione del H.L.Hunley, la US Navy prendeva in consegna il primo sottomarino a propulsione nucleare, l’USS Nautilus. Lungo quasi cento metri e capace di un’autonomia in immersione impensabile con i sottomarini convenzionali usati fino a quel punto, rappresentò una rivoluzione copernicana nella guerra sottomarina. Se nei primi anni della Guerra Fredda i sottomarini erano strumenti utilizzati principalmente per colpire navi di superfice, pochi anni dopo l’introduzione in servizio del Nautilus gli americani testarono con successo il lancio di missili balistici da un sottomarino in immersione. 

Il rapido progresso tecnologico che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso ha reso i sottomarini convenzionali e nucleari piattaforme estremamente complesse, silenziose e capaci, diversificando anche i compiti che potevano svolgere. I sottomarini rimangono uno strumento essenziale per la deterrenza navale poiché ancora oggi mantengono la loro caratteristica elusività garantita dall’inaccessibilità e opacità del mare. Non a caso, infatti, con l’intensificarsi della competizione geo-strategica fra Stati, sempre più marine vogliono dotarsi di questa capacità per la prima volta – una tendenza particolarmente evidente nell’Indo-Pacifico.

L’innovazione presente e futura tra tecnologie emergenti e dual-use

In aggiunta alla realtà consolidata dei sottomarini, tra le nuove tecnologie più abilitanti in un’ottica sia di offesa che quindi di protezione e sorveglianza delle infrastrutture subacquee vi sono senza dubbio i veicoli subacquei senza equipaggio, meglio noti anche in Italia come uncrewed underwater vehicles (UUV), che possono essere pilotati remotamente (remotely operated uncrewed vehicles – ROUV) oppure autonomi (autonomous underwater vehicle – AUV). Gli UUV infatti non sono limitati dalla presenza a bordo di esseri umani e perciò possono scendere a migliaia di metri sotto la superficie senza dover risolvere una delle problematiche più complesse della navigazione subacquea, ossia la protezione dell’equipaggio dall’altissima pressione. 

Le proprietà fisiche dei corpi d’acqua inoltre fanno sì che le comunicazioni wireless maggiormente usate in superficie siano impraticabili o quantomeno subottimali, rendendo la facoltà di svolgere diversi compiti in autonomia, senza il bisogno di una connessione in tempo reale, una capacità preziosissima nel campo degli AUV. Ricerca e sviluppo sia nel campo militare che in quello civile stanno portando a forti progressi in questo ambito, anche in Italia. 

È evidente tuttavia che l’efficacia di soluzioni autonome in contesti operativi debba avanzare in parallelo con l’applicazione dell’intelligenza artificiale, il machine learning e altre tecnologie emergenti e dirompenti utili non soltanto in un’ottica di difesa. Il dominio underwater, infatti, condivide molte caratteristiche con quello spaziale, a partire dall’ostilità all’essere umano. Ma, come nello spazio, le attività in mare vedono in primo piano sia le forze armate che operatori civili come i gestori dei gasdotti, delle piattaforme di estrazione o degli scali commerciali. Ne consegue che l’innovazione in questo campo non può prescindere da un approccio consono alla vocazione duale di molte delle tecnologie necessarie per operare sottacqua.

In conclusione, i veicoli subacquei senza equipaggio si aggiungono ai sottomarini, senza sostituirli, aumentando le capacità offensive e difensive in un dominio sempre più strategico e conteso. Elio Calcagno, AffInt 29

 

 

 

 

Il ruolo del G7 nella cooperazione allo sviluppo

 

Lo scorso 21 maggio si è concluso il summit dei leader G7 a Hiroshima e la maggior parte dell’attenzione mediatica sembra essersi concentrata sul dossier Ucraina e sulla risposta coordinata nei confronti della Cina. Il G7 è però anche un forum in cui i tradizionali donatori di Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) elaborano strategie congiunte per rafforzare la cooperazione con i paesi in via di sviluppo o Global South di fronte a sfide esistenziali.

Come si è mosso a riguardo il G7 negli ultimi quattro anni? E quale ruolo può avere nel prossimo futuro per ristabilire i rapporti con il Global South? Questo il tema dell’incontro pubblico organizzato dall’Istituto Affari Internazionali, in partnership con Focus 2030 e la Fondazione Compagnia di San Paolo, il prossimo 29 maggio 2023, con la partecipazione dello Sherpa G7/G20 per il Governo, Amb. Luca Ferrari.

Cooperazione in era pandemica

Nel 2020, i lavori del G7 furono assorbiti dalla risposta economica e sanitaria alla pandemia di Covid-19. Tuttavia, il tema dell’accesso universale ai vaccini Covid-19 e le iniziative per gestire la nascente crisi del debito sovrano emersero dai comunicati.

Questi temi furono approfonditi dalla presidenza inglese del 2021. Il comunicato del summit di Carbis Bay reiterava la volontà di terminare la pandemia il prima possibile, vaccinando il più ampio numero di persone il più velocemente possibile. A questo scopo, il supporto all’Acceleratore ACT e a COVAX era cruciale, assieme alla necessità di aumentare la capacità produttiva per vaccini e trattamenti sanitari fuori dai paesi G7. 

Oltre alla salute, il tema del debito e delle risorse finanziarie per la ripresa delle economie più povere fu affrontato con più dettagli rispetto al 2020. Fu rinnovato l’impegno ad utilizzare il Common Framework for Debt Treatments e fu richiesta maggiore trasparenza nei dati. In aggiunta, i paesi G7 chiesero alle Banche Multilaterali di Sviluppo (BMS) di sondare ogni opzione per fornire risorse addizionali al Global South; e supportarono la nuova emissione di Special Drawing Rights (SDRs) da parte del Fondo Monetario Internazionale per supportare vaccinazioni e ripresa sostenibile, specialmente nel continente africano. A sostegno della ripresa, i paesi G7 lanciarono la propria iniziativa di sviluppo infrastrutturale, Build Back Better World (B3W). 

Il G7 a presidenza tedesca del 2022 fu invece marcato dalla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. I ministri per la cooperazione allo sviluppo rilasciarono una dichiarazione sull’impatto della guerra nei paesi del Global South, evidenziando le ricadute negative sulla sicurezza alimentare e le iniziative lanciate per contrastarle, come la Global Alliance for Food Security.

La lotta al cambiamento climatico ebbe inoltre una posizione di rilievo nel comunicato dei leader, che si impegnarono a fornire quantità maggiori di finanza per l’adattamento, per il rischio di disastri naturali, e per le transizioni verdi – queste ultime supportate tramite partenariati ad hoc (Just Energy Transition Partnerships). La sostenibilità fu riaffermata come principio anche della nuova iniziativa infrastrutturale, la Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII).

In ambito finanziario, il supporto alla Debt Service Suspension Initiative e al Common Framework fu rinnovato con maggiore urgenza, visto il deteriorarsi della crisi del debito sovrano nei paesi in via di sviluppo, e alcuni creditori furono chiamati a contribuire più costruttivamente alla risoluzione della crisi. Sulla linea del 2022, i leader G7 chiesero nuovamente di allocare i nuovi SDRs a supporto della ripresa dei paesi in via di sviluppo, assieme a una revisione dei meccanismi delle BMS per aumentare la capacità di sostegno finanziario. 

In maniera simile, furono rinnovati gli impegni del 2021 in tema di salute globale, ponendo maggiore attenzione però al legame tra finanza e salute e alla capacità produttiva locale.

Il summit 2023

Gli impegni del 2022 sono stati generalmente riaffermati al vertice di Hiroshima del 2023. I leader del G7 hanno preso atto delle molteplici crisi che stanno colpendo particolarmente i paesi a basso reddito, e hanno reiterato la volontà di mobilitare le risorse necessarie per aiutarli nella ripresa. Queste risorse comprendono finanza per lo sviluppo in generale – APS incluso – ma anche finanza per il clima, Just Energy Transition Partnerships e investimenti infrastrutturali tramite PGII. Attenzione è stata data anche alla sicurezza alimentare, con un piano d’azione per aumentarne la resilienza.

I temi finanziari sono stati discussi sia in relazione alla struttura per la salute globale e preparazione alle pandemie, sia in connessione con la finanza per il clima come forma di ristrutturazione del debito sovrano. In merito alla crisi del debito, i leader G7 hanno reiterato la necessità e l’impegno a risolvere le crisi del debito sovrano tramite le iniziative esistenti. Si sono anche espressi in favore della riforma delle BMS, in linea con l’agenda della presidenza indiana del G20.

La presidenza giapponese prevede ulteriori incontri ministeriali nei prossimi mesi – la G7 Africa Roundtable di ottobre, ad esempio, discuterà di come rafforzare gli investimenti privati verso il continente. La presidenza italiana del 2024, tuttavia, si avvicina. Quali prospettive per il G7 italiano e la cooperazione con il Global South? Il 29 maggio alcune risposte iniziali. Irene Paviotti, AffInt 25

 

 

 

 

Prigozhin, Wagner e la possibilità di una “guerra di tutti contro tutti”

 

Il plot più avvincente di questi giorni, per chi segue le vicende intorno al Cremlino, è la sorte di Evgeny Prigozhin, più precisamente l’osservazione di quella spada di Damocle invisibile che sembra oscillare sopra la sua testa. Il capo del gruppo Wagner ha superato tutte le “red lines” possibili e immaginabili della politica russa: ha minacciato di abbandonare il campo di battaglia a Bakhmut, insultato il ministro della Difesa Sergey Shoigu e il capo dello Stato Maggiore Valery Gerasimov, incitato i soldati russi a ribellarsi ai loro comandanti inetti e infine ha preso in giro nel suo stile volgare e irriverente il “nonno felice” che potrebbe rivelarsi “un completo stronzo”. Di nonno, nel gergo politico informale russo, ce n’è uno solo, e da quando Prigozhin se ne è uscito con questa metafora, utilizzata finora in pubblico soltanto da Alexey Navalny e dai suoi sostenitori, molti hanno trattenuto il fiato in attesa dell’imminente fine di un uomo che dal sicario più fedele del regime putiniano sembrava essersi trasformato nel suo critico più violento.

Un triplo gioco al Cremlino?

Un ammutinamento, almeno a livello verbale, talmente inusuale nel sistema putiniano, da aver fatto nascere le ipotesi più stravaganti, incluso il “leak” pubblicato dal Washington Post, secondo il quale il capo dei Wagner avrebbe offerto all’intelligence ucraina le coordinate delle posizioni delle truppe russe. Se vero, potrebbe essere il sintomo di una disperazione estrema di un uomo che si è infilato in un gioco più grande di lui: ansioso di portare al Cremlino la vittoria a Bakhmut, si è fatto incastrare dai generali, molto più esperti di lui nei giochi di potere, perdendo sia la maggior parte del suo esercito semiprivato che il potere che ne derivava.

Se falso, spiegherebbe perché Prigozhin non è ancora stato fulminato dall’ira di Putin: in realtà, la sua “ribellione” sarebbe in questo caso un depistaggio concordato con il Cremlino, una trappola per convincere gli ucraini che la faida nei vertici moscoviti è ormai talmente profonda da permettere di attaccare le truppe russe, esauste, disorganizzate e demotivate. Senza contare la possibilità che il “leak” sull’ipotetico tradimento del capo dei Wagner fosse stato in realtà opera degli stessi generali russi per screditare l’uomo che, con il suo esercito di mercenari e galeotti, rischiava di portare a Putin la tanto agognata conquista di Bakhmut.

Le reazioni dell’opinione pubblica

Le ipotesi di un triplo gioco però non tengono conto dell’impatto devastante che le esternazioni di Prigozhin hanno avuto sull’opinione pubblica russa e internazionale. Il padre della “fabbrica dei troll” non è nuovo alle operazioni di disinformazione, e le sue rivendicazioni di conquista di Bakhmut sono state fatte ormai talmente tante volte da non risultare credibili. Ma le sue denunce di “reparti di parà in fuga” e di “ucraini che ci sgretolano ai fianchi” sembrano venire confermate anche da fonti indipendenti, e la violenza delle sue accuse ai vertici militari russi, accompagnata da montagne di cadaveri di soldati, distrugge con la sua estetica macabra il trionfalismo della propaganda ufficiale. Il vero “tradimento” di Prigozhin, al di là dei suoi giochi sempre più azzardati con Shoigu e Gerasimov, è proprio quello di aver svelato il segreto che tutti sapevano, ma nessuno aveva il coraggio di ammettere: la Russia non sta vincendo la guerra e non riesce a vincere nemmeno una battaglia.

In Russia, oggi, si viene arrestati per molto meno. Ma chi liquida Prigozhin soltanto come una marionetta che vuole spezzare i fili che la levano al Gru, lo spionaggio militare russo cui spesso viene collegata la nascita dei Wagner, si dimenticano dell’altro mestiere del “cuoco di Putin”, che da ristoratore pietroburghese con trascorsi criminali è diventato un peso massimo della politica russa grazie all’uso spregiudicato dei media e in particolare della rete. Prigozhin è il primo esponente della nomenclatura del regime a non rivolgersi soltanto a Putin, da due decenni motore, arbitro e pubblico di ogni iniziativa.

Parla all’opinione pubblica, e il proliferare di sondaggi sui social sulle sue prospettive alle presidenziali del 2024, le vendite del merchandising dei Wagner, e l’attenzione quasi spasmodica dei media internazionali per ogni sua esternazione, dimostrano che almeno l’operazione mediatica gli è riuscita benissimo: il “cuoco di Putin” ha acquisito una popolarità in proprio, conquistando quell’elettorato – valutato tra il 15 e il 25% circa – di ultranazionalisti militaristi che si sentono delusi da Putin. L’estetica pulp di Prigozhin, che si mostra tra i cadaveri al fronte mentre lancia insulti ai generali, appare a questo segmento come molto più autentica del sempre più artefatto e distante presidente. Arrestare o uccidere Prigozhin potrebbe in questo momento squilibrare la tenuta già fragile del comando russo, proprio alla vigilia della controffensiva ucraina.

Wagner e le debolezze dell’esercito regolare

Controffensiva sui cui esiti disastrosi per i russi peraltro Prigozhin dichiara di avere pochi dubbi. E questa potrebbe essere un’altra spiegazione del perché il Golem si è ribellato al suo creatore. Il modello Wagner – un esercito di fatto privato che però beneficia della protezione e delle forniture privilegiate del ministero della Difesa – viene ora copiato non solo dai pretoriani del leader ceceno Ramadan Kadyrov, ma da tanti altri. Singole regioni ed enti – tra cui Gazprom, il consorzio statale del metano – si stanno facendo i propri gruppi di contractor, e anche il ministero della Difesa sta arruolando mercenari nelle carceri russe, rubando il brevetto a Prigozhin. Difficile che questa corsa sia finalizzata a intestarsi un pezzo di vittoria in Ucraina, soprattutto alla luce delle carenze logistiche sempre più evidenti dell’ente di Shoigu.

L’esercito regolare semplicemente non possiede abbastanza risorse da distribuire tra gli eserciti privati, nessuno dei quali riuscirà a conseguire quella vittoria che perfino il più consolidato, attrezzato e numeroso di queste armate (la Wagner appunto) non è riuscito a ottenere. L’unico motivo plausibile per l’improvvisa concorrenza di strat-up di eserciti privati, degna di un failed state spartito tra clan rivali, è la consapevolezza dell’imminente crisi, sul fronte come a Mosca. Prigozhin e i suoi concorrenti non si stanno contendendo la vittoria con i favori che ne conseguono: si stanno attrezzando per la guerra di tutti contro tutti che potrebbe scaturire da una sconfitta. Anna Zafesova, AffInt 23

 

 

 

Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina

 

Vi è da chiedersi se, nel decidere l’aggressione dell’Ucraina, Putin avesse tenuto conto, al di là delle tragiche conseguenze militari e umanitarie, delle possibili ripercussioni globali della sua azione. Ad esempio se egli avesse immaginato che due paesi neutrali come la Finlandia e la Svezia avrebbero chiesto di aderire all’Alleanza Atlantica. La Finlandia è ora ammessa, lo sarà probabilmente anche la Svezia e ciò cambierà il rapporto di forze in Europa decisamente a sfavore della Russia. 

Certo il presidente russo non poteva prevedere che egli stesso sarebbe divenuto l’oggetto di un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale, il che lo costringerà a limitare i suoi viaggi all’estero. È già umiliante per la Russia che il Sudafrica, paese ospitante del prossimo vertice BRICS, abbia pensato di revocare la propria adesione alla Corte per permettere la partecipazione all’evento del proprio rappresentante.

È noto che la violazione del divieto della “minaccia o uso della forza contro l’integrità territoriale degli Stati” sancito dalla Carta dell’Onu, costituisce una delle poche circostanze in cui è prevista l’espulsione di uno stato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nessuno ha finora invocato tale clausola nella crisi attuale, ma non si può escludere che ciò possa avvenire. 

La questione della difesa nucleare

Una delle lezioni che si trae dall’intervento russo è la triste e crescente realtà che gli stati sprovvisti dell’arma nucleare o di un “ombrello nucleare” non riescono da soli a salvaguardare la propria integrità territoriale ed indipendenza politica e che neppure gli organismi internazionali a ciò preposti possono proteggerli. Ciò succede in particolare quando, come nel caso dell’Ucraina, la violazione avviene da parte di uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza: in tal caso questi ultimi si trovano nella situazione assurda di essere  al tempo stesso imputati e giudici di se stessi, con in più il diritto di veto. Il principio stesso dell’egemonia di questi cinque stati in seno all’ONU  potrebbe essere rimesso in questione. 

Ancora più preoccupante è il pericolo che, a seguito del caso Ucraina, altri paesi seguano  l’esempio della Corea del Nord che nel 2002 si ritirò dal Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP) dotandosi poi essa stessa dell’arma nucleare. Si realizzerebbe così, a sessanta anni dal suo assassinio, l'”incubo nucleare” paventato dal presidente Kennedy: quello di un mondo in cui decine di paesi sarebbero in possesso dell’arma atomica. Più è alto il numero di tali paesi e maggiore è il rischio che tale arma venga impiegata.

Questa serie di sconvolgenti conseguenze appare essere contraria agli interessi di tutti, in primo luogo agli interessi della stessa Russia. Carlo Trezza, AffInt 18

 

 

 

Elezioni europee: si vota dal 6 al 9 giugno 2024

 

BRUXELLES - Europei al voto nel 2024: ieri gli ambasciatori dell'Ue hanno annunciato che le prossime elezioni del Parlamento europeo si terranno dal 6 al 9 giugno 2024.

“L'Unione europea non è perfetta, è in costante evoluzione. Il mondo cambia e noi dobbiamo tenere il passo. Abbiamo anche bisogno di riforme. Non dobbiamo temere i cambiamenti, ma accoglierli e continuare a restare in ascolto, a dare chiarimenti e a mantenere gli impegni”, le parole della presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Alle prossime elezioni europee, non restate a guardare. Partecipate al più grande esercizio democratico d'Europa. Non lasciate che qualcun altro scelga per voi. Votate”.

COME VOTANO GLI ITALIANI ALL’ESTERO

Alle elezioni europee, gli italiani residenti – stabilmente o temporaneamente – in uno dei Paesi dell’Unione possono votare all’estero, i residenti nei paesi extra Ue, invece, per esercitare il loro diritto devono tornare in Italia.

Le modalità di voto per i residenti nei paesi Ue sono descritte nel Decreto-legge 408/1994, che stabilisce che possono votare all’estero per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo i cittadini italiani residenti in uno Stato dell’Unione europea e regolarmente iscritti all’AIRE; i cittadini italiani ed i familiari con essi conviventi che si trovano temporaneamente nei Paesi UE per motivi di studio o di lavoro, presentando – entro i termini di legge – apposita domanda al Sindaco del Comune italiano nelle cui liste elettorali sono iscritti.

Contrariamente alle elezioni politiche – dove il voto dall’estero si esercita per corrispondenza – alle elezioni europee si vota nei seggi appositamente istituiti dagli Uffici consolari.

L’elettore riceve a casa da parte del Ministero dell’Interno italiano il certificato elettorale, con l’indicazione del seggio presso il quale votare, della data e dell’orario delle votazioni.

Qualora l’elettore non riceva il certificato elettorale entro il 5° giorno antecedente quello delle votazioni, potrà contattare l’Ufficio consolare competente per verificare la propria posizione elettorale e richiedere il certificato sostitutivo per l’ammissione al voto.

L’elettore italiano residente all’estero o temporaneamente in un Paese dell’UE per motivi di studio o lavoro (che abbia presentato domanda di voto all’estero nei termini previsti), se rientra in Italia, può votare presso il proprio Comune di iscrizione elettorale: in tal caso deve farne esplicita richiesta, entro il giorno precedente quello della votazione, al Sindaco del suddetto Comune.

L’elettore italiano residente all’estero può anche optare per il voto per i candidati del Paese in cui risiede; in tal caso voterà presso i seggi istituiti dalle Autorità del Paese di residenza estera.

Ovviamente è vietato il doppio voto: se si vota a favore di un candidato italiano non si potrà esprimere il voto anche per il candidato locale e viceversa. (aise 18)

 

 

 

 

Ita Airways batte bandiera tedesca. Contratto alla firma: a Lufthansa il 40%

 

In queste ore verrà formalizzata l'intesa dopo quasi 5 mesi di trattativa in esclusiva. Nelle casse del Tesoro oltre 320 milioni. I rapporti tra il socio pubblico e il compratore regolati da un testo separato. Che cosa cambia per utenti e dipendenti – di Aldo Fontanarosa

 

ROMA - Ita Airways si prepara a battere anche bandiera tedesca. In queste ore, il nostro ministero dell'Economia - finora proprietario della compagnia aerea nazionale al 100% - ne cede una quota di minoranza a Lufthansa, attraverso un contratto preliminare di compraventita. L'annuncio, probabilmente, già domani.

Ad oggi il compratore Lufthansa ne rileverà solo il 40 percento (grazie a un aumento di captale riservato). Ma l'obiettivo è arrivare alla totalità delle azioni entro due anni, come previsto da un meccanismo di opzioni. Sembra escluso che lo Stato italiano possa conservare una quota minimale in prospettiva.

I rapporti tra i due azionisti (Lufthansa al momento ferma al 40 percento e il ministero dell'Economia, al 60) saranno regolati da uno Shareholders’ agreement (Sha). Questi patti parasociali assegnano la gestione operativa di Ita Airways ai tedeschi, anche se soci solo di minoranza.

Verso un nuovo Cda

Il Consiglio di amministrazione di Ita - che sarebbe dovuto decadere già il 30 marzo 2023 con l'approvazione del bilancio annuale per il 2022 - si prepara a uscire di scena.

L'ad Fabio Lazzerini lascerà la cloche a un manager di assoluta fiducia del nuovo socio tedesco. Invece il presidente andrà al governo italiano, almeno fino a quando il ministero dell'Economia conserverà la maggioranza delle azioni (il 60%).

Concessioni sulla valutazione

Ora, il contratto preliminare di compravendita dovrà superare l'esame di tre soggetti istituzionali. La nostra Corte dei conti valuterà la congruità del prezzo che i tedeschi pagano.

A proposito del prezzo, è su questo punto che i tedeschi hanno fatto delle concessioni. Se fino a un mese fa Lufthansa ha provato a comprare il 40% di Ita per 250 milioni, adesso la cifra versata si aggira intorno ai 325 milioni di euro.

Al tavolo del negoziato, il governo e il gruppo tedesco hanno concordato sul percorso che può condurre all'utile la compagnia italiana, nata dalle ceneri di Alitalia. Nessun miracolo. Lufthansa però vuole lavorare da subito per un ritorno all'utile in tempi ragionevoli. LR 24

 

 

 

Più che Ita, Lufthansa: i tedeschi con 300 milioni si prendono il 40% della società

 

Il vettore sottoscriverà un aumento di capitale riservato per rilevare il 40%. I nuovi soci chiedono garanzie per evitare eventuali contenziosi legali futuri - Giuliano Balestreri

 

Per il matrimonio di Ita Airways e Lufthansa è questione di ore. Domani o venerdì, al più tardi, il ministero dell'Economia annuncerà l'ingresso del vettore tedesco nel capitale dell'ex Alitalia. Un'operazione che chiuderà definitivamente la fase di start up e avvierà il processo d'uscita dello Stato dalla compagnia aerea. Un passaggio travagliato e sofferto. Prima il governo Draghi ha concesso - a settembre 2022 - l'esclusiva al fondo americano Certares, poi il governo Meloni, appena insediato, ha lasciato cadere i termini dell'offerta riaprendo la strada alla cordata Msc-Lufthansa che però, nel frattempo, aveva perso l'appoggio della famiglia Aponte lasciando i tedeschi da soli a trattare con il Tesoro. Un negoziato non semplice che ha chiesto più tempo del previsto: da metà aprile si è arrivati a fine maggio. Un'estensione dovuta ad aspetti legali e alla valutazione di Ita.

Se è vero che il valore della compagnia tricolore è sceso molto rispetto al miliardo e duecento milioni di inizio 2022 è altrettanto vero che i numeri dei primi mesi di quest'anno, insieme alle prospettive per l'estate, sono migliori delle attese. Abbastanza perché l'esecutivo chiedesse un rilancio della proposta economica. L'intesa è stata raggiunta su una valorizzazione che oscilla tra 750 e 800 milioni di euro, più dei 600 milioni ipotizzati a inizio anno. L'ingresso nel capitale avverrà attraverso un aumento di capitale riservato: versando tra i 300 e i 320 milioni di euro, quindi, Lufthansa salirà al 40% del capitale di Ita.

E se sul fronte della valutazione economica i tedeschi hanno accolto la richiesta italiana, su quello legale sono stati irremovibili chiedendo una serie di garanzie che tutelino i nuovi azionisti di fronte a eventuali vertenze future. In particolare temono il rischio - remoto - che possa essere riconosciuta una qualche continuità con la vecchia Alitalia e che possano emergere contenziosi non previsti. Un pericolo dal quale Ita si proteggerà sottoscrivendo una polizza assicurativa ad hoc. Inoltre, anche sulla valutazione della compagnia, pesano alcune incognite. Come a dire che Lufthansa vuole mettersi al riparo da ogni rischio. Dopo la firma del contratto passerà qualche mese prima del closing, mentre per la salita al 51% di Lufthansa bisognerà aspettare il ritorno all'utile della compagnia, entro un paio d'anni: il Mef, invece, uscirà definitivamente dal capitale entro cinque anni. Intanto, i numeri iniziano a dare ragione all'azienda guidata dall'ad Fabio Lazzerini: nel primo trimestre del 2023, la compagnia è tornata a generare cassa. Non abbastanza per raggiungere il pareggio già a fine anno, ma un segnale positivo. Inoltre, i ricavi sono ammontati a 345 milioni di euro, l'1,5% in più rispetto alle stime precedenti, con una previsione di 2,5 miliardi per la fine dell'anno, 2,2 dei quali dai passeggeri. LS 24

 

 

 

 

Lufthansa e ITA confermano accordo: incontro al MEF tra il Ministro Giorgetti, il CEO Spohr e il Presidente Turicchi

 

ROMA- Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti e il Ceo di Deutsche Lufthansa Carsten Spohr si sono incontrati nei giorni scorsi al MEF per confermare la conclusione dell’accordo di investimento di Lufthansa in Ita Airways per rilevarne una quota di minoranza dopo aver già condiviso un piano industriale della compagnia che prevede una crescita di ricavi di 2,5 miliardi di euro attesi per quest’anno e 4,1 miliardi di euro previsti nel 2027. Presente all’incontro anche il presidente di Ita, Antonino Turicchi. Dopo la firma, l’accordo sarà sottoposto al vaglio della Corte dei Conti e notificato alla direzione generale concorrenza della Commissione europea. La strategia di sviluppo di Ita Airways continuerà a essere condivisa tra i due azionisti (MEF e Lufthansa). Questi risultati consentiranno la crescita e il rinnovo della flotta, che a fine 2027 conterà su 94 aeromobili rispetto ai 71 attuali, con un’età media di cinque anni, e garantirà l’ottimizzazione dei consumi e dell’impatto ambientale. L’organico, per il quale è prevista quest’anno una crescita fino a 4.300 dipendenti per effetto delle 1.200 assunzioni in corso di finalizzazione, salirà a oltre 5.500 unità al termine del Piano. La strategia di ITA Airways è di affermarsi come protagonista tra i full service carrier nei tre settori intercontinentale, internazionale e domestico, con un’attenzione particolare al traffico di lungo raggio. Questo riposizionamento strategico permetterà inoltre di alimentare al meglio il traffico dell’hub di Roma Fiumicino, che andrà così a inserirsi con un ruolo centrale nel modello multi-hub del Gruppo Lufthansa. ITA Airways continuerà ad essere la Compagnia di riferimento del Paese e a rappresentare orgogliosamente l’Italia in tutto il mondo, garantendo collegamenti all’interno del Paese e con il resto del mondo, a supporto dello sviluppo dei flussi turistici e di business. Carsten Spohr, amministratore delegato di Deutsche Lufthansa, afferma: “L’accordo di oggi porterà a una situazione vantaggiosa per l’Italia, ITA Airways e Lufthansa Group. È una buona notizia per i consumatori italiani e per l’Europa, perché una ITA più forte rafforzerà la concorrenza nel mercato italiano. Come giovane compagnia, con una flotta moderna e con un suo hub efficiente e in espansione a Roma, ITA è la soluzione perfetta per il Gruppo Lufthansa. A Milano, ITA copre un ampio bacino di utenza che offre anche potenzialità di crescita. Come parte della famiglia del Gruppo Lufthansa, ITA può trasformarsi in una compagnia aerea sostenibile e redditizia, collegando l’Italia con l’Europa e il mondo. Allo stesso tempo, questo investimento ci consentirà di continuare la nostra crescita in uno dei nostri mercati più importanti”. Il Ministro Giorgetti dichiara: “Oggi si chiude un percorso che ha contraddistinto la storia della compagnia di bandiera nazionale con la prospettiva di integrazione con un importante vettore europeo. Con questo governo si scioglie oggi un nodo che da trent’anni condiziona il mercato del trasporto aereo in Italia. Siamo convinti che questa decisione permetterà al mercato aereo di svilupparsi nell’interesse dell’Italia”. (Inform/dip 29)

 

 

 

 

Visita dell’Ambasciatore Armando Varricchio a Monaco di Baviera, in occasione della “Transport Logistic Fair”

 

Monaco di Baviera – L’ambasciatore d’Italia in Germania Armando Varricchio è stato in visita a Monaco di Baviera, dove si svolge in questi giorni la “Transport Logistic Fair”, evento di primo livello internazionale in tema di logistica, mobilità, IT e gestione delle catene di approvvigionamento. Il sistema Italia garantisce all’appuntamento una presenza robusta, che conta su 158 espositori e sullo stand istituzionale di ICE, realizzato in collaborazione con Assotrasporti in rappresentanza di 16 autorità portuali. Importante anche la presenza istituzionale dall’Italia, che vede partecipare alla fiera il viceministro delle Infrastrutture e della Mobilità Edoardo Rixi, il presidente della regione Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, il sindaco di Genova Marco Bucci e l’assessore a mobilità e trasporti, infrastrutture, turismo, commercio della Regione Emilia-Romagna Andrea Corsini.

L’ambasciatore Varricchio, che in questa occasione ha incontrato il vice ministro Rixi, ha partecipato alla conferenza “From Italy to Germany and back again: How we can make our joint supply chains more sustainable and safer in the future”, organizzato dalla Camera di commercio italo-tedesca ITALCAM con la partecipazione dei Presidenti delle autorità portuali di Trieste, Genova e Venezia. Nell’incontro si sono affrontati i cambiamenti in corso nel mondo della logistica e delle catene di approvvigionamento, in relazione a nuove sfide e opportunità per il trasporto di merci. Un fenomeno che riguarda da vicino anche le connessioni tra Italia e Germania, con nuove possibilità di sviluppo dei collegamenti intermodali e il crescente ruolo delle piattaforme logistiche distribuite nel Nord Italia.

Per Varricchio la globalizzazione sta vivendo in questi anni una profonda trasformazione, con un impatto sempre maggiore degli eventi geopolitici nell’andamento delle dinamiche globali. I governi e il settore privato – ha rilevato – “devono adattare le loro strategie a un contesto globale caratterizzato da trasformazioni radicali e non sempre predicibili: ‘friendshoring’, ‘nearshoring’, politiche economiche basate sulla diversificazione e sul ‘de-risking’ sono ormai elementi essenziali della pianificazione economica”. In questo contesto per l’Ambasciatore una più stretta collaborazione tra i paesi europei e in particolare tra Italia e Germania, anche nel settore logistico e portuale, è di fondamentale importanza: “il comparto portuale italiano si è posto obiettivi ambiziosi anche di sostenibilità, i porti italiani potrebbero in futuro diventare hub per il trasporto di idrogeno verde verso la Germania – ha detto Varricchio. (Inform/dip 15)

 

 

 

 

Riunito a Wolfsburg l’Intercomites Germania

 

L’Intercomites Germania si è riunito a Wolfsburg sabato 13 e domenica 14 maggio scorsi. I temi principali affrontati nella prima giornata di lavoro sono stati il forte taglio dei finanziamenti ai Comites per l’anno 2023 e la situazione dei servizi consolari con particolare riferimento ai tempi d’attesa per ottenere un appuntamento per il rinnovo dei documenti (passaporto e carta d’identità elettronica) che continuano a rimanere ancora troppo lunghi, come confermato da molti presidenti Comites.

La precaria situazione finanziaria in cui i Comites versano, in seguito al taglio del 25% rispetto a quanto stanziato nel 2022 dei finanziamenti relativi al Cap. 3103, ha imposto una riflessione sul ruolo stesso di questi comitati, sostenuti - occorre ricordarlo - dall'impegno a titolo gratuito delle consigliere e dei consiglieri eletti. Senza un’integrazione finanziaria molti Comites si vedranno costretti a sospendere le attività e chiudere le proprie sedi. La maggioranza dei presidenti ha pertanto confermato la decisione di presentare la domanda di finanziamento integrativo al MAECI confidando che il Ministero possa riuscire a trovare le risorse finanziarie necessarie per la copertura delle richieste.

Per quanto riguarda i servizi consolari è stato ricordato dai consiglieri del CGIE come la rete consolare italiana in Germania sia stata tra le più colpite dall’ondata di chiusure dopo il 2010, con la soppressione dei Consolati di Amburgo, Norimberga, Saarbrücken e dell’Agenzia Consolare di Mannheim. Solo nel 2021 è stato riaperto lo Sportello Consolare a Saarbrücken con 2 impiegati a contratto: una formula ripetibile in ogni altro centro, già sede di Consolato, se a costo zero. Il “modello Saarbrücken” prevede l’apertura di unità distaccate (sportelli consolari) con poche unità di personale (2-3 persone) in locali gratuiti e messi a disposizione dalle autorità locali. I compiti affidati agli Sportelli Consolari comprendono i servizi che richiedono la presenza fisica dell’utente (prelievo dati biometrici per passaporto e CIE, autentiche di firma, certificazione esistenza in vita e quant’altro). Possibili vantaggi di questa soluzione sono l’accorciamento delle distanze verso le sedi consolari centrali, l’aumento delle disponibilità di appuntamenti e la decentralizzazione dei servizi con il conseguente alleggerimento del lavoro per le sedi consolari. Ai responsabili del MAECI e al sottosegretario Silli viene richiesta la valutazione di una celere riapertura degli sportelli consolari in quei centri dove erano già operativi regolari Consolati poi soppressi: Amburgo, Mannheim e Norimberga.

Tutte queste riflessioni e proposte sono state comunicate al direttore generale della DGIT, Luigi Maria Vignali, che ha partecipato all’assemblea nella prima giornata, potendo così interloquire con i presidenti dei Comites e i rappresentanti del CGIE in modo diretto. Un’importante occasione di confronto tra le rappresentanze delle comunità italiane in Germania e i vertici del Ministero che ha visto il direttore Vignali favorevole alla riapertura degli sportelli consolari indicati se si riuscirà effettivamente a farlo a costo zero.

Per quanto concerne l’assistenza ai connazionali bisogna tenere in considerazione che in Germania ogni realtà ha sue specificità dovute al tipo di migrazione e di integrazione, perciò anche le esigenze sono differenti. I Comites, pur nelle ristrettezze economiche in cui si ritrovano attualmente, continuano a essere un punto di riferimento per l’associazionismo e un interlocutore per tutti coloro che necessitano di informazioni e di un primo orientamento. Cercare una maggiore integrazione con le realtà tedesche, in particolare con le istituzioni e i gruppi associativi, diventa sempre più importante. Numerose sono state le proposte per aumentare la visibilità dei comitati: per esempio il creare partenariati tra enti locali e associazioni italiane e tedesche e rivedere uno strumento come la guida “Primi passi in Germania”, che andrebbe aggiornata e resa fruibile anche online e fatta circolare il più possibile per contrastare il fenomeno della disinformazione che, soprattutto nei gruppi social, ma anche nelle reti informali, è particolarmente diffusa.

La complessità della realtà delle italiane e degli italiani in Germania impone una cooperazione più forte tra i Comites, il CGIE e la rete diplomatico-consolare con lo scopo di dare corpo a progetti comuni.

L’Intercomites si è interrogato anche sul contributo che può essere dato allo sviluppo di una "cittadinanza attiva", all’acquisizione, cioè, di maggiore consapevolezza circa il nostro essere cittadine e cittadini italiani all’estero, nonché sul tema della doppia-cittadinanza e sull’importanza di una presenza italiana anche nel mondo politico tedesco. Wolfsburg, con la sua esperienza, ha fatto da cornice a questa discussione. La presenza di connazionali eletti nei livelli amministrativi distrettuali o comunali, nei consigli di fabbrica e nel sindacato esprime bene la necessità di un maggiore coinvolgimento nella vita sociale e politica della comunità locale.

Al termine della riunione sono state proposte dai consiglieri del CGIE delle azioni pubbliche di protesta in relazione alla situazione dei servizi consolari in Germania. La prima proposta è la pubblicazione di un appello al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affinché voglia intervenire a salvaguardia dei diritti civili dei connazionali in Germania, i quali, con tempi di attesa per il rilascio di un documento di viaggio e d’identità che arrivano anche a quasi un anno, si vedono lesi nei loro diritti. La seconda proposta è l’indizione di pubbliche assemblee e dimostrazioni autorizzate, davanti all’Ambasciata d’Italia a Berlino e ai Consolati, con il coinvolgimento della stampa locale alla quale sarà denunciato il senso di abbandono da parte dello Stato italiano percepito dalla comunità italiana in Germania. I presidenti, con alcune perplessità, hanno accolto le proposte previa consultazione, coinvolgimento e approvazione dei rispettivi Comites.

La due giorni dell’Intercomites a Wolfsburg ha rappresentato per i presidenti Comites, i consiglieri del CGIE, le rappresentanze diplomatico-consolari, i parlamentari eletti all'estero e il MAECI un ulteriore opportunità di confronto e collaborazione.

Sulla base della decisione presa a Wolfsburg, la prossima riunione dell’Intercomites si terrà a Friburgo dal 29 al 30 settembre 2023.

L’Intercomites Germania ringrazia il console generale di Hannover, David Michelut, l’agente consolare di Wolfsburg, Fabio Dorigato, il direttivo della IG Metall, nella persona di Christian Matzedda, i consiglieri, il tesoriere e il presidente del Comites di Wolfsburg, Gianfranco Di Ruberto, per la disponibilità e il contributo dato all’organizzazione della riunione.

Simonetta Del Favero, coordinatrice Intercomites Germania

 

 

 

Le ultime puntate di COSMO italiano, ex-radio Colonia

 

22.05.2023 I Verdi tedeschi in calo di popolarità. Crolla la popolarità dei Verdi in Germania che perdono circa un terzo dei loro consensi dall'estate scorsa. Tra scandali e scelte politiche poco convincenti, i motivi della crisi ripercorsi da Cristina Giordano. Il commento dell’eurodeputata dei Verdi Alexandra Geese: «da noi ci si aspetta coerenza». Un’italiana si fa strada tra i Verdi tedeschi, Carlotta Rainoldi. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/crisi-verdi-germania-100.html

 

19.05.2023. Studenti in difficoltà per il caro affitti, anche in Germania

Studenti degli atenei di Milano e Roma dormono in tenda per protestare contro gli affitti troppo alti. Sentiamo le loro ragioni da Marta Ghidòli, presidente del Consiglio studentesco del Politecnico di Milano. Poi Vivien Hagner dell'AStA, il Consiglio studentesco dell'Università di Colonia, ci spiega la situazione per gli universitari in Germania. Infine Enzo Savignano fa il punto sul mercato degli affitti in Germania: prezzi in aumento, misure per frenarli e previsioni.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/studenti-difficolta-per-caro-affitti-italia-germania-100.html

 

17.05.2023. La Germania ha un problema con l'alcol. Il consumo di alcolici continua ad essere molto tollerato e accettato dalla società tedesca e si sta diffondendo sempre di più tra giovani e giovanissimi, un problema che riguarda anche l’Italia: tutti i dati e gli aggiornamenti sul tema alcol con Enzo Savignano. Poi abbiamo riportato le testimonianze di personaggi del mondo dello spettacolo tedesco sulla loro dipendenza dall’alcol. Infine Emanuele Scafato, direttore dell’osservatorio alcol dell’ISS, ci spiega quanto gli alcolici siano realmente nocivi per la salute. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/alcol-germania-consumo-problema-dipendenza-alcolismo-100.html

 

16.05.2023. C'è bisogno di un limite di velocità sulle autostrade tedesche?

È uno dei grandi dilemmi in Germania riguardo al tema della mobilità e dei trasporti. Uno studio svedese-tedesco spiega quali vantaggi deriverebbero dall’introduzione di un limite generalizzato di 130 km/h sulla rete autostradale tedesca: il punto di Enzo Savignano. Con il giornalista di Quattroruote, Emilio Deleidi, parliamo dei limiti di velocità in Italia. Infine Axel Gruhler dell’associazione Stop-Tempo-130 ci spiega il suo no all’introduzione dei limiti di velocità in Germania. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/limiti-autostrade-germania-100.html

 

15.05.2023. Accoglienza profughi: Bund e Länder in cerca di soluzioni

Il vertice sui profughi a Berlino dà il via libera a nuove risorse per Länder e Comuni: il punto di Enzo Savignano. Ma non mancano le critiche ai risultati del vertice Bund-Länder: ne abbiamo parlato con Karl Kropp di Pro Asyl. Infine il caso Upahl: piccolo paesino del Meclemburgo-Pomerania che si è ribellato alla realizzazione di un centro di accoglienza per profughi.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/rifugiati-vertice-100.html

 

12.05.2023. Italia e Germania all'Eurovision Song Contest

Costumi colorati, balli scatenati, tanto spettacolo e tanta musica: l'Eurovision Song Contest (ESC) attira ogni anno quasi duecento milioni di spettatori davanti al televisore. Quest'anno avrebbe dovuto aver luogo in Ucraina, perché l'edizione dell'anno scorso a Torino è stata vinta dalla Kalush Orchestra. A causa della guerra ancora in corso, tuttavia, la 67° edizione dell'ESC ha invece luogo a Liverpool. Con Giulio Galoppo ripercorriamo le tappe della storia di questa kermesse canora. Tom Petersen, redattore musicale di WDR4, ci rivela chi sono i Lord of the Lost, la band tedesca che porta in finale il brano "Blood & Glitter".

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/italia-germania-eurovision-song-contest-100.html

 

11.05.2023. Il futuro dei Comites con la metà dei fondi. Che cosa significano i tagli di quasi il 50% dei fondi decisi dal governo per il lavoro dei Comitati per gli italiani all’estero? i Comites riusciranno a funzionare lo stesso, e come? Quali progetti erano stati programmati e quali potranno essere portati a termine? Per rispondere a queste domande Agnese Franceschini ha contattato alcuni presidenti dei Comites in Germania e ha chiesto loro di raccontare la loro situazione attuale e futura. Ne parliamo anche con Simonetta del Favero, presidente dell'Intercomites Germania e del Comites di Colonia. Mentre Delfina Licata ci parla invece della presenza e della funzione dei Comites sul territorio tedesco.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/crisi-comites-taglio-fondi-germania-100.html

 

10.05.2023. Famiglie Arcobaleno in Italia e Germania. Il Parlamento europeo ha recentemente condannato le decisioni del Governo Meloni di vietare la trascrizione degli atti di nascita di bambini di coppie omosessuali. La genitorialità di coppie omosessuali è da diversi anni protagonista suo malgrado di una certa propaganda elettorale, il cui obiettivo è quello di stigmatizzarla. Qual è la situazione in Germania? Ce ne parla Giulio Galoppo, che di questi temi si occupa da tempo. Margherita Fiengo Pardi ha 21 anni, vive a Milano e ha due mamme. A COSMO Italiano racconta cosa significano per lei e i suoi fratelli i divieti del Governo Meloni. Di "gestazione per altri", vietata anche in Germania, abbiamo poi parlato con Tobias Devooght che, insieme al marito, vi è ricorso negli USA.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/famiglie-arcobaleno-gestazione-per-altri-germania-100.html

 

09.05.2023. Germania e Italia divise sul debito pubblico in UE

Le regole europee sul debito pubblico esistono di fatto solo sulla carta. Sono pochi gli Stati che le rispettano. Non per niente la Commissione le ha sospese quando è scoppiata la pandemia. Dalla fine di quest'anno, però, torneranno in vigore. È quindi necessaria una riforma, presentata lo scorso 26 aprile. Ma qui le cose si complicano. Perché gli obiettivi che gli Stati membri perseguono sono chiaramente divergenti. Come venirne a capo?  Ce ne parla Giulio Galoppo. La sfida è trovare parametri comuni che mettano d’accordo tutti, come sottolinea Beda Romano, corrispondente da Bruxelles de Il Sole 24 Ore. Mentre Federico Fubini, giornalista economico de Il Corriere della Sera, ci spiega quali conseguenze può avere tale riforma sugli investimenti del Pnrr.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/riforma-debito-pubblico-europeo-germania-100.html

 

08.05.2023. Intelligenza artificiale: il dibattito sui rischi. Da settimane ormai si discute molto di intelligenza artificiale (IA). Il dibattito sociale è stato acceso dal lancio del software ChatGPT. L'IA è senza dubbio una delle tecnologie più innovative e promettenti degli ultimi decenni e solleva proprio per questo alcune preoccupazioni. Renderà superfluo il lavoro degli esseri umani? Ce ne ha parlato Giulio Galoppo. In Italia, ChatGPT ha riaperto dopo che il Garante per la protezione dei dati personali ne aveva ordinato il blocco lo scorso 30 marzo. Cosa è cambiato? Ce lo rivela Luca Zorloni, giornalista della rivista online Wired. Del mondo che si cela dietro all’IA parliamo, invece, con un cosiddetto “Cleaner”.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/intelligenza-artificiale-germania-chatgpt-100.html

 

Vivere in Germania Scopri il nostro formato video per rispondere alle domande più frequenti degli italiani che vivono in Germania. O che stanno pensando di trasferirsi. Guarda i video con Luciana Mella sulle cose più importanti da sapere sull’AIRE, sull’assicurazione sanitaria - la Krankenkasse -, sul sistema scolastico ma anche sul mondo del lavoro, su Hartz IV e altri sussidi e sulla ricerca di una casa: https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/dossier-e-speciali/vivere-in-germania-100.html

 

Musica italiana non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla app di COSMO e su Spotify.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/channels/italia-channel-100.html

 

Ascolta COSMO italiano. Podcast:

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All’IIC di Amburgo film e documentari su alcuni dei più importanti designer italiani

 

AMBURGO – Nell’ambito del Festival dell’architettura di Amburgo, giunto quest’anno alla sua X edizione, l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo, in collaborazione con il Milano Design Film Festival, presenta film e documentari dedicati ad alcuni dei più importanti designer italiani – da Angelo Mangiarotti a Enzo Mari – e ai più interessanti progetti di architettura contemporanea. I film in programma sono stati premiati all’ultima edizione del Milano Design Film Festival.

Le proiezioni sono tutte in lingua italiana con i sottotitoli in inglese. La partecipazione agli eventi è gratuita, previa iscrizione tramite il portale Eventbrite.

Il primo film documentario è stato proiettato martedì 30 maggio alle ore 19. Si tratta di “Sinceramente, Gae” di Didi Gnocchi & Matteo Moneta ed è dedicato all’architetto e designer italiana Gae Aulenti, che ha indirizzato il suo lavoro in particolare ai temi dell’allestimento e del restauro architettonico. Aulenti è considerata una dei migliori architetti della sua generazione e ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del design internazionale

Martedì 6 giugno 2023 alle ore 19 verrà proiettato invece il film documentario “Alfabeto Mangiarotti” di Davide Maffei, che ripercorre il genio di Mangiarotti, soffermandosi sulla sua capacità di creare e progettare, senza mai perdere di vista l’artigianalità della creazione e della realizzazione delle opere. Architetto, designer, scultore, urbanista e docente, dall’interpretazione chiara ed essenziale, Mangiarotti è stato in grado di eliminare il confine tra architettura e design. Mangiarotti è una delle figure di spicco tra i designer e architetti che hanno lavorato a Milano.

Martedì 13 giugno 2023 alle ore 19 sarà la volta dei documentari “Desertions, con Enzo Mari in America” realizzato da Giovanna Silvia in collaborazione con Studio Mare, e “Palazzo Luce” di Alessandra Galletta.

“Desertions” nasce a partire dal viaggio intrapreso nel 2007 dal designer Enzo Mari, imbarcatosi in un lungo itinerario attraverso i principali deserti statunitensi assieme a Gianluigi Ricuperati e Giovanna Silva. Dalla California al Nevada, da Los Angeles a Las Vegas, Enzo Mari affronta il deserto con l’intento di collezionare i materiali che l’ambiente genera e offre per poi trasformarli in veri e propri oggetti di design.

“Palazzo Luce” racconta l’insolita ristrutturazione di un palazzo nobiliare a Lecce, Palazzo dei Conti, voluto da Anna Maria Enselmi come sede ideale della sua importante collezione di design storico, e di opere di arte contemporanea con progetti site-specific che hanno trasformato la dimora storica di Maria D’Enghien, Regina consorte di Napoli dal 1407 al 1414, contessa di Lecce (1367-1446), in un nuovo spazio espositivo di grande interesse. L’opera diventa essa stessa un importante momento di riflessione sull’arte contemporanea, una chiave di lettura delle dinamiche che sottendono le connessioni tra collezionista, gallerista, artista, allestitore e architetto, fino all’opera che vediamo esposta nello spazio, in questo caso, del palazzo stesso.

Ogni proiezione è introdotta dall’architetta Veronica Scortecci milanese, che vive e lavora da parecchi anni ad Amburgo. (Inform/dip 30)

 

 

 

 

Kempten. La festa del Primo Maggio

 

Il 1° Maggio scorso – in occasione della Festa dei Lavoratori –  secondo la Confederazione dei Sindacati Tedeschi (DGB), 290.000 sono state le persone che hanno preso parte – a livello federale – a manifestazioni, da essi organizzate all'insegna del motto "UNGEBROCHEN SOLIDARISCH" "COSTANTE SOLIDARIETÀ".

la Confederazione dei Sindacati ha raccomandato a tutti di rimanere uniti, anche in questo tempo di crisi, evitando fatali divisioni di parte. Con questa costante solidarietà si sono potuti ottenere e si otterranno: un freno ai prezzi dell'energia, un salario minimo di 12 euro, un equo assegno sociale per i più bisognosi, e migliori condizioni sul posto di lavoro, in cui dovrà venir coinvolta maggiormente la voce dei dipendenti.

Si dovrà sperare in una progressiva e soddisfacente riuscita della transizione climatica e in un potenziamento dell'utilizzo delle energie rinnovabili; in modo da affrancarsi dalla dipendenza da fonti energetiche inquinanti o esterne. Costante Solidarietà significherà pure un imprescindibile aumento della tassazione dei patrimoni più ricchi.  Si potrà sperare così – e con più serenità – in un futuro pacifico e sicuro; con l'auspicio che cessi al più presto la micidiale aggressione all'Ucraina da parte della Russia, a cui si dovrà chiedere con decisione di ritirare le sue truppe, consentendo, in tal modo, all'Ucraina di ripristinare la sua integrità territoriale.

I Sindacati hanno chiesto, inoltre, un disarmo controllato a livello mondiale, il controllo degli armamenti e la realizzazione della pace e della libertà nello spirito della comprensione internazionale.

Molte di queste intenzioni dichiarate in campo federale sono state espresse alla manifestazione di Kempten (Allgäu), in occasione della Festa dei Lavoratori del 2023, che, – iniziata alle ore 10:00 e durata sino al primo pomeriggio – si è svolta nella Markthalle, nella Königspklatz. Si sono succeduti sul palco, tra gli altri: il Presidente Distrettuale della Federazione dei Sindacati, DGB, Ludwin Debong, che ha aperto l'incontro, ribadendo, tra l'altro, quanto richiesto – da sempre –  dai Sindacati: Non interrompere la solidarietà evitando le divisione di parte.

Subito dopo Luise Klemens, della Direzione Distrettuale dei Ver-di, nel suo lungo e articolato intervento, ha infiammato, poi, il pubblico, facendo diverse considerazioni, tra cui quella sull'invasione dell'Ucraina e, soprattutto, sul ruolo che la Germania e il popolo tedesco devono assumere in questo pericolosissimo coinvolgimento internazionale. Ma soprattutto sull'attuale condizione dei lavoratori, dei pensionati (ricordando loro le attuali consultazioni elettorali); dei cittadini, dei giovani, soffermandosi sugli ultimi scioperi. In un periodo reso ancora più difficile anche a causa del vertiginoso aumento del costo della vita. Un discorso  – frequentemente  – interrotto  da scroscianti applausi a motivo degli scottanti argomenti trattati; tra cui il ricordo degli attacchi ai Sindacati negli Anni Trenta.

Coinvolgenti anche gli altri interventi. Tra cui quello di due giovani sindacalisti, che hanno fatto interessanti considerazioni dal punto di vista delle giovani generazioni e di ciò che esse si augurano per il loro futuro.

Non è mancato altresì un irruento intervento da parte di un membro della Commissione Interna del grande magazzino Galeria Karstadt Kaufhof, che, dopo essere passato in  questi decenni – insieme alle altre filiali –  per molte  mani – cambiando anche nome – all'inizio del nuovo anno, chiuderà i battenti insieme ad altre decine di filiali dello stesso gruppo, lasciando senza lavoro  centinaia di dipendenti. Per protestare contro queste chiusure, in aprile, ha avuto luogo una manifestazione anche a Kempten.

Durante l'incontro  – inframmezzato da momenti musicali offerti dal Duo Bettina e Reinhold Ohmayer  – gli intervenuti hanno avuto modo di gustare alcuni piatti tipici del Ristorante Smoker Deifi, accompagnati da qualche dissetante boccale di birra, e di commentare con i vicini quanto appena ascoltato. La Festa si è protratta ancora sino al primo pomeriggio.

A questa manifestazione – tra il numeroso pubblico intervenuto e  alle persone precedentemente nominate, erano presenti: il Vicepresidente del Parlamento Bavarese, Thomas Gehring, la Signora Erna-Kathrein Groll, terzo Sindaco di Kempten, e alcuni Consiglieri Comunali, anche delle Amministrazioni precedenti. Inoltre, hanno preso parte all'evento: il Presidente  Circoscrizionale del KAB, Signor Manfred Stick e Signora, il Signor Ewald Lorenz-Haggenmüller, già Assistente Spirituale del KAB e tuttora molto attivo in diversi progetti come nel Weltladen e   il Vicepresidente Vicario   delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani  della Baviera e Presidente del Circolo locale (ACLI), nonché Corrispondente Consolare per il Circondario di Kempten, Dr. Fernando A. Grasso e tanti altri rappresentanti di Enti e Organizzazioni.

Grasso, in questa occasione, oltre ad avere avuto il piacere di incontrarsi con le persone di cui sopra – persone, alcune delle quali conosce personalmente e apprezza da tempo – ha avuto la piacevole sorpresa di ritrovare tra i molti giovani del Sindacato Verdi uno dei suoi allievi più affezionati degli Anni Novanta: Daniele Lupo. Fernando A. Grasso, de.it.press 4

 

 

 

 

All’IIC Istituto Amburgo l’inaugurazione della mostra “Visioni dispotiche della città” di Cemolin il 15 giugno

 

AMBURGO – Giovedì 15 giugno alle ore 19:00, nell’ambito della X edizione dell’HamburgerArchitecture Summer 2023 (il Festival dell’architettura e della cultura edilizia di Amburgo) l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo inaugura la mostra Visioni dispotiche della città con opere di Alessandro Cemolin. All’inaugurazione, alla presenza dell’artista, il compositore e sound designer Giorgio Ricci eseguirà dal vivo estratti dal suo album “Templezone – Sottili polveri”.

La partecipazione all’evento è gratuita, previa registrazione tramite il portale Eventbrite. La mostra può essere visitata fino al 21 luglio, prima e dopo gli eventi dell’Istituto, inoltre da lunedì a giovedì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 16.00; venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Durante la permanenza nei locali dell’Istituto si consiglia di indossare una mascherina (chirurgica o FFP2).

Le opere di Alessandro Cemolin riguardano il paesaggio urbano, realizzato a volte come una visione distopica, a volte come un ambiente da sogno mozzafiato. I materiali utilizzati vanno dal caffè ai coloranti alimentari, dalla colla al cartone. La ricreazione di ponti, strade, passaggi e architetture moderne è curata nei minimi dettagli e con una cura quasi maniacale. Le sue metropoli sono una grande metafora urbana della vita, della sua relativa complessità e transitorietà. I labirinti di Cemolin sono portatori di emozioni e messaggi che suggeriscono una nuova dimensione contemporanea legata al paesaggio urbano sempre più esasperato, alla ricerca di una rinnovata reinterpretazione dello spazio. Alessandro Cemolin cerca una nuova dimensione di estrema sintesi tra pittura e scultura. La metropoli emerge dalla tela e acquista corpo e profondità grazie all’uso del cartone, materiale riciclato all’80%. In occasione dell’inaugurazione, il compositore e sound designer Giorgio Ricci eseguirà dal vivo alcuni brani tratti dal suo album “Templezone – Sottili polveri”, la cui copertina è stata disegnata da Alessandro Cemolin.

Nato nel 1974 a Treviso, dopo la laurea in design all’Accademia di Belle Arti di Venezia ha iniziato a lavorare nel settore della grafica.

Nel 2008 si è trasferito a Berlino, dove attualmente vive e lavora come artista visivo. Nelle sue opere il tema ossessivo del paesaggio urbano passa da visioni distopiche a sogni mozzafiato. La tecnica, basata su materiali semplici e senza età come la penna e le macchie di caffè, riconnette il passato al futuro. (Inform 29)

 

 

 

Brevi di politica e cronaca tedesca

 

Legge sul riscaldamento: la coalizione semaforo davanti a un bivio La prima discussione sul divieto degli impianti di riscaldamento a gas, prevista al Bundestag questa settimana, verrà rinviata a causa della disputa in corso tra i partiti di coalizione. Da un lato i Verdi accusano i liberali di “boicottaggio” e di “rifiuto di lavorare” danneggiando così l’operato del governo, dall’altro l’opposizione dell’FDP si è mostrata più forte che mai. La capacità di azione della coalizione semaforo perde colpi, e il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) ha anche incolpato l’FDP per non aver tenuto fede alla parola data. A detta dei Verdi è chiaro che una discussione in merito dovrà ancora avere luogo, ma per farlo è necessario portare la legge al Bundestag: “Come si dimostra, invece, non vi è alcun interesse a discuterne, ma solo a rinviarla”. L’FDP all’inizio della settimana aveva chiesto una legge completamente nuova: “Non servono cambiamenti estetici, ma un nuovo disegno di legge”, questa la richiesta del Segretario generale dell’FDP Bijan Dijr-Sarai: “La legge non è pronta per essere discussa”, per cui “serve soprattutto una maggiore apertura verso le tecnologie”. 

Tutto ciò appare quindi come un regalo fatto all’opposizione. Il capogruppo della CDU/CSU e leader della CDU Friedrich Merz ha esortato intanto il Cancelliere Scholz a fare uso del suo potere di direttiva: “Ritiri questa legge completamente sbagliata e raffazzonata”. Il Vice-capogruppo parlamentare Alexander Dobrindt (CSU), sostenendo le parole di Merz, ha affermato che la coalizione semaforo è completamente divisa e confonde i cittadini, per cui ha esortato la coalizione a “porre fine alla cooperazione”. Il governo aveva già approvato il disegno di legge secondo il quale a partire dal 2024 tutti i nuovi impianti di riscaldamento dovranno essere alimentati per il 65% con energia proveniente da fonti rinnovabili, il che varrà per tutti i proprietari fino all’età di 80 anni. Anche gli esperti manifestano dubbi su come si possa realizzare in un periodo di tempo così breve. 

   

 Il ministro delle Finanze pronto ai tagli alle spese

 La Germania ha i conti in rosso. Il Cancelliere Scholz (SPD) e il ministro delle Finanze Christian Lindner (FDP) stanno lavorando a un piano per colmare una lacuna da 20 miliardi di euro nel bilancio 2024 con tagli alla spesa che riguarderanno tutti i ministeri, a eccezione della Difesa. Come riportato da fonti governative, il Cancelliere Scholz e il ministro Lindner hanno concordato tagli di spesa lineari compresi tra il 2-3%, percentuale sufficiente a ottenere circa la metà dei risparmi richiesti, per cui resta da vedere come il governo si procurerà il denaro restante.

Il leader dell’FDP Lindner ha intenzione d’imporre tagli anche alla spesa sociale, perché a detta dei Liberali questo è l’unico modo per ottenere un bilancio solido. I Socialdemocratici vogliono evitare una tale mossa ed esentare i sussidi destinati ai bambini a rischio povertà. Qualunque sarà la loro scelta, ci saranno problemi con i Verdi, il terzo partner della coalizione. Il ministro dell’Economia Robert Habeck ha invece chiesto tasse più alte per colmare il divario, in particolare per i percettori di reddito elevato, ma si esclude che una tale richiesta possa essere avallata da Lindner. Per di più, nelle ultime settimane il ministro Habeck ha perso influenza all’interno della coalizione dopo aver presentato una legge severa per ridurre le emissioni di CO? provenienti dal riscaldamento domestico, che resta fortemente controversa, e anche per le dimissioni del Segretario di Stato, Patrick Graichen, a seguito delle accuse di nepotismo.

   

 Scholz critica gli attivisti del clima                          

 Il Cancelliere Scholz ha parlato chiaro prendendo nette distanze dagli attivisti ambientali di “Ultima generazione” (Letzte Generation): “Trovo del tutto assurdo attaccarsi a un quadro o incollarsi alla strada”, ha dichiarato durante una visita a una scuola in occasione della giornata del progetto europeo in classe. “E ho l’impressione che tali azioni non contribuiscano affatto a far cambiare idea a qualcuno, ma fa invece arrabbiare tutti”. Il Cancelliere sottolinea comunque come sia del tutto giustificabile che si organizzino manifestazioni, si manifesti e si difendano i propri obiettivi, ma, prosegue, “non credo che azioni di questo genere contribuiscano alla causa”. Gli attivisti per il clima danno sempre più fastidio anche in Germania, e secondo i sondaggi i cittadini tedeschi manifestano poca comprensione per i disturbi che arrecano alla vita pubblica. Alla domanda posta dagli studenti in merito al proprio impegno per la protezione del clima, il Cancelliere ha risposto in tono ironico di non andare “in Giappone in bicicletta (...)”.

Nel fine settimana scorso il Cancelliere Scholz ha partecipato al vertice del G7 in Giappone e poi si è recato in visita in Corea del Sud. Con i suoi viaggi, il suo stesso bilancio di CO? risulta essere del tutto negativo. Le auto con cui viene portato in giro sono pesanti perché sono blindate e quindi consumano molto carburante. In risposta alle dichiarazioni del Cancelliere, i vandali di “Ultima generazione” hanno imbrattato l’ingresso della sede del partito SPD. Ieri in tutta la Germania c’è stato un blitz contro l’organizzazione che viene accusata dalla magistratura di “costituzione di organizzazione criminale”. I beni degli attivisti sono stati sequestrati e i flussi finanziari del gruppo saranno ora oggetto d’indagine da parte degli investigatori.

   

 Emergenza abitativa in Germania                           

 La Germania ha sempre più problemi con la mancanza di alloggi. La politica lo ha capito da tempo, ma finora poco è stato fatto. Lo scorso anno il numero di appartamenti di nuova costruzione è leggermente aumentato dello 0,6%, arrivando a 295.300 unità, nonostante l’aumento dei prezzi e le difficoltà nelle consegne, ma il precedente obiettivo del governo di raggiungere le 400.000 nuove abitazioni all’anno è stato chiaramente mancato, e – come ha comunicato l’Ufficio federale di statistica – non è stato raggiunto nemmeno il livello del 2020 di 306.400 abitazioni. Nel migliore dei casi, per l’anno in corso l’industria edile prevede la costruzione di 250.000 appartamenti da ultimare entro la fine dell’anno.

Anche per il 2024 non si intravedono miglioramenti. I dati relativi ai lavori di completamento sono destinati a diminuire ulteriormente a causa del crollo delle licenze edilizie. Nonostante la domanda di alloggi, il numero di permessi è infatti in costante calo: per via del forte aumento dei tassi di interesse sui prestiti e degli elevati prezzi delle costruzioni, molti costruttori sospendono i progetti o li annullano, e ciò riguarda sia i costruttori di case private sia i grandi investitori. I sindacati, le associazioni imprenditoriali e gli economisti manifestano la loro preoccupazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi di edilizia abitativa e lanciano il campanello d’allarme alla politica.

   

 Il monito del Presidente della Conferenza episcopale tedesca: “La Chiesa non deve diventare una setta”

 Il Presidente della Conferenza episcopale tedesca (DBK), il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, ha espresso ancora una volta il suo accordo verso il “Cammino sinodale” tedesco, causa di controversie nella Chiesa cattolica, mettendo però in guardia dai rischi che il sinodo tedesco possa divenire “una setta cattolica”, cosa non conciliabile con la sua missione di vescovo. “Ci sono gruppi che già parlano di una spaccatura all’interno della Chiesa, di uno scisma incombente ma io non vedo questo pericolo”.

A suo avviso, “la stragrande maggioranza dei fedeli, concorda con gli obiettivi e le scelte di una Chiesa che si rinnova” e auspica di costruire “ponti con le realtà sociali e culturali del nostro tempo”. Il vescovo Bätzing, ha poi espresso la sua preoccupazione per una Chiesa chiusa e isolata: “Non si adatta alla mia concezione di essere cattolico il fatto di considerarci un piccolo, raffinato e separato gruppo all’interno della nostra società e di crearci una nostra vita autonoma che non cerca più alcun legame con i grandi bisogni sociali e le esperienze di vita di molte persone”.

   

 Luoghi in Germania: Paulskirche di Francoforte

 In questo edificio circolare di stampo neoclassico realizzato in arenaria rossa, che ricorda architettonicamente il Pantheon di Roma, è stata scritta la storia tedesca. “Ha rappresentato il momento in cui i sudditi sono diventati cittadini”, queste le parole del Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier con cui ha reso omaggio al Parlamento di Francoforte (Frankfurter Nationalversammlung) in occasione di una cerimonia tenutasi a Francoforte sul Meno. 175 anni fa, il 18 maggio 1848, l’Assemblea costituente si riunì per la prima volta nella Paulskirche di Francoforte per elaborare una costituzione liberale valida per tutta la Germania. La prima seduta di un parlamento eletto in tutta la Germania ha rappresentato “un passo insostituibile nel lungo cammino verso la democrazia e la libertà in un’unica Germania”, ha dichiarato il Presidente Steinmeier. Ma l’anniversario non può non rammentare anche le avversità e le difficoltà nel costruire e mantenere un ordine democratico: infatti la costituzione elaborata nella Paulskirche non entrò mai in vigore a causa della resistenza della nobiltà e, come la storia insegna, solo nel 1871 la Germania divenne uno stato nazionale unitario.

 

La Paulskirche è oggi considerata la culla della democrazia tedesca. La costituzione imperiale sviluppata al suo interno con i suoi “diritti fondamentali del popolo tedesco” plasmò la Costituzione di Weimar del 1919 e la Grundgesetz, la Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania del 1949. L’edificio della Paulskirche venne distrutto dai bombardamenti nel 1944 e fu uno dei primi edifici di Francoforte sul Meno a essere ricostruito.

 

La Germania si inchina davanti agli ucraini Il Cancelliere dell’Unità Tedesca, Helmut Kohl (CDU), si sarebbe espresso così: Volodymyr Zelensky è stato “sfiorato dal mantello della storia”. Ad Aquisgrana, il Presidente ucraino è stato insignito del Premio Internazionale Carlo Magno. Zelensky ha ricevuto il premio insieme al popolo ucraino per la resistenza e il coraggio dimostrati nel respingere la guerra di aggressione russa. “Tutti gli ucraini sono eroi. E tutti gli ucraini dovrebbero essere in questa sala oggi”, ha sottolineato il Presidente Zelensky nel suo discorso di ringraziamento. L’Ucraina renderà l’Europa più forte, ma prima, ha detto Zelensky, è essenziale conseguire la vittoria militare contro la Russia: “Per avere un’eredità di pace, dobbiamo giungere insieme a voi al giorno in cui potremo dire di aver concluso questa guerra con la nostra vittoria comune”. L’aggressione di Putin non è rivolta solo contro il suo Paese, ma anche contro la storia europea degli ultimi 70 anni e la sua civiltà. Il Presidente russo deve quindi essere processato: “Ci troviamo di fronte a un aggressore capace di compiere ogni crudeltà. Ma non abbiamo paura”.

 

La laudatio è stata tenuta in precedenza dal Cancelliere Olaf Scholz (SPD), che ora intrattiene un buon rapporto con Zelensky. Il Cancelliere ha ringraziato il Presidente e il suo popolo per “la difesa dei valori comuni europei” ricordando come alla mattina dell’attacco russo Zelensky abbia scelto “parole forti” a sostegno della sua resistenza: “State difendendo con grande coraggio la vostra patria dalla brutale aggressione della Russia e tutti gli ucraini sfidano quotidianamente con immensa forza gli invasori russi. L’Europa deve moltissimo al popolo ucraino e, personalmente, al Presidente Zelensky”. L’Ucraina, con la sua “volontà di libertà e la sua capacità di resistenza” è “speranza e ispirazione” per l’Europa intera, e la guerra, ha proseguito il Cancelliere Scholz, indica per l’Ucraina e l’Unione Europea che “siamo uniti e che ci apparteniamo. E la nostra storia comune proseguirà sullo stesso solco”. Anche la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha voluto rendere omaggio agli ucraini: “Gli ucraini combattono letteralmente per la libertà, l’umanità e la pace, assicurando con il loro sangue e la loro vita il futuro dei loro e dei nostri figli”. Zelensky, ha chiosato la Presidente von der Leyen, “crede fermamente che coloro che combattono per qualcosa siano sempre più forti di coloro che vogliono imporre il loro giogo agli altri”. 

   

 Schröder getta ombre sull’SPD                                 

 I Socialdemocratici non riescono a liberarsi del loro “vecchio imbarazzante zio”. L’ex Cancelliere Schröder, nonostante i suoi stretti legami con la Russia, potrà continuare a rimanere definitivamente all’interno dell’SPD. Le istanze di appello contro la delibera della commissione arbitrale SPD di Hannover sono state respinte in ultima istanza in quanto inammissibili, per cui la procedura si considera conclusa. Schröder, cancelliere dal 1998 al 2005 è stato Presidente del partito dal 1999 al 2004. Dopo la fine del suo governo terminato con elezioni anticipate nel 2005, Schröder ha lavorato per molti anni per le compagnie energetiche russe ed è ancora considerato grande amico del Presidente russo Putin, dal quale non ha preso le distanze nemmeno dopo l’attacco all’Ucraina. Nelle settimane successive allo scoppio della guerra, l’ex Cancelliere fece persino visita a Putin a Mosca, per quello che venne considerato un tentativo di mediazione da parte sua. I vertici del partito sottolineano da tempo che l’ex Cancelliere è una figura isolata all’interno dell’SPD.

Nel frattempo, la quinta moglie di Schröder, Soyeon Schröder-Kim, pare aver perso il suo lavoro presso la società di investimento regionale "NRW. Global Business". “La signora Schröder-Kim è stata licenziata con effetto immediato e il rapporto di lavoro cessa senza preavviso”, ha reso noto il ministro dell’Economia del Land Renania Settentrionale-Vestfalia, Mona Neubaur (Verdi). Il motivo  sembra essere la partecipazione della 55enne a un ricevimento per l’anniversario della vittoria russa nella Seconda guerra mondiale presso l’ambasciata russa di Berlino. Oltre all’ex Cancelliere Gerhard Schröder e alla moglie, al ricevimento hanno partecipato esponenti politici di estrema destra dell’AfD ed ex leader della DDR, disciolta nel 1990.

   

 Habeck licenzia il sottosegretario dello scandalo

 È il tentativo di un contrattacco: il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi), messo sotto pressione a causa dell’ “affaire parenti”, ha licenziato il suo confidente Patrick Graichen, sottosegretario responsabile della transizione ecologica, colpevole di aver voluto concedere la carica di amministratore delegato dell’Agenzia tedesca per l’energia al suo testimone di nozze, senza per questo rivelare il rapporto di vicinanza che li legava. Secondo quanto riportato, sono emersi altri due casi in cui le regole di conformità non sono state rigorosamente osservate.

Oggetto delle critiche sono anche diversi legami all’interno del personale del ministero dell’Economia. La sorella di Graichen, sposata con il suo collega, Segretario di Stato Michael Kellner, lavora, come anche suo fratello, presso l’Öko-Institut, un istituto di ricerca che riceve contratti milionari dal governo federale. Le rivelazioni avevano messo Habeck e il suo partito in grave difficoltà e li avevano visti affondare nei sondaggi. Ma il capro espiatorio di Habeck potrebbe essere arrivato troppo tardi: il Parlamento minaccia infatti una commissione d’inchiesta.

   

I Verdi sconfitti a Brema                                             

I cittadini del più piccolo Land tedesco hanno eletto i Socialdemocratici principale partito nel nuovo parlamento regionale di Brema. I Socialdemocratici hanno ottenuto il 29,8% dei voti, seguiti dalla CDU che ha riportato il 25,7% delle preferenze. I Verdi, finora partito di governo, hanno subito un crollo e hanno ottenuto soltanto l’11,9% di preferenze, quasi alla pari con i postcomunisti della Sinistra (11,1%), mentre i Liberali sono riusciti a superare, di poco, la soglia di sbarramento del 5%. L’AfD, partito di estrema destra, non ha potuto partecipare per via di errori nella compilazione delle liste. Al suo posto si è affermato invece il gruppo di populisti dei “Cittadini in collera” (Bürger in Wut) che è riuscito a fare il salto e conquistare il 9,5% dei voti. Governare quindi sarà probabilmente meno facile per il sindaco in carica, Andreas Bovenschulte, e alla fine potrebbe nascere una grande coalizione tra SPD e CDU, almeno da quanto si apprende dalla reazione del sindaco, che ha annunciato di voler tenere maggiormente conto del bisogno di sicurezza espresso dai cittadini: “Con ciò non intendo soltanto la sicurezza interna e l’ordine, ma soprattutto la questione legata alla sicurezza sociale, quindi il fatto che le persone possano sentirsi in buone mani all’interno della società”. Un buon sviluppo economico, posti di lavoro ben retribuiti e una riduzione della disoccupazione, ha aggiunto il sindaco in carica, “rappresentano le basi su cui realizzare una sicurezza sociale, un’istruzione e un’integrazione migliori”. Intanto, sono ormai 77 anni che i Socialdemocratici governano ininterrottamente “Brema la rossa”.

   

 In Germania i turchi votano per Erdogan

 Nelle recenti elezioni presidenziali in Turchia, tra i turchi che vivono in Germania c’è stata ancora una volta una netta maggioranza a favore del Presidente uscente Recep Tayyip Erdo?an, che ha ricevuto all’incirca il 65% delle preferenze, mentre il leader dell’opposizione Kemal K?l?çdaro?lu ha raggiunto solo il 33%. Già nelle ultime elezioni del 2018, il Presidente Erdo?an aveva ottenuto risultati superiori alla media tra i turchi residenti in Germania. Il Presidente della Commissione per gli Affari esteri del Bundestag, Michael Roth (SPD), ha definito l’esito “deludente per tutti coloro che desiderano una Turchia democratica e basata sullo stato di diritto”.

Visti i risultati, anche il ministro dell’Agricoltura Cem Özdemir (Verdi) non guarda con grande fiducia al futuro. Pur nel caso in cui il candidato dell’opposizione Kemal K?l?çdaro?lu dovesse vincere al ballottaggio contro Erdo?an, si troverà a governare “un Paese profondamente diviso”. Le elezioni parlamentari, che hanno avuto luogo nello stesso periodo, hanno intanto reso l’Assemblea Nazionale più conservatrice. Critiche riguardo l’esito delle elezioni sono giunte anche dall’esperto di politica estera dell’FDP Alexander Graf Lambsdorff, il quale ha affermato che da anni la Turchia sta perseguendo una linea autoritaria e che la campagna elettorale è stata “tutt’altro che equa”: “Da tempo il Presidente Erdo?an e il suo AKP dominano i media e le istituzioni statali, anche quelle presumibilmente indipendenti”, ha dichiarato il politico dell’FDP. Il deputato della CDU Serap Güler ha definito il risultato una “cattiva notizia”.

   

 Arabia Saudita: Il ministro Baerbock cerca gli equilibri

 In occasione della sua visita in Arabia Saudita, il ministro degli Esteri Annalena Baerbock (Verdi) si è espressa per un approfondimento delle relazioni economiche, appellandosi allo stesso tempo al rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani. Secondo quanto affermato dal ministro Baerbock durante la sua visita alla città portuale di Jeddah, l’Arabia Saudita ha “un potenziale incredibile” per avviare una partnership climatica nel campo delle energie rinnovabili, come l’idrogeno verde e l’energia eolica, ma la cooperazione economica non può ritenersi “slegata dallo stato di diritto, dai diritti umani e dalla tutela delle libertà”.

Oggetto del colloquio con il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, sono stati anche i conflitti regionali in Sudan e Yemen, Paesi in cui l’Arabia Saudita tenta con sforzo il ruolo di mediatrice. Il ministro Baerbock ha promesso il sostegno diplomatico e umanitario da parte della Germania. Particolarmente urgente quindi la situazione in Sudan: “Dobbiamo fare tutto il possibile affinché questo conflitto non si trasformi in un conflitto su scala regionale”, ha dichiarato il ministro. La Germania è quindi pronta a fornire aiuti umanitari, ad esempio attraverso un maggiore sostegno al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.

   

 Luoghi in Germania: Wieskirche                              

 Il santuario di Wies (Wieskirche), nei pressi di Steingaden, nella diocesi di Augusta, è considerato un esempio unico e forse l’opera architettonica più bella del rococò, la fase tardiva dell’architettura barocca che si può ammirare soprattutto nella Baviera meridionale. Questo magnifico luogo di culto è patrimonio mondiale dell’UNESCO da esattamente 40 anni. Ogni anno decine di migliaia di pellegrini e visitatori giungono in questo luogo per ammirare la basilica del santuario e pregare davanti alla statua del “Cristo flagellato”, fulcro della venerazione.

Già la pianta ellittica dell’edificio testimonia la sua eccezionalità; al suo interno, i visitatori vengono sopraffatti dalla ricchezza degli ornamenti in stucco e oro e dagli affreschi eseguiti dagli allora architetti di corte dei monarchi bavaresi, i fratelli Dominikus e Johann Baptist Zimmermann. La chiesa è nota anche per la sua acustica: durante i concerti vi è uno dei più grandi organi ecclesiastici della Germania. Nell’odierna solennità dell’Ascensione (giorno festivo in Germania), durante la messa la figura del Redentore risorto viene fatta ascendere nel cielo barocco attraverso un’apertura nascosta. Kas 25

   

 

 

 

Bronzi del Benin, la restituzione divide la Germania

 

Il il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha deciso di donare il risarcimento nei confronti delle ex colonie al monarca dell’ex regno di Benin, che potrebbe anche rivenderseli. E a Berlino è polemica - di Paolo Valentino

È passata alla storia come uno dei più orribili atti dell’era coloniale, l’invasione militare di Benin City ad opera di una forza di spedizione punitiva britannica nel febbraio 1897, con la distruzione della città africana e il saccheggio della preziosa collezione di bronzi della famiglia reale. Migliaia di piatti, oggetti e statue in ottone, legno e avorio, forse gli oggetti artistici più belli mai realizzati in Africa, vennero strappati dalle sale del palazzo e venduti a collezionisti privati e musei in tutto il mondo.

Per questo, negli ultimi due anni, l’impegno a restituire i Bronzi del Benin firmato da numerose istituzioni museali e università in America, Francia, Gran Bretagna e Germania, è stato accolto come risarcimento pur tardivo ma giusto e dovuto nei confronti delle ex colonie. Il governo tedesco, in particolare, ha già iniziato a consegnare alla Nigeria oltre 1100 artefatti custoditi a Berlino, Lipsia, Colonia, Amburgo e Stoccarda.

Ora però, a un mese dalla fine del suo mandato, il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha annunciato che tutti i bronzi restituiti e quelli che lo saranno in futuro diventeranno proprietà privata di Ewuare II, l’Oba di Benin City, capitale dello Stato nigeriano di Edo, monarca che incarna la cultura e la tradizione dell’ex regno. La decisione ha ridato voce a quanti si oppongono alle restituzioni: «Quello che si voleva come il ritorno di un patrimonio culturale, si rivela invece il regalo a una famiglia reale», ha scritto sulla FAZ l’etnologa Brigitta Hauser-Schäublin, secondo la quale c’è anche il rischio che Ewuare II decida di rivendere i bronzi sul mercato dell’arte. Il tema spacca la comunità culturale tedesca: «Il senso della restituzione – ha scritto Die Zeit - è che in futuro sarà lo Stato sovrano della Nigeria a decidere sul destino di questi tesori. Non possono esserci condizioni paternalistiche in questa cessione. E dobbiamo accettare anche decisioni che non ci piacciono». CdS 16

 

 

 

 

Germania, il ministro Habeck silura il braccio destro per nepotismo

 

Berlino. Fine corsa per Patrick Graichen, sottosegretario e braccio destro del ministro dell’Economia e vicecancelliere Robert Habeck, che lo ha rimosso dalla carica.

Graichen, il vero Zar dell’agenda Verde, è stato travolto da uno scandalo di familismo nepotista, che sta ulteriormente danneggiando i Grünen e intaccando la popolarità di Habeck, fino a pochi mesi fa l’esponente di governo più gradito ai tedeschi. La causa immediata del licenziamento è stato il finanziamento a fondo perduto di 600 mila euro accordato dal viceministro a Bund Berlin, una ong ambientalista del cui cda fa parte nient’altri che sua sorella. «Un errore di troppo», ha detto il vicecancelliere in una conferenza stampa, spiegando di aver agito «per proteggere la fiducia nel lavoro di questo ministero in quanto istituzione».

La regalia a Bund Berlin segue infatti le rivelazioni sul ruolo cruciale avuto da Graichen nel processo di nomina del nuovo capo dell’agenzia federale per l’Energia, dove la scelta è caduta su Michael Schäfer, un esperto competente, ma anche l’amico di una vita e testimone di nozze del sottosegretario, circostanza che questi si è ben guardato dal rivelare.

Di più, anche l’altro segretario di Stato al ministero dell’Economia, Michael Kellner, è imparentato con Graichen avendone sposato la sorella Verena, la quale a sua volta lavora per l’Öko-Institut, un istituto indipendente di ricerca ambientale che ha fra i suoi maggiori committenti proprio il ministero dell’Economia.

Finora Habeck aveva fatto quadrato intorno al suo principale collaboratore. Ma ora è stato costretto a silurarlo, dopo che un’indagine interna ha svelato la vicenda del contributo a Bund Berlin, di cui la sorella di Graichen è stata anche direttore esecutivo fino al maggio 2022. Il ministro ha però spiegato che nessuna somma è stata ancora versata alla Ong.

Lo scandalo conferma le difficoltà in cui si dibattono i Verdi tedeschi nel governo e nell’opinione pubblica. Costretti dalla crisi energetica a frenare sull’agenda verde, sempre più identificati come il partito dei divieti, non più in sintonia con il cancelliere Scholz che si è avvicinato molto ai liberali, gli altri alleati della coalizione, i Grünen sono in piena crisi identitaria e soprattutto in forte caduta nei sondaggi, come ha mostrato domenica scorsa la pesante sconfitta nelle elezioni regionali di Brema. CdS 18

 

 

 

Usa 2024: De Santis in campo, una cattiva notizia per Trump e Biden

 

La macumba di Trump funziona. Se la buona campagna si vede dai primi tweets, quella di DeSantis è cominciata proprio male: problemi tecnici hanno ritardato e rovinato la festa annunciata, iniziata quasi mezz’ora più tardi del previsto e dopo diversi tentativi falliti perché l’elevato numero di collegamenti a Twitter Space mandava i server in tilt.

Di sicuro, il magnate ex presidente gongola: il lancio della candidatura del governatore della Florida alla nomination repubblicana per Usa 2024 è stato “un disastro come lo sarà la sua campagna”, scrive su Truth, il suo social. Anche la campagna di Joe Biden, presidente democratico, che punta al secondo mandato, ironizza. E diversi media titolano con un gioco di parole ‘DeSantis Desaster’.

Più male che bene, Ron DeSantis, 44 anni, ha comunque annunciato la sua candidatura, dialogando su Twitter con il vulcanico e controverso boss del social Musk, personaggio ambiguo, che presta a DeSantis, 4,5 milioni di followers, la sua platea di 140 milioni, ma contestualmente nega, parlando al Wall Street Journal, di volerlo sostenere nella corsa alla Casa Bianca. Prima del duetto su Twitter il governatore della Florida aveva depositato i documenti necessari alla sua candidatura.

DeSantis entra in scena. Ma Trump non ne esce: anzi, nei sondaggi lo doppia. Per un rilevamento della Cnn recentissimo, il 53% degli elettori repubblicani punta su Trump candidato, solo il 26% sceglie il governatore della Florida. Ma l’elettorato è ancora fluttuante e appare disposto a prendere in considerazione altri candidati: l’ex rappresentante Usa alle Nazioni Unite Nikki Haley, l’ex vice di Trump Mike Pence – entrambi al 6% -, il senatore nero della South Carolina Tim Scott e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie – entrambi al 2% -. Altri cinque candidati sono all’1% o meno. La lista è però destinata ad allungarsi e le posizioni a rimescolarsi.

DeSantis, un’alternativa repubblicana, né con l’establishment né con Trump

La decisione di DeSantis di lanciare la sua campagna dialogando con Musk su Twitter viene letta dai media Usa come un tentativo di conquistare la fiducia degli influencer di destra. Ora, gli esperti prevedono che il governatore cercherà di presentarsi come una scelta alternativa per il suo partito, né con establishment né con Trump.

DeSantis, considerato il più formidabile sfidante repubblicano che il magnate abbia mai affrontato, ha ottenuto sostegno dai conservatori e critiche dai progressisti limitando la possibilità di parlare nelle scuole di orientamento sessuale e identità di genere, ridicolizzando le chiusure causa pandemia e antagonizzando la ‘woke ideology’ e la ‘cancel culture’, nei media e in aziende come la Disney.

L’entrata in scena di DeSantis, un campione delle cause di destra che da anni punzecchia la sinistra, segna – scrive il Washington Post – “una svolta per il Partito repubblicano”, che, per la prima volta dal 2016, sembra disporre di un’alternativa a Trump. L’Ap, scrive che DeSantis, che finora s’è solo misurato con la realtà elettorale della sua Florida, deve superare “il test del suo appeal nazionale”, mentre i repubblicani dovranno dimostrare la volontà “di distanziarsi dall’ex presidente”.

Se otterrà la nomination, DeSantis, che contrappone al MAGA di Trump un suo ‘Make America Florida’, diventerà il primo italo-americano candidato alla Casa Bianca. La bisnonna materna, Maria Nolfi, nacque a Bugnara, in provincia dell’Aquila, nel 1901 ed emigrò giovanissima.

Assediato da inchieste e processi, Trump tenta contromosse

Fiutato il pericolo, Trump ha subito aperto il fuoco di sbarramento contro DeSantis, suo ex pupillo: lo critica per la scelta di lanciare la campagna su Twitter, lui che di Twitter è stato il massimo fruitore; dice che è sleale e che non può vincere le elezioni. In realtà, l’ex presidente è preoccupato: le inchieste lo assediano, i processi si susseguono.

I suoi avvocati chiedono un incontro al ministro della Giustizia Merrick Garland: lamentano che, nell’ indagine condotta dal procuratore speciale Jack Smith sui documenti sottratti alla Casa Bianca, l’ex presidente, “a differenza della famiglia Biden, è trattato in modo scorretto“: “Nessun presidente degli Stati Uniti, nella storia del nostro Paese, é mai stato indagato senza fondamento in modo così vergognoso e illegale”, scrivono. I media ne deducono che Smith stia per chiudere la sua inchiesta, che riguarda anche il ruolo del magnate nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Ci sono, poi, i processi in corso a New York. In quello in cui è imputato per cospirazione, il giudice lo ha pubblicamente ammonito a non intimidire i testimoni e ha fissato l’udienza al 25 marzo, cioè durante le primarie. E quello in cui è già stato condannato a risarcire la scrittrice E. Jean Carroll, che l’accusa d’una violenza sessuale di quasi trent’anni or sono, potrebbe avere un seguito, dopo commenti diffamatori del magnate nei confronti della donna.

Una cattiva notizia per Biden, alla prese con il rischio di default

La discesa in campo di DeSantis è una cattiva notizia anche per Joe Biden, impegnato in queste ore a cercare di sventare il default degli Usa il primo giugno: se un match con Trump è alla sua portata, uno con DeSantis, più giovane – ha 44 anni -, più vigoroso e meno polarizzante dell’ex presidente, non lo vede affatto favorito in partenza.

Secondo la Cnn, la campagna di Biden si stava preparando da tempo con discrezione ad affrontare DeSantis: ha già cominciato a spendere in Florida e deve decidere se continuare a farlo. Possono anche essere soldi buttati: sulla mappa dei Grandi Elettori di Usa 2024, la Florida è uno Stato perso per i democratici, se DeSantis sarà il candidato repubblicano.

Un sondaggio Ap-Norc mostra che gli Stati Uniti restano una nazione divisa e che molti cittadini – non sempre elettori – ne attribuiscono la responsabilità ai media, piuttosto che a leader che cavalcano il populismo e la polarizzazione. L’ennesima conferma del solco lasciato da Trump nella società Usa. 

Non solo DeSantis e Trump: il resto del campo repubblicano

La mossa di DeSantis ha oscurato quella di Tim Scott, l’unico senatore nero repubblicano, che s’è ufficialmente candidato alla nomination con il sostegno del numero due dei senatori repubblicani, John Thune, South Dakota, e avendo già raccolto 22 milioni di dollari per la sua campagna. Scott, 57 anni, ha una visione più ottimistica del futuro degli Stati Uniti, rispetto a Trump e a DeSantis.

Anche il governatore repubblicano della Virginia Glenn Youngkin sta riconsiderando se candidarsi, dopo essersi fatto da parte di fronte allo strapotere nei sondaggi di Trump: lo scrive Axios. Youngkin, 56 anni, ha battuto nelle elezioni del novembre 2022 il governatore democratico uscente Terry McAuliffe: è cristiano e conservatore, ma si considera alternativo al magnate e a DeSantis. Giampiero Gramaglia, AffInt. 25

 

 

 

 

La psicologa. Come superare la paura del giudizio degli altri

 

La paura del giudizio degli altri è un'esperienza comune che può influenzare profondamente la nostra vita quotidiana. Questa forma di ansia sociale può ostacolare la nostra autostima, relazioni interpersonali e persino le opportunità di crescita personale e professionale. In questo articolo, esploreremo alcune strategie efficaci per superare questa paura e vivere una vita più autentica e soddisfacente.

Comprendere la paura del giudizio

La paura del giudizio degli altri ha radici profonde nella nostra natura umana. È spesso alimentata dalla nostra necessità innata di appartenenza e approvazione sociale. Capire le radici di questa paura ci aiuta a contestualizzarla e a trattarla in modo più efficace.

Esaminare le credenze limitanti

Spesso, la paura del giudizio degli altri è alimentata da credenze limitanti su noi stessi. Esaminare e mettere in discussione queste credenze è un passo fondamentale per superarle. Possiamo iniziare a identificare i pensieri negativi che ci attraversano la mente quando siamo preoccupati del giudizio altrui e lavorare su nuove prospettive più positive e realistiche.

Coltivare l'autostima

Un'alta autostima è una difesa potente contro la paura del giudizio degli altri. Sviluppare un senso di autostima sano richiede tempo e impegno, ma può fare una grande differenza nella nostra capacità di affrontare le opinioni altrui. Concentrarsi sulle nostre qualità positive, riconoscere i nostri successi e nutrire una visione amorevole di noi stessi sono modi efficaci per coltivare l'autostima.

Sfide graduali all'ansia sociale

Superare la paura del giudizio degli altri richiede spesso una progressiva esposizione alle situazioni che ci provocano ansia sociale. Sfidarci gradualmente, affrontando piccoli passi verso il nostro obiettivo, ci aiuta a costruire fiducia e a superare i nostri limiti. Possiamo iniziare con azioni piccole, come partecipare a eventi sociali o condividere le nostre opinioni con persone di fiducia, per poi progredire verso sfide più significative.

Lavorare sulla consapevolezza di sé

Sviluppare la consapevolezza di sé è fondamentale per superare la paura del giudizio. Spesso, siamo così preoccupati di come gli altri ci percepiscono che perdiamo di vista la nostra autenticità. Prendere consapevolezza delle nostre emozioni, dei nostri bisogni e dei nostri valori ci permette di vivere in linea con chi siamo veramente, riducendo l'impatto del giudizio altrui.

Costruire una rete di supporto

Affrontare la paura del giudizio può essere un percorso complesso, ma avere una solida rete di supporto può fare la differenza. Condividere le nostre preoccupazioni e i nostri timori con amici fidati, familiari o un professionista della salute mentale può fornirci un sostegno emotivo e prospettive diverse. Sentirsi compresi e accettati da persone che ci supportano ci dà il coraggio di affrontare la paura del giudizio degli altri.

Celebrare l'individualità

Accettare e celebrare la nostra individualità è un modo potente per superare la paura del giudizio. Ognuno di noi è unico, con i propri interessi, valori e opinioni. Abbracciare ciò che ci rende speciali e abbandonare la necessità di conformarsi agli standard altrui ci dà la libertà di essere noi stessi senza paura di essere giudicati.

Concentrarsi sui propri obiettivi

Mettere il focus sui nostri obiettivi personali e sulle nostre aspirazioni ci aiuta a ridurre l'importanza del giudizio degli altri. Concentrarsi su ciò che vogliamo realizzare nella vita ci dà uno scopo e una direzione chiara. Quando siamo concentrati sui nostri obiettivi, le opinioni altrui diventano meno rilevanti e meno influenti.

Rinforzare l'autenticità

Infine, ricordiamoci sempre di rimanere autentici. Essere onesti con noi stessi e vivere in linea con i nostri valori ci porta a una maggiore coerenza e integrità. Quando siamo autentici, il giudizio altrui perde potere perché sappiamo di essere fedeli a noi stessi.

La paura del giudizio degli altri può limitare la nostra felicità e realizzazione personale, ma con le giuste strategie e un impegno costante, possiamo superarla. Esaminando le nostre credenze limitanti, coltivando l'autostima, affrontando gradualmente l'ansia sociale e costruendo una rete di supporto, possiamo vivere una vita più autentica e soddisfacente.

Ricorda sempre di concentrarti sulla tua individualità e sui tuoi obiettivi, e di abbracciare la tua autenticità. Il giudizio degli altri non deve definire chi siamo.

Claudia Bassanelli, CdI giugno

 

 

 

Preparazione e opzioni della controffensiva ucraina

 

Per certi versi, l’attesa per la controffensiva ucraina in cantiere da alcuni mesi è tanto spasmodica quanto speculativa. A differenza degli invasori russi, le forze armate ucraine sono riuscite a imporre il massimo riserbo sui movimenti delle unità sul campo e sulle intenzioni dello stato maggiore, mentre è continuata l’azione politica e diplomatica di Kyiv sul piano internazionale – compresa la visita del presidente Zelensky a Roma. Ironicamente, al di là delle cronache quotidiane, le uniche informazioni a disposizione per valutare i prossimi sviluppi al fronte provengono dai leaks del Pentagono, che a distanza di settimane sono ormai diventati in buona parte obsoleti, e dal rumoreggiare proveniente dalla bolla informativa russa. 

Le mosse preparatorie di Kyiv e Mosca

L’ansia fra i military bloggers russi, ma anche nelle dichiarazioni dei portavoce della Difesa e nelle parole del capo della compagnia di mercenari Wagner, Evgenii Prigozhin, riflette le azioni intraprese da Mosca per prepararsi alla controffensiva ucraina. Nelle ultime settimane sono tornate a intensificarsi le campagne di bombardamenti contro le città e lungo la linea del fronte. L’uso prettamente terroristico di imprecisi droni iraniani Shahed 136/Geran 2 contro i centri urbani è affiancato da attacchi missilistici contro snodi logistici e infrastrutture ucraine che verrebbero verosimilmente usate per il lancio della controffensiva. 

Anche gli ucraini stanno conducendo operazioni preparatorie: fra di esse si contano numerose incursioni in Crimea contro depositi di carburante e munizioni, sortite di piccole truppe nel delta del fiume Dnepr a Kherson, ma anche sabotaggi alla rete ferroviaria sul territorio della Federazione Russa e raid aerei contro le concentrazioni di truppe russe. Nei giorni scorsi è anche avvenuto con successo un contrattacco locale nella zona di Bakhmut, che ha fatto arretrare di un paio di kilometri le forze armate russe schierate ai fianchi della compagnia Wagner impegnata nel centro urbano. 

La direttiva della controffensiva ucraina potrebbe provenire da qualsiasi settore di un fronte lungo centinaia di chilometri. Nella situazione di incertezza, il ministero della Difesa russo sta ridistribuendo unità e munizioni sull’intera linea del fronte e ha deciso di de-prioritizzare la guerra di posizione a Bakhmut. Così facendo, i vertici delle forze armate sono entrate in contrasto con Prigozhin, che ha investito molto capitale politico e importanti risorse militari nella presa della cittadina, puntando a una vittoria simbolica che ancora gli sfugge grazie all’eroica resistenza ucraina. 

Tale frammentazione e politicizzazione della catena di comando russa e la continua ri-negoziazione di posizioni e risorse potrebbe rallentare una risposta efficace alla futura iniziativa ucraina. Non a caso, da dati satellitari open source sembrerebbe che i russi abbiano investito pesantemente in una serie di impianti difensivi come trincee, bunker e casematte, specialmente nella regione di Zaporizhia e negli accessi alla Crimea. Si tratta di un approccio statico che suggerisce scarsa fiducia nelle reclute mobilitate e nella capacità russa di montare una difesa flessibile e mobile.

Forze e opzioni a disposizione dell’Ucraina

Rimane l’incognita di se e quanto il supporto occidentale sia stato sufficiente a preparare le truppe ucraine. Dai leaks del Pentagono si deduce che Kyiv avrà a disposizione almeno dodici brigate equipaggiate con carri armati, mezzi meccanizzati e artiglieria di produzione occidentale. Esse dovranno dimostrare di poter eseguire complesse manovre coordinate sotto il fuoco nemico e di saper mantenere un certo grado di coesione anche nell’eventualità che le unità russe non si ritirino disordinatamente, come era successo nell’autunno del 2022 a Lyman, e impegnino le forze ucraine in combattimenti prolungati, su larga scala e ad alta intensità dalle proprie postazioni di difesa.

Tale incognita e il suddetto, comprensibile e legittimo, riserbo ucraino sulla controffensiva impongono cautela nel ragionare sulle sue chance e caratteristiche. In teoria, Kiev ha diverse opzioni a disposizione, di cui alcune meno praticabili di altre. In termini geografici e operativi, la Crimea è un bastione facilmente difendibile dalla Russia, il che rende molto improbabile un massiccio attacco ucraino alla penisola. La parte terminale e la foce del fiume Dniepr, per la loro ampiezza, rappresentano una barriera naturale che le forze russe potrebbero sfruttare per difendere più efficacemente la parte meridionale della regione di Kherson. Le pianure da Zaporizhia al Donbass rendono invece le grandi manovre di mezzi pesanti più agevoli, specie dalla metà di maggio in poi con il cambiamento delle condizioni del terreno. 

Quale vittoria militare?

In questo fronte pianeggiante lungo centinaia di chilometri, un eventuale sfondamento in profondità che permettesse alle forze ucraine di raggiungere la costa del Mar d’Azov, e interrompere così la continuità territoriale tra i territori occupati dai russi in Crimea e nel Donbass, rappresenterebbe una vittoria militare per l’Ucraina, limitata ma significativa. Infatti, segnerebbe un importante avanzamento del fronte dopo lo stallo degli ultimi sei mesi, indebolirebbe la capacità russa di tenere le aree di Kherson e Zaporizhia, e metterebbe in discussione il controllo russo dello stesso Mar d’Azov. Per gli stessi motivi, un tale arretramento rappresenterebbe una sconfitta militare per la Russia, la terza dalla scorsa estate dopo la rotta di Lyman e il ritiro di Kherson – per non parlare del fallimento del blitzkrieg russo su Kyiv, Kharkiv e Odessa oltre un anno fa. 

Quanto e come un’eventuale, limitata ma significativa vittoria militare ucraina, e la speculare sconfitta russa, influenzerebbero le scelte politiche delle rispettive leadership sul proseguimento del conflitto, è ancora più arduo da prevedere della stessa controffensiva in cantiere, entrando in gioco molte più variabili. In termini militari conterà anche come le due forze armate arriveranno alla fine della controffensiva, ad esempio in termini di rispettive perdite umane e materiali, della capacità logistica ucraina di mantenere la nuova linea del fronte, e della tenuta del morale e della catena gerarchica russa di fronte ad un’eventuale sconfitta. Michelangelo Freyrie - Alessandro Marrone AffInt 16

 

 

 

 

Elezioni comunali: in 6 su 7 città capoluogo vince il centro destra

 

Dai ballottaggi delle elezioni comunali emerge un risultato numericamente inequivocabile: in 6 su 7 città capoluogo hanno vinto candidati di centro destra, compreso l’unico capoluogo di Regione di questa tornata, vale a dire Ancona. Resta il macigno dell’astensionismo. Ai ballottaggi ha partecipato meno della metà degli aventi diritto (il 49,64%), nove punti in meno del primo turno - Stefano De Martis

 

Dai ballottaggi delle elezioni comunali emerge un risultato numericamente inequivocabile: in 6 su 7 città capoluogo hanno vinto candidati di centro destra, compreso l’unico capoluogo di Regione di questa tornata, vale a dire Ancona. Il centro sinistra si è affermato solo a Vicenza. Nel primo turno in Sicilia, dove si è votato domenica scorsa, già eletti i sindaci di Catania e Ragusa (centro-destra) e di Trapani (centro-sinistra), mentre a Siracusa si andrà al ballottaggio.

Ad Ancona Daniele Silvetti ha ottenuto il 51,7%. A Brindisi Giuseppe Marchionna si è affermato con il 54% e a Massa Francesco Persiani con il 54,4%. A Pisa Michele Conti è stato rieletto con il 52,3%, a Siena il nuovo sindaco è Nicoletta Fabio con il 52,2%. A Terni Stefano Bandecchi ha vinto riportando il 54,6% dei voti. A Vicenza, come si accennava, l’unico successo del centro-sinistra con Giacomo Possamai (50,5%).

Venendo al primo turno in Sicilia, Enrico Trantino è stato eletto sindaco di Catania (la più grande delle città coinvolte nelle amministrative di questa primavera) con ampio margine: 68,5% a scrutinio non ancora completato. A Ragusa Giuseppe Cassì è stato confermato con il 62,9%. Conferma anche a Trapani: Giacomo Tranchida ha ottenuto il 42,5% e per la legge elettorale siciliana il quorum richiesto è il 40%, non la maggioranza assoluta. A Siracusa tra due settimane si svolgerà il ballottaggio tra il candidato del centro-destra Ferdinando Messina (32,3%) e il sindaco uscente Francesco Italia (23,8%), sostenuto da quattro liste civiche.

Liste civiche che ancora una volta dimostrano a livello comunale una notevole capacità di aggregare consensi. Spicca per esempio il risultato di Terni. Bandecchi (personaggio molto popolare nella città umbra, tra l’altro è il presidente della Ternana calcio) ha battuto il candidato “ufficiale” del centro-destra, schieramento che pure esprimeva il sindaco uscente. Sull’altro versante, a Vicenza, anche il centro-sinistra di Possamai è privo di simboli di partito e il neo-sindaco ha voluto che nella città berica non si tenessero comizi di leader nazionali.

Un altro elemento di analisi “di sistema” è il ribaltamento della tendenza che vedeva il centro-sinistra prevalere sistematicamente nei ballottaggi, al punto che in Parlamento il centro-destra sta cercando di modificare la legge elettorale dei Comuni che pure in trent’anni ha dato ottime prove. Questo dimostra che oltre e talvolta più dei sistemi elettorali sono i comportamenti dei partiti a fare la differenza. Evidentemente, al di là degli inevitabili riflessi delle tendenze nazionali (ed europee), il centro-destra ha saputo stabilizzare il quadro delle alleanze e ha affinato la capacità di scelta delle candidature, come già alcuni politologi hanno sottolineato.

Resta il macigno dell’astensionismo. Ai ballottaggi ha partecipato meno della metà degli aventi diritto (il 49,64%), nove punti in meno del primo turno. L’ulteriore calo tra le due tornate non è una tendenza nuova ma andrebbe meglio approfondita. Se il problema della partecipazione fosse legato soprattutto alla percezione dell’efficacia del proprio voto, i ballottaggi dovrebbero registrare un’affluenza massiccia. In realtà i problemi sono molto più complessi e riguardano in misura decisiva la qualità dell’offerta politica. Sir 30

 

 

 

Il reshoring europeo come occasione d’investimento per la Cina

 

Negli anni Ottanta e Novanta era l’Europa ad andare in Cina. Ora sarà la Cina ad andare in Europa? La pandemia, le instabilità sui mercati energetici e la trade war tra Pechino e Washington sono solo alcune delle motivazioni che oggi stanno alla base al fenomeno di reshoring di molte attività strategiche. Ispirate da questo fenomeno, le aziende cinesi stanno guardando con attenzione il Vecchio continente come un’occasione di investimento greenfield.

L’impegno della Cina sulla mobilità elettrica

Questa tendenza sembra confermata dai dati. Secondo l’ultimo report congiunto del Mercator Institute for China Studies di Berlino (MERICS) e Rhodium Group gli investimenti cinesi sono in generale contrazione (-22% rispetto al 2021), tranne nel settore delle batterie. “Le aziende cinesi stanno investendo miliardi nella catena di fornitura dei veicoli elettrici in Europa. Sono diventati i principali attori della transizione verde europea”, ha dichiarato Agatha Kratz, che dirige il gruppo di ricerca dedicato alle relazioni Cina-UE.

Proprio il mercato della mobilità elettrica è al centro del fenomeno dei piani di investimento cinesi. Ad aprile la cinese SVOLT Energy Technology Co ha annunciato di aver pianificato l’allocazione di almeno cinque stabilimenti in Europa. Meta privilegiata rimane la Germania, dove SVOLT costruirà anche un impianto di assemblaggio dedicato all’automotive nel Brandeburgo, lo stato che ospita la gigafactory di Tesla. L’azienda punta a una capacità produttiva di almeno 50 gigawattora entro il 2030, sufficienti a produrre circa 100 milioni di celle all’anno che saranno capaci di alimentare oltre un milione di veicoli elettrici con batterie da 40 kilowattora.

Prima di SVOLT è stato il gigante delle batterie CATL ad annunciare la costruzione di uno stabilimento ad Arnstadt, nella Turingia. Le sei linee di produzione previste in Germania si aggiungono al primo stabilimento di Erfurt e all’enorme impianto da 100 gigawattora in Ungheria. CATL, che attualmente è il più grande produttore di batterie al mondo, è stato definito da molti una vera e propria potenza in ascesa nel settore delle automobili elettriche in Europa. Come riporta il documento del MERICS, gli investimenti diretti esteri annunciati dalla Cina nella supply chain delle auto elettriche sono aumentati vertiginosamente, passando dai 605 milioni di dollari del 2016 ai 24 miliardi del 2022. Secondo le stime, le aziende asiatiche avranno occupato il 44% del mercato Ue entro il 2030.

Pro e contro dell’impegno cinese nel reshoring europeo

Facilitate dal mercato dell’Unione, le aziende cinesi del settore avranno un effettivo vantaggio commerciale non appena gli stabilimenti entreranno in completa operatività. A ciò si aggiunge il divieto alla vendita di auto a diesel e benzina a partire dal 2035, una scelta che richiederà una completa riconversione dell’industria automotive europea in tempi rapidi con tutto ciò che essa comporta in termini di risorse umane e tecnologie. Una problematica che non è nuova alla leadership europea, che dal 2019 definisce la Cina un “rivale sistemico” per la poca trasparenza in materia di sussidi e agevolazioni verso le sue imprese all’estero.

La catena di approvvigionamento dei materiali necessari alla produzione delle auto elettriche, però, è complessa. Il ritorno delle attività industriali sul suolo europeo richiede una “regionalizzazione” della filiera difficile da attuare, ma necessaria a una nuova logica di mercato che non può più contare esclusivamente sul vantaggio economico delle attività offshore. Non più affidarsi a un modello di stoccaggio dei materiale “just in time” (lo stoccaggio dei materiali sufficienti a coprire un ordine già convalidato), bensì adottare una logica “just in case”. In altre parole, le imprese che stanno cercando di riavvicinare gli impianti al mercato di destinazione iniziano ora a ragionare in termini di facilità di approvvigionamento dei materiali sulla base di uno stoccaggio capace di sopperire agli imprevisti. 

Un tale approccio potrebbe condizionare anche l’operato delle aziende cinesi nell’Unione anche se le dinamiche delle catene di approvvigionamento sono spesso più complesse e le informazioni poco trasparenti. È quanto ha raccontato a Bloomberg il presidente e amministratore delegato di Manuli Rubber Industries SpA Dardanio Manuli nel momento in cui ha realizzato che rientrando dalla Cina e affidandosi ai fornitori UE aveva reso la sua azienda dipendente da una filiera che – in realtà – aveva origine in Ucraina.  

Il settore dei semiconduttori

Nel quadro delle tecnologie chiave per l’industria del futuro a zero emissioni rientra anche il discorso sui microchip. Complici le recenti manovre statunitensi per contenere l’espansione cinese in tale ambito, l’Europa è diventata un luogo di interesse per aziende come il gigante taiwanese TSMC, che hanno già annunciato la costruzione di nuovi impianti dedicati ai semiconduttori per il mercato europeo. A ciò si aggiunge uno scrutinio più attento da parte dei decisori europei, che hanno frenato delle acquisizioni ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. Tra i casi più eclatanti emerge quello di Wafer Fab, l’impresa di microchip con sede a Newport che era stata acquisita dalla cinese Nexperia. Ora il governo britannico ha chiesto all’impresa asiatica di vendere almeno l’86% delle quote per evitare la fuga di know-how verso la Repubblica popolare. Anche l’acquisizione della Elmos Semiconductor di Dortmund, Germania, è finita in un nulla di fatto a fronte di un intervento diretto del governo tedesco.

L’Italia per ora rimane un approdo lontano per le aziende cinesi, soprattutto quando si tratta di investire in progetti su larga scala e potenzialmente di media-lunga durata. Se si parla di iniziative legate alle componenti strategiche per la transizione energetica, in particolare, lo stivale rimane più un mercato che un nodo industriale da cui far passare la filiera tech di domani. Regno Unito, Francia e Germania rimangono le mete predilette dai capitali cinesi, un orizzonte a cui si è recentemente consolidato il ruolo dell’Ungheria. Ne è un esempio il caso del gruppo Stellantis, che oggi detiene una parte significativa del mercato italiano tanto nel comparto privato che quello dedicato ai veicoli commerciali. SVOLT è ufficialmente entrata nella rosa dei fornitori di batterie al litio con un accordo sulle forniture a partire dal 2025, e altri negoziati sono in corso con i diversi attori coinvolti nella produzione e nell’assemblaggio dei veicoli. Un reshoring con caratteristiche cinesi. Sabrina Moles - China Files, AffInt. 23

 

 

 

La via del riscatto

 

Il sistema politico nazionale vive ancora una sorta di “malessere”. Ora basterà la tenacia del nuovo Esecutivo per un Paese alla ricerca di un suo equilibrio socio/economico. Molti schieramenti politici hanno perso l’originaria compattezza e affidabilità. I partiti sembrerebbero delegittimati. In verità, tali li sentiamo; con la differenza che non tutti abbiamo l’obiettività d’ammetterlo. L’agonia delle idee non consente, però, diverse opinioni. Intanto, il Paese è allo sbando.

 

Ci sono ancora troppi punti d’ombra che chiedono d’essere illuminati. Prima di tutto, almeno a parer nostro, si dovrebbero mettere a fuoco i parametri su i quali puntare per frenare la recessione. Chi s’illude di tornare agli Esecutivi del “buon governo” è un utopista in partenza. La teoria dei “poli” non convince.

 

Meglio riconoscere che tutti i partiti, anche quelli che ci hanno accompagnato in Pandemia sono in stallo. Una realtà che non dovrebbe, però, implicare confusioni del quadro istituzionale nazionale. I tempi ci hanno fatto capire che politica ed economia, pur convivendo, marciano su binari che non dovrebbero incrociarsi più. Il Paese non ha bisogni d’altri confronti per tenare di frenare la sua discesa. L’isolamento, che ancora condiziona tanti politici, affossa anche il buon tratto di chi sarebbe meritevole. Del resto, cambiare al “buio” non giova e la Democrazia è un bene troppo prezioso perché si giochi su posizioni sconsiderate. Così, pur muovendoci verso il nuovo, non ci sentiamo di sminuire le nostre perplessità per l’immediato futuro. Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, non vorremmo che fossimo privati anche di questa. La via del recupero nazionale è ancora da percorrere ed è in salita.

 

Lo abbiamo capito. L’importante, a questo punto, è che la politica, che resta sempre il più inquietante polo di diatriba, non vada a complicarsi. Anche perché altri “apparentamenti” non avrebbero futuro se applicati alla solita maniera. Lo abbiamo già scritto: la riabilitazione nazionale dovrebbe avere differenti parametri da evidenziare. Di promesse, rimaste ancora tali, il Paese non ne ha proprio più bisogno. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Nuove guerre

 

Le guerre cambiano rapidamente. Ma molti – nella discussione pubblica – usano gli stilemi della guerra di resistenza per sostenere chi viene aggredito o il precedente dell’invasione americana dell’Iraq per relativizzare le responsabilità di chi invade.

Ma le guerre sono cambiate profondamente. Gli Stati Uniti si sono ritirati da molti conflitti mediorientali, ma Russia, Libia, Siria, Iran, Arabia Saudita, Turchia, molti Stati africani, Francia (in Africa) stanno combattendo utilizzando direttamente gruppi che ricorrono ai metodi propri del “terrorismo” – piuttosto che quelli degli eserciti regolari -, dando parvenza di minimizzare i traumi a cui sottopongono intere comunità o riducendo le responsabilità della grande politica. Intanto abbondano armi chimiche, decapitazioni, eserciti di mercenari, assedi medievali, sequestri e deportazioni di massa, città annichilite: perché così, di fatto, funzionano le guerre del terzo millennio, oggi.

Trasformazione delle guerre

Ciò non avviene, penso, per accresciuta crudeltà delle parti. È piuttosto l’epoca del trionfo del potere dei servizi segreti e delle nuove élites politico-militari, capaci di spacciare per vere realtà quelle capovolte, o creare mostri indispensabili, come quando Hitler favorì l’incendio del Reichstag per incolparne gli avversari.

Nell’Ottocento le grandi battaglie – quali Magenta, Austerlitz o Waterloo – si svolgevano lontano dai centri abitati. Dalla II Guerra Mondiale non è stato più così. In questi termini, nessuno può negare che gli Stati Uniti abbiano svolto un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione dei conflitti, ormai costruiti sulla distruzione e il terrore: l’uso della bomba atomica in Giappone, del napalm in Vietnam e dell’uranio impoverito in Iraq, stanno a testimoniare.

Mi sembra evidente che il problema è sentirsi sicuri di ciò che si ascolta, si vede e si legge. Ci si trova, infatti, facilmente trascinati in dinamiche tanto superate quanto manichee: “vittime contro carnefici”, “buoni contro cattivi” e via di questo passo. Certamente esistono torti e ragioni, ma le vittime non sono sempre buone, eroiche, innocenti. E poi, come potrebbero oggi i “buoni” restare immuni dall’uso dei “cattivi” sistemi?

Nelle nuove guerre si percepiscono spesso complicità inconfessabili, intrecci globali di malavite, trafficanti di armi, di droga e di esseri umani. Se non si prende atto di tutto questo marciume, ci si può trovare a coprire i grandi poteri dell’oggi, intrappolati nelle categorie del passato. Con queste guerre non si può ragionare come nel Novecento, sebbene il cuore non cessi di battere, e fatalmente batta più da una parte che dall’altra.

Guerre e società

Più le guerre divengono feroci, più trasformano le società coinvolte, perché creano nuove narrazioni e nuove cerchie di ultra-ricchi. Le storie dei popoli costruivano una psicologia collettiva, e questa emergeva nei conflitti.

È ancora così. Ma ora i nuovi poteri usano l’odio, i traffici e il terrore non solo in relazione ad interessi e territori più o meno circoscritti, bensì in ragione di ideologie fanatiche al servizio di élites miliardarie, operanti su scala mondiale, che facilmente usano anche le religioni per legittimarsi.

Porto qui qualche ricordo – da giornalista – sperando possa giovare alla ricostruzione della enormità del cambiamento.

La guerra libanese – quella che cominciò nel 1975 e si protrasse fino alla fine degli anni Ottanta/inizi Novanta – ha contenuto in sé tante guerre: la principale è stata la trasformazione di un conflitto territoriale in un conflitto religioso che interessava all’ Iran. L’ho vista nella sua “coda” quella guerra.

Ho cominciato a capirla quando mi sono chiesto perché il centro di Beirut fosse polverizzato, mentre i quartieri limitrofi erano in piedi. Almeno una parte di quel conflitto, dunque, è stata volutamente rivolta contro il centro di Beirut e il suo stile architettonico, intenzionalmente promiscuo. I falangisti cristiani lo volevano solo “occidentale”, ieri: oggi gli Hezbollah sciiti lo vorrebbero solo “orientale”.

Beirut anni ’90

Ricordo benissimo quella sera in cui mi sono trovato davanti alla “resistenza della cultura borghese”. Cerco di spiegarmi. Erano gli anni Novanta quando giunsi a Beirut. Una sera, appunto, ero ad Hamra, il cuore del cosiddetto versante musulmano di Beirut.

Camminare di sera, senza illuminazione stradale, era complicato: le persone sembravano ombre, le strade erano piene di pozzanghere sulla cui natura era meglio non indagare. Una donna, velata, varcò un portoncino: scoprii che lì c’era un negozio. Entrai anch’io: la vidi chiedere senza esitazioni una bottiglietta di Chanel n.5. Ho vissuto quei minuti come un momento di rivelazione della rivoluzione borghese del Libano.

Chanel – simbolo francese per eccellenza della Francia prediletta dai cristiani maroniti – era la scelta borghese di una donna musulmana, sicura di quel che faceva, quindi cosmopolita, quindi libanese nel senso profondo di una identità condivisa nelle diversità. Forse non amava le truppe francesi, ma quel Chanel lo chiese a voce alta, in un emporio affollato da musulmani.

Sempre a Beirut, città allora senza telefoni, alcuni libanesi presero i cavi delle linee telefoniche di Cipro e, con un’operazione sottomarina, li portarono in città, con le prolunghe: con pochi dollari fu possibile chiamare ovunque nel mondo da cabine create allo scopo.

Con questi ricordi ben fissi, mi sono convinto che il sistema tribale del tiranno siriano Bashar al-Assad abbia continuato a combattere la cultura borghese e cosmopolita di Beirut, anche dopo la fine della guerra. Oggi, infatti, la borghesia libanese è scomparsa.

Baghdad-Belgrado

Mi servì tempo per capire poi che in Iraq stava accadendo la stessa cosa, in termini persino più gravi. Vi resisteva, un poco, la vecchia élite, colta e di gran qualità, ma la borghesia mi sembrava ormai svanita, dopo un ventennio della cura infernale del satrapo Saddam.

All’inizio del nuovo millennio, a Baghdad, i negozi delle grandi firme c’erano, ma solo in un noto quartiere periferico, quello in cui viveva parte dell’élite, un po’ di alta burocrazia e i tanti arricchitisi con i contrabbandi di regime. A Beirut invece i negozi di stampo occidentale si trovavano in tanti quartieri.

Pure a Belgrado, nei terribili anni di Milosevic, c’era una vera, preparatissima borghesia, europeista e nemica giurata del regime che voleva creare la Grande Serbia, a tutti i costi. Quella borghesia non credeva al mito nazionalista, parlava volentieri francese, pensava all’Europa. Ha vinto? No, ma ha sfidato Milosevic, senza aiuti dall’estero.

Cos’altro c’era se non la stessa forza rivoluzionaria nella donna che, dal sedile posteriore di un’auto saudita, aveva deciso di voltarsi verso di me, abbassare il velo che le copriva la bocca e sorridermi per un solo momento, prima che le rispettive auto si allontanassero? Ho pensato: «Paese che vai, resistenza che trovi!».

Sebbene poco ci si creda, ho visto le borghesie saper sfidare – almeno in parte – le verità etniche e confessionali della guerra che vuole fare dell’altro il nemico assoluto.

Cultura contadina

Ho visto scendere in campo, peraltro, anche la cultura contadina. Mi ha sorpreso, dallo stesso punto di vista, l’alterità culturale contadina, forse la più atavica. Nel deserto iracheno, nel 1990, un plotone dell’esercito di Saddam uscì dal nulla per arrendersi nelle braccia del collega del Tg3, Filippo Landi: e ciò prima ancora che la guerra per liberare il Kuwait fosse cominciata: erano soldati ed erano tutti vestiti di stracci.

Una diserzione – così davvero popolare – da una guerra che apparteneva al regime, l’ha potuta raccontare solo Landi. Quando incontrai il collega – che mi mostrò il filmato – provai una grande ammirazione per quel gruppo di contadini, improvvisati guerrieri, per la forza rivoluzionaria del loro gesto solo apparentemente senza coraggio, se non quello di indicare che il loro re era nudo. Forza contadina!

Le guerre imposte da ideologie perverse odiano i loro stessi popoli, usati e gettati. Ma il loro punto di vista poco o per nulla, però, tuttora ci interessa. La guerra, dunque, cambia e trasforma le società, con i soldi, l’odio e le ideologie. Eppure, il racconto   degli inviati rimane prioritariamente un racconto di “trincee”, di questi o di quelli, degli uni contro gli altri armati.

A occhi aperti

Ma certo, è importante distinguere e sostenere la guerra difensiva da quella offensiva: nei comportamenti, nei valori, nei metodi. È qui che la nonviolenza può diventare un prezioso alleato di chi “resiste”. Chi combatte la mafia raramente riserva ai mafiosi gli stessi trattamenti da loro applicati alle loro vittime. Se lo dimentichiamo, la disumanizzazione dilaga.

Faccio allora un ultimo esempio. Un giorno volevo raggiungere il cosiddetto versante serbo di Sarajevo, arrivando da Belgrado. La “Sarajevo serba” ha un suo nome che non ricordo: è un agglomerato di case abbastanza lontano da Sarajevo città. Partii e fu un viaggio lungo, in un paesaggio agreste, tra covoni di fieno e contadini al lavoro. Improvvisamente mi apparve una casa bucata al suo centro da una cannonata: evidentemente ci doveva abitare una famiglia dell’etnia “sbagliata”.

Superata la fittizia capitale serbo bosniaca di Pale, imboccai la strada che conduce sul monte Igman, che sovrasta Sarajevo: dal suo fianco i cetnici – i miliziani serbi – tenevano sotto assedio la città. Uno di loro mi ha invitato alla sua postazione e mi ha “offerto” la “ghiotta” possibilità di sparare un colpo di mortaio su Sarajevo. Mi guardava ridendo, felice di offrire allo straniero un simile privilegio. Sono tornato in macchina col cuore in tumulto. Tanti discorsi sulla NATO, sugli errori o sugli orrori degli americani mi sono spariti dalla testa.

Non dimenticherò mai lo sguardo di quel cetnico che mi ha inviato a lanciare un colpo di mortaio su Sarajevo: per certi versi, mi ha aperto gli occhi, “per sempre”, sugli ideologismi. Proprio quello sguardo mi ha riportato in me stesso, quasi legandomi a quelle piccole sagome nere – umane – che vedevo, da lontano, muoversi in quella città: per vivere, per sopravvivere.  Non ero forse chiamato a custodire il loro diritto di difesa? Parlarne voleva dire anche aiutarli a non odiare nello stesso modo. Riccardo Cristiano, Sett.News 12

 

 

 

Assegno di inclusione e supporto per il lavoro negati agli italiani che rientrano

 

ROMA - “Il Decreto legge n. 48/2023 entrato in vigore lo scorso 5 maggio prevede misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro. Queste nuove misure che dal 2024 sostituiranno il RDC (Reddito di cittadinanza) sono “l’Assegno di inclusione” e il “Supporto per la formazione e il lavoro”. Si tratta di due benefici economici: il primo è in pratica una integrazione al reddito familiare per famiglie povere; il secondo è uno strumento teso a favorire l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa mediante la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro”. Così Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, che in una nota spiega perché delle due misure non potranno beneficiare gli italiani che rientrano dall’estero.

“Con la legge di bilancio per l’anno finanziario 2023 – ricorda Porta – è stata disposta l’abrogazione dal 1° gennaio 2024 del Reddito e della Pensione di cittadinanza. Purtroppo entrambe le nuove misure sono subordinate (come il RDC d’altronde) a requisiti di residenza in Italia che escludono praticamente tutti i nostri connazionali emigrati i quali dovessero rientrare e trovarsi in una situazione di disagio economico e lavorativo. Infatti per aver diritto ai due benefici economici ed occupazionali bisognerà far valere almeno 5 anni di residenza in Italia (e questo requisito non rappresenta ovviamente un ostacolo per gli italiani che rientrano in patria) di cui due immediatamente prima della presentazione della domanda (ed è questo il requisito che non potrà essere fatto valere dai nostri emigrati iscritti all’Aire che rientreranno in Italia), come stabilito dagli articoli 2 e 12 del Decreto”.

“Paradossalmente – aggiunge il deputato – i requisiti di residenza di cui sopra che escluderanno dai due benefici gli italiani che rientrano in patria sono stati introdotti (in effetti sono stati “ribaditi” perché mutuati dalla normativa sul RDC) proprio dopo che la Commissione europea (come ho denunciato a più riprese e anche in una mia recente interrogazione al Ministro del Lavoro) ha avviato due procedure di infrazione nei confronti dell’Italia, inviando lettere di costituzione in mora all'Italia, in ragione del fatto che le normative sul RDC e sull’AUU non sono in linea con il diritto dell'UE in materia di libera circolazione dei lavoratori e dei diritti dei cittadini”.

“Con riferimento al requisito della residenza, infatti, l’istituto del reddito di cittadinanza prevede, tra gli altri, quale condizione per accedervi, l’aver soggiornato in Italia per 10 anni, di cui 2 consecutivi, immediatamente prima della presentazione della domanda”, annota Porta. “A norma del regolamento (UE) n. 492/2011 e della direttiva 2004/38/CE, la Commissione ricorda infatti che “le prestazioni di sicurezza sociale come il "reddito di cittadinanza" dovrebbero essere, invece, pienamente accessibili ai cittadini dell'UE che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato. Inoltre, i cittadini dell'UE non impegnati in un'attività lavorativa per altri motivi dovrebbero poter beneficiare della prestazione alla sola condizione di essere legalmente residenti in Italia da almeno tre mesi”.

“Insomma, il nuovo Governo ora conferma i pasticci di quello precedente in materia di compatibilità dei requisiti di residenza richiesti per le prestazioni di sicurezza sociale con la normativa comunitaria sulla libera circolazione e i diritti sociali dei cittadini. Aspettiamoci perciò nuove procedure di infrazione della Commissione europea contro l’Italia a causa dei requisiti di residenza ora richiesti nel Decreto Lavoro ai fini del diritto all’Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione e il lavoro che – conclude – come ho ricordato sono ritenuti illegittimi dalla Commissione europea e che penalizzerebbero (con l’esclusione dal diritto) anche e soprattutto – se l’Italia non si adeguerà ai rilievi della Commissione europea – i nostri connazionali che rientrano in Italia”.

(aise/dip 17) 

 

 

 

 

La meta

 

Nel lessico corrente, “meta” esprime la nozione d’obiettivo che s’intende raggiungere. Nessun vocabolario, però, riporta “come”. Con questa premessa, intendiamo considerare la situazione nazionale. A nostro avviso, però, più che la “meta” da raggiungere, ci sembrano interessanti i “modi” con i quali potrebbero essere attivata.

 

 Anche perché le “mete”, alla fine, si sorpassano, mentre restano, per anni, i meccanismi utilizzati per il loro mutamento. Per questo motivo, le nostre riflessioni si limitano ai fatti recenti. Le previsioni non avrebbero pregio.

 Intanto, l’Italia ha bisogno di fiducia. Su quest’assioma, riteniamo che nessuno discordi. Il difficile, se non impossibile, è trovare i mezzi per dare consistenza a un termine che, se resta effimero, che non crediamo possa essere utile a nessuno. Se fosse sufficiente la buona volontà, il nostro spazio di stima varierebbe. Sarebbe preferibile; ma non è così.

 

La politica del “quotidiano” resta sempre in primo piano, ma gli effetti d’ottimizzazione per il Paese stanno ancora confinati nel limbo di ciò che poteva essere e non è stato.

Non avendo altre opportunità, la nostra linea resta sul fronte dell’osservazione. Tenteremo, pur nei nostri limiti, d’essere propositivi. Anche se non avremo la convinzione d’essere condivisi in toto.

 

Il traguardo da raggiungere resta, quindi, subordinato dalle scelte che il Paese farà. Altre strade non ne vediamo. Anche perché non ce ne sono.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

"L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli" in 42 sedi italiane all’estero

 

ROMA - In occasione della Giornata dell’Europa, che si celebra ogni anno il 9 maggio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e la Fondazione Torino Musei hanno presentato la mostra “Europa. L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli” in 42 sedi della rete diplomatica-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura nel mondo, per illustrare attraverso il linguaggio universale delle immagini i valori fondanti dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa.

Prendendo avvio dal progetto espositivo realizzato dalla Fondazione Torino Musei a Palazzo Madama in occasione della 132ma Sessione del Comitato dei Ministri degli Esteri del Consiglio d’Europa, svoltasi a Torino a maggio 2022, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha fatto propria questa iniziativa commissionando due nuove illustrazioni: la prima dedicata al concetto di comunità, ispirata ai Trattati di Roma del 1957, e la seconda al Manifesto di Ventotene.

È nata così una mostra che rende omaggio all’Europa e ai suoi valori con esposizioni ed eventi, nel mese di maggio 2023, nei cinque continenti.

Gli illustratori coinvolti e i temi trattati sono: Matteo Berton, Palazzo Madama; Rita Petruccioli, I trattati di Roma; Gio Quasirosso, Ventotene; Camilla Falsini, Libertà; Elisa Seitzinger, Rispetto della dignità umana; Andrea Serio, Uguaglianza; Anna Parini, Democrazia; Francesco Poroli, Stato di diritto; Irene Rinaldi, Rispetto dei diritti umani; Lucio Schiavon, Fratellanza; Ale Giorgini, Lavoro; Emiliano Ponzi, Cultura; Bianca Bagnarelli, Pace; Marina Marcolin, Ambiente; Gianluca Folì, Scienza; Giulia Conoscenti, Inclusione.

Ripartendo dal significato latino del verbo “illustrare” – far luce, rischiarare, spiegare –, ogni autore ha proposto un distillato della propria visione, per raffigurare e rendere comprensibili i diversi valori a qualsiasi pubblico, di qualunque età e formazione, tramite un messaggio potenzialmente chiaro, immediato e adeguato alla rapidità della sua percezione. Con pochi segni e colori si sono riassunti fiumi di parole o di azioni nella semplicità iconica di immagini che possano restare impresse nella memoria di ciascuno di noi.

Una memoria che risale a quel lontano 9 maggio del 1950 quando l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman proponeva la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. In quegli anni, le devastanti conseguenze della Seconda Guerra Mondiale incombevano sulle nazioni europee e Schuman aveva immaginato che la fusione delle produzioni di carbone e acciaio avrebbe reso impensabile un nuovo conflitto. La sua storica dichiarazione è considerata l’atto di nascita di quella che oggi è l’Unione Europea: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

“Il 18 ottobre 1961 a Palazzo Madama a Torino viene firmata quella Carta Sociale Europea che apre alla piena integrazione dei diritti nel continente”, ricorda Giovanni Carlo Federico Villa, curatore della mostra. “Quei diritti che, con il linguaggio universale delle immagini, grandi illustratori italiani hanno saputo narrare in modo del tutto originale, dimostrandosi pieni eredi della tradizione dell'umanesimo e veri interpreti di un nuovo rinascimento visivo”. (aise/dip 16)

 

 

 

 

Tajani/ Eletti all’estero: La Marca (Pd) chiede più servizi e interventi per la carenza di personale nei consolati

 

ROMA - Si è tenuto ieri, 16 maggio, alla Farnesina, l’incontro tra i parlamentari eletti all’estero e il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Presente anche la Senatrice del Pd eletta in Centro e Nord America, Francesca La Marca, che ha commentato: “è stato un incontro fruttuoso e per questo ringrazio il Ministro per avermi invitata. Con l’occasione ho voluto portare alla sua attenzione alcune tematiche di notevole importanza per i nostri connazionali residenti all’estero, oltre che far luce su alcune criticità della mia ripartizione elettorale”. In primis, il “funzionamento dell’unità di crisi per i connazionali all’estero” e la “situazione drammatica, dovuta a una carenza di personale, nelle Sede Consolari”.

“Nonostante nell’ultima Legge di Bilancio, grazie al lavoro del Partito Democratico, ci sia stato un aumento di 3.150 unità da destinare alle Sede Consolari, purtroppo il numero è ancora inferiore alla soglia necessaria per un adeguato funzionamento dei servizi – ha aggiunto ancora la senatrice dem -. Inoltre ho sottolineato anche alcune criticità che mi sono state sottoposte dai nostri connazionali per quanto riguarda le attese, spesso annuali, nel richiedere un appuntamento per ottenere la cittadinanza. Un tempo elevatissimo che deve assolutamente essere ridotto. Il Ministro mi ha poi anche ascoltato sulla spinosa questione degli Enti Gestori di Lingua Italiana nel mondo. Ho fatto l’esempio del Canada dove, su 7 enti gestori, ben 6 sono rimasti tagliati fuori dai finanziamenti, o perché non hanno fatto richiesta o perché non sono riusciti a ottenere i fondi necessari per i loro progetti. Questo crea un rallentamento per quanto riguarda la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo che non è assolutamente accettabile”.

“Un’altra tematica che ho posto all’attenzione del Ministro Tajani- ha continuato la senatrice La Marca - è quella relativa al finanziamento per i Consoli Onorari nel mondo. Nonostante, con un mio emendamento alla Legge di Bilancio, sia riuscita a triplicare la dotazione dei suddetti fondi, essi non sono ancora assolutamente sufficienti. Bisogna intervenire quindi sul capitolo di bilancio per quanto riguarda i Consoli Onorari. Così come bisogna intervenire per semplificare la prenotazione, per le pratiche relative al rilascio dei passaporti, della cittadinanza e dello stato civile, che avviene tramite il sito “prenot@ami” che, dal suo lancio datato giugno 2021, spesso è stato al centro di molte lamentele che mi sono state sottoposte. Tempi di prenotazione troppo lunghi sul sito, e spesso malfunzionamento di quest’ultimo, sono le problematiche su cui bisogna prendere provvedimenti”.

La senatrice La Marca ha anche sottolineato la necessità di una maggiore chiarezza sul progetto del “Turismo delle Radici” e su come e quando i fondi destinati ad esso verranno utilizzati.

“Le richieste che ho sottoposto al Ministro hanno trovato la sua piena attenzione, e per questo lo ringrazio. Sono sicuro che questo sarà solo il primo di una lunga serie di incontri finalizzati a prendere coscienza, e a trovare delle soluzioni rapide, alle problematiche che preoccupano gli italiani all’estero” ha concluso la senatrice Francesca La Marca.

All’incontro hanno partecipato, oltre a 10 eletti all’estero e a il Ministri Tajani, anche il Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, Giorgio Silli, il Direttore Generale per gli Italiani all’estero, Luigi Maria Vignali, e il direttore generale per le risorse e l’innovazione, Renato Varriale. (aise/dip 17) 

 

 

 

Una questione da chiarire

 

Dopo qualche settimana di “silenzio” abbiamo ricevuto alcune valutazioni da Connazionali che ci leggono dalla Germania. Una presa d’atto gradita, proprio perché evidenzia l’interesse degli Italiani “altrove” per il fronte socio/politico nazionale che, ne abbiamo preso atto, continua a degradare. Noi non ci siamo schierati a favore di nessuno, ma i risultati politici li analizzeremo. E’ una promessa.

 

Le esternazioni di circostanza le lasceremo, però, a chi è competente. Noi prenderemo, se ci saranno, in esame le reazioni del nostro Potere Legislativo in quest’autunno molto “difficile”. Che, comunque, sarà chiamato a elaborare una nuova legge elettorale. Ogni previsione, ora, sarebbe poco utile per fare chiarezza su quanto succederà.

 

 Non mancheranno qualificati commenti che saranno interessanti da leggere e sui quali avremo l’opportunità di riflettere. Sul fronte delle “scelte”, le congetture già si sprecano e ci sembra inutile esprimere anche nostre “sensazioni” che, ovviamente, ci sarebbero. Questo periodico internazionale ospiterà, sicuramente, Opinionisti; quando avranno motivo d’intervenire. Le questioni politiche da chiarire, ora, non sono marginali e di ciò s’è reso ben conto anche questo Esecutivo che continua, forse unico nella storia della nostra Repubblica, a “vivere” sulla fiducia di partiti nati per “garantire” una seria opposizione. Quella che, oggi, non c’è. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Le origini abruzzesi di Ron DeSantis, in corsa per la Casa Bianca

 

"E' una grande notizia: un bugnarese di seconda generazione in corsa per la Casa Bianca, speriamo di poterlo ospitare qui al più presto". Un lontano cugino ricostruisce l'albero genealogico del governatore: "Qui anche altri parenti"

Ha salde origini abruzzesi Ron DeSantis, 44 anni, governatore della Florida, aspirante candidato alla Casa Bianca, alle presidenziali 2024. E’ ritenuto il più probabile sfidante di Donald Trump all'interno del Partito repubblicano. La bisnonna materna Maria Nolfi, classe 1901, emigrata negli Usa da giovanissima e morta a soli 43 anni, era di Bugnara, piccolo centro dell’Aquilano.

“E’ una grande notizia - dice ad Adnkronos il neo sindaco di Bugnara, Domenico Taglieri, eletto lo scorso 15 maggio - un bugnarese di seconda generazione in corsa per la Casa Bianca. Speriamo, naturalmente, che la candidatura si concretizzi. Aspettiamo con trepidazione. Comunque siamo orgogliosi di lui, un orgoglio tutto italiano”.

Il primo cittadino ricorda come il paese, agli inizi del ‘900, contasse circa 3mila abitanti. “Ci furono - spiega - due importanti ondate migratorie, a cavallo tra la prima e la Seconda Guerra mondiale e nel secondo dopoguerra. In tanti partirono per gli Usa ma anche per il Venezuela a cercare fortuna”. Attualmente sono circa 1.100 i residenti. “Tifiamo per De Santis, sperando di poterlo ospitare qui al più presto”.

A Bugnara l'attuale governatore della Florida e aspirante candidato alla Casa Bianca ha anche un lontano cugino che ha ricostruito l’albero genealogico, partendo dai suoi avi per arrivare a Ron (all’anagrafe Ronald Dion) DeSantis, classe 1978. E' Osvaldo Lupi, ex assessore comunale a Bugnara (Aq): era in carica, con deleghe Bilancio e Urbanistica, fino a pochi giorni fa, quando in paese si è rivotato e non si è ricandidato. Ha ricostruito le discendenze di DeSantis, scartabellando negli archivi comunali di Bugnara e non solo, dal 1889.

“Maria Nolfi - riferisce Lupi ad Adnkronos - la bisnonna di Ron, era la sorella di mio nonno Domenico. Entrambi sono emigrati in America. Lei (1901—1944) è morta giovane dopo aver sposato Nicola De Santis (1898-1971). Da loro è nato, negli Usa dove si erano stabiliti, Daniel James DeSantis (1923-1979), nonno del governatore, che ha sposato Viola Petrella (1923-2016), anch’ella di origini abruzzesi, figlia di Salvatore e Maria Dominique Casasanta. Da loro - continua Lupi - è nato Ronald Daniel DeSantis, papà dell’aspirante candidato presidente degli Stati Uniti. Questo da parte paterna. La mamma si chiama Karen Ann Rogers, e discende da Rogers-Delisio, Ruggiero-Storti-DeOto. Anche dall’altra parte, da quella materna, ci sono origini italiane, ma non saprei indicarne la provenienza”.

Un tuffo nel passato. “Maria Nolfi - spiega ancora Lupi ad Adnkronos - abitava in quella strada che un tempo era Vico Torrione. Qui ci sono anche altri parenti del governatore. Più volte, ma inutilmente, ho cercato di contattare DeSantis per chiedergli una visita in Abruzzo o comunque un incontro. Siamo contenti del ruolo che ricopre e del fatto che ambisca a diventare il Presidente. Gli auguriamo tutta la fortuna possibile. Comunque è uno dei governatori più votati ed è un ottimo punto di partenza”.  Adnkronos 25

 

 

 

Tra alluvione e crisi della politica

 

In questi giorni siamo tutti sconvolti dai drammatici eventi alluvionali che hanno colpito la Romagna. Tutti ci chiediamo se non fosse possibile fare di più: se le amministrazioni, la politica hanno mancato nella prevenzione.

Certo, è chiaro che gli eventi erano assolutamente estremi. Storicamente rari. Ma, in futuro, rischiano di esserlo sempre meno.

Molti esperti hanno spiegato in questi giorni che occorrerebbe una diversa politica della gestione del territorio, capace non solo di assicurare l’ordinaria manutenzione dei corsi d’acqua (a volte, sarebbe già tanto), ma soprattutto di ripensare criticamente e radicalmente il modo in cui, per decenni, abbiamo edificato, irregimentato, ristretto gli alvei fluviali.

Insomma, servirebbe una visione nuova del territorio: il che vuol dire spostare migliaia di costruzioni, rivedere ponti e strade, costruire opere di contenimento che siano in grado di sostenere gli eventi metereologici estremi cui andiamo incontro a causa del cambiamento climatico. Mentre cerchiamo di arrestarlo, ovviamente. Con una enorme riconversione economica e culturale.

È chiaro che una sfida come questa comporta, da un lato, enormi risorse; ma – soprattutto – richiederebbe una capacità di governo, di decisione, a volte di imposizione estremamente elevata ed efficace.

Facciamo un esempio molto concreto. Chi di noi, oggi, accetterebbe di buon grado l’ordinanza di un sindaco che, prendendo sul serio il cambiamento climatico, gli imponesse di non abitare più la sua casa perché costruita – legalmente, si badi – nel raggio di azione di un fiume? O di rilocalizzare la propria azienda, per lo stesso motivo? E con quali poteri, peraltro, questo sindaco potrebbe agire? Andando incontro a quale via crucis di polemiche, ricorsi, sentenze, con l’ovvio rischio di non essere mai più rieletto?

Ecco allora che, dai drammatici fatti di Romagna, si può forse trarre qualche riflessione sulla crisi dei nostri sistemi amministrativi e, più in generale, della politica italiana, intesa per quello che dovrebbe essere: la capacità di gestire i fenomeni, di fronteggiare – se non indirizzare – la società e l’evoluzione della storia collettiva.

Ma perché non puliscono i fiumi?

Ecco la domanda che abbiamo sentito ripetere mille volte in queste occasioni, in modo sconsolato. Tecnicamente, ha una risposta precisa, che affidiamo ad un testo giuridico preso come puro esempio dal web (www.lexambiente.it). Se avete la pazienza di scorrerlo vi renderà l’idea – meglio di qualsiasi nostra riflessione – su cosa voglia dire oggi in Italia “dragare il fondo di un fiume”. E amministrare la cosa pubblica.

«L’utilizzo dei fanghi di dragaggio – quali materiali costituiti da limi, argille, sabbie e ghiaie misti ad acqua, provenienti dalle attività di dragaggio di fondali di laghi, dei canali navigabili o irrigui e corsi d’acqua, pulizia di bacini idrici – è disciplinato dall’art. 184-quater del D. Lgs. n. 152/2006, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. Decreto Competitività), come convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116. 1

I materiali dragati, sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati, cessano di essere rifiuti, qualora, all’esito di operazioni di recupero, soddisfino una serie di requisiti e siano utilizzati in conformità a determinate condizioni, diversi a seconda che i materiali di dragaggio siano utilizzati in un sito o direttamente all’interno di un ciclo produttivo.

Secondo il disposto di cui all’art. 184-quater, commi 1 e 2, se utilizzati, in un sito, occorrerà che i materiali di dragaggio:

* non superino i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) di cui alle colonne A e B della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte IV, D.L.gs n. 152/2006, con specifico riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo;

* siano utilizzati direttamente, presso un sito di destinazione certo, anche a fini di riuso o di rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate e, in particolare, senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali;

* siano sottoposti a specifici test di cessione, secondo le metodiche e i limiti di cui all’Allegato 3 del D.M. 5 febbraio 1998…».

Proviamo a tradurre in linguaggio comune. Il materiale che togliete da un fiume per “pulirlo” – secondo la legge italiana – non è semplice ghiaia o sabbia: è un rifiuto. E come tale va smaltito, coi conseguenti (iperbolici) costi e (ipertrofici) pezzi di carta. Cessa di essere un rifiuto solo a determinate condizioni: dopo analisi chimiche, in base a dove lo si impiega, secondo infinte possibilità, casi, tabelle, allegati.

In altri termini: un sindaco che (ammesso fosse suo compito) prendesse un camion e una ruspa e pulisse il fiume dai detriti che ostacolano il deflusso sotto il ponte che attraversa il suo paese, magari riportando il materiale scavato sull’argine per innalzarlo, andrebbe immediatamente incontro ad una denuncia per un illecito ambientale. Avrebbe infatti scaricato dei rifiuti nell’ambiente. Gli scarriolanti emiliani di fine ’800, insomma, oggi sarebbero degli ecocriminali.

È già chiaro dove vogliamo arrivare. C’è un intero sistema legislativo/amministrativo che non funziona, alle spalle delle mancate prevenzioni. C’è un’amministrazione retta da migliaia di leggi interferenti, non sempre sensate, ma comunque gestite da soggetti diversi e spesso conflittuali. Cosicché la domanda è inevitabile. Siamo governati da degli incompetenti menefreghisti, oppure governare, in Italia, è ormai diventato quasi impossibile? E, se è quasi impossibile fare le cose più semplici (come dragare un fiume), chi mai avrà la capacità (se anche ci fossero i soldi) di affrontare le enormi trasformazioni richieste dal cambiamento climatico?

La crisi della politica e dell’amministrazione italiana

I cittadini, giustamente, pensano che chi hanno eletto abbia tutti gli strumenti per decidere e per fare. Si aspettano risposte. Ma spesso non si rendono conto che la nostra politica – a prescindere dai colori – è diventata una slot machine: metti dentro la moneta, ma quasi sempre non esce niente.

Il punto è che una democrazia funzionante non è solo un sistema dove si va a votare, e poi chi ha preso più voti decide e “governa”. La democrazia, come un tavolo, per stare in piedi ha bisogno di quattro gambe:

1. Rappresentanza

2. Poliarchia (o divisione del potere)

3. Stato di diritto

4. Partecipazione

Se qualcosa nel gioco di questi quattro principi si inceppa, la politica democratica perde efficacia.

È quello che sta succedendo, per molti aspetti, in Italia. Con la crisi dei partiti storici, i leader sono portatori di una rappresentanza quasi solo personale. Eleggiamo sindaci come persone, non come esponenti di partito, specie nei comuni minori. L’unica forza politica che hanno per “imporre” decisioni – spesso – è la loro credibilità personale, assieme alla coercizione legale.

Ovviamente, una democrazia è tale se il potere non è tutto nelle mani di una sola persona, per quanto eletta. Ergo, esso si divide – giustamente – tra diverse istituzioni, diversi livelli amministrativi, diverse agenzie tecniche e branche dell’amministrazione centrale che gestiscono i singoli aspetti: fiumi, acque, urbanistica, beni paesaggistici, rifiuti, opere pubbliche… Tutti temi interlacciati, ma gestiti da soggetti distinti, con legislazioni settoriali a loro volta interferenti e che hanno al loro interno una enorme complessità, frutto di sedimentazione storica.

Qui entra in ballo un tema annoso ma mai veramente risolto: la semplificazione. Quasi sempre teorizzato da ogni parlamento e governo, e quasi mai realizzato. Anzi, spesso, peggiorato. Perché in Italia la tecnica legislativa – conseguenza anche della debolezza del Parlamento e delle maggioranze – è fatta di norme “spot”, spesso emesse d’urgenza in risposta a pressioni dell’opinione pubblica, raramente frutto di procedure accuratamente meditate e organiche.

Rari i “testi unici” e comunque, anch’essi, soggetti a costanti revisioni e complessificazioni da parte di norme occasionali, “milleproroghe”, regolamenti comunitari, per tacere di interpretazioni, circolari, sentenze che spesso si affastellano sui testi normativi.

In molti campi la risposta a una FAQ (= domande frequenti) su un sito ministeriale vale più di una legge troppo generica. Col risultato che nessuno ha mai la sicurezza di operare nella legalità e nella certezza del diritto, quando deve farlo valere in tribunale. Tribunale che, come sappiamo, si potrà pronunciare in modo molto diverso per vari livelli e gradi, e comunque mai celermente: altro tema che reca paralisi. Insieme all’amara certezza che, magari tra anni, molti dei sindaci che oggi vediamo spendersi eroicamente per le loro comunità nel fango, finiranno indagati per l’inevitabile mancato rispetto di qualche norma, nel cuore dell’emergenza o nei tempi precedenti. Il che rende il mestiere del sindaco uno dei più “pericolosi” d’Italia. E sempre meno ambìto: in molti paesi cominciano a mancare persino i candidati.

Infine, la partecipazione. Una buona decisione, in democrazia, dovrebbe essere una decisione partecipata: il che riporta al dilemma tra decisioni rapide ma imprecise o lente ma più condivise dalla comunità e quindi efficaci. Basti dire TAV in Val di Susa, per capire di cosa parliamo. Senza dimenticare che il confronto produce scelte più rispondenti ai bisogni (a volte emotivi) dei cittadini, ma spesso non condivise dai tecnici delle amministrazioni che dovranno attuarle.

Crisi “a quattro gambe” di rappresentanza, poliarchia, stato di diritto e partecipazione. Ciò che ne consegue – in questo quadro seppure sommario di tanti fattori – è spesso la paralisi. Non è nemmeno questione di fondi (che pure spesso non sono sufficienti): è soprattutto questione di impossibilità a condurre percorsi amministrativi e politici corretti, in tempi ragionevoli, in una normale dialettica democratica.

Questo è il male italiano e questo è il male che ci espone a rischi ordinari, e ancora di più a rischi straordinari di fronte alle sfide epocali. E, ovviamente, questo non vale solo per fiumi e clima: che si parli di scuola, di insediamenti produttivi, di infrastrutture, di energia, di beni culturali o di reti telematiche, i processi decisionali si frazionano, le scelte necessarie – anche quando evidenti e condivise da tutti – si allungano e, alla fine, il sistema-paese si fa trovare sistematicamente impreparato alle sfide di settore, storiche o quotidiane che siano.

L’esempio del PNRR

Non è solo questione di mancanza di soldi, quindi. Né di cattiva volontà dei decisori o di liti tra partiti. In Italia spesso le cose non si fanno perché non ci sono le condizioni per farle. Una serie di norme e di regolamenti si affastellano e il loro “combinato disposto” (per usare una locuzione ormai epica) determina l’impossibilità o l’estrema difficoltà ad agire. Una norma mette risorse e le vincola a dei tempi. Un’altra, però, impone autorizzazioni o procedure che, con quei tempi, non sono compatibili. Risultato: o si procede per deroghe e proroghe, a proprio rischio e pericolo, o si rinuncia all’investimento, pure possibile.

Anche perché la complessità del procedimento e delle norme affastellate richiede una capacità dei funzionari amministrativi sempre maggiore. Invece, le nostre amministrazioni sono sempre più fragili, carenti di giovani competenze, ferme come sono state per anni nel turn-over per il “Patto di stabilità” che bloccava le assunzioni.

E, in più, con un malinteso terrore delle responsabilità amministrative che porta, per quanto possibile, a far firmare sempre prima gli altri, o a firmare solo quando si è sicurissimi di non violare la legge: cioè, praticamente, mai. Un fenomeno ormai evidentissimo, in un Paese del resto afflitto da “ricorsite acuta”.

Un esempio ottimale di queste dinamiche lo offre il PNRR. Le risorse, nel caso, non mancano. Per spenderle, si sono pure tentate semplificazioni amministrative. Ma, nei fatti, molte misure del PNRR sono ferme. E lo sono perché sono quasi “inspendibili” nel “combinato disposto” delle condizioni giuridiche, organizzative, amministrative del nostro Paese. Che – infatti – da decenni spende male i fondi comunitari, senza che nulla cambi.

Non a caso, il PNRR doveva essere preparato da una serie di riforme: e così è stato, in parte. Ma quella che manca è una riforma radicale del nostro sistema amministrativo, delle sue filosofie giuridiche e – per certi versi – di tutta la filosofia del diritto e della legislazione italiana, ormai insostenibile nei fatti e a fronte delle sfide che ci attendono.

Ripensare da zero il modello amministrativo

L’amministrazione italiana è un tipico esempio di “amministrazione orientata alla norma”. Nata da quella sabauda, è da sempre improntata alla cultura giuridica kantiana e napoleonica, dove il funzionario amministrativo è un esecutore neutrale della norma, considerata unica garanzia dell’universale e della liberazione dall’interesse particolare.

Il controllo, quindi, avviene quasi esclusivamente sul rispetto della norma, presupponendo che l’applicazione della legge come “universale kantiano” porti alla tutela dell’interesse comune. Sarebbe così, forse, se le leggi italiane fossero “universali”: mentre ormai sono l’orgia del caso specifico e del dettaglio. Il modello “orientato alla norma” ha avuto enormi pregi storici, ma oggi oggettivamente non regge più.

I tentativi fatti negli anni ’90 e 2000 per evolvere l’amministrazione italiana verso un modello manageriale sono sostanzialmente falliti. La nuova “dirigenza” che doveva avere un rapporto di mandato con la politica si è invece stabilizzata, mentre ministri, sindaci e assessori ruotavano rapidamente, perdendo presa sulle macchine amministrative.

Nessun reale controllo sui risultati, nel frattempo, è venuto avanti, mentre la lotta alla corruzione, la privacy, la programmazione hanno finito per trovare soluzioni puramente “sulla carta”, che aumentano burocrazia e inefficacia, senza incrementare le tutele e i risultati.

Sarebbe quindi necessario fermarsi davvero per tentare una riforma organica dell’amministrazione italiana, prendendo atto dell’ampio fallimento della “Bassanini”, peraltro ormai vecchia e precedente l’era digitale, che offrirebbe spunti per un modello totalmente diverso di gestione di molti processi (appalti, rapporti coi cittadini ecc.). Non che manchino leggi ed esperienze virtuose in questo senso: ma sono isole in un mare stagnante. E non certo per colpa di chi vi opera quotidianamente, spesso con enorme dedizione al bene comune. Le energie migliori del paese se ne vanno in autorizzazioni pro-forma e in carte bollate.

Servirebbe un’idea organica e radicale di riforma amministrativa, non più centrata sul mero controllo formale normativo, ma sul controllo di risultato e di efficacia: dove si va in galera se si sprecano soldi e non si fanno le opere a regola d’arte, non se si omette un marginale atto d’ufficio. Un’amministrazione dove valutazione e controllo sul campo siano sistematici, contro malversazioni e corruzione, che le pure norme oggettivamente non stanno fermando. Una rivoluzione copernicana, di modello idealtipico, con ampie dosi di digitalizzazione e corredata da una – a questo punto, possibile – massiccia semplificazione e delegificazione.

Tuttavia, il dibattito politico tocca questi temi in modo episodico o, peggio, ideologico. Il regionalismo differenziato ne è un tipico esempio: sposta risorse, risponde alle esigenze di qualche elettorato del centro-nord, ma di certo non modifica i fattori che sono alla base dell’impasse amministrativa italiana, che tocca ormai anche molte delle regioni e dei comuni più efficienti. Come abbiamo visto – drammaticamente – in Romagna, ma come avviene – obiettivamente – dappertutto.

Che si tratti di fiumi, fondi europei, opere pubbliche, termovalorizzatori, autostrade, energie alternative, la risposta è sempre la stessa. Il sistema pubblico non produce risultati, o troppo lenti, perché è malato nei suoi presupposti normativi e organizzativi.

Se la nostra politica – anch’essa bisognosa di riforme – non saprà produrre una riforma strutturale del nostro sistema amministrativo, rischiamo di rimanere sommersi, ancora e ancora, non solo dal fango dei fiumi, ma anche da quello della storia e del cambiamento epocale che, altrove, invece, avanza inesorabile. Giuseppe Boschini, Sett.News 22

 

 

 

 

Difficile intesa sulle riforme. E’ necessario evitare sia le paure che le ipocrisie

 

Il confronto sul tema delle riforme di qualche settimana fa, com’era prevedibile, è partito male, è successo altre volte, anzi, ogni qualvolta il tema costituzionale, presenzialismo, premierato, elezione diretta del premier è stato riproposto dal governo di turno.

Si ha l’impressione che le forze politiche usino il tema costituzionale per pura propaganda, per rabbonire un’opinione pubblica poco interessata al problema, perché sempre più divisa e disorientata. Come dimostra la sempre più scarsa affluenza alle urne in caso di voto.

Non si va oltre l’enunciazione del problema senza dare o almeno ricercare una soluzione; ci si limita a dire che si tratta di mettere fine alla endemica instabilità dei governi, vera piaga della nostra Repubblica fin dalla sua nascita.

Le uniche  due rilevanti riforme  costituzionali che finora ci sono state, quella del titolo Quinto e quella della riduzione del numero dei parlamentari, sono passate senza grosse resistenze, ma solo perché gradite alla maggior parte delle forze politiche in quanto portavano ad un ulteriore indebolimento sia del governo che del Parlamento , già di per sé deboli.

Altrettanto dicasi del tentativo di riforma voluto da Renzi e bocciato dal referendum del 2016 che, non prevedeva l’elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier ma, il supermanto del bicameralismo simmetrico, due camere con uguali poteri e del titolo Quinto.

Il governo ne sarebbe uscito rafforzato ma, il progetto renziano era destinato a fallire, come in effetti fu, per l’opposizione di un gran numero di forze politiche, eterogenee nella loro natura, ma timorose di perdere, con un governo più forte, il loro potere di veto sulle decisioni pubbliche e sulle politiche del Paese.

I padri costituenti, dopo il ventennio fascista, lavorarono ad una Costituzione che favorisse la formazione di governi deboli e quindi un sistema istituzionale non già di “ pesi e contrappesi ” ma di soli contrappesi, in modo da bloccare più facilmente l’azione dei governi, anziché favorirla e sostenerla.

L’instabilità e l’inefficienza dei governi furono per molto tempo, almeno fino agli anni ’90, bilanciate da un sistema di partiti forti e radicati nel Paese.

Finita la Prima Repubblica, combinazione di governi deboli e partiti forti, la Repubblica di oggi vede non solo governi deboli a rappresentarla ma anche partiti senza più la solidità e la forza di una volta, chiaro segno dell’indebolimento della politica rappresentativa e del rafforzamento, invece, di apparati amministrativi con poteri di interdizione e di veto, che lontano da ogni forma di visibilità, nell’ombra, possono esercitare ogni giorno a scapito della politica rappresentativa.

Sarebbe il caso, vista la situazione presente, di fare in modo che sia all’interno del governo, come anche nelle file dell’opposizione, la differenza fra chi vuole veramente rafforzare la politica rappresentativa e chi invece si lascia attrarre da pressioni e lusinghe, alimentate da interessi sempre più numerosi e poteri di veto sempre più radicati, sappia finalmente porsi all’attenzione di tutti.

Altro fallimento fu, proprio agli inizi degli anni Novanta, il cambiamento della legge elettorale, nel vano tentativo di riformare l’assetto costituzionale e quindi la forma di governo. Entrambe le riforme, legge elettorale e governo, devono procedere insieme, altrimenti lo stallo è inevitabile.

L’unico sistema di governo che una società divisa e frammentata si può oggi permettere è quello che abbiamo, trasformistica che, nel tempo, ha garantito alla nostra democrazia l’adattabilità necessaria a fronteggiare ogni genere di pressione. Verissimo quanto detto ma, senza dimenticare che proprio perché questo è il sistema di governo che abbiamo, le generazioni future si ritroveranno a dover fare i conti con un debito pubblico che si preannuncia    stratosferico, come pure a sprecare la grande occasione rappresentata dai fondi del PNRR, stante l’attuale situazione. Prof.ssa Angela Casilli, dip 20

 

                                                            

 

Francesco Giacobbe (Pd): “Serve sforzo condiviso per gli italiani all’estero”

 

“Se c’è volontà bipartisan, è possibile raggiungere traguardi importanti, non solo per la nostra comunità emigrata, ma per l’Italia. Gli italiani all’estero non sono un problema ma una risorsa che deve essere utilizzata per il sistema Paese”.

Così il senatore Pd Francesco Giacobbe, eletto nella circoscrizione Estero Africa-Asia-Ocenia-Antartide, ai margini dell’incontro con il Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Antonio Tajani, il Sottosegretario con delega agli Italiani all’estero Giorgio Silli, alti dirigenti del MAECI e i parlamentari eletti nella circoscrizione Estero.

Nel suo intervento nel corso dell’incontro, il sen. Giacobbe ha ringraziato il Ministro per avere voluto ascoltare dai parlamentari quelle che sono le priorità delle comunità di italiani nel mondo e i loro suggerimenti.

“Ci sono molti progetti in cantiere sui quali, personalmente, lavoro da tempo. Ora i tempi sono maturi e se c’è una volontà politica bipartisan di impegno e valorizzazione degli italiani nel mondo, allora possiamo raggiungere traguardi importanti”, ha detto il senatore aggiungendo: “Gli italiani nel mondo sono una risorsa immensa della quale, purtroppo, spesso non tutti si rendono conto. Il contributo che hanno apportato le nostre comunità per l’affermazione del Made in Italy nel mondo, ad esempio, è inestimabile. Ma oggi servono interventi e investimenti mirati perché gli italiani all’estero si sentano coinvolti e valorizzati nella ripresa economica e sociale del Paese. E, soprattutto, bisogna cominciare a parlare ai giovani emigrati e ai naturalizzati all’estero usando un linguaggio più vicino alla loro generazione. Per raggiungere questo obiettivo, sport, arte e Turismo di ritorno, rappresentano dei punti essenziali”.

Fra gli argomenti che sono stati toccati dal senatore nel suo intervento: riacquisto della cittadinanza per chi l’ha persa prima del 1992; assistenza sanitaria in Italia per gli iscritti all’AIRE; istituzione Settimana dello Sport Italiano nel mondo; coinvolgimento dei giovani nelle politiche dell’emigrazione; Turismo di ritorno; adeguamento dei contratti per personale consolare che tengano in considerazione il costo della vita dei paesi dove sono impiegati; investimenti per migliorare la rete di servizi ai cittadini italiani nel mondo. (Inform/dip 16)

 

 

 

 

Gli eletti all’estero incontrano il ministro Tajani

 

Ho partecipato, insieme ai colleghi parlamentari eletti nelle varie circoscrizioni estere Franco Tirelli, Toni Ricciardi, Christian Di Sanzo, Andrea Crisanti, Francesco Giacobbe, Francesca La Marca, Simone Billi e Andrea Di Giuseppe, alla riunione con il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani alla quale era presente anche il Sottosegretario agli Affari Esteri con delega per gli italiani all’estero, Giorgio Silli.  Ognuno di noi ha affrontato dei temi particolari difendendo e supportando il personale e le retribuzioni dei contrattisti, l’internazionalizzazione, la promozione delle aziende italiane con la possibile formazione di Joint venture e il trasferimento del know how senza delocalizzare. Abbiamo affrontato il tema del riconoscimento dei titoli di studio, di incentivare il turismo delle radici, del riacquisto della cittadinanza, di ottenere finanziamenti per gli enti gestori e i Comites. Ci siamo soffermati anche sulla diplomazia parlamentare, sul ruolo delle Ambasciate come punto di incontro diplomatico-commerciale- politico, delle Camere di commercio italiane all’estero come punto snodale per le comunità d’affari locali e il grande lavoro di complementarità che le camere possono svolgere per la promozione degli investimenti. Abbiamo chiesto assistenza sanitaria in Italia per gli iscritti all’AIRE, il coinvolgimento dei giovani nelle politiche dell’emigrazione. Gli italiani residenti all’estero sono una grande risorsa e hanno bisogno di sentirsi italiani di serie A, soprattutto le seconde e terze generazioni che possono influire tantissimo per la promozione del Made in Italy. Dall’incontro è venuto fuori che siamo uniti nella difesa degli italiani all’estero, e sul ruolo che giustamente esse debbano avere“. Cosi‘ Nicola Carè, deputato del Pd eletto all’estero.

Daniela Caprino, dip

 

 

 

 

Commissioni, la palla al piede del turismo

 

Sempre più il settore turistico incatenato dalle commissioni è affetto da sofferenza e stasi. Prenotazioni, imprenditori, tasse, sviluppo, turisti, incoming, economia, cultura, arte, finanza, viaggiatori, flussi, innovazione, portali di prenotazioni, piattaforma turistica, host: tutte parole che rischiano allo stato attuale di suonare vuote, di portare danno e non beneficio, di essere un boomerang per la nostra amata Patria, per l'Italia che portiamo nel cuore, per tutto il comparto turistico che ha ampiamente sofferto anche a causa delle chiusure anti Covid. Il turismo in Italia rappresenta l'1,2% del PIL nazionale, ma potrebbe fare molto di più, pensando che in termini di valore aggiunto generato dalle presenze turistiche nel 2022 si sono superati gli 89,1 miliardi di euro contro i 99,9 miliardi del 2019, causa Covid compresa. l sistema turistico di prenotazioni, in Italia e nel mondo, è fortemente malato, è avvelenato, è svuotato. Il sistema così concepito e così gestito non è benefico né per il turista, né per l'imprenditore che opera all'interno del sistema turismo, concepito a 360°, né per le associazioni di categoria, né tantomeno per lo Stato italiano.

 

E' necessario porre immediato rimedio! E' necessario riflettere sulla motivazione di questa malattia. E' necessario svolgere una ricerca approfondita, uno studio e una successiva azione che ponga fine, da adesso in avanti, a tutto questo, a questa perdita di denaro, a questo continuo e infinito aiuto alle multinazionali straniere e ai sistemi di prenotazione turistica esteri. Porre fine a questa falla economica. Da oggi però abbiamo un'arma in più. Si sono poste le basi per rivoluzionare il mercato turistico, aiutando gli imprenditori, le associazioni di categoria e lo Stato Italiano.

 

Ricerca, studio, innovazione tecnologica, conoscenza del mercato turistico, finanza applicata al settore dei viaggi: dopo anni di studio dedicati a questo fenomeno, si è trovato il responsabile di questo degrado finanziario e di questo freno al vero sviluppo turistico italiano a danno dei turisti, degli imprenditori e alle finanze dello Stato. Una piattaforma turistica tutta italiana ha un concetto innovativo che mette al centro due priorità specifiche. Da una parte le Strutture Alberghiere Italiane, gli Hotel, i B&B, gli Agriturismi, i Musei, i Ristoranti, le Pizzerie e tutte le aziende coinvolte nel settore ricettivo che fino ad oggi hanno pagato e pagano anche fino al 20% di commissioni su tutte le prenotazioni che ricevono dalle principali piattaforme turistiche on line (a titolo di esempio: Booking.com, Airbnb, Expedia, TripAdvisor). Ecco allora la novità: queste aziende, questi imprenditori potranno risparmiare ben 1,5 miliardi di Euro – sì, ha letto bene - 1,5 miliardi di Euro, aumentando così il loro fatturato, e non di poco, e saranno anche in grado di migliorare sia le strutture stesse, sia il servizio offerto al cliente, al turista/viaggiatore. Dall'altro lato abbiamo lo Stato Italiano che potrà così incassare molto di più e avere un graduale gettito derivante dalle tasse e il 25% di IVA in più, in riferimento ai suddetti dati.

 

Ecco allora la soluzione, quella cui si accennava poco fa: AdviceTourism promette che nessuna struttura, nessuna e mai, pagherà le commissioni. La percentuale che pagheranno gli imprenditori dei vari campi legati al turismo, in tutte le sue sfaccettature, sarà pari a zero. L'imprenditore, pur avendo la forte necessità di affidarsi ai portali turistici internazionali online non dovrà corrispondere nessuna somma relativamente agli affari conclusi: la trattativa e lo scambio di denaro avverrà direttamente tra cliente e imprenditore, con l'ulteriore vantaggio che questa trattativa diretta, questo diretto scambio di necessità in termini di date libere, di strutture ed esigenze specifiche porterà a un miglioramento dei servizi offerti e del rapporto con il turista, turista che oggi ha una visione diversa, si tratta infatti del cosiddetto "Turista 2.0".

 

Vediamo gli studi condotti sul turismo, tradotti in termini numerici molto semplici. Il fatturato totale mondiale delle prime 7 piattaforme è di ben 64,96 miliardi di Euro, lo ripetiamo 64.960.000.000 di Euro. Altri 15 miliardi vengono fatturanti dalle cosiddette piattaforme minori, ma è necessario tenere conto che alcune di queste sono state assorbite dalle più grandi sul mercato. Ben il 50% di questo fatturato annuale arriva dal mercato europeo, la stessa Europa di cui fa parte l'Italia. Adesso arriva il bello o per meglio dire il brutto, la delusione, il tallone di Achille a cui però per tutto quanto sopra esposto, si può benissimo porre rimedio.

 

Il profitto netto di queste cifre da capogiro viene assorbito nella quasi totalità da una parte dagli USA, principale Paese dove si trovano le società di appartenenza delle suddette multinazionali, e dall'altra dai Paradisi fiscali dove hanno sede alcune delle Piattaforme principali, ad esempio Airbnb, che, guarda caso, ha contenziosi con i principali Stati europei. Perché? Perché non paga le tasse sui propri guadagni nello Stato in cui li guadagna, ovvero nei singoli Stati in cui conclude la prenotazione stessa.

 

Cosa cambierebbe non facendo pagare nessuna commissione?

Cambierebbe tutto: nessuna commissione/percentuale da riconoscere, maggior guadagno per gli addetti al settore turistico, fatturati e guadagni che rimarrebbero sul territorio europeo e italiano, maggiori investimenti, maggiore pagamento delle tasse, maggiori sviluppi commerciali e successivi maggiori occupati nel mondo del lavoro. Gli albergatori sostengono da sempre che per prenotare una stanza su internet ormai ci sia sempre un “portiere” tra la struttura e il cliente. Questo “portiere” però ha un vizio, un difetto, un'arroganza: impone una catena, impone una schiavitù che ormai nel lungo termine è divenuta insostenibile.

 

Questo “portiere” impone ad entrambi (imprenditore e turista/viaggiatore) il prezzo che vuole lui senza che le due parti possano svincolarsi. A supporto di questa attività di intermediazione c'è quella che oggettivamente possiamo definire una straordinaria capacità di indicizzazione sui motori di ricerca come Google, al prezzo di forti investimenti di digital marketing, che però hanno finito per porre, secondo la tesi degli imprenditori del settore, un limite alla concorrenza perché comparire tra le prime segnalazioni in rete è diventato impresa impossibile per una piccola struttura ricettiva priva dei capitali necessari, a tutto ed esclusivo vantaggio delle multinazionali del settore.

 

D’altronde succede da anni che la gran parte della ricerca delle camere avvenga su internet scavalcando non solo le agenzie turistiche tradizionali, ma anche gli stessi alberghi, e questo è il problema principale, la vera schiavitù e mancanza di libertà di azione. Quella libertà di azione che è aria pura, che è il segno distintivo dell'imprenditore, in qualsiasi mercato e settore esso operi. Peccato che il mercato sia di fatto monopolizzato da grandi piattaforme come Booking.com, Airbnb ed Expedia in grado di comparire stabilmente nella prima pagina di Google se sei alla ricerca di una camera per qualche giorno. D’altronde la varietà degli hotel segnalati è infinita, come la scelta per il cliente finale che sente di poter toccare con mano la libera concorrenza scegliendo il miglior rapporto qualità/prezzo: questo è un servizio a valore aggiunto difficilmente sostituibile.

 

Questo “portiere” ha però un costo e che costo: il prezzo di questa attività di intermediazione oscilla tra il 15 e il 20%. Un margine che gli albergatori hanno sempre ritenuto eccessivo ma si sa... combattere contro i giganti, contro le multinazionali del settore turistico e contro un sistema che schiavizza non è facile da soli. L'imprenditore, il piccolo imprenditore, l'esercito dei piccoli e medi imprenditori che sono la vera ricchezza della nostra Italia, coloro che sono la linfa vitale della cultura e dell'economia italiana, da soli non riescono a combattere. Per meglio dire possono farlo, ma la sconfitta è assicurata, non solo della guerra ma anche della singola battaglia. Gli imprenditori denunciano che nessuno di loro ha il potere negoziale per ottenere, per spuntare un trattamento migliore a meno di pagare il prezzo più alto, ovvero quello di sparire dal principale distributore internazionale del comparto turistico, la rete internet. Ma come si fa nel 2023?

 

Nel 2019 le cosiddette «online travel agencies» hanno fatto da intermediazione in Italia su prenotazioni per circa 5 miliardi di Euro, riscuotendo commissioni per oltre un miliardo e mezzo di euro (1.500.000.000 di Euro) sulle quali non vengono pagate, è la tesi accusatoria, tutte le tasse che dovrebbero. La procura di Genova ha fatto richiesta di rogatoria all’Olanda, dove c’è la sede europea di Booking.com, perché ipotizza un’evasione Iva per oltre 250 milioni di Euro (250.000.000 di Euro). Cifre pazzesche!

 

Adesso è il momento di agire. E' necessario rivedere tutte quelle regole e sotterfugi legali che permettono alle grandi piattaforme straniere di guadagnare sulla pelle degli albergatori e alle spalle dello Stato, quello Stato italiano che se introitasse quanto sopra esposto potrebbe attivare politiche sociali e creazione di posti di lavoro, permettendo così di far rimanere in Italia i maggiori guadagni, che si tramuterebbero in maggiori gettiti e tasse. Queste azioni rivoluzionerebbero il modo di fare turismo e prenotazioni, con un totale appoggio, ringraziamento e memoria a lungo termine di tutta la classe alberghiera: un esercito di persone che secondo le ultime stime ammonta a ben 1.621.000 persone pari al 7% degli italiani impiegati.

 

E' il momento di dire basta, basta a questo diktat, basta a questa schiavitù, basta agli affari a tasse zero: per risolvere questi impedimenti e problemi, oggi difficilmente superabili dato il contesto di assoluta imparità, nasce la start up AdviceTourism, l'Unica Piattaforma Turistica Internazionale Senza Commissioni.

Massimiliano Ferrara, de.it.press 24

 

 

 

 

 

Un giorno da dimenticare

 

Da oltre sessant’anni monitoriamo il flusso migratorio italiano nel mondo. Milioni di Connazionali hanno lasciato, e continueranno a lasciare, la Penisola per trovare altrove dignità e lavoro. Insomma, per costruire un loro futuro meno incerto. Quello che in Patria è sempre più incerto. Di questa nostra umanità non s’è mai trattato a sufficienza e nel modo opportuno. L’italianità nel mondo s’è diffusa con i suoi pochi mezzi e la nostra Gente s’è fatta stimare in tutte le contrade ove s’è sviluppata una Comunità italiana.

 

E’ da parecchio tempo che abbiamo proposto al mondo della politica una “Giornata Internazionale degli Italiani nel Mondo”. Sembrerebbe, infatti, opportuno accrescere l’immagine di tutti gli italiani all’estero che, se pure integrati nei Paesi ospiti, continuano ad avere un rapporto con la Madre Patria. Intendiamo suggerire, a chi spetta, il varo della “Giornata Internazionale degli Italiani nel mondo”. Un riconoscimento all’impegno della nostra Gente “altrove”. Però, l’idea è stata posta nel “dimenticatoio” delle cose non sostanziali.

 

Ora ci riproviamo. Orgoglio d’essere italiani si può onorare con una data commemorativa. L’iniziativa potrebbe essere assunta anche da questo Parlamento. Ultimo con i “numeri” alla vecchia maniera.  La “giornata” potrebbe essere gestita in Patria dalle Prefetture. All’estero, dai nostri Consolati, e dai Com.It.Es.

 

Pur se a costo “zero”, l’idea è rimasta ancora tale. Ora, la ripresentiamo. Sicuri che si andrà a identificare una data per la “Giornata Internazionale degli Italiani nel Mondo”. Fare delle proposte sarebbe già un segnale di condivisione.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Assemblea parlamentare Nato, Carè (Pd): guerra in Ucraina e cybersicurezza

 

La delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della Nato di cui faccio parte ha partecipato alla sessione primaverile dell'Assemblea in Lussemburgo. La sessione si è aperta con la riunione congiunta della Commissione permanente, l'organo decisionale dell'Assemblea, con la Commissione Nato-Ucraina, nel corso della quale il co-presidente ucraino Kornyenko ha richiamato in particolare l'attenzione sulla necessità, da parte ucraina, di potenziare l'azione difensiva, con il sostegno dei paesi dell'Alleanza. Successivamente, si è svolta la riunione della Commissione permanente, seguita il 20 e 21 maggio da quella delle 5 Commissioni dell'Assemblea: Difesa, Economica, Scienza e Tecnologia, Politica e Democrazia e Sicurezza, alle quali hanno partecipato i parlamentari italiani. Tra i temi al centro del dibattito: la guerra in Ucraina, il ruolo globale della Cina, l'approvvigionamento alleato alla luce della nuova postura in materia di sicurezza e resilienza, il prossimo Vertice di Vilnius, la tutela delle infrastrutture marittime critiche, le nuove tecnologie, la sicurezza energetica e alimentare. Il 22 maggio ha avuto luogo la sessione plenaria, durante la quale si è svolta, come di consueto, una sessione di domande e risposte al vice segretario generale della Nato, Mircea Geoana. La delegazione italiana ha presentato un emendamento - laddove si chiedono nuovi impegni di spesa e investimento per la difesa oltre il 2024, superando un livello minimo di investimento del 2% del PIL per la difesa - volto a chiarire quali spese possano rientrare nei livelli minimi richiesti, a fronte delle nuove sfide che si affacciano, quali la minaccia cyber, ambientale, alimentare o ancora il terrorismo.” Cosi in una nota Nicola Carè, deputato del Pd eletto all’estero che insieme a Lorenzo Cesa (Presidente) Andrea Orsini (Vicepresidente) e insieme ai colleghi Calovini, Cantone, Crippa, Formentini, Tremonti, Barcaiuolo, Losacco, Malpezzi, Marcheschi, Orsomarso e Paroli fa parte della delegazione Italiana. De.it.press 23

 

 

 

 

Carta d’identità elettronica più semplice e veloce

 

ROMA – La Carta d’Identità Elettronica (CIE) è ancora più semplice, veloce e sicura. Tutti i cittadini in possesso della CIE potranno, infatti, accedere ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione e dei privati semplicemente impostando on line una password e senza aver più bisogno della carta fisica a portata di mano.

Dopo una fase di sperimentazione con alcune amministrazioni, ora per l’accesso ai servizi digitali abilitati, si potrà scegliere se continuare ad utilizzare la carta fisica oppure in modo più semplice inquadrare un QR Code tramite l’App CieID o inserire email e password con un codice temporaneo ricevuto per SMS.

La Carta di Identità Elettronica (CIE), il documento d’identità emesso dal Ministero dell’Interno con la collaborazione del Dipartimento per la Trasformazione Digitale e realizzato dal Poligrafico e Zecca dello Stato, è già nelle mani di oltre 35 milioni di italiani e consente la verifica dell’identità sia fisica che digitale del titolare.

La CIE può essere rilasciata fin dalla nascita e viene utilizzata da una platea di utenti molto ampia: dai minori agli anziani fino ai cittadini stranieri residenti in Italia.

La Carta d’identità Elettronica è l’identità più sicura: – Specifici elementi di anticontraffazione congiuntamente alla presenza di un microchip integrato, garantiscono l’autenticità dei dati del titolare al massimo livello di sicurezza; – É l’unico strumento che permette il riconoscimento fisico di una persona; – Attraverso l’utilizzo della carta fisica è garantito l’accesso con il massimo livello di sicurezza previsto in ambito comunitario.

Più facile da usare. Con l’App CieID o con un codice temporaneo ricevuto per SMS è possibile accedere velocemente ai servizi online. Una facile chiave per utilizzare, in pochi minuti, comodamente e con qualsiasi dispositivo, i servizi digitali delle amministrazioni che hanno già reso disponibile per i propri utenti questa nuova funzionalità, come ad esempio Agenzia delle Entrate e INPS.

Più servizi disponibili. La CIE permette di firmare un documento digitale attraverso una firma elettronica avanzata sia in ambito pubblico che privato; i cittadini che hanno comunicato in fase di rilascio della CIE l’email o il cellulare e avessero smarrito il PUK possono recuperarlo in modo semplice attraverso l’App CieID.

È possibile attivare l’identità digitale CIE con le nuove funzionalità attraverso il sito www.cartaidentita.it  anche subito dopo la richiesta di rilascio del documento. (Inform/dip 16)

 

 

 

 

La consapevolezza

 

 Nel caos in cui s’è trovata la nostra politica, i partiti di maggioranza e d’opposizione, non sono stati in grado, almeno in prima battuta, d’assumere una linea conforme all’emergenza che si è presentata come incontenibile. Le manovre politiche del passato sono crollate al cospetto di una realtà che non dava il tempo di tentare “aggiustamenti” atti a tamponare una situazione che si aggravava ogni giorno di più. Poi, è stato il “momento” di Draghi.

 

 Ci siamo resi conto che il mito del Sovranismo sarebbe rimasto solo un concetto teorico per il quale non avrebbe più avuto senso investire il nostro futuro. La situazione è difficile e lo rimarrà ancora per molto. Pur senza pretendere d’esorcizzare il nostro futuro, si dovrà trovare un provvedimento capace, entro l’anno, di dare concreti benefici a chi ne ha bisogno.

 

 Sempre che i rigurgiti nazionalisti non riemergano dal mare delle incomprensioni. Per quanto possa contare, siamo per provvedimenti di sostegno generalizzato; anche se a fondo perduto. Perché se un Paese “arretra”, non avrà più un suo ruolo indipendente e andrebbe a coinvolgere anche gli altri. In questa primavera sibillina, intendiamo ricordare anche i milioni di Connazionali all’estero che sono l’Italia “altrove”.

 

 Anche la solidarietà giocherà un suo ruolo primario se non sarà dispersa nei “rivoli” dei conformismi nazionali. Il dramma del Covid-19, tra l’altro, ci ha fatto intendere che la solidarietà internazionale può avere una sua logica proprio in questa fase d’emergenza globale. A nostro avviso, questo potrebbe essere un veicolo per stimolare la cooperazione, Con la consapevolezza che, diversamente, ci vorrebbe poco per deludere, irreversibilmente, le umane aspirazioni del nostro Paese. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Lucani nel mondo: Approvati i Programmi 2023 e 2023/2025

 

Potenza – Nella prestigiosa ‘Villa Nitti’ ad Acquafredda di Maratea l’assemblea regionale dei Lucani nel mondo ha approvato, all’unanimità, il Programma annuale 2023 e il Programma triennale 2023-2025. Previsti per il 2023 circa 270.000 euro per il “Piano delle attività a favore dei Lucani nel mondo”.

Dopo un 2020 che ha registrato un numero inferiore di italiani che ha lasciato l’Italia per andare all’estero, a causa della pandemia, il 2021 ha fatto registrare un nuovo aumento delle iscrizioni all’AIRE. Al 31.12.2021 gli italiani iscritti all’AIRE sono 5.806.068; un numero ben maggiore dei 5.288.281 fattosi registrare nel 2018, di cui oltre 2,8 milioni risultavano residenti in Europa, ed invece ad oggi risultano così distribuiti: 3.187.011 in Europa, 70.171 ini Africa, 73.887 in Asia, 2.311.871 in America, 163.054 in Oceania e 74 in Antartide.

Le comunità lucane più numerose sono in Argentina (33.074) Germania (18.843) e Svizzera (18.365). I comuni più rappresentati sono Marsico Nuovo (3.289), Potenza (3.079), San Fele (3.066) e Lauria (3.029). In termini percentuali, l’incidenza maggiore tra emigrati e residenti, è quella di Castelgrande (166,6 %), davanti a Montemurro (146,9%) e Pescopagano (120,0%).  (fonte: Migrantes, rapporto del 2021).

Tante le iniziative in programma che hanno ottenuto il via libera dalla Commissione regionale dei Lucani nel mondo.

Alla Federazione delle Associazioni e Circoli Lucani In Piemonte – Torino assegnati 9mila euro, alla Federazione associazioni lucane in Germania assegnati 14mila euro, al comune di Pisticci 4mila euro per l’integrazione Progetto scambio culturale Pisticci Toronto, già finanziato con l’annualità 2022 concernente azioni di presentazione di un’offerta turistica in grado di attrarre i Pisticcesi residenti in Canada attraverso una riscoperta delle loro radici con il coinvolgimento delle aziende turistiche della fascia costiera ionica. All’Associazione La Lucania Maasmechelen (Belgio) destinati 20mila. Al Comune di Calvera 19mila euro per il progetto: “ricordando “José Libertella”, al Comitato murese per la promozione ed accoglienza turistica 14mila euro per il progetto promosso dal Comitato Murese soggetto attuatore e l’associazione di Karlsfeld Germania, con la collaborazione dei comuni di Muro Lucano e Karlsfeld. Ai Comuni di Tito e Satriano di Lucania 18mila euro per lo scambio di giovani socio culturale Tito, Satriano di Lucania e Uruguay.

Al Comune di Tolve 4mila euro per la prima edizione della “Giornata del migrante”, al Comune di Accettura 4mila euro per la Giornata degli Accetturesi nel mondo incontri e racconti, al circolo culturale Giustino Fortunato di Roma 2mila euro, all’Associazione “Tarantella Lucana” A.S.D – di Reggio Emilia 4mila euro, all’Associazione culturale Amici della Lucania di Chieri, 3mila euro, all’Associazione culturale dei lucani a Trieste assegnati 2mila euro, all’Associazione Famiglia Basilicata (Lucania) Rosario, Argentina, assegnati 8mila euro, al circolo culturale lucano Parma assegnati 4mila euro, per la Federazione lucana d’America stanziati 5mila euro. Previsti poi 1.550 euro per il rimborso delle spese al Comune di Tramutola per il rientro delle salme degli emigrati deceduti all’estero e contributi a favore di emigrati lucani rientrati definitivamente in Basilicata nel Comune di Maratea (3mila euro), Muro Lucano (3mila euro) e Pignola (3mila euro).

Per l’Associazione socio culturale Siamo Lucani di Brescia previsti 2mila euro, all’Associazione dei lucani a Genova assegnati 4mila euro, per l’Associacion dei lucanos in Colombia stanziati 10mila euro, all’Associazione lucani di Siena assegnati 3mila euro, all’Associazione regionale Famiglia Lucana Winterthur 3mila euro.

All’Associazione lucani in Toscana, sede Empoli 2mila euro, all’Associazione lucana Emanuele Gianturco di Settimo Torinese 3mila euro, per l’Associazione Lucania Viva Centro culturale R.Scotellaro Rivoli stanziati 4mila euro, per l’Associazione Campus Major di Cesano Maderno 2mila euro, all’Associazione culturale Presenza Lucana di Taranto assegnati 2mila euro, al Vatra Arbereshe di Chieri assegnati 3mila euro, al Comitato pro San Fele in Svizzera Winterthur (ZH) assegnati 2mila euro, alla Federazione delle Associazioni lucane in Germania assegnati 5mila euro. Previsto anche un rimborso spese per operatori di sportelli Basilicata all’estero Stati Uniti, Brasile, Canada e Svizzera (5mila euro), al Centro Studi Internazionali lucani nel Mondo 2mila euro, all’Associazione culturale Alma Latina 3mila euro, Comune di San Martino d’Agri 10.450 euro per iniziative inerenti l’emigrazione, all’Associazione dei lucani a Pisa 3mila euro, all’Associazione lucana G.Fortunato di Salerno 2mila euro, all’Associazione lucani di Borgaro torinese Orazio Flacco 2mila euro.

All’Associazione lucani nel Veneto P.Setari 2mila euro, all’Associazione amici della Basilicata in Lombardia Ets 7mila euro, per l’Associazione lucana in Umbria Raffaele Nigro 3mila euro, all’Associazione lucani a Berlino assegnati 1500 euro, all’Associazione lucana Bubikon e dintorni (Svizzera) 2mila euro, all’Associazione lucana di Stoccarda 2mila euro, alla Federazione delle Associazioni lucane in Germania 2mila euro, al Circolo lucano di Zurigo 2mila euro, all’Associazione regionale famiglia lucana di MüNSINGEN (CH) 2mila euro, all’Associazione lucani in Lussemburgo 2mila euro, all’Associazione lucana Viggianesi in Svizzera 3mila euro, all’Associazione lucana di Olten (CH) 2mila euro, all’Associazione lucana nel mondo di Singen (DE) 3mila euro, all’Associazione Lucania del Western Australia 10mila euro, alla Federazione delle Associazioni della Basilicata in Brasile Rio De Janeiro 5mila euro, alla Federazione Epson Londra U.K. assegnati 3.500 euro, associazione culturale Magna Grecia Lucana mille euro.

Per quanto riguarda la programmazione di questo triennio a venire, essa si pone nella direzione di restituire le giuste forze a tutti i sodalizi, affinché nessuno possa restare indietro. Ricostituire una base di partenza comune per raggiungere obiettivi comuni, senza dimenticare che il recente sviluppo della contestualità virtuale, resa possibile da avanzati sistemi di video-web-meeting, può costituire un involontario trampolino ad un rafforzamento del network tra i circoli di tutto il mondo, ovvero la costituzione di rapporti umani che trascendono la territorialità in nome di un unico interesse comune: fare rete e creare relazioni tra tutte le associazioni lucane presenti nei quattro continenti. Sviluppare dunque nuovi network operativi, quel network fatto di intese e di incontri anche fortuiti ma operativi per rinsaldare i rapporti e rilanciare il ponte comune verso gli altri mondi lucani. La sostanziale differenza rispetto agli ultimi e più recenti programmi verte su una presa di coscienza dei cambiamenti globali a seguito degli eventi che hanno sovvertito le priorità in tutto il mondo tra il 2020 e il 2022: prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina e gli sviluppi sulla crisi energetica del vecchio continente che possono influenzare equilibri a livello mondiale.

Tra le altre iniziative, ci sono progettualità afferenti la promozione, formazione e scambio di esperienze tra operatori nel settore del commercio, del turismo e dell’enogastronomia; la comunicazione “strutturata” relativa a natura, prodotti, saperi, stili di vita, nuovi opportunità di scoperte e stimoli per i visitatori da tutto il mondo; il “turismo delle Radici”, fondamentale per rinsaldare i legami tra vecchie e nuove generazioni di lucani altrove e regione. Le loro esperienze di vita e di lavoro, la loro immagine di Basilicata, la conoscenza di altre realtà potrebbero fornire utilissimi spunti di riflessione sulla loro percezione della contemporaneità lucana, anche dopo un breve soggiorno in regione; le relazioni inter-studentesche, tirocini curriculari o extracurriculari, con il patrocinio di Unibas e delle Associazioni Lucane. In questo modo potrebbe essere possibile anche realizzare periodi di studio della lingua locale, o periodi di lavoro all’estero; la valorizzazione dei rapporti con gli Enti locali di promozione del turismo in Basilicata, con gli Enti locali di valorizzazione del territorio lucano: Comuni, GAL, Associazioni culturali, Musei e Distretti culturali e produttivi, siti in Basilicata; la promozione di eventi culturali inter-associativi/inter-federativi e di respiro internazionale, che vedano appunto coinvolte due o più Associazioni Lucane o Federazioni; la promozione di studi, ricerche sull’emigrazione lucana. Progetti utili a mantenere viva la memoria dei lucani del passato e renderne edotte le generazioni presenti e future. Tante le storie di partenze, meno, purtroppo, le storie di ritorno, il cui approfondimento, tenendo però conto dei mutamenti di contesto, potrà aiutare a creare condizioni per contrastare, sperabilmente, l’emigrazione che impoverisce, quella fatta da intelligenze e operosità che partono e che non ritornano dopo l’acquisizione di esperienze.

Rilevante l’attenzione alle pari opportunità e significativa considerazione ai giovani. Per questo saranno tenuti in forte considerazione quei progetti che mirano ad attrarre sempre più giovani all’interno delle Associazioni Lucane, attraverso specifici eventi culturali innovativi e attrattivi per le nuove generazioni. (LC/Inform/dip 15)

 

 

 

Israele, Nicola Carè eletto Vicepresidente del Transatlantic Friends of Israel (TFI)

 

Roma - “Sono stato eletto Vicepresidente del Transatlantic Friends of Israel (TFI). E’ un gruppo interparlamentare interpartitico dedicato all'ordine postbellico di sicurezza e cooperazione. In occasione del 75° Anniversario dell'Indipendenza dello Stato d'Israele ho incontrato l'Ambasciatore d'Israele Alon Bar e partecipato alle celebrazioni. La missione è quella di promuovere i diritti umani e i valori democratici e promuove stretti legami transatlantici basati su interessi condivisi. Il Transatlantic Institute coinvolge i decisori di tutto lo spettro politico in tutte le istituzioni e i servizi europei pertinenti, nonché la NATO e le missioni diplomatiche presso l'UE, gruppi di riflessione, giornalisti e altri nel settore della società civile.” Così Nicola Carè deputato del Pd eletto all’estero. Dip16

 

 

 

 

A Pratola Peligna la prima edizione del premio “Migranti d’Abruzzo”

 

PESCARA - Si è tenuto venerdì scorso, 12 maggio, presso la sala consiliare del comune di Pratola Peligna, la prima edizione del Premio “Migranti d’Abruzzo” 2023, iniziativa dedicata al tema dell’emigrazione, con la consegna di riconoscimenti a personalità di origini abruzzesi che oltre i confini regionali, in Italia e nel mondo, si sono distinti per professionalità e prestigio in ambito scientifico, sociale, culturale, sportivo.

Un nuovo Premio, dunque, che si inserisce nel solco aperto negli anni Settanta del secolo scorso dal sulmonese Angelo De Bartolomeis, che fu fondatore e direttore del mensile “La Voce dell’Emigrante” e presidente del “Premio Internazionale Emigrazione”. A De Bartolomeis, venuto a mancare nel 2009, è dedicata questa prima edizione dell’evento, per aver saputo riconnettere emigrati e “restanti” creando un collante culturale fatto di emancipazione e riappropriazione del bagaglio delle origini.

Il Premio è stato assegnato ad Emilio Colaiacovo, giudice della Corte Suprema dello Stato di New York; Giuseppe Santeusanio, docente di anatomia patologica all’Università “Tor Vergata”, presidente del sodalizio di abruzzesi “S. Camillo de Lellis” di Roma, coordinatore delle associazioni abruzzesi in Italia come membro del Cram (Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo); Venanzio Porziella, docente presso l’Università “Cattolica” e responsabile dell’Unità Operativa Semplice di chirurgia esofagea del Policlinico “Gemelli”; Vincenzo Salini, responsabile dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia dell’Istituti di Ricovero e Cura dell’ospedale “San Raffaele”; Giovanni Zavarella, professore, autore, giornalista, Cavaliere della Repubblica; Antonio Cippo, neo campione italiano di Tennis in carrozzina; Caterina Fantauzzi, dirigente del polo scolastico “Ovidio” di Sulmona, di cui fa parte il liceo “G. Vico” promotore del progetto che ha dato vita al volume “Voci d’Abruzzo”, recentemente presentato anche in Canada.

Dopo i saluti istituzionali di Antonella Di Nino, sindaca di Pratola Peligna, e di Roberto Santangelo, vicepresidente del Consiglio regionale dell’Abruzzo e consigliere CRAM, interverranno Francesco Di Nisio, presidente dell’associazione “Corfinium Onlus”; Luciano Visconti, presidente del comitato festa “Madonna Ss. della Libera” 2023; Maurizio Ferrini, presidente dell’associazione “Il Manto. Insieme per Barbara Micarelli”; Massimo Tardio, presidente della Fondazione “Pascal D’Angelo”; Aldo Pace, rappresentante della comunità abruzzese in venezuela; Francesco De Bartolomeis, figlio del prof. Angelo De Bartolomeis; Maxi Manzo, coordinatore regionale per l’Abruzzo per il progetto Pnrr “Turismo delle Radici”, artista italo argentino di origini abruzzesi; Laura Di Russo, giornalista esperta di emigrazione, che modererà l’incontro.

(aise/dip 16) 

 

 

 

 

Bergamaschi Bruxelles e Centro D.L.C.M.: Migrazioni, Mobilità e Turismo delle Radici

 

Bruxelles - Nell'anno celebrativo di Bergamo-Brescia Capitale della Cultura Italiana, il Centro di Ricerca D.L.C.M. (Centro di Ricerca e di Risorse in Didattica/Didattologia delle Lingue-Culture e delle Migrazioni-Mobilità) vuole offrire il suo contributo, in collaborazione con il Circolo di Bruxelles dell'Ente Bergamaschi nel Mondo, pianificando in modalità itinerante l'annuale Convegno Internazionale sul fenomeno migratorio ampliando così la platea coinvolta.

La seconda tappa di questa tournée promozional-culturale ha visto protagonista, dal 22 al 24 aprile scorsi, la città di Lucerna. Tre giornate con tre eventi concomitanti: il Convegno, la presentazione e la proiezione del documentario "2020. Bergamo De Fò. Un anno per Bergamo dal Mondo" e il "Viaggio nella/della Memoria" di discendenti di emigrati rimpatriati.

Nella sua seconda tappa itinerante, il Convegno "Migrazioni e Mobilità. Ieri, oggi e domani", ormai giunto alla sua decima edizione, si è svolto al Centro di Formazione Professionale ENAIP a Littau-Lucerna grazie al prezioso contributo della presidente delle ACLI di Lucerna, Antonia Cianciulli, del presidente del Circolo dei Bergamaschi di Lucerna, Palmiro Oprandi, e di don Egidio Todeschini, coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche per gli emigrati in Svizzera.

Tra i saluti istituzionali quello di Michele Schiavi, sindaco di Onore, che sabato 27 maggio ospiterà la successiva tappa del Convegno Itinerante, come pure quello del sindaco di Clusone, Massimo Morstabilini, che a sua volta ospiterà un'altra tappa il 4 novembre.

L'"Emigrazione italiana in Svizzera" è stato il fil rouge che ha legato gli interventi dei relatori partendo dal "Viaggio nella/della memoria: i bambini dell'emigrazione in contesto migratorio svizzero" della direttrice del Centro DLCM, Silvana Scandella. In effetti, la ricerca dell'emigrazione si è già occupata del tema dei bambini nascosti e invisibili, ma qui la professoressa Scandella ha voluto focalizzare l'attenzione sul vissuto di quei bambini "separati" dai loro genitori e affidati a nonne, balie o messi in collegio in attesa di quel rientro definitivo la cui scadenza però si procrastinava nel tempo. Una separazione che, pur nella consapevolezza del sacrificio dei genitori per assicurare un futuro migliore ai propri figli, ha lasciato strascichi ancora non metabolizzati. Ne hanno dato voce le testimonianze dirette di Laura Bertocchi e Mara Bombana, suscitando profonda commozione tra i presenti. Come pure la lettura in dialetto del percorso autobiografico della stessa direttrice Silvana Scandella: "Lé... basta andà...(Lei...basta andare...). Ruolo del dialetto di origine nei racconti di vita migratoria".

Uno sguardo alla diffusione della lingua e cultura italiana è stato proposto dalla testimonianza di Maria Sestito, docente a Lucerna dal 1969 al 1972: "L'esperienza di insegnamento dell'italiano nei Corsi di Lingua e Cultura Italiana in contesto migratorio svizzero germanofono agli albori della Legge 153 del 3 marzo 1971". Rientrata in Italia come docente di ruolo Maria Sestito rivive il bel rapporto con i suoi scolaretti tanto motivati nonostante le provate difficoltà e le forti amicizie nate in emigrazione il cui legame persiste anche dopo decenni.

Dall'emigrazione all'immigrazione si è occupato l'intervento di Sabrina Alessandrini, dottore di ricerca P.E.F.Li.C. dell'Università di Macerata, membro di TRANSIT-lingua e Do.Ri.F.-Università e del Comitato Scientifico-Organizzativo del Centro D.L.C.M.: "Storia e memoria familiare: il racconto migratorio parentale di adolescenti provenienti dalla migrazione". Una significativa analisi dei condizionamenti dell'ambiente familiare immigrato e inserito nel tessuto sociale provinciale marchigiano.

La seconda parte del Convegno è stata dedicata alla presentazione e alla proiezione commentata del documentario "2020 Bergamo De Fò. Un anno per Bergamo dal Mondo". Un docufilm di 52 minuti che raccoglie sei video realizzati durante la pandemia come testimonianza di affetto, vicinanza e incoraggiamento alla terra bergamasca che in quella fase stava pesantemente soffrendo.

Il silenzio tra il pubblico non è riuscito a tradire l'emozione suscitata rivivendo quella drammaticità amplificata dalla lontananza dai prorpi cari, dalla prorpia gente, dalla propria Terra. L'interazione con i presenti ha consentito di condividere emozioni e valori incoraggiando il progetto di proseguire nella tourneé del documentario itinerante per non far cadere questa testimonianza nell'oblìo proprio in occasione di Bergamo-Brescia Capitale della Cultura Italiana 2023. Ad arricchire il valore del filmato concorrono anche immagini di promozione dei paesaggi della terra bergamasca con messaggi che sollecitano la scelta della destinazione bergamasca quale meta del turismo postpandemico.

La tappa del Convegno è stata anche l'occasione per effettuare il viaggio “nella” memoria e “della” memoria da parte di figli e nipoti di emigrati proprio a Lucerna negli anni '50-'60.

Era la fine degli anni '50 e il boom economico che aveva interessato le principali aree urbane in Italia stentava a far risentire i propri benefici nelle province periferiche. Così la Lombardia e in particolare la provincia di Bergamo e le sue valli hanno vissuto un massiccio esodo di forza lavoro. L'ondata migratoria ha interessato dapprima Svizzera, Francia e Belgio. La Svizzera si prospettava come meta prescelta soprattutto per la vicinanza con il miraggio di un buon trattamento economico. Si trattava prevalentemente di un progetto temporaneo, giusto il tempo di consolidare la propria posizione, racimolare un tesoretto quanto basta per farsi la casa, far studiare i figli e poi "rientrare". A volte però questi tre obiettivi non si sono potuti concretizzare e quei pochi anni preventivati all'estero sono diventati "una vita": venti, trenta o addirittura non si è più rientrati.

Le partenze all'estero si sono susseguite nella modalità "a catena" interessando compaesani o ancora "a grappolo" coinvolgendo intere famiglie. Da San Lorenzo di Rovetta, nell'Alta Valle Seriana, la famiglia Maninetti ha visto partire per la vicina Svizzera ben sette tra sorelle e un fratello su undici figli. Tutti e sette hanno realizzato il progetto di rientro, chi dopo sette/otto anni chi dopo una trentina. E tutte le sette famiglie hanno vissuto la sofferenza della separazione, pur se contenuta nel tempo, dei figli. Le nonne, le balie, i collegi hanno sostituito i genitori per periodi che hanno segnato l'identità e la personalità di quei bimbi ora uomini e donne mature.

Tornare a Lucerna è stato vissuto come una sorta di turismo delle radici a rovescio. Tornare cioè sulle orme dell'emigrazione vissuta dai genitori e famigliari e anche in prima persona. Ritrovare l'atmosfera dell'attuale comunità italiana partecipando alla S. Messa domenicale nella Chiesa dei Gesuiti è stato un tuffo nel passato. Così come il tour a piedi nel centro storico accompagnati dall'esperto Carlo Bracchi ha fatto scoprire una dimensione nuova della città che è cambiata. Sono affiorati ricordi, volti, nomi e abitazioni che non esistono più, rimpiazzate da palazzi o parcheggi. Ma è stata anche un'opportunità per approfittare dell'offerta turistica della città di Lucerna a bordo del trenino turistico e apprezzando un caratteristico spettacolo gastronomico-folcloristico.

Il "Viaggio delle Radici di Ritorno" si è poi concluso con una crociera sul lago dei quattro Cantoni assaporando la bellezza dell'ambiente in cui mamme e papà hanno lavorato sodo per assicurare anche questo ritorno. A tal proposito un grazie sentito per la partecipazione a Emanuela e Maria Grazia Bombana e a Silvia e Marco Maninetti.

Appuntamento quindi alla terza tappa del Convegno Itinerante che si svolgerà nel Municipio di Onore sabato 27 maggio 2023 in concomitanza della Quarta Edizione del Ritrovo della famiglia Scandella e affini, Onoresi nel Mondo, sulle tracce delle proprie origini.

Mauro Rota, presidente del Circolo di Bruxelles dell'Ente Bergamaschi nel Mondo

 

 

 

Tirocini in Ambasciata: il nuovo bando

 

ROMA - Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in convenzione con il Ministero dell’Università e della Ricerca – MUR, e con la Fondazione CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), ha aperto un nuovo bando per 329 tirocini presso oltre 190 Sedi estere.

Il “Programma di tirocini MAECI-MUR-Università Italiane” mira a integrare il percorso formativo universitario degli studenti con un’esperienza concreta che permetta una conoscenza diretta delle attività istituzionali del MAECI all’estero. È inoltre possibile svolgere un tirocinio curriculare presso la Sede centrale del MAECI a Roma. A tal fine è necessaria l’attivazione di una Convenzione tra un singolo Ateneo e la Direzione Generale o Servizio di interesse.

Il bando relativo al terzo ciclo di tirocini per l’anno 2023 – in programma dal 18 settembre al 15 dicembre 2023 - è stato pubblicato sul sito www.tirocinicrui.it. Le candidature potranno essere inviate entro il prossimo 16 giugno.

Dato il preminente collegamento dei tirocini curriculari con le carriere internazionali, i tirocini presso le Ambasciate, i Consolati e le Rappresentanze permanenti presso le Organizzazioni Internazionali sono destinati agli studenti – di età non superiore ai 28 anni – iscritti ai corsi di laurea magistrale o a ciclo unico che consentono l’accesso alla carriera diplomatica. I tirocini curriculari presso gli Istituti italiani di Cultura sono invece estesi anche agli studenti iscritti ad altri corsi di laurea, come verrà specificato da ciascun bando.

Gli studenti hanno diritto a un rimborso spese, corrisposto dalle Università di appartenenza, nella misura minima di 300 euro al mese, salvo diversamente disposto dal bando.

Il testo del bando e l’elenco degli atenei partecipanti sono disponibili qui: https://www.tirocinicrui.it/329-tirocini-bando-maeci-mur-crui/  (dip)

 

 

 

 

La mostra “Da nord a sud”. Studi e contaminazioni degli artisti trentini

 

Trento – È quasi un’antologia dell’arte trentina del ‘900, quella che la rassegna “Da nord a sud” propone fino al 24 giugno presso la sede del Consiglio provinciale di Trento. Sottotitolo: Studi e contaminazioni degli artisti trentini tra Italia, Tirolo e Germania fra le due guerre. Si scorrono i nomi dei ventotto artisti (per 64 opere totali) e si apprezza immediatamente lo spessore dell’evento, che Walter Kaswalder ha voluto ospitare a palazzo Trentini e poco fa ha inaugurato assieme a Mara Dalzocchio (Ufficio di Presidenza), prima di rientrare di corsa in aula consiliare per la trattazione della variazione di bilancio Pat.

L’ideatore e curatore dell’esposizione – Warin Dusatti, direttore responsabile di Arte Trentina – ha sviluppato un taglio assai stimolante: ricostruendo le formazioni accademiche di pittori e scultori trentini del ”secolo breve”, infatti, si va a raccontare in profondità di un territorio come il nostro, che è sempre stato in costante dialogo da un lato con i grandi centri culturali dell’alta Italia e dall’altro con l’area del Tirolo storico e più su fino a Monaco e Vienna. Nell’anno e nel momento in cui l’assemblea legislativa trentina organizza l’assise biennale con Bolzano e Innsbruck (il Dreier Landtag 2023 di Riva del Garda, che si terrà il 14 e 15 giugno), l’obiettivo è stato quello di approfondire e mettere in luce una cultura e un’arte figurativa trentina non autoreferenziali e asfittiche, ma alimentate e maturate proprio attraverso i fitti rapporti interregionali e transfrontalieri.

“Scopriamo in particolare – scrive Kaswalder aprendo il catalogo – quanto intimo sia stato il rapporto tra gli ingegni creativi della nostra terra e l’area tirolese di lingua tedesca, una plastica rappresentazione di come l’euroregione corrisponda a un solido trascorso e a un bisogno di relazioni che è di lunga data e ha dato nel tempo frutti importanti.

Anche grazie ai testi in catalogo, ecco dunque un apprezzabile contributo alla descrizione di quella “identità trentina” che sappiamo essere così complessa, composita e bicipite, rivolta contemporaneamente e da sempre a nord e a sud, al mondo italiano e al mondo tedesco e mitteleuropeo”.

Marcello Nebl poco fa ha ben messo in luce i significati della rassegna, soffermandosi ad esempio sull’importanza culturale rivestita nel Novecento dalla Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, dove studiano tra i molti Luigi Bonazza e Oddone Tomasi, prima di proseguire la loro alta formazione a Vienna, dove approda anche Luigi Ratini (poi docente alla stessa scuola elisabettina). Da questa mostra escono ben ricostruiti i percorsi accademici di una autentica teoria di grandi firme trentine: Armani, Balata, Polo, Rasmo, Lasta, Wenter Marini (e altri) diretti a nord, Iras Baldessari, Casetti, Disertori, Bonacina, Garbari, Melotti, Pancheri, Gigiotti Zanin (e altri) diretti a sud, come anche il rivano Luigi Pizzini di cui è in corso una grande antologica tra il Mag gardesano e Casartisti a Canale di Tenno. Si respira in queste connessioni la temperie culturale di un Trentino combattuto tra Impero e irredentismo, un Trentino ricco di creatività e in prima linea, tanto che Annamaria Targher poco fa ha voluto sottolineare che questi maestri si sono espressi allo stesso livello dei maggiori nomi nazionali. Erminia Bruni Menin tiene alta la bandiera del gentil sesso, evitando una carrellata tutta al maschile. Una mostra da vedere, questa, che ci illumina percorsi di vita fecondi, come quello di Umberto Moggioli che va a vivere a Burano e lì intreccia legami con altri pittori conterranei come appunto il Pizzini, Mario Disertori e Benvenuto Disertori.

Ingresso libero a palazzo Trentini di Trento fino al 24 giugno, dalle 9.30 alle 18.30 nei feriali, dalle 9.30 alle 12.30 il sabato, con chiusura la domenica.

Luca Zanin, Inform/dip 25

 

 

 

Gli italiani all’estero durante la pandemia: a Roma il documentario di Martina

 

ROMA - Prima tappa romana per “Sospesi” il documentario di Martina Dall'Ara sugli italiani all’estero durante la primavera del 2020, in piena pandemia da covid.

Il documentario e stato presentato venerdì 26 maggio, al Nuovo Cinema Aquila, alle 21.00: insieme all’autrice interverranno la consigliera Maria Luisa Lapresa, capo ufficio I della Direzione generale per gli italiani all’estero della Farnesina, e il produttore Lamberto Mongiorgi.

Al termine le due protagoniste del documentario, Agata Brazzorotto e Lia Aurora Oblitas Lazarte, hanno risposto alle domande del pubblico presente in sala con le testimonianze dalla Turchia e dal Perù. Modera Fabio Meloni, Direttore del Nuovo Cinema Aquila.

L'evento era aperto a tutti e gratuito, grazie alla collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Esordio nell'opera di lungometraggio per l'autrice romagnola, il film porta a compimento ambiziosi presupposti: raccogliere testimonianze da tutto il pianeta per sondare la percezione dell'isolamento da parte degli italiani che si trovavano all'estero quando ogni cosa si è fermata durante la primavera del 2020.

Ne è scaturito un racconto a più voci complesso, intenso, emotivamente e tematicamente stratificato.

Sospesi raccoglie volti, voci e storie da 50 paesi del mondo. Attraverso un’imponente ricerca e lo sguardo sociologico della regista: cento esperienze di vita di italiani in luoghi stranieri svelano percezioni e stati d’animo di un isolamento del tutto inaspettato, tra incertezza e fiducia nel futuro. Finestre sul mondo, che ricostruiscono il fenomeno più importante e travolgente del XXI secolo.

Il film è prodotto dalla Manufactory Productions di Lamberto Mongiorgi, casa di produzione indipendente con sede a Bologna, di recente in sala con il documentario Cinematti - Una storia folle (2020) di Giacomo R. Bartocci.

Il progetto è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Comune di Cesena, e tramite le sponsorizzazioni di Consorzio Romagna Iniziative, General System, Fondazione F.o.r, Brodino, Progetto Arredo, Foodstation, Gelateria Leoni, Ubik Cesena e Teleromagna.

Premiere Film è distributore ufficiale per il mercato festivaliero nazionale e internazionale.

Il film ha ricevuto il riconoscimento di "Finalist" nella sezione Covid Film allo Stafford Film Festival in UK e "Best Original Score" al Mindfield Film Festival ad Albuquerque, arrivando in selezione ad Hollywood al Los Angeles Italia Film Fashion and Art Festival 2023. (aise/dip 27)

 

 

 

 

Bologna la riunione della Consulta emiliano-romagnoli nel mondo

 

Bologna - Raccolta fondi delle singole associazioni e invito a contribuire a quella organizzata dalla Regione a sostegno delle popolazioni colpite dall’alluvione. Un lungo applauso ha testimoniato la vicinanza degli emiliano-romagnoli nel mondo ai corregionali alluvionati: l’abbraccio è arrivato dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo che proprio oggi ha iniziato i propri lavori nella sede dell’Assemblea legislativa, a Bologna. Si tratta della seconda riunione in presenza dopo quella di Piacenza dell’anno scorso e a cui prendono parte 32 consultori e consultrici provenienti da tutto il mondo e dalle province regionali in rappresentanza delle associazioni del Sud America del Nord America, dell’Europa, degli enti locali italiani, delle associazioni di promozione sociale sul territorio regionale e delle Università.

Scorrendo il bilancio delle attività realizzate dalla Consulta si vede che nel 2023 sono stati finanziati tre bandi per circa 380mila euro, che hanno portato alla realizzazione di una quarantina di progetti, e sono state finanziate sei borse di studio dedicate a giovani emiliano-romagnoli residenti all’estero per la frequenza del master in Relazioni internazionali, Europa, America Latina nella sede di Buenos Aires dell’Università di Bologna.

“Sentiamo la vicinanza degli emiliano-romagnoli nel mondo verso la nostra regione colpita dalla tragedia dell’alluvione: viviamo momenti drammatici, ma il vostro calore è per noi importante”, spiega il presidente della Consulta, Marco Fabbri, che nella sua relazione ha fatto il punto sull’attività della consulta elencando numeri e progetti portati a termine in questi anni. Fabbri ha anche annunciato che il prossimo 2 luglio si celebrerà la Giornata dell’emigrante emiliano-romagnolo, e lo si farà con numerose iniziative fra cui una mostra fotografica e una raccolta di storie via Internet per fa sì che i giovani nipoti e pro-nipoti di emigranti raccontino in streaming le storie dei loro nonni e bisnonni. “Per noi è importante avere degli ambasciatori nel mondo come i consultori e tutti coloro che operano nelle associazioni o collaborano con la Consulta”, sottolinea Fabbri, per il quale “abbiamo realizzato molte iniziative e dobbiamo far sapere il valore del nostro lavoro. Il nostro impegno in questo difficile momento è anche sostenere il nostro turismo e continuare il lavoro per la riscoperta dei borghi del nostro Appennino”.

Sulla stessa linea di Fabbri la vicepresidente della Consulta Valentina Stragliati per la quale “questi incontri ci offrono numerosi spunti di riflessione, molte suggestioni e suggerimenti di cui fare tesoro: sono molto soddisfatta anche perché questi eventi sono l’occasione per fare promozione territoriale della nostra regione, ricca di bellezze paesaggistiche, culturali ed enogastronomiche. In particolare mi rivolgo ai giovani sperando che sempre di più siano quelli che si avvicinano alla Consulta, perché così continuerà a essere una realtà viva”.

Alla Consulta sono arrivati i saluti della vicepresidente dell’Assemblea legislativa Silvia Zamboni: “Gli emiliano-romagnoli nel mondo sono ambasciatori della nostra cultura, fanno un grande lavoro per far conoscere la nostra regione dimostrando di avere salde radici ben piantate nella nostra storia. L’Assemblea legislativa -spiega la vicepresidente- vi sosterrà sempre. Oggi, alla luce della tragica alluvione che ci ha colpito, vi chiediamo di essere anche testimoni dell’importanza che riprenda il turismo sulla Riviera adriatica, vista anche la sua importanza per tutta Italia”.

A dar voce ai pensieri e alla passione dei consultori è stata l’altra vicepresidente della Consulta, Marilina Bertoncini. “Operiamo per valorizzare la nostra identità emiliano-romagnola nel mondo. Siamo reduci da un’importante missione a Buenos Aires che è stata ancora una volta l’occasione per presentare i nostri progetti. Essere oggi a Bologna -spiega- significa confermare il nostro impegno: abbiamo 90 associazioni nel mondo che lavorano con noi, siamo molto attivi e siamo molto felici di ciò che facciamo e di come lo facciamo. Le sfide più importanti che dobbiamo affrontare è quello del ricambio generazionale delle nostre associazioni: abbiamo fatto un questionario per sapere cosa si aspettano i nostri giovani. Loro sono il nostro futuro, dobbiamo coinvolgerli e capirli. Vogliamo programmare le attività delle nostre associazioni in modo da coinvolgere i nostri giovani”. (aise/dip 29) 

 

 

 

La XIV edizione del Premio Nazionale Pratola. La premiazione

 

L’AQUILA – La grande sala del Cinema Igioland di Corfinio (L’Aquila), nel pomeriggio di sabato 27 maggio, non è riuscita a contenere in tutti gli ordini di posti la magnifica cornice di pubblico, in parte è restata in piedi pur di assistere alla cerimonia di premiazione della XIV edizione del Premio Nazionale Pratola. Un evento ormai di rilevanza nazionale, organizzato alla perfezione dall’Associazione Futile Utile guidata da Pierpaolo ed Ennio Bellucci. Lo hanno sottolineato nei loro saluti d’apertura Antonella Di Nino, sindaco di Pratola Peligna, Angelo Caruso, presidente della Provincia dell’Aquila, la consigliera regionale Antonietta La Porta e in chiusura il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio. Numerose le autorità civili e militari intervenute, presente all’evento anche il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, che ha inserito l’evento nell’ambito dei crediti formativi.

La cerimonia, iniziata alle 17:15 e condotta dal giornalista Enrico Giancarli con il giusto governo dei tempi, in un’ora e mezza ha proposto notevoli spunti d’interesse e procurato buone dosi d’emozione con le motivazioni dei riconoscimenti e le dichiarazioni delle Personalità premiate. Aperta dalla splendida voce della soprano Chiara Tarquini e accompagnata dagli intriganti brani della Little Swing Band, sestetto di autentici virtuosi, la manifestazione ha colto subito l’anima del pubblico con la prima consegna del riconoscimento, relativo alla Sezione Pace e Solidarietà, conferito all’Associazione Mama Sofia e alla sua infaticabile Presidente, Zakia Seddiki, vedova dell’Ambasciatore Luca Attanasio, barbaramente ucciso due anni fa in Congo mentre era in missione per conto dello Stato italiano.

Nata come associazione umanitaria nel 2017 a Kinshasa, capitale del Congo, per iniziativa dell’Ambasciatore d’Italia Luca Attanasio e di sua moglie Zakia Seddiki, nel 2021 Mama Sofia è stata costituita come Fondazione italiana. Da allora è impegnata in iniziative umanitarie rivolte all’infanzia e a sopperire alle condizioni di disagio, avviando nel Paese numerosi progetti in ambito sociale e sanitario. Attualmente è impegnata su scala più vasta per la tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici dei minori e dei giovani socialmente ed economicamente svantaggiati. Intensa la testimonianza resa da Zakia Seddiki Attanasio, che ha motivato le attività di Mama Sofia come il miglior modo per ricordare l’Ambasciatore Attanasio e onorarne la memoria.

E’ seguita la consegna del premio per la Sezione Impegno Civile, conferito al Generale di Corpo d’Armata con Incarichi Speciali, Francesco Paolo Figliuolo. Impossibilitato per motivi di servizio a presenziare l’evento, è stato comunque presente con un videomessaggio nel quale ha richiamato il suo impegno come Commissario della Campagna nazionale di vaccinazione contro la pandemia e ha voluto dedicare il riconoscimento all’intera catena dei collaboratori sanitari e del volontariato che in tutta Italia hanno accompagnato l’impegnativa opera anti Covid, un modello esemplare che tutto il mondo ci ha riconosciuto. Per la Sezione Musica il premio è stato conferito al M° Paco Suarez, compositore e direttore d’orchestra, noto in tutta Europa per il suo estro, la creatività e la sua indiscussa bravura. Nell’imminenza d’un intervento chirurgico Paco Suarez non è potuto venire dalla Spagna a ritirare il riconoscimento, che è stato consegnato al M° Santino Spinelli, amico e partner di Suarez in tante manifestazioni internazionali sulla cultura Rom.

Per la Sezione Sport sono stati premiati il campione olimpionico di bob a 2 Antonio Tartaglia, vincitore della medaglia d’oro in coppia con Günther Huber a Nagano (Giappone). Abruzzese di Casalbordino, da qualche anno è tornato a vivere con la famiglia nel paese d’origine, anche con il proposito d’impegnarsi in progetti di sviluppo in seno alla sua comunità. Altro riconoscimento è stato conferito alla campionessa di atletica Gaia Sabbatini, anche lei abruzzese, che in un videomessaggio ha espresso gratitudine e soddisfazione, rinviando a successiva occasione il ritiro del premio, impedita da impegni di preparazione per un’importante gara. Identico motivo ha riguardato il tennista abruzzese Lorenzo Musetti, astro nascente del circuito mondiale ATP, già in partenza per Parigi per partecipare al torneo internazionale Roland Garros.

In grande smalto la Sezione Giornalismo, con il premio consegnato a personalità di primo piano della televisione e della carta stampata. Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore tra i più autorevoli del panorama italiano, ha sottolineato l’onore di ricevere il riconoscimento parlando dell’Abruzzo, una regione che conosceva poco, prima d’essersene interessato quando da giornalista seguiva la presidenza Ciampi. E Carlo Azeglio Ciampi amava l’Abruzzo e la sua gente – giovane ufficiale, fu accolto e ospitato a Scanno dopo l’8 settembre 1943 e poi aiutato a raggiungere attraverso i sentieri della Maiella le truppe Alleate oltre la linea Gustav -. E ancor più nel 2009 quando il giornalista seguì il terremoto dell’Aquila, ammirando la dignità e la compostezza della popolazione così duramente segnata dal sisma.

E’ stata poi la volta di Stefania Battistini, inviata speciale del Tg1 Rai, impegnata in Ucraina. Ha affidato ad un videomessaggio il ringraziamento per il premio a lei conferito che in altro momento ritirerà, nell’impossibilità d’essere presente perché impegnata a documentare quella terribile guerra che oppone il popolo ucraino alla Russia che ha invaso il paese. C’è stata quindi la consegna del premio a Francesco Giorgino, giornalista Rai e docente universitario, per molti anni caporedattore del Tg1, da qualche giorno nominato direttore dell’Ufficio Studi Rai. Giorgino, da par suo, ha evidenziato la rilevanza del mezzo televisivo e l’esigenza, per l’azienda di Stato, d’essere sempre al passo con l’innovazione nel mondo dell’informazione e con i mutamenti del linguaggio televisivo come dei sistemi diffusi della comunicazione, per assolvere al meglio al dovere di servizio pubblico da parte di una grande azienda qual è la Rai. Infine la consegna del premio a Maria Antonietta Spadorcia, vicedirettore del Tg2 Rai. Tutto familiare per lei, abruzzese di Sulmona. Un riconoscimento che onora non solo lei, ma la terra peligna e la sua gente.

Per Sezione Solidarietà l’assegnazione del Premio è stata tributata a Mons. Michele Fusco, Vescovo di Sulmona-Valva, quale riconoscimento per come il presule interpreta la sua missione pastorale, tra la gente, dalla parte degli ultimi, degli esclusi e dei più bisognosi. A loro, agli ultimi, egli ha voluto rivolgere la sua attenzione, ricordando l’opera di don Lorenzo Milani nel centenario della nascita, per l’autenticità della testimonianza che il priore di Barbiana ha lasciato all’Italia. Ha quindi voluto dedicare il riconoscimento a tutti i collaboratori che nella diocesi lo accompagnano nell’opera pastorale.

Per la Sezione Economia e Lavoro il riconoscimento è stato tributato a Serenella Pizzoferrato, dirigente Consob, che proprio a Pratola Peligna è nata. Nel ringraziare, l’insignita del premio ha incentrato il suo intervento sul legame che la unisce alla terra d’origine, alla comunità di Pratola, per quanto ormai da molti anni lei viva a Roma (dove dirige l’Ufficio di Segreteria tecnica dell’Arbitro delle controversie finanziarie della Consob, ndr). Ha voluto perciò dedicare alla gente peligna, ai valori di tenacia e spirito di sacrificio tramandati dalle generazioni precedenti, il premio conferitole, quale condivisione proprio di quei valori che hanno ispirato la sua condotta di vita.

Qualche considerazione conclusiva. La manifestazione ha confermato la sua grande presa sul territorio, ma soprattutto l’interesse e il prestigio che ormai l’accompagna hanno da tempo travalicato l’Abruzzo facendola assurgere sempre più ad evento di grande respiro e di rilevanza nazionale. Un’occasione annuale, peraltro, in grado d’essere vetrina d’eccellenza posta all’attenzione delle insigni personalità alle quali nel corso degli anni il Premio è stato tributato. E gli insigniti del 2023 certamente vanno a consolidare ed impreziosire il cospicuo Albo d’Oro del Premio Nazionale Pratola che nelle precedenti edizioni ha visto tributare il riconoscimento, tra le altre, a personalità di rilievo quali Sergio Zavoli, Gianni Letta, Ferruccio De Bortoli, Federico Buffa, Gian Antonio Stella, Oliviero Beha, Enrico Mentana, Marcello Sorgi, Luciano Fontana, Antonio Padellaro, Moni Ovadia, Lina Palmerini, Alessandro De Angelis, Giuseppe Guastella, Angelo Figorilli, Adriano Buzzetti Colella, Enzo Romeo, Lino Guanciale, Myrta Merlino, Gabriele Gravina, Giorgio Pasotti, Edoardo Siravo, Maurizio Gentile, Hafez Haidar, Arrigo Sacchi, Luigi Di Biagio, Roberto Di Jullo, Santino Spinelli, Davide Cavuti, Giovanni Legnini e anche chi scrive, solo per ricordarne alcuni. Appuntamento dunque al prossimo anno, per la XV edizione.

Goffredo Palmerini, dip 30

 

 

 

 

U-Ethikgremium wird wohl ein zahnloser Tiger

 

Das neue EU-Ethikgremium wird die Transparenzstandards für EU-Politiker in neun EU-Institutionen harmonisieren. Eigenständige Ermittlungs- und Sanktionsbefugnisse wird das Gremium allerdings nicht haben, so eine Quelle der Europäischen Kommission gegenüber EURACTIV. Von: Benjamin Fox und Eleonora Vasques

 

Der Vorschlag für das neue Gremium soll Ende Juni veröffentlicht werden. Es soll Standards für die Institutionen definieren und überwachen, ob diese in allen Fällen „in gleicher Weise“ angewendet werden.

Wenn das Ethikgremium feststellt, dass ein Verstoß gegen die Regeln vorliegt, ist die betreffende EU-Institution für die Verfolgung des Falles mit ihrem eigenen unabhängigen Sanktionssystem verantwortlich.

Dies liegt daran, dass es „rechtlich nicht möglich“ ist, dem Gremium rechtsverbindliche Befugnisse für seine Entscheidungen zu geben, so die Quelle.

Die Debatte über das EU-Ethikgremium steht seit dem Katargate-Korruptionsskandal, der die EU-Institutionen im vergangenen Dezember erschütterte, ganz oben auf der Tagesordnung der EU. Mehrere Mitglieder des Europäischen Parlaments und Beamte wurden verhaftet, weil sie mutmaßlich Geld aus Marokko und Katar im Austausch für politischen Einfluss angenommen hatten.

Dem Beamten der Kommission zufolge kann das Gremium keine eigenen Ermittlungen durchführen oder Sanktionen verhängen, da die Gefahr besteht, dass es zu Überschneidungen mit anderen Gremien wie den nationalen Institutionen und anderen EU-Einrichtungen wie dem EU-Gerichtshof, dem Rechnungshof, der Europäischen Staatsanwaltschaft und dem Europäischen Amt für Betrugsbekämpfung kommen könnte.

Die anzuwendenden Standards werden jedoch für die Institutionen „rechtsverbindlich“ sein, sobald der Vorschlag zu einem Rechtsakt wird, und sie werden wie andere EU-Rechtsvorschriften angewendet werden.

„Die Institutionen halten sich an die Gesetzgebung“, sagte der Kommissionsbeamte. Sollte eine Institution die Regeln des Ethik-Gremiums nicht anwenden, würde der Fall an den Europäischen Gerichtshof gehen.

Das Gremium wird Mindeststandards festlegen, an die sich die Institutionen halten müssen, wobei sie die Möglichkeit haben, über die Ethikregeln hinauszugehen und sie zu verschärfen, wenn sie dies wünschen.

Sie wird über einen Überwachungs- und Transparenzmechanismus verfügen, um zu überprüfen, ob die Standards eingehalten werden, und um die Öffentlichkeit über ihre Aktivitäten zu informieren.

Nach Angaben des Kommissionsbeamten wird sich das Ethikgremium vor allem auf Vermögenserklärungen, externe Aktivitäten, die Annahme von Geschenken, Bewirtungen und Reisen, die Annahme von Auszeichnungen, Ehrungen oder anderen Formen von Preisen, Aktivitäten ehemaliger Mitglieder und Treffen mit Interessenvertretern konzentrieren.

Die Einrichtung eines Ethikgremiums ist seit dem Skandal eine der Hauptforderungen des Europäischen Parlaments an die Kommission.

Die EU-Transparenzbeauftragte Vera Jourová, die für die Ausarbeitung der neuen Gesetzgebung zuständig ist, mahnte jedoch zur Geduld.

„Um das Vertrauen der Menschen nach dem Katargate wiederzugewinnen, wird es einige Zeit dauern“, sagte Jourová am Wochenende den Delegierten des ALDE-Kongresses in Stockholm, der die liberalen Parteien Europas versammelt.

„Ich arbeite jetzt an der Ethikkommission für die EU-Institutionen und werde mein Bestes tun, um etwas Sinnvolles zu schaffen oder dabei zu helfen“, sagte sie.

„Aber ich hasse es, einigen zuzuhören, vor allem Mitgliedern des Europäischen Parlaments, die sagen, dass wir uns ohne das Ethikgremium nicht ethisch verhalten können.“

Nächsten Schritte

Der Vorschlag wird bis Ende Juni veröffentlicht und muss dann von den Abgeordneten des Europäischen Parlaments und den nationalen Ministern genehmigt werden.

Die Kommission geht davon aus, dass der Vorschlag vor den nächsten EU-Wahlen, die Anfang Juni 2024 stattfinden werden, angenommen wird. Das Ethikgremium wird seine Arbeit dementsprechend mit der neuen EU-Legslativperiode aufnehmen. EA 31

 

 

 

Kliniken begrüßen Vorstoß. Ministerin Schulze will Fachkräfte aus Entwicklungsländern anwerben

 

Entwicklungsministerin Svenja Schulze setzt sich für mehr Zuwanderung auf den deutschen Arbeitsmarkt ein. Die Krankenhausgesellschaft begrüßt den Vorstoß, fordert aber eine schnellere Arbeitserlaubnis für ausländische Kräfte.

Krankenhausgesellschaft-Chef Gerald Gaß begrüßt die weitere Anwerbung ausländischer Fachkräfte für den deutschen Arbeitsmarkt. Schon jetzt beschäftigten die Kliniken viele ausländische Kräfte, sagte der Vorstandsvorsitzende der Deutschen Krankenhausgesellschaft der Düsseldorfer „Rheinischen Post“. Gaß forderte zugleich schnellere Freigaben durch die deutschen Ausländerbehörden.

Als Maßnahme gegen den Fachkräftemangel in Deutschland will Entwicklungsministerin Svenja Schulze (SPD) verstärkt auf Zuwanderung setzen. „Bei der Suche nach Fachkräften sollten wir die Entwicklungsländer stärker in den Blick nehmen“, sagte Schulze den Zeitungen der Funke Mediengruppe. Viele dieser Länder stünden vor der Herausforderung, genügend Jobs für ihre junge, wachsende Bevölkerung zu schaffen.

Schulze: Keinen Schaden anrichten in armen Ländern

Die Ministerin warnte zugleich davor, Konkurrenz um Fachkräfte auf dem internationalen Arbeitsmarkt zu schaffen. Deutschland dürfe keinen Schaden anrichten in ärmeren Ländern, die ihre Fachkräfte selbst brauchten, betonte sie. In Ländern wie Indien oder Ghana sei die Arbeitslosigkeit allerdings so hoch, dass sie in der Fachkräfte-Migration einen Nutzen für sich und ihre Bevölkerung sähen.

Unterdessen beklagte Krankenhausgesellschaft-Chef Gaß, dass Kliniken und Mitarbeiter teilweise Monate warten müssten, bis es eine Arbeitserlaubnis gebe. „Was nützen uns 500 neue Mitarbeiter, die der Bundesarbeitsminister in Brasilien anwirbt, wenn es dann 16 verschiedene Anerkennungsverfahren gibt, in denen kleinteilig die Abschlüsse geprüft werden? Die deutsche Bürokratie lähmt die Krankenhäuser.“ (epd/mig 31)

 

 

 

Nordkosovo: NATO-Soldaten durch serbische Demonstranten verletzt

 

Bei Zusammenstößen mit serbischen Demonstranten wurden mindestens 34 NATO-Friedenstruppen, Angehörige der kosovarischen Polizei und Bürger verletzt. Sowohl der Kosovo, als auch internationalen Organisationen verurteilten den Zwischenfall. Von: Alice Taylor und Bojana Zimonjic

 

Belgrad hat seinerseits die internationale Gemeinschaft aufgefordert, einzugreifen und Druck auf den Kosovo auszuüben, warnte jedoch: „Wenn der albanische Eindringling schießt, wird die Situation anders sein.“

Am Freitag verschlechterte sich die Lage im mehrheitlich serbischen Norden des Kosovo. In vier Gemeinden übernahmen albanische Bürgermeister das Amt, nachdem serbische Beamte Ende 2022 massenhaft zurückgetreten waren. Die Serben im Land enthielten sich größtenteils ihrer Stimme, nachdem sie von Serbien dazu aufgefordert worden waren.

Am Freitag hatte Serbiens Präsident Alexander Vucic die Armee näher an die Grenze verlagert und sie in höchste Alarmbereitschaft versetzt. Nach einigen Tagen relativer Ruhe hatte sich die Lage am Montagabend in Leposavic, Zubin Potok und Zvecan verschlechtert, als Serben Molotowcocktails mit Nägeln, Feuerwerkskörpern und Steinen warfen, wie das italienische Verteidigungsministerium mitteilte.

Die Polizei berichtete, dass die Demonstranten Tränengas einsetzten und versuchten, „die Sicherheitsabsperrungen zu überwinden, um gewaltsam in die Gemeinde einzudringen.“

Die Serben im Norden des Landes weigern sich, die Souveränität von Pristina anzuerkennen. Daher akzeptieren sie auch nicht die neuen Bürgermeister, die mit der niedrigsten Wahlbeteiligung in der Geschichte des Landes gewählt wurden.

Internationale Organisationen bezeichneten die Wahlen als rechtmäßig, forderten den Kosovo jedoch auf, keine kommunalen Gebäude zu betreten, in denen sie „nicht willkommen“ seien.

Der kürzlich gewählte Bürgermeister von Leposavic, Lulzim Hetimi, hat Berichten zufolge die Nacht im Gemeindehaus verbracht, da es für ihn zu unsicher war, es zu verlassen.

In einer Erklärung gab die Friedenstruppe der NATO im Kosovo, die kurz KFOR genannt wird, weitere Einzelheiten der Situation bekannt: „Einige Soldaten des italienischen und ungarischen KFOR-Kontingents, die sich den aktivsten Teilen der Menge entgegenstellten, wurden Opfer unprovozierter Angriffe und erlitten durch die Explosion von Brandbomben traumatische Verletzungen mit Knochenbrüchen und Verbrennungen.“

Der Befehlshaber der KFOR, Generalmajor Angelo Michele Ristuccia, erklärte, er verfolge die Lage und halte unprovozierte Angriffe auf NATO-Einheiten für inakzeptabel.

Der kosovarische Premierminister Albin Kurti äußerte sich besorgt über die Gewalt und erklärte, seine Streitkräfte würden ihre Arbeit fortsetzen.

„Heute hatte ich ein Treffen mit den Botschaftern von QUINT und dem Botschafter. Ich bin besorgt über die Gewalt und verurteile die Angriffe auf die kosovarische Polizei und KFOR. Serbische ultranationalistische Graffiti auf NATO-Fahrzeugen sind eine dunkle Mahnung an uns. Wir schützen Frieden und Sicherheit“, schrieb Kurti auf Twitter.

Der Premierminister behauptet, dass es sich bei den Demonstranten im Norden um „Extremisten“ handelt, die vom „offiziellen Belgrad“ angeführt werden und „gewalttätige und kriminelle Aktionen“ gegen Polizei, KFOR und Journalisten durchführen.

Kurti sprach mit dem italienischen Außenminister Antonio Tajani, da sich unter den Verletzten mindestens 12 NATO-Friedenstruppen aus seinem Land befinden.

„In einem zweiten Telefonat mit dem italienischen Außenminister Antonio Tajani übermittelte [Ich] heute die tiefe Dankbarkeit der Regierung und des Volkes der Republik Kosovo für den mutigen Einsatz der Soldaten der KFOR zur Erhaltung des Friedens im Angesicht des gewalttätigen Extremismus. Ich wünsche den Verletzten eine vollständige und rasche Genesung“, schrieb Kurti auf seinem Social-Media-Konto.

Tajani wies darauf hin, dass neben italienischen Soldaten auch ungarische und moldawische Soldaten schwer verletzt wurden.

„Italienische und ungarische KFOR-Soldaten wurden unprovoziert angegriffen und erlitten durch die Explosion von Brandbomben Traumata mit Knochenbrüchen und Verbrennungen“, so Tajani. Die Soldaten wurden von medizinischen Einheiten der KFOR behandelt.

„Die NATO verurteilt aufs Schärfste die unprovozierten Angriffe auf die KFOR-Truppen im Norden des Kosovo, bei denen viele von ihnen verletzt wurden. Solche Angriffe sind inakzeptabel. Die Gewalt muss sofort aufhören. Wir rufen alle Seiten auf, von Handlungen Abstand zu nehmen, die die Spannungen weiter anheizen, und in einen Dialog einzutreten,“ hieß es aus NATO-Kreisen.

Auch die italienische Ministerpräsidentin Giorgia Meloni äußerte sich: „Was hier geschieht, ist absolut inakzeptabel und unverantwortlich. Wir werden weitere Angriffe auf die KFOR nicht dulden.“

Die NATO hat die KFOR-Friedenstruppe nach dem Krieg zwischen Serbien und dem Kosovo 1998-1999 und der anschließenden Unabhängigkeitserklärung des Kosovo im Jahr 2008 aufgestellt.

Die von der NATO geführten multinationalen Kontingente waren in vier Gemeinden eingesetzt worden, um „gewalttätige Demonstrationen“ einzudämmen, als „neu gewählte Bürgermeister in den letzten Tagen versuchten, ihr Amt anzutreten“, so die KFOR.

„Wenn der albanische Angreifer schießt, wird die Situation anders sein“

Unterdessen rief Vucic die Serben im Norden öffentlich dazu auf, sich nicht auf einen Konflikt mit der NATO einzulassen. Er fügte hinzu, dass 52 Serben verletzt worden seien. Serbien sei für die Aufrechterhaltung des Friedens, aber: „Wenn der albanische Angreifer schießt, dann wird die Situation anders sein“, betonte Vucic.

Der Staatssekretär des Verteidigungsministeriums, Nemanja Starovic, sagte, dass „viele“ Demonstranten verletzt worden seien und beschuldigte die KFOR, Blendgranaten eingesetzt zu haben. Er fuhr fort, dass die „friedlichen“ Demonstranten sich zerstreut hätten und „morgen früh weiter protestieren“ würden.

Der serbische Außenminister Ivica Dacic warnte die internationale Gemeinschaft vor einem Versteckspiel.

„Lasst uns nicht Verstecken spielen und so tun, als könnten sie Kurti nicht beeinflussen. Was ist Kurti? Eine Supermacht? Warnungen mögen uns in den Ohren klingen, aber von Warnungen kann man nicht leben. Wenn die USA Pristina nicht dazu zwingen können, dies zu respektieren, weiß ich nicht, welches Vertrauen wir in die internationale Gemeinschaft und in diejenigen haben können, die die Schirmherren dieses gefährlichen Kriegsabenteurertums in Pristina sind“, so Dacic.

Er fügte hinzu, dass Kurti allein für die Eskalation in Zusammenarbeit mit der internationalen Gemeinschaft verantwortlich ist. „Das Ergebnis ist ein heimtückischer Plan – Kurti darf etwas tun, die internationale Gemeinschaft tut so, als würde sie protestieren“, so Dacic.

Dacic erwähnte auch, dass Pristina vor kurzem eine Visaliberalisierung und die Öffnung des Aufnahmeprozesses in den Europarat erhalten hat.

„Es heißt, ein konstruktiver Ansatz müsse belohnt werden. Ist dies also ein konstruktiver Ansatz? Es darf nur nicht sein, dass sich später herausstellt, dass Serbien an so etwas schuldig ist. Das darf nicht passieren, und Serbien wird das nicht zulassen“, betonte Dacic.

Er fügte hinzu, dass die Rolle der KFOR nicht darin bestehe, sich vor kommunale Gebäude zu stellen und die serbische Bevölkerung daran zu hindern, in die Gebäude zurückzukehren. Er beschuldigte die KFOR, die neuen Bürgermeister zu schützen und behauptete, die kommunalen Gebäude gehörten den Serben.

„In den serbischen Gemeinden können nicht diejenigen Bürgermeister sein, die keiner der Serben gewählt hat“, fügte er hinzu, ohne allerdings darauf einzugehen, dass Belgrad die Serben aufgerufen hat, nicht zu wählen. Im Vorfeld der Wahl gab es mehrere Berichte, dass Serben unter Druck gesetzt wurden, nicht an der Wahl teilzunehmen.

„Die Botschaft Serbiens war immer dieselbe: Es ist besser, 100 Jahre lang zu verhandeln, als einen Tag lang Konflikte und Krieg zu haben“, sagte der serbische Außenminister Dacic. EA 30

 

 

 

Durch Russland verbunden

 

Die Europäische Politische Gemeinschaft wurde durch den russischen Angriff auf die Ukraine ermöglicht. Doch wie einig ist Europa geopolitisch? Florent Marciacq & Denis Cenusa

 

Als Emmanuel Macron am 9. Mai 2022 in Straßburg die Gründung einer Europäischen Politischen Gemeinschaft (EPG) anregte, reagierte er damit auf die geopolitischen Herausforderungen, die der Großangriff der Russischen Föderation auf die Ukraine für Europa mit sich bringt. Seit die EPG am 6. Oktober 2022 in Prag aus der Taufe gehoben wurde, entfaltet sie in Europas Hauptstädten eine zunehmende Dynamik. Ein zweites Gipfeltreffen soll am 1. Juni in der Nähe von Chi?in?u in der Republik Moldau stattfinden. Dass die Initiative vorangetrieben werden soll, ist inzwischen Konsens. Doch welches Profil soll sie bekommen? Welche strategischen Ziele soll sie verfolgen, und wie wird sich ihre konkrete Arbeit gestalten? Hier gibt es noch viel zu tun.

Für die meisten Länder Europas kam Frankreichs Vorschlag zur Gründung der EPG überraschend. Von den osteuropäischen Staaten, die Frankreichs Beziehungen zu Russland ebenso mit Argwohn betrachten wie seine zögerliche Haltung in der Frage der EU-Erweiterung, wurde sie zunächst kritisch beäugt; Deutschland, das kaum konsultiert worden war, enthielt sich jeden Kommentars, und einige Länder vermuteten hinter dem Vorstoß den Versuch eines weiteren Störmanövers gegen die EU-Beitrittspolitik.

Der großflächige Krieg in der Ukraine und die neue geopolitische Sachlage, die er geschaffen hat, machten beherztere Schritte erforderlich, um die europäische Familie und ihre gleichgesinnten Mitglieder zusammenzuführen. Dass der Europäische Rat im Juni 2022 unter französischer Präsidentschaft der Ukraine und der Republik Moldau den Kandidatenstatus gewährte, half, die Befürchtungen zu zerstreuen, mit der EPG werde das Ende der EU-Erweiterung eingeläutet. Auch durch die Einbindung Großbritanniens machte die EPG deutlich, dass es ihr um etwas anderes geht als um Beitrittspolitik. Das alles trug dazu bei, dass die EPG mit ihrem Ziel, Europa politisch neu zu organisieren und dabei über den Tellerrand der EU hinauszuschauen, allmählich mehr Zugkraft entwickelte.

Am ersten Treffen der EPG, das am 6. Oktober 2022 in Prag stattfand, nahmen 44 Länder teil. Das dringende Verlangen nach Sicherheit war der entscheidende Grund, warum die EPG über die Grenzen einer Wertegemeinschaft hinaus ausgeweitet wurde und auch autoritär regierte Länder wie Aserbaidschan und die Türkei mit ins Boot geholt wurden.

Der Prager Gipfel sendete ein starkes Signal geopolitischer Einigkeit aus und legte den Grundstein für eine EPG, die sich als zwischenstaatliches und themenoffenes Forum versteht und sich vom Grundsatz der souveränen Gleichheit leiten lässt. Bei dem Gipfel konnten Vertreterinnen und Vertreter aus EU- und Nicht-EU-Staaten sich auf Augenhöhe über eine Reihe von Fragen austauschen und informelle Gespräche führen – unter Einbindung von Armenien und Aserbaidschan, Serbien und dem Kosovo. Vor allem dieses Prinzip des informellen Austauschs und der Gleichberechtigung machte den Mehrwert des Gipfels aus, bei dem zum Abschluss eine Liste mit sieben Herausforderungen formuliert wurde: Energiesicherheit, kritische Infrastrukturen, Cybersecurity, Jugend, Migration, regionale Zusammenarbeit im Kaukasus und in der Schwarzmeerregion sowie Finanzierungsoptionen für die Resilienzbildung.

Am zweiten EPG-Gipfel werden Staats- und Regierungschefs aus 47 Staaten und die Spitzen der EU-Institutionen teilnehmen. Logistisch ist die größte und hochkarätigste Veranstaltung, die je in der Republik Moldau stattfand, eine große Herausforderung, die das Land jedoch mit Begeisterung annimmt. Für die Republik Moldau, die sich mit Blick auf die „Agenda 2030“ ein ehrgeiziges Reformprogramm vorgenommen hat und den EU-Beitritt anstrebt, ist dieser Gipfel eine Gelegenheit, ihre Rolle als seriöser Partner zu festigen und sich in die europäischen Debatten einzubringen.

Die EPG-Gipfeltreffen sollen zweimal jährlich stattfinden, abwechselnd in dem Land, das zum betreffenden Zeitpunkt die – halbjährlich rotierende – EU-Ratspräsidentschaft innehat, und in einem Staat, der nicht EU-Mitglied ist. Der Gipfel in Chi?in?u bietet der EPG durch die unmittelbare Nachbarschaft zum Kriegsschauplatz Ukraine eine gute Gelegenheit, ein Zeichen der Solidarität zu setzen und zu demonstrieren, dass sie sich bereitwillig auch dort engagiert, wo Gegensätze am heftigsten aufeinanderprallen.

Bei den hochrangigen Gesprächen, die in vier Themenkreise gegliedert werden, geht es vor allem um Sicherheit (zum Beispiel um die Abwehr von hybriden Bedrohungen und Desinformation), um Energie (unter anderem um Investitionen in Energieinfrastruktur und die Förderung umweltfreundlicher Investitionen), um Vernetzung (zum Beispiel um intensivere Verflechtung in den Bereichen Digitalisierung, Verkehr und Wirtschaft) und um Migration (intern und extern). Daneben bietet das Treffen Raum für informelle Gespräche in minilateralen Formaten und macht damit deutlich, dass die EPG bilaterale Streitfragen auf dem Schirm hat.

Um wirklich durchzustarten und ihren Mehrwert unter Beweis zu stellen, muss die EPG sich mit etlichen strukturellen Veränderungen auseinandersetzen und in der komplexen Konstellation, die sich durch die nationalen Interessen der 47 teilnehmenden Staaten ergibt, den richtigen Mittelweg finden. Das wird keine leichte Übung.

Der Hauptzweck der EPG ist nach wie vor vage, weil ihr Anspruch, Europa eine politische Struktur zu geben, zum Teil auf inkongruenten Fundamenten aufbaut. Einerseits erscheint die EPG als Versuch, die Nachbarn der EU nach allerlei unguten geopolitischen Entwicklungen – wie dem Brexit, dem Auseinanderdriften der Östlichen Partnerschaft und den stockenden Beitrittsverfahren der Westbalkanstaaten – wieder zusammenzubringen. Eine formelle Rolle ist der EU im Rahmen des Forums nicht zugedacht, aber in der Agenda und Kommunikationsarbeit der EPG ist sie auf Schritt und Tritt präsent.

Das gilt besonders für die Vernetzungsbemühungen der EPG, denn Vernetzung ist seit Jahren ein Schlüsselbegriff des Berliner Prozesses in den westlichen Balkanstaaten und besitzt für die EU eine hohe Priorität bei der Gestaltung ihrer Nachbarschaftsbeziehungen. Die EPG könnte man als – geografische und thematische – Ausweitung dieser Agenda betrachten.

Andererseits sind führende Politiker Europas dafür, die EPG stärker geopolitisch auszurichten und zu einer Allianz gegen Russland aufzubauen. Nach ihren Vorstellungen soll die EPG Europas Geschlossenheit demonstrieren und den Einfluss Russlands und seiner Satellitenstaaten in Europa zurückdrängen. Minsk und Moskau wurden von vornherein ausgeschlossen, und die symbolische Dimension der Gipfel von Prag und Chi?in?u legt den Akzent deutlich auf die Solidarität mit der Ukraine. Doch da die EPG nicht einfach nur ein antirussischer Zusammenschluss ist, gehören zu ihren Mitgliedstaaten auch Länder wie Serbien, die ihre Bindungen zu Moskau nicht gekappt haben.

In ihrem bisherigen Format verfolgt die EPG diese beiden Stoßrichtungen: Sie soll den Beziehungen zwischen der EU und ihren Nachbarn eine Struktur geben und die europäische Familie gegen Russland mobilisieren. Diese Ziele richtig zu formulieren und auszubalancieren, wird für die EPG nicht leicht. Ein Stolperstein, den es aus dem Weg zu räumen gilt, ist zum Beispiel die Frage, ob und wie stark die EPG institutionalisiert werden sollte – ob sie also ein Sekretariat, eigene finanzielle Mittel und ein gewisses Maß an funktioneller Eigenständigkeit bekommen soll.

Mehr und mehr teilnehmende Staaten sprechen sich für eine maßvolle Institutionalisierung aus und wollen die EPG mit der Rolle, den Möglichkeiten und Ressourcen der EU verzahnen. Dies wäre wichtig, damit die Arbeit der EPG Kontinuität bekommt und die Realisierung von Vorhaben möglich wird, die große Investitionen erfordern. Andere teilnehmende Staaten wie Großbritannien, Frankreich und die Schweiz widersetzen sich diesem Institutionalisierungsdrang und sehen den besonderen Wert der Initiative gerade darin, dass sie flexibel, informell und dem Gleichberechtigungsgrundsatz verpflichtet ist.

Beim Thema Sicherheit muss es der EPG vorrangig darum gehen, die Resilienz in den Bereichen Cyber- und Informationssicherheit und Strategische Kommunikation zu stärken, um den Schutz vor böswilligen Einflüssen zu verbessern. Sie könnte zur Plattform werden, auf der Staaten, die mit ähnlichen Herausforderungen konfrontiert sind, ihre Ressourcen bündeln und Wissen austauschen können. Die Republik Moldau, die Ukraine und andere Staaten könnten zum Beispiel ausloten, wie sie den russischen Informationskrieg mit gemeinschaftlichen Projekten bekämpfen können.

Beim Thema Energiesicherheit eröffnet das Format der EPG die Möglichkeit, Fortschritte in bestimmten Bereichen stärker unter strategischen Aspekten zu beurteilen – so zum Beispiel bei der gemeinsamen Erdgasbeschaffung und bei der Versorgung mit kritischen Rohstoffen, bei der Diversifizierung des europäischen Energiemixes und seiner Abkopplung vom russischen Gas, bei der stärkeren Vernetzung der europäischen Infrastrukturen und wichtigen Versorgungsketten sowie beim Vorantreiben des ökologischen Wandels in Europa. Hierfür wird die EPG flexible Zugangsmöglichkeiten zu den Mitteln und zur Expertise der EU brauchen und sich nach zusätzlichen Finanzierungsquellen umsehen müssen.

Die EPG könnte auch zur Modernisierung und zum Ausbau der gesamteuropäischen Transportwege und zur Verbesserung der grenzüberschreitenden Infrastrukturen beitragen. Das ist besonders in Osteuropa wichtig, das seine Wirtschaftsbeziehungen wieder stärker auf den Westen ausrichtet, könnte aber auch der Nord-Süd-Integration zugutekommen. Um eine Verbesserung auf zwischenmenschlicher Ebene geht es bei der schrittweisen Senkung der Roaming-Gebühren für die Republik Moldau, die die EPG auf die Tagesordnung gesetzt hat. In dieser Frage wird beim Gipfel in Chi?in?u möglicherweise eine Entscheidung fallen. Sollte die Republik Moldau eine solche Roaming-Vereinbarung erreichen, könnte als nächstes Land die Ukraine folgen.

Wenn die EPG sich in den Bereichen Sicherheit, Energie und Vernetzung verstärkt strategisch engagiert, wird sie wohl ein gewisses Maß an Institutionalisierung brauchen, und die EU wird sich stärker einbringen müssen. Um ihren Mehrwert zu bewahren, muss die EPG ihre flexiblen informellen Formate beibehalten, in denen die Akteure sensible Themen auf Augenhöhe besprechen und teilnehmende Staaten sich zusammentun und innovativ tätig werden können, indem sie die EPG zum Beispiel als innovationspolitisches Experimentierfeld nutzen, um die europaweite Mobilität im Sekundarschulbereich voranzubringen und bei Schülerinnen und Schülern das europäische Wir-Gefühl zu stärken. Mit einer entsprechenden Leitinitiative für die Vernetzung von Schulen und Lernenden würde die EPG einen wichtigen Beitrag zur Stärkung der europäischen Identität leisten. IPG 30

 

 

 

 

30 Jahre Solingen-Anschlag. Steinmeier: „Ich spreche von Rechtsextremismus. Von Rassismus. Von Menschenfeindlichkeit.“

 

Zum 30. Jahrestag des rassistischen Brandanschlags von Solingen – einer der dunkelsten Tage – sind die Spitzen des Staates in die Stadt gekommen für einen demonstrativen Schulterschluss gegen Rassismus und rechte Gewalt.

30 Jahre nach dem rassistischen Brandanschlag von Solingen hat Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier einen wachsamen und wehrhaften Staat gegen rechten Terror gefordert. „Als Bundespräsident kann ich nicht dazu schweigen, in welchem Klima diese Anschläge gediehen sind“, sagte Steinmeier am Montag bei einer Gedenkveranstaltung in Solingen.

„Unmittelbar nach dem Brandanschlag waren hier in Solingen alle Strickleitern ausverkauft“, erinnerte Steinmeier. „Die Menschen hatten Angst, sich im Notfall sonst nicht mehr aus dem oberen Stockwerk ihres Hauses retten zu können. In den Wohnungen standen damals Wassereimer bereit, um bei einem Feuer schnell löschen zu können. An den Klingelschildern und Briefkästen wurden alle fremd klingenden Namen abmontiert.“

Viel zu lange habe das Land der Behauptung von den verblendeten Einzeltätern aufgesessen, sagte Steinmeier. Die Strukturen und die Ideologie der Täter seien lange ignoriert worden. „Ich spreche von Rechtsextremismus. Von Rassismus. Von Menschenfeindlichkeit.“

Steinmeier: „Ich nenne das Terror“

Rechtsextreme und Rassisten entmenschlichten den Einzelnen und verbreiteten damit Angst und Schrecken. „Ich nenne das: Terror. Dieser rechte Terror ist verantwortlich für die Toten hier in Solingen. Diesen rechten Terror gab es vor Solingen, und es gibt ihn nach Solingen“, sagte der Bundespräsident. „Ich bin fassungslos, wenn ich höre, dass einzelne Angehörige von Sicherheitsbehörden, die rechtsextreme Anschläge verhindern sollen, sich in rechten Chatgruppen organisieren. Das können und das dürfen wir nicht dulden“, forderte Steinmeier.

Vor 30 Jahren, am 29. Mai 1993, starben fünf türkische Mädchen und Frauen, als Rechtsradikale das Wohnhaus der Familie Genç anzündeten: Saime Genç (4), Hülya Genç (9), Gülüstan Öztürk (12), Hatice Genç (18) und Gürsün Ince (27). Der Anschlag gilt als eines der schwersten rassistischen Verbrechen in der Geschichte der Bundesrepublik.

Faeser beklagt Versäumnisse

Kurz nach der Tat waren vier junge rechtsradikale Solinger im Alter zwischen 16 und 23 Jahren festgenommen worden. Sie waren der rechten Szene zuzuordnen und wurden 1995 wegen Mordes verurteilt. Sie sind längst wieder auf freiem Fuß.

„Auch 30 Jahre nach der grausamen Tat von Solingen sind wir noch immer fassungslos, zornig, traurig“, sagte Steinmeier. Aber: Wir sind nicht eingeschüchtert, nicht hilflos, nicht tatenlos.“ „Wichtig ist in solchen Situationen immer, dass sich die Politik geschlossen gegen diese rassistische Stimmung stellt“, sagte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD), die ebenfalls nach Solingen gekommen war. „Damals sind wir nicht früh genug entgegengetreten, damals haben wir die Zusammenhänge nicht gesehen. Das war ein Versäumnis der damaligen Politik, das muss man ganz klar auch so benennen“, sagte Faeser am Rande der Gedenkveranstaltung. „Deswegen bin ich froh, dass alle drei Ebenen hier sind. Die Kommune macht einen tollen Job, die Landesregierung ist gut vertreten, der Bund ist gut vertreten, der Bundespräsident selbst ist da. Das sind die richtigen Signale an einem solchen Tag des Gedenkens.“

Wüst: „Einer der dunkelsten Tage“

„Der 29. Mai ist einer der dunkelsten Tage in der Geschichte unseres Landes“, sagte NRW-Ministerpräsident Hendrik Wüst (CDU). „Es war ein Anschlag, begangen aus Hass. Wie kann jemand Hass auf eine Vierjährige haben?“

Solingens Bürgermeister Tim Kurzbach (SPD) erinnerte an die Worte der im vergangenen Oktober gestorbenen Mevlüde Genç, die bei dem Anschlag mehrere Familienmitglieder verlor: „Der Tod meiner Kinder soll uns dafür öffnen, Freunde zu werden.“ In der Stadt war am Sonntag ein Platz nach der Bundesverdienstkreuzträgerin benannt worden.

Viel Prominenz

Für die Türkei dankte deren stellvertretender Außenminister Yasin Ekrem Serim den Verantwortlichen der Stadt Solingen dafür, dass sie das Gedenken an den Anschlag zur „DNA der Stadt“ habe werden lassen. Auch die Hilfe aus Deutschland für die Opfer des schweren Erdbebens in der Türkei sei in seinem Land sehr dankbar aufgenommen und registriert worden.

An der Gedenkveranstaltung nahmen neben Bundes- und Landesministern, der Bundestagspräsidentin Bärbel Bas (SPD) und dem Landtagspräsidenten André Kuper (CDU) auch die überlebenden Familienmitglieder und Angehörige der Todesopfer teil.

Özlem Genç: „Der Hass bringt den Tod“

Schließlich ergriff eine Enkelin von Mevlüde Genç am Ende der Veranstaltung das Wort: Ihre Großmutter habe Deutschland nach dem Anschlag nicht verlassen, sondern zu Liebe und Besonnenheit aufgerufen und bewusst die deutsche Staatsangehörigkeit beantragt, sagte Özlem Genç.

„Der Hass bringt den Tod“, habe ihre Großmutter gesagt und so den triumphalen Sieg des Guten über das Böse verkörpert. Man müsse sich heute aber auch fragen, ob die laute Minderheit das Problem sei, die das Internet mit Hass überflute, oder die breite Mehrheit, die nicht in der Lage sei, das Richtige zu sagen. (dpa/mig 30)

 

 

 

 

EU: Kurschus gegen zu hartes Asylrecht

 

In der Debatte um eine europäische Asylrechtsreform hat sich Annette Kurschus gegen verpflichtende Asylverfahren an den EU-Außengrenzen gewandt.

Damit würden das Recht auf internationalen Schutz und die Genfer Flüchtlingskonvention ausgehöhlt. Das sagte die Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) nach politischen Gesprächen am Donnerstagabend in Brüssel. Der Zugang zu fairen und effektiven Asylverfahren auf europäischem Boden müsse ebenso gewahrt bleiben wie menschenwürdige Aufnahmebedingungen.

Die EKD-Ratsvorsitzende kritisierte damit ein Konzept, das besonders von christdemokratischen Parteien befürwortet wird und darauf zielt, den Grenzschutz zu erhöhen und Asylgründe schon zu prüfen, bevor die Betreffenden überhaupt EU-Territorium betreten.

„Aus Flüchtlingsschutz droht Schutz vor Flüchtlingen zu werden“

„Aus Flüchtlingsschutz droht Schutz vor Flüchtlingen zu werden, Inhaftierungen und Menschenrechtsverletzungen werden an der Tagesordnung sein“, warnte Kurschus. „Europa darf sich nicht aus seiner humanitären Verantwortung stehlen.“ Die EU-Asylrechtsreform dürfe nicht auf Kosten der Menschenrechte gehen.

Kurschus äußerte sich mit Blick auf das EU-Innenministertreffen am 8. und 9. Juni in Luxemburg, bei dem wichtige Gesetzesvorhaben aus dem geplanten Asyl- und Migrationspaket auf der Tagesordnung stehen. Die EKD-Vorsitzende betonte, ihre Kirche unterstütze jede Bemühung um mehr sichere und reguläre Wege in die EU. Dazu brauche es einen verpflichtenden Verteilungsmechanismus, um Staaten an den EU-Außengrenzen vor Überlastung zu schützen. Als vorbildhaft auch für eine Asylreform lobte sie die unbürokratische Aufnahme ukrainischer Flüchtlinge.

Lieferkettengesetz: Für eine europäische Regelung

Zum bereits weiter fortgeschrittenen Verfahren für ein europäisches Lieferkettengesetz sagte Kurschus, auch hier müsse aus Sicht der evangelischen Kirche „alles getan werden, um nachteilige Auswirkungen auf Menschenrechte, Klima und Umwelt zu vermeiden“. Erfahrungen zeigten, dass freiwillige Selbstverpflichtungen von Unternehmen nicht ausreichten.

„Wir setzen uns für eine europäische Regelung ein, die alle Unternehmen und den Finanzsektor erfasst, die gesamte Wertschöpfungskette in den Blick nimmt, die Rechte Betroffener durch eine zivilrechtliche Haftung stärkt und betroffene Interessensgruppen wie Gewerkschaften und Menschenrechtsverteidiger einbindet“, so die EKD-Ratsvorsitzende. (kna 26)

 

 

 

 

Leichtes Spiel

 

Der Angriff von Freiwilligentruppen in der Region Belgorod offenbart Russlands Defensivschwächen. Doch wer sind die Einheiten und was wollen sie? Nikolay Mitrokhin

 

Gegen 9 Uhr morgens griff eine bis zu 100 Mann starke Infanterieeinheit den Grenzübergang Graiworon an der Grenze zwischen der Region Belgorod in Russland und der Region Sumy in der Ukraine an. Sie operierte unter der Flagge des Russischen Freiwilligenkorps (RDK) und der Freien Russland-Legion (LSR). Die Angreifer reisten in amerikanischen Hummer-Fahrzeugen und modernisierten sowjetischen Schützenpanzerwagen. Trotz des Widerstands der russischen Grenzschutzbeamten und des Militärs wurde ein riesiger Komplex aus mehreren großen Grenzübergangsgebäuden und ein großes Gebiet um ihn herum erobert.

In den nächsten drei bis vier Stunden wanderte die aus der Ukraine kommende Gruppe, ohne auf großen Widerstand zu stoßen, über eine leere Autobahn und Landstraßen etwa acht Kilometer bis zum Rand des Bezirkszentrums Graiworon. Sie übernahmen die Kontrolle über das Territorium von drei angrenzenden Dörfern, die zwischen der Grenze und dem regionalen Zentrum liegen. Erst mittags begannen die herannahenden russischen Truppen und Flugzeuge, die Stellungen der Angreifer zu beschießen. Am Abend zogen sich die Angreifer dann schließlich in das Grenzdorf Kozinovo zurück, auf dessen Territorium sich ein Grenzübergang befindet. Dort erlitten sie Verluste durch russischen Artilleriebeschuss und Bombenangriffe mit schweren Fliegerbomben. Bis zum Morgen wagten die russischen Truppen jedoch nicht, dort eine „Säuberung“ durchzuführen, und daher wurde der Aufenthalt der ukrainischen Armeekämpfer formell auf dem nach internationalen Standards als russisch anerkannten Territorium fortgesetzt – für etwa einen Tag lang.

Infolge des Angriffs wurden 14 Zivilisten verletzt (möglicherweise auch durch den russischen Beschuss von Graiworon). Mehrere russische Soldaten und Grenzsoldaten wurden getötet (mindestens einer ist sicher bekannt, die russischen Behörden geben die Gesamtverluste allerdings nicht bekannt), einer wurde von den Angreifern gefangen genommen. Eine ukrainische Rakete schoss einen russischen Hubschrauber ab, der versuchte, den Angriff abzuwehren. Die Verluste der Angreifer werden nicht bekannt gegeben, sind aber mit Sicherheit vorhanden. Mehrere zerstörte Hummer und ein Pickup blieben am Unfallort zurück.

Viele der Autos, mit denen die Angreifer fuhren, blieben im Schlamm stecken, der nach dem Regen auf den Feldern entstanden war. Infolgedessen beteiligte sich nur ein kleiner Teil der geplanten Kräfte am Angriff auf den Grenzposten. Und die Vorhut, die sich auf den Weg nach Graiworon machte, erhielt keine Verstärkung und konnte daher das regionale Zentrum nicht wie geplant erobern. Im Erfolgsfall hätten Graiworon und die umliegenden Dörfer, die in einer Art „Tasche“ an der Grenze liegen und auf drei Seiten von ukrainischem Territorium umgeben sind, tatsächlich zu einem Sprungbrett für die ukrainische Armee auf russischem Territorium werden können.

Nach den Maßstäben des bisherigen Krieges könnte die Operation eigentlich als gewöhnlich angesehen werden. Denn bis zur Stabilisierung der Front im November kam es im Kampfgebiet mehrmals pro Woche zu solchen Aktionen. Das Ereignis erregte jedoch die Aufmerksamkeit der Medien, Behörden und der Öffentlichkeit beider verfeindeter Länder. Warum?

Erstens ist dies tatsächlich der erste große Durchbruch des ukrainischen Militärs in das international anerkannte Territorium Russlands. Seit März wurden ähnliche Razzien der RDF zwar bereits mehrmals durchgeführt (hauptsächlich in der Region Brjansk), aber an den Aktionen waren jeweils nur bis zu zwei Dutzend militante Kräfte beteiligt. Nachdem sie durch den Wald ein russisches Dorf in der Grenzzone erreicht hatten, machten sie in der Regel Fotos am Schild am Eingang, gingen durch das Dorf, verteilten Flugblätter und versteckten sich nach dem Erscheinen russischer Grenzschutzbeamten oder Militärkräfte sofort wieder.

Zweitens lieferten sich zumindest teilweise aus russischen Bürgern gebildete Abteilungen zum ersten Mal eine echte Schlacht auf russischem Territorium. Ukrainische Soldaten und Politiker versuchten dies als „den Beginn der wahren Befreiung Russlands“ durch russische Bürger darzustellen.

Drittens zeigte dieser Einsatz deutlich die Schwäche der russischen Armee und ihren Mangel an operativen Reserven auf dem möglicherweise gefährlichsten Abschnitt der russisch-ukrainischen Grenze. Auch im nahen Hinterland konnten diese Reserven nicht gefunden werden. Den vorliegenden Informationen zufolge mussten Truppen aus verschiedenen Teilen der Region zusammengezogen werden, um den Angriff abzuwehren, doch am Ende spielten Einheiten der motorisierten Schützendivision, die aus der Reserve der Luhansker Frontlinie – aus dem besetzten Gebiet der Ukraine – verlegt wurden, eine Schlüsselrolle. Videoaufnahmen, die den stellvertretenden Befehlshaber der Vereinigten russischen Streitkräftegruppe (in der Ukraine) Oleksandr Lapin zeigen, der nach der Rückkehr von Graiworon persönlich als Verkehrskontrolleur für Panzer und Infanterieeinheiten fungierte, erhielten in sozialen Netzwerken viele bissige Kommentare – sowohl von Gegnern als auch von Unterstützern der Fortsetzung des Krieges.

Viertens wurde deutlich, dass das seit etwa einem Jahr auf der russischen Seite der Grenze errichtete System technischer Verteidigungsanlagen überhaupt nicht funktioniert, sondern eine ganze Kolonne feindlicher Truppen durchgelassen hat. Nutzer sozialer Netzwerke gingen davon aus, dass die dafür bereitgestellten Gelder ebenfalls veruntreut wurden, wie bereits in der Region Brjansk. Dort verloren nach dem ersten Durchbruch der RDK im März zwei stellvertretende Gouverneure, die für die Verteidigung der Region zuständig waren, ihre Posten.

Und schließlich zeigte der Angriff deutlich die Gefahr für die Bevölkerung in den Grenzgebieten der russischen Regionen auf, die seit etwa einem Jahr unter Beschuss ukrainischer Artillerie stehen. Auf dem Territorium ihrer Dörfer können jederzeit Feindseligkeiten beginnen, auf die die Führung der Region sowie die lokalen Bezirksbehörden nicht vorbereitet sind. Allerdings wäre die Umsiedlung von zehntausenden Menschen aus mindestens drei russischen Regionen ein schwieriges und dazu ein sehr kostspieliges Problem.

Trotz allem konnten die Organisatoren des Angriffs ihr Ziel erreichen. Die russischen Behörden mussten und werden weiterhin immer mehr Reserven von der Front verlegen, um dreihundert Kilometer der Grenze zu verteidigen. Für den Bau von Verteidigungsanlagen werden Soldaten, gepanzerte Fahrzeuge, Artillerie sowie finanzielle und materielle Ressourcen benötigt. Dinge, die am Vorabend der ukrainischen Gegenoffensive an der Front bereits fehlten. Das russische Kommando verfügt möglicherweise nicht über genügend Divisionen, von denen einige jetzt auch noch gezwungen sind, in die Regionen Belgorod, Brjansk und Kursk zu ziehen.

Obwohl die ukrainischen Behörden sowie die Mitglieder des RDK und der LSR selbst weiterhin öffentlich auf der absoluten Unabhängigkeit ihrer Aktionen zur „Befreiung Russlands“ bestehen, sind diese Einheiten in Wirklichkeit Teil der ukrainischen Armee. Sie gehören zum Stab der Einheit Nr. A3449 der Hauptnachrichtendirektion des Verteidigungsministeriums der Ukraine, der die „Fremdenlegion“, bestehend aus Gruppen wie des RDK und der LSR, unterstellt ist. Sie bringen ideologisch motivierte ausländische Bürger zusammen.

Die Besonderheit der aus Russen bestehenden Einheiten (RDK und LSR) besteht jedoch darin, dass sie sehr klein sind. Nach Kriegsausbruch wurde ein Einreiseverbot für Bürger der Russischen Föderation in die Ukraine verhängt. Potenzielle Freiwillige können den Truppen nicht beitreten, selbst wenn sie ein Visum für die Einreise in die Schengen-Staaten haben. Daher wurden beide Einheiten vom ukrainischen Militärgeheimdienst aus zwei Gruppen russischer Emigranten geschaffen, die vor 2022 ankamen. Ergänzt werden sie durch Bürger der Russischen Föderation, die aus unpolitischen Gründen bereits in der Ukraine gelebt haben und diese verteidigen möchten. Daher waren bis März 2023 auf den Sammelfotos des RDK weniger als zehn Personen (inklusive derjenigen, die ihr Gesicht bedeckten) zu sehen, auf dem Foto der LSR nicht mehr als drei. Nach dem Einsatz in der Region Belgorod veranstalteten RDK und LSR eine gemeinsame Pressekonferenz für Journalistinnen und Journalisten. An der Veranstaltung nahmen 27 Personen in Uniform teil, die diesen Einheiten zugeteilt waren. Insgesamt waren es aber nicht einmal 150 Personen, die wirklich an den Operationen teilgenommen hatten. Dies bedeutet, dass die beiden Divisionen nur ein bestimmtes „Bild“ der russischen Beteiligung an den Aktionen liefern sollten.

Ein weiterer politischer Punkt ist, dass beide Einheiten mehr oder weniger ausschließlich aus bekannten russischen Rechtsextremisten bestehen, die nach schweren Gewaltverbrechen aus Russland in die Ukraine geflohen sind. Insbesondere der Anführer des RDK, Denis Kapustin (Tichonow), ist in Deutschland als einflussreicher Neonazi bekannt. Er musste Deutschland verlassen (wohin er als Flüchtling kam) und in die Ukraine auswandern. Ein Militant mit dem Spitznamen „Caesar“, ein ehemaliger Militärausbilder der Russischen Kaiserlichen Bewegung, vertrat offiziell die LSR auf einer Pressekonferenz am 25. Mai. Diese NS-monarchistische Organisation aus Sankt Petersburg wird in den USA als Terrororganisation eingestuft, weil sie Rechtsextremisten aus ganz Europa für die Durchführung von Kampfeinsätzen ausgebildet hatte.

Es ist offensichtlich, dass das ukrainische Militär die ihm zur Verfügung stehenden und kampfbereiten Russen für seine eigenen Zwecke einsetzt. Doch die russische Linke und die liberale Opposition (einschließlich derjenigen im Exil) distanzierten sich bereits im März größtenteils von solchen „Befreiern Russlands“. IPG 26

 

 

 

Strompreiszone: Länderstreit könnte in Brüssel entschieden werden

 

Die Gespräche über die deutsche Strompreiszone werden immer härter geführt. Dabei warten alle Streitparteien auf eine wichtige Analyse der Netzbetreiber. Gleichzeitig droht Brüssel implizit damit, die deutsche Gebotszone aufzuteilen. Von: Nikolaus J. Kurmayer

 

Derzeit zahlen alle Deutschen den gleichen Strompreis, egal ob sie im windreichen Norden oder im industrialisierten Süden leben.

Doch der Druck für Veränderungen wird immer größer. Während Frankreich ebenfalls noch einen einheitlichen Stromtarif für Haushaltskunden anwendet, wird in anderen großen europäischen Ländern wie Italien oder Schweden der Strompreis je nach Standort festgelegt.

Kleinere Strompreiszonen gelten als wirtschaftlich effizienter, weil sie lokale Gegebenheiten wie die Verfügbarkeit von Stromerzeugungskapazitäten oder die Netzinfrastruktur widerspiegeln.

So ist beispielsweise das energieintensive Bayern, das seit jeher gegen Windparks und Hochspannungsleitungen auf seinem Territorium ist, auf die Übertragung von Windstrom aus dem Norden des Landes angewiesen.

Dies führt zu Netzengpässen und Übertragungsverlusten, deren Kosten von allen deutschen Stromverbrauchern getragen werden müssen.

Die Lage Deutschlands im Zentrum Europas hat auch auf EU-Ebene zu Bedenken geführt, da das unterdimensionierte Netz des Landes zu Spannungen mit den benachbarten EU-Mitgliedstaaten führt.

So hat die massive Stromnachfrage in Süddeutschland zu „Ringflüssen“ in Polen geführt, da die deutsche Übertragungskapazität nicht ausreicht, um die Nachfrage zu decken. Als Nebeneffekt behindert dies auch die Fähigkeit Polens, Strom beispielsweise nach Tschechien zu übertragen.

Die EU-Energieregulierungsbehörde ACER stellte den politischen Konsens im vergangenen Jahr infrage, als sie vorschlug, den deutschen Großhandelsmarkt in mehrere Gebotszonen aufzuteilen.

Nord gegen Süd

Nach dem ACER-Vorschlag startete der Norden Deutschlands – wo ein Großteil der Windenergie des Landes installiert ist – eine Offensive zur Aufteilung des deutschen Strommarktes.

„Wenn ich da lebe oder produziere, wo auch die Energie produziert oder angelandet wird, muss diese Energie dort auch günstiger sein“, sagte damals der niedersächsische Energieminister Olaf Lies am Ende des letzten Jahres der Welt am Sonntag.

Unterstützt wurde Lies von seinem Kollegen Reinhard Meyer aus Mecklenburg-Vorpommern.

„Die Höhe der Stromnetzentgelte belastet die Letztverbraucher und benachteiligt den norddeutschen Wirtschaftsstandort“, stellte er fest.

Sowohl Lies als auch Meyer sind SPD-Minister – genau wie Bundeskanzler Olaf Scholz, der  aus Hamburg stammt.

Die süddeutschen Bundesländer reagierten mit einer gemeinsamen Erklärung, in der sie betonten, dass eine einheitliche Strompreiszone „ein zentraler Ausdruck des einheitlichen deutschen Wirtschaftsraums“ sei.

Die Erklärung wurde von Bayern, Baden-Württemberg, Hessen, dem Saarland, Rheinland-Pfalz und Nordrhein-Westfalen unterzeichnet.

Gemeinsam argumentieren sie, dass größere Märkte mit breiteren Gebotszonen die Marktliquidität verbessern und somit effizienter sind. Bayern verweist zudem gerne auf die 9 Milliarden Euro, die es jährlich an andere, weniger wohlhabende Länder abführt.

Auch in Berlin ist man nicht einig

Wirtschaftsminister Habeck hat derweil wenig Bereitschaft gezeigt, in den Ring zu steigen.

Der Bundesminister „hat bereits mehrfach betont, dass für ihn die Schaffung einer neuen Gebotszone derzeit keine Priorität hat, insofern führen wir auch keine Debatte zu einem Gebotszonensplit“, betonte das Ministerium.

Die Grünen sind in dieser Frage scheinbar gespalten, während die SPD trotz großzügiger Fristsetzung einer Anfrage nicht nachkam.

Die FDP hat sich vorsichtig für eine Aufteilung ausgesprochen.

„Marktbasierte Preissignale sind wichtig, um günstige Strompreise für Verbraucher zu ermöglichen und die Netzauslastung zu optimieren. Eine einheitliche Preiszone für ganz Deutschland kann das nur begrenzt leisten“, so Michael Kruse, energiepolitischer Sprecher der FDP.

Einig sind sich BMWK und FDP aber über eine schnelle Lösung: die Anpassung der Netzentgelte an den Verbundgrad und die Stromerzeugungskapazität einer Region.

Die Bundesregierung wird noch in diesem Jahr Vorschläge vorlegen, wie die „Kosten der Energiewende gerechter verteilt werden können“, heißt es in einem Werkstattbericht von Habecks Ministerium für Wirtschaft und Klimaschutz.

Der Bericht bestätigt, dass die Verbraucher in Regionen mit hohem Anteil an erneuerbaren Energien oft höhere Netzentgelte zahlen. Von der FDP wird erwartet, dass sie diesen Vorstoß unterstützt.

Einmischung aus Brüssel droht

Da Deutschland in der Frage der Strompreisreform klar gespalten ist, richten sich nun alle Augen auf die vier deutschen Netzbetreiber, die bis zum nächsten Jahr den ACER-Vorschlag prüfen müssen.

Im Frühjahr 2024 werden die vier deutschen Übertragungsnetzbetreiber – TenneT, 50 Hertz, TransnetBW und Amprion – voraussichtlich einen Bericht vorlegen, in dem sie Empfehlungen aussprechen werden.

Die Berichte der deutschen Netzbetreiber und ihrer mitteleuropäischen Kollegen werden von dann der Ampel und den Regierungen der Nachbarländer Deutschlands geprüft.

Diese haben sechs Monate Zeit, eine gemeinsame Entscheidung über eine mögliche Neuordnung zu treffen. Zu diesen Ländern gehören Österreich, Belgien, Kroatien, Tschechien, Frankreich, Ungarn, die Niederlande, Polen, Rumänien, die Slowakei und Slowenien.

Sollten sich diese Länder nicht einigen können, wird die Kommission als letztes Mittel und nach Anhörung von ACER innerhalb von sechs Monaten entscheiden, ob die Gebotszonenkonfiguration geändert oder beibehalten wird.

Die Stromverordnung für 2019 ermächtigt nämlich die EU-Kommission, langfristige strukturelle Engpässe zu beseitigen, um die wirtschaftliche Effizienz und den Stromhandel zwischen den Gebotszonen zu maximieren.

„Rechtlich hätte es in Deutschland längst zwei Preiszonen geben müssen, aber die EU-Kommission ist politisch nicht stark genug“, erklärt Holger Schneidewindt, Energierechtsexperte bei der Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen.

Zeitlich würde ein Eingreifen aus Brüssel in die Zuständigkeit der neuen EU-Kommission fallen, die nach den EU-Wahlen 2024 gebildet wird.

Doch schon jetzt signalisiert man in Berlin Unwillen, dass sich die Europäische Kommission in den langjährigen Konsens über die Stromgebotszonen einmischt.

„Europa kann nicht einseitig über eine Aufteilung der deutschen Strompreiszone entscheiden“, sagt Ingrid Nestle, energiepolitische Sprecherin der Grünen.

In Brüssel heißt es, man könne den Ergebnissen der laufenden Überprüfung der Gebotszonen nicht vorgreifen.

Es wäre jedoch nicht das erste Mal, dass die Europäische Kommission erfolgreich eine Gebotszone aufteilt. Nach jahrelangem Druck trennte sich Österreich von der deutschen Gebotszone und wurde 2018 zu einer einzigen Strompreiszone.

Aber Deutschland oder Frankreich eine Aufteilung aufzuzwingen, wäre politisch ein ganz anderes Spiel.

„Die Kommission wäre sehr mutig, wenn sie das tun würde“, heißt es aus Brüsseler Kreisen. EA 26

 

 

 

 

Fünf kostenfreie Online-Veranstaltungen für Menschen mit Krebs, Angehörige und Interessierte

Berlin - Vom 3. Juni bis zum 8. Juni können Menschen mit Krebs, ihre Angehörigen und Interessierte an den kostenfreien Online-Veranstaltungen der German Cancer Survivors Week 2023 teilnehmen. Unter dem Motto „Stark für ein Leben trotz Krebs“ bietet das Programm jeden Tag ein anderes Schwerpunktthema. Interessierte haben die Möglichkeit, Online-Vorträge und Diskussionsveranstaltungen zu verfolgen und ihre Fragen an Expert*innen zu richten.

 

Die Auftaktveranstaltung am 3. Juni trägt den Titel „Krebsforschung – was bringt mir das?“ und wird von der Deutschen Krebsstiftung in Kooperation mit der Berliner Krebsgesellschaft e. V. organisiert. Die nachfolgenden Veranstaltungen richten die Landeskrebsgesellschaften in Bayern, Hamburg, Mecklenburg-Vorpommern und Sachsen aus. Die German Cancer Survivors Week der Deutschen Krebsstiftung steht unter der Schirmherrschaft von Bundesgesundheitsminister Prof. Dr. Karl Lauterbach.

„Krebsforschung trägt wesentlich dazu bei, das Überleben mit der Erkrankung zu verbessern, die Lebensqualität der Betroffenen zu erhöhen und den Alltag mit Krebs zu erleichtern. Doch klinische Studien am Menschen werden in der Öffentlichkeit oft skeptisch gesehen. In der Eröffnungsveranstaltung in Berlin greifen wir deshalb, ausgehend von dem Erfahrungsbericht einer Krebspatientin, Fragen auf, die in diesem Zusammenhang häufig gestellt werden“, erklärt Margret Schrader, Vorstandsvorsitzende der Deutschen Krebsstiftung. Die Teilnehmer*innen erfahren unter anderem, was sie wissen sollten, wenn sie sich für eine Studienteilnahme interessieren, wie Erkenntnisse aus der Forschung rasch in die Versorgung gelangen und wie man geeignete Studien finden kann. Außerdem werden verschiedene Studien aus der onkologischen Versorgungsforschung vorgestellt.

Die Auftaktveranstaltung „Forschung - was bringt mir das?“ in der Berlin-Brandenburgischen Akademie der Wissenschaften in Berlin wird am Samstag, dem 3 Juni, ab 11.00 Uhr im Livestream übertragen.

Die Programmdetails sind unter dieser URL abrufbar: https://www.deutsche-krebsstiftung.de/projects/eroeffnungsveranstaltung-der-german-cancer-survivors-week-2023/.

Den Link zur Online-Teilnahme am 3. Juni finden Sie hier: https://us02web.zoom.us/j/85858994097.

Eine Anmeldung ist nicht erforderlich.

Auch im weiteren Verlauf der German Cancer Survivors Week 2023 stellen wir Studien mit einem unmittelbaren Nutzen für Krebsbetroffene vor und informieren über spezielle Krebsberatungsangebote.

Montag, 5. Juni, 17.30 - 19.00 Uhr: „Von der Krebsprävention bis zur virtuellen Wohngemeinschaft“

Online-Teilnahme unter dem Link:

https://us02web.zoom.us/j/89284131809

Drei Projekte stehen im Mittelpunkt dieser Online-Veranstaltung der Sächsischen Krebsgesellschaft e. V.: (1) das Präventionsprojekt „Kinderleicht – Sonnenschutz im Kindesalter“, an dem bereits über 100 Kitas in Sachsen teilnehmen; (2) das Beratungsmobil, von dem vor allem Krebsbetroffene auf dem Land profitieren; und (3) die Plattform Telmacare – die virtuelle Wohngemeinschaft hilft bei der Suche nach Informationen, Gesprächspartnern, Freizeitangeboten und interessanten Veranstaltungen.

Dienstag, 6. Juni, 17.30 - 19.00 Uhr: „Chronische Erschöpfung bei Krebs“

Online-Teilnahme unter dem Link:

https://us02web.zoom.us/j/87970997796

Eine tumorbedingte Fatigue hat nichts mit der „normalen Müdigkeit“ gesunder Menschen zu tun und ist auch keine seelische Erkrankung. Mögliche Ursachen, Gegenmaßnahmen und den Ablauf einer Fatigue-Sprechstunde der Bayerischen Krebsgesellschaft erklärt Dr. phil. Irene Fischer vom Institut für Tumor-Fatigue-Forschung, Vorstandsmitglied der Deutschen Fatigue Gesellschaft und wissenschaftliche Leiterin der Tumor-Fatigue-Sprechstunde der Bayerischen Krebsgesellschaft in ihrem Onlinevortrag. Im Anschluss beantwortet sie Fragen der Zuschauer*innen.

Mittwoch, 7. Juni, 17.30 - 19.00 Uhr: „Krebsforschung und -versorgung in einem Flächenland“

Online-Teilnahme unter dem Link:

https://us02web.zoom.us/j/86843821480

Flächenländer sind bei der Organisation von Beratungsleistungen besonders gefordert. In Mecklenburg-Vorpommern stehen den Betroffenen seit 2021 mobile ambulante Beratungsteams zur Seite. Wie sie Krebskranke und ihre Angehörigen wohnortnah unterstützen, ist Thema dieser Online-Veranstaltung der Krebsgesellschaft Mecklenburg-Vorpommern. Wir stellen Ihnen außerdem eine Bewegungsstudie an der Universitätsmedizin Rostock zur Wirksamkeit individueller Trainingsprogramme für Krebspatient*innen vor und diskutieren dabei die Herausforderungen beim Transfer wissenschaftlicher Erkenntnisse in die Versorgung.

Donnerstag, 8. Juni, 17.30 - 19.00 Uhr: „Von der Forschung in die Praxis“

Online-Teilnahme unter dem Link:

https://us02web.zoom.us/j/84271994862

Was können Patient*innen von der Krebsforschung erwarten? Im Fokus dieser Online-Veranstaltung der Hamburger Krebsgesellschaft stehen zwei Studien mit einem unmittelbaren, praktischen Nutzen: In einer komplementärmedizinischen Untersuchung geht es um brandneue Ergebnisse aus der Achtsamkeitsforschung. Außerdem stellen wir die im Rahmen der „WAG_ES-Studie“ entwickelten männerspezifischen Angebote, u.a. eine Online-Männergruppe für Krebspatienten, vor. Unser Online-Yoga-Schnupperkurs ermuntert zum Mitmachen.

Zugang zum gesamten Programm und nähere Informationen erhalten Sie hier:

https://www.deutsche-krebsstiftung.de/projects/german-cancer-survivors-week-2023/

Die German Cancer Survivors Week

Die Deutsche Krebsstiftung möchte den Erfahrungsaustausch von Krebsbetroffenen fördern; zugleich möchte sie das Thema „Leben mit Krebs“ in die Gesellschaft tragen und darüber aufklären. Deshalb veranstaltet sie seit 2015 den German Cancer Survivors Day (GCSD), bei dem Betroffene und Expert*innen in der Öffentlichkeit über die Herausforderungen sprechen, die das Leben mit Krebs bereithält. 2021 wurde der German Cancer Survivors Day zur German Cancer Survivors Week. GA 26

 

 

 

EU-Parlament will ehemaligen Abgeordneten Pension kürzen

 

Das Europäische Parlament plant, sein Pensionsprogramm für ehemalige Abgeordnete um 50 Prozent zu kürzen, um das Defizit des Pensionsfonds von 310 Millionen Euro auf 86 Millionen Euro zu reduzieren. Dies wurde am Montagabend von der Parlamentsleitung beschlossen. Von: Eleonora Vasques

 

Das System zahlt ehemaligen Abgeordneten 3,5 Prozent ihres Gehalts für jedes volle Jahr ihrer Amtszeit, bis zu einer Obergrenze von 70 Prozent ihres Gehalts. Derzeit liegt das monatliche Gehalt der Abgeordneten nach Steuern bei 7.647 Euro, wobei 914 ehemalige Abgeordnete derzeit von der Regelung profitieren.

Mit der Vereinbarung werden die Ruhegehälter um 50 Prozent gekürzt, die automatischen Indexierungen eingefroren, das Renteneintrittsalter von 65 auf 67 Jahre angehoben und eine Klausel über den freiwilligen Austritt aus dem Rentensystem in Form einer einmaligen Zahlung eingeführt, deren Höhe von der Dauer der Zugehörigkeit zum Parlament abhängt.

Die Einigung wurde in einer nichtöffentlichen Sitzung des Parlamentspräsidiums erzielt, in dem die Präsidentin Roberta Metsola und die 14 Vizepräsidenten des Parlaments vertreten sind und das für die interne Funktionsweise der Versammlung zuständig ist.

Abgeordnete, die jünger als 63 Jahre sind und eine Legislaturperiode im Parlament verbracht haben, haben Anspruch auf eine Abfindung von 50.900 Euro vor Steuern.

Das Defizit war zuvor zu einem großen Problem geworden. Da die jährlichen Rentenzahlungen bis zum Jahr 2030 23 Millionen Euro pro Jahr kosten werden, wäre der Fonds in der ersten Hälfte des Jahres 2025 erschöpft.

Nach dem neuen Vorschlag wurde die gesamte künftige Zahlungsverpflichtung von 353 auf 130 Millionen Euro gesenkt. Der Fonds wird voraussichtlich in der zweiten Hälfte des Jahres 2027 kein Geld mehr haben.

Ohne die Reform werden die Verbindlichkeiten des Parlaments im Rahmen des Rentensystems bis 2047 auf über 20 Millionen Euro geschätzt, heißt es in einem Dokument, das vor der Präsidiumssitzung verteilt wurde und EURACTIV vorliegt.

Die Vereinbarung, die noch von den Abgeordneten formell genehmigt werden muss, würde jedoch immer noch ein Defizit von 86 Millionen Euro hinterlassen, das wahrscheinlich von den europäischen Steuerzahlern gedeckt werden müsste. Sollte das Parlament die Rentenzahlungen einfach ausfallen lassen – eine Option, die vom Präsidium erörtert wurde – würde es mit einer rechtlichen Anfechtung rechnen müssen.

Die Pensionsregelung trat nach den Europawahlen 2009 in Kraft, bei denen ein neues Statut für die Abgeordneten des Europäischen Parlaments als Teil einer umfassenderen Überarbeitung der Vorschriften über die Bezüge und Leistungen für das Personal des Parlaments eingeführt wurde.

Das Europäische Parlament erklärte jedoch, dass weitere Maßnahmen in dieser Angelegenheit ergriffen werden können.

„Die beschlossenen Maßnahmen würden, sobald sie abgeschlossen sind, die Interessen der Allgemeinheit und der EU-Steuerzahler schützen und gleichzeitig das EU-Recht einhalten und ein Mindestmaß an Unterhaltszahlungen an die Begünstigten sicherstellen“, erklärte ein Pressesprecher des Parlaments gegenüber EURACTIV.

„Es wurde außerdem vereinbart, die Situation und die Auswirkungen dieser Entscheidungen im Jahr 2024 zu überprüfen. Falls nötig, können weitere Maßnahmen ins Auge gefasst werden“, hieß es.

In der Zwischenzeit haben einige Europaabgeordnete, darunter die grüne Vizepräsidentin Heidi Hautala, besser gestellte Abgeordnete aufgefordert, das System zu verlassen.

Im Jahr 2024 wird sich nach den Europawahlen, die zwischen dem 6. und 9. Juni stattfinden, ein neues Europäisches Parlament konstituieren. EA 25

 

 

 

 

NRW-Regierungschef Wüst zum 30. Jahrestag des Brandanschlags von Solingen

 

Rechtsextremismus ist nach Einschätzung von NRW-Ministerpräsident Hendrik Wüst „die größte Gefahr für unsere Demokratie“. Der rassistische Brandanschlag von Solingen vor 30 Jahren sei kein Einzelfall gewesen, sagte der CDU-Politiker im Gespräch. Das Erinnern an diese Tat dürfe nie enden. Von Ingo Lehnick

 

Am 29. Mai jährt sich zum 30. Mal der rechtsextrem motivierte Brandanschlag von Solingen, bei dem fünf Mädchen und Frauen ums Leben kamen. Wie wichtig ist die Erinnerung drei Jahrzehnte nach der Tat?

Hendrik Wüst: Der 29. Mai 1993 war einer der dunkelsten Tage in der Geschichte Nordrhein-Westfalens. Auch 30 Jahre nach dieser menschenverachtenden Tat bleiben Fassungslosigkeit und Trauer. Fünf Menschen wurden durch den rechtsextremen Anschlag aus dem Leben gerissen. Für die Familie Genç hat sich in jener Nacht alles verändert. Für mich ist klar: Das Erinnern an diese Tat darf nie enden. Erinnern an Solingen bedeutet, niemals zu vergessen, was passiert ist. Erinnern bedeutet auch, aus der Vergangenheit zu lernen und jeden Tag dafür einzustehen, dass Hass, Hetze und Fremdenfeindlichkeit keinen Platz in unserer Gesellschaft haben. Das bleibt eine immerwährende Aufgabe.

Damals herrschte im Zuge einer Asyldebatte eine aufgeheizte Stimmung, es gab den Anschlag von Mölln und die Übergriffe in Rostock-Lichtenhagen. Rassismus und rechtsextreme Gewalt sind aber bis heute gegenwärtig, dafür stehen etwa die NSU-Morde und die Anschläge von Halle und Hanau. Wird trotz der vielen Gewalttaten nicht genug gegen Ausländerfeindlichkeit und Rechtsextremismus getan?

Hendrik Wüst: Leider wissen wir, dass Solingen kein Einzelfall war. Rechtsextremismus ist die größte Gefahr für unsere Demokratie. Darum müssen wir als Gesellschaft zusammenstehen und deutlich machen, dass Rassismus, Hass und Hetze hier keinen Platz haben. Als Landesregierung sind wir uns unserer Verantwortung bewusst. Darum unterstützen wir Beratungsstellen gegen Rechtsextremismus und haben das Förderprogramm „NRWeltoffen“ entwickelt, um die Kommunen in der Präventionsarbeit gegen Rechtsextremismus und Rassismus zu stärken. Zudem werden wir Schutzlücken in einem Antidiskriminierungsgesetz schließen und so die Rechte der Betroffenen stärken.

Der Kampf gegen Rassismus und Rechtsextremismus ist eine gesamtgesellschaftliche Aufgabe. Deshalb freut mich der unermüdliche Einsatz der Menschen in Nordrhein-Westfalen ganz besonders. Seit 2018 verleiht das Land Nordrhein-Westfalen jährlich die Mevlüde-Genç-Medaille an Menschen, die sich für Verständigung und Toleranz einsetzen und so zu einem friedlichen Miteinander in unserer Gesellschaft beitragen. Die Medaille soll so die vorbildliche Haltung von Mevlüde Genç für uns alle in Erinnerung halten. Ihr wurde durch den Brandanschlag das Wichtigste im Leben genommen: Kinder, Enkelkinder und eine Nichte. Ein Schicksalsschlag, von dem sich die meisten Menschen nie wieder erholt hätten.

Doch Mevlüde Genç hat den Frieden und die Versöhnung immer an erste Stelle gesetzt. Sie verstand es, den unermesslichen Schmerz, der ihr zugefügt wurde, in die Kraft umzuwandeln, sich für andere Menschen einzusetzen. Nach ihrem Tod im vergangenen Jahr ist es umso mehr unsere Verantwortung und Pflicht, ihr Wirken lebendig zu halten. In diesem Jahr verleihe ich die Mevlüde-Genç-Medaille darum an das Informations- und Dokumentationszentrum für Antirassismusarbeit in Nordrhein-Westfalen. Vor allem im Bereich der Jugendarbeit setzen sich die Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter für eine umfassende Präventionsarbeit ein. Das ist vorbildlich und verdient unsere Anerkennung.

Die Zahl der Schutzsuchenden in Deutschland ist 2022 stark gestiegen, vor allem durch den russischen Krieg gegen die Ukraine. Auch Straftaten gegen Flüchtlinge und deren Unterkünfte nahmen im vergangenen Jahr zu. Gibt es nach Ihrer Einschätzung eine wachsende Fremdenfeindlichkeit?

Hendrik Wüst: Am 24. Februar 2022 hat Putin den Krieg zurück nach Europa gebracht. Von Beginn an war klar: Wer vor Putins Krieg flieht, ist bei uns in Nordrhein-Westfalen herzlich willkommen. Viele Menschen im ganzen Land haben ihre Häuser und ihre Herzen geöffnet, sich haupt- und ehrenamtlich engagiert und klargemacht, was wir Putins Krieg entgegensetzen: Nächstenliebe, Mitmenschlichkeit und Solidarität! Unsere Sicherheitsbehörden beobachten, dass Rechtsextremisten die Krisen der vergangenen Jahre für ihre Zwecke instrumentalisieren – seien es Corona-Beschränkungen, steigende Energiepreise oder der Ukraine-Krieg. Deshalb sage ich: Lassen wir nicht zu, dass diejenigen, die Ängste schüren und Hass verbreiten, Erfolg haben. Wir leben in einer gefestigten, aber auch in einer wehrhaften Demokratie. Es liegt an uns allen, diese Demokratie lebendig zu halten.

Amnesty International beklagt „verbale Entgleisungen“ in der aktuellen Flüchtlingsdebatte. Welche Rolle spielt eine polemische Rhetorik in der Politik, etwa wenn im Blick auf Flüchtlinge von „Sozialtourismus“ die Rede ist?

Hendrik Wüst: Der russische Angriffskrieg gegen die Ukraine verursacht unfassbares Leid. Millionen Menschen mussten ihre Heimat verlassen, haben alles verloren. Derzeit leisten unsere Städte, Gemeinden und Kreise Herausragendes bei der Aufnahme, Unterbringung und Integration Geflüchteter. Für mich ist klar: Als Demokratien müssen wir gerade jetzt zusammenzuhalten und zusammenrücken. Dafür setzt sich das Land Nordrhein-Westfalen auch weiterhin ein.

Wie müsste eine langfristig angelegte Strategie gegen Rassismus und rechte Gewalt aussehen?

Hendrik Wüst: Rechtsextremisten stellen unser demokratisches Gemeinwesen infrage. Das dürfen wir nicht dulden. Staat und Zivilgesellschaft müssen zusammenarbeiten und entschlossen für ein respektvolles gesellschaftliches Miteinander eintreten. Es ist unsere Pflicht, die Erinnerung und das Wissen über menschenverachtende Gräueltaten lebendig zu halten und sie in Zukunft zu verhindern. In Nordrhein-Westfalen leistet die Landeszentrale für Politische Bildung hier bereits hervorragende Arbeit. Darüber hinaus ist das „Integrierte Handlungskonzept gegen Rechtsextremismus und Rassismus“ der Landesregierung seit Jahren ein wichtiger Baustein, um Maßnahmen gegen Rechtsextremismus und Rassismus noch besser aufeinander abzustimmen, weiterzuentwickeln und insbesondere die präventive Arbeit zu stärken.

(epd/mig 25)

 

 

 

 

„Moderne Sklaverei" wächst weltweit

 

Der „Global Slavery Index 2023“ stellt eine erhebliche Verschlechterung der Situation von Menschen weltweit fest, die unter sklavenähnlichen Bedingungen leben müssen.

Die Menschen in Nordkorea, Eritrea und Mauretanien sind weltweit am stärksten von moderner Sklaverei betroffen, schreibt die Menschenrechtsorganisation „Walk Free“ in ihrem aktuellen Bericht, der an diesem Mittwoch veröffentlicht wurde. Demnach haben im Jahr 2021 schätzungsweise 50 Millionen Menschen in „moderner Sklaverei“ gelebt, davon etwa 28 Millionen Menschen, die Zwangsarbeit verrichten, und 22 Millionen, die in Zwangsheirat leben. 2016 lag die Gesamtzahl bei zehn Millionen.

Der Bericht definiert moderne Sklaverei als „Zwangsarbeit, Zwangs- oder sogenannte Untergebenenehe, Schuldknechtschaft, erzwungene kommerzielle sexuelle Ausbeutung, Menschenhandel, sklavereiähnliche Praktiken und den Verkauf und die Ausbeutung von Kindern". Das Kernprinzip der Sklaverei betrifft demnach „die systematische Beseitigung der Freiheit einer Person" vom Recht, Arbeit anzunehmen oder abzulehnen, bis hin zur Freiheit zu entscheiden, ob, wann und wen man heiratet.

Erschütternde Weltrangliste

Daran gemessen führt Nordkorea den Bericht „moderner Sklaverei“ an. Es folgen Eritrea und Mauretanien, das 1981 als letztes Land der Welt die vererbbare Sklaverei für illegal erklärte. Ebenfalls unter den Top 10 der Weltrangliste finden sich Saudi-Arabien, die Vereinigten Arabischen Emirate, Kuwait, die Türkei, Tadschikistan, Russland und Afghanistan.

Die zehn Länder mit der höchsten Prävalenz moderner Sklaverei weisen einige gemeinsame Merkmale auf, darunter „begrenzter Schutz der bürgerlichen Freiheiten und Menschenrechte". Während Zwangsarbeit in Ländern mit niedrigem Einkommen häufiger vorkommt, ist sie eng mit der Nachfrage aus Ländern mit höherem Einkommen verbunden", so der Bericht, der feststellt, dass zwei Drittel aller Fälle von Zwangsarbeit mit globalen Lieferketten in Zusammenhang stehen.

Die Situation verschlechtert sich unter anderem vor dem Hintergrund zunehmender und komplexerer bewaffneter Konflikte, politischer Instabilität, weit verbreiteter Umweltzerstörung und der Auswirkungen der Corona-Pandemie, so die Untersuchunng.  (ucanews 24)

 

 

 

 

Gericht: Rumänien muss gleichgeschlechtliche Partnerschaft anerkennen

 

Der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte in Straßburg hat festgestellt, dass Rumänien verpflichtet ist, gleichgeschlechtliche Partnerschaften angemessen anzuerkennen und zu schützen, da das Land das Recht auf Familienleben von 21 gleichgeschlechtlichen Paaren verletzt hat. Von: Catalina Mihai

 

21 gleichgeschlechtliche Paare verklagten Rumänien vor dem Straßburger Gericht und machten geltend, dass es ihnen unmöglich sei, in Rumänien irgendeine Art von rechtlich anerkannter Verbindung einzugehen, und dass sie keine Möglichkeit hätten, ihre Beziehungen rechtlich abzusichern.

Der Gerichtshof stellte insbesondere fest, dass Rumänien verpflichtet ist, gleichgeschlechtliche Beziehungen angemessen anzuerkennen und zu schützen, auch wenn es „einen Ermessensspielraum hinsichtlich der Form und des gewährten Schutzes“ hat. 

Keines der Argumente der Regierung in Bezug auf die gleichgeschlechtliche Ehe könne das Interesse der Kläger an der Anerkennung ihrer Lebensgemeinschaft aufwiegen, so das Gericht weiter.

Der Präsident des Nationalen Rates zur Bekämpfung von Diskriminierung (CNCD), Csaba Asztalos, zeigte sich wenig überrascht. Er erklärte gegenüber HotNews.ro, dass Rumänien ein Gesetz zur zivilen Lebenspartnerschaft annehmen sollte.

Er zeigte sich jedoch skeptisch, dass die Parteien dieses Thema vor einem Wahljahr in Angriff nehmen werden.

Die Entscheidung kam auch für Cristi Danilet, einen Richter in der Stadt Cluj, nicht überraschend, der EURACTIV von ähnlichen Entscheidungen gegen andere Staaten erzählte.

„Jetzt sind zwei Menschen, die zusammenleben, einfach zwei Ausländer, die im selben Haus leben. Wenn einem von ihnen etwas zustößt, kann der andere ihn nicht im Krankenhaus besuchen, wenn einer stirbt, kann der andere nichts erben, weil es keine Beziehung gibt, sie sind keine Verwandten, sie sind keine Ehegatten“, erklärte Danilet.

Umsetzung vor der Wahl unwahrscheinlich

Die Entscheidung des Straßburger Gerichts ist bindend, aber der rumänische Staat wird versuchen, die Umsetzung zu vermeiden, „besonders vor einer Wahlkampagne, weil es ein sensibles Thema ist, die rumänisch-orthodoxe Kirche und die Extremisten werden wieder aufspringen“, so Danilet.

Die nächste Parlamentswahl in Rumänien findet 2024 statt.

„Sie werden es als Mittel gegen die Demokratie einsetzen. Aber in Wirklichkeit ist diese Entscheidung ein Ergebnis der Demokratie. In einer Demokratie sind die Menschen gleich. Sie können nicht gezwungen werden, zu heiraten, um vom Staat beschützt zu werden“, fügte Danilet hinzu. 

Die Menschenrechtsanwältin Iustina Popescu erklärte, die Entscheidung bestätige, was das Verfassungsgericht 2018 im Fall Coman gesagt habe: Gleichgeschlechtliche Paare seien auch Familien und müssten rechtlich geschützt werden. 

„Es gibt noch Fälle beim EGMR [Europäischen Gerichtshof für Menschenrechte] und es wird weitere Verurteilungen gegen Rumänien geben, wenn der Staat diese Familien nicht anerkennt“, sagte Popescu. 

Sie sieht keinen Grund für den Staat, die Entscheidung anzugreifen, da der rumänische Staat vor dem Gerichtshof nicht bestritten hat, dass gleichgeschlechtliche Paare rechtlich geschützt werden müssen.

Nach Ansicht der rumänischen Behörden könnten diese Rechte durch private vertragliche Vereinbarungen nachgebildet werden. 

Ein weiteres Argument war die negative Einstellung der heterosexuellen Mehrheit, die vom Europäischen Gerichtshof für Menschenrechte jedoch zurückgewiesen wurde. Dies könne das Interesse der Antragsteller an der Anerkennung ihrer Beziehungen nicht außer Kraft setzen, und die Anerkennung gleichgeschlechtlicher Partnerschaften würde der Institution der Ehe nicht schaden, da andersgeschlechtliche Paare weiterhin heiraten könnten, so das Gericht. 

Kritik aus Politik und Kirche

„Die Entscheidung des EGMR, Rumänien zu verpflichten, gleichgeschlechtliche Familien anzuerkennen, widerspricht den Idealen, die wir hochhalten. Sie haben sich entschieden, das Herzstück der jüdisch-christlichen Zivilisation nicht zu respektieren, die Familie, die aus einem Mann und einer Frau besteht und seit Jahrhunderten die Säule unserer Gemeinschaften ist“, sagte Robert Sighiartau, Generalsekretär der Partei PNL (EVP).

Andere Politiker haben es vermieden, sich zu der Entscheidung zu äußern.

Die rumänisch-orthodoxe Kirche reagierte jedoch heftig und lehnte jede Art von ziviler Vereinigung oder Partnerschaft ab.  

Die Kirche, die bei Politikern sehr einflussreich ist, ist der Ansicht, dass die zivile Partnerschaft „ein Ersatz für die Ehe und ein zerstörerisches Element der geistigen und moralischen Ordnung in der Gesellschaft“ ist.

Sie verteidigte die „kulturellen und historischen Traditionen“ und erklärte, dass „kein europäischer oder internationaler Text die Staaten dazu verpflichten kann, einen besonderen Status für Personen zu schaffen, die zusammenleben, egal ob sie verschieden- oder gleichgeschlechtlich sind.“ EA 24

 

 

 

CDU verbreitet „Fake-News“. Streit um Einbürgerungsreform

 

Kaum liegen die Regierungspläne für die Staatsbürgerschaft-Reform vor, gibt es Streit. Die CDU kritisiert erleichterte Einbürgerungen von Sozialhilfebeziehern. Tatsächlich werden die Regeln für Leistungsbezieher massiv verschärft. FDP kontert: CDU verbreitet Fake-News.

Die CDU/CSU-Opposition im Bundestag wendet sich gegen Pläne der Regierungskoalition für leichtere Einbürgerungen. Ihr Erster Parlamentarischer Geschäftsführer Thorsten Frei sprach in der „Rheinischen Post“ von „falschen Signalen in die Welt“. Das Vorhaben von SPD, Grünen und FDP werde einen bestehenden „Migrationsdruck“ noch verstärken. „Welches Land vergibt die Staatsbürgerschaft auf die Schnelle an Menschen, die noch nicht einmal ihren Lebensunterhalt aus eigenen Kräften bestreiten können?“, sagte Frei.

Der Parlamentarische Geschäftsführer der FDP-Bundestagsfraktion, Stephan Thomae, entgegnete: „Wir wollen Menschen schneller einbürgern, die von ihrer eigenen Hände Arbeit leben können und sich gut integriert haben“. Dies sei kein falsches Signal, sondern ein „echter Anreiz, Arbeit aufzunehmen und etwas zu unserer Gesellschaft beizutragen“. Die Union verkenne, dass zu einem modernen Einwanderungsland auch ein modernes Staatsangehörigkeitsrecht gehöre, kritisierte Thomae.

Vogel: CDU verbreitet Falschnachrichten

Der Erste Parlamentarische Geschäftsführer der FDP-Fraktion, Johannes Vogel, warf dem CDU-Politiker vor, Falschnachrichten zu verbreiten. Die Behauptung, die deutsche Staatsbürgerschaft solle an Einwanderer vergeben werden, die ihren Lebensunterhalt nicht aus eigener Kraft bestreiten könnten, „ist genau das Gegenteil von dem, was passiert“, sagte er in Berlin.

Die Bundesregierung hatte sich vergangene Woche in Grundzügen auf ein neues Staatsbürgerschaftsrecht geeinigt. Kern sind kürzere Mindestaufenthalte für Einbürgerungen – statt acht Jahren sollen fünf Jahre reichen, bei besonderen Integrationsleistungen auch nur drei. Ausgeschlossen sein soll der deutsche Pass für Menschen, die aus antisemitischen oder rassistischen Motiven Straftaten begangen haben. Voraussetzung soll auch sein, den Lebensunterhalt in der Regel ohne Sozialleistungen bestreiten zu können.

Massive Verschärfungen bei Lebensunterhaltssicherung

Bei der Lebensunterhaltssicherung sieht die Reform im Vergleich zur aktuell geltenden Rechtslage massive Verschärfungen vor. Bisher besteht laut Staatsbürgerschaftsgesetz ein Anspruch auf Einbürgerung, wenn man den „Lebensunterhalt für sich und seine unterhaltsberechtigten Familienangehörigen ohne Inanspruchnahme von Leistungen … bestreiten kann oder deren Inanspruchnahme nicht zu vertreten hat“. Die Ausnahme im zweiten Halbsatz gilt beispielsweise dann, wenn der Antragssteller Bürgergeld unverschuldet bezieht, etwa wegen einer Krankheit oder Behinderung. Von der Einbürgerung ausgeschlossen sind zudem Alleinerziehende, Schüler oder pflegende Angehörige, die nicht Vollzeit arbeiten können. Die für diese Personengruppen geltende Ausnahme im zweiten Halbsatz fällt weg. Eine Ausnahme von der Unterhaltssicherung gilt nur noch für die erste „Gastarbeiter-“ oder Vertragsarbeiter-Generation.

Frei hingegen sagte, es brauche keine Erleichterungen. „Für Menschen, die gut qualifiziert sind und gern in Deutschland leben und arbeiten wollen, stehen die Türen längst offen.“ Mit den bestehenden Gesetzen „brauchen wir den Vergleich zu anderen Industrienationen, die sich ebenfalls um kluge Köpfe aus aller Welt bemühen, nicht zu scheuen“. Nach Angaben des Innenministeriums lebten Ende 2021 rund 10,7 Millionen Ausländer in Deutschland – mehr als die Hälfte seit mindestens zehn Jahren. (dpa/mig 24)

 

 

 

Mitgliedstaaten geeint: Unverkaufte Waren dürfen nicht vernichtet werden

 

Nach zähen Verhandlungen haben sich die EU-Mitgliedstaaten auf ihre Positionen in der Ökodesign-Reform geeinigt. Neu ist dabei ein Verbot der Vernichtung von unverkauften Textilien und Schuhen. Von: Nikolaus J. Kurmayer

 

Normale Konsumgüter wie Kleidung gelten allgemein als klimabelastend, wobei einige fragwürdige Schätzungen besagen, dass bis zu 10 Prozent der weltweiten CO2-Emissionen auf die Textilindustrie zurückzuführen sind.

Um den mit Konsumgütern verbundenen Abfall zu reduzieren und ihre Wiederverwendung in irgendeiner Form zu fördern, hat die EU-Kommission im Jahr 2022 eine Reform der Produktvorschriften auf den Weg gebracht – am besten bekannt als die Ökodesign-Vorschriften.

Am Montag (22. Mai) einigten sich die EU27 im Vorfeld der Verhandlungen mit dem Europäischen Parlament auf eine gemeinsame Position zur Reform.

„Die Ökodesign-Verordnung wird dafür sorgen, dass die auf dem EU-Markt verkauften Produkte fit und bereit für den grünen Übergang sind“, sagte die schwedische Ministerin Ebba Busch, die für die Verhandlungen zwischen den Mitgliedstaaten der EU zuständig ist.

Die Kompromissfindung wurde allerdings durch einen deutsch-französischen Vorstoß, die Vernichtung von unverkauften Textilien, Schuhen und Kleidung zu verbieten, erheblich erschwert.

Die deutliche Abweichung vom ursprünglichen Kommissionsvorschlag verzögerte die Verhandlungen auf Botschafterebene in Brüssel, sodass ein Kompromiss übrig blieb, der den meisten Ländern Grund für Beschwerden gab.

Das Herzstück der Ökodesign-Vorschriften wird der neue digitale „Produktpass“ sein, der Informationen über die ökologische Nachhaltigkeit eines bestimmten Produkts enthält. Brüssel argumentiert, dass dies den Verbrauchern helfen wird, besser informierte Entscheidungen zu treffen.

Das Gesetz selbst enthält keine eigentlichen Produktanforderungen, sondern schafft stattdessen einen breiten Rahmen für künftige Produktstandards, die in Brüssel verabschiedet werden sollen. Ausnahmen wurden für Fahrzeuge, Medikamente und Lebensmittel geschaffen.

„Künftig müssen Produkte energieeffizient und darüber hinaus langlebig, reparierbar, wiederverwendbar und recycelbar sein, um auf dem EU-Binnenmarkt angeboten zu werden“, erklärte Sven Giegold, ehemals ein grüner EU-Abgeordneter der mittlerweile Staatsekretär im Bundesministerium für Wirtschaft und Klimaschutz.

Er beklagte jedoch, dass die öffentliche Aufmerksamkeit trotz der Bedeutung der Regeln für die Klimaziele der EU woanders lag.

Das Europäische Parlament muss noch seinen eigenen Standpunkt zu dem Gesetz festlegen, danach können die Verhandlungen hinter verschlossenen Türen beginnen.

Ein geteilter Rat

Die 27 Mitgliedsstaaten einigten sich nur in groben Zügen auf ihre Position, zum Teil aufgrund des Vorstoßes, die Vernichtung unverkaufter Waren zu verbieten, wobei viele Länder ein gewisses Maß an Unzufriedenheit äußerten.

„Es ist zwar ein sehr heikler Kompromiss, aber wir glauben, dass er einen fairen Ausgleich zwischen den verschiedenen von den Delegationen geäußerten Wünschen bietet“, sagte der schwedische Minister Busch.

Beim Thema Umwelt wurde der Ehrgeiz allerdings hochgehalten.

„Der Rat hat insgesamt das Niveau der Ambitionen im Bereich der ökologischen Nachhaltigkeit beibehalten“, sagte Umweltkommissar Virginijus Sinkevi?ius.

Während einige Mitgliedstaaten die vorgeschlagene Ermächtigung der Europäischen Kommission zur alleinigen Festlegung von Standards als Eingriff in ihr Hoheitsgebiet empfinden, versuchte Sinkevi?ius, die Gemüter zu beruhigen.

„Das bedeutet nicht, dass wir die Welt ohne die Mitgliedsstaaten vorbereiten“, fügte er hinzu.

Der Rat, der die Mitgliedsstaaten vertritt, möchte stattdessen ein faires Mitspracherecht bei der Schaffung von Regeln für nachhaltige Produkte haben: Die 27 haben sich darauf geeinigt, eine Gruppe von Experten einzurichten, die von den Hauptstädten ausgewählt werden, um am Entscheidungsprozess teilzunehmen.

Doch die Einigung hat Italien und einige seiner Verbündeten zutiefst verstimmt.

„Wir haben aktiv zu den Verhandlungen über den Text beigetragen“, sagte Adolfo Urso, der italienische Minister für Wirtschaft und „Made in Italy“ (FDI/EKR).

Italien beherbergt eine große Anzahl von Textilproduzenten und Modeunternehmen, welche vor der Pandemie einen Umsatz von etwa 56 Milliarden Euro erwirtschaftet haben – viele davon sind kleine und mittlere Unternehmen.

Der Minister beklagte, dass das Abkommen trotzdem „nicht ganz das Gleichgewicht zwischen den verschiedenen Interessen widerzuspiegeln scheint, die im Spiel sind.“

Ein Bürokratieabbau – ein definitiver Ausschluss mittelständischer Unternehmen von den Nachhaltigkeitsregeln anstelle einer Übergangszeit von vier Jahren – würde die Wettbewerbsfähigkeit der Branche „gerade jetzt“ erhöhen, so Urso.

Er legte dem Rat seine Beschwerden als besonderen Zusatz während der öffentlichen Diskussionen vor, der EURACTIV zur Verfügung gestellt wurde. Der gesamte Text ist als Position unter dem Artikel einsehbar. Mehrere Mitgliedstaaten der EU haben sich der italienischen Position angeschlossen, darunter Rumänien, Bulgarien und Kroatien.

Deutschland war seinerseits auch nicht ganz glücklich mit der Vereinbarung, weshalb es ein spezielles Addendum mit zusätzlichen Wünschen einreichte. „Deutschland sieht weiteren Verbesserungsbedarf im Rahmen der anstehenden Verhandlungen mit dem Parlament“, heißt es in der Erklärung.

Zu den vorgeschlagenen Änderungen gehören strengere Nachhaltigkeitsstandards für das öffentliche Beschaffungswesen sowie ein härteres Vorgehen gegen den Bauproduktsektor – den Mitgliedstaaten der EU sollte es untersagt werden, Bauprodukte von den Produktvorschriften auszunehmen, argumentiert Deutschland.

Auf die Frage, warum die 27 einem Kompromiss zugestimmt haben, mit dem sie offensichtlich nicht zufrieden waren, erklärte Staatssekretär Giegold: „So etwas nennt man Kompromiss.“

Alle Augen richten sich nun auf das Europäische Parlament, wo die italienische sozialistische EU-Abgeordnete Alessandra Moretti den Plenarsaal auf ihre Seite ziehen muss, um die abschließenden Verhandlungen mit dem Rat zu beginnen. EA 23

 

 

 

 

Deutliche „Repräsentationslücken“. Studie: Anteil von Abgeordneten mit Migrationsbiografie steigt langsam

 

Die Zahl der Abgeordneten mit Einwanderungsgeschichte in den Parlamenten steigt. Doch in einigen Landtagen gibt es deutliche „Repräsentationslücken“. Das gilt auch für die Unionsparteien, die FDP und AfD. Das geht aus einer aktuellen Erhebung hervor.

Der Anteil von Parlaments-Abgeordneten mit einem Migrationsgeschichte nimmt zu, im Bundestag stärker als in den Landtagen. Aus einer am Montag in Berlin veröffentlichten Studie des Mediendienstes Integration geht hervor, dass 2021 im Bundestag 11,3 Prozent oder 83 Abgeordnete einen Migrationshintergrund hatten, in allen Landtagen zusammen 7,2 Prozent oder 136 der Parlamentarier und Parlamentarierinnen. Anfang der 90er Jahre gab es bundesweit lediglich drei Landtagsabgeordnete aus Einwandererfamilien.

Zwischen den Bundesländern stellten die Wissenschaftler erhebliche Unterschiede fest. In den Stadtstaaten sind die Zahlen deutlich höher als in einigen Flächenländern. In der Hamburger Bürgerschaft haben Abgeordnete mit einem Migrationshintergrund einen Anteil von 21 Prozent, in Bremen von 19 Prozent, im Berliner Abgeordnetenhaus (2021) von 17 Prozent. Im saarländischen Landtag gab es 2021 keinen Parlamentarier mit Migrationshintergrund, in Sachsen, Sachsen-Anhalt, Brandenburg, Mecklenburg-Vorpommern und Rheinland-Pfalz waren es ein bis zwei Prozent. Bei den Flächenländern liegt Baden-Württemberg mit elf Prozent vorn. Alle anderen Länder bewegen sich zwischen knapp neun Prozent (Hessen) und gut drei Prozent (Thüringen).

In Rheinland-Pfalz, Nordrhein-Westfalen, Bayern, Hessen und im Saarland ist die Lücke zwischen dem Anteil der politischen Repräsentanten und dem Bevölkerungsanteil mit Migrationshintergrund besonders groß.

Deutliche Repräsentationslücken bei CDU/CSU, FDP, AfD

Schaut man auf die Parteien, hat die Linke im Bundestag mit mehr als einem Viertel (28 Prozent) mit Abstand die meisten Angeordneten aus Einwandererfamilien in ihren Reihen, die Union mit vier Prozent die wenigsten. Sowohl für den Bundestag als auch für die Landesparlamente lässt sich der Studie zufolge ein Links-Rechts-Gefälle erkennen: Während die Anteile bei Grünen, SPD und Linken Ende 2021 zwischen etwa zehn und 28 Prozent lagen, waren es bei CDU/CSU, FDP und AfD zwischen rund zwei und sieben Prozent.

Für die von der Bosch Stiftung geförderte Studie haben die Forscher und Forscherinnen die Daten über Abgeordnete mit Migrationshintergrund in allen deutschen Landesparlamenten für den Zeitraum von 2012 bis 2021 aktualisiert und dabei Kriterien wie Parteizugehörigkeit, Geschlecht und Herkunftsland berücksichtigt. (epd/mig 23)

 

 

 

 

Ukraine erzürnt: Polen fordert Weltkrieg-Entschuldigung von Selenskyj

 

Die Aufforderung an den ukrainischen Präsidenten sich für die Ermordung tausender Polen durch die Ukrainische Aufständische Armee (UPA) während des Zweiten Weltkriegs zu entschuldigen, sei „inakzeptabel“, so der ukrainische Botschafter. Von: Aleksandra Krzysztoszek

 

Mit Blick auf den bevorstehenden 80. Jahrestag der Tragödie in Wolhynien und Ostgalizien sagte Außenministeriumssprecher Lukasz Jasina gegenüber Onet, dass historische Meinungsverschiedenheiten zwischen Polen und der Ukraine gelöst werden sollten, vorzugsweise indem sich Selenskyj bei Polen für die Ermordung tausender Polen durch die UPA während des Zweiten Weltkriegs entschuldigt.

„Jegliche Versuche, dem ukrainischen Präsidenten oder dem ukrainischen Staat vorzuschreiben, was wir in Bezug auf unsere gemeinsame Vergangenheit zu tun haben, sind inakzeptabel und unglücklich“, antwortete der ukrainische Botschafter Vasyl Zvarych am Samstag auf Twitter.

Er fügte hinzu, dass die Ukraine sich an die gemeinsame Geschichte erinnere und zu Dialog und gegenseitigem Verständnis bereit sei, aber „zu Respekt und Ausgewogenheit in den Erklärungen aufrufe, insbesondere angesichts der komplexen Realität der völkermörderischen russischen Aggression gegen das ukrainische Volk.“

Am nächsten Tag milderte Zvarych seine Botschaft ab und löschte den Beitrag. Stattdessen erklärte er, dass er Jasinas Vorschläge im Hinblick auf die ukrainisch-polnischen Beziehungen für „unangemessen“ halte.

Dennoch sagte der Botschafter, er wolle, dass Kiew mit Warschau in historischen Fragen zusammenarbeite und dabei die Bedeutung der Geschichte verstehe und die Opfer respektiere.

„Gemeinsam sind wir stärker“, schloss der Botschafter und fügte Emojis mit polnischen und ukrainischen Flaggen hinzu.

Zwischen 1943 und 1945 führte die UPA in den mehrheitlich ukrainischen Gebieten Wolhyniens und Galiziens, die vor dem Krieg zum polnischen Staat gehörten, eine ethnische Säuberungsaktion durch, der 50 000 bis 100 000 Polen, darunter auch Frauen und Kinder, zum Opfer fielen.

Das „Wolhynien-Massaker“, wie es in Polen oft genannt wird, ist nach wie vor ein Zankapfel zwischen Warschau und Kiew.

Dennoch äußerte der polnische Ministerpräsident Mateusz Morawiecki die Hoffnung, dass der russische Einmarsch in der Ukraine eine Chance zur Versöhnung über die Massaker biete, und Zelenskyy soll ihm versprochen haben, dass die Ukraine die Exhumierung der Opfer erlauben werde.

Zu Beginn des Jahres verurteilte Polen das ukrainische Gedenken an den nationalistischen Kriegsführer Stepan Bandera – ein Mann, von dem der ehemalige ukrainische Botschafter in Deutschland sagte, er sei „kein Massenmörder von Juden und Polen.“ EA 22

 

 

 

Erleichterungen und Verschärfungen. Bundesregierung einigt sich auf Reformgesetz zur Einbürgerung

 

Die Ampel-Koalition hat sich über die Reform des Staatsangehörigkeitsrechts verständigt. Neben Erleichterungen soll es aber auch strengere Regeln geben, etwa beim Nachweis des eigenen Lebensunterhalts. Für Gastarbeiter und DDR-Vertragsarbeiter gibt es Ausnahmen.

Die Bundesregierung hat sich über die Reform des Staatsangehörigkeitsrechts verständigt. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) erklärte am Freitag in Berlin, damit werde eines der wichtigsten Vorhaben der Ampel-Koalition umgesetzt.

Künftig soll eine Einbürgerung schon nach fünf statt wie bisher nach acht Jahren möglich sein. Wer besonders gut integriert ist, soll bereits nach drei Jahren Aufenthalt den deutschen Pass beantragen können. Zu den besonderen Integrationsleistungen zählen gute Sprachkenntnisse, besondere Leistungen im Job oder ehrenamtliches Engagement.

Außerdem wird die Mehrstaatigkeit erlaubt. Faeser sagte, einbürgerungswillige Menschen würden „künftig nicht mehr gezwungen sein, einen Teil ihrer Identität aufzugeben“. Über den sogenannten Doppelpass hatte es immer wieder politische Auseinandersetzungen gegeben.

Antisemitismus verhindert Einbürgerung

Gegenüber Faesers erstem Entwurf zur Modernisierung des Staatsangehörigkeitsrechts gibt es einige Änderungen, etwa, dass menschenfeindliche, antisemitische oder rassistische Handlungen eine Einbürgerung verhindern. Darauf hatte vor allem die FDP gedrungen. Die Staatsanwaltschaften werden verpflichtet, den Einbürgerungsbehörden Informationen über die Motive für eine Straftat mitzuteilen. Damit werden auch Bagatellstrafen erfasst, wenn ein antisemitisches oder rassistisches Motiv vorliegt.

FDP-Generalsekretär Bijan Djir-Sarai sagte dem Boulevardblatt „Bild“: „Wer die deutsche Staatsbürgerschaft erhalten möchte, muss klare Kriterien erfüllen. Dazu gehört die Beherrschung der deutschen Sprache, die eigenständige Sicherung des Lebensunterhalts ebenso wie Straffreiheit und das eindeutige Bekenntnis zu unseren Werten und der freiheitlich-demokratischen Grundordnung des Grundgesetzes.“

Keine Einbürgerung für Bürgergeld-Bezieher

Das Innenministerium erklärte, der zwischen dem Innen- und dem Justizministerium sowie dem Kanzleramt abgestimmten Gesetzentwurf werde nun zur Abstimmung an die Bundesländer und die Verbände geschickt. Erst danach wird er vom Bundeskabinett beschlossen und geht dann in den Bundestag und Bundesrat.

Interessenten für den deutschen Pass müssen demnach wie bisher selbst für ihren Lebensunterhalt aufkommen. Wer Bürgergeld bezieht, kann grundsätzlich nicht eingebürgert werden. Davon gibt es Ausnahmen: Wer seit knapp zwei Jahren in Vollzeit arbeitet, kann den Einbürgerungsantrag auch dann stellen, wenn er oder sie zusätzlich auf staatliche Leistungen angewiesen ist. Das gilt auch für Ehe- oder Lebenspartner und -partnerinnen und minderjährige Kinder.

Ausnahmen für Gastarbeiter und DDR-Vertragsarbeiter

Aus dem Justizministerium verlautete, die Rechtslage werde gleichwohl insgesamt strenger. Anders als bisher soll nicht mehr berücksichtigt werden, ob jemand unverschuldet in die Lage geraten ist, staatliche Leistungen beantragen zu müssen, etwa weil er oder sie trotz aller Bemühungen keine Arbeit findet oder beispielsweise kleine Kinder zu betreuen hat.

Die Lebensumstände und die Lebensleistung der sogenannten Gastarbeitergeneration in der Bundesrepublik und der Vertragsarbeiter in der DDR werden hingegen berücksichtigt. Ein unverschuldeter Verlust des Arbeitsplatzes etwa ist kein Hinderungsgrund für die Einbürgerung. Angehörige dieser Generation sollen künftig für den deutschen Pass auch nicht mehr den Einbürgerungstest und schriftliche Sprachtests absolvieren müssen, weil sie nicht die gleichen Integrationschancen hatten wie später ins Land gekommene Menschen. Schließlich sollen öffentliche Einbürgerungsfeiern zur Regel werden, um die Bedeutung des Vorgangs als Bekenntnis zu Deutschland zu unterstreichen.

CDU kritisiert Pläne, Türkische Gemeinde lobt sie

Unions-Innenexperte Alexander Throm (CDU) nannte die Gesetzespläne ein falsches Signal. „Eine Staatsangehörigkeit wird für die Ewigkeit verliehen.“ Drei bis fünf Jahre halte er für eine Prüfung für zu kurz. Durch das Gesetz steige das Risiko, dass vorschnell Personen eingebürgert würden, die nicht ausreichend integriert sind. Unionsfraktionsgeschäftsführer Thorsten Frei (CDU) sagte den Zeitungen der Funke Mediengruppe, das Gesetz breche mit bisherigem Recht. „Es führt zu einer Entwertung der deutschen Staatsangehörigkeit.“

Grünen-Innenexpertin Lamya Kaddor betonte, Deutschland sei seit langem ein Einwanderungsland. „Es ist allerhöchste Zeit, dieser Realität durch ein zeitgemäßes, modernes Staatsangehörigkeitsrecht Rechnung zu tragen.“ Die Zeit dränge. Es sei gut, dass nun Länder und Zivilgesellschaft beteiligt würden. Laut Bundesinnenministerium lebten Ende 2021 rund 10,7 Millionen Menschen mit ausländischer Staatsangehörigkeit in Deutschland, von denen 5,7 Millionen schon seit mindestens zehn Jahren hier sind.

Der Bundesvorsitzende der Türkischen Gemeinde (TGD), Gökay Sofuo?lu, lobte die geplante doppelte Staatsbürgerschaft. Sie entspreche dem Lebensgefühl und der -realität vieler Menschen mit Migrationsgeschichte. Mit Blick auf den Ausschlussgrund antisemitischer oder rassistischer Handlungen warnte der TGD-Chef davor, die Überprüfung dürfe nicht zu „einem generellen Gesinnungstest“ werden. Zugleich mahnte er an, mit dem Gesetz auch die Behörden personell besser auszustatten. Sie seien jetzt schon überlastet. (epd/dpa/mig 22)

 

 

 

Fragen und Antworten. Staatsangehörigkeitsrecht: Die Pass-Pläne der Koalition

 

Die Pläne der Bundesregierung zur Vereinfachung der Einbürgerung werden konkret. Was plant die Koalition? Wer lässt sich derzeit einbürgern? Und wie halten es andere Länder mit dem Pass? MiGAZIN beantwortet die wesentlichen Fragen: Von Corinna Buschow

 

Wer kann sich derzeit in Deutschland einbürgern lassen?

Aktuell kann sich einbürgern lassen, wer seit acht Jahren in Deutschland lebt, ein dauerhaftes Aufenthaltsrecht hat und eine Reihe weiterer Voraussetzungen erfüllt. Dazu gehören unter anderem Sprachkenntnisse, die selbstständige Sicherung des Lebensunterhalts und ein erfolgreich absolvierter Einbürgerungstest. Wer sogenannte besondere Integrationsleistungen vorweist, etwa ein besonders gutes Sprachniveau oder gute schulische oder berufliche Leistungen, kann sich nach sechs Jahren einbürgern lassen. Wer den deutschen Pass hat, hat dann alle Rechte eines deutschen Staatsbürgers, kann etwa auch den Bundestag wählen.

Was will die Ampel-Koalition verändern?

SPD, Grüne und FDP haben im Koalitionsvertrag vereinbart, die Hürden für die Einbürgerung zu senken. Sie wollen die Wartezeit bis zur möglichen Einbürgerung von acht auf fünf Jahre senken, bei besonderen Integrationsleistungen auf drei Jahre. An den weiteren Bedingungen für eine Einbürgerung will die Koalition im Kern nichts ändern, etwa dass die Betroffenen ihren Lebensunterhalt selbst bestreiten. Zudem sind Erleichterungen für die sogenannte Gastarbeitergeneration und eine Zulassung des sogenannten Doppelpasses geplant.

Was hat es mit dem Doppelpass auf sich?

Das deutsche Recht verlangt bislang, dass vor einer Einbürgerung in Deutschland die ursprüngliche Staatsbürgerschaft „grundsätzlich“ aufgegeben werden muss. Dies gilt aber bereits jetzt in vielen Fällen nicht, etwa für EU-Bürger oder für Staaten, bei denen die Staatsbürgerschaft nicht aufgegeben werden kann. Das ist aktuell bei 25 Staaten der Fall, darunter Iran, Afghanistan und Syrien. Im vergangenen Jahr hat das Bundesinnenministerium zudem verfügt, auch bei ukrainischen Staatsangehörigen auf die Aufgabe des anderen Passes zu verzichten, weil wegen des Krieges dieser Verwaltungsakt faktisch nicht möglich ist.

Die vielen Ausnahmen sorgen dafür, dass nach Angaben des Bundesinnenministeriums 2021 bei mehr als zwei Dritteln der Einbürgerungen (69 Prozent) die sogenannte Mehrstaatigkeit zugelassen wurde. Die Koalition will deshalb den Doppelpass künftig generell erlauben.

Wie viele Menschen lassen sich in Deutschland einbürgern?

Viel weniger, als es wahrscheinlich könnten: 2021 ließen sich nur 2,45 Prozent der seit mindestens zehn Jahren in Deutschland lebenden Ausländer einbürgern. Gleichzeitig erreichten die Einbürgerungen in dem Jahr laut Migrationsbericht der Bundesregierung einen Höchststand: 131.595 Menschen erhielten den deutschen Pass. Grund dafür ist eine hohe Anzahl von Einbürgerungen syrischer Flüchtlinge, die seit 2015 in großer Zahl nach Deutschland gekommen sind und 2021 beim Nachweis besonderer Integrationsleistungen erstmals von der Einbürgerung nach sechs Jahren Gebrauch machen konnten. Rund 19.000 Syrerinnen und Syrer wurden 2021 eingebürgert, 28 Prozent von ihnen bereits nach sechs Jahren. Vor allem ließen sich aber Menschen aus anderen europäischen Staaten – inklusive Türkei – einbürgern (rund 63.000).

Wie regeln es andere Länder?

Nach einer Analyse der CDU-nahen Konrad-Adenauer-Stiftung liegt Deutschland mit der aktuellen Frist von acht beziehungsweise sechs Jahren bis zur möglichen Einbürgerung im internationalen Vergleich im „oberen Mittelfeld“. Viele Staaten, darunter Frankreich, Finnland und die USA haben demnach eine Frist von fünf Jahren. In Irland und Kanada reichen sogar drei Jahre. Einige Länder wie die Schweiz, Litauen und Spanien hätten dagegen längere Fristen. Der Doppelpass ist der Analyse zufolge im Großteil Europas zulässig. Neben einzelnen Ländern wie Österreich, Estland oder den Niederlanden gehört Deutschland mit der bisherigen Pflicht zur Aufgabe der anderen Staatsbürgerschaft eher zur Ausnahme.

(epd/mig 21)

 

 

 

Hilfswerke zum G7-Milliardenpaket gegen humanitäre Krisen

 

Die G7-Staaten haben zugesagt, in diesem Jahr 21 Milliarden US-Dollar zur Bewältigung humanitärer Krisen bereitzustellen. Laut einem Kommunique des Gipfeltreffens im japanischen Hiroshima soll damit auch auf eine sich verschärfende Nahrungsmittelknappheit in vielen Teilen der Welt reagiert werden.

 

Die G7-Gruppe, deren Staats- und Regierungschefs seit Freitag in Japan beraten, ist der Zusammenschluss der zum Gründungszeitpunkt sieben wichtigsten Industrieländer, darunter auch Deutschland.

Bundesentwicklungsministerin Svenja Schulze (SPD) lobte die Ergebnisse des Treffens: „Die G7 bleiben dran im Einsatz gegen den Hunger auf der Welt. Während die Folgen von Russlands Angriffskrieg Millionen Menschen in Entwicklungsländern in den Hunger getrieben haben, arbeiten wir in der G7 an Lösungen.“

Es gelte nun, die Entwicklungsländer unabhängiger zu machen von den Unwägbarkeiten des Weltmarktes. Vor allem der Globale Süden brauche dafür die Unterstützung der G7-Staaten. „Nur eine klimaangepasste, nachhaltige Landwirtschaft, die die biologische Vielfalt erhält, kann die Grundlage für eine langfristige Versorgung mit gesunden Nahrungsmitteln für alle Menschen sicherstellen“, so Schulze.

Hilfsorganisationen enttäuscht

Internationale Hilfsorganisationen äußerten sich indes enttäuscht über die Gipfel-Beschlüsse. Mit Blick auf anhaltende Waffenlieferungen an die Ukraine erklärte Oxfam: „Sie können unzählige Milliarden bereitstellen, um Krieg zu führen“, aber nicht einmal die Hälfte dessen, was die Vereinten Nationen zur Bewältigung der schlimmsten humanitären Krisen benötigten. Die UN hatten den Bedarf im Vorfeld des Gipfels auf 55 Milliarden Dollar beziffert.

Oxfam warf den G7-Ländern deshalb entwicklungspolitisches Versagen vor: „Sie haben den Globalen Süden im Stich gelassen.“ Bemängelt wurde außerdem, dass es in Hiroshima weder einen Schuldenerlass für arme Länder noch einen überzeugenden Lösungsansatz für die weltweite Hungerkrise gegeben habe.

Forderung nach Schuldenerlass

Katholische Bischöfe, die im humanitären und entwicklungspolitischen Bereich der Kirche in Afrika tätig sind, hatten an den Gipfel appelliert, über Wege zur Unterstützung der mit Armut kämpfenden afrikanischen Länder zu beraten und über einen Schuldenerlass zu sprechen. Sie wurden nicht erhört.

(kna/aciafrica – 21)

 

 

 

 

G7: Bischöfe fordern Abschaffung von Atomwaffen

 

Zwei japanische Bischöfe und zwei amerikanische Bischöfe haben an die Staats- und Regierungschefs der G7 geschrieben. Ihre Forderung: „konkrete Schritte" zur Beendigung des Einsatzes von Atomwaffen.

„Wir fordern die Staats- und Regierungschefs auf dem G7-Gipfel nachdrücklich auf, mit gutem Beispiel voranzugehen und zu zeigen, dass die internationale Führung bereit, willens und in der Lage ist, mit Atomwaffen- und Nicht-Atomwaffenstaaten zusammenzuarbeiten, um sicherzustellen, dass kein Land und keine Stadt jemals wieder die Schrecken eines Atomkriegs erleidet", formulierten Erzbischof Peter Michiaki Nakamura von Nagasaki, Bischof Alexis Mitsuru Shirahama von Hiroshima, Erzbischof Paul D. Etienne von Seattle und Erzbischof John C. Wester von Santa Fe, New Mexico, in dem Brief.

Vier Stimmen gegen Atomwaffen

Die Bischöfe lobten den japanischen Premierminister, Fumio Kishida, dafür, dass er Hiroshima, Stadt der ersten Atomkatastrophe, als Tagungsort des Gipfels gewählt hat. Das sei bereits eine starke Botschaft. Gerade deshalb betonten sie, dass sie „als römisch-katholische geistliche Führer der Diözese mit den meisten Ausgaben für Atomwaffen in den Vereinigten Staaten, der Diözese mit den meisten strategischen Atomwaffen in den Vereinigten Staaten und den beiden einzigen Diözesen der Welt, die Opfer von Atomangriffen wurden“, sich verpflichtet fühlen, „ihre Stimme zu erheben.“

In ihrem Schreiben ermutigten die Bischöfe die Staats- und Regierungschefs der G7-Staaten, das „ungeheure, lang anhaltende Leid" der Atombombenabwürfe von 1945 und der Produktion und Erprobung von Atomwaffen anzuerkennen, die Sinnlosigkeit und Unzulässigkeit eines Atomkriegs zu bekräftigen und sich für eine weltweite nukleare Abrüstung einzusetzen.

„Sinnlosigkeit eines Atomkriegs“

Sie gingen auch auf Russlands Angriffskrieg gegen die Ukraine ein und die wiederholte Drohung von Präsident Wladimir Putin, eventuell Atomwaffen einzusetzen. Die Staats- und Regierungschefs sollten der Gipfel nutzen, „um die internationale Aufmerksamkeit auf die Bedeutung der nuklearen Rüstungskontrolle und Abrüstung zu lenken.“

Dialogbereitschaft gefordert

Die Bischöfe bekräftigten auch, dass ernsthafte Gespräche zwischen den USA und Russland wieder aufgenommen werden sollten, um den neuen Vertrag zur Reduzierung strategischer Waffen zu erneuern, dessen Teilnahme von Putin im Februar ausgesetzt wurde, und forderten die Staats- und Regierungschefs auf, „ernsthafte multilaterale Verhandlungen aufzunehmen, die zu nuklearer Abrüstung führen".

Die Staats- und Regierungschefs der G7, also USA, Japan, Deutschland, Großbritannien, Frankreich, Kanada und Italien, beraten noch bis zum 21. Mai in Hiroshima, der Heimatstadt des japanischen Premierministers Fumio Kishida.

(ucan 20)

 

 

 

 

Einseitiges Geschäft

 

Bilaterale Steuerabkommen zwischen reichen und armen Ländern sollen Fairness garantieren, bevorteilen aber Industrieländer massiv. Jayati Ghosh

 

Oberflächlich betrachtet, sind Abkommen, die eine doppelte Besteuerung verhindern, natürlich eine faire Idee: Warum sollte eine Einzelperson oder ein Unternehmen auf ein und dieselben Einkünfte zweimal Steuern zahlen? Ertragssteuern werden in der Regel von lokalen oder nationalen Behörden auf Einkünfte erhoben, die innerhalb ihres Zuständigkeitsbereichs erwirtschaftet werden.

Kompliziert wird es, wenn diese Einkünfte mit dem grenzüberschreitenden Handel von Waren und Dienstleistungen erzielt werden oder im Rahmen von grenzüberschreitenden Transaktionen anfallen. Das ist insbesondere bei ausländischen Investitionen der Fall. Bei diesen könnten sowohl das Heimat- als auch das Zielland das Recht auf die Besteuerung der Erträge für sich beanspruchen. Das Problem dieser konkurrierenden Ansprüche wird vermeintlich von den meist bilateralen Doppelbesteuerungsabkommen gelöst.

Diese Abkommen genießen bei Regierungen und in der Allgemeinheit eine breite Akzeptanz und werden wenig hinterfragt. Doch wie hinter vielen anderen internationalen Wirtschaftsverträgen verbergen sich auch hinter den Doppelbesteuerungsabkommen erhebliche Ungleichheiten, die den Interessen der einkommensschwächeren Länder schaden. Diese Ungleichheiten legt Martin Hearson in seinem Buch Imposing Standards ausführlich und in schonungsloser Deutlichkeit offen. Er zeigt auf, dass das Geflecht der bilateralen Steuerabkommen inzwischen zu einem weiteren Instrument geworden ist, mit dem dringend benötigte Ressourcen aus einkommensschwächeren Ländern abgezogen und in reichere Kapitalexportländer umgelenkt werden.

Gegenwärtig gibt es weltweit mehr als 3 000 dieser Abkommen, durch die 82 Prozent der weltweiten ausländischen Direktinvestitionen geregelt werden. Sie haben beinahe unausweichlich Vorrang vor dem innerstaatlichen Recht, obwohl sie von Verwaltungsorganen ohne Gesetzgebungsbefugnis ausgehandelt werden – häufig hinter verschlossenen Türen.

Gemeinhin gelten Steuerabkommen als ein Instrument, das einkommensschwache Länder im Wettbewerb um ausländische Investitionen stärkt, indem diese Länder ihre Attraktivität für Investoren erhöhen und dafür auf einen Teil der Steuereinnahmen verzichten, die sie aus diesen Investitionen erzielen könnten. In Wahrheit gibt es kaum Belege für den positiven Effekt von Besteuerungsabkommen auf die Investitionstätigkeit in einkommensschwächeren Ländern. Empirisch fällt die Bilanz durchwachsen aus und deutet darauf hin, dass der Effekt minimal oder bedeutungslos ist im Vergleich zu anderen Faktoren, die wirklich eine Schubwirkung für den Zustrom von Investitionen aus dem Ausland haben.

Viele Abkommen werden erfolgreich so gestaltet, dass sie die Besteuerungsrechte des Ziellandes gegenüber ausländischen Investoren einschränken. Erreicht wird das zum Beispiel durch „Betriebsstättenregelungen“: Sie legen fest, wie intensiv ein ausländisches Unternehmen im Zielland geschäftlich tätig sein muss, um dort überhaupt besteuert werden zu können, und setzen diese Grenze relativ hoch an. Die Mongolei zum Beispiel darf chinesische Bauunternehmen erst besteuern, wenn sie 18 Monate im Land sind. Diese Regelung führt dazu, dass viele dieser Firmen in der Mongolei gar keine Steuern zahlen.

In vielen Fällen werden Einkünfte wie Lizenzgebühren, Pensionszahlungen und bestimmte Formen von Kapitalgewinnen nur im Heimatland des betreffenden multinationalen Unternehmens besteuert. Wenn beispielsweise ein in Uganda ansässiger Niederländer dort eine Beteiligungsgesellschaft verkauft, kann der ugandische Staat darauf keine Kapitalertragssteuer erheben.

Die Steuersätze für grenzüberschreitende Geschäfte – etwa die Quellensteuer auf Dividenden, Zinserträge, Lizenz- und Dienstleistungsgebühren – werden häufig gedeckelt. Die Philippinen erheben auf Dividendenausschüttungen im Ausland pauschal 30 Prozent und auf Zinseinkünfte ebenso pauschal 20 Prozent Quellensteuer, doch einige Doppelbesteuerungsabkommen, die das Land abgeschlossen hat, drücken diese Steuersätze auf fünf oder sogar null Prozent.

Zudem wird oft genau geregelt, wie Unternehmensgewinne steuerlich berechnet werden dürfen. Dadurch verringert sich die Bemessungsgrundlage im Vergleich zu einheimischen Unternehmen. Besonders große Sorgen bereitet das Machtgefälle bei der Steueraufteilung zwischen Quellenstaat und Ansässigkeitsstaat vieler Rohstoff exportierender Länder. Hinzu kommt: Wenn ein Staat ein solches Doppelbesteuerungsabkommen unterzeichnet, hat er bei der Berechnung der Steuerschuld jede sonstige Doppelbesteuerung der im eigenen Land Ansässigen zu beseitigen.

Hearsons Fazit aus all dem: Die „tatsächliche Wirkung“ von Steuerabkommen bestehe oft nicht darin, die doppelte steuerliche Belastung zu vermindern, sondern einen Teil der Kosten aus dem Kapitalexportland in das Kapitalimportland zu verlagern oder den effektiven Steuersatz für Investoren, die länderübergreifend operieren, zu verringern. Untersuchungen des Internationalen Währungsfonds (IWF) ergaben: Mit jedem weiteren Doppelbesteuerungsabkommen, das ein afrikanisches Land abschließt, schrumpft das Körperschaftssteueraufkommen um drei Prozent. Der IWF rät daher Ländern, die solche Abkommen in Erwägung ziehen, zu „großer Vorsicht“.

Man könnte vermuten, die Initiative zu bilateralen Steuerabkommen würde naheliegenderweise von beiden Seiten ausgehen, doch bei den Verhandlungen sind meistens die Kapitalexportländer die treibende Kraft. Die Heimatländer multinationaler Konzerne machen sich untereinander regelrecht Konkurrenz, wenn es darum geht, den eigenen Unternehmen durch vorteilhafte Besteuerungsabkommen einen Wettbewerbsvorteil zu verschaffen.

Die Folge: Die einkommensschwächeren Länder sind häufig die „Rule-Taker“ und nicht die „Rule-Maker“, und die Kosten der Doppelbesteuerungsentlastung werden durch solche steuerlichen „Kooperationen“ zum Teil oder sogar zum größten Teil vom Kapitalexportland auf den Kapitalimporteur abgewälzt. Politisch und technisch funktionieren Doppelbesteuerungsabkommen so, dass die Besteuerung in den Kapital importierenden Staaten limitiert wird und diese somit den Löwenanteil der fiskalischen Belastung zu schultern haben.

Verbrämt wird das Ganze in technokratischen Konstrukten und Standards, die wiederum in Musterabkommen verpackt werden. Doch Hearson warnt: „Das Expertenwissen im internationalen Steuerwesen ist alles andere als neutral.“ Vor diesem Hintergrund stellt sich die Frage: Warum unterzeichnet ein Land überhaupt ein solches Abkommen, wenn es eine solche Einengung bedeutet, wenn es erhebliche fiskalische Kosten mit sich bringt und wenn es ihm nur ungewisse, relativ geringe und oftmals fragwürdige Einkünfte beschert? Die Antwort lautet: Die Motivation besteht aus einer Mischung aus Unwissenheit, Konkurrenzdenken, Überredung und Zwang.

Viele Regierungen einkommensschwächerer Länder – vor allem solcher Länder, die schlechtere technische Voraussetzungen mitbringen und wenig Erfahrung mit solchen Abkommen haben – lassen sich aus Unwissenheit auf Doppelbesteuerungsabkommen ein, ohne sie genau unter die Lupe zu nehmen, weil sie hoffen, sich als „marktfreundlich“ präsentieren und ein positives Signal an weltweit agierende Investoren aussenden zu können. Das Konkurrenzdenken geht mit dieser Unwissenheit oft unmittelbar Hand in Hand: Viele einkommensschwächere Länder unterschreiben einfach deswegen, weil andere Länder in ihrer Region oder Länder auf einem ähnlichen Entwicklungsstand es genauso machen.

Die Überredung geschieht oft indirekt. Bei der Ausarbeitung der Musterabkommen spielen seit den 1920er Jahren einkommensstärkere Länder die dominierende Rolle – zuerst im Rahmen des Völkerbundes und später in der Organisation für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung (OECD) – und verschaffen sich damit einen massiven „Erstanbietervorteil“. Das Musterabkommen der OECD ist mittlerweile Standard. Trotz der Schieflage zuungunsten der einkommensschwächeren Länder gilt es allgemein als „annehmbarer“ Weg zur Besteuerung multinationaler Unternehmen und hat sich gegen das Musterabkommen der Vereinten Nationen durchgesetzt, das etwas weniger Schlagseite hat.

Der Druck kann vielerlei Formen annehmen. Berichten zufolge drohen manche Kapitalexportländer bei Verhandlungen über Doppelbesteuerungsabkommen damit, das Anlageland in Steuerfragen technisch nicht mehr zu unterstützen – oder sogar Hilfsfonds einzustellen. Auch die Drohung, den Steuerbehörden wesentliche Informationen vorzuenthalten, ist ein wirksames Druckmittel. Laut Hearson sehen manche Länder sich offenbar gezwungen, Doppelbesteuerungsabkommen mit sogenannten „secrecy jurisdictions“ zu unterzeichnen – also mit Ländern, die das Steuergeheimnis ganz besonders hochhalten – und damit ihre eigenen Besteuerungsrechte zu beschneiden, nur damit sie von diesen weniger kooperativen Ländern überhaupt Informationen bekommen. Damit steht dem „Treaty Shopping“ nichts mehr im Wege – also der missbräuchlichen Ausnutzung der durch Doppelbesteuerungsabkommen ermöglichten Steuervorteile. So verhält es sich bei Abkommen mit den Niederlanden, den USA (wo es etliche Bundesstaaten gibt, die als Steueroasen zu bezeichnen sind), mit Singapur und den Seychellen.

Es gibt jedoch Anzeichen, dass die Dinge sich ändern könnten. Einige Länder – Indonesien, Senegal, Südafrika, Ruanda, Argentinien, die Mongolei, Sambia und Malawi – kündigen ihre Doppelbesteuerungsabkommen oder handeln sie neu aus, und Uganda ist offenbar gerade dabei, seine Abkommen auf den Prüfstand zu stellen. Es ist höchste Zeit, dass viel mehr einkommensschwächere Länder erkennen: Mit dem wirtschaftspolitischen Konstrukt dieser Abkommen wurden und werden sie (einmal mehr) übers Ohr gehauen. IPG 19

 

 

 

 

Das Goethe-Institut bei der Eröffnung des Deutschen Pavillons in Venedig

 

München. Das Goethe-Institut beteiligt sich an der Eröffnung des Deutschen Pavillons bei der 18. Internationalen Architekturausstellung – La Biennale di Venezia mit einer ortsspezifischen Tanzperformance und einer performativen Befragung zu den Bedingungen der Kulturarbeit in Venedig.

 Mit PERFORMING ARCHITECTURE ist das Goethe-Institut Programmpartner des diesjährigen Deutschen Pavillons. Bei der heutigen Eröffnung sprachen neben dem Kurator*innenteam von ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB auch Klara Geywitz, Bundesministerin für Wohnen, Stadtentwicklung und Bauwesen, sowie Joachim Bernauer, Leiter des Goethe-Instituts Rom und Länderdirektor Italien.

 „Mit PERFORMING ARCHITECTURE wollen wir auf das aufmerksam machen, was durch die Architektur unserer Gesellschaft allzu oft unsichtbar bleibt", so Joachim Bernauer. „Barrierefreiheit ist ein großes Thema, doch meist endet es im Zuschauerraum, denn Inklusion auf der Bühne ist leider nicht vorgesehen, weder gesellschaftlich noch architektonisch. PERFORMING ARCHITECTURE interessiert sich daher für das, was hinter den Fassaden der kulturellen Mauern passiert oder verhindert wird. Mit unseren Beiträgen Sulle Sponde und Biennalocene werden überraschende Einsichten durch künstlerische Interventionen sichtbar gemacht.“

Im Kontext der Biennale in Venedig blickt das Goethe-Institut mit PERFORMING ARCHITECTURE auf die performative Dimension von Architektur, auf ihre Schnitt- und Nahtstellen mit Choreografie und darstellender Kunst. Seit 2014 haben zahlreihe renommierte Künstler*innen an der Programmreihe Mit PERFORMING ARCHITECTURE mitgewirkt, wie etwa William Forsythe, Florian Malzacher, Sandra Oehy, Rimini Protokoll, Meg Stuart und Sasha Waltz.

Unter dem Titel Open for Maintenance – Wegen Umbau geöffnet, kuratiert von ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB, widmet sich der deutsche Beitrag bei der diesjährigen Architekturbiennale den Themen der Inklusion, Pflege, Wartung, Reparatur und Erneuerung. Zu den Kurator*innen gehören Anne Femmer, Franziska Gödicke, Juliane Greb, Christian Hiller, Petter Krag, Melissa Makele, Anh-Linh Ngo und Florian Summa.

Mehr Informationen zur Programmreihe PERFORMING ARCHITECTURE finden Sie unter www.goethe.de/performingarchitecture GI/Dip 19

 

 

 

 

Deutschlands Wirtschaftsmodell. It's a Match!

 

Deutschlands Wirtschaftsmodell stößt an seine Grenzen. Um stark zu bleiben, ist Partnersuche angesagt. Thorben Albrecht

 

Das deutsche Wirtschaftsmodell ist seit der zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts im Großen und Ganzen erfolgreich. Es basiert auf der Produktion von Industriegütern für den Export in Kombination mit einem – im internationalen Vergleich – umfassenden Wohlfahrtsstaat, weit verbreiteten Branchentarifverträgen mit Blick auf Löhne und Arbeitsbedingungen und einer starken Mitsprache der Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmer in den Unternehmen. Die erfolgreiche, wenn auch immer wieder von Krisen unterbrochene, Entwicklung der deutschen Wirtschaft ging mit der Errichtung und Vertiefung des europäischen Binnenmarktes einher. Dabei war die europäische Integration ein entscheidender Faktor für Deutschlands Erfolgsgeschichte.

Doch während Deutschland die anderen europäischen Länder immer als politische Partner betrachtete, behandelte es diese wirtschaftlich als Konkurrenten. Dies war die „Logik“ des Binnenmarktes, und andere Länder handelten genauso, aber Deutschlands enormer Exportüberschuss war dennoch eine Herausforderung für das Funktionieren dieses Marktes. Während Deutschland also das wirtschaftliche Kraftzentrum Europas war, bedrohte es gleichzeitig die europäische Wirtschaftsdynamik, nicht zuletzt durch seine auf ganz Europa projizierte Sparpolitik während und nach der Bankenkrise von 2008.

Heute muss Deutschland sein Geschäftsmodell neu erfinden, da Klimaschutz, neue digitale Technologien und die sich verändernde Geoökonomie die Rahmenbedingungen verändert haben. Deutschland, und das gilt auch für seine Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmer, ist bestrebt, das verarbeitende Gewerbe zu erhalten. Schließlich wird es – zu Recht – als Kern der Wertschöpfung angesehen, welcher auch für die Aufrechterhaltung und den Ausbau einer starken Daseinsvorsorge und guter Löhne und Arbeitsbedingungen erforderlich ist. Um den starken industriellen Kern zu erhalten, sind jedoch Veränderungen im deutschen Wirtschaftsmodell erforderlich. Diese können insbesondere in den drei zuvor genannten Bereichen nicht im Alleingang bestritten werden. Deutschland braucht für diese Veränderungen Europa und muss einen europäischen wirtschaftspolitischen Ansatz vertreten, statt weitere Alleingänge zu bestreiten.

Nach dem russischen Einmarsch in die Ukraine ist es Deutschland zwar gelungen, russisches Gas schnell durch Gas aus anderen Quellen zu ersetzen, doch für die Bekämpfung des Klimawandels bedarf es langfristig eines massiven Ausbaus der erneuerbaren Energien. Dabei hat Deutschland jedoch deutlich mit Blick auf seine selbstgesteckten Ziele beim Ausbau von Wind- und Solaranlagen einen großen Rückstand. Selbst wenn das Tempo schnell erhöht wird, werden in Zukunft Importe erneuerbarer Energien aus Nord- und Südeuropa sowie aus Ländern der europäischen Nachbarschaft nötig sein, um deutsche Fabriken mit ausreichend bezahlbarem Strom und grünem Wasserstoff zu versorgen. Potenzielle Lieferanten und Transitländer, wie beispielsweise Spanien, werden sich jedoch nicht auf den bloßen Export von Energie beschränken, sondern versuchen, ihren komparativen Vorteil für die Ansiedlung von Industrien im eigenen Land zu nutzen. Deutschland braucht daher Partnerschaften, die über eine reine Im- und Exportlogik hinausgehen, und sollte mit seinen europäischen Partnern eine gemeinsame Energie- und Industriepolitik entwickeln. Diese muss auch europäische Mittel einschließen, wenn sie von den südeuropäischen Regierungen unterstützt werden soll.

Darüber hinaus braucht Deutschland im Bereich der digitalen Technologien europäische Partner. Denn dort müssen ausreichend Ressourcen, Kompetenzen und Innovationskräfte gebündelt werden, um sich in Bereichen wie der künstlichen Intelligenz nicht gänzlich von den USA oder China abhängig zu machen. Dabei geht es nicht so sehr um die Plattformwirtschaft, in der der Vorsprung anderer Kontinente kaum mehr einzuholen ist. Vielmehr werden digitale Technologien auch für den Erhalt traditioneller Industrien, wie der Autoindustrie, entscheidend sein. Es reicht nicht aus, die Batterieproduktion in Europa zu haben, um die Wertschöpfung der Automobilindustrie in Europa zu halten. Noch wichtiger werden Softwaresysteme sein. Jedoch sind einige deutsche Autohersteller im Begriff, in diesem Bereich aufzugeben und diese aus dem außereuropäischen Ausland zu beziehen. Dies wäre eine sehr gefährliche Entwicklung für das deutsche Geschäftsmodell. Auch hier sollte Deutschland versuchen, europäische Partnerschaften aufzubauen, um zumindest in den Bereichen der digitalen Technologien, die für Branchen wie Maschinen, Chemie und Mobilität entscheidend sind, mit außereuropäischen Wettbewerbern mithalten zu können.

Schließlich zwingt die zunehmend multipolare Welt Deutschland dazu, seine Rolle in der Welt neu zu definieren, da Machtpolitik immer mehr Einfluss auf die Wirtschaftsbeziehungen nimmt und multilaterale Ansätze unter Druck geraten. Weil die Lieferketten anfälliger werden und Exportmärkte, wie insbesondere China, unsicherer werden, muss die deutsche Industrie ihre vor- und nachgelagerten Wertschöpfungsketten diversifizieren. Dazu müssen neue Partnerschaften mit Ländern wie Indien, aber auch in Lateinamerika und Afrika aufgebaut werden. Deutschland wird dies nur im Rahmen eines europäischen Ansatzes tun können, insbesondere angesichts der chinesischen Konkurrenz in diesem Bereich und der Tatsache, dass die Handelspolitik in die Zuständigkeit der Europäischen Union fällt.

All diese Veränderungen sind dringend notwendig, wenn Deutschland ein sozioökonomisches Modell aufrechterhalten will, das gleichzeitig Wohlstand und Wohlfahrt sichert. Sie erfordern massive Investitionen in grüne und digitale Technologien sowie eine aktive Industriepolitik. Sie erfordern auch eine Neuausrichtung der Rolle, die Deutschland in Europa spielt. Deutschland muss seine politischen und industriellen Partnerschaften innerhalb Europas vertiefen, nicht zuletzt als Grundlage für Partnerschaften außerhalb Europas. Um seine wirtschaftliche Stärke zu bewahren, muss Deutschland eine neue Arbeitsteilung in Europa akzeptieren und das Wachstum auch durch europäische Finanzmittel für die anstehende Transformation fördern. Wenn Deutschland wirtschaftlich stark bleiben will, sind solche Veränderungen unumgänglich. IPG 19

 

 

 

Solinger Anschlag. Aus Mercimek-Platz wird Mevlüde Genç-Platz

 

Ende Mai jährt sich der rassistische Brandanschlag von Solingen zum 30. Mal. Die Familie Genç appelliert an Politik und Gesellschaft, mehr gegen Rassismus zu tun. Zum Gedenktag wird der nach dem Heimatdorf der Familie Genç benannte Mercimek-Platz umbenannt.

30 Jahre nach dem rassistischen Brandanschlag von Solingen bleibt der Kampf gegen Fremdenhass und Rassismus nach Ansicht der betroffenen Familie Genç weiter eine wichtige Aufgabe für Politik und Gesellschaft. Man habe in Deutschland nach wie vor „ein Rassismusproblem“, das Sorgen bereite, sagte Hatice Genç anlässlich des Jahrestages des Anschlages, der sich an Pfingstmontag (29. Mai) zum 30. Mal jährt. Deshalb müsse der Fremdenhass weiterhin auf „allen Ebenen“ bekämpft werden. Wichtig ist es nach Ansicht der Familie auch, Themen wie Rassismus und Fremdenhass gerade unter Kinder und Jugendlichen konsequent zu bekämpfen und etwa im Schulunterricht immer wieder zu thematisieren.

Bei dem Anschlag auf das Wohnhaus der Familie Genç waren am 29. Mai 1993 fünf Frauen und Mädchen getötet worden – darunter zwei Töchter des Ehepaares Hatice und Kamil Genç. Der Schmerz über den Verlust der Kinder dauere auch 30 Jahre nach der Tat an, betonte Hatice Genç. Um die Verstorbenen zu würdigen und an ihr Schicksal zu erinnern, wünscht sich die Familie, die Namen der verstorbenen Mädchen und Frauen in der Öffentlichkeit bekannter zu machen. Sinnvoll wäre es nach Ansicht der Angehörigen etwa, die Namen der Toten im Schulunterricht zu nennen oder öffentliche Einrichtungen wie Schulen nach ihnen zu benennen.

Nach dem Tod von Mevlüde Genç findet der Gedenktag in diesem Jahr erstmals ohne das im vergangenen Oktober verstorbene Familienoberhaupt statt. Mevlüde Genç war trotz des gewaltsamen Tods von zwei Kindern, einer Nichte und zwei Enkeln als Versöhnerin und Mahnerin für Toleranz und Verständigung zwischen den Menschen bekannt geworden. Seine Mutter sei eine „sehr starke Person gewesen, die unsere Gefühle am besten zum Ausdruck gebracht hat“ erklärte Kamil Genç. Diese Aufgabe müsse nun auf mehrere Schultern innerhalb der Familie verteilt werden.

Aus Mercimek-Platz wird Mevlüde Genç-Platz

Positiv anzumerken sei, dass beim Gedenken nun stärker die Opfer in den Mittelpunkt rückten, erklärten die Angehörigen. So ist unter anderem eine Ausstellung im Zentrum für verfolgte Künste geplant, in der die Biografien der Opfer vorgestellt werden. Ausdrücklich würdigt die Familie auch, dass zum Gedenktag führende Politiker aus Deutschland und der Türkei ihr Kommen zugesagt hätten. Das sei ein „wichtiges Zeichen“, sagte Hatice Genç.

Zur Gedenkfeier am 29. Mai werden in diesem Jahr auch Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier und weitere Vertreter von Bund und Land erwartet – unter anderem NRW-Ministerpräsident Hendrik Wüst (CDU). Zudem soll bereits am Vortag der Solinger Mercimek-Platz in Mevlüde Genç-Platz umbenannt werden. Der Mercimek-Platz wurde bereits 2012 nach dem Heimatdorf der Familie Genç in der türkischen Provinz Amsya benannt, wo die Verstorbenen begraben wurden. (epd/mig 19)

 

 

 

 

Afrika: Bischöfe appellieren vor G7-Gipfel für Schuldenerlass

 

Katholische Bischöfe, die im humanitären und entwicklungspolitischen Bereich der Kirche in Afrika tätig sind, appellieren an die Staats- und Regierungschefs der G7-Staaten, beim im japanischen Hiroshima stattfindenden Gipfel über Wege zur Unterstützung der mit Armut kämpfenden afrikanischen Länder zu beraten. Es solle auch die Möglichkeit eines Erlasses von Schulden zur Sprache kommen, die die Bischöfe als „unbezahlbar“ bezeichnen.

Die katholischen Bischöfe, die 23 afrikanische Länder vertreten, haben in ihrer Erklärung im Vorfeld des am 19. Mai beginnenden G7-Gipfels die Teilnehmer des Treffens aufgefordert, Maßnahmen gegen die Schuldenkrise, zur Reform der Entwicklungsbanken und zur Hilfe für den „von mehreren Krisen betroffenen“ Kontinent zu ergreifen.

„Wir, die katholischen Bischöfe aus Afrika, die für die Caritas und die Pastoralmission für die Armen verantwortlich sind, schreiben Ihnen, den Führern der G7-Staaten, um Maßnahmen zur Unterstützung Afrikas zu erbitten, das in den letzten Jahren von mehreren Krisen schwer getroffen wurde“, schreiben die katholischen Kirchenführer.

Sie fügen hinzu: „Wir fordern die Gruppe der Sieben auf, mutige Maßnahmen zu ergreifen, um Afrika in dieser Zeit der Not zu unterstützen, einschließlich eines Schuldenerlasses, verstärkter Hilfe und einer gerechteren Handelspolitik.“

Die Bischöfe bringen ihre tiefe Besorgnis darüber zum Ausdruck, dass die Armut in Afrika nach der COVID-19-Pandemie weiter zugenommen habe und immer mehr Menschen auf dem Kontinent in Ernährungsunsicherheit gerieten. Das hohe Maß an Ernährungsunsicherheit, so die Bischöfe weiter, verschärfe die Spannungen und die Unsicherheit in den afrikanischen Ländern.

300 Millionen Menschen vom Hunger bedroht

„Im vergangenen Jahr waren mehr als 300 Millionen Menschen von Ernährungsunsicherheit betroffen, was die Ursachen für Konflikte und soziale Spannungen in vielen afrikanischen Ländern verschärft und die Regierungsführung noch instabiler macht“, so die Bischöfe.

Die katholischen Bischöfe bekräftigen die Botschaft von Papst Franziskus, der die Notwendigkeit wirksamer und verlässlicher Verfahren zur Begleichung unbezahlbarer Schulden betont hatte. Nach Ansicht der Bischöfe erfordern wirksame und verlässliche Verfahren zur Verringerung unbezahlbarer Schulden, dass der Schuldenerlass wieder mit den Erfordernissen der menschlichen Entwicklung verknüpft werde, dass alle Gläubiger einbezogen würden, dass ein automatischer Schuldenstopp gewährleistet werde und dass der Schuldenerlass allen bedürftigen Entwicklungsländern zugänglich gemacht werde.

Die katholischen Bischöfe stellen angesichts der Tatsache, dass mehr als 60 Prozent der Schulden privaten Gläubigern geschuldet seien, fest, dass diese nicht ohne deren Beteiligung abgebaut werden könnten. Sie stellen weiter fest, dass ohne neue Quellen erschwinglicher Entwicklungsfinanzierung und angesichts der immensen sozialen und ökologischen Herausforderungen, vor denen die afrikanischen Länder stehen, die Gefahr bestehe, dass sie in die Schuldenfalle zurückfallen würden.

Die Schuldenfalle der Sonderziehungsrechte (SZR)

„Es ist daher unerlässlich, die sogenannten Sonderziehungsrechte (SZR) als Finanzierungsinstrument zu überdenken und einen beträchtlichen Teil der von den reichen Ländern gehaltenen SZR nach Afrika umzuleiten“, so die Caritas-Bischöfe der afrikanischen Länder. Sie würdigen die Zuteilung von 650 Milliarden Dollar an den SZR mit Unterstützung der G7-Länder als „einen bedeutenden Schritt, um pandemische Krisenhilfe zu leisten, ohne die Schuldenlast der Länder zu erhöhen“.

Die katholischen Kirchenführer betonen jedoch, dass der Papst das Gemeinwohl und die ganzheitliche Entwicklung aller Völker, unabhängig von ihrem Einkommensniveau, in den Vordergrund stellen müsse. Papst Franziskus, so erinnern sie an das Apostolische Schreiben Evangelii Gaudium (Nr. 203) des Papstes vom November 2013, hat erklärt, dass „die Würde jedes Menschen und das Streben nach dem Gemeinwohl Anliegen sind, die die gesamte Wirtschaftspolitik prägen sollten“ und dass „eine Finanzreform nach ethischen Gesichtspunkten notwendig ist, die ihrerseits eine Wirtschaftsreform zum Nutzen aller nach sich ziehen würde“.

Hintergrund

Auf dem G7-Gipfel, der sich mit einer breiten Palette von Themen wie Klimawandel, internationaler Frieden und Sicherheit sowie globaler Gesundheit befasst, kommen die Staats- und Regierungschefs aus Frankreich, Deutschland, Italien, Japan, dem Vereinigten Königreich, den Vereinigten Staaten und Kanada zusammen. (aciafrica 18)

 

 

 

EU-Wahlen 2024 werden zwischen dem 6. und 9. Juni stattfinden

 

Die nächsten Wahlen zum Europäischen Parlament werden zwischen dem 6. und 9. Juni 2024 stattfinden. Dies geht aus einem Brief der schwedischen Ministerin für EU-Angelegenheiten, deren Land die rotierende EU-Ratspräsidentschaft innehat, an Parlamentspräsidentin Roberta Metsola hervor. Von: Eleonora Vasques

 

Der Brief von Jessika Roswall, der am 12. Mai verschickt wurde und von EURACTIV eingesehen werden konnte, ist eine Antwort auf Metsolas Vorschlag, die Wahlen im Zeitraum vom 23. bis 26. Mai abzuhalten.

In dem Brief wird erklärt, dass das derzeitige EU-Wahlrecht die Wahltage standardmäßig auf Anfang Juni festlegt, da die Mitgliedstaaten keine einstimmige Entscheidung über den Wahltermin treffen konnten.

„Wie Sie wissen, sieht das EU-Wahlgesetz vor, dass eine Änderung der Termine einen einstimmigen Beschluss des Rates nach Konsultation des Europäischen Parlaments erfordert. Da keiner der alternativen Termine die erforderliche Unterstützung fand, werden die im EU-Wahlgesetz festgelegten Termine gelten“, so Roswall in dem Brief an Metsola.

Zeitmangel

Die Entscheidung könnte einige Schwierigkeiten mit sich bringen, beispielsweise für die Abgeordneten, die weniger Zeit haben werden, sich einzuleben, eine funktionierende Mehrheit zu bilden und wichtige Entscheidungen über die neue Zusammensetzung der Europäischen Kommission zu treffen.

Bei den Wahlen 2019 waren etwa 60 Prozent der 705 Abgeordneten zum ersten Mal ins Parlament gewählt worden. Es wird erwartet, dass bei den nächsten Wahlen mehr als die Hälfte der EU-Abgeordneten ihr erstes Mandat antreten werden.

Ein altes Wahlgesetz

Besonders kritisch äußerten sich die Abgeordneten der Europäischen Volkspartei (EVP) und der Sozialisten und Demokraten (S&D), Danuta Maria Hubner und Domenec Ruiz Devesa, die sich beide mit dem Thema befasst haben.

Das Gesetz ist seit 1976 in Kraft und legte die Bedingungen für die ersten Direktwahlen zum Europäischen Parlament im Jahr 1979 fest. Es ist jedoch trotz mehrerer Jahrzehnte stetiger europäischer Integration unverändert geblieben.

Devesa war der Berichterstatter des Vorschlags, transnationale Listen auf EU-Ebene einzuführen, welche den EU-Bürgern die Möglichkeit geben würde, eine kleine Anzahl von Abgeordneten aus anderen Ländern auf einer EU-weiten Liste zu wählen. Der Vorschlag würde auch das sogenannte Spitzenkandidaten-Verfahren, also die Wahl eines Kandidaten für die Kommissionspräsidentschaft, der die europäische politische Partei vertritt, die die meisten Sitze erhält, rechtsverbindlich machen.

Das Parlament hat dem Vorschlag im Mai 2022 zugestimmt, aber die Mitgliedstaaten müssen noch ihre eigene Abstimmung über den Vorschlag abhalten und werden dies wahrscheinlich auch nicht vor den nächsten Wahlen tun, was bedeutet, dass der Gesetzentwurf verworfen wird.

Unzufriedenheit in Portugal

Laut einer offiziellen Quelle aus einer Fraktion des Europäischen Parlaments wird die Wahl Anfang Juni in Portugal besonders problematisch sein, da das Land in dieser Woche Feiertage hat, was zu einer geringen Wahlbeteiligung führen könnte.

Der Rat hat jedoch keine anderen Alternativen dazu gefunden, da einige Mitgliedstaaten ähnliche Probleme in anderen Zeiträumen haben. EA 18

 

 

 

 

Vatikan/Europarat: Kardinal Parolin erinnert an Ukraine-Krieg

 

Zum ersten Gipfel des Europarats seit fast 20 Jahren sind am Dienstag rund 30 europäische Staats- und Regierungschefs ins isländische Reykjavik angereist. Für den Vatikan ist Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin anwesend, der an diesem Mittwoch eine kurze Rede hielt.

Angekündigt haben sich unter anderem der französische Präsident Emmanuel Macron, der deutsche Bundeskanzler Olaf Scholz und die italienische Ministerpräsidentin Giorgia Meloni. Österreich wird von Bundespräsident Alexander Van der Bellen vertreten.

In der Erklärung dieses Gipfels werde daran erinnert, dass der Europarat „ein Friedensprojekt“ sei, so Kardinal Parolin. Leider zeige uns der Krieg in der Ukraine, dass das „leidenschaftliche Streben nach einer Politik der Gemeinschaft und der Stärkung der multilateralen Beziehungen eine wehmütige Erinnerung an eine ferne Vergangenheit zu sein scheint“, fügte Parolin an. „Wir scheinen Zeuge des traurigen Untergangs dieses Chortraums vom Frieden zu werden“, sagte er weiter. Deshalb sollten wir uns im Geiste der Gründer dieser Organisation und gemeinsam mit Papst Franziskus fragen, „wenn wir nicht zuletzt an die vom Krieg zerrissene Ukraine denken: „Wo bleiben die kreativen Bemühungen um den Frieden?“

Wir könnten nicht tatenlos hinnehmen, dass der Angriffskrieg „in diesem gepeinigten Land“ weitergehe, sagte er zur Lage in der Ukraine. „Wir müssen immer an das ukrainische Volk denken, das leidet oder stirbt“, fügte er an. Jetzt sei es an der Zeit, zu handeln und einen endgültigen und gerechten Frieden in der Ukraine und in allen anderen so genannten „grauen“ Zonen Europas zu schaffen. „Ich versichere Ihnen, dass der Heilige Stuhl auch weiterhin seinen Teil dazu beitragen wird“, so Parolin abschließend. (vn 17)

 

 

 

 

Im Ruhestand gut versorgt. Viele Angestellte fürchten sich vor Altersarmut.

 

Doch gerade für sie gibt es viele Möglichkeiten gegenzusteuern. Ein neuer Ratgeber der Stiftung Warentest fasst überschaubar, verständlich und leicht umsetzbar zusammen, wie sich auch in unsicheren Zeiten und trotz Inflation ein sicheres Polster aufbauen lässt. Spielräume werden ausgelotet, passende Produkte ausgewählt und, wo es geht, auch Rückenwind vom Staat genutzt.

Ist eine Rentenlücke identifiziert, heißt es aktiv werden. Autorin Annika Krempel verspricht: „In fünf Schritten ist die Rentenlücke geschlossen.“ Zunächst gibt sie mit Vorsorge-Steckbriefen und Übersichten einen leicht nachzuvollziehenden Einstieg ins Thema. Das geschieht mit der Ermittlung des eigenen Vorsorgestands und finanziellen Spielraums. Krempel zeigt: Irgendwo findet sich immer eine Möglichkeit für die Altersvorsorge, selbst in Zeiten von Inflation und niedrigen Zinsen.

Der Ratgeber liefert alle notwendigen Informationen zu Betriebsrente, Eigenheim, Aktien-ETF und freiwilligen Beitragszahlungen in die gesetzliche Rente. Ob Berufseinsteigerin, junge Familie oder älterer Angestellter – konkrete Produktempfehlungen und Vorsorge-Steckbriefe helfen dabei, schnell und unkompliziert eine persönliche Vorsorgestrategie zu entwickeln. Diese ist in jedem Fall angepasst an die eigene Lebenssituation und kann entsprechend sogar nachhaltig sein, denn auch hier gibt es längst gute Renditen. Alle Empfehlungen basieren auf den Erkenntnissen des Finanztest-Teams der Stiftung Warentest.

Autorin Annika Krempel ist gelernte Wirtschafts- und Verbraucherjournalistin. Sie hat mehrere Jahre bei einem Online-Verbraucherratgeber vor allem über Versicherungsthemen und Altersvorsorge geschrieben, immer mit dem Anspruch, auch komplizierte Themen verständlich aufzubereiten, wovon auch dieser Ratgeber profitiert.

Der Ratgeber Altersvorsorge für Angestellte (160 Seiten) ist ab sofort für 22,90 Euro im Handel erhältlich oder kann online bestellt werden unter www.test.de/altersvorsorge-angestellte. Die Lieferung ist kostenlos. Dip 17

Behörden schlecht ausgestattet

Einbürgerung in Dresden „vor dem Kollaps“

Die Einbürgerungsbehörden in Dresden stehen laut sächsischem Ausländerbeauftragten Mackenroth „praktisch vor dem Kollaps“. Die Überlastung führen zu überlangen Wartezeiten von mehreren Jahren. Er fordert mehr Digitalisierung und bessere Ausstattung.

Der sächsische Ausländerbeauftragte Geert Mackenroth fordert angesichts des Staus bei Einbürgerungsverfahren eine bessere Ausstattung der zuständigen Behörden. Ihnen müssten überflüssige Arbeit abgenommen werden, ebenso den Ausländerbehörden, sagte er in Dresden. Die Behörden müssten fit gemacht werden für die Zukunft. Viele Prozesse und Verfahren seien digital gestaltbar. Nun müssten Schnittstellen und einheitliche Fachverfahren auf Ebene des Freistaats geschaffen werden.

Laut Mackenroth steht die Einbürgerung in Dresden, Leipzig und Chemnitz „praktisch vor dem Kollaps“ wegen überlanger Wartezeiten und erheblicher Überlastung. Wartezeiten von mehreren Jahren bis zur Bearbeitung von Anträgen seien nicht hinnehmbar. Jede Einbürgerung sei Meilenstein einer erfolgreichen Integration und das Verfahren bis dahin eine Visitenkarte für den Freistaat. „Auf dieser Visitenkarte fehlt derzeit das Wort „Willkommenskultur“ trotz des professionellen Zupackens der dort Beschäftigten.“

Mackenroth erwartet perspektivisch gesetzgeberische Aktivitäten, die Einbürgerungen weiter verlängern. Die Verkürzung der Einbürgerungsfristen von acht auf fünf Jahre und die Hinnahme der Mehrstaatlichkeit in den weitaus meisten Fällen schafften weiteren erheblichen Arbeits- und Fortbildungsaufwand in den Einbürgerungsbehörden. (dpa/mig 17)

 

 

 

Erweiterungskommissar: 2023 ist Schlüsseljahr für EU-Erweiterung

 

Dieses Jahr wird wahrscheinlich ein Schlüsseljahr für die EU-Erweiterung sein, da sich die Art und Weise, wie sie durchgeführt und akzeptiert wird, ändert. Neue Mitglieder bringen neue Möglichkeiten, so EU-Erweiterungskommissar Oliver Varhelyi. Von: Antoinia Kotseva

 

Das diesjährige Forum „EU Meets the Balkans“ in Sofia war dem 50. Jahrestag der ersten EU-Erweiterung gewidmet. Ganz oben auf der Agenda stand erneut der Beitrittsprozess der Westbalkanstaaten.

„Die Wahrnehmung von Europa wurde erneut auf die Probe gestellt. Die russische Aggression in der Ukraine hat in einigen europäischen Ländern zu Komplikationen geführt. Sie sind der Meinung, dass nur der Beitritt zur EU ihnen Frieden und Wohlstand garantieren kann, und die EU-Mitgliedschaft führt genau dazu“, sagte Varhelyi, der zuständige EU-Kommissar.

Er fügte hinzu, dass dabei alle Länder zu mutigen Entscheidungen bereit sein müssten.

Seiner Meinung nach besteht der wichtigste Schritt darin, die Menschen und die Wirtschaft der Länder des westlichen Balkans so schnell wie möglich zu integrieren. Der Grund dafür sei, dass die Entwicklung der westlichen Balkanländer vor ihrem Beitritt zur EU ihnen später eine viel erfolgreichere Integration ermöglichen wird.

Varhelyi merkte zudem an, dass die Balkanländer immer mehr Investitionen in Europa anziehen und geografisch günstig gelegen seien.

Allerdings seien Reformen im Westbalkan dringend notwendig. Der Kommissar nannte als Beispiel den Energiesektor, der veraltet und stark von der Kohle abhängig sei, was Fragen zu schädlichen Emissionen und Gesundheitsrisiken aufwerfe.

„Es gibt historische Defizite, bei denen es zum Teil überhaupt keine Fortschritte gibt. Wir müssen für eine bessere Konnektivität, eine digitale Wirtschaft und Direktinvestitionen sorgen, um neue Arbeitsplätze zu schaffen. Die EU muss alle Entscheidungen, ob groß oder klein, für die Expansion in Richtung Westbalkan treffen“, so Varhelyi.

Er hob weitere Prioritäten hervor, darunter die Rechtsstaatlichkeit und die Bekämpfung der Korruption. Seiner Meinung nach gibt es gute Beispiele wie Albanien, das eine umfassende Reform des Justizsystems eingeleitet hat. Im Allgemeinen sei der Weg aber noch lang und es gebe viele Probleme zu lösen.

„Der Kampf gegen Korruption und organisierte Kriminalität sowie die Rechtsstaatlichkeit sind wesentliche Elemente eines jeden Investitionsklimas“, fügte der Kommissar hinzu.

Das Forum wurde vom Europäischen Liberalen Forum organisiert, das von der ALDE und dem Atlantic Club in Bulgarien unterstützt wird.

Die Exekutivdirektorin des Europäischen Liberalen Forums, Alva Finn, erklärte, die Länder des westlichen Balkans dürften nicht länger warten.

„Der Prozess sollte dynamischer sein und die Länder sollten nicht jahrelang warten“, forderte sie. Die Erweiterung sei nicht nur für die Ukraine und die westlichen Balkanländer von entscheidender Bedeutung, sondern auch für die Vollendung des europäischen Projekts.

Nach Ansicht des Europaabgeordneten und Ko-Vorsitzenden der ALDE-Partei, ?lhan Küçük, sollte die Diskussion über die Erweiterungspolitik der Europäischen Union viel gründlicher geführt werden.

Küçük zufolge steht auch die Balkanregion vor großen Herausforderungen.

Im Anschluss an das Forum traf Varhelyi mit Präsident Rumen Radew zusammen, der sich über die mangelnden Fortschritte in der Frage der Änderung der Verfassung der Republik Nordmazedonien und der Registrierung der Bulgaren beklagte.

Die Aufnahme der bulgarischen Minderheit in die Verfassung ist eine zwingende Voraussetzung für die Aufnahme von Verhandlungen über den Beitritt Nordmazedoniens zur EU. EA 17

 

 

 

Studie. Gegen Polizeigewalt haben Betroffene „kaum eine Chance“

 

Nicht immer werden Polizisten als Freunde und Helfer empfunden. Eskalation bei Einsätzen und Vorwürfe überzogener Gewalt lösen immer wieder Kontroversen aus. Besonders oft betroffen sind nicht deutsch gelesene Personen. Abschiebe-Situationen ergeben laut Forscher ein besonderes Konfliktpotenzial.

Wenn Polizisten Gewalt ausüben, kann das als letztes Mittel mit einem Einsatz zusammenhängen. Doch es gibt auch immer wieder Vorwürfe nach Vorfällen, bei denen der Einsatz von Gewalt überzogen oder gar unprovoziert erscheint. Im August vergangenen Jahres etwa löste der Fall eines 16-jährigen Asylbewerbers eine große öffentliche Debatte aus, nachdem der Jugendliche in Dortmund von Polizeibeamten mit einer Maschinenpistole bei einem Einsatz erschossen worden war.

Hat die Polizei ein Gewaltproblem? Und wie ist Gewalt überhaupt zu definieren? Einigen dieser Fragen ist der Polizeiforscher Tobias Singelnstein in seinem neuen Buch nachgegangen. Der Jurist, der an der Frankfurter Goethe-Universität lehrt und forscht, sprach dazu mit Betroffenen von Polizeigewalt ebenso wie mit Polizisten, Führungskräften der Polizei und internen Ermittlern, die sich mit der Aufklärung von Gewaltvorwürfen in den eigenen Reihen befassen.

„Gewalt fängt nicht erst beim Schießen an“

„Die Gewalt fängt nicht erst beim Schießen an, sondern eigentlich schon bei einfachen Überwältigungshandlungen“, sagte Singelnstein der „Deutschen Presse-Agentur“. Man müsse sich klar machen: „Für Leute, die von diesem Gewalteinsatz betroffen sind, ist es immer eine relativ drastische Erfahrung – auch wenn jemand nur mit einfacher körperlicher Gewalt zu Boden gebracht wird und auch wenn das rechtmäßig erfolgt.“

Zwar hat die Polizei aufgrund ihrer Aufgaben ein Gewaltmonopol – doch auch die Beamten dürften Gewalt „nur ausnahmsweise einsetzen“ sagte Singelnstein. „Auf der anderen Seite sehen wir, dass es innerhalb der Polizei eine gewisse Normalisierung der Gewalt gibt, weil es für die Beamten zu ihrem beruflichen Alltag gehört.“

Erhöhtes Risiko polizeilicher Gewaltanwendung bei Abschiebung

So hätten sich aus dem gesammelten Material Hinweise darauf ergeben, dass Abschiebungen sowie Kontrollsituationen in sogenannten Gefahrengebieten ein erhöhtes Konfliktpotenzial und Risiko polizeilicher Gewaltanwendungen bergen, heißt es in dem Buch.

Zugleich wird betont: Die Grenzen zwischen angemessener und übermäßiger polizeilicher Gewalt seien fließend und nicht immer leicht zu ziehen, auch wenn es mitunter klar zu beurteilende Fälle gebe.

Schwelle zur Strafbarkeit bei Bürgern schnell überschritten

Situationen, in denen ein Gewalteinsatz stattfinde, seien komplexe und häufig sehr dynamische Geschehensabläufe, fanden Singelnstein und sein Team bei ihren Untersuchungen heraus. Man kenne das aus „normalen“ Konfrontationen, in denen ein Wort das andere ergebe, oder eine Handlung Reaktionen erzeuge.

Für Bürgerinnen und Bürger sei dabei relativ schnell die Schwelle zur Strafbarkeit überschritten – auch passive Haltungen könnten bei Demonstrationen und Räumungen wie Anfang des Jahres im Fechenheimer Wald bei Frankfurt als Widerstandshandlungen gewertet werden und zu Anzeige und Strafverfahren führen.

Mehr Ermittlungen gegen Polizisten, aber kaum Verurteilung

„Es gibt keine dramatische Zuspitzung in dem Bereich“, so Singelnstein zu Fällen von Polizeigewalt. „Im Vergleich etwa zu Demonstrationsgeschehen in den 1980er Jahren sind wir heute auf einem wirklich ganz anderen Level der Gewalt bei Auseinandersetzungen zwischen Bürgern und der Polizei. Allerdings sind wir heute als Gesellschaft viel sensibler gegenüber Gewalterscheinungen und auch für polizeiliche Gewaltausübungen gilt ein anderer Rechtfertigungsbedarf.“

Ähnlich sehen es Polizeigewerkschafter: Ermittlungen im eigenen Bereich gebe es in den vergangenen Jahren häufiger, sagt der Geschäftsführer der Polizeigewerkschaft in Hessen, Alexander Glunz. Doch die Zahl der tatsächlichen Verurteilungen sei dagegen niedrig geblieben. „Natürlich sehen wir die Vorbildfunktion der Polizei und erlauben daher keine Rechtsbrecher in den eigenen Reihen“, sagt Glunz.

Verfahren gegen Polizisten werden oft eingestellt

Daher werde für jeden Vorwurf eine lückenlose Aufklärung gefordert. Es zeige sich aber auch, wie Glunz weiter ausführt, dass sehr viele Verfahren wieder eingestellt würden, da entweder die Unschuld oder kein ausreichender Tatverdacht vorliege.

Das sehen die Forscher anders: Laut Studienzusammenfassung werden mehr als 90 Prozent der Verfahren eingestellt. „Nur äußerst selten“ werde Anklage gegen Polizeikräfte erhoben, heißt es. Laut Staatsanwaltschaftsstatistik passiere das nur in zwei Prozent aller Fälle. „Das ist ungewöhnlich wenig, denn im Durchschnitt landen 22 Prozent aller Verfahren vor Gericht“, sagte der Kriminologe dem WDR. „Diese Chancenlosigkeit ist auch einer der Hauptgründe, warum nur ein geringer Teil der Betroffenen überhaupt Anzeige erstattet.“

Die niedrige Anklagequote sei nicht nur auf unberechtigte Anzeigen zurückzuführen, sondern auch auf strukturelle Besonderheiten, heißt es in den Ergebnissen. Denn Polizei und Justiz verbinde „ein institutionelles Näheverhältnis, das durch eine alltägliche Kooperation bei der gemeinsamen Aufgabe der Kriminalitätsbearbeitung gekennzeichnet ist“.

Geringes Problembewusstsein bei Polizei und Staatsanwaltschaft

Das Problembewusstsein in Polizei und Staatsanwaltschaften sei zudem gering, erklärte Singelnstein. Die Schwelle „für ernsthafte Ermittlungen und eine Anklageerhebung“ gegen Polizistinnen und Polizisten sei „deutlich höher als in anderen Strafverfahren“. Zudem könne problematisch sein, dass die Ermittlungen gegen Polizeikräfte von deren Kolleginnen und Kollegen geführt werden. So werde nur ein Bruchteil der Verdachtsfälle von Polizeigewalt überhaupt erfasst. Die Forscher gehen von einem sehr großen Dunkelfeld aus.

Ein Sprecher des hessischen Innenministeriums sagte, als Reaktion auf ein polizeiliches Einschreiten seien „in Einzelfällen Gegenanzeigen des polizeilichen Gegenübers zu verzeichnen.“ Die hessische Polizei habe bereits unterschiedlichste Anlaufstellen für Bürgerinnen und Bürger, um Beschwerden und Anliegen gegen Beamtinnen und Beamte der Polizei vorzubringen. Hierzu zähle unter anderem das Beschwerdemanagement der Polizeipräsidien sowie der Ansprechpartner der Polizei, der bewusst außerhalb der Polizeiorganisation angesiedelt ist.

Linke: „Polizeigewalt ein reales Problem“

„Die nun veröffentlichten Ergebnisse der Studie machen deutlich, dass Polizeigewalt ein reales Problem ist“, sagte dagegen Torsten Felstehausen, innenpolitischer Sprecher der Linken-Fraktion, am Dienstag. Seine Partei sehe durch die Untersuchungen bestätigt, was sie schon seit Jahren problematisiere. Die Linke fordere schon lange die Einrichtung einer unabhängigen polizeilichen Beschwerde- und Ermittlungsstelle. Der Posten des hessischen Polizeibeauftragten, welcher auf Wunsch der Grünen geschaffen und mit vollkommen unzureichenden Kompetenzen ausgestattet wurde, sei seit seiner Einrichtung unbesetzt, kritisierte Felstehausen.

Jörg-Uwe Hahn, innenpolitischer Sprecher der FDP im hessischen Landtag, sprach sich für eine Stellungnahme von Innenminister Peter Beuth (CDU) zu den Ergebnissen der Wissenschaftler bereits in der Sitzung des Innenausschuss am Mittwoch aus. „Aufklärung tut not im Hinblick auf die notwendigen Reformen der Fehler- und Führungskultur bei der Polizei, aber auch im Interesse der Polizistinnen und Polizisten, die sonst unter Generalverdacht gestellt werden.“

Forscher vermisst Datenbasis für Polizeigewalt

Singelnstein beklagt, dass es in Deutschland nicht wie in anderen Ländern transparent statistisch erfasst wird, wie häufig und in welcher Form die Polizei in Deutschland Gewalt ausübt oder wie häufig Menschen im Kontext von Polizeieinsätzen zu Tode kommen. „So eine Datenbasis, so eine statistische Erfassung wäre schon mal ein erster wichtiger Schritt.“

Hinzu komme, dass in den Gesetzen nicht explizit stehe, welche „einfache körperliche Gewalt“ Polizisten erlaubt sei. „Aktuell wird sehr intensiv über Schmerzgriffe diskutiert und man sieht, dass die verschiedenen Polizeien in den verschiedenen Ländern da unterschiedliche Linien haben“, nennt der Wissenschaftler ein Beispiel. „Manche sagen, wir wenden gar keine Schmerzgriffe an, andere haben das sehr stark in die Praxis übernommen.“

Forscher fordert mehr Kommunikation in der Polizeiausbildung

Doch abgesehen von Gesetzesregeln und Transparenz: Damit es gar nicht erst zu einer Eskalation und Gewalt komme, sei Kommunikation sehr wichtig. „Es gibt Beamte, die können das sehr gut, die haben eine sehr starke soziale Kompetenz, solche Situationen im Einsatz zu klären und zu deeskalieren“, sagt Singelnstein. „Und es gibt Menschen, die können es einfach nicht so gut – und da funktioniert es dann vielleicht in der Praxis auch einfach nicht so gut.“

Der Polizeiforscher meint daher, dass Kommunikation in der Ausbildung von Polizeibeamten eine noch viel größere Rolle spielen sollte. „Und es wäre wichtig, die Resilienz zu trainieren, mit einer Infragestellung von polizeilicher Praxis durch Bürger in Einsatzsituationen umzugehen.“ Denn längst nicht alle Polizisten kämen damit klar, dass Bürger ihre Anordnungen in Frage stellten und erst einmal diskutieren wollten. (dpa/epd/mig 17)

 

 

 

Europarat in Reykjavik: Erhöhte Bedrohung durch Cyberangriffe

 

Im Vorfeld des am Dienstag beginnenden Gipfeltreffens des Europarats ist es zu einer Häufung von versuchten Cyberangriffen auf die isländische Infrastruktur gekommen, die bisher jedoch nicht zu größeren Zwischenfällen geführt haben. Von: Charles Szumski

 

CERT-IS, das isländische Cybersicherheitsteam, hat im Vorfeld des Europaratsgipfels, der am Dienstag und Mittwoch in Islands Hauptstadt Reykjavik stattfindet, eine ungewöhnlich hohe Zahl von Computerangriffen auf isländische Unternehmen und Einrichtungen gemeldet.

Ziel dieser Angriffe sei nicht unbedingt der Diebstahl von Daten oder die Zerstörung von Systemen, sondern vielmehr die Ausübung eines immensen Drucks auf die Systeme, der zu einem vorübergehenden Zusammenbruch führt, erklärte Guðmundur Arnar Sigmundsson, Direktor des CERT-IS. Er bezeichnete diese Angriffe als Distributed Denial of Service (DDoS)-Angriffe.

Die Wiederholung solcher Angriffe scheint den ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj zu verfolgen, wie sich bei seinen jüngsten Reisen durch Deutschland, Frankreich und das Vereinigte Königreich zeigte. Zwar ist die Teilnahme des ukrainischen Präsidenten am Gipfel in Island noch ungewiss, aber es ist klar, dass das Thema Ukraine im Vordergrund der Diskussionen stehen wird.

Guðmundur vermutet, dass diese Anschläge von Gruppen verübt werden, die mit Russland sympathisieren und deren Hauptziel es ist, Chaos zu stiften.

„Dies ist das typische Muster, das bei ähnlichen internationalen Treffen zu beobachten ist. Vor der Veranstaltung wird versucht, in die Systeme einzudringen, und sobald die Treffen beginnen, werden die Angriffe verstärkt“, erklärte er.

Zu den jüngsten Opfern von Cyberangriffen gehören die Supermarktkette Krónan und die Stadt Dalvíkurbyggð. Beide Vorfälle werden jedoch als nicht schwerwiegend eingestuft, und es kam zu keinem Datenverlust.

Bereitschaft und Wachsamkeit seien wichtig, um die Auswirkungen solcher Angriffe abzumildern. Guðmundur betonte, dass die Netzsicherheitsteams und die Betreiber kritischer Netzinfrastrukturen sich gewissenhaft vorbereitet haben. Dazu gehören Systemüberprüfungen, die Erstellung von Protokollen für die Reaktion auf Vorfälle und die Sicherstellung der Verfügbarkeit von Schlüsselpersonal im Bedarfsfall.

Obwohl es keinen unmittelbaren Grund zur Beunruhigung der Öffentlichkeit gibt, rief Guðmundur Unternehmen, Institutionen und Website-Betreiber zur Wachsamkeit auf.

„Es gibt einen vernünftigen Grund dafür, die Schwelle für die Reaktion auf etwas Verdächtiges zu senken“, sagte Guðmundur. Er fügte hinzu, dass die Menschen schon beim geringsten Verdacht auf einen Angriff das Cybersicherheitsteam benachrichtigen sollten.

Die isländische Präsidentschaft des Ministerkomitees des Europarates ist Gastgeber eines Gipfels der Staats- und Regierungschefs, der 46 Mitgliedstaaten am 16. und 17. Mai in Reykjavik versammelt. Dies ist das 4. Gipfeltreffen des Europarates seit seiner Gründung im Jahr 1949.

Im Mittelpunkt des Gipfels stehen die Grundwerte des Europarats, sein Auftrag angesichts neuer Bedrohungen für Menschenrechte und Demokratie sowie die Unterstützung der Ukraine durch konkrete Maßnahmen, um den Opfern des russischen Angriffs Gerechtigkeit zu verschaffen. EA 16

 

 

 

 

„Sozial selektiv“. Ehegattennachzug scheitert in über 13.000 Fällen an Sprachkenntnissen

 

Mehr als 13.000 Menschen haben im vergangenen Jahr kein Visum für den Ehegattennachzug erhalten, weil sie durch den Sprachtest gefallen sind. Das teilt die Bundesregierung mit. Linke Politikerin Akbulut kritisiert die Sprachanforderungen. Sie seien „sozial selektiv“.

Wegen mangelnder Sprachkenntnisse ist im vergangenen Jahr der Ehegattennachzug in mehr als 13.000 Fällen gescheitert. Das geht aus einer Antwort der Bundesregierung auf eine schriftliche Frage der Linken-Bundestagsabgeordneten Gökay Akbulut hervor, die dem „MiGAZIN“ vorliegt. Zuerst hatte die „Neue Osnabrücker Zeitung“ darüber berichtet.

Wie aus den Zahlen des Auswärtigen Amtes hervorgeht, haben im vergangenen Jahr 13.607 Menschen den für den Nachzug notwendigen Sprachtest an einem Goethe-Institut im Ausland nicht bestanden. Insgesamt wurden demnach 40.165 Prüfungen absolviert. Somit fiel etwa ein Drittel der Menschen bei dem Test durch.

In Äthiopien war die Durchfallquote mir rund 61 Prozent am höchsten. In absoluten Zahlen scheiterten in dem ostafrikanischen Land 310 von insgesamt 507 Menschen an dem Test. Auch in Ghana (55,5 Prozent) und dem Senegal (52,4 Prozent) war die Durchfallquote überdurchschnittlich hoch.

71.000 Menschen erhielten Visum

Für den Nachzug aus dem Ausland müssen Eheleute in der Regel bereits vor der Einreise „einfache“ Grundkenntnisse der deutschen Sprache nachweisen. Ausnahmen gibt es etwa für hoch qualifizierte Fachkräfte, Personen also, denen es ohnehin leichtfällt, eine Sprache zu lernen. Für bildungsferne Personen sind die Tests nach Experteneinschätzung jedoch oft zu schwer. Die Sprachanforderung sei in erster Linie ein Instrument, unerwünschte Zuwanderung zu verhindern, so Kritiker.

Insgesamt haben im Jahr 2022 nach Angaben des Auswärtigen Amtes 71.127 Menschen ein Visum zum Ehegattennachzug erhalten. Die meisten von ihnen kamen aus Indien (8.930 Personen), gefolgt von der Türkei (8.778 Personen) und dem Libanon (5.006 Personen).

Akbulut: Sprachanforderungen „sozial selektiv“

Die Linken-Abgeordnete Akbulut sagte der NOZ, die Sprachanforderungen beim Ehegattennachzug seien „sozial selektiv“. Vor allem in afrikanischen Ländern seien die Misserfolgsquoten bei Sprachtests inakzeptabel hoch. „Damit ist die Regelung auch ganz klar europarechtswidrig, weil das Recht auf Familiennachzug unzumutbar erschwert wird.“

Die Ampel-Koalition hat vereinbart, die Sprachregelung zu ändern und Sprachtest in Deutschland zu ermöglichen. Mehr als ein Jahr später wartet dieses Versprechen auf ihre Einlösung. (epd/mig 16)