Webgiornale 1-15 dicembre 2024

 

Inhaltsverzeichnis

1.     Von der Leyen supera l’esame di Strasburgo. Ma la sua maggioranza si è ristretta. 1

2.     Libano: cessate il fuoco Israele-Hezbollah. Card. Pizzaballa: “La pace è ben altra cosa”. 1

3.     Commissione von der Leyen bis, dall’Europarlamento un via libera tra contrasti e strategia politica. 1

4.     Abitiamo il confine. Nuovi spunti per un’esperienza di dialogo internazionale. 1

5.     Trump. Una visione sui generis dei rapporti internazionali 1

6.     Urso e Habeck presiedono il primo forum ministeriale del Piano d’Azione italo-tedesco. 1

7.     La crisi politica della locomotiva tedesca. 1

8.     La Germania cambia rotta?. 1

9.     Elezioni, politiche migratorie ed economia. Il dilemma tedesco. 1

10.  Il Ministro degli Esteri Tajani in missione a Monaco di Baviera. 1

11.  ReteDonne-Germania: sostegno alle donne che subiscono violenza. 1

12.  25 novembre: sedia rossa in consolato a Friburgo/Brsg, scarpe rosse in Ambasciata. 1

13.  Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex Radio Colonia. 1

14.  Viviana Vacante nuova Segretaria della Federazione Pd Germania. 1

15.  Scade a metà mese il premio dell’Ambasciata per gli studenti italiani in Germania. 1

16.  A Darmstadt “Animae”, spettacolo di musica e performance teatrale del Duo Kham.. 1

17.  Brevi di cronaca e di politica tedesca. 1

18.  Berlino. L’Intercomites alla riunione di coordinamento consolare dell’Ambasciata. 1

19.  Amburgo. La mostra “Italia Rand Tour” all’IIC fino al 28 gennaio. 1

20.  Mostra su Carpaccio alla Staatsgalerie di Stoccarda. Fino al 2 marzo 2025. 1

21.  Berlino: le recenti manifestazioni all’Ambasciata. 1

22.  Il Circolo Acli Karlsfeld 60° di fondazione. 1

23.  Deceduto il fondatore della Famiglia Bellunese del Nordreno Westfalia Aduo Vio. 1

24.  Riunito il Comitato di Presidenza del Cgie: legge finanziaria, riforma del Cgie, migrazione circolare, cittadinanza consapevole. 1

25.  Cittadinanza consapevole, voto sicuro, riforme: il CGIE programma il futuro. 1

26.  1000 giorni di conflitto in Ucraina, i missili Atacms in suolo russo. Cosa ci aspetta?. 1

27.  Quale l’approccio di Trump alla Nato?. 1

28.  Il lavoro che verrà. 1

29.  Decreto flussi, Tavolo Asilo e Immigrazione: “Ancora un tentativo del governo di limitare i diritti fondamentali”. 1

30.  G20: "Destinare i fondi per le armi alla lotta alla fame". 1

31.  Erasmus+: nel 2025 quasi 5 miliardi di euro. 1

32.  Le percentuali della crisi 1

33.  Regionali, centrodestra battuto due volte "ma la maggioranza resta solida". 1

34.  La Marcia PerugiAssisi: la pace prima di tutto. 1

35.  IA: ripensare il futuro con consapevolezza. 1

36.  G20. Molto rumore per nulla?. 1

37.  La solidarietà. 1

38.  Nuovo Codice della Strada: le nuove regole. 1

39.  Priorità e obiettivi della Difesa nel Documento Programmatico 2024-2026. 1

40.  Il paradosso del possesso. Perché desideriamo ciò che non possiamo avere. 1

41.  Il rilancio. 1

42.  Festival della Migrazione. Piano Mattei per l’Africa: “Chiamiamolo Piano Meloni”. 1

43.  La Giornata mondiale dell’infanzia. Impariamo ad ascoltare i bambini 1

44.  Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. “Celebrazioni sono anche tributo ai nostri emigrati nel mondo”. 1

45.  Presentata la IX Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. 1

46.  Redditi prodotti all’estero. La sentenza della Cassazione sulla doppia imposizione fiscale. 1

47.  Rafforzamento servizi consolari: dal Senato via libera definitivo alla legge. 1

48.  Nessuna esternalizzazione di servizi consolari ai patronati all’estero. 1

49.  Approvato in via definitiva il disegno di legge sul rafforzamento dei servizi 1

50.  Riconoscere la perequazione delle pensioni dei residenti all’estero. 1

51.  Voto RSU 2025: lettera aperta di Confsal Unsa Esteri ai responsabili di Cgil, Cisl e Uil 1

52.  L’Inps nega l’importo aggiuntivo di 154 euro sulla 13ª delle pensioni in convenzione detassate. 1

 

 

1.     Umfrage. Unterbringung Geflüchteter ist „herausfordernd, aber machbar“. 1

2.     Gefangen in der Eskalationsspirale. 1

3.     Macht der Klimawandel krank? Die Hälfte der Befragten sorgt sich um ihre. 1

4.     Neue Integrationskursverordnung. Bundesregierung will Integrationskurse verschlanken. 1

5.     Verheerende Dürre im südlichen Afrika. Allein in Simbabwe hungern über 7 Millionen Menschen. 1

6.     Studie. Kinder mit deutschem Pass bekommen mehr Hilfe für die Schule. 1

7.     Einwanderung größte Sorge, Lage der Nation desolat: Das bewegt die Deutschen drei Monate vor der Wahl 1

8.     Weniger Neueinstellungen, Kurzarbeit steigt 1

9.     35 Millionen Menschen. Afrika: Zahl der Binnenflüchtlinge verdreifacht. 1

10.  Studie. Deutschland braucht Einwanderung – und diskriminiert. 1

11.  Fest anschnallen. 1

12.  Rück- und Ausblick. Merkel gegen Unionsforderung nach Zurückweisungen an Grenze. 1

13.  „Viele Länder im Globalen Süden sind bitter enttäuscht“. 1

14.  Bundesverwaltungsgericht. Geflüchtete dürfen nach Italien abgeschoben werden. 1

15.  Welttag 25. November: Frauen vor Gewalt schützen. 1

16.  Gescheitert. Italien zieht Personal aus Flüchtlingslagern in Albanien ab. 1

17.  Verschleppte Bronchitis – die unterschätzte Gefahr 1

18.  Gespaltene Reaktionen auf COP29-Abkommen. 1

19.  COP29: Ergebnisse der Klimakonferenz reichen bei weitem nicht. 1

20.  Baerbock bei COP29: „Keine Machtspiele auf dem Rücken ärmster Länder mehr“. 1

21.  Klimagipfel COP29: „Nachhaltige Zukunft ist Wettlauf gegen die Zeit". 1

22.  Parolin: Krieg in Ukraine und Heiligem Land bald beenden. 1

23.  EU-Umfrage. Migration und Terrorgefahr treiben EU-Bürger am meisten um.. 1

24.  Melonis Maskerade. 1

25.  Merkel-Biographie berichtet von hilfreichem Papst-Tipp. 1

26.  Vorwurf: Kriegsverbrechen. Weltstrafgericht erlässt Haftbefehl gegen Netanjahu. 1

27.  „Deutschland müsste Netanjahu festnehmen und überstellen“. 1

28.  Studie "Frauen und ihre Karrierepläne". Ausgebremste Ambitionen. 1

29.  „Berliner Erklärung“. Integrationsbeauftragte: Asyldebatte bedient Migrationsfeindlichkeit. 1

30.  Internationalisierung der Hochschulen für Angewandte Wissenschaften erfolgreich. 1

31.  Muezzin-Ruf in Köln wird unbefristet genehmigt 1

32.  Sonntagsfrage: CDU/CSU dominiert mit breiter Zustimmung - Milieu-Analyse zeigt unterschiedliche Partei-Konkurrenz. 1

33.  Thüringer Integrationsbericht. Wenige Privatkontakte, viel Rassismus. 1

34.  Entsetzen über Gesetzentwurf zum Paragraph 218. 1

35.  Studie: Ausländische Arbeitskräfte bringen Deutschland Geld, wenn die Politik das zulässt 1

36.  Was bedeutet Trumps Wahlsieg für Russland?. 1

37.  Ringen um Lösungen. G20 zwischen globalem Hunger und Steuer für Superreiche. 1

38.  Die zersetzende Kraft der Inflation. 1

39.  Suche nach gangbaren Wegen zum Frieden für die Ukraine. 1

40.  Wiesbaden, agah-Landesausländerbeirat hat einen neuen Landesvorstand. 1

41.  Hessen. Resolution der agah-Delegiertenversammlung am 16.11.2024 in Mühlheim a.M. 1

42.  Ein Jahr Fachkräftegesetz. Bundesregierung sieht Erfolg bei Einwanderung von Fachkräften. 1

43.  Italien auf dem Teller: so schmeckt das Bel Paese. 1

44.  Grünen-Parteitag. Arbeitsverbote für Ausländer sollen vollständig fallen. 1

45.  Gesetzliche Neuregelungen. Was ändert sich im Dezember 2024?. 1

 

 

 

Von der Leyen supera l’esame di Strasburgo. Ma la sua maggioranza si è ristretta

 

Il Parlamento europeo ha dato il via libera al Collegio dei commissari. Emiciclo diviso in due e probabile cammino a ostacoli dell'Esecutivo. Tre le priorità programmatiche enunciate a Strasburgo dalla politica tedesca: innovazione, decarbonizzazione, sicurezza. In secondo piano, almeno apparentemente, armi a Kiev, migrazioni, Balcani e demografia – di Gianni Borsa

Von der Leyen ottiene dall’Europarlamento il voto di fiducia alla sua Commissione, che così entrerà in carica il prossimo 1° dicembre. Ma la “maggioranza Ursula” appare risicata, indebolita dalle diatribe – e da parecchie defezioni – tra i gruppi politici che la dovrebbero sostenere (benché la politica tedesca abbia un solido sostegno da parte dei 27 capi di Stato e di governo che l’avevano designata a giugno per succedere a se stessa).

Maggioranza di stretta misura. L’emiciclo di Strasburgo mercoledì 27 novembre si è dunque espresso a favore del Collegio, dopo aver svolto le audizioni ai singoli commissari, promuovendoli tutti. Von der Leyen ha ottenuto 370 voti favorevoli (la maggioranza era di 361), 282 contrari e 36 astenuti. Hanno votato 688 eurodeputati su 720 membri dell’aula. A luglio Von der Leyen aveva avuto dagli eurodeputati una fiducia più ampia, con 401 voti. Anche rispetto alle precedenti Commissioni, la maggioranza questa volta è proprio minima e segnale di malessere. Nelle dichiarazioni di voto è emerso il sì convinto del Ppe; sì, con alcune defezioni, da Socialdemocratici, Liberali e Conservatori (non tutti); divisi i Verdi, no dalle destre (Europa delle nazioni sovrane, Patrioti per l’Europa) e dalla Sinistra. Singoli deputati o delegazioni nazionali hanno votato diversamente dalle indicazioni del proprio gruppo politico.

“Amo l’Europa della libertà”. Nel discorso che ha preceduto la votazione, Ursula von der Leyen ha sostenuto che “innovazione, decarbonizzazione, sicurezza” sono i tre pilastri attorno ai quali si impegnerà, con gli altri 26 commissari, nei prossimi cinque anni. La presidente ha fatto riferimento ai valori di fondo dell’Unione e ha citato le sfide che la attendono, fra cui la guerra in Ucraina (anche se l’argomento non è stato in primissimo piano, come nelle uscite pubbliche precedenti, e si è parlato meno di risorse e armi a Kiev), le instabilità geopolitiche, il cambiamento climatico, la concorrenza economica di Usa e Cina. Dopo aver fatto alcuni riferimenti alla storia e alle motivazioni cardine dell’integrazione europea, ha detto che la “libertà non è gratuita”, bensì richiede “scelte difficili, significa investire massicciamente nella nostra sicurezza e prosperità. E soprattutto chiederà di rimanere uniti e fedeli ai nostri valori, trovando il modo di lavorare insieme e superare la frammentazione”. “Lottare per la libertà ci unisce come europei, per me questa è la ragion d’essere della nostra Unione. Questa è l’Europa che amo e questa è l’Europa a cui la mia Commissione si dedicherà sempre”.

“Bussola della competitività”. Ricollegandosi a queste osservazioni, Von der Leyen ha sottolineato: “La nostra libertà e sovranità dipendono più che mai dalla nostra forza economica. La nostra sicurezza dipende dalla nostra capacità di competere, innovare e produrre. Il nostro modello sociale è in relazione a un’economia in crescita mentre affronta il cambiamento demografico”. A tale riguardo la presidente ha annunciato che la “prima grande iniziativa della nuova Commissione sarà una Bussola della competitività”, realizzata “sui tre pilastri del rapporto Draghi. Il primo è colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina. Il secondo è un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività. Il terzo è aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze”. Sulla base di questi principi, “questa dovrà essere una Commissione per gli investimenti per la transizione verde, digitale e sociale”.

Migrazioni: sovranità e solidarietà. “Vogliamo tutelare la qualità della vita degli europei, in tutta Europa”. Nel suo discorso all’Europarlamento Ursula von der Leyen ha toccato diversi punti: dall’economia alla sicurezza, dalle migrazioni al Green Deal. Non ha mancato di fare alcuni riferimenti alla vita dei cittadini, ha lasciato intendere che occorre un bilancio adeguato alle sfide in atto, senza tacere una possibile riforma dei trattati. “Dobbiamo affrontare le sfide che le regioni si trovano ad affrontare, dai cambiamenti demografici al cambiamento climatico, fino alla necessità di infrastrutture moderne”, ha detto. “Questo tocca il cuore della libertà, perché per molte persone libertà significa scegliere dove vivere, lavorare e studiare. Scegliere se crescere la propria famiglia in un’altra parte d’Europa o dove sono cresciuti. Come ha detto Enrico Letta: ‘la libertà di restare’. Voglio che le regioni e le comunità abbiano il controllo del proprio destino e che possano contribuire a plasmare le nostre politiche. Questo è il compito della coesione e delle riforme che ho affidato, come vicepresidente esecutivo, a Raffaele Fitto”. In un altro punto del suo intervento ha dichiarato: “Sin dall’inizio del mio primo mandato, ho promesso un approccio alla migrazione che fosse sia equo che rigoroso. Un approccio che garantisse sovranità e solidarietà. Con regole più severe ma anche maggiori garanzie per i diritti individuali. Inoltre opereremo per aprire percorsi legali per le migrazioni”.

L’interesse dei cittadini. Dopo il voto dell’aula, la presidente del Parlamento, Roberta Metsola, ha sottolineato che gli eurodeputati hanno svolto, nella procedura di elezione della Commissione, “il compito di controllo democratico”, aggiungendo che si tratta ora “di lavorare con fiducia reciproca” nell’interesse dei cittadini che “si attendono risultati e risposte” in vari ambiti, fra cui il costo della vita, la sicurezza, l’energia, il lavoro.

Quali prospettive? Il magro bottino di voti e le divisioni tra gli stessi gruppi politici che affermano di sostenerla, lasciano intravvedere un percorso a ostacoli per il bis di Von der Leyen. L’aria che tira in Europa ha un forte accento nazionalista; la guerra in Ucraina sembra non finire; gli Usa di Trump e la Cina neocolonialista appaiono sempre più come concorrenti e non certo come partner economici e geostrategici. Senza contare le altre minacce alla pace – e quindi alla stabilità e alla cooperazione internazionale – che giungono da Medio Oriente, Russia, Africa. Von der Leyen afferma di puntare su un “centro” politico pro europeo, che ruota attorno ai Popolari; ma Socialdemocratici e Liberali, che pur la sostengono, le imputano di aver allargato la maggioranza agli anti europeisti Conservatori. Certamente i fronti aperti sono innumerevoli e Von der Leyen ritiene di essere – al momento – l’unica figura capace di tenere insieme i governi dei Paesi membri e la parte dell’Eurocamera che ancora crede nell’Ue. Forse è questa la sua forza. Sir 27

 

 

 

 

 

Libano: cessate il fuoco Israele-Hezbollah. Card. Pizzaballa: “La pace è ben altra cosa”

 

Entrato in vigore questa mattina 27 novembre alle ore 4 in Libano (le 3 in Italia) il cessate il fuoco di 60 giorni tra Israele e Hezbollah. Dopo oltre un anno di combattimenti decine di migliaia di residenti in Israele e centinaia di migliaia in Libano potrebbero fare presto ritorno alle loro case. Le parole di Netanyahu e il commento del card. Pizzaballa e del custode di Terra Santa, Patton. Padre Toufic da Beirut, "gente in festa e fuochi di artificio" – di Daniele Rocchi

Entrato in vigore questa mattina alle ore 4 in Libano (le 3 in Italia) il cessate il fuoco di 60 giorni tra Israele e Hezbollah. L’accordo è stato approvato dal Gabinetto di Sicurezza israeliano, dopo diverse ore di riunione e al termine di una intensa giornata di raid aerei su Beirut, nel sud del Libano e nella Valle della Bekaa. I miliziani del partito di Dio, a loro volta, hanno lanciato razzi e droni sul nord di Israele, su Haifa, Acri e sulla Galilea.

Basi dell’accordo. L’accordo, annunciato dal presidente Usa, Joe Biden, prevede tre fasi: una tregua seguita dal ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani; il ritiro completo delle truppe israeliane dal Libano meridionale entro 60 giorni e, infine, i negoziati tra Israele e Libano sulla demarcazione del confine, che attualmente è stabilito dall’Onu dopo la guerra del 2006. Il primo ministro libanese, Najib Mikati, ha fatto appello alla comunità internazionale perché “agisca rapidamente” per garantire l’immediata attuazione della tregua che è entrato in vigore oggi alle 10 ora locale (le 9 in Italia, ndr.). In un discorso alla nazione, nel quale ha confermato la notizia dell’accordo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha sottolineato che “se Hezbollah viola l’accordo e tenta di armarsi, colpiremo. Se tenta di ricostruire infrastrutture terroristiche vicino al confine, se lancia razzi, se scava tunnel, colpiremo”. In altre parole, Israele manterrà la “libertà di azione militare” se Hezbollah dovesse violare l’impegno. Netanyahu ha chiarito anche le motivazioni dell’accordo: “Perché fare una tregua adesso? Per tre motivi: bisogna concentrarsi sulla minaccia iraniana; rinnovare le forze e i rifornimenti di armi; separare i fronti e isolare Hamas”. Quest’ultimo, ha aggiunto il premier israeliano, “sin dall’inizio della guerra, scoppiata dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, ha fatto affidamento sul fatto che Hezbollah combattesse al suo fianco. E quando Hezbollah sarà fuori dai giochi, Hamas sarà lasciato solo, la nostra pressione aumenterà e ciò contribuirà alla sacra missione di liberare gli ostaggi”. Secondo il ministero della Sanità libanese, sono almeno 3823 le persone rimaste uccise e oltre 15mila quelle ferite negli attacchi israeliani in Libano dall’ottobre dello scorso anno. Un milione gli sfollati. In una nota, il segretario generale dell’Onu, Antònio Guterres, “esorta le parti a rispettare pienamente e ad attuare rapidamente tutti gli impegni assunti”.

“Cessate il fuoco non è pace”. “Il Medio Oriente è una regione tormentata da divisioni di ogni tipo, ora dicono ci sia il cessate il fuoco in Libano ma non significa che ci sarà la pace, la pace è ben altra cosa, a Gaza le cose sicuramente continueranno, Dio solo sa come”, ha commentato il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa. Interpellato dai giornalisti, a margine di un incontro svoltosi ieri sera a Roma in memoria del beato Giacomo Alberione, il patriarca ha ricordato che “la pace si fa con relazioni pacifiche tra i popoli. Non le vedremo presto, però bisogna prepararle, si devono ricostruire non solo le strutture fisiche ma le relazioni distrutte da questa guerra”. “Non bisogna illudersi – ha poi aggiunto – i tempi sono lunghi ma le persone che si combattono oggi sono le stesse che dovranno convivere domani”. Soddisfazione è stata espressa al Sir dal Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton: “Speriamo che tutte le parti si impegnino a rispettarlo per consentire a tutti gli sfollati di rientrare nelle loro case.

Speriamo e preghiamo che si estenda anche a Gaza e che significhi che la guerra sta finendo. E speriamo che per i nostri cristiani il prossimo Natale sia veramente di pace e quindi anche di festa. E che i pellegrini tornino presto”. Da Gaza arriva la notizia che anche anche Hamas sarebbe “pronto” per una tregua. L’annuncio del cessate il fuoco in Libano, per Hamas, “è una vittoria e un grande successo per la resistenza”. Per un membro dell’ufficio politico di Hamas, riferisce l’Afp, “Hamas è pronto per un accordo di cessate il fuoco e un accordo serio per lo scambio di prigionieri”.

Da Beirut. “Beirut questa notte non ha dormito. Fino alle 4 di questa mattina abbiamo udito bombardamenti, ma subito dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco la gente ha cominciato a gioire addirittura sparando fuochi di artificio”: queste le parole rilasciate al Sir, pochi minuti dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, da padre Toufic Bou Mehri, della Custodia di Terra Santa, superiore del convento francescano di Tiro, attualmente nella capitale libanese. “La strada verso il sud – racconta – adesso è affollata di gente che fa ritorno alle proprie case. Tutti qui sperano che alla tregua faccia seguito la pace. Siamo stanchi della guerra, dell’odio, della distruzione e dei massacri. Speriamo nella pace e preghiamo per la pace”. sir 27

 

 

 

 

 

Commissione von der Leyen bis, dall’Europarlamento un via libera tra contrasti e strategia politica

 

Fumata bianca, dopo oltre una settimana di suspense, per i sei vicecommissari – compreso Raffaele Fitto - e il commissario ungherese ‘rimandato a settembre’. Il secondo quinquennio guidato dalla tedesca inizierà ufficialmente il primo dicembre

Fumata bianca – al cardiopalma – per la seconda Commissione von der Leyen. Dopo oltre una settimana di suspense, ieri sera l’Europarlamento ha dato l’ok ai 6 vicecommissari e al commissario ungherese, dando così il via al nuovo quinquennio guidato dalla tedesca, che inizierà ufficialmente il primo dicembre.

Il nodo Fitto

Risolti dunque i veti incrociati e i giochi politici: gli eurodeputati hanno trovato un accordo. L’italiano Raffaele Fitto, uno degli scogli più grandi da superare, per il quale i Socialisti e Democratici (S&D) avevano chiesto un ridimensionamento a commissario semplice da vicecommissario esecutivo in quanto ‘di estrema destra’, è stato confermato nel ruolo proposto da von der Leyen.

Il gruppo ha dovuto cedere, pena veder cadere la propria candidata vicecommissaria e punta di diamante, Teresa Ribera, sotto la scure dei Popolari (Ppe). Ora Ribera diventerà la numero 2 dell’esecutivo Ue, con importantissime competenze su concorrenza e clima.

Il nodo Ribera

il Ppe, dal canto suo, non ha dovuto rinunciare a molto. La sua prima richiesta, che la spagnola rispondesse nel Parlamento nazionale della gestione delle inondazioni a Valencia, è stata accolta, mentre la seconda, quella di impegnarsi a dimettersi se fosse incriminata da un tribunale sempre per la gestione delle inondazioni, è stata rifiutata. Ma i Popolari alla fine l’hanno sostenuta.

Per il governo Sanchez la nomina di Ribera, che ha ottenuto deleghe pesantissime, è un grande successo, e i Popolari spagnoli lo sanno bene, tanto che hanno tentato in tutti i modi di azzopparla.

L’accordo per il via libera alla nomina dei sei vicepresidenti designati infatti è rimasto in stand-by a Bruxelles, in attesa che a Madrid ieri si concludesse appunto l’audizione di Ribera alle Cortes, centrata sulle alluvioni che hanno causato oltre 200 morti nella regione di Valencia alla fine del mese scorso.

Si sarebbe trattato di un gesto di riguardo di Manfred Weber, presidente e capogruppo del Ppe, nei confronti del Partido Popular e del suo leader Alberto Nunez Feijòo: il politico bavarese non poteva annunciare l’accordo sulla nomina di Ribera prima che i deputati popolari alle Cortes avessero finito di attaccarla, perché gli avrebbe rotto le uova nel paniere. E gli spagnoli gli sono indispensabili se vuole essere rieletto presidente del partito nel congresso che si terrà a Valencia nel prossimo aprile.

Il nodo Várhelyi

Altro nodo era il commissario ungherese di estrema destra Olivér Várhelyi, la cui audizione aveva sollevato diversi dubbi tanto che il politico era stato ‘rimandato a settembre’, con richiesta di offrire alcuni chiarimenti nei giorni successivi. Alla fine è stato confermato, con un ritocco ad alcune delle sue responsabilità: un ridimensionamento che si aggiunge a quello, a monte, del portafoglio che von der Leyen gli ha riservato a questo giro. Várhelyi, infatti, era già commissario nella precedente commissione, dove aveva la delega alla politica di allargamento del blocco, ma per questo secondo mandato la tedesca gli ha assegnato salute e benessere degli animali.

I vicepresidenti e l’intesa raggiunta

Alla fine dunque i vicepresidenti sono stati “tutti confermati”:

• Kaja Kallas, Estonia (il gradimento del Parlamento era una formalità, in questo caso, perché è stata indicata direttamente dal Consiglio Europeo)

• Stéphane Séjourné, Francia

• Roxana Minzatu, Romania

• Henna Virkkunen, Finlandia

• Teresa Ribera, Spagna

• Raffaele Fitto, Italia.

E confermato anche, come detto, il commissario ungherese alla Salute, Olivér Várhelyi.

È la prima volta dal 1999 che l’Europarlamento non respinge nessun candidato commissario. Va ricordato che quello delle audizioni e del voto finale è in sostanza l’unico momento in cui i Mep possano esercitare un vero controllo e un certo potere sui commissari.

Quanto all’intesa sottoscritta, secondo quanto ha riferito il copresidente dei Verdi/Ale Bas Eickhout al termine della conferenza dei presidenti a Bruxelles, questa si basa sulla “ripetizione delle linee guida” della Commissione già presentate nello scorso luglio. Effettivamente nelle due pagine del ‘Final Platform Statement’, ad una prima lettura, è arduo trovare grosse novità.

Meloni: “Vittoria di tutti gli italiani”

Weber ha commentato l’ok dell’Eurocamera: “Per noi come Ppe la cosa più importante è avere la Commissione in carica il primo dicembre, perché l’Europa ha bisogno di stabilità”. “Tutti possono dire la loro sul futuro dell’Europa. I socialisti hanno dossier forti. I liberali hanno dossier forti, il Ppe è in testa e [ha] molti commissari. E anche l’Italia dovrebbe far parte di tutta la futura leadership della Commissione“, ha aggiunto.

Il leader dei Popolari ha anche sottolineato, rispondendo ai timori di chi guarda con sospetto le intese tattiche del Ppe con i gruppi alla destra, di essere “orgoglioso” di avere nel suo gruppo il partito di centrodestra ungherese Tisza, fiero nemico di Viktor Orban.

Grande soddisfazione è stata espressa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “Quest’importante incarico attribuito al commissario designato dall’Italia è una vittoria di tutti gli italiani, non del Governo o di una forza politica. Abbiamo ottenuto un portafoglio di peso e il coordinamento di deleghe strategiche per la nostra Nazione e per l’Europa intera, come l’agricoltura, la pesca, l’economia del mare, i trasporti e il turismo. Questa indicazione è la conferma di una ritrovata centralità dell’Italia in ambito europeo, all’altezza del nostro ruolo come Stato fondatore della Ue, seconda manifattura d’Europa e terza economia del Continente”.

Mercoledì prossimo il voto all’intera Commissione

A questo punto, la Commissione von der Leyen bis dovrebbe essere votata nella plenaria a Strasburgo mercoledì prossimo, per entrare in carica il primo dicembre. Il voto sull’intero collegio dei commissari, a differenza di quello sul presidente della Commissione che si è tenuto nel luglio scorso, è a maggioranza semplice e a scrutinio palese, quindi molto meno insidioso. Ciò non vuol dire che tutto vada per il meglio: una fonte dei Popolari riconosce che l’accordo lascia “spaccature un po’ dappertutto”. Particolarmente arrabbiati i Popolari spagnoli, il cui leader Nunez Feijòo aveva puntato molto sul siluramento di Ribera.

Anche i Verdi, che hanno votato Ursula von der Leyen a luglio, decideranno lunedì prossimo se votare l’intera Commissione, ma “il mood non è positivo”, perché “c’è pochissima chiarezza e molto malcontento dietro” la dichiarazione politica dei gruppi della maggioranza. “Non vedo come si possa lavorare stabilmente con l’Ecr”, ha aggiunto Eickhout.

Anche nel gruppo S&D non mancano gli scontenti: in particolare, secondo un partecipante alla riunione di gruppo di ieri mattina, i Socialisti francesi, ai quali non va giù la nomina di Fitto, considerato di estrema destra in quanto membro di Fratelli d’Italia e dell’eurogruppo Conservatori e Riformisti (Ecr).

Tuttavia, dicono le fonti, alla fine darà difficile che non ingoino il rospo. Weber ha ricordato che l’Ecr ha contribuito alle conferme dei commissari e che Fratelli d’Italia, votando nella scorsa primavera a favore di parti importanti del patto Ue sulle migrazioni, ha dimostrato di voler “risolvere i problemi” a livello europeo, cosa che costituisce un “buon segnale”. Adnkronos 21

 

 

 

 

Abitiamo il confine. Nuovi spunti per un’esperienza di dialogo internazionale

 

Nel leggere la situazione internazionale e le questioni che essa pone oggi, emergono alcune parole chiave che necessitano di essere interpretate. Negoziato, coesistenza, sicurezza, pace, sviluppo sembrano ormai aspirazioni vuote rispetto ad un indicatore che sembra consolidarsi nei rapporti internazionali: il conflitto come metodo dell’agire e come mezzo di soluzione. Mediante il conflitto si agisce nei rapporti politici, economici, commerciali, culturali, per dare soluzione a questioni annose, a rapporti e relazioni sempre più ancorati intorno all'interesse del fare e dell’acquisire posizioni. La visione corrente e le prospettive future dei rapporti internazionali hanno trasformato in immagini espressioni come servizio, criteri come giustizia, metodologie come negoziato, ponendo un interrogativo sul loro significato. Ecco perché il conflitto è visto come “risolutore” - di Vincenzo Buonomo, ordinario di diritto internazionale alla Pontificia Università Lateranense

 

Nel leggere la situazione internazionale e le questioni che essa pone oggi, emergono alcune parole chiave che necessitano di essere interpretate. Negoziato, coesistenza, sicurezza, pace, sviluppo sembrano ormai aspirazioni vuote rispetto ad un indicatore che sembra consolidarsi nei rapporti internazionali: il conflitto come metodo dell’agire e come mezzo di soluzione. Mediante il conflitto si agisce nei rapporti politici, economici, commerciali, culturali, per dare soluzione a questioni annose, a rapporti e relazioni sempre più ancorati intorno all’interesse del fare e dell’acquisire posizioni. La visione corrente e le prospettive future dei rapporti internazionali hanno trasformato in immagini espressioni come servizio, criteri come giustizia, metodologie come negoziato, ponendo un interrogativo sul loro significato. Ecco perché il conflitto è visto come “risolutore”.

Inquadriamo la lettura dei fenomeni che caratterizzano la scena internazionale – insicurezza, quadro demografico, sottosviluppo, distribuzione ineguale, violazioni di diritti e libertà, … – ponendoci sul confine; qualcosa di diverso dalle frontiere perché queste ultime costituiscono varchi, possibilità di passaggio anche se regolato, controllato, impedito, forzato. Il confine invece delimita, non pregiudica il passaggio, ma caratterizza e da forza alle identità, rendendole capaci di coesistere, integrarsi o di contrapporsi e combattersi. Abitare il confine non è condizione di neutralità, ma capacità (e volontà) di utilizzare una posizione che guarda l’altro e consente di porre le basi per la costruzione di un dialogo capace di perdurare nel tempo. L’incontro tra diverse identità impone di collocarsi sul confine e di là guardare come l’integrazione è spesso sostituita dall’assimilazione, da nuove schiavitù o dal regresso di civiltà espresso dai genocidi o dalle guerre evidenti e dimenticate.

A noi è data possibilità di abitare il confine. E questo significa poter costruire ponti tra caratteri differenti e diversità, tra ruoli individuali e ruoli comunitari, tra la volontà di integrazione o l’idea di sostituirla con una convivenza di facciata, tra l’assimilazione e il rispetto delle diversità culturali, tra la visione confessionale e la dimensione del credere, tra l’esclusione e la riconciliazione. Nell’abitare il confine ogni intuizione va intesa come percorso e non come traguardo.

La frammentazione che oggi esprime la vita internazionale non è l’effetto dei confini, ma piuttosto il dilagare di una mentalità che ritiene importante la relazione privilegiata (ieri era la clausola della Nazione più favorita), quella che si costruisce tra due o poche identità. Un approccio che può riguardare persone, comunità, paesi. Si allontana invece l’idea di una concertazione che di fronte a problemi comuni in grado di dare soluzioni comuni. Sul piano negoziale questo significa crisi del multilateralismo e dei suoi valori strutturali, o forse la sua evoluzione/involuzione espressa da nuove forme di attività multilaterale? Sono forme segnate dal fattore della tempestività, dell’impatto mediatico e da una buona dose di forza emotiva (Vertici, G7, G 20) che riescono solo a individuare le situazioni, ma non vogliono, né possono, governare le medesime. La differenza con l’attività continuativa delle Istituzioni permanenti multilaterali sta proprio nel rifiutare legami che impongono scelte, obblighi, risultati da conseguire in modo sistematico e continuativo. E così mentre le cancellerie degli Stati esultano per il successo mediatico – e solo limitatamente politico – del nuovo multilateralismo, c’è una umanità alla ricerca di legami di comunità, che opera per negoziare e superare i limiti dell’azione politica degli Stati e fa suo lo strumento del dialogo.

Anche per il fattore religioso, abitare il confine concorre a determinare modalità di incontro e non di chiusura, luoghi identitari per sfuggire alla contrapposizione, volontà di pacificazione e non semplicemente di pace. Solo così l’elemento religioso e non quello confessionale, può porsi come strumento positivo per la costruzione di una diversa dimensione internazionale.

Il credere, oggi, è abitare il confine. sir 23

 

 

 

 

 

Trump. Una visione sui generis dei rapporti internazionali

 

“Aiuteremo il nostro paese a risollevarsi”.  È con questo impegno che Donald Trump ha vinto le elezioni del 5 novembre. La maggioranza dell’elettorato gli ha dato credito. La promessa, seducente, è di un cambiamento che arresti il declino dell’America, ne sani le ferite interne e ne ristabilisca il prestigio e l’influenza sul piano internazionale. Una promessa che riguarda innanzitutto la politica interna, ma anche, e in misura non trascurabile, quella estera. 

Pacifismo trumpiano

Nel discorso della vittoria, insolitamente privo di asprezze, Trump si è enfaticamente riproposto come pacificatore, l’unico in grado di risolvere i conflitti internazionali in corso, affrancando gli Usa, quanto prima, dal costoso e, al contempo, inconcludente interventismo dell’amministrazione Biden. Non solo di quest’ultima, ma anche di tutte le amministrazioni precedenti, ad eccezione, beninteso, della sua del 2017-2021. 

Specialmente negli ultimi giorni di campagna elettorale, Trump ha ripetutamente rispolverato l’accusa a George W. Bush di essere “andato stupidamente in Medioriente” – definendo l’invasione dell’Iraq, “il peggior errore mai fatto nella storia americana” – e di aver, in tal modo, “distrutto” la regione. Ha definito Kamala Harris una “guerrafondaia”, attribuendole l’intenzione di voler, a sua volta, “invadere il Medioriente”. A Biden ha imputato, oltre ai fallimenti in Medioriente, anche un maldestro sostegno all’Ucraina senza un dialogo, a suo dire indispensabile, con Putin: un attivismo velleitario e senza strategia. 

È probabile che questi giudizi liquidatori di Trump sulla politica estera dei suoi predecessori interventisti e il suo impegno, pur vago, a una più accorta proiezione dell’America all’estero, abbiano trovato un’eco considerevole nell’elettorato, contribuendo al suo successo. L’amministrazione Biden si è molto dedicata, in varie regioni, a rinsaldare le alleanze contro i rivali strategici e, specie in Medioriente, non ha risparmiato gli sforzi diplomatici per scongiurare l’escalation. A conti fatti, non ha colto però nessun successo visibile, almeno agli occhi di un elettorato che l’ha vista, invece, sempre più invischiata in conflitti privi, in apparenza, di sbocco. Trump ha fatto leva sulla diffusa percezione che molti impegni di politica estera drenino grandi risorse senza effetti apprezzabili e che, invece, sia necessario concentrarsi su interessi primari, come il controllo dei flussi migratori.

L’illusione del disimpegno

Anche altri presidenti americani – tutti, in realtà, quelli che si sono succeduti dopo la fine della Guerra Fredda – hanno coltivato la speranza di potersi concentrare di più sulla politica interna, riducendo gli impegni internazionali anche grazie a una diversa divisione delle responsabilità con gli alleati. Ma poi le varie crisi ed emergenze internazionali li hanno costretti tutti, senza eccezioni, a rivedere i loro piani. Bill Clinton, che aveva fatto la campagna elettorale sullo slogan “it’s the economy, stupid”, è intervenuto in Bosnia e nel Kosovo. George W. Bush, all’inizio intenzionato a selezionare gli interventi, quando si è ritrovato a fronteggiare l’11 settembre, ha risposto, fra l’altro, dando avvio a massicce campagne militari in Medioriente. Barack Obama, che aveva promesso di ritirarsi al più presto dalla regione, ha deciso di rimanere in Afghanistan – aumentando, a un certo punto, la presenza militare – e ha anche dato il via libera alla guerra contro Gheddafi. 

Il punto è che non è affatto facile per l’America disimpegnarsi dai teatri di conflitto o anche solo ridurre la sua presenza nelle regioni strategicamente importanti, specie quando ciò significa lasciare spazio a potenze rivali, come Cina e Russia: un problema che si è ulteriormente acuito negli ultimi anni a causa del crescente antagonismo con Mosca e Pechino, e con cui anche Trump dovrà inevitabilmente fare i conti. 

Allergia per il multilateralismo

Certo, Trump ha una visione dei rapporti internazionali sui generis, difficilmente assimilabile a quella di qualsiasi leader precedente. Non è un isolazionista, se con questo termine s’intende un sistematico rifiuto degli impegni internazionali, ma il suo esasperato protezionismo commerciale e l’idea che l’America debba dedicare più risorse alla sicurezza interna  lo rendono tutt’altro che propenso ad accordi o alleanze strutturate, soprattutto se implicano il rispetto di regole e vincoli che limitano la libertà d’azione del paese. Non crede nella governance globale e non vede di buon occhio, in particolare, i regimi e le istituzioni multilaterali, come ha dimostrato durante la sua presidenza, con decisioni come il ritiro dall’Unesco e dall’Organizzazione mondiale della sanità, scelte che probabilmente ripeterà molto presto una volta insediato alla Casa Bianca. Né ha mai fatto mistero della sua spiccata allergia agli accordi per il controllo degli armamenti, alcuni dei quali sono collassati anche per sua scelta (oltre che per responsabilità di Putin). Il regime di non proliferazione nucleare, da tempo sotto pressione, sarà ancora più a rischio con Trump che già nel 2018, ritirandosi dall’accordo sul programma nucleare iraniano, lo aveva seriamente danneggiato.  Anche l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), uno dei pilastri dell’architettura multilaterale, già oggi semiparalizzato, potrebbe non sopravvivere a questa seconda amministrazione Trump, che sembra fermamente intenzionata a introdurre una nuova e più massiccia ondata di dazi commerciali in ossequio al principio ”America first”. 

Sicuramente Trump interromperà ogni tentativo di promuovere i diritti umani nel mondo. Biden non ci aveva del tutto rinunciato, pur incappando ripetutamente nella trappola del “double standard”, e continuava a coltivare l’idea che la diplomazia americana dovesse prioritariamente far perno su alleanze con gli altri paesi democratici. Questo rigetto di ogni visione “idealistica” dei rapporti internazionali è uno dei tratti distintivi della politica estera di Trump che più piace fuori dal campo occidentale e potrebbe in effetti aiutarlo a coltivare alcune relazioni bilaterali. 

Le sfide dell’Ucraina e del Medioriente

Anche l’immagine di negoziatore abile e pragmatico, capace  di farsi valere sulla scena internazionale, con cui Trump ha amato presentarsi, potrebbe aver fatto presa su un segmento dell’elettorato. La sua diplomazia personale, incentrata sui rapporti con i leader più potenti, inclusi dittatori che mirano a indebolire l’America, lo espone però costantemente al rischio di essere surclassato o manipolato, come accaduto durante la sua prima presidenza con il nordcoreano Kim Jung-un. Tanto più quando si tratta di iniziative diplomatiche non sostenute da una credibile strategia negoziale o di premature aperture di credito. 

Che farà con Putin a proposito dell’Ucraina? Un accordo territoriale è oltremodo impervio. Kyiv non vuole cedere sul principio dell’integrità territoriale – per Zelensky, come per eventuali suoi successori, sarebbe un suicidio politico – e, d’altra parte, Mosca non controlla pienamente nessuna delle quattro regioni che si è illegalmente annessa e che vorrebbe le fossero riconosciute. Inoltre, l’obiettivo dichiarato di Putin non sono solo le conquiste territoriali ma, come ha detto più volte, un’Ucraina demilitarizzata e neutrale, cioè priva di garanzie di sicurezza credibili contro future aggressioni: un’Ucraina, quindi, amputata e alla sua mercé. Difficile raggiungere un accordo su questa base.

Trump potrebbe tagliare gli aiuti militari all’Ucraina per indurla a più miti consigli, ma, se vuole davvero ottenere concessioni da Putin, questa sarebbe l’ultima cosa da fare. Non è certo nel suo interesse mostrarsi troppo debole e accomodante verso il Cremlino. Altri leader ostili all’America non mancherebbero di prenderne nota. 

In Medioriente ci si aspetta che sia più accomodante di Biden verso il premier israeliano Benjamin Netanyahu, suo grande amico e sostenitore. Durante le sua prima presidenza, tante furono le concessioni di cui lo gratificò, come il riconoscimento di Gerusalemme come capitale e della sovranità territoriale sul Golan. Potrebbe dargli mano libera a Gaza, accettando una presenza militare permanente di Israele nella Striscia e nuovi spostamenti della popolazione palestinese, ma pagherebbe un prezzo nei rapporti con i paesi arabi, l’Arabia Saudita in particolare, a cui, come già Biden, vorrebbe estendere gli “Accordi di Abramo”, suo principale successo durante la prima amministrazione. 

Biden ha cercato di contenere le azioni militari israeliane contro Hezbollah e l’Iran nel tentativo di evitare un’escalation. Netanyahu ha concordato con la Casa Bianca gli obiettivi e le modalità di quelle a più ampia portata. Per frenare Netanyahu, Trump potrà continuare a fare leva sulle capacità di deterrenza delle forze americane nell’area e sulla protezione che possono offrire contro gli attacchi di Iran e Hezbollah. In linea generale, anche Trump dovrebbe essere interessato a una de-escalation in Medioriente, ma rimane incerto, in particolare, quale atteggiamento assumerà verso l’Iran. Vorrà tornare alla sua politica di “massima pressione” verso Teheran, ma potrebbe anche essere tentato di attuare un intervento preventivo contro gli impianti nucleari iraniani. Ettore Greco, AffInt 19

 

 

 

 

 

Urso e Habeck presiedono il primo forum ministeriale del Piano d’Azione italo-tedesco

 

Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e il Vicecancelliere e Ministro dell’Economia e dell’Azione Climatica tedesco, Robert Habeck, hanno presieduto nei giorni scorsi a Berlino il primo Forum bilaterale ministeriale previsto dal Piano d’Azione italo-tedesco, firmato nel novembre 2023 dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Cancelliere Olaf Scholz. All’incontro hanno partecipato rappresentanti di Confindustria, del Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI) e delle Camere di Commercio (AHK, DIHK, ITALCAM, ITKAM), sottolineando il ruolo cruciale del settore privato nella collaborazione tra i due Paesi. Il Piano d’Azione italo-tedesco prevede che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero Federale tedesco per l’Economia e la Protezione del Clima organizzino annualmente un Forum ministeriale bilaterale, preceduto da un dialogo regolare, finalizzato a delineare un approccio coordinato sui principali dossier di strategia industriale europea, con particolare attenzione ai Progetti Importanti di Comune Interesse Europeo (IPCEI), alle industrie strategiche, alle catene di valore, al quadro normativo sulla concorrenza e alla standardizzazione, coinvolgendo attivamente anche gli attori del settore privato. (Inform/dip 27)

 

 

 

 

 

La crisi politica della locomotiva tedesca

 

Il 6 novembre 2024 è iniziato con la rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America e si è concluso con la crisi del governo tedesco.

La coalizione fra SPD, FDP e Verdi che ha guidato la Germania negli ultimi tre anni ha avuto lotte intestine e disaccordi fin dalla sua formazione. L’anno scorso, per esempio, la coalizione voleva destinare i fondi Corona al proprio programma di azione per il clima, ma una sentenza della Corte costituzionale federale, a seguito di una causa intentata dal partito conservatore CDU, ha fermato i loro piani.

Nelle ultime settimane la coalizione ha cercato di concordare un piano di bilancio, ma alla fine non ci è riuscita. A quanto pare, questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della loro collaborazione: il cancelliere Olaf Scholz (SPD) ha licenziato il ministro delle finanze Christian Lindner (FDP), leader di uno dei tre partiti della coalizione (di cui fanno parte anche i Verdi).

Di conseguenza, due dei tre ministri del partito di Lindner si sono ritirati dalle loro posizioni. L’FDP ha di fatto interrotto la collaborazione con i partner della coalizione. La coalizione di governo si è sciolta (cf. qui). Di conseguenza, il Cancelliere Scholz ha annunciato nuove elezioni. Ma qual è la procedura in un caso come questo?

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Le opzioni sono molteplici. In teoria, il Cancelliere potrebbe continuare a governare con un governo di minoranza – con elezioni per il Parlamento da tenersi nel prossimo autunno. Tuttavia, senza una legge di bilancio e con una minoranza in parlamento è quasi impossibile approvare nuove leggi o finanziare nuovi progetti.

Il Cancelliere Scholz ha invece già promesso elezioni rapide. Affinché le elezioni abbiano luogo in tempi ristretti, il Bundestag, il parlamento tedesco, deve essere sciolto. In primo luogo, il cancelliere deve presentare una Vertrauensfrage (mozione di fiducia) in Parlamento. Poi, in una votazione palese, i membri del parlamento mostrano se continuano a sostenere l’attuale governo.

Se il Parlamento esprime la propria fiducia verso il governo, il Cancelliere e la coalizione rimangono al loro posto. Se il Parlamento invece non dà la fiducia, allora l’articolo 68 della Legge fondamentale tedesca stabilisce che il Presidente federale Frank-Walter Steinmeier ha 21 giorni di tempo per sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. In teoria, il Parlamento attuale potrebbe anche eleggere un nuovo Cancelliere se fosse in grado di trovare una nuova maggioranza. Tuttavia, tutti i partiti si sono espressi a favore di elezioni anticipate in tempi brevi.

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Quando potrebbero tenersi le elezioni? Dopo approfondite discussioni, è stato raggiunto un accordo tra i due maggiori partiti tedeschi, quello del Cancelliere Scholz (SPD) e il principale partito di opposizione (CDU), approvato dal Presidente Steinmeier. Il Cancelliere presenterà la mozione di fiducia l’11 dicembre e il voto ufficiale avrà luogo il 16 dicembre. Questa tempistica lascia un ampio margine di tempo fino alle previste nuove elezioni, che si terranno il 23 febbraio 2025 (cf. qui).

È solo la seconda volta dalla riunificazione della Germania nel 1989 che viene presentata una mozione di fiducia. L’ultima volta è stata nel 2005, anno che ha posto fine al regno del partito socialdemocratico e ha visto Angela Merkel del partito cristiano-democratico salire allo scranno della cancelleria federale.

La Germania, nota per un quadro politico stabile istituzionalmente garantito, ha un sistema rigoroso per lo scioglimento del Parlamento – questo a causa della sua storia. Infatti, nella Repubblica di Weimar (1918-1933) il presidente poteva sciogliere il Parlamento quando voleva. Questo ha fatto sì che tutti i parlamenti di allora venissero sciolti senza giungere al termine del loro mandato. Oggi, proprio per non ritrovarsi nelle condizioni di continua instabilità di allora, il processo di scioglimento del Parlamento richiede tempo e l’accordo di tutti i soggetti governativi e politici coinvolti.

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Prima della fine della coalizione, l’opinione pubblica aveva iniziato a esprimere preoccupazione per la situazione del governo. Tra questi, si è fatta sentire anche la voce della Chiesa cattolica tedesca: “Le continue lotte intestine della coalizione non contribuiscono a creare fiducia nel governo e nei suoi piani, anzi fanno il gioco dei movimenti antidemocratici” (qui). Una fine anticipata della coalizione porterebbe all’instabilità politica e al rinvio di importanti riforme.

L’FDK (Unione cattolica delle famiglie) aveva invitato la coalizione a lavorare insieme per trovare soluzioni costruttive. Il loro appello è arrivato troppo tardi. Ora, con l’imminente campagna elettorale durante le vacanze di Natale, il vescovo luterano di Hannover, Ralf Meister, ha chiesto moderazione dei toni nella campagna elettorale: “la gente ha bisogno di una puasa che le dia tempo per riflettere[…] soprattutto in un anno che ci ha portato sull’orlo dell’esaurimento con le sue crisi e le sue sfide” (qui).

La preoccupazione per la (in)stabilità politica della Germania è condivisa in Germania e in Europa. Soprattutto dopo la rielezione di Trump, l’UE ha bisogno di stabilità e affidabilità da parte di uno dei suoi membri più influenti.

Le voci europee chiedono un’UE forte e unita – e una Germania forte: “Se l’Europa vuole mostrare di essere un soggetto forte, è un problema che il suo membro più influente sia in crisi e si debba concentrare sulla politica interna” (Göteborgs-Posten, qui).

Preoccupazioni simili vengono anche dall’Inghilterra: “La Germania – come la Francia, dopo gli errori di calcolo di Emmanuel Macron a metà estate – attraverserà ora un periodo di instabilità con un debole governo di minoranza. Non è una situazione ideale, visto che Trump si impegna a reimpostare la politica occidentale sull’Ucraina e a fare pressione sull’Unione Europea in materia di commercio. In un momento cruciale, il favoloso “motore” franco-tedesco dell’integrazione e dell’unità europea sta stridendo e rantolando” (The Guardian, qui)

“L’incertezza da Parigi a Berlino ha creato un vuoto di potere continentale che potrebbe incoraggiare la Russia nella sua guerra in Ucraina – si osserva oltre Atlantico. Questa situazione rischia di ostacolare la capacità dell’Europa di rispondere a una guerra commerciale globale, se il prossimo anno il presidente Trump si muoverà rapidamente per imporre pesanti tasse sulle importazioni negli Stati Uniti” (New York Times, qui).

Dietro il velo della crisi

La rottura della coalizione è stata attivamente provocata dall’FDP. Dopo aver diviso la colpa della fine della coalizione tra il cancelliere Olaf Scholz (SPD) e l’ex ministro delle Finanze e capo dell’FDP, Christian Lindner, il quotidiano tedesco Die Zeit rivela ora alcune informazioni sulle riunioni dell’FDP.

Nel tentativo di salvare il proprio partito dall’insignificanza di fronte ai pessimi risultati dei sondaggi, i politici e i ministri dell’FDP si sono incontrati a settembre per discutere come interagire ulteriormente con la coalizione. Sono state presentate tre opzioni:

1. Lo scenario Wolfgang-Gerhardt: lavorare con il governo fino alla fine.

2. Lo scenario Gerhard-Schröder: far chiedere al Cancelliere la Vertrauensfrage (mozione di fiducia).

3. “D-Day”: provocare la rottura della coalizione, spingere il cancelliere, la SPD e i Verdi a cacciare i ministri della FDP.

(Il D-Day ricorda il giorno in cui le truppe statunitensi entrarono in Normandia nel 1944. Segna l’inizio della fine del regime nazista, la liberazione dell’Europa dal fascismo. Ora, l’FDP vuole liberarsi da Olaf Scholz, dalla coalizione).

Sebbene il dibattito su quale opzione scegliere sia stato percepito in modo diverso da ciascun membro che ha partecipato alle riunioni dell’FDP, divenne evidente che Lindner era favorevole alla fine della coalizione.

Il piano che seguì prevedeva tre fasi. In sostanza, mettere sotto pressione i partner della coalizione, metterli l’uno contro l’altro e aumentare la loro frustrazione nei confronti dell’FDP.

A metà ottobre, vi è stato un calendario prestabilito per ogni fase. Sembra che sia stata fissata anche una data per la fine della coalizione. Sebbene siano state sollevate delle preoccupazioni, la determinazione di Lindner a lasciare la coalizione era ovvia e incrollabile. La maggioranza della leadership del partito ha seguito il suo corso.

Tuttavia, il primo novembre, Wissing – l’unico (ormai ex) ministro dell’FDP rimasto al suo posto dopo la fine della coalizione la scorsa settimana – rilascia un’intervista, mettendo in guardia da una rottura della coalizione. Da questo momento in poi, non sarà più incluso nelle riunioni riguardanti la provocazione della fine della coalizione.

Mentre alcuni passaggi non sono andati come previsto, l’FDP è riuscita comunque a innervosire i suoi partner di coalizione. Lindner e Scholz si incontrano a cena. Il Cancelliere ha sentito voci su una rottura calcolata della coalizione. Lindner propone nuove elezioni se non si raggiunge un accordo. Tuttavia, il Cancelliere scopre i piani dell’FDP. Uscita dalla coalizione. Scholz ordina di scrivere tre discorsi: uno per la continuazione della coalizione, uno nel caso in cui l’FDP abbandoni, uno nel caso in cui egli cacci l’FDP.

La sera di mercoledì 6 novembre si riunisce il comitato di coalizione. Scholz presenta il proprio piano di bilancio. Entrambi i documenti, ossia le proposte di bilancio di Linder e di Scholz, sono formulati in modo tale da non consentire un accordo all’interno della coalizione. Scholz pone un ultimatum. Lindner rifiuta la sospensione dei freni al debito e Scholz lo licenzia. Il Cancelliere si presenta davanti alla stampa e pronuncia il discorso che i suoi hanno preparato.

Pochi istanti dopo, Lindner rilascia una dichiarazione alla stampa. Lui, che ha calcolato per mesi la sua uscita dalla coalizione, è ora inorridito dalla “dichiarazione meticolosamente preparata” del cancelliere e dalla sua “rottura calcolata della coalizione”.  Laura Welle

Laura Welle è una studentessa dell’Università di Flensburg, attualmente in stage a Bologna presso SettimanaNews nel quadro curricolare del ciclo di studi magistrali “Kultur-Sprache-Medien” a cui è immatricolata. Farà parte della nostra redazione fino a marzo 2025. SettNews 16

 

 

 

 

 

La Germania cambia rotta?

 

Debito comune europeo, Trump e Cina visti da Wolff (Bruegel). Crescita economica stagnante e incertezze globali da Pechino a Washington. “Assolutamente possibile” che Berlino ripensi le posizioni su debito pubblico e ruolo dell’Ue, spiega l’economista. Ma la campagna elettorale sarà decisiva per definire le priorità del motore d’Europa - di Otto Lanzavecchia

La data definitiva per le elezioni in Germania è il 23 febbraio. La conferma è arrivata dopo l’accordo tra i socialdemocratici (Spd) del cancelliere Olaf Scholz e i conservatori (Cdu) all’opposizione, guidati da Friedrich Merz, allo scopo di accelerare i tempi e garantire al Paese un governo stabile. Ma passeranno mesi, tra campagna elettorale e il tempo necessario per formare il prossimo governo. Prospettiva tutt’altro che ideale per i tedeschi alle prese con crescita economica anemica, sfide sul versante cinese e l’ombra della prossima amministrazione statunitense.

Al momento è “impossibile fare previsioni”, spiega Guntram Wolff, Senior Fellow dell’influente think tank Bruegel, professore di economia alla Libera Università di Bruxelles e già direttore del Consiglio Tedesco sulle Relazioni Estere. Certamente la coalizione attuale “non ha più la forza per andare avanti”. Ma non è affatto chiaro che peso avranno i vari partiti dopo le elezioni, spiega a Eurofocus: molto dipende dalla campagna elettorale e dai candidati, inclusa la scelta del prossimo leader dell’Spd (che stando alla stampa tedesca potrebbe essere sempre Scholz nonostante la picchiata del livello di miconsenso).

Naturalmente, se i partiti agli estremi dello spettro politico – AfD a destra e Bsw a sinistra – otterranno risultati eccezionali, cambieranno il paradigma e le priorità del Paese. Che al momento è concentrato su due aspetti fondamentali: la situazione di sicurezza in Europa e il futuro del modello economico tedesco, che soffre di produttività stagnante. Per Wolff sono questi gli elementi che avranno un “forte impatto” sulle scelte dei cittadini e attorno a cui ruoteranno le decisioni e i compromessi politici. Le elezioni americane hanno dimostrato il potere della stagnazione economica, anche solo percepita. Per quanto riguarda l’Ucraina, basti ricordare che a giugno sia i deputati di AfD che quelli di Bsw hanno boicottato un discorso del leader ucraino Volodomyr Zelensky al Bundestag.

Debito: sicurezza, clima, Europa

Sicurezza e prosperità “richiedono un chiaro impegno nei confronti dell’Unione europea”, l’unico contesto dove, secondo l’esperto, si può trovare una soluzione strutturale ai problemi tedeschi. Le priorità principali del prossimo governo dovrebbero essere quelle di “ripensare l’approccio di Berlino nei confronti dell’Ue e trovare un modo per impegnarsi meglio con i partner europei”. Al punto da ripensare posizioni su cui i tedeschi sono stati finora inamovibili, come il tetto al debito e i prestiti congiunti a livello europeo? Assolutamente possibile, rimarca Wolff.

“Certamente vedo la possibilità che si ripensino le regole nazionali e l’approccio al finanziamento della spesa per la difesa, in particolare attraverso il debito. In questa fase non escluderei uno scenario del genere nemmeno con un cancelliere della Cdu”, storicamente avversi all’aumento della spesa e all’indebitamento comune europeo. Del resto, la necessità per Germania e Ue di intensificare i propri sforzi “non potrà che crescere nei prossimi mesi, soprattutto con l’elezione di Donald Trump”.

Questo non vuol certo dire che le “differenze filosofiche” in materia di politica economica scompariranno. Per dirne una, l’utilizzo del debito pubblico delineato nel rapporto di Mario Draghi come soluzione al problema della crescita “è visto con scetticismo” praticamente dall’intero arco politico tedesco. “Usarlo per risolvere alcuni problemi, sì; come panacea, certamente no”, riassume l’esperto di Bruegel. Per esempio, una voce di spesa pubblica destinata a crescere sarà quella per la risposta al cambiamento climatico: almeno un quarto del denaro deve provenire dai governi, e per Wolff quello di Berlino dovrà ricorrere, almeno in parte, al debito pubblico.

Riattivare il motore tedesco

Secondo l’economista il prossimo governo porrebbe molta enfasi sul lato dell’offerta, di cui c’è “una chiara necessità” per “mobilitare e attivare il potenziale dell’economia tedesca”. Sul lato della domanda, tra la minaccia russa e il possibile riassetto della Nato in chiave trumpiana, rimane “fondamentale raggiungere la capacità di spesa adeguata per la sicurezza”. Cosa difficile da fare a scapito della spesa sociale perché sarebbe una mossa “politicamente sgradevole”.

Ci sono però motivi di cauto ottimismo, continua Wolff. A livello macroeconomico l’inflazione sta scendendo, e le famiglie hanno risposto all’incertezza degli ultimi mesi aumentando i risparmi. “Quindi eliminare un po’ di incertezza, magari anche diventando più credibili sulla deterrenza militare, è già un tipo di misura che favorisce la domanda”.

Nucleare…

Vale la pena esaminare le prospettive di un possibile governo Merz, visto che la Cdu (e la gemella Csu in Bavaria) rimane in testa ai sondaggi ed è uscita vittoriosa dalle europee di giugno. Soprattutto su due temi chiave. Sul primo, il caro-energia e il ruolo del nucleare, il partito dice di voler valutare la riapertura delle centrali – anche se gli operatori del settore spiegano che non è più così facile da fare. “Sarebbe stato relativamente semplice continuare a far funzionare le centrali nucleari due anni fa. Ora che sono state spente richiederanno investimenti considerevoli e probabilmente poco redditizi, visto quanto sono scesi i prezzi delle rinnovabili”, rimarca Wolff.

… e Cina

L’altro grande interrogativo riguarda il primo partner commerciale per la Germania, nonché un mercato fondamentale per le esportazioni di cui vive l’economia tedesca. Secondo l’economista un governo targato Cdu sarebbe più “falco” di quello attuale. La sua ricetta per affrontare la questione Cina: ridurre la dipendenza dalle catene di approvvigionamento e dalle esportazioni cinesi, e diversificare verso altri mercati. Indicazioni ampiamente discusse e accettate, “relativamente chiare in teoria ma molto più difficili da mettere in pratica”. Per implementare questa visione servirebbe applicare misure concrete e politicamente costose, visto che alcune aziende ci rimetterebbero piuttosto rapidamente, spiega Wolff. “Il prossimo governo sarà pronto ad affrontare questo rischio? Dipende dagli esiti politici”. Adnkronos 15

 

 

 

 

Elezioni, politiche migratorie ed economia. Il dilemma tedesco

 

Le recenti elezioni europee hanno spostato il continente su posizioni conservatrici, soprattutto per quanto riguarda le migrazioni. Ciò è evidente in Germania, dove si prospettano e approvano restrizioni per quanto riguarda il welfare degli immigrati, l’asilo dei profughi, le espulsioni e i respingimenti. L’affermazione dei partiti dell’estrema destra induce il governo alla massima cautela sulle questioni migratorie. Ma, come la Germania, molti altri paesi europei vanno nella stessa direzione. di Edith Pichler (da Neodemos)

Il Governo tedesco (Socialdemocratici, Verdi e Liberali), negli ultimi due anni, ha approvato due leggi per facilitare l’immigrazione di manodopera verso la Germania (Neodemos • La Germania vuole diventare attrattiva! La nuova legge sulla immigrazione e il disegno di legge sulla cittadinanza): una legge sulla immigrazione e la nuova legge sulla naturalizzazione. Leggi contestate sia dalla CDU e CSU, – entrambi vogliono cambiarle dovessero vincere le elezioni il prossimo anno – e dal partito di estrema destra AFD, che da anni ha fatto della politica contro i cittadini immigrati e l´immigrazione un suo cavallo di battaglia: contro un welfare generoso con gli immigrati, a favore della introduzione di controlli alle frontiere e ad una politica di naturalizzazione severa nell’interesse della Germania. Ma anche Sahra Wagenknecht (figlia di un Iraniano immigrato nella DDR) fondatrice del nuovo partito populista di sinistra BWS, già  dall´anno scorso ripeteva, in vista delle elezioni europee, che la Germania non ha “più spazio” per migranti, i quali causerebbero inoltre un “dumping salariale”, ed aggiungendo che bisogna  tagliare i benefici per i richiedenti asilo.

I risultati delle elezioni Europee sembrano avere dato ragione a questi partiti, democratici o meno, critici o avversari nei confronti di una politica migratoria “generosa”. Infatti il partito CDU/CSU ha guadagnato alcuni punti rispetto alle elezioni 2019 e con il 30% dei voti è il primo partito, seguito dalla AFD con  il 15,9% (5 punti percentuali in più), seguito dalla SPD col 13,9% (2 punti in meno), dai Verdi  con l’11,9% ( meno 8,6 punti),  e i Liberali (5,2 punti in meno). Si impone come quarto partito alla prima “uscita” il partito della Wagenknecht  BSW, con il 6,2 % superando di alcuni punti il suo ex partito die Linke.

Elezioni e restrizioni

Da questo momento, anche in vista delle elezioni del settembre scorso in tre Bundesländern della ex Germania Orientale (Brandenburgo, Turingia e Sassonia), anche i partiti della coalizione hanno incominciato a discutere e proporre politiche restrittive nei confronti della immigrazione e dei profughi.

Si è iniziato già in primavera, con la discussione circa la conversione dell´assegno sociale in contanti per rifugiati in una “carta di pagamento”, una specie di carta di credito (460 Euro di disponibilità), proposta che i diversi Bundesländer applicheranno entro l’autunno. Il vantaggio di questa carta di credito secondo il Governo, appoggiato dalla opposizione, è che l´importo disponibile può essere “utilizzato” solo in Germania e non permette come in passato di fare versamenti/trasferimenti nel Paese d’origine. Indiretto scopo del Governo, “suggerito” dai partiti della opposizione, è quello di bloccare il finanziamento dell’immigrazione irregolare

Dopo i risultati delle elezioni del 4 settembre in Sassonia (qui governava una coalizione CDU, SPD e Verdi) e in Turingia (qui al governo era una coalizione di minoranza tra Linke, SPD e Verdi), dove l´AFD   è diventato il primo partito con più del 30%, si è iniziato da parte del Governo a discutere la politica del controllo delle frontiere e dei respingimenti.

Già in precedenza, la CDU/CSU aveva insistito con veemenza sul fatto che la Germania dovesse respingere i rifugiati alle sue frontiere, e il leader della CDU Friedrich Merz aveva persino chiesto al Cancelliere di esprimere una “parola di autorità”. Ma nel governo di coalizione, molti politici, i Verdi in particolare, si erano espressi contro i respingimenti alle frontiere tedesche. Nonostante ciò, la Ministra degli Interni Nancy Faeser ha ordinato controlli temporanei, iniziati il 16 settembre, a tutte le frontiere tedesche per ridurre ulteriormente il numero di ingressi non autorizzati. Tuttavia. secondo la CDU/CSU l´iniziativa di Faeser non sta determinando un aumento dei respingimenti. Per gli osservatori critici di questa politica si tratta di una scelta soprattutto simbolica. Faeser voleva dimostrare prima delle elezioni nel Brandeburgo che: “Stiamo facendo qualcosa”. Gli esperti dubitano che il numero di richiedenti asilo possa diminuire, o rendere la Germania più sicura, dato che non c’è correlazione tra ingressi illegali e criminalità.  Al contrario, c’è la minaccia che i tempi di attesa alle frontiere si allunghino. causando ingorghi e ostacolando i pendolari e la circolazione delle merci. Faeser ha promesso in questo contesto “controlli intelligenti” (che implicherà certamente il ricorso al “profiling razziale”). Non è un caso de Viktor Orbán si sia subito congratulato con Olaf Scholz con le parole “Benvenuto nel club”!

Già a fine 2023 il governo federale aveva proposto una normativa del Ministero federale dell’Interno che inasprisce la legge sulle espulsioni, prevedendo rimpatri più rapidi ed espulsioni di persone senza diritto di soggiorno in Germania.  Il disegno di legge corrispondente è entrato in vigore il 27 febbraio 2024.  Secondo diverse fonti il governo tedesco nei primi tre mesi dell’anno, ha operato 4.700 espulsioni in più (+30%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.  Il maggior numero di espulsioni è avvenuto verso la Georgia, la Macedonia del Nord, l’Albania e la Serbia.

Anche in vista delle elezioni (poi vinte), la AFD ha presentato una mozione alla sessione plenaria del Bundestag una mozione che richiede di avviare subito un’inversione di rotta della politica migratoria, “adottando misure per porre immediatamente fine ai flussi di immigrazione clandestina”. In sostanza si chiedeva al governo federale di controllare i confini, e di erigere barriere e recinzioni quando necessario, e di respingere gli ingressi non autorizzati da un Paese di transito sicuro (ad esempio la Polonia) che non avrebbero potuto, pertanto, avere diritto all’asilo. In risposta a coloro che sostengono che alla mancanza di manodopera si può rispondere con l’immigrazione, la AFD propone di avviare programmi per incentivare la formazione professionale e tecnica dei cittadini tedeschi e promuovere la natalità attraverso aiuti alle famiglie “tedesche”.

Il caso dei profughi Turchi

Toccati, in parte, dalle proposte della AFD sono i tanti cittadini Turchi arrivati in Germania negli ultimi anni, che non potendo avere un visto o arrivando senza un permesso di lavoro hanno fatto richiesta d´asilo. Fra loro persone di origine Curda originarie dalle zone del terremoto, ma anche intellettuali, professori universitari e giornalisti, come nel caso più noto di Can Dündar, caporedattore del giornale Cumhuriyet, condannato in Turchia a 27 anni di carcere. Le reti sociali e parentali qui in Germania hanno favorito questi ingressi formalmente illegali. Ultimamente però in una intervista di fine agosto, la Ministra Nancy Faeser (SPD) ha annunciato una politica di espulsione verso la Turchia. “Ora abbiamo ottenuto che i rimpatri verso la Turchia possano avvenire in modo più rapido ed efficace e che la Turchia riprenda più rapidamente i cittadini che non sono autorizzati a rimanere in Germania”. C´è da chiedersi se l’accordo con Erdogan sui profughi siriani, afghani, e altre provenienza non abbia determinato una intesa “non dichiarata” del tipo: “Tu, Erdogan, trattieni i profughi che noi non vogliamo, e noi ti rimandiamo i tuoi”, in gran parte oppositori del regime.lo” tu tieni quelli e noi ti mandiamo i tuoi”. Poco male se così facendo si calpestano i diritti umani.

Nei primi 8 mesi di quest’anno, l’ufficio federale per le migrazioni aveva riconosciuto come “profugo”, e quindi destinatario di protezione, solo il 9,6% dei 28.492 cittadini turchi richiedenti asilo. Secondo informazioni riportate da diversi media, fonti governative hanno rivelato che la Turchia si è offerta di riprendersi fino a 500 cittadini a settimana. Sicuramente una prospettiva assai inquietante per gli espulsi.

Conclusioni

Il governo della Germania, data la difficile situazione politica e economica, viene definito “stabile-instabile”. È di questi giorni la notizia che la Volkswagen, simbolo della potenza economica della Germania, intende chiudere diversi stabilimenti e licenziare più di 10.000 persone. Tra questi molti sono italiani, inclusa Daniela Cavallo, figlia di emigrati italiani e presidente del consiglio di fabbrica globale. Se più di 10.000 persone – senza includere i lavoratori dell’indotto – perderanno il loro lavoro, riscoprirà la SPD la sua anima “politica-sociale” o si apriranno ulteriori spazi per partiti antistranieri, antimmigrazione, come la AFD e, in parte, la BSW?

FONTE: https://www.neodemos.info/2024/11/08/elezioni-politiche-migratorie-ed-economia-il-dilemma-tedesco/ (Neodemos/dip)

 

 

 

 

Il Ministro degli Esteri Tajani in missione a Monaco di Baviera

 

Incontro all’ESO con gli scienziati italiani e una rappresentanza della comunità italiana

Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, ha visitato oggi a Garching, nei pressi di Monaco di Baviera, l’Osservatorio Europeo Australe (European Southern Observatory – ESO), principale struttura di ricerca astronomica in Europa e osservatorio astronomico più produttivo al mondo, per incontrare gli scienziati italiani presso l’organizzazione e una rappresentanza della comunità italiana a Monaco. “Siamo orgogliosi del peso rivestito dall’Italia all’interno di ESO. Il MAECI contribuisce con 25 milioni di euro all’anno al budget dell’organizzazione e tanti nostri connazionali lavorano nella struttura, ricoprendo in molti casi ruoli di prestigio. E’ un tassello di politica estera di cui siamo tutti orgogliosi” ha dichiarato il Ministro. “Sono numerose le aziende italiane che collaborano con ESO alla realizzazione di progetti all’avanguardia dall’altissimo valore tecnologico e scientifico” ha continuato il Vice Presidente del Consiglio “l’Italia guarda con grande interesse ad un settore come quello dell’astrofisica che contribuisce in maniera importante all’innovazione, alla crescita e alla competitività europea” ha concluso il titolare della Farnesina. L’ESO, istituito nel 1962, conta ad oggi 16 Stati membri. Tra le iniziative di punta dell’Osservatorio rientra anche l’European Extremely Large Telescope (ELT), in costruzione in Cile, in procinto di diventare il più grande telescopio al mondo e la cui direzione è affidata all’italiano Roberto Tamai. (Inform/dip 15)

 

 

 

 

ReteDonne-Germania: sostegno alle donne che subiscono violenza

 

Gli allarmanti dati sui femminicidi e sul numero delle donne vittime di diversi tipi di violenza, diffusi lo scorso 19 novembre dall’Ufficio federale della polizia criminale tedesca (BKA), ci presentano una tragica e amara realtà di cui in Germania se ne parla ancora troppo poco.

Un solo dato è indicativo per tutti gli altri: quasi ogni giorno in Germania muore una donna vittima di femminicidio.

Purtroppo sappiamo che anche le donne italiane che vivono in questa nazione sono spesso vittime di violenze domestiche, fisiche, psicologiche o di altro genere, ma che, per diverse ragioni, non sanno a chi rivolgersi, con chi parlarne o dove sporgere denuncia.

La barriera linguistica è il primo ostacolo contro il quale molte si devono confrontare.

Per questo motivo ReteDonne vorrebbe creare una mappa interattiva della Germania dove sono indicati sportelli, uffici, singole associazioni, Patronati o istituzioni, a cui le donne in difficoltà, o vittime di violenza, si possono rivolgere in lingua italiana per ottenere un primo aiuto o semplicemente ascolto.

La mappa interattiva e le informazioni raccolte verranno messe a disposizione di tutte e tutti sul web e tramite i social, per un’ampia e capillare diffusione.

ReteDonne e.V. si appella ai Com.It.Es della Germania, alle associazioni, ai Patronati e ai singoli, perché collaborino alla stesura della mappa, inviando tutte le informazioni di cui sono a conoscenza al seguente indirizzo: retedonne@gmail.com

ReteDonne e.V. – coordinamento donne italiane all’estero

Luciana Mella, presidente https://retedonne.net/it/  (dip)

 

 

 

 

 

25 novembre: sedia rossa in consolato a Friburgo/Brsg, scarpe rosse in Ambasciata

 

Friburgo - In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il Consolato d'Italia a Friburgo ha inaugurato una sedia rossa nella sua sala d'attesa, accompagnata dalla targa che recita KEIN PLATZ FÜR GEWALT GEGEN FRAUEN.

Presenti alla cerimonia di inaugurazione il Primo commissario Capo della Polizia di Friburgo e il Commissario Capo, la responsabile delle relazioni internazionali della città di Friburgo, alcuni rappresentanti delle associazioni locali impegnate al fianco delle donne vittime di violenza e, in rappresentanza della comunità italiana, la Vicepresidente e il Segretario del Comites di Friburgo.

Durante la cerimonia la Console, Francesca Toninato, ha sottolineato che l'impegno del Consolato non si esaurisce con questo momento simbolico ma continua quotidianamente: "nel tentativo di tendere la mano a chi non può o non riesce a chiedere aiuto abbiamo predisposto una cartellina rossa in sala d'attesa, dello stesso rosso della sedia che attiri l’attenzione dei connazionali che attendono l’appuntamento e nella quale sono contenuti documenti informativi, numeri utili, contatti di associazioni, punti di riferimento istituzionali e di reti di assistenza - spiega il Consolato -. Tutto il materiale sarà sempre disponibile anche in formato digitale nel sito del Consolato, nella sezione dedicata dall’assistenza sociale ed è parte di un’idea condivisa e di un progetto congiunto realizzato insieme al Comites di Friburgo".

La Console Toninato ha sottolineato anche che l’assistenza ai connazionali non si ferma a questa data e, in un’ottica di maggiore sensibilizzazione, il prossimo 8 marzo 2025, in occasione dell’inaugurazione di un importante progetto innovativo realizzato dal Comites di Friburgo, la giovane attrice italiana Stefania Benincaso porterà in scena il monologo “Stand-up per il dolore” che mira a far riflettere sul tema della violenza di genere.

Le attività del Consolato confermano, anche nei confronti delle autorità cittadine locali, l’attenzione dell’Italia per questa tematica, inserendosi perfettamente nel quadro delle iniziative dei “16 Tage gegen Geschlechtsspezifische Gewalt - 16 giorni contro la violenza di genere” realizzate dalla città di Friburgo, con il sostegno dell’Ufficio sociale del Land Baden-Württemberg, che includono conferenze, workshop di difesa personale, cineforum e altro sul tema.

A conclusione della cerimonia odierna è stata letta una breve riflessione elaborata per l’occasione dalla filosofa italiana Prof. Francesca Brencio, ex consigliera dell’attuale Comites che ha studiato e lavorato per lungo tempo a Friburgo e che è stata insignita nel 2021 del Sigillo d’Eccellenza della Commissione Europea per il suo progetto di ricerca in ambito filosofico.

"Lo spazio e il corpo vivono in reciproca relazione. Non c'è spazio senza corpo, perché altrimenti non può essere percepito. E non c'è corpo senza uno spazio che lo accolga. Una sedia vuota narra entrambi: un corpo che non c'è e uno spazio da occupare. Ma una sedia vuota narra anche che ad un corpo può essere stata sottratta la possibilità di esserci. La violenza di genere, in ogni sua forma, è questo. Sottrazione. Delegittimazione. Di dignità, di parola, di scelta, di vita”.

Scarpe rosse in Ambasciata a Berlino

Tante scarpe dipinte di rosso per testimoniare l’impegno nella lotta alla violenza di genere in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. È questa l’iniziativa dell’Ambasciata d’Italia a Berlino, che già ha voluto ribadire il suo sostegno nella lotta alla violenza di genere lo scorso aprile con l’installazione nel proprio cortile di una panchina rossa, simbolo del vuoto lasciato dalle vittime di femminicidio.

Per il 25 novembre di quest’anno gli spazi dell’Ambasciata hanno accolto un altro emblema della battaglia contro gli abusi sulle donne: tante paia di scarpe rosse donate collettivamente dai dipendenti dell’Ambasciata per ricordare tutte le vittime di maltrattamenti e femminicidi e impegnarsi insieme per fermarli.

Come già ricordato dal vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, è necessario che l’Italia assuma un ruolo guida nella promozione dell’uguaglianza di genere e nel contrasto ad ogni forma di violenza e discriminazione nei confronti delle donne.

Un forte impegno sottolineato anche dall’ambasciatore Armando Varricchio. “Le uccisioni legate al genere e altre forme di violenza contro donne e ragazze sono inaccettabili”, ha detto Varricchio. “È necessario uno sforzo collettivo per prevenirle e rafforzare il rispetto della libertà dell’altro”, ha aggiunto.

(aise/dip 26)

 

 

 

 

 

Le ultime puntate di Cosmo italiano, ex Radio Colonia

 

21.11.2024. Rinnovabili contro l'emergenza climatica: a che punto siamo?

Meno emissioni di anidride carbonica e addio ai combustibili fossili per frenare il riscaldamento climatico: a che punto siamo? Lo svela il nuovo Climate Change Index, come ci spiega Giulio Galoppo, con uno sguardo alle rinnovabili in Germania. E in Italia? Ne parliamo con il giornalista Jacopo Giliberto, con uno sguardo a Baku, dove il mondo riunito discute di come finanziare la lotta all'emergenza climatica. Con Enzo Savignano diamo poi uno sguardo al futuro del Green Deal europeo. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/clima-energie-rinnovabili-green-deal-germania-baku-cop29-100.html

 

20.11.2024. La bellezza e il potere della lingua e letteratura italiana

Ma quant'è bella la lingua italiana? Se ne accorge soprattutto chi vive all'estero, che si sente sempre un po' più a casa quando la parla o la sente. Ce ne svela tante curiosità Giuseppe Antonelli, curatore del Museo Multimediale della lingua italiana MULTI. Ascoltiamo poi come si vive da bilingui, e parliamo del potere delle parole e della letteratura, soprattutto in tempi di derive autoritaristiche, con lo scrittore Fabio Stassi, appena premiato con l’Hermann-Kesten-Preis del PEN club tedesco. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/lingua-italiana-parola-democrazia-germania-100.html

 

19.11.2024. La gestazione per altri in Italia è reato. E in Germania?

Nei giorni scorsi il presidente Mattarella ha firmato la controversa legge che rende la maternità surrogata un reato universale. Verrà quindi punito il ricorso alla gestazione per altri, anche se la pratica viene attuata all'estero in Paesi in cui è legale. In questo podcast l'avvocata Filomena Gallo spiega cosa cambia con la nuova legge italiana, Giulio Galoppo fa il punto sulla normativa tedesca, mentre con Jens Landwehr raccontiamo la storia di una famiglia tedesca che è ricorsa alla Gpa. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/gpa-gestazione-per-altri-surrogacy-germania-100.html

 

18.11.2024. La campagna elettorale in Germania è già cominciata

Il 23 febbraio si terranno le elezioni anticipate per il Bundestag e la campagna elettorale, forse più breve di sempre, è già in pieno svolgimento. I principali partiti nominano i loro candidati cancellieri e i componenti dell'ex governo semaforo si rimpallano le responsabilità della crisi di governo. Facciamo il punto con Giulio Galoppo, mentre Enzo Savignano ci riassume tre anni di liti del governo semaforo. Con Sara Nanni, parlamentare dei Verdi di origine italiana, proviamo a guardare oltre il voto per capire che ruolo potrebbe svolgere il suo partito in futuro.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/crisi-governo-coalizione-semaforo-germania-100.html

 

15.11.2024. Novembre è il mese del cinema italiano in Germania.

Dal 12 al 17 novembre la capitale tedesca ospita di nuovo l'Italian Film Festival Berlin, motivo per noi per parlare con i due ospiti principali di questa edizione: Antonio Albanese e Neri Marcorè, dei loro nuovi lavori e del loro rapporto con la Germania e col pubblico tedesco. Ma in queste settimane la Germania ospita anche altre due importanti rassegne di cinema italiano: Cinema! Italia! e Verso Sud. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/cinema-italiano-in-germania-102.html

 

 

14.11.2024. Cosa fa la Germania contro la violenza sistemica sulle donne?

Anche in Germania gli uomini molestano le donne e le uccidono: spesso sono i partner o gli ex. Ma se ne parla meno che in Italia. Agnese Franceschini ci racconta quali leggi sono in vigore o in progetto, come la Gewalthilfegesetz promessa dalla coalizione. Ma questa probabilmente non si farà, vista la crisi di governo. Gravissimo, ci spiega Suna Tan?? della Frauenhaus di Oberhausen: mancano fondi e posti. E Alessia De Carlo, psicologa a Stoccarda, offre aiuto alle donne in uno sportello gratuito.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/donne-violenza-femminicidio-germania-normativa-100.html

 

13.11.2024. Speciale: Damiano David a Colonia

Perché intraprendere ora una carriera solista, Damiano David? Il frontman della band Måneskin ce lo spiega in una lunga intervista, registrata in occasione di un suo showcase a Colonia per poche decine di fan. Con i suoi nuovi brani "Born with a broken heart" e "Silverlines" esprime una parte di sé finora poco svelata al pubblico, ha raccontato Damiano a Luciana Caglioti - aggiungendo qualcosa su successo, relazioni, passioni artistiche e sul futuro.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/damiano-david-solista-maneskin-intervista-speciale-colonia-germania-100.html

 

12.11.2024. Alimentazione e salute tra tradizione e scienza

Dal 16 al 22 novembre si terrà la IX Settimana della cucina italiana del mondo, il tema di questa edizione è "dieta mediterranea e cucina delle radici: salute e tradizione". Ma in questo podcast parliamo anche con Agnese Franceschini di come la cucina italiana cambi in emigrazione, ad esempio in Germania. E di nutrizione e dei suoi effetti sulla salute si parlerà anche al simposio organizzato dal Forum accademico italiano a Colonia venerdì 15 novembre. Laura Surace e Christian Frezza ci anticipano i temi dell'incontro.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/cucina-italiana-salute-nutrizione-100.html

 

11.11.2024. Cosa ci aspetta dopo la vittoria di Trump

Soddisfatto il governo italiano, prudente quello tedesco: con Agnese Franceschini vediamo le reazioni alla vittoria di Donald Trump in Germania, Italia e nell'Unione Europea. L'elezione di Trump rappresenta una sterzata notevole nelle relazioni transatlantiche, ne abbiamo parlato con Raffaele Marchetti, professore di Politiche Internazionali all'Università LUISS a Roma.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/trump-reazioni-italia-germania-ue-futuro-100.html

 

Musica italiana non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla app di COSMO e su Spotify.

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Viviana Vacante nuova Segretaria della Federazione Pd Germania

 

Francoforte- Si è svolta domenica 24 novembre, a Francoforte sul Meno, l’assemblea congressuale del Partito Democratico Germania. Quella di domenica è stata la tappa conclusiva di un percorso congressuale che ha visto due candidati in corsa alla segreteria della federazione, Viviana Vacante e Federico Quadrelli, e che ha registrato la partecipazione attiva di tutte e tutti gli iscritti degli 11 circoli presenti sul territorio tedesco. Al termine delle votazioni, l’assemblea ha proclamato Viviana Vacante nuova segretaria della Federazione PD Germania. Contestualmente sono stati eletti Andrea Ferrati alla carica di Presidente e Sara Sollazzi con la funzione di tesoriera.

Di fronte all’inverno della democrazia che l’Italia sta attraversando, la neo segretaria ha sottolineato con forza, nel suo intervento programmatico, la necessità di costruire una federazione unitaria e sempre più attiva tra la comunità italiana in Germania, con un richiamo alle parole della segretaria nazionale Elly Schlein: “Testardamente unitaria”. Viviana Vacante ha inoltre delineato le priorità operative immediate, tra cui le imminenti elezioni (febbraio 2025) e sfide legate alla crisi del governo tedesco, e la crisi in corso della Volkswagen con le sue ripercussioni su tutta l’Europa.

All’assemblea ha partecipato anche Luciano Vecchi, responsabile del Pd Mondo, che ha evidenziato l’importanza dell’impegno politico degli italiani residenti all’estero e il valore della loro partecipazione attiva, così come l’attenzione da parte del Partito Democratico nei confronti di tutti coloro che vivono fuori dall’Italia.

A conclusione dei lavori è intervenuto Toni Ricciardi, parlamentare del Pd eletto in Europa, che ha sottolineato lo storico traguardo raggiunto in Parlamento con l’approvazione di una legge, il cui testo porta a prima firma il suo nome, e che prevede la creazione di un fondo di 4 milioni di euro annui dal 2025, da distribuire agli uffici consolari per ridurre le liste d’attesa per il rilascio dei passaporti. Ricciardi ha inoltre affrontato i temi caldi della nuova legge di bilancio presentata dal Governo italiano: l’improvvisa abrogazione del sussidio di disoccupazione previsto per i lavoratori rimpatriati dalla legge n. 402 del 1975 e l’eliminazione della rivalutazione automatica per il 2025 delle pensioni dei residenti all’estero superiori al trattamento minimo. Ricciardi ha assicurato che, insieme al Partito Democratico, è già al lavoro per proporre emendamenti volti a migliorare il testo della Legge di Bilancio a favore degli italiani nel mondo.

La Federazione Pd Germania, sotto la guida della nuova segreteria, si prepara dunque a rafforzare il proprio impegno a favore della comunità italiana, come riporta la nota ufficiale della Federazione, affrontando con determinazione le sfide politiche e sociali che l’attendono. (aise 26) 

 

 

 

 

 

Scade a metà mese il premio dell’Ambasciata per gli studenti italiani in Germania

 

Berlino. Si avvicina la scadenza per partecipare (in modo totalmente gratuito) al premio scolastico promosso dall’Ambasciata d’Italia a Berlino per studentesse e studenti italiani in Germania, che torna quest’anno con la sua 7ma edizione. Il concorso vuole premiare chi abbia ottenuto i risultati migliori nella scuola primaria, nella scuola secondaria e alla maturità nell’anno accademico 2023-2024. Scadenza per presentare la propria pagella finale il prossimo 15 dicembre.

Vi possono partecipare tutti gli studenti di cittadinanza italiana regolarmente residenti in Germania e frequentanti la scuola tedesca dalla quarta classe alla maturità.

La copia della pagella dovrà essere spedita per email all’indirizzo scuole.berlino@esteri.it  indicando come oggetto “Premio Scolastico” insieme a cognome e nome dello studente partecipante. L’email dovrà inoltre contenere obbligatoriamente i recapiti telefonici e l’indirizzo dei partecipanti.

Gli studenti saranno suddivisi in cinque gruppi: scuola primaria (dalla quarta classe); ginnasi fino alla decima classe; altri tipi di scuola secondaria fino alla decima classe; ginnasi e scuole secondarie dall’undicesima classe; e diploma di maturità (Allgemeine Hochschulreife).

Le pagelle saranno valutate da un’apposita commissione dell’Ambasciata che, per ognuno dei cinque gruppi, selezionerà i vincitori. Il criterio principale di valutazione sarà la media più alta o, per la Maturità, il punteggio complessivo (Gesamtpunktzahl) più alto.

Ai vincitori saranno consegnati i premi in denaro messi a disposizione anche quest’anno da Ferrero S.p.A. Si tratta di 100 euro per ciascun vincitore delle prime quattro categorie, mentre al vincitore della quinta categoria il premio salirà a 1500 euro. (dip) 

 

 

 

 

 

A Darmstadt “Animae”, spettacolo di musica e performance teatrale del Duo Kham

 

In questi giorni, in concomitanza con la ricorrenza della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, mettere in scena uno spettacolo di musica e danza dal titolo “Animae” , è una sfida ed una proposta di riflessione che un duo femminile ed un giovane direttore artistico e regista, tutti italiani, desiderano proporre alla comunità italiana di Darmstadt e dintorni e agli amici tedeschi. Domani mercoledì 27 novembre, e domenica 1 dicembre, alle ore 20.00, al teatro Hoffart di Darmstadt (Lauteschlägerstr. 28a) andrà in scena lo spettacolo-concerto ANIMAE con la pianista Marta Cametti e la violinista Flavia Succhiarelli – conosciuto come Duo KHAM – la direzione artistica, nonchè la regia, di Donato Lospalluto. Lo spettacolo è un viaggio nella vita, un’esplorazione profonda delle emozioni che definiscono l’essere umano, lo trasformano, conducendolo talvolta fuori strada.  È un excursus di crescita e di scoperta, narrato attraverso la musica, il movimento e la rappresentazione teatrale. Diviso in due tempi, lo spettacolo è caratterizzato dalle varie tappe della vita; dalla nascita alla crescita, dalla passione alla riflessione fino all’autunno dell’esistenza. La performance si apre con cinque figure anonime sul palco. Indossano mantelli neri, cappucci e maschere bianche, sono ancora prive di identità e personalità. La scena è immersa in un’atmosfera surreale. Al riaccendersi di una luce-spot, due maschere inizieranno a muoversi, scoprendo gradualmente la loro essenza. Un risveglio dalla dimensione larvale che prende forma e sostanza nella e con la musica: i due personaggi infatti inizieranno a suonare un intro distopico al pianoforte e al violino, un’espressione sonora incerta e dissonante che cresce fino a trovare armonia. È l’inizio del viaggio, annunciato da una voce fuori campo: “Animae: next stop, the birth ” in cui le maschere, finalmente vive, faranno cadere a terra quella bianca ed anonima copertura del viso.

Il primo movimento, sottolineato da musiche di Beethoven, introdurrà la fase iniziale della vita. Le due musiciste suoneranno alcuni brani che condurranno le maschere ad animarsi in una danza semplice e simbolica. A seguire il secondo movimento rappresenterà un battesimo, mentre il terzo porterà in scena le dimensioni del gioco, dell’innocenza e della spensieratezza dell’infanzia, per concludersi col quarto movimento che rappresenterà l’adolescenza, con i suoi conflitti, cambiamenti e ribellioni. Il tutto in un crescendo emotivo e musicale.

Il secondo tempo inizierà con la Tarantella di Sarasate, musica che rappresenta la passione e l’eros. Accompagnamento musicale sottolineato da un gioco di luci rosse e costumi particolari realizzati su misura. Seguiranno momenti intensi e riflessivi, in cui l’amore, la follia e il conflitto verranno esplorati attraverso le musiche di Rossini e Listz. Il tessuto narrativo musicale si evolverà poi con la stupenda aria di “E lucevan le stelle” dalla Tosca di Puccini. Un brano intenso e struggente che unisce pianoforte e violino in un’esibizione senza tempo, introducendo il tema della mortalità. L’ultimo atto richiamerà gli elementi degli atti precedenti con le Sei Danze di Bela Bartók. Una forte e significativa rappresentazione del ciclo della vita e del passaggio nell’aldilà. La conclusione lascerà nuovamente le musiciste mascherate, di nuovo nel limbo, dopo che queste avranno vissuto ogni umana emozione possibile.

ANIMAE vuol essere un concerto-performance – pensato ed ideato da un gruppo tutto al femminile, come il Duo Kham, e dal giovane direttore artistico Donato Lospalluto, voluto e sostenuto anche dal Consolato Generale d’Italia a Francoforte – che non mancherà di trasmettere un grande impatto emotivo. Uno spettacolo nel quale si intrecceranno musica, narrazione e performance teatrale per offrire uno spaccato delle emozioni umane.  “ANIMAE” si potrà leggere come un’odissea nelle profondità dell’esperienza umana, capace di regalare una riflessione profonda sulla crescita personale e sui cicli della vita.  Oppure come un invito a interpretare e sentire liberamente, senza giudizi o pregiudizi, quel viaggio particolare, personale ma universale che parla e accompagna tutti noi: la nostra esistenza di donne e uomini, di esseri umani. (Michele Santoriello/Inform/dip 26)

 

 

 

 

Brevi di cronaca e di politica tedesca

 

SPD: il Cancelliere Scholz vince la lotta per il potereDopo settimane di lotte interne, i vertici dell’SPD hanno deciso: il partito si presenterà alle elezioni del 23 febbraio con il Cancelliere Olaf Scholz. L’11 gennaio la decisione sarà confermata in un congresso di partito. Nelle ultime due settimane, il partito aveva avviato una discussione pubblica sull'eventualità di candidare alla Cancelleria il ben più popolare ministro della Difesa Boris Pistorius. La leader dell’SPD Saskia Esken, tuttavia, ha ammesso gli errori nell’affrontare l’acceso dibattito: “Non abbiamo dato una buona immagine nella nomina del nostro candidato alla Cancelleria”, ha dichiarato Esken in un incontro con i giovani del partito, dove ha dovuto affrontare pesanti critiche. Il Co-presidente Lars Klingbeil ha esortato il partito a guardare in avanti: “Ora tutti insieme abbiamo il dovere di correre ai blocchi di partenza e avviare la campagna elettorale”. Solo pochi giorni fa il ministro Pistorius aveva rifiutato definitivamente una possibile candidatura, aprendo così la strada alla nomina del Cancelliere Scholz.

Nel frattempo il Cancelliere ha annunciato che nella campagna elettorale l’SPD si impegnerà per continuare a sostenere l’Ucraina, per il mantenimento dei posti di lavoro, l’assicurazione di salari giusti e per prezzi dell’energia accessibili. Anche il futuro delle pensioni sarà un tema particolarmente importante. Il 16 dicembre prossimo il Cancelliere Scholz intende porre la questione di fiducia al Bundestag. CDU e CSU avevano già annunciato a settembre il leader della CDU Friedrich Merz come candidato alla Cancelleria. A metà novembre, i Verdi hanno candidato alla Cancelleria il ministro dell’Economia Robert Habeck. Il 7 dicembre, la leader del partito di estrema destra AfD Alice Weidel verrà nominata candidata alla Cancelleria. È una novità: per la prima volta alle elezioni federali ci sono quattro candidati alla Cancelleria.

 

CDU-CSU s'incontrano a Varsavia                           

La CDU e la CSU stanno affinando il loro profilo di politica estera in vista delle prossime elezioni. I vertici dei gruppi parlamentari di CDU e CSU del Bundestag, dei Länder e del Parlamento europeo si incontrano a Varsavia per consolidare la cooperazione tra Germania, Francia e Polonia. Uno degli obiettivi è quello di potenziare i collegamenti ferroviari veloci tra Francia, Germania e Polonia. Inoltre, nel documento di sintesi si legge che “l’apprendimento del francese e del polacco nelle scuole in Germania acquisirà maggiore rilevanza, così come verrà maggiormente promosso l’apprendimento del tedesco in Francia e in Polonia”.

I vertici dei gruppi parlamentari chiedono inoltre di non chiudere i Goethe-Institut nei Paesi partner. Lo scorso anno la coalizione semaforo aveva chiuso diverse sedi, comprese alcune in Italia. CDU e CSU accusano la coalizione rosso-verde-gialla di non aver curato a sufficienza le relazioni con i due grandi Paesi confinanti con la Germania: “La coalizione semaforo ha gravemente danneggiato le relazioni con la Polonia e la Francia, mettendo a repentaglio il ruolo di guida della Germania in Europa”.

 

Campagna elettorale: la CDU presenta il nuovo simbolo

Con lo slogan “Di nuovo avanti”, i Cristiano-democratici puntano a vincere le elezioni anticipate del 23 febbraio 2025. “Vogliamo formare un governo stabile e in grado di agire”, scrive il Segretario generale della CDU Carsten Linnemann in una e-mail rivolta ai rappresentanti e ai funzionari di partito. “Sotto la guida di Friedrich Merz, avvieremo il cambiamento politico urgentemente necessario che riporterà la Germania in avanti”. Ed è stato presentato anche un nuovo simbolo: su un cerchio su sfondo bianco nel colore del partito “turchese Cadenabbia” (la località sul lago di Como in cui il Cancelliere Konrad Adenauer ha sempre passato le sue vacanze estive), il nuovo motto si mostra accanto a un sigillo nero-rosso-oro raffigurante la mappa della Germania. Il logo verrà utilizzato per tutti i prodotti dei Cristiano-democratici in campagna elettorale.

Il candidato alla Cancelleria e leader della CDU Merz ha dichiarato che il motto rappresenta “il necessario cambiamento politico di cui il nostro Paese ha bisogno ora”. Le elezioni serviranno a tracciare la prospettiva futura, per questo è pronto a riportare la Germania in prima linea, “ai vertici mondiali nella crescita economica e nell’innovazione, nella qualità della vita e nelle prospettive future, nelle pari opportunità e nelle opportunità formative”. Il Segretario generale della CDU Carsten Linnemann ha dichiarato che CDU e CSU mirano a diventare di gran lunga i partiti più forti nelle prossime elezioni e a guidare nuovamente il governo.

 

Scenari post elettorali: il leader della CSU Söder preferisce l’SPD

Il leader della CSU Markus Söder è a favore di un’alleanza con l’SPD. Prima, tuttavia, i Socialdemocratici devono cambiare il loro atteggiamento verso la politica migratoria e del Bürgergeld, l’equivalente tedesco del reddito di cittadinanza. Il consenso tra la popolazione rafforzerebbe l’idea di una coalizione rosso-nera: “La popolazione può immaginarsi un’alleanza del genere, che promette maggiore stabilità nel Consiglio federale”, ha sottolineato il governatore bavarese. 

“Ma è anche chiaro che una campagna elettorale ‘disonesta’ da parte di Olaf Scholz sarebbe un’enorme aggravante”. Söder ha accusato il Cancelliere di “aver mancato una transizione ordinata verso condizioni stabili.” Nel suo atteggiamento negativo nei confronti dei Verdi, Söder ha mostrato un po’ più di disponibilità al compromesso: “La frase di Friedrich Merz è chiara: con questi Verdi non si può governare. Decisiva è sempre la linea di un partito”. Soprattutto nella politica migratoria, i Verdi sono ancora sulla strada sbagliata. A settembre, Söder aveva definito un’alleanza nero-verde come un “assoluto no-go”.

 

Bruxelles: la Germania viola il tetto del debito   

Ora anche la Germania ha problemi con Bruxelles. Il bilancio del governo federale uscente, per il prossimo anno, viola le raccomandazioni della Commissione Europea sul rispetto delle regole europee sul debito. Le spese nette stimate dovrebbero superare i massimali previsti. In questi casi, se gli Stati violano le norme UE sul debito rischiano una procedura d’infrazione. Finora, il piano di bilancio per il prossimo anno è stato approvato solo dal Consiglio dei ministri a Berlino, comprese le rimanenti lacune nei finanziamenti nell’ordine di miliardi.

La rottura del governo semaforo ha impedito la delibera ancora necessaria in seno al Bundestag. A partire dall’inizio del 2025 ci si attende quindi una pianificazione di bilancio preliminare, come annunciato dal nuovo ministro delle Finanze Jörg Kukies (SPD). In Germania il tetto di spese delle autorità è stabilito per legge. Il bilancio definitivo potrebbe quindi essere deliberato dal nuovo governo nella prossima primavera. 

 

Crisi: Thyssenkrupp Steel Europe annuncia tagli

Continua la crisi dell’industria siderurgica. Ora la più grande azienda siderurgica tedesca, Thyssenkrupp Steel Europe, annuncia per i prossimi anni tagli per diverse migliaia di posti di lavoro. L’azienda ha comunicato che nell’arco di sei anni il numero di posti di lavoro dovrebbe ridursi dagli attuali 27.000 a circa 16.000. Di conseguenza, circa 5.000 posti di lavoro saranno eliminati entro la fine del 2030 in considerazione di “adeguamenti nella produzione e nell’amministrazione”, mentre 6.000 ulteriori posti di lavoro saranno esternalizzati o venduti a fornitori di servizi esterni. Inoltre, le spese del personale saranno ridotte in media del 10% nei prossimi anni.

Per l’azienda questi passaggi rappresentano punti chiave essenziali di una politica industriale all’altezza delle sfide del futuro. Nell’immediato invece, le decisioni del gruppo industriale rappresentano una reazione al persistere della debolezza nella domanda. Si prevede quindi che le capacità produttive verranno ridotte da 11,5 milioni di tonnellate all’anno a sole 8,7-9,0 tonnellate. Ciò corrisponde al volume di spedizioni dell’esercizio finanziario precedente. Nell’ambito della riorganizzazione, l’obiettivo dichiarato rimane di evitare licenziamenti per motivi operativi.

 

“Libertà”: la Merkel pubblica le sue memorie      

“Non sono nata Cancelliera”, così l’ex Cancelliera Merkel intitola il primo capitolo delle sue memorie e descrive nel suo libro: "Libertà", per oltre un centinaio di pagine (su circa 750), la prima metà della sua vita nella DDR, dall’infanzia e l’adolescenza a Templin alla vita da giovane fisica a Berlino est. Nel libro, il difficile rapporto con l’attuale leader della CDU e suo ex concorrente Friedrich Merz (CDU) è trattato in modo breve e indolore. “È sempre stato un buon oratore”, scrive l’ex Cancelliera Merkel, che ha sempre apprezzato il fatto che “fosse anche consapevole del suo potere”. Ma c’era un problema, fin dall’inizio: “Volevamo entrambi diventare leader”. Già nella prefazione, l’ex Cancelliera promette anche riflessioni di carattere personale. “Oggi nominerò ciò che considerai in modo sbagliato e difenderò ciò che ritenni giusto”. Ciò riguarda in particolar modo il controverso tema della politica migratoria.

La famosa frase “Wir schaffen das” (“Ce la faremo”) segnò senza alcun dubbio il suo cancellierato come nessun’altra, e l’ex Cancelliera la difende senza riserve. “Nessuna frase mi è stata rinfacciata così tante volte in tutta la mia carriera politica come questa. Nessuna ha polarizzato in questo modo. Per me, ad ogni modo, fu una frase banale. Era l’espressione del mio atteggiamento”.

E perché durante i 16 anni di governo Merkel la Germania è diventata sempre più dipendente dal gas russo? L’ex Cancelliera Merkel risponde così alle accuse: il suo compito era quello di fornire energia a basso costo, all’epoca mancavano maggioranze politiche capaci di garantire una vera transizione energetica. Le memorie sono state pubblicate contemporaneamente in più lingue, anche in italiano. L’11 dicembre l’ex Cancelliera presenterà a Milano il suo libro al pubblico italiano.

 

Luoghi in Germania: Cattedrale di Sant’Edvige a Berlino

Ispirata al Pantheon di Roma, la cattedrale cattolica di Sant’Edvige, sede dell’arcivescovo di Berlino anziché 2000 di anni ne ha solo 200. La caratteristica cupola del centro storico venne gravemente danneggiata durante la guerra e si ritrovò nel settore sovietico, l’ex Berlino est. La cattedrale venne poi ricostruita con donazioni provenienti dall’occidente. Molti hanno trovato cupo l’interno della chiesa con il suo pavimento di marmo nero. Ora, al termine di una ristrutturazione durata quasi sei anni, l’interno risplende di tonalità bianco chiaro, così come il pavimento in pietra calcarea.

Il nuovo altare si trova al centro della chiesa circolare, le panche sono disposte in cerchio. I critici lamentano che tutto ciò appare molto freddo, sobrio e addirittura “protestante”, e ci si chiede: Si può sentire qui dentro il calore della fede? Le opinioni sono divergenti. Dal punto di vista architettonico è comunque uno spettacolo. Per farsi un’idea bisogna aver visitato la nuova cattedrale della capitale tedesca, dove solo un abitante su dieci si professa cattolico.

 

SPD: proseguono i dubbi sulla candidatura di Scholz

A meno di 100 giorni dalle elezioni anticipate del Bundestag, nella direzione del partito SPD prosegue il dibattito se Olaf Scholz debba essere il candidato alla Cancelleria o rinunciare, visti i negativi risultati dei sondaggi. Il leader del partito Lars Klingbeil ha annunciato che nei prossimi giorni verrà fissata l’ulteriore tabella di marcia per la campagna elettorale: “Si tratta di fare chiarezza, ne va del nostro percorso comune. Vogliamo partecipare a questa campagna elettorale con il Cancelliere Olaf Scholz. Tutti coloro che ricoprono responsabilità ai vertici sostengono la sua candidatura“. Anche la Co-presidente Saskia Esken ha ribadito che Scholz: “È il nostro Cancelliere e il nostro candidato alla Cancelleria. Questa è una certezza”.

Ma la situazione non sembra così chiara: facendo riferimento agli scarsi risultati dei sondaggi, parlamentari, funzionari e membri dell’SPD, provenienti da tutto il Paese, si erano espressi a favore del ministro della Difesa Boris Pistorius. L’ex leader del partito Franz Müntefering, le cui opinioni sono rispettate nella SPD, ad esempio, ha negato al Cancelliere Scholz la prerogativa della candidatura, chiedendo, se necessario, una votazione aperta al prossimo congresso di partito.

Il ministro Pistorius respinge qualsiasi pensiero in chiave anti-Scholz: “Abbiamo un Cancelliere davvero eccezionale, che in uno dei momenti più difficili della Germania ha tenuto il timone in un complicato scenario a tre”, ha dichiarato il ministro della Difesa, che resta fermamente convinto del fatto che “il Cancelliere Olaf Scholz verrà nominato“. Egli stesso ha quindi intenzione di continuare il suo lavoro come ministro. Tuttavia, i media hanno sottolineato che finora Pistorius non ha espresso il netto rifiuto alla sua indisponibilità e i giorni di Scholz potrebbero essere contati, prima di quanto si pensi.

 

La telefonata Scholz-Putin crea forte imbarazzo

Una telefonata che ha suscitato clamore in Germania e irritazione tra gli alleati: per la prima volta in due anni, il Cancelliere Olaf Scholz e il leader russo Vladimir Putin si sono parlati. Il Cancelliere Scholz, che ora deve difendersi dalle pesanti critiche, ha esortato il Presidente Putin a porre fine alla guerra e al ritiro delle sue truppe. “Il colloquio è andato nello specifico, ma ha permesso anche di riconoscere che le opinioni del Presidente russo su questa guerra non sono cambiate molto”, ha ammesso il Cancelliere Scholz prima della sua partenza per il vertice del G20 di Rio. “Questa non è una buona notizia”.

L’Ucraina ha severamente condannato l’iniziativa del capo del governo tedesco. Il Cancelliere Scholz ha continuato ad assicurare pieno sostegno a Kiev, affermando che “non ci sarà alcuna decisione sulla fine della guerra che non coinvolgerà direttamente il popolo ucraino”. I partner UE a Bruxelles sono rimasti sorpresi dell’azione solitaria, che a quanto pare non è stata concordata, e dietro le quinte si è parlato di “dilettantismo”. “Il Cancelliere Scholz è completamente isolato nell’UE”, affermano gli osservatori. Non sono solo le opposizioni a sollevare forti critiche. Il Presidente Putin “interpreterà il fatto che il Cancelliere Scholz lo abbia chiamato come un segno di debolezza piuttosto che come un segnale di forza”, come emerge dalla CDU, che ha accusato il Cancelliere di voler aiutare il Presidente Putin a ottenere un “successo propagandistico” per motivi di politica interna. A quanto pare, il Cancelliere Scholz “non ha presentato alcuna proposta concreta o tantomeno ha dato un ultimatum a Mosca”, queste le critiche espresse dal portavoce di politica estera del gruppo parlamentare CDU/CSU al Bundestag, Jürgen Hardt. “Ma il Presidente Putin capisce solo i segnali di forza, come la minaccia di aumentare in modo massiccio gli aiuti militari all’Ucraina.”

Anche i Verdi hanno criticato la scelta del Cancelliere: “Olaf Scholz non è mai stato così impotente come in questo momento”, si legge tra le loro file. “Solo per questo il Presidente Putin ha accettato una telefonata, perché conosce la debolezza del Cancelliere, che non ha più la maggioranza parlamentare”. Ora ci si domanda se il Cancelliere Scholz non stia pianificando una campagna elettorale come “Cancelliere della pace”. Secondo una loro portavoce, i Verdi si sono impegnati a favore di una “pace della libertà”, non di una “pace nel senso della pace tombale”. In Germania, infatti, molti osservatori ritengono che si tratti di una tattica elettorale, in quanto Putin è consapevole che il Cancelliere Scholz, dopo aver perso la maggioranza di governo e in vista delle elezioni anticipate, è un’”anatra zoppa”. Con le sue azioni, il Cancelliere Scholz vuole accattivarsi il favore di quegli elettori che chiedevano a tutti i costi una rapida fine della guerra, dovesse anche significare la fine dell’Ucraina.

 

I Verdi nominano il candidato alla Cancelleria    

A poco più di una settimana e mezza dalla fine della coalizione semaforo, i Verdi si sono riuniti nel congresso di partito, inaugurando la campagna elettorale. Il ministro dell’Economia Robert Habeck è il candidato prescelto alla Cancelleria. Il Vicecancelliere e ministro degli Esteri Annalena Baerbock lo guiderà nei Verdi come coppia al vertice verso le elezioni federali del 23 febbraio.

Nel suo discorso, il ministro Habeck ha detto di voler assumersi la responsabilità come candidato e per il popolo tedesco: “Se ciò ci porterà molto lontano, allora perché no alla Cancelleria”. Il ministro Habeck ha ammesso gli errori commessi nel governo della coalizione semaforo riguardo la legge sul riscaldamento, che gli sono costati molto a livello di consensi, ma allo stesso tempo ha messo in guardia da un governo composto da CDU/CSU e SPD: “La Grande Coalizione è la ragione della stasi”.

Al contempo, il ministro Habeck ha offerto al leader della CDU Merz la collaborazione sulla riforma del freno all’indebitamento prima delle elezioni federali: “La nostra mano è tesa per realizzare questa grande riforma del freno all’indebitamento, prima delle elezioni”, ha affermato il Vicecancelliere Habeck, perché “il freno all’indebitamento deve essere modificato per favorire gli investimenti“. I delegati hanno anche eletto la nuova leadership: i nuovi Presidenti con pari diritti sono la Segretaria di Stato parlamentare del ministero dell’Economia, Franziska Brantner, e il deputato del Bundestag Felix Banaszak, della Renania Settentrionale-Vestfalia.

 

I dipendenti pronti ad aiutare Volkswagen          

Lo squilibrio finanziario della storica casa automobilistica Volkswagen preoccupa dipendenti e sindacati. A rischio ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il sindacato dei metalmeccanici e il consiglio aziendale Volkswagen vogliono ridurre i costi del gruppo, se necessario rinunciando anche allo stipendio per evitare chiusure di stabilimenti e licenziamenti. Questo è quanto prevede un piano per il futuro, che i rappresentanti dei lavoratori hanno presentato in vista delle trattative salariali per il prossimo anno, e che consente uno sgravio dei costi del lavoro di circa 1,5 miliardi di euro, come si afferma negli ambienti che partecipano alle trattative.

Nel concreto, gli operai propongono di inserire il prossimo aumento tariffario in un fondo per il futuro a tempo determinato, invece di versarlo sui conti dei dipendenti, il che consentirebbe riduzioni flessibili dell’orario di lavoro senza ridurre il personale. Il criterio preso come riferimento è l’ultimo accordo pilota per l’intera industria metallurgica ed elettrica, che prevede un aumento complessivo del 5,1% in due fasi entro il 2026.

In cambio, il sindacato dei metalmeccanici e il consiglio aziendale richiedono garanzie alla direzione riguardo sedi e occupazione. Inoltre, hanno chiesto di rimettere in vigore la garanzia di assicurazione dell’impiego, annullata da Volkswagen a settembre, la quale escludeva il licenziamento per motivi operativi: ciò riguarda sia i sei stabilimenti automobilistici della Germania occidentale con 125.000 dipendenti in Bassa Sassonia e Assia, sia le tre sedi in Sassonia.

 

Gli italiani vivono più a lungo dei tedeschi           

In Germania i cittadini vivono meno a lungo. Nonostante i massicci investimenti nel settore sanitario, la speranza di vita media è scesa statisticamente per la prima volta al di sotto della media UE a 81,2 anni. La Germania è quindi 2,6-3 anni indietro rispetto a Spagna, Italia e Svizzera, questo è il sorprendente risultato di uno studio condotto dall’OCSE. La spiegazione risiede nel fatto che la speranza di vita in Germania è cresciuta più lentamente che in altri Paesi, ha commentato l’OCSE. Il che è paradossale, perché la Germania è al primo posto in Europa in termini di spesa pubblica per la salute.

Nel 2022 la spesa, che era fortemente aumentata a causa della pandemia di coronavirus, è leggermente diminuita, ma la Germania ha comunque speso il 12,6% del suo prodotto interno lordo (PIL) per la sanità. Ciò equivale a una spesa di circa 5300 euro pro capite ed è un dato che si attesta orgogliosamente al di sopra del 50% della media UE. Secondo i dati preliminari degli esperti, nel 2023 la spesa sanitaria in Germania è scesa all’11,8% del PIL. La percentuale rimane comunque la più alta nell’UE.

 

La Chiesa ricorda la persecuzione in Nicaragua

Il vescovo Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca ha condannato fermamente “la crescente repressione sistematica della Chiesa cattolica e delle forze di opposizione” in Nicaragua in occasione della espulsione, avvenuta nella scorsa settimana, del Presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua dal Paese centroamericano. Il vescovo Carlos Enrique Herrera Gutiérrez aveva precedentemente espresso critiche al regime, i cui seguaci avevano disturbato la Santa Messa davanti alla cattedrale.

“Come altri vescovi, sacerdoti e religiosi, innumerevoli attivisti per i diritti umani e oppositori, è diventato vittima dell’arbitrio statale”, ha detto in tono fermo Bätzing. “La sua partenza forzata dimostra ancora una volta l’intolleranza del regime e la sua determinazione a mettere a tacere le voci dissenzienti. L’oppressione della Chiesa cattolica da parte della dittatura di Ortega è un sintomo dell’autoritarismo di cui soffre il Paese“. In questo contesto, il vescovo Bätzing ha fatto appello al governo tedesco e alla comunità internazionale “affinché si impegnino maggiormente per i diritti di tutte le persone in Nicaragua”, esortando al contempo alla preghiera per coloro “la cui dignità umana e i diritti umani vengono calpestati”. 

 

Luoghi in Germania: Olympia Park di Monaco di Baviera

Monaco sta valutando la possibilità di candidarsi alle Olimpiadi. Il vantaggio è che l’infrastruttura sarebbe già presente. Come nessun’altra area sportiva al mondo, il famoso Olympia Park nel nord-ovest della metropoli è sinonimo di uso sostenibile: gli impianti sono infatti in funzione dai Giochi Olimpici del 1972. La torre della televisione è in fase di ristrutturazione, a breve toccherà allo stadio, l’intero parco dovrebbe essere completamente rinnovato entro il 2037, in tempo per le Olimpiadi del 2040. La Germania ha intenzione di candidarsi per ospitare questi giochi, come hanno stabilito in estate il governo e il Comitato olimpico tedesco (DOSB).

Il bando del ministero dell’Interno sottolinea espressamente: “Le strutture sportive esistenti devono essere sfruttate al massimo delle loro capacità per evitare nuove costruzioni di infrastrutture sportive”. La capitale bavarese considera gli impianti sportivi olimpici del 1972, sottoposti a completo rinnovamento, come un bene importante da mettere sul piatto della bilancia.

Kas 21

 

 

 

 

 

Berlino. L’Intercomites alla riunione di coordinamento consolare dell’Ambasciata

 

Berlino. Si è svolta sabato 16 novembre presso l’Ambasciata italiana a Berlino l’annuale riunione di coordinamento consolare alla quale hanno partecipato i rappresentanti della collettività, i membri CGIE eletti in Germania, le/i Presidenti dei Comites, i Capi degli Uffici consolari e i Dirigenti scolastici.  Alla presenza dell’Ambasciatore Armando Varricchio, dei Consoli e dei Dirigenti scolastici della Germania si è discusso dei servizi consolari, della promozione della lingua italiana e della situazione degli enti gestori, Comites e progetti a favore della collettività.  “La comunità italiana in Germania, con 909.338 residenti AIRE al 30 settembre 2024 risulta la seconda al mondo. È una comunità giovane, mobile e in continua crescita e la prima per numero di nati da italiani residenti all’estero (Rapporto Migrantes 2024), perciò i servizi e la lingua italiana risultano fattori sempre più importanti”, sottolinea l’Intercomites Germania, in una nota a firma della coordinatrice Simonetta Del Favero, che auspica nuove modalità e tempistiche per l’erogazione delle risorse per sostenere gli enti gestori. “La promozione della lingua italiana non serve solo a mantenere i contatti con la madrepatria ma – evidenzia l’Intercomites – è anche un elemento identitario e, pertanto se i figli degli italiani e delle coppie miste ricevono un supporto attraverso la lingua sviluppano anche un’identità sociale più forte. La rete scolastica è l’elemento più capillare all’interno della comunità. Il mantenimento dell’identità sociale per la terza e quarta generazione è molto importante perché – avverte – non si verifichino sbandamenti e situazioni di conflitto sociale”.  “Alla base della politica scolastica  deve esserci  un pensiero e un progetto e su questo deve concentrarsi la promozione del Sistema Italia, alla quale devono poter partecipare attivamente anche i rappresentanti della collettività italiana, Comites e Consiglieri CGIE eletti in Germania”, continua l’Intercomites che “considerata l’attuale situazione” ritiene “importante e necessaria l’istituzione, a breve, di un tavolo di lavoro sulla lingua italiana in Germania che deve avvenire con il forte sostegno dell’Ambasciata”.  L’Intercomites riferisce che durante la riunione sono stati presentati “due importanti progetti in favore della collettività italiana”. “L’Ambasciata ha presentato un progetto volto a semplificare il linguaggio utilizzato nell’informativa all’utenza sui servizi consolari. Richiesta fatta – si legge nella nota – dall’Intercomites Germania in diverse riunioni per garantire ai connazionali l’utilizzo della lingua semplificata sui siti della rete consolare, sulla base di quanto viene fatto dall’amministrazione pubblica tedesca. Deve essere garantita a tutte/i la possibilità di comprendere quanto scritto dalla nostra amministrazione, semplificando così l’accesso alle informazioni”. “Il progetto -spiega l’Intercomites – vedrà coinvolte tre classi di alcune scuole bilingui italo-tedesche con lezioni frontali e attività laboratoriali di scrittura chiara. La presentazione finale dei lavori di gruppo verrà fatta con la partecipazione degli operatori consolari della rete in Germania”. L’Intercomites Germania ha presentato il progetto di aggiornamento della Guida “Primi Passi in Germania” cui partecipano tutti i Comites della Germania. “La Guida aggiornata sarà disponibile all’inizio del 2025 e sarà resa disponibile in formato digitale, con la possibilità per i singoli Comites, qualora lo ritenessero opportuno, di commissionare delle copie cartacee”.  “È stato confermato il miglioramento della situazione dei servizi consolari, i dati presentati durante la riunione dimostrano il forte aumento dei documenti rilasciati, dal totale di 66.112 passaporti e CIE rilasciati nel 2019 a 106.068 nel 2023” riferisce ancora l’Intercomites che auspica inoltre finanziamenti adeguati per i Comites al fine di far fronte alle spese di gestione e di poter portare avanti una programmazione. Si è parlato, tra i tanti punti, “anche dei preparativi per il 2025 per celebrare i 70 anni dell’accordo italo-tedesco per il reclutamento e il collocamento della manodopera italiana nella Repubblica federale tedesca (1955). Diverse le iniziative in progetto che coinvolgeranno Consolati, IIC, Comites e Associazioni varie”.  “Con l’occasione abbiamo salutato e ringraziato l’Ambasciatore Armando Varricchio che presto lascerà la sede di Berlino”, conclude l’Intercomites Germania. (Inform/dip 27)

 

 

 

 

 

Amburgo. La mostra “Italia Rand Tour” all’IIC fino al 28 gennaio

 

Amburgo – Venerdì 29 novembre alle ore 19:00, in presenza degli artisti del collettivo Babele e del curatore della mostra Gabriele Naddeo, l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo inaugurerà una particolare mostra d’arte contemporanea “Italia Rand Tour”, che resterà in esposizione presso le sale dell’Istituto fino a 28 febbraio 2025. La partecipazione al vernissage è gratuita previa registrazione tramite il portale Eventbrite: La mostra- curata da Gabriele Naddeo, organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo in collaborazione con il Collettivo Babele – potrà essere visitata in concomitanza con gli eventi in Istituto oppure dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 16.00 e il venerdì dalle 10.00 alle 13.00. L’ingresso alla mostra è sempre gratuito, ed è un’occasione preziosa per consentire a tutti i visitatori di immergersi nell’interpretazione contemporanea dell’Italia proposta dal collettivo Babele, un gruppo di giovani artisti che, attraverso le loro opere, offrono una visione innovativa e originale del panorama culturale italiano odierno. “Italia Rand Tour” è una mostra d’arte contemporanea che invita a scoprire un’Italia meno conosciuta e periferica. Ribaltando l’idea tradizionale dei Grand Tour – i viaggi con cui, nell’Ottocento, aristocratici, artisti e scrittori europei visitavano le mete più celebri della Penisola –, il collettivo Babele propone un viaggio all’estero, per mettere in luce la bellezza spesso trascurata, quella che si trova ai margini, al bordo, in senso letterale e figurato, e che in tedesco si dice der Rand, e che rischia di essere dimenticata. In un itinerario turistico immaginario di oltre 1.600 chilometri attraverso l’Italia, i concetti di periferia e centro, così come quelli di Nord e Sud, si fondono e si confondono, perdendo il loro significato e lasciando spazio a una rete di luoghi, tecniche e materiali. La mostra presenta 8 artisti, 8 opere e 8 destinazioni nascoste che offrono una prospettiva nuova sul Bel Paese. I protagonisti di questa originale esposizione sono gli artisti membri del progetto Babele, un collettivo unico nel suo genere nato nel 2023 dall’intersezione di discipline, istanze e pratiche artistiche anche molto diverse tra loro. Gli otto elementi contribuiscono a creare, ciascuno con la propria tecnica e il proprio stile e linguaggio espressivo, un mosaico di luoghi, tecniche e materiali che rappresenta la ricchezza e la diversità dell’Italia meno frequentata e distante dai percorsi culturali abituali. Le ceramiche di Matteo Bagolin, i dipinti di Francesco Campese e Guglielmo Mattei, le sculture di Stefano Volpe e Alessandro D’Aquila e le opere di Emanuele Moretti, Filippo Saccà e Ricardo Aleodor Venturi creano un percorso espositivo che offre una prospettiva inedita sul nostro Paese. Attraverso i loro lavori, gli artisti invitano il pubblico a scoprire la bellezza nascosta nei dettagli e nei luoghi meno frequentati, stimolando al contempo una riflessione sui legami culturali tra la Germania, che ospita la mostra, e l’Italia, storica meta di riferimento per i viaggiatori in cerca di ispirazione artistica fin dal XVIII secolo. La mostra Italia Rand Tour si arricchirà di una piccola ma significativa appendice nella vetrina di Felix Jud, storica libreria situata nel cuore della città. L’esposizione sarà visitabile fino al 28 febbraio 2025 e culminerà con un evento speciale: la partecipazione di Pietro Scarnera, illustratore e fumettista torinese, autore del graphic novel Viaggio in Italia, che sarà l’ospite d’onore della cerimonia di chiusura presso gli spazi dell’Istituto Italiano di Cultura della città anseatica. (Inform/dip 29)

 

 

 

 

Mostra su Carpaccio alla Staatsgalerie di Stoccarda. Fino al 2 marzo 2025

 

Stoccarda - È stata inaugurata il 13 novembre presso la Staatsgalerie Stuttgart alla presenza dell’ambasciatore d’Italia in Germania, Armando Varricchio, la prima mostra in Germania interamente dedicata a Vittore Carpaccio.

Aperta al pubblico sino al 2 marzo 2025, la mostra è intitolata “Carpaccio, Bellini e il Primo Rinascimento a Venezia” si svolge in occasione del 500° anniversario della morte dell’artista italiano.

La Staatsgalerie Stuttgart ha colto l’occasione del restauro di due opere facenti parte della sua collezione per presentarle ad un vasto pubblico assieme ad altri 55 lavori tra pitture e grafiche su carta, tra i quali prestigiose opere provenienti da Venezia, Firenze, Budapest e Washington, anche di altri artisti quali Giovanni e Gentile Bellini, Lorenzo Lotto, Albrecht Dürer e Hans Burgkmaier.

Carpaccio, allievo dell’altrettanto rinomato pittore veneziano Giovanni Bellini, con la sua virtuosità artistica e grandiosa immaginazione inscena i suoi soggetti e i suoi ritratti con grande ricchezza di colori e dettagli a testimoniare la vita quotidiana dell’epoca, con la città lagunare sullo sfondo.

In occasione dell’inaugurazione della mostra, curata da Annette Hojer e Christine Follmann, dopo il saluto della direttrice Christiane Lange, l’ambasciatore Varricchio ha ricordato come la Staatsgalerie Stuttgart abbia “sempre dimostrato un’attenzione particolare per l’arte italiana, mettendo anche l’artista o gli artisti esposti continuamente in raccordo con il proprio tempo e il proprio territorio”.

In mostra a Stoccarda, ha proseguito l’ambasciatore, è possibile vivere “Venezia come luogo di scambio e di sinergia. Le opere esposte ci ricordano quanto forti fossero le influenze reciproche e quanto radicato fosse già all’epoca il rapporto tra la cultura italiana e quella tedesca”, ha aggiunto. “In questa prospettiva, guardiamo anche oggi alle relazioni tra Italia e Germania, che continuano a beneficiare intensamente dei contributi artistici e culturali l’uno dell’altro”.

(aise/dip 15)

 

 

 

 

 

Berlino: le recenti manifestazioni all’Ambasciata

 

Berlino - “La dieta mediterranea e la cucina delle radici: salute e tradizione” è il tema della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo e anche della serata ospitata la sera del 13 novembre in Ambasciata a Berlino.

L’evento, volto a promuovere la cucina e i prodotti agroalimentari italiani di qualità, è stato organizzato in collaborazione con l’Agenzia ICE di Berlino all’interno della XI Settimana della Cucina italiana nel Mondo, iniziativa del Ministero degli Esteri che intende celebrare l’eccellenza culinaria italiana a livello mondiale. Il focus è la valorizzazione del riconosciuto ruolo della Dieta Mediterranea per la tutela della salute, nel quadro di uno stile di vita sano, equilibrato e sostenibile. È implicito l’uso di prodotti tipici autentici di qualità e la tutela delle risorse naturali e delle tradizioni locali, anche a sostegno della sostenibilità.

Nell’ambito della discussione a Berlino, moderata dalla presentatrice televisiva italo-tedesca Stefania Lettini, è intervenuto il cofondatore di “Made in Sicily” Davide Morici, seguito da Daria Pusceddu, trade marketing manager del Pastificio Felicetti, Beatrice Bridi, business developer della start-up di tecnologia alimentare Feral, e Matthias Schulze, capo del Dipartimento di Epidemiologia Molecolare dell’Istituto Tedesco di Nutrizione Umana di Potsdam.

Nell’occasione l’Agenzia ICE di Berlino ha altresì allestito la mostra sugli “Italianismi nel Mondo” della Fondazione Artusi, promotrice della candidatura della cucina italiana a patrimonio UNESCO e “Ambassador” della Regione Emilia Romagna. Il progetto, realizzato in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri, racconta attraverso alcune parole della cucina italiana la straordinarietà della cultura gastronomica nazionale.

Ieri, 14 novembre, è stata invece presentata a un pubblico di esperti dell’industria alimentare la fiera più importante a livello mondiale nel settore del Foodservice “SIGEP World” che avrà luogo a Rimini nel gennaio 2025. Al panel moderato da Chiara Peruzzi, marketing manager della Fiera, hanno partecipato rappresentanti di SIGEP Word e del settore, quali Flavia Morelli del Group Exhibition Manager, Jochen Pinsker di CIRCANA, Gerhard Schenk, presidente dell’Associazione tedesca dei pasticceri, Giorgio Ballabeni, co-fondatore di Ballabeni Icecream di Monaco, e Markus Elberg, direttore di Janny’s Ice Gmbh.

 

L’eccellenza scientifica italiana

L’eccellenza scientifica italiana è stata protagonista di un doppio evento che si è tenuto martedì 19 novembre per celebrare il riconoscimento del network SIGN degli scienziati italiani in Germania come associazione no-profit da parte delle autorità tedesche.

L’Ambasciata d’Italia ha ospitato il panel “AI in molecular, material and medical science: an invaluable tool to accelerate the path from research to application” e la cerimonia di conferimento dell’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia nel grado di Ufficiale agli scienziati Cecilia Clementi e Gianaurelio Cuniberti.

“I numeri della cooperazione scientifica tra Germania e Italia sono impressionanti e in costante crescita”, ha osservato l’ambasciatore Armando Varricchio. “Per la prima volta nella storia, questa è la seconda comunità di professori stranieri e la prima di quelli non di madrelingua tedesca. Molti di questi scienziati sono membri di SIGN, la rete degli scienziati italiani in Germania, co-organizzatrice di questo evento. E stasera siamo felici di celebrare un momento importante nella giovane storia del SIGN, ovvero il suo riconoscimento da parte delle autorità federali come organizzazione no-profit”.

A ricevere per mano dell’ambasciatore Varricchio l’onorificenza dell’Ordine della Stella, concessa dal presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e nata per ricompensare benemerenze acquisite nello sviluppo dei legami con l’Italia e la promozione del prestigio italiano all’estero, sono stati due scienziati di rilievo internazionale che da anni operano in Germania.

Cecilia Clementi è la prima e unica scienziata italiana insignita di una prestigiosa cattedra Einstein alla Freie Univesität di Berlino. Dal giugno 2020 la Professoressa Clementi è infatti titolare della cattedra Einstein di Biofisica teorica e computazionale, specializzandosi nella simulazione al computer delle biomolecole, moderno campo di ricerca che coniuga fisica e biologia. “Negli anni, il costante impegno della professoressa Clementi nel promuovere l’eccellenza scientifica italiana in Germania ne ha fatto un vero punto di riferimento per le giovani generazioni di ricercatori italiani desiderosi di dare un impulso internazionale alle loro carriere nel campo della biofisica”, ha sottolineato l’ambasciatore durante la cerimonia di conferimento dell’onorificenza.

Gianaurelio Cuniberti è ordinario titolare della cattedra di Scienza dei Materiali e Nanotecnologia presso il Politecnico di Dresda (TU Dresden) e co-direttore presso il centro di biomateriali Max Bergmann; inoltre è membro fondatore e primo direttore esecutivo del network SIGN, l’associazione senza scopo di lucro dei ricercatori italiani operanti in Germania. Un impegno per il quale Armando Varricchio lo ha ringraziato, ricordando che, “oltre all’eccellenza accademica, il professor Cuniberti si è sempre distinto per il fatto di ricoprire posizioni di rilievo presso istituzioni sia italiane che tedesche”, dimostrando un “costante impegno di promozione dell’eccellenza italiana in Germania”.

A seguito della cerimonia di conferimento dell’onorificenza, la serata dedicata alla scienza è proseguita con il panel “AI in molecular, material and medical science: an invaluable tool to accelerate the path from research to application” incentrato sulle applicazioni scientifiche dell’intelligenza artificiale. Al panel hanno partecipato Clementi e Cuniberti, insieme a Esther Troost del Politecnico di Dresda, Frank Noé di Microsoft Berlin e Daniele Passerone del Politecnico Federale di Zurigo, che hanno discusso dei più recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale nei rispettivi campi di ricerca.

 

Onorificenza OMRI a Roland Busch

L’ambasciatore d’Italia in Germania, Armando Varricchio, ha consegnato il 26 novembre, al presidente e ceo di Siemens AG, Roland Busch, l’onorificenza dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel grado di Commendatore conferitagli dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

“Questo encomio è un’attestazione della costante dedizione del signor Busch nel promuovere con successo il ruolo di Siemens in Italia e un’attestazione di come abbia saputo incentivare l’automazione, la digitalizzazione e la trasformazione digitale in vari settori industriali”, ha sottolineato l’ambasciatore Varricchio, ribadendo anche come il dialogo informale tra le comunità imprenditoriali italiana e tedesca sia fondamentale per dare efficacia alle azioni intraprese a livello governativo.

In qualità di amministratore delegato della Siemens, come recitano le motivazioni ufficiali dell’onorificenza, Roland Busch si è contraddistinto per l’impegno nel favorire la collaborazione italo-tedesca anche sul piano tecnologico e dell’innovazione, gestendo processi complessi in un percorso economico che ha dato e continua a dare beneficio alla crescita delle relazioni italo-tedesche.

 

Il 12º “Dialogo italo-tedesco sui servizi finanziari”

L’Ambasciatore italiano a Berlino, Armando Varricchio ha ospitato il 28 novembre l’evento di apertura del “Dialogo italo-tedesco sui servizi finanziari” con la partecipazione degli illustri membri delle Delegazioni italiana e tedesca, rispettivamente guidate dal Presidente di Unicredit Pietro Carlo Padoan e dalla Direttrice generale della Federazione tedesca delle Casse di risparmio DSGV Karolin Schriever.

Joachim Wuermeling, docente e consulente presso la European School of Management and Technology (ESMT) in materia di finanza digitale è intervenuto in qualità di relatore ospite della serata.

Il Dialogo italo-tedesco sui servizi finanziari, iniziativa coordinata per parte tedesca dal German Banking Industry Committee (DK – Deutsche Kreditwirtschaft) e per parte italiana dalla dalla FeBAF – Federazione Banche Assicurazioni e Finanza, ha come scopo il confronto sulle principali sfide poste dallo stato del sistema finanziario europeo. Molteplici gli argomenti al centro della dodicesima edizione di oggi, 29 novembre, tra i quali i rapporti Draghi e Letta le prospettive per la competitività europea, la strategia europea degli investimenti al dettaglio per le imprese finanziarie e di assicurazioni e gli sviluppi della digitalizzazione.

“Questi incontri dimostrano quanto sia profondo e proficuo lo scambio di idee in materia finanziaria e politica tra Italia e Germania”, ha detto l’Ambasciatore Varricchio, sottolineando come questo dialogo assuma oggi “una rilevanza ancora maggiore, in quanto si inserisce nel quadro del Piano d’azione italo-tedesco, firmato a Berlino quasi esattamente un anno fa dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Cancelliere federale tedesco Olaf Scholz”. (aise/dip 29) 

 

 

 

 

 

Il Circolo Acli Karlsfeld 60° di fondazione

 

Karlsfeld. Il Circolo ACLI di Karlsfeld ha celebrato con grande entusiasmo il suo 60° giubileo, un evento che ha visto la partecipazione di numerosi soci e simpatizzanti. Nel suo discorso, il presidente del Circolo, Mauro Sansone, ha espresso la sua gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito al successo del circolo e che continuano a sostenerlo con la loro adesione al tesseramento.

Ospite d'onore della serata è stato il presidente delle ACLI Baviera, Carmine Macaluso, il quale ha evocato con passione l'impegno e le battaglie che le ACLI hanno affrontato nel corso degli anni.

La tradizionale “Castagnata” ha fatto da splendida cornice all'evento del giubileo. I partecipanti si sono divertiti con il karaoke, mentre gustavano la buona cucina del Ristorante La Capannina e le caldarroste appena sfornate dalla griglia.

La celebrazione del 60° giubileo del Circolo ACLI di Karlsfeld ha unito la comunità in un'atmosfera di gioia e condivisione. Con il cuore colmo di gratitudine, guardiamo al futuro con speranza e determinazione, pronti a continuare il nostro impegno per il bene comune. Che i prossimi anni siano altrettanto ricchi di soddisfazioni e che il Circolo ACLI di Karlsfeld possa continuare a crescere e prosperare, mantenendo vivi i valori di solidarietà e amicizia che ci uniscono. Fernando Grasso, dip 19

 

 

 

 

 

Deceduto il fondatore della Famiglia Bellunese del Nordreno Westfalia Aduo Vio

 

Belluno si prepara a dare l’ultimo addio ad Aduo Vio, fondatore e presidente onorario della Famiglia Bellunese del Nord Reno-Westfalia, in Germania. I funerali si terranno mercoledì prossimo, 20 novembre, alle ore 15.00 presso la Cattedrale di Belluno, in una cerimonia che vedrà la partecipazione di familiari, amici, e rappresentanti delle comunità bellunesi sparse per il mondo.

A presiedere la celebrazione della Santa Messa sarà il vescovo di Belluno-Feltre, Renato Marangoni.

Aduo Vio è stato una figura di riferimento per la comunità bellunese all’estero e, in particolare, per quella residente in Germania. La sua vita è stata dedicata a mantenere vivi i legami con la terra d’origine, creando ponti culturali e sociali tra Belluno e il Nord Reno-Westfalia, dove molti emigrati bellunesi hanno trovato una nuova casa. Grazie al suo impegno, la Famiglia Bellunese del Nord Reno-Westfalia è divenuta un punto di riferimento importante per gli emigranti, facilitando l'integrazione e mantenendo vive le tradizioni culturali e sociali bellunesi anche lontano da casa.

Alla cerimonia di addio, oltre al Vescovo Marangoni, sarà presente anche Giorgio Fornasier, la cui voce accompagnerà la funzione religiosa, offrendo un tributo musicale in memoria di Vio. Un momento che si preannuncia particolarmente toccante per la comunità, che vuole ricordare e onorare una persona che ha dato così tanto a Belluno e ai suoi concittadini all’estero.

Il presidente dell'Associazione Bellunesi nel Mondo, Oscar De Bona, ha espresso il dolore di tutta la comunità per la scomparsa di Vio, definendolo “una persona generosa per la sua terra natia, orgoglio di Belluno e di tutto il Bellunese”. La partecipazione dei bellunesi sarà ampia, come segno di riconoscenza e di affetto per l’uomo che, con dedizione e altruismo, ha saputo essere un ponte tra passato e futuro per tanti emigrati, mantenendo vivo l'amore per Belluno anche in terre lontane. “Aduo Vio lascia un’eredità importante, fatta di legami forti e di una rete di amicizie e connessioni che continueranno a prosperare grazie al suo esempio”. (aise/dip 19) 

 

 

 

 

 

 

Riunito il Comitato di Presidenza del Cgie: legge finanziaria, riforma del Cgie, migrazione circolare, cittadinanza consapevole

 

ROMA – Si è svolta a Roma, presso la Farnesina, la riunione del Comitato di Presidenza del Cgie. Le questioni affrontate durante i lavori del Comitato sono state illustrate nel corso di una conferenza stampa introdotta dalla Segretaria Generale Maria Chiara Prodi che ha esordito: “A me piace immaginarci come una squadra che include tutti i consiglieri del Cgie, dei Comites, le Consulte regionali e le reti delle associazioni italiane all’estero sul territorio. Siamo circa 2000 volontari nella rete della rappresentanza di base e rappresentiamo gli italiani all’estero, che ormai sono il 10% della popolazione residente in Italia. Siamo quindi un anello fondamentale di una catena fra l’Italia e i connazionali nel mondo che non si deve spezzare. E per rendere più forte questo anello noi agiamo in maniera collegiale trattando i temi che ci vengono segnalati dalle nostre comunità all’estero e dalle istituzioni con cui collaboriamo”. Dopo questa introduzione Prodi ha rilevato come il Cgie sia stia muovendo su due piani, uno di lungo periodo, volto all’ascolto e al consiglio delle istituzioni che si occupano degli italiani all’estero, e un altro di breve periodo riguardante il momento attuale. “Sulle questioni del breve periodo – ha spiegato la Segretaria Generale – abbiamo affrontato alla Camera e al Senato i temi della legge di bilancio che preoccupano in particolare i nostri connazionali nel mondo, come ad esempio il problema della perequazione per i nostri pensionati all’estero, in proposito noi pensiamo che i diritti acquisti difficilmente vadano toccati , e questo per noi è un tema di principio. Poi – ha continuato Prodi – c’è il tema dei finanziamenti alle nostre reti di rappresentanza, come i Comites e il Cgie.  Noi abbiamo una legge istitutiva e dobbiamo onorarla. Per svolgere il nostro ruolo abbiamo bisogno di risorse adeguate per effettuare gli incontri in presenza”. La Segretaria Generale ha poi segnalato come il tema della cittadinanza rappresenti una priorità per il prossimo semestre di lavoro del Cgie. Su questo punto verrà avviato un confronto di base sui territori, in primo luogo con i Comites. Altre tematiche, condivise con i territori, saranno la messa in sicurezza del voto all’estero, la proposta di riforma del Cgie, quella dei Comites è stata già consegnata al Parlamento, e una riflessione sulla nuova mobilità incentrata sulla possibilità di dare vita ad una mobilità circolare. Prodi è poi tornata sul tema delle risorse per il funzionamento minino del Cgie che dovrebbero attestarsi intorno ad 1 milione e centomila euro e che al momento sono ferme a 548.000 euro. “La cosa per noi essenziale – ha aggiunto la Segretaria Generale – è procedere alla realizzazione della Conferenza Stato – Regioni- Provincie autonome – Cgie, perché questo appuntamento si deve svolgere ogni tre anni e la prossima Conferenza doveva avere luogo nel dicembre 2024. Non possiamo far passare troppo tempo per la convocazione perché nella complessità di rappresentare tante persone c’è la sfida di costruire un fronte comune con le istituzioni interessate da queste tematiche, per sviluppare una programmazione triennale e darci gli strumenti per poter dimostrare il nostro impegno”. Ha poi preso la parola la Vice Segretaria Generale per i Paesi Anglofoni extraeuropei Silvana Mangione che si è in primo luogo soffermata sulla riforma del voto all’estero. “Al momento – ha esordito – vi sono proposte di legge che ridimensionano e mettono a rischio il voto all’estero. Tra le proposte avanzate vi è quella del voto elettronico, uno strumento stupendo, ma bisogna ricordare che non tutti i Paesi dove vivono gli italiani all’estero hanno la capacità di garantire una connessione capillare necessaria per il voto elettronico…. Per quanto riguarda la possibilità di continuare a votare con le schede cartacee – ha proseguito la Vice Segretaria – noi chiediamo che queste vengano stampate in Italia con uno specifico marchio, in modo da rendere estremamente difficile la loro eventuale riproduzione.  Siamo invece decisamente contrari all’introduzione della registrazione preventiva dell’opzione di voto”. Mangione ha inoltre auspicato sia un allineamento fra i registri consolari e quelli del Ministro dell’Interno riguardanti gli italiani all’estero, sia la realizzazione di una riforma della legge istitutiva del Cgie , resa necessaria dall’adattamento della rappresentanza ai nuovi contesti di oggi. Della necessità di porre atto politiche concrete per incentivare il ritorno degli italiani all’estero e porre così un freno all’inverno demografico in Italia ha parlato il Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord Giuseppe Stabile. “Si tratta – ha spiegato – di rendere gli italiani all’estero una risorsa effettiva per il Paese. Sette milioni di italiani all’estero che vanno nel mondo e poi non ritornano pongono un problema demografico molto serio”.  “Oggi assistiamo a una nuova emigrazione di italiani, simile alle dimensioni di quelle del passato, ma diversa per luoghi di origine e tipologia di persone. Sono giovani laureati e diplomati che lasciano le regioni settentrionali. Vogliamo comprendere perché se ne vanno, e capire quali possano essere le politiche per farli tornare” , ha aggiunto Stabile sottolineando come gli incentivi sul ritorno dei “cervelli in fuga” non coprano tutta la variegata presenza degli italiani nel mondo. Il Vice Segretario Generale per l’America Latina Mariano Gazzola ha invece affrontato il tema della cittadinanza sottolineando la necessità di evitare strumentalizzazioni e stigmatizzazioni quando si parla di questo tema. “Il tema della riforma della cittadinanza – ha rilevato Gazzola – va analizzato e discusso, ed è compito del Cgie lavorare a delle proposte per il Parlamento. Qui non si tratta di porre dei limiti generazionali, ma di adattare la legge alla realtà odierna, partendo dalla considerazione che un bambino che oggi nasce a Buenos Aires da discendenti italiani è italiano e che ogni modifica della legge sulla cittadinanza può cambiarne il futuro”.  Il Vice Segretario ha poi ribadito la sua contrarietà all’introduzione di limiti, ma si è detto favorevole a possibili meccanismi volti alla verifica dell’identità. Di cittadinanza ha parlato anche il Vice Segretario Generale di Nomina governativa Gianluca Lodetti, “Per la cittadinanza – ha evidenziato Lodetti – noi siamo nella necessità di aggiornare un istituto che ha molti anni. Dobbiamo rispondere ai grandi cambiamenti che la nostra società e le nostre comunità all’estero hanno prodotto in questi anni. Su questo tema – ha continuato il Vice Segretario – dobbiamo partire dalle cose che uniscono e non dalle cose che dividono. La riflessione che faremo con l’associazionismo e la rappresentanza oltre confine è sul valore dell’identità italiana, sul fatto che un cittadino debba essere in qualche modo legato, conoscendo anche i diritti e i doveri, ai fondamenti della nostra costituzione e della nostra lingua. Partiamo quindi da elementi concreti che uniscono sia le persone che immigrano in Italia, sia coloro che oltre confine chiedono il riconoscimento della cittadinanza. La cittadinanza deve essere quindi il più possibile un istituto consapevole”. Lodetti ha anche parlato dell’esigenza di proporre incentivi e di costruire politiche lavorative e industriali capaci di creare una circolarità nella nuova emigrazione. Un’emigrazione che va anche accompagnata nel suo viaggio all’estero. Da segnalare infine l’intervento del componente del Comitato di Presidenza per l’Europa e l’Africa del Nord Tommaso Conte che ha ripercorso la storia dei finanziamenti pubblici per gli enti gestori volti alla promozione della lingua e cultura italiana all’estero, rilevando come oggi molti enti siano in seria difficoltà a causa delle nuove tempistiche nell’erogazione dei fondi. Conte ha anche rilevato come a tutt’oggi, in una emigrazione composta anche da famiglie con bambini piccoli, rimanga centrale il rafforzamento della propria identità culturale. In proposito Conte ha spiegato l’esigenza di considerare che nella diffusione della lingua e della cultura italiana e nel mantenimento della identità culturale, si dovrebbero tenere conto anche delle specificità presenti nelle varie nazioni. Ad esempio, secondo il Consigliere,  negli Stati Uniti si parla della diffusione della lingua e cultura italiana, mentre in Europa dove vi sono anche italiani di prima generazione quello che è importante è il mantenimento dell’identità culturale. Un contesto, quest’ultimo, che oggi, per Conte, appare a rischio. (Lorenzo Morgia, Inform/dip 28)

 

 

 

 

Cittadinanza consapevole, voto sicuro, riforme: il CGIE programma il futuro

 

ROMA - Spingere per una legge di "cittadinanza consapevole", fuori da "strumentalizzazioni e generalizzazioni". Lavorare per la messa in sicurezza del voto all'estero, organizzandosi, partecipando e attuando il ruolo di sintesi che spetta alla rappresentanza degli italiani all'estero. Attuare incentivi per il rientro degli italiani all'estero, mettendo a punto una mobilità che sia del tutto circolare. Riformare i Comites e il Consiglio Generale degli Italiani all'estero, adattandosi alla nuova emigrazione e magari anche costituzionalizzando il CGIE. Il tutto cercando di confrontarsi con i territori, con le istituzioni e anche fra membri del CGIE stesso, che però "devono svolgersi nelle modilià previste dalla legge", perché "abbiamo diritto di votare e di potere organizzarci". E, dunque, di fondi adatti allo svolgimento di queste funzioni.

È quanto spiegato questo pomeriggio dalla Segretaria Generale del CGIE, Maria Chiara Prodi, nella conferenza stampa al termine della riunione del Comitato di Presidenza del CGIE, riunitosi alla Farnesina da lunedì scorso fino ad oggi.

Tre macro temi, dunque, su cui "ci concentreremo" nel prossimo futuro e sui quali "vogliamo ricevere i contributi dei territori": cittadinanza, sicurezza del voto all'estero e nuova emigrazione. "Noi - ha aggiunto ancora Prodi - abbiamo un ruolo di sintesi e interagiamo con i decisori. E questa sintesi non può essere fatta in una piccola stanza. Abbiamo 2 mila volontari e vogliamo sintetizzare per avere una voce molto più forte, molto più organizzata e che dia risalto alle istanze dei 7 milioni di cittadini italiani all'estero. C'è una sfida: assorbire l'aumento degli italiani nel mondo all'interno delle nostre reti, che sono essenziali per far sentire ad ogni italiano all'estero di essere parte di una comunità".

Una delle preoccupazioni più rilevanti emerse è stata la questione fondi: "al momento abbiamo 548 mila euro di stanziamento, cioè un taglio del 5% rispetto all'anno precedente". Però "speriamo di poter avere delle ottime novità dal Parlamento e dal Governo per riuscire a supportarci nella maniera corretta nelle nostre attività". La segretaria Prodi ha dunque voluto ringraziare la Direzione Generale degli Italiani all'Estero e la Farnesina per aver valutato e poi trasmesso i bisogni del CGIE in 1 milione e 100 mila euro. "Con questi finanziamenti avremmo diritto a una plenaria e a un comitato di presidenza, ma la legge istitutiva prevede altro e noi vorremmo onorarla. Non possiamo essere responsabili per il non adempimento della legge istitutiva. Vogliamo essere giudicati su quello che dobbiamo fare".

In ultimo, il Comitato di Presidenza ha voluto anche rimarcare la volontà di procedere nella Conferenza Permanente Stato-Regioni-Province autonome-CGIE: "deve essere tenuta ogni tre anni e non dobbiamo far passare troppo tempo. Dobbiamo costruire un orizzonte comune interagendo con le istituzioni interessate dal fenomeno migratorio, programmando il futuro triennio e includendo tanti dei 7 milioni di italiani all'estero che desiderano collaborare e moltiplicare le opportunità per l'Italia. Non dobbiamo dire che "siamo un'opportunità" ma dobbiamo darci gli strumenti per poterlo dimostrare".

Inizia, dunque, un "periodo di proposte di riforme", ha detto prendendo parola la Vice Segretaria Generale per i Paesi Anglofoni extraeuropei, Silvana Mangione, partendo dalla riforma sul voto all'estero. Quello del voto diretto dei propri rappresentati è un diritto conquistato e ora "messo in pericolo da proposte giacenti in parlamento". Per riformarlo ed evitare brogli si parla spesso del voto elettronico, e anche il CGIE ne sta discutendo, anche se sono emerse diverse criticità: "non tutti i paesi dove si trovano gli italiani hanno le stesse capacità. Alcuni non sono adatti". E sempre per evitare i brogli, Mangione ha spiegato la loro richiesta: "schede stampate in Italia con il marchio ad acqua". Altra questione è la riforma della legge costitutiva del CGIE, che è datata 1998: "vorremmo adattarla ai tempi e alle diverse realtà delle comunità". Ma soprattutto "vorremmo costituzionalizzare il CGIE e il voto all'estero, rendendo impossibile per i residenti in Italia la possibilità di candidarsi all'estero".

Il Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord, Giuseppe Stabile, si è concentrato invece sul tema degli incentivi per il ritorno in Italia: "è fondamentale mettere un freno all'inverno demografico partendo anche dai connazionali oltre confine. Si tratta di rendere questa risorsa effettiva. Accendiamo i riflettori su questo tema prioritario per gli interessi del Paese". Inoltre, Stabile si è voluto rivolgere a tutti gli italiani all'estero: "siamo presenti e vi ascoltiamo". "Vogliamo comprendere perché se ne vanno - ha concluso spiegando il lavoro del prossimo futuro -, vogliamo capire se vogliono tornare e quali sono le politiche concrete per farlo".

Mariano Gazzola, Vice Segretario Generale per l’America Latina, ha parlato invece della questione "identità italiana", "che spesso si manifesta in modi diversi da paese e paese, ma non significa che non esista". Da questo presupposto Gazzola ha fatto una richiesta: "evitate di cadere nelle generalizzazioni e nelle stigmatizzazione delle comunità italiani all'estero". E per questo "il CGIE non si nasconde dietro un dito ma lavoriamo per realizzare delle proposte per il parlamento".

Anche Gianluca Lodetti, Vice Segretario Generale di Nomina governativa, si è soffermato su cittadinanza e nuova emigrazione. Riguardo la cittadinanza ha detto: "per noi è importante partire dalle cose che uniscono non da quelle che differiscono (tipo i limiti generazionali). Un cittadino, secondo noi, deve essere collegato ai fondamenti della costituzione e della lingua. Elementi concreti che uniscono le persone che arrivano in Italia e gli italo-discendenti. Per questo la cittadinanza deve essere un istituto consapevole, dei diritti, dei doveri e della conoscenza della lingua".

Riguardo la nuova migrazione, invece, ha spiegato: "è necessario costruire politiche per integrare la circolarità delle migrazioni. Il tutto parte dal costruire politiche di lavoro, industriali". E per farlo "servono servizi adeguati".

Infine è intervenuto Tommaso Conte, Componente del CdP per l’Europa e l’Africa del Nord, che si è concentrato sulla situazione "fallimentare" in cui versano gli enti gestori per la promozione dei corsi della lingua italiana: "hanno sempre avuto avuto problemi economici ma mai come oggi. Ci sono bambini di prima generazione che nascono all'estero che non trovano i corsi di lingua. Non ci sono quasi più associazioni. Gli emigrati italiani ad oggi sono lasciati a loro stessi. Il mantenimento dell'identità culturale sta morendo. E la DGDP se ne chiama fuori". (luc.matteuzzi\ aise/dip 28) 

 

 

 

 

 

1000 giorni di conflitto in Ucraina, i missili Atacms in suolo russo. Cosa ci aspetta?

 

Il Parlamento europeo celebra la resistenza ucraina, ma le incognite sul sostegno Usa e la pressione economica europea rendono il futuro incerto

Sono trascorsi 1000 giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, un conflitto che ha rimodellato non solo gli equilibri geopolitici globali, ma anche il rapporto tra Europa, Stati Uniti e Russia. Questa tragica pietra miliare è stata commemorata durante una sessione plenaria straordinaria del Parlamento europeo, alla presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Mentre i leader dell’Unione ribadiscono il loro impegno per la libertà dell’Ucraina, emergono interrogativi cruciali sul futuro del conflitto e sulle implicazioni per l’Europa.

Il sostegno dell’Unione Europea all’Ucraina

Durante la sessione plenaria, la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha dichiarato che il sostegno all’Ucraina resterà incrollabile fino al raggiungimento di una “libertà e vera pace”. Ha sottolineato come la resistenza ucraina non rappresenti solo una lotta per la propria sovranità, ma un baluardo per la libertà di tutti gli europei. Dal canto suo, il presidente Volodymyr Zelensky ha ringraziato l’Unione Europea per il costante supporto politico, economico e militare. La sua formula di pace, incentrata su sanzioni severe e isolamento economico di Mosca, è stata accolta con favore, sebbene restino sfide critiche. Zelensky ha posto particolare enfasi sulla necessità di contrastare le “flotte ombra” russe che trasportano petrolio, sottolineando che “Putin può uccidere finché queste petroliere operano”. Il leader ucraino ha inoltre esortato l’Ue a mantenere l’unità di fronte alle elezioni statunitensi, ribadendo che la forza congiunta dell’Europa può spingere la Russia verso una pace giusta.

L’Europa, però, deve fare i conti con le proprie divisioni interne e con un’economia in difficoltà. Le spese per gli aiuti militari e umanitari a Kiev, che già superano i 20 miliardi di euro l’anno, pongono una pressione crescente sugli Stati membri. Il rischio di un’escalation, che potrebbe coinvolgere direttamente la Nato, aggiunge ulteriore tensione.

Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali si scontrano con la complessità della situazione sul campo. L’Ue ha fornito aiuti finanziari e militari significativi, ma si trova ora davanti alla possibilità di dover sostenere un peso maggiore, soprattutto se gli Stati Uniti, sotto la futura presidenza Trump, ridurranno il loro sostegno a Kiev. Un tale scenario metterebbe alla prova la coesione europea, in un contesto economico già segnato dall’inflazione e dalla crisi energetica.

L’impatto dei missili a lungo raggio Atacms sul conflitto ucraino

L’autorizzazione concessa dagli Stati Uniti all’Ucraina per l’uso dei missili a lungo raggio Atacms contro obiettivi in territorio russo ha acceso un nuovo capitolo nel conflitto. Questi sistemi d’arma rappresentano un significativo incremento delle capacità offensive di Kiev, potenzialmente in grado di ridurre la durata della guerra. Il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha ha definito questa novità come “una possibile svolta”, anche se gli analisti sottolineano che l’impatto reale potrebbe essere limitato, dato che Mosca ha già spostato molte risorse militari fuori dalla portata di tali armi.

La Russia ha reagito con durezza, definendo l’azione come una provocazione che potrebbe portare a un’escalation significativa. Il Cremlino ha ribadito che un attacco in profondità al territorio russo sarebbe interpretato come un coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto, sollevando timori per un ampliamento delle ostilità.

Le distanze diplomatiche tra Zelensky e Putin

Sul fronte diplomatico, le posizioni restano distanti. Zelensky insiste sul ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina come condizione fondamentale per qualsiasi negoziato, mentre Putin pretende il riconoscimento delle “nuove realtà territoriali”, cioè l’annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. La possibilità di un compromesso appare remota, anche alla luce del misterioso piano di pace attribuito al presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, che prevede una zona demilitarizzata e un congelamento dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato per 20 anni.

In Europa, cresce la preoccupazione per le conseguenze di un eventuale taglio degli aiuti statunitensi a Kiev. L’aumento delle spese militari graverebbe principalmente sui Paesi dell’Uu, già impegnati in una difficile ripresa economica. Allo stesso tempo, un collasso ucraino potrebbe generare una crisi migratoria senza precedenti, con stime che prevedono fino a 10 milioni di rifugiati in caso di vittoria russa.

Solidarietà all’Ucraina o sostenibilità interna?

L’Europa si trova in una posizione critica: continuare a sostenere l’Ucraina significa preservare la stabilità regionale, ma comporta anche il rischio di trascinare il conflitto ancora più a lungo. L’incontro tra il presidente ucraino Zelensky e i leader europei ha rafforzato l’idea che il prossimo anno sarà cruciale per il raggiungimento della pace. Tuttavia, come Zelensky ha ricordato, “la pace giusta” richiederà non solo sforzi diplomatici, ma anche una pressione continua su Mosca attraverso sanzioni e limitazioni economiche.

Il conflitto ha ormai dimostrato di essere più di una guerra territoriale: è uno scontro tra modelli di governance, sistemi economici e visioni del mondo. Per l’Europa, i prossimi mesi rappresentano un’opportunità per dimostrare unità e leadership, ma anche una sfida per mantenere l’equilibrio tra solidarietà e sostenibilità. Il percorso verso la fine della guerra appare lungo e tortuoso, ma come sottolineato dalla Presidente Metsola, “qualsiasi vera pace deve essere costruita sul principio ‘niente sull’Ucraina senza l’Ucraina’“. Adnkronos 19

 

 

 

 

 

Quale l’approccio di Trump alla Nato?

 

La presidenza Trump darà verosimilmente una scossa alla NATO in termini di investimenti nella difesa e sarà in continuità con Biden su Cina e Indo-Pacifico, mentre è improbabile che punti a una rottura di principio. Piuttosto, resta un drammatico punto interrogativo sulla tenuta della deterrenza e della difesa collettiva alleata, se il presidente americano realizzerà la sua intenzione di raggiungere una pace in Ucraina consegnando di fatto a Putin la vittoria politica e militare su Kyiv. 

Il sistema istituzionale e politico statunitense pone dei pesi e contrappesi ai poteri presidenziali in materia di sicurezza nazionale, politica estera e di difesa, e quindi NATO. Ad esempio, un’eventuale decisione di Trump di uscire dal trattato istitutivo dell’Alleanza richiederebbe una maggioranza di due terzi in Senato per diventare realtà, ed è quindi di fatto impossibile che avvenga.

Priorità: investimenti nella difesa e Cina

C’è inoltre un forte consensus bipartisan e una certa continuità tra la prima amministrazione Trump e quella Biden nel spingere affinché gli alleati europei investano maggiormente nella loro difesa, per sgravare le forze armate e i contribuenti statunitensi. Trump lo chiederà in modo molto duro e minaccioso, all’insegna del principio “America First” che contraddistingue la sua piattaforma politica, come già accennato in campagna elettorale. Poiché oggi già 23 stati membri su 32 hanno raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL investito nella difesa, la pressione americana si rivolgerà soprattutto sui 9 Paesi ancora inadempienti. Tra questi spicca l’Italia, ferma al 1,5%: non aumentare il bilancio della difesa potrebbe diventare per il governo Meloni un problema nei rapporti con Washington. Inoltre, poiché la Polonia investe già ora il 4,7% del PIL nella difesa, il Regno Unito punta al 2,5% e diversi altri alleati sono su questa traiettoria a causa della minaccia russa, non è escluso che su spinta americana la NATO fissi una nuova soglia più elevata rispetto al 2%. 

Al di là delle dichiarazioni elettorali di Trump sul rivedere la missione della NATO, è probabile che la limitata attenzione della nuova amministrazione verso l’alleanza si concentrerà sugli investimenti nella difesa. Ciò potrebbe andare di pari passo con una parziale riduzione della presenza militare americana in Europa, ma è improbabile che ciò avvenga in modo drastico per l’opposizione, in primo luogo, dello stesso Pentagono, conscio dei rischi che si correrebbero. In questo contesto, è molto probabile che continui la marginalizzazione del fianco sud nell’agenda NATO, in corso ormai da anni, poiché Trump ha chiarito che l’intervento esterno di Washington sarà strettamente vincolato all’esistenza di un “essenziale” interesse americano, che in questa regione è riconducibile, nella sua visione, solo alla protezione di Israele. È quindi necessario per l’Italia e l’Europa prenderne atto e agire per la stabilità del Mediterraneo allargato al di fuori del formato NATO. 

Altra continuità tra Trump, Biden e l’establishment americano è la priorità assoluta data al confronto a tutto campo con la sfida egemonica posta dalla Cina, e quindi all’Indo-Pacifico. Ciò ha portato la NATO, dal 2019 in poi, a occuparsi maggiormente di Pechino, formulando una valutazione via via più dura della minaccia cinese: dalla costante guerra cibernetica alla corsa allo spazio, dal crescente arsenale nucleare della Cina all’uso strategico di investimenti e commercio per creare dipendenze in Europa. Allo stesso tempo, la NATO ha rafforzato i partenariati con quattro Paesi dell’Indo-Pacifico, ovvero Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. È probabile che entrambi i trend – riconoscimento della minaccia cinese e partenariati regionali – proseguiranno con Trump, magari senza grandi risultati concreti per la sua diffidenza verso il multilateralismo che contraddistingue l’Alleanza, ma sicuramente con un indurimento della posizione NATO verso Pechino. 

L’abbandono dell’Ucraina e il rischio per la NATO

La discontinuità maggiore tra Biden e Trump rispetto alla NATO riguarda l’appoggio occidentale all’Ucraina, che lo scorso summit di Washington aveva incardinato in una struttura alleata ad hoc. Se, come probabile e già annunciato in campagna elettorale, il nuovo presidente cercherà una pace in tempi rapidi per chiudere questo fronte, per lui non importante, di certo Mosca cercherà di ottenere il massimo a spese di Kyiv. Il vicepresidente in pectore Vance ha già accennato pubblicamente alla possibilità che la Russia mantenga le aree conquistate e che venga istituita una zona demilitarizzata in Ucraina, ma tirando la corda il Cremlino potrebbe ottenere anche di più, considerando che Trump non ha una posizione pregiudizialmente anti-russa, anzi. Putin potrà così cantare vittoria in patria e all’estero.

Di conseguenza, nel giro di pochi anni l’alleanza dovrà difendersi da una minaccia russa più grave, imminente e aggressiva, grazie al consolidamento delle conquiste russe in Ucraina. Il Cremlino sarà ancora più convinto che l’uso della forza paga, perché dopo una resistenza iniziale le democrazie occidentali gettano la spugna, e potrebbe tentare un colpo di mano nei Paesi Baltici o altrove per testare la tenuta della difesa collettiva. Questo è il più grande, drammatico e potenzialmente epocale punto interrogativo sull’approccio di Trump alla NATO. Se la nuova presidenza repubblicana lascerà credere a Mosca di poter occupare parte del territorio di uno stato membro, e se non interverrà a difenderlo qualora ciò avvenisse, questa sarà la fine dell’alleanza atlantica. E lo sarà anche dell’Ue come unione politica, perché tutti i Paesi del fianco est sono membri di entrambe le organizzazioni, e se la NATO non agisce, l’Unione non sarebbe minimamente capace di difenderli, neanche nel momento in cui uno stato sotto attacco invocasse le clausole di solidarietà e mutua assistenza presenti nei trattati Ue e legalmente vincolanti. 

Non si tratta di uno scenario immediato, ma neanche remoto, i cui tempi dipenderanno da tre variabili: quanto e quando l’amministrazione Trump taglierà gli aiuti militari a Kyiv per fargli accettare una pace nei termini di Mosca; se e in che misura i Paesi europei manterranno l’unità di fronte alla Russia una volta che Washington aprirà a negoziati sull’Ucraina, e quindi se vorranno e potranno sostituirsi a Washington nel fornire equipaggiamenti militari a Kyiv; infine, la durata dei negoziati con il Cremlino e della resistenza ucraina senza l’attuale livello di forniture statunitensi. 

In questo contesto, l’approccio della nuova amministrazione verso la deterrenza e difesa collettiva NATO sarà probabilmente un equilibrio dinamico e instabile, frutto dell’interazione tra l’attitudine dirompente del presidente e l’attaccamento alla continuità del sistema politico-istituzionale in senso ampio. Nella sua prima presidenza, Trump poteva contare solo su un ridotto numero di fedelissimi e soffrì un certo ostracismo da parte delle istituzioni americane e degli stessi membri della sua amministrazione, che infatti sostituiva con una frequenza senza precedenti. Stavolta, il nuovo presidente in pectore si presenta con una squadra più ampia e allineata, a partire dal vicepresidente, e un piano per sostituire rapidamente le prime e seconde linee del Dipartimento di Stato e di altre istituzioni che potrebbero intralciarlo. Conta inoltre su un partito repubblicano dal quale sono state epurate una serie di figure politiche che l’avevano contrastato negli anni precedenti, e quindi più pronto a sostenere le sue posizioni. È perciò prevedibile una maggiore capacità di Trump di passare dalle parole ai fatti quanto a politica estera e di difesa.  

Questo è particolarmente rilevante per la NATO, in quanto, al netto della suddetta uscita dal Trattato di Washington che è fuori discussione, tutte le scelte americane in una situazione di crisi o escalation, come potrebbe essere quella causata da una Russia imbaldanzita dalla vittoria in Ucraina, rientrano in pieno nelle prerogative del presidente. In altre parole, se né Trump né la sua amministrazione agiranno per scoraggiare Putin dal testare la difesa collettiva NATO dopo aver abbandonato Kyiv, in pochi anni l’Europa potrebbe trovarsi di fronte a una situazione drammatica e dall’esito imprevedibile. Una situazione alla quale iniziare a prepararsi fin da ora, rafforzando il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica. Alessandro Marrone, AffInt 26

 

 

 

 

 

Il lavoro che verrà

 

Non è possibile fare delle previsioni serie sull’Italia che sarà. Se tutto andrà nel verso giusto, i disoccupati dovrebbero diminuire in percentuale e gli occupati, a tempo parziale, potranno far conto sull’invocato tempo indeterminato. In questa primavera, ancora tutta da analizzare, gli effetti mitigatori potrebbero essere non rapidi perché ci saranno da sistemate, in primo luogo, i lavoratori a progetto, a partita Iva e altre realtà occupazionali “mutilate”.

 

 Il nuovo progetto occupazionale potrebbe andare a regime nel biennio2025/2027. Sempre che “regga” il Governo e il Parlamento che lo sostiene.

 

A conti fatti, le aziende hanno capito che con un’occupazione stabile vengono a pagare meno che facendo durare quella precaria. Non solo, la produttività resterebbe maggiormente garantita.

 

Si avrà una nuova concertazione sindacale, anche per meglio evidenziare i “pro” dei reali provvedimenti socio/previdenziali in cantiere. Se saranno varati i decreti applicativi del progetto”lavoro”, si potranno stabilire i salari minimi orari che dovrebbero essere proporzionati a quelli già in essere in altre realtà UE.

 

Se, entro il prossimo anno, la percentuale dei disoccupati dovesse tornare a livelli “fisiologici”, saremmo in grado d’affermare che il peggio della “crisi” potrebbe essere rientrato. Per ora, preferiamo evitare i facili ottimismi che, tra l’altro, non avvantaggerebbero nessuno.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

 

Decreto flussi, Tavolo Asilo e Immigrazione: “Ancora un tentativo del governo di limitare i diritti fondamentali”

 

Pubblichiamo il comunicato del Tavolo Asilo e Immigrazione in relazione agli emendamenti proposti dal Governo al “decreto flussi”.

Tavolo Asilo e Immigrazione: ancora un tentativo del governo di limitare i diritti fondamentali, contro i principi costituzionali e il diritto internazionale

La maggioranza di governo ha presentato mercoledì 13 novembre in Commissione Affari costituzionali a Montecitorio una serie di emendamenti al c.d. “decreto flussi” (D.L. n. 145/2024) che ancora una volta intervengono in maniera pericolosa sulla normativa in materia di migrazione e asilo. La presentazione degli emendamenti arriva all’indomani dell’ingresso in Italia dei sette richiedenti asilo di nazionalità egiziana e bengalese, che da 9 giorni erano trattenuti prima in una nave della marina militare italiana e poi nei centri di detenzione in Albania.

Questa è la diciassettesima volta che il governo interviene su questa materia in due anni, con misure che dimostrano un totale scollamento dalle necessità reali legate all’ingresso, alla tutela e all’accoglienza delle persone migranti. Misure che minacciano un ulteriore e preoccupante svilimento dei principi costituzionali e del diritto internazionale, e che di fatto comportano gravi violazioni dei diritti fondamentali delle persone, oltretutto con effetti contrari all’interesse del paese.

Le organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione esprimono grande preoccupazione in particolare verso alcuni degli emendamenti che producono un ulteriore peggioramento nel processo di criminalizzazione del fenomeno migratorio e di negazione del diritto d’asilo, a partire dal rapporto con paesi che violano i diritti fondamentali a cui è delegato il ruolo di guardiani delle frontiere d’Europa, sino a una mortificazione ulteriore del sistema di accoglienza.

In particolare solleva molta apprensione l’emendamento che sposta la competenza sulle convalide del trattenimento dei richiedenti asilo dalle sezioni specializzate dei tribunali ordinari alla Corte d’appello, con effetti deleteri su tutto il sistema giudiziario. Un sovraccarico di lavoro che non potrà che aumentare il grave affannamento in cui già si trovano le Corti d’appello senza alcun risultato positivo per gli interessati e il sistema. Proprio ieri l’Unione delle Camere Penali Italiane definiva questa una scelta irrazionale e pericolosa il cui scopo appare solo quello di cercare il giudice “non politicizzato”, ma non c’è ragione di ritenere che giudici differenti operino diversamente.

Siamo gravemente preoccupati anche per due emendamenti che agiscono sul già frammentato e precario sistema di accoglienza, che vorrebbero togliere il diritto a essere accolti a richiedenti asilo che si presentano in questura dopo 90 giorni dal loro ingresso e dare la precedenza nelle accoglienze a chi arriva via mare rispetto a chi entra via terra, quando sappiamo che proprio per chi arriva via terra l’ingresso in questura per iniziare la domanda d’asilo è spesso rimandato di mesi per mancanza di personale e prassi discrezionali, con una discriminazione dei diritti dei richiedenti asilo in base alle modalità di accesso al territorio che non può in alcun modo essere tollerata.

Inaccettabile anche la modifica proposta che secreta le informazioni relative all’equipaggiamento fornito a stati terzi per il controllo delle frontiere e dei flussi migratori. L’emendamento punta a classificare e rendere inaccessibili alla società civile e ai cittadini le informazioni e i contratti relativi alla fornitura di mezzi per il controllo delle frontiere a paesi come la Tunisia o la Libia, dove le autorità responsabili del pattugliamento in mare sono state riconosciute responsabili di gravissime violenze, torture e abusi.

Da anni la società civile denuncia la complicità dell’UE e dell’Italia in episodi di intercettazioni e respingimenti, e l’accesso alle informazioni – già limitato – è stato fondamentale per ricostruire le catene di responsabilità. Secretare questo tipo di informazioni equivale a costruire un sistema di impunità che renderà ancora più difficile ricostruire le responsabilità dell’Italia nelle violazioni nei paesi con i quali sono stati firmati accordi.

Il decreto con i nuovi emendamenti rischia di essere approvato in Aula entro il prossimo 25 novembre.

Facciamo appello al governo e a tutte le forze politiche presenti in Parlamento affinché cessi questa rincorsa insensata e strumentale ad affrontare questioni complesse e delicate che pesano sulla vita di migliaia di persone, attraverso interventi che producono ingiustizie e discriminazioni.

L’Italia ha altre priorità e altri problemi che non si risolvono attaccando i diritti dei richiedenti asilo e negando i principi del diritto internazionale e della nostra Costituzione. Migr.on. 15

 

 

 

 

 

G20: "Destinare i fondi per le armi alla lotta alla fame"

 

Il Papa ha inviato un messaggio letto dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, al G20 in corso a Rio de Janeiro, in Brasile. Di Marco Mancini

Rio de Janeiro. “Nel contesto di un mondo globalizzato che si trova ad affrontare una moltitudine di sfide interconnesse, è essenziale riconoscere le significative pressioni attualmente esercitate sul sistema internazionale. Queste pressioni si manifestano in varie forme, tra cui l'intensificarsi di guerre e conflitti, attività terroristiche, politiche estere assertive e atti di aggressione, nonché il persistere di ingiustizie. È quindi della massima importanza che il Gruppo dei 20 individui nuove strade per raggiungere una pace stabile e duratura in tutte le aree di conflitto, con l'obiettivo di ripristinare la dignità delle persone coinvolte”. Lo scrive il Papa nel messaggio letto dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, al G20 in corso a Rio de Janeiro, in Brasile.

“I conflitti armati a cui si assiste attualmente – denuncia Francesco - non sono solo responsabili di un numero significativo di morti, di sfollamenti di massa e di degrado ambientale, ma contribuiscono anche ad aumentare le carestie e la povertà, sia direttamente nelle aree colpite sia indirettamente nei Paesi che si trovano a centinaia o migliaia di chilometri di distanza dalle zone di conflitto, in particolare attraverso l'interruzione delle catene di approvvigionamento. Le guerre continuano ad esercitare una notevole pressione sulle economie nazionali, soprattutto a causa dell'esorbitante quantità di denaro spesa per armi e armamenti”.

Il Papa poi affronta il tema della fame. “La silenziosa accettazione della carestia da parte della società umana è una scandalosa ingiustizia. Coloro che causano la fame e la morte dei loro fratelli e sorelle della famiglia umana, commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile. Non bisogna risparmiare alcuno sforzo per sottrarre le persone alla povertà e alla fame. È importante tenere a mente che il problema della fame non è solo una questione di cibo insufficiente; piuttosto, è una conseguenza di più ampie ingiustizie sociali ed economiche. La povertà, in particolare, è un fattore che contribuisce in modo significativo alla fame, perpetuando un ciclo di disuguaglianze economiche e sociali che sono pervasive nella nostra società globale. Il rapporto tra fame e povertà è inestricabilmente legato. È quindi evidente che è necessario intraprendere un'azione immediata e decisiva per sradicare il flagello della fame e della povertà”.

Francesco infine torna a chiedere “di reindirizzare i fondi attualmente destinati alle armi e ad altre spese militari verso un fondo globale destinato ad affrontare la fame e a promuovere lo sviluppo nei Paesi più impoveriti. Questo approccio contribuirebbe a evitare che i cittadini di questi Paesi siano costretti a ricorrere a soluzioni violente o illusorie, o a lasciare i loro Paesi in cerca di una vita più dignitosa”.  Aci 19

 

 

 

 

Erasmus+: nel 2025 quasi 5 miliardi di euro

 

BRUXELLES - Nel 2025 il programma Erasmus+ dell'UE sosterrà gli scambi di apprendimento all'estero e i partenariati di cooperazione nei settori dell'istruzione, della formazione, della gioventù e dello sport con circa 5 miliardi di euro, pari a un aumento del 6,5% del finanziamento rispetto allo scorso anno. La Commissione europea ha pubblicato ieri l'invito a presentare proposte Erasmus+ per il 2025.

Con oltre 16 milioni di partecipanti dall’istituzione nel 1987, Erasmus+ continua a veder crescere le adesioni, oltre ad ampliare l’accesso e l’inclusione per le persone con minori opportunità. Ciò è in linea con la recente raccomandazione del Consiglio "L'Europa in movimento", che fissa obiettivi ambiziosi per aumentare la mobilità e la partecipazione, in particolare dei gruppi sottorappresentati.

Il programma Erasmus+ manterrà il suo impegno a sostenere il sistema di istruzione ucraino e i discenti e gli educatori presenti in Ucraina o che si sono rifugiati nell'UE. Nel 2023 Erasmus+ ha finanziato la stampa e la consegna di 500 mila manuali scolastici in lingua ucraina, mentre quest’anno sono stati forniti alle scuole ucraine un milione di libri di arte e di informatica. Per l'anno scolastico 2025-2026 è prevista una terza fornitura.

In linea con i settori prioritari delineati nel programma Erasmus+ per il periodo 2021-2027, l'invito continuerà a sostenere un'ampia gamma di progetti incentrati sulla promozione dell'inclusione sociale, delle transizioni verde e digitale e della partecipazione dei giovani alla vita democratica.

“Con Erasmus+, non stiamo solo supportando l’istruzione e la mobilità: stiamo promuovendo i valori stessi che uniscono l’Europa, come la solidarietà, l’inclusione, la democrazia e il rispetto dei diritti umani”, ha commentato Margaritis Schinas, vice presidente per la Promozione dello stile di vita europeo. “Dalla sua creazione, il programma ha dato potere a milioni di partecipanti, con 16 milioni di mobilità e in continuo aumento. Guardando al futuro, Erasmus+ continuerà a incarnare questi valori fondamentali, contribuendo a costruire un’Europa più coesa, aperta e unita nella diversità”.

Soddisfatta anche la commissaria all’Innovazione, Ricerca, Cultura, Educazione e Gioventù, Iliana Ivanova, per la quale “Erasmus+ è una delle più grandi storie di successo dell’Unione Europea, trasforma vite e connette persone attraverso l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport da quasi quattro decenni”. Inoltre, ha aggiunto, “mentre continuiamo a supportare milioni di partecipanti, inclusi quelli con minori opportunità, Erasmus+ rimane al cuore della costruzione di un’Europa più forte, unita e proiettata verso il futuro“. (aise 21)

 

 

 

 

 

Le percentuali della crisi

 

Farci i conti in tasca è impresa spiacevole. Spesso, però, necessaria per tentare d’intendere come si evolverà l’economia italiana. In altri termini, quella di tutti i giorni. Per avere precisi termini di raffronto, abbiamo preso in esame i prezzi di merci comuni. Limitando la nostra indagine tra maggio 2020 e maggio 2024.  Le percentuali si riferiscono alla media nazionale; anche se le stesse differiscono tra regione e regione.

 

Gli stipendi e le pensioni, per il periodo considerato, hanno subito un aggiornamento dell’1,5 % (al lordo d’imposta). Insomma, gli adeguamenti delle retribuzioni e dei trattamenti previdenziali, nella maggioranza dei casi, restano inferiori al costo della vita. Oggi, con stipendi e pensioni, spesso, non si riesce ad arrivare alla fine del mese. Gli italiani vivono di “promesse” e con un’”allerta” sanitaria ancora in atto. Riprendere la via di una libera economia, in un’Europa senza vincoli territoriali, appare effimero. Per di più, le “stelle” dell’UE non brillano all’unisono. Il ruolo d’Italia resta da quantificare nella misura in cui si riuscirà a sanare, prima di tutto, l’economia interna. Compito difficile anche per questo Governo anche a fronte di una situazione bellica ad est d’Europa.

 

La penisola s’è svenduta i pezzi migliori per tentare d’evitare il collasso. Che ci sia riuscita è una tangibilità ancora tutta da verificare. Intanto, gli investimenti internazionali nel nostro Paese restano limitati. Nel 2002, ci siamo mossi in modo sconveniente. La conversione Lira/Euro doveva essere meglio negoziata. In UE, tanto per capirci, chi decide la politica monetaria sono i Paesi con un’economia interna forte. Il nostro, nonostante i migliori propositi, continua a non essere tra questi. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

 

Regionali, centrodestra battuto due volte "ma la maggioranza resta solida"

 

In Umbria ed Emilia Romagna vince il centrosinistra, Meloni si complimenta "al di là delle differenze politiche" e Tajani rivendica il risultato di Forza Italia. Ma il caso della leghista Tesei brucia

Doppia sconfitta per il centrodestra in Emilia Romagna e Umbria. La prima Regione resta saldamente nelle mani del centrosinistra, grazie alla vittoria del sindaco di Ravenna Michele De Pascale su Elena Ugolini; la seconda ritorna 'rossa' dopo la parentesi degli ultimi cinque anni targati Donatella Tesei, la candidata della Lega e del centrodestra che non è riuscita a bissare il successo del 2019.

Alle 19.09, quando il quadro emerso dalle proiezioni era ormai chiaro, la premier e leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni non può che riconoscere la vittoria dei candidati dello schieramento rivale: "Desidero rivolgere i miei auguri di buon lavoro ai nuovi presidenti della Regione Umbria, Stefania Proietti, e della Regione Emilia Romagna, Michele De Pascale. Al di là delle differenze politiche, auspico una collaborazione costruttiva per affrontare le sfide comuni e lavorare per il benessere e il futuro delle nostre comunità", scrive su X la presidente del Consiglio, che rivolge un "ringraziamento sentito" a Donatella Tesei ed Elena Ugolini "per l'impegno, la dedizione e la passione dimostrati in questa competizione elettorale".

Alle parole di Meloni si aggiungono quelle del segretario di Forza Italia Antonio Tajani, che sottolineava come la sua forza politica abbia "raddoppiato i consensi in entrambe le Regioni" promettendo "un'opposizione costruttiva". Per il vicepremier e numero uno della Lega Matteo Salvini "gli elettori hanno sempre ragione. Già da domani - assicurava il ministro delle Infrastrutture - sono a disposizione dei nuovi amministratori per portare avanti tutte le opere pubbliche che servono a cittadini e territori". "Questo voto non avrà ripercussioni sul governo e sulla maggioranza, ma sarà uno stimolo a riprendere con vigore e compattezza la via delle riforme e della modernizzazione del Paese", l'opinione di Maurizio Lupi, soddisfatto del risultato di Noi Moderati, che in Umbria ha "più che quintuplicato i voti rispetto alle politiche, arrivando quasi al tre per cento".

L'analisi della sconfitta, il caso Umbria brucia

In casa Fdi, a taccuini chiusi si analizza l'esito di un voto sul quale non si nutrivano grandi aspettative: "Quest'estate partivamo molto sotto nei sondaggi, in campagna elettorale c'è stata una grossa rimonta ma non è bastata. Quando si perde, si ascoltano sempre gli elettori" spiegano all'Adnkronos fonti di peso di Via della Scrofa, che in tema di regionali rivendicano il risultato di "11 a 3" da quando il centrodestra ha vinto le elezioni politiche del 2022. Se, da una parte, sull'Emilia Romagna nessuno riponeva speranze di successo, discorso diverso lo merita l'Umbria, dove la sconfitta brucia di più. Mentre Fi e Lega tengono botta rispetto alle europee, sono i voti di Fratelli d'Italia quelli che mancano all'appello: a giugno il partito di Meloni aveva ottenuto il 32,62% in Umbria al voto di giugno, questa volta non arriva al 20%. Ma anche se nessuno lo ammette apertamente, a penalizzare il centrodestra secondo diversi meloniani sarebbero stato lo scarso appeal comunicativo di Tesei. Molti, dalle parti di Fdi, dubitavano delle capacità carismatiche della leghista: "Nel caso specifico ovviamente uno fa le giuste riflessioni, ma è facile parlare il giorno dopo: Tesei si è impegnata per cinque anni, ha fatto la campagna elettorale. Per ora si ringrazia tutti, non buttiamo la croce su nessuno. Poi faremo le dovute riflessioni", spiegano le stesse fonti, secondo le quali "non cambia nulla per la maggioranza, che resta solida ed è serena. Non si può vincere sempre".

A chi le chiede se sia mancato il traino di Fratelli d'Italia, che in Umbria si attesta sotto il 20%, la governatrice sconfitta Donatella Tesei risponde che "tutti i partiti hanno dato il massimo", anche "per far conoscere anche quello che forse non siamo in grado di comunicare bene durante questi cinque anni". Anche il segretario della Lega in Umbria Riccardo Marchetti non cerca "colpevoli": "Tutti nell'alleanza hanno condotto una campagna seria, anche gli alleati di Fratelli d'Italia. Bisogna invece capire cosa gli elettori, evidentemente, non hanno capito", dobbiamo "prepararci per difendere quelle che sono le tante azioni messe in campo dal governo regionale e nazionale".

Non fa professione di modestia il sindaco di Terni Stefano Bandecchi, che con la sua Alternativa Popolare ha sostenuto la corsa di Tesei dopo aver accarezzato il sogno di una sua candidatura in prima persona: "Con me candidato presidente avremmo vinto contro Stefania Proietti, senza ombra di dubbio. Parliamo di un leader contro acqua fresca...", afferma con l'Adnkronos l'imprenditore, senza giri di parole. Sul risultato di Ap "posso dire con orgoglio che abbiamo portato anche più di quanto fosse prevedibile. Abbiamo fatto la nostra parte e non abbiamo nulla da recriminare, al contrario di quello che fa la sinistra quando perde. Come centrodestra dobbiamo fare un esame di coscienza e lavorare meglio. Per esempio, penso a Tesei: ha fatto tantissimo, ma forse non ha comunicato i suoi risultati nel modo giusto", osserva Bandecchi.

In una nota Forza Italia rivendica il suo "trend positivo": l'ultima tornata elettorale conferma il movimento come "secondo partito della coalizione di centrodestra e la terza forza politica in assoluto", risultato che rende l'obiettivo del 20% alle prossime politiche "assolutamente alla nostra portata" a detta degli azzurri. Su X fa discutere però il tweet pubblicato dalla deputata di Fi Rita Dalla Chiesa: "Alla prossima alluvione se lo ricorderanno", scrive l'ex conduttrice a proposito dell'esito del voto in Emilia Romagna. Poi la precisazione: "E' una terra che ha vissuto momenti difficilissimi. Tante persone hanno perso tutto a causa dell'alluvione. Da esponente del centrodestra, speravo che questo dramma potesse essere anche un momento di riflessione, soprattutto per gli emiliani. Mi fa male pensare che non abbiano compreso che con il centrosinistra si rischia di arrivare a queste situazioni...", affermava la parlamentare, interpellata dopo le polemiche sollevate dal suo post. Adnkronos 19

 

 

 

 

 

La Marcia PerugiAssisi: la pace prima di tutto

 

Ground Offensive Begin. Scrivo queste note nel momento in cui i grandi circuiti internazionali dell’informazione annunciano l’avvio della nuova invasione israeliana del Libano. La precedente è del 2006, ma questa volta a essere sull’orlo del baratro non è solo il Paese dei Cedri ma il mondo intero. Molti non si rendono conto del pericolo. Altri preferiscono nasconderlo. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti quelli che la vogliono vedere.

«Siamo vicini a una guerra quasi mondiale», ha denunciato papa Francesco il 27 settembre scorso dal Belgio. Anche questa volta, come accade dall’inizio di questo pontificato, il suo grido d’allarme è stato silenziato. Ma la realtà è più forte dei suoi vergognosi manipolatori e il pericolo che dieci anni fa – quando papa Francesco ha cominciato a parlare della “Terza guerra mondiale a pezzi” – poteva apparire remoto, oggi si materializza davanti a noi. Non è catastrofismo.

La guerra, che nel 2014 si combatteva nella piccola regione ucraina del Donbass, oggi fa esplodere i suoi missili a Kiev e a Mosca e ci rigetta dentro l’incubo oscuro della guerra atomica. Da un anno assistiamo alla carneficina e alla devastazione della Striscia di Gaza e ora temiamo il peggio in Cisgiordania, in Libano e nel resto del Medio Oriente. È il vortice della guerra che infuria, si rafforza e si allarga senza regole né limiti. Di questo passo, quello che oggi vediamo malvolentieri in Tv, rischiamo di viverlo domani nelle nostre città.

«Ci stiamo avvicinando all’inimmaginabile: una polveriera che rischia di inghiottire il mondo», ha tuonato il Segretario generale dell’Onu in chiusura del Summit del Futuro di settembre. «Il livello di impunità nel mondo è politicamente indifendibile e moralmente intollerabile. Oggi, un numero crescente di governi e altri soggetti si sentono autorizzati a fare di tutto. Possono calpestare il diritto internazionale. Possono violare la Carta delle Nazioni Unite. Possono chiudere un occhio sulle convenzioni internazionali sui diritti umani o sulle decisioni dei tribunali internazionali. Possono infischiarsene del diritto umanitario internazionale. Possono invadere un altro Paese, distruggere intere società o ignorare completamente il benessere del proprio popolo».

Di fronte a questa situazione, non è facile impegnarsi per la pace. Lo sappiamo bene. Devi resistere al senso d’impotenza che ti sale ogni giorno e agli attacchi dei propagandisti della guerra che dominano la comunicazione istituzionale. Vediamo come trattano un grande Papa come Francesco. Eppure, se sai quanto sono grandi il bene della pace e il male della guerra, non puoi fare altro che rinnovare il tuo impegno. Non è solo un dovere morale, ma anche una necessità urgente. Con questo spirito, il 21 settembre, nella Giornata internazionale della pace, ci siamo ritrovati a riflettere e a camminare assieme, ancora una volta in tanti e diversi, nella città di san Francesco d’Assisi. Ed è stato un momento speciale.

Di fronte alle sfide e ai pericoli che incombono, di fronte all’incalzare di tragici eventi, è necessaria una mobilitazione straordinaria che, passando di bocca in bocca, di scuola in scuola, di città in città, di organizzazione in organizzazione, di parrocchia in parrocchia, possa far crescere un grande movimento unitario di cittadini e istituzioni per la pace. Per alimentarla abbiamo ideato e avviato il programma Immagina, che culminerà domenica 12 ottobre 2025 nell’organizzazione di quella che dovrà diventare la più grande Marcia PerugiAssisi della storia.

Immagina è il percorso di un anno, centrato sulla formazione di una nuova generazione di costruttrici e costruttori di pace. Persone che desiderano la pace, che la amano e siccome la vogliono la fanno, ci lavorano, si battono per ottenerla, s’impegnano a costruirla. Sappiamo che il lavoro da fare è grande. Sappiamo che dobbiamo: 1) ricostruire il nostro senso di responsabilità verso la pace; 2) ricostruire la capacità nostra e delle nostre istituzioni di “fare la pace”; 3) ricostruire la politica e le istituzioni della pace. Dalla più piccola alla più grande. Imagine all the people living together in peace (Immagina tutte le persone vivere insieme in pace): questo è lo slogan della Marcia PerugiAssisi del 2025, che ci accompagnerà per tutto l’anno insieme a tre preziose bussole: l’Enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale; l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile; il “Patto per il futuro”.

In un pianeta in fiamme, in un mondo in guerra, noi vogliamo spingerci in una direzione e in un mondo diverso. In un tempo buio, che uccide la fiducia e la speranza, noi vogliamo suscitare un sogno, antico e moderno: “Il sogno di una società fraterna”. In un mondo devastato dall’individualismo, dall’egoismo e dall’indifferenza che uccide e lascia uccidere, mentre lo scontro di interessi alimenta spietate guerre di ogni genere, mentre uomini spietati si accaniscono ferocemente contro bambini, donne, malati e anziani, in un mondo intriso di violenza, pieno di muri e confini, mentre si accelera un’incontrollata corsa al riarmo, di fronte ai segni sempre più marcati della “Terza guerra mondiale”, noi vogliamo reagire con “Il sogno della fraternità e dell’amicizia sociale”.

La fraternità è l’alternativa alla guerra: l’altro orizzonte possibile. Noi lo vogliamo sognare, desiderare e costruire. Facciamolo assieme! Se anche tu condividi questo sogno, se vuoi tornare a sognare insieme, aiutaci a organizzare la più grande Marcia PerugiAssisi per la pace e la fraternità. (www.perlapace.it) Flavio Lotti, Vita Past. novembre

 

 

 

 

 

IA: ripensare il futuro con consapevolezza

 

L’intelligenza artificiale è una realtà complessa e in continua evoluzione, che richiede una riflessione costante per comprenderne le implicazioni e guidarne lo sviluppo. Di Giovanni Tridente

L’intelligenza artificiale (IA) è un tema che abbiamo già affrontato da diverse angolazioni, ma torna spesso al centro della riflessione perché la sua complessità e il suo impatto richiedono continui approfondimenti. Più volte abbiamo sottolineato come si tratti di una tecnologia che si sta dimostrando in grado di influenzare molteplici aspetti della nostra esistenza, dal lavoro alla salute, fino al nostro modo di pensare. Torniamo oggi su alcuni concetti che vale la pena guardare in prospettiva.

Cosa intendiamo per IA: un promemoria

Abbiamo già definito l’IA come un insieme di sistemi informatici capaci di simulare alcune funzioni tipiche dell’intelligenza umana, come l’elaborazione del linguaggio, il riconoscimento di immagini o la risoluzione di problemi. Questa tecnologia, sviluppata a partire dagli anni ’50, si basa fondamentalmente su due grandi pilastri: una potenza di calcolo eccezionale e un’enorme quantità di dati. Ciò le consente di superare l’uomo in compiti ripetitivi e ad alta intensità di calcolo, rendendola per questo uno strumento straordinariamente versatile.

Benefici e insidie: una panoramica

Tra gli ambiti applicativi dell’IA che abbiamo spesso menzionato - molti dei quali li abbiamo snocciolati nel volume 50 domande & risposte sull’Intelligenza Artificiale - , vale la pena ricordare alcuni esempi concreti. Nella medicina, l’IA sta rivoluzionando le diagnosi, rendendole più rapide e precise, e offre supporto nello sviluppo di trattamenti personalizzati. Sul fronte della sicurezza, i sistemi di sorveglianza intelligenti migliorano la prevenzione dei crimini, ma pongono interrogativi etici legati alla privacy. Riguardo all’ambiente, l’IA aiuta a monitorare l’inquinamento e ottimizza l’uso delle risorse, ma occorre vigilare affinché questi benefici non siano riservati solo a chi ha accesso alle tecnologie avanzate.

Accanto a queste opportunità, dunque, emergono rischi importanti. Come abbiamo già discusso, demandare decisioni critiche a sistemi autonomi, specialmente in ambito bellico, può portare a conseguenze devastanti, minando - o eclissando - alla radice anche il concetto stesso di responsabilità umana. C’è poi la disparità nell’accesso all’IA se pensiamo che, già solo a livello tecnologico, il 30% della popolazione mondiale non ha neppure accesso a Internet. E questo rischia di ampliare il divario tra chi può sfruttare le potenzialità di queste innovazioni tecnologiche e chi ne rimane escluso.

Mai dimenticare l’essere umano

Abbiamo spesso ribadito che l’IA non è solo una questione tecnica, ma una sfida etica e sociale. Per questo è cruciale continuare a ricordare l’importanza di regole condivise che promuovano trasparenza, responsabilità e inclusività. L’obiettivo non deve essere solo quello di innovare, ma di farlo per il bene comune, senza sacrificare la dignità e la centralità della persona.

Organismi internazionali come l’OCSE, ad esempio, hanno tracciato sin dal 2019 linee guida su trasparenza e sicurezza, ma la loro attuazione dipende dalla nostra capacità di costruire un dialogo istituzionale a livello globale. Ciò in effetti può avvenire se a tutti i livelli - dagli sviluppatori all’ultimo utilizzatori - viene alimentata una consapevolezza critica e condivisa.

Una relazione complessa

Un tema che torna spesso anche negli incontri che stiamo realizzando è il rapporto tra uomo e tecnologia. L’IA sta già cambiando il modo in cui viviamo e interagiamo con il mondo, ma resta una domanda centrale: come influenzerà la nostra spiritualità, la nostra fede, il nostro senso di umanità?

Se da un lato la tecnologia può stimolare interrogativi profondi su cosa significhi essere umani, dall’altro è evidente che non potrà mai sostituire esperienze intrinsecamente umane, come il senso del sacro o la relazione personale con gli altri.

Una sfida aperta

Ci troviamo pertanto di fronte a una sfida aperta, in cui opportunità e rischi convivono e continueranno a convivere. Il nostro compito, in qualunque settore ci troviamo ad operare e a qualunque livello agiamo, sarà quello di comprenderne tutte queste implicazioni per guidarne lo sviluppo in una direzione che sia orientata al bene e sostenibile. A.d. 18

 

 

 

 

 

G20. Molto rumore per nulla?

 

Si sta chiudendo il sipario sul 19° G20, e viene spontaneo chiedersi: tutto questo clamore è davvero servito a qualcosa? Prendendo in prestito il titolo della celebre commedia di Shakespeare, viene da riflettere se l’imponente macchina organizzativa – con una città come Rio de Janeiro praticamente paralizzata per giorni, 56 ospiti (di cui 23 capi di Stato) accolti nel Museo di Arte Moderna, e le spese esorbitanti sostenute dal Brasile e dai partecipanti – valga davvero il gioco. Insomma, è il classico caso in cui viene spontaneo tirare fuori l’analisi costo-beneficio (ACB).

E qui si apre il vero dilemma: dal punto di vista pubblico e privato, i conti tornano? Per i privati, sembra di sì: c’è chi ha guadagnato visibilità a livello internazionale, con belle foto e discorsi a effetto. Ma per il pubblico, il beneficio si riduce a bei propositi e grandi promesse. Secondo alcune fonti, il comunicato finale si concentrerà sui soliti temi: lotta alla fame, pace, tassazione più gravosa per i ricchi. Tuttavia, sugli impegni concreti, soprattutto per il clima, siamo ancora al palo. Anzi, si registra persino un passo indietro: niente accenni a un’effettiva transizione dai combustibili fossili o a un reale impegno finanziario sul tema. Il solito muro contro muro: da una parte i Brics, dall’altra USA ed Europa.

E per l’Italia? La premier Giorgia Meloni si è concentrata su agricoltura, energia, cibo e acqua, con una tabella di marcia fitta di incontri e interventi. Ma anche qui, al netto dei buoni propositi, resta da capire quanto di tutto questo si tradurrà in fatti concreti.

Risultato finale? Per dirla con Lina Wertmüller: “Tutto a posto e niente in ordine”. Se non altro, però, il lato turistico ha funzionato alla grande: i leader hanno trovato il tempo di visitare alcune delle meraviglie di Rio, facendo sicuramente felice l’Ente del Turismo brasiliano. Chissà se altrettanto felici possono dirsi gli affamati e i dimenticati di cui tanto si è parlato.

Giuseppe Arnò, dip 20

 

 

 

 

 

 

La solidarietà

 

In questi mesi d’emergenza economica dovremmo, per coesa necessità, riscoprire la solidarietà. Metodo sicuro, e senza compromessi, per fare fronte ai bisogni di una società che richiede tutto e che, almeno per ora, ha avuto troppe promesse. Quelle che non dovrebbero avere un colore politico.

 

I fatti che abbiamo vissuto, e che ancora vivremo, sono la prova di una società malata, anche nello spirito, che si dovrebbe attivare per cambiare. Riprendere la normalità delle nostre vite non sarà agevole. Ma provare bisogna. Per riprendere la nostra vita, il nostro essere italiani, anche nel baratro delle incertezze socio/sanitarie. Ora è indispensabile operare per riprenderci la nostra esistenza in un Paese che avrà da offrire poco. Pur se certi privilegi resteranno.

 

 La meta, che sentiamo nostra, è chiara: ” costruire la nuova società in una prospettiva d’uguaglianza che, per il passato, era più formale, che sostanziale. Il termine “indigenza” resterà alla nostra ribalta sociale per lungo tempo. Non saranno, certamente, i politici a risolvere le nostre più immediate necessità. Fare finta di non vedere è impossibile. La realtà non consente neppure gli ottimismi di “facciata”. Ci sembra rilevante prenderci cura anche degli altri. Perché il Popolo italiano ha delle necessità in comune. L’indispensabile ha da essere garantito a tutti.

 

 La politica ci ha deluso ed ha determinato, tra l’altro, confusione anche tra i meglio intenzionati. In questo periodo di essenziale “assestamento” sociale, cerchiamo d’essere coesi per una meta comune: il futuro del Paese. “Politica” e “Solidarietà” non hanno mai avuto, e non avranno poli d’attrazione. Facciamo in modo di sostituire la “teoria” del quotidiano, con la “pratica” di un sistema produttivo. La solidarietà potrebbe essere la prima arma vincente.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Nuovo Codice della Strada: le nuove regole

 

Il nuovo Codice della strada è stato approvato ieri dal Senato. Ora la palla passa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: con la sua firma le modifiche verranno pubblicate in Gazzetta Ufficiale e dopo 15 giorni entreranno ufficialmente in vigore. Il Sir ha fatto un punto sulle principali modifiche introdotte con l’aiuto Roberto Romeo, esperto di settore e presidente nazionale di Anglat, Associazione nazionale di promozione sociale che dal 1980 opera, anche in sede internazionale, per la rappresentanza e la tutela dei diritti delle persone con disabilità e dei loro nuclei familiari, prioritariamente nel settore della mobilità, della guida, del trasporto e dell’accessibilità. Andrea Regimenti

Il nuovo Codice della strada è stato approvato ieri dal Senato. Ora la palla passa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: con la sua firma le modifiche verranno pubblicate in Gazzetta Ufficiale e dopo 15 giorni entreranno ufficialmente in vigore. “Più sicurezza e prevenzione, contrasto ad abusi e comportamenti scorretti, norme aggiornate ed educazione stradale”, ha promesso il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Per gli automobilisti, ma non solo per loro, quindi cambieranno alcune regole. Questo disegno di legge introduce numerose modifiche volte a migliorare la sicurezza sulle strade italiane, con l’obiettivo di raggiungere una mortalità zero entro il 2035, come richiesto dalla Commissione Europea. Tra le principali novità, vi sono sanzioni più severe per la guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti, nuove regole per l’uso dei monopattini e delle biciclette, e misure per la protezione degli utenti vulnerabili, inclusi pedoni e persone con disabilità. Inoltre, il disegno di legge prevede l’installazione obbligatoria di dispositivi di sicurezza come l’alcolock per chi è stato sanzionato per guida in stato di ebbrezza. Il Sir ha fatto un punto sulle principali modifiche introdotte con l’aiuto Roberto Romeo, esperto di settore e presidente nazionale di Anglat, Associazione nazionale di promozione sociale che dal 1980 opera, anche in sede internazionale, per la rappresentanza e la tutela dei diritti delle persone con disabilità e dei loro nuclei familiari, prioritariamente nel settore della mobilità, della guida, del trasporto e dell’accessibilità.

Di seguito le nuove regole nel Codice della Strada per ogni categoria:

Biciclette

In caso di sorpasso, è obbligatorio mantenere una distanza di almeno un metro e mezzo. La potenza massima del motore delle bici elettriche rimane di 250 Watt e la velocità massima non deve superare i 30 km/h. A tutela dei ciclisti, è stato inoltre inserito l’obbligo per tutti i conducenti di veicoli a motore di mantenere, in caso di sorpasso, una distanzadi sicurezza laterale non inferiore a 1,5 metri.

Monopattini

I monopattini devono essere dotati di assicurazione, targa e frecce obbligatorie per garantire maggiore sicurezza. È obbligatorio l’uso del casco per tutti, anche per i minorenni. Le sanzioni per chi circola senza assicurazione vanno da 100 a 400 euro; per chi usa monopattini senza indicatori luminosi di svolta e freno su entrambe le ruote, le multe vanno da 200 a 800 euro. È vietata la sosta dei monopattini sui marciapiedi e quelli noleggiati devono avere un meccanismo di blocco automatico fuori dalle zone consentite. I monopattini possono circolare solo su strade urbane con limiti di velocità sotto i 50 km/h, non più su piste ciclabili e nelle isole pedonali.

Guida in stato di ebbrezza

Il Codice della Strada introduce la tolleranza zero per chi guida ubriaco. Le sanzioni variano in base al tasso alcolemico:

* Tra 0,5 e 0,8 g/l: Sanzione tra 573 e 2.170 euro, sospensione della patente da 3 a 6 mesi.

* Tra 0,8 e 1,5 g/l: Sanzione da 800 a 3.200 euro, detenzione fino a 6 mesi, sospensione della patente da 6 mesi a un anno.

* Oltre 1,5 g/l: Sanzione da 1.500 a 6.000 euro, detenzione da 6 mesi a 1,5 anni, sospensione della patente da 1 a 2 anni.

In tutti i casi, vi è una decurtazione di 10 punti dalla patente. È vietato bere alcol prima di mettersi alla guida e per i recidivi è obbligatorio l’alcolock sull’auto, un dispositivo che impedisce l’avvio del veicolo in caso di ebbrezza. Se il test è positivo, la patente viene revocata e non può essere conseguita per tre anni.

Guida sotto effetto di stupefacenti

Per chi guida sotto effetto di droghe (positivo ai test salivari), è prevista la revoca della patente, con impossibilità di conseguirne una nuova per 3 anni.

Apparecchiature elettroniche

Le sanzioni per l’uso di apparecchiature elettroniche alla guida sono state inasprite:

* Ritiro della patente per una settimana se il conducente ha più di 10 ma meno di 20 punti sulla patente. Sospensione della patente per 15 giorni se il punteggio è inferiore.

* Prima infrazione: Multa da 250 a 1.697 euro e sospensione della patente da 15 giorni a 2 mesi.

* Recidiva: Multa da 350 a 2.588 euro, sospensione della patente da 1 a 3 mesi e decurtazione da 8 a 10 punti.

“Questi interventi – spiega Romeo – potrebbero essere un valido deterrente, ma per renderli più efficaci e diffusi tra i giovani, la cultura della legalità e della responsabilità sulla sicurezza stradale dovrebbe essere promossa tramite iniziative di informazione e formazione”.

Motoveicoli (es. scooter)

I conducenti di ciclomotori e motocicli verranno inseriti nell’elenco degli “utenti vulnerabili” insieme a pedoni, persone con disabilità, ciclisti e categorie simili. Gli aspiranti motociclisti autorizzati a esercitarsi per conseguire le patenti di categoria AM, A1, A2 e A, muniti di foglio rosa, non potranno trasportare passeggeri. Chi occupa spazi riservati alla fermata o alla sosta dei veicoli per persone invalide o blocca gli scivoli o i raccordi tra i marciapiedi, le rampe o i corridoi di transito, sarà soggetto a una multa da 165 a 660 euro.

Autovelox

Arriva una stretta sull’utilizzo degli autovelox, che saranno utilizzabili solo nel caso in cui la velocità massima sul tratto di strada è inferiore di non più di 20 km/h rispetto a quanto previsto dal Codice per quella tipologia di strada (per esempio su una strada extraurbana dove il limite normalmente è di 90 km/h non potranno essere installati dispositivi su tratti con limite a 60 km/h). Il dispositivo dovrà essere preceduto da un apposito segnale a non meno di 1 chilometro prima e tra due autovelox si dovrà mantenere una distanza di almeno 3 chilometri sulle strade extraurbane principali e di almeno un chilometro su quelle secondarie. Chi prenderà più multe sullo stesso tratto stradale nel giro di un’ora non si vedrà accumulare le sanzioni, ma ne pagherà solamente una, la più grave aumentata di un terzo.

Limiti di velocità

Con il nuovo Codice è prevista una sanzione tra 173 e 694 euro quando il superamento del limite è tra i 10 e i 40 km/h. Tuttavia, se ciò avviene all’interno di un centro abitato e per almeno due volte nell’arco di un anno, la multa varia da 220 e 880 euro. A ciò si aggiunge la sospensione della patente da 15 a 30 giorni.

Neopatentati

Per i primi tre anni dal conseguimento della patente B non potranno essere guidati veicoli con potenza superiore a 75 kW per tonnellata né elettrici e ibridi con potenza superiore a 105 kW per tonnellata. Rispetto a quanto accade ora, i neopatentati potranno guidare vetture più potenti per il primo anno (oggi il limite di 55 kW per tonnellata per gli autoveicoli in generale e di 70 kW per le autovetture), ma avranno limitazioni più prolungate nel tempo.

Moto 125 in autostrada

Su autostrade e strade extraurbane principali potranno circolare motocicli con motore termico di cilindratanon inferiore a 120 ccoppure di potenza non inferiore ai 6 kW in caso di propulsore elettrico. In entrambi i casi, il conducente deve essere maggiorenne. Sir 21

 

 

 

 

Priorità e obiettivi della Difesa nel Documento Programmatico 2024-2026

 

Il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2024-2026, recentemente presentato dal Ministro Guido Crosetto in Parlamento, delinea priorità e prospettive della difesa italiana per il biennio a venire.

Tutela degli interessi nazionali e politica industriale della difesa

Riprendendo un concetto chiave del DPP 2023-2025, ovvero quello della preminenza della difesa dello Stato su altre attività precedentemente interpretate come prioritarie, l’ultimo Documento delinea le tre “funzioni imprescindibili” della Difesa. Nell’ordine: “la difesa dello stato”, “la tutela dei prioritari interessi strategici nazionali”, “lo stimolo e incentivo alla ricerca e allo sviluppo tecnologico e nei confronti del settore industriale nazionale”.

Tali funzioni ricalcano in parte quelle assegnate alle forze armate dal codice dell’ordinamento militare, in particolare la difesa dello stato, indicando piuttosto una direzione politico-strategica in linea con il contesto geopolitico attuale e prevedibile. Emerge infatti un’elevazione di due elementi chiave a prerogative dello strumento militare. Da un lato la salvaguardia degli interessi strategici “ovunque essi siano minacciati”, si innesta su una concezione expeditionary di ampio respiro nel Mediterraneo allargato, precedentemente caratteristica della gestione delle crisi e delle missioni di pace ma oggi declinata esplicitamente e fortemente in chiave di interessi nazionali dell’Italia.

Dall’altro lato, l’attenzione verso il settore industriale nazionale, posta allo stesso livello degli altri due pilastri, emerge come riconoscimento del “ruolo di volano di crescita e stimolo alla competitività industriale, che gli investimenti nel settore della Difesa hanno sull’intera economia”. Si attesta dunque, oltre alla funzione cardine dell’industria di portare avanti lo sviluppo tecnologico per permettere allo strumento di militare di affrontare le sfide attuali, quella di contribuzione allo sviluppo economico inteso come elemento strategico. Tale elemento è in linea con la riforma in corso della Direzione Nazionale Armamenti, separata dal Segretariato Generale della Difesa al fine di valorizzarne e rafforzarne il ruolo specifico riguardo alla politica industriale della difesa.

Attenzione verso l’Africa e operazioni militari autonome

In riferimento alla tutela degli interessi strategici si evidenzia, in particolare nell’introduzione del Ministro, un focus particolarmente accentuato sull’Africa, in quanto soggetto geopolitico che “per caratteristiche e potenzialità è il naturale complemento dell’Europa”. Nell’ottica di tutelare gli interessi nazionali, l’approccio italiano all’Africa si declina in un contrasto alla presenza di “attori terzi che perseguono interessi predatori”, che minano la presenza italiana al momento “marginalizzata”. Le prospettive della Difesa sono partecipi di una convergenza a livello di governo e sistema-Paese verso una concezione degli interessi strategici primariamente di natura energetica e commerciale, rappresentati principalmente dal Piano Mattei per l’Africa. Questo è sottolineato, ad esempio, dall’enfasi del DPP sulle risorse che il continente africano offre, e di cui invece l’Europa ha scarsa disponibilità.

La formulazione dell’orientamento strategico verso l’Africa lascia aperti degli interrogativi relativamente alla concretizzazione di questa visione. Due, in particolare. Il primo concerne la volontà di procedere autonomamente o in un quadro di cooperazione europea. Come detto, l’Africa viene descritta come “naturale complemento dell’Europa”, ma dal documento non si evince in modo chiaro se si intenda portare avanti le strategie di supporto ai Paesi africani in accordo con i partner europei o, qualora possibile, in modo autonomo. Il secondo aspetto è invece relativo agli attori terzi sopra menzionati. Al di là di Cina e Russia che rappresentano in modo più netto una presenza ostile agli interessi italiani in Africa, nel continente si rileva un’intensa competizione tra attori regionali ed extra-regionali che pone l’Italia di fronte alla sfida di gestire un crescente livello di conflittualità con stati con i quali non vi è competizione a livello sistemico nel quadro di alleanze, ma solo nello specifico quadrante africano.

In ragione di dinamiche competitive sempre più complesse e di un alto livello di volatilità del sistema di sicurezza internazionale e dei suoi equilibri, il DPP fa riferimento alla necessità di un approccio allo sviluppo dello strumento militare basato sulla “speed of relevance”, ovvero la capacità di mantenere quest’ultimo rilevante rispetto alle rapide evoluzioni di attori e scenari. Questo dovrebbe concretizzarsi attraverso processi di foresight per individuare trend rilevanti, un maggiore allineamento tra requisiti operativi e soluzioni industriali, ed una maggiore sinergia con centri di ricerca e think tank per una migliore circolazione e condivisione di idee e tecnologie dirompenti.

In un contesto di crescente polarizzazione e di maggiore predisposizione a ricorrere al conflitto armato per risolvere dispute internazionali la credibilità assume un ruolo centrale, in particolare quella relativa alla prontezza al combattimento delle forze armate, sia in una prospettiva di deterrenza sia per far fronte ad effettive esigenze di difesa in caso di conflitto. In quest’ottica, come parametro per valutare il processo di sviluppo capacitivo della Difesa, il DPP stabilisce nel breve termine l’obiettivo di dotarsi di mezzi e capacità per poter condurre in autonomia una Limited Small Joint Operation (L-SJO) ad alta intensità e per un periodo di 6/8 mesi. Questa ambizione risulta particolarmente rilevante per le sue implicazioni operative e strategiche. Il raggiungimento del livello di autonomia prefisso dal documento implica ad esempio un certo grado di indipendenza quanto ad abilitatori strategici finora forniti da alleati e fondamentali per il raggiungimento, la permanenza e l’uscita dal teatro operativo. Il secondo aspetto particolarmente rilevante riguarda la natura di alta intensità della L-SJO. Per quanto, infatti, si faccia riferimento ad uno scenario di durata temporale limitata, una simile prospettiva richiede un’ampia disponibilità di mezzi e sistemi, e più in generale una capacità di “rigenerazione della forza”, che sia in grado di sostenere il livello di attrito e di complessità di un simile conflitto. È importante sottolineare come buona parte delle capacità per sostenere un’operazione interforze limitata ma ad alta intensità servano anche per la deterrenza e difesa collettiva in ambito NATO.

Deterrenza e difesa rispetto a un avversario alla pari

Occorre notare come, a fianco all’attenzione per l’Africa e all’autonoma capacità di proiezione militare, si collocano investimenti che rispondono in primo luogo alla logica di assicurare la deterrenza e la difesa collettiva dell’Europa nel quadro dell’Alleanza atlantica rispetto alla minaccia russa concretizzatasi drammaticamente in Ucraina.

Nel dominio aereo, le priorità sono la difesa aerea e missilistica e l’air combat. Il DPP avvia infatti dell’iter di acquisizione di 24 velivoli Eurofighter F-2000 (quarta tranche), che nel medio periodo dovrebbero sostituire 26 velivoli della prima tranche giunti alla fine della loro vita operativa. Svetta poi l’acquisizione di 15 F35-A (a decollo tradizionale) e 5 F-35-B (a decollo verticale) per l’aeronautica, ai quali si aggiungono ulteriori 5 F35-B per la marina: con un costo complessivo dell’operazione di acquisizione dei 25 nuovi velivoli pari a 7 miliardi in dieci anni, la flotta nazionale raggiunge i 115 esemplari, rispetto ai 131 previsti prima della spending review del governo Monti nel 2011. Proprio in funzione di tale espansione della flotta il DPP prevede l’adeguamento infrastrutturale di due basi, a Grottaglie e Decimomannu, per poter ospitare gli F-35. Al potenziamento quantitativo dei sistemi di quarta e quinta generazione, con una prospettiva temporale di impiego molto significativa per entrambi, si accompagna l’impegno verso il programma GCAP, e quindi la sesta generazione, con 8,9 miliardi per la ricerca e sviluppo fino al 2050, e un‘integrazione di 550 milioni attraverso risorse a “fabbisogno” dalla Legge di Bilancio (LdB) 2024. Rileva come rispetto al precedente DPP l’arco temporale per gli investimenti in oggetto sia stato allungato dal 2037 al 2050.

Nell’ambito della difesa aerea e missilistica il DPP 2024-2026, in linea con le decisioni precedenti, ribadisce l’impegno all’acquisizione di 5 nuove batterie SAMP/T e al completamento di una sesta, di cui una destinata all’esercito e 5 all’aeronautica. Per il 2024 sono stati stanziati 403,6 milioni, ai quali si aggiungono 339 milioni attraverso risorse a “fabbisogno” dalla LdB 2024. Tale acquisizione rappresenta una priorità soprattutto in considerazione della cessione all’Ucraina di due delle cinque batterie in precedenza a disposizione dell’Italia.

In ambito terrestre si conferma l’orientamento verso l’acquisizione di un sistema di sistemi per la fanteria pesante Army Armored Combat System (A2CS), costituito da piattaforme combat, Armored Infantry Fighting Vehicle (AIFV) e di supporto, con fondi per il 2024 pari a 1,225 miliardi di euro. Il DPP riconosce inoltre la correlazione di questo programma con lo sviluppo del Main Battle Tank (MBT) di nuova generazione, che ha ricevuto un’integrazione di 1,420 miliardi nel 2024, nella cornice del Main Ground Combat System (MGCS) e dell’alleanza industriale che vi è alla base. Infine, in campo navale merita poi menzione lo stanziamento di 2 miliardi di euro per l’acquisizione di due fregate FREMM EVO in sostituzione dei due vascelli ceduti all’Egitto.

Il DPP presenta programmi di investimento ambiziosi, sia nei suddetti domini operativi sia in quelli spaziale e cibernetico. Si pone dunque la questione dell’aumento del bilancio della difesa per assicurare la realizzazione di tali programmi in tempi ragionevoli e in modo efficace, nonché per assolvere all’impegno preso nel 2014 dall’Italia di spendere il 2% del PIL nella difesa entro il 2024 – impegno realizzato a oggi da 23 su 32 alleati NATO, compresi Francia, Germania, Polonia (che è arrivata al 4,7%) e Regno Unito (che ha formalizzato l’obiettivo del 2,5%). Il bilancio ordinario della Difesa per il 2024 ammonta a 29,18 miliardi, in aumento rispetto ai 27,75 miliardi del 2023. Secondo quanto dichiarato dal Ministro Crosetto in sede di presentazione del DPP alla commissione difesa al Senato nel 2024 il budget della Difesa rappresenta l’1,54% del PIL nazionale, con una prospettiva di crescita negli anni successivi, fino a superare la soglia del 1,60% nel 2027. Ad un incremento in termini assoluti si accompagna dunque un avvicinamento al requisito NATO del 2%.

Il DPP combina elementi innovativi, come l’elevazione ad elementi prioritari della Difesa di componenti precedentemente non considerate tali, prospettive ambiziose, verso l’Africa e a livello di autonomia operativa, e programmi di investimento volti a dotare le forze armate di strumenti adeguati a gestire un conflitto con avversari alla pari e a rafforzare la deterrenza in tal senso. Un’effettiva concretizzazione di tutti questi aspetti in una Difesa in grado di affrontare il crescente livello di volatilità e conflittualità del sistema internazionale richiede continuità nel tempo, soprattutto ma non solo a livello finanziario, chiarezza e pragmatismo nel declinare gli obiettivi politico-strategici in politiche specifiche in grado di affermare e tutelare effettivamente gli interessi nazionali, ed il rafforzamento dell’approccio da sistema-Paese per massimizzare le risorse a disposizione a livello finanziario, tecnologico e operativo.

Nicolò Murgia, AffInt 19

 

 

 

 

Il paradosso del possesso. Perché desideriamo ciò che non possiamo avere

 

Nel silenzio dei corridoi umani giace un paradosso, un sentimento espanso di desiderio per qualcosa che è sempre appena oltre la nostra portata. Siamo ossessionati dall'illusorio, dall’irraggiungibile, dal misterioso, e proprio queste cose riempiono le nostre menti, invitandoci con un fascino ultraterreno. È come se le vite non realizzate abitassero liberamente nella nostra mente, più preziose nella loro assenza di qualsiasi altra cosa che possiamo realmente raggiungere. Ci ricorda incessantemente ciò che non sarà mai, una sorta di chimera che sussurra piaceri ideali, di come le cose potrebbero essere se solo potessimo raggiungerle.

 

Nel frattempo, tutto ciò che possediamo scivola nello sfondo, avvolto nella familiarità umida che genera apatia. Dimentichiamo i tesori che sono i nostri compagni quotidiani: le vittorie per cui abbiamo lavorato, le relazioni che abbiamo coltivato, e quelle piccole cose che portano gioia nelle nostre vite. Se questa è la realtà dell’essere fuori dal proprio cammino, ignorando ciò che si ha già per ciò che si deve ancora ottenere, potrebbe solo farci cadere in un ciclo infinito di desideri. Uno che promette sempre di soddisfare al prossimo traguardo, ma raramente mantiene la promessa.

 

Questo è un ciclo vizioso che alla fine si rivela autodistruttivo nella misura in cui ci spinge indietro. Cercando il prossimo “oggetto,” sminuiamo il presente, privandoci della felicità che deriva dalla gratitudine e dall'apprezzamento, dicendoci che la contentezza è una destinazione futura, un luogo che raggiungeremo solo quando avremo ciò che ci manca. Eppure, più ci avviciniamo a un desiderio che un altro emerge davanti a noi, come un miraggio sull'orizzonte del deserto. È come se il cuore fosse stato addestrato ad inseguire, mai guardare indietro, concentrarsi solo sui vuoti e non sui tesori già acquisiti.

 

Pensiamo per un momento alla bellezza di un’amicizia ben coltivata, alla serenità di un momento di solitudine, e al calore di sapere di essere amati. Tesori inestimabili, eppure troppo spesso non riconosciuti. Dimentichiamo ciò che almeno avevamo sognato; dimentichiamo ciò che aspiravamo a possedere. Un tempo avevano catturato la nostra mente quando erano irraggiungibili; ora, come sussurri in una stanza piena di rumori, svaniscono nel silenzio. È la possibilità che, prestando loro attenzione, perdiamo la pienezza della nostra vita, quella bellezza nascosta dietro la quotidianità.

 

Questo paradosso — la consapevolezza che bramiamo ciò che ci manca trascurando ciò che abbiamo — è antico. I filosofi, poeti e pensatori di un tempo ci hanno avvertito di “volere ciò che abbiamo” piuttosto che “avere ciò che vogliamo”. Ma nel nostro mondo frenetico, orientato all’ottenimento di successi, siamo più propensi a celebrare l’ambizione e a scambiare la contentezza per la compiacenza. E la vera contentezza è tutt'altro che compiacente; piuttosto, è un atto di apprezzamento attivo e intenzionale della vita già piena, già abbastanza.

 

Rompiamo questo ciclo attraverso l'arte della gratitudine consapevole. È una scelta, un atto intenzionale nel notare e valorizzare ciò che ci circonda. Quando ci fermiamo a riconoscere le nostre benedizioni, il nostro cuore trova pace e la nostra mente si stabilizza nell'apprezzamento. Riconosciamo la ricchezza già presente nelle nostre vite. Veramente, i piccoli miracoli: le risate degli amati insieme a noi; la natura splendida; le lezioni degne di essere apprese per la saggezza.

 

Quando impariamo a valorizzare ciò che ci è caro, sbiadisce il fascino inquietante dell’irraggiungibile. Scopriamo che la maggior parte dei tesori nella vita non è qualcosa che possiamo afferrare con le mani, ma è ciò che conserviamo nel nostro cuore e nella nostra mente. Invece di riempire la testa con ciò che non abbiamo, pensiamo ai tesori che già possediamo. Facendo così, potremmo scoprire che la soddisfazione non sta nella corsa infinita verso il “di più,” ma nella profondità con cui apprezziamo tutto ciò che già abbiamo.

 

Alla fine, ciò che non possiamo possedere perseguiterà sempre le nostre menti, ma lo fa come un maestro: un silenzioso promemoria a non cercare illusioni, ma a vivere pienamente con ciò che possediamo qui e ora. La vera ricchezza non è il miraggio del desiderio, ma l'apprezzamento calmo e contemplativo di ciò che è reale, e di ciò che dà alla vita una pienezza autentica. E allora scopriamo che la vita è un dono: traboccante e piena solo se lasciata essere.

Krishan Chand Sethi, dip 18

 

 

 

 

 

 

Il rilancio

 

L’attuale fragilità sociale dovrà, pur col tempo, essere sostituita col varo di nuovi programmi anche per ridurre la fragilità di un sistema che non avrebbe più ragione d’esistere senza sostanziali mutamenti. La ripresa che immaginiamo dovrà puntellarsi su fattori di grande carisma economico. Dalla sanità, dall’occupazione e dal varo di un piano finanziario capace di sostenere gli obiettivi prioritari di una penisola che vuole riemergere da una situazione che non consente di fare programmi solo teorici. Ci saranno dei beni comuni da potenziare; a discapito di quelli personali che dovranno essere ridimensionati. L’Italia dovrebbe essere al centro d’iniziative capaci d’ampliare l’immagine di bene comune.

 

 La Ricostituire una società del “rinnovamento” non sarà facile. Le difficoltà potranno essere superate dall’impegno di tutti nel seguire una strada condivisa. Le trasformazioni socio/economiche hanno sempre avuto un loro prezzo che anche noi saremo chiamati a pagare. La lezione della Pandemia e la volontà di riscatto nazionale dovranno fornirci la volontà per superare le incertezze, le politiche ambigue e chi, tutto considerato, non ha ancora le idee chiare sul futuro nazionale. Il rilancio dell’Italia chiederà, indubbiamente, sacrifici. Questa volta, però, non saranno a fondo perduto come, invece, è stato per il passato.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Festival della Migrazione. Piano Mattei per l’Africa: “Chiamiamolo Piano Meloni”

 

Europa-Africa andata e ritorno: le storie e i cammini che rigenerano l’Italia”, con le relazioni, tra gli altri, di S.E. mons. Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes e arcivescovo della diocesi Ferrara-Comacchio.

ha ricordato “la storia passata e presente di sfruttamento dell’Africa da parte del nostro Paese” e che “i recenti cammini dei migranti dall’Africa all’Europa trovano una fatica per la mancanza di percorsi di legalità o per percorsi di legalità – come il decreto flussi – dove sono tenuti presenti solo i bisogni delle aziende e non quelli dei lavoratori”.

L’attenzione del presidente della Fondazione Migrantes si è poi concentrata sull’efficacia del cosiddetto “Piano Mattei” per l’Africa, che mons. Perego preferirebbe “chiamare ‘Piano Meloni’ per non confonderlo con il vero Piano Mattei”, che era basato su presupposti culturali e politici dettagliatamente ricordati e contestualizzati nella sua relazione.

Ricordando il dettato dell’art. 45 della Costituzione Italiana (“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”), mons. Perego si è domandato se “la cooperazione internazionale realizzata dal nostro Paese con il nuovo Piano Mattei/Meloni in nove Paesi africani (Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco, Costa d’Avorio, Mozambico, Repubblica del Congo, Etiopia e Kenya) conserva queste caratteristiche di funzione sociale, di mutuo aiuto, cioè di collaborazione alla pari, senza fini di speculazione privata”.

Secondo l’Ansa, ammontano a 600 milioni di euro le risorse messe a disposizione dal “Piano Mattei” per il 2025, a fronte di un continente “che necessiterebbe di 500 miliardi di dollari – ha spiegato l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio -, per garantire accesso all’energia a tutta la popolazione, e 438 miliardi di dollari per investimenti in adattamento entro il 2030, possibile solo con un raccordo con il Piano europeo sull’Africa, che esiste dal 2009. L’attuale Piano non ha alcun riferimento al Piano europeo sull’Africa”.

Nella sua conclusione mons. Perego sottolinea la chiave del suo ragionamento, che esplicita anche l’ambiguità dello slogan “aiutiamoli a casa loro”: “Se le politiche sull’immigrazione e le politiche sulla cooperazione non camminano insieme, contrapponendo il diritto di migrare con il diritto di rimanere nella propria terra e non tutelando entrambi, si annullano, aggravando la situazione dei migranti e dei Paesi d’origine”. Migr.on. 27

 

 

 

 

 

 

La Giornata mondiale dell’infanzia. Impariamo ad ascoltare i bambini

 

“La Giornata Mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, appuntamento che si rinnova il 20 novembre nel ricordo della “Dichiarazione dei Diritti del Bambino” e della “Convenzione sui diritti del fanciullo” approvate dalle Nazioni Unite – “rappresenta certo l’occasione per ricordare che tutti i bambini godono di diritti, ma pure che tale obiettivo deve costituire un impegno permanente condiviso, a cominciare dal nostro Paese”. Insomma, “la ricorrenza, abbracciando l’orizzonte più vasto, deve farci aprire gli occhi e guardare lontano: ai bambini che vivono tra guerre ed emergenze dimenticate; ai bambini sfruttati nel lavoro minorile; alle bambine promesse per matrimoni precoci forzati… Al contempo, non vanno dimenticati dati che ci riguardano da vicino nel nostro Paese: sulla denatalità, la salute, la povertà educativa e quella assoluta. Dati che, anche dal nostro osservatorio, destano preoccupazione”.

 

Lo dichiara in una nota Luca Iemmi, presidente nazionale della FISM, la Federazione Italiana Scuole Materne alla quale fanno riferimento circa novemila presidi educativi non profit frequentati da quasi mezzo milione di bambine e bambini fra Zero e Sei anni. “Siamo una realtà parte fondamentale dell’unico sistema integrato di educazione ed istruzione che tuttavia attende ancora la piena applicazione della Legge sulla parità del 2000, fatto che ci obbliga a lottare quotidianamente con difficoltà economiche”, tiene a ripetere Iemmi che, proprio pochi giorni fa, ha chiesto a tutte le forze di sostenere l’emendamento per incrementare i fondi per la disabilità degli alunni delle paritarie.

 

E, sempre a proposito della “Giornata mondiale” del 20 novembre, il presidente nazionale FISM nella sua dichiarazione aggiunge: “Anche quest’anno abbiamo invitato le nostre scuole a riflettere su questa giornata, proseguendo soprattutto le attività che da tempo già coinvolgono i piccoli sui diritti: alla pace, ad una sana alimentazione, ma pure al gioco… In molte scuole verranno proposte letture ispirate a questi temi; altre insisteranno sull’ascolto dei bambini, non meno necessario come affermano i nostri pedagogisti. Alcune poi hanno già realizzato delle iniziative insieme ai Comuni, ad esempio collocando panchine azzurre nei parchi: un nuovo simbolo della centralità e priorità che devono avere i bambini: di fatto, da sempre l’oggetto della nostra mission”. Fism 18

 

 

 

 

 

Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. “Celebrazioni sono anche tributo ai nostri emigrati nel mondo”

 

ROMA – In occasione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, il senatore Francesco Giacobbe, eletto nella circoscrizione estero Africa-Asia-Oceania-Antartide, sottolinea l’importanza di questa celebrazione come strumento fondamentale per la promozione del Made in Italy e della cultura italiana all’estero. “La cucina italiana – afferma Giacobbe – è molto più che semplice nutrimento; è un linguaggio universale che porta con sé tradizione, qualità e passione. Attraverso il cibo, riusciamo a raccontare la storia e i valori del nostro Paese”. Durante questa settimana, il Sistema Italia – con il coinvolgimento di ambasciate, consolati, Istituti Italiani di Cultura, Camere di Commercio, enti gestori, uffici dell’ICE – organizza eventi, degustazioni e incontri per portare nel mondo le eccellenze italiane. “Questi eventi – continua il senatore – non solo permettono di far conoscere i nostri prodotti agroalimentari, ma sono anche un’opportunità per rafforzare i legami culturali e commerciali tra l’Italia e i Paesi che ospitano le nostre comunità”. Il senatore ha voluto poi evidenziare il ruolo cruciale svolto dalle comunità italiane all’estero nella diffusione della nostra cultura culinaria: “I nostri emigrati sono stati i primi ambasciatori del gusto italiano. Prima che esistesse il mercato globale, loro erano i veri ‘marketers’ dell’Italia, facendo conoscere prodotti come l’olio, il vino e il parmigiano, la pasta e tante altre eccellenze italiane in luoghi lontani e creando una rete di relazioni che ha reso il Made in Italy sinonimo di qualità”. Infine, il Senatore Giacobbe ha voluto sottolineare l’importanza di questa settimana come momento di riflessione sul contributo delle comunità italiane e sulla necessità di consolidare sempre di più la presenza e l’influenza del Made in Italy all’estero. “Celebrare la nostra cucina significa anche onorare il lavoro e il sacrificio delle generazioni di italiani che hanno portato il nostro Paese nel mondo, rafforzando il legame tra l’Italia e chi vive lontano. La Settimana della Cucina Italiana nel Mondo è un tributo al loro impegno e alla nostra cultura”. (Inform/dip 18)

 

 

 

 

Presentata la IX Settimana della Cucina Italiana nel Mondo

 

ROMA – Presso la Sala delle Conferenze Internazionali della Farnesina si è tenuta la presentazione della nona edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo che quest’anno è dedicata al tema “Dieta Mediterranea e Cucina delle Radici: Salute e Tradizione”. L’iniziativa si propone di valorizzare all’estero, attraverso eventi e attività promozionali di vario genere realizzati dalla rete diplomatico-consolare della Farnesina, le eccellenze del settore agroalimentare ed enogastronomico italiano, sostenendo le esportazioni, l’internazionalizzazione e i flussi turistici in entrata.  L’incontro è stato aperto dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha in primo luogo segnalato che dal prossimo anno la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo sarà organizzata all’estero in periodi temporali diversi a seconda dei paesi ospitanti. “La Settimana – ha spiegato il Ministro – non avrà più una data fissa, ma flessibile così che le Ambasciate abbiano modo di organizzarsi, il che permetterà anche ai cuochi italiani di andare in più parti nel mondo”.Tajani ha poi rilevato come quest’anno la Settimana sia volta a promuovere la dieta mediterranea e la cucina delle radici. “La cucina – ha spiegato – rappresenta una parte importante dell’export italiano e quindi abbiamo il dovere di promuoverla anche per contrastare l’italian sounding”. Il primo obiettivo è quello di favorire le esportazioni attraverso una strategia complessiva che presenti l’immagine di una cucina di qualità. “La cucina italiana si basa sulla nostra storia e sulla nostra identità” ha continuato il ministro. “La dieta mediterranea è anche sinonimo di salute e quando ci battiamo per difendere anche a livello europeo questo tipo di alimentazione lo facciamo perché siamo convinti che prove alla mano tuteli al meglio la salute di ciascuno di noi”. Per Tajani sono i nostri cuochi i presentatori e gli ambasciatori della dieta mediterranea. L’altro punto toccato dal ministro è stato quello relativo alla cucina delle radici. “Il ministero degli Esteri – ha spiegato Tajani – gestisce un programma del PNRR che si chiama Turismo delle radici il cui obiettivo è quello di far riscoprire a chi ha origini italiane o chi ha la doppia cittadinanza la propria storia nel paese d’origine”. “In questo ambito – ha continuato – anche la cucina può attrarre questi turisti delle radici. Si va a scoprire come mangiavano i propri nonni o i propri bisnonni”. Per il Ministro l’obiettivo è quello di incrementare le presenze turistiche nei piccoli borghi e comuni, attraverso un turismo culturale, ma anche enogastronomico. “Vogliamo far conoscere le nostre cucine che sono tutte di altissimo livello: da quella siciliana a quella dell’Alto Adige. Abbiamo tante varietà culinarie e possiamo fare centro con qualsiasi tipo di cucina”, ha aggiunto il Ministro . Tajani ha poi sottolineato come il giro d’affari complessivo dell’export italiano si attesti intorno a 626 miliardi. Un valore che nei prossimi 2 anni, lavorando tutti insieme, potrebbe arrivare a 700 miliardi. Dopo aver sottolineato il pieno sostegno alla candidatura della cucina italiana come patrimonio immateriale UNESCO, Tajani ha rilevato come oggi, in un mondo caratterizzato dalla guerra, il cibo italiano abbia anche una valenza solidale, segnalando in proposito l’iniziativa italiana Food for Gaza. “Già è arrivato a Gaza – ha ricordato – un carico di 70 tonnellate di beni alimentari e adesso il governo italiano ha acquistato 15 tir che ha donato al programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite”. “Siamo anche un popolo solidale, e questo ci aiuta ad entrare in tanti luoghi, mentre per altri è più complicato” ha concluso Tajani. Ha poi preso la parola il Ministro dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste Francesco Lollobrigida: “Spesso nel mondo – ha esordito il Ministro – si ragiona di prezzo, solo di prezzo, senza dare il giusto peso al valore intrinseco del prodotto, a quello che c’è dietro, in termini di lavoro, di rispetto dell’ambiente, di rispetto delle regole e di una produzione che riesce a garantire benessere fisico”. “Se uno mangia bene, se uno ha un ottimo stile di vita, – ha proseguito Lollobrigida – seguendo le indicazioni che furono di Ippocrate, avrà una vita longeva e oggi l’Italia ha un’età media molto alta… Uno degli obiettivi è fare in modo che tutti possano avere accesso a questo cibo di qualità”. Il Ministro, dopo aver segnalato la grande partecipazione all’estero agli eventi legati alla Settimana della Cucina italiana, ha sottolineato come sia straordinario  “vedere in tutto il mondo l’interesse per questa iniziativa e soprattutto l’attenzione dei tanti cittadini italiani che vivono all’estero,  che si sentono legati alla loro patria. Senza contare i tanti cittadini di altre nazioni che amano l’Italia e che vogliono approfondirne la conoscenza del  nostro cibo” riuscendo a renderci “più competitivi”. “Abbiamo un grande dovere” ha poi concluso il Ministro. “Continuare a garantire il Made in Italy e proteggerlo” dall’italian sounding.  A seguire è intervenuto Lorenzo Galanti, Direttore Generale dell’ICE che ribadito come il tema della Settimana inviti a riscoprire il legame profondo tra cibo, cultura e benessere puntando su valori come la sostenibilità e la tutela delle nostre radici gastronomiche. “Stiamo parlando – ha aggiunto – di una filiera strategica che crea occupazione e che all’estero accredita l’Italia e il suo saper fare impresa”. Galanti ha poi segnalato come nella Settimana siano stati coinvolti 102 paesi in cui “ICE realizza per l’occasione, in relazione con la Farnesina, 173 iniziative coordinate dalla rete degli uffici all’estero”. “In queste iniziative – ha precisato Galanti – Il nostro patrimonio culturale viene spiegato in tutte le sue sfaccettature, contrastando l’italian sounding”. Galanti ha concluso il suo intervento ricordando come il settore agroalimentare sia una forza trainante per l’export italiano: vale il 19% del PIL italiano, “sono  64 i miliardi dell’export agroalimentare, con un incremento del 6%”. Dal canto suo Sandro Gambuzza, Vice Presidente di Confagricoltura,  ha spiegato come l’adesione al progetto sia maturata per “diffondere nel mondo la conoscenza della cucina italiana e dei prodotti alimentari di qualità del nostro paese”. Gambuzza ha anche ricordato le diverse iniziative promozionali e istituzionali fatte in merito tra cui quella relativa alla pubblicazione di un libro realizzato da Confagricolutra e Confagricolutra donna sul tema “Le grandi chef in una ricetta”.  E stata poi la volta di Ettore Prandini, Presidente della Coldiretti, che ha parlato della centralità del lavoro portato avanti dai cuochi nel far conoscere all’estero le nostre eccellenze enogastronomiche. Un’attività in qualche modo simile a quella portata avanti in altri settori dagli Ambasciatori. Prandini si è anche soffermato sul possibile obiettivo di raggiungere entro la fine dell’anno in questo ambito la soglia dei 70 miliardi di export. Dopo l’intervento di Luigi Scordamaglia, Presidente di Eat Europe, che ha rilevato come nonostante le difficoltà a livello mondiale degli ultimi anni il settore agroalimentare italiano sia riuscito a crescere anche grazie all’aumento della richiesta dei prodotti mondiali, Paolo Mascarino, Presiedente di Federalimentare, ha sottolineato l’importanza del legame che esiste tra la cucina italiana, le radici storico-culturali e la valorizzazione dei modelli alimentari tradizionali, in riferimento a stili di vita sani e diete equilibrate. “Esso costituisce un unicum nel panorama mondiale” ha proseguito Mascarino. La qualità della dieta mediterranea è dimostrata, secondo il presidente di Federalimentare, dalle cifre dell’export, già citate in precedenza, e dal positivo andamento della salute pubblica. Dal canto suo Antonio Cellie, Presidente di Tutto Food, ha rilevato la centralità per il prossimo futuro del ruolo delle. Filiere. L’incontro si è concluso con il messaggio video di Alessandro Circello, Responsabile comunicazione Federcuochi,  che, dall’Ambasciata d’Italia a Tokio,  ha illustrato le iniziative messe in campo per la Settimana della cucina italiana nel mondo dai cuochi italiani giunti in Giappone.

(Alessio Mirtini- Inform/dip 19)

 

 

 

 

 

Redditi prodotti all’estero. La sentenza della Cassazione sulla doppia imposizione fiscale

 

ROMA – “Con una nuova, ennesima importante sentenza, la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio – già espresso in altre sentenze ma non ancora recepito nella legislazione italiana – che il credito per le imposte già pagate all’estero (per redditi prodotti all’estero) spetta (al contribuente con la residenza fiscale in Italia) anche se tale contribuente che ha lavorato all’estero e comunque prodotto redditi all’estero, non abbia presentato la dichiarazione dei redditi in Italia, purché vi sia una convenzione internazionale contro le doppie imposizioni fiscali”. Lo segnala con una nota il deputato del Pd Fabio Porta (circoscrizione Estero-ripartizione America Meridionale) facendo riferimento al “caso esaminato dalla recente Sentenza n. 24160/2024” che “riguardava un contribuente che aveva prodotto redditi in Brasile e al quale l’Agenzia delle Entrate (Centro operativo di Pescara) aveva notificato 5 avvisi di accertamento per redditi perfezionatisi in Brasile, sottoposti a tassazione in quel Paese ma non dichiarati in Italia”.

L’on. Porta ricorda che “in virtù del principio adottato nel diritto tributario interno dallo Stato e dall’amministrazione finanziaria italiani definito ‘Word Wide Taxation’ o tassazione mondiale, i redditi del cittadino residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti”. “Capita spesso quindi – continua – che i lavoratori italiani i quali non si iscrivono all’AIRE e producono reddito all’estero sono soggetti o rischiano di essere soggetti se tracciati, a doppia tassazione”.

“La Corte di Cassazione – spiega Porta – ha precisato in questa sua ultima sentenza che con la Convenzione bilaterale sulla doppia imposizione con il Brasile lo Stato italiano, nel caso in cui assoggetti a imposizione elementi di reddito imponibili in Brasile, si è obbligato nei confronti dello Stato brasiliano a detrarre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Brasile. L’obbligo che lo Stato italiano ha assunto nei confronti dello Stato brasiliano è un obbligo incondizionato. In altre parole, con la Convenzione bilaterale l’Italia si è obbligata, nei confronti del Brasile, a limitare la sua sovranità in tema di imposizione fiscale e a far sì che i contribuenti italiani che paghino le tasse al fisco brasiliano in relazione ad elementi di reddito posti in essere in Brasile, nel caso in cui siano assoggettati a tassazione anche in Italia in relazione a quegli stessi elementi di reddito, non subiscano una doppia imposizione. Questo principio vale ovviamente per tutte le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia”.

“Si tratta perciò – evidenzia il deputato – di una sentenza molto importante che praticamente sancisce che l’omessa dichiarazione dei redditi in Italia (da parte del contribuente residente fiscalmente in Italia) non comporta di per sé la perdita del diritto di credito per le imposte pagate all’estero e conferma il concetto che l’art. 165 comma 8 del TUIR (che prevede appunto la doppia tassazione per omessa dichiarazione dei redditi prodotti all’estero) è una norma invalida e incostituzionale sulla quale prevalgono i principi delle convenzioni contro le doppie imposizioni che sono istituite con lo scopo di eliminare la doppia imposizione.  “Viene quindi confermato dalla Cassazione l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto al credito di imposta essendo formalizzato dalle convenzioni contro le doppie imposizioni, non necessita di ulteriori adempimenti – tra i quali la dichiarazione dei redditi – previsti dalla legge nazionale (art. 165 del Tuir) proprio alla luce della preminenza dei Trattati internazionali sulle leggi interne”

“Va rilevato tuttavia – prosegue l’on. Porta – che le sentenze della Cassazione non hanno forza di legge perché decidono un caso specifico portato all’attenzione del giudice, tuttavia la Cassazione definisce la corretta interpretazione e applicazione di una legge. Dovrà ora essere lo Stato (Governo e Parlamento) a modificare la legge per uniformarsi ai principi fissati dalla Suprema Corte”.  Il deputato del Pd eletto all’estero fa presente che “da molti anni” segnala con interrogazioni, emendamenti e proposte di legge, “il problema di decine di migliaia di nostri lavoratori andati a lavorare all’estero per più di dodici mesi , i quali, per la ragioni più disparate e sebbene sia obbligatorio per legge, non si iscrivono all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), mantenendo così la residenza fiscale in Italia e rischiano di essere o sono sottoposti a doppia tassazione”. L’on. Porta ritiene che “dopo l’ulteriore chiarimento della Cassazione” sia “improcrastinabile un intervento legislativo del Governo italiano che legiferi , come richiesto anche nelle mie interrogazioni, che il contribuente può detrarre l’imposta assolta all’estero da quella complessivamente dovuta allo Stato italiano, anche nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”. (Inform/dip 20)

 

 

 

 

 

Rafforzamento servizi consolari: dal Senato via libera definitivo alla legge

 

ROMA - Il Senato ha approvato oggi in via definitiva il ddl “Disposizioni per il finanziamento di interventi volti al rafforzamento dei servizi consolari in favore dei cittadini italiani residenti o presenti all'estero” a prima firma Ricciardi (Pd). Dopo il via libera della Camera, il testo ha proseguito velocemente il suo iter in Senato.

Ad illustrare il testo ai colleghi è stato il relatore, Roberto Menia (FdI): composto di un solo articolo, il ddl prevede la creazione di un fondo di 4 milioni di euro annui dal 2025 per migliorare il rilascio dei passaporti. Le risorse saranno distribuite agli uffici consolari in base al numero di passaporti emessi. Entro marzo di ogni anno, una relazione sull'utilizzo dei fondi sarà pubblicata online. La copertura finanziaria è garantita da riduzioni nel bilancio del Ministero dell'economia.

Il testo è stato approvato con il voto di tutti i partiti: nelle dichiarazioni finali sono intervenuti i senatori Scalfarotto (IV), Magni (Misto-AVS), De Rosa (FI-BP), Marton (M5S), Stefania Pucciarelli (LSP), Alfieri (PD) e Antonella Fadda (FdI).

Pur votando a favore del provvedimento, Italia Viva ha criticato la gestione della cittadinanza italiana, proponendo una revisione dell'attuale legge per dare priorità a chi vive e contribuisce nel Paese, mentre il Movimento 5 Stelle ha espresso dubbi sull'efficacia del criterio di distribuzione dei fondi ai consolati, che penalizza gli uffici già in difficoltà. (aise 21) 

ROMA\ aise\ - “Il ddl sui servizi consolari a mia prima firma è finalmente legge. È importante perché, per la prima volta nella storia, una legge che riguarda gli italiani all'estero non è un atto parlamentare straordinario ma ha seguito un iter ordinario. Ma è importante soprattutto perché il primo partito di opposizione, il Partito Democratico, l’ha inserita a inizio legislatura tra le proprie priorità, e oggi, con il consenso di tutte le forze politiche di Camera e Senato, che ringrazio, l’ha fatta diventare legge dello Stato”. Così Toni Ricciardi, deputato Pd eletto in Europa, commenta l’approvazione definitiva votata ieri dal Senato del ddl che prevede la creazione di un fondo di 4 milioni di euro annui dal 2025 per migliorare il rilascio dei passaporti.

“Questo – sottolinea – è anche un segno di riconoscimento alle comunità delle italiane e degli italiani all'estero, che hanno sempre premiato il Partito Democratico e credo sia un giusto riconoscimento. Il consolato è l'unico luogo dove gli italiani all’estero si recano per risolvere i loro problemi, non ne hanno altri, è come il piccolo comune in Italia, è totalizzante”.

Secondo Ricciardi, “è significativo che il Partito Democratico abbia colto in questo una un segno distintivo, una priorità. In questa legislatura è l'unico provvedimento al momento a favore degli italiani all'estero”.

“Nonostante i quasi 7 milioni di italiani all’estero si fa fatica a riconoscere la ventunesima regione d'Italia, l'unica che demograficamente cresce. Questa è una misura che riguarda soprattutto il continente europeo, dove vive il 65 per cento degli iscritti Aire. Ci sono consolati che registrano 4500 iscrizioni al mese, di cui il 30 per cento sono nascite. Ragazze e ragazzi partiti dall’Italia qualche anno fa che hanno messo su famiglia e vedono i propri figli nascere all'estero. Serviva intervenire e – conclude Ricciardi – siamo fiduciosi che questa sia solo l'inizio di una misura che si autoalimenterà e che in prospettiva sarà un crescendo di risorse per lo Stato e per i consolati, per garantire servizi, garantire i diritti, garantire cittadinanza”. (aise/dip 21) 

 

 

 

 

 

Nessuna esternalizzazione di servizi consolari ai patronati all’estero

 

Roma. “Il Ministero degli Esteri non intende in alcun modo esternalizzare ai patronati all’estero servizi di competenza alle ambasciate e ai consolati. Lo ha dichiarato il Sottosegretario agli Affari Esteri, Giorgio Silli, che ringrazio, rispondendo in Commissione Esteri alla mia interrogazione, posta a seguito dello scoop di Massimo Giletti e Rai3 sullo scandalo patronati Cgil all’estero”. A dirlo è stato Simone Billi, deputato della Lega eletto in Europa, che ha riportato della risposta del governo alla sua interrogazione.

“Il Sottosegretario Silli ha precisato che la normativa vigente permetterebbe di stipulare convenzioni coi patronati solo per il mero inoltro di pratiche digitali da remoto - ha aggiunto Billi -. L’ipotesi è allo studio ma di difficile concretizzazione perché manca una specifica voce di bilancio e vi sono vincoli relativi alla riscossione di percezioni consolari”.

Contento, dunque, Billi per la risposta ricevuta “in cui la Farnesina esplicitamente dichiara l’intento di rafforzare la rete consolare e le sue risorse umane per potenziare i servizi ai cittadini all’estero”.

“Il Ministero degli esteri non intende in alcun modo esternalizzare ai patronati all'estero servizi di competenza delle Ambasciate e dei Consolati”, ha affermato Silli. “La normativa vigente prevede espressamente che questi servizi vengano erogati dalla nostra rete diplomatico-consolare. La possibilità di stipulare convenzioni con i patronati – esplicitamente prevista dalla normativa vigente – se venisse attivata potrebbe riguardare il mero inoltro di pratiche digitali da remoto, per venire incontro alle esigenze delle fasce più fragili delle comunità italiane all'estero. Si tratta peraltro di un'ipotesi per il momento solo allo studio, simile a quanto avviene, ad esempio, per i servizi di assistenza fiscale in Italia”.

“L'assenza di una specifica voce di bilancio rappresenta, tra l'altro, un ostacolo importante verso tale prospettiva”, ha rimarcato il sottosegretario, spiegando che “ci sono, inoltre, vincoli relativi alla riscossione di percezioni consolari, che devono essere versate nelle casse dello Stato da parte della rete diplomatico-consolare. Inoltre, tutte le procedure deputate allo svolgimento delle funzioni consolari devono essere aderenti ai principi e agli obblighi di legge in materia di protezione dei dati personali. La gestione e il trattamento dei dati personali nell'ambito dei servizi consolari sono in capo al personale dell'Amministrazione e non sono delegabili a soggetti esterni”.

“L'obiettivo di potenziare la qualità e la funzionalità dei servizi ai cittadini e alle imprese italiane all'estero – ha concluso Silli – non può quindi essere perseguito attraverso l'esternalizzazione, ma solo con il rafforzamento della nostra rete diplomatico-consolare e delle sue risorse umane. Questa continua ad essere la nostra priorità”. (aise/dip 20)

 

 

 

 

 

Approvato in via definitiva il disegno di legge sul rafforzamento dei servizi

 

ROMA – Approvato in via definitiva e all’unanimità dall’Aula del Senato, dopo essere già passato alla Camera, il disegno di legge Toni Ricciardi ed altri, recante disposizioni per il finanziamento di interventi volti al rafforzamento dei servizi consolari in favore dei cittadini italiani residenti o presenti all’estero. Nell’Aula di Palazzo Madama il relatore, senatore Roberto Menia (FdI), ha rilevato come questo provvedimento rappresenti un importante segnale di attenzione, di vicinanza e di solidarietà verso i nostri connazionali che vivono, operano e lavorano all’estero. “È un segno di vicinanza – ha affermato Menia – ed è bello che venga da questo Senato, visto che da parlamentari rappresentiamo l’Italia tutta e che l’Italia tutta è prima di tutto un concetto spirituale. L’Italia non è soltanto quello che è dentro i nostri confini, l’Italia non è soltanto i nostri monumenti e le nostre opere d’arte, l’Italia non è soltanto tutto ciò che è materiale, ma anche molto di ciò che è immateriale: la lingua bellissima che parliamo, i valori spirituali che ci sono trasmessi attraverso le generazioni. L’Italia vive anche lontano da qui, perché esiste un’altra Italia: sei milioni e più di italiani sparsi in ogni Continente sono italiani che vivono, che lavorano, che testimoniano la loro italianità e lo fanno producendo, inventando, ideando, creando”. Menia, dopo aver evidenziato che ci sono però anche italiani in difficoltà in vari Paesi del mondo, ha quindi spiegato in cosa consiste il disegno di legge. “Sono previste delle disposizioni per il finanziamento e nuovi interventi rivolti al rafforzamento dei servizi consolari in favore dei cittadini italiani residenti all’estero. Questa proposta di legge arriva dalla Camera e origina da una proposta dell’onorevole Toni Ricciardi del Partito Democratico, meritevole di aver voluto questa legge. È un’iniziativa meritoria, che nasce da un’intuizione: nasce dall’aver empiricamente verificato, essendo un italiano all’estero, come una delle prime e quasi banali cose che chiede un italiano all’estero è avere il proprio passaporto”, ha rilevato il relatore ricordando che all’estero ci sono italiani di vecchia generazione e italiani di nuova generazione, emigranti storici ed emigranti nuovi. “Come per tutti gli emigranti, la nostalgia della casa, il voler ritornare un giorno a casa è un dato fondamentale. E la prima cosa che ti serve per tornare a casa è il passaporto. Ebbene, voi dovete sapere che le nostre strutture consolari, pur con il lavoro indefesso che svolgono, non sempre ce la fanno”, ha sottolineato Menia rilevando il rischio che una porzione della domanda di passaporti possa rimane inevasa con conseguente percezione di abbandono, rispetto alla Madrepatria, da parte del connazionale all’estero . Il relatore ha poi evidenziando come il provvedimento sia composto da un solo articolo, con tre commi. “Il disegno di legge stabilisce che sia stanziato un fondo, che sarà di quattro milioni annui, diretto a finanziare le strutture consolari perché siano adibite a questo tipo di lavori. Si prevede quindi una dotazione pari a quattro milioni di euro annui a decorrere dal 2025, destinata al finanziamento di interventi per il rafforzamento dei servizi consolari in favore di cittadini italiani residenti o presenti all’estero, con priorità per i servizi maggiormente richiesti, compresi quelli relativi al rilascio di passaporti. Nel medesimo comma viene altresì previsto che le risorse del fondo siano ripartite annualmente tra gli uffici diplomatico-consolari in proporzione al numero di passaporti ordinari rilasciati da ciascun ufficio nell’anno precedente. Il secondo comma stabilisce che, entro il 31 di marzo di ogni anno a decorrere dal secondo anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge, nel sito Internet del Ministero degli Esteri sia pubblicata un’apposita relazione che contenga i dati aggregati relativi all’utilizzo delle somme del fondo. Infine, il terzo comma reca la copertura finanziaria del provvedimento e dispone che gli oneri derivanti dalla legge saranno pari a 4 milioni di euro annui a decorrere dal 2025”, ha spiegato Menia. (Inform/dip 24)

 

 

 

 

Riconoscere la perequazione delle pensioni dei residenti all’estero

 

L’attuale configurazione dell´articolo 27 del ddl di Bilancio per il 2025, attualmente all´esame della Camera dei Deputati, dispone che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non sia riconosciuta ai residenti all’estero titolari di pensioni complessivamente superiori al trattamento minimo INPS.

 

Questa misura, stando ai dati nelle nostre disponibilità, andrebbe ad aggredire un segmento di contribuenti, a cui sono erogate spettanze pensionistiche piuttosto modeste, pertanto ben lontane dai grandi patrimoni su cui, di solito, si agisce quando si applicano i prelievi di solidarietà.

 

La formulazione stessa di detta norma, in modalità di prelievo di solidarietà a carico del contribuente che percepisce spettanze di non elevato importo,  rappresenta un elemento altamente sanzionabile che viola il dettato costituzionale, nonché le pronunce della suprema Corte e che deve invitare ad una riflessione complessiva in uno scenario internazionale economico-sociale che impone agli Stati di operare scelte di garanzia e di tutela nei confronti dei cittadini, al fine di salvaguardarli, in primis, dalla spirale inflazionistica.

 

Tali scelte, qualora trovassero applicazione nel ddl di Bilancio 2025, intaccherebbero ogni elemento di garanzia e di tutela nei confronti dei pensionati residenti all’estero, elementi che verrebbero fortemente compromessi con la misura in parola.

 

Ci auguriamo, dunque,  che vi siano, tra gli emendamenti segnalati,  che saranno oggetto di voto in sede referente nei prossimi giorni, anche gli emendamenti soppressivi o riformulativi di detta norma, al fine di riportare la materia entro parametri di legittimità, di correttezza e di garanzia nei confronti dei connazionali, lavoratori e pensionati, che per una vita hanno versato contributi in Italia e che ora, poiché residenti all’estero,  si vedono esclusi dai legittimi riadeguamenti previsti dalla norma per rendere adeguate le proprie pensioni, per ragioni che sfuggono sotto il profilo giuridico e sociale. Confsal Unsa 24

 

 

 

 

 

 

Voto RSU 2025: lettera aperta di Confsal Unsa Esteri ai responsabili di Cgil, Cisl e Uil

 

Roma - “Ci troviamo a pochi mesi dalle procedure di voto per l’elezione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU 2025), che avranno luogo, come di rito, anche presso le sedi estere della Farnesina”, e la Confsal Unsa Esteri ha rivolto una lettera aperta ai responsabili di Cgil, Cisl e Uil, ricordando che “il rinnovo delle rappresentanze RSU si configura come l’espressione più alta dell’azione sindacale, oltre che l’attuazione della legittima quanto inderogabile azione di unione tra rappresentanza sindacale e rappresentanti sindacali”.

“Il prossimo mese di aprile”, si legge nella lettera, “noi tutti saremo chiamati ad un rinnovo della nostra missione, unitamente a quello della nostra responsabilità nei confronti di tutti i lavoratori del MAECI a Roma e all’estero e, in particolar modo, rispetto a quelli in servizio in aree geografiche dove i diritti sindacali rappresentano qualcosa di inusuale, lontano – quasi impalpabile - e ben distante dalle realtà socio-politiche e culturali entro cui i colleghi sono cresciuti e si sono formati all’estero e entro cui vivono la loro quotidianità”.

“Dinanzi a questo scenario, che si configura come un unicum nel panorama della PA italiana”, la Confsal Unsa Esteri evidenzia “la responsabilità di elevare i diritti di questi lavoratori entro una cornice di trasparenza, funzionalità e soprattutto uguaglianza, esorcizzando il reiterarsi abominevole di disparità di trattamento in termini di rappresentanze tra lavoratori, egualmente in servizio presso la medesima sede, ma costretti ed assoggettati ad una sorta di apartheid della rappresentanza sindacale che, nel 2025, fa fatica a trovare un senso giuridico, amministrativo, sociale, sindacale ed operativo”.

Con “questa drammatica consapevolezza”, il sindacato rivolge un appello ai colleghi di Cgil, Cisl e Uil, “per chiedere loro di compiere un atto di emancipazione rispetto ai lacci e lacciuoli che i vincoli ideologici, programmatici e politici impongono costantemente e che traghettano le azioni sindacali verso orientamenti più funzionali alla rappresentanza tout court che agli interessi preminenti dei lavoratori”.

“Come Confsal Unsa”, prosegue la lettera aperta, “vogliamo poter contare anche su di voi per ridefinire lo scenario operativo entro cui dovranno attuarsi le prossime elezioni RSU, in occasione delle quali il nostro Sindacato, in nome della giustizia e parità di trattamento, ritiene opportuno, finalmente, approdare ad un Collegio unico, che includa tutti i lavoratori, senza quei confinamenti, quei fili spinati, quei “muri di Berlino”, che, secondo l’accordo sottoscritto recentemente all’ARAN, si pretende di continuare ad applicare, delimitando così la rappresentanza sindacale, i diritti annessi e le istanze dei lavoratori”.

Per la Confsal Unsa Esteri “le prossime elezioni RSU possono essere un’occasione preziosa, quasi irripetibile, per attuare questa emancipazione anche nello scenario sindacale della Farnesina. In questa battaglia non vogliamo continuare ad essere soli: riteniamo infatti imprescindibile operare in una prospettiva di coralità, a cui deve aggiungersi un’azione sindacale concreta, a tutela, soprattutto, di quelli i cui diritti devono essere difesi non solo con azioni di monitoraggio costante, ma anche con i muscoli e con i denti”.

La Confsal Unsa Esteri invita quindi i tre sindacati nazionali a “dimostrare apertamente la disponibilità a voler effettivamente abbattere ogni discriminazione, ogni frammentazione e ogni svilimento dei diritti sindacali e del ruolo sindacale presso il MAECI: attuiamo insieme questa piccola grande rivoluzione. La Confsal Unsa ci sarà!”. (aise/dip 27)

 

 

 

 

L’Inps nega l’importo aggiuntivo di 154 euro sulla 13ª delle pensioni in convenzione detassate

 

Roma. “Come tutti gli anni l’Inps emana un messaggio (quest’anno il n. 3821 del 15 novembre) dove, senza spiegarne i motivi, ci informa che l’importo aggiuntivo di 154 euro (art. 70, comma 7, della legge 23 dicembre 2000, n. 388) corrisposto con la tredicesima del mese di dicembre a tutte le pensioni pari o inferiori al minimo (e a patto che i beneficiari soddisfino specifici limiti reddituali) non sarà pagato alle pensioni detassate in virtù di una convenzione sulla doppia imposizione”. A rilanciare la notizia è Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, che spiega come, alla luce di questa decisione, “vengono escluse dall’attribuzione del beneficio tutte le pensioni dei residenti all’estero i quali hanno richiesto all’Inps la detassazione della loro pensione, sia in convenzione che autonoma, secondo quanto stabilito dalla convenzione contro le doppie imposizioni fiscali stipulata dall’Italia con il Paese di emigrazione”.

“Quasi tutte le pensioni erogate all’estero – ricorda Porta – sono detassate alla fonte dall’Inps e tassate dal Paese di residenza perché così è stabilito dalla stragrande maggioranza delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall’Italia. Ciò significa che a quasi tutti i potenziali aventi diritto (si presume migliaia di pensionati italiani residenti all’estero) viene negato il diritto ai 154 euro della somma aggiuntiva”.

“Ma cosa è e quali sono i requisiti pensionistici e reddituali necessari per aver diritto all’importo aggiuntivo? L’importo aggiuntivo – spiega il deputato – è un’erogazione supplementare alla pensione, pari a 154,94 euro, introdotta dalla legge finanziaria 2001 (art. 70, legge 23 dicembre 2000, n. 388) e riconosciuta a chi percepisce una o più pensioni con un importo complessivo non superiore al trattamento minimo e che si trovi in determinate condizioni reddituali. Per il 2024 il limite di importo annuo della pensione (comprensivo delle maggiorazioni sociali e delle pensioni o pro-rata esteri) non deve superare i 7.781,93 euro (se l’importo delle pensioni è compreso fra 7.936,87 e 7.781,93 euro spetta la differenza fra 7.936,87 e l’importo della pensione). Sempre per il 2024 i limiti reddituali da non superare sono 11.672,90 euro quello individuale e 23.345,79 quello coniugale. Nei casi in cui il pensionato sia titolare anche di prestazioni liquidate in regime di convenzione internazionale, per la verifica del limite reddituale viene considerato anche l’importo della pensione estera (o pro-rata), in aggiunta all’importo delle pensioni italiane. Per il tetto di reddito, non si calcolano i trattamenti di famiglia, la casa d’abitazione e pertinenze, i trattamenti di fine rapporto, i redditi derivanti da competenze arretrate sottoposte a tassazione separata”.

“La decisione dell’Inps di escludere (nonostante ne abbiano il diritto) dal pagamento dell’importo aggiuntivo di 154 euro i pensionati italiani residenti all’estero solo perché hanno richiesto la detassazione della loro pensione, così come d’altronde previsto dalla normativa fiscale internazionale, - annota il parlamentare dem – appare giuridicamente infondata (non lo prevede nessuna disposizione legislativa nazionale e convenzionale) e inoltre non è giustificata da alcuna inferenza logico-deduttiva delle norme in vigore ed in particolare della stessa legge istitutiva della prestazione (e cioè della legge n. 388/2000, articolo 70, commi da 7 a 10) che non menziona restrizioni di natura fiscale ma solo reddituali”.

“Vengono colpiti da questa penalizzante decisione – evidenzia Porta – soprattutto i pensionati più poveri, ossia quelli residenti in America latina, le cui pensioni sono detassate in Italia e tassate nel Paese di residenza e i cui importi pensionistici complessivi sono spesso pari o inferiori al trattamento minimo italiano. Continueremo ad adoperarci – conclude – affinché il Governo, il Ministero del Lavoro e l’Inps chiariscano questa iniquità”. (aise/dip 29) 

 

 

 

 

 

 

Umfrage. Unterbringung Geflüchteter ist „herausfordernd, aber machbar“

 

Viele Menschen sind seit 2015 nach Deutschland geflüchtet, zuletzt aus der Ukraine. Wie klappt es mit der Versorgung vor Ort? Eine Umfrage gibt Auskunft: Es gibt entspannte Kommunen und Städte am Limit.

Viele Kommunen und Landkreise betrachten die Unterbringung von Geflüchteten weiterhin als Herausforderung. Hinweise liefert eine nicht repräsentative Online-Befragung des Instituts für Demokratische Entwicklung und Soziale Integration. So schätzt fast die Hälfte deren Unterbringung als „herausfordernd, aber machbar“ ein. Rund ein Drittel sieht sich „am Limit, im Krisenmodus“. Rund jede zehnte Kommune bewertet die Lage als „(noch) entspannt, aber teilweise belastend“, jede zwanzigste sieht sich demnach als „überlastet, im Notfallmodus“.

Co-Autor Frank Gesemann spricht von einer „repräsentativ angelegten Befragung“, da alle Kommunen ab 5.000 Einwohnern die Chance zur Teilnahme hatten. Unter anderem da die Rücklaufquote zufriedenstellend gewesen sei und die Stichprobe die Verteilung der Kommunen nach Merkmalen wie Typ, Größe und Bundesland gut widerspiegele, handle es sich um eine „aussagekräftige Stichprobe“. Der Rücklauf aus ostdeutschen Kommunen sei aber geringer gewesen.

Wohnungsmarkt herausfordernd

Meist werden Geflüchtete der Umfrage zufolge in angemieteten Privatwohnungen oder kommunalen Wohnungen untergebracht, gefolgt von Gemeinschaftsunterkünften und Wohncontainern. Sporthallen oder Zelte kamen nur noch sehr selten zum Einsatz. Als besonders herausfordernd werteten die Befragten die Situation auf dem Wohnungsmarkt.

An der Online-Befragung nahmen nach Angaben der Autoren 567 Kommunen und Landkreise zwischen dem 19. August und dem 30. September teil. Auf Landkreise, die ebenfalls an der Unterbringung beteiligt sein können, entfiel dabei knapp jede zehnte Antwort. Ostdeutsche Städte, Landkreise und Gemeinden waren eher unterrepräsentiert. (dpa/mig 29)

 

 

 

 

Gefangen in der Eskalationsspirale

 

Abschreckung soll den Gegner zu Zurückhaltung bewegen – kann aber als Aggression wahrgenommen werden. Gibt es einen Ausweg aus dem Dilemma? Von Johann Ivanov

Wahrscheinlich werden Historiker erst nach Dekaden einen passenden Begriff für die heutige Zeit finden. Zu viel ist gerade in Bewegung, zu wenig hat sich vollends materialisiert. Neue Ost-West-Konfrontation, Kalter Krieg 2.0, Ende des regelbasierten Systems oder Beginn der multipolaren Weltordnung? An Ideen wird es nicht mangeln; an Versuchen, Parallelen zu früheren Zeiten zu ziehen, sicherlich auch nicht. Manche Begriffe, die nach vergangenen Epochen klingen, werden aber absehbar die strategischen Debatten der kommenden Jahre prägen. „Abschreckung“ ist ein solcher Begriff.

Gründe dafür gibt es viele und die prominentesten liegen auf der Hand. Die vergangenen zehn Jahre waren von zwei großen Brüchen in der europäischen Sicherheitsordnung gekennzeichnet: von Russlands Annexion der Halbinsel Krim im Jahr 2014 und vom Überfall auf die Ukraine im Jahr 2022, der die „Zeitenwende“ in der deutschen Politik eingeläutet hat. Bereits in den Jahren zuvor hatte sich eine Verschlechterung in den Beziehungen zwischen Russland und dem Westen abgezeichnet. Aus dem, was passiert ist, und dem, was in Zukunft verhindert werden soll, speist sich der gegenwärtige Abschreckungsdiskurs.

Dabei ist Abschreckung als Konzept heimisch in den Hochzeiten des Kalten Krieges (ihr Ursprung geht in die Antike zurück). NATO-Atomwaffen sollten den konventionell überlegenen Warschauer Pakt von einem Angriff auf Westeuropa abhalten. Heute funktioniert Abschreckung unter anderen Vorzeichen: Ein konventionell und technologisch unterlegenes Russland schreckt mit seinem taktischen und strategischen Nukleararsenal die NATO davor ab, im Krieg in der Ukraine militärisch zu intervenieren.

Nukleare Abschreckung funktioniert, indem Land A von einer Handlung gegen Land B abgehalten wird, da B die Konsequenzen klar und glaubwürdig signalisiert. A berücksichtigt diese bei seiner Entscheidung, wodurch es auf die Handlung verzichtet. Der Abschreckungsdiskurs ist auf strategischer Ebene, dem Einsatz von Atomwaffen, angesiedelt, wuchert aber auch in den konventionellen und ökonomischen Bereich hinein. Der Vordenker der US-Nuklearstrategie Thomas C. Schelling definierte Abschreckung als die Verhinderung einer Handlung durch Androhung von Konsequenzen. Trotz seiner Bedeutung fristet dieses Thema heute ein Nischendasein.

Die Realität der Abschreckung ist weitaus komplexer als ihre spieltheoretischen Kosten-Nutzen-Kalkulationen. Konflikte sind geprägt von Freund-Feind-Denken, von sprachlich und sozial konstruierten historischen Feindbildern und großem Misstrauen. „Othering“ verhärtet die Fronten, diskursive Grenzen erschweren Verständnis für die Gegenseite. Aktionen der anderen Seite werden oft als Bedrohung wahrgenommen, Paranoia dominiert politische Debatten. Entscheidungsträger überbieten sich mit Härte und Entschlossenheit, statt Lösungen zu suchen. Solche Dynamiken erschweren es, Abschreckungsstrategien zu entwickeln und Konflikte zu entschärfen.

Abschreckung wird in einem Kontext entwickelt, in dem Recht weniger zählt als ihre Funktionsweise und die Vermeidung des schlimmsten Falls. Die moralische Verurteilung der Gegenseite, die oft politische Debatten prägt, kann strategische Überlegungen vernebeln und zu Fehlschlüssen führen. Solche Verzerrungen behindern effektive Abschreckungsstrategien und erschweren das Konfliktmanagement.

Abschreckung erfordert Verständnis für die Psychologie der Gegenseite und die Wahrnehmung von Diskursveränderungen im Konfliktverlauf. Sie funktioniert durch strategische Empathie: Die Kenntnis der Ängste und Sorgen der anderen Seite hilft, Handlungen zu vermeiden, die diese Ängste schüren könnten. Dabei ist es besonders wichtig zu verstehen, dass Abschreckung im Kopf des Opponenten stattfindet. In Konfliktsituationen mit zerstörtem Vertrauen ist es aber schwierig, Entschlossenheit zu signalisieren, die nicht als eine Form der Aggression wahrgenommen werden könnte.

Im aktuellen Krieg in der Ukraine betrachtet Russland möglicherweise eine militärische Konfrontation mit der NATO als bereits im Gange. Hinweise darauf liefern Beiträge russischer außenpolitischer Akteure und Kommentare in Medien, die auch westliches Publikum beeinflussen sollen. Diese Perspektive ist für russische Eliten wirkmächtig, unabhängig von westlicher Kritik. Wenn eine Seite glaubt, sich im Krieg zu befinden, die andere dies aber leugnet, beeinflusst dies die Organisation und die Instrumente von Abschreckung.

Diese Asymmetrie in der Interpretation der aktuellen Lage kann zu unterschiedlichen Risikoeinschätzungen auf beiden Seiten führen. Wenn der Westen glaubt, sich weit genug von einer direkten militärischen Auseinandersetzung mit Russland zu befinden, kann er tendenziell zu größeren eskalativen Schritten (aus Sicht Russlands) bereit sein. Darunter fällt auch die Entscheidung, den Einsatz von ballistischen Raketen des Typs ATACMS (aber auch die Marschflugkörper Storm Shadow beziehungsweise SCALP) auf Ziele in Russland freizugeben oder perspektivisch Marschflugkörper des Typs JASSM (mit einer Reichweite, je nach Konfiguration, von circa 1 000 Kilometern) an die Ukraine weiterzugeben. Wladimir Putin hat angedeutet, diese Entwicklung als eine direkte Kriegsbeteiligung des Westens zu betrachten.

Der wiederholte Einsatz solcher Raketen durch die Ukraine erhöht die Kriegskosten für Russland. Das Ziel ist, eine Verhaltensänderung zu bewirken. Das kann aber auch dazu führen, dass Russland versuchen könnte, die Kosten für die Ukraine und den Westen hochzutreiben. Dies kann von einer Reihe neuer hybrider Aktionen, einer Eskalation auf dem Schlachtfeld – wie dem jüngsten Einsatz einer experimentellen IRBM Oreshnik mit mehrfachen Gefechtsflugkörpern gegen Ziele im ukrainischen Dnipro, wie zusätzlichen Angriffen auf zivile Infrastruktur oder der Weitergabe moderner Antischiffsraketen P-800 Oniks an Rebellengruppen im Roten Meer – bis zur Wiederaufnahme von Atomwaffentests reichen. 

Wenn Russland glauben sollte, dass seine Abschreckung nicht mehr funktioniert, weil es wiederholten Angriffen mit Raketen ausgesetzt ist, die ohne größere Kosten für den Westen ablaufen, könnte es eine massive Eskalation oder Ausweitung des Konflikts suchen, um eine glaubwürdige Abschreckung wiederherzustellen. Letzteres kann auch weitere escalate to de-escalate-Aktionen bedeuten.

Bei solch einer dynamischen und angespannten Situation kann es immer wieder Momente der Fehlkalkulation und Fehlinterpretation geben. Dann können schnell Automatismen greifen – der Point of no Return. Informationen auf beiden Seiten werden nie perfekt sein. Die Ziele einer Policy und ihre Konsequenzen können unter Stress auseinanderfallen. Abschreckung als Strategie der Konfliktverhinderung kann dann ins Gegenteil abdriften und zu Konflikteskalation beitragen. Das Spannungsverhältnis von Abschreckung und strategischer Stabilität einerseits und der Beteiligung an einem bewaffneten Konflikt andererseits, kann zur Auflösung eben dieser strategischen Stabilität zwischen NATO und Russland beitragen. Aber auch längerfristig ausgerichtete Schritte der Abschreckung können (in einem übergeordneten diskursiven Rahmen des Misstrauens und der Feindschaft) zu einer Verstetigung und Verschärfung des Konflikts beitragen. 

Die zentrale Aufgabe der NATO, entsprechend des Strategic Concept 2022, ist deterrence and defence. Auch die deutsche Sicherheitsstrategie betont diesen Ansatz. Der Ausbau militärischer Infrastruktur, so auch die geplante Stationierung der sogenannten Long Range Fires (darunter auch Hyperschallwaffen wie Dark Eagle) in Deutschland durch die USA, die Anschaffung neuer Plattformen wie F-35 und eine höhere Anzahl von Manövern, sind eine Form der Selbstvergewisserung nach innen und eine Signalisierung von Entschlossenheit nach außen.

Letztere Komponente muss bei Russland nicht zwangsläufig den seitens der NATO erwünschten Effekt erzeugen – nämlich Zurückhaltung. Die Beteuerungen des Verteidigungsbündnisses, dass ihre Aktionen nicht gegen Russland gerichtet sind, werden unter heutigen Bedingungen noch mehr auf taube Ohren in Moskau stoßen als noch in den Jahren zuvor. Vielmehr können diese auf Abschreckung ausgerichteten Maßnahmen der NATO zu einer gesteigerten Wahrnehmung der Unsicherheit führen – und zu Aktionen Russlands mit dem Ziel, diese Unsicherheit zu reduzieren beziehungsweise die Unsicherheit der anderen Seite zu steigern.

Dies erfolgt beispielsweise durch den Aufbau russischer Kapazitäten, die Stationierung von Atomwaffen an den Grenzen der NATO, die Zunahme von Übungen der Atomstreitkräfte, die Entwicklung neuer Trägersysteme oder die Vertiefung von neuen Bündnissen. Auch der Bereich der sogenannten „esoterischen Superwaffen“ wie dem Hyperschallgleiter Avangard, die nuklear bestückte Poseidon-Unterwasserdrohne und der nuklear betriebene Marschflugkörper Burewestnik gehören zum Aufbau des Abschreckungspotenzials.

Der Versuch der NATO, angesichts des Krieges in der Ukraine über Selbstvergewisserung nach innen und Entschlossenheit nach außen für sich selbst mehr Sicherheit zu generieren, führt letztlich zu einem Sicherheitsdilemma. Dies kann zu einer stetigen Steigerung von Potenzialen und Drohungen, einer Aufrüstungs- und Eskalationsspirale führen. Eben weil Russland im Glauben sein könnte, sich bereits in einem Krieg mit der NATO in der Ukraine zu befinden, können politische Forderungen nach dem Einsatz von Waffen gegen russisches Territorium (etwa von Taurus-Marschflugkörpern) zu einer schnelleren Eskalation und Kulmination in Form direkter Kampfhandlungen zwischen Russland und NATO führen.

Die Entscheidung zum Aufbau neuer militärischer Infrastruktur, eine konfrontative Haltung, wird auf Jahrzehnte die Beziehungen zwischen der NATO und Russland prägen – an Verbesserung ist kaum zu denken. Bestenfalls wird sie in mehreren Jahren, nachdem zumindest der militärische Teil des Konflikts in der Ukraine vorüber sein dürfte, in die Debatten um Rüstungskontrolle und Abrüstung einfließen und ein Verhandlungspfand werden.

Für politische Entscheidungsträger ist es heute besonders wichtig zu erkennen, dass Maßnahmen, die auf Abschreckung zielen, nicht zwangsläufig den gewünschten deeskalierenden Effekt haben müssen. Wenn die andere Seite diese Schritte als Bedrohung für ihre Sicherheit wahrnimmt oder sich bereits im Krieg sieht, könnten sie vielmehr die Reste der strategischen Stabilität zwischen beiden Seiten unterminieren. Was hieraus folgen muss, ist eine vertiefte Debatte und Reflexion um strategische Interessen und gegebenenfalls eine Anpassung und Rekalibrierung dieser Interessen vor dem Hintergrund einer sich weiter verschärfenden sicherheitspolitischen Lage. Innezuhalten und sich Zeit für qualitativ hochwertige Entscheidungen zu nehmen, die sowohl kurzfristige Dynamiken als auch langfristige Entwicklungen reflektieren, ist das Gebot der Stunde. IPG 29

 

 

 

 

Macht der Klimawandel krank? Die Hälfte der Befragten sorgt sich um ihre

Gesundheit

Repräsentative Befragung für die SBK Siemens-Betriebskrankenkasse zu den gesundheitlichen Folgen von Klimaveränderungen

München. Hitzewellen, Überflutungen, Infektionen: 53 Prozent der Menschen in Deutschland sind besorgt, dass sich Klimaveränderungen auf ihre Gesundheit auswirken könnten. Besonders Jüngere zwischen 18 und 24 Jahren sehen mit 61 Prozent persönliche Risiken, so das Ergebnis einer Online-Befragung für die SBK Siemens-Betriebskrankenkasse unter 2.041 Erwachsenen. 58 Prozent der Frauen und 48 Prozent der Männer halten das Gesundheitssystem für nicht gut gerüstet gegen die Folgen der Klimaveränderungen.

 

Mehr als zwei Drittel erwarten laut der Erhebung, dass der Druck auf das Gesundheitswesen durch den Klimawandel wächst: 70 Prozent halten es für wahrscheinlich, dass das Gesundheitssystem belastet wird. Und 53 Prozent nehmen es als nicht gut vorbereitet wahr. Ähnliches prognostiziert der GKV-Spitzenverband: Klimaveränderungen werden die Ausgaben für Behandlungen in Kliniken und Praxen weiter erhöhen. „Gleichzeitig wird in unserem deutschen Gesundheitssystem finanziell belohnt, wer viel macht – auch wenn dies für die Patientinnen und Patienten nicht immer sinnvoll ist“, sagt Dr. Gertrud Demmler, Vorständin der SBK Siemens-Betriebskrankenkasse. „Wir müssen weg von der herkömmlichen Logik, dass viel auch viel hilft. Werden die vorhandenen Ressourcen sinnvoll eingesetzt, kann unser Gesundheitssystem auch den Herausforderungen der Zukunft standhalten.“ Der Fokus auf Qualität statt Quantität sowie wirtschaftliches Ressourcenmanagement bilden für Demmler die Voraussetzung einer ökologisch wie finanziell nachhaltigen Gesundheitsversorgung.

 

Eine Lösung: Prävention ausbauen

Die Gesundheit des Menschen ist untrennbar mit einer gesunden Umwelt verbunden: Luftverschmutzung und Hitze gefährden uns, während umweltfreundliches Verhalten häufig auch gut für unsere Gesundheit ist. Mit dem Rad zur Arbeit, eine pflanzenbasierte Kost – solche Verhaltensweisen sind gut für die Menschen und den Planeten. „Um unser Gesundheitswesen nachhaltiger aufzustellen, sollte die Förderung von Gesundheit im Zentrum der Versorgung stehen. Und sie sollte in der Gesellschaft insgesamt eine größere Rolle spielen“, sagt Demmler. Ein gesunder Lebensstil ist die beste Vorsorge gegen Adipositas, Diabetes oder anderen sogenannten Zivilisationskrankheiten. Weniger Krankheit bedeutet nicht nur mehr Lebensqualität für die Menschen, sondern auch weniger medizinische Behandlungen. Daher schont Prävention die knappen Ressourcen im Gesundheitswesen und die Umwelt durch zum Beispiel weniger Abfall in Form von Einwegprodukten und geringerem Einsatz von Arzneien und Energie.

 

Die SBK veröffentlicht seit 2022 einen Nachhaltigkeitsbericht. Hierin stellt sie dar, was verantwortungsvolles Handeln und Wirtschaften für unser Gesundheitssystem bedeutet und wie sie selbst diese Herausforderungen angeht.

 

Die Daten dieser Befragung basieren auf Online-Interviews mit Mitgliedern des YouGov Panels, die der Teilnahme vorab zugestimmt haben. Für diese Befragung wurden im Zeitraum 12. und 14.11.2024 insgesamt 2041 Personen befragt. Die Erhebung wurde nach Alter, Geschlecht und Region quotiert und die Ergebnisse anschließend entsprechend gewichtet. Die Ergebnisse sind repräsentativ für die Wohnbevölkerung in Deutschland ab 18 Jahren. SBK 28

 

 

 

 

Neue Integrationskursverordnung. Bundesregierung will Integrationskurse verschlanken

 

Für Integrationskurse, das Flaggschiff der deutschen Integrationspolitik, sollen künftig weniger Mittel zur Verfügung stehen. Das hat das Bundeskabinett beschlossen – samt neuer Verordnung. Das sieht ein „kompakteres Kursartenangebot“ vor.

Angesichts der Sparzwänge im Haushalt für das kommende Jahr will die Bundesregierung die Integrationskurse zumindest in Teilen verschlanken. Wie das Bundesinnenministerium am Mittwoch mitteilte, hat das Kabinett eine neue Integrationskursverordnung beschlossen, die ein „kompakteres Kursartenangebot“ vorsieht, das individuelle Voraussetzungen der Teilnehmenden stärker berücksichtigen soll. Gleichzeitig gab die Bundesregierung die Zusage für die Finanzierung der Kurse.

Bundesinnenministerin Nancy Faeser und Bundesfinanzminister Jörg Kukies (beide SPD) hätten verabredet, die notwendigen Mittel auch während einer vorläufigen Haushaltsführung zu decken, hieß es. Nach dem Aus der Ampel-Koalition wird der Bundestag nicht wie üblich einen Bundeshaushalt für das kommende Jahr beschließen. Im Haushaltsentwurf der Regierung waren bei den Integrationskursen deutliche Einsparungen vorgesehen. Statt 1,1 Milliarden, die in diesem Jahr zur Verfügung standen, sollten im kommenden Jahr nur 500 Millionen Euro ausgegeben werden.

Höhe der Einsparung nicht bekannt

Wie viel Geld genau für das kommende Jahr nun eingeplant ist, wurde nicht gesagt. Ein Sprecher des Bundesinnenministeriums sagte nur, dass mit der neuen Gestaltung der Integrationskurse voraussichtlich rund 84 Millionen Euro eingespart werden würden. Die Kürzungspläne hatten Kritik auf sich gezogen. Künftig sollen Bildungsvoraussetzungen und Lernfortschritt stärker berücksichtigt werden, was dazu führen kann, dass Teilnehmende mit bereits vorhandenen Sprachkenntnissen mit einem höheren Kursmodul einsteigen. Dafür soll es Einstufungstests geben.

Daniel Terzenbach, Sonderbeauftragte der Bundesregierung für die Arbeitsmarktintegration von Geflüchteten, hatte sich bereits zuvor für eine Reform der Integrationskurse ausgesprochen und bereits durchblicken lassen, welche Richtung es gehen soll. Man wolle die Kurse stärker an den Bedürfnissen des Arbeitsmarkts ausrichten, hatte er Mitte November erklärt.

Integrationskurse bestehen aus einem Sprachkurs sowie einem Orientierungskurs, in dem Kenntnisse über die deutsche Rechtsordnung, Geschichte und Kultur vermittelt werden. Seit 2022 ist die Zahl der Teilnehmenden an Integrationskursen dem Bundesinnenministerium zufolge gestiegen. 2023 gab es demnach 363.000 Teilnehmende, in diesem Jahr bislang rund 325.000. Das Bundesinnenministerium rechnet nach Worten des Sprechers mit gleich großer Nachfrage im kommenden Jahr. (epd/mig 28)

 

 

 

 

 

Verheerende Dürre im südlichen Afrika. Allein in Simbabwe hungern über 7 Millionen Menschen

  

Friedrichsdorf/Harare – Die Länder im südlichen Afrika sind von einer der schlimmsten Dürren seit Jahrzehnten betroffen. Die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision hat deshalb ihre Nothilfemaßnahmen in der Region deutlich ausgebaut. Allein in Simbabwe ist die Hälfte der Bevölkerung von Hunger betroffen. Vor allem Kinder leiden unter dem Mangel an Nahrungsmitteln, da ihre Entwicklung nachhaltig Schaden nimmt, berichtet World Vision.  

Der Klimawandel und das Wetterphänomen El Nino haben dazu geführt, dass in weiten Teilen des Landes kaum Regen gefallen ist. Dadurch hat vor allem die Getreideernte gelitten. Statt der üblichen zwei Millionen Tonnen konnten nur 600.000 geerntet werden. Die Expertin für humanitäre Hilfe, Melanie Assauer, ist für World Vision in Simbabwe aktiv: „Da auch in den Nachbarländern Dürre herrscht, fällt der bisherige Getreidelieferant Südafrika aus, was den Mangel noch verschärft. Noch ist die Bevölkerung widerstandsfähig. Doch auf den Feldern verhungern schon die Kühe.“ 

World Vision hat seine Hilfsaktion ausgeweitet und versorgt jetzt über 175.000 Menschen mit humanitärer Hilfe wie Lebensmitteln, Bargeld und Trinkwasser aber auch Trainings zum Anbau von Dürre tolerantem Saatgut. Ganz besonders wichtig sind Hilfen für Kinder und stillende Mütter. Melanie Assauer: „Durch die Verelendung können sich viele Familien nicht mehr leisten, ihre Kinder zur Schule zu schicken. Auch die Zahl von Frühverheiratungen ist deutlich gestiegen, ebenso hat häusliche Gewalt zugenommen. Wie so oft, leiden Kinder und Frauen besonders unter der Dürre.“ 

Kinder, die dauerhaft hungern, nehmen auch später noch Schaden an den Folgen. Gehirn und Körper können sich nicht richtig entwickeln und sie sind anfälliger für Krankheiten. Melanie Assauer: „Umso dringender ist es, dass die internationale Gemeinschaft in Simbabwe und der gesamten Region die Maßnahmen der Organisationen und der Regierung unterstützt und auch mehr finanzielle Mittel zur Verfügung stellt.“ Wvd 28

 

 

 

 

Studie. Kinder mit deutschem Pass bekommen mehr Hilfe für die Schule

 

Kinder zugewanderter Mütter bekommen mehr Unterstützung für die Schule, wenn sie einen deutschen Pass haben. Zu diesem Ergebnis kommt eine Studie. Die Mütter sehen dann offenbar einen höheren Nutzen des Bildungserfolgs, vermuten die Autorinnen.

Der deutsche Pass hat einer Studie zufolge Einfluss auf den Bildungserfolg von Kindern mit Migrationshintergrund. Zugewanderte Mütter, deren Kinder seit Geburt die deutsche Staatsangehörigkeit besitzen, unterstützen diese intensiver in schulischen Belangen, wie aus einer am Mittwoch in Berlin vorgestellten Untersuchung des Bundesinstituts für Bevölkerungsforschung hervorgeht. Die Studie könne das auf den bloßen Effekt der Staatsbürgerschaft zurückführen.

Der Effekt wirke sich langfristig auf die Schulabschlüsse aus, heißt es. Kinder aus zugewanderten Familien mit deutschem Pass machen der Studie zufolge mit einer höheren Wahrscheinlichkeit Abitur.

Formale Zugehörigkeit macht Unterschied

Die Studienautorinnen um die Bevölkerungsökonomin C. Katharina Spieß haben für die Untersuchung die Auswirkungen der im Jahr 2000 in Kraft getretenen Staatsangehörigkeitsreform betrachtet. Seitdem ist es unter bestimmten Voraussetzungen möglich, dass in Deutschland geborene Kinder von Eltern ohne deutschen Pass selbst die deutsche Staatsangehörigkeit erhalten können. Die Studie vergleicht vier Gruppen: Kinder, die im Jahr vor und nach der Reform geboren sind, sowie Kinder aus Familien mit und ohne Migrationshintergrund. Dadurch könne der Effekt der Staatsbürgerschaft isoliert werden. Analysiert wurden für die Studie Daten unter anderem aus dem Mikrozensus und dem nationalen Bildungspanel.

Die formale Zugehörigkeit zur deutschen Gesellschaft mache einen Unterschied beim Bildungserfolg, resümieren die Autorinnen. Über die Gründe für den Effekt der Staatsbürgerschaft könne man nur spekulieren, sagte Studien-Co-Autorin Elena Ziege. Mütter erwarteten mit Erwerb der Staatsbürgerschaft für ihre Kinder vermutlich bessere Perspektiven am Arbeitsmarkt, sagte sie. Sie sähen einen höheren Nutzen von Bildungserfolgen für ihre Kinder, heißt es dazu in der Studie.

Anerkennung ausländischer Qualifikationen entscheidend

Der Untersuchung zufolge hat mehr als ein Drittel der Mütter minderjähriger Kinder in Deutschland Migrationshintergrund. 29 Prozent der Mütter minderjähriger Kinder seien selbst zugewandert.

Sieben Prozent der Mütter mit Kindern unter 18 Jahren sind darüber hinaus Zugewanderte der sogenannten zweiten Generation, das heißt, mindestens ein Elternteil wurde nicht in Deutschland geboren. Die meisten zugewanderten Mütter kommen aus Polen, der Türkei, Kasachstan, Russland, Syrien und Rumänien.

Die Studie untersuchte auch, inwiefern sich die Erwerbstätigkeit zugewanderter Mütter entwickelt und sich von der von Müttern ohne Zuwanderungsgeschichte unterscheidet. Eine entscheidende Wegmarke für die Aufnahme einer Arbeit war der Studie zufolge die erleichterte Anerkennung von im Ausland erworbenen Berufsabschlüssen ab 2012. Dennoch liege die Erwerbsbeteiligung von Frauen mit Zuwanderungsgeschichte weiterhin unter der von Frauen ohne Migrationshintergrund. „Der Fachkräftemangel in Deutschland könnte durch eine bessere Unterstützung dieser Mütter reduziert werden“, schlussfolgern die Autorinnen. (epd/mig 28)

 

 

 

 

Einwanderung größte Sorge, Lage der Nation desolat: Das bewegt die Deutschen drei Monate vor der Wahl

 

Hamburg – Einwanderung, Inflation, Armut und soziale Ungleichheit: Das sind die größten Sorgen der Deutschen im November 2024, drei Monate vor der Bundestagswahl. Dies geht aus der Studie „What Worries the World“ hervor, die das Markt- und Meinungsforschungsinstitut Ipsos monatlich in 29 Ländern weltweit durchführt.

44 Prozent der Deutschen zählen das Thema Migration aktuell zu den drei größten Sorgen im eigenen Land, 2 Prozentpunkte mehr als im Vormonat. Damit erreicht die Sorge um die Zuwanderung den höchsten Wert seit Oktober 2023 und steht den zweiten Monat in Folge an der Spitze des Sorgenbarometers der Deutschen; sie löst damit das Thema Kriminalität und Gewalt ab, das im September dieses Jahres zum ersten Mal diesen Platz eingenommen hatte. Nicht nur im europäischen Vergleich, sondern auch in keinem anderen der 29 untersuchten Länder sind die Menschen derzeit so besorgt über die Zuwanderung wie in Deutschland.

 

Finanzielle Sorgen nehmen in Deutschland wieder zu

Noch stärker zugenommen haben in Deutschland die Ängste vor Inflation (33 %) und Armut/sozialer Ungleichheit (31 %). Sie beschäftigen etwa ein Drittel der Bundesbürger - ein Plus von jeweils 6 Prozentpunkten im Vergleich zum Vormonat. Vor einem Jahr waren diese beiden Themen für die Deutschen allerdings noch wichtiger (38% bzw. 34%). Knapp dahinter folgt die Sorge vor Kriminalität und Gewalt, die von 29 Prozent genannt wird. Der Klimawandel ist für jeden fünften Deutschen (21 %) ein Anlass zur Sorge und komplettiert damit die Top 5 des Sorgenbarometers der Deutschen.

Auch das Gesundheitswesen (20 %), militärische Konflikte (19 %) und der zunehmende Extremismus (17 %) bereiten derzeit fast jedem fünften Bundesbürger Sorgen. Trotz der weit verbreiteten Angst vor Armut und sozialer Ungleichheit zählt die Arbeitslosigkeit nur für jeden Zehnten (10 %) zu den drei wichtigsten Themen in Deutschland, und auch der Erhalt von Sozialprogrammen bewegt nur 7 Prozent der Befragten.

 

Deutsche beurteilen Lage der Nation als desolat

Nicht einmal jeder vierte Bürger (23 %) sieht Deutschland auf dem richtigen Weg, eine deutliche Mehrheit von 77 Prozent hat den Eindruck, dass die Entwicklung ihres Landes in die falsche Richtung geht. Dieser Wert ist ein neuer Negativrekord in der seit über einem Jahrzehnt durchgeführten Langzeitstudie. Nicht viel besser sieht es bei der Wahrnehmung der Wirtschaftslage aus. Nur 31 Prozent der Deutschen halten sie für gut, 69 Prozent für schlecht. Seit Oktober ist das Vertrauen in die deutsche Wirtschaft um 5 Prozentpunkte gesunken, im Vergleich zum Vorjahr sogar um 9 Prozentpunkte.

Dr. Robert Grimm, Leiter der Politik- und Sozialforschung bei Ipsos in Deutschland, erklärt: „Eigentlich sollte der Anstieg der Lebenshaltungskosten gebannt sein. Das Statistische Bundesamt meldete am 12. November eine Inflationsrate von nur noch 2 Prozent für Oktober 2024. Dennoch ist die Sorge der Deutschen vor hohen Preisen im vergangenen Monat sprunghaft um 6 Prozentpunkte gestiegen. Dies dürfte vor allem an den teureren Grundnahrungsmitteln liegen. So verteuerte sich Butter von September auf Oktober um 9,9 Prozent, der Preis für frisches Gemüse stieg im gleichen Zeitraum um 4,1 Prozent. Neben den steigenden Grundnahrungsmittelpreisen ist die Angst der Bevölkerung vor Armut und sozialem Abstieg auch auf die wirtschaftliche Grundstimmung in unserem Land zurückzuführen. Der vielfach angekündigte Arbeitsplatzabbau in großen Industriekonzernen schürt die Wohlstandssorgen der Deutschen zusätzlich. Im bevorstehenden Bundestagswahlkampf werden sich die Parteien mit genau diesen Sorgen der Bürgerinnen und Bürger auseinandersetzen müssen.“ Ipsos 28

 

 

 

 

 

Weniger Neueinstellungen, Kurzarbeit steigt

 

München – Die Unternehmen treten bei der Personalplanung auf die Bremse und beantragen mehr Kurzarbeit. Das ifo Beschäftigungsbarometer sank im November auf 93,4 Punkte, nach 93,6 Punkten im Oktober. „Die Industrie versucht, der Krise mit einer Mischung aus Kurzarbeit und Arbeitsplatzabbau zu begegnen“, sagt Klaus Wohlrabe, Leiter der ifo Umfragen. 

 

Insbesondere die Industrieunternehmen planen verstärkt, ihre Belegschaft zu verkleinern. Ähnliches gilt für den Handel, obwohl dort der Indikator leicht gestiegen ist. Die Dienstleister hatten über lange Zeit mehr Personal eingestellt – nun gehen sie eher von einer konstanten Entwicklung aus. Im Baugewerbe gibt es wenig Bewegung bei der Personalplanung. „Immer mehr Unternehmen stoppen Neueinstellungen“, sagt Wohlrabe. „Zudem diskutieren sie immer häufiger über einen Abbau von Arbeitsplätzen.“

 

Gleichzeitig steigt die Kurzarbeit in der Industrie. Im November setzten 17,8 Prozent der befragten Firmen in der Industrie auf Kurzarbeit, nach 14,3 Prozent im August. Für die kommenden drei Monate erwarten dies 28 Prozent, nach 23 Prozent im August. Im Vergleich zu vergangenen Krisen sind diese Anteile an Kurzarbeit jedoch gering. Im Frühjahr 2000, in der Corona-Pandemie, nutzten das Instrument laut den ifo Umfragen 59 Prozent der Industriefirmen.

Über Kurzarbeit federn nach eigenen Angaben vor allem Unternehmen in der Metallerzeugung die Krise ab (41,7 Prozent), gefolgt von den Möbelherstellern (33,7 Prozent), der Autobranche (27,2 Prozent), den Herstellern elektrischer Ausrüstungen (26,9 Prozent), sowie dem Maschinenbau (21,4 Prozent). In der Chemie hingegen wurde von keiner nennenswerten Kurzarbeit berichtet. Ifo 28

 

 

 

 

 

35 Millionen Menschen. Afrika: Zahl der Binnenflüchtlinge verdreifacht

 

Die Zahl der Binnenflüchtlinge in Afrika ist binnen 15 Jahren auf 35 Millionen angestiegen. Damit lebt weltweit fast jeder zwei Binnenflüchtling auf dem Kontinent. Immer mehr Menschen flüchten vor Dürre und Fluten.

Kriege und extreme Wetterbedingungen haben die Zahl der Menschen, die in Afrika im eigenen Land auf der Flucht sind, in die Höhe getrieben. Einem Bericht der Beobachtungsstelle für Binnenvertriebene (IDMC) zufolge lebten Ende vergangenen Jahres rund 35 Millionen Afrikaner als Flüchtlinge und Vertriebene innerhalb ihrer Heimatländer. Damit habe sich die Zahl der Binnenflüchtlinge innerhalb von 15 Jahren verdreifacht, heißt es in dem in Genf veröffentlichten Report. Damit lebe nahezu die Hälfte aller Binnenflüchtlinge weltweit auf dem afrikanischen Kontinent.

Die meisten von ihnen, nämlich 32,5 Millionen Menschen, flohen demnach vor Gewalt und bewaffneten Konflikten. Dabei stellen fünf Länder 80 Prozent der geflohenen und vertriebenen Menschen: der Sudan, die Demokratische Republik Kongo, Äthiopien, Nigeria und Somalia. Dabei seien viele Menschen über einen längeren Zeitraum oder mehrfach zur Flucht gezwungen.

Fluchtursache zunehmend Klimawandel

Immer häufiger sind aber auch extreme Wetterbedingungen wie Dürre und Fluten Fluchtursachen. Hier stieg die Zahl dem Bericht zufolge von 1,1 Millionen Binnenflüchtlingen im Jahr 2009 auf 6,3 Millionen Ende vergangenen Jahres. Da als Folge des Klimawandels mehr Extremwetterereignisse erwartet werden, dürfte die Zahl der Menschen, die vor Naturkatastrophen fliehen, weiter steigen.

In einigen Ländern wie Somalia oder dem Sudan überlappen sich auch die Fluchtursachen, etwa wenn Menschen erst vor dem Krieg flüchten und später wegen einer Flut. Die bestätigt damit die zunehmend anerkannte Erkenntnis, dass der Klimawandel inzwischen weltweit mit zu den größten Fluchtursachen gehört. Menschenrechtler fordern Anerkennung von Klimaflucht als Asylgrund.

Binnenflüchtlinge suchen laut Völkerrecht im eigenen Land Schutz. Flüchtlinge hingegen verlassen ihr Land, um sich jenseits der Grenzen in Sicherheit zu bringen. (dpa/epd/mig 27)

 

 

 

 

 

Studie. Deutschland braucht Einwanderung – und diskriminiert

 

Deutschlands Arbeitsmarkt braucht laut einer Studie viel mehr Einwanderung als bisher. Es geht um Kräfte im sechsstelligen Bereich. Barrieren müssten weg – dazu gehört auch Diskriminierung in Top-Jobs. Von Yuriko Wahl-Immel

Der deutsche Arbeitsmarkt ist einer Studie zufolge langfristig jedes Jahr auf Einwanderer „in substanziellen Umfang“ angewiesen. Um ein ausreichendes Angebot zur Verfügung zu haben, wären bis 2040 jährlich rund 288.000 internationale Arbeitskräfte erforderlich, wie eine Analyse im Auftrag der Bertelsmann Stiftung ergibt. Aktuell falle die Erwerbsmigration erheblich geringer aus als benötigt. Hemmnisse müssten abgebaut und Bedingungen für Migranten verbessert werden, sagt die Stiftungsexpertin für Migration, Susanne Schultz.

Der Blick auf ein Beispiel kann ernüchtern. So schildert ein 2016 aus Syrien geflüchteter heute 29-Jähriger der Deutschen Presse-Agentur, er habe einen Bachelor und Master an Hochschulen in Nordrhein-Westfalen geschafft – und verlasse Deutschland als gut ausgebildeter IT-Spezialist jetzt trotzdem. Er gehe in die Schweiz, sagt er.

IT-Fachkraft: „Diskriminiert und abgelehnt“

„Ich habe hier Topleistungen gebracht, um als gleichwertig wahrgenommen zu werden, aber ich habe mich diskriminiert und abgelehnt gefühlt.“ Im sozialen Leben, Studienumfeld und Nebenjob sei ihm viel Abwertung begegnet. Trotz Nebentätigkeit in einem Institut und sehr guten Master-Abschlusses habe er kein adäquates Jobangebot erhalten: „Ich möchte auf Augenhöhe behandelt werden, aber ich möchte nicht darum betteln.“

Expertin Schultz meint, der Fall stelle „leider keinen totalen Ausreißer“ dar. „Deutschland kann sich so etwas nicht leisten und muss attraktiver werden.“ Die Rekrutierung ausländischer Fachkräfte müsse intensiver werden, Hürden seien abzubauen, mahnt auch die Untersuchung.

Großer Bedarf mit regionalen Unterschieden

Die Projektion rechnet damit, dass Deutschland im Durchschnitt bis 2040 jedes Jahr 288.000 Personen aus dem Ausland benötigt. Ein zweites Projektionsmodell, das auf einer etwas ungünstigeren Ausgangslage basiert, nimmt sogar an, dass 368.000 Personen nötig werden. Von 2041 bis 2060 sei – ausgehend auch von positiven Effekten aus vorheriger Einwanderung – ein Bedarf von rund 270.000 Personen im Jahresschnitt zu erwarten.

Ohne zusätzliche Einwanderer würde die Zahl der Arbeitskräfte aufgrund des demografischen Wandels von aktuell 46,4 Millionen auf 41,9 Millionen – um rund 10 Prozent – sinken. Ausbleibende Einwanderung könnte sich regional unterschiedlich auswirken: Laut Analyse würde der Schwund im bevölkerungsreichsten Bundesland NRW mit einem angenommenen Minus von 10 Prozent etwa im Mittelfeld liegen. Thüringen, Sachsen-Anhalt und das Saarland wären stärker getroffen. Aber auch in Bayern, Baden-Württemberg oder Hessen wäre der Personalmangel ohne zusätzliche internationale Arbeitskräfte groß.

Nennenswerte Netto-Einwanderung aus Drittstaaten

Die Einwanderung aus anderen EU-Ländern ist unter dem Strich zuletzt stark gesunken und wird künftig kaum noch im nennenswerten Bereich liegen, heißt es. Umso wichtiger werden die Drittstaaten. 2023 sind Schultz zufolge rund 70.000 Arbeitskräfte aus Drittstaaten gekommen, aber zugleich haben 20.000 Deutschland verlassen. Das liege unter anderem an Problemen mit Aufenthaltstiteln, aber auch an Diskriminierungen.

„Deutschland hat mittlerweile ein sehr liberales Einwanderungsgesetz“, sagt die Wissenschaftlerin mit Blick auf das reformierte Fachkräfteeinwanderungsgesetz. „Es muss allerdings viel besser in die Praxis umgesetzt werden.“ Bürokratie und Personalmangel auch in Ausländerbehörden seien Barrieren.

Zudem sei ein mentaler Wechsel in so mancher Behörde geboten – „deutlicher weg von restriktiver, ablehnender Haltung hin zu aktivem Willkommen“. Es sei mehr Wissen über Rekrutierung im Ausland oder über Beurteilung von ausländischen Qualifikationen nötig. „Es gibt aber auch Erfolgsgeschichten. Vieles läuft extrem gut.“ Es würden Arbeitskräfte in fast allen Branchen gesucht – darunter Bau und Handwerk, Pflege- und Gesundheit, Tourismus und auch stark im IT-Bereich.

Diskriminierung weit verbreitet in gehobenen Berufen

Gelingende Arbeitsmarkteinwanderung nutzt laut der Studie den Unternehmen, den Migranten und sollte auch „kooperative Einstellungen der einheimischen Bevölkerung gegenüber Migration nachhaltig befördern.“ Allerdings: Es gebe Benachteiligung und dabei den Trend, dass Diskriminierung in gehobenen Berufen stärker zuschlage als in Jobs, die mit minderer Qualifikation ausgeübt werden könnten, sagt Herbert Brücker vom Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) der Deutschen Presse-Agentur.

„Je mehr es um Zugewanderte in akademischen, gehobenen Berufen geht, desto stärker werden mitunter die Ablehnungserscheinungen“, erläutert der Wirtschaftswissenschaftler: „Wo zugewanderte Menschen Lehrerinnen oder Lehrer werden wollen, Professoren oder Richter, beobachten wir, dass es problematisch wird.“

Und: „Interessant ist, dass diese Menschen in der Regel gut integriert sind, sie bringen hohe Qualifikationen mit und performen gut, berichten aber trotzdem häufig über Diskriminierungserfahrungen.“ In Befragungen zeige sich immer wieder: „Viele Leute sagen, beispielsweise ein Syrer oder ein Muslim als Kollege ist für sie okay, aber ein Muslim oder Syrer als Chef, Lehrer, Richter oder Bürgermeister wäre für sie ein Problem.“

Deutliche Hierarchien: Diskriminierung spielt eine Rolle

Der IAB-Experte für Migration, Integration und internationale Arbeitsmarktforschung weiß: „Nicht alle Menschen mit Migrationshintergrund werden auf dem Arbeitsmarkt benachteiligt, aber Diskriminierung spielt eine Rolle, und es gibt hier klare Hierarchien.“ Während etwa Österreicher oder Schweizer wie Deutsche behandelt würden, fange die Skepsis gegenüber südeuropäischen Herkunftsländern oft schon an. „Menschen aus der Türkei, dem Mittleren Osten und Schwarzafrika sind am stärksten von Diskriminierung betroffen, dann nimmt es in Richtung Fernost wieder ab.“

Brücker stellt klar, dass solche Benachteiligungen kein singuläres deutsches Problem sind. Auch in der Schweiz, anderen europäischen Ländern oder den USA gebe es Diskriminierung und Benachteiligungen von bestimmten Migrantengruppen. „Allerdings ist in der Schweiz schon seit vielen Jahren ein hoher Anteil von ausländischen Arbeitskräften tätig. Dort ist es auch normaler, dass Spitzenstellen von Ausländern und Migranten besetzt sind.“

Der 29-jährige IT-Experte, der Deutschland verlässt und nun in Bern Fuß fasst, ist optimistisch: „Ich habe gute Voraussetzungen für einen Neustart, ich werde respektiert bei der Arbeit, hatte gleich mehrere WG-Angebote und werde nicht mehr so angestarrt.“ (dpa/mig 27)

 

 

 

 

 

Fest anschnallen

 

Trumps Nahost-Politik ist unberechenbar und voller Widersprüche. Könnte ausgerechnet sein unkonventioneller Ansatz zu Frieden führen? Clemens Starke & Marcus Schneider

Die Wahlkampagne von Donald Trump wurde von einigen unerwarteten Äußerungen des zukünftigen US-Präsidenten begleitet. In einer Zeit, in der die israelischen Militäroperationen im Gazastreifen und im Libanon auch in den USA stark polarisieren und in der viele arabisch-amerikanische Wähler von der pro-israelischen Haltung der Biden-Harris-Administration zutiefst enttäuscht waren, betonte Trump wiederholt sein Ziel, Frieden in die Region zu bringen. Dabei warb er aktiv um Stimmen aus der arabischen Community, insbesondere in wichtigen Swing States wie Michigan.

Dennoch bleibt unklar, wie Trumps zukünftige Nahost-Politik, etwa in Bezug auf Gaza, konkret aussehen wird und ob sie tatsächlich einen anderen Weg als den der Biden-Administration einschlagen wird. Zwar erhielt Trump starke Unterstützung aus dem konservativen, pro-israelischen Lager, doch scheint er die andauernden Konflikte in Gaza eher als PR-Problem für Israel denn als humanitäre Katastrophe für die Palästinenser zu betrachten. Zugleich kündigte er bereits harte Maßnahmen gegen die palästinensische Solidaritätsbewegung an.

Trumps erste Personalentscheidungen für sein zukünftiges Kabinett deuten in eine ähnliche Richtung: Der designierte Außenminister Marco Rubio hat sich bisher entschieden gegen eine Waffenruhe in Gaza ausgesprochen. Der künftige CIA-DirektorJohn Ratcliffe kritisierte die Biden-Administration scharf für ihren angedrohten Stopp von Waffenlieferungen nach Israel angesichts der Lage in Gaza. Mike Huckabee, der zukünftige US-Botschafter in Israel, negierte nicht nur jegliche palästinensische Selbstbestimmung, sondern stellte sogar die Existenz einer eigenständigen palästinensischen Identität grundsätzlich infrage.

Während Trump bei seinem ersten Wahlsieg noch selbst überrascht schien und seine damalige Regierung von häufigem Entlassungen, Personalwechseln, Skandalen und Widersprüchen geprägt war, setzt er im Vorfeld seiner zweiten Amtszeit auf Loyalität und bekannte Gesichter. Das Gewicht der etablierten neokonservativen Regimewechsel-Befürworter und Generäle nimmt ab, während loyale „CEOs and businessmen“ eine zunehmend zentrale Rolle einnehmen. Gleichzeitig scheinen die Falken im zukünftigen Kabinett wie Rubio zum Teil einige ihrer interventionistischen Positionen abzumildern.

Dieser Trend fügt sich in das Playbook Trump’scher Außenpolitik ein, bestehend aus einer Abkehr von Idealen und Werten – seien es Menschenrechte oder Demokratie –, wie sie traditionell als Vorwand republikanischer Interventionspolitik dienten, und einer Hinwendung zu einer Deal-orientierten Mentalität taktischer Tauschgeschäfte.

Die konzeptionelle Grundlage ist eine Politik des „Friedens durch Stärke“ beziehungsweise des „maximum pressure“, wie Robert O’Brien, letzter Nationaler Sicherheitsberater (2019–2021) der ersten Trump-Administration in einem viel-beachteten Foreign Affairs-Artikel ausführt: Maximaler Druck schrecke Kontrahenten ab, beende alte und verhindere neue Kriege, fordere ein stärkeres Engagement von US-Verbündeten ein, lasse diesen aber auch mehr Verantwortung zuteilwerden. Jason Greenblatt, ehemaliger Nahost-Gesandter unter Trump, illustriert die Umsetzung dieser Politik am Beispiel Irans: maximaler Druck über Sanktionen und Abschreckung gegenüber Iran einerseits, auch, um Teheran zu einem Umlenken seiner Politikentscheidungen sowie der seiner Proxies zu bewegen, und andererseits ein stärkeres Einfordern von mehr Engagement durch lokale US-Verbündete wie Saudi-Arabien.

Dass dieser Ansatz nicht nur die Sichtweise ehemaliger Trump-Regierungsmitglieder widerspiegelt, unterstreicht Brian Hook, der frühere Iran-Gesandte der ersten Trump-Administration und derzeit verantwortlich für den Transitionsprozess im US-Außenministerium. Auch er sieht Iran mit seinem Regime und seiner revolutionären Ideologie als die Hauptquelle für Instabilität nicht nur am Persischen Golf, sondern in der gesamten Region. Trump habe zwar kein Interesse an einem Regimewechsel, dies sei letztlich eine Entscheidung des iranischen Volkes. Jedoch werde die kommende Trump-Regierung Iran diplomatisch und wirtschaftlich isolieren, nicht zuletzt um ein Zeichen an andere Feinde Amerikas zu senden.

Anders als seine erste Administration stößt Trumps Iranpolitik nun jedoch auf eine veränderte regionale Gemengelage. Während es den regionalen US-Verbündeten, allen voran Riad und Abu Dhabi, damals noch darum ging, Iran maximal zu isolieren, ist seit einigen Jahren eine aktiv herbeigeführte Annäherung festzustellen. Insbesondere Saudi-Arabien könnte fürchten, dass eine zu antagonistische Iranpolitik die Kriegsgefahr auch am Golf erhöht – mit fatalen Auswirkungen auf die eigene Stabilität. Der künftige Einfluss der Golf-Araber ist eine der großen Unbekannten. Während die Saudis mit Biden fremdelten, gilt Trump als Partner, mit dem sich reden lässt.

In Washington zeichnet sich jedoch ein möglicher Konflikt der Einflussnahmen ab. Auf der einen Seite steht Israel, welches die Hardliner in der Trump-Administration unterstützt und eine maximal konfrontative Iranpolitik befürwortet. Auf der anderen Seite Saudi-Arabien, das ein Amerika bevorzugt, welches die Islamische „Schwester-Republik“ Iran durch pragmatisches, transaktionales Dealmaking einhegt, anstatt auf Eskalation zu setzen.

Das in dieser Logik eher der saudischen Sicht zuneigende isolationistische Lager, in erster Linie verkörpert durch den zukünftigen US-Vizepräsidenten  J.D. Vance, kann keineswegs als Iran-freundlich bezeichnet werden. Ausgehend von einer America First-Haltung lehnt es einen Krieg mit dem Mullah-Regime als einen weiteren forever war jedoch ab. Das amerikanische und das israelische Interesse stehen hier konträr zueinander. Vance argumentiert, dass US-Außenpolitik „smart“ sein müsse, indem sie nicht überall durch Truppenpräsenz agiere, sondern die Entwicklungen in der Region strategisch gestalte – etwa durch diplomatische Initiativen wie die Abraham Accords aus Trumps erster Amtszeit.

Damals schlossen vier arabische Länder Frieden mit Israel, was auch als erster Schritt hin zu einer Normalisierung zwischen Israel und Saudi-Arabien gesehen wurde – allerdings unter weitgehender Marginalisierung der Palästinenser. Das Feiern solcher Megadeals ist exemplarisch für die Trump’sche Herangehensweise. Auch mit dem Iran, den Trump nach eigener Aussage „sehr erfolgreich“ sehen möchte, könnte ein ähnlicher Deal angestrebt werden. Die mögliche Einbindung von Elon Musk in die zukünftige Iranpolitik deutet auf einen kreativen, möglicherweise unkonventionellen Ansatz hin. Die zentrale Frage bleibt jedoch, welche Substanz einen solchen Deal untermauern könnte.

Während das neokonservative Lager der Falken an Einfluss eingebüßt hat, zeigt sich sein Fortbestehen dennoch in Gestalten wie Jared Kushner. Der frühere Berater und Schwiegersohn Trumps, einer der Architekten der Abraham Accords, zog sich zwar 2021 offiziell aus der Politik zurück und hat erklärt, kein Amt in der nächsten Regierung anzustreben. Dennoch könnte er als informeller Berater zurückkehren. Kushner steht sinnbildlich für jene Fraktion, die in klassisch neokonservativer Manier die Gelegenheit gekommen sieht, die Region im israelisch-amerikanischen Sinne radikal umzugestalten. Seine öffentlich geäußerten Vorstellungen für eine Nachkriegsordnung sind ebenso erschreckend wie ambitioniert: So schlug er vor, den Konflikt in Gaza durch die Vertreibung der Palästinenser nach Ägypten und eine Annexion der Westbank zu „lösen“. Zudem sei jetzt der Zeitpunkt gekommen, das iranische Nuklearprogramm militärisch zu zerstören. Eine solche Strategie könnte jedoch genau das Gegenteil von End Forever Wars bewirken und die Region weiter destabilisieren.

Ideologische Konsistenz dürfte in der zweiten Trump-Regierung kaum zu erwarten sein. Israel gegen Saudi-Arabien, America First gegen Neokonservative – und dazwischen zahlreiche machtbewusste Akteure mit starken Egos. Über all dem steht ein als erratisch bekannter Präsident, der zwar als kriegsavers gilt, aber zugleich einen Hang zu transaktionalen Lösungen und großen Inszenierungen hat.

Der Personality-Faktor in der Politik kommt den Familienregimen im Nahen Osten durchaus entgegen, da er diese dort abholt, wo sie selbst stehen. Ein Beispiel dafür ist die Hoffnung im Libanon, dass die familiären Verbindungen von Trumps Tochter Tiffany über ihren Ehemann Michael Boulos, der libanesische Wurzeln hat, auch Donald Trump für die von Israel attackierte Zedernrepublik einnehmen könnten. Entsteht hier möglicherweise eine „Schlacht der Schwiegersöhne“ – Kushner gegen Boulos? Nahost-Politik als Familienaffäre.

Die derzeitige Transitionsperiode scheint jedoch vor allem Israel zu begünstigen. Trump hatte einst Netanjahu zugerufen: „Finish the job!“ Dieser Satz scheint der nun per Haftbefehl gesuchte mutmaßliche Kriegsverbrecher durchaus als Gelegenheitsfenster wahrzunehmen, vollendete Tatsachen zu schaffen. In Nord-Gaza setzt die israelische Armee offen auf ethnische Säuberung, während im Libanon zunehmend eine Politik der verbrannten Erde verfolgt wird.

Ein mögliches Ziel dieser Eskalation könnte sein, Trump bei seiner Amtseinführung die Bühne zu bereiten, sich als Friedensbringer zu inszenieren – um so unter dem Deckmantel diplomatischer Lösungen israelische Interessen weiter mit US-Unterstützung abzusichern. Genauso könnte dem israelischen Premier jedoch daran gelegen sein, Trump entgegen dessen isolationistischer Tendenzen mit dem Fait accompli einer außer Kontrolle geratenen Eskalation mit Iran zu konfrontieren. Für einen umfassenden Krieg, der das iranische Nuklearprogramm entscheidend zurückwirft, wäre Israel auf die militärische Unterstützung der USA angewiesen.

Es sind diese Widersprüche, die die künftige Nahost-Politik Trumps so schwer vorhersagbar machen. Anders als in seiner ersten Amtszeit fehlen nun die sogenannten adults in the room, die damals die problematischsten Instinkte des Präsidenten in Bahnen lenkten, die den langfristigen Interessen der USA als Welthegemonialmacht entsprachen. Ein Stück weit kultiviert das Trump-Lager diese Unberechenbarkeit des neuen, alten US-Präsidenten sogar bewusst – als strategischen Trumpf gegenüber seinen Gegnern.

Gleichzeitig muss festgehalten werden, dass auch die in der Eigenwahrnehmung wertebasierte und berechnende Nahost-Politik Joe Bidens weder die regionale Eskalation noch humanitäre Katastrophen verhindern konnte. Die nahezu totale ideologische Selbstaufgabe Amerikas zugunsten israelischer Interessen hat die Weltmacht auf internationaler Ebene isoliert.

Von Trump ist keine großsprecherische Beschwörung einer „regelbasierten Weltordnung“ zu erwarten – ein Konzept, das in der Region ohnehin als Heuchelei gebrandmarkt ist. Weniger Ideologie und mehr pragmatischer Transaktionalismus könnten in der Theorie eine tragfähige Alternative sein. Die Gefahr besteht jedoch darin, dass dieser Transaktionalismus zu einer Politik mit viel Bling-Bling, aber wenig Substanz verkommt. Harte Interessenskonflikte in der Region lassen sich nicht einfach übertünchen.

Zudem bergen Trumps erratische Persönlichkeit, die absehbare Schlacht der Egos innerhalb seiner Regierung und seine Anfälligkeit für externe Einflussnahmen das Risiko, dass es an einer kohärenten Nahost-Strategie mangeln könnte. Für die Akteure der Region bleibt nur eines: Fest anschnallen, es wird holprig. IPG 26

 

 

 

 

 

Rück- und Ausblick. Merkel gegen Unionsforderung nach Zurückweisungen an Grenze

 

2015 hatte die damalige Kanzlerin entschieden, die deutschen Grenzen offen zu halten. Daran hält sie auch heute in der Migrationsdebatte fest – und erteilt Forderungen aus ihrer Partei eine Absage. Auch in einer anderen Frage mischt sie sich ein.

Im aufziehenden Bundestagswahlkampf positioniert sich Ex-Kanzlerin Angela Merkel in der Migrationspolitik gegen Unionsforderungen nach Zurückweisungen von Migranten an den deutschen Grenzen. „Ich finde das nach wie vor nicht richtig“, sagte die 70-Jährige dem „Spiegel“. „Es ist doch eine Illusion anzunehmen, alles wird gut, wenn wir Flüchtlinge an der deutschen Grenze zurückweisen.“ Falls es der EU nicht gelinge, das Problem der illegalen Migration zu lösen, fürchte sie „ein Stück Rückabwicklung der europäischen Integration, mit Folgen, die man nicht abschätzen kann“.

CDU-Chef und Kanzlerkandidat Friedrich Merz und die CSU fordern immer wieder einen härteren Kurs in der Asylpolitik, darunter auch Zurückweisungen an der deutschen Grenze. Merkel sagte nun, man habe „Grenzkontrollen eingeführt und vieles Richtige mehr, das zeigt Wirkung“. Sie verteidigte ihre Entscheidung von 2015, angesichts der Flüchtlingsbewegungen von Ungarn über Österreich nach Deutschland die offenen deutschen Grenzen nicht geschlossen zu haben. „Ich hatte damals das Gefühl, ich hätte sonst die gesamte Glaubwürdigkeit der Sonntagsreden über unsere tollen Werte in Europa und die Menschenwürde preisgegeben.“ Ihre Entscheidung hatte zu einem tiefen Zerwürfnis mit der CSU und deren damaligem Vorsitzenden Horst Seehofer geführt.

Merkel verteidigte zudem ihre Selfies mit Migranten, die ihr den Vorwurf eingebracht hatten, Menschen überhaupt erst zur Flucht zu motivieren. „Ein freundliches Gesicht bringt niemanden dazu, seine Heimat zu verlassen“, sagte sie jetzt. Zugleich verlangte sie Offenheit und Veränderungsbereitschaft der aufnehmenden Gesellschaft, ohne die es keine Integration geben könne. „Voraussetzung ist ein Mindestmaß an Wissen über andere Kulturen, ich muss mich schon dafür interessieren.“

Merkel gegen Söder-Absage an Schwarz-Grün

Auch in einem anderen Punkt stellte sich Merkel gegen Äußerungen der CSU und aus Teilen ihrer eigenen Partei. Angesichts komplizierter Koalitionsverhandlungen in Thüringen, Sachsen und Brandenburg warnte sie davor, wie von CSU-Chef Markus Söder gefordert ein Bündnis mit den Grünen auszuschließen. „Ich finde es nicht in Ordnung, dass Markus Söder und andere in CSU und CDU derart abfällig über die Grünen sprechen“, sagte sie. Vor dem Hintergrund der AfD und den Entwicklungen um das Bündnis Sahra Wagenknecht nannte Merkel es umso wichtiger, „dass diejenigen, die koalieren können, sich ihre Bündnisfähigkeit nicht noch selbst zerschlagen“.

Klar hätten die Grünen sehr andere Ansichten als die Union, „und ich bin ja mit Bedacht nicht dort Mitglied, sondern in der CDU“, sagte Merkel. „Aber eine Bündnisfähigkeit muss erhalten bleiben, zumal schwarz-grüne Koalitionen in Nordrhein-Westfalen, Schleswig-Holstein und Baden-Württemberg funktionieren.“ Dies seien ja nicht die erfolglosesten Bundesländer.

Söder hatte seine Absage an ein schwarz-grünes Bündnis im Bund nach dem Grünen-Parteitag am vergangenen Wochenende untermauert. Nötig sei ein echter Richtungswechsel. Merz hatte auf dem CSU-Parteitag im Oktober ein Bündnis mit den Grünen aktuell ebenfalls unmöglich genannt, anders als Söder Schwarz-Grün aber nicht komplett ausgeschlossen.

Frage zur Kanzlertauglichkeit von Merz bleibt offen

Die Frage, ob Unionsfraktionschef Merz ein geeigneter Kanzler sei, beantwortetet Merkel im „Spiegel“ nicht. „Er muss jetzt einen Wahlkampf führen, in dem er das beweisen kann.“ Wer es zum Kandidaten schaffe, müsse aber „über irgendwelche Eigenschaften verfügen, die ihn dazu befähigen“. 2002 hatte Merkel Merz vom Vorsitz der Unionsfraktion im Bundestag verdrängt. Das Verhältnis beider gilt seitdem als belastet. Aus Merkels Memoiren mit dem Titel „Freiheit“, die am Dienstag erscheinen, zitiert der „Spiegel“ den Satz Merkels über Merz: „Es gab ein Problem, und zwar von Beginn an: Wir wollten beide Chef werden.“

Merkel verteidigt Entscheidung gegen Stopp von Nord Stream 2

Die Altkanzlerin verteidigte ihre Entscheidung, trotz der Annexion der ukrainischen Krim-Halbinsel durch Russland 2014 das Gaspipeline-Projekt Nord Stream 2 nicht gestoppt zu haben. „Ich habe es als eine meiner Aufgaben gesehen, für die deutsche Wirtschaft billiges Gas zu bekommen“, sagte sie dem Magazin. „Wir sehen jetzt, welche Folgen teure Energiepreise für unser Land haben.“ Für einen Abbruch des Gashandels mit Russland hätte sie zudem keine politischen Mehrheiten gehabt „und schon gar keine Zustimmung in der Wirtschaft“. Sie habe das Projekt zudem für politisch sinnvoll gehalten. Sie habe mit Putin Verbindung halten wollen „durch den Versuch, ihn am Wohlstand teilhaben zu lassen“.

Merkel betonte aber auch, sie habe sich nie Illusionen über den Ex-KGB-Offizier Putin gemacht. „Er hatte immer diktatorische Züge, und seine Selbstgerechtigkeit hat mich aufgeregt.“ Sie glaube aber nicht, dass sich Putin schon bei seinem Amtsantritt im Jahr 2000 vorgenommen habe, eines Tages die Ukraine anzugreifen. „Das ist vielmehr eine Entwicklung, bei der auch wir im Westen uns die Frage stellen müssen, haben wir immer alles richtig gemacht“, fügte die Ex-Kanzlerin hinzu. So wäre eine größere Einheit des Westens sicher besser gewesen. „Wir waren nicht so stark, wie wir hätten sein können.“ (dpa/mig 26)

 

 

 

 

„Viele Länder im Globalen Süden sind bitter enttäuscht“

 

Verhärtete Fronten: Yvonne Blos aus Baku über die Klimakonferenz in einem Petrostaat und den Streit über die Klimafinanzierung. Die Fragen stellte Alexander Isele.

Die UN-Klimakonferenz in Baku wurde gleich zu Beginn von der Ankündigung erschüttert, der designierte US-Präsident Trump plane den erneuten Ausstieg aus dem Pariser Klimaabkommen. Was bedeutet das für die globalen Anstrengungen gegen den Klimawandel?

Das hat auf inhaltlicher Ebene tatsächlich weniger Auswirkungen, als man annehmen würde. Denn zum einen sind die USA unter Trump bereits einmal aus dem Pariser Abkommen ausgestiegen, ohne dass andere Länder gefolgt wären. Und zum anderen haben sich die USA bei der wichtigsten Frage dieser Konferenz – der Klimafinanzierung – auch bereits unter Joe Biden nicht für mehr Ambitionen eingesetzt oder ihren fairen Anteil geleistet. Trotzdem konnten wir gleich zu Beginn der Konferenz beobachten, dass der argentinische Präsident Javier Milei seine Delegation von der COP29 abgezogen hat. Es bleibt also zu befürchten, dass es dieses Mal doch zu einem Domino-Effekt kommen könnte und weitere, vor allem rechtspopulistisch regierte Länder Trump folgen könnten. Das wäre in der Tat fatal, da die UN-Klimarahmenkonvention als wichtiger multilateraler Mechanismus bisher erstaunlich krisenfest ist.

Mehrere wichtige Staatsoberhäupter wie Bundeskanzler Olaf Scholz, Frankreichs Präsident Emmanuel Macron und Brasiliens Präsident Lula da Silva blieben der Klimakonferenz fern. Wie sehr hat das die COP29 geschwächt?

Das hat die Konferenz in der Tat geschwächt. Viele Staats- und Regierungschefs sahen diese UN-Klimakonferenz nicht als besonders wichtig an und haben ihren Blick bereits nach Brasilien gerichtet, wo nächstes Jahr die COP30 stattfinden wird. Das ist fatal, denn sie zeigen damit, dass Klimaschutz und vor allem die Klimafinanzierung keine große Priorität für sie haben. Für viele Länder im Globalen Süden ist eine ausreichende Finanzierung jedoch überlebenswichtig, um überhaupt Klimaschutz betreiben zu können. Zudem schwächte das Fortbleiben vieler Staatschefs auch das politische Momentum in Baku, da durch sie oft politische Ankündigungen gemacht werden, die zu einem Durchbruch verhelfen. Dies war zum Beispiel auf der COP26 in Glasgow der Fall. Und es schwächt auch die COP selbst als eines der wenigen noch funktionierenden multilateralen Foren. Solche Foren müssen jedoch gerade in diesen Zeiten zunehmender globaler Polarisierung gestärkt werden.

Die Konferenz fand in Aserbaidschan statt, einem Land, das stark von fossilen Brennstoffen abhängig ist. Wie beeinflusst dies die Diskussionen über den Ausstieg aus fossilen Energien, der auf der letzten Klimakonferenz beschlossen wurde?

Die Frage, wie die Emissionen weiter gesenkt werden können, um zurück auf einen 1,5-Grad-Pfad zu kommen, kam bei dieser Klimakonferenz definitiv zu kurz. Es war von Anfang an klar, dass die aserbaidschanische Präsidentschaft in diesem Punkt keine Ambitionen hegt. Eigentlich war vorgesehen, dass sich die sogenannten COP-Troika-Länder – bestehend aus der aktuellen, der vorherigen und der zukünftigen COP-Präsidentschaft, also Aserbaidschan, den Vereinigten Arabischen Emiraten und Brasilien – zusammenschließen, um insbesondere auch in diesem Punkt voranzukommen. Jedoch hat Aserbaidschan im Gegensatz zu Brasilien kein ambitionierteres nationales Klimaschutzziel vorgelegt. In seiner Eröffnungsrede hat Aserbaidschans Präsident Ilham Aliyev zudem für Aufsehen gesorgt, indem er die fossilen Energien als „Geschenk Gottes“ bezeichnete. Ohne Führung durch die Präsidentschaft wird es schwierig, andere Länder zur Nachbesserung ihrer Klimaziele zu bewegen. Bis Februar 2025 sind alle Länder gefordert, ihre nationalen Minderungsziele nachzuschärfen. Mit Ausnahme von ganz wenigen Ländern wie Großbritannien, das in Baku angekündigt hat, seine Emissionen bis 2035 um 81 Prozent senken zu wollen, gibt es kaum Länder, deren Bemühungen hier ausreichend sind.

Die Festlegung eines klaren Pfades zur Abkehr von fossilen Energien ist leider auch nicht Bestandteil der offiziellen Verhandlungsstränge auf den Klimakonferenzen. Im letzten Jahr wurde auf der Klimakonferenz in Dubai als Erfolg gefeiert, dass die Abkehr vor fossilen Energien im allgemeinen Abschlussdokument explizit gefordert wurde – zusammen mit der Verdreifachung der erneuerbaren Energien sowie einer Verdopplung der Energieeffizienz bis 2030. Ein solches Dokument war jedoch von der aserbaidschanischen COP-Präsidentschaft gar nicht vorgesehen.

Die aserbaidschanische Präsidentschaft war jedoch auch aufgrund der schwierigen Menschenrechtslage problematisch, die keinen offenen Protest vor Ort ermöglichte. Hinzu kamen mangelhafte Vorbereitung und die fehlende diplomatische Erfahrung mit solchen Verhandlungen. Es fehlte somit sowohl am Willen als auch an den Fähigkeiten für eine stärkere Verankerung der Abkehr von fossilen Energien. Dadurch hat diese Klimakonferenz in diesem wichtigen Bereich Rückschritte gemacht und konnte nicht auf den Beschlüssen der letzten COP in Dubai aufbauen.

Ein Hauptfokus der Konferenz in Baku lag auf Finanzierungsfragen. Werden die beschlossenen Klimafinanzierungsziele den Ansprüchen gerecht?

Zuerst einmal ist es wichtig festzuhalten, dass die Industrieländer eine historische Verantwortung gegenüber den Entwicklungsländern haben, die auch klar im Pariser Klimaabkommen festgehalten ist. Denn die Entwicklungsländer haben am wenigsten zur Klimakrise beigetragen, leiden jedoch am meisten unter ihr. Schon in der Vergangenheit sind die Industrieländer dieser Verpflichtung nur unzureichend nachgekommen, denn erst verspätet wurden die bereits für 2020 versprochenen 100 Milliarden jährlich für Klimafinanzierung bereitgestellt.

Außerdem ist völlig klar, dass diese Summe unzureichend ist. Einerseits wird der Anpassungsdruck in Folge der voranschreitenden Klimakrise immer größer und somit kostspieliger. Andererseits nehmen die Schäden und Verluste durch Klimakatastrophen immens zu. Und auch wenn der Umstieg auf erneuerbare Energien und die Steigerung von Energieeffizienz sich mittlerweile vielerorts wirtschaftlich lohnen, so erfordern diese Technologien hohe Anfangsinvestitionen. Schätzungen gehen davon aus, dass Entwicklungsländer für diese drei Bereiche mindestens eine Billion US-Dollar jährlich benötigen, während Klimaaktivistinnen und -aktivisten aufgrund der historischen Schuld der Industrieländer sogar fünf Billionen US-Dollar jährlich fordern. 

Wenn also die Industrieländer eine rasche Minderung der Emissionen und eine Abkehr von fossilen Energien auch in den Entwicklungsländern fordern, so muss klar sein, dass dies direkt mit der Frage zusammenhängt, wie stark diese dabei unterstützt werden, um dieses Ziel zu erreichen. Und es leuchtet auch ein, dass der Globale Süden zu Recht wenig kooperativ ist,

Offiziell forderte die wichtige Verhandlungsgruppe der Entwicklungsländer (G77 und China) 1,3 Billionen US-Dollar jährlich bis 2035. Die Industrieländer haben jedoch, vermutlich aus Verhandlungstaktik, erst am letzten Verhandlungstag mit 250 Milliarden  US-Dollar jährlich eine eigene Zahl für das globale Klimafinanzierungsziel auf den Tisch gelegt. Wichtig ist für viele Länder im Globalen Süden jedoch auch die Qualität der Klimafinanzierung. Sie sollte aus öffentlichen Mitteln und nicht aus privaten Geldern und Krediten bestehen. Denn dies treibt viele Länder in eine noch größere Schuldenkrise.

Daneben hat eine weitere Debatte um die Klimafinanzierung die Gemüter in Baku erhitzt. Denn laut der Definition der UN-Klimarahmenkonvention von 1992 gelten viele Länder mit mittlerweile hohen Pro-Kopf-Emissionen und Pro-Kopf-Einkommen immer noch als Entwicklungsländer, etwa reiche Petrostaaten oder China. Daher forderte vor allem die EU eine Verbreiterung der Geberbasis, die auch solche Länder verpflichtet, zur Klimafinanzierung beizutragen.

Die Fronten waren deshalb verhärtet und die COP29 drohte kurz vor Ende zu scheitern. Erst als die Verhandlungen am Samstag in die Verlängerung gingen, haben die Industrieländer ihr Angebot auf 300 Milliarden jährlich erhöht. Dies entspricht zwar einer Verdreifachung der bisherigen Summe, es deckt aber nur ein Viertel der geschätzten Kosten – und die Summe soll auch aus privaten Geldern bestehen können. Zwar wird das 1,3-Billionen-Ziel auch als Zielgröße erwähnt, jedoch ohne konkrete Verpflichtung. Zudem findet sich diesbezüglich auch der Verweis, dass diese höhere Summe sowohl durch Industrieländer als auch weitere Länder mobilisiert werden soll.

Für die Entwicklungsländer hieß es daher in letzter Minute: Take it or leave it. Die Industrieländer betonten dabei, dass die Chance auf einen Deal im nächsten Jahr noch schlechter sein werde. Zivilgesellschaftliche Akteure aus dem Climate Action Network forderten indes in einem offenen Brief die Länder aus dem Globalen Süden auf, die Verhandlungen ohne Abschluss zu verlassen.

Nach mehr als 30 Stunden Verlängerung kam es in den frühen Morgenstunden am Sonntag doch noch zu einem Abschluss der Verhandlungen. Viele Länder im Globalen Süden sind jedoch über das Ergebnis bitter enttäuscht. So hat der Gipfel zwar den Multilateralismus in letzter Minute gerettet. Das geschah jedoch auf Kosten der Entwicklungsländer, die nun bei der Bekämpfung der Klimakrise weiterhin ohne ausreichende Unterstützung zurechtkommen müssen. So geht weiteres Vertrauen zwischen Globalem Norden und Süden verloren, welches gerade in diesen geopolitisch schwierigen Zeiten dringend benötigt wird.

Welche Aspekte des Klimaschutzes kamen bei dieser COP zu kurz?

Zu Recht wurde der Klimagipfel in Baku von der Frage dominiert, wie viel Geld zukünftig für die Klimafinanzierung zur Verfügung steht. Dies ist eine wichtige Grundvoraussetzung für globale Klimagerechtigkeit. Mindestens genauso wichtig ist jedoch die Frage, wie die Bekämpfung der Klimakrise durch entsprechende qualitative Elemente sozial gerecht erfolgen kann. Auch hierzu gab es offizielle Verhandlungen, die jedoch von den Diskussionen um das globale Klimafinanzierungsziel überschattet wurden.

Bei den Verhandlungen zum Thema Gender gab es zu Beginn Rückschritte bei den Verhandlungen. Denn einige, vor allem arabische Staaten, lehnten die Formulierung ab, dass auch LGBTIQ-Rechte Erwähnung finden sollten. Hier kam es letztlich jedoch zu einem erfolgreichen Abschluss der Verhandlungen, der dezidiert menschenrechtsbasiert ist – ein wirklich allzu kleiner Hoffnungsschimmer auf dieser Klimakonferenz.

Mit dem Just Transition Work Program hat im letzten Jahr in Dubai zum ersten Mal die sozial gerechte Gestaltung der Transformation offiziell Eingang in die klimapolitischen Verhandlungen gefunden. Da Just Transition immer im lokalen Kontext betrachtet werden muss, war es zugegebenermaßen schwierig, hier zu einer Einigung zu kommen. Genauso gab es unterschiedliche Vorstellungen, wie unterschiedliche Akteursgruppen in den Prozess eingebunden werden sollen. Nichtsdestotrotz gab es gute Vorschläge, die Anknüpfungspunkte für die weitere Implementierung boten. Jedoch wurde das Just Transition Work Program von einigen Ländern als Faustpfand eingesetzt, um eigene Forderungen bei anderen Themen durchzusetzen. Insbesondere Saudi-Arabien hat hierbei eine extrem negative Rolle gespielt. Diese Verhandlungen wurden daher auf das nächste Jahr vertagt.

Die Zivilgesellschaft und die Gewerkschaften, die sich auf der Klimakonferenz unermüdlich für Just Transition und Klimagerechtigkeit eingesetzt haben, werden weiterhin dafür sorgen, dass diese Themen nicht untergehen. Das macht trotz der extrem enttäuschenden Ergebnisse aus Baku Hoffnung. Es bleibt zu hoffen, dass auch die COP30-Präsidentschaft in Brasilien das so sieht und diese Forderungen in den Mittelpunkt der nächsten Verhandlungen rückt. IPG 26

 

 

 

 

 

Bundesverwaltungsgericht. Geflüchtete dürfen nach Italien abgeschoben werden

 

Was erwartet Geflüchtete, wenn sie nach Italien abgeschoben werden? In dieser Frage waren die deutschen Gerichte uneins. Jetzt hat das Bundesverwaltungsgericht eine Entscheidung getroffen. In Italien drohe keine extreme Notlage.

Das Bundesverwaltungsgericht stuft eine Abschiebung von alleinstehenden, arbeitsfähigen Asylsuchenden, die bereits in Italien als Flüchtlinge anerkannt worden sind, als zulässig ein. Den Schutzsuchenden drohten bei einer Rückkehr nach Italien keine erniedrigenden oder unmenschlichen Lebensbedingungen, entschied das Gericht in Leipzig. Das gelte für alleinstehende, erwerbsfähige und nicht-vulnerable Personen – und sowohl für Männer als auch Frauen.

Die Oberverwaltungsgerichte der Länder hatten die abschiebungsrelevante Lage in Italien zuvor unterschiedlich beurteilt. Mit seinem Urteil hat das Bundesverwaltungsgericht die Einschätzung höchstrichterlich geklärt. (Az.: BVerwG 1 C 23.23 und 1 C 24.23)

Geklagt hatten eine Somalierin und eine Syrerin, die in Italien als Flüchtlinge anerkannt worden waren. Sie reisten nach Deutschland weiter und stellten Asylanträge. Diese wurden abgelehnt und den Frauen wurde die Abschiebung nach Italien angedroht.

Notunterkunft und medizinische Grundversorgung gesichert

Nach Überzeugung des Bundesverwaltungsgerichts ist bei Geflüchteten wie den beiden Klägerinnen „nicht mit beachtlicher Wahrscheinlichkeit“ zu erwarten, dass sie in Italien in eine extreme materielle Notlage geraten würden. Sie könnten zumindest in Notunterkünften unterkommen, die Kommunen, Kirchen oder Hilfsorganisationen in dem Mittelmeerland bereitstellen. Die medizinische Grundversorgung sei ebenfalls gewährleistet.

In Europa ist durch die Dublin-Verordnung geregelt, dass ein EU-Land für einen Asylbewerber zuständig ist, wenn er dort einen Antrag auf Schutz gestellt hat. Reisen die Flüchtlinge anschließend in ein anderes Land weiter, muss das erste Land die Schutzsuchenden nach den Dublin-Regeln zurücknehmen. Italien akzeptiert allerdings seit einiger Zeit diese Rücküberstellungen in den meisten Fällen nicht mehr. (dpa/mig 25)

 

 

 

 

 

Welttag 25. November: Frauen vor Gewalt schützen

 

Zum internationalen Tag gegen Gewalt an Frauen hat die Diakonie eine bessere Hilfe vom Gesetzgeber für Frauen gefordert. In Ländern, in denen es keine Unterstützung vom Staat dafür gibt, sind es oft Ordensfrauen, die helfen.

An diesem Montag wird der internationale Tag gegen Gewalt an Frauen begangen. Zu diesem Anlass appelliert die Diakonie, das Gewalthilfegesetz nicht zu blockieren. Die gescheiterte Ampel-Koalition wollte damit den Bund zur verlässlichen Mitfinanzierung der Frauenhäuser verpflichten. Zudem soll auch ein Rechtsanspruch auf Beratung und Schutz eingeführt werden.

Gleichzeitig müssten die Ursachen der Gewalt bekämpft werden. Maria Loheide vom Diakonie-Vorstand, sagte dazu: „Wenn wir häusliche Gewalt wirklich verhindern wollen, müssen wir sehr viel mehr präventiv und mit den Tätern arbeiten, um die von Gewalt geprägten Beziehungs- und Verhaltensmuster zu verändern.“

Ordensfrauen als Beschützerinnen

Doch gibt es auch in vielen Ländern Gewalt gegenüber Frauen, in denen sie keine Hilfe vom Staat bekommen. Oft springen dann Ordensfrauen ein und bieten Schutzmöglichkeiten. Missio-Präsident Dirk Bingener würdigte sie als „das Rückgrat des zivilgesellschaftlichen Schutzes von Frauen“.

„Das Rückgrat des zivilgesellschaftlichen Schutzes von Frauen“

Er wies zugleich darauf hin, dass die Ordensfrauen selbst oft Opfer von Missbrauch und Ausbeutung würden. Das Hilfswerk Missio hat eigenen Angaben zufolge in den vergangen fünf Jahren Programme und Projekte für Ordensfrauen mit über 24 Millionen Euro unterstützt.

Das Problem der Gewalt gegen Frauen ist weltweit, auch in Deutschland, ein wachsendes. Der Lagebericht des Bundeskriminalamts berichtet für das Jahr 2023 von einem Zuwachs von 5,6 Prozent für die Zahl der weiblichen Opfer häuslicher Gewalt im Vergleich mit dem Vorjahr auf mehr als 180.000. Auch die Zahl der versuchten und vollendeten Tötungsversuche stieg gegenüber dem Vorjahr.

(domradio/bka 25)

 

 

 

 

 

 

Gescheitert. Italien zieht Personal aus Flüchtlingslagern in Albanien ab

 

Eigentlich will Italiens Regierung in Albanien Tausende Asylanträge abwickeln. Die Justiz machte ihr zweimal einen Strich durch die Rechnung. Deshalb waren in dem Lager bisher nur italienische Beamte. Nun kehren auch sie zurück.

Italien zieht einen Großteil des Personals aus seinen umstrittenen Aufnahmezentren für Migranten in Albanien ab. Wie mehrere italienische Medien übereinstimmend berichteten, verlassen anderthalb Monate nach der Inbetriebnahme der Flüchtlingslager die meisten Beschäftigten des für den Betrieb und die Verwaltung der Zentren zuständigen Unternehmens Medihospes noch an diesem Wochenende Albanien.

Nur sieben Beschäftigte des Unternehmens verbleiben demnach in den Lagern auf albanischem Boden. Darüber hinaus bleiben einige albanische Beschäftigte, vor allem medizinisches Personal, sowie eine unbekannte Anzahl italienischer Polizeibeamter dort. Aus dem Innenministerium in Rom verlautete der Nachrichtenagentur Ansa zufolge, das Personal sei zwar reduziert worden, die Lager blieben aber weiter geöffnet und betriebsbereit.

Melonis Plan scheiterte zweimal

Die rechte Regierung von Ministerpräsidentin Giorgia Meloni war zuletzt zweimal mit ihrem Plan gescheitert, über die Asylanträge von Mittelmeer-Migranten außerhalb der EU entscheiden zu lassen. Gerichte hoben zweimal hintereinander die Inhaftierung von Migranten in den Lagern auf, nachdem sie zuvor von den Behörden auf dem Weg nach Europa im Mittelmeer gestoppt worden waren. Sie wurden danach nach Italien überstellt.

Italien ist der erste Staat der Europäischen Union, der außerhalb der EU-Grenzen Lager errichtet hat, um dort Asylanträge in einem beschleunigten Verfahren und nach italienischem Recht abzuwickeln. Das „Albanien-Modell“ der Rechtsregierung von Regierungschefin Meloni ist umstritten. Andere europäische Regierungen verfolgen es allerdings genau. So auch in Deutschland. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) hatte das italienische Modell als „interessant“ bezeichnet. (dpa/mig 25)

 

 

 

 

 

Verschleppte Bronchitis – die unterschätzte Gefahr

 

Bei Erkältungssymptomen frühzeitig Isothiocyanate einsetzen 

Eschborn – Aktuelle Daten des Robert-Koch-Instituts belegen, dass die Zahl der Betroffenen mit Atemwegsinfektionen derzeit wieder stark ansteigt[1]. Was die wenigsten Erkrankten wissen: Aus einer nicht auskurierten Erkältung können sich ernsthafte Folgeerkrankungen wie eine Pneumonie oder sogar eine Myokarditis entwickeln. Um Komplikationen bereits frühzeitig entgegenzuwirken, sollten bei den ersten Anzeichen einer akuten Atemwegsinfektion pflanzliche Arzneimittel wie die einzigartige Kombination aus Kapuzinerkresse und Meerrettich (ANGOCIN® Anti-Infekt N) eingenommen werden. Die darin enthaltenen Isothiocyanate (ITC, Senföle) wirken antiinflammatorisch[2-7], antiviral[8-10]sowie antibakteriell[11-15]. „Eine klinische Studie aus Deutschland[16] belegt, dass sich unter Einnahme der Senfölkombination bereits nach drei Behandlungstagen typische Bronchitissymptome im Vergleich zu Placebo statistisch signifikant verbesserten“, sagt Dr. med. Christoph-Daniel Hohmann, Arzt für Integrative Medizin, Traunstein[16]. Aktuelle Daten zeigen zudem, dass unter Einnahme der Kombination aus Kapuzinerkresse und Meerrettich das Risiko für eine wiederkehrende Bronchitis sowie das Ausbilden einer chronischen Bronchitis im Vergleich zu anderen Standardtherapien signifikant reduziert werden[17].

Die akute Bronchitis zählt zu den häufigsten Krankheiten überhaupt. Von 100.000 Einwohnern erkranken wöchentlich etwa 80 Patienten, in den Wintermonaten doppelt so viele. Die Erkrankung geht meistens mit einer Entzündung der oberen Atemwege (Nasen- und Rachenraum) einher. Infolgedessen kann der Körper stark geschwächt sein, so dass die akute Bronchitis nicht richtig abheilt. Dann kommt häufig noch eine bakterielle Superinfektion hinzu. Bei einem solchen protrahierten Verlauf der akuten Bronchitis können sich Bakterien in unserem Organismus weiter ausbreiten und eine Pneumonie verursachen oder sogar das Herz befallen. 

Mit 3fach-Wirkung gegen Atemwegsinfektionen – Isothiocyanate wirken antiinflammatorisch, antiviral und antibakteriell

„Obwohl die akute Bronchitis in etwa 90 % der Fälle durch Viren verursacht wird, werden bei dieser Erkrankung noch immer zu häufig Antibiotika verwendet“, erklärt Hohmann. Erst wenn sich eine bakterielle Superinfektion dazugesellt, wird die Einnahme dieser chemisch-synthetischen Medikamente erforderlich. „Würden bei Erkältungskrankheiten von Beginn an wirksame pflanzliche Arzneimittel zum Beispiel mit Isothiocyanaten eingesetzt, wäre ein Antibiotikum nur selten nötig“, so Hohmann weiter. 

Die Kombination aus Isothiocyanaten von Kapuzinerkresse und Meerrettich lindert aufgrund antiinflammatorischer Effekte[2-7] die Beschwerden einer akuten Bronchitis. Zahlreiche wissenschaftliche Untersuchungen belegen zudem, dass das pflanzliche Arzneimittel nicht nur gegen Viren[8-10], sondern auch gegen Bakterien[11-15] wirkt. Durch diesen Dreifach-Effekt können Atemwegsinfektionen wie akute Bronchitiden und Sinusitiden mit der pflanzlichen Wirkstoffkombination umfassend behandelt werden.

Gesund durch den Winter  

Bis zu fünf Erkältungen im Jahr gelten bei Erwachsenen als normal, Kinder erkranken bis zu achtmal. Gerade häufige akute Atemwegsinfektionen können eine enorme Belastung darstellen: Sie schwächen den Körper, verlängern Krankheitsphasen und beeinträchtigen den Alltag – beruflich wie privat. Betroffene fühlen sich dadurch oft langfristig eingeschränkt. Eine klinische Studie aus Deutschland belegt, dass das Phytopharmakon (ANGOCIN® Anti-Infekt N) auch bei häufig rezidivierenden Infektionen der Atemwege empfehlenswert ist.  Patienten, die während der Erkältungssaison in einem Untersuchungszeitraum über zwölf Wochen das pflanzliche Arzneimittel einnahmen, erkälteten sich um fast 50 Prozent weniger häufig als solche Patienten, die Placebo erhielten[18]. Eine weitere klinische Studie bestätigt, dass die ITC-Kombination im Vergleich zu Placebo die Erkrankungsdauer einer Rhinosinusitis um bis zu zwei Tage schneller reduziert[19]. „Mit der Einnahme senfölhaltiger Arzneimittel bereits bei den ersten Anzeichen einer akuten Atemwegsinfektion kann man viel dazu beitragen, gesünder durch die kalte Jahreszeit zu kommen“, resümiert Hohmann. GA 25

 

 

 

 

Gespaltene Reaktionen auf COP29-Abkommen

 

UN-Generalsekretär Antonio Guterres sieht die Ergebnisse der Weltklimakonferenz in Baku als Teilerfolg. Er habe auf ein ehrgeizigeres Ergebnis gehofft, erklärte Guterres am Sonntag in der aserbaidschanischen Hauptstadt. „Aber dieses Abkommen liefert eine Basis, auf der man aufbauen kann“.

Nun komme es darauf an, dass die Staaten im kommenden Jahr weitere Klimaaktionspläne in Übereinstimmung mit dem 1,5-Grad-Ziel vorlegten. „Das Ende des Zeitalters der fossilen Brennstoffe ist wirtschaftlich unausweichlich", so Guterres. Die G20-Länder als größte Verursacher müssten dabei führen.

Schwierige geopolitische Lage

Die Verhandlungen der mehr als 190 Teilnehmerstaaten in Baku hätten in einer Situation globaler Unsicherheit und Spaltung stattgefunden. Dennoch hätten die Teilnehmer bewiesen, dass multilaterale Zusammenarbeit auch schwierige Themen bewältigen könne.

Auch die Präsidentin der EU-Kommission, Ursula Von der Leyen, hatte sich positiv über das erreichte Abkommen geäußert. „Ich begrüße das Abkommen der COP29“, so die Deutsche. Es markiere „eine neue Ära für die Klimakooperation und -finanzierung“ und werde „Investitionen in einen sauberen Übergang, die Reduzierung von Emissionen und die Stärkung der Widerstandsfähigkeit gegenüber dem Klimawandel fördern“, meint Von der Leyen. Und weiter: „Die EU wird weiterhin eine führende Rolle spielen und ihre Unterstützung auf die Schwächsten konzentrieren“.

Afrikanische Unterhändler hatten hingegen ihrer Enttäuschung über das Abkommen ausgedrückt, das „zu wenig und zu spät“ für den afrikanischen Kontinent sei. „Wir sind sehr enttäuscht über den Mangel an Fortschritten bei kritischen Themen für Afrika“, sagte Ali Mohamed, der kenianische Präsident der Gruppe, auf der Cop29-Konferenz in Aserbaidschan. „Afrika hat die Alarmglocken geläutet und wird dies auch weiterhin tun, um auf unzureichende Klimafinanzierung aufmerksam machen.“

Enttäuschung bei NGO's

Die Allianz für Klimagerechtigkeit hat das Ergebnis der Weltklimakonferenz (COP29) in Aserbaidschan scharf kritisiert und als „enttäuschend und verantwortungslos“ bezeichnet. Das neue Finanzierungsziel von 300 Milliarden US-Dollar jährlich ab 2035 entspreche keiner realen Verdoppelung und reiche bei weitem nicht aus, „um auch nur die notwendigsten lebensrettenden Anpassungsmaßnahmen in den ärmsten Ländern des Globalen Südens sicherzustellen“, erklärte Martin Krenn, Klima-Experte der Koordinierungsstelle der österreichischen Bischofskonferenz für internationale Entwicklung und Mission (KOO). Zudem gebe es keinerlei Fortschritt beim Ausstieg aus fossilen Energieträgern wie Kohle, Öl und Gas, kritisierte Krenn gegenüber der Kathpress.

Die Allianz für Klimagerechtigkeit - ein Bündnis von 26 Nichtregierungsorganisationen, die in den Bereichen Umwelt, Entwicklungszusammenarbeit, Soziales und Humanitärer Hilfe tätig sind - kritisierte das Verhandlungsergebnis als „viel zu wenig für die Menschen und das Klima“. Zudem werde ein großer Teil der Verantwortung auf private Unternehmen und die betroffenen Länder abgewälzt.

Auch die Delegation der katholischen Jugendverbände FIMCAP (International Federation of Catholic Parochial Youth Movements), die an der Weltklimakonferenz teilgenommen hat, zieht ein enttäuschtes Fazit. Für die Vulnerabelsten und am stärksten Betroffenen sei das Ergebnis viel zu wenig, sagte Delegationsleiter Fidelis Stehle am Sonntag gegenüber Vatican News. 

 „Es bedeutet einen Schritt weg von Pariser 1,5 Grad-Limit und damit mehr und mehr menschliches Leid und mehr Klimatote. 300 Milliarden Klimafinanzierung sind nicht das, was nach heutiger wissenschaftlicher Einschätzung notwendig ist. Es ist eher ein Inflationsausgleich ohne Qualität in den nächsten zehn Jahren und leider alles andere als ein echter Erfolg. Zudem fehlt es an vielen Stellen an einem klaren Bekenntnis zu Menschenrechten, Emissionsminderung und zur Entschädigung für Schäden und Verluste durch die Klimakrise. Zudem ist der Beschluss ein fatales Signal an junge Menschen, die für Solidarität, Klimagerechtigkeit und ihre Zukunft kämpfen.“

Gleichzeitig zeige die globale Zivilgesellschaft bei der Klimakonferenz COP jedoch, wie wichtig Menschenrechte seien und was Solidarität und Gemeinschaft bedeuteten. Multilaterale Formate wie dieses seien unerlässlich, um Lösungen für die Klimakatastrophe zu finden, so Stehle. Hoffnungen setzen die jungen Katholiken hier auch auf den Papst als Brückenbauer:

„Mit Blick auf die COP 30 kommendes Jahr in Brasilien und dem 10-jährigen Jubiläumsjahr von Laudato si‘ ist zu hoffen, dass die Weltgemeinschaft weitere Schritte zum Ende der fossilen Energien geht. Hier kann Papst Franziskus als Argentinier mit seiner klaren Haltung für Klimaschutz, für Menschlichkeit und für Solidarität weiterhin eine wichtige Rolle als Brückenbauer und Mahner spielen. Insbesondere die Themen wie Schuldenerlass und superreichen Steuer werden hier kommendes Jahr besonders wichtig“, so Fidelis Stehle, Präsident von FIMCAP Europa.

Minimalkonsens

Am Sonntagmorgen hatten sich die Staaten bei der Weltklimakonferenz COP29 in Baku nach verlängerten, zähen Verhandlungen auf ein Ergebnis geeinigt. Wichtigstes Resultat: Industrieländer sollen bis 2035 jährlich mindestens 300 Milliarden US-Dollar an Klimahilfen für ärmere Staaten zahlen; bisher lag die Marge bei 100 Milliarden, Ziel bleibt eine Jahressumme von 1,3 Billionen US-Dollar. Die Entwicklungsländer hatten als Mindestziel bis 2030 ursprünglich eine Erhöhung der Zahlungen der Industriestaaten auf 500 Milliarden Dollar jährlich gefordert. Nächstes Jahr soll auf der COP30 in Brasilien beraten werden, wie die Lücke zu 1,3 Billionen geschlossen werden kann. Die aufstrebenden Wirtschaftsmächte China und Indien sollen erst schrittweise an der Zahlung beteiligt werden. Keine konkreten Fortschritte gab es bei der globalen CO2-Reduzierung. Hier blockierten Öl- und Gasförderländer wie Saudi-Arabien weitergehende Beschlüsse. (kna/kap/agenturen 24)

 

 

 

 

 

COP29: Ergebnisse der Klimakonferenz reichen bei weitem nicht 

 

Friedrichsdorf/Baku - Die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision kritisiert die Ergebnisse der Klimakonferenz COP29 in Baku. Trotz einiger Fortschritte zeugen die Beschlüsse von mangelnder Ernsthaftigkeit bei der Bewältigung der Klimakrise, insbesondere seitens der Industrieländer. Die zugesagten finanziellen Hilfen für ärmere Länder seien eine einzige Enttäuschung. 

 

Die Folgen des Klimawandels gefährden schon jetzt das Wohlergehen der heutigen und künftigen Generationen. Der in dieser Woche veröffentlichte UNICEF-Bericht “State of the World's Children 2024“ zeigt auf, dass etwa eine Milliarde Kinder - fast die Hälfte aller Kinder der Welt - in Ländern leben, die einem hohen Risiko durch Klima- und Umweltgefahren ausgesetzt sind.  

Ekkehard Forberg, Klimaexperte bei World Vision Deutschland: „Das Schicksal der Kinder in den Ländern des Globalen Südens wurde auf dieser Klimakonferenz einmal mehr mit Füßen getreten. Zwar sollen Kinder und andere besonders gefährdete Gruppen im Rahmen der zukünftig finanzierten Projekte besonders berücksichtigt werden, aber die hier bereitgestellten finanziellen Mittel sind viel zu gering. Sie reichen bei weitem nicht aus, um die Lebensverhältnisse und die Zukunft der bereits jetzt vom Klimawandel betroffenen Kinder zu sichern oder zu verbessern“.  

 

Besonders Kinder im Globalen Süden, für die sich World Vision weltweit einsetzt, tragen die Hauptlast der Klimakrise – obwohl sie am wenigsten dafür verantwortlich sind. 

Jüngste Untersuchungen von World Vision in Ost-Timor zeigen, dass 42 Prozent der Kinder über Lebensmittelknappheit klagen.  Diese alarmierende Zahl verdeutlicht nicht nur die existenzielle Bedrohung, die die Klimakrise für das Leben von Kindern darstellt, sondern auch das Versagen der internationalen Gemeinschaft, entschlossen gegen die Klimakrise vorzugehen. 

World Vision unterstützt die Forderungen der am stärksten gefährdeten Länder, mehr Ehrgeiz bei der Bewältigung der Klimakrise zu entwickeln. Das beinhaltet auch, die Kohlendioxidemissionen deutlich zu reduzieren, damit die Ziele des Pariser Klimaabkommens erreicht werden.  

Ekkehard Forberg: „Die COP29 war geprägt vom Egoismus und mangelnder Solidarität der Industrieländer.  Es hätte konkrete Ziele für finanzielle Zusagen geben müssen, mit Hilfe derer sich die am meisten betroffenen Gemeinschaften auf extreme Klima-Auswirkungen vorbereiten können. Die unter dem Klimawandel leidenden Kinder brauchen jetzt unsere Unterstützung!“ Wvd 23

 

 

 

 

Baerbock bei COP29: „Keine Machtspiele auf dem Rücken ärmster Länder mehr“

 

In Baku ist es bei Klimagipfel COP29 am Samstag zu einem Eklat gekommen. Vertreter der kleinen Inselstaaten haben die Beratungen noch vor der Verabschiedung des umkämpften Schlussdokumentes verlassen. Ihre finanziellen Interessen seien ignoriert worden, so die Unterhändler. Unterdessen hat die deutsche Außenministerin Annalena Baerbock das „geopolitische Machtspiel einiger Staaten, die fossile Brennstoffe produzieren“, kritisiert.

In Baku haben die Unterhändler der kleinen Inselstaaten und von weniger entwickelten Nationen die außerordentlichen Beratungen mit dem COP29-Präsidenten verlassen. Ihre finanziellen Interessen seien nicht berücksichtigt worden, so der Vorwurf: „Wir sind zu diesem Klimagipfel gekommen, um eine gerechte Übereinkunft zu finden. Wir sind der Ansicht, nicht angehört worden zu sein“, hat der samoanische Präsident der Allianz kleiner Inselstaaten, Cedric Schuster, am Samstagnachmittag erklärt. In der Allianz sind die Inselstaaten zusammengeschlossen, deren Territorium durch die Erhöhung des Meeresspiegels bedroht ist und die aufgrund des Klimawandes mit ähnlichen Problemen zu kämpfen haben. Sie waren mit der Hoffnung auf Milliardenhilfen nach Baku gereist.

Machtspiele zu Lasten der Ärmsten

Unterdessen hat auch die deutsche Ministerin Annalena Baerbock deutliche Kritik an den Verhandlungen geübt. Diese hätten bereits am Freitag zu Ende gehen sollten, doch wie bei vorherigen Klimagipfeln waren weitere Beratungen nötig geworden.

„Wir befinden uns inmitten eines geopolitischen Machtspiels einiger, fossile Brennstoffe produzierender, Staaten“, so die Grünenpolitikerin. Und weiter: „Ihr Spielbrett ist leider der Rücken der ärmsten und verletzlichsten Länder.“ Harsche Kritik übte die deutsche Außenministerin auch am Gastgeberland Aserbaidschan: „Wir Europäer werden nicht zulassen, dass die verletzlichsten Staaten auf der Welt, insbesondere die kleinen Inselstaaten, von einigen der neuen fossilen und reichen Emittenten jetzt hier über den Tisch gezogen werden. Und das im Zweifel auch noch auch mit Rückendeckung der COP-Präsidentschaft."

„Wir Europäer werden nicht zulassen, dass die verletzlichsten Staaten auf der Welt, insbesondere die kleinen Inselstaaten, von einigen der neuen fossilen und reichen Emittenten jetzt hier über den Tisch gezogen werden“

Die Verhandlungen würden nun vorerst weitergehen, so Baerbock, die von einem „letzten Aufbäumen der fossilen Welt“ sprach. „Wir als Europäerinnen und Europäer arbeiten daher jetzt intensiv in jeder Minute daran, weiter Brücken zu bauen“, sagte Baerbock, die insbesondere auf Gespräche mit der EU-Delegation und anderen wichtigen Gruppen wie den Inselstaaten sowie mit lateinamerikanischen und afrikanischen Staaten hinwies: „Gerade auch, weil die Anliegen dieser Länder leider von der Präsidentschaft bisher ignoriert worden sind.“

Klimafinanzierung und die Reduzierung der Co2-Emissionen seien „eng miteinander verbunden“, weshalb die EU ihre Finanzierungszusagen bis 2035 erhöht habe, so Baerbock weiter. „Was wir jetzt brauchen, sind Bedingungen auf allen Kontinenten für Klimagerechtigkeit, für eine nachhaltige Klimafinanzierung und die Fortsetzung des in Dubai eingeschlagenen Weges, um deutlich zu machen, dass es eine große Mehrheit von Ländern auf der Welt gibt, die glauben, dass Klimagerechtigkeit allen zugutekommt und dass die starken Schultern das größte Gewicht tragen“.

Ölstaaten blockieren weiter

Insbesondere in der Kritik steht das ölreiche Saudi-Arabien, welches Initiativen zur Reduzierung der Produktion fossiler Brennstoffe weiterhin besonders ablehnend gegenübersteht. Normalerweise, so schrieb der Guardian, sei Riad daran gewöhnt, hinter den Kulissen zu arbeiten, um seine eigenen Interessen zu verfolgen, doch dieses Mal habe der saudische Delegierte Albara Tawfiq offen erklärt, dass „die arabische Gruppe keinen Text akzeptieren wird, der sich an bestimmte Sektoren richtet, einschließlich fossiler Brennstoffe.“

(adnkronos/guardian/divers 23)

 

 

 

 

Klimagipfel COP29: „Nachhaltige Zukunft ist Wettlauf gegen die Zeit"

 

Beim Klimagipfel COP29 in Baku hat Francesco La Camera, Generalsekretär der International Renewable Energy Agency (IRENA) vor den immensen Herausforderungen durch Umweltprobleme in Europa gewarnt. In einem Interview mit uns skizzierte er die Schwerpunkte künftiger Maßnahmen.

Die Länder Europas stehen La Camera zufolge vor einer Vielzahl von Umweltproblemen – von Luftverschmutzung über die Auswirkungen des Klimawandels bis hin zu Wasserknappheit, Bodenverbrauch und Verlust der Artenvielfalt. Extreme Wetterereignisse, wie zuletzt in Valencia, verdeutlichten die Dringlichkeit. Dort seien die katastrophalen Folgen eine direkte Folge der Erderwärmung und außergewöhnlicher Wetterbedingungen.

La Camera würdigte die bisherigen Fortschritte europäischer Länder in Sachen Klimapolitik, etwa beim Ausbau des öffentlichen Nahverkehrs und der energetischen Gebäudesanierung. Allerdings: „Wir sind noch weit davon entfernt, das Problem der Luftverschmutzung und vor allem der Emissionen von Treibhausgasen in die Atmosphäre zu lösen.“ Der Fachmann erinnerte auch an das Ziel, den Ausstoß von Treibhausgasen um 45 Prozent bis 2030 zu drosseln, „das ist praktisch morgen für unser produktives und unternehmerisches System“, erklärte der Italiener, der die Agentur für Erneuerbare Energien mit Sitz in den Vereinigten Arabischen Emiraten seit 2019 leitet.

La Camera verwies darüber hinaus auch auf die fortschreitende Bodenversiegelung durch Neubauten und Infrastruktur: Innerhalb 2050 sind die Mitgliedsstaaten der EU dazu aufgerufen, ihren Nettoflächenverbrauch auf „Netto-Null“ Prozent zu senken. „Nullverbrauch von Boden bedeutet nicht, ihn für bestimmte Zwecke nicht mehr zu nutzen, sondern ein Gleichgewicht zu schaffen zwischen Nutzung und Maßnahmen wie Aufforstung oder urbaner Regeneration.“ Dies müsse mit einer nachhaltigen wirtschaftlichen Entwicklung einhergehen.

„Am Wasser wird sich die Zukunft der Welt und der Menschheit in den nächsten Jahren entscheiden“

Als besonders dringlich bezeichnet La Camera das Thema Wasser für Europa und den Globus in den nächsten Jahren: „Am Wasser wird sich die Zukunft der Welt und der Menschheit in den nächsten Jahren entscheiden.“ Aus der Sicht des Fachmanns kann nur ein doppelter Ansatz helfen: Lebensstil, also das konkrete Verhalten jedes Einzelnen, und Politik, auch Kommunalpolitik, die auf das Gemeinwohl zielt.

„Bis jetzt haben wir Wasser als ein erworbenes Gut betrachtet, und es ist für uns normal, den Wasserhahn aufzudrehen und das Wasser laufen zu lassen, ohne vielleicht die Weitsicht zu haben, ihn abzudrehen, sobald wir diese für unser Land so wichtige Ressource entsprechend gebraucht haben“, merkte der Fachmann an; an diesem Verhalten müsse man arbeiten. „Und dann geht es natürlich auch um infrastrukturelle Maßnahmen, um eine effizientere Instandhaltung unserer Wasserinfrastrukturen, die wir in einigen Fällen modernisieren müssen. Wir müssen auch einen insgesamt verantwortungsvolleren Umgang mit den Wasserressourcen ermöglichen oder besser entwickeln, auch in der Industrie.“

Mit Nachdruck wies La Camera die Vorstellung zurück, der oder die Einzelne könne nichts tun, um der leidenden Schöpfung zu helfen: „Die Rolle der Bürger ist in diesem Zusammenhang sehr wichtig“, erklärte er. Niemand könne die ökologische Frage heutzutage außer Acht lassen, „aber wir müssen uns verantwortungsvoll gegenüber der Umwelt und den Ressourcen verhalten, die in dieser Zeit am wertvollsten sind: Wasser und Boden. Vor allem müssen wir uns darüber im Klaren sein, dass der ökologische Übergang ein Weg ist, der auch - und in gewisser Weise vor allem - durch tugendhaftes Verhalten verläuft, durch die Änderung der Lebensweise und der Gewohnheiten der Bürger.“ Natürlich müsse die Lebensstil-Frage Hand in Hand gehen mit nachhaltigkeitsorientierter Politik. „Es braucht Interventionen auch in der produktiven, wirtschaftlichen und sozialen Welt, die ebenso tugendhaft sein müssen und auf den Umweltschutz und somit auf den ökologischen Übergang zielen müssen.“

Die Internationale Organisation für erneuerbare Energien ist eine NGO, die global die umfassende und nachhaltige Nutzung erneuerbarer Energien fördert. Rund 170 Staaten und die Europäische Union sind Mitglied der IRENA.

Schwieriges Ende beim Klimagipfel

Am Klimagipfel COP29 in Baku nehmen rund 50.000 Menschen aus 197 Staaten teil, um gemeinsam an Schritten im Kampf gegen die Klimakrise zu arbeiten. Kurz vor Ende der Konferenz gibt es wenig Konkretes. Hauptstreitpunkt ist, mit wie hohen und welchen Mitteln wohlhabende Staaten in Zukunft die schwächeren unterstützen sollen, damit diese Klimaschutz und die Anpassung an Klimafolgen bewältigen können. Der Gipfel soll an diesem Freitag mit einer gemeinsamen Schlusserklärung enden, allerdings ist in den vergangenen Jahren keine der internationalen Klimakonferenzen pünktlich zu Ende gegangen. (vn 22)

 

 

 

 

Parolin: Krieg in Ukraine und Heiligem Land bald beenden

 

Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin hat am Rand einer Buchvorstellung am Freitag in Rom Journalistenfragen zu aktuellen Themen beantwortet. Mit Blick auf die Ukraine forderte er erneut ein baldiges Ende des Krieges. Zu den Aussagen von Papst Franziskus, man müsse prüfen, ob es „Völkermord“ in Gaza gebe, sagte er: „Es gibt technische Kriterien für die Definition eines solchen Begriffs“. Salvatore Cernuzio und Stefanie Stahlhofen – Vatikanstadt

 

Keinen Kommentar des Chefdiplomaten des Heiligen Stuhls gab es hingegen zur Entscheidung des Internationalen Strafgerichtshofs, einen Haftbefehl gegen den israelischen Ministerpräsidenten Netanjahu wegen Kriegsverbrechen zu erlassen. Zum Haftbefehl gegen Netanjahu erklärte der Kardinal lediglich, dass der Heilige Stuhl „die Geschehnisse zur Kenntnis genommen hat“ und bekräftigte, dass es „uns beunruhigt und interessiert, dass der Krieg bald zu einem Ende kommt“.

Die gleiche Sorge gelte auch für die Ukraine, nachdem britische und US-amerikanische Langstreckenraketen auf russisches Territorium abgeschossen wurden und Präsident Wladimir Putin mit einem Konflikt gedroht hat, der sich auf die ganze Welt ausweiten könnte.

„Lasst uns jetzt aufhören, solange wir noch Zeit haben, denn man weiß nicht, wohin diese Eskalation führen wird“

Parolin sagt, er „interpretiere den Gedanken und die Sorge des Papstes: Lasst uns jetzt aufhören, solange wir noch Zeit haben, denn man weiß nicht, wohin diese Eskalation führen wird. Irgendwann werden wir nicht mehr wissen, wie wir eine eventuelle Entwicklung dieser Situation kontrollieren können.“ Alle Verantwortlichen mahnt der Kardinal,  aufzuhören, bevor dieser Punkt erreicht werde. 

Sorge um Ukraine 

Auf die Frage, ob dies der schlimmste Moment im Ukraine-Konflikt sei, bemerkt der Kardinalstaatssekretär, „dass es meiner Meinung nach nie bessere Momente gegeben hat“, und betont, dass „die derzeitige Situation, die Entwicklungen, sehr besorgniserregend sind, weil wir nicht wissen, wohin sie führen könnten“.

Neben seiner Besorgnis über eine mögliche Eskalation bringe der Heilige Stuhl seine Verbundenheit mit dem „gemarterten“ Land zum Ausdruck, indem er sich weiterhin für den Austausch von Gefangenen und die Rückkehr ukrainischer Kinder einsetzt, die gewaltsam nach Russland verschleppt wurden. Dazu gibt es keine Neuigkeiten, aber Parolin bekräftigt, dass „auf unserer Seite der Wille besteht, weiterzumachen. Wir haben dies immer getan, nicht nur um der Initiative an sich willen, sondern auch, um den Boden für Verhandlungen zu bereiten“.

Völkermord in Gaza?

Zu Papst Franziskus' Aussage in einem Buch, dass man untersuchen solle, ob der Konflikt im Gazastreifen, wo die Zahl der Opfer mittlerweile 44.000 überstiegen hat, als „Völkermord“ bezeichnet werden kann, sagte Parolin: „Der Papst hat gesagt, was die Position des Heiligen Stuhls ist, und das ist, dass diese Dinge untersucht werden müssen, weil es technische Kriterien für die Definition des Begriffs Völkermord gibt“. 

„Wir haben Antisemitismus immer verurteilt und werden ihn auch weiterhin verurteilen“

Klare Veurteilung von Antisemitismus

Mit Blick auf Antisemitismus erinnerte Kardinal Parolin daran, dass „die Position des Heiligen Stuhls zu diesem Phänomen klar ist“: „Es gibt keinen Grund, weitere Überlegungen anzustellen. Wir haben Antisemitismus immer verurteilt und werden ihn auch weiterhin verurteilen, und wir werden uns bemühen, genau die Bedingungen zu schaffen, damit es wirklich eine ernsthafte Verurteilung und einen ernsthaften Kampf gegen dieses Phänomen geben kann“. (vn 22)

 

 

 

 

EU-Umfrage. Migration und Terrorgefahr treiben EU-Bürger am meisten um

 

Eine neue Umfrage zeigt: In der EU sorgen sich die Menschen stärker um Migration und Terrorgefahr als um Cyberangriffe oder militärische Konflikte. Dabei gibt es deutliche Unterschiede zwischen den Ländern.

 „Irreguläre“ Migration und Terrorgefahr treiben die Menschen in der Europäischen Union aktuell stärker um als andere potenzielle Bedrohungen für den Frieden. Das zeigen die Ergebnisse einer repräsentativen Umfrage im Auftrag der Bertelsmann Stiftung in den 27 Mitgliedstaaten. Dabei sind regionale Unterschiede erkennbar. Den russischen Angriffskrieg in der Ukraine nimmt die Bevölkerung in den EU-Staaten auch als eine große Bedrohung wahr.

Auf die Frage „Was ist heute die größte Bedrohung für den Frieden in Europa?“ gaben demnach etwa 25 Prozent der über 26.000 Teilnehmer der Befragung an, nicht funktionierender Grenzschutz treibe sie mehr um als alles andere. 21 Prozent der Menschen in der EU nehmen demnach terroristische Angriffe als größte Bedrohung wahr, 19 Prozent große Cyberattacken. Ein Angriff durch eine fremde Macht wird den Angaben zufolge von 18 Prozent der befragten EU-Bewohner als größte Bedrohung empfunden. 17 Prozent von ihnen entschieden sich für die Antwortvariante „Organisiertes Verbrechen“.

Teilnehmer aus Deutschland sorgen sich besonders um Terrorrisiko

Dass die in Deutschland beheimateten Teilnehmer der Umfrage das Terrorrisiko zu 23 Prozent als größte Bedrohung für den Frieden in Europa wahrnehmen, mag auch mit dem Zeitpunkt der Befragung im vergangenen September zusammenhängen. Die Erinnerungen an den Terroranschlag in Solingen waren da noch sehr frisch. Am 23. August soll der Syrer Issa Al H. in Solingen drei Menschen mit einem Messer getötet haben. Mehr als 24 Stunden später wurde er festgenommen. Die Terrormiliz IS hat den Anschlag für sich reklamiert.

Mangelnde Grenzsicherung, eine Unterwanderung durch das organisierte Verbrechen und einen militärischen Angriff halten der Befragung zufolge jeweils 21 Prozent der Menschen in Deutschland mit Blick auf den Frieden in Europa für die größte Gefahr. 14 Prozent verorten die größte Bedrohung im Cyberraum.

Polen halten Angriffskrieg für größte Bedrohung

In Polen, das eine Grenze mit der von Russland angegriffenen Ukraine hat, ist dagegen die Angst vor einem Krieg das, was die Menschen besonders beschäftigt. Laut Umfrage halten 29 Prozent der Polen die Gefahr eines militärischen Angriffs für die größte Bedrohung für den Frieden in Europa. Im vom Kriegsschauplatz weiter entfernten Spanien sagen dies dagegen lediglich 16 Prozent der Befragten.

Deutsche halten USA für wertvollsten Verbündeten

Laut Umfrage hielten im September – und damit vor der erneuten Wahl von Donald Trump zum US-Präsidenten – 54 Prozent der deutschen Bevölkerung die USA für den wertvollsten Verbündeten der EU. Dieser Wert liegt etwas über dem EU-weiten Durchschnitt von 51 Prozent. In Polen ist der Anteil derjenigen, die den USA diese Rolle zuweisen, mit 65 Prozent besonders hoch, in Belgien mit 43 Prozent deutlich niedriger.

Unter den Bürgerinnen und Bürgern der USA ist der Europa-Enthusiasmus nicht ganz so groß wie umgekehrt. Auf die Frage, wer wohl der wertvollste Verbündete der USA sei, nannten nach Angaben der Bertelsmann Stiftung 27 Prozent der rund 2.500 Teilnehmer der Befragung Großbritannien, gefolgt von der Europäischen Union mit 25 Prozent. 13 Prozent der Menschen in den USA halten Kanada für den bedeutendsten Partner, 12 Prozent Israel.

Zehn Prozent der Deutschen sehen China als wichtigsten Verbündeten

Jeweils jeder Zehnte Bewohner Deutschlands und der EU insgesamt bezeichnet China als wertvollsten Verbündeten. Der Westen wirft China vor, Russland mit Gütern zu versorgen, die sowohl zivil als auch militärisch genutzt werden können und so die russische Kriegswirtschaft zu unterstützen.

Die Bundesregierung hatte im Sommer 2023 erstmals eine umfassende China-Strategie beschlossen. Darin wird das von der kommunistischen Führung mit harter Hand regierte Land als Partner, Wettbewerber und systemischer Rivale definiert. Kern der Strategie ist es, die wirtschaftliche Abhängigkeit von China zu verringern, um ein böses Erwachen wie nach dem russischen Angriff auf die Ukraine bei der Kappung der Gaslieferungen zu vermeiden. (dpa/mig 22)

 

 

 

 

Melonis Maskerade

 

Im Ausland moderat, zu Hause Hardlinerin: Italiens Regierungschefin treibt gekonnt ihre rechte Agenda voran – ohne die Mehrheit im Land zu verprellen. Von Anna Momigliano

Als die italienische Regierung vor kurzem ein Gesetz verabschiedete, das Leihmutterschaften auch im Ausland mit hohen Geld- und Gefängnisstrafen belegte, gab es einigen Aufruhr. Doch der Protest hielt nicht lange an. Die Maßnahme wurde natürlich von einigen progressiven Prominenten kritisiert: „Kann mir jemand erklären, warum das ein Verbrechen ist?“, fragte die Komikerin Luciana Littizzetto in der beliebten abendlichen Talkshow Che Tempo Che Fa („Wie ist das Wetter?“). Elly Schlein, die Vorsitzende der Demokratischen Partei, die sich in der linken Mitte verortet, nannte das Gesetz „scheußliche Propaganda auf dem Rücken von Kindern“. Italiens größte LGBTQ+-Organisation Arcigay bezeichnete es als „schwerwiegende Verweigerung individueller Rechte“ und kündigte Proteste an.

Doch am Tag nach dem Parlamentsbeschluss waren die Titelseiten der Zeitungen stattdessen voll mit Artikeln über die Haushaltskürzungen. Das Thema verschwand daraufhin weitgehend aus den Nachrichten und wurde nur noch in kleinen, progressiven Kreisen auf sozialen Medien diskutiert. Dies ist ein weiteres Beispiel für ein mittlerweile vertrautes Muster: Ein Beschluss der Regierung unter Italiens rechter Ministerpräsidentin Giorgia Meloni sorgt bei den Linken für Empörung, findet auch in den Medien einigen Widerhall, entfacht jedoch keine breite gesellschaftliche Debatte. Das Gesetz wird verabschiedet, Melonis Zustimmungswerte bleiben hoch, und Italien rückt mit kaum mehr als einem Schulterzucken nach rechts.

Es ist bekannt, dass Meloni, deren politische Laufbahn im postfaschistischen Movimento Sociale Italiano begann, sich als Ministerpräsidentin eine erfolgreiche Doppelidentität aufgebaut hat: Im Ausland ist sie moderat, zuhause Hardlinerin. So demonstrierte ihre Regierung angesichts der russischen Invasion auf internationaler Bühne stets Unterstützung für die Ukraine und die NATO, obwohl Meloni selbst in der Vergangenheit durchaus lobende Worte für Wladimir Putin gefunden hatte.

Auch daheim musste Meloni Balanceakte vollführen, um ihre rechtskonservative Agenda durchzusetzen, ohne die Bevölkerung vor den Kopf zu stoßen. Bis jetzt ist ihr das gelungen: In Italien, einem Land mit notorisch kurzlebigen Regierungen und Zustimmungsraten, wurde die Ministerpräsidentin zu einem ungewöhnlichen Stabilitätsanker. Die Faktencheck-Website Pagella Politica zeigte in einer vergleichenden Analyse von Meinungsumfragen seit 2008, dass die Zustimmungsraten ihrer Regierung zwar nicht überragend, aber seit ihrer Amtseinführung konstant geblieben sind – ein scharfer Kontrast zu den meisten Vorgängerkabinetten. Ihre Regierung zählt damit zwei Jahre nach der Wahl bereits zu den langlebigsten in der italienischen Geschichte.

Diese Beständigkeit verdankt sie nicht bloßem Glück oder Zufall. Meloni gelang es, sich den Rückhalt ihrer Fans zu sichern und zugleich die halbherzige Unterstützung einer breiteren, moderateren Wählerschaft zu erlangen, indem sie Maßnahmen erließ und Reden hielt, die rechts genug waren, um Erstere zufriedenzustellen und Letztere nicht zu verschrecken.

Dazu gehört in Italien auch das Verbot der Leihmutterschaft. In den USA sind sowohl uneigennützige als auch kommerzielle Formen der Leihmutterschaft weit verbreitet und genießen breite Unterstützung. In Italien hingegen galt Leihmutterschaft schon immer als Verbrechen. Das neue Gesetz geht nun noch einen Schritt weiter und stellt sie auch bei Inanspruchnahme im Ausland unter Strafe. Kommerzielle Leihmutterschaft, bei der die Leihmutter für das Austragen der Schwangerschaft bezahlt wird, ist in der gesamten EU verboten, und in Italien sprechen sich etwa 76 Prozent der Befragten dagegen aus. Manche italienische Linke betonen, Leihmutterschaft sei Ausbeutung, vor allem gegen Bezahlung, und Prominente, die sich dafür aussprechen, wägen ihre Worte sorgfältig ab. Auch Littizzetto äußerte sich nicht zustimmend: „Ich kenne bei einem solchen komplexen, riesigen, schwierigen Thema keine Gewissheiten“, sagte sie bei ihrem Auftritt in Che Tempo Che Fa.

Ähnlich wie mit dem Gesetz zur Leihmutterschaft plant Meloni nun, ein neues Sicherheitspaket zu verabschieden, das die Rechte von Demonstrierenden erheblich einschränken würde. Zudem hat sie ein Abkommen mit Albanien geschlossen, um Asylsuchende während der Prüfung ihrer Anträge dort unterzubringen – auch wenn ein Gerichtsbeschluss diesen Plan vorläufig gestoppt hat. Darüber hinaus hält sie den staatlichen Rundfunksender RAI fest unter Kontrolle.

All diese Maßnahmen sind zwar auf der rechten Seite des politischen Spektrums zu verorten, aber nicht völlig außerhalb des italienischen Mainstreams. Nach Umfragen wünscht sich die überwiegende Mehrheit der Italienerinnen und Italiener eine stärkere Polizeipräsenz. Ein Meinungsbild von 2023 ergab, dass sich 64 Prozent der Bevölkerung für schärfere Grenzkontrollen aussprechen und 45 Prozent der Aussage, Einwanderer seien eine Gefahr für die öffentliche Sicherheit, voll und ganz zustimmen. Zudem sind die Italienerinnen und Italiener seit den Zeiten Silvio Berlusconis an politisch streng kontrollierte Medien gewöhnt.

Giorgia Meloni hat es allerdings auch sorgfältig vermieden, gesellschaftliche Themen anzugehen, die zu Spaltungen führen könnten, weil sie entweder zu ideologisch aufgeladen sind oder den Eindruck von Selbstüberschätzung erwecken könnten. So beschränkte sie sich beispielsweise bei der Abtreibungsfrage, die rund 80 Prozent der Italienerinnen und Italiener unterstützen, auf rein symbolische Aussagen.

Indem sie solche Fallstricke geschickt umging, konnte Meloni den Eindruck von Arroganz und Überheblichkeit vermeiden – eine Haltung, die schon so manchen italienischen Politiker zu Fall brachte. Ein Beispiel ist Matteo Renzi, Ministerpräsident von 2014 bis 2016, der seinen Verbleib im Amt an ein ehrgeiziges Verfassungsreferendum knüpfte, das der Exekutive mehr Macht verleihen sollte. Nach einer krachenden Niederlage musste er jedoch zurücktreten. Oder Matteo Salvini, Innenminister von 2018 bis 2019 in einer Koalition, in der er als beliebtester Politiker – wenn nicht sogar als inoffizieller Chef – galt. Salvini drängte auf vorgezogene Neuwahlen, scheiterte jedoch spektakulär und verlor an Einfluss, bevor er als Melonis Stellvertreter wieder auf der politischen Bühne erschien. Zweifellos wird auch Giorgia Meloni eines Tages zu weit gehen. Doch derzeit scheint sie genau zu wissen, was sie tut. TNYT/EPG 22

 

 

 

 

Merkel-Biographie berichtet von hilfreichem Papst-Tipp

 

Deutschlands frühere Bundeskanzlerin Angela Merkel - die erste Frau in dieser Position - hat eine Autobiographie geschrieben. Veröffentlicht ist sie noch nicht - aber es kursieren in einigen Medien schon Auszüge - in denen es auch um Papst Franziskus geht. Die Protestantin und das katholische Kirchenoberhaupt trafen sich mehrfach.

Die „Zeit" (Donnerstag) publizierte die entsprechende Passage aus Merkels bisher noch unveröffentlichter Biographie. Da heißt es, Papst Franziskus habe Angela Merkel nach deren eigenem Bekunden im Jahr 2017 einen wichtigen Tipp gegeben. Als Bundeskanzlerin habe sie den Papst damals kurz vor dem G20-Gipfel in Hamburg getroffen, so die CDU-Politikerin in ihrer Autobiographie. Die Zusammenkunft der 20 wichtigsten Industrie- und Schwellenländer stand damals laut Merkels Schilderung unter anderem wegen des von Präsident Donald Trump angekündigten Rückzugs der USA aus dem Pariser Klimaabkommen unter keinem guten Stern. Die „Zeit" (Donnerstag) publizierte die entsprechende Passage aus Merkels bisher noch unveröffentlichter Biographie. Den Papst habe sie, ohne Namen zu nennen, gefragt, wie er mit fundamental unterschiedlichen Meinungen in einer Gruppe von wichtigen Persönlichkeiten umgehen würde, erinnert sich Merkel. „Er verstand mich sofort und antwortete mir schnörkellos: ,Biegen, biegen, biegen, aber achten, dass es nicht bricht.' Dieses Bild habe ihr gefallen, schreibt Merkel. „In diesem Geiste würde ich in Hamburg versuchen, mein Problem mit dem Pariser Übereinkommen und Trump zu lösen, obwohl ich noch nicht genau wusste, was das konkret bedeutete."

Merkels Autobiographie soll am kommenden Dienstag (26. November) bei Kiepenheuer & Witsch erscheinen und am selben Tag in einem Gespräch der Autorin mit Moderatorin Anne Will im Deutschen Theater in Berlin vorgestellt werden. Die Veranstaltung ist ausverkauft. Laut Angaben des Kölner Verlags erscheint das Buch, das Merkel zusammen mit ihrer langjährigen Beraterin Beate Baumann verfasste, in mehr als 30 Ländern.  (kna 21)

 

 

 

 

Vorwurf: Kriegsverbrechen. Weltstrafgericht erlässt Haftbefehl gegen Netanjahu

 

Der Chefankläger des Internationalen Strafgerichtshofs will Israels Regierungschef Netanjahu vor Gericht bringen. Dafür gibt es nun ein Haftbefehl. International wird der Vorgang kontrovers diskutiert.

Der Internationale Strafgerichtshof hat Haftbefehle gegen Israels Ministerpräsidenten Benjamin Netanjahu, den früheren Verteidigungsminister Joav Galant und gegen den Anführer der Terrororganisation Hamas Mohammad Diab Ibrahim Al-Masri erlassen. Die Richter in Den Haag stimmten damit einem Antrag des Chefanklägers Karim Khan vom Mai zu. Netanjahu und Galant stehen danach unter dem Verdacht von Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit seit dem 8. Oktober 2023 im Gazastreifen.

Chefankläger Khan ermittelt seit Monaten wegen mutmaßlicher Kriegsverbrechen im Gaza-Krieg. Israel hatte Beschwerde gegen die Beantragung der Haftbefehle eingereicht. Diese wiesen die Richter zurück. Hamas-Chef Al-Masri – bekannt unter dem Namen Deif – wird wegen möglicher Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit seit dem 7. Oktober gesucht. Er soll bei einem israelischen Bombenangriff im Gazastreifen getötet worden sein. Eine offizielle Bestätigung für seinen Tod gab es jedoch nie.

Das Gericht sieht ausreichende Gründe für die Annahme, dass Netanjahu und Galant „absichtlich und wissentlich der Zivilbevölkerung im Gazastreifen wesentliche Dinge für ihr Überleben einschließlich Nahrung, Wasser sowie Medikamente und medizinische Hilfsmittel sowie Brennstoffe und Strom vorenthalten haben.“

Das Weltstrafgericht kennt keine Immunität von Staats- oder Regierungschefs. Bereits 2023 erließ es einen Haftbefehl gegen den russischen Präsidenten Wladimir Putin wegen möglicher Kriegsverbrechen in der Ukraine. Das Gericht mit Sitz in Den Haag hat selbst keine Möglichkeiten, die Haftbefehle auch zu vollstrecken. Aber seine 124 Mitgliedsstaaten – darunter Deutschland – sind dazu verpflichtet, die Gesuchten festzunehmen, sobald sie sich in ihrem Hoheitsgebiet befinden. Damit werden die Reisemöglichkeiten für die Gesuchten stark eingeschränkt.

Internationale Kontroverse

Schon der Antrag des Chefanklägers auf die Haftbefehle löste international Schockwellen aus. Zahlreiche Staaten hatten juristische Stellungnahme zu dieser Frage dem Gericht übergeben. Diese hatten die Richter bei ihrer Entscheidung über den Antrag mitberücksichtigt.

Weder die USA noch Israel erkennen den Strafgerichtshof an. Doch die palästinensischen Gebiete sind Vertragsstaat. Bereits 2021 hatte das Gericht festgestellt, dass es auch für Gebiete zuständig sei, die seit 1967 von Israel besetzt sind.

Im Mai hatte Netanjahu den Ankläger Khan einen „der großen Antisemiten der Moderne“ genannt. Auch Israels wichtigster Verbündeter, die USA, hatten sich gegen die Haftbefehle ausgesprochen. Zahlreiche andere Länder wie etwa Frankreich stärkten dem Strafgerichtshof dagegen den Rücken.

Weiteres Verfahren gegen Israel

Die Ermittlungen des Weltstrafgerichts sind unabhängig von laufenden Verfahren zu der Gewalt im Gazastreifen vor dem Internationalen Gerichtshof. Dieses höchste UN-Gericht ebenfalls mit Sitz in Den Haag will Streitfälle zwischen Staaten lösen. Südafrika hatte Israel wegen Völkermordes vor diesem Gericht verklagt. (dpa/mig 21)

 

 

 

 

 

„Deutschland müsste Netanjahu festnehmen und überstellen“

 

Völkerrechtler Matthias Goldmann über den Haftbefehl gegen Israels Regierungschef, die Legitimität des IStGH und Konsequenzen für die Bundesrepublik. Die Fragen stellte Nikolaos Gavalakis.

Der Internationale Strafgerichtshof hat Haftbefehl gegen Israels Premierminister Benjamin Netanjahu und Ex-Verteidigungsminister Yoav Gallant wegen mutmaßlicher Kriegsverbrechen erlassen. Eine Überraschung?

Nein, der Gerichtshof sieht klare Anhaltspunkte für Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit, darunter das systematische Aushungern der Bevölkerung. Ebenso wird die Verfolgung einer bestimmten Bevölkerungsgruppe angeführt. Relevant für den Haftbefehl sind insofern die katastrophale Versorgungslage in Gaza sowie die seit Monaten prekäre medizinische Versorgung, die ja auch medial stark thematisiert werden.

Deutschland ist seit dessen Gründung ein wichtiger Unterstützer des Internationalen Strafgerichtshofs. Welche rechtlichen und praktischen Konsequenzen hat der Haftbefehl für die Bundesregierung und deutsche Behörden?

Die zentrale Frage ist, ob Deutschland verpflichtet wäre, Netanjahu bei der Einreise festzunehmen. Grundsätzlich genießen amtierende Regierungschefs Immunität aufgrund der Staatenimmunität. Allerdings gibt es für internationale Strafgerichte Ausnahmen. Der Internationale Gerichtshof hat 2002 im sogenannten Haftbefehlsfall bei einer Klage der Demokratischen Republik Kongo gegen Belgien entschieden, dass gewohnheitsrechtliche Immunitäten von Offiziellen gegenüber internationalen Gerichten nicht gelten.

Ein wichtiger Punkt ist, dass Israel kein Mitglied des Internationalen Strafgerichtshofs ist. Daher wird diskutiert, ob diese Ausnahmeregel auch für Staaten gilt, die nicht dem Gerichtshof angehören. Viele Experten argumentieren, dass es bei Verbrechen gegen die Menschlichkeit keine Immunität geben kann. Dafür spricht aus meiner Sicht einiges – auch wenn die Rechtslage nicht vollständig geklärt ist, und in der Vergangenheit Staaten ähnliche Haftbefehle teils nicht konsequent umgesetzt haben. Deutschland als Mitgliedstaat des Internationalen Strafgerichtshofs müsste Netanjahu demnach festnehmen und überstellen.

Wie realistisch ist es, dass ein israelischer Regierungschef auf deutschem Boden festgenommen wird?

Es ist sehr unwahrscheinlich. Netanjahu wird nicht nach Deutschland reisen – und falls doch, wäre das eine massive Provokation. Sollte er sich tatsächlich ankündigen, müsste die Bundesregierung mit allen diplomatischen Mitteln eine solche Situation vermeiden. Denn wenn er einreist, steht Deutschland vor der Wahl: ihn festnehmen und ausliefern oder eine klare Verletzung der Verpflichtungen gegenüber dem Internationalen Strafgerichtshof riskieren. Jede Reise nach Deutschland oder in andere EU-Staaten könnte man als Test verstehen, ob die Vertragstreue gegenüber dem Strafgerichtshof Bestand hat. Ein solcher Test müsste mit der klaren Botschaft beantwortet werden, dass Deutschland seinen Pflichten nachkommt.

Israel und die USA erkennen den Internationalen Strafgerichtshof nicht an. Welche Auswirkungen hätte es auf das internationale Rechtssystem, wenn Haftbefehle wie dieser nicht umgesetzt werden?

Viele Haftbefehle sind in der Vergangenheit nicht umgesetzt worden, weil man die Angeklagten nicht greifen konnte. Zum Beispiel im Zuge des Ruanda-Tribunals. Das allein würde die Legitimität des internationalen Rechts oder des Strafgerichtshofs nicht erschüttern. Ähnliches gibt es ja auch auf nationaler Ebene. Problematisch wird es, wenn Mitgliedstaaten die Haftbefehle systematisch ignorieren. Sollte Netanjahu weiterhin unbehelligt reisen können, könnte das die Glaubwürdigkeit des Internationalen Strafgerichtshofs erheblich beschädigen. Besonders kritisch ist dies im Kontext des Vorwurfs, der Gerichtshof sei ein Gericht nur für Afrika oder für Angeklagte aus dem Globalen Süden. Wenn westliche Politiker wie Netanjahu anders behandelt würden als Angeklagte aus Afrika, könnte der Internationale Strafgerichtshof seine Legitimität dauerhaft verlieren. Das ist eine Gefahr, welche die Bundesregierung bei ihrer Entscheidung unbedingt berücksichtigen muss. EPG 21

 

 

 

 

 

Studie "Frauen und ihre Karrierepläne". Ausgebremste Ambitionen

 

Aktuelle Arbeitsmarktreport beleuchtet berufliche Ziele von Frauen: Viele weibliche Beschäftigte treffen nach wie vor auf Barrieren in der Karriereplanung

Berlin, November 2024. Weniger als jede fünfte Frau verfolgt kurzfristig einen konkreten Karriereschritt in ihrem aktuellen Unternehmen. Das ist ein Ergebnis der aktuellen Arbeitsmarkt Studie „Frauen und ihre Karrierepläne“, für die die KÖNIGSTEINER Gruppe 1.608 Beschäftigte, davon 1.083 Frauen befragen ließ. Demnach geben 17 % der Frauen an, in naher Zukunft die nächste Stufe auf ihrer Karriereleiter erklimmen zu wollen. Zum Vergleich: Bei den Männern liegt der entsprechende Anteil bei 24 %. Allerdings streben die meisten Frauen dabei eine gehaltliche Weiterentwicklung sowie die Übernahme von fachlicher Verantwortung an. Weniger hoch im Kurs stehen aus weiblicher Sicht dagegen Führungs- und Personalverantwortung. Ein Hauptgrund, warum viele Frauen umgekehrt auf ein berufliches Vorankommen verzichten, liegt in der höheren Gewichtung der eigenen Work-Life-Balance. Dies geben 53 % der Frauen als Hauptgrund an, derzeit keinen Karriereschritt im Blick haben. Mehr als ein Drittel von ihnen (36 %) befürchten zudem einen zu hohen beruflichen Stress. Nur 13 % verzichten zu Gunsten der Familie auf eine Weiterentwicklung im Job.

 

Bereits mehr als ein Fünftel erleben ihr Geschlecht als Karrierehemmnis

Ein weiterer Grund, warum viele Frauen wohl auch von sich aus auf eine Karriereentwicklung verzichten, sind angenommene sowie erlebte Ressentiments aufgrund ihres Geschlechts. Denn 22 % der befragten Arbeitnehmerinnen erfuhren eigenen Angaben zufolge bereits Karrierehindernisse aufgrund der Tatsache, dass sie eine Frau sind. Besonders ausgeprägt ist diese Erfahrung im berufserfahrenen Alter zwischen 30 und 39 Jahren. Hier geben 28 % derart negative Erfahrungen zu Protokoll. Dazu passt: Während 21 % der Frauen das Gefühl haben, grundsätzlich aufgrund ihres Geschlechts in der Karriereplanung benachteiligt zu werden, teilen dies nur 6 % der Männer für ihr Geschlecht.

Vielfach wahrgenommene Barrieren in der Karriereentwicklung sind aus Sicht vieler Frauen ungleiche Bezahlung, die mehr als die Hälfte der Frauen (52 %) in ihrem Berufsleben bereits mindestens einmal hingenommen haben, der Mangel an flexiblen Arbeitszeiten (40 %) sowie fehlende Fürsprecher in ihrem aktuellen Unternehmen (39 %).

 

Vor allem aus den Personalabteilungen fehlt vielen Frauen die notwendige Unterstützung. So fühlen sich aktuell mehr als die Hälfte der Frauen (52 %) von der HR-Abteilung nicht angemessen unterstützt, was den Fortgang ihrer beruflichen Laufbahn betrifft. Entsprechend gering ausgeprägt ist der Glauben daran, dass Personaler überhaupt etwas für sie tun können. Davon gehen nämlich gerade einmal 16 % der befragten Frauen aus. Die Hoffnungen ruhen dabei eher auf der direkten Führungskraft (48 %) sowie der Geschäftsführung (38 %). Vor allem weibliche und jüngere Führungskräfte werden von Frauen als Karriereförderer im Unternehmen erlebt. „Unsere Studie zeigt, dass Männer in ihren Karriereplänen ein Stück weit mehr auf den `Fame` aus sind, der mit einem Karriereschritt verbunden ist. Die Übernahme von Personalverantwortung oder Führungspositionen beinhaltet mehr Bedeutung im jeweiligen Unternehmen. Frauen ist es dagegen erst einmal wichtig, im Gehalt aufzuschließen und sie scheuen sich auch nicht davor, mehr fachliche Verantwortung zu übernehmen – also sich im Sinn der Sache einzubringen, ohne einen neuen Jobtitel dafür einzuheimsen“, so Nils Wagener, Geschäftsführer der KÖNIGSTEINER Gruppe, zu den Studienergebnissen.

 

Karrierepläne der Frauen konzentrieren sich auf Gehalt und Fachbereich

Interessant ist, was Frauen konkret vorschwebt, wenn sie ihre Karriere voranbringen möchten. Dann nämlich steht für die meisten zunächst einmal ein Gehaltssprung auf der persönlichen Agenda. 63 % von ihnen verstehen vor allem die Erhöhung ihrer monatlichen Bezüge als wichtigen Karriereschritt. Gleich danach folgt die bereitwillige Übernahme fachlicher Verantwortung, was sich 37 % der Frauen, die eine berufliche Entwicklung anstreben, gut vorstellen können. Weniger im Fokus weiblicher Beschäftigter: Führungspositionen, die nur für 15 % der ambitionierten Frauen vorstellbar sind, sowie Personalverantwortung (22 %). Zum Vergleich: 26 % der ambitionierten Männer schielen auf Führungsverantwortung, 30 % auf Personalverantwortung.

 

Ambitionierte Frauen erreichen in der Regel ihre Karriereziele

Insgesamt ist der Anteil der Männer, die ihre Karriereplanung als "sehr wichtig" bezeichnen, deutlich höher ist als der von Frauen. Insgesamt bewerten 31 % der Männer die Verwirklichung ihrer beruflichen Ziele so, im Vergleich zu 21 % der Frauen. Allerdings sind die Frauen, die ihre Karrierepläne als sehr wichtig bezeichnen mit den erzielten Fortschritten diesbezüglich auch zufrieden. 42 % von ihnen sind in dieser Hinsicht sehr zufrieden, weitere 40 % zumindest tendenziell. Nur 9 % haben einen gegenteiligen Eindruck. HR-P 21

 

 

 

 

„Berliner Erklärung“. Integrationsbeauftragte: Asyldebatte bedient Migrationsfeindlichkeit

 

Die Integrationsbeauftragten der Länder und des Bundes sind sich einig: Deutschland braucht Einwanderung. In einer gemeinsamen Erklärung fordern sie mehr Unterstützung der Städte und Gemeinden und verteidigen das Asylrecht.

Die Integrationsbeauftragten der Länder und des Bundes fordern mehr Unterstützung der Kommunen bei deren Integrationsbemühungen. „Deutschland profitiert von Einwanderung und ist in Zukunft darauf angewiesen“, heißt es in der „Berliner Erklärung“, die sie bei ihrem Herbsttreffen in der Hauptstadt verabschiedet haben. Die Frage gelungener Integration entscheide sich maßgeblich in den Städten und Gemeinden. „Bund und Länder sind gefordert, die Kommunen bei dieser Aufgabe dauerhaft und verlässlich zu unterstützen.“

„Integration ist kein Projekt, es ist eine Regelaufgabe“, sagte Berlins Integrationsbeauftragte Katarina Niewiedzial der dpa. „Wir brauchen eine krisenfeste Infrastruktur, die den Kommunen hilft, diese Aufgabe zu bewerkstelligen. Dazu zählen Wohnungen, Kitaplätze, Schulplätze und auch eine sozial ausgewogene Nachbarschaft.“

„Sprache ist das Fundament für alles andere“

Eine weitere Forderung in der „Berliner Erklärung“ ist die nach ausreichender Finanzierung von Integrationskursen, bei denen nicht zuletzt die deutsche Sprache gelernt wird. Sie sei das Fundament für alles andere, sagte Niewiedzial. „Wenn das wegfällt, dann bricht uns hier das ganze System zusammen. Das darf nicht sein.“

Genauso wichtig ist aus Sicht der Integrationsbeauftragten, Migrantenorganisationen als zentrale Akteure der Einwanderungsgesellschaft zu stärken. „Sie benötigen auf allen Ebenen mehr Repräsentanz, Teilhabe und eine auskömmliche Finanzierung“, heißt es im gemeinsamen Resolutionstext.

Die aktuelle Asyldebatte bediene migrationsfeindliche Ressentiments und schade dem gesellschaftlichen Zusammenhalt. „Die Integrationsbeauftragten bekräftigen, dass sie am grundgesetzlich gesicherten Recht auf Asyl festhalten und sich gegen jeden Versuch seiner Einschränkung wehren.“

„Am Ende geht es auch um unsere Haltung“

Niewiedzial wies darauf hin, dass das alleine nicht reiche: „Wir können Verordnungen und Gesetze machen, aber am Ende geht es auch um unsere Haltung“, betonte sie. „Um unsere Haltung, die eindeutig sagt: Einwanderung und Vielfalt sind kein Problem, sie sind eine Chance. Diese Haltung verkörpern und fordern wir ein, weil sie gerade in die Defensive gerät.“

Die Integrationsbeauftragten aus den Ländern und die Beauftragte des Bundes, Reem Alabali-Radovan, kamen ab Montag zu ihrem zweitägigen Treffen in Berlin zusammen. Berlin war turnusmäßig Gastgeber der Runde. (dpa/mig 21)

 

 

 

 

Internationalisierung der Hochschulen für Angewandte Wissenschaften erfolgreich

 

Der Deutsche Akademische Austauschdienst (DAAD) zieht nach fünf Jahren eine erste, positive Bilanz seines Förderprogramms zur Internationalisierung der Hochschulen für Angewandte Wissenschaften (HAWen). Auf einer Konferenz in Karlsruhe stellt der DAAD ab heute die bisherigen Ergebnisse des Programms „HAW.International“ vor. Das vom Bundesministerium für Bildung und Forschung (BMBF) finanzierte Programm läuft voraussichtlich noch bis 2029.Bonn. „Das Programm HAW.International ist für uns ein Leuchtturm in der Förderung der Internationalisierung. Es sorgt für mehr weltweite Sichtbarkeit von Deutschlands Hochschulen für Angewandte Wissenschaften. Die bisherigen Ergebnisse zeigen zudem, wie wirkungsvoll die Unterstützung der HAWen bei der Internationalisierung ist“, sagte DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato Mukherjee. „Mehr als zwei Drittel der HAWen in Deutschland haben sich bereits am Programm beteiligt. Wir wollen auch in den kommenden Jahren möglichst viele der HAWen beim Ausbau der internationalen Wettbewerbsfähigkeit und der Vorbereitung von Studierenden auf die Herausforderungen der globalisierten Arbeitswelt unterstützen.“

Nach fünf Jahren zieht der DAAD eine erste Bilanz für das Programm: Seit dem Start wurden 119 Projekte gefördert, mehr als 7.000 Studierende, Lehrende und Forschende unterstützt, das BMBF stellt dafür über 70 Millionen Euro bereit. An den Projekten waren Hochschulen und Partnerinstitutionen aus rund 100 Ländern weltweit beteiligt, Schwerpunkte der internationalen Netzwerkbildung der Hochschulen lagen auf Nordamerika und Europa.

Der DAAD bietet den HAWen mit dem Programm maßgeschneiderte Unterstützung, um weltweite Netzwerke in Forschung, Lehre und Transfer auszubauen und ihren Studierenden internationale Erfahrungen zu ermöglichen. Neben der Förderungen der Hochschulen vergibt der DAAD im Rahmen des Programms Individualstipendien für Semesteraufenthalte, Praktika oder Abschlussarbeiten im Ausland. Im Oktober wählte der DAAD für eine weitere Programm-Runde zehn neue Projekte aus, die bis 2027 gefördert werden.

 

Hintergrund. Das Förderprogramm HAW.International startete im März 2019 und wird vom BMBF finanziert. Es unterstützt Hochschulen für Angewandte Wissenschaften in Deutschland bei der Entwicklung einer nachhaltigen internationalen Profilbildung und der internationalen Vernetzung. HAW.International fördert dabei sowohl Internationalisierungsprojekte als auch einzelne Studierende, Lehrende und Forschende bei ihren internationalen Vorhaben. Das Programm läuft nach aktueller Planung bis 2029.

Der Ausbau der Internationalisierung der HAWen in Deutschland zeigt sich auch an der Entwicklung der Zahl internationaler Studierender: Im Wintersemester 2012/2013 waren 135.200 internationale Studierende an Deutschlands HAWen eingeschrieben, zehn Jahre später waren es bereits 231.800. Der Anteil internationaler Studierender an den HAWen stieg damit von 5,8 auf zehn Prozent. Daad 21

 

 

 

 

Muezzin-Ruf in Köln wird unbefristet genehmigt

 

Die Aufregung um den ersten öffentlichen Muezzin-Ruf in Köln war im Herbst 2022 groß – doch inzwischen ist bei dem Thema merklich Ruhe eingekehrt. Die Stadt stellt nun fest: So kann es weitergehen.

Der im Rahmen eines Modellprojekts an der Kölner Ditib-Zentralmoschee erlaubte öffentliche Muezzin-Ruf darf künftig weiter erschallen. Das geht aus einer Mitteilung der Stadt hervor. Nach Ablauf des Evaluierungszeitraums von zwei Jahren gebe es keine Hinweise auf Verstöße der Moscheegemeinde gegen die vereinbarten Auflagen. Daher werde der geschlossene Vertrag verlängert – unbefristet. Mehrere Medien hatten zuvor berichtet.

An der Zentralmoschee der Türkisch-Islamischen Union Ditib in Köln-Ehrenfeld ruft seit Oktober 2022 ein Muezzin zum Freitagsgebet. Zuvor hatte es viele Diskussionen um den per Lautsprecher übertragenen Gebetsruf gegeben, da Kritiker die Ditib als verlängerten Arm der türkischen Religionsbehörde in Ankara betrachten. Kölns Oberbürgermeisterin Henriette Reker (parteilos) hatte das zunächst auf zwei Jahre angelegte Pilotprojekt, an dem sich Moscheegemeinden in Köln beteiligen konnten, mit Hinweis auf die im Grundgesetz verbriefte Freiheit der Religionsausübung ins Leben gerufen.

Nicht länger als fünf Minuten

Für eine Genehmigung mussten Gemeinden allerdings Auflagen erfüllen. So darf der Ruf nicht länger als fünf Minuten dauern und eine bestimmte Lautstärke nicht überschreiten. Er darf freitags zwischen 12.00 und 15.00 Uhr einmalig ohne erneute Wiederholung erklingen. Die Auflagen gelten im Fall der Zentralmoschee nun unverändert weiter.

Nach Angaben der Stadt gab es vor allem zu Beginn des Projekts auch einige negative Rückmeldungen von Bürgern. Dabei seien aber nur wenige konstruktive Äußerungen eingegangen, hieß es im Bericht. „Viele der E-Mails enthielten beleidigende Inhalte und Statements, bis hin zu strafrechtlich zu bewertenden Inhalten.“ Nach rund zwei Wochen sei die Zahl der Zuschriften stark zurückgegangen.

Die Moscheegemeinde der Ditib ist nach Angaben der Stadt die einzige Moscheegemeinde in Köln, die sich an dem Modellprojekt beteiligt hat.

(dpa/mig 21)

 

 

 

 

 

Sonntagsfrage: CDU/CSU dominiert mit breiter Zustimmung - Milieu-Analyse zeigt unterschiedliche Partei-Konkurrenz

 

YouGov-Studie zur aktuellen politischen Stimmung in Kooperation mit dem SINUS-Institut

Köln. Drei Monate vor der vorgezogenen Bundestagswahl im Februar 2025 deutet alles auf einen klaren Sieg der CDU/CSU hin. Die ehemaligen Ampel-Parteien müssen derzeit mit erheblichen Verlusten rechnen. Doch wer sind derzeit die Unterstützerinnen und Unterstützer der Parteien? Welche Potenziale haben die Parteien in der Bevölkerung? Welche Themen sind den Wählerinnen und Wählern wichtig, und wie verändern sich deren Prioritäten? Diesen und weiteren Fragen ist die Data & Analytics Group YouGov in Kooperation mit dem SINUS-Institut in einer repräsentativen Online-Befragung nachgegangen.

 

Wenn am nächsten Sonntag Bundestagswahl wäre, würden 33 Prozent der Wählerinnen und Wähler der CDU/CSU ihre Stimme geben. Mit deutlichem Abstand folgt die AfD mit 19 Prozent. Die SPD würden 15 Prozent wählen, die Grünen 12 Prozent, das BSW käme auf 7 Prozent. Um den Einzug in den Bundestag zittern müssen die FDP mit 5 Prozent und die Linke mit 3 Prozent. Die sonstigen Parteien liegen zusammen bei 7 Prozent.

 

Dies ist das Ergebnis der aktuellen Sonntagsfrage von YouGov, für die 2.193 Wahlberechtigte in einer repräsentativen Online-Befragung zwischen dem 08.11. und 12.11.2024 befragt wurden. Von ihnen äußerten 1.805 Personen (82 Prozent) eine konkrete Wahlabsicht. Die restlichen 18 Prozent zählen zu den Nichtwählern, sind noch unentschlossen oder machten bei der Frage zur Wahlabsicht keine Angabe.

 

Das aktuelle Stimmungsbild offenbart eine breite Zustimmung für die Unionsparteien: CDU/CSU führen aktuell in allen Geschlechter-, Alters- und Bildungsgruppen. Politische Einstellungen und Wahlverhalten hängen jedoch stärker mit Werten zusammen als mit soziodemografischen Faktoren. Das legt die Analyse im Gesellschaftsmodell der Sinus-Milieus offen, das die deutsche Bevölkerung vor dem Hintergrund ihrer Werte, Lebensstile und der sozialen Lage in zehn „Gruppen Gleichgesinnter“ einteilt. Entsprechend konkurriert die Union je nach Bevölkerungsgruppe mit unterschiedlichen Parteien.

 

CDU/CSU liegen vorne – sogar bei jungen und progressiven Wählergruppen

Die Unionsparteien würden bei einer Bundestagswahl in sieben von zehn Sinus-Milieus gewinnen. „Auf ihre Stammwählergruppen können sie sich verlassen: Das Zentrum der CDU/CSU liegt beständig im Milieu der Konservativ-Gehobenen, der strukturkonservativen Elite unserer Gesellschaft. Hier würden weit überdurchschnittliche 47 Prozent der Befragten die Union wählen. Hohe 38 Prozent erreicht die Union weiterhin in ihren Stammmilieus der Performer, das sind die erfolgsorientierten Fortschrittsoptimisten hierzulande, und bei den Traditionellen, der Sicherheit und Ordnung liebenden älteren Generation“, sagt Dr. Silke Borgstedt, Geschäftsführerin des SINUS-Instituts.

 

Im Vergleich zu früheren Milieu-Analysen ist auffällig, dass die Unionsparteien derzeit auch Wähler aus jungen und progressiven Milieus überzeugen können. Konkret: In den Zukunftsmilieus der Expeditiven und Neo-Ökologischen, wo die Grünen bei der Bundestagswahl 2021 weit überdurchschnittlich abschnitten, liegen die Unionsparteien mit 36 Prozent bzw. 40 Prozent nun klar vorne.

 

In der Mitte der Gesellschaft ist die AfD die stärkste Konkurrenz der Union

Die Analyse nach Sinus-Milieus zeigt auch, dass sich CDU/CSU je nach Milieu mit unterschiedlichen Konkurrenten auseinandersetzen muss. So ist in den Milieus der gesellschaftlichen Mitte die AfD die größte Konkurrentin der Unionsparteien. Besonders deutlich wird dies in der modernen Mitte der Adaptiv-Pragmatischen. Hier gewinnen CDU/CSU mit 30 Prozent, aber die AfD folgt dicht mit 28 Prozent. In der alten Mitte der Nostalgisch-Bürgerlichen liegt die AfD mit 34 Prozent vor der CDU/CSU mit 29 Prozent. Dr. Silke Borgstedt erläutert: „So unterschiedlich die beiden Mitte-Milieus jeweils ticken, sie eint eine starke Zukunftsverunsicherung und Transformationsenttäuschung. Die Menschen in den Mitte-Milieus sorgen sich besonders stark vor steigenden Lebenshaltungskosten, unsicheren wirtschaftlichen Perspektiven und möglichen Folgen der Zuwanderung“. Im Milieu der Prekären ist der Zuspruch für die AfD am größten (47 Prozent).

 

Die Ampel-Parteien haben Probleme, vorhandene Wählerpotenziale auszuschöpfen

Die ehemaligen Ampel-Parteien haben seit der Bundestagswahl 2021 in nahezu allen Milieus an Zuspruch verloren. Dr. Silke Borgstedt gibt einen Überblick: „Die Grünen können derzeit vor allem ihr Stammmilieu der Postmateriellen gewinnen (41 Prozent) und legen hier ordentlich zu. Gleichzeitig haben sie in den progressiven Milieus massiv verloren. Die SPD scheint auf den ersten Blick unsichtbar, da sie keine ausgeprägte Stammwähler-Milieus mehr hat, rangiert aber in vielen Milieus auf Platz zwei oder drei. Die FDP fällt mittlerweile in einigen Milieus unter die 5-Prozent-Marke.“

 

Zudem gelingt es den Ampel-Parteien nur bedingt, ihr vorhandenes Wählerpotenzial auszuschöpfen. Das zeigt sich bei der Frage, welche Parteien die Befragten sich grundsätzlich (also „sicher“ oder „vielleicht“) vorstellen können zu wählen, wenn am nächsten Sonntag Bundestagswahl wäre. Unter den drei Ampelparteien aktivieren die Grünen noch am besten potenzielle Wählerinnen und Wähler: So können sich 27 Prozent der Wahlberechtigten grundsätzlich vorstellen, die Grünen zu wählen, doch nur 12 Prozent äußern eine konkrete Wahlabsicht in der aktuellen Sonntagsfrage (Potenzialausschöpfung: 44 Prozent). Bei der SPD liegt die Potenzialausschöpfung bei 42 Prozent (Sonntagsfrage: 15 Prozent vs. Potenzial: 36 Prozent), bei der FDP bei 29 Prozent (Sonntagsfrage: 5 Prozent vs. Potenzial: 17 Prozent).

 

Demgegenüber haben CDU/CSU und AfD deutlich weniger „Luft nach oben“. Die AfD kommt auf eine Potenzialausschöpfung von 73 Prozent (Sonntagsfrage: 19 Prozent vs. Potenzial: 26 Prozent). Das Potenzial der Unionsparteien liegt deutlich höher, denn 47 Prozent der Wahlberechtigten zeigen sich grundsätzlich offen für diese Parteien, und 33 Prozent äußern in der Sonntagsfrage eine entsprechende Wahlabsicht (Potenzialausschöpfung: 70 Prozent).

 

Wichtigste Themen: Wirtschaft gewinnt gegenüber Einwanderung an Wichtigkeit

Welche Themen sind für Wählerinnen und Wähler wichtig? YouGov fragt jeden Monat Wahlberechtigte, welches das wichtigste Thema ist, um das sich Politikerinnen und Politiker in Deutschland kümmern sollten.

 

Im Rückblick ist das Jahr 2024 stark geprägt vom Thema „Einwanderung und Asylpolitik“. In der Spitze nannten im September 2024 jede/r Dritte (33 Prozent) „Einwanderung und Asylpolitik“ als wichtigstes Thema. Im November allerdings hat sich die Agenda weg von „Einwanderung und Asyl“ hin zum Thema „Wirtschaft“ verschoben. Zwar bleibt „Einwanderung und Asyl“ das am häufigsten genannte Thema, seine Relevanz geht aber um neun Prozentpunkte zurück (32 Prozent im Oktober, 23 Prozent im November). Mit 23 Prozent nennen im November so wenige Menschen wie seit April 2024 (21 Prozent) nicht mehr „Einwanderung und Asylpolitik“ als wichtigstes Thema.

 

Das Thema „Wirtschaft“ gewinnt dagegen deutlich an Relevanz: Rund jeder Sechste (14 Prozent) nennt es im November als wichtigstes Thema. Dies ist der höchste Wert in den letzten zwei Jahren. Gegenüber Oktober (8 Prozent) hat sich der Anteil der Wählerinnen und Wähler, für die das Thema am wichtigsten ist, fast verdoppelt.

 

Themenprioritäten verschieben sich in den Wählergruppen

Für Wählerinnen und Wähler von CDU/CSU und SPD hat „Wirtschaft“ das Thema „Einwanderung und Asylpolitik“ als Top-Thema abgelöst. Im November ist für 23 Prozent der aktuellen CDU/CSU-Wählerinnen und -Wähler „Wirtschaft“ das wichtigste Thema, „Einwanderung und Asyl“ für 22 Prozent. Dagegen hat im Oktober ein Drittel (34 Prozent) der CDU/CSU-Wählerinnen und -Wähler „Einwanderung und Asyl“ als wichtigstes Thema genannt und nur 12 Prozent „Wirtschaft“. Bei SPD-Wählerinnen und -Wählern zeigt sich die Themenverschiebung noch deutlicher: Rund jede/r Sechste (16 Prozent) nennt im November „Wirtschaft“ als wichtigstes Thema, nur noch jede/r Zehnte „Einwanderung und Asyl“. Im Oktober war dieses Verhältnis noch umgekehrt („Wirtschaft“: 9 Prozent, „Einwanderung und Asyl“: 17 Prozent). Anders bei AfD-Wählerinnen und -Wählern: In dieser Wählergruppe ist „Einwanderung und Asylpolitik“ auch im November mit Abstand das wichtigste Thema (November: 55 Prozent, Oktober: 60 Prozent), „Wirtschaft“ gewinnt nur leicht an Relevanz (November: 11 Prozent, Oktober: 8 Prozent).

Frieder Schmid, Account Director Political Research bei YouGov, ordnet die Zahlen folgendermaßen ein: „Die unsichere gesamtwirtschaftliche Entwicklung, die Krise der Automobilwirtschaft und die Diskussion über eine Wende in der Wirtschaftspolitik hinterlassen Spuren. Bürgerinnen und Bürger sind zunehmend verunsichert und sorgen sich um die wirtschaftliche Situation in Deutschland. Das Thema „Wirtschaft“ ist jetzt bei den Wählerinnen und Wählern angekommen, und es wird eines der Themen sein, das den Wahlkampf zur Bundestagswahl prägen wird – offen ist noch, in welchem Maße.“ YouGov 21

 

 

 

 

Thüringer Integrationsbericht. Wenige Privatkontakte, viel Rassismus

 

Einwanderung in nennenswertem Ausmaß gibt es in Thüringen erst seit relativ kurzer Zeit. Der Integrationsbericht zeigt, dass es vergleichsweise wenige Kontakte zwischen Alt- und Neu-Thüringern gibt. Dafür ist Rassismus verbreitet – latent und manifest.

Freundschaften und andere nähere private Kontakte zu Einwanderern sind in der Thüringer Bevölkerung weniger verbreitet als in anderen Bundesländern. Wie aus dem aktuellen Thüringer Zuwanderungs- und Integrationsbericht hervorgeht, hat knapp ein Viertel der Einheimischen im Freundes- oder Bekanntenkreis Menschen, die aus dem Ausland eingewandert sind. In den westdeutschen Bundesländern trifft das laut Bericht hingegen auf etwa die Hälfte der Bevölkerung zu, in den anderen ostdeutschen Bundesländern inklusive Berlin immerhin auf ein Drittel.

In dem Bericht sind Zahlen des Integrationsbarometers ausgewertet worden, für das bundesweit 4.996 Menschen befragt wurden, darunter 503 in Thüringen. Etwa 42 Prozent der Thüringer haben demnach in ihrem privaten Umfeld nie oder nur selten Kontakt zu Menschen, die zugewandert sind. In Westdeutschland trifft das nur auf etwa 25 Prozent der Einheimischen zu.

Sprachbarrieren erschweren Kontakte

Ein Grund für die wenig ausgeprägten Kontakte zwischen Einheimischen und Zuwanderern ist laut Bericht der Umstand, dass es erst seit wenigen Jahren eine zahlenmäßig größere Zuwanderung aus dem Ausland nach Thüringen gibt. Generell sei der Anteil der Zugewanderten an der Gesamtbevölkerung in Ostdeutschland weiter deutlich geringer als in Westdeutschland.

„Menschen, die erst seit Kurzem in Deutschland sind, haben oft noch keine guten Bedingungen, um Kontakt zur eingesessenen Bevölkerung aufzubauen“, heißt es in dem Papier. „Räumliche Isolation, zum Beispiel durch das Wohnen in Erstaufnahmeeinrichtungen, Sprachbarrieren und fehlende Begegnungsräume bei der Arbeit, im Bildungskontext und anderes hemmen die Kontaktaufnahme in der ersten Phase nach der Zuwanderung.“

Latenter und manifester Rassismus

Umgekehrt zeigen der Vorlage zufolge auch die Thüringer aufgrund weit verbreiteter Vorurteile sowie in Teilen latent und manifest sitzendem Rassismus, kein Interesse an Kontakt zu Menschen mit ausländischen Wurzeln. Ganz im Gegenteil: mehr als 70 Prozent der Thüringer stimmen der Aussage zu, „Die Ausländer kommen nur hierher, um unseren Sozialstaat auszunutzen“. Dieser Wert liegt sowohl über dem bundesdeutschen Durchschnitt als auch über den Werten der anderen ostdeutschen Bundesländer.

Dieses Bild spiegelt sich im Bereich der Diskriminierung. Die Benachteiligung von Menschen mit Migrationserfahrung ist dem Monitor zufolge in Thüringen deutlich höher als im Bundesdurchschnitt oder im Vergleich zu anderen ostdeutschen Bundesländern. So gaben mehr als 20 Prozent der Thüringer mit ausländischen Wurzeln an, „oft“ aufgrund der Herkunft benachteiligt worden zu sein. In anderen ostdeutschen Bundesländern und im Bundesdurchschnitt liegt diese Quote bei rund 13 bzw. sieben Prozent.

Der Bericht soll nach Angaben der Landesbeauftragten für Integration, Migration und Flüchtlinge, Mirjam Kruppa, Fakten liefern, um fundiert über Migration diskutieren zu können. Der Vorgängerbericht war 2019 vorgelegt worden. (dpa/mig 20)

 

 

 

 

Entsetzen über Gesetzentwurf zum Paragraph 218

 

Lebensrechtler und Kirchenvertreter protestieren: Ein in der vergangenen Woche von Vertreterinnen der SPD und Grünen vorgestellter Gesetzentwurf sieht vor, dass die Tötung des Kindes im Mutterleib bis zum Ende der zwölften Schwangerschaftswoche rechtmäßig sein soll.  Von Claudia Kaminski

 

Außerdem soll die dreitägige Wartefrist zwischen Beratung und Abtreibung gestrichen werden, während die Krankenkassen zudem fortan die Kosten für Abtreibungen übernehmen sollen.

„Wir halten eine Reform des Schwangerschaftsabbruchsrechts für überhaupt nicht geeignet, in der derzeitigen politischen Situation im Bundestag noch behandelt und abgestimmt zu werden“, erklärte der Sprecher der katholischen Bischofskonferenz (DBK), Matthias Kopp, am Freitag gegenüber der Katholischen Nachrichten-Agentur (KNA) in Bonn. Ein für eine solche Gesetzesänderung notwendiges, geordnetes Verfahren und eine angemessene Auseinandersetzung könnten zwischen Vertrauensfrage, Auflösung des Bundestages und Neuwahlen nicht stattfinden, so Kopp.

Ungünstige Bedingungen für Abstimmung

 

„Demokratieverachtend und empörend“

Ähnlich hatten sich zahlreiche Vertreter aus Politik und von Sozialverbänden geäußert. Besonders besorgt zeigten sich Vertreter der Lebensrechtsbewegung. Cornelia Kaminski, Bundesvorsitzende der „Aktion Lebensrecht für Alle“, wies darauf hin, dass es „keine Lappalie“ sei, wenn der Paragraph 218 kippe: „Damit würde in Deutschland eine Zweiklassengesellschaft entstehen – Menschen, die man grundlos töten darf und Menschen, deren Tötung eine Straftat ist“, formulierte die Lebensschutzaktivistin. Die Art, wie dieser Vorschlag „nun durch den Bundestag gepeitscht werden soll“, sei „wirklich demokratieverachtend und empörend“, so Kaminski, die in diesem Zusammenhang „alle“ dazu aufrief, Protest einzulegen: „Und zwar nicht nur diejenigen, die sich schon immer für das ungeborene Leben eingesetzt haben, sondern auch all die, die sagen: Das ist unwürdig und respektlos, wie hier mit dem Menschenrecht auf Leben und unserer Verfassung umgegangen wird.“ Die beste Möglichkeit für Protest sei der direkte Kontakt zu den Abgeordneten, so Kaminski weiter. Man könne sie persönlich anrufen, im Wahlkreis ansprechen oder ihnen schreiben. 

Lebensschützer wünschen starke Präsenz 

Kaminski hat klar formulierte Erwartungen an die Parlamentarier: „Man sollte auch schreiben, dass wir von den CDU/CSU-Abgeordneten erwarten, dass sie im Saal sind, wenn darüber abgestimmt wird – bei so einer Abstimmung durch Abwesenheit glänzen ist keine Option, sondern genauso schlimm wie für die Legalisierung der Abtreibung zu stimmen", so die Meinung der Aktivistin. „Denen sollte man vielleicht auch sagen: Wer eine Brandmauer gegen das Recht auf Leben errichtet, verbrennt sich daran mehr als die Finger. Und wir erwarten von den FDP-Abgeordneten, dass sie sich ebenfalls für den Schutz des menschlichen Lebens einsetzen und dieses ideologiegetriebene Spiel der Rest-Ampel nicht mitmachen."

„Zwei Drittel der Deutschen wollen laut ALfA nicht am § 218 rütteln“

Die ALfA-Vorsitzende betont, dass zwei Drittel der Menschen in Deutschland nicht am § 218 rütteln wollten. Das müsse man den Abgeordneten sagen. Zuvor schon hatte sie den Vorstoß als „brandgefährlich" bezeichnet und hervorgehoben, dass der Gesetzentwurf nicht nur die Tötung von Menschen eines bestimmten Alters rechtmäßig stelle, sondern die Kosten hierfür auch noch der Solidargemeinschaft aufbürden wolle.

Stimmen aus der Politik

„Die FDP-Abgeordnete Katrin Helling-Plahr: unangemessen, dass die Gruppe dem Bundestag auf den letzten Metern so ein komplexes Thema vor die Füße wirft“

Die FDP-Abgeordnete Katrin Helling-Plahr sagte auf Anfrage, sie halte es für unangemessen, dass die Gruppe „dem Bundestag auf den letzten Metern so ein komplexes Thema vor die Füße wirft". Es brauche Raum für die gesellschaftliche Debatte. Ähnlich äußerte sich auch Caritas-Präsidentin Eva Maria Welskop-Deffaa. Angesichts der kurzen Zeit bis zur Neuwahl wäre es nicht verantwortlich, die Entscheidung „jetzt im Eiltempo treffen zu wollen". Wo es um Grundsatzfragen am Lebensanfang gehe, brauche es eine geordnete Beratungszeit.

„Wer Abtreibung aus dem Strafrecht entfernt, schafft Grundrechte von Kindern ab", sagte die Vorsitzende des Bundesverbands Lebensrecht, Alexandra Linder. Damit finde die Entmenschlichung dieser Kinder ihren Höhepunkt, doch jeder, der Abtreibungen durchführe, jeder, der sich mit der Wissenschaft der Embryologie beschäftige, jeder, der eine frühe Fehlgeburt erlebt und den angeblichen „Zellhaufen“ gesehen habe, wisse, dass es um Menschenleben gehe, ist sie überzeugt.

Befürworter sehen „historische Chance"

In Deutschland sind Schwangerschaftsabbrüche laut Paragraf 218 des Strafgesetzbuchs rechtswidrig. Abtreibungen in den ersten zwölf Wochen bleiben aber straffrei, wenn die Frau sich zuvor beraten lässt. Eine von der Bundesregierung eingesetzte Kommission hatte im April Empfehlungen für eine Liberalisierung der Abtreibung vorgelegt und sich dafür ausgesprochen, das entsprechende Gesetz aus dem Strafgesetzbuch zu streichen.

Die Frauenrechtsorganisation Terre des Femmes erklärte, die Abgeordneten des Bundestags hätten „die historische Chance", über „diesen wichtigen und lange überfälligen Schritt für Frauenrechte abzustimmen". Diese Chance dürfe nicht vertan werden. Auch die Arbeiterwohlfahrt begrüßte den Vorschlag, forderte aber weitergehende Regelungen wie eine Abkehr von der Beratungspflicht.

(vn / kna 19)

 

 

 

 

 

Studie: Ausländische Arbeitskräfte bringen Deutschland Geld, wenn die Politik das zulässt

 

Eine neue Studie des Fraunhofer IAO zeigt auf, wie der Dienstleistungssektor Gastwelt hilft, unsere Sozialsysteme effektiv zu entlasten – und was er zusätzlich leisten kann, wenn der Rahmen dafür stimmt

Berlin, 18. November 2024 – Im Vorfeld der Bundestagswahl 2025 ist Migration ein großes Reizthema. Vorurteile haben sich in der Gesellschaft verfestigt, die Themenbereiche „Flüchtlinge“ und „qualifizierte Arbeitskräftezuwanderung“ werden in der öffentlichen Debatte oft vermischt. Eine neue Studie des Fraunhofer-Instituts für Arbeitswirtschaft und Organisation IAO im Auftrag der Denkfabrik Zukunft der Gastwelt (DZG) zeigt aber auf: Wenn die Eingliederung von Menschen aus dem Ausland in den Arbeitsmarkt schnell und unkompliziert gelingt, stärkt sie dauerhaft unser Sozialsystem und sichert den gesellschaftlichen Zusammenhalt. Als zentraler Baustein einer Lösung, wie Zuwanderer effektiver in Lohn und Brot gebracht werden, drängt sich die Gastwelt geradezu auf: sie ist Deutschlands wichtigster „Integrationsmotor“. Doch dieser darf durch fehlende politische Unterstützung und wachsender Bürokratie nicht ins Stocken geraten.

Aus Sicht der Fraunhofer-Expertinnen ist klar: Die erfolgreiche Integration von Zuwanderern in der Gastwelt (Tourismus, Hospitality, Foodservice & Freizeitwirtschaft) hat – vor allem mit Blick auf die demografische Entwicklung – spürbare positive Auswirkungen auf die Sozialsysteme und trägt damit maßgeblich zum Erhalt gesellschaftlicher Stabilität in Deutschland bei. Die Voraussetzung dafür: Es muss schneller und einfacher als bisher möglich sein, Migranten in den hiesigen Arbeitsmarkt einzubinden. Die größten Herausforderungen liegen dabei in der Anerkennung ausländischer Qualifikationen und in bestehenden Sprachbarrieren. Hier muss die Politik deutlich mehr tun, um die Betriebe vor Ort gezielt zu unterstützen, so eine zentrale Erkenntnis der Studie, in der 750 Führungskräfte aus der Gastwelt befragt wurden.

Deutschland braucht ausländische Arbeitskräfte, um seinen Wohlstand zu erhalten

Die Bundesrepublik braucht ausländische Arbeitskräfte dringender denn je: Gelingt es nicht, die Personallücken zu schließen, müssen nämlich viele Unternehmen – vor allem im ländlichen Raum – aufgeben. Pro Jahr sind laut Bundesagentur für Arbeit (BA) mehr als 400.000 Einwanderer erforderlich, um den Fach- und Arbeitskräftemangel zu kompensieren und die deutsche Wirtschaft insgesamt am Laufen zu halten. Allerdings kommen derzeit zu wenige qualifizierte Migranten nach Deutschland, auch weil unser Land für viele internationale Talente aktuell nicht sehr weit oben auf der Liste steht. Im OECD-Vergleich rangiert die Bundesrepublik bei der Fachkräfte-Attraktivität 2023 „nur“ noch auf Platz 15 (2019: Platz 12). Auf der anderen Seite gibt es bei den Menschen ausländischer Herkunft, die bereits länger im Land leben, vor allem unter den Geflüchteten, beträchtliches Arbeitsmarktpotenzial. Deren Beschäftigungsquote liegt aktuell bei „lediglich 70 Prozent“.

Professorin Dr. Vanessa Borkmann, Leiterin des Forschungsbereichs „Stadtsystem-Gestaltung“ am Fraunhofer IAO und Autorin der Studie, umreißt den akuten Handlungsbedarf: „Mit Jedem, den wir in eine Beschäftigung bringen, entlasten wir die Sozialsysteme und stärken unsere Volkswirtschaft. Ihr besonderes Augenmerk sollte die Politik daher auf die spezifischen Bedürfnisse der Gastwelt richten, die in Sachen Integration besonders effektiv unterwegs ist.“ DZG-Vorstandschef Dr. Marcel Klinge bringt das aktuelle Problem auf den Punkt: „Wir brauchen mehr qualifizierte Zuwanderung, um den Wohlstand in unserer immer älter werdenden Gesellschaft dauerhaft zu sichern. Aber wir wissen diesen Hebel aktuell noch nicht richtig zu nutzen. Wenn wir als Land Menschen aus dem Ausland deutlich schneller und effektiver integrieren, kosten uns Migranten keine zig Milliarden, wie in der öffentlichen Debatte oftmals pauschal unterstellt, sondern bringen unserer Volkswirtschaft zusätzliches Wachstum und dem Staat dringend benötige Steuereinnahmen.“

Personallücke kostet Wertschöpfung und Steuereinnahmen

Diese Einschätzung belegen auch aktuelle Zahlen des Fraunhofer IAO in der Studie: So haben im größten Gastwelt-Sektor, der Hospitality (Gastgewerbe), über 40 Prozent der Beschäftigten eine Einwanderungsgeschichte, in der Gesamtwirtschaft trifft das lediglich auf 15 Prozent zu. Während die Gastwelt an der direkten Beschäftigung bundesweit einen Anteil von sechs bis sieben Prozent ausmacht, arbeiten hier bereits 12 Prozent der Geflüchteten, die sich derzeit in Deutschland aufhalten. Das sind knapp 150.000 Personen, die nicht mehr auf soziale Sicherung angewiesen sind, weil sie ein eigenes Einkommen erzielen. Für die öffentliche Hand bedeute dies Einsparungen von monatlich rund 150 Millionen Euro oder rund 1,8 Milliarden Euro pro Jahr, so eine Beispielrechnung des IAO.

Doch diese Menschen reichen nicht aus, um eine Personallücke zu schließen, die sich um Zuge des demografischen Wandels stetig vergrößert und zwangsläufig die Wertschöpfung des Dienstleistungssektors und damit die Steuereinnahmen des Staates mindert – weshalb es nahe liegt, die Betriebe der Gastwelt wirtschaftspolitisch zu stabilisieren und besser zu unterstützten. Tatsächlich fehlten dem gesamten Dienstleistungssektor aktuell zwischen 120.000 bis 145.000 Arbeitskräfte, allein in der Hospitality sind es mindestens 65.000 Mitarbeitende. Das Fraunhofer IAO geht davon aus, dass sich der Mangel mit dem Rückzug der Babyboomer aus dem Arbeitsmarkt bis Anfang der 2030er-Jahre auf bis zu 600.000 fehlende Beschäftigen erhöhen könnte. Das bedeutet: Die Gastwelt braucht unbedingt bessere Möglichkeiten, Geflüchtete und Zuwanderer schnell und effizient einzubinden. Und sie braucht mehr Arbeitskräfte aus dem Ausland. Ein Mitarbeitender erwirtschaftet z.B. im Gastgewerbe durchschnittlich 35.000 Euro pro Jahr an Bruttowertschöpfung. Bei den 65.000 unbesetzten Stellen allein in diesem Teilsektor der Gastwelt gehen Deutschland pro Jahr rechnerisch 2,3 Milliarden Euro an zusätzlicher Wertschöpfung verloren.

Beschleunigte Anerkennungsverfahren und mehr berufliche Sprachkurse

Im Ausland erworbene Qualifikationen werden häufig nicht oder erst mit langen Verzögerungen anerkannt. Entsprechende Verfahren dauern monatelang. Dass es schneller geht, zeigt sich am Beispiel anderer Sektoren wie etwa der Pflegebranche. Für Verzögerungen auf dem Weg in eine Beschäftigung sorgt immer wieder auch die Bearbeitungszeit für Arbeitsvisa und Arbeitserlaubnisse für Nicht-EU-Bürger. Dieses Schneckentempo raubt Arbeitgebern nicht nur Zeit und Geld, sondern kostet letztlich auch den Fiskus Steuereinnahmen in beachtlicher Höhe: Bei einer Verzögerung von sechs Monaten, in denen eine Arbeitskraft ein monatliches Bruttogehalt von 2.800 Euro verdienen könnte, verliert ein Unternehmen z.B. 16.800 Euro an Produktivität. Falls die betreffende Person stattdessen sechs Monate Arbeitslosengeld bezieht, entstehen weitere Pro-Kopf-Kosten mindestens von 7.200 Euro für den Staat.

Außerdem braucht es, so die Fraunhofer-Expertinnen, bezahlte berufsorientierte Sprachförderprogramme, Weiterbildungs- und Beratungsangebote sowie Hilfestellung für Zuwanderer bei der Navigation durch Behörden und bei ausländerrechtlichen Fragen. Wichtig für die Betriebe der Gastwelt wäre außerdem eine Reform des Arbeitszeitgesetzes, die es den Betrieben ermöglichen würde, Teilzeit- und Schichtmodelle umzusetzen – eine Möglichkeit, die helfen könnte, weitere Arbeitskräfte zu mobilisieren, vor allem im Bereich der Mütter mit Migrationshintergrund – flexible Arbeitszeiten ermöglichen es gerade auch diesen, Familie und Job unter einen Hut zu bringen.

Unternehmen brauchen mehr Beinfreiheit und ein neuer Integrationsfonds würde helfen

„Die Parteien in Berlin sollten endlich erkennen, welch großes Integrationspotenzial unser Dienstleistungssektor besitzt, und diesen Hebel aktiv nutzen. Denn die Gastwelt kann noch mehr tun, wenn die Politik endlich einen entsprechenden Rahmen dafür setzt und uns mehr Beinfreiheit in der Praxis lässt“, so DZG-Vorstandschef Klinge. Er macht sich für eine systematische Integration stark, wie sie in Ländern stattfindet, die mit Deutschland im internationalen Wettbewerb um Arbeitskräfte stehen und für Migranten als attraktivere Gastländer gelten. Wie etwa Österreich oder Kanada, die beide jeweils ein Integrationsjahr für Geflüchtete anbieten. Unsere österreichischen Nachbarn wissen um die Bedeutung der Aufgabe: Sie haben, um Sprachkurse und Arbeitsmarktintegration zu finanzieren, eigens einen Integrationsfonds aufgelegt. „Diesen sollten wir in ähnlicher Form auch in Deutschland einführen. Die staatlichen Mittel dafür wären am Ende eine gute Investition.“

Die Studie wurde dank der freundlichen Unterstützung folgender DZG-Partner umgesetzt: METRO (Foodservice), HGK Hotel- und Gastronomie-Kauf eG (Foodservice), Shiji (Hospitality) und Dorint (Hospitality).

Die vorgestellten Ergebnisse beziehen sich auf die erste Schwerpunkt-Gruppe der Studie, Menschen mit Migrationshintergrund sowie Flüchtlinge. Alle Erkenntnisse zur zweiten Fokus-Gruppe, nämlich junge Menschen ohne Berufsabschluss in Deutschland (knapp drei Millionen Personen), werden am 14. Januar 2025 separat vorgestellt. Dzg 19

 

 

 

 

 

Was bedeutet Trumps Wahlsieg für Russland?

 

Moskau macht Fortschritte in der Ukraine. Doch eigentlich gibt es im Kreml wenig Grund zum Optimismus. Von Tatiana Stanovaya

In den letzten Monaten schien dem russischen Präsidenten Wladimir Putin das Glück hold zu sein. Die Unterstützung des Westens für die Ukraine lässt allmählich nach und direkte Verhandlungen mit Russland sind offenbar nicht länger eine abwegige Idee. Zudem setzt sich der Rechtsruck in der westlichen Politik mit Donald Trumps Sieg bei den US-Präsidentschaftswahlen nahtlos fort. Es hat den Anschein, als stünde Moskau kurz davor zu bekommen, was es will. Das ist jedoch irreführend: Die Lage Russlands ist in Wahrheit sehr viel komplizierter, als sie wirkt. Tatsächlich gibt es im Kreml wenig Grund für Optimismus.

Nach fast drei Jahren Krieg in der Ukraine bestreitet kaum jemand, dass Russland gerade die Oberhand auf dem Kriegsschauplatz hat. Die russischen Truppen kommen immer weiter voran. Sie haben nicht nur mehr Waffen und Soldaten, sondern setzen Kiew auch mit den Angriffen auf die kritische Infrastruktur unter Druck. Die Chancen einer erneuten ukrainischen Gegenoffensive scheinen minimal zu sein. Und in Russland gibt es keinerlei Anzeichen für eine politische Krise. Einfach ausgedrückt: Putin ist am Drücker.

Viele erwarten, dass Trumps Wahlsieg zu einer Wiederaufnahme der hochrangigen Kontakte zwischen Washington und Moskau führen wird. Zudem glaubt man, dass die USA die Unterstützung für die Ukraine reduzieren werden und dass es zu Uneinigkeit in der NATO kommen wird. All das läuft jedoch nicht zwangsläufig auf einen Sieg für den Kreml hinaus. Das Problem für Putin ist, dass keine westliche Führung – einschließlich Trump – einen Plan zur Beendigung des Krieges im Sinn hat, der für den russischen Staatschef annähernd akzeptabel wäre. Keine der angedachten Lösungen kommen auch nur in die Nähe der russischen Forderungen, dass die NATO die Ukraine niemals aufnehmen wird oder dass in Kiew eine pro-russische Regierung eingesetzt wird.

Auch wenn es mehrere Wege gibt, die Putin einschlagen könnte, um diese Ziele zu verfolgen und zu erreichen, scheint keiner davon wirklich erfolgversprechend. Der erste ist natürlich der militärische Weg. Aber führende Fachleute sind sich einig, dass Russland zwar zuletzt vorrücken konnte, aber nicht genug Soldaten und Ausrüstung hat, um die ukrainischen Städte einzunehmen. Alles, was Russland tun könne, sei die langsame Verschiebung der Front nach Westen, wobei es dabei hohe Verluste mache.

Der zweite Weg wäre die Kapitulation Kiews. Anders gesagt, wäre das die Ablösung von Wolodymyr Selenskij durch einen Regierungschef von fragwürdiger Legitimität, der bereit wäre, Putin das Land auf einem silbernen Tablett zu überreichen. So eine vollständige Kapitulation würde nicht nur einen Waffenstillstand beinhalten, sondern auch die Anerkennung aller russischen Forderungen, darunter die Neutralität der Ukraine, eine drastische Verkleinerung der ukrainischen Armee, eine Verfassungsänderung, um den pro-russischen Gruppen Begünstigungen einzuräumen, und natürlich der Verzicht auf Gebiete.

In der Tat versucht Moskau, sowohl die Ukrainerinnen und Ukrainer als auch den Westen davon zu überzeugen, Selenskij „abzuservieren“ und einen gefügigeren Regierungschef ins Amt zu hieven. Aber trotz all der Probleme, vor denen die Regierung in Kiew steht, weist nichts darauf hin, dass es eine spürbare Bewegung in diese Richtung geben würde. Und die Wahrscheinlichkeit, dass die politischen Verhältnisse in Kiew sich dahingehend ändern, dass die russischen Forderungen ernsthaft in Erwägung gezogen werden, scheint sehr gering.

Der dritte Weg sind größere politische Veränderungen im Westen, die dazu führen, dass die westlichen Regierungen die Ukraine dazu drängen, eine für Moskau akzeptable Regierung zu bilden. Viele glauben, dass dies das Szenario ist, auf das der Kreml jetzt setzt. Hört man jedoch zu, wie sich die westlichen Regierungen – einschließlich Trump – gerade zur Ukraine äußern, wird deutlich, dass niemand einen Regierungswechsel in Kiew auch nur erwähnt. Selbst diejenigen, die für Verhandlungen sind, wollen weder eine Kapitulation der Ukraine noch eine Marionettenregierung in Kiew.

Der Kreml bereitet die russische Bevölkerung schon seit einiger Zeit auf einen letzten Vorstoß in der Ukraine vor, mit dem ein strategischer Durchbruch gelingen soll, der zu Verhandlungen über eine Kapitulation der Ukraine führt. Sollte dies nicht bald passieren, ist Russland zu einer weiteren Mobilisierung mit allen damit einhergehenden politischen Risiken gezwungen, um eine größere Eskalation auf dem Kriegsschauplatz zu suchen. Die russischen Behörden haben immer wieder die Rekrutierungsprämien erhöht, um neue Soldaten zu verpflichten, aber der Mangel an Rekruten wird immer größer. Bei den erheblichen Verlusten an Männern und Ausrüstung wird es für Russland schon schwer, das derzeitige Vormarschtempo in der Ukraine aufrechtzuerhalten.

All das bedeutet, dass die Wahl von Trump den Kreml in eine schwierige Lage bringt. Wie Putins Sprecher Dmitri Peskow bereits äußerte, werden die russischen Verantwortlichen genau beobachten, was der designierte Präsident macht. Sie werden Trumps erste Schritte abwarten, um zu sehen, ob das Gerede von der „günstigen Gelegenheit“ zu etwas führt oder nicht.

Theoretisch könnte dieses Abwarten bedeuten, dass Russland auf eine weitere Eskalation verzichtet. Der Kreml könnte sogar den Druck auf Kiew verringern, um ein Zeichen zu setzen, dass er für neue Ideen offen ist. Aber es gibt auch viele in der russischen Politik, die es für Zeitverschwendung halten, auf Trumps Aktionen zu warten. Sie sind der Meinung, dass Russland seinen derzeitigen Vorteil im Kriegsgeschehen nicht für leere Versprechungen über Gespräche mit Washington aufs Spiel setzen sollte. Denn ihrer Logik zufolge gehen im politischen Establishment der USA sowieso immer die Hardliner als Sieger hervor.

Im Endeffekt hängt Russlands Siegesstrategie – genau wie die der Ukraine – von Prozessen ab, über die es keine Kontrolle hat. Von daher schwankt Russland zwischen der Möglichkeit eines Waffenstillstands und weiterer militärischer Eskalation hin und her. Jeder falsche Schritt Moskaus geht mit enormen Risiken einher, etwa zu einer neuen Mobilisierung gezwungen zu sein, zu radikaleren Maßnahmen greifen zu müssen, um die Kontrolle im Inland zu bewahren, oder gar die direkte Konfrontation mit NATO-Soldaten. Trotz der aktuellen Fassungslosigkeit über Trumps Wahlsieg hat der Westen immer noch eine maßgebliche Rolle bei der Entscheidung über die Zukunft der Ukraine zu spielen. IPG 19

 

 

 

 

 

 

Ringen um Lösungen. G20 zwischen globalem Hunger und Steuer für Superreiche

 

Vom globalen Hunger bis zur Steuer für Superreiche: In Rio ringen die G20-Staaten um Einigkeit. Gastgeber Brasilien will mutige Beschlüsse – doch Dauerkonflikte drohen die Agenda zu überschatten. Von Stella Venohr

Brasilien will auf dem G20-Gipfel in Rio de Janeiro den Kampf gegen den Hunger und den Klimawandel sowie die Besteuerung von Superreichen vorantreiben. Doch es werden wohl wieder geopolitische Konflikte sein, die die Gespräche dominieren. Die wichtigsten Fragen und Antworten zum Treffen der Staats- und Regierungschefs der 20 wichtigsten Industrie- und Schwellenländer:

Welche Themen werden bei dem Gipfel besprochen?

Ein zentrales Thema bei dem zweitägigen Treffen ist der Kampf gegen den weltweiten Hunger. Brasiliens Präsident Luiz Inácio Lula da Silva möchte die „Globale Allianz gegen Hunger und Armut“ auf den Weg bringen.

Ziel ist es, Initiativen zur Steigerung der Lebensmittelproduktion und zur Bekämpfung von Hunger voranzutreiben. Als Vorbild dienen auch Maßnahmen der Politik Lulas in Brasilien. Dazu zählen Programme für arme Familien und Mikrokredite für Kleinbauern.

Deutschland, die USA sowie die EU haben ihre Unterstützung für die Allianz bereits zugesagt. „Zunächst einmal werden wir auf nationaler Ebene die erste Strategie zur Armutsbekämpfung in der EU entwickeln, aber auch auf globaler Ebene werden wir uns engagieren“, sagte Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen dem brasilianischen TV-Sender Globonews vor Beginn des Gipfels.

Hunger gehört weltweit zu einem der größten Fluchtursachen. Millionen Menschen sind aufgrund von Armut gezwungen, ihre Heimat zu verlassen und ihr Glück woanders zu suchen, um dem Tod durch Verhungern zu entkommen.

Was könnte noch in der Gipfel-Erklärung stehen?

Auch ein Umbau des internationalen Systems gehört zu den erklärten Zielen der brasilianischen G20-Präsidentschaft. Lula versteht Brasilien als Sprachrohr des globalen Südens und will den Schwellenländern mehr Gehör verschaffen.

Lula will auch eine Einigung der Länder auf einen Rahmen für eine Vermögenssteuer für Superreiche erreichen. Die G20-Finanzminister hatten sich im Juli bereits in einer gemeinsamen Erklärung darauf geeinigt, sich für eine wirksame Besteuerung der Superreichen einzusetzen.

Die Idee spaltete jedoch schon damals die G20-Staaten. Während etwa Frankreich, Spanien und Südafrika ihre Unterstützung zum Ausdruck brachten, sind die USA dagegen. Es ist fraglich, ob es ein Passus zur Vermögenssteuer in die Abschlusserklärung schaffen wird.

Die G20 fassen bei ihren Gipfeltreffen in der Regel gemeinsame Beschlüsse der Staats- und Regierungschefs, die zwar rechtlich nicht bindend sind, politisch aber trotzdem eine starke Signalwirkung haben.

Wie steht es um das Thema Klimaschutz?

Für Gastgeber Lula hat das Anliegen hohen Stellenwert, er schreibt sich seit Amtsantritt Klimaschutz auf die Fahne. Eine der drei Arbeitssitzungen ist der nachhaltigen Entwicklung und Energiewende gewidmet. Von den G20 könnte ein Signal ausgehen – in beide Richtungen, positiv wie negativ – für die weiteren Verhandlungen bei der aktuell parallel laufenden Weltklimakonferenz (COP29) im aserbaidschanischen Baku, bei der die Verhandlungen bislang äußerst zäh laufen.

Mit US-Präsident Joe Biden hat Lula einen Mitstreiter an der Seite. Letzterer ist aber nur noch wenige Wochen im Amt. Sein designierter Nachfolger Donald Trump will verstärkt Öl fördern und hatte sich in seiner ersten Amtszeit vom Pariser Klimaabkommen abgewendet. Auch Argentinien wird in Rio mit am Tisch sitzen und es wird befürchtet, dass das Land aus dem internationalen Pariser Klimaschutzabkommen aussteigen könnte.

Trump ist also nicht beim G20-Gipfel dabei?

Nein. Bis zur Amtseinführung im Januar ist Joe Biden Präsident der USA. Der Republikaner und die Erwartungen an seine Amtszeit werden aber sicherlich immer wieder am Gipfel eine Rolle spielen. Trump setzt in der Außenpolitik auf Isolationismus und „America First“ – Kooperation und Kommunikation auf Augenhöhe gehören nicht zu seinem Politikstil. Die anderen G20-Mitglieder werden sich darauf vorbereiten müssen.

Mit großem Interesse wird etwa die Haltung der USA zur Ukraine nach der Rückkehr von Trump ins Weiße Haus erwartet. Er hat angekündigt, den russischen Angriffskrieg innerhalb kurzer Zeit zu beenden und deutlich gemacht, dass die US-Militärhilfe für Kiew bald austrocknen dürfte.

Russland ist G20-Land. Kommt Wladimir Putin?

Nein. Der russische Präsident hat abgesagt und schickt Außenminister Sergej Lawrow als Vertretung – wie schon in den vergangenen beiden Jahren nach der russischen Invasion in die Ukraine. Die G20-Gruppe der führenden Wirtschaftsmächte aller Kontinente ist das einzige Gesprächsformat, in dem Russland und die Nato-Staaten noch mit hochrangigen Vertretern an einem Tisch sitzen.

Bundeskanzler Olaf Scholz plant dort kein Gespräch mit Lawrow, wird nach Angaben aus seinem Umfeld aber mit dem chinesischen Präsidenten Xi Jinping über den Ukraine-Krieg sprechen, der als wichtigster Verbündeter Putins gilt.

Putin selbst hat seine Teilnahme am Gipfel abgesagt, um nicht „die normale Arbeit des Forums zu stören“, das andere Themen habe. Gegen ihn liegt ein internationaler Haftbefehl des Weltstrafgerichts in Den Haag vor, weil ihm Kriegsverbrechen in der Ukraine zur Last gelegt werden. Daher würde Putin in Brasilien eine Festnahme riskieren.

Die Ukraine gehört nicht zur G20. Der ukrainische Präsident Wolodymyr Selenskyj wurde von den brasilianischen Gastgebern auch nicht als Gast nach Rio eingeladen. (dpa/mig 19)

 

 

 

 

 

Die zersetzende Kraft der Inflation

 

Kriege, Klimawandel, Pandemie: Krisen sind die neue Normalität und heizen die Preise an. Wo bleibt der wirtschaftliche Katastrophenschutz? Isabella M. Weber

Arbeitslosigkeit schwächt Regierungen. Inflation bringt sie zu Fall. Das hat mir einmal ein Regierungsbeamter aus Brasilien gesagt. Aber reiche Länder wie die Vereinigten Staaten haben die politische Zerstörungskraft der Inflation aus dem Blick verloren. Mit den herkömmlichen politischen Instrumenten waren wir nicht ausreichend vorbereitet, und die Biden-Regierung reagierte zu langsam. Donald Trumps Wiederwahl sollte demokratischen Regierungen eine Warnung sein.

In diesen Zeiten, in denen die Katastrophen – Wirbelstürme, Ausbruch der Vogelgrippe, zwei regionale Kriege – sich gegenseitig überlagern, gehören gefährdete Lieferketten mittlerweile zum Alltag. Jede Bedrohungslage bringt das Risiko einer Inflation und eine Destabilisierungsgefahr für Regierungen mit sich. Solche Krisensituationen sind die neue Normalität, und wenn überhaupt etwas aus dem Wahlergebnis in den USA gelernt werden muss, dann dies: Wir müssen neue Wege finden, um unsere Gesellschaft und Demokratie zu schützen.

Eines der drängendsten Probleme, die es zu lösen gilt, ist, dass viele Wirtschaftszweige inzwischen von Großkonzernen beherrscht werden, die aus diesen Einmalereignissen Profit schlagen können. In einem demnächst erscheinenden Artikel haben mehrere Co-Autoren und ich mit Hilfe von KI und natürlicher Sprachverarbeitung mehr als 130 000 „Earnings Calls“ (Webcasts zu den Quartalsberichten) börsennotierter US-Unternehmen analysiert und festgestellt, dass Unternehmen koordiniert die Preise erhöhen können, sobald es zu Kostenschocks kommt. Dadurch konnten Unternehmen die Auswirkungen der externen Schocks, die durch die Corona-Pandemie und den Krieg in der Ukraine verursacht wurden, im Großen und Ganzen weitergeben oder verstärken. Mit anderen Worten: Die plötzliche Nachricht von Kostenschocks wie dem Ausbruch einer Pandemie oder eines Krieges eröffnet Unternehmen einen größeren Spielraum, sektorübergreifend Preiserhöhungen zu koordinieren, weil sie wissen, dass ihre Konkurrenten mit hoher Wahrscheinlichkeit dasselbe tun werden.

Skeptiker wenden ein, die Konzernkonzentration sei schon vor der Pandemie hoch gewesen und dennoch hätten dieselben mächtigen Unternehmen die Preise über viele Jahre stabil gehalten – obwohl die Zinssätze nahe Null lagen. Der Grund dafür war: Wenn ein Unternehmen sich unter normalen Umständen für eine Preiserhöhung entscheidet, ohne zu wissen, ob seine Konkurrenten nachziehen werden, läuft es Gefahr, Marktanteile an die Konkurrenz zu verlieren. So sah die Welt vor der Pandemie aus. Die Globalisierung hatte die effizientesten Just-in-Time-Produktionsnetzwerke aller Zeiten hervorgebracht, und unter dem Druck des Wettbewerbs hielten selbst Riesenkonzerne die Preise größtenteils stabil.

Wenn aber Lieferengpässe entstehen, kommt das gesamte Räderwerk zum Stillstand. Jeder, der etwas produziert, kann natürlich nur eine begrenzte Anzahl an Produkten herstellen. Das bedeutet: Selbst wenn ein Unternehmen die Preise anhebt, können die Wettbewerber nicht einfach ihr Angebot erhöhen, um ihm seine Marktanteile streitig zu machen. Außerdem weiß jedes Wirtschaftsunternehmen, dass die logische Reaktion auf einen Preisschock eine Preiserhöhung ist. Preiserhöhungen sind jetzt eine sichere Sache und für Unternehmen, die auf Gewinnmaximierung ausgerichtet sind, eine rationale Konsequenz.

Im Zuge der Corona-Krise gelang es den meisten Unternehmen, ihre höheren Kosten an die Verbraucher weiterzugeben und ihre Gewinnspannen zu halten, wobei einige Konzerne ihre Margen sogar noch steigern konnten. Selbst wenn Unternehmen nach einem Kostenschock ihre Gewinnmargen lediglich stabil halten, steigen ihre Gewinne. Das leuchtet ein, wenn man sich klarmacht, dass für ein teureres Haus auch dann höhere Maklergebühren anfallen, wenn die prozentualen Konditionen dieselben sind. Konzernchefs wissen um diesen Sachverhalt. Genau deshalb konnten wir feststellen, dass bei großen Kostenschocks, die die gesamte Wirtschaft treffen, Führungskräfte durchaus optimistisch klingen.

Massive Schocks können für die direkt betroffenen Sektoren sogar eine gute Nachricht sein. Nehmen wir das Beispiel Öl. Als die Nachfrage über Nacht einbrach, weil die Menschen während der Lockdowns zu Hause blieben, waren die Fossilbrennstoffunternehmen plötzlich mit einem nie dagewesenen Nachfrageeinbruch konfrontiert und schlossen einige ihrer kostenintensivsten Ölfelder und Raffinerien. Als die Nachfrage sich wieder erholte, kam es deshalb zu einer Verknappung, die zu Rekordmargen führte. In einem weiteren demnächst erscheinenden Artikel gehen meine Co-Autoren und ich davon aus, dass die amerikanischen Aktionäre börsennotierter Öl- und Gasunternehmen 2022 Nettoerträge von 301 MilliardenUS-Dollar verbuchen konnten – eine Versechsfachung gegenüber dem Durchschnitt der vier Jahre vor der Pandemie. Die Gewinne aus dem Öl- und Gassektor überstiegen in diesem Jahr auch die Investitionen der USA in die kohlenstoffarme Wirtschaft in Höhe von 267 Milliarden Dollar.

Öl ist grundsätzlich ein Sektor mit Boom-Bust-Zyklen, aber in Krisenzeiten können wir uns so extreme Gewinnsprünge nicht leisten. Sie stützen einen Sektor, der zurückgefahren werden muss, um den Klimawandel einzudämmen. Zudem verstärken sie die Ungleichheit. Laut unserer neuen Studie strich das reichste Prozent der Bevölkerung 2022, als die Preise für fossile Brennstoffe ihren Höchststand erreichten, durch Aktienbeteiligungen und private Unternehmensbeteiligungen 51 Prozent der Öl- und Gasgewinne ein. Die weniger Wohlhabenden mussten mit einer höheren Inflation zurechtkommen und bekamen nur einen kleinen Teil der Übergewinne aus dem Öl- und Gasgeschäft ab.

Ohne eigenes Verschulden sind Arbeitnehmer und Arbeitnehmerinnen die Leidtragenden. Selbst wenn ihre Löhne sich irgendwann angleichen, geraten sie finanziell in Bedrängnis und fühlen sich vor allem betrogen. Das ist der Grund, warum die Anbieterinflation die wirtschaftliche Ungleichheit und die politische Spaltung, die ohnehin schon die Demokratie bedrohen, noch verschärft.

Präsident Joe Biden ergriff einige unkonventionelle Maßnahmen zur Inflationsbekämpfung – unter anderem die neuen Leitlinien des Kartellrechts, die sich gegen zu große Unternehmensmacht richten, und die Erhöhung des Ölangebots durch die Freigabe der strategischen Erdölreserve. Das war eine wichtige Abkehr von der bisherigen Politik, aber die Maßnahmen waren nur punktuell und retroaktiv. Das wichtigste politische Steuerungsinstrument war nach wie vor die Erhöhung der Zinssätze. Drastische Zinserhöhungen führten zu einer Verschärfung der Immobilienkrise und zur Verschlimmerung der Schuldenkrise für Länder des Globalen Südens. Sie trieben die Kosten für Investitionen, die zur Bewältigung der Klimakrise dringend benötigt werden, in die Höhe.

Die wirtschaftliche Stabilisierung war früher fester Bestandteil der Katastrophenvorsorge. Es ist an der Zeit, sie wieder mit einzubeziehen. So wie nach der globalen Finanzkrise einige Banken als „too big to fail“ galten, müssen wir jetzt einige andere Sektoren als „too essentialto fail“ einstufen. In essenziellen Sektoren sollte von einer reinen Effizienzlogik zu strategischen Redundanzen übergegangen werden. Das erfordert politisches Handeln.

Häfen und andere kritische Infrastrukturen sollten ausreichende Reservekapazitäten und gut bezahlte Arbeitskräfte vorhalten, damit der Betrieb bei Bedarf hochgefahren werden kann. Die Strategische Erdölreserve (Strategic Petroleum Reserve, SPR), ein staatlicher Ölpuffer, muss systematisch dafür genutzt werden, bei abstürzenden Preisen zu kaufen und bei explodierten Preisen zu verkaufen, um auf diese Weise Preisextreme zu vermeiden. Öl sollte bei zu geringer Nachfrage auf dem freien Markt gekauft werden, damit die Preise nicht einbrechen, und bei drohender Unterversorgung verkauft werden, um eine Preisexplosion zu verhindern. Solche antizyklischen Käufe und Verkäufe von Pufferbeständen auf den Rohstoffmärkten funktionieren nach demselben Prinzip wie die Offenmarktgeschäfte der Zentralbanken auf den Geldmärkten.

Einfach nur Ölvorräte freizugeben, wenn die Preise in die Höhe schießen, greift zu kurz. Die Erfahrungen während der Pandemie lehren, dass ein Preisverfall zu einem plötzlichen Rückgang der Produktionskapazitäten führen kann, was wiederum zu drastischen Preissteigerungen führt, sobald die Nachfrage wieder anzieht. Und noch eine weitere Lehre lässt sich ziehen: Auf globalen Märkten ist es sinnvoll, Stabilisierungsmaßnahmen international zu koordinieren – wie es die Internationale Energieagentur für ihre Mitgliedstaaten getan hat. Und in den Bereichen, in denen Terminmärkte existieren, können die Pufferbestände Termingeschäfte kaufen, wenn die Preise fallen, und sie bei steigenden Preisen verkaufen, um für Stabilisierung zu sorgen.

Eine antizyklische Preisstabilisierung durch Pufferbestände ist nicht nur für Öl wichtig. Es braucht sie auch für kritische Mineralien, um Anreize für Investitionen in die grüne Lieferkette zu schaffen, und für Grundnahrungsmittel wie Getreide, damit starke Rohstoffpreisschwankungen infolge von Extremwetterereignissen vermieden werden können. Zusätzlich zur Bevorratung mit lebensnotwendigen Gütern brauchen wir außerdem Maßnahmen, mit denen staatliche und private Interessen auf das Ziel der Krisenfestigkeit ausgerichtet werden. Solange Unternehmen in Katastrophenzeiten mit steigenden Gewinnen rechnen, weil Versorgungsengpässe drohen, können wir nicht davon ausgehen, dass sie sich im bestmöglichen Interesse der Allgemeinheit auf Notfälle vorbereiten. Gesetze gegen Preistreiberei und Übergewinnsteuern sind hier relevante politische Instrumente.

Die wichtigste Hauptaufgabe bleibt natürlich die Bekämpfung der Ursachen von Krisensituationen. Das ist vor allem in Zeiten des Klimawandels eine Mammutaufgabe. Einstweilen braucht es ein systemisches Gesamtpaket von Puffervorräten, Regulierungen und Notfallgesetzen. Ohne diesen wirtschaftspolitischen Katastrophenschutz sind die Lebensgrundlagen der Menschen und der Ausgang von Wahlen auch dem nächsten Schock schutzlos ausgeliefert. TNYT/IPG 19

 

 

 

 

 

Suche nach gangbaren Wegen zum Frieden für die Ukraine

 

Eine Reflexion tausend Tage nach Beginn des Konflikts in der Ukraine – von unserem Chefredakteur Andrea Tornielli.

Tausend Tage. Tausend Tage sind seit dem 24. Februar 2022 vergangen, als die Armee der Russischen Föderation auf Befehl von Präsident Wladimir Putin die Ukraine angriff und dort einmarschierte. Tausend Tage und eine unbestimmte - aber sehr hohe - Zahl von Toten, Zivilisten und Militärs, von unschuldigen Opfern wie Kindern, die auf den Straßen, in Schulen und in ihren Häusern getötet wurden. Tausend Tage und Hunderttausende von Verwundeten und Traumatisierten, die ein Leben lang behindert bleiben werden, Familien, die obdachlos geworden sind. Tausend Tage und ein gemartertes und verwüstetes Land. Nichts kann diese Tragödie rechtfertigen, die schon früher hätte gestoppt werden können, wenn alle auf das gesetzt hätten, was Papst Franziskus die „Friedenspläne“ nannte, anstatt sich der vermeintlichen Unausweichlichkeit des Konflikts zu ergeben. Ein Krieg, der wie jeder andere immer von Interessen begleitet wird, in erster Linie von dem einzigen Geschäft, das keine Krise kennt und auch während der jüngsten Pandemie nicht kannte, dem globalen und transversalen Geschäft derjenigen, die sowohl im Osten als auch im Westen Waffen herstellen und verkaufen.

Der traurige Markierungspunkt von eintausend Tagen seit Beginn der militärischen Aggression gegen die Ukraine sollte nur eine einzige Frage aufwerfen: Wie kann dieser Konflikt beendet werden? Wie kann man einen Waffenstillstand und dann einen gerechten Frieden erreichen? Wie können Verhandlungen zustande kommen, jene „ehrlichen Verhandlungen“, von denen der Papst kürzlich sprach, die es ermöglichen würden, „ehrenhafte Kompromisse“ zu erzielen und einer dramatischen Spirale ein Ende zu setzen, die uns in den Abgrund eines Atomkriegs zu ziehen droht?

Man kann nicht so tun, als ginge einen das nichts an. Das Enzephalogramm der Diplomatie scheint flach zu sein, das einzige Aufflackern von Hoffnung scheint in den Aussagen des neuen Präsidenten der Vereinigten Staaten von Amerika zu liegen. Aber der Waffenstillstand und dann der ausgehandelte Frieden sind ein Ziel, das von allen verfolgt wird - oder besser gesagt werden sollte - und nicht den Versprechungen eines einzelnen Führers überlassen werden kann.

Was ist also zu tun? Wie kann insbesondere Europa wieder eine Rolle spielen, die seiner Vergangenheit und den Führern würdig ist, die nach dem Krieg eine Gemeinschaft der Nationen aufgebaut und dem alten Kontinent Jahrzehnte des Friedens und der Zusammenarbeit garantiert haben? Der so genannte Westen sollte, anstatt sich nur auf das verrückte Wettrüsten und die Militärbündnisse zu konzentrieren, die heute überholt und ein Erbe des Kalten Krieges zu sein scheinen, vielleicht die wachsende Zahl von Nationen berücksichtigen, die sich in diesem Schema nicht wiedererkennen.

Es gibt Länder, die ihre Beziehungen zu Russland auf hoher Ebene aufrechterhalten und sogar intensiviert haben: Warum sollten sie nicht gründlich die Möglichkeiten für gemeinsame Friedenslösungen prüfen? Warum nicht diplomatische Maßnahmen und einen ständigen Dialog durch nicht sporadische, nicht bürokratische, sondern intensive Konsultationen mit diesen Ländern entwickeln? Und wenn sich die europäischen Regierungen schwertun, diesen Weg zu beschreiten, ist es dann möglich, eine größere Rolle für die Kirchen, für die religiösen Führer ins Auge zu fassen? Darüber hinaus würde man von den Ländern, die die Ukraine finanziell und militärisch unterstützen, neben den offiziellen Kontakten, die im Übrigen minimal sind, eine größere Initiative der Analyse und des Vorschlags erwarten: Es besteht ein dringender Bedarf an internationalen „Denkfabriken“, die fähig sind, etwas zu wagen, mögliche und konkrete Lösungswege aufzuzeigen und Pläne für einen für alle akzeptablen Frieden vorzuschlagen. Dazu bedarf es, wie Kardinal Parolin vor den Vatikanmedien sagte, „weitsichtiger Staatsmänner, die zu mutigen Gesten der Demut fähig sind und an das Wohl ihrer Völker denken“. Niemals mehr als an diesem Tag ist es notwendig, dass die Völker ihre Stimme erheben, um Frieden zu fordern. Andrea Tornielli, vn 18

 

 

 

 

 

Wiesbaden, agah-Landesausländerbeirat hat einen neuen Landesvorstand

 

Die Arbeitsgemeinschaft der Ausländerbeiräte Hessen –Landesausländerbeirat (agah) hat am vergangenen Wochenende ihren Vorstand neu gewählt.

Am Samstag, den 16.11.2024 wurde Herr Enis Gülegen (Frankfurt/Main) als

agah-Vorsitzender bestätigt. Weiterhin wurden in der agah-Delegiertenversammlung in Mühlheim am Main bekannte und neue Gesichter

wie Natalia Bind (Oberursel), Dr. Evelina Tolpina (Eschwege), Samer Aboutara

(Friedrichsdorf), Sarantis Biscas (Ausländerbeirat Neu-Isenburg), Hüsamettin

Eryilmaz (Mühlheim/Main) und Furkan Aktas (Haiger) als stellvertretende agah-Vorsitzende gewählt.

Als wiedergewählter Vorsitzender des Landesausländerbeirats (agah) bedankt

sich Enis Gülegen – auch im Namen aller Vorstandskolleg*innen – bei allen

hessischen Ausländerbeiräten ganz herzlich.

„Die Wahlbeteiligung am 16.11.2024 war erfreulicher Weise sehr hoch“, erklärte Gülegen heute in Wiesbaden. „Dieses große Interesse bestärkt uns als Vorstand in unserer bisherigen Arbeit und zeigt auf, welche politischen Herausforderungen in den nächsten Jahren auf uns warten. Die Wahlen der Ausländerbeiräte im Jahre 2026 wird dabei ganz bestimmt im Fokus unserer Arbeit sein“, so Gülegen weiter.

Der agah-Vorstand freut sich nun auf die Fortsetzung der guten Zusammenarbeit

mit allen hessischen Ausländerbeiräten, der hessischen Landesregierung und

allen weiteren Akteur*innen.

„Die Aufgaben, die vor uns liegen, sind sehr groß und bedeutsam. Für die

Stärkung der partizipativen Demokratie lohnt sich jede Mühe. Wir werden sie

gemeinsam angehen“, so Gülegen abschließend.

Der Landesausländerbeirat (agah) ist der Dachverband von über 80 gewählten

kommunalen Ausländerbeiräten in Hessen. Zu ihren Aufgaben gehören u.a. die

politische Interessenvertretung von Menschen mit Migrationsgeschichte auf

Landesebene, die Koordination und Unterstützung der Arbeit der kommunalen

Ausländerbeiräte und der Einsatz für mehr Chancengleichheit, gegen

Diskriminierung und Rassismus. Agah 18

 

 

 

 

 

Hessen. Resolution der agah-Delegiertenversammlung am 16.11.2024 in Mühlheim a.M.

  

Die Delegierten der kommunalen Ausländerbeiräte Hessens stellen fest:

* Der vorliegende Gesetzentwurf wird bezüglich der die Ausländerbeiräte und Integrationskommissionen betreffenden Inhalte den Aussagen der schwarz-roten Koalitionsvereinbarung nicht gerecht.

* Die beabsichtigte Änderung des § 89 HGO mit dem Ziel, die Integrationskommissionen auf ein Minimum zu verkleinern, ist integrationspolitischer Rückschritt und Bankrotterklärung zugleich!

* Die erwartbare Reduzierung der Zahl von „sachkundigen Einwohnern“ auf zwei zementiert das Ungleichgewicht in der Zusammensetzung der Integrationskommissionen zu Gunsten von Mandats- und Funktionsträgern.

* Der „Betroffenen-Perspektive“ wird nur rudimentäre Bedeutung beigemessen. Die Möglichkeit der politischen Teilhabe für Menschen mit Zuwanderungsgeschichte reduziert sich faktisch erheblich!

* Statt einer Aufwertung und Ausweitung von Partizipationsangeboten erfolgt sehenden Auges deren Abbau! In Zeiten eines mittlerweile fest etablierten Rechtsextremismus in Gesellschaft und Politik sowie angesichts der AfD-Wahlerfolge ein fatales Signal!

* Erneut wurde die Chance vertan, im Rahmen einer HGO-Änderung die zahlreichen Vorschläge der hessischen Ausländerbeiräte zu deren Weiterentwicklung und Modernisierung aufzugreifen. Diese Ignoranz ist unerträglich!

* Die Verankerung der Briefwahl und die Möglichkeit, dass zukünftig auch wohnsitzlose Menschen an den Ausländerbeiratswahlen teilnehmen können, als Fortschritt zu verkaufen, ist nicht nur durchsichtig, sondern auch infam.  Agah 19

 

 

 

 

 

 

Ein Jahr Fachkräftegesetz. Bundesregierung sieht Erfolg bei Einwanderung von Fachkräften

 

Der Kampf gegen den Fachkräftemangel läuft auf Hochtouren. Das Gesetz ist bereits ein Jahr alt. Bundesinnenministerin Faser zieht ein erstes Fazit: Die Zahl der sozialversicherungspflichtig Beschäftigten steigt – dank Ausländer. Und das Interesse sei weiter hoch.

Ein Jahr nach der Gesetzesreform zur Fachkräfteeinwanderung sieht die Bundesregierung erste Erfolge. Seit November 2023 seien nach vorläufigen Zahlen etwa 200.000 Visa zu Erwerbszwecken erteilt, teilten das Innenministerium, das Auswärtige Amt und das Arbeitsministerium am Sonntag mit. Im Vergleich zum Vorjahr (177.578) sei dies ein Anstieg um über zehn Prozent. „Wir sorgen dafür, dass wir die Arbeits- und Fachkräfte gewinnen, die unsere Wirtschaft seit Jahren dringend braucht“, erklärte Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD).

Besonders erfreulich sei das große Interesse von Menschen, die in Deutschland studieren, eine Berufsausbildung machen oder ihren ausländischen Abschluss anerkennen lassen wollen, erklärten die Ministerien. Die Visazahlen seien in diesem Bereich um über 20 Prozent bei Studierenden aus Drittstaaten, um zwei Drittel bei Auszubildenden und um knapp 50 Prozent bei Maßnahmen zur Anerkennung ausländischer Berufsqualifikationen gestiegen.

Das Gesetz wirke, erklärte Bundesarbeitsminister Hubertus Heil (SPD), „die Visaerteilung und die Beratungsgespräche im Ausland sind auf Rekordniveau“. Die deutschen Betriebe suchten händeringend fleißige Hände und kluge Köpfe. Anfang November hatte bereits die Bundesagentur für Arbeit (BA) mitgeteilt, dass die Zahl der Beratungen für Interessentinnen und Interessenten aus dem Ausland gestiegen sei.

Mehr Beschäftigte Danke Ausländer

Das Fachkräfteeinwanderungsgesetz ist seit November 2023 schrittweise in Kraft getreten. Es erleichtert die Einwanderung aus Nicht-EU-Staaten und ermöglicht etwa eine Einreise zur Jobsuche oder die Aufnahme einer Arbeit ohne einen zuvor durch Deutschland anerkannten Berufsabschluss. Ziel ist es, die Zahl aus dem Ausland kommender Arbeitskräfte deutlich auf bis zu 400.000 pro Jahr zu erhöhen.

Laut der Bundesregierung ist die sozialversicherungspflichtige Beschäftigung in den vergangenen fünf Jahren insgesamt um 1,6 Millionen gestiegen (Dezember 2023 gegenüber Dezember 2018). Dabei ist der Anstieg zu 89 Prozent auf Ausländer (1,45 Millionen) zurückzuführen (dazu zählen EU-Bürgerinnen und Bürger sowie Drittstaatsangehörige). Davon geht über die Hälfte des Anstiegs auf Drittstaatsangehörige zurück (995.000). Von Dezember 2022 bis Dezember 2023 ist die Zahl Ausländerinnen und Ausländer mit sozialversicherungspflichtiger Beschäftigung um 290.000 gestiegen. (epd/mig 18)

 

 

 

 

Italien auf dem Teller: so schmeckt das Bel Paese

 

Essen und Trinken gehören zu Italien wie der Strand zum Meer: Jede der 20 italienischen Regionen verfügt über lokale Spezialitäten, einzigartige Gerichte und eine nahezu unbegrenzte Rezepte-Vielfalt.

Italien steht für einzigartige Kulturschätze, atemberaubende Landschaften und facettenreiche Kunststädte. Darüber hinaus beeindruckt das Bel Paese mit seiner weltbekannten Kulinarik, die so vielfältig wie das Land selbst ist. Ob klassische Pizza Margherita, Risotto alla Milanese oder cremiges Tiramisu – die Traditionsgerichte verkörpern das Dolce Vita perfekt. Entdecken Sie, welche kulinarischen Highlights Italien zu bieten hat und worauf Sie in Ihrem nächsten Urlaub keinesfalls verzichten sollten.

Kulinarische Vielfalt und weltbekannte Qualität

Zu den italienischen Traditionsgerichten reihen sich unzählige heimische Spitzenprodukte, die in den Küchen Italiens nicht fehlen dürfen: So zum Beispiel hochwertiges natives Olivenöl, Balsamico-Essig, Pesto Genovese, Trüffel aus Alba, Prosciutto, Mozzarella di Bufala DOP oder die legendären Zitronen von der Amalfiküste - die Produkte stehen nicht nur für jahrhundertelange Tradition, sondern vor allem für die Qualität Italiens. Über 500 italienische Weine sind mit DOCG, DOC oder IGT - zertifiziert und mehr als 300 Lebensmittel tragen das Siegel der geschützten Ursprungsbezeichnung oder geschützten geografischen Angabe, die garantieren, dass die Nahrungsmittel ausschließlich im Herkunftsland hergestellt worden sind.

Die »Woche der italienischen Küche in der Welt«

Jedes Jahr im November wird die authentische italienische Küche im Rahmen der »Settimana della Cucina Italiana nel Mondo« weltweit zelebriert: zahlreiche Veranstaltungen wie Workshops, Degustationen und Kochkurse präsentieren das Beste der italienischen Küche. Das Motto »Mediterranean Diet and Cuisine of the Origins: Health and Tradition« der diesjährigen Ausgabe von 16. – 22. November unterstreicht die wichtige Rolle der UNESCO-geschützten Mittelmeerdiät »Dieta mediterranea«, die für einen gesunden, nachhaltigen Ernährungsstil steht und auf der Verwendung saisonaler, lokaler Produkte basiert.

Schlemmerrouten und Genussfeste

Wer sich durch die kulinarische Vielfalt von Italien kosten möchte, braucht nicht lange zu suchen: Landauf und landab finden sich Hinweisschilder, die auf »Strade del Gusto« im Zeichen von Speis und Trank aufmerksam machen. Namen wie Strada del Prosciutto, Strada del Riso Piemontese, Strada del Radicchio Rosso oder Strada dei Formaggi delle Dolomiti, die Käsestraße in den Dolomiten, lassen die Herzen von Feinschmeckern höherschlagen.

In ganz Italien feiert man zudem je nach Jahreszeit die lokalen Erzeugnisse mit speziellen Festen und Märkten, den sogenannten »sagre«. Genussmenschen haben Gelegenheit, die vielfältigen Produkte der neuen Saison zu probieren, kleine Dörfer zu entdecken und in ihren Gassen kulinarische Spezialitäten zu erleben.

Edle Tropfen und Weinstraßen

Dass zu gutem Essen auch guter Wein gehört, versteht sich in Italien von selbst. Mit einem Glas Chianti, Brunello di Montalcino, Barbera, Barolo, Prosecco di Valdobbiadene oder Lambrusco lässt es sich absolut landestypisch auf das Dolce Vita anstoßen. Ob kräftige Rotweine, frische Weißweine oder spritziger Prosecco – die Weinstraßen Italiens bieten eine Auswahl, für deren Verkostung man ausreichend Zeit einplanen sollte. Sie schlängeln sich durch malerische Weinberge und führen zu traditionsreichen Weinkellereien. Die wunderbaren Weinanbaugebiete Langhe-Roero und Monferrato im Piemont und der Proseccostraße im Veneto wurden sogar zum UNESCO-Weltkulturerbe ernannt. Enit 18

 

 

 

 

Grünen-Parteitag. Arbeitsverbote für Ausländer sollen vollständig fallen

 

Wer als Ausländer arbeitet und keine Straftaten begeht, soll grundsätzlich in Deutschland bleiben und später auch Staatsbürger werden können. Das halten die Grünen in einem Parteitagsbeschluss fest.

Nach intensiven Verhandlungen und einer kurzen strittigen Debatte haben die Grünen mit sehr großer Mehrheit beschlossen, dass Arbeitsverbote für Ausländer vollständig abgeschafft werden sollen. „Außerdem soll im Aufenthaltsrecht verankert werden, dass all jene, die hier arbeiten, eine Ausbildung machen oder studieren und sich nichts zu Schulden kommen lassen haben, hier bleiben dürfen“, heißt es in dem Antrag, der beim Bundesparteitag in Wiesbaden abgestimmt wurde.

Wer kein Aufenthaltsrecht habe und die angebotenen Chancen für einen Spurwechsel in den Arbeitsmarkt oder andere Möglichkeiten nicht nutze, müsse Deutschland dagegen verlassen. In solchen Fällen sei eine gute „Rückkehrberatung“ sinnvoll. Eine freiwillige Ausreise sei besser als eine Abschiebung, denn wer ohne eine Perspektive oder eine Idee für eine eigene Zukunft anderswo abgeschoben werde, sei oft schnell wieder da.

Die Grünen hielten weiter fest: „Doch besonders bei schweren Straftätern oder religiösen Extremisten muss der Rechtsstaat hart durchgreifen.“ Und: „Unser Rechtsstaat muss alle Möglichkeiten ausschöpfen, um zu verhindern, dass von diesen Menschen weiterhin eine Gefahr ausgeht.“

Migration kein Problem

Mehrere Delegierte wiesen in ihren Redebeiträgen auf den Wert von Migration hin. Diese sei nicht das Problem, sagte etwa Helge Piepenburg aus dem Kreisverband Schaumburg. „Fehlende Integration, das ist ein Problem.“

Dass die Debatte am späten Samstagabend recht knapp ausfiel, bedeutet allerdings nicht, dass es keinen Diskussionsbedarf gegeben hätte. Wie bei Parteitagen üblich, wurden die allermeisten Änderungsanträge „wegverhandelt“ – sie standen also nicht mehr zur Abstimmung, sondern wurden abgeändert, zurückgezogen oder im Original in den Antrag übernommen. (dpa/mig 18)

 

 

 

 

 

Gesetzliche Neuregelungen. Was ändert sich im Dezember 2024?

   

Schwangere werden vor Gehsteigbelästigung durch Abtreibungsgegner geschützt. Verbraucherinnen und Verbraucher müssen bei einem Produktrückruf besser informiert werden. USB-C-Kabel werden für Smartphones, Tablets und andere Geräte zur Pflicht.

      

Mehr Schutz für Schwangere und Ärzte

Wer Schwangere vor Beratungsstellen und Arztpraxen belästigt, dem kann ein Bußgeld von bis zu 5.000 Euro drohen. Gleiches gilt, wenn jemand Ärztinnen und Ärzte, die Schwangerschaftsabbrüche vornehmen, bei ihrer Arbeit behindert. Die Belästigung wird als Ordnungswidrigkeit geahndet. Dies sind Regelungen aus der Reform des Schwangerschaftskonfliktgesetzes.

Weitere Informationen zum Schwangerschaftskonfliktgesetz

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/mehr-schutz-fuer-schwangere-2255398]

 

Mehr Produktsicherheit

Mit der neuen Allgemeinen Produktsicherheits-Verordnung sollen Verbraucherinnen und Verbraucher sicherere Non-Food-Produkte erhalten. So muss zusätzlich zum bisherigen Sicherheitserfordernis ab dem 13. Dezember 2024 etwa beim Rückruf eines Verbraucherproduktes besser informiert werden. Und das unabhängig davon, ob das Produkt im Handel oder im Online-Shop erworben wird.

Weitere Informationen zur Produktsicherheits-Verordnung

[https://www.bmuv.de/themen/verbraucherschutz/sicherheit-bei-produkten/sicherheit-bei-verbrauchernahen-produkten]

 

EU-einheitliches Ladekabel kommt

Schluss mit dem Kabelchaos: Ab dem 28. Dezember 2024 wird der USB-C-Ladestandard für Smartphones, Tabletsund andere Geräte zur Pflicht. Übrigens: Das einheitliche Ladekabel gilt ab 2026 auch fürLaptops.

Weitere Informationen zum einheitlichen Ladekabel

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/einheitliches-ladekabel-2137658]

 

Frosthilfen im Obst- und Weinbau

Obst- und Weinbauern, die durch den Frost im April 2024 Teile ihrer Produktion und somit ihres Einkommens verloren haben, werden entschädigt. Die entsprechende Verordnung ist bereits am 12. November 2024 in Kraft

getreten. Damit stehenEU‑Krisenhilfen von insgesamt 46,5 Millionen Euro zielgerichtet für die betroffenen Bäuerinnen und Bauern bereit.

Weitere Informationen zu den Frosthilfen

[https://www.bmel.de/SharedDocs/Pressemitteilungen/DE/2024/128-frosthilfen.html] pib 28