Webgiornale 16 dicembre 2024 – 15 gennaio 2025

 

Buone Feste Natalizie e Buon Anno nuovo

 

Inhaltsverzeichnis

1.     Le democrazie scricchiolano. Tempo di domandarsi perché. 1

2.     UE. Una nuova Commissione, debole e vulnerabile. 1

3.     Von der Leyen bis: la nuova Commissione alla prova del nove. 1

4.     Medio Oriente, polveriera senza fine. 1

5.     La missione Italcon in Libano (1982-1984): un bilancio critico. 1

6.     Diritto d’asilo. Migrantes: “In Italia 414mila rifugiati, lo 0,7% della popolazione”. 1

7.     Report Fondazione Migrantes 2024: “In Italia e in Europa il diritto d’asilo è a rischio”. 1

8.     Decreto flussi: ennesima occasione persa. 1

9.     Monaco di Baviera. Intervista a Tajani. I rapporti italo-tedeschi e gli italiani all’estero. 1

10.  Germania e Riviera romagnola sempre più vicine: da aprile i nuovi treni RailJet da Monaco di Baviera. 1

11.  Volkswagen, maxi-sciopero contro i tagli 1

12.  Francoforte. Chiude il mensile “Corriere d’Italia”. La testata rimane solo online. 1

13.  Riunito a Stoccarda il Consiglio Nazionale delle ACLI-Germania. 1

14.  Stoccarda. Intervista al Console Laura Lamia. Bilancio dei primi 100 giorni 1

15.  Berlino, eventi in Ambasciata. 1

16.  Eventi culturali a Berlino. 1

17.  Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex-Radio-Colonia. 1

18.  Rientro in Italia. Il trasferimento della pensione dalla Germania. 1

19.  Brevi di cronaca e di politica tedesca. 1

20.  Il 2024 della Camera di Commercio Italiana in Germania. 1

21.  Gli italiani in Germania e la doppia cittadinanza. 1

22.  Berlino. “Costruire l’inclusione scolastica: difficoltà, vantaggi e azioni concrete”: seminario il 24 gennaio 2025. 1

23.  UE. Corpo europeo di solidarietà: aumento di 166 milioni di euro per il volontariato giovanile nel 2025. 1

24.  Il “Decreto flussi” è legge. Mons. Perego: “Un passo indietro della nostra democrazia”. 1

25.  Gli emendamenti del PD alla legge di bilancio 2025 per gli italiani all’estero. 1

26.  La caduta di Assad e il vuoto di potere in Siria. 1

27.  Europei nell’essere. 1

28.  Alina Frolova: “A volte i Paesi occidentali sopravvalutano la forza della Russia”. 1

29.  Migranti. Il decreto flussi è legge: stretta sui ricongiungimenti e sui cellulari 1

30.  Geo Barents lascia il Mediterraneo centrale: "Leggi assurde". 1

31.  Orysia Lutsevych: “La guerra deve concludersi in modo che l’Ucraina possa prosperare come Stato sovrano”. 1

32.  Il passato non ritorna. 1

33.  Made in Italy: la cucina che mette tutti a dieta… di invidia!. 1

34.  La luce interiore: un faro di resilienza e autostima. 1

35.  Il decreto “milleproroghe” è stato approvato dal Cdm.. 1

36.  Un problema: “gap di competenze” e minaccia il nostro futuro. 1

37.  La coppia in lutto dopo un aborto: cosa accade se i partner soffrono diversamente. 1

38.  Essere propositivi 1

39.  52 i conflitti nel mondo, 4 ad altissima intensità. Record di vittime. 1

40.  Siccità, in Sicilia l’emergenza idrica è diventata una “guerra tra poveri”. 1

41.  Cgie, Il Comitato di Presidenza programma l’agenda del 2025. 1

42.  I diritti 1

43.  M5S, Grillo: "Movimento è morto, Conte lo ha distrutto". 1

44.  Legge di Bilancio punitiva e discriminatoria per gli italiani all’estero: la protesta dell’Intercomites Belgio. 1

45.  In Italia nascerà la rete dei musei sull’emigrazione. 1

46.  Presentata al congresso “Diaspore Italiane” la rete dei Musei dell’Emigrazione italiana. 1

47.  Sanatoria su vuoti contributivi Inps. Avviata l’equiparazione tra il personale del Maeci 1

48.  “Le migrazioni nelle Alpi”. 1

49.  Alla Farnesina la XVII conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia. 1

 

 

1.     Amtliche Zahlen. Migranten im Staatsdienst deutlich unterrepräsentiert. 1

2.     „Bewältigung illegaler Migration“. Rumänien und Bulgarien treten Schengenraum bei 1

3.     Syrien. Im Vakuum.. 1

4.     Wunder. Elfjährige nach tagelanger Irrfahrt allein im Mittelmeer gerettet 1

5.     Friedensbotschaft des Papstes: Todeszelle und Minenfelder. 1

6.     14. Integrationsbericht. Trend zu mehr Einbürgerungen – Klagen über Rassismus. 1

7.     Papst zu Syrien: „Politische Lösung ohne weitere Konflikte“. 1

8.     Frei, aber nicht befreit. 1

9.     Debatte über Rückkehr. Bamf verhängt Entscheidungsstopp für Asylverfahren von Syrern. 1

10.  A-Anti-Antisocialista. 1

11.  Jahresbericht. Menschenrechtsinstitut kritisiert deutsche Migrationspolitik. 1

12.  Tag der Menschenrechte. Zeitenwende für Menschenrecht – Schutz von Bildungseinrichtungen im Krieg. 1

13.  Kanzlerfrage und Koalitionswunsch: Merz deutlich vor Habeck und Scholz, GroKo beliebteste Regierungsoption. 1

14.  Frankfurter Buchmesse erhält den KAV-Preis „Teilhabe und Zusammenhalt“. 1

15.  Syrien nach dem Regime-Sturz: Millionen Menschen in Not 1

16.  Umfrage. Mehrheit sieht Migrationspolitik der Regierung kritisch. 1

17.  Umbruch in Syrien. 1

18.  Vatikan/UNO: Schuldenerlass und entschlossenes Handeln gegen Armut. 1

19.  „Getarntes Todesurteil“. Italien verschärft Gesetz gegen private Seenotretter. 1

20.  OSZE auf Malta: Vatikan besorgt um Zukunft der Organisation. 1

21.  Amnesty International wirft Israel Völkermord an Palästinensern vor 1

22.  Bayern und seine Muslime: Wie beheimatet fühlen sie sich?. 1

23.  Hoffnungsschimmer. 1

24.  Vereinte Nationen. 2025 brauchen 305 Mio. Menschen humanitäre Hilfe. 1

25.  Risse in Assads Fassade. 1

26.  Studie. Soziale Ungleichheit beim Ehrenamt nimmt zu. 1

27.  Aktuelle Studie: Geschlechtergerechtigkeit im Aufenthaltsrecht 1

28.  Diskriminierung an deutschen Hochschulen kein Einzelfall 1

29.  22 Prozent der Arbeitszeit für Bürokratie nötig. 1

30.  UNO: Afrika in den Sicherheitsrat?. 1

31.  Tag der Menschen mit Behinderung. Inklusionslücken endlich schließen. 1

32.  Autoren verlassen Musk-X. 1

33.  Plötzlich allein. 1

34.  Stimmung in der deutschen Autoindustrie verschlechtert sich rasant. 1

35.  Bundestag soll über Neuregelung von Abtreibung beraten. 1

36.  Im Fadenkreuz. 1

37.  Aktuelle Studie: Jeder dritte Händler sieht sich bis Jahresende in einer Restrukturierung. 1

38.  Prof. Heckmann im Gespräch. Migrationspolitik, die von Sicherheitsthemen beherrscht wird, schwächt den Zusammenhalt 1

 

 

 

 

Le democrazie scricchiolano. Tempo di domandarsi perché

 

Avanzano nel mondo sistemi politici autoritari, mentre in quasi tutti i Paesi europei si rafforzano i partiti sovranisti e anti Ue. Nel vecchio continente, dove Putin affascina molti leader e milioni di cittadini, ci sono casi eclatanti, per quanto differenti tra loro: i più recenti sono quelli di Romania, Germania, Francia... Ci si può rassegnare al tramonto dei valori democratici? di Gianni Borsa

 

Scricchiola la democrazia nel mondo. E l’Europa non fa eccezione. Mentre l’instabilità geopolitica avanza – e la Siria è solo l’ultimo tragico esempio –, i nazionalismi e le forme autoritarie del potere si rafforzano un po’ ovunque nel mondo. Si diffondono, anche artatamente, incertezza per il futuro e minacce (vere o presunte) alla sicurezza. L’economia non gira, sacche di povertà toccano una parte significativa dell’umanità, anche nei Paesi “ricchi”. Si vanno affermando individualismi e chiusure entro ristretti confini identitari. Sempre più spesso i risultati elettorali sono segnati da questi elementi. L’ultimo caso, eclatante, quello degli Stati Uniti. Ci sono poi Paesi, e sono tanti, in cui vigono esercizi del potere che non hanno i connotati delle democrazie. Giusto per fare un paio di esempi si potrebbero citare Cina e Corea del Nord; per quanto anche la Corea del Sud attraversi una pericolosa fase involutiva.

Ma, appunto, l’Europa non è diversa. Il caso-Ungheria è emblematico. Situazioni non dissimili – pur specifiche per ogni realtà nazionale – si sono registrate negli ultimi anni in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Paesi Bassi e Belgio, Paesi scandinavi, Spagna, Austria. E Italia. Scorrendo la carta geografica del continente si trovano ovunque elementi destabilizzanti. In occasione della Giornata internazionale contro la corruzione del 9 dicembre è giunto un messaggio allarmato dal Consiglio d’Europa proprio in relazione alla tenuta dei sistemi democratici europei.

Gli ultimi casi parlano oltremodo chiaro. In Romania la Corte costituzionale ha annullato i risultati del primo turno, in cui si era imposto C?lin Georgescu (nella foto), delle elezioni presidenziali, falsate – questo il grave sospetto, fondato su prove acquisite – da una pesante interferenza russa mediante i social.

Di tutt’altro problema si parla in Germania e in Francia, dove i rispettivi elettorati hanno punito i governanti in carica (cancelliere Scholz e presidente Macron), premiando al contempo forze estreme. In particolare in Francia la destra della Le Pen e la sinistra di Mélenchon hanno unito le forze per far cadere l’esecutivo guidato dal centrista Barnier, lasciando il Paese senza una reale via d’uscita politica stabile.

Si tratta, è il caso di ripeterlo, di realtà assolutamente differenti. Ma non può sfuggire come sempre più spesso forze politiche sovraniste, anti Ue e di frequente filoputiniane, facciano breccia fra i cittadini. L’elettorato è, sia chiaro, libero di scegliere: rimane, e forse si rafforza, il dubbio su quali siano gli strumenti e le modalità di informazione sulla politica, quale la formazione diffusa e la consapevolezza sui temi della pubblica amministrazione, sulla vita dei partiti e dei loro leader, sulle regole democratiche, sui valori che attraversano una società tanto da segnarne la partecipazione alla polis, sul ruolo dei media e più ancora su quello dei social network…

In un tempo di rapidissime e profonde trasformazioni la politica, assieme alla coscienza civica dei cittadini, sta tenendo il passo del “cambiamento d’epoca”? Forse la domanda non è fuori luogo. Sir 14

 

 

 

 

UE. Una nuova Commissione, debole e vulnerabile

 

A circa sei mesi dalle elezioni europee di giugno scorso, dopo vari passaggi parlamentari, un dibattito divisivo sulla composizione della maggioranza che avrebbe dovuto sostenere il nuovo esecutivo europeo, le audizioni in Parlamento dei nuovi commissari (che, eccezionalmente, non hanno riservato bocciature o sorprese) e un po’ di “suspense” sulla distribuzione di due vicepresidenze, la nuova Commissione europea ha finalmente ottenuto l’approvazione del Parlamento europeo.

Una maggioranza piuttosto esigua

Dal primo dicembre la Commissione è ufficialmente in carica come da programma. Tuttavia, l’esito del voto del 27 novembre (con solo 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astensioni) ha fatto registrare la maggioranza più esigua dal 1995. Una maggioranza addirittura più risicata di quella che a luglio aveva consentito a Ursula Von der Leyen di superare (con 401 voti a favore) il primo esame in Parlamento. Soprattutto, il voto del 27 novembre ha fatto emergere clamorose divisioni all’interno di vari gruppi parlamentari: si sono divisi i popolari, i socialisti e democratici, e i liberali (che insieme hanno ottenuto 308 voti, ben lontani dal totale dei 360 voti che corrispondono alla somma dei membri dei tre gruppi), ma anche i verdi e i conservatori e riformisti, confermando l’immagine di un Parlamento nel quale la disciplina dei gruppi è apparsa subordinata a logiche di politica interna.

Questo voto è in parte una conseguenza dell’esito del voto popolare del giugno scorso, che aveva fatto registrare una generale avanzata dei partiti di destra e un ridimensionamento dei partiti tradizionalmente europeisti. È anche il risultato della scelta della Presidente per tentare di allargare la maggioranza a suo sostegno oltre i tre partiti europeisti tradizionali fino a includervi almeno il gruppo dei conservatori e riformisti. Una scelta motivata dalla necessità di poter contare su un sostegno in Parlamento numericamente più solido (anche se politicamente meno omogeneo) – giacché popolari, socialisti e liberali da soli rischiavano di non essere sufficienti –, ma anche dall’esigenza di prepararsi a un confronto con un Consiglio in cui i governi di destra o centro-destra sono aumentati di numero. E dal desiderio di coinvolgere nella nuova e inedita maggioranza il partito della Presidente del Consiglio italiana, cui Von der Leyen aveva concesso una significativa apertura con l’attribuzione al Commissario italiano, Raffaele Fitto, di un ruolo di vicepresidente esecutivo, con una decisione priva in concreto di conseguenze pratiche sul funzionamento del collegio, ma che nei fatti si è rivelata controversa e divisiva, come testimoniato dall’esito del voto.

Sulla carta, questa Commissione nasce più debole e più vulnerabile, proprio perché priva di una maggioranza stabile in Parlamento. Ma questo giudizio, sicuramente corretto sul piano formale, va in parte ridimensionato. L’architettura istituzionale dell’Ue non è, infatti, assimilabile a quella delle democrazie parlamentari degli Stati nazionali, dove gli esecutivi devono poter fare affidamento su una maggioranza stabile nei rispettivi Parlamenti per la durata della legislatura, pena la crisi di governo. Nell’Ue, come ci ha insegnato la prassi, è necessaria una maggioranza per l’approvazione della Commissione all’inizio della legislatura. Ma è del tutto fisiologico che si possano formare maggioranze variabili in funzione dei singoli provvedimenti all’esame del Parlamento senza che questo costringa la Commissione a rassegnare le dimissioni.

Le priorità nel programma della Commissione

Quanto al programma della Commissione, l’intervento, volutamente ecumenico, della Presidente nell’emiciclo di Strasburgo non ha riservato particolari sorprese. Ha anticipato una strategia di rilancio della competitività che riprende in larga misura le proposte del rapporto Draghi. Il programma si dovrà articolare attorno a tre pilastri dell’innovazione, digitalizzazione e applicazioni dell’intelligenza artificiale, di una de-carbonizzazione compatibile con una politica industriale mirata al rafforzamento della competitività, e di maggiore sicurezza sia economica che politico-militare, con riduzioni delle dipendenze strategiche, e investimenti più consistenti nella difesa. 

Date le circostanze e il desiderio della Presidente di essere quanto più inclusiva possibile in quest’occasione, è apparsa ovvia l’assenza di dettagli sulle singole misure o di riferimenti alle questioni più divisive. I prossimi mesi saranno quindi decisivi per verificare i margini di manovra della nuova Commissione e la capacità dei governi nazionali di decidere insieme nell’interesse comune. In sintesi, la buona notizia è che l’Ue ha finalmente una Commissione in carica. La notizia meno buona è che questa Commissione dovrà navigare a vista e cercare volta per volta il sostegno dei governi e del Parlamento sulle proprie proposte. Ferdinando Nelli Feroci, AffInt 9

 

 

 

 

Von der Leyen bis: la nuova Commissione alla prova del nove

 

Il Parlamento europeo ha assegnato al Collegio dei commissari una fiducia risicata. L'esecutivo appena entrato in funzione è subito chiamato a rispondere a sfide urgenti e vitali per il futuro della "casa comune" – di Gianni Borsa

 

Ottenuto il via libera dell’Europarlamento, la Commissione Ue, presieduta per un secondo quinquennio dalla popolare tedesca Ursula von der Leyen, è entrata in carica ufficialmente il 1° dicembre. In parallelo hanno cominciato il loro mandato Antonio Costa, socialista portoghese, come presidente del Consiglio europeo (è la riunione periodica dei 27 capi di Stato e di governo, massimo organismo politico dell’Ue), e Kaja Kallas, liberale estone, nuova Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune nonché vicepresidente della Commissione.

La votazione con la quale il Parlamento europeo ha dato fiducia al bis della Von der leyen è stata “di misura”: 370 sì, appena 9 in più della maggioranza (l’emiciclo è composto di 720 deputati). Eppure a luglio la stessa Von der Leyen aveva ottenuto per la propria nomina 401 voti.

Nel frattempo alcune sue scelte hanno rimescolato le carte della maggioranza.

I Verdi si sono defilati, alcuni Popolari e Socialdemocratici non hanno confermato la fiducia al Collegio (spesso per ragioni opposte), anche tra i Liberali ci sono state defezioni. Mentre una parte del sostegno alla nuova Commissione è giunta dai Conservatori (eurotiepidi, che a luglio avevano bocciato la stessa Von der Leyen), i quali hanno invece rilevato nel programma della Von der Leyen e nella composizione della sua squadra motivi sufficienti per votare a favore.

Tra gli elementi che hanno maggiormente influito – pro o contro – sul voto di fiducia è stato proprio l’allargamento a destra della maggioranza, fortemente voluto da Von der Leyen, tanto da affidare una vicepresidenza del Collegio all’italiano Raffaele Fitto, esponente dei Conservatori che tradizionalmente hanno una visione della costruzione europea ben diversa dai Popolari e soprattutto da Socialdemocratici, Liberali e Verdi.

Insomma, le carte in tavola sono cambiate. Diversi commentatori sostengono che Von der Leyen sarà più debole che nei cinque anni passati e maggiormente asservita al volere dei governi; altri, per converso, ritengono la presidente della Commissione più libera di agire, tenendo in pugno i suoi commissari e avendo maggiore autonomia rispetto all’Europarlamento.

Una cosa è certa: secondo i Trattati le istituzioni principali, che detengono il potere legislativo e di bilancio dell’Ue, sono Consiglio e Parlamento, mentre la Commissione ha altri ruoli (iniziativa legislativa, “custode dei Trattati”, motore quotidiano dell’Unione) che non possono prescindere dalle prime due istituzioni.

Von der Leyen se ne deve ricordare perché i nodi arriveranno presto al pettine: bilancio comunitario pluriennale (Qfp), risposta alla guerra in Ucraina e forniture militari e finanziarie a Kiev (quando una vera iniziativa di pace targata Ue?), iniziative per la competitività economica e il rafforzamento del mercato unico (rapporti Draghi e Letta), rapporto con la nuova amministrazione Usa guidata da Trump, risposta al cambiamento climatico e Green Deal, gestione delle migrazioni, tutela della democrazia e dello stato di diritto in Europa…

Quando un’amministrazione entra in carica ci si domanda quali decisioni e proposte lancerà nei primi 100 giorni. Il numero è solo simbolico: resta da capire quali strade percorrerà la Commissione rispetto alle grandi questioni citate e se la sua azione sarà convintamente europeista (rafforzare la sovranità e la solidarietà europea in un contesto geopolitico carico di sfide) o meno. Qui si gioca il futuro stesso di una Unione coesa e aperta al mondo, dei suoi 27 Paesi membri e quello di 450 milioni di cittadini europei. Sir 4

 

 

 

 

 

Medio Oriente, polveriera senza fine

 

Ancora una volta quanto sta accadendo in Medio Oriente, eterna polveriera pronta ad esplodere in qualsiasi momento, pone tutti di fronte al dilemma se sia lecito o no fare il male per vincere il male, se sia giusto o no rispondere alla violenza con la violenza e, non da ultimo, se si possa ritenere quanto detto il modo migliore di operare di un Paese democratico che ritenga a buon diritto di essere tale, come appunto Israele, per difendersi dal nemico.

Siamo figli di una storia che ha visto trionfare la democrazia dopo guerre sanguinosissime, come la seconda Guerra Mondiale, dove il maggior numero di morti non fu tra i soldati al fronte ma tra i civili, come oggi a Gaza e nel Libano.

Gli alleati vinsero la Germania nazista bombardando tutto quello che potevano bombardare, le bombe al fosforo su Dresda e in Italia su Cassino: bombardarono scuole ed ospedali, senza preoccuparsi minimamente di chi c’era dentro, come oggi accade nella striscia di Gaza, dove è praticamente impossibile portare qualsiasi tipo di soccorso a donne, vecchi e bambini.

La democrazia dei paesi occidentali, quella di cui siamo così fieri per le sue ottime Costituzioni che difendono i diritti basilari dell’umano convivere, se vogliamo stare ai fatti, è nata dalla vittoria dei buoni contro i cattivi, è nata da una guerra vinta con perdite umane impressionanti, campi di concentramento, pulizia etnica e quanto di peggio si possa immaginare.

Sono passati ottant’anni dalla fine della seconda Guerra Mondiale ma, in tutti questi anni, mai nessun intellettuale, nessun partito politico, nessun personaggio di spicco del mondo religioso si è posto la domanda terribile se sia lecito o no fare il male per vincere e, abbia cercato di dare una risposta convincente al quesito.

La verità è che in tutti questi anni il nostro giudizio sui conflitti che hanno coinvolto e coinvolgono popoli e Stati, non è più storico-politico ma sempre più etico-giuridico, come dimostra il ricorso, sempre più frequente, ai tribunali internazionali per poter stabilire cosa è giusto e cosa non lo è, come dimostrato ultimamente dalla condanna emessa dal tribunale internazionale dell’Aia, a carico del premier israeliano Netanyahu per crimini di guerra.

L’etica, però, non può ridursi al diritto puro e semplice o alle sue enunciazioni, perché i conflitti, lo scontro di valori, tutto ciò che è vita e sentimento di uomini e popoli, tutto quello che muove la politica e di cui, al tempo stesso, la violenza si alimenta, non si possono ridurre a pure, astratte, definizioni giuridiche.

Deve esserci uno spazio dove a decidere sia il nostro personale convincimento, circa quello che è più opportuno fare in circostanze particolarmente difficili come è una guerra. E questo spetta alla politica, che ha la responsabilità di decidere nella consapevolezza della tragicità morale di certe scelte, come quella di ricorrere, extrema ratio, alla violenza, lasciando che il giudizio finale non sia di un tribunale ma della storia. Angela Casilli, de.it.press 5

 

 

 

 

La missione Italcon in Libano (1982-1984): un bilancio critico

 

Per comprendere le ragioni del rinnovato attivismo italiano nel cosiddetto Mediterraneo allargato a partire dagli anni ’80, è necessario guardare alla politica estera di Roma nel lungo periodo. All’indomani del secondo conflitto mondiale l’Italia inaugurò una strategia di politica estera prudente, fondata sull’adesione all’Alleanza Atlantica. I governi italiani cercarono di massimizzare la “rendita di posizione” geografica riconosciuta dall’alleato statunitense nella logica della contrapposizione tra i due blocchi USA-URSS, inserendosi al contempo nel neonato sistema multilaterale e portando avanti in parallelo il processo di integrazione europea.

Questo approccio, complessivamente stabile nel tempo, permise in ogni caso dei momenti di relativa fluidità. Dal punto di vista diplomatico, Roma inaugurò con la fine degli anni ’70 il proprio impegno nel sistema di missioni internazionali multilaterali. L’assunto era che questa adesione – che continuerà con costanza anche dopo la fine della guerra fredda – potesse rinforzarne la posizione nello scenario internazionale, sfruttando soprattutto i maggiori gradi di libertà di cui l’Italia godeva già allora nel contesto mediterraneo.

Il caso Italcon

In questa fase di intraprendenza politica, in cui Roma talvolta riuscì anche a muoversi oltre l’ambito strettamente multilaterale, vennero inaugurati alcuni dei più interessanti strumenti di cooperazione internazionale. Tra questi spicca la missione Italcon condotta in Libano dal 1982 al 1984 nell’ambito della più ampia Multinational Force in Lebanon: la prima operazione priva dell’ombrello protettivo dell’ONU a cui partecipò l’Italia nel secondo dopoguerra.

Il contesto operativo delle missioni era indubbiamente molto complesso, perché oltre alle comunità locali agivano attori esterni come Israele, i fedayn palestinesi e la Siria, per giunta sotto le pressioni delle due superpotenze nucleari.

Per ovviare a queste difficoltà, l’Italia affiancò la funzione umanitaria allo strumento militare, in modo da mettersi nella condizione di essere il più apprezzato tra gli attori “esterni” attivi in Libano, riconosciuto tanto dai governi libanese e siriano, quanto dalle rispettive società. Iniziative come la realizzazione dell’ospedale da campo consegnato poi alle comunità civili in Libano al termine della missione, ma anche le capacità logistiche e tecniche dimostrate dal contingente Italcon, contribuivano ad accrescere questa percezione, favorendo l’obiettivo di lungo termine di instaurare una rete diplomatica efficiente per giungere ad una soluzione che riappacificasse le parti in causa.

Le policy dei governi italiani

Analizzando le policy adottate da Roma, è interessante notare un mutamento dell’atteggiamento dell’esecutivo italiano nei confronti degli attori internazionali e dei principali alleati, indicativo della nuova postura internazionale che si intendeva perseguire.

Sotto i governi Spadolini (1981-1982), l’Italia assecondò come da tradizione le istanze dell’alleato americano, quali la richiesta di dispiegamento di forze militari, sollevando un intenso dibattito politico nel paese. Con la nascita del nuovo governo guidato da Bettino Craxi (1983-1986), il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri Giulio Andreotti si indirizzarono invece su una linea incentrata sullo sviluppare relazioni amichevoli in ambito politico ed economico con i paesi del Medio Oriente, cercando così di adottare una politica maggiormente autonoma.

Questo nuovo corso politico e la conseguente postura internazionale portarono ad un maggiore impegno italiano, che mirava a caratterizzarsi principalmente attraverso la partecipazione a missioni di pace e umanitarie, anche a costo di contraddire le pressioni degli alleati tradizionali, con esiti talora anche drammatici, come nel caso della crisi di Sigonella nell’ottobre 1985.

I limiti dell’intraprendenza italiana

Quest’intraprendenza non si tradusse tuttavia in un indirizzo strategico duraturo: un’assertività poco continua da parte dell’Italia, sommata a numerose debolezze della Forza Multinazionale e ad uno Stato libanese quasi del tutto disintegrato, portarono al fallimento della parte finale dell’operazione.

La missione Italcon ebbe comunque degli esiti importanti per l’Italia, sia in politica interna che estera, e per la sua immagine nel mondo. Da un lato il paese acquisì un ‘tesoretto’ di credibilità internazionale, dall’altro non venne del tutto superata l’impressione di una non perfetta affidabilità italiana tra gli interlocutori internazionali. L’Italia stentò insomma a scrollarsi di dosso la fama di alleato sostanzialmente solidale, ma dall’atteggiamento ondivago, propenso al compromesso al ribasso, se non opportunista. Un pregiudizio in parte spiegabile con il limitato interesse alle istituzioni sovranazionali da parte di larghi settori della politica nazionale, frutto di una campagna elettorale permanente che guarda costantemente al consenso interno sul brevissimo periodo piuttosto che alla programmazione e alla pianificazione.

 

Chiara Sturniolo è una studentessa iscritta al primo anno del corso di laurea magistrale di Scienze internazionali indirizzo studi europei presso l’Università di Torino. Questo articolo è un estratto, rivisto e aggiornato, della tesi di laurea dell’autrice, “L’Italia e il Mediterraneo allargato. L’evoluzione della politica estera: dalle missioni in Libano ai nuovi scenari di crisi” (Corso di laurea triennale in Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione, relatore prof. Valter Maria Coralluzzo), vincitrice della seconda edizione (2023-2024) del premio di laurea “L’Italia e le relazioni internazionali: storia, politiche, prospettive” nella categoria tesi triennali. Il premio di laurea è promosso dallo IAI con il supporto della Fondazione Compagnia di Sanpaolo e con il patrocinio del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.

Chiara Sturniolo AffInt. 29.11.

 

 

 

 

 

 

Diritto d’asilo. Migrantes: “In Italia 414mila rifugiati, lo 0,7% della popolazione”

 

A fine anno saranno oltre 130 milioni le persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni nel mondo, una cifra in continuo aumento. In Europa più di 1,5 milioni di richieste d’asilo sono state presentate durante il 2023 e i primi nove mesi del 2024 (+20%). Sembra esserci però una inversione di tendenza nei primi dati del 2024, con 449.000 richieste e un calo del 5%. In Italia nei primi otto mesi del 2024 hanno chiesto una qualche forma di protezione internazionale 109.000 persone, una cifra in aumento (+32%). È quanto emerge dall'ottavo Report sul diritto d'asilo presentato oggi a Roma dalla Fondazione Migrantes – di Patrizia Caiffa

A metà del 2024 il numero di persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni nel mondo era di 122,6 milioni di persone e a fine anno saranno oltre 130 milioni. Di queste, più di 68 milioni rimangono all’interno del proprio Paese, mentre il 69% si sposta in Paesi confinanti, tre su quattro in Paesi a basso e medio reddito. Solo una piccola frazione inizia un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa: sono stati infatti poco più di 520 mila gli ingressi irregolari in Europa tra il 2023 e i primi nove mesi del 2024 mentre più di 1,5 milioni sono state le richieste d’asilo presentate nello stesso periodo (+20%). Sembra esserci però una inversione di tendenza nei primi dati del 2024, con 449.000 richieste e un calo del 5%. Da anni sono la Siria e l’Afghanistan i principali Paesi di origine di chi ricerca rifugio nell’Ue. Per quanto riguarda l’Italia al 1° gennaio 2024 vivono qui meno di 414 mila cittadini non comunitari con permesso di soggiorno per motivi di protezione e asilo, lo 0,7% di tutta la popolazione. Nel sistema di accoglienza ce ne sono 138.000, tra richiedenti asilo, rifugiati e migranti. Nei primi otto mesi del 2024 hanno chiesto una qualche forma di protezione internazionale 109.000 persone, una cifra in aumento (+32%) rispetto all’anno precedente. Ma nel 2024 è però crollato il numero di rifugiati e migranti che hanno raggiunto il Paese dal Mediterraneo: 54mila sbarcati, il 61% in meno rispetto al 2023. Sono alcuni dei dati contenuti nell’ottava edizione del Report della Fondazione Migrantes su “Il diritto d’asilo” (Editrice Tau 2024, pp. 424), a cura di Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti.

Diritto d’asilo “sempre più a rischio”. Il volume denuncia: nell’Unione europea e in Italia “il diritto d’asilo è sempre più a rischio”, nonostante i conflitti in Medio Oriente, in Ucraina e il cambiamento climatico. “Non sono invece altrettanto celeri le nostre risposte alle cause profonde di queste migrazioni forzate, e troppo poche le autorità di governo e le istituzioni che, con serietà ed autorevolezza, intendono perseguire obiettivi di pace e giustizia, mentre prosegue una folle corsa agli armamenti”, si legge nel report, che giudica anche il “nuovo” Patto europeo sulla migrazione e l’asilo “un compromesso al ribasso”.

Nell’Ue allargata -39% flussi irregolari nel 2024, in aumento verso Canarie e altre frontiere. L’Unione europea “allargata” vede nei primi otto mesi del 2024 in netta diminuzione i flussi “irregolari” in entrata di rifugiati e migranti ai suoi confini esterni: -39% rispetto allo stesso periodo del 2023. Risultano però in forte aumento i flussi sulle rotte dell’Africa occidentale verso le isole Canarie (+123%), del Mediterraneo orientale (+39%) e, sia pure su una scala assoluta molto più ridotta, della frontiera di terra orientale (+193%).

Gli arrivi in Italia: 54.000 sbarcati nel 2024 (-61%). Nel 2024, dopo quattro anni di crescita è crollato il numero di rifugiati e migranti che hanno raggiunto il Paese dal Mediterraneo: fra gennaio e la metà di ottobre si contano 54 mila sbarcati, il 61% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Quest’anno prevalgono arrivi dal Bangladesh (quasi 10.800) e dalla Siria (10mila circa); in terza posizione la Tunisia. La Libia è tornata ad essere il primo Paese di partenza: alla fine di luglio 2024 erano quasi 20mila gli arrivi, contro i 12mila dalla Tunisia.

Più respingimenti verso la Libia. Cresce il numero di migranti e rifugiati intercettati dalla cosiddetta “Guardia costiera” libica e deportati in un sistema organizzato di miseria, vessazioni, taglieggiamenti e violenze: nel periodo gennaio-agosto 2024 ne sono stati fermati in mare 16.220, contro i 17.190 di tutto il 2023.

Vittime del mare: 1.342 da inizio anno, 1 caso ogni 40. Alla fine di agosto 2024 la stima (minima) dei rifugiati e migranti morti o dispersi nel Mediterraneo ha raggiunto le 1.342 unità, di cui 1.053 nel Mediterraneo centrale. Oggi il rischio di perdere la vita sulla rotta è pari a 1 caso ogni 40 arrivi (era stato di 1 ogni 63 nel 2023). Dal 2014 al settembre 2024 hanno perso la vita o sono rimasti dispersi in un percorso migratorio internazionale più di 68 mila migranti e rifugiati. Le Ong hanno salvato quest’anno 6.200 vite, un quinto degli sbarcati in Italia.

Rimpatri dall’Italia: solo il 44% degli ingressi nei Cpr nel 2023. Nel 2023 in Italia l’incidenza dei rimpatri effettivi sul totale degli ingressi nei Cpr, i Centri di permanenza per il rimpatrio, è pari a uno stentato 44% (2.987 rimpatriati su 6.714 ingressi), al termine di un trend decennale in flessione. Fra il 1° gennaio e il 27 ottobre 2024 sono stati 4.514 i migranti rimpatriati dall’Italia, con un aumento del 15% rispetto al 2023 e del 34% rispetto al 2022.

Dinieghi: il 62% delle domande, in crescita. Nel primo semestre 2024 le Commissioni territoriali per l’asilo hanno esaminato circa 37.400 richiedenti, riconoscendo circa 3.000 status di rifugiato, 5.000 protezioni sussidiarie e 6.000 status di “protezione complementare” (protezione speciale e permessi per cure mediche), ma anche pronunciando 23.400 dinieghi, pari al 62% di tutte le domande esaminate in Italia. Un dato cresciuto negli ultimi anni.

Minori soli in calo: 20.039 in Italia (-11%). Sono 20.039 minori stranieri non accompagnati (Msna) “presenti” in Italia alla fine di agosto 2024. Si tratta di 17.608 ragazzi e bambini (88%) e 2.431 ragazze e bambine (12%). Un anno prima, alla fine d’agosto 2023, si contavano in totale 22.599 minori: in un anno la diminuzione è stata dell’11%. 3.525 di loro si sono allontanati dall’accoglienza nel primo semestre 2024: sono soprattutto tunisini, guineani ed egiziani, quasi tutti maschi e per tre quarti con più di 16 anni.

Vittime di tratta: nel 2024 l’Italia ha assistito 1.737 vittime di tratta (fino a settembre), il 60% donne, oltre a un 6% di persone transessuali. Nel 2023 erano state 1.899. Dal 1° gennaio al 31 luglio il Ministero dell’Interno conta 6.284 permessi di soggiorno per cure mediche e protezione delle vittime di tratta, di violenza domestica, di grave sfruttamento lavorativo o di calamità naturali.

Corridoi umanitari: in dieci anni 7.831 persone, di cui 6.807 in Italia. Nel 2024, fino al mese di luglio, sono state accolte in maniera protetta 1.525 persone, di cui 600 nei corridoi umanitari e 863 con iniziative di evacuazione umanitaria. Dal febbraio 2016 al settembre 2024, grazie all’impegno di diverse realtà associative e religiose e a protocolli sottoscritti in vari Stati, l’esperienza dei “corridoi umanitari” ha permesso di raggiungere l’Europa in sicurezza a 7.831 persone, di cui 6.807 solo in Italia. Sir 11

 

 

 

 

 

Report Fondazione Migrantes 2024: “In Italia e in Europa il diritto d’asilo è a rischio”

 

Presentata a Roma l’ottava edizione del Report “Diritto d’Asilo 2024” della Fondazione Migrantes.

Nel mondo, a metà del 2024, c’erano 122,6 milioni di persone colpite da “sradicamento forzato globale” (rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni). E la previsione è che saranno 130 milioni entro la fine dell’anno. Al 1° gennaio 2024 vivevano, invece, in Italia poco meno di 414 mila cittadini non comunitari con permesso di soggiorno per motivi di protezione e asilo, lo 0,7% di tutta la popolazione. Sono questi solo alcuni dei dati presenti nell’ottava edizione del Report sul Diritto d’Asilo della Fondazione Migrantes (con Tau Editrice), curato da Cristina Molfetta e Chiara Marchetti, che quest’anno porta il titolo “Popoli in cammino… senza diritto d’asilo”.

Il Report, che è stato presentato oggi a Roma, presso l’Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana, come ogni anno legge e interpreta dati, norme, politiche e ma raccoglie anche storie, che raccontano come nell’Unione europea e nel nostro Paese a essere sempre più a rischio sia il diritto d’asilo stesso. Mentre guerre e conflitti si allargano e anche situazioni estreme legate al cambiamento climatico contribuiscono a far crescere il numero delle persone costrette ad abbandonare la propria terra, non sono invece altrettanto celeri le risposte alle cause profonde di queste migrazioni forzate.

Proprio in questi giorni, ad esempio, è purtroppo tornata di attualità la situazione siriana. Il Report ci ricorda che già da anni la Siria (circa 183 mila richiedenti nel 2023) il principale Paese d’origine delle persone che cercano rifugio nell’Unione europea. In Italia, sono la seconda nazionalità di provenienza di chi arriva, in particolare, dalla rotta Mediterranea.

Nel mentre è stato approvato il “nuovo” Patto europeo sulla migrazione e l’asilo: un compromesso al ribasso che prelude a un ulteriore impoverimento dei diritti di richiedenti asilo e rifugiati. Per quanto riguarda l’Italia, il Report – che ha analizzato i decreti approvati nel 2023 – definisce come “frammentato, grossolano e iniquo” l’attuale sistema di accoglienza.

Di fronte alle criticità, il Report della Fondazione Migrantes fa proposte in vari ambiti – da quello legale a quello più sociale ed etico – mettendo l’accento anche su esperienze e questioni significative, ma meno note: dalle “suore di frontiera” – che in Italia lavorano con i rifugiati, i minori, le donne vittime di tratta e le persone rinchiuse nei Cpr – alla questione dei tutori volontari dei minori non accompagnati, fino a un approfondimento teologico, che partendo dal Mediterraneo, propone di costruire una “teologia dell’asilo”.

L’Introduzione al Report è aperta da una frase di papa Francesco, pronunciata durante l’Udienza generale del 28 agosto 2024, che ha “animato” tutto il lavoro: «Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave».

Nel suo saluto di apertura della presentazione, mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes, si è augurato che «questo lavoro possa aiutare a rendersi conto di chi sono le persone verso cui si stanno attuando veri crimini di “lesa umanità”», come ha definito all’inizio di questo mese il Papa tutte le forme di schiavitù moderna, in particolare la tratta di esseri umani. «Sono crimini – ha aggiunto mons. Felicolo – che non possiamo più solo “registrare”. E sono persone alle quali abbiamo il dovere di restituire giustizia e umanità». Migr.on. 11

 

 

 

 

Decreto flussi: ennesima occasione persa

 

Il testo approvato è un caleidoscopio di misure che vanno dall’affidamento alle Corti d’appello della competenza sui procedimenti di convalida o proroga del trattenimento dei richiedenti asilo, oggi in capo alle sezioni specializzate in immigrazione dei tribunali civili, alla previsione sui ricongiungimenti familiari, per cui sarà necessario soggiornare in Italia almeno due anni prima di chiamare i propri cari - di Oliviero Forti, servizio Advocacy di Caritas Italiana

L’approvazione in via definitiva al Senato del cosiddetto “decreto flussi” rappresenta un’ennesima occasione persa da parte dell’Italia che, in questo modo, si dimostra ancora una volta inadeguata sul fronte delle politiche migratorie, incapace di rispondere alle istanze di migliaia di lavoratori stranieri presenti nel paese. Persone che pagano sulla loro pelle il prezzo di un sistema che favorisce un complesso di raggiri da parte di datori di lavoro senza scrupoli. Il decreto, infatti, non interviene sulla questione più urgente, quella dell’irregolarità, frutto del meccanismo disfunzionale della chiamata nominativa. Oggi si fa entrare dall’estero un lavoratore con la promessa di un contratto che però non arriverà mai, con l’inevitabile conseguenza che il lavoratore diventerà irregolare. Proprio per questo motivo, in occasione del recente incontro con il Governo, Caritas Italiana ha nuovamente richiamato l’attenzione sulla necessità di superare la Bossi Fini e di prevedere una regolarizzazione ad hoc per chi è già entrato, non limitandosi, invece, ad intervenire su singoli aspetti del problema che, in quanto tali, non produrranno l’effetto auspicato.

Ad ogni modo, a destare maggiore preoccupazione non sono tanto e solo le norme relative ai lavoratori stranieri, che comunque hanno visto un ampliamento delle quote, introducendo alcune novità procedurali, quanto le altre numerose previsioni contenute all’interno del decreto che nulla hanno a che fare con la programmazione degli ingressi per lavoro.

Incredibilmente, il testo approvato ieri è un caleidoscopio di misure che vanno dall’affidamento alle Corti d’appello della competenza sui procedimenti di convalida o proroga del trattenimento dei richiedenti asilo, oggi in capo alle sezioni specializzate in immigrazione dei tribunali civili, alla previsione sui ricongiungimenti familiari, per cui sarà necessario soggiornare in Italia almeno due anni prima di chiamare i propri cari. Inoltre, il decreto dispone il controllo degli smartphone di chi arriva in Italia se non coopera all’identificazione e non fornisce i propri documenti e introduce ulteriori sanzioni e fermi amministrativi per le Ong che fanno salvataggi in mare.

Il legittimo sospetto è che questo decreto flussi sia un riflesso delle dispute che in questi ultimi mesi hanno visto l’esecutivo contrapporsi alla magistratura e l’ennesima mossa contro le Ong, costante e “incomprensibile” priorità per questo Governo, piuttosto che un auspicabile articolato normativo capace di riformare definitivamente il sistema di ingresso dei lavoratori stranieri. Sir 5

 

 

 

 

Monaco di Baviera. Intervista a Tajani. I rapporti italo-tedeschi e gli italiani all’estero

 

Diplomazia, economia e identità culturale in primo piano

Il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, On. Antonio Tajani, ha visitato venerdì 15 novembre 2024 l’Osservatorio Europeo Australe a Garching, nei pressi di Monaco di Baviera. Durante la visita, il Ministro ha incontrato gli scienziati italiani che operano presso l’organizzazione e una rappresentanza della comunità italiana locale.

Nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere d’Italia, Tajani ha ribadito l’importanza strategica delle relazioni tra Italia e Germania, evidenziando la necessità di una stretta cooperazione per affrontare le sfide economiche e politiche europee. Il Ministro ha sottolineato il ruolo fondamentale degli italiani all’estero come ambasciatori del Made in Italy e ha messo in risalto la forza del legame economico e dell’innovazione tra i due Paesi. Inoltre, Tajani ha parlato anche del rafforzamento della rete consolare e della promozione della lingua italiana all’estero, ritenuti aspetti centrali in un contesto europeo in trasformazione.

Come valuta per gli interessi italiani la crisi del Governo tedesco e le imminenti nuove elezioni politiche?

Italia e Germania sono le due più grandi manifatture d’Europa. Il nostro interscambio vale oltre 164 miliardi. È il Paese verso il quale esportiamo di più, oltre 74 miliardi. La nostra è una cooperazione “naturale” e deve essere uno dei principali motori del rilancio della competitività europea. La Germania è un Paese amico con cui siamo legati da molti interessi in Europa. Coordinamento e gioco di squadra sono cruciali anche con il Governo che uscirà dalle prossime elezioni.

Quali sono i riflessi per l’Italia della stagnante crescita in Germania che, a detta degli esperti e con una crescita del PIL ferma quota zero, è ormai a un passo dalla recessione economica?

Siamo all’inizio di un nuovo ciclo europeo e di un nuovo ciclo tedesco. Il dialogo con Berlino sarà centrale nel quadro del Piano d’Azione approvato lo scorso anno per indirizzare le politiche europee, in primo luogo, verso la competitività. Nel momento in cui i dati industriali tedeschi iniziano a essere in chiaroscuro mostrando segnali positivi di ripresa degli ordini in particolare per il nostro indotto dell’automotive, è ancora più necessario lavorare insieme per sostenere il nostro export e la crescita dei nostri territori.

In Germania vive ormai quasi un milione di italiani. Un milione di persone che si rivolgono ai consolati italiani ormai sopraffatti da una richiesta di servizi aumentata in dismisura. Esiste un piano di rafforzamento della rete consolare e di una facilitazione dei servizi?

Già lo scorso anno mi ero impegnato con il CGIE a valutare attentamente il rafforzamento della rete consolare. Vogliamo essere sempre più vicini e più efficienti per i nostri connazionali all’estero e le nostre imprese. In Germania ho inviato dei diplomatici come vicari nei Consolati Generali di Monaco e Francoforte. Durante gli Europei di calcio, per non gravare sugli uffici, abbiamo inviato un “Consolato mobile” per assistere i tifosi. È per tutti gli italiani all’estero abbiamo aperto i Consolati Generali a Bruxelles e Madrid e rafforzato diverse Sedi nel mondo Nel corso di questi due anni abbiamo assunto molto personale amministrativo e rafforzato molti Consolati. Abbiamo investito sulla digitalizzazione dei servizi.

Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero da Lei presieduto, lancia continui allarmi sulla precaria situazione dell’insegnamento dell’Italiano ai figli degli emigrati di seconda e terza generazione. Alcuni Enti gestori in Germania parlano di annunciato fallimento per mancanza di fondi. È ormai ora di finire con questo tipo di insegnamento di quella che era considerata la “lingua madre”?

La promozione della lingua italiana è una priorità. L’italiano è una lingua di innovazione e di crescita. Un forte collante con le nostre comunità all’estero. Ad ottobre ho visitato una scuola italiana in Argentina. Il prossimo anno voglio organizzare un Vertice dell’italofonia. Sosteniamo in maniera concreta l’insegnamento dell’Italiano in Germania, dove contribuiamo al lavoro di 12 enti gestori. In 12 città tedesche ci sono scuole con sezioni italo-tedesche. Sosteniamo anche molte scuole e Università dove si insegna l’italiano, per raggiungere sempre più anche il pubblico tedesco.

L’integrazione degli italiani in Germania è citata come esempio straordinario di integrazione europea. Quali sono le parole del nostro Ministro a una collettività che per coraggio e fantasia è stata unica nel tenere alto il nome dell’Italia nel cuore dell’Europa?

A loro dico: sono stato anche io italiano all’estero! Ho vissuto da piccolo a Parigi, sono stato tanti anni a Bruxelles. Capisco le vostre esigenze! Oggi a Monaco ho incontrato tanti ricercatori. Ho incontrato tanti imprenditori che fanno la ricchezza della Germania e dell’Italia. Ho partecipato ad una riunione di sistema, con l’obiettivo di fornire sempre migliori servizi ai cittadini e alle imprese. La diplomazia non la fanno solo i diplomatici: I nostri connazionali all’estero sono i migliori Ambasciatori dell’Italia nel mondo. Licia Linardi, Pasquale Marino e Salvatore Bufanio, CdI dic.

 

 

 

 

Germania e Riviera romagnola sempre più vicine: da aprile i nuovi treni RailJet da Monaco di Baviera

 

Dal 17 aprile 2025 sarà operativo il collegamento giornaliero ferroviario fra Monaco di Baviera e la Riviera Romagnola di ferrovie tedesche DB ed austriache ÖBB, con due importanti novità che renderanno la Germania e la Romagna sempre più vicine e collegate in maniera sostenibile.

La prima novità è che nel 2025 i treni proseguiranno fino a Riccione e a Cattolica, mantenendo le tappe di Bologna, Cesena e Rimini. Questo permetterà agli ospiti tedeschi di raggiungere la Costa Romagnola evitando inutili code in autostrada. Il collegamento proseguirà fino al 6 ottobre, coprendo anche le vacanze autunnali dei bavaresi.

“La stagione 2025 del Monaco-Rimini porta tante importanti novità in termini di servizio - sottolinea l’Assessore al Turismo della Regione Emilia-Romagna, Andrea Corsini- che speriamo si tradurranno in ancora più passeggeri dalla Germania verso la Romagna. Tanti turisti oggi scelgono la modalità slow del treno per le proprie vacanze. I dati turistici dei primi 8 mesi del 2024 per quanto riguarda il mercato tedesco in Romagna, hanno segnato un +9,5% di arrivi e un +10,4% di pernottamenti, sullo stesso periodo dell’anno precedente”.

In Germania commenta le novità sul collegamento Germania-Romagna anche Marco Kampp, Director international long-distance passenger transport e Amministratore Delegato-CEO Deutsche Bahn Italia Srl: “un piacere e una nuova sfida il prolungamento della linea ferroviaria del Brennero per l’anno 2025. Da un treno al giorno a/r solo nei fine settimana, siamo passati a uno tutti i giorni per i 3 mesi estivi e ora avremo quasi 6 mesi di servizio di collegamento dalla Germania e Austria fino a raggiungere la costa Adriatica. Segnale che l’Italia e la costa rimangono sempre una destinazione gradita ed apprezzata oltre il confine, a nord del Brennero”.

“Portiamo avanti la programmazione con le ferrovie tedesche dal 2016 –dichiara soddisfatto Emanuele Burioni, Direttore di Apt Servizi Emilia-Romagna - e la collaborazione si sta rafforzando di anno in anno. Questo ci permette di aumentare notevolmente i flussi dai mercati di Austria e Germania”.

Per il Sindaco di Rimini e presidente di Visit Romagna, Jamil Sadegholvaad, è “evidente come il potenziale attrattivo della Romagna, della sua riviera e del suo entroterra, rivolga sempre più il suo sguardo verso il mercato turistico estero, a cominciare da quello tedesco e austriaco. Sono proprio la storia e i numeri di questa unione a dare sostanza nel 2025 all'evoluzione e all'estensione di un servizio ormai strategico, capace in poche ore e in tutta comodità di aprire le braccia della nostra ospitalità ai tanti ospiti che per noi prima di tutto sono amici”. (aise/dip 30.11.) 

 

 

 

 

Volkswagen, maxi-sciopero contro i tagli

 

Proteste al via domani. L’azienda: “Con il dialogo troveremo una soluzione”

Esplode il conflitto tra Volkswagen e il potente sindacato dei metalmeccanici tedeschi Ig Metall. Tutti i dipendenti del principale produttore automobilistico europeo sono stati chiamati a sospendere il lavoro ad oltranza a partire da domani per opporsi alle migliaia di tagli di posti previsti dal gruppo. Un primo passo di un movimento che potrebbe assumere proporzioni senza precedenti se i vertici dell'azienda e i rappresentanti del personale non riuscissero a raggiungere un accordo sulle misure di riduzione dei costi per ristrutturare il gruppo in crisi.

Almeno così ha lasciato intendere Ig Metall, che ha minacciato la lotta "più dura che Volkswagen abbia mai visto". Il tutto nel bel mezzo della campagna per le elezioni anticipate in Germania. "Gli scioperi di avvertimento inizieranno lunedì in tutte le fabbriche", ha reso noto in un comunicato stampa Thorsten Gröger, negoziatore del sindacato metalmeccanico. Il periodo di dialogo sociale che la Germania ritiene obbligatorio si è infatti chiuso per 120.000 dipendenti del marchio alla mezzanotte di venerdì con un muro contro muro che ha portato alla mossa quasi inevitabile annunciata dal sindacato. "Se necessario, questa sarà la battaglia contrattuale collettiva più dura che Volkswagen abbia mai conosciuto", ha avvertito Gröger, ritenendo il management "responsabile, al tavolo delle trattative, per la durata e l'intensità del confronto". Volkswagen ha immediatamente replicato cercando di riallacciare i rapporti.

Il gruppo di Wolfsburg ha affermato di "rispettare i diritti dei dipendenti" e di credere nel "dialogo costruttivo", secondo il principio della cogestione, per "raggiungere una soluzione sostenibile e sostenuta collettivamente". Parole che al momento però non hanno fatto breccia tra i lavoratori. L'intero gruppo Volkswagen conta in Germania dieci stabilimenti di produzione di automobili e circa 300.000 dipendenti, di cui 120.000 del marchio VW, il più colpito dal piano di risparmio. Un progetto di fronte al quale IG Metall si è detta pronta "per un conflitto sociale come non si verifica da decenni nella Repubblica Federale". Il principale produttore europeo ha lanciato a settembre una caccia ai costi senza precedenti, puntando a risparmiare diversi miliardi di euro per migliorare la propria competitività. Si sono svolte tre trattative tra direzione e sindacato e "la differenza tra le posizioni - secondo Ig Metall - è ancora enorme". Il divario si è ulteriormente ampliato con il rifiuto da parte della direzione, venerdì, di una controproposta sindacale volta a ridurre i costi senza dover chiudere le fabbriche in Germania. Il rischio più grande è infatti quello della chiusura di ben tre stabilimenti del Paese, per la prima volta nella storia dell'azienda. LS 1

 

 

 

 

Francoforte. Chiude il mensile “Corriere d’Italia”. La testata rimane solo online

 

Dopo 73 anni di storia, il Corriere d’Italia chiude la sua edizione cartacea per proseguire esclusivamente in formato digitale. È una decisione che ci addolora profondamente, ma che si è resa inevitabile a causa dei costi insostenibili legati alla carta e alla spedizione, nonostante il supporto della Conferenza Episcopale Tedesca e dello Stato Italiano non sia mai venuto meno.

Nato nel 1951, il Corriere d’Italia è stato un pilastro per la comunità italiana in Germania, fungendo da cronista, ponte culturale e voce delle storie di migliaia di emigranti. Fondato in un periodo di ricostruzione post-bellica, ha accompagnato le famiglie italiane nel loro percorso di integrazione e crescita, raccontando sacrifici, successi e sfide.

Nel corso dei decenni, il giornale è stato testimone delle trasformazioni sociali e politiche: dalle difficoltà dell’emigrazione negli anni ‘50, alla lotta per i diritti scolastici e lavorativi negli anni ‘70, fino all’integrazione interculturale del nuovo millennio. Sempre con un obiettivo chiaro: preservare l’identità italiana e promuovere il senso di appartenenza in una terra lontana.

Oggi il Corriere d’Italia è molto più di una pubblicazione: è la memoria storica di una comunità. Ha raccolto le voci degli italiani in Germania, custodendo le loro esperienze e rendendo visibile il loro contributo alla società tedesca. Ma mantenere questa tradizione in formato cartaceo è diventato insostenibile.

L’addio alla carta non è un addio ai valori e alla missione del Corriere. Continueremo online, adattandoci ai tempi ma con la stessa dedizione nel raccontare storie e connessioni. È un impegno che rinnoviamo verso i nostri lettori, che ringraziamo per il loro sostegno in tutti questi anni.

Ci fa male chiudere un capitolo così importante, ma siamo certi che, anche in digitale, il Corriere d’Italia saprà mantenere vivo il suo legame con gli italiani in Germania e in Europa.

Con profonda gratitudine, ringraziamo tutti i nostri lettori, sostenitori e collaboratori che hanno camminato al nostro fianco per decenni, credendo nella missione del Corriere d’Italia.

Mentre ci congediamo dall’edizione cartacea, ci impegniamo a continuare questo cammino online, preservando il nostro spirito di vicinanza e servizio verso gli italiani in Germania e nel mondo.

Grazie per aver reso il Corriere d’Italia una testimonianza viva della storia italiana oltre i confini e grazie per essere stati parte di questa storia. Il viaggio continua. Licia Linardi, CdI dic

 

 

 

 

Riunito a Stoccarda il Consiglio Nazionale delle ACLI-Germania

 

Stoccarda. Il 23 Novembre scorso, nei locali del Bischof-Leiprecht-Zentrum, sito nella Jahnstr. 30 di Stoccarda, ha avuto luogo una Riunione del Consiglio Nazionale delle ACLI Germania, eletto in occasione del XIII Congresso, celebrato ad Augsburg il 26 Novembre 2022.

Particolarmente importanti i punti all''ordine del giorno trattati nel corso dell'incontro, svoltasi dalle 10:00 alle 17:00 circa. Presenti Consiglieri Nazionali provenienti dal Baden-Württemberg, dalla Baviera e dal Nordreno-Westfalia, tra cui: Giuseppe Tabbì (Presidente), Duilio Zanibellato, Norbert Kreuzkamp, Carmine Macaluso (Vicepresidente), Fernando A. Grasso, Patrizia Mariotti, Pasquale Bibbò, Gisella Brasseler, Calogero Mazzarisi (Vicepresidente), Giuseppe Sortino, Rosetta Barone, Giovanni Cossu e Anna Maria Izzo. Intervenuti inoltre: Maria Galitelli, Paolo Olivaldese , Elisabeth Siefried,  Elio Pulerà, e Franco Santoro.

I lavori della giornata sono iniziati  con un momento spirituale e un saluto di benvenuto da parte del Presidente Nazionale Tabbì, che, qualche minuto prima,  aveva accolto i partecipanti, insieme con Duilio Zanibellato, Segretario per le Risorse e l'Organizzazione, al quale il Presidente, dopo aver fatto rilevare la regolarità della seduta e letto le giustificazioni giunte, ha passato la parola per un momento di spiritualità.

Subito dopo questo primo punto, previsto nell'ordine del giorno, concordato in occasione delle ultime videoconferenze di Presidenza, e già inviato telematicamente con altri documenti a tutti i Consiglieri, e qui di seguito riportato,  i lavori sono proseguiti con alcune comunicazioni importanti da parte di Tabbì, che,  ribadendo alcuni punti toccati da Zanibellato, ha insistito su un diffuso senso d'assenza e di fratellanza piuttosto esteso nella nostra odierna società, non mancando di ribadire —parlando della nostra grande famiglia ACLI— il dato di fatto che tra i vari circoli e le regioni mancano comunicazione, coordinamento e condivisione di notizie, che —magari—  compaiono su facebook, o siti regionali, come quello delle ACLI Baviera, magari ripresi da varie agenzia stampa, come sottolineato da Grasso, ma che non vengono condivisi tra di noi.

È venuto quindi il momento della relazione sulla situazione delle sedi del Patronato ACLI; mancando, però la Responsabile del Patronato ACLI Germania, Daniela Bertoldi, per motivi inderogabili, Tabbì ha comunicato le date di prossimi incontri con Bertoldi, in occasione dei quali dovranno venir assolutamente discussi alcuni problemi sorti negli ultimi tempi.

Interessanti a questo punto gli interventi di: Maria Galitelli, Rosetta Barone, Calogero Mazzarisi, Paolo Olivaldese, Giuseppe Sortino e Elio Pulerà, su tempi e modalità di accoglienza dei connazionali che si rivolgono ai nostri servizi anche per questioni che esulano dai principali compiti del Patronato. Connazionali, che, però, pur servendosi ampiamente delle nostre strutture, spesso, al posto di aderire al nostro Movimento, chiedendo la tessera, preferiscono lasciare un'offerta, magari al Patronato.

Anche Norbert Kreuzkamp ha parlato delle sue esperienze per ciò che concerne il supporto, non solo ai nostri connazionali e, rispondendo alle considerazioni degli interventi precedenti, ha invitato a vedere, soprattutto le cose belle e non le cose brutte.

Macaluso, parlando di possibili interventi, allo scopo di ravvivare alcune realtà dormienti, e ricordando uno dei fiori all'occhiello del suo Circolo, Il Folk-ACLI che si sarebbe dovuto esibire il giorno dopo nei locali in cui ha sede la Missione Cattolica Italiana di Kempten e che è stato rimandato a causa di un decesso, ma di altre attività, come gruppi sportivi del passato, ma anche della grande Manifestazione di dieci anni fa a Kaufbeuren per celebrare i 60 Anni dei Patti Bilaterali italo-tedeschi, ha comunicato l'intenzione di riproporre una celebrazione ancora più importante per i 70 Anni.

Pur condividendo e lodando il programma esposto da Macaluso, Tabbì ha dichiarato che sarebbe molto importante che Anniversari di questo tipo venissero celebrati a livello regionale, statale. Di questa opinione si sono espressi anche altri presenti; alcuni, addirittura, proponevano anche celebrazioni multilaterali. Sul tema celebrazione Pulerà ha ricordato le recenti celebrazioni dei 50 del suo Circolo.

Si è parlato pure degli scarsi contatti con i vari Comites, che, pur essendo stati eletti da un'esigua minoranza di connazionali, in ogni caso rappresentano noi italiani nei rapporti con i vari Consolati. E a questo proposito Macaluso ha incoraggiato i presenti ad attivarsi in attesa delle prossime elezioni di questi organismi, coinvolgendo maggiormente forze più giovani e vigorose.

Un altro punto importante all'ordine del giorno "Legge sull'Autonomia differenziata", referendum previsto; ricorsi di alcune Regioni per presunta incostituzionalità, Comitati sorti in Germania in preparazione del referendum e su una relazione, per i quali Tabbì ha cominciato a spiegare prima della pausa pranzo diversi punti.

Subito dopo c'è stato un corroborante piatto di lasagne, accompagnato da speck e formaggi di vario tipo e brezel di diverse fatture. Non è mancato anche un bicchiere di vino. Acqua, caffè e brezel, peraltro, erano già a disposizione degli intervenuti dal mattino.

Dopo questa pausaTabbì, presentando i documenti, precedentemente inviati ai consiglieri ha continuato quindi il tema interrotto e qui ci sono stati diversi interventi con domande, seguiti da risposte esaurienti. Il tutto rimane al momento provvisorio, dato che si dovrà attendere il giudizio sul ricorso che —qualora— venisse accolto, cancellerebbe il referendum e il necessario supporto delle ACLI in occasione delle votazioni.

In ogni caso tutti i presenti hanno concordato sulla necessità di avere più comunicazione tra i vari Circoli e Regioni e di utilizzare tutti i media per essere, non solo attivi e di aiuto alla società, ma —in ogni caso— di renderci più visibili. Grasso ha proposto a tutti coloro che possiedono un sito o un account Facebook di comunicarglielo in modo che egli possa inserire i link nel sito ACLI da lui amministrato.

Si è parlato anche di un possibile incontro dibattito delle ACLI con varie autorità: civili e religiose, e con il KAB, per discutere sulle difficoltà maggiori alle quali vanno incontro in nostri connazionali; incontro da realizzare, possibilmente,  in una delle regioni dove maggiore è la presenza italiana.

È stato trattato e approvato quindi il punto Tesseramento 2024 per il quale sono stati resi noti il numero dei tesserati dei vari circoli.

Come penultimo punto è stata infine presentata l'attuale situazione finanziaria, non troppo rosea, purtroppo; e a questo proposito sono state fatte diverse considerazioni su possibili modi e luoghi in cui svolgere i futuri consigli allo scopo di limitare i costi degli spostamenti.

Tra le varie e eventuali si è parlato infine dell'elaborazione e di alcune difficoltà legate alla loro stampa, per la quale sussistono tuttora alcuni problemi legati al programma. Grasso —a questo proposito—  ha comunicato di aver partecipato recentemente a un webinar moderato da Maria Rita Zannino, seminario in cui sono stati spiegati i punti principali del programma "Tesseramento ACLI" e ha comunicato inoltre  che presto sarà pubblicato un Tutorial professionale ad hoc, Tutorial già realizzato  —in modo artigianale— da Grasso, qualche tempo fa e da lui pubblicato nel sito delle ACLI Baviera.

Alle 17:00 circa —come anticipato sopra— c'è stato il momento del commiato, dato che diversi consiglieri avevano qualche centinaio di chilometri da smaltire prima di raggiungere le proprie abitazioni. Mentre i Consiglieri si sono dati appuntamento al prossimo Consiglio, la Presidenza si è data appuntamento a una prossima teleconferenza fra qualche settimana. Fernando Grasso, dip 4

 

 

 

 

 

Stoccarda. Intervista al Console Laura Lamia. Bilancio dei primi 100 giorni

 

È la prima donna a capo della più grande circoscrizione consolare nell’area comunitaria. Ha 46 anni, nativa di Salerno, brillante laurea in Scienze Politiche, laurea Magistrale per futuri diplomatici e dal 2008 in forza al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI).

Dopo vari incarichi in seno ad alcune Direzioni Generali, nel 2011 si trasferisce presso la nostra Ambasciata di Giacarta, in Indonesia.

Tre anni dopo è a Vienna a ricoprire il ruolo di Capo della Cancelleria consolare. Rientrata a Roma nel 2019 assume l’incarico di Capo Segreteria della Direzione Generale per l’Amministrazione, l’Informatica e le Comunicazioni.

Da ottobre del 2022 al 4 agosto di quest’anno è Vice Capo Missione presso la nostra Ambasciata d’Italia in Belgio. Il 5 agosto ha assunto servizio a Stoccarda come Console Generale.

Ama dipingere, scrivere poesie e godersi la natura con tante camminate. È senza dubbio un contrappeso alle questioni da dirimere quotidianamente nel maggiore consolato.

Questo è il quadro che si è fatta della nostra collettività nei suoi primi 100 giorni di mandato.

La comunità italiana, che risiede nel Baden-Württemberg, con i suoi quasi 200 mila connazionali rappresenta un po’ meno di un quarto del totale della comunità italiana registrata nell’intera Germania ed è la prima circoscrizione consolare nell’UE dopo l’uscita della Gran Bretagna. Se la prima ondata di emigrazione dall’Italia nella metà degli anni Cinquanta era costituita principalmente dai cosìddetti Gastarbeiter, la seconda e la terza generazione hanno visto una emigrazione più eterogenea, impiegata tanto nel settore della ristorazione che nell’industria automobilistica a vari livelli. Ad essi si affiancano ricercatori, scienziati, professionisti, musicisti, artisti ovvero la cd. nuova mobilità, costituita da numerosi giovani qualificati attivi nei diversi settori economici e particolarmente rappresentati nel settore universitario e scientifico. Registro una comunità in costante crescita, sia per gli arrivi dall’Italia di giovani e famiglie, sia per l’alto numero di nascite.

In ambito diplomatico la sede di Stoccarda è ritenuta una delle più difficili per la molteplicità di questioni e problemi da affrontare quotidianamente. È riuscita a trovare qualche soluzione soprattutto all’erogazione dei passaporti e delle Carte d’Identità elettroniche, i cui tempi di attesa sono causa di forte malcontento?

La situazione rispetto ad anni precedenti è oramai cambiata e i numeri lo dimostrano. A fronte di una crescita costante della collettività (sono 199.947 i cittadini residenti iscritti all’AIRE al 18 novembre 2024), i servizi sono aumentati e migliorati. Nel 2019 venivano emessi 6.746 passaporti e 917 Carte di Identità per un totale di 10.721 documenti emessi, mentre a settembre 2024 i dati registrano un incremento con 8.491 passaporti emessi (di questi ben 450 sono pratiche presentate al Consolato Onorario di Mannheim) e 8.615 Carte di Identità Elettroniche per un totale di 17.144 documenti lavorati. Quindi prima della fine dell’anno è già stato superato il totale annuale del 2023. Per quanto riguarda i tempi di attesa, occorrono sole 2 settimane per un passaporto e 5 settimane per una Carta di Identità.

Che rapporto è riuscita ad instaurare con la nostra collettività organizzata: Comites, Missioni cattoliche, Patronati ed associazioni sportive, ricreative e culturali?

Nel breve tempo dal mio arrivo in Sede, nell’agosto di quest’anno, ho avuto modo di constatare di persona il forte legame con l’Italia della comunità che vive nel Baden-Württemberg. Credo che l’apporto di Com.It.Es. e le varie associazioni e patronati presenti sul territorio, alcuni dei quali ho già avuto modo di conoscere, ma anche del C.G.I.E., sia fondamentale per mantenere saldo questo legame nell’ottica di quella “cittadinanza attiva” che è una componente preziosa della nostra identità culturale.

In ottobre si è tenuta nel mondo la 24esima Edizione della Settimana della Lingua Italiana. È una manifestazione del nostro Ministero degli Esteri che ogni anno tiene in paesi in cui operano i nostri Istituti di Cultura. Il tema di quest’anno era dedicato al connubio: “L’italiano e il libro: il mondo fra le righe”.Non a caso quest’anno l’Italia è stato Paese Ospite alla prestigiosa Fiera del libro di Francoforte. Che impatto si è registrato nella Sua circoscrizione consolare?

A Stoccarda è presente l’Istituto Italiano di Cultura, che opera attivamente e magistralmente su tutto il territorio del Baden-Württemberg. Per la 24ma Edizione della Settimana della Lingua Italiana, si sono svolte diverse iniziative culturali, sia a Stoccarda che in altre città: Tubinga, Heidelberg, Mannheim, Treviri, Friburgo, Saarbrücken, Mainz, Karlsruhe, in collaborazione tanto con le Università locali che con il Comitato della Dante Alighieri, per un totale di ben 14 iniziative. La Fiera del Libro di Francoforte è stata un successo, quale importante vetrina per l’industria del libro italiana, dimostrato dalle vendite record dei diritti di traduzione e dall’ampia partecipazione del pubblico nei cinque giorni di Fiera. Anche Stoccarda ha contribuito al progetto #DestinazioneFrancoforte che ha visto la partecipazione dell’Italia alla Buchmesse con un efficace gioco di squadra di tutte le articolazioni del Sistema Italia, dalla rete diplomatico-consolare alla rete degli Istituti Italiani di Cultura che ha curato la partecipazione a 12 festival letterari e quasi 40 appuntamenti editoriali, all’Ufficio ICE e ENIT, con la cerimonia per il “Premio ENIT” tenutasi quest’anno nella magnifica cornice del Padiglione Italiano per sottolineare in modo ancora più chiaro lo stretto legame tra turismo e cultura.

Sul piano dell’apprendimento della lingua e cultura italiana in Germania da anni si assiste ad un inarrestabile calo d’interesse sia nell’ambito delle istituzioni pubbliche (Università, Volkshochschulen, scuole di lingua, scuole dell’obbligo e licei/Gymnasien) che private tedesche. Ci sono strategie allo studio per un’inversione di tendenza?

No, non vi è un trend che registra un calo d’interesse. Anzi la domanda di lingua e cultura italiane continua a crescere! Rispetto al 2020, la domanda di lingua e cultura italiana è cresciuta del 36%. 18 Atenei tedeschi sono finanziati tramite il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, sia per quanto riguarda corsi di italiano per studenti che corsi di formazione per docenti.

L’Italia e la Germania sono legate non solo da indissolubili legami storici, sociali e culturali ma anche economici. Infatti in Italia operano oltre 1.700 aziende tedesche mentre in Germania di italo-tedesche se ne contano circa 47.000, di cui 10.000 nel Baden-Württemberg (BW) i cui scambi commerciali superano i 32 miliardi di euro. Quale attenzione intende riservare alle imprese nel corso del Suo mandato?

La collaborazione economica bilaterale, pur avendo indubbiamente risentito della crisi pandemica globale e della congiuntura economica tedesca, si conferma strategica. Le economie fra Italia e Baden-Württemberg (BW) sono profondamente integrate e molto spesso la componentistica italiana rappresenta una parte significativa del “made in Germany”. Lo scambio commerciale fra BW e il nostro Paese è molto buono: nel 2023 le esportazioni da questo Land hanno raggiunto quasi 15 miliardi di euro e le importazioni circa 18 miliardi, principalmente nei settori farmaceutico, dei macchinari, dell’industria metallurgica e alimentare. È mia intenzione stare al fianco delle imprese italiane, anche grazie all’operato della Camera di Commercio italo-tedesca, di cui ospitiamo un ufficio nell’edificio ove ha sede anche l’Istituto Italiano di Cultura e altresì in un’ottica di promozione integrata, in linea con quanto portato avanti finora dalla nostra Ambasciata a Berlino e dalla rete consolare.

Come detto, nella Sua circoscrizione si registrano attualmente oltre 200mila connazionali. In loro rappresentanza, nel dicembre del 2023 sono stati eletti 18 membri Comites. Che rapporto è riuscita finora ad instaurare?

Finora molto buono. Il Com.It.Es. di Stoccarda gode della mia massima fiducia. Mi auguro di lavorare in piena sinergia con il Presidente e i Consiglieri del Com.It.Es nonché con il CGIE, proseguendo l’ottima collaborazione già in essere con i miei predecessori. Sono sicura dell’apporto propositivo e costruttivo che verrà da parte loro.

Come sa, gentile Console Generale, con questo ultimo numero di dicembre il Corriere d’Italia, dopo 73 anni cesserà la pubblicazione cartacea per difficoltà economico-finanziarie. Questo inevitabile passaggio farà perdere certamente molti lettori della nostra prima generazione per scarsa dimestichezza con l’online. Ora in vista delle Festività Natalizie e del Nuovo Anno 2025, a Lei l’opportunità per un messaggio alla nostra collettività.

Con molto piacere approfitto di questa occasione per salutare i connazionali e per confermare il mio forte impegno e quello di tutto il personale del Consolato Generale a garantire servizi consolari efficienti e trasparenti. Desidero invitarli a consultare regolarmente il sito (https://consstoccarda.esteri.it/consolato_stoccarda/it/) per avere informazioni complete e affidabili circa le modalità per ottenere i servizi richiesti. Con molto piacere approfitto di questo spazio del Corriere d’Italia per far giungere a tutti i connazionali e loro famiglie i miei più sinceri e senti Auguri di un Sereno Natale e di un 2025 di Prosperità e Pace di cui c’è tantissimo bisogno!

Tony Màzzaro, CdI dic.

 

 

 

 

Berlino, eventi in Ambasciata

 

Apertura della 12º edizione del “Dialogo italo-tedesco sui servizi finanziari”

L’Ambasciatore d’Italia a Berlino Armando Varricchio ha ospitato l’evento di apertura del “Dialogo italo-tedesco sui servizi finanziari” che ha visto la partecipazione degli illustri membri delle Delegazioni italiana e tedesca, rispettivamente guidate dal Presidente di Unicredit Pietro Carlo Padoan e dalla Direttrice generale della Federazione tedesca delle Casse di risparmio DSGV Karolin Schriever. Joachim Wuermeling, docente e consulente presso la European School of Management and Technology (ESMT) in materia di finanza digitale è intervenuto in qualità di relatore ospite della serata. Il Dialogo italo-tedesco sui servizi finanziari, iniziativa coordinata per parte tedesca dal German Banking Industry Committee (DK – Deutsche Kreditwirtschaft) e per parte italiana dalla dalla FeBAF – Federazione Banche Assicurazioni e Finanza, ha come scopo il confronto sulle principali sfide poste dallo stato del sistema finanziario europeo. Molteplici gli argomenti al centro della dodicesima edizione del 29 novembre, tra i quali i rapporti Draghi e Letta le prospettive per la competitività europea, la strategia europea degli investimenti al dettaglio per le imprese finanziarie e di assicurazioni e gli sviluppi della digitalizzazione. “Questi incontri dimostrano quanto sia profondo e proficuo lo scambio di idee in materia finanziaria e politica tra Italia e Germania, ha detto l’Ambasciatore Varricchio, che ha sottolineato inoltre come questo dialogo assuma oggi “una rilevanza ancora maggiore, in quanto si inserisce nel quadro del Piano d’azione italo-tedesco, firmato a Berlino quasi esattamente un anno fa dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Cancelliere federale tedesco Olaf Scholz.”

 

Memorandum d’Intesa tra l’Università Luiss e ESMT

Il 9 dicembre scorso il rettore dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, Paolo Boccardelli, e il direttore della European School of Technology and Management di Berlino, Jörg Rocholl, hanno siglato il Memorandum d’Intesa tra le loro Università che pone le basi per l’avvio dei “Dialoghi italo-tedeschi per l’Europa”.

La firma è avvenuta in Ambasciata a Berlino alla presenza dell’ambasciatore Armando Varricchio, dell’ambasciatrice Catalina Cullas, direttrice per le relazioni con i Paesi dell’Unione Europea presso il Ministero Federale degli Affari Esteri, e il ministro plenipotenziario Alessandro Gaudiano, vice direttore generale e direttore centrale per i Paesi europei presso il Ministero degli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale.

L’iniziativa, sostenuta dall’Ambasciata, dall’Ambasciata tedesca a Roma, da Confindustria e dal Bundesverband der Deutschen Industrie, si propone di favorire il dialogo tra Italia e Germania, coinvolgendo il mondo universitario, dell’economia, della cultura e della società civile, con un’attenzione particolare rivolta alle giovani generazioni e alla loro proiezione nel contesto europeo.

La collaborazione tra le due Università è prevista articolarsi in varie forme di incontri e di scambi universitari e culminare con l’avvio dei “Dialoghi italo-tedeschi per l’Europa” che si svolgeranno ad anni alterni a Roma e a Berlino, riunendo alti rappresentanti delle istituzioni e dell’economia nella prospettiva di fortificare i legami italo-tedeschi.

Alla firma è seguito il panel dedicato al tema “Italy, Germany and the E.U. facing the challenges ahead” con gli interventi di Paola Severino, presidente della School of Law della Luiss, Lars-Hendrik Röller, fondatore e direttore dei Berlin Global Dialogues di ESMT, Stefan Pan, vice presidente per l’UE di Confindustria, e Tanja Gönner, direttrice generale di BDI, con la moderazione del giornalista Gordon Repinski di Politico.

Aprendo il panel, l’ambasciatore Varricchio ha sottolineato come l’iniziativa si inserisca nel quadro delle attività previste dal Piano di Azione italo-tedesco firmato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal cancelliere Olaf Scholz, la cui attuazione, a un anno dalla firma, ha già contribuito in modo significativo all’ulteriore rafforzamento dei rapporti politici, economici, di cooperazione scientifica e culturali tra i due Paesi.

“È certamente di cruciale importanza riflettere insieme sulle relazioni tra i nostri due Paesi”, ha proseguito Varricchio, “nell’attuale fase segnata da importanti sviluppi tanto nei rapporti bilaterali, riaffermati quest’anno al più alto livello in occasione della Visita di Stato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quanto in ambito europeo ed internazionale”.

“Con la firma del Memorandum d’Intesa insieme a un’istituzione accademica d’eccellenza come ESMT Berlin e l’avvio dei Dialoghi italo-tedeschi per l’Europa, l’Università Luiss rafforza il proprio impegno nel promuovere la cooperazione tra i Paesi fondatori dell’UE, chiamati a guidare una fase di profonda trasformazione geopolitica, socio-economica e tecnologica”, ha dichiarato il rettore Boccardelli.

“Nel solco di un percorso già da tempo avviato dal nostro Ateneo”, ha aggiunto Severino, “questa iniziativa pone l’educazione e la cultura al centro di un progetto comune per costruire un futuro europeo condiviso e coeso. Un progetto che guarda con particolare attenzione ai giovani, che saranno i protagonisti di questo cambiamento”.

Attraverso la partnership con la Luiss, Rocholl intende “posizionare l’istruzione, la ricerca e lo scambio culturale come pilastri fondamentali per plasmare un futuro europeo unito e lungimirante. Questa collaborazione riflette il nostro impegno comune a mettere le nuove generazioni in condizione di guidare con creatività, innovazione e un profondo senso di responsabilità nei confronti della società e del mondo”.

Per Stefan Pan, infine, “dopo quelli già ottimi tra i nostri Paesi e le nostre industrie, l’intesa tra Luiss e ESMT non può che contribuire a migliorare ancora di più i rapporti tra Italia e Germania. Promuovere uno spirito e soprattutto una visione veramente europei passa per iniziative come questa, che consentono ai giovani di cogliere fin da subito le opportunità offerte dal mercato unico e costruire un bagaglio di conoscenze all’altezza delle sfide globali”. (aise)

Germania, firmato all’Ambasciata italiana a Berlino Memorandum d’Intesa tra Università Luiss e ESMT Berlin che pone la base per i “Dialoghi italo-tedeschi per l’Europa”

 

Panel e show cooking in occasione della IV Giornata nazionale dello Spazio

Nei giorni scorsi è stata celebrata all’Ambasciata d’Italia a Berlino la “Giornata nazionale dello Spazio” che ricorre il 15 dicembre, data del lancio nel 1964 del satellite “S. Marco 1”, grazie al quale l’Italia e? diventata il terzo Paese, dopo Stati Uniti ed Unione Sovietica, a mettere in orbita un satellite artificiale interamente realizzato a livello nazionale. L’evento di quest’anno, intitolato “Frontiers of human nutrition in orbit: a journey to space and back”, svoltosi sotto forma di panel, seguito da uno show cooking, ha voluto unire scienza e gastronomia in modo da illustrare i processi di preparazione e conservazione dei cibi spaziali, ispirati alla tradizione enogastronomica italiana, realizzati con tecniche come la liofilizzazione e la termostabilizzazione per garantirne la durata e il valore nutrizionale in condizioni estreme. Al panel hanno partecipato l’Ingegnere Cesare Capararo, Capo dei Programmi, ALTEC S.p.A e lo chef creatore di ricette per il cibo spaziale Stefano Polato, Responsabile dello Sviluppo Alimentare di Freedom GmbH, moderati dalla Dott.ssa Sara Rocci Denis, Fondatrice e Ceo di EAT Freedom GmbH e il Colonello Luca Parmitano, Astronauta Capo, JSC/EAC Liaison Officer dell’Agenzia Spaziale Europea in collegamento live dal JSC Houston. Con i loro contributi hanno esaminato le sfide alimentari legate alla permanenza prolungata dell’uomo nello spazio concentrandosi sullo sviluppo di tecnologie per il cibo spaziale sostenibili per l’ambiente, mirate a ridurre al minimo gli sprechi e a preservare la qualità, il gusto e la sicurezza degli alimenti durante missioni prolungate. L’iniziativa promossa dal Ministero degli Affari Esteri per la Giornata Nazionale dello Spazio 2024 è nella sua IV edizione e ha l’obiettivo di far conoscere le ricette italiane create per le missioni spaziali, in collaborazione con la fondatrice di EAT Freedom, la Dott.ssa Sara Rocci, e lo Chef Stefano Polato. L’Ambasciatore Armando Varricchio, nel salutare gli invitati, ha voluto sottolineare come “la crescita economica, il benessere pubblico, lo sviluppo sostenibile, la protezione dell’ambiente, la sicurezza nazionale e il prestigio internazionale possono trarre vantaggio dal settore spaziale, che si basa completamente su tecnologie e servizi all’avanguardia”. L’Ambasciatore ha poi proseguito: “Sono tempi entusiasmanti per il settore spaziale. Le agenzie spaziali nazionali e gli attori privati stanno abbracciando una nuova visione strategica che si discosta dal concetto tradizionale di accesso allo spazio. L’Italia è estremamente attiva in questo senso, essendo il terzo contributore dell’Agenzia Spaziale Europea. Italia e Germania hanno concordato, nell’ambito del loro Piano d’azione comune, di dedicare una notevole attenzione a diversi aspetti dell’economia spaziale, tra cui la ricerca e lo sviluppo, le attività a monte, i servizi a valle e le applicazioni, la legislazione e la regolamentazione spaziale.” (Inform/dip/varie)

 

 

 

 

Eventi culturali a Berlino

 

Donatella Di Pietrantonio e gli studenti del liceo bilingue italo-tedesco Einstein

Donatella Di Pietrantonio, autrice del libro “L’età fragile”, vincitrice del Premio Strega 2024, ha incontrato il 29 novembre scorso due classi del Liceo Albert Einstein di Berlino al termine suo ciclo di presentazioni in Germania.

Ne dà notizia l’Ambasciata italiana, riportando che, in questa occasione, gli studenti hanno potuto dialogare con lei in un clima intimo e familiare. Molti gli interessanti interventi che hanno consentito all’autrice di esprimersi in modo diretto e talvolta anche personale su temi emersi dalla lettura del libro, quali il patriarcato, il femminicidio, la vita in una piccola comunità, il rapporto tra le generazioni. La scrittrice è stata piacevolmente accolta da molteplici domande, ricche di riflessioni profonde e personali.

“Scegliete quello che vi brucia dentro” è il consiglio della scrittrice a chi, come gli studenti, si interroga sul futuro che lo attende. “La lettura è la miglior scuola di scrittura” per tutti coloro che desiderano intraprendere la carriera di scrittore. L’autrice suggerisce di scrivere di sé, di temi che “ci riguardano direttamente, di nodi irrisolti e fragilità” per ottenere il coinvolgimento totale del lettore.

L’atmosfera di dialogo ha permesso di entrare tra le righe del romanzo nel corso di una splendida occasione per i ragazzi del Liceo bilingue, grazie all’iniziativa dell’Ambasciata d’Italia a Berlino in collaborazione con l’IIC di Berlino.

L’incontro si inserisce anche in una progettualità di più ampio respiro che ha portato i giovani a lavorare sul testo in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

 

Recital del pianista Giovanni Bellucci all’IIC il 16 dicembre

Il 16 dicembre all’Istituto Italiano di Cultura di Berlino concerto del pianista Giovanni Bellucci dedicato a  “Busoni: concertista, trascrittore, compositore” (ore 19 , ingresso gratuito, iscrizione via Eventbrite). Definito dal musicologo Sergio Sablich “sommo pianista, trascrittore geniale, straordinario didatta, pensatore acutissimo, compositore versatile e fecondo”, Ferruccio Busoni, che in vita ottenne un riconoscimento soltanto parziale, ebbe un grandissimo peso nella musica e nella cultura del suo tempo. Il programma di questo intenso e virtuosistico recital mette a confronto alcune tra le più importanti composizioni originali e le più imponenti trascrizioni pianistiche di Busoni con opere di altri celebri autori facenti parte del repertorio concertistico del grande virtuoso empolese, da J. S. Bach a Chopin a Liszt. Il pianista Giovanni Bellucci, più volte premio Editor’s Choice di Gramophone, per la rivista britannica “è un artista destinato a continuare la grande tradizione italiana, storicamente rappresentata da Busoni, Zecchi, Michelangeli, Ciani, Pollini”. Evento organizzato in collaborazione con Associazione Eraple, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Associazione Clape nel Mondo. (Inform/aise/dip)

 

 

 

 

 

Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex-Radio-Colonia

 

06.12.24. Merkel “Freiheit”: ricordi, giudizi e analisi

Da alcuni giorni nelle librerie tedesche e di mezzo mondo, è in vendita il libro di memorie dell'ex cancelliera Angela Merkel, presentato negli Usa con l'ex presidente, Barack Obama. Agnese Franceschini si sofferma sui contenuti del libro dal titolo Freiheit, Libertà, ma anche sulle reazioni di media e mondo politico. Infine con l'editorialista ed esperto di politica tedesca del Corriere della Sera, Paolo Valentino, tracciamo un bilancio su Merkel e la sua politica.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/merkel-libro-freiheit-ricordi-giudizi-analisi-germania-100.html

 

05.12.2024. Volontari uniti per una società migliore

Il volontariato è una colonna portante della nostra società secondo il presidente tedesco Steinmeier. Ma chi si impegna in Germania nel tempo libero e in quali settori? Ce ne parla Agnese Franceschini. E ci raccontano la loro esperienza due italiane in Germania: Manuela Rossi ha iniziato proprio da volontaria a lavorare per il Friedensdorf di Oberhausen, che cura bambini provenienti da Paesi in guerra o in crisi. Ora è diventato il suo lavoro; Elena Orsini, invece, si impegna a Magdeburgo nel Sassonia-Anhalt per la cultura e l'integrazione degli italiani di ogni età. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/volontariato-italiani-germania-friedensdorf-oberhausen-magdeburgo-100.html

 

04.12.2024. Il fascino del true crime tra Italia e Germania. Storie raccontate di crimini accaduti realmente, il true crime è un genere letterario, televisivo e digitale di grandissimo successo, ce ne parla Enzo Savignano. Lo scrittore ed ex magistrato Giancarlo De Cataldo ci spiega perché il true crime piace così tanto e cosa ha a che fare con la natura umana. Abbiamo raggiunto Anna Herbst, regista della serie true crime dell'ARD "Warum verbrannte Oury Jalloh?".

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/true-crime-germania-italia-100.html

 

03.12.2024. Speciale: Petra Reski, una giornalista tra Germania e Italia

Petra Reski vive e lavora in Italia da oltre trent’anni come giornalista investigativa e corrispondente per diverse testate tedesche. A partire dai primi anni '90 Reski ha condotto inchieste e reportage sulla mafia in Italia e sulla sua crescente diffusione in Germania. Nel suo nuovo libro "All'italiana! Wie ich versuchte, Italienerin zu werden" descrive il suo rapporto con l’Italia e con Venezia, sua città d'adozione. Cristina Giordano l'ha intervistata per COSMO italiano.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/petra-reski-giornalista-mafia-italia-germania-100.html

 

02.12.2024. Ondata di licenziamenti nelle grandi aziende tedesche

VW, Ford, Tyssenkrupp, i colossi del settore automobilistico, chimico e tecnologico tedesco sono in crisi e si preparano a licenziare migliaia di lavoratori, ce ne parla Agnese Franceschini. Abbiamo raggiunto Nicola Catapano, sindacalista e operaio della Volkswagen dove oggi i lavoratori hanno incrociato le braccia. Francesco Nicodemo ci parla invece della crisi alla Ford dove lavora come operaio specializzato.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/crisi-vw-ford-licenziamenti-germania-100.html

 

29.11.2024. Germania, le ultime sfide della legislatura

Il voto di fiducia su Scholz si avvicina, ma il Bundestag continua il suo lavoro: quali leggi o riforme avviate dalla coalizione semaforo possono andare in porto con l'opposizione o con gli ex-alleati liberali? Ce ne parla Cristina Giordano. Intanto è bufera sull'FDP di Lindner per un documento dai termini inaccettabili che pianificava nei dettagli l'uscita dal governo semaforo. Parliamo di questo, ma non solo, con Ubaldo Villani Lubelli, esperto di politica tedesca.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/germania-ultime-sfide-della-legislatura-politica-100.html

 

28.11.2024. Più forti le tendenze autoritarie in Germania e Italia

Più xenofobia e antisemitismo in Germania, insoddisfazione per la democrazia e desiderio di una guida forte nel Paese, rivela uno studio. E chi ha posizioni razziste ora vota soprattutto AfD e BSW. Ma l'AfD va vietata in quanto antidemocratica? Lo sostengono i 113 deputati che hanno presentato una mozione al Bundestag, ci aggiorna Cristina Giordano. Intanto il governo italiano punta col ddl sicurezza a punire anche il dissenso pacifico e non solo: ce ne parla la giurista Vitalba Azzollini.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/divieto-afd-xenofobia-ddl-sicurezza-autoritarismo-italia-germania-100.html

 

27.11.2024. Black Friday o Kauf- nix-Tag? Le nostre abitudini di consumo

Le offerte legate al Black Friday e alle Black Weeks sono innumerevoli in questi giorni, sia nei negozi che online: con il sociologo Massimo Cerulo parliamo dell'origine di questo fenomeno nato negli USA e del perché si è così diffuso anche in Europa. Per contrastare le conseguenze anche ambientali del Black Friday è nato il "Kauf-nix-Tag" ("Buy nothing day"), ce ne parla Thilo Maack di Greenpeace.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/black-friday-buy-nothing-day-kauf-nix-tag-consumismo-shopping-100.html

 

26.11.2024. Cosa ci rende felici, in Italia e in Germania? Dove si vive meglio in Germania? E quanto siamo soddisfatti in generale? Lo rivela l'Atlante della felicità pubblicato ogni anno, il "Glücksatlas". E quanto contano le condizioni di lavoro, che occupa gran parte della nostra vita? Ne parliamo con lo psicologo del lavoro di Lipsia Hannes Zacher. Diamo poi uno sguardo all'Italia: sono gli stessi fattori a renderci felici nel Belpaese? Ce lo spiega Francesca Petrella dell'istituto di ricerca IPSOS, che ha studiato la felicità in decine di Paesi.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/vita-felice-soddisfazione-germania-italia-lavoro-homeoffice-smartworking-100.html

 

25.11.2024. Affitti pagabili in Germania? Una missione (quasi) impossibile

Il governo semaforo, e in particolare la SPD, avevano iniziato la legislatura garantendo una svolta sugli affitti e sulla politica edilizia. Ben poco, però, è stato realizzato: dei 400.000 nuovi alloggi all'anno ne sono stati costruiti meno di due terzi, mentre gli affitti, nonostante la “Mietpreisbremse”, continuano a essere altissimi. Cristina Giordano riassume i numeri di questo fallimento, mentre Wibke Werner del Berliner Mieterverein e.V. spiega cosa fare per trovare casa a prezzi accettabili. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/affitti-casa-germania-governo-scholz-100.html

 

22.11.2024. Il canone televisivo in Germania e la riforma di ARD/ZDF

Sarà la Corte Costituzionale federale a mettere la parola fine sul contrasto tra ARD/ZDF e Länder tedeschi sull'importo del canone radiotelevisivo. Ma come funziona questa tassa in Germania e chi la deve pagare? Ce lo spiega Giulio Galoppo. È un dibattito acceso anche in Italia, dove fanno discutere alcuni casi eccellenti di presunta ingerenza politica nel servizio pubblico, ne abbiamo parlato con il giornalista Carlo Canepa.

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Rientro in Italia. Il trasferimento della pensione dalla Germania

 

Rubrica di informazione a cura dei patronati Acli Germania, Inca Cgil e Italuil. Questo mese a cura di Lara Galli di Inca CGIL

I processi decisionali che portano molti connazionali a scegliere di tornare a vivere in Italia alla fine della loro carriera lavorativa, svoltasi prevalentemente in Germania, sono di varia natura. Per la maggior parte dei casi, la scelta scaturisce da motivazioni personali più che da considerazioni di natura prettamente economica.

In questo articolo tratteremo il tema del rientro in Italia, focalizzandoci sulle procedure da seguire nella fase precedente al trasferimento, onde evitare di incorrere in svantaggi di tipo economico.

In particolare, tratteremo il caso di trasferimento di residenza, dalla Germania in Italia, di una persona che percepisce una pensione, indipendentemente dal fatto che questa sia di vecchiaia, di invalidità o di reversibilità.

Cominciamo con una precisazione di carattere generale ma importante: in caso di trasferimento dalla Germania in Italia, gli aventi diritto continueranno a percepire l’intero ammontare lordo della pensione, come se vivessero in Germania. Ciò significa che, indipendentemente dal luogo di residenza, e anche successivamente ad un eventuale trasferimento di quest’ultima, l’importo lordo della pensione percepita, non subisce alcuna variazione.

Quali sono i punti principali su cui porre l’attenzione e quali i documenti necessari in vista di un trasferimento della pensione?

1- La copertura sanitaria

2- Il regime fiscale.

3- L’accredito della pensione mediante versamento sul nuovo conto corrente.

Copertura sanitaria

Se si è titolari unicamente di pensione tedesca, prima di trasferirsi in Italia è necessario farsi rilasciare dalla cassa malattia tedesca (Krankenkasse) il modello S1 (ex modulo E121). Questo documento sancisce il diritto alla copertura sanitaria nel paese di residenza e deve essere presentato alla ASL di competenza del Comune di nuova residenza in Italia. In questo caso l’importo netto della pensione tedesca non subirà variazioni, in quanto, nonostante il cambio di residenza, sull’importo lordo della pensione tedesca continuerà ad essere trattenuta la quota per la “Krankenkasse” e la “Pflegeversicherung”.

– Se oltre alla pensione tedesca, si percepisce una pensione italiana o, nel caso in cui si percepisca solo una pensione italiana, il regime di assicurazione sanitaria di copertura non sarà più quello tedesco, bensì quello italiano. Dunque in questo caso, appena arrivati in Italia, sarà sufficiente rivolgersi alla ASL territoriale competente per essere automaticamente assicurati con il servizio sanitario italiano. Una volta in possesso della tessera sanitaria italiana si potrà richiedere l’esonero dal versamento della quota di cassa malattia tedesca sulla pensione tedesca, se percepita. Ciò significa che sull’importo lordo della pensione tedesca non verrà più applicata la detrazione relativa a “Krankenkasse” e “Pflegeversicherung”.

Imposte sulla pensione

Nel momento in cui si trasferisce definitivamente in Italia, si diventa soggetti fiscali italiani, pertanto si è tenuti a dichiarare all’ufficio delle imposte italiano tutti i redditi percepiti, anche se prodotti all’estero. Una di queste tipologie di fonte di reddito è la pensione tedesca. In Germania però vige un sistema fiscale differente. In Germania l’importo della pensione percepita non concorre pienamente alla base imponibile, bensì solo una percentuale di esso. Pertanto anche in Italia devono essere tassate le stesse somme che sarebbero tassate in Germania. Di conseguenza, solo una parte della pensione tedesca deve essere soggetta a tassazione in Italia.

Per richiedere la detassazione della pensione tedesca è necessario presentare domanda all’ufficio delle imposte di Brandeburgo. Si può procedere con una semplice mail (al seguente indirizzo: ria@finanzamt-neubrandenburg.de) descrivendo, con una breve nota, quanto richiesto. L’ufficio sopracitato invierà alla persona interessata un certificato attestante la quota esente da imposte.

Versamento della pensione tedesca nel nuovo Paese di residenza.

Per poter versare la pensione, l’ente previdenziale tedesco, Deutsche Rentenversicherung, necessita delle coordinate bancarie internazionali (BIC e IBAN). Al riguardo sono previste dichiarazioni di pagamento con le quali anche l’istituto di credito, sul quale ci si intende appoggiare per l’accredito della pensione, conferma i dati del conto corrente.

Il modello “dichiarazione di pagamento” deve essere firmato e timbrato dalla banca italiana ed inviato all’ente previdenziale tedesco, in originale. La variazione dei dati avviene generalmente nell’arco di quattro settimane. Si consiglia, onde evitare che quote di pensione non vengano pagate per la chiusura troppo anticipata del conto in Germania, di chiudere il conto corrente tedesco con data posticipata, incaricando la banca a chiusura del conto di mandare il saldo sul nuovo conto in Italia. Lara Galli, CdI dic.

 

 

 

 

Brevi di cronaca e di politica tedesca

 

Merz visita Kiev 

Friedrich Merz visita l’Ucraina per la seconda volta da quando è stato eletto leader della CDU. I suoi colloqui con il Presidente Volodymyr Zelensky e il governo si sono concentrati sui temi della sicurezza, delle infrastrutture critiche e della cooperazione bilaterale ed europea. “Sono andato a Kiev per rassicurare il governo e il popolo ucraino che la CDU e la CSU sono saldamente al loro fianco”, ha spiegato Merz. “Vogliamo che questa terribile guerra finisca prima possibile e che si ristabilisca la pace in Europa. Per questo, l’Ucraina deve essere messa in condizione di esercitare il diritto di autodifesa. Solo se l’Ucraina sarà forte, Putin sarà pronto a impegnarsi in negoziati. Se il nostro sostegno all’Ucraina si indebolisce, questa guerra durerà più a lungo. Se mostreremo coerenza nel nostro sostegno all’Ucraina, questa guerra terminerà più velocemente. Desideriamo che i nostri amici in Ucraina possano vivere in pace e libertà“. 

Il leader della CDU Merz ha prospettato la creazione di un gruppo di contatto europeo. L’Europa ha bisogno di una strategia comune, e la questione è anche “cosa accadrebbe se la politica americana in materia di Ucraina cambiasse sotto il futuro Presidente Donald Trump”, ha dichiarato. Nel contesto di un gruppo di contatto, è quindi possibile sviluppare una strategia comune “su come dobbiamo affrontare questa guerra”. 

Contrariamente alla posizione del Cancelliere Olaf Scholz, in caso di vittoria alle elezioni, intende consegnare all’Ucraina missili tedeschi Taurus, rimuovendo anche la limitazione della gittata delle armi finora fornite dalla Germania. La richiesta è fornire all’Ucraina maggiori possibilità nell’impiego delle armi tedesche: “Al momento stiamo lasciando l’Ucraina combattere ‘con le mani legate’ ”, ha dichiarato il candidato alla Cancelleria. La Germania deve quindi concedere all’Ucraina la possibilità di “combattere obiettivi militari poco oltre il confine ucraino-russo che attaccano gli obiettivi civili in Ucraina”.

 

Questione di fiducia: primo passo verso nuove elezioni

Dopo circa quattro settimane dalla rottura della coalizione semaforo, il Cancelliere Scholz (SPD) ha presentato alla Presidente del Parlamento Bärbel Bas (SPD) la richiesta di porre la questione di fiducia al Bundestag. La lettera contiene solo due frasi: “Egregia Signora Presidente del Bundestag, ai sensi dell’articolo 68 della Grundgesetz – la Legge fondamentale dello Stato –chiedo che venga posto il voto di fiducia nei miei confronti. Intendo rilasciare una dichiarazione al riguardo prima della votazione di lunedì 16 dicembre 2024. Con la presente vorrei aprire la strada a nuove elezioni anticipate per il Bundestag“. 

A differenza dell’Italia, la questione di fiducia nel parlamento tedesco è cosa molto rara. Anziché forzare la propria maggioranza nella direzione auspicata, di regola nella prassi parlamentare tedesca si sa già prima se il Cancelliere non ha più una maggioranza per sé stesso e se ci sarà un cambio di governo o si indiranno nuove elezioni. L’ultima volta l’allora Cancelliere Gerhard Schröder, capo di governo di una coalizione dei suoi Socialdemocratici con i Verdi, pose la questione della fiducia in Parlamento, perdendola. Si giunse allo scioglimento del parlamento e a nuove elezioni: la leader dell’opposizione Angela Merkel (CDU) divenne Cancelliera, governando poi la Germania per ben 16 anni.

 

Caduta di Assad: la Germania esprime cautela   

La caduta del regime di Assad ha suscitato scalpore anche in Germania. Il Cancelliere Scholz e il Presidente francese Macron hanno discusso della situazione in Siria durante una conversazione telefonica. “Entrambi hanno convenuto di essere pronti a collaborare con i nuovi governanti, ponendo come base i diritti umani fondamentali e la protezione delle minoranze etniche e religiose”, questa la nota del governo, in cui si legge anche che i due governanti “hanno sottolineato l’importanza di mantenere l’integrità territoriale e la sovranità della Siria, desiderando collaborare per rafforzare l’impegno dell’Unione europea in Siria, compreso il sostegno a un processo politico inclusivo in Siria”. Decisivo sarà quindi uno stretto coordinamento con i partner in Medio Oriente sull’ulteriore procedura. 

Il ministero degli Esteri tedesco vede la situazione nei confronti degli insorti siriani con sentimenti contrastanti. Dopo tutto, l’UE e le Nazioni Unite classificano l’HTS, forte della vittoria, come organizzazione terroristica, anche se “il gruppo si impegna a prendere le distanze dalla sua matrice estremistica”. A seguito della fine della dittatura di Assad, il ministro degli Esteri Annalena Baerbock mette in guardia da conclusioni troppo affrettate sulla situazione della politica di sicurezza nel Paese. “Nessuno può prevedere cosa accadrà in Siria nei prossimi giorni e cosa significherà in termini di politica di sicurezza”, non essendo chiaro “se altre persone potranno fuggire dalla regione o tornare in Siria”. Dopo questo iniziale sospiro di sollievo per la popolazione siriana, il ministro Baerbock ha chiesto che venga fatto tutto il possibile per garantire la protezione della popolazione sul posto e che si facciano progressi nel processo di pace.

Il leader dell’opposizione Friedrich Merz ha dichiarato che è troppo presto per tracciare un quadro definitivo della situazione. Tuttavia, non c’è dubbio che “la Russia esce gravemente indebolita dalla sconfitta del regime locale”. La cosa più importante ora è mantenere i contatti con la Turchia e analizzare insieme la situazione. “Solo allora potremo trarre conclusioni comuni, compresa la questione dei profughi, che tocca la Turchia almeno quanto noi”.

 

Rifugiati siriani: le autorità sospendono le domande d’asilo

Come in Italia e Francia, anche le autorità tedesche hanno rinviato le decisioni sulle domande di asilo dei rifugiati siriani. Lo ha reso noto il ministero degli Interni tedesco. La situazione, in Siria, resta sotto osservazione, e dopo la caduta del regime di Assad è difficile da valutare. “A ogni modo”, dichiara il ministero, “sulla base delle condizioni attuali e degli sviluppi non prevedibili, al momento non è possibile prendere una decisione definitiva sull’esito di una procedura di asilo.

Se dovesse delinearsi una situazione più stabile, il governo esaminerà la sua prassi e prenderà nuove decisioni in merito alle richieste di persone provenienti dalla Siria”. Ciò riguarda più di 47.000 richieste di asilo da parte di siriani che non sono ancora pervenute a un esito.

 

Elezioni: dibattito sulla coalizione con i Verdi     

Il Primo ministro bavarese e Presidente della CSU Markus Söder pensa alla futura alleanza di governo dopo le elezioni: “C’è bisogno di un’inversione di rotta fondamentale, non solo di un cambio di governo”. Tuttavia, considerando i Verdi come eventuali partner di coalizione, ciò non è possibile nel loro stato attuale, per questo il Primo ministro bavarese ribadisce che “a un tale scenario politico porrebbe il suo veto”.

L’appoggio di questa posizione proviene dal partito alleato CDU, il cui Segretario generale Carsten Linnemann ha ora respinto una possibile coalizione del suo partito con i Verdi, mettendo in guardia dal fatto che tale alleanza potrebbe rafforzare le frange politiche. Con i Verdi, il cambiamento di politica auspicato dalla CDU non sarebbe possibile, “perché rappresentano un ‘si continui così’ su temi centrali quali politica migratoria, economia e Stato sociale”.

 

Elezioni regionali: pronte le prime coalizioni       

È pronta la prima coalizione tra CDU, SPD e il partito populista di sinistra BSW in Germania. Dopo la CDU e la Bündnis Sahra Wagenknecht (Alleanza Sahra Wagenknecht, dal nome della sua fondatrice, acronimo BSW), ora anche l’SPD ha spianato la strada. In un sondaggio tra i membri, la maggioranza dei Socialdemocratici ha votato a favore dell’accordo di coalizione. In Turingia, il leader della CDU Mario Voigt è stato eletto nuovo governatore. Dopo dieci anni di opposizione in Turingia, la CDU sarebbe di nuovo alla guida di un governo regionale. 

La controversa coalizione ottiene 44 seggi nel Landtag, non sufficiente per la maggioranza, in quanto dipendente da una collaborazione con il partito della Sinistra. L’AfD aveva vinto le elezioni regionali di settembre con il 32,8% dei voti, ma tutti gli altri partiti avevano tassativamente escluso un’alleanza con il partito. La CDU era arrivata al secondo posto con il 23,6% delle preferenze, davanti a BSW con il 15,8% e all’SPD con il 6,1%. La Sinistra (die Linke), che finora con Bodo Ramelow come Primo ministro aveva governato la Turingia, ha ottenuto solo il 13,1% dei voti. FDP e Verdi non hanno superato la soglia di sbarramento del 5%.

La nuova alleanza di governo è stata stabilita anche nel Land del Brandeburgo: tuttavia, una coalizione a due tra l’SPD precedentemente al governo e il partito BSW, appena entrato nel parlamento del Land, basta solo a garantire una maggioranza risicata. Nel Land Sassonia, invece, si profila un governo di minoranza tra la CDU, che ha vinto le elezioni, e l’SPD, che comunque dovrà trovare le proprie maggioranze per i progetti di legge.

 

Immigrazione: i tedeschi rimangono cosmopoliti

L’atteggiamento dei tedeschi, nonostante i successi elettorali dell’estrema destra dell’AfD, rimane prevalentemente positivo. È quanto emerge dal cosiddetto “Barometro dell’integrazione 2024”, del Consiglio di Stato degli esperti in materia di integrazione e migrazione. La disponibilità a concedere protezione alle persone vittime di persecuzione politica o di guerre continua a essere elevata, scrivono gli autori. Secondo l’indagine, circa due terzi delle persone in Germania ritengono che la presenza di rifugiati accolti abbia un effetto positivo a lungo termine sulla vita economica e culturale. Nel settore del lavoro e delle relazioni sociali, secondo il barometro, le persone guardano positivamente all’integrazione.

I tedeschi, invece, sono più scettici rispetto a due anni fa in materia di vicinato e nei riguardi dell’istruzione. Uno dei motivi potrebbe essere un aumento dello scetticismo sulla capacità di integrazione offerta dal sistema educativo, spiegano gli esperti nel loro rapporto, mettendo in guardia in questo contesto dalla segregazione scolastica e dalle “classi di stranieri”.

 

Luoghi in Germania: Wuppertal                               

Wuppertal, nel Land della Renania Settentrionale-Vestfalia, 350.000 abitanti, è conosciuta  per un capolavoro di ingegneria: la Schwebebahn, ferrovia sospesa, che attraversa il centro della città per gran parte proprio sopra il corso del fiume Wupper, che dà il nome alla città collinare.

Ora Wuppertal fa parlare di sé per lo spettacolare tentativo di ricattare la famiglia dell’ex campione del mondo di Formula 1 Michael Schumacher, oggetto di discussione in tribunale da martedì scorso. L’imputato principale avrebbe chiesto 15 milioni di euro alla famiglia Schumacher, in caso contrario avrebbe messo sul darkweb le foto e i video privati della famiglia. A seguito di un grave trauma cranico occorso in un incidente sugli sci alla fine del 2013, la famiglia protegge costantemente Michael Schumacher: in giro non si trovano praticamente foto private o video della famiglia Schumacher, tantomeno del pluricampione del mondo. Nel frattempo, gli imputati hanno confessato e si sono scusati con la famiglia.

 

Visita del Cancelliere a Kiev: Scholz in campagna elettorale

A distanza di due anni e mezzo, il Cancelliere Scholz ritorna in visita a Kiev e promette all’Ucraina una fornitura continua di armi contro la Russia. Entro la fine dell’anno saranno messi a disposizione ulteriori armamenti per un valore di 650 milioni di euro da fondi già impegnati, tra cui carri armati, missili, droni e sistemi antiaerei. A metà novembre il Cancelliere Scholz era stato criticato a Kiev e nell’UE per la sua telefonata, dopo quasi due anni, con Vladimir Putin.

Dopo gli Stati Uniti, la Germania è considerata il principale fornitore di armi dell’Ucraina nella lotta difensiva contro la Russia. Secondo i dati del governo tedesco, dall’invasione russa del 24 febbraio 2022 all’Ucraina sono state consegnate o promesse armi e attrezzature militari tedesche per un valore di circa 28 miliardi di euro, in cui vanno aggiunti i 650 milioni di euro per le forniture previste entro la fine dell’anno. A una prima considerazione sembrano numeri impressionanti, ma molti di questi, come sottolineano gli esperti militari, sono solo “promesse” o “vecchie promesse”. 

Il Presidente Volodymyr Zelenskyj, durante la visita del Cancelliere, ha a sua volta sollecitato la fornitura di ulteriori sistemi di difesa aerea. “Stiamo cercando protezione per dozzine di oggetti speciali. La protezione finora disponibile non è sufficiente a causa dei massicci attacchi missilistici russi”, ha dichiarato durante la conferenza stampa congiunta. Ma il Cancelliere Scholz continua a non voler fornire i missili Taurus di produzione tedesca richiesti dall’Ucraina, considerati particolarmente efficienti. 

 

Forniture di armi: il governo inganna l’opinione pubblica?

Il Cancelliere sta ingannando i cittadini tedeschi sulla fornitura di armi? Questa è la domanda dei Verdi, che dal crollo della coalizione semaforo hanno formato un governo di minoranza con l’SPD. Da loro sono arrivate critiche pesanti alle cifre citate dal Cancelliere Scholz, che prevedevano ulteriori forniture di armamenti per un valore di 650 milioni di euro. “Questo pacchetto è la parziale attuazione del sostegno promesso dal Cancelliere a Zelenskyj in occasione della sua visita a Berlino dell’ottobre scorso. Il Cancelliere ne esce quindi a mani vuote”, ha spiegato il leader dei Verdi nella commissione per il bilancio del Parlamento, Sebastian Schäfer, accusando il Cancelliere di “menzogna” mirata. Il Vicecancelliere Robert Habeck dei Verdi ha rincarato la dose: per lui è giusto avere sì prudenza, “ma non ci si può gettare ai piedi di Putin”.

L’esperto di politica estera della CDU Roderich Kiesewetter ha criticato il viaggio del Cancelliere in Ucraina. “Il Cancelliere Scholz fa campagna elettorale sulle spalle del popolo ucraino e allo stesso tempo si mette al servizio delle narrazioni che suscitano paura di matrice russa”. Con il suo viaggio all’ultimo minuto in Ucraina, il Cancelliere Scholz ha cercato di “contrastare le crescenti critiche in Germania alla sua irresponsabile campagna elettorale”. Kiesewetter ha ricordato che “l’Ucraina continua a spingere per un ingresso immediato nella Nato, per armi a lungo raggio e l’approvazione per compiere attacchi contro obiettivi militari in Russia”.

 

Elezioni: CDU e Verdi si avvicinano                         

Il candidato alla Cancelleria e leader dell’opposizione Friedrich Merz (CDU) ha accusato l’SPD di giocare con le paure della popolazione in campagna elettorale. “Ogni volta che le cose si mettono male per l’SPD, si materializza lo spettro della guerra”, ha scritto il leader della CDU nella sua newsletter. Nelle campagne elettorali, l’SPD “non ha mai mostrato scrupoli a giocare con le paure radicate nel profondo della popolazione tedesca”. Il Cancelliere Olaf Scholz si atteggerebbe ad assennato “Cancelliere della pace” dalla moralità di ferro, tacciando tutti gli altri di non averne, questa l’accusa mossa da Merz al suo concorrente, convinto che con questa retorica “i Socialdemocratici vogliono distrarre dagli altri problemi del Paese”. Il Cancelliere Scholz aveva precedentemente accusato Merz di aver scelto una linea rischiosa nella politica ucraina. In una conferenza di partito, il candidato di punta dell’SPD ha messo in guardia dal dare alla Russia un ultimatum in vista di possibili consegne di missili cruise Taurus: “Posso solo suggerire prudenza: con la sicurezza della Germania non si gioca alla roulette russa”. Per le questioni di guerra  e pace serve mantenere una mente fredda, lui stesso rimane “fermo e lucido”, su questo “i cittadini possono fare affidamento”.

Nel dibattito la nuova leader del partito dei Verdi Franziska Brantner ha risposto di considerare il leader della CDU Merz un partner migliore del Cancelliere Scholz per la politica ucraina. “Pace, libertà in Europa e chiaro sostegno al fianco degli ucraini”, con Friedrich Merz funziona ancora meglio. “A dirla tutta”, prosegue la leader dei Verdi, “anche il Cancelliere Scholz era al fianco dell’Ucraina. Tuttavia, a causa di una discussione interna al partito sulla giusta linea da seguire, la posizione in merito del partito su questa questione rimane ancora incerta”, questa la riflessione di Brantner. Il leader dei democristiani, Merz si è espresso in modo simile: “Nella politica estera e di sicurezza ci sono sicuramente più somiglianze con i Verdi che con l’SPD. Per quanto riguarda la politica economica dei Verdi, tuttavia, qui le divergenze sono nette, quindi abbiamo bisogno di un cambiamento di rotta fondamentale “. Anche la CDU non farà una campagna elettorale incentrata sulle coalizioni.

 

I liberali lottano per la sopravvivenza politica    

Da quando hanno lasciato la coalizione semaforo, i Liberali dell’FDP sono sottoposti a forti tensioni. Ora che il Segretario generale si è dimesso, l’ex ministro della Giustizia Marco Buschmann assumerà il delicato compito di responsabile della campagna elettorale, con l’obiettivo di riportare l’FDP all’offensiva: “Il partito liberale deve ora dimostrare di avere le migliori risposte per rimettere in moto l’economia e proteggere la libertà di ogni singola persona dalla burocrazia e dalla prevaricazione statale. Questo è il nostro compito ora”.

L’ex Segretario generale dell’FDP Bijan Djir-Sarai si è dimesso pochi giorni fa come conseguenza della divulgazione di un controverso piano segreto dei Liberali per l’uscita dalla coalizione semaforo. Il cosiddetto documento “D-Day” dell’FDP conteneva un piano dettagliato per l’uscita dell’FDP dalla coalizione di governo semaforo con SPD e Verdi, descrivendo il possibile abbandono dell’FDP della coalizione con termini militari come “D-Day” e “battaglia a campo aperto”.

Il leader del partito Christian Lindner ha quindi difeso il documento di lavoro della centrale di partito, assicurando che questo non era mai stato discusso all’interno degli organi politici e di non esserne personalmente a conoscenza. Ciò che desta scalpore nel testo è il fatto che i vertici del partito avevano assicurato ai media e all’opinione pubblica fino all’ultimo di voler mantenere la posizione nella coalizione, mentre internamente pianificavano da tempo la loro uscita. L’ex ministro delle Finanze Lindner ha visto quindi crollare la sua credibilità. Al momento, l’FDP è fermo al 3-4% nei sondaggi – e quindi non poco lontano dalla soglia di sbarramento critica del 5% per l’ingresso nel Bundestag, e lontanissimo dall’11,5% conseguito alle elezioni federali del 2021.

 

Vendite di Natale: ottimismo per il commercio al dettaglio

All’inizio del periodo natalizio l’umore dei rivenditori al dettaglio tedeschi è migliorato come emerge dal rinomato Istituto di ricerca economica di Monaco di Baviera (IFO). Gli esperti affermano che, sebbene le aspettative delle attività economiche rimangano su livelli bassi anche per i prossimi mesi, emerge un trend positivo. “Le condizioni quadro sono comunque difficili”, scrivono nel loro rapporto. L’associazione tedesca dei commercianti (HDE) prevede un fatturato di 121,4 miliardi di euro per novembre e dicembre.

Si tratta di un aumento dell’1,3% rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente. Tuttavia, dopo le battaglie a colpi di sconti per il nuovo anno, i consumatori devono prepararsi a un ulteriore aumento dei costi, in quanto nei prossimi mesi i commercianti prevedono aumenti dei prezzi: “Soprattutto nel settore alimentare e dell’arredamento, i consumatori pagheranno di più alla cassa per lo stesso prodotto”, secondo l’Istituto IFO.

 

Luoghi in Germania: isola di Borkum                       

Sull’isola di Borkum (Isole Frisoni orientali, appartenenti alla Bassa Sassonia), un rifugio estivo nel Mare del Nord, circa 200 donne hanno manifestato per il mantenimento della controversa usanza di Natale “Klaasohm”. Il casus belli è stato un servizio televisivo sulla tradizione che ha suscitato indignazione in tutta la Germania. Il team televisivo ha filmato come le donne prese dai “cacciatori” durante la festa in strada, sono state percosse sui glutei con un corno di mucca – rispettando la tradizione.

In seguito alle pesanti critiche, gli organizzatori hanno annunciato di voler abolire l’usanza. “Come comunità, abbiamo chiaramente deciso di lasciarci alle spalle questo aspetto della tradizione e di continuare a concentrarci su ciò che caratterizza davvero la festa: la coesione degli isolani”, ha dichiarato l’associazione “Borkumer Jungens”. A quanto pare non avevano fatto i conti con le isolane, che vogliono continuare a mantenere la tradizione e non vogliono riconoscervi alcuno scandalo.  Kas 5 e 12

 

 

 

 

 

Il 2024 della Camera di Commercio Italiana in Germania

 

Francoforte. Il 2024 di ITKAM si chiude con grande successo, arricchito da un calendario di iniziative dedicate al nostro network italo-tedesco, che hanno rafforzato i rapporti tra Italia e Germania, creando nuove opportunità di business per le aziende dei due paesi.

 

La sostenibilità è stata il tema cardine del nostro 2024. Abbiamo infatti organizzato due German-Italian Energy Forum (GIEF) e un German-Italian Innovation Talk dedicati al tema dell’idrogeno verde. I due appuntamenti del GIEF2024 hanno registrato complessivamente una partecipazione di circa 250 ospiti e 30 speaker, mentre al German-Italian Innovation Talk, realizzato in collaborazione con Deutsche Messe AG presso Hannover Messe, hanno partecipato circa 120 ospiti e 7 relatori per un totale di 5 interventi. Le tre iniziative hanno creato il contesto ideale per avviare discussioni e partnership strategiche nell’industria energetica tra Italia e Germania.

 

Dopo due anni siamo stati felici di tornare ad organizzare la nostra Assemblea Generale dei Soci in presenza. L’evento ha accolto 150 ospiti nella splendida cornice della terrazza Skyline Studios di Radio Frankfurt e una keynote d’eccellenza dell’economista italiano Carlo Cottarelli.

 

ITKAM è stata attiva anche su tanti altri settori organizzando nel corso dell’anno 10 workshop tematici, 5 viaggi di delegazione, 3 fam trip del turismo e 7 fiere di settore, che hanno coinvolto complessivamente 800 partecipanti e 50 espositori.

Motivati da questi successi, non vediamo l’ora di ripartire! In attesa di rivederci a partire da gennaio auguriamo a tutti i nostri lettori Buon Natale e un Felice Anno Nuovo! Itkam 12

 

 

 

 

 

Gli italiani in Germania e la doppia cittadinanza

 

Doppia cittadinanza per gli italiani in Germania. Lo studio di Edith Pichler nel RIM (Rapporto Italiani nel Mondo)

Quanti italiani hanno la doppia cittadinanza? Hanno interesse ad averla? E come è cambiata l’idea di cittadinanza tedesca nel tempo? Ne parliamo con la sociologa delle migrazioni, Edith Pichler.

Nel Rapporto Italiani nel Mondo (vedi sotto) la terza parte è dedicata al tema della cittadinanza, quindi all’acquisizione della doppia cittadinanza e della cittadinanza italiana da parte di discendenti di emigrati italiani, per esempio in America Latina. Di come è la situazione in Germania ce ne parla Edith Pichler, (Centre for Citizenship, Social Pluralismo and Religious Diversity – Universität Potsdam) che per il RIM 2024 ha scritto il saggio Concetto “etno-nazionalistico” di cittadinanza plurale per un Paese di immigrazione.

Edith Pichler, facciamo una premessa. Dall’idea “romantica di nazione”, come scrive nel tuo saggio, (che poi ha avuto la sua aberrante degenerazione nel nazionalsocialismo), in base alla quale tedeschi non si può diventare, che sviluppo c’è stato nella legislazione tedesca?

Tedesco è “chiunque abbia la cittadinanza tedesca”. Questa può essere acquisita sia per nascita che per naturalizzazione. È quanto dice l’articolo 1 della Legge sulla cittadinanza tedesca (StAG) entrata in vigore nel 2024. Lo sviluppo del diritto tedesco in materia di naturalizzazione e cittadinanza nella storia recente può essere analizzato in tre fasi: il periodo dal 1913 al 1999, il periodo seguente fino alla nuova legge del 2024.

Quanti sono gli italiani che hanno acquisito la cittadinanza tedesca e quanti la richiedono ogni anno?

Secondo i dati dell’Ufficio di Statistica Tedesco nel 2023 i cittadini italiani con doppia cittadinanza erano 180.000. Di questi fanno parte i nati in Germania che ricevono automaticamente la cittadinanza tedesca se uno dei genitori vive da almeno otto anni con permesso di soggiorno (con la nuova legge ne bastano cinque) nel Paese. Sempre nel 2023 il 98,8% degli italiani che hanno ottenuto la cittadinanza tedesca ha mantenuto quella di origine. Questi dati sulla naturalizzazione in Germania dimostrano però che, nonostante sia possibile dal 2002 acquisire la doppia cittadinanza, il numero di cittadini italiani che ne fanno richiesta non è molto elevato. E questo, nonostante i Comites, Intercomites ed altre istituzioni del mondo associativo italiano, abbiano promosso negli ultimi decenni attraverso diverse campagne di sensibilizzazione, la naturalizzazione e la possibilità di ottenere la doppia cittadinanza.

Il numero degli italiani resta esiguo anche in relazione ad altri gruppi di cittadini naturalizzati, per esempio i turchi?

In questo contesto è interessante osservare le diverse pratiche di naturalizzazione fra gli immigrati discendenti dalla generazione dei cosiddetti “Gastarbeiter”. Alcuni di loro godono, come gli italiani, di privilegi dati da una certa forma di “cittadinanza europea”, ovvero dall’essere cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea. Gli immigrati di origine turca che, nel 2023 con quasi tre milioni di cittadini oriundi, sono in Germania la comunità straniera più numerosa, ebbene, fra loro, circa un milione e seicentomila ha la cittadinanza tedesca.

Come si spiega questo? La doppia cittadinanza è forse poco attraente per gli italiani?

A differenza dei turchi gli italiani nel contesto europeo godono di privilegi e di una condizione che non incentiva la naturalizzazione.

E il diritto al voto politico che peso ha? La cittadinanza dà diritto di voto e fra pochi mesi ci saranno le elezioni politiche anticipate in Germania. C’è poco interesse a votare, fra i connazionali in Germania?

Dipende se si ha una coscienza civile politica, portata anche dall’Italia e se si è partecipi e consapevoli dei propri diritti di cittadini per contribuire e dare voce a chi sta qui, indipendentemente dall’essere emigrati prima o seconda o terza generazione, che siano i cosiddetti “Gastarbeiter” o siano, secondo la legenda quotidiana i “cervelli in fuga” ed Expat. Tutti in fondo si rivolgono ai diversi patronati italiani presenti sul territorio tedesco per via della loro situazione lavorativa. Per fortuna abbiamo queste rappresentanze.

Ci sono differenze fra italiani di prima generazione, seconda… e i nuovi italiani in Germania in rapporto alla richiesta di doppia cittadinanza?

E sì perché la richiesta di naturalizzazione viene fatta dopo quasi più di 20 anni di permanenza in Germania, dopo 28 anni dagli italiani e dopo 23 dai turchi. Infatti questa generazione di “Gastarbeiter” era orientata al rientro a un ritorno a “casa”, ma le famiglie rimangono in Germania. Dopo anni di permanenza si decide di “stare qui”.

Si può pensare alla doppia cittadinanza per noi italiani in Germania come a un passaggio che vorrebbe compiersi in una cittadinanza europea?

Nel passato migrare era inteso, secondo il “modello del container”, come passaggio da un container-nazionale in un altro. Le nuove forme di mobilità e di soggiorno, così come i migranti con un habitus transnazionale, fanno sì che le pareti dei container-nazionali diventino sempre più porose e ci siano forme di deternazionalizzazione dei confini e di identità, cioè una sovrapposizione in contesto europeo di idee culture, usi e costumi, diventata quotidianità. E questa sovrapposizione dovrebbe dare senso e identità, legati al passato; essa ha costruito l’oggi e quello che siamo: i giovani che si muovono ora. La mobilità in Europa si dovrebbe trasformare da una migrazione in seguito ad accordi bilaterali sul reclutamento di forza lavoro e a spostamenti in seguito ai ricongiungimenti familiari, a nuove forme di movimento promosse dai processi di integrazione europea. La nostra generazione ha pensato a fare pace, forse anche attraverso la “guerra fredda”, pensiamo a De Gasperi, Schuman, Adenauer etc. erano uomini, e anche donne come Simone Veil, che hanno costruito l’Europa e contribuito alla nostra identità Europea. Speriamo che le generazioni future portino avanti il disegno europeo di pace e prosperità. Paola Colombo, CdI dic

 

 

 

 

Berlino. “Costruire l’inclusione scolastica: difficoltà, vantaggi e azioni concrete”: seminario il 24 gennaio 2025

 

Berlino – “Costruire l’inclusione scolastica: difficoltà, vantaggi e azioni concrete”: è il titolo del seminario organizzato da Comites di Berlino e Artemisia e.V. in collaborazione con la Herman-Nohl-Schule. L’incontro, aperto a tutti e rivolto in particolare a genitori, insegnanti ed educatori, si terrà alla Herman-Nohl-Schule di Berlino il prossimo 24 gennaio dalle ore 14 alle ore 16.30.  “Costruire un sistema inclusivo è – si legge sul sito del Comites –  una sfida sempre più complessa, in cui i valori personali e le difficoltà di implementazione si intrecciano dando spazio a posizioni più scettiche. A questa sfida, però, le scuole non possono più sottrarsi e sono chiamate a rispondervi. Infatti, le molteplici differenze in classe e l’eterogeneità degli alunni e delle alunne, richiedono un sistema inclusivo a tutto tondo, non solo nei confronti delle persone con disabilità. Il seminario affronterà l’inclusione scolastica su tre piani, sempre supportati da evidenze scientifiche: il primo, analizzerà le difficoltà di implementazione; il secondo, metterà in risalto i vantaggi di un sistema inclusivo; il terzo, offrirà spunti pratici e operativi per come realizzare concretamente una scuola inclusiva”. Relatori saranno Dario Ianes e Benedetta Zagni.  Introdurrà Amelia Massetti, Vicepresidente Comites Berlino e Presidente Artemisia. Porterà il saluto Federico Quadrelli, Presidente Comites Berlino. Modererà Alice Marchetto, Vicepresidente Artemisia e.V. L’incontro si svolgerà in italiano e in tedesco   Dario Ianes, già docente ordinario di pedagogia e didattica dell’inclusione presso la Libera Università di Bolzano, Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria. È co-fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson, per il quale cura numerose collane. Autore di vari articoli e libri e direttore della rivista Dida. Benedetta Zagni, psicologa dello sviluppo e dell’educazione. Formatrice e dottoranda in Psychological Sciences (Università di Padova | Centro Studi Erickson). Autrice di articoli scientifici e libri per la scuola. Si occupa di benessere emotivo a scuola, di apprendimento cooperativo, di riconoscimento e valorizzazione delle differenze in classe. (Inform/dip 8)

 

 

 

 

 

UE. Corpo europeo di solidarietà: aumento di 166 milioni di euro per il volontariato giovanile nel 2025

 

ROMA – La Commissione europea ha pubblicato l’invito a presentare proposte del Corpo europeo di solidarietà per il 2025, che sostiene la partecipazione dei giovani alle attività di volontariato nelle comunità di tutta l’UE e oltre. Il bilancio di 166 milioni di euro stanziato per il 2025 rappresenta un aumento significativo rispetto agli anni precedenti, a causa del recupero di fondi dagli anni della COVID-19, quando molte attività di volontariato non hanno potuto svolgersi. L’invito del 2025 sosterrà nuovamente progetti e attività di volontariato che promuovono la sostenibilità ambientale, le competenze e l’alfabetizzazione digitali, l’inclusione e la diversità, la cittadinanza attiva e molto altro ancora. Azioni mirate continueranno a sostenere le persone in fuga dalla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. I partecipanti possono inoltre prendere parte a un’ampia gamma di attività di solidarietà stimolanti incentrate su ambiti prioritari quali l’inclusione sociale, la transizione verde e digitale, la partecipazione democratica e le questioni relative alla salute. Parallelamente a questo invito, la Commissione ha pubblicato la relazione sul corpo europeo di solidarietà 2021-2023, che presenta i risultati che il programma ha ottenuto in questi anni e il modo in cui ha contribuito a promuovere la solidarietà in tutto il mondo. Nel periodo 2021-2023 il programma ha offerto a oltre 66.000 giovani la possibilità di far fronte a sfide sociali e umanitarie. La relazione racconta storie potenti e stimolanti provenienti da tutta Europa su come i giovani e le organizzazioni hanno risposto a disastri climatici e naturali e hanno sostenuto gli ucraini in fuga dalla guerra di aggressione della Russia. La relazione funge anche da invito ad agire affinché un maggior numero di giovani partecipi agli sforzi di solidarietà. Il Corpo è aperto ai giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, esteso a quelli tra i 18 e i 35 anni per attività di aiuto umanitario al di fuori dell’UE. I giovani interessati devono registrarsi sul portale del Corpo europeo di solidarietà, dove possono trovare le organizzazioni partecipanti. Anche i gruppi di giovani registrati sul portale possono presentare domanda di finanziamento per i loro progetti di solidarietà. (Inform/dip 2)

 

 

 

 

 

Il “Decreto flussi” è legge. Mons. Perego: “Un passo indietro della nostra democrazia”

 

Il cosiddetto “decreto flussi” è stato approvato oggi dal Senato e, dopo aver già passato l’esame della Camera lo scorso 27 novembre, diventa così definitivo.

Come riporta l’agenzia Ansa, tra le novità del testo – che, ricordiamo, nasce per regolamentare solo le modalità di ingresso in Italia per motivi di lavoro – c’è un nuovo elenco dei Paesi considerati “sicuri” come Bangladesh, Egitto e Marocco; la secretazione dei contratti pubblici relativi a fornitura di mezzi e materiali per il controllo delle frontiere e delle attività di soccorso in mare; la competenza delle Corti d’Appello e non più dei Tribunali specializzati, per quanto riguarda la convalida del trattenimento dei richiedenti asilo.

Sulla questione dei cosiddetti “Paesi sicuri” – in particolare tale status è dubbio per Bangladesh ed Egitto, alla luce della normativa europea -, la Corte di Cassazione ha proprio oggi chiesto di sospendere il giudizio in merito ai ricorsi presentati del governo contro le prime mancate convalide del trattenimento di migranti emesse dalla sezione immigrazione del tribunale di Roma il 18 ottobre scorso, in attesa che si pronunci la Corte di Giustizia dell’Unione europea.

A proposito del trasferimento di competenza sui provvedimenti di convalida del trattenimento dei richiedenti asilo, introdotto con un emendamento ad hoc nel decreto per ovviare alle criticità emerse con i Cpr in Albania, va registrato il parere negativo espresso dal plenum del Consiglio superiore della magistratura. Il Csm è preoccupato infatti per l’allungamento dei tempi nelle corti d’Appello – e dunque il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal Pnrr -, e per il rischio che a giudicare siano magistrati privi delle competenze necessarie. Il parere andrà al ministro della Giustizia Carlo Nordio, ma non è vincolante.

Sulle norme del decreto che riguardano i salvataggi in mare, è arrivato un commento molto preoccupato da parte delle organizzazioni civili impegnate in attività di ricerca e soccorso (SAR) nel Mediterraneo centrale, che esamina nel dettaglio le implicazioni delle nuove norme: “Il vero obiettivo del provvedimento non è la gestione dei soccorsi in mare, ma limitare e ostacolare la presenza delle navi umanitarie e arrivare a un piano di definitivo abbandono del Mediterraneo e di criminalizzazione del soccorso in mare”.

Ricordiamo anche che la Fondazione Migrantes era stata ascoltata lo scorso 24 ottobre dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera proprio in merito al cosiddetto “decreto flussi”, offrendo una serie di rilievi e proposte. La constatazione di fondo, al di là dell’estensione delle quote, è che il decreto flussi come unica modalità di ingresso legale dei lavoratori stranieri in Italia non soddisfa la domanda di manodopera di industriali, agricoltori, artigiani, operatori del turismo e famiglie. E neppure l’urgenza di regolarizzare decine di migliaia di lavoratori già presenti sul territorio italiano (se ne stimano oltre 500.000) e di non crearne altri.

Continua la prassi di inserire nel decreto flussi norme che riguardano altri temi. ”Una legge – ha commentato S.E. mons. Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes e del CEMI – che segnala la volontà di non tutelare, ma di respingere i richiedenti asilo: un grave passo indietro della nostra democrazia”. Migr.on. 5

 

 

 

 

 

Gli emendamenti del PD alla legge di bilancio 2025 per gli italiani all’estero

 

ROMA – Sono stati presentati alla Camera dei Deputati gli emendamenti del Pd alla legge bilancio 2025 in favore degli italiani residenti all’estero: la capogruppo del Pd alla Camera Chiara Braga ha tenuto una conferenza stampa con i deputati del Partito democratico, eletti nella Circoscrizione Estero: Nicola Carè, Cristian Di Sanzo, Fabio Porta e Toni Ricciardi. Per impegni in Senato non hanno potuto prendere parte all’incontro i senatori del Pd eletti nella circoscrizione Estero. Ha presenziato all’incontro anche Luciano Vecchi, responsabile del Dipartimento italiani nel mondo del Pd. Nel suo intervento Chiara Braga ha spiegato che per il Pd “gli italiani che vivono stabilmente all’estero e mantengono le loro radici sono una parte fondamentale della comunità italiana” e che quindi “serve un salto di qualità nelle politiche che li riguardano per garantire loro servizi e opportunità, considerandoli protagonisti della proiezione del nostro Paese nel mondo. Questo sostegno – ha aggiunto Braga – deve esplicarsi in tutti i settori da quello economico a quello sociale passando per il riconoscimento dei diritti fino a quello culturale”. Per la deputata si tratta di appoggiare la comunità italiana all’estero che , per numeri, è considerabile come un’altra grande regione italiana fuori dall’Italia. Per quanto riguarda la manovra la deputata, dopo aver criticato la scelta del governo di negare l’indicizzazione delle pensioni all’estero – un aspetto su cui è stato prestato un emendamento –, ha parlato della presentazione di misure di modifica in manovra volte a sostenere le strutture che si occupano degli italiani all’estero come le Ambasciate, la rete consolare, le Camere di Commercio e gli organismi che forniscono servizi e garantisco l’esercizio dei diritti agli italiani all’estero. Ha poi preso la parola Luciano Vecchi che ha sottolineato come il Pd sia sempre coerente negli impegni realistici e concreti anche verso le comunità italiane all’estero. “La nostra attenzione verso i milioni di italiani che vivono all’estero è dovuta a una convinzione: nessun cittadino può essere privato dei diritti di cittadinanza e dell’avere un ruolo di protagonista per il Paese”, ha spiegato Vecchi ricordando che il Pd è ben radicato nelle diverse ripartizioni della Circoscrizione Estero. Vecchi ha poi rilevato come, a fronte di un aumento costante degli italiani che si recano all’estero, non via sia un accrescimento delle risorse a loro destinate. Vecchi ha anche sottolineato l’importanza per chi emigra del fatto di poter avere un adeguato accesso alla pubblica amministrazione e ai documenti che possono servire soprattutto nei primi tempi di vita all’estero. “Vediamo negativamente il fatto che non si considerino milioni di italiani che rappresentano la ventunesima regione italiana come attori potenziali dello sviluppo dell’Italia stessa. Abbiamo nel mondo risorse umane straordinarie a cui non viene data risposta”, ha aggiunto Vecchi. Dal canto suo il deputato del Pd Toni Ricciardi (Ripartizione Europa) ha in primo luogo criticato il blocco, presente in manovra, della rivalutazione delle pensioni degli italiani all’estero, che inciderà sui prossimi anni, per un totale di 8 milioni di euro. Una questione che verrà discussa in Commissione Bilancio sulla base dell’emendamento presentato dal Pd. Ricciardi ha poi segnalato fra gli emendamenti, anche quello volto ad applicare in Italia una norma, già esistente in Spagna, che prevede, dal compimento del 70° anno di età del cittadino in Italia e all’estero, che il passaporto si rinnovi una tantum: questo, secondo Ricciardi, produrrebbe uno smaltimento di circa il 35% della pressione sulle sedi consolari e sulle questure. Una misura che per il deputato potrebbe generare anche un considerevole introito. “In Spagna funziona benissimo e credo che ci siano le condizioni per farlo anche qui”, ha aggiunto Ricciardi. Fra gli emendamenti segnalati dal deputato anche quelli sull’accesso alla disoccupazione per i rimpatriati e sull’ampliamento dello smart working per i frontalieri. “Abbiamo una delle pochissime costituzioni al mondo che sancisce la libertà di poter emigrare. Abbiamo una costituzione che sottolinea l’importanza delle comunità all’estero”, ha concluso Ricciardi ricordando che ci sono consolati in Europa che arrivano ad avere fino a 500 unità al mese di nuovi iscritti Aire, fra cui con tanti nuovi nati. Anche il deputato del Pd Fabio Porta (Ripartizione America Meridionale) si è soffermato, parlando di manovra “deludente”, sugli aspetti della legge di bilancio riguardanti gli italiani all’estero, come ad esempio il già citato lo stop alla perequazione delle pensioni e alle indennità di disoccupazione, tolte a chi è residente all’estero. Il deputato è poi passato alla questione dei servizi consolari. “Questi servizi di prossimità all’estero – ha rilevato Porta- che sono poi quelli che in Italia rappresentano i servizi comunali, con questa manovra di bilancio vengono tagliati nei prossimi tre anni di oltre 20 milioni”. In proposito il deputato ha anche ricordato come grazie alla legge,  a prima firma Ricciardi, sia stato istituito un primo fondo di quattro milioni per il miglioramento dei servizi consolari.  Porta ha concluso la sua riflessione sottolineando come il Partito Democratico stia lavorando concretamente per colmare le lacune delle politiche per gli italiani all’estero. Ha poi preso Nicola Carè (Pd- Ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide) che, dopo aver evidenziato l’importante contributo economico dato dagli italiani all’estero e dagli 80 milioni di oriundi all’export italiano, ha rilevato l’impegno del Partito Democratico in favore degli italiani all’estero, nonché della promozione della lingua e cultura italiana all’estero, dei Comites e del Cgie.  “Il problema vero – ha continuato il deputato – è che l’Italia stessa e gli italiani non riconoscono il fatto che i connazionali all’estero rappresentino effettivamente una grandissima risorsa per l’Italia”. Per quanto concerne la manovra Carè ha poi sottolineato la necessità di investire sulla promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo e sul sostegno alle Camere di Commercio italiane all’estero anche per favorire la crescita del nostro Paese attraverso la proiezione internazionale. Rilevata inoltre dal deputato l’esigenza di investire per migliorare, evitando le attese,  i servizi consolari per gli italiani all’estero. “In Manovra – ha concluso Carè – noi stiamo portando avanti dei temi specifici, non soltanto in quanto rappresentanti degli italiani all’estero, ma perché crediamo nell’Italia, e per questo motivo dobbiamo assolutamente essere coerenti con quello che si aspettano all’estero, cioè fare una battaglia per far sì che gli italiani nel mondo si sentano cittadini di serie A”.  E’ infine intervenuto Cristian Di Sanzo (Pd – America Settentrionale e Centrale) che, dopo aver evidenziato l’impegno del Partito Democratico per gli italiani all’estero in tutti continenti, ha ricordato i risultati raggiunti nella legge di bilancio 2022 in primo luogo con l’emendamento Carè sulle risorse per Camere di Commercio.  Il deputato ha anche richiamato l’obiettivo raggiunto con l’approvazione della legge a prima firma Ricciardi che istituisce un nuovo fondo di quattro milioni di euro per i servizi consolari. Una priorità, l’efficientamento dei servizi consolari, che viene riproposta negli emendamenti all’attuale legge di bilancio, come ad esempio la proposta che permetterebbe, dopo i settant’anni, di non rinnovare più il passaporto e che andrebbe a diminuire il carico di lavoro da parte dei consolati. Per Di Sanzo rimane poi centrale la promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, attraverso la semplificazione burocratica delle procedure per gli enti gestori.  Segnalato inoltre dal deputato l’emendamento alla manovra volto a ripristinare le risorse , al livello di due anni fa, per il Cgie ed i Comites, al fine di poter consentire a questi organismi di continuare a funzionale nella pienezza del loro mandato.  “Le battaglie che stiamo portando avanti come Partito Democratico- ha infine ricordato Di Sanzo – si basano in primo luogo sull’ascolto delle esigenze delle nostre comunità nei territori”. (Inform/dip 4)

 

 

 

 

La caduta di Assad e il vuoto di potere in Siria

 

La rovinosa e repentina caduta del presidente Bashar al-Assad ad opera dei ribelli siriani capitanati dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) è un evento di portata storica per il Medioriente, destinato ad avere effetti ad ampio raggio sugli equilibri di potere della regione. Equilibri che erano già stati profondamente scossi dalla guerra tra Israele e Hezbollah, gli scontri armati tra Israele e Iran e i ripetuti interventi dello Stato ebraico in Siria.

Indebolitosi pesantemente l’asse sciita che, insieme al sostegno di Mosca, aveva garantito la sopravvivenza del regime di Assad, i ribelli islamisti, che da tempo si stavano riorganizzando, hanno trovato la via libera per la loro marcia trionfale verso Damasco. Riusciranno ora a consolidare il loro potere? La caduta della famiglia Assad dopo decenni di dominio autocratico, fondato su uno spietato apparato repressivo, e una feroce guerra civile protrattasi per oltre 13 anni, lascia comunque un vuoto, ed è forte il dubbio che i nuovi padroni di Damasco siano in grado di colmarlo. Creare nuove strutture di potere sarà molto complicato. Paesi come il Qatar e soprattutto la Turchia, che hanno sostenuto sin dall’inizio la rivolta, ma anche altri paesi arabi, che temono un effetto contagio, sono ora interessati alla stabilizzazione del paese.

Ma il fronte dell’insurrezione è molto frammentato: oltre a HTS, comprende una miriade di altri gruppi, alcuni con radici solo locali, fra cui potrebbe aprirsi una sanguinosa competizione per il potere. Una nuova guerra civile fra i vincitori non si può escludere. Nell’intento di minimizzare le resistenze alla sua presa del potere, il capo di HTS, Abu Mohammad al-Golani, che è rapidamente emerso come il leader della rivolta, ha cercato di essere il più possibile rassicurante: ha ripetuto che il suo gruppo ha da tempo rotto con i terroristi di al Qaeda, ha promesso che rispetterà tutte le minoranze – fra cui è molto diffuso il timore di nuove pulizie etniche, come quelle subite da Al Qaeda e dall’Isis – e ha detto di non avere alcun interesse ad estendere la sua azione al di là del confine siriano e di voler anzi cooperare con tutti i paesi della regione. Dopo la conquista di Damasco vari voci del fronte anti-Assad hanno anche prospettato un governo transitorio che apra la strada a elezioni o a un referendum e a un nuovo assetto istituzionale.

Tutte queste promesse e rassicurazioni verranno messe alla prova già nelle prossime settimane. Il timore che vari gruppi terroristici possano sfruttare la situazione per rialzare la testa è molto diffuso. Larghe parti della Siria rimangono peraltro sotto il controllo di paesi o gruppi stranieri; ciascuno si è ritagliato una fetta di territorio funzionale ai suoi interessi geopolitici e non sembra intenzionato a cederla. Anzi, c’è il rischio che mirino ad espanderla, come in parte sta accadendo, anche solo per fronteggiare i rischi emergenti.

Nuove dinamiche conflittuali potrebbero aggiungersi a quelle che hanno devastato il paese negli ultimi anni. Una ricomposizione territoriale appare, al momento, uno scenario assai remoto. Turchia e paesi arabi potrebbero adoperarsi, come si è detto, per un processo di riconciliazione nazionale, ma prima deve emergere una leadership credibile a Damasco. La Russia, che ha subito un duro colpo, presumibilmente farà di tutto per mantenere le sue basi navali sulla costa mediterranea del paese, anche se ora potrebbe piuttosto puntare, secondo alcuni osservatori, a costruirne una nuova in Cirenaica, grazie ai buoni uffici del generale Haftar.

I paesi occidentali hanno salutato con soddisfazione la caduta di Assad. La priorità, hanno dichiarato all’unisono i leader europei è di garantire la sicurezza. Ma resta da vedere se la diplomazia europea riuscirà a svolgere, a differenza che in passato, un ruolo apprezzabile. Gli Usa hanno reso noto che manterranno la loro presenza nella Siria orientale per contrastare l’Isis con l’aiuto delle milizie curde. Ma che cosa poi farà Donald Trump, una volta alla Casa Bianca, è incerto, né aiutano granchè a svelarlo i suoi commenti sugli sviluppi in Siria. Vorrebbe disimpegnarsi il più possibile dal Medioriente – un sogno coltivato anche dai suoi predecessori – ma tutto lascia pensare invece, anche alla luce di quanto accaduto negli ultimi giorni, che il calcolo degli interessi in gioco indurrà gli Usa ad avere un ruolo di rilievo anche in questa nuova crisi. Ettore Greco, AffInt.9

 

 

 

 

 

Europei nell’essere

 

Dal 1979 esiste un Parlamento UE, eletto suffragio universale, che rappresenta oltre ottocento milioni di cittadini dei Paesi che hanno aderito all’Unione. Esiste, inoltre, una Corte i Giustizia e una Banca Europea (BCE). Insomma, l’UE rappresenta un’imprescindibile realtà socio/politica non solo nel Vecchio Continente. Il nostro Paese è stato uno dei primi a credere in una Federazione Europea. Da Roma sono nate tutte quelle premesse che hanno portato all’attuale realtà. Che l’idea sia stata buona è anche confermato dal fatto che altri Paesi d’Europa intenderebbero farne parte.

 

L’Italia, però, ha ancora da affrontare suoi problemi interni e internazionali. Certo è che ci sono, tuttora, delle mete interiori da conquistare. Tuttavia essere europei è importante. Sotto ogni profilo. Del resto, oltre tre milioni di cittadini italiani vivono in altri Paesi UE e la loro integrazione si è realizzata in termini ormai più che fisiologici. Quindi, italiani sì, ma anche cittadini d’Europa. Senza preconcetti di sorta.

 

 La nostra Comunità nel Vecchio Continente è, ora, più numerosa di quella in essere nelle Americhe. Mostrarsi europei, quindi, significa anche condividere una realtà ben più articolata di quella vissuta sul territorio nazionale e nel resto del mondo. Mentre riteniamo che in questo nuovo Millennio la società europea sarà ampiamente multi etnica, potrebbe essere varata anche una Costituzione Europea e, dati i tempi, un esercito comunitario. Il tutto “rafforzato” da una Costituzione Europea.

 

Pur se ci vorrà ancora tempo per superare alcuni comportamenti tipicamente “nazionalisti”, non verrà meno l’impegno per andare oltre. Superati i compromessi, il futuro che ci attende favorirà anche il rilancio dello sviluppo socio/economico tra gli Stati membri. L’Italia ne ha estremo bisogno. Perché essere “parte” di un “, tutto” resta una garanzia che, oggi, non ci può trascurare. Insomma, essere cittadini d’Europa è una garanzia imprescindibile.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Alina Frolova: “A volte i Paesi occidentali sopravvalutano la forza della Russia”

 

Intervista con Alina Frolova, Deputy Chair del Centre for Defence Strategies e ex Vice Ministro della Difesa ucraino, realizzata durante l’evento Ukraine Resisting: How to Achieve a Durable Peace? organizzato lo scorso 25 novembre dall’Istituto Affari Internazionali. conversazione trasmessa da Radio Radicale, nella trasmissione “Spazio Transnazionale”.

I russi hanno reclutato militari coreani del nord e yemeniti, hanno aumentato decisamente i bombardamenti sulla popolazione dell’Ucraina e hanno utilizzato un nuovo missile Oreshnik. Che fase è questa della guerra russa contro l’Ucraina?

Tutto questo ci dice che la Russia sta esaurendo le sue risorse. Non ha abbastanza soldati ed è costretta a coinvolgere la Corea del Nord e altre nazioni. L’uso di questo Oreshnik non ha alcun senso militare. È stata più che altro una dichiarazione politica visto che in realtà avevano usato già più volte dei vettori nucleari verso l’Ucraina come l’Iskandero qualcosa di simile. Credo che a volte i Paesi occidentali sopravvalutino la forza della Russia. Ciò che dobbiamo cercare di fare è di individuare le loro lacune per diminuire al massimo la loro capacità di combattere.

Il Presidente ucraino Zelensky continua a dirsi fiducioso che la guerra con la Russia possa finire nel 2025, dichiarando che a gennaio avremo un piano e che vedrà anche con interesse le proposte di Trump per raggiungere la pace. Qual è la sua idea in merito?

 

Abbiamo la possibilità di finirla nel 2025? Sì, ce l’abbiamo. Tutto dipende da come vogliamo che finisca questa guerra. Naturalmente, gli ucraini sono desiderosi di vincere. Per vincere questa guerra abbiamo bisogno di risorse, di maggiori risorse da parte dei nostri partner, di maggiori investimenti nell’industria della difesa ucraina e di una pianificazione congiunta delle nostre capacità militari.

Congelare il conflitto non porterà a circostanze positive, lo abbiamo già fatto nel 2014 e questo ha portato a un’escalation molto più grande in pochi anni.. È dunque possibile congelare il conflitto? Certo che sì, ma non vedo la disponibilità dei russi a farlo. Questo significa che avremo solo qualche anno di tempo prima della prossima invasione in Europa.

Se Trump proporrà all’Ucraina di perdere questa guerra e di seguire completamente le dinamiche della Russia, l’Ucraina lo rifiuterà, quindi non c’è questa opzione sul tavolo.

Tutto dipende dalla strategia ucraina e da quella dei nostri partner. Ma direi che dobbiamo vincere questa guerra e ciò significherà una pace sostenibile, non solo un congelamento.

 “L’Ucraina non può permettersi di perdere decine di migliaia di vite per reclamare la Crimea, ma la penisola potrebbe essere restituita attraverso la diplomazia”. Sono parole del presidente ucraino Zelensky in un’intervista a Fox News. Come giudica queste parole del Presidente?

A volte si sente dire che la guerra territoriale si conclude con i negoziati, il che non è vero. I negoziati di solito sono solo una fissazione della posizione in prima linea. Se isoliamo la Crimea, isolando il ponte e a quel punto la logistica russa verso la Crimea, i russi saranno pronti a negoziare perché non avranno altre possibilità di sostenere le loro forze in Crimea. Dovranno trovare una soluzione. Si tratta quindi di una via diplomatica? Sì, ma prima della via diplomatica, abbiamo bisogno di raggiungere un posizionamento molto forte in prima linea. Non ci resta che comprendere il prossimo anno la visione della nuova amministrazione Trump. Ma non solo. Ci sarà il nuovo governo tedesco e altri nuovi partner europei. Dovremo accordarci con loro per ottenere alcuni obblighi e capire come raggiungere questa via diplomatica. Francesco De Leo, AffInt. 2

 

 

 

 

 

Migranti. Il decreto flussi è legge: stretta sui ricongiungimenti e sui cellulari

 

Approvato in via definitiva dal Senato. 110mila stagionali nel 2025 in turismo e agricoltura. Raddoppiato il tempo per far arrivare i familiari, controlli sugli smartphone all'arrivo – di Vincenzo R. Spagnolo

Dopo il primo via libera della Camera a fine novembre, oggi è arrivato quello del Senato. Com’era prevedibile, il governo ha superato agevolmente lo scoglio del voto di fiducia, con 99 sì, 65 no e una astensione. E dunque il decreto sui flussi migratori, dopo la promulgazione e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, diventerà legge.

Il testo - in cui è confluito anche il nuovo elenco dei cosiddetti «Paesi sicuri» (come l’Egitto e il Bangladesh) verso cui secondo il governo i migranti potranno essere respinti -, contiene la programmazione degli ingressi per lavoro (110mila stagionali per agricoltura e turismo) nel prossimo anno e introduce diverse norme oggetto di perplessità di giuristi, enti umanitari e sindacati.

La maggioranza ne saluta l’approvazione con soddisfazione: «Dietro il business dell’accoglienza ci sono cooperative, associazioni e sindacati, perciò la sinistra vuole sabotare i nostri decreti», argomenta il senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni. E la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro ritiene «irricevibili le accuse di razzismo e crudeltà» mosse al governo. Dal canto loro, le opposizioni bollano le misure come «disumane» e giudicano, per dirla col leader di Iv Matteo Renzi, i centri in Albania «grandi buffonate, costate un miliardo di euro».

Nel testo c’è l’assegnazione - soprannominata “emendamento Musk” perché introdotta dopo le polemiche seguite a una sortita social anti toghe del magnate americano - alle Corti d’appello di competenze sui procedimenti di convalida o proroga del trattenimento dei richiedenti asilo, anziché alle sezioni specializzate in immigrazione dei tribunali civili.

Una previsione su cui il Csm ha espresso un parere negativo (che verrà trasmesso al Guardasigilli Carlo Nordio, ma che non è vincolante), motivandolo col rischio di un allungamento dei tempi di giudizio nelle corti d’Appello (con conseguente pericolo di mancare il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Pnrr) e col fatto che a giudicare saranno magistrati privi delle competenze necessarie. E sempre oggi, la sezione civile della Cassazione ha deciso di prendere tempo (la pronuncia arriverà nelle prossime settimane) per valutare i ricorsi del ministero dell’Interno contro le decisioni delle suddette sezioni Immigrazione, che nei mesi scorsi hanno bocciato le convalide di trattenimento dei migranti portati in Albania, chiedendo alla Corte di giustizia europea una pronuncia sul tema dei “Paesi sicuri”.

Tornando al decreto convertito in legge, un’altra stretta riguarda i migranti che arrivano in Italia, che potranno vedersi ispezionati gli smartphone (gli agenti potranno visionare foto, video e rubriche, ma non messaggi personali e chat), se non sono in grado di fornire documenti d’identità. Ancora, per i ricongiungimenti familiari bisognerà soggiornare in Italia due anni (finora era uno), norma che secondo il vicepremier Matteo Salvini (che ritiene il varo del testo, su cui la Lega ha spinto, «un’ottima notizia») consentirebbe «un risparmio di 500 milioni».

Infine, il testo introduce sanzioni e fermi amministrativi per le Ong che fanno salvataggi in mare: il passaggio delle loro navi in acque italiane potrà essere vietato dal ministero dell’Interno per ragioni di ordine pubblico, ma non durante i soccorsi in mare; e gli aerei degli stessi enti, che sorvolano il Mediterraneo in cerca di barconi in difficoltà, dovranno avvisare le autorità in caso di avvistamento (segnalazioni che comunque già avvengono). Misure che le ong ( da Mediterranea Saving Humans a Medici Senza Frontiere fino a Open Arms, Sea Watch e altre) in una nota definiscono «punitive», col «vero obiettivo» di arrivare «a un piano di definitivo abbandono del Mediterraneo e di criminalizzazione del soccorso in mare». Avvenire 4

 

 

 

 

Geo Barents lascia il Mediterraneo centrale: "Leggi assurde"

 

Msf annuncia la fine delle operazioni "per colpa di leggi assurde e insensate, dal decreto Piantedosi del gennaio 2023 al suo inasprimento del dicembre 2024. Torneremo in mare il prima possibile"

La Geo Barents, nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere (MSF), conclude le sue operazioni nel Mediterraneo centrale. Nonostante le oltre 12.675 persone soccorse e le 190 operazioni di salvataggio effettuate da giugno 2021, Msf annuncia la fine delle operazioni "per colpa di leggi assurde e insensate, dal decreto Piantedosi del gennaio 2023 al suo inasprimento del dicembre 2024. Msf tornerà in mare il prima possibile per salvare vite nel Mediterraneo centrale, dove oltre 31.000 persone sono morte o disperse dal 2014, e conferma il suo impegno per assistere le persone in movimento in una delle rotte migratorie più letali al mondo. Torneremo anche per testimoniare e denunciare le violazioni commesse contro le persone migranti dall’Italia, gli stati membri dell’Unione europea a altri attori”, afferma Juan Matias Gil, capomissione di MSF per la ricerca e il soccorso in mare.

"Negli ultimi 2 anni la Geo Barents ha subito 4 sanzioni da parte delle autorità italiane, per un totale di 160 giorni in cui è stata sottoposta a fermo amministrativo, per aver semplicemente adempiuto al dovere umanitario e legale di salvare vite in mare. La prassi delle autorità italiane di assegnare porti lontani, spesso al nord, per lo sbarco delle persone soccorse in mare, ha ulteriormente minato la capacità della Geo Barents di soccorrere vite in mare e di essere presente dove è più necessario - spiega Msf - Dall’entrata in vigore del decreto Piantedosi, la Geo Barents ha trascorso metà dell'anno navigando da e verso porti lontani invece di assistere le persone in difficoltà. Nel giugno 2023, ad esempio, le autorità italiane hanno ordinato alla Geo Barents, che può ospitare fino a 600 persone a bordo, di dirigersi a La Spezia - a più di 1.000 km di distanza - per sbarcare 13 sopravvissuti, nonostante la disponibilità di porti molto più vicini".

“Invece di utilizzare la capacità di soccorso delle navi umanitarie, le autorità italiane ne hanno minato l’operatività. Le leggi e le politiche italiane esprimono un vero e proprio disprezzo per le vite delle persone che attraversano il Mediterraneo”, afferma Margot Bernard, coordinatrice del progetto di Msf. “Le storie di decine di migliaia di sopravvissuti riecheggiano ovunque sulla nostra nave, i bambini hanno mosso i primi passi su questi ponti, le persone hanno pianto i loro cari. Quando le politiche europee di deterrenza causano così tanta sofferenza e costano così tante vite, abbiamo il dovere di insistere a favore dell'umanità”. Adnkronos 13

 

 

 

 

Orysia Lutsevych: “La guerra deve concludersi in modo che l’Ucraina possa prosperare come Stato sovrano”

 

Intervista con Orysia Lutsevych, Head of the Ukraine Forum di Chatham House, realizzata durante l’evento Ukraine Resisting: How to Achieve a Durable Peace? organizzato lo scorso 25 novembre dall’Istituto Affari Internazionali. Conversazione trasmessa da Radio Radicale, nella trasmissione “Spazio Transnazionale”.

Trump si dice convinto di poter riportare la pace in Ucraina e Zelensky si è detto pronto ad ascoltare le sue proposte. Qual è la sua idea?

Trump ha detto che finirà la guerra in 24 ore, ma non ha detto come lo farà. È un grande interrogativo sul tipo di approccio che la sua nuova Amministrazione e il suo team di politica estera, difesa e sicurezza applicheranno. In questo momento, mentre conversiamo, non c’è alcuna chiarezza. Il Presidente Zelensky ha proposto la pace attraverso la forza, ovvero l’esercitare la massima pressione sulla Russia sul campo di battaglia e attraverso l’aumento delle sanzioni, al fine di aumentare i costi per la Russia di questa invasione illegale e non provocata. In questo momento, l’Ucraina è in svantaggio sul campo di battaglia e la guerra di logoramento russa sta ottenendo qualche successo tattico, conquistando lentamente altro territorio ucraino. E Kyiv capisce che non può negoziare con la Russia da una posizione di debolezza. Quindi, a due mesi dall’insediamento di Trump, potremmo vedere alcune misure drastiche adottate sia dalla Casa Bianca di Biden per mettere l’Ucraina in una posizione migliore per difendersi, sia dagli europei per progettare una strategia su come sostenere l’Ucraina anche se l’America diminuisce la sua assistenza. Quindi è tutto in divenire, ma l’Ucraina si sta preparando per i tempi duri che verranno.

L’autorizzazione da parte di Stati Uniti e Regno Unito all’utilizzo di missili a lunga gittata in territorio russo, potrebbe essere una svolta da un punto di vista bellico, o è una mossa utile per futuri negoziati?

È un punto molto significativo della guerra, perché all’Ucraina sinora è stato permesso di combattere con una mano dietro la schiena non potendo colpire le infrastrutture militari e i punti di comando all’interno della Russia. Questo manda un segnale molto forte a Putin: gli Stati Uniti, in particolare, ma anche il Regno Unito e la Francia, non hanno paura di un’escalation e forniranno all’Ucraina le capacità per sconfiggere i contingenti russi sul proprio territorio e su quello russo al confine, perché gli ucraini non stanno usando missili a lunga gittata in profondità nel territorio russo, ma stanno attaccando le regioni di confine. Ma la svolta può portare a maggiori risultati se ci fosse una scorta di questi missili, perché averne un numero esiguo non cambierà molto. Anche l’avere una difesa aerea che permetta all’Ucraina di proteggere le proprie città e infrastrutture in vista dell’inverno, può funzionare solo come uno sforzo combinato.

 

Ci aiuta a capire le ultime dichiarazioni di Zelensky: “Non è giusto morire per la Crimea”, “Guarderemo le proposte di Trump”? Sembra quasi avvicinarsi un negoziato. Cosa vuol dire il Presidente?

Ad essere onesti, è molto difficile dare un giudizio…Perché negoziare quando abbiamo già una guerra? Di solito i negoziati concludono una campagna militare. Non è detto che questi negoziati risolveranno la guerra, ma in questo momento la preoccupazione principale è che non credo che Putin sia davvero pronto a negoziare, anche se l’Ucraina e Trump lo volessero. Putin non ha raggiunto alcun obiettivo di guerra. Non ha preso il Donbas, non ha indebolito Kyiv. Non ha distrutto l’esercito ucraino. Perché dovrebbe venire a negoziare ora? Quindi, l’Ucraina e Zelensky stanno mandando un segnale? Sì, non ho paura di negoziare. L’Ucraina vuole la pace. Questo è un segnale: nessuno vuole la pace più dell’Ucraina. E vuole dimostrare a Trump che lavorerà con lui sulla sua proposta di pace. Ma in Ucraina la gente non vuole un esito di questa guerra per cui i loro figli e nipoti dovranno portarla a termine. Non vogliono che una generazione dopo l’altra sia ferita, distrutta da questo trauma. Pensano: non vogliamo che la guerra finisca in un modo o nell’altro, deve concludersi bene, cioè in modo che l’Ucraina possa prosperare come Stato sovrano. Francesco De Leo, AffInt. 2

 

 

 

 

 

Il passato non ritorna

 

Quando, nel lontano 1961, abbiamo iniziato a occuparci dell’informazione per i Connazionali all’estero, non avremmo mai immaginato che, in oltre 60 anni di militanza, l’Italia potesse assumere l’assetto socio/politico nel quale, ora, si trova. I “mali” del Paese sono stati individuati, ma non corretti in modo conveniente. Ora, con ‘On. Meloni, l’opportunità si ripresenta. Lasciamola lavorare.

 

Questo Parlamento ha ancora parecchi nodi da sciogliere. I mezzi per farlo, se ci sono, non li abbiamo ancora compresi e non saranno le polemiche a dissipare le nostre incertezze. Basta con i sacrifici a fondo perduto. Meno privilegi e fuori dalla politica attiva chi non intende accettare regole comportamentali più rigorose. Da questo Esecutivo ci attendiamo delle “garanzie”. Di stonature questa nostra Italia ne ha subite anche troppe.

 

Messi da parte gli indugi, facciamo nostro lo spirito dei Padri Fondatori della Repubblica. Questo Potere Legislativo potrebbe dare l’esempio. Ovviamente, col tempo. Oltre le polemiche, c’è l’Italia. Un Paese che non ha malinconia del passato, ma che non lo dimentica. Il rischio, ora, è ipotecare il suo futuro. E’ necessario tornare alla politica della quotidianità. Una posizione che avevamo condiviso, quando nel Paese i pregiudizi erano anomalie di pochi. Sono passati 60 anni sul nostro “fronte” dell’informazione, ma riteniamo d’aver conservato la nostra originaria imparzialità. Almeno due generazioni hanno ceduto il posto all’attuale. Il posto ma, forse, non gli ideali.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Made in Italy: la cucina che mette tutti a dieta… di invidia!

 

Diciamocelo chiaro e tondo: quando si parla di cibo, l’Italia gioca in un campionato tutto suo. Dalla carbonara all’ossobuco, i nostri piatti fanno tremare le tavole di New York e Tokyo, lasciando tutti a bocca aperta (e subito dopo, a bocca piena). Il segreto? Un mix imbattibile di tradizione, ingredienti di qualità e quella passione che rende ogni forchettata poesia pura.

Per noi italiani, il cibo non è solo nutrimento: è rito, arte, festa. Da Nord a Sud, si mangia come se fosse sempre l’ultima cena, e sì, c’è chi ancora si fa il segno della croce prima di assaggiare. Ogni piatto racconta storie, coccola l’anima, tiene viva la memoria. Ma attenzione: guai a fare errori. Amatriciana con la panna? Squalifica immediata. Pizza con l’ananas? Esorcismo garantito.

E poi c’è quel nostro fiuto da detective della qualità. Siamo i Sherlock Holmes del supermercato, capaci di analizzare ogni etichetta e interrogare il fruttivendolo sulle origini delle melanzane. Perché per noi il cibo non è solo cibo: è una questione di principio.

Ma il vero ingrediente segreto non si trova in una dispensa. È la compagnia. Mangiare da soli, in Italia, è quasi un peccato. Ce lo dicono anche gli scienziati: condividere un pasto rende felici. Insomma, il miglior risotto allo zafferano non vale nulla se non hai qualcuno accanto a cui dire: “Eh sì, l’ho fatto io!”.

E il mondo lo sa bene. Dal 2014 al 2023, le esportazioni del nostro agroalimentare sono cresciute dell’87%, superando i 64 miliardi di euro. Altro che cibo: il Made in Italy è arte, confezionata sottovuoto e amata ovunque.

Le contraddizioni della cucina italiana

Certo, non siamo perfetti. L’Italia è un mix di ordine e caos, tradizione e innovazione. Ed è proprio questa danza tra opposti che rende la nostra cucina unica. Non cuciniamo solo per nutrirci, ma per stupire, emozionare, vivere.

E con il Natale alle porte, la cucina italiana si trasforma in un luna park di dolcezze. Panettoni, torroni, cantucci: l’indice glicemico scrive Cronache di un abuso natalizio. Ma come dicevano i latini, semel in anno licet insanire: una follia all’anno è concessa. Attenti però, perché a gennaio potrebbe arrivare la resa dei conti… e dei pantaloni troppo stretti!

Il lato nascosto del Made in Italy

Fin qui, tutto bello. Ma non possiamo ignorare che, mentre celebriamo il nostro cibo, ci sono italiani per cui anche una pasta al pomodoro è un lusso. Un italiano su otto vive sotto la soglia di povertà. E mentre esportiamo eccellenza, ci sono tavole vuote.

Eppoi, la vera grandezza della cucina italiana non è solo nei suoi piatti stellati, ma nella capacità di rendere straordinario ciò che è semplice: un pezzo di pane, un filo d'olio e un peperoncino possono essere un capolavoro, ma devono essere alla portata di chiunque perché la cucina italiana è un patrimonio di tutti.

Come garantire che lo sia davvero? Non servono gesti eroici, ma iniziative concrete:

* Combattere lo spreco alimentare. Ogni anno buttiamo tonnellate di cibo. Le food bank e altre iniziative possono fare molto, ma serve la volontà di tutti.

* Educazione alimentare. Anche con pochi soldi si può mangiare sano, ma bisogna sapere come fare.

* Sostenere i piccoli produttori locali. Comprare a chilometro zero aiuta chi lotta contro le grandi multinazionali e fa bene al pianeta.

E a Natale, mentre ci godiamo il nostro torroncino, pensiamo a chi ha meno. Una donazione, un pasto condiviso, anche solo un pensiero possono fare la differenza.

Perché il vero miracolo della cucina italiana non è solo il suo sapore, ma la sua capacità di unire le persone.

Buone feste e buon appetito… per tutti!

Giuseppe Arnò, La Gazzetta Italo-Brasiliana, dic

 

 

 

 

 

La luce interiore: un faro di resilienza e autostima

 

Dentro di te c’è una luce che nessuna tempesta può offuscare, un fuoco che nessuna mano può rubare. Questa qualità particolare è presente in tutti noi: una luce indistruttibile e un fuoco spontaneo che nessuna forza umana può spegnere. Questa luce interiore rappresenta speranza, energia e autostima. Allo stesso modo, il fuoco simboleggia passione e resilienza, elementi fondamentali della nostra natura. Questi non possono essere toccati dalle circostanze esterne né dagli sforzi di chiunque di controllarli o indebolirli. La verità di questa luce e di questo fuoco dentro di noi è una delle doti più potenti che una persona possa avere, poiché significa che, qualunque cosa la vita ci riservi, la nostra forza interiore rimane indistruttibile.

 

La luce interiore: un faro di resilienza e autostima

La luce interior ci ricorda che il nostro valore è intrinseco, non collegato a successi, riconoscimenti esterni o opinioni altrui. Quando il mondo ci dice continuamente che dobbiamo dimostrare di essere sufficienti, questa luce interiore ci conferma la nostra forza intrinseca. È una fonte di resilienza nei momenti di oscurità, quando ci sentiamo vulnerabili o incerti, illuminando il nostro cammino verso il future, nonostante i venti contrari di dubbi o delusioni.

 

Questa luce non solo fa parte di noi, ma è anche la nostra capacità di compassione, empatia e bontà. Ci permette di connetterci con gli altri, di vedere il bene negli esseri umani e di dare significato alle relazioni e alle esperienze della vita. È ciò che ci consente di perdonare e di andare avanti anche nei momenti più difficili, rendendoci paradossalmente ancora più forti e resilienti.

 

Il fuoco indomabile: una fonte di passione e di scopo

Se la luce rappresenta la nostra verità, allora il fuoco rappresenta la nostra passione e le nostre ambizioni. Questo fuoco non può essere rubato o spento, perché arde dal profondo, nella maniera più autentica e genuina. È quella voce interiore che ci spinge a inseguire i nostri sogni, a coltivare i nostri talenti e a esprimerci con coraggio. È ciò che ci fa andare avanti anche quando tutto sembra troppo difficile, perché dentro di noi c’è qualcosa che va più in profondità delle difficoltà momentanee.

Questo fuoco rappresenta la possibilità di crescere, di cercare nuove opportunità e di muoverci verso obiettivi che risuonano con chi siamo realmente. Ci spinge a perseguire la realizzazione piuttosto che la semplice sopravvivenza. Questo fuoco si nutre delle battute d’arresto e dei fallimenti, trasformandoli in carburante per ardere ancora più intensamente. È ciò che trasforma il nostro dolore in scopo, le nostre lotte in forza e i nostri sogni in realtà.

 

La luce e il fuoco immuni alle tempeste esterne

Le tempeste della vita – come la perdita, il rifiuto, il tradimento o le avversità – possono scuoterci, ma non possono toccare la nostra luce e il nostro fuoco interiore. Le circostanze esterne possono cambiare, ma il nostro nucleo rimane intatto e oltre il controllo altrui. Le persone possono cercare di imporci le loro limitazioni o di influenzarci con energie negative, ma questi tentativi funzionano solo se glielo permettiamo. Finché rimaniamo radicati nella nostra luce e nel nostro fuoco, rimaniamo ancorati a qualcosa che appartiene solo a noi.

 

Il viaggio verso la luce e il fuoco interiori

Riconoscere e onorare la nostra luce e il nostro fuoco è uno degli atti più potenti che possiamo fare per noi stessi. Questa consapevolezza ci aiuta a costruire una relazione profonda con noi stessi, rafforzando la nostra capacità di affrontare le sfide della vita. Questa connessione ci libera dalla necessità di cercare approvazione esterna, permettendoci di inseguire i nostri sogni senza paura del giudizio o del fallimento. Ci insegna a lasciar andare ciò che non ci serve più e a concentrarci su ciò che è veramente importante per la nostra crescita personale.

Condividere la luce e il fuoco con il mondo

 

Anche se questa luce e questo fuoco sono profondamente personali, hanno il potenziale di illuminare anche le vite degli altri. Vivendo autenticamente, possiamo ispirare gli altri a scoprire la loro forza interiore. Come una candela che ne accende un’altra senza perdere la propria fiamma, il nostro fuoco può accendere speranza e resilienza nelle vite altrui.

 

Un percorso di vita illuminato dalla luce e dal fuoco

Questa luce e questo fuoco evolvono con noi, adattandosi ai nostri sogni e alle nostre esperienze in continua trasformazione. Ma al centro di tutto rimane una costante: la nostra essenza, una fonte inalterabile di guida e forza. Attraverso questa forza interiore, non solo creiamo una vita piena e soddisfacente per noi stessi, ma anche per chi ci circonda. Dentro ognuno di noi c’è una luce che nessuna tempesta può spegnere e un fuoco che nessuna mano può rubare. È l’essenza della nostra anima, il nucleo indomabile del nostro essere, capace di cambiare le nostre vite e ispirare il mondo intorno a noi.

Krishan Chand Sethi, dip 2

 

 

 

 

 

 

Il decreto “milleproroghe” è stato approvato dal Cdm

 

Nel testo varato dal Consiglio dei ministri, uno zibaldone in cui c’è di tutto, compaiono elementi di notevole e non provvisoria rilevanza. Per esempio viene stabilito un condono definitivo per le multe comminate a chi non ha rispettato gli obblighi di legge relativi alla vaccinazione anti-Covid - di Stefano De Martis

Puntuale come ogni anno a dicembre – e in barba ai forti dubbi di costituzionalità che regolarmente lo circondano – arriva il decreto cosiddetto “milleproroghe” che, come dice il soprannome giornalistico, serve soprattutto per rinnovare i provvedimenti in scadenza a fine anno. È proprio questa finalità unitaria che rimedia in qualche modo all’estrema eterogeneità dei contenuti, vizio potenzialmente letale per un decreto-legge. Ma nel testo varato dal Consiglio dei ministri, uno zibaldone in cui c’è di tutto, compaiono elementi di notevole e non provvisoria rilevanza. Per esempio viene stabilito un condono definitivo per le multe comminate a chi non ha rispettato gli obblighi di legge relativi alla vaccinazione anti-Covid. Non è previsto il rimborso per chi ha pagato, così come invece si diceva alla vigilia della riunione del governo. In questo caso hanno pesato le ragioni di cassa perché con la legge di bilancio in dirittura d’arrivo un esborso extra avrebbe creato non pochi problemi. Un altro condono meno eclatante, ma di chirurgica precisione, è quello che riguarda i lavori della commissione Cassese sulla determinazione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni. Dopo che la Corte costituzionale nella nota sentenza sull’autonomia differenziata ha chiarito che si tratta di materia che richiede norme di rango primario e non solo amministrative, il governo avvalora nel decreto-legge il lavoro istruttorio e ricognitivo compiuto finora dalla commissione. E riporta l’operazione sotto l’ombrello del dipartimento guidato dal ministro Calderoli.

Di tutt’altro segno la proroga al primo gennaio 2026 del regime di esenzione Iva per gli enti associativi e l’estensione di un altro anno – quindi fino al 31 dicembre 2025 – dell’accesso al 5 per mille delle Onlus. Slitta al 31 marzo prossimo l’obbligo per le imprese di assicurarsi contro le catastrofi naturali e viene prorogato a tutto il 2025 lo scudo penale per i medici in situazione di gravi carenze di personale, fatta eccezione di per i casi di dolo e colpa grave.

È invece contenuta in un decreto legislativo – che è ora è legge al termine del percorso di attuazione della delega al governo in materia di giustizia – la controversa norma che vieta la pubblicazione delle ordinanze che applicano tutte le “misure cautelari personali” (quindi non solo il carcere o i domiciliari come nel testo originario, ma anche l’obbligo di firma e altre meno gravi) fino alla conclusione delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare. I giornalisti, in pratica, dovranno sunteggiare le ordinanze e non riportarne i brani tra virgolette. I sostenitori della norma si rifanno alla tutela del principio della presunzione d’innocenza, mentre la Fnsi, il sindacato dei giornalisti, parla di “un bavaglio più ampio” per “impedire che i cittadini siano correttamente informati”. Sir 10

 

 

 

 

 

Un problema: “gap di competenze” e minaccia il nostro futuro

 

L’indagine Ocse ha raccolto i risultati su comprensione del testo, capacità di calcolo e problem solving adattivo. Su 31 Paesi, l’Italia occupa sempre le ultime posizioni

Gli italiani hanno un problema di competenze basilari. Su 31 Paesi, il nostro occupa le ultime posizioni in tutte e tre le competenze analizzate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse): capacità di comprensione del testo, capacità di calcolo, problem solving adattivo. La stessa organizzazione scrive così sull’Italia: “La performance è costantemente inferiore rispetto alla media”.

Con la Survey of adult skills, l’Ocse ha analizzato le competenze di base delle persone tra i 16 e i 65 anni raccogliendo le risposte tra il 2022 e il 2023. I risultati mostrano una situazione preoccupante per gli adulti italiani, evidenziando mediamente abilità inferiori rispetto agli altri 30 Paesi analizzati. L’ultima indagine del genere, l’Ocse l’aveva condotta nel 2013. Da allora, i risultati medi degli italiani non sono cambiati, ma è aumentato il divario tra chi ha più competenze e chi ne ha meno. Chi aveva più competenze ne ha sempre di più, chi ne aveva meno ne ha sempre di meno.

In questo, il Paese si distingue rispetto agli altri, mentre aumenta anche il divario tra chi è più ricco e chi è più povero.

Il gap rilevato dall’Ocse pesa anche sui salari dei dipendenti e sulle aziende, sempre più in difficoltà nel trovare le competenze giuste tra i candidati. Ricchezza e competenze sono legate a doppio filo: chi è più povero ha mediamente meno competenze, chi ha meno competenze ha mediamente salari più bassi e meno opportunità di carriera.

Le competenze (poche) degli italiani

L’indagine ha coinvolto complessivamente 160mila adulti dei 31 Paesi appartenenti all’Ocse e restituisce un’approssimazione di tendenze più generali.

Prima di approfondire i risultati, ecco i punteggi medi ottenuti dagli italiani rispetto agli adulti degli altri Paesi, su un massimo di 500 punti:

* 245 punti in comprensione del testo contro una media Ocse di 260;

* 244 punti in abilità di calcolo contro una media Ocse di 263;

* 231 punti nella capacità di risolvere i problemi contro una media Ocse di 250.

Ai primi posti della classifica mondiale ci sono Finlandia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. L’Italia è sestultima per capacità di lettura e comprensione del testo, quartultima per abilità di calcolo e terzultima per analisi dei problemi. Ciascuna risposta è stata valutata con un punteggio da 1 a 4.

I risultati

Si parta dal livello 1, quello più preoccupante: chi rientra in questo livello riesce a comprendere solo testi brevi ed elenchi organizzati a patto che le informazioni siano indicate molto chiaramente. Chi non raggiunge il livello 1 sa comprendere solo le frasi brevi e semplici.

Nella comprensione del testo, più di un italiano su tre ha ottenuto un punteggio pari o inferiore a 1: il 35% contro una media Ocse del 27%. Complessivamente, il 70% degli intervistati italiani si è classificato entro il livello 2 contro la media Ocse del 57%, influenzata positivamente dai punteggi più alti. Solo il 5% degli italiani ha superato il livello 4, meno della metà della media Ocse, pari al 12%.

I risultati sono simili per quanto riguarda la capacità di calcolo, seconda abilità base indagata dall’Ocse. Tra gli italiani, più di due su tre sanno soltanto fare calcoli semplici che rientrano nella quotidianità. Per questo parametro, i punteggi sono peggiorati rispetto all’indagine del 2013.

Il divario con gli altri Paesi sviluppati diventa ancora più ampio per quanto riguarda il problem solving adattivo, ovvero la capacità di risolvere problemi adattandosi alle situazioni. Quasi un italiano su due non supera il livello 1: il 46% degli intervistati contro una media Ocse del 29%. Solo l’1% dei rispondenti italiani supera il livello 4, che identifica la capacità di adattarsi a cambiamenti improvvisi.

Quanto incide la condizione socio-economica

La questione delle competenze si intreccia con quella demografica e sociale lungo tre filoni:

* Reddito;

* Cittadinanza;

* Generazione.

Come spiega l’Ocse, l’esclusione sociale degli stranieri genera a cascata la povertà educativa. Questo è uno dei principali motivi per cui l’Italia non riesce a compensare il gap di competenze con l’immigrazione.

La Survey of adult skills evidenzia che le persone nate da genitori italiani hanno una comprensione del testo maggiore rispetto a rispondenti stranieri nati da genitori stranieri.

L’Ocse spiega che questa forbice dipende solo in parte dalla nazionalità: anche tra gli italiani, le persone nate da genitori più istruite ottengono risultati migliori, specialmente nella comprensione del testo e nelle abilità di calcolo. Normalizzati i risultati in base alle condizioni socio-economiche, il gap si riduce da 30 a 13 punti. Il contesto fa la differenza anche per chi ha nazionalità italiana: chi è figlio di persone più istruite mostra risultati migliori, soprattutto per comprensione del testo e abilità di calcolo.

Insomma, a fare la differenza è soprattutto la condizione socio-economica di partenza, perché in Italia l’ascensore sociale dell’istruzione si è rotto da tempo. Basti pensare che il figlio di un padre laureato ha oltre il doppio di possibilità di laurearsi rispetto al figlio di un diplomato e oltre il triplo delle possibilità rispetto al figlio di chi ha conseguito la terza media (dati Inapp, Rapporto Plus 2022).

Quanto pesa la povertà educativa

Nel 2010, l’Italia è diventata il Paese europeo che spende meno in istruzione nel confronto con Francia e Germania. Da allora, il trend non è mai cambiato. La spesa pubblica in istruzione dell’Italia rispetto al Pil è del 4,1% contro la media Ue del 4,7% (dati 2022). Dieci stati, tra cui l’Italia, si attestano al di sotto di tale soglia. Con circa il 4% del Pil investito in istruzione, il Belpaese supera solo Bulgaria (3,9%), Grecia (3,8%), Romania (3,2%) e Irlanda (2,7%).

A risentirne sono le competenze (e, quindi, le aziende e l’economia italiana). Seppure la spesa è un indicatore quantitativo, e non qualitativo, generalmente è un parametro affidabile. Infatti, il Paese europeo con il punteggio più alto nei test Ocse-Pisa 2022 è l’Estonia (510 punti), che è terza in Ue per spesa in educazione su Pil (5,8%). Anche gli altri Paesi che registrano ottimi risultati (Paesi Bassi, Irlanda, Belgio, Danimarca e Polonia) dedicano oltre il 5% del Pil all’istruzione, con l’eccezione di Polonia (4,6%) e Irlanda (2,7%). 

Spesso, le famiglie meno istruite non considerano la laurea come un elemento chiave per l’affermazione lavorativa, idea rafforzata dai dati Ocse che classificano l’istruzione italiana tra quelle con il più basso rendimento. Preoccupa soprattutto la tendenza negativa caratterizzata da una costante diminuzione della spesa in istruzione negli ultimi vent’anni.

Differenze di istruzione

Effetto domino, si diceva. In effetti, chi ha un livello più alto di istruzione ha ottenuto i punteggi più alti. Gli italiani tra i 25 e i 65 anni laureati hanno ottenuto mediamente 19 punti in più nella comprensione del testo rispetto ai diplomati, che a loro volta hanno ottenuto 35 punti in più di chi ha smesso di studiare senza conseguire il diploma.

Dall’indagine Ocse emerge un confronto particolarmente preoccupato a livello internazionale: nella comprensione del testo i rispondenti italiani con una laurea hanno ottenuto risultati peggiori rispetto ai finlandesi diplomati. Questo dato può essere letto in due modi, dove uno non esclude l’altro. Il primo è che il livello della formazione italiana sia basso o quanto meno inefficace, il secondo è che l’Italia non ha una cultura di formazione aziendale. Mentre in altri Paesi avanzati è normale continuare ad imparare e a migliorarsi sui luoghi di lavoro, in Italia la crescita delle competenze viene solitamente riservata ai banchi di scuola e agli scranni universitari.

In quest’ottica i risultati diventano ancora più negativi se si considera che nel Belpaese solo il 20% delle persone di 25-65 anni possiede un livello di istruzione pari o superiore alla laurea mentre circa il 38% ha un titolo di studio inferiore al diploma.

Differenze generazionali, di genere e di luogo

L’Ocse ha rilevato anche una differenza generazionale. Come è lecito aspettarsi, i più giovani hanno ottenuto risultati migliori in tutte e tre le competenze, il che può dipendere sia dall’invecchiamento che dalle differenze di istruzione e formazione ricevuta. La tendenza si rileva in ogni Paese, anche se in Italia il gap è più contenuto. Il bicchiere, però, è mezzo vuoto: nel Paese le differenze tra giovani e anziani sono meno marcate più per gli scarsi risultati dei primi che per gli ottimi risultati dei secondi.

Per quanto riguarda le differenze di genere, gli uomini continuano ad avere migliori risultati delle donne in numeracy, mentre non vi sono differenze in literacy e problem solving adattivo. Nel nostro Paese il gap si annulla solo tra gli adulti con un titolo di studio terziario in discipline Stem. La ridotta quota di donne con titoli Stem, figlia soprattutto di retaggi culturali, ostacola la parità di genere nelle competenze di numeracy, e la crescita complessiva del Paese.

L’indagine Ocse conferma anche le differenze tra Nord e Sud Italia, che Natale Forlani, presidente Inapp, ha commentato così: “È evidente la stretta relazione tra competenze cognitive e sviluppo del Paese. I valori più bassi di competenze si concentrano nelle aree meno attrattive del Paese. Occorre investire per il recupero dei territori del Mezzogiorno”.

Capacità di calcolo e guadagno

Un ultimo dato interessante riguarda la relazione tra salari e capacità di calcolo. La Survey of adult skills evidenzia che chi ha migliori capacità di calcolo ha il 7% di probabilità in più di avere un lavoro, e un rischio di disoccupazione inferiore del 3% rispetto alla media.

Tra gli intervistati che lavorano, chi ha maggiori confidenza con la numeracy ha in media uno stipendio più alto del 5%.

L’ulteriore conferma che istruzione, competenze ed economia vanno di pari passo. Adnkronos 12

 

 

 

 

La coppia in lutto dopo un aborto: cosa accade se i partner soffrono diversamente

 

Il lutto perinatale: un lutto silenzioso che colpisce profondamente la coppia

L’aborto spontaneo in fasi precoci o più avanzate della gravidanza rappresenta un evento doloroso all’interno della coppia. 

La coppia si trova quindi nel caso dell’aborto spontaneo ad affrontare il lutto, in alcune situazioni inatteso e imprevedibile. Nella fase di gestazione, generalmente una gran parte di energie fisiche, emotive e relazionali sono focalizzate sul generare una nuova vita; l’interruzione della gravidanza, quindi, richiede l’elaborazione di un lutto, in cui la perdita è profondamente vissuta nell’intimo e può risultare poco comprensibile all’esterno perché si piange un bambino “sconosciuto” al mondo (Kirkley-Best & Kellner, 1982). 

Di fronte alla perdita del nascituro, vi sono modi diversi di sentire ed esprimere il dolore, modi che impattano anche sul funzionamento della coppia che può trovarsi ad affrontare anche un momento di crisi e di reciproca incomprensione. 

Inizialmente la sofferenza può essere accompagnata da shock e incredulità; potrebbero poi emergere vissuti di tristezza e impotenza, senso di colpa, vergogna, rabbia, angoscia e senso di vuoto, senso di solitudine e ansia per il futuro. Vissuti e reazioni emotive e comportamentali che assumono caratteristiche simili ad altri tipi di lutto causati da perdite significative (Brier, 2008).

Il lutto incongruente nella coppia

All’interno della coppia i due partner possono presentare una sofferenza multiforme e diversificata nelle sue sfaccettature emotive, una sofferenza che si focalizza su tematiche che possono essere peculiari e non reciprocamente “sentite” in egual misura dai due partner. 

Ad esempio, la perdita del nascituro si può tradurre in un senso di fallimento della propria capacità di generare: la madre sente di aver fallito per la sua incapacità nel procreare. Oppure potrebbero emergere senso di colpa commissivo o omissivo verso di sé stessa per non avere evitato o per avere in qualche modo reso più probabile l’evento nefasto. Il senso di perdita e di vuoto può accompagnarsi all’angoscia di solitudine, paure abbandoniche e timore che la relazione con il partner possa interrompersi sulla scia del fallimento del progetto generativo. 

E’ probabile che tra i partner vi sia una quota di discrepanza e sfumature nelle modalità di vivere e affrontare il lutto perinatale. Quando tale discrepanza è piuttosto elevata all’interno della coppia, in letteratura prende il nome di “lutto incongruente” (in inglese, incongruent grief) – termine utilizzato proprio per definire diverse modalità di esperire il lutto tra i due membri della coppia durante la gravidanza o in generale in epoca perinatale (Callister, 2006; Cholette, 2012).

Lutto perinatale e ruolo paterno

Una recente review di Obst e colleghi (2020)  ha preso in considerazione diversi studi sul tema della perdita perinatale. Attenendosi ai dati emersi, sembrerebbe essere presente una tendenza nei partner maschi verso uno stile di lutto esternalizzante, ovvero più proteso alla soppressione e all’evitamento delle emozioni e all’uso di strategie di coping attivo (o problem-focused): si rivolge l’attenzione verso l’esterno, con strategie di distrazione, impegnandosi in attività svariate, risoluzione di problemi pratici, supporto materiale ed emotivo alla compagna. Da ulteriori studi è stato evidenziato che i partner tendono, se piangono, a farlo da soli e in modo indipendente, nascondendolo e non condividendolo con la compagna. La review evidenzia che i partner debbono affrontare ulteriori sfide, tra cui anche l’aspettativa che siano di supporto alle donne che hanno “fisicamente ed emotivamente” subito la perdita e in qualche misura vi sia un minor riconoscimento sociale del loro dolore e dei relativi bisogni emotivi. 

Gli autori riconoscono la possibilità che gli stereotipi di genere possano influenzare anche il modo in cui viviamo il lutto in gravidanza e in generale il lutto perinatale; la figura maschile e paterna, stoica, in tal senso, più o meno consapevolmente, sente il dovere di mantenersi salda al di sopra delle emozioni, sopprimendole allo scopo di proteggere la compagna. Inoltre, altri aspetti legati all’attaccamento prenatale nei confronti del feto possono influenzare il processo di elaborazione del lutto del bambino mai nato. L’attaccamento prenatale è stato definito come “la misura in cui ogni madre si impegna a mettere in atto comportamenti interattivi finalizzati alla creazione di un legame con il suo bambino non ancora nato” (Cranley, 1981); allargando il costrutto alla diade genitoriale, è inteso come quell’insieme di rappresentazioni cognitive, vissuti emotivi e comportamenti dei futuri genitori nei confronti del feto nella fase di gestazione. Anche l’attaccamento prenatale può differire tra i partner e presentare livelli di discrepanza, influenzando quindi il processo di elaborazione della perdita. 

Il rischio di incomprensioni e distacco nella coppia

Incongruenze tra i partner nelle modalità di vivere e affrontare il lutto durante la gestazione, quindi, possono essere un fattore di rischio per la relazione di coppia. Se uno dei partner percepisce l’altro più proteso al fare e evitante, e interpreta tale evitamento come insensibilità e distacco emotivo dall’esperienza della perdita, può ingenerarsi la sensazione di sentirsi incompresi, negativamente giudicati e diversi nel proprio dolore, di non condividere in egual misura la sofferenza. Possono insorgere ulteriori vissuti negativi, tra cui rabbia, giudizio dell’altro, senso di solitudine e la tendenza a chiudersi in entrambi i membri della coppia, che rischiano quindi un allontanamento sul piano emotivo-affettivo e comunicativo: il supporto reciproco viene meno. 

Essere consapevoli che esistono diverse modalità di vivere e affrontare il lutto di un bambino mai nato è il primo passo per costruire modalità supportive, seppure differenti, di elaborare e accettare il dolore della perdita in gravidanza, tentando di essere autenticamente ed empaticamente presenti nell’ascolto dell’altro e nell’espressione dei propri vissuti. D’altro canto, va ricordato che i colloqui di coppia a supporto di esperienze di perdita in gravidanza possono essere un aiuto importante per l’elaborazione del lutto.  Claudia Bassanelli, CdI dic.

 

 

 

 

 

 

Essere propositivi

 

Il tempo è galantuomo. Gli eventi, nazionali e internazionali, l’hanno sempre dimostrato e, nei nostri oltre sessant’anni d’attività pubblicistica, ci abbiamo fatto conto.

 L’attuale situazione nel Vecchio Continente ha evidenziato ciò che temevamo. L’Europa è un continente geografico unito, ma politicamente ha delle differenze comportamentali che l’UE aveva tentato di disciplinare ma che, invece, sono tutte emerse in modo palese.

 

 Le differenze, che prima erano secondarie, ora si sono fatte decisive e l’Italia, che è uno degli anelli debole dell’Europa Stellata, ne risente, maggiormente, le conseguenze. Circa la politica nazionale, dovremo essere pronti a fare delle proposte alternative favorendo un programma nato con l’emergenza sanitaria, ma valido anche a pandemia risolta.

 

 L’Italia riprenderà la sua coscienza non più influenzata dalle posizioni politiche di chi ha gestito gli ultimi anni politici di questo Paese. Essere propositivo sarà la nuova meta che gli italiani saranno in grado di gestire. Meglio dimenticare i “campanilismi” politici e rivedere il panorama nazionale con un’ottica non più inquinata da alleanze fittizie che hanno dimostrato, proprio quando ci sarebbe voluta maggiore coesione, la loro inefficacia. Questo Governo dovrebbe presentare il mutamento.

 

 Una nuova presa di coscienza e una più coerente gestione del potere saranno le “terapie” migliori per uscire anche dal marasma politico di quest’ultimo quinquennio. Lo avremmo dovuto capire da qualche tempo. Ora sembra che la lezione sia servita. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

52 i conflitti nel mondo, 4 ad altissima intensità. Record di vittime

 

Presentato oggi a Roma l'ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas italiana “Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo”. Sono 52 gli Stati del mondo che vivono situazioni di conflitto armato (erano 55 nel 2022). Aumenta il numero di guerre ad altissima (da 3 a 4) e alta intensità (da 17 a 20) e il numero dei morti: 170.700, il più alto dal 2019. Tragico è il dato record sul numero di bambini uccisi e menomati: 11.649 nel 2023, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. Tocca il picco massimo anche il numero di bambini rapiti: 4.356 nel 2023, in maggioranza maschi. Quasi 300 milioni di persone nel mondo dipendono dagli aiuti umanitari, mentre il numero di rifugiati nel mondo è più che raddoppiato – di Patrizia Caiffa

Sono 52 gli Stati del mondo che vivono situazioni di conflitto armato (erano 55 nel 2022). Si tratta di guerre sempre più gravi e cruente. Aumenta infatti il numero di guerre ad altissima (da 3 a 4) e alta intensità (da 17 a 20) e il numero dei morti: 170.700, il più alto dal 2019. Tragico è il dato record sul numero di bambini uccisi e menomati: 11.649 nel 2023, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. È record anche il numero di bambini rapiti: 4.356 nel 2023, in maggioranza maschi. È perciò al massimo storico anche la spesa militare mondiale: 2.443 miliardi di dollari, per la prima volta in crescita in tutti i continenti (+6,8%). Sono i principali dati contenuti nell’ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas italiana, a cura di Paolo Beccegato e Walter Nanni, intitolato “Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo”, in collaborazione con CSVnet, la rete nazionale dei centri per il volontariato. Il volume (la prima edizione è stata nel 2002) è stato presentato oggi a Roma. Il focus è sul peso mediatico delle guerre nell’agenda informativa, con particolare attenzione agli aspetti umanitari e al legame tra guerra, ambiente e transizione ecologica.

Guerre con più vittime e più cruente. Secondo i dati del Sipri nel mondo sono 4 le guerre ad altissima intensità, con più di 10mila morti (erano 3 nel 2022): il conflitto tra Israele e Hamas e tra Russia e Ucraina, le guerre civili in Myanmar e in Sudan. Sono invece 20 le guerre ad alta intensità, ossia con un numero di morti che oscilla tra 1.000-9.999. Erano 17 nel 2022. Tutti i conflitti nel mondo hanno causato 170.700 morti (erano stati 153.100 nel 2022), il numero più alto dal 2019.

Meno operazioni e operatori di pace. Sono state 63 le operazioni multilaterali di pace (64 nel 2022), un terzo coordinate dall’Onu, con 100.568 operatori civili e militari impegnati in operazioni di pace (dicembre 2023). Erano 114.984 nel 2022.

La spesa militare mondiale è salita al massimo storico di 2.443 miliardi di dollari. Per la prima volta dal 2009 si registra un aumento delle spese militari in tutti i continenti: +6,8%, ossia il 2,3% del Pil globale, 306 dollari a persona. Negli Stati Uniti è stata di 820 miliardi di dollari (+2,3%), in Cina di 296 miliardi di dollari (+6%), in Russia di 109 miliardi di dollari.

11.649 bambini uccisi o mutilati nel 2023. Secondo i dati diffusi nell’ultimo Rapporto dal Segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati nel mondo sono state registrate 32.990 gravi violazioni contro i bambini in 25 conflitti nazionali e nel conflitto regionale del bacino del Lago Ciad, cifra record dal 2005.

Si tratta di uccisioni e menomazioni (il numero più alto mai registrato, 11.649 nel 2023, con un aumento del 35%); reclutamento e utilizzo dei minori in gruppi e forze armate; violenza sessuale; rapimenti; attacchi a scuole e ospedali; diniego dell’accesso umanitario. È aumentato anche il numero di bambini rapiti nei conflitti armati, raggiungendo per il terzo anno consecutivo un massimo storico: 4.356 bambini rapiti nel 2023, la maggior parte maschi.

La situazione in Ucraina: nel febbraio 2022 sono stati riportati 1.682 attacchi alla salute dei minorenni, a danno di operatori sanitari, forniture, strutture, magazzini e ambulanze e oltre 3.000 attacchi a strutture educative, che hanno lasciato circa 5,3 milioni di bambini ucraini senza un accesso sicuro all’educazione.

Quasi 300 milioni di persone nel mondo dipendono dagli aiuti umanitari, secondo i dati dell’agenzia Onu per gli affari umanitari Ocha. Tra questi 74,1 milioni si trovano in Africa orientale e meridionale. La guerra in Sudan ha generato nel 2023 bisogni umanitari per 15,8 milioni di persone, stimate a 30 milioni di persone per il 2024. Ben 3,5 milioni di loro sono bambini. Il Sudan è il Paese con il più alto numero di bambini sfollati in tutto il mondo.

L’80% degli italiani considera le guerre “evitabili”. Il rapporto indaga, tramite un sondaggio di Demopolis, anche la percezione degli italiani rispetto alle guerre. L’80% le considera “avvenimenti evitabili” (75% nel 2021). Il 71% è in grado di citare almeno una guerra degli ultimi cinque anni (53%). Il 65% si interessa di cronaca locale, non di grandi eventi internazionali (82%). Il 72% vorrebbe potenziare il ruolo dell’Onu (74%). Il 74% non vuole interventi armati ma il ricorso alla mediazione politica (62%).

Conflitti ancora più dimenticati dai Tg italiani. L’Osservatorio di Pavia monitora invece quanto e come si parla di conflitti sui Tg italiani. Nel 2022, le notizie sulle guerre sono state 4.695, pari all’11,7% di tutte le notizie (42.271). Il 96,5% delle notizie di guerra parlano dell’Ucraina, il 3,5% parla di Afghanistan e Siria. Nel 2023, le notizie sulle guerre sono state 3.808, pari all’8,9% di tutte le notizie (42.976). Il 50,1% è concentrato sul conflitto israelo-palestinese, il 46,5% sulla guerra in Ucraina, il restante 3,4% è distribuito su 15 Paesi in guerra. In un anno 6 Paesi in guerra (Bangladesh, Etiopia, Guatemala, Honduras, Iraq e Kenya) non hanno avuto nessuna copertura mediatica.

8 per mille Cei, il 58,2% dei finanziamenti va a Paesi in guerra. A fronte di questa situazione il Servizio Cei per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha finanziato 1.351 progetti in 28 Paesi interessati da conflitti a estrema o alta gravità dal novembre 2018 al 31 ottobre 2024. Sul totale dei 2.321 progetti complessivi finanziati dalla Cei tra il 2018 e il 2014, oltre la metà (58,2%) ha riguardato Paesi in guerra (57,6% dei fondi erogati).

Beccegato: “Situazione internazionale molto grave”. “Tutti i dati raccolti da altre ricerche e da agenzie ufficiali delineano un quadro gravissimo, sia per il crescere delle guerre ad alta e altissima intensità, sia per la crescita del numero dei morti e delle persone che dipendono dagli aiuti umanitari, sia del numero di rifugiati nel mondo, più che raddoppiati”, commenta al Sir Paolo Beccegato, curatore del volume insieme a Walter Nanni. Un altro aspetto preoccupante è che oggi i conflitti “in Ucraina, a Gaza e in parte del Medio Oriente sono tra Stati e tra blocchi e rispettivi alleati”. “Questi indicatori dimostrano che la situazione geopolitica internazionale è molto grave”, sottolinea. Da qui un triplice appello per “per una pace basata sulla tutela dei diritti e non sulla logica del più forte”: rilanciare “il dialogo”, entrando “in logiche win-win in cui tutti possono vincere”. Inoltre, prosegue, “in questi 25 anni di ricerche abbiamo individuato che la povertà, il degrado ambientale, la speculazione finanziaria e il mercato delle armi sono fattori interconnessi con l’insorgere della violenza armata organizzata. Lottare contro questi fattori è minare il terreno fertile dove attecchiscono le guerre”. Infine bisogna “ragionare sulle strutture, sui valori, sull’educazione e la cultura su cui costruire un ordine internazionale in cui la pace non è solo assenza di guerra ma armonia tra società”. Sir 9

 

 

 

 

 

Siccità, in Sicilia l’emergenza idrica è diventata una “guerra tra poveri”

 

Centinaia di manifestanti e cinque sindaci hanno occupato la diga dell'Ancipa tentando di impedire l'erogazione dell'acqua verso Caltanissetta e San Cataldo

La siccità si è trasformata in uno scontro tra cittadini in Sicilia, dove l’emergenza idrica sta contrapponendo le province di Enna e Caltanisetta, le due province più colpite dall’assenza di precipitazioni. Al centro della contesa, l’acqua potabile che in Sicilia è ormai diventata “il prezioso liquido”, come scrivono i giornali locali. 

Proteste a Enna e Caltanissetta: lo scontro sull’invaso dell’Ancipa

La situazione è degenerata sabato scorso, quando i sindaci di cinque comuni dell’ennese (Troina, Nicosia, Sperlinga, Gagliano Castelferrato e Cerami) hanno occupato la diga dell’Ancipa e hanno tentato di bloccare la condotta per impedire l’erogazione dell’acqua verso Caltanissetta e San Cataldo. La protesta, con centinaia di manifestanti al seguito, si è scatenata dopo la decisione della cabina di regia regionale di ripristinare l’approvvigionamento idrico verso i due comuni, che era stato precedentemente (15 novembre) interrotto per la drastica riduzione della capacità dell’invaso, quasi completamente a secco.

A guidare la protesta Fabio Venezia, deputato regionale ed ex sindaco di Troina: “Avevamo avvisato la cabina di regia che se non avesse staccato il collegamento verso i paesi del nisseno lo avremmo fatto noi” spiega Venezia annunciando di avere bloccato la condotta diretta a Caltanissetta. L’ente gestore smentisce che il blocco della condotta abbia interrotto il flusso idrico, ma Venezia ribadisce: “Siciliacque sarà anche in grado di fornire acqua visto che ne ha pompata per due giorni e avrà riempito i serbatoi, ma posso assicurare che per Caltanissetta e San Cataldo dall’Ancipa non ne esce una goccia“. 

Di tutt’altro tenore le parole del sindaco di Caltanisetta Walter Tesauro:  “I pozzi sono già operativi, tuttavia l’acqua prelevata non sta ancora raggiungendo le case dei cittadini a causa di una rottura della conduttura. L’amministrazione ha chiesto che si accelerino i lavori di riparazione, operando senza sosta, anche nelle ore notturne”. Intanto, ogni giorno che passa senza pioggia, la Sicilia sprofonda sempre più giù tra le pieghe aride del terreno siccitoso.

Dati aggiornati sulla crisi idrica in Sicilia

Secondo il report 2024 dell’Osservatorio delle Risorse Idriche dell’ISPRA, la Sicilia è la regione italiana con il più alto deficit idrico, con precipitazioni in calo del 35% negli ultimi due anni rispetto alla media storica. Il livello degli invasi principali, tra cui l’Ancipa e il Lago di Pozzillo, è sceso a meno del 20% della capacità totale. A ottobre 2024, l’Ancipa conteneva solo 7 milioni di metri cubi di acqua, contro una media storica di 18 milioni.

L’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (Anbi) ha inoltre segnalato che circa il 70% dei comuni siciliani è sottoposto a turnazioni idriche, con interruzioni che in alcune aree superano i sette giorni consecutivi.

Sono tante le regioni italiane che restano alla finestra, dodici quelle a rischio siccità secondo le stime Ambrosetti.

Le proposte della Regione: dissalatori e nuovi pozzi

Il governatore Renato Schifani ha annunciato l’acquisto di dissalatori mobili e l’individuazione di nuovi pozzi per fronteggiare la crisi: “Ce la stiamo mettendo tutta e faremo in modo che per la prossima estate i dissalatori mobili possano essere in funzione, in aggiunta ai nuovi pozzi che stiamo individuando, per evitare che la crisi possa essere sempre più drammatica. Cercheremo di garantire tutti con il massimo della responsabilità”, dice Schifani.

Nel frattempo, le accuse di cattiva gestione si moltiplicano. Davide Faraone, leader di Italia Viva, ha denunciato “l’incapacità della Regione di pianificare infrastrutture adeguate per prevenire la crisi”.

Impatti sul territorio e sulla popolazione

La crisi idrica colpisce i cittadini su più fronti, inclusi settori chiave come l’agricoltura e l’allevamento, che rappresenta il 20% del Pil regionale. Le associazioni di categoria stimano perdite per oltre 500 milioni di euro nel 2024 a causa della scarsità d’acqua per l’irrigazione.

Per i cittadini, il razionamento idrico si traduce in costi maggiori: il prezzo delle cisterne private è aumentato del 30% rispetto al 2023, rendendo l’acqua sempre più inaccessibile per le famiglie a basso reddito.

La siccità in Sicilia è un chiaro esempio di come la insostenibilità ambientale diventi rapidamente insostenibilità sociale. Lo stesso governatore Schifani non ha usato mezzi termini per descrivere la battaglia tra le province di Enna e Caltanisetta: siamo di fronte a una “guerra tra poveri”. Adnkronos 2

 

 

 

 

 

Cgie, Il Comitato di Presidenza programma l’agenda del 2025

 

In primo piano messa in sicurezza del voto all’estero, riforma della legge istitutiva, cittadinanza, incentivi al rientro, diffusione della lingua e della cultura, e V Assemblea plenaria della Conferenza permanente Stato-Regioni-PA-Cgie

ROMA – Il Comitato di Presidenza del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, riunito alla Farnesina dal 25 al 28 novembre, ha fissato i temi di lavoro di quella che sarà l’agenda del 2025. Durante le giornate romane – informa la nota del Cgie – si è svolto in primo luogo il tradizionale confronto con l’Esecutivo, nella persona del sottosegretario Silli, che ha condiviso la Relazione di Governo sulle politiche a favore degli italiani all’estero, nonché con il direttore generale della DGIT del MAECI Luigi Maria Vignali sulla situazione dei servizi consolari, dei Com.It.Es. e del progetto Turismo delle radici. Con Silli e Vignali sono state inoltre esaminate le questioni legate alla legge di Bilancio, oggetto anche delle audizioni davanti al Comitato permanente per gli italiani nel mondo della Camera e alla Commissione Affari esteri e Difesa del Senato, dove sono state esposte le preoccupazioni relative a una misura introdotta nella manovra, ritenuta lesiva della pari dignità fra i cittadini, relativa alla non rivalutazione per il prossimo anno delle pensioni superiori alle minime per i residenti fuori dai confini nazionali. È stata inoltre rappresentata la necessità di garantire al Cgie la possibilità di svolgere le attività che gli assegna la legge istitutiva, ripristinando il finanziamento pre-covid di 1,1 milioni di euro. L’attuale stanziamento, infatti, che con il taglio lineare del 5% rispetto allo scorso anno è ridotto a 548 mila euro, rende possibile soltanto l’organizzazione di un’Assemblea plenaria e di una riunione del Comitato di Presidenza in presenza, ma non consente di tenere sui territori le riunioni con le comunità, con i Com.It.Es., con le Consulte regionali dell’emigrazione e con gli esperti, la cui consultazione nei primi sei mesi dell’anno conferirà maggior peso alla rappresentanza di base sulle decisioni assunte dall’Assemblea plenaria e sarà fondamentale per la predisposizione da parte del Cgie delle proposte di messa in sicurezza del voto all’estero e di riforma della legge istitutiva del Consiglio Generale. Il clima unitario registrato in Parlamento, tuttavia, autorizza un cauto ottimismo riguardo alla possibilità di un’integrazione sul capitolo di bilancio relativo all’organismo. Con riferimento ai progetti di legge oggetto del dibattito politico, il Comitato di Presidenza ha evidenziato come il voto dei connazionali nel mondo sia un diritto acquisito che non deve in alcun modo essere messo a rischio, ma vanno semmai adottate soluzioni per incrementare la partecipazione, per riformarlo ed evitare brogli. Si provvederà pertanto a predisporre un documento da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea plenaria 2025 che esprimerà la proposta del Cgie al Legislatore. La riforma della legge istitutiva del Cgie, dopo quella dei Comites, la cui proposta è già stata trasmessa al Parlamento, è resa opportuna dalla necessità di adattare la rappresentanza all’attuale realtà della nostra diaspora, molto più complessa rispetto a quella storica. Al riguardo, si è sottolineata l’esigenza di mettere a punto incentivi al rientro per garantire circolarità alla nuova emigrazione mediante l’introduzione di politiche di lavoro e industriali, che favorirebbero la ripresa economica e il ritorno di competenze scientifiche del Paese. I connazionali oltre confine sono infatti una risorsa fondamentale per arginare il fenomeno dell’inverno demografico in atto in Italia. Allo scopo, occorre compiere un’approfondita valutazione delle ragioni che spingono a partire e comprendere cosa fare per convincerli a tornare. Allo stesso modo, deve essere avviata un’attenta analisi sul delicatissimo tema relativo alla cittadinanza, in merito al quale il Cgie intende farsi parte attiva elaborando una proposta da sottoporre al Parlamento; si tratta di adattare la legge alla realtà odierna partendo dall’assunto che chi nasce da genitori italiani è italiano. Sul tema, il Consiglio Generale trova una sua convergenza sul valore dell’identità italiana e sulla necessità di conoscere la lingua, la cultura e i fondamenti della Carta costituzionale. La cittadinanza deve essere quindi un istituto il più possibile consapevole. In questa ottica si rende assolutamente necessario rivalutare il sostegno, anche finanziario, ai corsi di italiano all’estero, fondamentali ai fini del mantenimento dell’italianità degli oriundi, tenendo conto delle specificità dei vari territori. Il Comitato di Presidenza richiama nuovamente l’attenzione della Pubblica amministrazione sulla situazione in cui versano molti enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana nel mondo a causa dei problemi economici derivanti dagli inadeguati finanziamenti dello Stato. Con gli interlocutori istituzionali il CdP ha infine rimarcato l’importanza di procedere alla convocazione della V Assemblea plenaria della Conferenza permanente Stato-Regioni-PA-CGIE, che per legge dovrebbe tenersi ogni tre anni e ha il compito di indicare le linee programmatiche per la realizzazione delle politiche del Governo, del Parlamento e delle Regioni per le comunità italiane all’estero; linee programmatiche che costituiranno l’indirizzo politico e amministrativo delle attività del CGIE nel prossimo triennio. (Inform/dip 2)

 

 

 

 

I diritti

 

Scrivere dei Connazionali all’estero continua a non fare notizia. I milioni d’italiani nel mondo hanno sempre meno contatti concreti col Bel Paese. Quasi che gli italiani in Patria si siano scordati, nel concreto, di quelli che vivono oltre frontiera.

 

Se, poi, si tiene conto che la maggioranza di connazionali all’estero si trova nel Vecchio Continente, allora la nostra percezione si fa amarezza. Vale a dire che, pur se tanto geograficamente ”vicini”, molti italiani restano, nel concreto, “lontani”.

 

Insomma, per i Connazionali che vivono”altrove”, sono più i doveri che la Patria richiede rispetto ai diritti. Ogni iniziativa resta ovattata tra le tante che non trovano giusto assetto tra quelle da dibattere in Parlamento.

 

Eppure, non abbiamo mai scritto di “privilegi”. Ci siamo sempre impegnati nel fare presente, a chi spetta, lo status degli italiani all’estero. E’ rimasto, comunque, lo scarso apprezzamento per chi ha dovuto cercare altrove pane e lavoro. Insomma, per riavere una meritata dignità.

 

 Perciò, prima d’evidenziare i doveri, sarebbe opportuno supportare anche quei diritti di chi ha avuto la sorte di vivere e lavorare lontano dal suo Paese. Intendiamo, quindi, promuovere l’italianità nel mondo. Le”proroghe” non convincono nessuno. Tanto meno noi che siamo sul fronte dell’informazione da tanti anni. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

M5S, Grillo: "Movimento è morto, Conte lo ha distrutto"

 

In un videomessaggio su Facebook: "Smarriti tutti i valori. Tutti i miei progetti che arrivavano al Mago di Oz non arrivavano perché lui non si faceva mai trovare"

Il Movimento 5 Stelle "è morto" e Giuseppe Conte è "il mago di Oz" che ha affossato i progetti. Beppe Grillo, come annunciato, invia il suo messaggio alle 11.03 del 3 dicembre. Il fondatore e garante del Movimento, nel pieno dello scontro con Conte, parla dal volante di un carro funebre per formalizzare il decesso del M5S.

"Ha ragione quella eletta in Sardegna", la governatrice Alessandra Todde, "che ha detto 'me ne frego di Grillo'. Benissimo, facciamo un altro simbolo, andiamo avanti. Bene, coraggio, fatevi un altro simbolo, andate avanti e fate le vostre cose. Il Movimento è morto, stramorto, però è compostabile, l'humus che c'è dentro non è morto", dice Grillo in un video di circa 9 minuti diffuso su Facebook.

"L'humus della transizione energetica, digitale, di portare avanti una sequenza della narrazione del futuro, perché oggi non c'è più il futuro perché non si capisce il presente, infatti tutti i partiti sono andati indietro di vent'anni, parlano di fascismo, antifascismo, rivoluzioni, antirivoluzioni, parlano del passato perché non capiscono più nulla", dice ancora.

Il siluro a Conte: "Mago di Oz che non si faceva trovare"

La votazione che ha sancito la cancellazione della figura del garante e della regola dei 2 mandati andrà ripetuta, proprio dopo il ricorso di Grillo. "Be', sono ottimista per le votazioni del 5 di dicembre. Devo parlarvi come attuale e confermato dallo Statuto garante, quindi come custode dei valori, i grandi valori del Movimento 5 stelle. Valori che sono scomparsi in questi tre anni. Non so quale narrazione vi è stata fatta, io come garante non intervenivo in nulla, tutti i miei progetti che arrivavano al Mago di Oz non arrivavano perché lui non si faceva mai trovare, e i progetti sono stati tantissimi", dice con una stoccata a Conte, che non viene nominato.

"Vorrei mettervi a conoscenza di questo, cosa gli ho ribadito l'ultima volta che ci siamo visti a Roma - aggiunge -. Gli ho detto 'fammi dare una mano, prendi i progetti che ti ho mandato, sono una cinquantina di cose meravigliose, fatti dare una mano'. Mi ha detto: 'Sì, ci vediamo una volta al mese', poi non si è fatto più trovare. La sua dinamica era quella di non farsi mai trovare da me. Quindi i miei progetti, da quelli istituzionali fatti con dei professionisti, dalla sfiducia costruttiva con lo sbarramento al 5%, la legge anti zombie cioè il cambio di casacca, c'è stata poi la legge sui condomini per le assemblee per non farle all'unanimità ma a maggioranza in modo da delimitare il turismo degli affitti a due o tre giorni".

"Gli ho dato qualsiasi cosa, gli ho mandato il due ventiventi che era portare il consumo di elettricità a 2kwatt anziché 6, 20 tonnellate di materia prima invece di 40, diminuire le ore di lavoro a 20 anziché 40, e aumentare l'efficienza. Tutti questi progetti, le stelle polari, la legge che abbiamo fatto con due ingegneri sulla tutela dei gatti dei cittadini, e così una sequenza di cose che non hanno mai avuto risposta", prosegue sottolineando: "Io da tutore dei valori sacri, questi valori sono stati traditi in questi tre anni".

Conte "ha disintegrato il Movimento"

"Siete diventati un partito che segue un Oz, di gente che non riconosco più. Infatti quando venivo giù, in quel famoso ufficio che mi era stato concesso non c'era nessuno, non veniva nessuno. Avevo già perso, lo capivo, io ho già perso, però i valori li abbiamo fatti con Casaleggio, che ci ha messo l'intelligenza, io ci ho messo il coraggio e milioni di italiani ci hanno messo il cuore. Sono queste tre cose che hanno fatto sì che il Movimento avesse un'identità", prosegue addossando a Giuseppe Conte la responsabilità di aver "disintegrato il Movimento" con silenzi e non risposte usate come "una carta" per far fuori il garante.

"I due mandati, io scompaio proprio in funzione dei due mandati. Questa votazione aveva 20 domande per coprire le tre, che sono quella di mandare via me, di fare due mandati, tre o quattro, e poi la situazione del presidente. Quindi, per coprire quelle tre domande ne sono state fatte venti, tipo cosa è la giustizia, cosa ne pensi della sanità. E poi hanno votato meno della metà degli iscritti, quindi io vi pongo un dubbio", dice ancora Grillo nel suo videomessaggio.

"Io ho già perso, lo so, ma sono ottimista perché questo movimento aveva un'identità straordinaria - aggiunge -. L'identità dei due mandati, eravamo d'accordo con il Mago di Oz per fare una legge dello Stato, e in più io aggiungevo che bisognava fare il primo mandato nei comuni, perché è nei comuni che passa la strategia economica del futuro, perché la globalizzazione sarà decentrata sui comuni. I comuni finalmente conteranno e faranno la politica di serie A che è l'unica politica che conta". Adnkronos 3

 

 

 

 

Legge di Bilancio punitiva e discriminatoria per gli italiani all’estero: la protesta dell’Intercomites Belgio

 

Bruxelles - L’Intercomites del Belgio, lette le misure proposte nella legge di bilancio attualmente in discussione in Parlamento e riguardanti le misure relative agli italiani all’estero, hanno diramato in queste ore una nota di protesta rispetto a questo aspetto definito “punitivo e discriminatorio”. In particolare su due questioni che premono le comunità italiane in Belgio: i diritti dei pensionati all’estero e lo stanziamento dei fondi per Comites e CGIE.

Riguardo i diritti dei pensionati residenti all’estero, maturati con gli anni di lavoro, i presidenti dei Comites belgi hanno spiegato: “devono essere trattati nello stesso modo indipendentemente dal paese di residenza. L’esclusione dalla perequazione automatica delle pensioni superiori al trattamento minimo dei residenti all’estero introduce una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai residenti in Italia, che oltre ad essere ingiusta ci pone anche dei seri dubbi sulla costituzionalità stessa della proposta”.

Per questo, l’Intercomites ha spiegato di sostenere l’emendamento presentato dai parlamentari del Pd che richiede la soppressione del blocco della rivalutazione dell'indicizzazione per i pensionati che vivono all'estero. Infatti, “stiamo parlando di 8 milioni di euro, uno scippo vero e proprio, che si spalmerà fino al 2034. Un italiano all'estero che prende mille euro al mese, dal 2026 perderà ogni mese 50 euro, oltre all'eccedenza dell'anno”.

Senza mezzi termini, l’Intercomites ha definito questo atto “gravissimo” e “un danno significativo arrecato ai pensionati italiani all’estero”.

Riguardo, invece, lo stanziamento predisposto per il CGIE e per il buon funzionamento dei Comitati degli italiani all’estero, secondo l’Intercomites Belgio “risultano totalmente inadeguate alle esigenze di protezione delle comunità italiane nel mondo”. A tal ragione, “sosteniamo pienamente le richieste già effettuate dalla Direzione Generale degli Italiani all’Estero del MAECI, correttamente quantificate, e l’emendamento presentato dai parlamentari del Pd per un maggiore supporto di queste strutture attraverso uno stanziamento di 500.000 euro sia nel 2025 che nel 2026 per il contributo alle spese di funzionamento del CGIE e dei COMITES, due organismi rappresentativi della collettività italiana all'estero”.

A firmare questa nota sono stati: Mario Castelli - Presidente Com.It.Es Charleroi e Presidente dell’Intercomites Belgio, Alessandra Buffa - Presidente Com.It.Es Bruxelles, Mario Guarino - Presidente Com.It.Es Limburgo, Giuseppe Maniglia - Presidente Com.It.Es Liegi, e Luigi Ferretti - Presidente Com.It.Es Mons.

(aise/dip 13) 

 

 

 

 

 

In Italia nascerà la rete dei musei sull’emigrazione

 

La grande iniziativa è stata lanciata a Genova nell’ambito di Italea,

il programma di promozione del turismo delle radici lanciato dal Ministero

degli Affari Esteri all’interno del progetto PNRR e finanziato da NextGenerationEU

Genova – Una rete dei Musei dell’Emigrazione italiana per valorizzare il patrimonio di conoscenze che custodiscono. È la grande iniziativa presentata oggi al Congresso internazionale "Diaspore Italiane - Rappresentazione e Questioni di Identità" di Genova, nell’ambito del Progetto Italea, il programma di promozione del turismo delle radici lanciato dal Ministero degli Affari Esteri. «Il patrimonio custodito dai nostri Musei dell'Emigrazione deve essere condiviso e messo a disposizione dei viaggiatori delle radici che vengono a visitare i luoghi da cui sono partiti i loro antenati - ha detto Giovanni Maria De Vita, Responsabile del Progetto Italea per il Ministero degli Affari Esteri - ma anche dell'opinione pubblica italiana affinché conosca e apprezzi la storia dell'emigrazione e si renda conto del potenziale che offre questa eccezionale risorsa rappresentata dagli 80 milioni di italiani all'estero, che hanno raggiunto tutti i vertici delle società in cui vivono». «Siamo a Genova - ha aggiunto inoltre Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all'estero della Farnesina - per rafforzare il senso e l'importanza dei musei dell'Emigrazione in Italia. Sono un patrimonio che va valorizzato per conoscere meglio la storia della nostra emigrazione, ancora troppo poco conosciuta».

 

I NUMERI DEL PROGETTO - A Genova sono stati presentati i numeri del Progetto Italea, che mira proprio ad attrarre italiani all’estero e italo-discendenti intenzionati a scoprire i luoghi e le tradizioni delle proprie origini. Italea ha costruito una rete sul territorio capillare e dinamica con 20 gruppi regionali e 16 coordinatori. Il sito web italea.com è già stato visitato da oltre un milione e 100 mila persone; sono quasi 5.000 le richieste di viaggi o ricerche genealogiche, 368.000 visualizzazioni del sito Italea Card (la card che offre vantaggi, sconti e agevolazioni per chi viene in Italia a scoprire le sue origini) e 11.252 iscritti al programma. E ancora: 833 Comuni coinvolti e 742 eventi già organizzati. Oltre 60 eventi di sensibilizzazione in Italia organizzati dalle Italee regionali per favorire le occasioni di collaborazione e confronto; 19 missioni all’estero in 13 Paesi con una partecipazione stimata di oltre 1,5 milioni di persone.

 

COS’È ITALEA - In coincidenza con l’Anno delle Radici Italiane nel Mondo è stato avviato Italea, il programma di promozione del turismo delle radici lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale all’interno del progetto PNRR e finanziato da NextGenerationEU, che invita gli italo-discendenti nel mondo a venire a visitare il Paese di origine della propria famiglia. Il Turismo delle radici nasce con l’intento di far scoprire cultura, riti e tradizioni e valorizzare i luoghi che non sono meta del turismo di massa. Il progetto coinvolge oltre 800 piccoli Comuni italiani, vincitori del bando per la realizzazione di attività culturali in favore degli italo-discendenti. Italea si riferisce al nostro Paese e alla "talea", una pratica con cui si consente ad una pianta di propagarsi. Recidendone una parte e ripiantandola, le si può dare nuova vita, facendo crescere nuove radici: proprio come accade con le migrazioni. Questo programma rappresenta un invito alla riscoperta della “pianta madre”.

 

IL DIBATTITO A GENOVA – A Genova nei giorni 5, 6 e 7 dicembre presso il MEI-Museo Nazionale dell'Emigrazione Italiana e il Galata Museo del Mare, si tiene la quinta edizione del congresso internazionale "Diaspore Italiane - Rappresentazione e Questioni di Identità", evento di approfondimento e discussione sul fenomeno dell'emigrazione italiana e le realtà dei musei delle migrazioni. Tre giorni di dibattitto sul tema dell’emigrazione italiana: oltre 80 esperti provenienti da vari paesi per analizzare lo stato dell’arte dell’emigrazione italiana e sulle realtà museali dedicate.

 

Di seguito la lista dei Musei che hanno finora aderito alla Rete:

* Abruzzo - Fondazione Genti d’Abruzzo Onlus, ente gestore del Museo delle Genti d’Abruzzo – Pescara

* Basilicata - Museo Emigrazione Lucana – Centro Lucani nel Mondo “Nico Calice” - Lagopesole (PZ)

* Campania - Museo del Cognome - Padula (SA)

* Calabria - La Nave della Sila - Spezzano della Sila (CS)

Museo del Mare, dell’Agricoltura e delle Migrazioni - Cariati (CS)

* Emilia-Romagna - Centro di documentazione dell’emigrazione parmense Bedonia – Parma

* Liguria - Museo Internazionale dell’Emigrazione Italiana – Genova

MuSel – Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante - Sestri Levante

* Marche - MEMA – Museo dell’Emigrazione Marchigiana – Recanati

* San Marino - Museo dell’Emigrante – Centro di ricerca sull’emigrazione

* Molise - Museo Comunale delle Migrazioni - Vinchiaturo (CB)

* Piemonte - Centro Studi Silvio Pellico ETS, Comitato di gestione del Museo Regionale dell’emigrazione dei Piemontesi – Frossasco (TO)

Museo Regionale dell’emigrazione vigezzina nel mondo – Museo Spazzacamino - Santa Maria Maggiore

* Sardegna - MEA – Museo dell’emigrazione sarda – Asuni

* Sicilia - Museo Eoliano dell’emigrazione - Salina (ME)

Museo Ibleo dell’Emigrazione - Giarratana (SR)

Museo Etnologico Caropepe Valguarnera - Caropepe (EN)

Ecomuseo Petra d’Asgotto Nicosia (EN)

Museo dell’Emigrazione dell’Area Trapanese di Santa Ninfa - Santa Ninfa (TP)

Museo Tempo Canicattini Bagni (SR)

* Toscana - Archivio Diaristico nazionale - Pieve Santo Stefano

* Veneto - MiM Museo interattivo delle migrazioni – Belluno.   

Italea/de.it.press 5

 

 

 

 

 

Presentata al congresso “Diaspore Italiane” la rete dei Musei dell’Emigrazione italiana

 

Genova – Una rete dei Musei dell’Emigrazione italiana per valorizzare il patrimonio di conoscenze che custodiscono. È l’iniziativa presentata al congresso internazionale “Diaspore Italiane – Rappresentazione e Questioni di Identità” di Genova, nell’ambito del Progetto Italea, il programma di promozione del turismo delle radici lanciato dal Ministero degli Affari Esteri. L’evento si è tenuto presso il MEI – Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana e il Galata Museo del Mare. Giovanni De Vita (Responsabile del Progetto Italea – MAECI) nel suo intervento ha parlato di questo progetto come di una parte caratterizzante del turismo delle radici proposto da Italea. “Abbiamo voluto assicurare dei contenuti culturali a questa iniziativa, creando una comunità di musei dell’emigrazione italiana”, ha spiegato De Vita sottolineando la mole di patrimonio migratorio custodito in queste sedi museali. Per De Vita il turista delle radici appare interessato a riscoprire anche la parte storica relativa agli albori dei flussi migratori italiani. “Il patrimonio custodito dai nostri musei dell’emigrazione deve essere condiviso e messo a disposizione dei viaggiatori delle radici che vengono a visitare i luoghi da cui sono partiti i loro antenati”, ha aggiunto De Vita che segnala anche un altro obiettivo: proprio attraverso questa rete museale, l’idea è quella di portare nelle scuole la conoscenza della storia dell’emigrazione italiana. De Vita ha inoltre rilevato che il progetto è aperto anche ad altre entità che possono essere diverse dal museo inteso in senso tradizionale, magari centri di ricerca che hanno materiale interessante sull’emigrazione. A seguire De Vita ha letto la lista dei Musei che hanno finora aderito alla Rete: Abruzzo – Fondazione Genti d’Abruzzo Onlus, ente gestore del Museo delle Genti d’Abruzzo – Pescara; Basilicata – Museo Emigrazione Lucana – Centro Lucani nel Mondo “Nico Calice” – Lagopesole (PZ); Campania – Museo del Cognome – Padula (SA); Calabria – La Nave della Sila – Spezzano della Sila (CS) Museo del Mare, dell’Agricoltura e delle Migrazioni – Cariati (CS); Emilia-Romagna – Centro di documentazione dell’emigrazione parmense Bedonia – Parma; Liguria – Museo Internazionale dell’Emigrazione Italiana – Genova, MUSEL – Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante – Sestri Levante; Marche – MEMA – Museo dell’Emigrazione Marchigiana – Recanati; San Marino – Museo dell’Emigrante – Centro di ricerca sull’emigrazione; Molise – Museo Comunale delle Migrazioni – Vinchiaturo (CB); Piemonte – Centro Studi Silvio Pellico ETS, Comitato di gestione del Museo Regionale dell’emigrazione dei Piemontesi – Frossasco (TO), Museo Regionale dell’emigrazione vigezzina nel mondo – Museo Spazzacamino – Santa Maria Maggiore; Sardegna – MEA – Museo dell’emigrazione sarda – Asuni;  Sicilia – Museo Eoliano dell’emigrazione – Salina (ME), Museo Ibleo dell’Emigrazione – Giarratana (SR), Museo Etnologico Caropepe Valguarnera – Caropepe (EN), Ecomuseo Petra d’Asgotto Nicosia (EN), Museo dell’Emigrazione dell’Area Trapanese di Santa Ninfa – Santa Ninfa (TP), Museo Tempo Canicattini Bagni (SR); Toscana – Archivio Diaristico nazionale – Pieve Santo Stefano; Veneto – MIM Museo interattivo delle migrazioni – Belluno.  De Vita, oltre a sottolineare la piena apertura del progetto ai musei nel mondo che mantengono viva la memoria della nostra emigrazione, ha rilevato come sul portale Italea i musei dell’emigrazione che hanno aderito all’iniziativa avranno uno spazio dedicato e potranno aggiornare i loro dati.  Ha poi preso la parola Luigi Maria Vignali (Direttore generale per gli italiani all’estero – Maeci) che ha definito i musei come luoghi in grado di dare ispirazione nei quali soffermarsi per riflettere. “Genova è bellissima, è una città portuale e vitale”, ha aggiunto Vignali invitando allo stesso tempo a visitare Musei come quello dell’Emigrazione o del Mare per avere una conoscenza profonda della storia della città. “Lo stesso vale per il turista delle radici”, ha rilevato Vignali per dire che non si può avere la giusta conoscenza di un tema senza visitarne il museo dedicato. Il Direttore Generale ha anche ricordato l’importanza dell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano, il luogo e il momento significativo che ha dato il via a tutto questo movimento creatosi attorno al concetto di viaggio delle radici. “Queste storie andrebbero raccontate ai discendenti di coloro che le hanno vissute”, questa è l’idea che per Vignali ha fatto scattare la scintilla: il racconto quale leva per il ritorno nei luoghi d’origine. “La memoria si basa sui racconti che mantengono il desiderio di tornare”, ha evidenziato Vignali menzionando il progetto intitolato “I diari raccontano”. Il Direttore Generale, riferendosi al nome del progetto “Italea”,  ha paragonato l’emigrazione italiana a una pianta che viene trapiantata altrove e mette le radici in un altro luogo potendo però un giorno tornare per incontrare nuovamente la pianta madre. Il nome del progetto Italea – ha spiegato – deriva proprio dal termine talea che indica la capacità di un ramo di una pianta trapiantato altrove di rigenerarsi. “Italea è una piattaforma e offre una serie di contenuti e possibilità”, ha aggiunto Vignali pensando ad esempio alle nuove generazioni nate all’estero che non hanno mai conosciuto di persona l’Italia e ne hanno un sentimento di affetto forte senza però averne ancora un’immagine concreta e tangibile. “Vogliamo raggiungere i giovani nelle scuole attraverso forme di comunicazione a loro dedicate”, ha poi spiegato Vignali ricordando la creazione di un fumetto sui viaggi delle radici dal titolo “Sotto lo stesso cielo”. L’idea è quella di poter raccontare certe tematiche anche attraverso le immagini che possono arrivare in maniera più diretta, soprattutto ai giovani. Il Direttore Generale ha poi ricordato il viaggio delle radici, come appendice di un viaggio istituzionale, compiuto dal politico canadese Anthony Rota, di origini calabresi: il nonno partì dall’Italia nel 1903 per andare in Ontario. Vignali si è poi soffermato sull’impatto emotivo che offre un viaggio delle radici, al quale bisogna però dare anche dei contenuti culturali e di approfondimento. “Parliamo della conoscenza della storia dell’emigrazione italiana, che è poi il motore dell’insegnamento nelle scuole”, ha precisato Vignali auspicando il raggiungimento di questo obiettivi. (Inform/dip 8)

 

 

 

 

Sanatoria su vuoti contributivi Inps. Avviata l’equiparazione tra il personale del Maeci

 

E´ stato approvato in queste ore al Senato il ddl lavoro che, all´articolo 24, reca “disposizioni in materia previdenziale concernenti il personale a contratto degli uffici all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale”. L’emendamento all’articolo menzionato era stato approvato durante la lettura del provvedimento presso la Camera dei Deputati, su segnalazione della CONFSAL UNSA.

L´articolo 24 pone fine alla sperequazione insostenibile ed incomprensibile sussistente tra personale della PA e il personale a contratto dinanzi alla sussistenza di vuoti contribuiti prescritti, che hanno condotto i nostri colleghi ormai in quiescenza a non poter accedere alla spettanza pensionistica in ragione dell’assenza nel prospetto contributivo di alcuni versamenti presso l´INPS antecedenti al 2004 e dunque andati in prescrizione.

Uno scenario drammatico su cui CONFSAL UNSA ha inteso agire per rettificare le disposizioni normative, avviando un approfondimento con la politica e l´amministrazione nella prospettiva di includere nella sanatoria prevista dalla legge di bilancio per il 2024 anche gli impiegati a contratto del MAECI, esclusi senza alcuna ragione.

La sanatoria che, una volta pubblicato il predetto ddl in Gazzetta Ufficiale, sarà legge dello Stato, dispone l’applicazione dell'articolo 1, comma 131, della legge n. 213 del 2023 (ai sensi del quale, al fine di ritenere assolti gli obblighi contributivi, per i periodi di paga fino al 31 dicembre 2004, le amministrazioni pubbliche, per i propri dipendenti iscritti alla gestione ex INPDAP costituita presso l’INPS, sono tenute a trasmettere all’INPS, ai fini della corretta

implementazione delle posizioni assicurative individuali, esclusivamente le denunce mensili di cui all’articolo 44, comma 9, del decreto legge n. 269 del 2003, ovvero quelle relative alle retribuzioni decorrenti dal gennaio 2005) anche al personale di cui all'articolo 152 del DPR n. 18 del 1967, ovvero al personale a contratto, iscritto a enti previdenziali italiani.

Ancora una volta CONFSAL –UNSA mette al centro della propria attenzione i lavoratori, impiegando tutte le energie, le competenze e gli strumenti a propria disposizione per costruire un percorso di equiparazione tra lavoratori della stessa Amministrazione, in passato mai esistita, ma che - anche in prospettiva degli interventi su cui il nostro Sindacato sta lavorando e che troveranno spazio nei prossimi provvedimenti – diverrà nei prossimi anni una realtà di fatto, a cui guardare con fiducia e speranza.

Confsal Unsa Esteri, dip 12

 

 

 

 

 

“Le migrazioni nelle Alpi”

 

Belluno - Concluso il convegno internazionale “Le migrazioni nelle Alpi”: una riflessione condivisa sul futuro delle aree montane andato in scena lo scorso 29 novembre nella suggestiva cornice della Sala Conferenze dell’Area Megalitica di Corso Saint-Martin-de-Corléans. L’evento, a cui ha partecipato anche l’Associazione Bellunesi nel Mondo, ha rappresentato un’importante occasione per riflettere sulle sfide dello spopolamento delle aree montane e sulla necessità di preservare il patrimonio culturale delle Alpi, coinvolgendo esperti, istituzioni e associazioni provenienti da tutta la regione alpina.

Tra gli interventi, dunque, anche quello di Oscar De Bona, presidente ABM e UNAIE – Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati, che ha sottolineato l’importanza di una prospettiva condivisa tra le regioni alpine. “La geografia di questo convegno ci ha spinto a parlare di una geografia non in verticale, da sud a nord, ma orizzontale, da est a ovest – ha spiegato De Bona -. Una linea orizzontale che accomuna una vasta area di montagna che si trova ad affrontare le stesse problematiche di spopolamento, di storia di emigrazione e anche di immigrazione. Sono convinto che lavorando tutti assieme possiamo portare un beneficio a tutto il comprensorio alpino dando voce e azione ai nostri emigranti e discendenti”.

Un ricco programma di interventi

Il convegno, articolato in una sessione mattutina e una pomeridiana, ha offerto una panoramica dettagliata sulle dinamiche migratorie alpine e sulle prospettive future per le comunità montane. Dopo i saluti istituzionali di Marlène Domaine, sindaco di Saint-Nicolas, e Luciano Caveri, Assessore agli Affari europei, Innovazione, PNRR e Politiche nazionali per la montagna, si sono susseguiti interventi di alto livello.

Jean-Pierre Martin Perolino, presidente del Comité Fédéral des Sociétés d’Emigrés Valdôtains (COFESEV), ha illustrato il fenomeno dell’emigrazione valdostana nel mondo, mentre Laurent Rigaud, presidente dei Savoyards du Monde, ha analizzato la carenza di manodopera nelle montagne e l’emigrazione savoiarda. A seguire, Maurizio Tomasi, direttore della rivista Trentini nel Mondo, ha affrontato i temi dell’emigrazione trentina, e Luigi Papais, consigliere dell’Ente Friuli nel Mondo, ha discusso le sfide generazionali per le comunità friulane.

Nel pomeriggio, i lavori si sono concentrati su temi legati alla sostenibilità delle montagne. Andrea Membretti, sociologo delle Università di Pavia e Torino, ha esplorato il fenomeno delle “migrazioni verticali”, e Davide Rosso, storico e giornalista, ha approfondito la mobilità della popolazione valdese tra le Alpi, l’Europa e le Americhe. Geremia Gomboso, presidente dell’Istituto Ladin Furlan Pre Checo Placerean, ha evidenziato il ruolo cruciale della pianificazione urbanistica nel contrastare lo spopolamento montano.

Conclusioni e sfide per il futuro

Michela Ceccarelli, docente e membro del Comitato scientifico della Fondation E. Chanoux, ha concluso il convegno sottolineando una problematica urgente per la Valle d’Aosta: nel giro di 15 anni, la regione avrà bisogno di circa 10mila lavoratori. “Bisogna agire subito e assieme”, ha dichiarato, evidenziando la necessità di una strategia condivisa per attrarre risorse umane.

Anche il presidente della Regione Valle d’Aosta, Renzo Testolin, ha preso la parola, ribadendo l’importanza di sostenere le realtà associative impegnate nel fenomeno migratorio, sia storico sia contemporaneo. “Queste associazioni possono davvero portare un risultato fondamentale per lo sviluppo e, per certi aspetti, per la sopravvivenza delle nostre terre di montagna”, ha sottolineato.

Grazie alla partecipazione di esperti e rappresentanti delle comunità alpine, il convegno si è confermato un momento di alto valore, volto a individuare soluzioni concrete per lo sviluppo economico e sociale delle aree montane. Oscar De Bona e le realtà che rappresenta hanno dimostrato come il dialogo e la collaborazione tra regioni possano essere strumenti fondamentali per il futuro delle Alpi. (aise/dip 9) 

 

 

 

 

 

Alla Farnesina la XVII conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia

 

ROMA - Lunedì 16 e martedì 17 dicembre, alla Farnesina, avrà luogo la XVII edizione degli “Stati Generali della Diplomazia”, la Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia nel mondo, appuntamento di confronto sull’azione internazionale del nostro Paese, con la partecipazione di oltre 150 titolari delle Sedi diplomatiche italiane all’estero e di numerosi Ministri di Governo.

La Conferenza sarà l’occasione per affrontare gli attuali scenari internazionali; la sicurezza cibernetica e le minacce ibride; la proiezione del saper fare italiano nel mondo tramite ricerca, scienza, energia e cultura; la nuova legislatura europea; la promozione dell’export e dell’internazionalizzazione delle imprese.

Mercoledì 18 e giovedì 19 dicembre 2024, il programma della Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia nel mondo si svolgerà a Milano.

Il programma di lunedì 16 dicembre prenderà il via alle ore 10.00 e proseguirà fino alle 17.30 con la sessione conclusiva. Per l’inaugurazione sono previsti gli interventi del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del Vice Presidente e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, poi a seguire ci saranno le cinque sessioni sui temi: “Pace e negoziati. Scenari internazionali”, (previsti gli interventi di Tajani, del Ministro degli Esteri svizzero, Ignazio Cassis, e del Direttore Generale dell’AIEA, Rafael Mariano Grossi); “sicurezza cibernetica, minacce ibride, intelligenza artificiale” (oltre a Tajani interverrà il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e Autorità Delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano); “La proiezione del saper fare italiano nel mondo: ricerca, scienza, energia e cultura” (sempre Tajani coadiuvato in questo caso dal Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, dalla Ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, dal Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, e dal Ministro dell’Istruzione del Merito, Giuseppe Valditara); “Nuova legislatura europea: sfide e opportunità”, (dopo Tajani interverrà il Ministro per gli affari europei, il PNRR e le politiche di coesione, Tommaso Foti); e la sessione conclusiva per cui è previsto il videomessaggio della Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni.

I lavori proseguiranno poi il 17 dicembre e si svolgeranno a porte chiuse.

(aise/dip 10) 

 

 

 

 

 

 

Amtliche Zahlen. Migranten im Staatsdienst deutlich unterrepräsentiert

 

Das Statistische Bundesamt hat Daten der Integration analysiert. Ein Ergebnis: nur jede zehnte Person mit ausländischen Wurzeln ist im öffentlichen Dienst beschäftigt. Personen ohne Einwanderungserfahrung sind doppelt so oft im Staatsdienst.

Nur 11 Prozent der Menschen mit Einwanderungsgeschichte waren im vergangenen Jahr in Deutschland im öffentlichen Dienst beschäftigt. Ihr Anteil war damit etwa halb so hoch wie bei Menschen ohne Migrationshintergrund. Von ihnen waren 20 Prozent beispielsweise als Lehrer, Erzieher, Polizist oder Sachbearbeiter tätig, wie das Statistische Bundesamt anlässlich der Veröffentlichung des Dashboards Integration auf Grundlage von Ergebnissen des Mikrozensus mitteilte.

Unterschiede gibt es auch innerhalb dieser Gruppe: Während 2023 jede zehnte selbst eingewanderte Person (10 Prozent) im öffentlichen Dienst tätig war, traf dies bei den Nachkommen mit zwei eingewanderten Elternteilen auf jede siebte Person und damit auf 14 Prozent zu. Bei Personen mit einem eingewanderten Elternteil lag der Anteil der im öffentlichen Dienst Beschäftigten mit 18 Prozent nur geringfügig niedriger als bei Personen ohne Einwanderungsgeschichte mit 20 Prozent.

Nachkommen häufiger im öffentlichen Dienst als zehn Jahre zuvor

Die zeitliche Entwicklung fällt bei den einzelnen Gruppen ebenfalls unterschiedlich aus. So ist der Anteil der im öffentlichen Dienst Beschäftigten bei den selbst Eingewanderten im Vergleich zu 2013 um einen knappen Prozentpunkt auf 10 Prozent im Jahr 2023 angestiegen. Bei den Nachkommen hat er um gut die Hälfte von 9 Prozent auf 14 Prozent zugelegt. „In diesem Zeitraum sind viele Menschen neu nach Deutschland eingewandert, wodurch sich die Zusammensetzung der Eingewanderten verändert hat“, erklärten die Statistiker.

Bei Personen mit einem eingewanderten Elternteil ist der Anteil der im öffentlichen Dienst Beschäftigten ebenfalls angestiegen – von 13 Prozent auf 18 Prozent.

15 Prozent haben Einwanderungsgeschichte

Insgesamt hatten 2023 gut 15 Prozent der Beschäftigten im öffentlichen Dienst eine Einwanderungsgeschichte. Knapp 12 Prozent waren selbst eingewandert und knapp 4 Prozent waren Nachkommen Eingewanderter. „Damit sind sie auch gemessen an der Gesamtbevölkerung deutlich unterrepräsentiert“, erläuterte das Bundesamt. Menschen mit Einwanderungsgeschichte hatten demnach einen Anteil von 29 Prozent an der Gesamtbevölkerung. An den Erwerbstätigen von 15 bis 64 Jahren betrug ihr Anteil 26 Prozent.

Eine Einwanderungsgeschichte haben demnach Personen, die entweder selbst oder deren beide Elternteile seit 1950 nach Deutschland eingewandert sind. (dpa/mig 13)

 

 

 

 

„Bewältigung illegaler Migration“. Rumänien und Bulgarien treten Schengenraum bei

 

Reisende mit dem Auto oder Zug müssen bisher an der Grenze zu Bulgarien und Rumänien ihren Ausweis vorzeigen. Eine EU-Einigung wird das schon bald ändern. Im Gegenzug verspricht Rumänen „Bewältigung illegaler Migration“.

Bulgarien und Rumänien können ab Anfang Januar vollständig dem grenzkontrollfreien Schengen-Raum beitreten. Nachdem seit März bereits Kontrollen an den Flughäfen und den Seegrenzen weggefallen sind, wird nun auch das freie Reisen über die Grenzen zu Lande möglich, wie die ungarische EU-Ratspräsidentschaft nach einem einstimmigen Beschluss der 27 Mitgliedstaaten in Brüssel mitteilte.

Der Schengen-Raum ermöglicht es Menschen, in Europa zu reisen, ohne dabei an den Grenzen kontrolliert zu werden. Insgesamt 29 Länder gehören dazu, darunter EU-Mitgliedsstaaten wie Deutschland und Frankreich, aber auch Nicht-EU-Länder wie die Schweiz, Norwegen, Island und Liechtenstein. Zuletzt hatten allerdings viele Regierungen – auch die deutsche – im Kampf gegen irreguläre Migration wieder Grenzkontrollen eingeführt.

Neue Mitglieder können nur einstimmig im Schengen-Raum aufgenommen werden. Österreich hatte länger die Liberalisierung an den Landgrenzen blockiert, zuletzt aber den Widerstand aufgegeben. Rumänien und Bulgarien hatten seit 2011 auf den Beschluss gewartet.

Faeser begrüßt Schengen-Erweiterung

Wien hatte sein Veto damit begründet, dass über die beiden Länder weiter zahlreiche Migranten ins Land kommen könnten. Unter anderem sorge inzwischen ein stärkerer Außengrenzschutz dafür, dass Migranten nicht mehr durchgewunken würden, hieß es jedoch nun.

Die deutsche Innenministerin Nancy Faeser begrüßte am Rande des Treffens der Innenminister die Schengen-Erweiterung. Beide Länder würden sich gut um einen gesicherten Außengrenzschutz kümmern. Das bisherige österreichische Verzögern bezeichnete die SPD-Politikerin auf Nachfrage als Fehler. Es gehe ja auch um Vertrauen in die Europäische Kommission, sagte Faeser. Wenn man Kriterien für einen Beitritt festlegen und sie würden erfüllt, dann müsse man auch so konsequent sein, das umzusetzen. Sie sei froh, dass dieser Schritt nun gegangen wurde.

Rumänien verspricht „Bewältigung illegaler Migration“

Rumäniens Staatspräsident Klaus Iohannis sagte, der Schritt steigere die Wettbewerbsfähigkeit rumänischer Produkte und die Attraktivität des Landes für ausländische Investoren. Iohannis versicherte mit Blick auf die Migration zugleich: „Rumänien wird weiterhin verantwortungsbewusst handeln, um die Außengrenzen der Union zu schützen und zu stärken, einschließlich der wirksamen Bewältigung der illegalen Migration.“ Der bulgarische Präsident Rumen Radew hob ebenfalls hervor, der Schengen-Beitritts seines Landes stärke die europäische Integration Bulgariens sowie seine Wirtschaft und bringe vor allem den Bürgern Erleichterungen.

Alle EU-Mitgliedstaaten werden, sobald sie bereit sind, Vollmitglieder des Schengen-Raums. Dies ist sowohl ein Recht als auch eine Verpflichtung.

Rumänien und Bulgarien EU-Mitglieder seit 2007

Rumänien und Bulgarien waren bereits 2007 der EU beigetreten. Bis September standen Justiz und Rechtsstaat dort aber wegen grassierender Korruption und organisierter Kriminalität unter Sonder-Überwachung der EU-Kommission. Auch wegen dieser Probleme gab es lange keine Einstimmigkeit unter den Staats- und Regierungschefs für einen Beitritt.

Ursprünglich ging es im Schengen-Abkommen nur um den freien Personenverkehr. Doch mit der Zeit wurde das Abkommen erweitert. Heute regelt es etwa auch die Zusammenarbeit zwischen Polizeibehörden, damit Verbrechen grenzübergreifend besser bekämpft werden können. (dpa/mig 13)

 

 

 

 

Syrien. Im Vakuum

 

Im syrischen Bürgerkrieg mischten stets internationale Akteure mit. Der Fall Assads samt Rückzug von Iran und Russland läutet ein neues Kapitel ein.  Von Hanna Pfeifer & Regine Schwab

 

Dem syrischen Volk ist nach fast 14 Jahren Krieg und nach einem halben Jahrhundert der Schreckensherrschaft der Sturz des Assad-Regimes gelungen. Ein wichtiger Faktor für die Rasanz des Vormarschs sind Veränderungen in der Konstellation dritter, in den Konflikt involvierter Parteien. Sie öffneten ein Gelegenheitsfenster, das die syrischen Rebellen nutzten und das für den Zeitpunkt der Offensive entscheidend war.

Der syrische Bürgerkrieg kennzeichnete sich durch eine Vielzahl an bewaffneten Gruppen, die in wechselnden Allianzen, manchmal auch in jahrelanger Kooperation, gegen das Regime und untereinander kämpften. Darüber hinaus ist auch der hohe Grad der Internationalisierung dieses Konflikts markant. Bereits in den ersten Jahren des Krieges waren Forderungen nach einer humanitären Intervention laut geworden. Aber selbst nach dem Giftgasangriff des Regimes 2013, bei dem über 1 400 Menschen getötet wurden, blieb eine direkte Intervention westlicher Mächte unter US-Führung aus – gegen den Wunsch vieler Syrerinnen und Syrer nach einem begrenzten Militäreinsatz zur Schwächung von Baschar al-Assad.

Dies erlaubte es anderen internationalen Akteuren, sich in den Konflikt einzumischen. Eine zentrale Rolle spielte Russland als Unterstützer des Regimes. Wladimir Putin lieferte Waffen, Baschar al-Assad erlaubte es dem russischen Regime, nahe Latakia in Westsyrien einen Luftwaffenstützpunkt und in Tartus eine Marinebasis im östlichen Mittelmeer zu unterhalten. Ab 2015 griff Russland direkt zugunsten des Regimes ein, vor allem mit massiven Luftangriffen gegen Zivilistinnen und Zivilisten sowie gegen zivile Infrastruktur. Bis zuletzt waren diverse private russische Militärfirmen in Syrien aktiv.

Eine weitere Stütze der Assad-Diktatur war der Iran, der bereits seit 2011 aus ideologischen und strategischen Gründen militärisch in den Konflikt eingriff. Für das iranische Regime stellte Syrien seit der Islamischen Revolution einen wichtigen Verbündeten dar, insbesondere im Austragen regionaler Rivalitäten mit den sunnitischen Golfstaaten. In den Jahren des Global War on Terror gewann die Allianz gemeinsam mit nicht-staatlichen Gruppierungen im Libanon, Irak und in Palästina – darunter Hisbollah und Hamas – unter dem Namen „Achse des Widerstands“ neue strategische Bedeutung. Der Iran unterstützte das Assad-Regime direkt durch Training, Waffenlieferungen und Personal.

Die wohl mächtigste Kraft auf der Seite des Regimes war die libanesische Hisbollah. Trotz einer innerlibanesischen Einigung auf Neutralität im Syrienkonflikt griff die Gruppe ab 2012 zunächst durch die Entsendung von Beratern und Militärkadern ein, ab 2013 dann ganz offiziell und direkt mit Kämpfern aufseiten des Assad-Regimes. Neben den mit der „Achse des Widerstands“ geteilten Zielen für die regionale Ordnung gab es für die Hisbollah auch materielle Gründe, sich mit Assad gut zu stellen – für sie bestimmte iranische Waffenlieferungen liefen über syrisches Territorium.

Während die USA und andere westliche Staaten zunächst von einem direkten Militäreinsatz absahen, stellten sie bereits ab Beginn des Krieges Finanzmittel und leichte Waffen für die syrische Opposition zur Verfügung. Ein direkter Einsatz begann erst mit dem rasanten Aufstieg des Islamischen Staats in Irak und Syrien (ISIS) im Jahr 2014. Unter US-Führung formierte sich die Global Coalition against Daesh, die bis 2019 über 44 000 Luftschläge im Irak und in Syrien durchführte. Neben einer Reihe westlicher Staaten gehörten der Koalition auch diverse arabische Verbündete an, nämlich Bahrain, Jordanien, Saudi-Arabien und die Vereinigten Arabischen Emirate sowie für eine kurze Zeit Katar.

Aber auch jenseits des Kampfes gegen ISIS hatten die Golfstaaten und die Türkei Syrien schon früh als Gebiet entdeckt, innerhalb dessen sie ihre regionalen, ordnungspolitischen Interessen durchsetzen wollten. Dies geschah vor allem durch die Finanzierung von Rebellengruppen ab 2012. Saudi-Arabien unterstützte Teile der Freien Syrischen Armee als Gegengewicht gegen der Muslimbruderschaft nahestehende islamistische Gruppen. Die Türkei und Katar statteten dagegen salafistische und islamistische Gruppen aus, vor allem Ahrar al-Sham.

Eine entscheidende Wende für den Erfolg der Rebellengruppen stellte 2015 dar. Nicht nur gründeten Ahrar al-Sham und Jabhat al-Nusra sowie weitere bewaffnete Gruppen die Allianz Jaish al-Fatah, die weite Teile der Provinz Idlib unter ihre Kontrolle brachte. Diese vereinigten Kräfte erfuhren zudem gemeinschaftliche Unterstützung von Katar, der Türkei und Saudi-Arabien – und damit von drei Staaten, die zuvor oftmals gegnerische Gruppierungen unterstützt hatten. Diese Einigkeit, die sich aus einer gestiegenen Bedrohungswahrnehmung durch den Iran erklären lässt, dauerte jedoch nur kurz an.

Die Türkei verfolgte seit Beginn des Konflikts ein eigenständiges Ziel: die Schwächung kurdischer bewaffneter Gruppen und deren Fernhalten von der türkischen Grenze. Nach dem großflächigen Rückzug des syrischen Regimes übernahmen die kurdische PYD und ihr bewaffneter Arm YPG plötzlich die Kontrolle über bedeutende Teile Nordsyriens. Diese Gebietskontrolle wurde im Kampf gegen ISIS und andere salafistisch-jihadistische Gruppen wie Jabhat al-Nusra, die Vorgängerorganisation von Hay’at Tahrir al-Sham (HTS, unter deren Führung nun Assad gestürzt wurde), weiter ausgeweitet. Um den gestärkten kurdischen Kräften entgegenzuwirken, griff die Türkei seit 2016 mehrfach direkt militärisch ein und unterstützte nicht-staatliche Proxies im Nachbarland. Die wichtigste unterstützte Gruppe ist die Syrische Nationale Armee, die aus ehemaligen Mitgliedern der Freien Syrischen Armee und wohl auch von ISIS besteht.

Zuletzt ist auch Israel als Partei in dem Konflikt zu nennen. Während das Assad-Regime zur Achse des Widerstands gehörte und damit in einer Allianz mit Israels wichtigsten Gegnern stand, so hatte sich mit Syrien im Konflikt um die von Israel völkerrechtswidrig besetzten Golanhöhen eine Art stille Übereinkunft zur Duldung des Status quo eingespielt. Israel flog aber immer wieder Luftangriffe gegen iranische Militärs, Hisbollah-Angehörige, Waffentransporte und syrische Militäreinrichtungen. Diese Angriffe galten jedoch nicht der Stärkung einer Kriegspartei, sondern der Schwächung der Achsenmitglieder.

Die israelischen Militärhandlungen der vergangenen Monate haben in diesem Sinne die Achse des Widerstands gebrochen. Die exzessive israelische Gewalt gegen Zivilistinnen und Zivilisten in Gaza und später im Libanon sowie sichtbar begangene Völkerrechtsverbrechen haben in der arabischen Welt zwar die Unterstützungswerte für die Achsenmitglieder deutlich steigen lassen. Allerdings fügte die israelische Armee nicht nur der Hamas in und außerhalb von Gaza, sondern auch der Hisbollah im Libanon und dem Iran erheblichen militärischen Schaden und einen massiven Gesichtsverlust zu, nicht zuletzt durch die Tötung der Anführer beider Gruppen in Teheran und Beirut.

Am Tag vor dem Beginn der Rebellenoffensive in Syrien war zwischen Hisbollah und Israel ein – bestehender, wenn auch brüchiger – Waffenstillstand verhandelt worden. Viele Kämpfer waren in den letzten Monaten bereits aus Syrien abgezogen worden, und so war Hisbollah wohl nicht fähig – und angesichts der massiven Rückschläge im Libanon vielleicht auch nicht willens –, den Rebellengruppen etwas entgegenzusetzen. Die iranische Führung selbst war von Assad zunehmend desillusioniert, der wohl Informationen über iranische Stellungen an Israel weitergegeben hatte. Teheran begann am 7. Dezember mit dem Abzug seines Personals aus Syrien.

Auch Russland ließ Assad fallen, nachdem es über Jahre nicht nur militärisch, sondern auch als diplomatische Schutzmacht eine zentrale Stütze für das Regime gewesen war, etwa durch Blockaden im UN-Sicherheitsrat. Assad scheint die russischen „Ratschläge“ schon länger ausgeschlagen zu haben. Hier ist der gescheiterte Normalisierungsprozess mit der Türkei zu nennen. Diesen hatte Russland in die Wege geleitet, um Syrien wieder in der Region zu verankern und von Iran zu entfernen. Assad zeigte sich in den Verhandlungen mit der Türkei jedoch unnachgiebig und unterschätzte dabei, dass Putin die Geduld mit ihm verlieren könnte.

Bis auf vereinzelte private Militärfirmen hatte Russland seine militärische und finanzielle Unterstützung seit Beginn der Invasion in der Ukraine 2022 zurückgefahren. Zudem hatte Russland nach dem 7. Oktober 2023 die gemeinsamen Luftschläge mit der syrischen Luftwaffe auf Idlib und angrenzende Gebiete wieder hochgefahren. Im Zuge des Rebellenvormarschs erhöhte sich die Taktung der Angriffe, blieb aber im Vergleich etwa zur Rückeroberung Aleppos begrenzt. Das Putin-Regime steht nach eigenen Angaben mit Vertretern der Rebellenallianz in Kontakt, um seine geostrategischen Interessen zu wahren. Russland hat bisher Stützpunkte im Landesinneren evakuiert, versucht aber seine Militärbasen im Mittelmeer zu behalten.

Die von HTS angeführte Rebellenallianz stand zumindest indirekt sowohl mit iranischen als auch mit russischen Vertretern im Austausch und sicherte zu, neben russischen Militärstützpunkten auch Botschaften und schiitische Schreine zu schützen. Nach Berichten der syrischen Medienplattform al-Jumhuriya war dies Ergebnis einer Zusammenkunft in Doha kurz vor Beginn der Rebellenoffensive. Die russische und iranische Führung signalisierten der Türkei, dass sie bereit seien für eine politische Transition in Syrien. In Koordination wurden mit Saudi-Arabien, Ägypten, Irak, Jordanien und Katar sieben Verhandlungspunkte erarbeitet und über die Türkei an die Rebellen übermittelt. Diese formulierten drei Gegenforderungen, nach deren Annahme der Vormarsch begann.

In nahezu vollständiger Abwesenheit iranischer und russischer Kräfte sowie der Hisbollah sind nun zwei andere internationale Mächte prägend für das künftige Geschehen in Syrien: Die Türkei und Israel versuchen, das Gelegenheitsfenster des Regimezusammenbruchs für sich zu nutzen. Die Kämpfe der Syrischen Nationalen Armee gegen die von Kurden geführten Demokratischen Kräfte Syriens (SDF) in Nordsyrien halten an; zuletzt brachten die türkisch unterstützten Milizen die Stadt Manbji unter ihre Kontrolle, die bisher von den SDF kontrolliert worden war. Zudem attackiert die Türkei direkt kurdische Stellungen mit Drohnen- und Luftangriffen. Sie scheint die Situation nutzen zu wollen, um die kurdischen Einheiten nachhaltig zu schwächen. Die Angriffe der Türkei sind nicht nur völkerrechtswidrig, sondern destabilisieren auch die Lage in Nordsyrien in einer Form, die am Ende ISIS wieder erstarken lassen könnte.

Israel hingegen hat in den vergangenen Tagen strategische Waffen der syrischen Armee wie die Luftwaffe und Marine sowie Chemiewaffen zerstört. Es hat zudem die militärisch-neutrale Pufferzone zwischen den seit 1967 von Israel illegal besetzten Golanhöhen und dem syrischen Staatsgebiet unter seine Kontrolle gebracht und erwägt wohl, diese in weitere syrische Gebiete auszudehnen. Diese Expansion würde für weitere Instabilität sorgen. Zudem verstoßen alle israelischen Militärhandlungen der letzten Tage in Syrien gegen das Völkerrecht, wie auch die Vereinten Nationen mehrfach anmahnten.

Sowohl die türkischen als auch die israelischen Militärhandlungen sind Brüche des internationalen Rechts und müssen dringend unterbunden werden. Beide Staaten scheinen in Erwartung der kommenden US-Regierung von Donald Trump Fakten schaffen zu wollen, die der neue Präsident nicht rückgängig machen wird. Er hat in der Vergangenheit sowohl die Türkei als auch Israel bei ähnlichen Aktionen unterstützt. Deutschland und die EU müssen jetzt Druck auf die Türkei und Israel ausüben, die Situation nicht weiter zu destabilisieren, und einen selbstbestimmten syrischen Übergangsprozess nach besten Kräften unterstützen. IPG 13

 

 

 

 

Wunder. Elfjährige nach tagelanger Irrfahrt allein im Mittelmeer gerettet

 

Mehrere Tage soll ein Mädchen aus Sierra Leone nach dem Sinken eines Flüchtlingsbootes mit zwei Rettungsringen im Mittelmeer getrieben haben. Eine deutsche Hilfsorganisation rettete es nach eigenen Angaben vor dem Ertrinken.

Vor der italienischen Insel Lampedusa hat eine deutsche Hilfsorganisation nach eigenen Angaben ein elfjähriges Mädchen vor dem Ertrinken gerettet, das allein im Mittelmeer trieb. Die Crew des Segelschiffs „Trotamar III“ habe das Kind am frühen Morgen an Bord genommen und anschließend auf die Insel gebracht, teilte die Organisation Compass Collective mit. Von der italienischen Küstenwache gab es zunächst keine Informationen.

Die Helfer gehen davon aus, dass das Mädchen mit mehr als 40 weiteren Menschen auf einem Migrantenboot im zentralen Mittelmeer unterwegs war, um nach Europa zu gelangen. Das Boot hatte sich demzufolge in der tunesischen Stadt Sfax auf den Weg gemacht. Infolge eines starken Sturms sei es vor einigen Tagen gesunken. Das Mädchen soll nun die einzige Überlebende sein.

Zwei Rettungsringe und eine Rettungsweste

Das Kind – nach Angaben der Hilfsorganisation aus dem westafrikanischen Staat Sierra Leone – habe seit dem Schiffbruch allein mit zwei Rettungsringen und einer Rettungsweste im Wasser getrieben. Die Crew sei durch laute Rufe auf das Mädchen aufmerksam geworden. Die Crew der „Trotamar III“ unterstützt nach Angaben von Compass Collective die zivile Seenotrettung im zentralen Mittelmeer. Derzeit ist sie südlich von Lampedusa im Einsatz.

Immer wieder versuchen Menschen, mit Booten übers Mittelmeer nach Lampedusa, Sizilien oder auf Italiens Festland zu gelangen. Dabei kommt es immer wieder zu Unglücken mit Toten und Vermissten. Das Innenministerium in Rom zählte dieses Jahr etwa 64.000 Menschen, die auf Booten Italien erreichten. Im Vorjahreszeitraum waren es mit etwa 153.100 mehr als doppelt so viele. (dpa/mig 12)

 

 

 

 

Friedensbotschaft des Papstes: Todeszelle und Minenfelder

 

In seiner Friedensbotschaft für 2025, die an diesem Donnerstag veröffentlicht wurde, setzt sich Papst Franziskus einmal mehr für eine Abschaffung der Todesstrafe ein. Vor Vatikanjournalisten stieß eine US-Theologin bei der Vorstellung der Botschaft ins selbe Horn.

Krisanne Vaillancourt Murphy leitet das „Catholic Mobilizing Network“. Es hat sich zum Ziel gesetzt, Katholiken in den Vereinigten Staaten für den Kampf gegen die Todesstrafe zu mobilisieren. Der Vatikan bot ihr nun ein Forum, um dieses Anliegen vorzustellen.

„Papst Franziskus bittet um unser entschiedenes Engagement für die Achtung der Würde des menschlichen Lebens, und dazu gehört die Abschaffung der Todesstrafe in allen Nationen. Die Todesstrafe ist eine ‚strukturelle Sünde‘, die es in mindestens 55 Ländern auf der ganzen Welt gibt. Fast 28.000 Menschen sitzen in der Todeszelle; in dieser Statistik sind Fälle in Ländern, für die es keine offiziellen Zahlen gibt, natürlich nicht enthalten. In meinem Heimatland, den Vereinigten Staaten, gibt es in 27 der 50 Bundesstaaten die Todesstrafe.“

Fast 28.000 Menschen sitzen in der Todeszelle

Papst Franziskus hat 2018 einen Passus des Katechismus der Katholischen Kirche geändert. In der neuen Fassung heißt es, dass die Todesstrafe in jedem Fall „unzulässig ist, weil sie gegen die Unantastbarkeit und Würde der Person verstößt“ (Nr. 2267). Der Papst argumentiert in der Regel, dass Hinrichtungen keineswegs die Gerechtigkeit förderten, im Gegenteil: Vielmehr nähre die Todesstrafe „ein Rachegefühl“, das sich zu einem „gefährlichen Gift“ für die Gesellschaft entwickeln könne.

„Das System der Todesstrafe hinterlässt überall Wellen des Leids in den Familien, in den Gemeinden und in unseren Sozialsystemen.“

„Das System der Todesstrafe hinterlässt überall Wellen des Leids in den Familien, in den Gemeinden und in unseren Sozialsystemen“, so Vaillancourt Murphy. „Wir stellen fest, dass das Strafrechtssystem die Opfer oft retraumatisiert oder sie ganz aus dem Rechtssystem ausschließt; dann ist da die Entmenschlichung in der isolierenden Enge der Todeszellen. Es gibt Beweise für rassistische Voreingenommenheit und weit verbreitete Diskriminierung, ungerechtfertigte Verurteilungen und sogar Hinrichtungen von Unschuldigen.“

Die Geschichte der Schiebers

Die Aktivistin nannte die Existenz der Todesstrafe den „Inbegriff einer Wegwerfkultur“, wie der Papst sie immer wieder beklagt. „Ein standhaftes, vom Glauben erfülltes Eintreten für die Abschaffung der Todesstrafe ist ein Akt tiefer Hoffnung in unserer heutigen Welt. Und die Erfahrung von Gottes unendlicher Barmherzigkeit und seinem Modell der Vergebung gibt unserem Zeugnis Auftrieb… Ich trage Geschichten über den Weg der Vergebung von Familienmitgliedern von Mordopfern sowie von Männern und Frauen in der Todeszelle mit mir - sie alle bestätigen, was der Heilige Vater über Heilung und Frieden schreibt.“

„...mutige Schritte, um sicherzustellen, dass ihr Schmerz nicht zu noch mehr Leid führte oder einer sündigen Gesellschaftsstruktur Vorschub leistete.“

Ihre Freunde Vicki und Syl Schieber hätten 1998 ihre Tochter Shannon verloren: Die junge Studentin wurde ermordet. „Ihr Leid war unvorstellbar; dennoch entschieden sie sich, auf eine Weise zu reagieren, die Wunden wieder heilt. Sie kämpften dafür, dass der Mann, der ihrer Tochter das Leben genommen hatte, nicht zum Tode verurteilt wurde. Im Geiste der Versöhnung unternahmen die Schiebers mutige Schritte, um sicherzustellen, dass ihr Schmerz nicht zu noch mehr Leid führte oder einer sündigen Gesellschaftsstruktur Vorschub leistete. Das Eintreten für das Leben des Mannes, der ihre Tochter getötet hatte, war ein konkreter Ausdruck der heilenden Gerechtigkeit, nach der sie sich sehnten.“

Ein Mitarbeiter der Rüstungsindustrie wechselt die Seiten

Auch ein weiterer Aspekt der Friedensbotschaft von Papst Franziskus wurde auf der Pressekonferenz im Vatikan näher beleuchtet – sein Appell nämlich, einen Teil der Rüstungsausgaben lieber in einen Fonds gegen Hunger und für die Entwicklung armer Staaten zu stecken. Das Wort hatte Alfieri Fontana, ein früherer Mitarbeiter der italienischen Rüstungsindustrie, der in den neunziger Jahren ausgestiegen und in den Bereich des Minenräumens übergewechselt ist.

„Doch dann wurde der Mechanismus auf einmal gestört: die Fragen der Kinder...“

„Mein Leben war nicht schlecht; moralische Probleme tauchten auf und verschwanden gleich wieder beim Gedanken, dass, wenn ich die Landminen nicht gemacht hätte, es jemand anderes getan hätte. Internationale Spannungen hielten die Arbeit stabil, und für jeden kalten Krieg, der endete, kam ein neuer im Nahen Osten und so weiter... Doch dann wurde der Mechanismus auf einmal gestört: die Fragen der Kinder, die wissen wollten, was man macht und warum man es macht, der Druck der öffentlichen Meinung, die das Problem der Landminen entdeckte… Ich habe mein Leben geändert und versuche seitdem, das ‚Vorher‘ in Ordnung zu bringen. Was für mich einmal normal war, ist zu einer Last geworden.“

„Was für mich einmal normal war, ist zu einer Last geworden“

Der Wunsch der Menschen nach Frieden werde durch Lügen, Angst und Hunger unterdrückt, so Fontana. Das spiele der kleinen Minderheit von Menschen in die Hände, die Konflikte aller Art für ihre eigenen Zwecke nutzten.

„Der große Krieg in Osteuropa bringt derzeit die Verlegung von Minenfeldern mit sich, die militärisch gesehen wenig bewirken, aber eine zukünftige Rache an all denjenigen darstellen, die einmal versuchen werden, in ihre Häuser zurückzukehren. Oder die versuchen werden, die von den Geflüchteten verlassenen Häuser zu besetzen.“ (vn 12)

 

 

 

 

14. Integrationsbericht. Trend zu mehr Einbürgerungen – Klagen über Rassismus

 

Die Bundesregierung hat die Wartezeiten für die Einbürgerung verkürzt. Geduldete erhielten neue Perspektiven. Doch die öffentliche Debatte verunsichert viele Zuwanderer – aktuell die Syrer. Die Linke bezeichnet den Bericht als einen „Katalog gebrochener Koalitionsversprechen“.

Rassismus und aufgeheizte öffentliche Debatten über Migration behindern aus Sicht der Integrationsbeauftragten der Bundesregierung, Reem Alabali-Radovan (SPD), das Ankommen von Zugewanderten in Deutschland und die Gewinnung ausländischer Arbeitskräfte. Einen Tag nach dem Sturz des syrischen Präsidenten Baschar al-Assad über Rückführungen nach Syrien zu diskutieren, sei „absolut unangebracht“, sagte die Staatsministerin bei der Vorstellung eines Integrationsberichts, den das Kabinett beschlossen hat. „Das schmerzt sehr viele syrische Mitbürger.“ Dem Bericht zufolge berichtet jeder fünfte Eingewanderte und jeder Vierte unter ihren Nachkommen über persönliche Rassismuserfahrungen.

Die Co-Vorsitzende der Türkischen Gemeinde in Deutschland (TGD), Asl?han Ye?ilkaya-Yurtbay, kritisiert: „Statt einer Willkommenskultur, die wir angesichts des Fachkräftemangels unbedingt bräuchten, wird hier das Gegenteil etabliert.“ In Deutschland herrsche „eine Art Antiwillkommenskultur, mit der wir uns komplett aus dem Spiel nehmen im Wettbewerb um Fachkräfte aus aller Welt“.

In Deutschland leben laut Alabali-Radovan 222.610 erwerbstätige Syrer. Hinzu kommen den Angaben zufolge rund 65.000 syrische Minijobber. Viele Syrerinnen und Syrer arbeiteten in systemrelevanten Berufen, unter ihnen 5.000 Mediziner. Die Integrationsbeauftragte räumt ein: „Wir haben noch eine Herausforderung bei der Integration in den Arbeitsmarkt bei Frauen, das gilt auch für Frauen aus Syrien.“ Ein Grund dafür seien Schwierigkeiten bei der Kinderbetreuung. Auch gebe es nicht genügend Integrationskurse mit Kinderbetreuung. Von beiden Problemen seien auch Ukrainerinnen stark betroffen – „und da müssen wir ran“.

Mehr Menschen mit nicht dauerhafter Aufenthaltserlaubnis

Die Zahl der Menschen mit befristeten Aufenthaltstiteln hat im Jahr 2023 einen Rekordwert erreicht. Waren es Mitte 2016 noch rund zwei Millionen Ausländer, die sich mit einer zeitlich begrenzten Aufenthaltserlaubnis in Deutschland aufhielten, so galt dies im vergangenen Jahr laut einem aktuellen Lagebericht der Integrationsbeauftragten für vier Millionen Menschen. Der starke Anstieg hat auch mit dem Zuzug von Flüchtlingen infolge des russischen Angriffskriegs gegen die Ukraine zu tun.

Etwas mehr als die Hälfte der Menschen mit befristen Aufenthaltstiteln (55 Prozent) hatten diese im vergangenen Jahr dem Integrationsbericht zufolge aus völkerrechtlichen, humanitären oder politischen Gründen, 23,9 Prozent aus familiären Gründen. Etwa jeder Zehnte (10,4 Prozent) verfügte über einen befristeten Aufenthaltstitel zur Aufnahme einer Erwerbstätigkeit. Aufgrund einer Ausbildung wurde ein solcher Aufenthaltstitel in 6,3 Prozent der Fälle gewährt.

Einbürgerungen auf Rekordniveau

Eine unbefristete Erlaubnis zum Aufenthalt in Deutschland besaßen demnach im vergangenen Jahr 2,9 Millionen Menschen. Die Zahl der Menschen, die durch Einbürgerung Deutsche wurden, war 2023 mit rund 194.000 Einbürgerungen so hoch wie noch nie.

Dass dieser Trend in diesem Jahr noch zugenommen hat, liegt daran, dass viele Syrer und andere Ausländer, die in den Jahren 2015 und 2016 nach Deutschland gekommen waren, inzwischen die Voraussetzungen für eine Einbürgerung erfüllen. Ein weiterer Faktor ist das seit Juni geltende neue Staatsangehörigkeitsgesetz. Es sieht verkürzte Wartezeiten vor und erlaubt grundsätzlich die Mehrstaatigkeit.

Weniger Geduldete

Die Zahl der Geduldeten sank von 2022 auf 2023 von rund 248.000 auf etwa 194.000. Seit dem 31. Dezember 2022 gibt es das sogenannte Chancenaufenthaltsrecht. Es betrifft Menschen, die sich zum Stichtag 31. Oktober 2022 mindestens fünf Jahre geduldet, gestattet oder mit einer Aufenthaltserlaubnis in Deutschland aufgehalten haben. Sie können gemeinsam mit ihren Angehörigen für 18 Monate eine Art Aufenthaltserlaubnis auf Probe erhalten.

Geduldete sind Menschen, die ausreisepflichtig sind, aber aus bestimmten Gründen nicht abgeschoben werden können – etwa weil sie keine Ausweisdokumente haben oder krank sind. Die Duldung ist immer befristet.

Die Integration gelinge inzwischen in allen Lebensbereichen besser, sagte Alabali-Radovan. Viele Strukturen, Institutionen und Behörden seien aber noch nicht „auf die vielfältige Gesellschaft“ ausgerichtet, vor allem im Bildungsbereich. Hier „stecken wir noch fest im letzten Jahrhundert“. Noch vor der für den 23. Februar erwarteten Neuwahl soll laut Alabali-Radovan eine Diversitätsstrategie im Kabinett beschlossen werden. Diese solle zu einer Erhöhung des Anteils von Beschäftigten mit Migrationshintergrund im öffentlichen Dienst – insbesondere in den Bundesministerien – beitragen. Im vergangenen Jahr lag der Anteil der Eingewanderten im öffentlichen Dienst bei 11,7 Prozent.

„Ein Katalog gebrochener Koalitionsversprechen“

Kritik erntet der Bericht von der Linke-Bundestagsabgeordneten Gökay Akbulut. Die Bilanz der Bundesregierung in der Migrations- und Integrationspolitik sei ernüchternd. „Zahlreiche Ankündigungen aus dem Ampel-Koalitionsvertrag – vom Partizipationsgesetz bis zu den Erleichterungen beim Ehegattennachzug – wurden nicht umgesetzt. Anstelle einer progressiven Neuausrichtung gab es eine moralische Kapitulation vor dem migrationsfeindlichen Diskurs von Union und AfD“, erklärte Akbulut.

Die Verschärfungen im Asylrecht seien nicht nur menschenrechtswidrig, sondern auch ein „fatales Signal des Einknickens“ vor einer zunehmend rassistisch geführten öffentlichen Debatte. „Der dramatische Anstieg rassistischer Vorfälle, den wir aktuell erleben, ist auch ein Resultat einer Politik der Bundesregierung, die sich dem rechtspopulistischen Diskurs nicht entschieden entgegenstellt“, so Akbulut weiter.

Erstellt wurde der Integrationsbericht mit dem Titel „Teilhabe in der Einwanderungsgesellschaft“ vom Deutschen Zentrum für Integration und Migrationsforschung. (dpa/mig 12)

 

 

 

 

Papst zu Syrien: „Politische Lösung ohne weitere Konflikte“

 

Franziskus hat zu einem friedlichen Übergang für Syrien gemahnt, wo gerade ein Machtwechsel stattgefunden hat. Auch rief der Papst bei seiner Generalaudienz zu Frieden im Nahen Osten, in Myanmar und in der Ukraine auf.

Syrien befindet sich aktuell in einer „heiklen Phase“ seiner Geschichte, erklärte Papst Franziskus an diesem Mittwoch am Ende der Generalaudienz. „Ich hoffe, dass eine politische Lösung gefunden wird, die ohne weitere Konflikte und Spaltungen die Stabilität und Einheit des Landes verantwortungsvoll fördert“, betonte er.

Am Wochenende war in Damaskus das Assad-Regime durch islamistische Aufständische gestürzt worden. Die neuen Machthaber versprachen Stabilität und kein Blutvergießen. Dennoch ist die Lage weiterhin unübersichtlich, insbesondere religiöse Minderheiten fühlen sich verunsichert.

„Ich bete für die Fürsprache der Jungfrau Maria, dass das syrische Volk in seinem geliebten Land Frieden und Sicherheit erfährt und dass die verschiedenen Religionen in Freundschaft und gegenseitigem Respekt zum Wohle dieser von so vielen Jahren des Krieges geplagten Nation zusammenarbeiten“, sagte Franziskus mit Blick auf den politischen Umbruch.

Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin hatte bereits in dieser Woche Respekt für die christlichen Gemeinschaften in Syrien eingefordert. Er verwies zudem auf die Verantwortung der internationalen Gemeinschaft, die notwendigen Bedingungen für Dialog und Frieden in Syrien zu schaffen.

Appell für Frieden in Nahost, Myanmar und der Ukraine

Papst Franziskus rief in der Audienzhalle außerdem zu Frieden im Nahen Osten, in Myanmar und in der „gemarterten Ukraine“ auf. „Krieg ist immer eine Niederlage“, betonte der Papst. „Beten wir für den Frieden.“ Mit Blick auf die Ukraine fügte er hinzu, es brauche Gebete für „einen Ausweg aus diesem Krieg“.

(vn 11)

 

 

 

 

Frei, aber nicht befreit

 

Assad ist Geschichte, doch das Land steht vor einer ungewissen Zukunft. Zwei syrische Stimmen zu den dramatischen Entwicklungen der letzten Tage. Von Hussam Baravi & Salam Said

 

Wir haben alle vom Sturz von Baschar al-Assad geträumt, aber nie wirklich geglaubt, dass wir diesen Moment erleben würden. Ein Freund hat die überwältigenden Gefühle auf Facebook perfekt eingefangen: „Wir Syrer sind alle Lügner; wir haben geschworen, dass wir Syrien nicht vermissen und niemals um es weinen werden, aber hier sind wir: alle in Tränen aufgelöst, unkontrollierbar.“ Diese Worte spiegeln meinen eigenen Unglauben wider. Am Sonntagmorgen, nachdem ich stundenlang die Entwicklungen in der Nacht verfolgt hatte, wachte ich mit über 200 Nachrichten auf. Assad war gestürzt. Es war kein Traum, es war Wirklichkeit. Allerdings wich meine Euphorie einem Unbehagen, als die Nachricht sackte.

Der Sturz von Assad ist unbestreitbar ein Wendepunkt in der modernen Geschichte Syriens. Eine Diktatur, die 54 Jahre lang mit eiserner Hand regierte, ist innerhalb weniger Tage zusammengebrochen. Das allein ist schon episch. Jahrzehntelang vermittelte Assads Regime die Illusion der Unbesiegbarkeit – ein unerschütterliches Machtgefüge, das jahrelangen Protesten, Aufständen und Druck von außen standhielt. Sein Sturz erschüttert dieses Bild und zeigt, wie zerbrechlich selbst die gefestigtsten Autokratien sind. Assads Sturz bringt auch neue Hoffnung, einige der schmerzhaftesten Wunden Syriens zu heilen, wie die Lage der politischen Gefangenen und das Schicksal der gewaltsam Verschwundenen. Zum ersten Mal seit Jahren gibt es eine echte Chance für Familien zu erfahren, was mit ihren Angehörigen geschehen ist, die in Assads Gefängnissen ums Leben kamen – und einen Abschluss zu finden.

Doch der Triumph ist nicht ungetrübt. Assads Sturz war nicht das Werk säkularer, demokratischer Kräfte, die ein gerechtes Syrien anstreben, sondern wurde durch radikale Gruppen wie Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) herbeigeführt. Viele Freunde zögerten, mir zu gratulieren, unsicher, ob dies ein Sieg oder der Beginn eines neuen Albtraums ist. Meine eigene Zerrissenheit wuchs: Die Freude über Assads Fall mischte sich mit der Angst vor dem, was folgen könnte. Meine Schwester war zwischen Syrien und dem Libanon gestrandet, mein alter Vater war allein in Damaskus, einer Stadt im Zerfall. Das von Assads Regime hinterlassene Machtvakuum ist keine bloße Theorie – sondern eine greifbare, erschreckende Realität.

Diese Verwundbarkeit reicht über das Persönliche hinaus. Syrien ist nun ein Schlachtfeld für konkurrierende regionale Interessen. Israel hat aus der Befürchtung, dass fortschrittliche Waffen in die Hände von Rebellen gelangen könnten, seine Luftangriffe auf mehrere Orte intensiviert und ist im Süden weiter vorgerückt. Dabei hat es strategische Orte ins Visier genommen, die während Assads Herrschaft ignoriert worden waren – ein beunruhigendes Zeichen dafür, wie sehr Assads „Feinde“ von seiner Stabilität profitiert hatten. Gleichzeitig ergreifen von der Türkei unterstützte Fraktionen wichtige Gebiete wie Manbij, wodurch Ankara seinen strategischen Zielen in Nordsyrien näher kommt. Die zersplitterte Opposition läuft trotz ihrer neuen Bedeutung Gefahr, in interne Kämpfe zu verfallen, wodurch das Land anfällig für die Ausbeutung durch externe Mächte bleibt.

Für Syrer wie mich, die jahrelang von diesem Tag geträumt haben, ist die Realität bittersüß. Syrien ist nun „frei“ von Assad, aber noch nicht befreit. Der Sturz von Assad bedeutet das Ende einer Ära, aber nicht den Beginn des Friedens. Stattdessen markiert er eine neue Phase der Unsicherheit. Können die verschiedenen zersplitterten Anti-Regime-Fraktionen mit ihren konkurrierenden Agenden die Herausforderung der Regierungsführung meistern? Kann die internationale Gemeinschaft – die Syrien nach einem Schwarz-Weiß-Schema betrachtet – über symbolische Gesten hinausgehen und die humanitären sowie politischen Krisen in Syrien angehen? Oder wird Syrien weiterhin ein Schauplatz von Machtkämpfen bleiben und seine Bevölkerung ins Kreuzfeuer geraten?

Die Frage ist nun, ob dieser historische Moment als Grundlage für den Wiederaufbau einer zerrütteten Nation dienen kann – oder ob er in ein weiteres Kapitel der Verzweiflung münden wird, ähnlich wie die „Befreiung“ Afghanistans und des Irak. Für diejenigen von uns, die diesen Kampf im Exil geführt haben, ist die Hoffnung durch die Erkenntnis gedämpft, dass die Befreiung nur der erste Schritt auf einem langen, ungewissen Weg ist.

Hussam Baravi, Syrien-Projekt, FES-Libanon

 

Als ich hörte, dass die islamistischen Oppositionskräfte (HTS) Aleppo am 29. November 2024 zurückerobert hatten, hätte ich nie gedacht, dass sie nur eine Woche später Damaskus erreichen würden. Am Samstag, dem 7. Dezember, kam die Nachricht, dass Assads Truppen aus Sweida vertrieben worden waren – einer Stadt mit großer Symbolkraft. Sweida ist nicht nur die Heimat einer drusischen Minderheit, sondern beherbergt auch viele Binnenvertriebene. Die Nachricht schlug ein wie ein Blitz.

Als Syrer begannen wir sofort, die Berichte zu überprüfen. Meine Familie, die nur wenige Kilometer von Damaskus entfernt lebte, informierte mich, dass die „Revolutionäre“ bereits in der Stadt angekommen waren! Alles schien ruhig … aber war es womöglich die Ruhe vor dem Sturm? Oder handelte es sich tatsächlich um eine friedliche Machtübernahme? Eine Mischung aus Angst, die an die Kämpfe von 2012 und die darauf folgenden Jahre erinnerte, und Freude über den Fall des grausamen Regimes erfüllte die Luft.

Am Sonntagmorgen war Damaskus vom Diktator befreit, und die Syrer begrüßten sich mit Sabah al Hurria („Ein Morgen der Freiheit“). Auf Facebook kursierende Videos verstärkten das Gefühl, Zeugen eines Traums zu sein, auf den die Syrer während der mehr als 13 Jahre andauernden Revolution gehofft hatten.

Der Rückzug von Assads Truppen kam überraschend und wirkte fast unwirklich. Die Bilder von gestürzten Symbolen des Regimes und vom Abbau seines Personenkults waren tief bewegend und erinnerten an Szenen aus dem Irak 2003 oder an die Aufstände in Tunesien, Ägypten und Libyen in den Jahren 2011 und 2012. Menschen strömten auf die Straßen, feierten die „Freiheit“, sangen Revolutionslieder und riefen: „Das syrische Volk ist eins.“ Dieser historische Moment war emotional und bedeutete, was noch wichtiger ist, einen Sieg der Gerechtigkeit.

Die bewegendsten Bilder entstanden bei der Freilassung politischer Gefangener aus einigen der brutalsten und gewalttätigsten Gefängnissen der Welt. Das berüchtigte Sednaya-Gefängnis, in dem 30 000 Insassen auf einer einzigen von insgesamt drei Etagen zusammengepfercht sind, ist eines der dunkelsten Symbole für die Grausamkeit des Regimes. Frauen mit kleinen Kindern – einige von ihnen gerade einmal drei Jahre alt, die möglicherweise noch nie das Sonnenlicht gesehen hatten – wurden endlich in die Freiheit entlassen. Diese Momente markierten einen ersten Schritt in Richtung Sieg für die Gerechtigkeit. Der nächste Schritt muss darin bestehen, die Verantwortlichen für diese Verbrechen gegen die Menschlichkeit zur Rechenschaft zu ziehen.

Ironischerweise waren es islamistische Kräfte, die Syrien von Assads Diktatur befreiten. Doch ihre Vision von Freiheit steht in einem starken Gegensatz zu den Rechten von Frauen, Jugendlichen und Andersdenkenden. Während ihre Militäroperationen diszipliniert und gut organisiert sind, bleibt ihr Konzept von Freiheit und Gerechtigkeit weit entfernt von dem, was viele Syrer – insbesondere Frauen – erhoffen. Angesichts dieser Unterschiede beobachten wir die sich entfaltenden Ereignisse mit großer Vorsicht.

Während die Syrer die friedliche Machtübernahme und die neu gewonnene Freiheit feiern, schürt der ohrenbetäubende Lärm israelischer Angriffe auf die syrische Infrastruktur und Ziele im Süden die Angst vor einem neuen Konflikt. Israel verschwendet keine Zeit – Premierminister Netanjahu hat den Waffenstillstand von 1974 für ungültig erklärt, und das israelische Militär ist in die entmilitarisierte Zone in der Nähe der Golanhöhen vorgedrungen und hat die Stadt Quneitra erreicht.

Inmitten der Feierlichkeiten und Freude wächst die Sorge vor einer weiteren Welle der Zerstörung und Ungerechtigkeit. Die Möglichkeit eines neuen Krieges wirft einen düsteren Schatten auf die fragile Zukunft Syriens. Salam Said, FES-Tunesien IPG 10

 

 

 

Debatte über Rückkehr. Bamf verhängt Entscheidungsstopp für Asylverfahren von Syrern

 

Nach dem plötzlichen Sturz von Baschar al-Assad in Syrien ist die Lage unübersichtlich. Dennoch ist in Deutschland eine Debatte über Rückführung syrischer Geflüchteter entfacht. Experten warnen eindringlich vor voreiligen Forderungen. Eine unmittelbare Folge hat das Geschehen in Syrien dennoch.

In Deutschland hat unmittelbar nach dem Sturz des Regimes in Syrien eine Debatte über die Rückführung syrischer Flüchtlinge eingesetzt. Politiker, Experten und Menschenrechtler meldeten sich zu Wort. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) mahnte am Montag Geduld an. Viele syrische Flüchtlinge in Deutschland hätten nun wieder eine Hoffnung auf eine Rückkehr in ihre Heimat, sagte die SPD-Politikerin in Berlin. Doch seien angesichts der unübersichtlichen Lage in Syrien „konkrete Rückkehrmöglichkeiten im Moment noch nicht vorhersehbar und es wäre unseriös, in einer so volatilen Lage darüber zu spekulieren“, sagte Faeser.

Eine handfeste Konsequenz aus der neuen Lage in Syrien gibt es dennoch: Die Innenministerin bestätigte, dass das Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Bamf) einen Entscheidungsstopp für aktuell noch laufende Asylverfahren verhängt habe, bis die Lage klarer sei. Es gehe um knapp 47.000 Asylanträge. Der stellvertretenden Sprecherin des Innenministeriums, Sonja Kock, zufolge leben knapp eine Million Syrer in Deutschland, die Mehrzahl als international anerkannte Flüchtlinge oder Bürgerkriegsflüchtlinge. Rechtlich sei es möglich, ihren Schutzstatus in Deutschland zu widerrufen. Doch dafür sei wesentlich, ob sich die Lage in Syrien dauerhaft geändert und stabilisiert habe. Zum jetzigen Zeitpunkt sei es eine „ziemliche hypothetische Frage“, ob die syrischen Geflüchteten zurückkehren müssten.

Der Sprecher des Außenministeriums, Sebastian Fischer, kündigte ein neues Lagebild für Syrien an, wenn man mehr über die Entwicklung sagen könne. Für Fragen des Asylrechts und Flüchtlingsschutzes sei entscheidend, ob künftige Entscheidungsträger den Schutz aller Minderheiten garantieren, sagte Fischer.

Unionspolitiker fordern Rückreisen von Syrern

Für die Union forderte der parlamentarische Geschäftsführer der Bundestagsfraktion, Torsten Frei (CDU), das Bamf solle sich rasch auf die Überprüfung der den syrischen Flüchtlingen zugesprochenen Schutztitel vorbereiten. Wenn Syrien sich zu einem Land entwickle, in dem weder politische Verfolgung noch eine individuelle Gefahr drohe, müsste das Konsequenzen haben für die Anerkennungspraxis in Deutschland, sagte Frei der „Augsburger Allgemeinen“.

CSU-Chef Markus Söder rechnet mit deutlich mehr freiwilligen Rückkehren von Syrern aus Deutschland in das Heimatland. „Der Grund, Syrien zu verlassen, war vor allem Assad. Deswegen wird es viele Menschen geben, die jetzt einfach in ihre Heimat zurückwollen“, sagte der bayerische Ministerpräsident nach einer Sitzung des CSU-Vorstands in München. Söder betonte, es müsse „sogar überlegt werden, wie eine stärkere Rückführung in die syrische Heimat vieler Menschen möglich ist.“ Bayerns Innenminister Joachim Herrmann (CSU) betonte, dass Deutschland die reisewilligen Syrer unterstützen solle: „Wir sollten auch überlegen, sie dabei finanziell zu unterstützen“, sagte er auf Anfrage der Deutschen Presse-Agentur. Sollte nun in Syrien tatsächlich Stabilität und Humanität einkehren, gebe es keinen Grund mehr für einen generellen Abschiebungsstopp.

Grüne und Linke kritisieren Debatte

Demgegenüber warnte der Europapolitiker der Grünen, Anton Hofreiter, davor, nach dem Sturz des Assad-Regimes syrische Flüchtlinge unter Druck zu setzen. „Überlegungen, nach dem Sturz von Assad unsere Migrationspolitik zu verändern und härter gegen syrische Geflüchtete vorzugehen, sind völlig fehl am Platz“, sagte der Vorsitzende des Europaausschusses im Bundestag den Zeitungen der Funke Mediengruppe. Auch Bundestags-Vizepräsidentin Katrin Göring-Eckardt hat die Diskussionen kritisiert. „Ich finde das nach anderthalb Tagen eine unangemessene innenpolitische Debatte“, sagte die Grünen-Politikerin dem rbb-Inforadio.

Deutlicher äußerte sich der Linken-Vorsitzende Jan van Aken am Montag in einer Pressekonferenz in Berlin: „Alle, die jetzt anfangen, über Abschiebungen nach Syrien zu reden, sind einfach nur, und entschuldigen Sie die Wortwahl, das sind einfach nur verkommene Drecksäcke.“ Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im Bundestag, bezeichnete die Forderungen als „völlig deplatziert“ Sie offenbarten „nur die wahren Interessen derer, die sie erheben: Ihnen geht es nicht um Freiheit und Gerechtigkeit für die Menschen in Syrien, sondern allein um ihren rechten Fiebertraum, Hunderttausende zu deportieren“.

EU-Kommission empfiehlt keine Rückkehr nach Syrien

Auch die EU-Kommission warnt vor allzu großen Hoffnungen auf schnelle und unproblematische Rückkehrmöglichkeiten für Flüchtlinge nach Syrien. Die Bedingungen für eine sichere und würdevolle Rückkehr seien nach derzeitiger Einschätzung momentan nicht gegeben, sagte ein Sprecher in Brüssel. Mit dieser Linie sei man sich einig mit dem Hohen Flüchtlingskommissar der Vereinten Nationen (UNHCR). Die aktuelle Lage sei von großer Hoffnung, aber auch von großer Unsicherheit geprägt. Es werde an jedem Einzelnen und an jeder Familie sein, zu entscheiden, was sie tun möchte. Der Sprecher machte damit auch deutlich, dass es aus Sicht der Kommission bis auf weiteres keine Abschiebungen geben sollte.

Ähnlich äußerte sich das Deutsche Institut für Menschenrechte. Direktorin Beate Rudolf sagte, die Debatte um die Rückkehr syrischer Flüchtlinge komme zu früh. Die Situation sei viel zu unklar, um Schlussfolgerungen daraus zu ziehen für Menschen, die in Deutschland Schutz erhalten haben, sagte Rudolf. Die Gesellschaft für bedrohte Völker (GfbV) warnte ebenfalls vor „vorschnellen Aufrufen zur Rückkehr von Geflüchteten“. Zwar freuten sich viele Menschen über den Sturz Assads, doch die Lage sei von großer Unsicherheit geprägt, viele Syrer blickten weiterhin mit Sorge in die Zukunft.

Dem Migrationsforscher Gerald Knaus zufolge könnte der Sturz des Assad-Regimes einen Wendepunkt für die Flüchtlingssituation in Europa herbeiführen. Höchste Priorität müsse es haben, zusammen mit den Nachbarländern für Stabilität zu sorgen, sagte Knaus. Wer eine sofortige Massenrückkehr nach Syrien verspreche, handele populistisch.

Deutsch-Syrer zwischen Aufbruchstimmung und Vorsicht

Unter Deutsch-Syrern und Syrern in Deutschland hat der Sturz von Assad große Begeisterung ausgelöst. „Wir empfinden unbeschreibliche Freude“, sagte die Vorsitzende des Verbands Deutsch-Syrischer Hilfsvereine, die Rüsselsheimer Rechtsanwältin Nahla Osman, am Montag dem „Evangelischen Pressedienst“. „Wir glauben, wir sind in einem Traum.“ Es gebe aber auch Zweifel und Angst. Dem säkularen Verband gehören 42 Mitgliedsvereine verschiedener Ausrichtungen an.

Der Machtwechsel in Syrien sei erstaunlich friedlich verlaufen, sagte Osman. Von ihren engen Kontakten nach Aleppo wisse sie, dass dort kaum Schüsse gefallen seien. „Die Machtübergabe ging ganz schnell, plötzlich waren alle gegen Assad.“ Selbst ein Verwandter im Amt eines Ministers habe gesagt: „Endlich sind wir frei.“ Zwar gebe es auch Angst in der Umbruchsituation, aber die Minderheiten würden bisher in Frieden gelassen: „Die Christen in Aleppo konnten Weihnachtsbäume aufstellen und feiern Gottesdienste“, sagte Osman.

Syrer in Deutschland schwankten derzeit zwischen Aufbruchstimmung und Vorsicht. „Die Sehnsucht nach dem Heimatland ist groß.“ Aber abgesehen von der Frage, ob die Sicherheit im Land gewährleistet ist, gebe es praktische Probleme für eine Rückkehr. Die meisten Deutsch-Syrer sagten, sie wollten nach Syrien reisen, wenn es dort sicher sei, auch wenn zunächst nur auf einen Verwandtenbesuch und um nach dem Heim zu schauen.

Experte: Arbeitsmarkt würde Heimkehr von Syrern verkraften

Eine mögliche Rückkehr von Syrern ist nach Einschätzung des Arbeitsmarktforschers Enzo Weber vom Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) in Nürnberg verkraftbar. Derzeit sind nach Angaben der Bundesagentur für Arbeit 222.610 Menschen mit syrischer Staatsangehörigkeit in Deutschland sozialversicherungspflichtig beschäftigt. Hinzu kommen noch einmal rund 65.000 Minijobber. Damit liege der Anteil der Syrer an den Gesamtbeschäftigten in fast allen Berufsgruppen bei unter einem Prozent, sagte Weber.

Rund 44 Prozent der syrischen Arbeitskräfte sind ungelernte oder angelernte Helfer – mehr als die Hälfte haben eine Facharbeiterqualifikation oder sogar einen höheren Ausbildungsstand. Allein rund 5.000 Mediziner aus dem Land arbeiten dem IAB zufolge in Deutschland.

Vor dem Bürgerkrieg in Syrien, der 2011 mit einem Volksaufstand gegen das Regime von Machthaber Baschar al-Assad begonnen hatte, waren Hunderttausende Syrer nach Deutschland geflohen. Nach 13 Jahren Bürgerkrieg übernahm nun eine Rebellenkoalition unter Führung der Miliz Haiat Tahrir al-Scham (HTS) die Kontrolle über die Hauptstadt Damaskus. Der entmachtete Assad flüchtete nach Moskau, wo er Medienberichten zufolge laut Kreml politisches Asyl erhalten soll. (epd/dpa/mig 10)

 

 

 

 

A-Anti-Antisocialista

 

Arbeiter wählen zunehmend rechts. Wie können linke und progressive Parteien sie zurückgewinnen? Von Bartosz Rydlinski

 

Donald Trump sorgte 2016 für einen Schock, als er durch Siege in den Swing States im amerikanischen Rust Belt zum US-Präsidenten gewählt wurde – darunter Michigan, Pennsylvania und Wisconsin, wo traditionell die Demokraten die Nase vorn hatten. Ähnlich verhielt es sich letzten November. In den ehemaligen Industriezentren des Landes stimmte man mit überwältigender Mehrheit für Trump und sein Versprechen, „Amerika wieder groß zu machen“. Laut Nachwahlbefragungen wurde Trump von einer Mehrheit der Arbeiterschicht – also Menschen ohne College-Abschluss, die jährlich zwischen 30 000 und 99 999 US-Dollar verdienen – in den entscheidenden Bundesstaaten unterstützt. Das galt für weiße, lateinamerikanische und schwarze Wähler gleichermaßen.

Dieser Trend ist nicht auf die Vereinigten Staaten beschränkt. Im Juni stimmten 57 Prozent der französischen Arbeiterinnen und Arbeiter in der ersten Runde der Parlamentswahlen für den rechtsextremen Rassemblement National. Und bei den Parlamentswahlen in Österreich im September gaben 50 Prozent der Arbeiterschicht der rechtspopulistischen Freiheitlichen Partei Österreichs (FPÖ) ihre Stimme, während die Alternative für Deutschland (AfD) bei den Landtagswahlen in Brandenburg 46 Prozent der Stimmen der Arbeiterinnen und Arbeiter auf sich vereinte.

Die polnische Rechtspartei Recht und Gerechtigkeit (PiS), die zwischen 2015 und 2023 regierte, liefert ein anschauliches Fallbeispiel dafür, warum populistische und autoritäre Parteien für Arbeiterinnen und Arbeiter in Europa und den USA immer attraktiver werden und wie die Mitte-links-Parteien sie zurückgewinnen können. Der PiS gelang es, eine Reihe legislativer Erfolge zu verbuchen, darunter die Senkung des Rentenalters, die Erhöhung des Mindestlohns und die Gewährung direkter Geldtransfers an Eltern mit Kindern unter 18 Jahren. Die PiS griff Anliegen auf, für die sich normalerweise die Sozialdemokraten einsetzen, und förderte so die wirtschaftlichen Interessen der polnischen Arbeiterschaft. Infolgedessen stimmte fast die Hälfte dieser Gruppe bei den Parlamentswahlen im vergangenen Jahr für die PiS (wobei am Ende eine Koalition aus Oppositionsparteien genügend Sitze gewann, um eine Mehrheitsregierung zu bilden).

Meine wissenschaftliche Untersuchung der Wählerschaft mit geringerer Bildung und niedrigerem Einkommen in Kleinstädten und ländlichen Gebieten Polens, die ich im Auftrag der Stiftung für Europäische Progressive Studien und der Friedrich-Ebert-Stiftung durchgeführt habe, ergab eine fast vollständige Abkopplung dieser Gruppe von der linken Mitte. Die aus der Arbeiterschicht stammenden Teilnehmenden in meinen Fokusgruppen brachten sozialdemokratische Parteien mit der LGBTQ+-Agenda, der Sexualisierung von Kindern, der Offenheit gegenüber Migranten und dem Bestreben, die staatliche Souveränität zu untergraben, in Verbindung. Statt traditionelle Medien zu konsumieren, beziehen sie ihre Informationen von Nischengruppen auf den Sozialen Medien. Diese Wählerinnen und Wähler sind stolz auf ihre Anti-Establishment-Haltung und sehen sich in einem Kampf um ihre Existenzgrundlage und um den Zugang zu „objektiven“ Informationen.

Diese Ergebnisse decken sich mit jenen einer systematischen Auswertung von 51 Studien, die sich mit der sinkenden Zustimmung für Mitte-links-Parteien im Westen befassen. Die Demokratische Partei in den USA, die Sozialdemokraten in Westeuropa und die progressiven Kräfte in den postkommunistischen Ländern haben alle an Rückhalt in der Arbeiterschicht verloren. Um diesen Trend umzukehren, gilt es für diese Parteien, arbeiterfreundliche Maßnahmen zu ergreifen und die Art der Kommunikation mit diesem wichtigen Wähleranteil zu ändern.

Progressive Kräfte auf beiden Seiten des Atlantiks setzen sich seit Jahren für eine stärkere Unterstützung von Arbeiterfamilien ein, unter anderem durch höhere Ausgaben für öffentliche Dienstleistungen, Gesundheitswesen, Bildung und Infrastruktur. Das hat ihnen sogar geholfen, Wahlen zu gewinnen (wenn auch oft gegen unbeliebte konservative Regierungen). Man denke nur an die US-Präsidentschaftswahlen 2008 und 2020, bei denen die Demokraten Barack Obama und Joe Biden siegten, sowie an den überwältigenden Sieg der Labour Party über die Tories bei den Unterhauswahlen im Vereinigten Königreich im Juli dieses Jahres.

Sobald diese Parteien jedoch im Amt sind, brechen sie oftmals ihre Wahlversprechen. Über die Schaffung attraktiver Arbeitsplätze in Zukunftsbranchen zu reden, ist das eine, die tatsächlich Realität werden zu lassen, etwas ganz anderes. Arbeiterinnen und Arbeiter wünschen sich mutige, effektive Führungspersönlichkeiten, die konkrete Maßnahmen ergreifen.

Die Mitte-links-Parteien müssen einsehen, dass sie mit Arbeiterinnen und Arbeitern nicht auf die gleiche Weise kommunizieren können wie mit wohlhabenden städtischen Eliten. Anstatt die Sorgen der Arbeiterschicht über Migration, Globalisierung und den ökologischen Wandel zu ignorieren, sollten die Demokraten in den USA und die sozialdemokratischen Parteien in Europa diese Ängste auf Kanälen und Plattformen ansprechen, die von diesem Bevölkerungsteil bereits genutzt werden. In dieser Hinsicht könnten sie sich eine Scheibe von der extremen Rechten abschneiden, die auf TikTok und X zu einer dominierenden Kraft geworden ist. Die Erstellung von Videos, die dem Populismus einen positiveren und demokratischeren Spin verleihen, ist weniger eine Frage des Geschmacks als vielmehr eine Notwendigkeit.

In den letzten zwei Jahrhunderten hat die Arbeiterschicht durch ihr Drängen auf das allgemeine Wahlrecht, die Einführung von Sozialprogrammen und durch andere politische Maßnahmen zur Förderung des wirtschaftlichen Wohlstands sowie zur Stärkung der politischen Stabilität eine wesentliche Rolle beim Aufbau liberaler Demokratien gespielt. In turbulenten Zeiten wie derzeit gilt es für Mitte-links-Parteien sicherzustellen, dass die Wählerinnen und Wähler aus der Arbeiterschicht bei ihnen ein politisches Zuhause finden. Das erfordert eine konzertierte Anstrengung, sie für sich zu gewinnen, und zwar indem man ihre Anliegen ernst nimmt und sie dort abholt, wo sie sich befinden. Gelingt dies nicht, wird die extreme Rechte weiterhin die Wut der Arbeiterinnen und Arbeiter ausnutzen, um ihre antidemokratische Agenda voranzutreiben. PS/IPG 10

 

 

 

 

Jahresbericht. Menschenrechtsinstitut kritisiert deutsche Migrationspolitik

 

Das Institut für Menschenrechte stellt der deutschen Migrationspolitik ein schlechtes Zeugnis aus. Es sei gezeichnet von Abwehr und Abschreckung, heißt es im neuen Jahresbericht. Danach gibt es auch auf dem Arbeitsmarkt Handlungsbedarf.

Das Deutsche Institut für Menschenrechte (DIMR) sieht durch die verschärfte Migrationsdebatte Grundrechte infrage gestellt. In seinem am Montag in Berlin vorgestellten 9. Menschenrechtsbericht kritisiert das Institut einschneidende Verschärfungen im Migrationsrecht und eine Politik, die auf Abwehr und Abschreckung von Schutzsuchenden setze. Direktorin Beate Rudolf sagte, es bereite ihr große Sorgen, „dass Politikerinnen und Politiker demokratischer Parteien vorschlagen, das Grundrecht auf Asyl abzuschaffen oder dass sie das menschenwürdige Existenzminimum infrage stellen“.

Sie bezog sich damit auf Forderungen aus den Unionsparteien, das individuelle Asylrecht auf den Prüfstand zu stellen, die Asylbewerberleistungen für Ausreisepflichtige zu streichen oder das Bürgergeld für arbeitsfähige Menschen infrage zu stellen. „Wenn heute das Existenzminimum von Schutzsuchenden abgesenkt wird, kann es morgen andere treffen“, sagte Rudolf: „Menschenrechte gelten für alle oder für niemanden.“

Ausbeutung im Transport- und Baugewerbe verhindern

Der aktuelle Menschenrechtsbericht über die Lage in Deutschland sieht Defizite in der Migrationspolitik, der Wohnungspolitik, bei der Inklusion von Menschen mit Behinderungen und bei den Folgen der Rohstoff-Beschaffung auf indigene Gruppen in den Lieferländern. Vor diesem Hintergrund kritisierte Rudolf, dass die Bundesregierung das deutsche Gesetz für die Einhaltung von Menschenrechts-Standards in den Lieferketten zugunsten schwächerer europäischer Regelungen wieder abschaffen will. Dazu will das Kabinett möglicherweise am Mittwoch einen Beschluss fassen.

Auch bei der Behandlung von Ausländer auf dem Arbeitsmarkt gibt es dem Institut zufolge massive Defizite. Es empfiehlt Maßnahmen zur Bekämpfung ausbeuterischer Arbeitsverhältnisse. Ein wichtiger Schritt wäre hier aus Sicht des Instituts die Einführung einer Dokumentationspflicht für Subunternehmerketten im Transport- und Baugewerbe. Betroffen sind insbesondere ausländische Arbeitnehmer, die in ausbeuterischen Arbeitsverhältnissen festsitzen und faktisch recht- und schutzlos ihren Arbeitgebern ausgeliefert sind.

Kritik an der Bezahlkarte: empirisch widerlegt

Kritik erntet auch die Bezahlkarte für Geflüchtete. „Hartnäckig hält sich die Behauptung, dass Bargeldleistungen einen Anreiz (Pull-Faktor) für Migrant:innen darstellen, um nach Deutschland zu kommen. Doch Wissenschaftler:innen können diesen behaupteten Zusammenhang nicht bestätigen“, heißt es in dem DIMR-Jahresbericht. Vielmehr sei die Annahme des Konzepts von Push- und Pull-Faktoren höchst umstritten. Es sei „mittlerweile vielfach empirisch widerlegt“.

Das Institut legte einen weiteren Bericht zum wachsenden Antisemitismus in Deutschland nach dem Hamas-Massaker am 7. Oktober vergangenen Jahres in Israel vor. Darin verlangt es die Bekämpfung des Antisemitismus als „menschenrechtliches Gebot“. Der Bericht warnt vor den negativen Folgen der Polarisierung und dem Zwang zur Positionierung angesichts des Gaza-Kriegs. Es sei kein Widerspruch, mit den israelischen Opfern der Hamas mitzufühlen und zugleich mit den zivilen Opfern im Gaza-Streifen und im Libanon, sagte Rudolf.

Der Bericht wurde zum Tag der Menschenrechte am Dienstag vorgelegt. Der Tag erinnert an die Verabschiedung der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte durch die Generalversammlung der Vereinten Nationen am 10. Dezember 1948. Das Deutsche Institut für Menschenrechte ist eine unabhängige nationale Menschenrechtsinstitution. Es wird vom Bundestag finanziert. Das Institut setzt sich nach eigenen Angaben unter anderem dafür ein, dass Deutschland die Menschenrechte im In- und Ausland einhält und fördert. (epd/dpa/mig 10)

 

 

 

 

Tag der Menschenrechte. Zeitenwende für Menschenrecht – Schutz von Bildungseinrichtungen im Krieg

 

Wiesbaden. Anlässlich des Tags der Menschenrechte 2024 fordert der World University Service (WUS), das Recht auf Bildung für alle zu gewährleisten - insbesondere für über 220 Millionen Kinder und Jugendliche in über 300 Kriegen und Konflikten weltweit.

Der Tag der Menschenrechte erinnert an die Verabschiedung der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte durch die Generalversammlung der Vereinten Nationen am 10. Dezember 1948. In Artikel 26 fordern die Vereinten Nationen das Recht auf Bildung für alle Menschen. Heute sind weltweit mehr als 220 Millionen Kinder und Jugendliche in über 300 Kriegen und Konflikten von diesem Menschenrecht ausgeschlossen, rund 115 Millionen Menschen sind aufgrund von Naturkatastrophen, Konflikten und Kriegen auf der Flucht und haben keinen Zugang zu Bildungseinrichtungen.

„Wir unterstützen die Arbeit der Globalen Koalition zum Schutz von Bildung vor Angriffen (GCPEA), der Deutschland 2018 beigetreten ist. Das Abkommen soll dazu verpflichten, Bildung auch in Zeiten bewaffneter Konflikte zu schützen. Bisher haben 119 Staaten unterzeichnet, aber es bedarf gezielter Initiativen der Staatengemeinschaft, um den guten Absichten auch konkrete Taten zum Schutz von Bildungseinrichtungen folgen zu lassen und auch Bildungsangebote in Flüchtlingsunterkünften weltweit auszubauen“, so Dr. Kambiz Ghawami, Vorsitzender des World University Service (WUS).

Der jüngste Bericht der Globalen Koalition zum Schutz von Bildung vor Angriffen zeigt, dass immer mehr Universitäten und Schulen in Kriegen zerstört werden. In den Jahren 2022 und 2023 wurden demnach weltweit 6.000 Bildungseinrichtungen angegriffen, ein Anstieg von fast 20 Prozent im Vergleich zu den beiden Vorjahren. Mehr als 10.000 Studierende, Lehrende und Forschende wurden dabei verletzt oder getötet. In jedem dieser Länder wurden Hunderte von Schulen bedroht, geplündert, niedergebrannt, mit improvisierten Sprengsätzen angegriffen oder von Artillerie oder Luftangriffen getroffen, heißt es in dem Bericht. Ein weiteres Problem sei die Besetzung und Nutzung von Schulen und Universitäten als Unterkünfte für Kämpfer.

„Stellvertretend für tausende zerstörte Bildungseinrichtungen weltweit möchte ich am Tag der Menschenrechte nur die zerstörten Schulen und Universitäten in den palästinensischen Gebieten, in der Ukraine, in der Demokratischen Republik Kongo, im Sudan und in Myanmar nennen, mit der Folge, dass der jungen Generation in diesen Ländern ihr Menschenrecht auf Bildung zerschossen und zerbombt wird“, so Dr. Ghawami abschließend. Wus 10

 

 

 

 

Kanzlerfrage und Koalitionswunsch: Merz deutlich vor Habeck und Scholz, GroKo beliebteste Regierungsoption

 

Hamburg – Nach dem Ampel-Aus soll am 23. Februar 2025 ein neuer Bundestag gewählt werden. Oppositionsführer Friedrich Merz (CDU) wäre nach einer aktuellen Umfrage des Markt- und Meinungsforschungsinstituts Ipsos derzeit der favorisierte Kanzlerkandidat. 19 Prozent der Deutschen halten den CDU-Vorsitzenden für den am besten geeigneten Kandidaten für das Amt des Bundeskanzlers.

Ipsos befragte insgesamt 1.000 Wahlberechtigte im Alter von 18 bis 75 Jahren, die aus einer Liste potenzieller Kanzlerkandidaten die aus ihrer Sicht geeignetste Person auswählen sollten. Neben Merz standen den Befragten der amtierende Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD), Vizekanzler Robert Habeck (Grüne) sowie AfD-Bundessprecherin Alice Weidel zur Auswahl.

 

Scholz abgeschlagen auf dem letzten Platz

Hinter Merz folgt mit 15 Prozent Zustimmung Alice Weidel von der AfD, die wiederum knapp vor Wirtschaftsminister Robert Habeck von den Grünen mit 13 Prozent liegt. Nur für etwa jeden zehnten Deutschen (11%) ist Olaf Scholz der am besten geeignete Kandidat. Ein Drittel (33%) hält keinen der Genannten für das Kanzleramt geeignet, weitere 9 Prozent können oder wollen sich zu dieser Frage nicht äußern.

Damit landet der amtierende Bundeskanzler auf dem letzten Platz und weit hinter seinem Herausforderer Friedrich Merz. Vor allem die weiblichen Wählerinnen kann der Kanzler nicht überzeugen. Während 15 Prozent der befragten Männer Scholz für den geeignetsten Kandidaten halten, sind es bei den Frauen nur 8 Prozent. Bei Merz, Weidel und Habeck zeigt die Umfrage dagegen keine großen geschlechtsspezifischen Unterschiede. Allerdings geben deutlich mehr Frauen (36%) als Männer (30%) an, dass sie keinen der genannten Personen für das Kanzleramt geeignet halten.

 

Habeck und Scholz im Osten deutlich unbeliebter als im Westen

Während sich in Westdeutschland immerhin 14 Prozent der Befragten für Robert Habeck und 12 Prozent für Olaf Scholz als Kanzler aussprechen, erreichen sie in den ostdeutschen Bundesländern nur 7 (Habeck) bzw. 8 (Scholz) Prozent Zustimmung. Dagegen spricht sich im Osten fast ein Viertel der Befragten (24%) für AfD-Chefin Alice Weidel als künftige Bundeskanzlerin aus. Damit liegt sie sogar knapp vor Friedrich Merz, der 22 Prozent der Ostdeutschen überzeugt. Im Westen fällt die Zustimmung für Alice Weidel mit 13 Prozent deutlich geringer aus.

Merz besonders bei Älteren beliebt

Unionskandidat Friedrich Merz überzeugt vor allem die älteren Wähler. 28 Prozent der 60- bis 75-Jährigen halten ihn für den geeignetsten Kanzlerkandidaten. Bei den 40- bis 59-Jährigen liegt dieser Anteil mit 17 Prozent deutlich niedriger, in der jüngsten Altersgruppe der 18- bis 39-Jährigen kann er sogar nur 13 Prozent der Befragten für sich gewinnen.

Anders sieht es bei den drei Gegenkandidaten von Merz aus: Scholz, Habeck und Weidel erhalten jeweils die höchste Zustimmung bei den jüngeren Wählern. Vor allem Robert Habeck kommt bei den Älteren nicht an. Nur 9 Prozent der 60- bis 75-Jährigen halten den derzeitigen Vizekanzler für die beste Besetzung im Amt des Bundeskanzlers, in den beiden jüngeren Altersgruppen sind es jeweils 14 Prozent.

 

Große Koalition beliebteste Regierungsoption

Neben der Kanzlerfrage hatte Ipsos die Wahlberechtigten auch gefragt, welche Koalition sie sich für die neue Regierung nach der Bundestagswahl wünschen. Dabei gaben 22 Prozent der Befragten an, eine Große Koalition aus CDU/CSU und SPD zu bevorzugen. Eine schwarz-grüne Koalition wird dagegen nur von 7 Prozent der Deutschen favorisiert. Ebenfalls nur eine Minderheit wünscht sich eine schwarz-rot-grüne Kenia-Koalition (9%), eine schwarz-rot-gelbe Deutschland-Koalition (6%) oder eine schwarz-gelb-grüne Jamaika-Koalition (3%).

Im Vergleich zu diesen Optionen erreicht eine schwarz-blaue Koalition rechts der Mitte (CDU/CSU und AfD) einen relativ hohen Anteil von 18 Prozent – eine Zusammenarbeit mit der AfD wurde allerdings vom CDU-Vorsitzenden Merz bereits ausgeschlossen. Etwas mehr als ein Drittel der Wahlberechtigten (35%) legt sich auf keine der genannten Koalitionen fest. 22 Prozent geben an, kein Parteienbündnis zu bevorzugen, weitere 13 Prozent können oder wollen die Frage nicht beantworten. Ipsos 11

 

 

 

 

Frankfurter Buchmesse erhält den KAV-Preis „Teilhabe und Zusammenhalt“

 

Die Frankfurter Buchmesse schafft durch ihre enge Zusammenarbeit mit der Kommunalen Ausländerinnen- und Ausländervertretung (KAV) der Stadt Frankfurt am Main eine einzigartige Plattform für kulturellen Austausch und gesellschaftliche Teilhabe. Aufstrebende Autorinnen und Autoren mit Migrationsgeschichte erhalten hier die Möglichkeit, ihre ersten Schritte in die

Welt des Schreibens zu wagen. Gleichzeitig entdecken fast 2.000 – vor allem junge – Besucherinnen und Besucher mit Migrationsgeschichte die Messe für sich, lassen sich inspirieren und gestalten aktiv mit.

Mit Diskussionen, kreativem Austausch und eigenen Projekten öffnet die Buchmesse Türen und macht Vielfalt sichtbar. Über 140 Autorinnen und Autoren mit Wurzeln in mehr als 60 Ländern haben in den letzten drei Jahren am KAV-Stand ihre Werke präsentiert. Zusätzlich entstanden zahlreiche neue Kontakte, Kooperationen und Synergien, die weit über die Veranstaltung hinausreichen.

Für dieses herausragende Engagement und die Förderung von Vielfalt und Zusammenhalt verleiht die Kommunale Ausländerinnen- und Ausländervertretung der Stadt Frankfurt am Main der Frankfurter Buchmesse den Preis „Teilhabe und Zusammenhalt“ und gratuliert herzlich.

Mit freundlichen Grüßen

Jumas Medoff (Vorsitzender der KAV) Kav 10

 

 

 

 

Syrien nach dem Regime-Sturz: Millionen Menschen in Not

 

World Vision weitet Hilfsmaßnahmen aus. Winter, zerstörte Infrastruktur und Versorgungskrisen verschärfen die Lage für Kinder und Familien 

Nach fast 14 Jahren Krieg hat sich die politische Situation in Syrien innerhalb einer Woche komplett verändert.  Die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision weitet ihre Maßnahmen in Syrien nach dem Sturz des Assad-Regimes aus und fordert umfassende Unterstützung der Zivilbevölkerung in den kommenden Wochen und Monaten. World Vision ist gemeinsam mit lokalen Partnerorganisation in dem Land aktiv und unterstützt in vielen Regionen hunderttausende Binnenvertriebene und aufnehmende Gemeinden. 

 9. Dezember 2024 – Der Sturz des Assad-Regimes markiert eine historische Wende nach 14 Jahren Krieg. Doch die humanitäre Krise in Syrien bleibt dramatisch. Die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision, gemeinsam mit lokalen Partnerorganisationen seit 12 Jahren in Syrien aktiv, verstärkt ihre Maßnahmen und fordert umfassende Unterstützung der Zivilbevölkerung in den kommenden Wochen und Monaten. 

Hunderttausende in Lagern – Winter verschärft die Krise 

Vor allem im Nordwesten des Landes leben Hunderttausende Binnenvertriebene unter prekären Bedingungen in überfüllten Lagern. Der Zugang zu Nahrung, sauberem Wasser und medizinischer Versorgung bleibt stark eingeschränkt, während die winterlichen Verhältnisse die Lebensbedingungen weiter verschlimmern.  

„Die Situation ist in vielen Teilen Syriens noch unüberschaubar und die Menschen sind aufgrund der schrecklichen Erfahrungen aus dem letzten Kriegsjahrzehnt sehr verunsichert. Viele wünschen sich nichts mehr als endlich Stabilität und einen dauerhaften Frieden, damit der Wiederaufbau und ein Versöhnungsprozess beginnen können,“ sagt Janine Lietmeyer, Vorständin World Vision Deutschland.  

Zerstörte Infrastruktur und Mangel an Lebensmitteln 

Der Krieg hat Syrien in Trümmern hinterlassen: Die Infrastruktur ist massiv beschädigt, die Grundversorgung mit Wasser, Elektrizität und Gesundheitsdiensten instabil. In den großen Städten wie Aleppo und Hama stehen lebenswichtige Einrichtungen wie Krankenhäuser, Bäckereien und Kraftwerke unter enormem Druck.  

„Die jüngsten Kämpfe haben erneut den Zugang zu Gesundheitseinrichtungen stark beeinträchtigt. Große Krankenhäuser und Zentren für medizinische Grundversorgung, wurden beschädigt oder vorerst geschlossen, teilweise gibt es nur notärztliche. Versorgung. Diese Situation belastet insbesondere Kinder sehr,“ so Lietmeyer weiter.     

World Vision arbeitet seit 2013 in Syrien und ist unter anderem mit Projekten aktiv, die von Auswärtigen Amt und dem Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit (BMZ) gefördert werden. Die lange Präsenz und Ortskenntnis der Mitarbeitenden erleichtern die Bemühungen, vor allem die am stärksten betroffenen Menschen zu erreichen.    

World Vision Deutschland e.V. 

Spendenkonto: PAX-Bank eG IBAN DE72 3706 0193 4010 5000 07 

BIC GENODED1PAX Online: Spenden für Syrien | Jetzt helfen! 

World Vision Deutschland ist für die Durchführung seiner Projekte auf Spenden angewiesen. Danke für Ihre Unterstützung! 

Für aktuelle Informationen folgen Sie uns Online: www.worldvision.de.  wvd 9

 

 

 

 

Umfrage. Mehrheit sieht Migrationspolitik der Regierung kritisch

 

„Irreguläre Migration“ beschäftigt Menschen in Deutschland – ebenso die Einwanderung von potenziellen Arbeitskräften. Wie die Bundesregierung hier agiert, überzeugt die Mehrheit der Deutschen nicht, wie Ergebnisse einer Umfrage zeigen.

Drei von vier Bundesbürgern haben laut einer aktuellen Umfrage den Eindruck, die Bundesregierung sei bei der Begrenzung der „irregulären Migration“ nicht aktiv genug. Das geht aus den Ergebnissen einer repräsentativen Erhebung des Meinungsforschungsinstituts YouGov im Auftrag der Deutschen Presse-Agentur hervor. Danach sieht jeder zweite Deutsche auch bei der Steuerung der Erwerbsmigration noch Luft nach oben.

Dass die Bundesregierung genug unternimmt, um „irreguläre Migration“ zu verhindern, glauben laut Umfrage lediglich 14 Prozent der Deutschen. 75 Prozent sind vom Gegenteil überzeugt. Elf Prozent der Befragten trauten sich in dieser Frage kein Urteil zu.

Jeder Zweite hält mehr Engagement für Erwerbsmigration für nötig

Auf die Frage, ob die Bundesregierung genug tue für die Einwanderung potenzieller Arbeitskräfte aus Nicht-EU-Staaten oder nicht, antworteten 50 Prozent, die Regierung „macht nicht genug, um die Einwanderung von Arbeitskräften zu ermöglichen“. 30 Prozent der Befragten finden die Aktivitäten der Bundesregierung auf diesem Gebiet ausreichend. Jeder Fünfte hat hierzu keine klare Meinung.

Deutschlands Wirtschaft wird dieses Jahr nach einer Prognose der EU-Kommission leicht schrumpfen. Erwartet wird im laufenden Jahr ein Rückgang des Bruttoinlandsprodukts um 0,1 Prozent. Als einer der Gründe für die Flaute gilt der Arbeitskräftemangel in vielen Branchen.

93 Prozent halten „irreguläre Migration“ für ein Problem

Im Zuge der Befragung, die am 29. November begann und am Dienstag endete, wurde auch deutlich, dass eine große Mehrheit der Deutschen „irreguläre Einwanderung“ problematisch findet. Demnach sehen lediglich zwei Prozent der Bundesbürger überhaupt kein Problem darin, dass Menschen, die nicht aus der EU stammen, ohne gültigen Aufenthaltstitel einreisen beziehungsweise sich in Deutschland aufhalten.

15 Prozent der Wahlberechtigten halten dies für ein kleines Problem. Für die Antwortvariante „großes Problem“ entschieden sich 27 Prozent der Befragten. Etwa die Hälfte der Teilnehmer der Umfrage (51 Prozent) halten „irreguläre Einwanderung“ den Angaben zufolge für ein sehr großes Problem. Lediglich fünf Prozent der Befragten äußerten sich hier unentschlossen.

AfD- und BSW-Anhänger sehen „irreguläre Migration“ sehr kritisch

Fast alle Befragten, die angaben, bei der für den 23. Februar geplanten Bundestagswahl AfD oder das Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) wählen zu wollen, sehen in der „irregulären Migration“ ein großes oder sehr großes Problem. Etwas niedriger ist der Wert bei denjenigen, die ihre Stimme der CDU beziehungsweise der CSU zu geben. Auch die Mehrheit der potenziellen SPD-, Linke- und FDP-Wähler sehen das so.

Lediglich bei den Menschen, die angaben, die Grünen wählen zu wollen, war die Gruppe derjenigen, die „irreguläre Einwanderung“ als großes oder sehr großes Problem ansehen in etwa so groß wie die Gruppe der Menschen, die darin nur ein kleines Problem sehen oder gar kein Problem.

In den ersten zehn Monaten dieses Jahres hat die Bundespolizei rund 71.000 unerlaubte Einreisen festgestellt. Im gesamten Jahr 2023 gab es laut Polizeistatistik rund 127.500 unerlaubte Einreisen.

Jeder Zweite glaubt, Einwanderung war schlecht

Berücksichtigt werden muss hier, dass Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) die stationären Kontrollen inzwischen auf alle Landgrenzen ausgeweitet hat. Das mag Schleuser einerseits abschrecken, führt auf der anderen Seite aber auch dazu, dass mehr unerlaubte Einreisen direkt an der Grenze auffallen, was Zurückweisungen ermöglicht. Zurückweisungen an deutschen Landgrenzen gibt es derzeit nur in bestimmten Fällen: Wenn jemand mit einer Einreisesperre belegt ist oder kein Asyl beantragt.

Dass die Einwanderung in den vergangenen zehn Jahren insgesamt schlecht für Deutschland war, glaubt demnach jeder Zweite. 15 Prozent der Deutschen sind überzeugt, Einwanderung sei im zurückliegenden Jahrzehnt im Großen und Ganzen gut gewesen. Sowohl Licht als auch Schatten sehen hier 30 Prozent der Befragten. (dpa/mig 9)

 

 

 

 

Umbruch in Syrien

 

Was bedeutet der Sturz Assads – auch für Geflüchtete in Deutschland?

Jahrelang herrschte in Syrien ein Patt, das fast eine Art Stabilität suggerieren konnte. Die Blitzoffensive von Rebellen treibt Machthaber Assad in die Flucht – und das Land in ungewisse Zeiten. Knapp eine Million Syrer in Deutschland halten den Atem. Von Johannes Sadek und Sara Lemel

Die Ereignisse überschlagen sich: In weniger als zwei Wochen hat eine Allianz aus Aufständischen in Syrien die Kontrolle über die wichtigsten Städte übernommen und Syriens Machthaber Baschar al-Assad in die Flucht geschlagen. Nach bald 14 Jahren Bürgerkrieg beginnt in dem arabischen Land der nächste große Umbruch.

Ist die Assad-Regierung jetzt endgültig gestürzt?

Eine Rückkehr Assads an die Macht scheint nach seiner Flucht aus Damaskus praktisch ausgeschlossen. In den vergangenen Jahren konnte sich seine schwache Regierung nur mit der Unterstützung Russlands, des Irans, der libanesischen Hisbollah und anderen Iran-treuen Milizen halten. Assad dürfte – wenn er die Flucht überlebte – untertauchen, etwa in Moskau. Auch die Armee, der wichtigste syrische Unterstützer Assads, hat das Ende seiner Regierung verkündet. Syrien wurde seit Jahrzehnten von der Assad-Familie beherrscht, Assads Vater Hafis wurde 1970 zum faktischen Alleinherrscher.

Wie geht es in Syrien jetzt weiter?

Das ist unklar. Das Bündnis aus Aufständischen, das in großen Gebieten samt der Hauptstadt Damaskus die Kontrolle übernahm, wird angeführt von der Islamistengruppe Haiat Tahrir al-Scham (HTS). Übersetzt heißt das in etwa „Organisation für die Befreiung (Groß-)Syriens“.

Zuvor hatte sie Verbindungen zu den Terrororganisationen Islamischer Staat (IS) und Al-Kaida. Sie sagte sich später aber öffentlichkeitswirksam von diesen los. Anführer Abu Mohammed al-Dschulani tritt seit einigen Tagen mit seinem bürgerlichen Namen Ahmed al-Scharaa auf und schlägt eher diplomatische und versöhnliche Töne an. HTS wurden zuvor aber auch Folter und Hinrichtungen vorgeworfen. Die EU und die USA stufen HTS als Terrororganisation ein.

Wird HTS die Macht in Syrien allein übernehmen?

Nein. HTS ist die mächtigste der Rebellengruppen, die sich zum gemeinsamen Kampf gegen Assad mit anderen Gruppen zusammengeschlossen hat. Nach dem Sturz der Assad-Regierung könnte die Rivalität dieser Gruppen aber wieder stärker hervortreten und in einem Machtvakuum auch zu neuen Kämpfen führen. Zudem gibt es im Norden weitere Rebellengruppen, die von der Türkei unterstützt werden, Kurdenmilizen im Nordosten sowie Zellen der Terrormiliz IS, die Anschläge verüben. Es ist unklar, welche Gruppe oder möglicherweise ein neues Bündnis die Macht übernehmen könnte und auch welche Rolle die Soldaten und andere Sicherheitskräfte spielen, die bisher Assad die Treue hielten.

Was bedeutet Assads Sturz für Syrien und den verbündeten Iran?

Mit Assad stürzt Kritikern zufolge einer der größten und brutalsten Machthaber des Nahen Ostens, der unter anderem mit Giftgas und Folter gegen die eigene Bevölkerung vorging. Die nun fallenden Assad-Denkmäler erinnern an den Sturz der Langzeitherrscher im Irak und in Libyen, Saddam Hussein und Muammar Gaddafi. Viele Syrer bejubeln Assads Ende, andere fürchten zugleich eine neue, andere Gewaltherrschaft unter den aufständischen Islamisten. ´

Der Iran verliert mit Assad einen wichtigen strategischen Alliierten. Teheran finanzierte die Assad-Regierung und half ihr militärisch, auch um Syrien als „Korridor“ zur Hisbollah-Miliz im Libanon zu nutzen. Mit dem Machtwechsel in Syrien gerät die iranische Nahostpolitik – und insbesondere der Kampf gegen Erzfeind Israel – in eine Sackgasse. Kritiker werfen der iranischen Führung vor, mit ihrer Fehlkalkulation in Syrien Milliarden US-Dollar in den Sand gesetzt zu haben.

Einige sehen im Sturz Assads sogar den großen Wendepunkt für die sogenannte „Achse des Widerstands“, die der Iran gegen Israel gebildet hat. Nach der Tötung von Hamas-Auslandschef Ismail Hanija sowie Hisbollah-Chef Hassan Nasrallah und nun der Flucht Assads wurden innerhalb weniger Monate drei Spitzenfiguren der „Achse“ ausgeschaltet. Ein Mitglied der Revolutionsgarden (IRGC), die Assads Regierung lange am Leben hielten, vergleiche die Ereignisse in Syrien mit dem Fall der Berliner Mauer, berichtet eine Iran-Reporterin der „New York Times“

Wie wirkt Assads Sturz sich auf Nachbar Israel aus?

Israel beobachtet die Entwicklungen in dem nördlichen Nachbarland Syrien mit großer Wachsamkeit. Der Sturz Assads wird als herber Rückschlag für Israels Erzfeind Iran eingestuft. Weil die wichtige Landverbindung zwischen dem Iran und dem Mittelmeer gekappt ist, dürfte auch eine Wiederaufrüstung der Hisbollah, gegen die Israel bis zu einer Waffenruhe vor anderthalb Wochen Krieg führte, kaum möglich sein. All dies spielt Israel in die Hände.

Aus israelischer Sicht ist der Zusammenbruch von Assads Herrschaft Teil einer regionalen Kettenreaktion, die mit dem Terrorüberfall der Hamas und anderer extremistischer Gruppen auf Israel am 7. Oktober 2023 begonnen hat.

Was könnte in der Region folgen?

Der israelische Analyst Udi Evental spricht von einem „regionalen Erdbeben“ durch den Sturz Assads. Er rechne nun mit mehreren möglichen „Nachbeben“ in der Region. Die islamistische Hamas im Gazastreifen und die schiitische Hisbollah im Libanon seien bereits weitgehend geschlagen. Der „Feuerring“, mit dem iranische Helfershelfer Israel innerhalb gut eines Jahrzehnts umgeben hätten, sei mit den Ereignissen in Syrien praktisch komplett zerstört.

Evental sieht nun bessere Chancen für eine Waffenruhe und einen Geisel-Deal im Gazastreifen nach mehr als einem Jahr des verheerenden Kriegs in dem Küstenstreifen. „Die Hamas hat die Unterstützung der (iranischen) Achse verloren, bleibt allein zurück und signalisiert wachsendes Interesse an einer Einigung.“ Damit biete sich die Möglichkeit, vor einem Amtsantritt von Donald Trump als US-Präsident im Januar „reinen Tisch zu machen“, damit man sich „gemeinsam auf die zentrale Bedrohung konzentrieren kann: das iranische Atomprogramm“.

Welche Rolle spielen Russland, die Türkei und die USA?

Die Entwicklungen in Syrien werden seit Jahren nicht mehr in Damaskus angestoßen, sondern neben Teheran auch in Moskau und Ankara. Russland hatte Assad im Bürgerkrieg mit Luftangriffen an der Macht gehalten, seine Truppenzahl im Land wegen des Ukraine-Kriegs aber verringert. Moskau dürfte dennoch versuchen, seine wichtigen Luft- und Marine-Stützpunkte an der Mittelmeerküste zu halten, auch wegen ihrer Nähe zu Europa und zur Sicherung seiner Interessen in Afrika.

Bei Russland wie der Türkei, die Gebiete im Norden Syriens besetzt hält, ist unklar, inwieweit es künftig Absprachen geben könnte mit den neuen Machthabern im Land. Experten vermuten, dass die Türkei die Offensive zumindest billigte, um Druck auf Assad auszuüben. Dieser hatte eine Normalisierung mit der benachbarten Türkei bisher abgelehnt – zum Unmut des türkischen Präsidenten Recep Tayyip Erdogan. Dieser möchte wegen der Spannungen im eigenen Land unter anderem Flüchtlinge nach Syrien zurückführen. Erdogan hat zudem deutlich gemacht, dass er eine Ausweitung der Präsenz von kurdischen Milizen an der Grenze zur Türkei nicht dulden wird.

Die USA haben ihrerseits noch einige Hundert Soldaten in Syrien stationiert zum Kampf gegen die Terrormiliz IS. Sie waren aber auch eine Art westlicher Keil tief im Einflussgebiet des Irans. Nach dem Amtsantritt Trumps in Washington, der schon 2019 einen US-Truppenabzug aus Syrien angeordnet hatte, könnten sich die militärischen Kräfteverhältnisse dort erneut ändern. Trump stellte jetzt klar, er wolle nicht, dass sich die USA in irgendeiner Form in die Krise in Syrien einmischen, weil es nicht ihr Kampf sei.

Was geschieht mit den Millionen syrischen Flüchtlingen?

Ein sicheres Land für eine Rückkehr war Syrien in vergangenen Jahren keineswegs. Diejenigen, die im Bürgerkrieg ab 2011 vor Assads Truppen, seinen Verbündeten oder anderen bewaffneten Gruppen flüchteten, könnten nun dennoch über eine Rückkehr nachdenken. In der benachbarten Türkei leben mehr als drei Millionen syrische Flüchtlinge – Schätzungen zufolge sind es mehr als doppelt so viele – und viele weitere im Libanon, Jordanien und Ägypten. Im Bürgerkrieg wurden mehr als 14 Millionen Menschen vertrieben, etwa die Hälfte davon im eigenen Land.

Was bedeutet die neue Situation für die Flüchtlinge in Deutschland?

Am 31. Oktober hielten sich in Deutschland laut Ausländerzentralregister 974.136 syrische Staatsgehörige auf. Die Mehrheit von ihnen sind Flüchtlinge beziehungsweise Asylbewerber. In den ersten elf Monaten dieses Jahres stellten 72.420 Menschen aus Syrien erstmals beim Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Bamf) einen Asylantrag. Von den Flüchtlingen, die 2015 und 2016 nach Deutschland kamen, sind inzwischen etliche deutsche Staatsbürger geworden.

Wie sich die neue Lage auf die Flüchtlingssituation auswirken wird, hängt davon ab, ob es nach dem Sturz von Assad einen weitgehend friedlichen Übergang gaben wird oder ob Selbstjustiz und Machtkämpfe für neue Instabilität sorgen. „Sollte sich die Situation positiv entwickeln, würden etliche Syrer zurückkehren wollen“, sagt der fluchtpolitische Sprecher von Pro Asyl, Tareq Alaows, der Deutschen Presse-Agentur.

Andere, die in Deutschland Arbeit gefunden und eine Familie gegründet hätten, wollten dagegen bleiben und würden die alte Heimat wohl nur noch besuchen wollen. Der Aktivist sagt: „Über 600.000 Menschen aus Syrien leben in Deutschland mit einer befristeten Aufenthaltserlaubnis. Sie brauchen Sicherheit.“

Hoffnung und Angst bei Syrern in Deutschland

In Berlin-Neukölln versammelten sich am Wochenende einige Dutzend Menschen, um den Vormarsch der Rebellen zu feiern. Sorgen vor den Absichten der neuen Machthaber äußerten vor allem Angehörige religiöser Minderheiten.

Khaled Davrisch, Repräsentant der von Kurden ins Leben gerufenen Selbstverwaltung in Nord- und Ostsyrien in Deutschland sagte: „Mit dem Ende des Regimes stehen wir vor der Verantwortung, die Fehler der Vergangenheit zu überwinden und gemeinsam ein Syrien zu formen, das Freiheit und Würde für alle garantiert.“ Die Selbstverwaltung strebe keine Abspaltung an, sondern wolle sich beteiligen, „am Aufbau eines demokratischen und pluralistischen Syriens, das die Rechte aller Syrerinnen und Syrer ohne Diskriminierung garantiert“. (dpa/mig 9)

 

 

 

 

Vatikan/UNO: Schuldenerlass und entschlossenes Handeln gegen Armut

 

In einer Rede bei den Vereinten Nationen hat Erzbischof Gabriele Caccia, Ständiger Beobachter des Heiligen Stuhls, die internationale Gemeinschaft zu konkreten Maßnahmen gegen Armut, zur Entschuldung der Entwicklungsländer und zum Schutz der Umwelt aufgerufen. Diese Ziele müssten Priorität bei der Entwicklungsfinanzierung haben, betonte er am Mittwoch in New York. Mario Galgano – Vatikanstadt

Erzbischof Gabriele Caccia, Ständiger Beobachter des Heiligen Stuhls bei den Vereinten Nationen, hat in einer Sitzung des Vorbereitungskomitees für die Vierte Konferenz zur Entwicklungsfinanzierung eine eindringliche Botschaft übermittelt. Seine Forderungen zielten auf eine gerechtere Weltordnung, die Armut bekämpft, die Schuldenlast der Entwicklungsländer mindert und den Klimaschutz stärkt.

Kritik an bisherigen Bemühungen

Caccia kritisierte, dass bisherige Maßnahmen im Bereich der Entwicklungsfinanzierung weder Ungleichheiten noch die durch internationale Krisen verstärkte Verwundbarkeit vieler Länder wirksam reduziert hätten. „Um signifikante Fortschritte bei den Millenniums-Entwicklungszielen und einer ganzheitlichen menschlichen Entwicklung zu erzielen, ist eine konkretere Zuweisung der verfügbaren Finanzmittel erforderlich“, erklärte er.

Besondere Aufmerksamkeit müsse dabei den am wenigsten entwickelten Staaten, den Inselstaaten und den Binnenländern gelten. Diese seien durch ihre geografische und wirtschaftliche Lage besonders gefährdet und benötigten dringend Unterstützung beim Umwelt- und Klimaschutz.

Entschuldung als moralische Verpflichtung

Ein zentrales Anliegen des Heiligen Stuhls sei der Schuldenerlass für Entwicklungsländer. Caccia unterstrich die Bedeutung dieser Maßnahme, die auch von Papst Franziskus in seiner Bulle Spes non confundit gefordert wird. „Es ist ein moralisches Gebot, die Würde aller Menschen zu wahren und das Potential der im Teufelskreis der Verschuldung gefangenen Nationen freizusetzen“, betonte der Erzbischof.

Die Last untragbarer Schulden hindere viele Länder daran, die Grundlagen für eine nachhaltige Entwicklung zu legen und auf globale Herausforderungen zu reagieren. „Ein Schuldenerlass ist kein Almosen, sondern eine Investition in die Zukunft und Gerechtigkeit“, so Caccia weiter.

Armut als Kernproblem

Die Beseitigung der Armut müsse oberste Priorität auf der Agenda der Internationalen Konferenz zur Entwicklungsfinanzierung haben. „Armut ist nicht nur ein wirtschaftliches Problem, sondern eine schwere Verletzung der von Gott gegebenen Menschenwürde und ein ernsthaftes Hindernis für nachhaltige Entwicklung“, mahnte Monsignore Caccia abschließend.

Der Heilige Stuhl appellierte an die internationale Gemeinschaft, die Prinzipien von Solidarität und Gerechtigkeit stärker in den Mittelpunkt der Entwicklungsfinanzierung zu stellen. Die Herausforderungen der heutigen Welt erforderten entschlossenes Handeln, um die Menschheit aus Armut und Ungleichheit zu befreien und eine lebenswerte Zukunft zu schaffen. (vn 7)

 

 

 

„Getarntes Todesurteil“. Italien verschärft Gesetz gegen private Seenotretter

 

Die rechtsnationale italienische Regierung hat Gesetze gegen private Seenotretter verschärft. Es zwingt Seenotretter, Menschen in Seenot nicht zu helfen, sofern sie bereits Geflüchtete an Bord haben. Seenotretter sprechen von einem „getarnten Todesurteil“ – und retten weiter Menschen.

Italien hat die gesetzlichen Regelungen gegen private Seenotretter verschärft. Der Senat beschloss am Mittwoch, die bisher im sogenannten Piantedosi-Dekret festgelegten Maßnahmen in der Migrationsgesetzgebung zu verankern. Darin enthalten ist unter anderem die Vorgabe, dass die Schiffe nach jeder Rettung unverzüglich den ihnen zugewiesenen Hafen anlaufen müssen, ohne auf dem Weg weitere Geflüchtete in Seenot an Bord zu nehmen.

Bei Zuwiderhandlung drohen die Festsetzung des Schiffs und Geldstrafen. Die rechtsnationalistische Regierung von Ministerpräsidentin Giorgia Meloni hatte mit dem Piantedosi-Dekret bereits Anfang 2023 neue Regeln für die private Seenotrettung im Mittelmeer erlassen.

„Gesetzesänderungen sind ein getarntes Todesurteil“

Die Seenotrettungsorganisationen kritisierten die Verabschiedung des Gesetzes scharf. „Auf See sind zivile Rettungsschiffe die letzte Bastion gegen staatliche Gewalt“, sagte die Sprecherin von Sea-Watch, Giulia Messmer. „Die neuen Gesetzesänderungen sind ein getarntes Todesurteil.“ In einer Erklärung von acht internationalen Organisationen hieß es, Ziel der gesetzlichen Verankerung sei nicht die Verwaltung der Seenotrettung, sondern ihre Behinderung und Kriminalisierung.

Nach der Senatsentscheidung werden Verstöße nun nicht mehr nur auf die Kapitänin oder den Kapitän des Schiffes bezogen, sondern auch auf den oder die Eigentümer. Wenn also die Besatzung eines Schiffes mehrfach innerhalb von fünf Jahren nach einem ersten Einsatz weiteren Menschen in Seenot hilft, statt ohne weitere Rettungen den zugewiesenen Hafen anzusteuern, gilt es nicht nur mit dem gleichen Kapitän als Wiederholung eines Verstoßes und wird härter bestraft. Zudem würden die Fristen für Einspruch gegen die Strafen verkürzt, kritisieren die Organisationen.

SOS Humanity rettet über 80 Flüchtlinge

Zuletzt hat die Hilfsorganisation SOS Humanity 83 Menschen im Mittelmeer gerettet. Mehr als ein Dutzend der Menschen sei in kritischem Zustand aufgefunden worden und brauche medizinische Behandlung in einem Krankenhaus an Land, teilte die Organisation am Mittwoch mit. Sie seien bei der Rettung am Dienstag stark bis dramatisch unterkühlt gewesen, manche seien bewusstlos gewesen oder hätten Meerwasser in den Atemwegen gehabt. Ihr Holzboot habe bereits Schlagseite gehabt, als die Crew der „Humanity 1“ die Menschen in Seenot erreichte.

Das Mittelmeer zählt zu den gefährlichsten Fluchtrouten weltweit. Nach Angaben der Internationalen Organisation für Migration (IOM) kamen seit Beginn des Jahres mehr als 2.000 Menschen bei der Überfahrt ums Leben oder sie werden vermisst. Die Dunkelziffer wird weit höher angenommen. Lediglich die Schiffe privater Hilfsorganisationen halten nach in Seenot geratenen Flüchtlingsbooten Ausschau.

Liste „sicherer“ Herkunftsstaaten jetzt Gesetz

Zu den Neuerungen im italienischen Gesetz gehört auch die dadurch in Gesetzesform gegossene Liste von sogenannten sicheren Herkunftsstaaten. Auf dieser stehen unter anderem Bangladesch, Ägypten und Marokko. Die italienische Regierung hatte die Liste in ein Gesetz umgewandelt, nachdem ein Gericht in Rom die Unterbringung von Migranten aus Ägypten und Bangladesch in von Italien betriebenen Asylzentren in Albanien untersagt hatte.

In dem aktualisierten Gesetz ist auch festgelegt, dass künftig das Oberlandesgericht und nicht mehr die Fachgerichte für die Bestätigung der Inhaftierung von Asylbewerbern zuständig sind. (epd/mig 6)

 

 

 

 

OSZE auf Malta: Vatikan besorgt um Zukunft der Organisation

 

Sorge vor einer Spaltung der OSZE und einer Verwässerung ihrer eigentlichen Ziele hat der vatikanische Außenbeauftragte, Erzbischof Paul Richard Gallagher, beim derzeiten OSZE-Außenministertreffen in Malta ausgedrückt. Dabei mahnte er die Mitgliedsstaaten, nicht vom Konsensprinzip abzuweichen, um die Grundwerte der Einrichtung, die entscheidend zum Ende des Kalten Krieges beigetragen hat, nicht zu gefährden. Christine Seuss - Vatikanstadt

In seiner Ansprache am Donnerstag hob Gallagher die Bedeutung der Schlussakte von Helsinki (Helsinki Final Act) hervor, mit der sich die Unterzeichnerstaaten – darunter neben europäischen Ländern auch die USA und die damalige Sowjetunion – nach jahrelangen Verhandlungen 1975 in Helsinki auf eine Reihe von Grundprinzipien geeinigt hatten. Aus der mit der Schlussakte beendeten Konferenz ist die Organisation für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (OSZE) hervorgegangen, die mittlerweile 57 Teilnehmerstaaten von Nordamerika bis nach Zentralasien hat.

Herausforderungen und Erfolge

Mit Blick auf den Jahrestag im kommenden Jahr gelte es nun, „sowohl die Erfolge als auch die Herausforderungen“ zu würdigen, die die OSZE erlebt habe. Wichtig sei außerdem eine „Vision für die Zukunft mit Klarheit, Entschlossenheit und erneuertem Engagement für Frieden, Sicherheit und Gerechtigkeit“ für den gesamten Globus, so der Vatikandiplomat:

„Die Schlussakte von Helsinki ist Ausdruck des gemeinsamen Verständnisses aller Teilnehmerstaaten, dass Frieden nicht nur die Abwesenheit von Krieg oder ein Gleichgewicht der Kräfte bedeutet, sondern vielmehr die Frucht freundschaftlicher Beziehungen, eines konstruktiven Dialogs und der Zusammenarbeit zwischen den Staaten bei der Einhaltung der völkerrechtlichen Verpflichtungen und der Achtung aller universellen Menschenrechte ist.“

Gallagher würdigte den Vertragsabschluss, der zumindest zu Beginn in Westeuropa als unpopulär galt, erkannte er doch de facto die sowjetische Annexion der baltischen Staaten Litauen, Lettland und Estland an. Auf der anderen Seite hatten sich die Unterzeichner jedoch auf wichtige Grundrechte geeinigt, die international überwacht wurden und Dissidenten in der Sowjetunion letztlich in die Hände spielten. Deshalb gilt die Schlussakte als Vertragswerk, das entscheidend zu einem Ende des Kalten Krieges beigetragen hat.

Sorge über zunehmende Fragmentierung

Heutzutage stehe es um die OSZE jedoch nicht zum Besten, ließ Gallagher in seiner Ansprache deutlich durchblicken: „In den letzten Jahren haben wir mit großer Sorge nicht nur einen mangelnden Verfahrenskonsens innerhalb der OSZE beobachtet, sondern vor allem ein zunehmendes Schwinden gegenseitigen Vertrauens zwischen einigen Teilnehmerstaaten, eine Zunahme ideologischer Aggressionen und eine eklatante Missachtung der in der Schlussakte von Helsinki enthaltenen Grundprinzipien“, so der vatikanische Sekretär für die Beziehungen mit den Staaten und Internationalen Organisationen auf Malta.

Sorge über „zunehmende Fragmentierung“

Ein Beispiel dafür sei auch die Tatsache, dass Schlüsselpositionen in der Organisation nur nach langwierigen Verhandlungen besetzt werden konnten, während die Diskussion über den amtierenden Vorsitz 2026 noch nicht einmal begonnen habe. Die evidenten Probleme spiegelten die aktuelle Weltlage wider, räumte der Vatikandiplomat ein, der in diesem Zusammenhang der Sorge des Heiligen Stuhls über die „zunehmende Fragmentierung“ der Organisation Ausdruck verlieh.

Es bestehe somit die Gefahr, sich in „Clubs“ gleichgesinnter und „ideologisch kompatibler“ Staaten zurückzuziehen, was die übergreifende internationale Zusammenarbeit aufs Schwerste beeinträchtigen würde, mahnte Gallagher. Die OSZE sei vielmehr „eine Organisation nicht gleichgesinnter Staaten, die im Konsens arbeitet“, was eher „die geduldige Arbeit des Dialogs und der Verhandlungen“ als die des „gewaltsamen Aufzwingens“ erfordere.

Die Bedeutung von Konsens nicht gleichgesinnter Staaten

„Es wäre zutiefst bedauerlich, wenn die Teilnehmerstaaten die Hoffnung aufgeben und das eigentliche Wesen der OSZE gefährden würden, indem sie das Streben nach konsensbasierten Beschlüssen aufgeben und die Organisation in ein Forum nur für gleichgesinnte Staaten verwandeln“, so Gallagher. Er warnte vor dem Risiko einer „Selbstauflösung“ oder zumindest einer „Formveränderung“, was nicht nur von der Schlussakte von Helsinki abweichen, sondern auch „den Geist von Helsinki“ verfälschen würde. Liege doch die Stärke der Organisation letztlich in der „Vielfalt der Perspektiven“ und der Tatsache, dass Entscheidungsprozesse durch Dialog zustande kämen.

„Die OSZE hat immer einen Weg gefunden, Konsens zu erzielen und ihre hochgesteckten Ziele zu verfolgen. Lassen Sie uns daher in unserem Engagement, alle Parteien an den Verhandlungstisch zu bringen, standhaft bleiben“, so der Appell des Vatikandiplomaten. In einer Zeit, in der es Dialog, Deeskalation und Entspannung dringend brauche, stehe die OSZE nun an einem Scheideweg. Ihre Zukunft liege in der Verantwortung jedes einzelnen Teilnehmerstaats, soGallagher.

Das Treffen findet am 5. und 6. Dezember in Malta statt, auch Russlands Außenminister Lawrow und Anthony Blinken aus den USA sind dazu vor Ort. (vn 6)

 

 

 

 

Amnesty International wirft Israel Völkermord an Palästinensern vor

 

Israels Regierungschef Netanjahu preist die Streitkräfte seines Landes gerne als die „moralischste Armee der Welt“ an. Amnesty kommt in einem fast 300 Seiten langen Bericht zu einem anderen Ergebnis.

Amnesty International hat Israel Völkermord an den Palästinensern im Gazastreifen vorgeworfen. Die israelische Armee habe im Zuge ihrer Militäroffensive Kriegsverbrechen begangen und absichtlich Leid und Zerstörung über die dort lebenden Menschen gebracht, teilte die Menschenrechtsorganisation mit. Sie legte einen fast 300 Seiten langen Bericht zu den Vorwürfen vor, den die israelische Regierung als „vollständig falsch“ bezeichnete.

Auslöser des Gaza-Kriegs war das Massaker der Hamas und anderer Extremisten aus dem Gazastreifen am 7. Oktober 2023 mit 1.200 Toten und etwa 250 Verschleppten. Israel betont stets, Hamas-Kämpfer hätten Zivilisten als Schutzschild missbraucht, während Israel alles unternommen habe, Zivilisten zu schonen.

Amnesty betonte hingegen, Israel habe es darauf angelegt, die Palästinenser als Gruppe zu zerstören. Wer wie auch deutsche Rüstungsunternehmen Israel weiterhin Waffen liefere, laufe Gefahr, sich mitschuldig zu machen. Der Völkermord müsse sofort beendet, ein Waffenstillstand vereinbart und alle Geiseln freigelassen werden, forderte die Menschenrechtsorganisation.

Humanitäre Mahnungen ignoriert

Die israelische Regierung habe zahllose Mahnungen über die katastrophale humanitäre Lage ignoriert und sich über Maßnahmen des Internationalen Gerichtshofs (IGH) hinweggesetzt, kritisierte Julia Duchrow, Generalsekretärin von Amnesty International in Deutschland. Der IGH hatte Israel aufgefordert, die humanitäre Versorgung im Gazastreifen sicherzustellen.

„Der israelische Staat beging und begeht Völkermord an Palästinensern im Gazastreifen“, sagte Amnestys internationale Generalsekretärin, Agnès Callamard, in Den Haag. Israel „hatte und hat die klare Absicht, Palästinenser im Gazastreifen auszulöschen“.

Israel über Amnesty: „fanatische Organisation“

Das israelische Außenministerium beschrieb Amnesty International als eine „schändliche und fanatische Organisation“. Es handele sich um einen „fabrizierten Bericht, der vollständig falsch ist und auf Lügen basiert“. Israel verteidige sich seit dem Hamas-Terrorangriff in Übereinstimmung mit dem internationalen Recht.

Israel geht seit mehr als einem Jahr massiv mit Bodentruppen und Luftangriffen gegen die Hamas in dem mit mehr als zwei Millionen Einwohnern dicht besiedelten Küstenstreifen vor. Nach palästinensischen Angaben wurden bereits mehr als 44.500 Menschen getötet und rund 105.500 verletzt. Ein großer Teil der Wohnhäuser und Infrastruktur wurden zerstört. Hilfsorganisationen warnen vor einer Hungersnot. (dpa/mig 6)

 

 

 

 

Bayern und seine Muslime: Wie beheimatet fühlen sie sich?

 

Vor wenigen Monaten gab es harsche Töne zwischen muslimischen Vertretern und der bayerischen Politik. Nun traf man sich im Heimatministerium in Nürnberg zu einer Tagung über Muslime in Bayern. Ein Schritt aufeinander zu oder Offenbarungseid? Von Veronika Wawatschek

Es ist noch kein Jahr vergangen, da warf der Penzberger Imam Benjamin Idriz der bayerischen Staatsregierung vor, zu wenig für Muslime im Freistaat zu tun, sie "komplett zu ignorieren". Bayerns Innenminister Joachim Herrmann versprach daraufhin, das Thema "anzupacken" und war heute auf einer Tagung im Heimatministerium in Nürnberg zu Gast.

"Woher kommst du wirklich?"

Unter dem Titel "Muslimisch. Bayerisch. Perspektiven auf Heimat" hatten die Islamberatung, die Eugen-Biser-Stiftung und der Bayerische Landesverein für Heimatpflege Vertreter von Muslimen und aus der Politik zum Gespräch geladen – ein dringender und notwendiger Schritt, wie viele der Teilnehmenden betonten.

Denn noch immer gebe es Vorbehalte und Vorurteile gegenüber Muslimen und Musliminnen im Freistaat. Wenn etwa Muslime in Bayern auf die Frage: "Woher kommst du?" korrekt mit: "Aus Ingolstadt, aus Kaufbeuren, aus Kitzingen" antworten würden, heiße es noch immer oft: "Nein, woher kommst du wirklich?"

Diese Reaktionen würden Muslime und Musliminnen hierzulande auch noch hören, wenn sie sie schon in der dritten oder vierten Generation hier leben, sagt Stefan Zinsmeister von der Eugen-Biser-Stiftung: "Das heißt, sie werden verbal ausgegrenzt, obwohl sie sich selber eigentlich heimisch fühlen."

Sechs Prozent der Bayern sind Muslime

In Bayern leben aktuell rund 700.000 Musliminnen und Muslime. Das sind etwa sechs Prozent der bayerischen Bevölkerung. Im Alltag aber seien sie oftmals weiterhin nicht sichtbar, sagt Kübra Kisa von der Islamberatung Bayern, die die Tagung im Heimatministerium in Nürnberg mitorganisiert hat: "Wir sehen oft auf muslimischer Seite, dass sich Muslime oft nicht wahrgenommen fühlen, dass sie oft nicht sichtbar sind, obwohl sie längst beheimatet sind."

Veranstaltungen wie die in Nürnberg sollen auch Möglichkeiten für Gespräche und Zusammenarbeit schaffen, zum Beispiel mit dem Bayerischen Landesverein für Heimatpflege. Der sieht es inzwischen auch als wichtige Aufgabe an, sich um das muslimische Erbe in Bayern zu kümmern. Denn schließlich beziehe sich die Heimatpflege auf alle in Bayern lebenden Menschen, betont Rudolf Neumaier.

Muslimisches Brauchtum in Bayern dokumentieren

Muslime und Musliminnen würden schon mehr als 100 Jahre in Bayern leben. "Da wird's Zeit, dass wir sie in die Heimatpflege einbringen und dass sie sich in die Heimatpflege einbringen." Konkret kann sich Neumaier vorstellen, muslimisches Brauchtum in Bayern zu dokumentieren, etwa wie Feste hierzulande gefeiert würden. Forderungen an die Politik will er aktuell nicht aufstellen.

Es gehe vielmehr darum, zunächst ins Gespräch zu kommen und sich kennenzulernen. Dieser Meinung ist auch Bayerns Innenminister Joachim Herrmann von der CSU. Ähnlich wie sein Kollege, der Integrationsbeauftragte Karl Straub, vertritt er die Botschaft: Muslimisches Leben gehört zu Bayern. Für Hermann ist es aber weniger die Frage "ob der Islam zu Bayern gehört, sondern eher, dass es auf jeden Fall Menschen gibt muslimischen Glaubens, die zu Bayern gehören, Menschen, die zum Teil schon vor Jahrzehnten nach Bayern gekommen sind, sich gut integriert haben."

"Wie lange dauert es, bis ich nicht mehr Ausländerin bin?"

Auf der Tagung "Muslimisch. Bayerisch" gab es allerdings durchaus Stimmen, die dem Freistaat in Sachen Integration noch einigen Nachholbedarf attestierten. Zum Beispiel, dass Moscheen in die Innenstädte gehörten, nicht in Industriegebiete. Oder dass Islamverbände als Körperschaften des öffentlichen Rechts angesehen werden sollten.

Auch das sei wichtig, um ein Gefühl entwickeln zu können, dazuzugehören, sagt Ayten Kilicarslan vom Sozialdienst muslimischer Frauen. "Wir Muslime wollen einfach als Teil dieses Landes gesehen werden. Muslime werden nicht unbedingt als Deutsche wahrgenommen. Aber Muslim sein bedeutet nicht unbedingt Migrant sein." Ihre Familie lebe in dritter Generation in Deutschland und sie frage sich, wie lange es dauern wird, bis sie nicht mehr als Ausländerin wahrgenommen werde.

Defizite bei der Integration hat das Bayerische Innenministerium inzwischen erkannt und bietet seit einigen Monaten Begegnungsveranstaltungen wie diese in Nürnberg an. Man müsse ins Gespräch kommen, viel mehr als bisher. Denn – so Innenminister Hermann weiter – noch immer gebe es im Freistaat viele Menschen, die sehr wenig über den Islam und Muslime hierzulande wüssten. Es brauche ein Aufeinanderzugehen. Br.de 5

 

 

 

 

Hoffnungsschimmer

 

Trumps Drängen auf einen Waffenstillstand könnte eine Chance für die kriegsgebeutelte Ukraine sein. Dafür muss Europa jedoch in die Bresche springen. Von Frank Hoffer

Nach über 1 000 Tagen Krieg, unzähligen Toten und Verwundeten, zerstörter Infrastruktur sowie zerbombter Dörfer und Städte steht die Ukraine vor einer schwierigen Entscheidung: Entweder aus einer Position der Schwäche über einen Waffenstillstand verhandeln oder versuchen, eine entscheidende Wende auf dem Schlachtfeld zu erzwingen. Letzteres ist allerdings ohne mehr westliche Waffen und – um es einmal auszusprechen – ohne westliche Truppen kaum vorstellbar.

Trotz westlicher humanitärer, finanzieller und militärischer Hilfe verschlechtert sich die Lage der Ukraine. Gleichzeitig dreht sich die Eskalationsspirale weiter – real und verbal. Auch wenn nicht vergessen werden darf, wer diesen Krieg begonnen hat, wer Aggressor und wer Verteidiger ist, ist es in der Verlaufslogik des Krieges letztendlich nicht entscheidend, wer angefangen hat. Die Logik des Krieges verlangt nach immer mehr Soldaten und nach mehr und schwereren Waffen, solange der Feind nicht niedergerungen ist. Und Generäle haben die Tendenz, Politikerinnen und Politikern zu versprechen, dass mit noch entschlossenerem Militäreinsatz ein Sieg möglich ist.

Gebremst wurde und wird die Eskalation nur, weil der Westen das ultimative Risiko eines Großkrieges bis hin zum Einsatz atomarer Waffen befürchtet. Diese Sorge beruht darauf, dass Russland in einer ausweglosen Situation keinen anderen Weg sehen könnte, um eine drohende Niederlage abzuwenden. Befürworter uneingeschränkter Waffenlieferungen an die Ukraine ohne Einschränkungen der Angriffe mit westlichen Raketen auf russisches Territorium halten Putins Drohungen hingegen für einen Bluff. Und je länger der Krieg dauert, desto mehr schleicht sich bei den Befürwortern bedingungsloser Waffenhilfe – auch weil man sich von Putin nicht einschüchtern lassen will – eine gewisse Nonchalance gegenüber dem Risiko des Atomwaffeneinsatzes ein.

Dabei erhöht jede wirkungslose Drohung das Risiko, dass Russland irgendwann zu dem Schluss kommen könnte, den Drohungen müssen Taten folgen, um ernst genommen zu werden. Es hilft nichts, wenn man im Westen davon ausgeht, Putin wisse selbst, dass der Einsatz taktischer Atomwaffen töricht ist. Die verquere Sichtweise des Gegners ins Kalkül zu ziehen, ist ein Gebot der Vernunft. Geradezu naiv mutet da die Auffassung des Leiters der Münchner Sicherheitskonferenz, Christoph Heusgen, im Deutschlandfunk an, dass man Wladimir Putins Nukleardrohung nicht ernst nehmen müsse, weil ja China gesagt habe, es sei dagegen. Nach dem Motto: Der Westen muss keine Angst vor Putins Nukleardrohungen haben, Xi Jinping wird uns schützen.

Die Frage, ob Putin blufft oder sich irgendwann zur ultimativen Eskalation gezwungen sieht, ist für politische Entscheidungsträger eine der schwierigsten Abwägungen. Dies dürfte der wesentliche Grund sein, weshalb US-Präsident Joe Biden und in seinem Gefolge Bundeskanzler Olaf Scholz die Waffenlieferungen nur schrittweise ausgeweitet haben und keine unbegrenzte Waffenhilfe zusichern. Wie auch immer man dieses Vorgehen bewertet, die Fortsetzung dieser Politik ist keine Strategie für die Zukunft: Die Ukraine verblutet im wahrsten Sinne des Wortes vor unseren Augen und kann den Abnutzungskrieg nur noch eine begrenzte Dauer durchhalten.

Die Frage zusätzlicher Soldaten ist dabei die Achillesferse des ukrainischen Widerstands und noch dringlicher als die Frage zusätzlicher Waffen. Es mehren sich die Berichte von totaler Erschöpfung der kämpfenden Truppe, massiven Rekrutierungsproblemen, zunehmender Desertation beziehungsweise Umgehung der Einberufung durch Flucht und Korruption. Im Gegensatz zu Putin hat die Ukraine keine Diktatorenfreunde, die einfach junge Menschen an die Front und in den Tod abkommandieren können, ohne auf die Stimmung im eigenen Land und die Sorgen der Menschen Rücksicht nehmen zu müssen.

Soll die Ukraine siegen beziehungsweise zumindest aus einer Position der Stärke verhandeln können, erfordert dies nicht nur westliche Waffen, sondern eben auch westliche Soldaten. In Großbritannien und Frankreich wird zwar darüber nachgedacht, aber dabei geht es wohl eher um Ausbilder, technische Wartung von Waffen und möglicherweise Kämpfer von privaten Sicherheitsfirmen à la Blackwater. Es ist schwer vorstellbar, dass sich bei den ukrainischen Verbündeten politische Mehrheiten finden, der Ukraine mit eigenen Truppen zu Hilfe zu kommen.

Deshalb, und angesichts der Lage an der Front und des Wahlsiegs von Donald Trump, hat sich Präsident Selenskyj offenbar entschieden, das Ziel einer vollständigen militärischen Befreiung der besetzten Gebiete aufzugeben und stattdessen einen Waffenstillstand entlang der Frontlinie bei gleichzeitiger NATO-Mitgliedschaft der Ukraine ins Gespräch zu bringen. Die negative Entwicklung an der Front und Trumps erklärter Wille, den Krieg rasch zu beenden, haben Selenskyj gleichzeitig ermöglicht und gezwungen, trotz der starken patriotischen Kräfte im eigenen Land, die weiter für das Maximalziel kämpfen wollen, einen Weg zwischen Eskalation und Kapitulation zu suchen. Die Chancen, den Krieg einzufrieren, wären 2022 nach der Befreiung von Cherson besser gewesen als jetzt, da die Ukraine aus einer Position der Schwäche heraus verhandeln muss. Umso wichtiger ist entschlossenes Handeln des Westens, damit Selenskyjs schwieriger, aber richtiger Schritt den Weg zur Rettung der Ukraine und nicht zu einem russischen Sieg ebnet.

Die Präsidentschaft von Donald Trump bietet unter Umständen eine Chance für einen Waffenstillstand. Er hat eine klare wie simple Botschaft. Putin kann wählen zwischen einem Waffenstillstand, bei dem er die eroberten Gebiete besetzt hält, aber auch die freie und unabhängige Ukraine bestehen bleibt, oder einer Verschärfung des Krieges. Niemand – auch Putin nicht – kann wissen, wie Trump reagiert, wenn Putin einen Waffenstillstand ablehnt. Mit Sicherheit kann man allerdings davon ausgehen, dass er seine Präsidentschaft nicht mit einer Niederlage beginnen möchte.

Europa sollte die Bemühungen Trumps um einen Waffenstillstand entschieden unterstützen, dabei jedoch sicherstellen, dass nicht nur die Waffen schweigen, sondern auch die Sicherheit der freien Ukraine gewährleistet wird. Angesichts der eigenen militärischen Schwäche bleibt Europa kaum eine andere Wahl, als Trump anzubieten, den Großteil der finanziellen Last zu tragen – sei es für die sicherheitspolitische Absicherung eines Waffenstillstands oder, falls dieser scheitert, für verstärkte Waffenlieferungen. Jede Lösung muss Sicherheitsgarantien für die Ukraine umfassen. Falls ein NATO-Beitritt wegen russischen Widerstands oder interner Uneinigkeit nicht realisierbar ist, müssen europäische Großmächte, in Kooperation mit den USA, glaubwürdige Sicherheitsgarantien entwickeln.

Aber gibt es auf russischer Seite überhaupt Verhandlungsbereitschaft? Ist Putin bereit, seine Maximalforderungen von Regimechange und Entwaffnung der Ukraine aufzugeben? Ob die Aussicht auf einen Waffenstillstand die Stimmung in der russischen Bevölkerung verändert und Kritik am Krieg lauter wird, bleibt von außen schwer einzuschätzen. Inwieweit mehr oder weniger neutrale Staaten wie Indien, Brasilien und Südafrika und selbst China Russland angesichts des ukrainischen Vorschlags zu Verhandlungen drängen, bleibt abzuwarten. Selenskyjs Vorschlag bietet Putin die Chance, den verlustreichen und teuren Krieg zu beenden. Doch die Unberechenbarkeit Trumps könnte für Putin ein abschreckendes Risiko sein. Klar ist: Ein Waffenstillstand ist nur denkbar, wenn Putin nicht glaubt, dass die Ukraine bald kapitulieren muss. Europa muss daher unmissverständlich seine Unterstützung für die Ukraine demonstrieren.

Dafür wird Europa Hunderte Milliarden mobilisieren müssen, denn Trump bietet Schutz vor Putin, wenn überhaupt, nur gegen Cash. Die Solidarität mit der Ukraine durch Einsparungen bei Infrastruktur, Klimawandel und sozialer Gerechtigkeit zu finanzieren, würde Wasser auf die Mühlen derer geben, die den Krieg beendet sehen wollen, egal was dabei aus der Ukraine wird. Für Deutschland bedeutet dies daher entweder eine Aussetzung der Schuldenbremse oder eine Erhöhung der Staatseinnahmen, etwa durch eine einmalige zehnprozentige Freiheitsabgabe auf Vermögen über einer Million Euro.

Der Preis eines Waffenstillstands auf der Basis der militärischen Realitäten wäre dreifach: Die Ukraine verliert zumindest vorübergehend 20 Prozent ihres Territoriums, Europa zahlt viele Milliarden für US-Militärhilfe, und Donald Trump, der wohl gefährlichste Feind der amerikanischen Demokratie, erzielt einen außenpolitischen Triumph. Trotz dieser Kosten bleibt dies der beste Hoffnungsschimmer zwischen Kapitulation und Armageddon. IPG 6

 

 

 

 

Vereinte Nationen. 2025 brauchen 305 Mio. Menschen humanitäre Hilfe

 

Der globale Hilfsappell der UN zeichnet ein düsteres Bild der weltweiten Krisen und Konflikte. Rund 305 Millionen Menschen werden demnach im kommenden Jahr auf Hilfe angewiesen sein. Dabei wird die Arbeit für humanitäre Helfer immer gefährlicher. Ein Appell richtet sich direkt an Deutschland.

Rund 305 Millionen Menschen in Not werden im kommenden Jahr laut den Vereinten Nationen auf humanitäre Hilfe angewiesen sein. Kriege, Extremwetter infolge des Klimawandels und eine ungerechte Chancenverteilung hätten viele Menschen ins Unglück gestürzt, warnten die UN am Mittwoch in Genf.

„In einer brennenden Welt zahlen die Schwächsten, Kinder, Frauen, Menschen mit Behinderungen und die Armen den höchsten Preis“, erklärte Tom Fletcher, UN-Nothilfekoordinator bei der Vorstellung des globalen Hilfsappells für 2025. In dem Appell rufen die UN und ihre Partner die Geber auf, 47 Milliarden US-Dollar für lebensrettende Hilfe in 32 Ländern und 9 Flüchtlingsregionen zu zahlen. Mit dem Geld soll laut Fletcher Erwerb und Verteilung von Lebensmitteln, Medizin und anderen Hilfsgütern für mindestens 190 Millionen Menschen sichergestellt werden. Ziel sei es aber, allen Bedürftigen zu helfen.

Drastische Folgen der Unterfinanzierung

Bis November seien nur 43 Prozent der für 2024 geforderten 50 Milliarden US-Dollar gegeben worden. Die Folgen der Unterfinanzierung seien drastisch. Im laufenden Jahr sei die Nahrungsmittelhilfe in Syrien um 80 Prozent gekürzt worden. Die Wasser- und Sanitärhilfe im durch Cholera gefährdeten Jemen sei verringert worden. Im Tschad habe sich der Hunger aufgrund der Kürzungen verschärft.

Das größte Hindernis für die Unterstützung und den Schutz von Menschen in bewaffneten Konflikten sei die weit verbreitete Verletzung des humanitären Völkerrechts. Dazu zählten die Blockade von humanitären Lieferungen oder Angriffe auf Helfer. Den Angaben zufolge ist 2024 bereits das Jahr mit den meisten getöteten humanitären Helfern.

Menschenrechtler fordern deutliche Positionierung der deutschen Regierung

Der entwicklungspolitische Dachverband Venro äußerte sich angesichts der Zahlen besorgt, insbesondere über die humanitäre Lage im Gaza-Streifen. Angesichts der in Gaza getöteten humanitären Helferinnen und Helfer erwarte man „eine deutliche und konsequente Positionierung der deutschen Regierung, dass Selbstverteidigungsrecht und Kriegsführung Grenzen haben“, sagte Venro-Vorstandsmitglied Anica Heinlein. Dem Verband gehören nach eigenen Angaben 150 deutsche Entwicklungs- und Hilfsorganisationen an.

Das Hilfswerk World Vision wies auf die Folgen von Kriegen und Konflikten für Kinder hin. Jedes fünfte Kind weltweit lebe in einem Konfliktgebiet oder sei aus einem geflohen, sagte Vorständin Janine Lietmeyer. (epd/mig5)

 

 

 

 

Risse in Assads Fassade

 

Die Rebellenoffensive in Aleppo erschüttert die scheinbare Stabilität des syrischen Regimes – wie reagiert die internationale Gemeinschaft?  Von Hussam Baravi

Ende November 2024 haben Aufständische mit ihrem dramatischen Angriff auf Aleppo – das als Symbol für die Wiederherstellung der Assad-Herrschaft galt – die vom Regime errichtete Fassade der Stabilität erschüttert. Mit ihrer Überraschungsoperation „Abschreckung der Aggressionen“ bereitete die Rebellengruppe Hayat Tahrir al-Sham (HTS) der jahrelangen Kontrolle des Regimes über den westlichen Teil der Provinz Aleppo ein jähes Ende und eroberte am 30. November die Provinzhauptstadt. Parallel nutzten Einheiten der von der Türkei unterstützten Syrischen Nationalarmee (SNA) die Gelegenheit und nahmen mit ihrer Operation „Morgendämmerung der Freiheit“ die kurdisch besetzten Gebiete nördlich und östlich von Aleppo ins Visier. Der Doppelangriff destabilisiert die Region, schwächt Assads Streitkräfte und verschärft die ohnehin angespannte Gesamtsituation.

Das Wiederaufflammen der Kampfhandlungen nach fast zehn Jahren abwartender Ruhe rückt die grundlegenden Schwachpunkte des Assad-Regimes in den Blick und offenbart, dass dieses Regime ohne Unterstützung von außen nicht in der Lage ist, aus eigener Kraft zuverlässig für Stabilität zu sorgen. Die Oppositionskräfte sind sichtlich wiedererstarkt und zwingen die regionalen und internationalen Akteure, ihre Strategien zu überdenken. Auch wenn Assads Truppen sich um die Stadt Hama neu formieren, welche Berichten zufolge von HTS am 5. Dezember eingenommen wurde, macht die Offensive deutlich, wie labil die Macht ist, an die das Regime sich klammert. Für diejenigen in Europa, die für eine Normalisierung der Beziehungen zu Assad werben, ist das eine deutliche Warnung: Eine solche Normalisierung ist strategisch falsch und wird weder zu dauerhafter Stabilität führen noch die Migration eindämmen.

Nachdem das Regime 2016 Aleppo und andere Gebiete wieder unter seine Kontrolle gebracht hatte, strickte es sich ein ausgefeiltes Narrativ zurecht: Assad hat gesiegt – und Syrien ist wieder sicher und stabil. Diese Illusion wird durch die aktuellen Geschehnisse zunichtegemacht. Assads Truppen leisteten keine oder nur wenig Gegenwehr und machten einige gravierende strukturelle Defizite sichtbar. Die schnellen Geländegewinne der HTS ließen die militärischen Schwachstellen des Regimes erkennbar werden und verschärfen seine Abhängigkeit von externen Akteuren wie Iran und Russland. Die schlecht ausgerüstete und überforderte syrische Armee zeigte keine schlagkräftige Reaktion, sodass wichtige Gebiete schutzlos blieben. Verschärfend kam hinzu, dass durch die – wenngleich wohl nur partielle – Verlagerung der Hisbollah ein Sicherheitsvakuum entstanden ist. Assads Truppen bemühen sich mit Hochdruck, sich neu zu sortieren, aber jede Gegenoffensive setzt vermutlich Unterstützung aus Teheran und Moskau voraus – und diese hat einen hohen Preis.

Russlands Reaktion war wichtig, fiel aber zurückhaltend aus. Zwar verschaffte es mit seinen Luftangriffen Assads bedrängten Truppen ein wenig Entlastung, aber Moskaus Forderung, das Regime solle „die verfassungsmäßige Ordnung schnell wiederherstellen“, lässt darauf schließen, dass Russlands Begeisterung für ein intensiveres Engagement sich in Grenzen hält. Das könnte ein Anzeichen dafür sein, dass Moskau sich strategisch grundsätzlich neu ausrichtet, weil der Ressourceneinsatz in der Ukraine für Russland Vorrang hat. Eine andere Möglichkeit ist, dass Russland Assads geschwächte Position ausnutzen will, um die angestrebte Annäherung zwischen Erdogan und Assad voranzubringen, gegen die der syrische Machthaber sich in den vergangenen Monaten beharrlich gesperrt hat. Parallel wird erwartet, dass Iran sich stärker engagieren und möglicherweise durch die Entsendung von Truppen – vor allem von unterstützenden Milizen – Assad den Rücken stärken wird. Dadurch gerät Assad noch stärker unter den Einfluss Teherans, büßt noch mehr Autonomie ein und wird sich sein „kalkuliertes Schweigen“ im Krieg zwischen Israel und der Hisbollah noch weniger leisten können.

Assads Handlungsspielraum zwischen dem wachsenden Einfluss Teherans und möglichen israelischen Vergeltungsaktionen schrumpft zusehends. Israel ist entschlossen, den iranischen Einfluss in Syrien einzudämmen, und könnte die instabile Situation ausnutzen. Damit riskiert Israel allerdings, Assad noch mehr in die Arme des Iran zu treiben und die Bestrebungen der USA und der Vereinigten Arabischen Emirate (VAE), Assad von Teheran loszueisen, zu erschweren. Auf der anderen Seite kann es sein, dass Iran wegen seiner eigenen Sorgen und die Hisbollah aufgrund ihres verminderten Interesses in ihrer Unterstützung nachlassen.

Die Operation „Abschreckung der Aggressionen“ war definitiv weder spontan noch planlos. Die koordinierte Bodenoffensive unter Einsatz von Drohnen und anderen hoch entwickelten Technologien wirkt wie eine lange und sorgfältig geplante Aktion. Zudem gingen der Operation, die erklärtermaßen das Regime von weiteren Kampfhandlungen abschrecken soll, ein Monat verstärkter russischer Luftangriffe auf verschiedene Örtlichkeiten in Idlib und breit kursierende Gerüchte über eine möglicherweise bevorstehende Militäroperation voraus.

Einerseits stärkt die Offensive in Aleppo die syrische Opposition und beweist, dass sie sehr wohl in der Lage ist, das Regime herauszufordern, nachdem es seit 2016 nicht danach ausgesehen hatte. Die HTS verfolgte mit ihrer Operation vermutlich mehrere Ziele: Sie will sich für den Fall, dass es zu Gesprächen zwischen der Türkei und dem syrischen Regime kommt, eine stärkere Verhandlungsposition sichern, indem sie auf die Unzufriedenheit der Zivilbevölkerung eingeht und sich mehr Territorium und Ressourcen für die Vertriebenen verschafft, die sich bei ihr in Idlib aufhalten. Die Instabilität in der Region bot eine einmalige Chance, der lang anhaltenden Pattsituation ein Ende zu bereiten. Die taktischen Erfolge machen die Opposition wieder zu einer maßgeblichen Größe und verschaffen ihr mehr Druckmittel gegenüber allen Beteiligten – und das könnte großen Einfluss auf die Gespräche haben, die vermutlich in Gang kommen werden, wenn der Sturm sich wieder gelegt hat.

Andererseits wird durch die Operation „Morgendämmerung der Freiheit“ sichtbar, dass unterschiedliche Ziele verfolgt werden – was der Türkei und ihrer eigenständigen Agenda in die Hände spielt. Ankara hat das Chaos in Aleppo als Gelegenheit genutzt, um seinen langfristigen Zielen näherzukommen. Durch die Operation erzielte die Türkei erhebliche Geländegewinne in Tel Rifat, drängte die kurdischen Einheiten weiter zurück und stabilisierte damit ihre angestrebte Pufferzone. Dass die Türkei sich taktisch mit den Oppositionseinheiten abstimmt, zeigt, dass Ankara Einfluss sowohl auf die Kurden als auch auf Assad gewinnen will – den sie an den Verhandlungstisch bringen möchte. Auf lange Sicht könnte die wachsende Dominanz der HTS Ankaras Interessen gefährden.

Die Opposition wirkt zwar nach außen geeint, ist aber nach wie vor tief gespalten. Diese Schwachstelle könnte die jüngsten Erfolge untergraben. Die Ziele der HTS und der von der Türkei unterstützten Kräfte werden schon bald miteinander kollidieren und es beiden erschweren, die erzielten Fortschritte mittelfristig zu sichern, zumal wenn es – was wahrscheinlich ist – zu Konflikten über Führungs- und Ressourcenfragen kommt. Außerdem sind der dschihadistische Charakter der HTS und die Tatsache, dass sie von vielen westlichen Staaten als Terrororganisation eingestuft wird, zusätzliche Hürden für eine mögliche internationale Anerkennung und Unterstützung der Organisation. Wenn die Opposition nicht zu Geschlossenheit und einer kohärenten Strategie findet, droht die Gefahr, dass sie die in Aleppo entfachte Dynamik aufs Spiel setzt. Damit würde sie den Ball wieder zur Türkei zurückspielen, sodass die das Spielfeld nach ihren eigenen Vorstellungen umgestalten könnte. Die Ereignisse sind allerdings so sehr im Fluss, dass die Dinge sich auch in unerwartete Richtungen entwickeln können.

Durch Donald Trumps Wiederwahl ist weitgehend ungewiss, wie die Syrienpolitik der USA künftig aussehen wird. Das „Disengagement“, das er in seiner ersten Amtszeit betrieb, und insbesondere der Rückzug der US-Truppen 2019 liefern eine mögliche Vorlage für die künftige Gestaltung der Dynamik in der Region. Ein deutliches Indiz für diesen Kurswechsel ist die Nominierung von Tulsi Gabbard als US-Geheimdienstkoordinatorin. Sie ist für ihre anti-interventionistische Haltung bekannt und unterstützt eine Wiederannäherung an Assad. Dies könnte ein Signal für eine versöhnlichere Gangart gegenüber dem syrischen Regime sein. Solche Veränderungen könnten die Oppositionskräfte an den Rand drängen und die kurdisch geführte Selbstverwaltung von Nord- und Ostsyrien (AANES) schwächen, die damit durch türkische Vorstöße und die Instabilität in der Region gefährdet würde. Wenn die USA ihr Engagement zurückfahren, könnten zudem Bedrohungen wie ein Wiedererstarken des ISIS zunehmen und den Norden Syriens weiter destabilisieren.

Was die internationale Gemeinschaft – und vor allem Europa – aus der jetzigen Situation lernen sollten, ist klar: Stabilität in Syrien lässt sich nicht auf dem wackeligen Fundament einer Normalisierung der Beziehungen zu Assad aufbauen. Die Offensive in Aleppo macht deutlich, wie fragil das Regime und wie unberechenbar der Konflikt in Syrien nach wie vor ist. Für eine nachhaltige Lösung des Konflikts braucht es mehr als kurzfristige Zwischenlösungen und ein Engagement, das an der Oberfläche bleibt. Gefordert ist eine Langzeitstrategie, die sich an Prinzipien orientiert, die Ursachen der Instabilität an der Wurzel packt und die Fehler des bisherigen Umgangs mit dem vermeintlich „eingefrorenen Konflikt“ in Syrien korrigiert.

Die EU-Politik der „Drei Neins“ – keine Normalisierung, kein Wiederaufbau, keine Lockerung der Sanktionen – bietet nach wie vor einen entscheidenden Schutz vor diesen Gefahren. Europa muss jedoch proaktiver werden. Angesichts der Aleppo-Offensive sollte die EU ihre Unterstützung für die gemäßigten Kräfte innerhalb der Opposition intensivieren, die Rechenschaftspflicht und damit auch ihre abschreckende Wirkung mit Blick auf Kriegsverbrechen stärken und die humanitäre Hilfe zur Priorität machen, damit die katastrophalen Lebensbedingungen der Vertriebenen sich verbessern. Wenn Europa sinnvoll dazu beitragen will, dass Syrien auf seinem Weg zu dauerhafter Stabilität unterstützt wird, braucht es ein festes und umfassendes Gesamtkonzept. IPG 6

 

 

 

 

Studie. Soziale Ungleichheit beim Ehrenamt nimmt zu

 

Auch für ehrenamtliches Engagement gibt es Hürden. Laut dem vierten Engagementbericht der Bundesregierung sind diese in den vergangenen Jahren sogar höher geworden. Betroffen sind unter anderem Menschen mit Einwanderungsgeschichte.

Menschen mit Behinderungen oder Migrationshintergrund sowie arme Menschen engagieren sich in Deutschland im Vergleich seltener ehrenamtlich. Dies geht aus dem am Mittwoch veröffentlichten vierten Engagementbericht der Bundesregierung hervor. Die Diakonie Deutschland mahnte eine stabile Finanzierung des Ehrenamtes an.

Dem Bericht zufolge hat sich die soziale Schere bei der Beteiligung am freiwilligen Engagement weiter geöffnet. Demnach engagieren sich deutlich mehr sozial gut gestellte Personen ehrenamtlich als Menschen mit niedrigen Einkommen. Der Unterschied hat sich dem Bericht zufolge zwischen 1999 und 2019 verdoppelt.

Staatsangehörigkeit spielt eine Rolle

Nach Angaben des Bundesfamilienministeriums engagieren sich fast 29 Millionen Menschen ehrenamtlich in Deutschland. Schwerpunkt des von unabhängigen Sachverständigen erarbeiteten Engagementberichts sind die Voraussetzungen für freiwilliges Engagement. Gleiche Zugangschancen seien von hohem gesellschaftlichen Wert, hieß es. Ungleiche Beteiligung führe dazu, dass nicht alle Gruppen ihre Interessen gleichermaßen in Projekte, Institutionen oder Vereine einbringen können.

Besonders schwer haben es den Angaben zufolge Menschen, die an der Armutsschwelle leben, und Erwerbslose. Menschen mit Behinderungen müssen erhebliche Barrieren überwinden, um mitwirken zu können. Auch die Staatsangehörigkeit spielt eine Rolle. Zwar engagieren sich ein Drittel der Eingebürgerten in Deutschland ehrenamtlich. Doch sind es bei den Personen mit deutscher Staatsangehörigkeit seit Geburt 43 Prozent und unter Ausländern nur 17 Prozent. Im Bevölkerungsdurchschnitt liegt die Engagementquote bei knapp 40 Prozent.

Expertin: Es liegt nicht an der Motivation

Der geringe Anteil von Menschen mit Migrationshintergrund liegt nach Angaben des am Berichts beteiligten Deutschen Zentrums für Integrations- und Migrationsforschung (DeZIM-Institut) nicht an mangelnder Motivation oder Hilfsbereitschaft. Die Sozialwissenschaftlerin Sabrina Zajak vom DeZIM-Institut sagte, wenn man freiwilliges Engagement außerhalb von Vereinen und Organisationen betrachte, etwa die informelle Nachbarschaftshilfe, seien Menschen mit Migrationshintergrund sogar deutlich überrepräsentiert.

Gut 38 Prozent der nur informell Engagierten haben den Angaben zufolge einen Migrationshintergrund, helfen auf diese Weise anderen und gestalten ihr Umfeld mit.?„Aber diese Formen von solidarischem Handeln werden durch die gängigen Definitionen im Freiwilligensurvey bisher nicht sichtbar gemacht“, erklärt Zajak. Dadurch könne sich das Vorurteil verfestigen, Menschen mit Migrationshintergrund würden nicht helfen wollen?– was gesellschaftliche Spaltung schüre und weitere Diskriminierung fördere.

Hürden erschweren Zugang

Der höhere Anteil informell Engagierter mit Migrationshintergrund ist laut Bericht auch darauf zurückzuführen, dass es viele Hürden gibt, die den Zugang zu offiziellen Strukturen erschweren. Zentral für den Weg ins freiwillige Engagement seien Netzwerke, aus denen heraus neue Freiwillige rekrutiert werden. Befragte ohne Migrationshintergrund etwa hätten öfter angegeben, schon einmal von einem Verein oder einem Verband gefragt worden zu sein, ob sie sich engagieren wollen (23,2 bzw. 18,3 Prozent). Wer als „fremd“ wahrgenommen werde, bekomme mit geringerer Wahrscheinlichkeit derlei Anfragen. Auch mangelndes Zutrauen spiele hier eine Rolle.

„Mangelnde Zugangsmöglichkeiten ins Engagement dürfen wir als Gesellschaft nicht hinnehmen. Denn Engagement bedeutet nicht nur, sich für das Gemeinwohl einzusetzen, sondern auch das Zusammenleben konkret zu gestalten und Interessen einzubringen“, betont Zajak. „Gleichberechtigte Teilhabe ist wichtig für eine Demokratie, die Vielfalt anerkennt. Darum müssen wir uns auch weniger offensichtlicher Barrieren bewusst werden und sie abbauen.“

Sachverständige fordern Abbau von Hürden

Die Diakonie Deutschland drängt auf stabile Rahmenbedingungen für das Ehrenamt. Diakonie-Präsident Rüdiger Schuch sagte, die Unsicherheit über den zukünftigen Bundeshaushalt führe bereits dazu, dass sich Hauptamtliche nach neuen Jobs umsähen. „Mit ihnen geht der notwendige, stabile fachliche Rückhalt für das freiwillige Engagement verloren“, erklärte Schuch. Dies sei kaum zu kompensieren.

Die Sachverständigen-Kommission empfiehlt der Politik und den Institutionen, die Ehrenamtliche beschäftigen, den Barrieren und Hürden für gesellschaftliches Engagement entgegenzuwirken. Andernfalls werde sich die soziale Ungleichheit beim Ehrenamt noch verschärfen. Der Bericht beruht auf empirischen Studien und internationalen Forschungsergebnissen. Das Kabinett will auch eine Ehrenamtsstrategie verabschieden. Jede Bundesregierung legt einmal in vier Jahren einen Engagementbericht vor. (epd/mig 5)

 

 

 

 

Aktuelle Studie: Geschlechtergerechtigkeit im Aufenthaltsrecht

unzureichend

 

In den aktuellen Debatten über Migration und gelingende Integration

geraten Frauen und ihre Lebenswirklichkeiten in Deutschland oftmals

aus dem Blick. Auch das große Potential von Frauen mit

Migrationsgeschichte als Antwort auf den Fachkräftemangel wird kaum

diskutiert. Die Studie "Geschlechtergerechtigkeit im

Aufenthaltsrecht? Ein Gleichstellungs-Check des Aufenthaltsgesetzes"

untersucht erstmals systematisch, wie geschlechtergerecht die

Rahmenbedingungen sind, die das Aufenthaltsrecht schafft.

Außerdem zeigt sie, wo sich Hindernisse verbergen, die einer

Integration von Frauen in unsere Gesellschaft und in den Arbeitsmarkt

im Wege stehen.

Prof. Dr. iur. Dorothee Frings und Dr. iur. Catharina Conrad führten

die Untersuchung im Auftrag der Bundesstiftung Gleichstellung durch

und nahmen dafür einen Gleichstellungs-Check des bestehenden

Aufenthaltsgesetzes vor. Die zentralen Ergebnisse und

Handlungsempfehlungen wurden heute veröffentlicht.

Staatsministerin Reem Alabali-Radovan, Beauftragte der

Bundesregierung für Migration, Flüchtlinge und Integration: "Auch

nach dem Ankommen in Deutschland stehen Frauen mit und ohne

Fluchterfahrung vor großen Hürden. Sie tragen in vielen Fällen

Verantwortung für eine Familie, den Hauptteil der Care-Arbeit und

haben - auch deshalb - oftmals schlechtere berufliche

Qualifizierungen. Und überproportional häufig erleben sie

Gewalterfahrungen. Die Studie der Bundesstiftung Gleichstellung

untersucht

erstmals aus einem intersektionalen Blickwinkel, wie unser

Aufenthaltsrecht dieser Mehrfachdiskriminierung gezielter begegnen

sollte. Sie ist ein wichtiger Beitrag, der die aktuelle Debatte

versachlicht und Handlungsbedarfe deutlich macht."

 

Hürden bei der Integration in den Arbeitsmarkt

Bisherige Forschungsergebnisse legen nahe, dass die knapp vier

Millionen Frauen aus Drittstaaten, die in Deutschland leben,

überwiegend eine Erwerbsbeteiligung wünschen, sie jedoch nicht

entsprechend umsetzen können. Sie verbringen doppelt so viel Zeit mit

unbezahlter Sorge- und Familienarbeit wie geflüchtete Männer. Durch

fehlende aufenthaltsrechtliche Vorkehrungen bezogen auf Vereinbarkeit

werden sie beim Spracherwerb gegenüber Männern benachteiligt. Wenn

Frauen aus Drittstaaten erwerbstätig

sind, gehen sie nur selten einer Tätigkeit nach, die ihrer

Qualifikation entspricht. Aktuell arbeiten nur 21,7 % der Frauen, die

ihrem Partner nach Deutschland nachgezogen sind, in ihrem erlernten

Beruf. Bei den nachgezogenen Männern sind es 46,9 %.

 

Besserer Schutz vor geschlechtsspezifischer und häuslicher Gewalt

notwendig

Jedes Jahr werden mehr Frauen Opfer von geschlechtsspezifischer und

häuslicher Gewalt. Für Frauen ohne deutsche Staatsangehörigkeit kommt

erschwerend hinzu, dass sie häufig kein stabiles soziales Umfeld in

Deutschland haben. Das Konzept des eheabhängigen Aufenthaltsrechts,

wie es aktuell im Aufenthaltsgesetz verankert ist (§ 31 Abs. 1

AufenthG), fördert zudem die Abhängigkeit vom meist männlichen

Partner. Denn nachgezogene Ehepartnerinnen - mit 70 % handelt es sich

überwiegend um Frauen - haben

zunächst für drei Jahre nur ein vom Status des Ehemannes abgeleitetes

Aufenthaltsrecht. Um den Betroffenen einen besseren Schutz vor

geschlechtsspezifischer und häuslicher Gewalt zu ermöglichen, bedarf

es eines früheren eigenständigen Aufenthaltsrechts der

Ehepartnerinnen, falls die ehelichen Lebensgemeinschaft aufgehoben

wird.

 

Gleichstellungs-Check ist wirksames Instrument

In der Untersuchung wurden neben Geschlecht weitere Faktoren

betrachtet, die die Wirkungen des Aufenthaltsrechts auf die

unterschiedlichen Lebensumstände von Frauen und Männern beeinflussen.

Dies macht die Studie zu einem gelungenen Beispiel für die

intersektionale Anwendung des Gleichstellungs-Checks. Die Studie

zeigt somit auf, dass durch konsequente gleichstellungsorientierte

Gesetzesfolgenabschätzungen, sogenannte Gleichstellungs-Checks,

Hindernisse erkannt und ausgeräumt werden können,

damit Gesetze Gleichstellung fördern und effektiver wirken. Ab 2025

wird sich die Bundesstiftung verstärkt der

gleichstellungsorientierten Gesetzesfolgenabschätzung widmen und die

Bundesministerien durch Schulung und Beratung bei der Umsetzung des

Gleichstellungs-Checks unterstützen.

Alle Ergebnisse der Studie sowie ihre Handlungsempfehlungen finden

Sie unter https://www.bundesstiftung-gleichstellung.de/publikationen/

BG 4

 

 

 

 

Diskriminierung an deutschen Hochschulen kein Einzelfall

 

Der Fall des von der Berliner Akkon-Hochschule für Humanwissenschaften entlassenen Prof. Dr. Kenan Engin zieht weite Kreise. Es zeigt sich immer mehr: Es gibt viele Betroffene und nur wenige, die darüber sprechen. Von Erkan Pehlivan

Die Entlassung von Prof. Dr. Kenan Engin von der Akkon Hochschule für Humanwissenschaften in Berlin hat Kritik auf sich gezogen und Empörung hervorgerufen. Nach Bekanntwerden seines Falls meldeten sich ehemalige Angestellte der Hochschule, um über Diskriminierung von Lehrpersonal zu sprechen. Die Situation sei für sie nicht mehr tragbar gewesen, sodass sie sich neue Jobs gesucht hätten. Sie alle eint, dass sie ihre Identität nicht preisgeben wollen. Die Formen der erfahrenen Diskriminierung unterscheiden sich jedoch. Mal sei es der ethnische Hintergrund, ein anderes Mal eine Behinderung, die Hautfarbe oder das Geschlecht gewesen. In den meisten Fällen, so berichten Betroffene, liegt intersektionale Diskriminierung, also eine Überschneidung verschiedener Merkmale, vor.

Die Akkon-Hochschule, die zum Wohlfahrtsverband Johanniter gehört, weist die Vorwürfe zurück. Auf ihrer Internetseite heißt es: „Wir stellen allerdings ausdrücklich klar, dass die öffentlich erhobenen Vorwürfe gegen die Hochschule jeder Grundlage entbehren.“ Auf Anfrage teilt die Hochschule mit, sie setze sich „aufgrund unserer humanwissenschaftlichen Ausrichtung und unseres Leitbildes für die Werte der Weltoffenheit und der Chancengleichheit aller Menschen ein – unabhängig von ihrer ethnischen oder religiösen Zugehörigkeit, ihrem Geschlecht, ihrer sexuellen Orientierung, ihrem Alter oder einer möglichen Behinderung“. Weiter heißt es: „Es gab und gibt keine Fälle von Diskriminierung und/oder Bullying von und an Lehrenden.“

Gazal S. (Name geändert), eine Studierende an der Hochschule, lacht darüber. „Niemals, ich habe mehrfach die Unileitung angeschrieben und mich auch über einen Mitarbeiter beschwert. Nichts ist geschehen. Es wurde gar nicht ernst genommen.“ Gazal erzählt, wie sie diskriminiert wurde, bittet die Redaktion jedoch, keine Details zu veröffentlichen, um nicht identifiziert zu werden. Nach Beendigung ihres Studiums könne ihr Fall gerne publik gemacht werden. Dann wolle sie sich auch bei der Antidiskriminierungsstelle des Bundes melden.

Druck auf Hochschule wächst

Der Druck auf die Hochschule wächst derweil: Die Solidarität mit dem geschassten Professor ist seit dem Beitrag im MiGAZIN gewachsen. Über 1.300 Personen, davon überwiegend Wissenschaftler:innen an Universitäten, fordern die Rücknahme der Maßnahmen gegen ihren Kollegen. Zuvor hatten sich Studierende in einer Petition solidarisch mit Engin gezeigt. Auch die Gewerkschaft für Erziehung und Wissenschaft (GEW) stellte sich solidarisch hinter den Hochschullehrer.

Der Fall beschäftigt inzwischen auch die Politik. „Es ist entscheidend, dass der Bundesvorstand der Johanniter diese öffentliche Kritik sowie Besorgnisse ernst nimmt“, schreibt die Bundestagsabgeordnete Gökay Akbulut (Die Linke) in einem Brief an den Bundesvorstand der Johanniter, der dem MiGAZIN vorliegt. Akbulut legt die Einsetzung einer unabhängigen Kommission nahe, um die Vorfälle objektiv und transparent aufzuarbeiten. Auf Fragen verweist die Johanniter an die Hochschule.

Diese teilt mit, sie habe inzwischen eine auf Compliance-Fragen spezialisierte Kanzlei mit einer unabhängigen Evaluierung der Prozesse und Strukturen beauftragt. Wie Engin dem MiGAZIN mitteilt, hat die Kanzlei mit ihm jedoch nicht gesprochen. Die Hochschule lasse keine Einsicht erkennen: vor Gericht am 25.10.2024 habe sie von Engin eine Erklärung gefordert, in der er sich von den Vorwürfen distanzieren solle. Dann könne man auch über eine Lösung reden. Engin bleibt jedoch bei seiner Haltung: „So eine Erklärung wird es nie geben!“

Engin kein Einzelfall

Recherchen des MiGAZIN zeigen, dass Diskriminierung an Hochschulen kein Einzelfall ist. Mehrere Wissenschaftler:innen an anderen Hochschulen wandten sich seit Bekanntwerden des Falls von Professor Engin an das MiGAZIN und berichteten von ähnlichen Erfahrungen: Diskriminierung und Bullying – auch sie bleiben anonym.

Die Diversitäts- und Antidiskriminierungsexpertin Bontu Lucie Guschke schreibt in einem Fachartikel, Hochschulen würden oft als „meritokratische, faire und gesellschaftskritische Orte dargestellt, an denen Entscheidungen anhand objektiver Exzellenzkriterien getroffen werden“. Die Wissenschaftlerin räumt mit dem Mythos auf, dass Universitäten diskriminierungsfreie Räume seien. Die Expertin verweist auf eine Studie an 46 Universitäten und Forschungsinstitutionen in 15 europäischen Ländern. Demnach erleben 62 Prozent der Beschäftigten an Universitäten geschlechtsspezifische Gewalt, unter ethnisch marginalisierten Beschäftigten seien es sogar 69 Prozent. Guschke deckt auf, dass sexistische und rassistische Diskriminierung keine Ausnahmen oder ‚bedauerliche Fehler‘ im Universitätssystem sind. „Die Art und Weise, wie Universitäten organisiert sind, ermöglicht, bestärkt und normalisiert die kontinuierliche Reproduktion von Sexismus und Rassismus sowohl auf institutionell-struktureller als auch interaktionell-individueller Ebene“, heißt es.

Das deckt sich mit unserer Recherche: Studierende und Wissenschaftler:innen sind müde und wählen den Weg des Schweigens – aus Angst vor Repression oder einfach aus Scham darüber, sich nicht gegen Diskriminierung und Bullying gewehrt zu haben.

Auch Sophia Hohmann, Vorstandsmitglied im „Netzwerk gegen Machtmissbrauch in der Wissenschaft“, sieht strukturelle Diskriminierung an deutschen Hochschulen und mahnt zu Gegenmaßnahmen: „Es braucht dringend von den Hochschulen unabhängige Anlaufstellen für Betroffene aller Statusgruppen.“ Die Antidiskriminierungsarbeit an Hochschulen sei oft nur als Projekt angelegt, was auch wieder eine problematische Struktur darstelle. Diskriminierungen müssten angemessen sanktioniert werden. Sie dürften nicht nur als Einzelfall und individuelles Fehlverhalten betrachtet werden, sondern in ihrer strukturellen Dimension. Strukturen müssten geändert werden, „dass Diskriminierung weniger wahrscheinlich wird“, sagt Hohmann im Gespräch. Engin sei kein Einzelfall, „denn Personen, die sich an Hochschulen für Antidiskriminierung engagieren, werden vielfach selbst diskriminiert, ausgegrenzt und/oder bedroht.“ (mig 4)

 

 

 

 

22 Prozent der Arbeitszeit für Bürokratie nötig

 

München. Durch erhöhte Anforderungen müssen Angestellte 22 Prozent ihrer Arbeitszeit für bürokratische Tätigkeiten aufwenden. Dies geht aus einer Umfrage des ifo Instituts unter Führungskräften in Deutschland hervor. „Die Unternehmen berichten vor allem von erheblichem Personalaufwand, der zur Einhaltung immer neuer gesetzlicher Auflagen benötigt wird“, sagt ifo-Forscherin Ramona Schmid. „Zudem kritisieren sie, dass die zunehmende Bürokratie die Wettbewerbsfähigkeit und die unternehmerische Freiheit belastet sowie die Investitionsentscheidungen der Unternehmen beeinflusst.“ 

 

Nach Angaben der Managerinnen und Manager entsteht der steigende Zeitaufwand vor allem durch ausufernde Berichts- und Informations-, Dokumentations- und Meldepflichten. Außerdem seien die gesetzlichen Regelungen in den letzten zehn Jahren immer komplexer geworden. Rund 75 Prozent der Teilnehmenden bewerten die Praxistauglichkeit bzw. Umsetzbarkeit von Gesetzen dabei als schlecht bis sehr schlecht.  

 

Um den bürokratischen Anforderungen gerecht zu werden, müssen knapp 80 Prozent der an der Umfrage teilnehmenden Unternehmen externe Dienstleister beauftragen. In Summe beziffern die Unternehmen die durch Bürokratie verursachten Kosten auf durchschnittlich 6 Prozent ihres Umsatzes.  

Teilnehmer der Befragung waren ca. 450 Mitglieder des Panels der ifo-Managementumfrage. Die Umfrage lief im Mai 2024. Ifo 4

 

 

 

 

UNO: Afrika in den Sicherheitsrat?

 

Seit dreißig Jahren fordert der afrikanische Kontinent einen ständigen Sitz im Sicherheitsrat der Vereinten Nationen. Auch der Vatikan ruft nach einer Reform der UNO. Die USA sind mittlerweile für einen afrikanischen Sitz, wollen ihm aber kein Vetorecht einräumen.

„Bisher hatten sich die USA gegen jede Erweiterung des Sicherheitsrats ausgesprochen“. Das erklärt der Forscher Francis Kpatindé, Dozent an der Pariser Elite-Universität Sciences Po. „Die letzte Hürde wurde nun genommen. Die Afrikagruppe der Vereinten Nationen und die Afrikanische Union in Addis Abeba müssen sich nun zusammensetzen, beraten und arbeiten, um eine angemessene Antwort auf das amerikanische Angebot zu geben.“

Bisher haben fünf Länder im Sicherheitsrat einen ständigen Sitz mit Vetorecht: China, Russland, Frankreich, Großbritannien und die USA. Der Rat hat auch zehn weitere nichtständige Mitglieder, die von der Generalversammlung jeweils für eine zweijährige Amtszeit gewählt werden. Bisher hatten nur drei afrikanische Länder schon mal einen nichtständigen Sitz im Sicherheitsrat: Sierra Leone, Algerien und Mosambik.

Auch Staaten südlich der Sahara bewerben sich um den Sitz

„Die beiden Großmächte südlich der Sahara, Südafrika und Nigeria, bewerben sich um einen Posten als ständiges Mitglied im Sicherheitsrat. In Nordafrika haben Sie Ägypten, das ebenfalls eine afrikanische Macht ist, Algerien, Marokko und Äthiopien, das den Sitz der Afrikanischen Union beherbergt. Außerdem gibt es noch den Senegal, der gleichfalls eine ständige Mitgliedschaft im Sicherheitsrat der Vereinten Nationen anstrebt.“

Der afrikanische Kontinent beherbergt 1,3 Milliarden Menschen auf seinem Territorium, was 17 Prozent der Weltbevölkerung entspricht. Mit 54 Staaten stellt Afrika sogar 28 Prozent der 193 UN-Mitglieder, und mehr als 40 Prozent der Friedenssoldaten sind heute Afrikaner. Der Kontinent bringt also international durchaus Gewicht auf die Waage. Jetzt macht das Angebot der USA den Weg frei für Gespräche.

Die Sache betrifft nicht nur Afrika

„Man wird auch versuchen müssen, herauszufinden, ob die Afrikaner einen Sitz im Rat akzeptieren würden, auch ohne über ein Vetorecht zu verfügen. Die Frage geht übrigens über Afrika hinaus, denn Lateinamerika hat ja ebenfalls keinen ständigen Sitz im Sicherheitsrat, obwohl es dort große Länder wie Brasilien und Argentinien gibt, die sich ebenfalls darum bewerben. Und in Asien hat ein Land wie Indien keinen Sitz im Sicherheitsrat, jedenfalls keinen ständigen. Als die Vereinten Nationen 1945 gegründet wurden, saßen nur vier afrikanische mit Länder am Tisch: Ägypten, Äthiopien, Liberia und Südafrika. Dies waren die vier Länder, die von Anfang an Mitglieder der Vereinten Nationen waren. Später, in den späten 1950er Jahren und in noch größerer Zahl ab 1960 erlangten afrikanische Länder ihre Unabhängigkeit.“

Der Westen bemüht sich derzeit in ganz neuer Weise um Afrika, damit die dortigen Regierungen nicht in das Lager von China oder Russland überwechseln. So ist u.a. zu erklären, dass Joe Biden jetzt gerade Angola besucht; es ist für den US-Präsidenten das erste Land südlich der Sahara, das er in seiner zu Ende gehenden Amtszeit bereist. Allerdings – wer einen afrikanischen Sitz im UN-Sicherheitsrat will, der sollte wissen, dass er da ein dickes Brett bohren muss.

Langer Atem nötig

„Um eine Reform der Vereinten Nationen durchzuführen, braucht es Jahre! Es bedarf vieler Diskussionen, denn um zum Beispiel den Sicherheitsrat zu reformieren, muss zuerst die aktuelle Charta der Vereinten Nationen überarbeitet werden. Zuvor müssten jedoch die fünf ständigen Mitglieder des Sicherheitsrats und zwei Drittel der Mitglieder der Generalversammlung einstimmig zustimmen. Ich glaube nicht, dass die Generalversammlung ein Problem bei der Überarbeitung der Charta darstellen wird, aber man muss auf die Position der fünf derzeitigen ständigen Mitglieder des Sicherheitsrats achten.“

Francis Kpatindé kann sich nicht vorstellen, dass es während einer Präsidentschaft von Donald Trump zu einer UN-Reform kommen könnte. Er findet es auch gar nicht so schlimm, wenn da jetzt nichts überstürzt wird.

„Man muss nachdenken, vor allem bei einem so heiklen Thema. Es wäre ja die erste große Reform seit 1945. Es gab kleine Reformen, aber diese ist von großer Bedeutung und wird das geopolitische Schachbrett verändern. Darum muss man dafür meiner Meinung nach einige Jahre einplanen. Wenn man sich mal vorstellt, dass 28 Prozent der Mitglieder seit 1945 akzeptieren, den Anordnungen und Entscheidungen einer kleinen Gruppe von Staaten zu gehorchen… Das ist doch nicht möglich!“

Papst wirbt für Reform

Der Dozent findet schon, dass Afrika an den Tisch der Entscheider gehört. „Was bringt es Afrika, eine so große Anzahl an Truppen zu stellen, wenn ihm letztendlich Entscheidungen aufgezwungen werden? Die UNO funktioniert auch heute noch wie zu Zeiten des Kolonialismus. Auf der Ebene der bilateralen Beziehungen kann das so nicht weitergehen – und auch auf der Ebene der multilateralen Beziehungen kann dieses System nicht fortgesetzt werden.“

Papst Franziskus tritt deutlich für eine UNO-Reform ein, unter anderem in seiner Enzyklika „Fratelli tutti“. Der Krieg in der Ukraine zeigt aus seiner Sicht „erneut mehr als deutlich, dass es agilere und effizientere Wege zur Konfliktlösung braucht“. Die UNO entspreche in ihrer heutigen Gestalt „nicht mehr den neuen Realitäten“. Das bezieht er ausdrücklich auch auf den Sicherheitsrat.

Das Interview führte Augustine Asta vom französischen Programm Radio Vatikan für Afrika. (vn 3)

 

 

 

Tag der Menschen mit Behinderung. Inklusionslücken endlich schließen

Hürth – Anlässlich des Internationalen Tages der Menschen mit Behinderung am 3. Dezember 2024 kritisiert die Lebenshilfe Nordrhein-Westfalen e.V., dass durch das vorzeitige Ende der Bundesregierung bedeutende Gesetzesvorhaben mit großer Relevanz für die Belange der Menschen mit Behinderung nicht umgesetzt wurden. Dies stellt einen erheblichen Rückschritt für die Inklusion und die Rechte von Menschen mit Behinderung in Deutschland dar.

Ein zentrales Anliegen der Menschen mit Behinderung ist ein zweites Gesetz zum inklusiven Arbeitsmarkt, das unter anderem eine Erhöhung des Werkstattlohns für Menschen mit Behinderung in Werkstätten für behinderte Menschen (WfbM) sowie Regelungen zum Gewaltschutz und zu den EU-Rentenansprüchen im Bundesversicherungsamt (BfA) hätte umfassen sollen. Eine vom Bundesministerium für Arbeit und Soziales (BMAS) in Auftrag gegebene Studie empfiehlt sogar, die Bezahlung von Werkstattbeschäftigten zu verbessern und das gesamte System transparenter zu gestalten. Doch die Reform wurde von der Ampel-Koalition trotz Ankündigung im Koalitionsvertrag nicht angestoßen.

Ebenso bleibt die Reform des Behindertengleichstellungsgesetzes (BGG) aus. Diese hätte verbindliche Maßnahmen zur Barrierefreiheit bei Mobilität, Wohnen, Gesundheit und im digitalen Bereich, auch für private Anbieter, enthalten können, da freiwillige Maßnahmen bisher nicht zu den notwendigen Veränderungen geführt haben. Die Reform hätte entscheidende Verbesserungen für die Teilhabe von Menschen mit Behinderung im Sinne der vor 15 Jahren ratifizierten UN-Behindertenrechtskonvention ermöglichen können.

Besonders bedauerlich ist, dass es nach wie vor keine Entscheidung zum Gesetz zur Ausgestaltung der Inklusiven Kinder- und Jugendhilfe (IKJHG) gibt. Der Gesetzentwurf war dem Ziel einer inklusiven Kinder- und Jugendhilfe nahe, welche die Lebenshilfe schon lange fordert3, doch die Chancen auf ein inklusives SGB VIII wurden nicht genutzt. Der Verschiebebahnhof für Kinder mit drohender Behinderung im Grenzbereich zur seelischen Behinderung bleibt bestehen, ebenso wie die unzureichende Anrechnung von Einkommen und Vermögen sowie Leistungen der Eingliederungshilfe für Kinder und Jugendliche. Es fehlt an einer Regelung für eine einheitliche Gerichtsbarkeit für alle Leistungen des SGB VIII in der Sozialgerichtsbarkeit.Die Neuregelung sollte alle Leistungen der Eingliederungshilfe für junge Menschen einbeziehen, insbesondere ambulante Leistungen gemäß § 78a SGB VIII. Dies erfordert, dass die öffentliche Jugendhilfe Vereinbarungen für ambulante Leistungen abschließt und die Schiedsstellenfähigkeit erhält. Der Rechtsanspruch auf eine Leistungsvereinbarung muss im SGB VIII verankert werden, unabhängig von der Art der Leistung. Zudem sollten die Definitionen von Behinderung im SGB VIII und SGB IX übereinstimmen, ohne das Merkmal der Wesentlichkeit. Die Hilfeplanung im SGB VIII muss sinnvoll mit der Bedarfsermittlung im SGB IX verknüpft werden.

Positiv ist hingegen, dass das Gesetz zur Neuregelung der Vormünder- und Betreuungsvergütung nicht verabschiedet wurde, da es dramatische negative Auswirkungen gehabt hätte. Der Entwurf hätte zu sinkenden Einnahmen der Betreuungsvereine und Betreuer:innen geführt und das Ziel einer existenzsichernden Finanzierung verfehlt. Angesichts der Preissteigerungen seit der letzten Anhebung der Vergütungssätze im Jahr 2019 und der Tariferhöhungen ist es unverständlich, warum die Vergütung für berufliche Betreuer reduziert werden sollte. Eine solche Reduzierung hätte die Attraktivität des Berufs weiter geschmälert. Hier muss die neue Bundesregierung eine andere Richtung einschlagen.

Die im Entwurf angestrebte durchschnittliche Erhöhung der Vergütung um 12,7 % wird bei weitem nicht erreicht und lässt sich schon jetzt beim Vergleich der bisherigen Fallgruppen mit dem neuen System widerlegen. Die Vergütungssätze müssen vielmehr deutlich erhöht werden, um den Preissteigerungen gerecht zu werden, insbesondere angesichts der gestiegenen Anforderungen an berufliche Betreuer seit der Reform des Vormundschafts- und Betreuungsrechts zum 1. Januar 2023.

Für viele Betreuungsvereine stellen die vorgeschlagenen Vergütungsregelungen eine akute Existenzbedrohung dar. Da sie ihre Mitarbeitenden nach Tarif entlohnen, würde jede Tariferhöhung ihre wirtschaftliche Situation weiter verschärfen. Dies könnte zur Schließung von Vereinen und zur Aufgabe der Tätigkeit durch rechtliche Betreuer:innen führen, was die Betreuungsbehörden zusätzlich belasten würde. Besonders aufwendige Betreuungen werden nicht mehr zusätzlich vergütet, was Fehlanreize schafft, rechtlich betreute Personen in stationären Einrichtungen unterzubringen und nur vermögende Personen zu betreuen.

Die Lebenshilfe NRW fordert die neue Bundesregierung auf, diese drängenden Themen zügig anzugehen und die notwendigen gesetzlichen Maßnahmen zu ergreifen, um die Rechte und die Teilhabe von Menschen mit Behinderung nachhaltig zu stärken und nicht weiter zu verschleppen.

Forderung an die NRW-Landesregierung

Auf Landesebene in Nordrhein-Westfalen sorgt die stockende Umsetzung des 2016 im Bundestag beschlossenen Bundesteilhabegesetzes (BTHG) für großen Unmut bei Menschen mit Behinderung, Familien und Trägern der Eingliederungshilfe. Die Personenzentrierung und verbesserte Teilhabe drohen nach jahrelangem detailverliebtem Verhandeln nun auf eine pragmatische Lösung zuzusteuern. Während wir den Pragmatismus grundsätzlich befürworten, sind wir besorgt, dass dadurch von einer echten Umsetzung im Sinne des Gesetzes nicht viel übrig bleibt.

Wir appellieren an die NRW-Landesregierung, beim Gesetz zur Neuregelung der Vormünder- und Betreuungsvergütung, das von den Ländern finanziert wird, dieses nicht weiter aus Kostengründen zu blockieren und mit einer neuen Bundesregierung zügig im Sinne der Menschen mit Behinderung einzuwirken. Wir fordern, dass die Landesregierung anerkennt, dass die Sicherstellung der rechtlichen Betreuung für Menschen mit Unterstützungsbedarf eine staatliche Pflichtaufgabe ist, die angemessen finanziell ausgestattet werden muss. LN-W 3

 

 

 

 

Autoren verlassen Musk-X

 

„Ein Ort des Rassismus, Antisemitismus und rechten Agendasettings“

Anders als früher sei der Kurznachrichtendienst heute „toxisch“, heißt es in einem offenen Abschiedsbrief mit mehr als 60 Unterzeichnerinnen und Unterzeichnen aus Deutschland. Sie steigen aus.

Dutzende Journalisten und Autoren sowie eine Reihe von gesellschaftlichen Institutionen in Deutschland haben gemeinsam ihren Abschied vom Kurznachrichtendienst Twitter angekündigt. Darunter sind die Fernsehmoderatoren Dunja Hayali und Jo Schück ebenso wie Bestsellerautorin Anne Rabe sowie etwa mehrere NS-Gedenkstätten wie das NS-Dokumentationszentrum in München und die Gedenkstätte Haus der Wannseekonferenz in Berlin. Insgesamt trägt die Liste mehr als 60 Unterschriften.

X habe sich zu einer zunehmend toxischen Umgebung entwickelt, sagte der Sprecher des Hauses der Wannseekonferenz, Eike Stegen, auf Anfrage. Der Kurznachrichtendienst – früher Twitter – sei „systematisch unmoderiert“ und verbreite Hass und Hetze. Das Haus der Wannseekonferenz schließe seinen Account in zehn Tagen (13.12.) und setze auf Alternativen wie Bluesky und soziale Medien wie Tiktok oder Instagram.

Ähnliche Gründe führt auch der von 66 Personen unterschriebene „Offene Abschiedsbrief“ unter dem Titel „eXit von Twitter“ an, den unter anderen Hayali auf Instagram teilte. Initiatoren sind die Autoren Jan Skudlarek und Max Czollek. „Seit der Übernahme durch Elon Musk ist Twitter kein Ort mehr für freie und faire Meinungsäußerung und einen offenen Austausch“, heißt es in dem Papier. „Schlimmer noch, Twitter ist ein Ort der Zensur, des Rassismus, Antisemitismus und des rechten Agendasettings geworden.“ (dpa/mig 3)

 

 

 

 

Plötzlich allein

 

Die Ära der globalen US-Dominanz ist vorbei. Auf die Treue ihrer Bündnispartner kann sich die Supermacht unter Trump nicht länger verlassen. Von Sarang Shidore

Das atemberaubende Comeback von Donald Trump als Präsident hat die Verbündeten der USA ordentlich durcheinandergewirbelt. Hinter ihren besonnenen Glückwunschadressen spürt man deutlich die Angst, Washington könnte sie bald nur noch wie austauschbare Schachfiguren auf dem globalen Spielbrett behandeln. Das wäre in der Tat ein bedeutender Umbruch. In der Amtszeit von Präsident Joe Biden hatten die Vereinigten Staaten große Mittel zur Verstärkung ihrer Bündnisse und Partnerschaften eingesetzt, um der verschärften Konkurrenz mit China und Russlands Invasion in der Ukraine zu begegnen.

Vieles spricht dafür, dass ihnen das gelungen ist. Die von den USA geführte NATO hat energisch alle Kräfte gegen Russland gebündelt. Der Handelskrieg der USA gegen China findet inzwischen ein Echo in Europa. Indem Japan die Verteidigungsausgaben verdoppelt, sich dem Sanktionsregime gegen Russland angeschlossen und seine Beziehungen zu Südkorea gestärkt hat, ist es den USA näher gerückt. Die Philippinen beginnen nach einer Zeit der Entfremdung, eine gemeinsame Front gegen China zu schmieden. Indien bleibt nach wie vor ein enger Partner. „Wir sind stärker denn je“, konnte sich Joe Biden bei der 75-Jahre-Feier der NATO in diesem Sommer voller Überzeugung rühmen.

Doch bei näherer Betrachtung bemerkt man auch einen anderen Trend hinter den Kulissen. Die Verbündeten und Partner der USA versuchen nämlich, sich nach allen Seiten abzusichern, und weitere Abkommen mit Ländern außerhalb des westlichen Einflussbereichs zu schließen. Diese am stärksten im Globalen Süden sichtbare Entwicklung wurde weniger von einzelnen Staatschefs als von der Struktur des internationalen Systems selbst befördert. In einer Welt, die immer stärker von vielfachen Bündnissen und Transaktionalismus bestimmt ist, können sich die USA nicht länger auf die Loyalität ihrer Freunde verlassen. Diese Entwicklung ist längst im Gange, und sie hat nur wenig mit Trump zu tun.

Bereits seit einigen Jahren sind mit der Türkei und Thailand zwei Schwellenländer von ihrem großen Bündnispartner abgerückt und bewegen sich fortan im Dreieck zwischen den USA und deren Rivalen. Das langjährige NATO-Mitglied Türkei war im syrischen Bürgerkrieg eindeutiger Gegner Russlands und verurteilte aufs Schärfste den russischen Einmarsch in der Ukraine. Dennoch schloss sich die Türkei nicht dem US-geführten Sanktionsregime an, sondern vertiefte ihre Handelsbeziehungen und die Energiepartnerschaft mit Moskau. Die türkische Regierung vermochte gar, Russland und die Ukraine zur Unterzeichnung eines Abkommens über den Export von ukrainischem Getreide auf die Weltmärkte zu bewegen, das bis letzten Sommer Gültigkeit besaß.

In Thailand wurden die Anstrengungen beschleunigt, sich stärker an China zu binden. Da es keine Territorialstreitigkeiten mit Peking gibt, das Land sich aber mit den Auswirkungen des Bürgerkriegs im benachbarten Myanmar konfrontiert sieht, verstärkte Thailand die wirtschaftlichen Beziehungen zu China, führte mehr gemeinsame Militärmanöver durch und kauft inzwischen über 40 Prozent seiner Waffen dort. Als wollten sie ihre Unabhängigkeit von den USA unter Beweis stellen, schlossen sich die Türkei und Thailand in diesem Jahr als Partnerstaaten der nichtwestlichen BRICS-Gruppe an, die von Brasilien, Russland, Indien, China und Südafrika angeführt wird.

Das Vorgehen der beiden Staaten bedeutet jedoch nicht, dass sie antiamerikanisch oder antiwestlich eingestellt sind. Thailand hat sein jährliches gemeinsames Militärmanöver mit den US-Truppen weiter ausgebaut und eine Mitgliedschaft in der OECD beantragt. Die Türkei wiederum kauft US-Kampfflugzeuge und erklärt, man wäre nicht in die BRICS-Gruppe gegangen, hätte man eine Chance auf den EU-Beitritt gehabt. Wer sich absichern will, sucht in allen Richtungen.

Der BRICS-Gipfel im letzten Monat war für Indien ein sicherer Raum, um das erste ernsthafte Treffen der Staatschefs Narendra Modi und Xi Jinping seit fünf Jahren zu ermöglichen. Mit dem Abzug der Truppen an zwei Grenzpunkten im Himalaya könnte Indien den Beginn einer Entspannung mit China einläuten, die dem Subkontinent auch größeren Spielraum im Verhältnis zum amerikanischen Verbündeten verschaffen würde. Die Partnerschaft mit den USA wird garantiert weiterhin stabil bleiben. Sie wird jedoch angesichts von Indiens fortgesetzten Beziehungen zu Russland und der Machtübernahme einer US-freundlichen, aber indienkritischen Regierung in Bangladesch auf die Probe gestellt.

Selbst im Herzen des US-Bündnissystems gibt es Anzeichen, dass die Tendenz zur Absicherung nach allen Seiten wächst. Der Vorschlag des japanischen Premierministers Shigeru Ishiba zur Gründung einer „asiatischen NATO“ als Gegengewicht zu China klingt zunächst wie ein Bekenntnis zur Pax Americana. Doch Ishiba will auch die Asymmetrie im Verhältnis zu den USA beseitigen, mehr Mitspracherecht für Tokio erwirken und China in die regionale Kooperation einbeziehen, etwa beim Katastrophenschutz. Die Niederlage der regierenden Liberaldemokratischen Partei bei den jüngsten Parlamentswahlen wird allerdings die ehrgeizigen Ziele der Regierung zur Erhöhung der Militärausgaben torpedieren und den von den USA gewünschten Fokus auf den Ausschluss Chinas aufweichen.

In Europa konnten in der Zwischenzeit populistische Parteien ungeahnte Erfolge erzielen. Im Allgemeinen stellen sie die US-Politik gegenüber der Ukraine infrage und sind oft nicht gewillt, die NATO – wie in den USA üblich – als heilige Kuh zu betrachten. In Italien zeigt Giorgia Melonis Regierung, dass der Aufstieg solcher Kräfte das Bündnis nicht unbedingt schwächen muss. Doch im Endergebnis wird Europa angesichts der neuen Politik stärker unter Druck gesetzt, die amerikanischen Prioritäten im Verhältnis zu Russland und möglicherweise auch zu China zu übernehmen. Viktor Orbáns Ungarn und die Slowakei unter Robert Fico pflegen bereits Beziehungen zu allen Seiten. Dieses Modell könnte in der nächsten Zeit durchaus weitere Nachahmer in Europa finden.

Warum ist die Absicherung nach allen Seiten derzeit so attraktiv? Ihre Vorreiter finden sich in den ehemals blockfreien Staaten im Globalen Süden. Dort nutzten Mittel- und schwächere Mächte vielfältige Partnerschaften, um sich in einem feindseligen internationalen System durchsetzen zu können. Doch es gibt auch zwei neue Gründe, warum diese Strategie gerade jetzt attraktiv scheint: zum einen die Unsicherheit der künftigen Weltordnung, zum anderen der Eindruck, dass die unipolare Welt, in der die USA drei Jahrzehnte lang den Globus dominierten, im Verschwinden begriffen ist. Unter diesen Bedingungen ist es sinnvoll, sich ernsthaft auf die Rivalen des Hegemons einzulassen.

Diese Tendenz zur Absicherung ist allerdings eher neu und längst noch kein beherrschender Trend unter den Verbündeten und Sicherheitspartnern der USA. Doch die Amerikaner sollten sich auf weitere Abweichler einstellen. Statt auf Ausschluss und Abzug könnte Washington auch auf eine andere mathematische Operation setzen: auf Addition. Dazu müsste man allerdings den Glauben an die Einzigartigkeit Amerikas aufgeben – der die Vereinigten Staaten als Leuchtfeuer der Zivilisation sieht, die jedwede Barbarei bekämpft – und eine eigene Absicherungsstrategie entwickeln.

Transaktionales Handeln fällt Trump leicht. Doch um die USA von ihrer unhinterfragten Vorherrschaft zu neuem Absicherungsdenken zu bewegen, muss der gewählte Präsident seine Impulsivität überwinden und einen Plan fassen, wie diese vielfältigen Bündnisse zum Nutzen Amerikas gestaltet werden können. Das ist eine hohe Hürde, aber die sich rasch wandelnde Welt verlangt auch einen hohen Einsatz. TNYT/IPG 3

 

 

 

 

Stimmung in der deutschen Autoindustrie verschlechtert sich rasant

 

München – Der Index für das Geschäftsklima der deutschen Automobilindustrie ist im November auf minus 32,1 Punkte gefallen, von minus 28,6* Punkten im Oktober. „Die Branche steckt fest in der aktuellen Gemengelage aus tiefgreifender Transformation, intensivem Wettbewerb und schwacher Konjunktur“, sagt ifo Branchenexpertin Anita Wölfl.

 

Die Unternehmen beurteilen ihre aktuelle Geschäftslage nochmals deutlich schlechter als im Oktober und blicken den kommenden sechs Monaten noch pessimistischer entgegen: Der Indikator der Geschäftslage fiel auf minus 33,9 Punkte, nach minus 29,0* Punkten im Vormonat. Der Indikator für die Geschäftserwartungen ging auf minus 30,4 Punkte zurück von minus 28,2* im Oktober. 

 

Das Stimmungstief ist vor allem der schwachen Nachfrage geschuldet: „Der Auftragsberg, den die Unternehmen der Autoindustrie angesichts von Pandemie und Lieferkettenproblemen seit Anfang 2021 angehäuft hatten, ist abgearbeitet. Neue Aufträge kommen herein, reichen aber nicht aus, um die Kapazitäten auszulasten“, so Wölfl.

 

Die Krise in der Autoindustrie zeigt sich auch bei der Arbeitsnachfrage: Der Indikator der Beschäftigungserwartungen ist zwar im Vergleich zum Vormonat etwas gestiegen, erreicht aber mit minus 34,1 Punkten ein Langzeittief. „Viele Unternehmen der Autoindustrie halten sich bei Neueinstellungen zurück oder diskutieren über Stellenkürzungen“, so Wölfl.

 

Auch beim Auslandsgeschäft blicken die Unternehmen den kommenden Monaten pessimistisch entgegen. Ein negativer Trump-Effekt scheint allerdings ausgeblieben zu sein. Der Indikator der Exporterwartungen ist vielmehr von minus 31,3 Punkten* im Oktober auf minus 19,2 Punkte im November gestiegen. „Die Unternehmen warten noch ab, wie sich die Handelspolitik entwickeln wird“, sagt Wölfl. Zudem hat der Dollar nach der Wahl kräftig aufgewertet, wovon die Exporteure profitieren können.  Ifo 3

 

 

 

 

Bundestag soll über Neuregelung von Abtreibung beraten

 

Eine mögliche Neuregelung der Abtreibung soll nach dem Wunsch einer Gruppe von Abgeordneten in den kommenden Tagen im Bundestag beraten werden.

 „Als Gruppe haben wir das Recht, in dieser Woche die Erste Lesung unseres Gesetzentwurfs zu haben. Von diesem Recht wollen wir Gebrauch machen“, sagte die SPD-Abgeordnete Carmen Wegge dem Redaktionsnetzwerk Deutschland an diesem Montag. Wegge gehört zu den Initiatorinnen und Initiatoren eines Gruppenantrags aus den Reihen von SPD, Grünen und Linken, der eine Abschaffung des Strafrechtsparagrafen 218 vorsieht. Dieser regelt die Strafbarkeit von Abtreibungen.

„Selbstverständlich wollen wir das Gesetz vor der Bundestagswahl auch noch zur Abstimmung bringen“, so Wegge weiter. „Die Neuregelung des Schwangerschaftsabbruchs, so wie wir sie vorschlagen, kann aus unserer Sicht auch eine Mehrheit im Parlament bekommen.“

Rechtswidrig, aber unter bestimmten Bedingungen straffrei

Derzeit sind in Deutschland Schwangerschaftsabbrüche laut Paragraf 218 des Strafgesetzbuchs rechtswidrig. Abtreibungen in den ersten zwölf Wochen bleiben aber straffrei, wenn die Frau sich zuvor beraten lässt. Ebenso straffrei bleibt der Eingriff aus medizinischen Gründen sowie nach einer Vergewaltigung.

Kern des Vorstoßes der Gruppe um Wegge und andere Abgeordnete ist es, Schwangerschaftsabbrüche aus dem Strafgesetz herauszunehmen. Stattdessen sollen Abbrüche bis zur zwölften Woche, nach einer Vergewaltigung oder aus medizinischen Gründen künftig „rechtmäßig und straffrei“ sein und im Schwangerschaftskonfliktgesetz geregelt werden. Eine Beratungspflicht soll bleiben, allerdings ohne die derzeit geltende Wartezeit von drei Tagen. Die Kosten eines Schwangerschaftsabbruchs sollen künftig von der Krankenkasse übernommen werden. (kna 2)

 

 

 

 

Im Fadenkreuz

 

Mit Trump im Weißen Haus rückt ein Deal in der Ukraine näher. Osteuropa würde dies in ernsthafte Gefahr bringen. Von Michael Kranz

Im vergangenen Jahr fragten mich in Warschau Menschen sowohl aus Polen als auch aus der Ukraine, wenn sie hörten, dass ich in den USA aufgewachsen bin, fast immer als Erstes, wer meiner Meinung nach die Wahl 2024 gewinnen würde. Die nächste Frage war dann immer, ob ein Trump, wenn er gewänne, die Ukraine und Osteuropa wirklich den Russen preisgeben würde. In den ersten Tagen nach Trumps Wahlsieg war diese Sorge unter meinen polnischen Freunden und Angehörigen deutlich zu spüren. Doch nachdem monatelang gewarnt worden ist, eine Rückkehr von Donald Trump an die Macht würde apokalyptische Folgen für die Ukraine und die NATO-Ostflanke haben, gibt es jetzt an Europas Grenze zu Russland eine neue Devise: Verfallt nicht in Panik, sondern bereitet euch vor.

Das wahrscheinliche Ende des Krieges in der Ukraine während Trumps erstem Amtsjahr wird nur die Spitze des Eisbergs der Veränderungen sein, die sich in Osteuropa abzeichnen. Die Staaten in der Region, allen voran Polen und die baltischen Staaten, stellen sich bereits ein Szenario vor, das über die Ukraine hinausreicht und so aussieht, dass Russland seine Kriegsmaschinerie schon bald direkt an der NATO-Ostflanke in Aktion setzen könnte, die ohne solide amerikanische Sicherheitsgarantien verwundbarer wäre denn je. Und doch bietet die angespannte Situation Osteuropa unerwartete Chancen. Ohne Amerikas Führungsrolle und seine oftmals einschränkende Einflussnahme hat Osteuropa die Chance, seine eigene künftige Verteidigungsstrategie zu überdenken, die Fortschritte der Nachkriegswirtschaftsordnung in der Ukraine zu nutzen und Westeuropa endlich dazu zu zwingen, sich den Realitäten der multipolaren Welt voll und ganz zu stellen.

Mit anderen Worten: Wir erleben derzeit eine grundlegende Verschiebung des Kräfteverhältnisses in Osteuropa. In naher Zukunft werden Polen und die baltischen Staaten nicht umhinkommen, in die Bresche zu springen und sich stärker als bisher in Europa zu positionieren. Denn sie blicken in die Gewehrläufe eines Russlands, das durch einen De-facto-Triumph in der Ukraine und die schwächer werdenden amerikanischen Sicherheitsgarantien in Europa erst recht gestärkt wird. Unterdessen sieht sich die Ukraine mit dem schlimmsten anzunehmenden Szenario konfrontiert, da die USA den Unterstützungshahn vermutlich zudrehen werden. Dann muss Europa gezwungenermaßen zum ersten Mal seit Generationen die Verteidigung der Ukraine und seine eigene Verteidigung selbst in die Hand nehmen.

Die Chancen, dass Trump seine Meinung zur Militärhilfe für die Ukraine ändern und auch weiterhin Mittel für die Verteidigung des Landes bereitstellen wird, stehen leider sehr schlecht. Die Ukraine wird wohl an den Verhandlungstisch gezwungen werden. Die europäischen, von Polen angeführten Bemühungen, das ukrainische Militär weiterhin zu unterstützen, werden das Unvermeidliche bestenfalls hinauszögern, und die Biden-Regierung ist sich dessen bewusst. Jüngste Kursänderungen wie die Freigabe von Langstreckenraketen vom Typ ATACMS, die von der Ukraine für Schläge gegen russisches Territorium genutzt werden können, und die Lieferung von Antipersonenminen sollen der Ukraine vor allem helfen, sich vor den Verhandlungen eine möglichst günstige Position zu sichern und zumindest ein Mindestmaß an Abschreckung gegen künftige russische Aggressionen aufbieten zu können.

Fast erübrigt es sich zu erwähnen, dass jedes Friedensabkommen wohl auf die dauerhafte Annexion der gegenwärtig von Russland besetzten Gebiete hinausläuft und die Ukraine dazu zwingen wird, ihre Ambitionen auf einen NATO-Beitritt aufzugeben. Mit anderen Worten: Es wäre ein Sieg für Russland. Aber selbst dann bleibt noch vieles offen in der Frage, wie ein solcher „Frieden“ konkret aussehen würde und wie die Ukraine vermeiden könnte, von Russland auf Dauer geschluckt zu werden. Laut einem Bericht des Wall Street Journal sieht der zentrale Plan von Trumps Übergangsteam vor, die Ukraine auf eine Zusage zu verpflichten, in den nächsten 20 Jahren nicht der NATO beizutreten. Die kontinuierliche Lieferung von US-Waffen soll dann Russland von künftigen Angriffen abschrecken, und eine Art europäische Friedenstruppe soll die entmilitarisierte Zone überwachen, in der die Kämpfe eingestellt werden.

Ein solcher Plan kommt Polen sehr gelegen, da der polnische Präsident Andrzej Duda im vergangenen Jahr vorgeschlagen hat, polnische Truppen im Rahmen von Friedensbemühungen in der Ukraine zu stationieren. Inzwischen ist Polen gut aufgestellt, um von den Wiederaufbaubemühungen nach dem Krieg enorm zu profitieren. 3 000 polnische Unternehmen haben sich bei der polnischen Investitions- und Handelsagentur (PAIH) registrieren lassen, weil sie am Wiederaufbau der Ukraine mitwirken wollen. Wenn Polen sich daran beteiligt, die Sicherheit in der Ukraine vor Ort zu gewährleisten, birgt das natürlich ein erhebliches Risiko, da es das Land einem Konflikt mit Russland umso näherbringt. Doch auf genau diese Rolle bereitet die polnische Führung das Militär des Landes seit Jahren vor.

Die Staats- und Regierungschefs Osteuropas befinden sich nach eigener Einschätzung im Fadenkreuz Russlands – egal, wie sie sich verhalten. Eine aktive Verteidigung muss also an oberster Stelle stehen. Staats- und Regierungschefs von weiter westlich gelegenen Ländern Europas kommen zögerlich zu demselben Schluss und haben kürzlich zugesagt, nicht nur in die nationalen Verteidigungsausgaben, sondern auch in den Ausbau der europäischen Rüstungsindustrie zu investieren. Es gibt keinen Grund zu der Annahme, Putin werde sich mit einer Verhandlungslösung in der Ukraine zufriedengeben. Im Gegenteil: Mit dem Rückenwind eines Sieges in der Ukraine und mit einer US-Führung, die nicht bereit ist, sich über das absolute Minimum hinaus militärisch in Europa zu engagieren, könnte Putin durchaus zu dem Schluss kommen, dass die Zeit reif ist für eine weiter gehende Wiederherstellung der sowjetischen Einflusssphäre. Westeuropa tut schrittweise mehr, um gerüstet zu sein, und Frankreich zum Beispiel liegt im Zeitplan bei seinen Bemühungen, die Verteidigungsausgaben in diesem Jahr auf die von der NATO vorgegebenen zwei Prozent des BIP zu steigern. Die Osteuropäer wissen jedoch, dass es im Falle eines russischen Angriffs an ihnen wäre, die Stellung zu halten. Polen verfügt derzeit über die drittgrößte Armee der NATO, und wenn die ukrainische Armee die russischen Streitkräfte fast drei Jahre lang in Schach halten konnte, kann das robustere und technologisch fortschrittlichere Militär Polens hoffentlich dasselbe leisten.

Es kann gar nicht genug betont werden, wie ungewiss die Sicherheit Osteuropas durch Trumps Wahl schlagartig wird. Ein vollständiger Rückzug der USA aus der NATO ist weniger wahrscheinlich, als es die weit verbreitete Diskussion nahelegen könnte, denn die jüngst erfolgte, richtungsweisende Eröffnung eines US-Stützpunktes in Polen und die Bemühungen, die amerikanische Militärhilfe für die Ukraine und die NATO „Trump-sicher“ zu machen, werden es Trump erschweren, sich vollständig aus dem Bündnis zurückzuziehen. Doch nachdem Russland seine Nukleardoktrin aktualisiert, eine ballistische Rakete, die nuklear bestückt werden kann, auf die Ukraine abgefeuert und letzte Woche die neue US-Basis in Polen auf seine Liste potenzieller Ziele gesetzt hat, glaubt Putin offenbar, dass er die Oberhand hat – und dass Europa nicht willens oder in der Lage ist, die eigene Ostgrenze wirksam zu verteidigen.

Da Trump in wenigen Monaten das gesamte regionale Gefüge verändern könnte, bemüht sich der Osten der NATO, die Folgen abzumildern. Das bringt vor allem Polen in die Bredouille, denn es muss nicht nur seine Bedeutung als aufstrebende Militärmacht unter Beweis stellen, sondern auch mit Ländern wie Rumänien, Schweden, den baltischen Staaten und der bedrängten Ukraine zusammenarbeiten, um Moskau gemeinsam in Schach zu halten. Vor allem aber ist dies eine Feuerprobe für Europa. Jahrzehntelang konnten sich die Westeuropäer in der von den Vereinigten Staaten gebotenen Sicherheit wiegen und sich pazifistischen Visionen hingeben. Diese Illusion mussten zuerst die an Putins Russland angrenzenden Staaten aufgeben, aber Europa steht jetzt am gleichen Scheideweg: Entweder räumt Europa der Sicherheit höchste Priorität ein und beschreitet einen unabhängigen Weg in der Verteidigungspolitik – oder es lässt Putin weiterhin freie Hand. IPG 2

 

 

 

 

Aktuelle Studie: Jeder dritte Händler sieht sich bis Jahresende in einer Restrukturierung

 

Arbeitsplätze sollen abgebaut und Filialen geschlossen werden

Mehr als jeder dritte Händler (36 Prozent) will eine Restrukturierung noch bis Ende 2024 umgesetzt oder begonnen haben. Vier von fünf Einzelhändlern (83 Prozent), die eine Restrukturierung planen, ziehen auch eine strategische Neuausrichtung ihres Unternehmens in Betracht. Die Hälfte (50 Prozent) berücksichtigt in der Planung gezielt Arbeitsplatzabbau als wichtige Maßnahme, um Kosten zu senken. Zum Vergleich: In der Industrie will jedes vierte Unternehmen (26 Prozent) Jobs streichen. Befragt wurden Einzelhändler im Non-Food-Bereich (ohne Lebensmitteleinzelhandel). Das ist das Ergebnis einer aktuellen Befragung des Marktforschungsinstituts Verian (zuvor: Kantar Public) im Auftrag der Unternehmensberatung FTI-Andersch in den Branchen Automobil, Maschinen- und Anlagenbau, Konsumgüter und Handel.

* 17 Prozent der Befragten mit Plänen zur Restrukturierung sehen auch Filialschließungen vor

* Mittelfristig will fast die Hälfte der Unternehmen (46 Prozent) eine Restrukturierung durchführen

* 91 Prozent der Befragten macht der Arbeitskräftemangel zu schaffen – trotz geplanter Stellenstreichungen

Insgesamt schätzt der Non-Food-Einzelhandel in Deutschland die wirtschaftliche Lage noch negativer ein als die Industrie. Fast die Hälfte (48 Prozent) der Händler rechnet mit einer schlechteren Geschäftsentwicklung als im Vorjahr (vgl. Industrie: 34 Prozent), 60 Prozent erwarten eine Zunahme von Insolvenzen im Handel (vgl. Industrie: 42 Prozent), jeder dritte Händler (34 Prozent) erwartet eine ‚Insolvenzwelle‘ (vgl. Industrie: 21 Prozent) unter Händlern und Lieferanten. Ein Viertel der Befragten (24 Prozent) sieht sich selbst ‚existenziell bedroht‘, wenn branchenweite Insolvenzen im erwarteten Umfang eintreten (vgl. Industrie: neun Prozent).

„Insolvenzen können schnell zu einem Domino-Effekt führen: Kunden und Lieferanten brechen weg, Rabattschlachten nehmen zu, Finanzierer werden immer skeptischer und die Attraktivität von Innenstädten sinkt weiter“, sagt Dorothée Fritsch, Managing Director und Handelsexpertin bei FTI-Andersch, der auf Restrukturierung, Business Transformation und Transaktionen spezialisierten Beratungseinheit von FTI Consulting in Deutschland.

„Die ersten prominenten Insolvenzen haben wir bereits gesehen. Jetzt treffen strukturelle Herausforderungen auf die wohl schlechteste wirtschaftliche Lage seit der Wirtschafts- und Finanzkrise. Und das gepaart mit einer anhaltend schlechten Konsumstimmung. Zuletzt sind neben den so genannten Vertikalisten und Plattformbetreibern zusätzlich noch weitere internationale Anbieter aggressiv auf den deutschen Markt gedrängt. Das Ergebnis: An einer Marktbereinigung wird kein Weg vorbeiführen“, sagt Fritsch.

FTI-Andersch-Expertin: Netto werden Jobs im Handel wegfallen

Ein Drittel (36 Prozent) der Handelsunternehmen, die sich bereits in der Restrukturierung befinden, baut bereits aktiv Arbeitsplätze ab. Die Hälfte (50 Prozent) der Befragten, die aktuell eine Restrukturierung ins Auge fassen, plant eine Personalreduktion. Die größte Hürde für eine erfolgreiche Neuausrichtung ist gleichzeitig: das Halten und Rekrutieren von Arbeitskräften – das haben 84 Prozent der Handelsunternehmen angegeben, die aktuell eine Restrukturierung durchführen oder planen. Dabei stößt vor allem der Handel im Vergleich zur Industrie auf größere Herausforderungen. Denn bei denjenigen, die bereits in der Restrukturierung sind, haben dies sogar 91 Prozent angegeben. In der Industrie sehen das Problem des Haltens und Neu-Rekrutierens mit zwei Drittel (66 Prozent) der Befragten deutlich weniger.

„Am Point of Sale (POS) benötigt der Handel Verkäuferinnen und Verkäufer mit einer höheren Qualifikation, um den gestiegenen Kundenansprüchen gerecht zu werden. Um diese Top-Leute werben alle, und der Personalmangel wurde im Zuge der Coronapandemie nachhaltig verschärft“, sagt Dorothée Fritsch. „Zudem fehlen Experten und Expertinnen für Digitalisierung, Supply Chain Management und Innovation.“

Eine weitere zentrale Herausforderung stellen aus Sicht der Händler Refinanzierungen dar. Dies ist einerseits auf das aktuelle Zinsumfeld zurückzuführen, andererseits auf gestiegene Anforderungen der Finanzierer infolge des strukturellen Marktwandels. Entsprechend stoßen zwei Drittel der Händler (66 Prozent) auf große beziehungsweise sehr große Herausforderungen, während dies in der Industrie weniger als die Hälfte (45 Prozent) der befragten Unternehmen angeben. Dennoch kommuniziert die Hälfte (48%) der kurzfristig zu refinanzierenden Handelsunternehmen nicht verstärkt mit den jeweiligen Finanzierern.

Gleichzeitigkeit von Stabilität und strategischer Neuausrichtung notwendig

Weitere Maßnahmen, die Händler in der Restrukturierung jetzt angehen wollen: Bereinigung des Portfolios (92 Prozent), verstärktes Liquiditätsmanagement (67 Prozent) und Rückstellung von Investitionen (jeweils 58 Prozent), Verringerung der Einkaufsmengen/Vorordervolumina (42 Prozent), verstärkte Abverkaufsmaßnahmen (50 Prozent). An Filialschließungen arbeiten zwar aktuell nur neun Prozent der Befragten, 17 Prozent wollen dies aber bei weiteren geplanten Maßnahmen angehen. 83 Prozent der Unternehmen mit Restrukturierungsplänen ziehen eine strategische Neuausrichtung in Betracht, 64 Prozent derjenigen, die sich bereits in der Restrukturierung befinden, arbeiten daran.

„Stabilisierung und konsequente Neuausrichtung müssen jetzt gleichzeitig stattfinden. Sonst verlieren die Unternehmen zu viel Zeit, die sie nicht mehr haben“, sagt Dorothée Fritsch. „Die Unternehmen müssen jetzt grundsätzlich erarbeiten, wie eine stabile Neuaufstellung aussehen kann. Dazu gehört nicht nur eine Portfolio-Bereinigung, sondern ein grundsätzliches Infragestellen von Strategie, Strukturen und aller Prozesse hinsichtlich ihres Wertbeitrags. Besonderes Augenmerk sollte dabei auch auf Portfolio und Kanäle gelegt werden.“

Sofortiges Handeln nötig, aber kein Aktionismus

Immerhin: Jeder fünfte (20 Prozent) Händler prüft bereits eine mögliche Übernahme strauchelnder Wettbewerber bzw. Lieferanten. 68 Prozent arbeiten an einem Ausbau der Kunden- und Partnerbasis außerhalb der bestehenden Märkte, 48 Prozent führen aufgrund der Marktlage jetzt intensiv ein Screening ihrer Lieferanten durch. Nur jeder zehnte Befragte untersucht auch seine Vermieter auf wirtschaftliche Gesundheit.

„Es wird stark erkennbar sein, wer für diesen Sturm gut gerüstet ist. Diese Händler haben bereits zuvor auf erfolgreiche und innovative Verkaufsformate, ein fokussiertes Sortiment, ein gutes Zusammenspiel von Fläche und profitablen digitalen Kanälen, die richtige Lage und ein positives Kundenerlebnis abgestellt“, sagt Dorothée Fritsch.

Fritsch: „Weitere Erfolgsfaktoren, die wir im Markt sehen: es werden gemeinsam mit den wichtigsten Lieferanten neue Belieferungsmodelle entwickelt und mit Vermietern neue, in Teilen flexibilisierte Mietkostenmodelle vereinbart. Wie in jeder Krise wird es darum auch hier Gewinner geben. Allerdings deutlich weniger als Verlierer. Es gilt jetzt einen kühlen Kopf zu bewahren, einen Plan zu entwickeln, genau zwischen kurz- und langfristigen Maßnahmen zu unterscheiden. Und endlich die Transformation in Angriff zu nehmen, die in zu vielen Fällen in den letzten Jahren zu kurz kam.“ Fti 1

 

 

 

 

 

Prof. Heckmann im Gespräch. Migrationspolitik, die von Sicherheitsthemen beherrscht wird, schwächt den Zusammenhalt

 

Die große Mehrheit der Bevölkerung bejaht Einwanderung, sagt Prof. Friedrich Heckmann im Gespräch. Er betrachtet Migration generationenübergreifend und nicht tagespolitisch. Auch die bei der Integration sei Deutschland erfolgreich. Was er vermisst, ist eine neue Nationenbildung. Darin wirbt er in seinem Buch.

MiGAZIN: Herr Heckmann, in Ihrem Buch „Einwanderung mit Zukunft. Neue Nationsbildung in Deutschland statt Minderheitengesellschaft“ betonen Sie das Konzept der „neuen Nationsbildung“ als Alternative zur Minderheitengesellschaft. Was genau verstehen Sie darunter, und warum halten Sie es für Deutschland für notwendig?

Friedrich Heckmann: Neue Nationsbildung ist zum einen ein Konzept für eine neues gesellschaftliches „Wir“, das die Menschen mit Migrationsgeschichte, die in Deutschland im Generationenverlauf ihren Lebensmittelpunkt begründet haben, einschließt. Das Buch begründet die gesellschaftliche und nationale Zugehörigkeit dieser Bevölkerungsgruppe auf der Basis eines reformulierten Nationsbegriffs. Es beschreibt zum anderen, was sich in der gesellschaftlichen Wirklichkeit als Annäherungs- und Zugehörigkeitsprozess bereits abspielt. Es ist notwendig, diese Prozesse bewusst zu machen, vergleichbar mit den Diskussionen um Deutschland als Einwanderungsland.

Sie kritisieren das Modell einer Minderheitengesellschaft. Welche Risiken sehen Sie darin?

Minderheitengesellschaft steht für ein Nebeneinander von ethnischen Gruppen mit Trennlinien in vielen Lebensbereichen und fehlendem Wir-Bewusstsein in Hinsicht auf die Gesamtgesellschaft. Die Befestigung von ethnischen Minderheitenstrukturen stellt per se noch kein gesellschaftliches Problem dar. Gesamtgesellschaftliche Kommunikation und Kooperation zu ermöglichen sowie die politische Loyalität der Minderheitenangehörigen als Staatsbürger zu erreichen und abzusichern stellen jedoch eine permanente Aufgabe dar. Zugleich bergen ethnische Minderheiten-Mehrheitsstrukturen in Krisensituationen die Gefahr, dass soziale, wirtschaftliche und politische Konflikte ethnisiert werden. Zahlreiche historische Erfahrungen haben die Leidenschaftlichkeit und Unmenschlichkeit ethnisierter Konflikte gezeigt.

Inwiefern kann eine „neue Nationsbildung“ den Zusammenhalt in der Gesellschaft stärken, und welche Hürden bestehen Ihrer Meinung nach dabei?

„Neue Nationsbildung heißt, auf der Grundlage eines neuen Nationsbegriffs neue Gruppen in diese Gemeinschaft aufzunehmen.“

Nation steht für Vorstellungen von Gemeinschaft und für wechselseitige Solidarerwartungen. Neue Nationsbildung heißt, auf der Grundlage eines neuen Nationsbegriffs neue Gruppen in diese Gemeinschaft aufzunehmen. Das bedeutet, Deutsche oder Deutscher ist nicht nur, wer von deutschen Eltern abstammt, sondern auch, wer in Deutschland von ausländischen Eltern geboren wurde und wer in Deutschland integriert ist und sich zum Grundgesetz bekennt.

Im gesellschaftlichen Leben sind die verschiedenen Formen von ethnischer, rassistischer und religiöser Diskriminierung die größten Hindernisse, die gesellschaftliche Teilhabe und Identifizierung von Migranten mit Deutschland erschweren. Assimilationszwänge wirken in die gleiche Richtung, wie auch Politiken von Herkunftsländern, die Auswanderer weitere als „ihre“ Bürger zu betrachten und entsprechende Bindungspolitiken zu praktizieren.

Deutschland steht aktuell vor politischen Herausforderungen im Bereich der Migration. Glauben Sie, dass die derzeitigen politischen Ansätze zur Einwanderungspolitik die nötigen Perspektiven für eine „neue Nationsbildung“ bieten?

„Teile der Bevölkerung in Deutschland stehen aktuell unter dem Einfluss populistischer einwandererfeindlichen Politik.“

Teile der Bevölkerung in Deutschland stehen aktuell unter dem Einfluss populistischer einwandererfeindlichen Politik. Ich zeige aber in meinem Buch, dass die große Mehrheit der Bevölkerung Einwanderung bejaht und sich in Jahrzehnten in diese Richtung bewegt hat. Fokussieren wir den Blick nicht auf den aufgeregten und konflikthaften öffentliche Diskurs über Flüchtlings- und Asylpolitik, sondern auf größere, Generationen übergreifende Trends, dann sind systematische Integrationspolitiken auf kommunaler und nationaler Ebene – auf der nationalen Ebene vor allem die Integrationskurse, die Anti-Diskriminierungsgesetzgebung und das neue Staatsangehörigkeitsgesetz – Politiken, die den Prozess neuer Nationsbildung unterstützen. Von herausragender Bedeutung ist auch die Ebene kommunaler Integrationspolitik. Zu Recht sagt man, Integration findet auf der kommunalen Ebene statt. Praktisch alle Kommunen sind heute Träger und Organisatoren von Integrationspolitik, die die Annäherung von Migranten und Einheimischen fördert.

Wie kann Ihrer Meinung nach verhindert werden, dass Einwanderung und Integration in Deutschland weiter polarisiert und von extremen Positionen beeinflusst wird?

„Politiker, die von ‚kleinen Paschas‘ reden, verstehen das nicht als empirische Hypothese, sondern als abwertende und diskriminierende Äußerung, mit der sie bei vorurteilsvollen Menschen ‚punkten‘ wollen.“

Demokratische Positionen und Institutionen müssen gestärkt werden und eine erfolgreiche Wirtschafts- und Sozialpolitik muss verhindern, dass in Krisen Verteilungskämpfe zunehmen, in denen ethnische und rassistische Mobilisierung den gesellschaftlichen Zusammenhalt gefährden. Ein stärkeres Engagement der Wirtschaft, die ja vollständig von erfolgter und zukünftiger Migration abhängig ist, sollte über einzelne Plädoyers für eine Willkommenskultur hinausgehen und systematische Formen annehmen. Nicht zu vergessen ist aber die Ebene persönlicher Beziehungen und persönlicher Kommunikation einschließlich der sozialen Medien, auf der es gilt, Ethnozentrismus und Rassismus entgegenzutreten.

Was geht Ihnen durch den Kopf, wenn ranghohe Politiker der Mitte von „kleinen Paschas“ reden?

Ich denke schon, ohne dass ich das quantifizieren kann, dass es solche Phänomene in Einwandererfamilien als Ergebnis von Formen patriarchalischer Erziehungspraktiken gibt. Politiker, die von „kleinen Paschas“ reden, verstehen das jedoch nicht als empirische Hypothese, sondern als abwertende und diskriminierende Äußerung, mit der sie bei vorurteilsvollen Menschen „punkten“ wollen.

„Einwanderung, die in sicheren Kontexten verläuft, erhöht die Akzeptanz von Migration und Migranten in der Bevölkerung… Migrationspolitik, die von Sicherheitsthemen beherrscht wird, erreicht aber das Gegenteil.“

Die Migrationsdebatte wird dominiert von Sicherheitsthemen. Wie bewerten Sie diesen politischen Fokus, und welche Folgen hat er Ihrer Meinung nach für das gesellschaftliche Miteinander?

Das ist keine einfache Frage. Einwanderung, die in sicheren Kontexten verläuft, erhöht die Akzeptanz von Migration und Migranten in der Bevölkerung und stärkt den gesellschaftlichen Zusammenhalt. Migrationspolitik, die von Sicherheitsthemen beherrscht wird, erreicht aber das Gegenteil.

 

„Einwanderung mit Zukunft: Neue Nationsbildung in Deutschland statt Minderheitengesellschaft“ von Prof. Dr. Friedrich Heckmann

Der Flüchtlings- und Migrationsdruck nimmt weltweit zu aufgrund zunehmender Konflikte, Armut oder klimatischer Veränderungen. Die Europäische Union reagiert darauf mit Abschottung. Kann diese Politik langfristig aufgehen?

Hierzu zwei Punkte: Zum einen gibt es meines Erachtens keine Lösung des „Migrationsproblems“, sondern nur bessere oder schlechtere Politiken, mit den Herausforderungen von Migration und Integration umzugehen. Die Ursache dafür liegt in der extremen und zunehmenden Ungleichheit in der Welt und der Revolution der Kommunikation, die dazu geführt hat, dass weltweit sich ähnliche Vorstellungen von einem guten und sicheren Leben herausgebildet haben.

Zum anderen: Da Integration auch und zentral eine Ressourcenfrage ist, und zwar materieller wie psychisch-sozialer, und Ressourcen knapp sind, hilft es dem gesellschaftlichen Frieden, wenn Migration kontrolliert und begrenzt verläuft. Das ist aber, wenn man nicht mit Mauer und Schießbefehl reagieren will, nur in eingeschränktem Maße möglich. Der Bevölkerung vorzuspielen, man habe solche Instrumente, ist Symbolpolitik, die aber zu Frustrationen führt und zur Bereitschaft, auf extremistische, rechtsradikale Akteure zu hören.

In den 60‘ern bis 80‘ern erlag Deutschland dem Irrtum, die sogenannten „Gastarbeiter“ würden irgendwann wieder zurückkehren. Einem ähnlichen Irrtum unterlag man auch nach dem Jugoslawienkrieg. Vor knapp zehn Jahren ging man abermals irrtümlich davon aus, die Menschen aus Syrien würden wieder zurückkehren. Bei Ukrainerinnen und Ukrainern legt man erstmals den Fokus auf eine nachhaltige Integration in den Arbeitsmarkt. Hat Deutschland gelernt aus seiner Migrationsgeschichte – oder ist das nicht vergleichbar?

„Deutschland hat auf jeden Fall aus seiner Migrationsgeschichte gelernt, dass es ein Einwanderungsland ist, zahlreiche Institutionen neu geschaffen oder angepasst und ist insgesamt erfolgreich bei der Integration von Einwanderern.“

Deutschland hat auf jeden Fall aus seiner Migrationsgeschichte gelernt, dass es ein Einwanderungsland ist, zahlreiche Institutionen neu geschaffen oder angepasst und ist insgesamt erfolgreich bei der Integration von Einwanderern. Was das Kommen und Gehen angeht muss man beachten, dass es in praktisch allen Einwanderungsprozessen ein bestimmtes, aber zwischen den Ländern unterschiedliches Maß an Rückwanderung gibt. Nicht alle im Land befindlichen Ausländer sind auch Einwanderer oder potentielle Einwanderer, die Wanderungsbilanz zeigt, dass es ein ständiges großes Kommen und Gehen gibt. Nur ein Teil der Zuwanderer wird zu Einwanderern und das hängt von unterschiedlichen individuellen und kontextuellen Bedingungen ab. Die Mehrheit der sogenannten Gastarbeiter, an deren Beispiel wir viel gelernt haben, ist nicht geblieben und nicht zu Einwanderern geworden, die Mehrheit ist zurückgekehrt.

Für mein Thema der neuen Nationsbildung heißt das auch, dass sich Prozesse neuer Nationsbildung nicht auf alle im Land befindlichen Ausländer beziehen, sondern auf diejenigen Personen, die nach längerem Aufenthalt und erfolgreicher Integration oder im Generationenverlauf ihren Lebensmittelpunkt in Deutschland gefunden haben. MiG 1