WEBGIORNALE 9-22 APRILE
2018
Un rapporto del CNR. Mediterraneo: quando la demografia insegue la crescita
Mediterraneo
uguale migrazioni e instabilità. Null’altro. Tra il disinteresse di alcuni e
l’interventismo interessato di altri, e’ questa l’istantanea bidimensionale di
un’area spesso ridotta – nella percezione dei più – alla sola Sponda Sud,
stagnante o addirittura immobile. Ma una prospettiva meno superficiale rivela
qualche sorpresa, come si legge nell’ultimo ‘Rapporto sulle economie del
Mediterraneo’ curato dall’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del
Cnr e presentato in questi giorni. E così si scopre che i mutamenti demografici
e sociali vanno più veloci di quanto si pensi e che il quadro del mercato del
lavoro – analizzato in dettaglio dal direttore dell’Istituto Salvatore Capasso
e da Yolanda Pena-Boquete – presenta analogie insospettate tra le due sponde,
con una disoccupazione che in entrambi i casi colpisce i gruppi più fragili
della popolazione: giovani e donne.
Giovani e lavoro:
un’equazione che non torna
In quattro casi la
mancanza di lavoro per la fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni
supera il 45%, ma è sorprendente vedere in quali Paesi. Il primato negativo
spetta alla Bosnia-Erzegovina con il 66% di disoccupati giovani, dietro viene
la Libia (50%), tallonata dalla Spagna (49,4%) e dalla Grecia (49,2%). Sorprese
anche per ciò che riguarda il tasso di occupazione che in Italia (42,6%)
è inferiore a quello dell’ Egitto (43,1%), del Marocco (44,4%) e perfino della
Libia (43%).
Le ragioni sono
però molto diverse. E se nei Paesi più avanzati vanno ricercate nella
stagnazione delle economie o nei complicati sistemi di reclutamento della forza
lavoro, nelle economie della Sponda Sud – tutt’altro che omogenee tra di loro –
è la demografia a giocare un ruolo rilevante. Qui la crescita c’è stata, e in
alcuni casi è stata elevata, come pure il declino del tasso di fecondità
in Paesi come per esempio la Tunisia e il Marocco, ma non sono bastati a
compensare l’aumento della vita media che ha creato una classe di individui in
età lavorativa – tra i 15 e i 64 anni – sempre più ampia. In Tunisia è il 70%
della popolazione, il 67% in Marocco e il 65 % in Algeria. Percentuali che
aumenteranno da qui al 2030 con l’ipotesi di un incremento continuo della
speranza di vita – sottolinea Barbara Zagaglia, autrice del capitolo sul tema
demografico -. Tanto per fare un esempio, solo per mantenere costanti i
già bassi tassi di occupazione la Tunisia dovrà aggiungere ogni anno dai
281mila ai 392mila posti di lavoro. “Se questi obiettivi non saranno
soddisfatti, la strada della migrazione sarà assicurata”.
Migranti economici
e la paura da cancellare
Ed ecco il punto.
La pressione dei migranti ‘economici’ che viene da quest’area e
dall’Africa subsahariana, insieme alla fuga di chi scappa dalla guerra, dalla
Siria in primis, si trasforma nel peggiore degli incubi della Sponda Nord
e di un’Europa divisa tra incapacità e malafede. Soluzioni? Prima di tutto
occorre “cancellare il Mediterraneo dalle paure della nostra gente”, osserva
Romano Prodi nel dibattito al Cnr su ‘L’area mediterranea tra
disoccupazione, emigrazione e nuove opportunità di sviluppo economico’,
puntando il dito sulla “mancanza di un progetto politico per il Mediterraneo”
da parte dell’Europa che spesso si limita – e non è una semplificazione
eccessiva – a “osservare la lotta sciiti-sunniti o inter-sunnita”. “Il problema
dell’immigrazione è diventato così dominante da far sorvolare sullo sviluppo”,
aggiunge Prodi che vede una via d’uscita in “una grande politica, come
abbiamo fatto a Est”, che comprenda anche “università miste, una banca del
Mediterraneo” e, soprattutto un “mercato mediterraneo” che “sarebbe il grande
salto” anche se, ovviamente, “nessun Paese del Sud sarà membro dell’Ue”.
Punti di vista
consonanti e contraddittori
Una visione
condivisa dall’ambasciatore del Marocco in Italia Hassan Abouyoub, che
parla di “inadeguatezza e fallimento” dell’approccio utilizzato finora, nel
quale “l’unico parametro è stato l’immigrazione”, quando invece serve un
“modello che ci faccia entrare in una fase comune di governance”. La spinta può
anche venire dal’ “integrazione dei Paesi dell’area” che per l’Algeria è
una “priorità “ e il settore energetico “può esserne il motore”, secondo
l’ambasciatore algerino Abdelhamid Senouci Bereksi. È necessario “continuare le
politiche di vicinato per costruire un’economia integrata”, è l’idea di Senén Florensa
i Palau, console di Spagna a Roma.
Difficile
spiegarlo a quei membri dell’Unione arroccati in trincea, come il gruppo di
Visegrad, e a leader come il premier ungherese Viktor Orban che in piena
campagna elettorale, in vista del voto dell’8 aprile, ha colto l’occasione
della festa nazionale il 15 marzo per ribadire che “la posta è di conservare la
patria o di perdere tutto”, spiegando ai sostenitori la sua visione del
confronto elettorale.I candidati del partito di governo (l’Unione civica
ungherese Fidesz) dovranno affrontare in ogni collegio “un candidato appoggiato
da George Soros ( il filantropo americano è accusato di voler far invadere
l’Europa dai migranti musulmani), candidati apolidi, nemici della nazione”.
Le iniziative
dell’Ue e le decisioni in prospettiva
In un quadro di
questo tipo, il Rapporto sulle economie del Mediterraneo riconosce che le nuove
strategie di policy, fra cui il Migration Compact lanciato dall’Ue,
“costituiscono uno sforzo importante per una migliore gestione dei
processi migratori indotti dalla mancanza dì opportunità di lavoro”. Ma
il problema è che, nella migliore delle ipotesi, per vederne i risultati
bisognerà aspettare qualche generazione. E nel frattempo i Paesi più
direttamente interessati perché più vicini – come l’Italia – continuano a
cercare una sponda vera nella distratta Europa.
* Qualche giorno
fa a Bruxelles la Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea ha
organizzato il,primo di una serie di incontri su come rafforzare la risposta
dell’Ue nella gestione dei flussi lungo il Mediterraneo centrale e nello
sviluppo di alternative economiche nei Paesi di origine e di transito. Per
l’ambasciatore Maurizio Massari è necessario un “salto politico” che superi
“l’approccio emergenziale” e va tenuto ben presente che il rifinanziamento
dell’accordo Ue-Turchia e del fondo fiduciario per l’Africa sono “profondamente
interconnessi”. Segnali di un nuovo corso sembrano arrivare dal
presidente francese Emmanuel Macron, convinto che entro giugno bisogna “assolutamente
arrivare a una soluzione per la politica europea sull’asilo”, come ha
sottolineato dopo l’incontro con la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Bisognerà ora vedere se sul rinnovato asse franco-tedesco peseranno di più le
proposte italiane o le barricate ungheresi. Eloisa Gallinaro, AffInt 23
Bruxelles confeziona il bilancio del dopo-Brexit. Juncker, “traduciamo in
cifre il nostro futuro”
L'Esecutivo
comunitario sta predisponendo i lineamenti e le cifre del prossimo Quadro
finanziario pluriennale 2020-2027 da presentare a maggio, che poi passerà per
competenza a Consiglio e Parlamento europeo. L'assoluta rilevanza del budget,
con una prospettiva di sette anni e che vale all'incirca 1.000 miliardi.
Investimenti per sostenere l'economia e il lavoro, favorire ricerca e
istruzione, costruire aeroporti e ferrovie, controllare le frontiere,
intervenire a favore di famiglie, agricoltori, imprese e terzo settore - Gianni
Borsa
Sviluppo digitale,
difesa comune e sicurezza, ricerca e innovazione, formazione dei giovani,
sostegno alle piccole e medie imprese, tutela dell’ambiente, risposta al
fenomeno migratorio. Sono alcune delle priorità che la Commissione europea ha
recentemente indicato con le linee-guida per il futuro Quadro finanziario
pluriennale (Qfp), ovvero i contorni del bilancio dell’Unione europea per il
periodo 2020-2027. Lo sguardo va lontano per una migliore programmazione delle
entrate e delle uscite del budget comunitario, tenendo conto delle sfide
attuali e future per i 27. Sarà, rispetto al Qfp in corso (2014-2020, per un
totale di 950 miliardi di euro da distribuire in sette anni), la prima
programmazione finanziaria del dopo-Brexit e dovrà considerare eventuali nuove
adesioni dei Paesi balcanici, probabilmente post-2025. Per queste ragioni il
dibattito a Bruxelles e Strasburgo attorno al Qfp è in pieno svolgimento e si
attendono, per maggio, proposte e numeri precisi da parte della Commissione.
Cos’è il Quadro
finanziario pluriennale? “Il Qfp stabilisce – secondo la definizione fornita
dal Consiglio dei ministri Ue – i limiti dei bilanci generali annuali
dell’Unione europea”. Esso, diviso in stanziamenti di impegno e di pagamento,
“determina gli importi complessivi e gli importi relativi a vari settori di
attività che l’Ue potrebbe utilizzare in ogni esercizio quando assume obblighi
giuridicamente vincolanti” per un periodo di sette anni. Il Qfp viene definito
dalle autorità di bilancio Ue, ossia Consiglio e Parlamento, a partire da una
proposta della Commissione. Lo scopo del Qfp è “tradurre le priorità politiche
in cifre per un ciclo di bilancio” pluriennale; “agevolare l’adozione del
bilancio annuale dell’Unione”; “assicurare la disciplina di bilancio
comunitario”; “accrescere la prevedibilità delle finanze Ue”, tenuto conto che
le entrate del budget dell’Unione dipendono per la massima parte da
trasferimenti degli Stati membri in base alla grandezza e ricchezza di ciascun
Paese.
Il ruolo della
Commissione. L’Esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker ha presentato “diverse
alternative – e le relative conseguenze finanziarie – per predisporre un
bilancio dell’Ue a lungo termine nuovo e moderno, che consenta di realizzare in
modo efficiente gli obiettivi prioritari per i cittadini europei dopo il 2020”.
La posizione della Commissione è chiara: “Nel discutere sul livello di
ambizione delle politiche Ue in settori come la protezione delle frontiere
esterne, il sostegno a una vera Unione europea della difesa, il rafforzamento
della trasformazione digitale dell’Europa o l’aumento dell’efficienza delle
politiche agricola e di coesione, è importante che i leader si accertino delle
implicazioni concrete delle loro scelte in termini di finanziamenti a livello
comune”. Quantificare l’impatto finanziario delle diverse opzioni strategiche
possibili: si muove dunque su questa linea il Collegio dei commissari che il
prossimo mese avanzerà la sua proposta di Qfp, la quale, come sempre,
rappresenterà circa l’1% del Pil europeo. Poi spetterà all’Europarlamento, e
più ancora ai governi degli Stati membri, decidere il livello di ambizione
politica: dall’Ue gli Stati pretendono molte risposte (e molti soldi,
soprattutto i Paesi di più recente adesione), le affidano responsabilità
crescenti ma sono restii a concretizzare un budget comune più consistente e
all’altezza dei problemi da affrontare. Su questo punto si è espresso il 14
marzo il Parlamento di Strasburgo, indicando la linea di un aumento delle
risorse portando il bilancio dall’1 all’1,3% del Pil Ue.
Investimenti,
tagli. Il commissario al bilancio, il tedesco Günther H. Oettinger, nelle
scorse settimane ha spiegato che ci sono nuovi settori in cui investire e altri
dove sarà necessario tagliare risorse, dato che il budget Ue è per oltre il 90%
costituito da investimenti. Da qui le priorità, ad esempio su sicurezza,
ricerca, migrazioni, mentre il Pilastro sociale, “battezzato” a novembre,
riceverà ben pochi finanziamenti, anche perché le competenze Ue in tale settore
sono ancora minime. La Commissione specifica che con l’uscita del Regno Unito,
il bilancio avrà meno risorse (calcolate in 10-12 miliardi l’anno) e “che
quindi andranno spese meglio”. Indicativamente non dovrebbero esserci risparmi
sul controllo delle frontiere (25-30 miliardi in sette anni); si prevedono
fondi freschi per la difesa (10 miliardi in ricerca e sviluppo industriale del
settore); raddoppio degli stanziamenti per l’Erasmus (da 14 a 30 miliardi). La
Commissione insiste sul raddoppio dei fondi per la ricerca. Occorrerà prevedere
stanziamenti per il percorso di pre-adesione per gli Stati balcanici. I tagli
maggiori riguarderanno la politica regionale e di coesione e il settore
agricolo, che ad oggi assorbe quasi il 40% delle risorse comuni.
Nodi da sciogliere
e “condizionalità”. Jean-Claude Juncker ha affermato: “I bilanci non sono
semplici esercizi di contabilità; essi riflettono le nostre priorità e la
nostra ambizione. Traducono il nostro futuro in cifre. Quindi innanzitutto
parliamo dell’Europa che vogliamo. Poi gli Stati membri devono sostenere le
loro ambizioni con le risorse finanziarie adeguate”. Il Qfp si conferma la
cornice finanziaria sulla base del quale verranno modellati i bilanci annuali
Ue fino al 2027, con i relativi investimenti e le spese dell’Unione. Tra i nodi
da sciogliere anche quello delle cosiddette “risorse proprie”, ovvero nuove
modalità di finanziamento del bilancio dell’Unione. La Commissione fra l’altro
propone alternative volte a modernizzare il bilancio dell’Ue e definisce
inoltre possibili soluzioni per rinsaldare il legame, denominato
“condizionalità”, tra i finanziamenti Ue e il rispetto dei valori fondamentali
dell’Unione europea.
Il calendario è
fondamentale. Oettinger insiste su un altro punto: a suo avviso è necessario
raggiungere in tempi rapidi un accordo politico sul Qfp. “Non dobbiamo ripetere
– va predicando – l’infelice esperienza del 2013, quando l’attuale bilancio Ue
è stato concordato con notevole ritardo. Se dovesse ripetersi un simile
slittamento, più di 100mila progetti finanziati dall’Unione in settori
fondamentali come il sostegno alle imprese, l’efficienza energetica, la sanità,
l’istruzione e l’inclusione sociale non potrebbero essere avviati in tempo, e
centinaia di migliaia di giovani si vedrebbero privati di uno scambio nel
quadro del programma Erasmus+” già a partire dal 2021. Insomma, i partner e i
beneficiari dei finanziamenti Ue – enti locali, centri di ricerca, progetti nei
settori delle infrastrutture, della sanità o dell’energia, terzo settore,
famiglie, lavoratori, imprese, giovani… – hanno bisogno di certezza giuridica e
finanziaria. Sir 6
Le 4 fasi per formare un governo
Dal 4 aprile è
partito il giro di colloqui con rappresentanti e leader di partito nel
tentativo di formare un esecutivo stabile. A disciplinare la formazione di un
governo è l'art. 92 della Costituzione Italiana, che recita una formula
semplice e concisa: "Il Presidente della Repubblica - si legge - nomina il
presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i
ministri". Inoltre, prima di assumere le funzioni, il presidente del
Consiglio e i ministri devono prestare giuramento ed ottenere la fiducia dei
due rami del Parlamento come prescritto dagli articoli 93 e 94 della
Costituzione. Ma come si forma un governo? In linea di massima, sono quattro le
fasi che si distinguono nell'articolato processo che dà vita al nuovo
esecutivo: quella delle consultazioni, quella dell'incarico, quella della
nomina e, infine, quella del giuramento e della fiducia. Ecco quindi nel
dettaglio fasi e momenti del percorso istituzionale, così come spiegato dal
sito del governo italiano.
La fase
preparatoria - Questa fase consiste essenzialmente nelle consultazioni che il
Presidente svolge, per prassi costituzionale, per individuare il potenziale
Presidente del Consiglio in grado di formare un governo che possa ottenere la fiducia
dalla maggioranza del Parlamento. Questo meccanismo viene attivato ogni
qualvolta si determini una crisi di governo per il venir meno del rapporto di
fiducia o per le dimissioni del Governo in carica. L'ordine delle consultazioni
non è disciplinato se non dal mero galateo costituzionale ed è stato soggetto a
variazioni nel corso degli anni (in alcuni casi il Presidente della Repubblica
ha omesso alcuni dei colloqui di prassi). In sostanza, questa fase può
ritenersi realmente circoscritta a quelle consultazioni che potrebbero essere
definite necessarie e, cioè, quelle riguardanti i capi dei Gruppi parlamentari
e dei rappresentanti delle coalizioni, con l'aggiunta dei Presidenti dei due
rami del Parlamento, i quali devono essere comunque sentiti in occasione dello
scioglimento delle Camere. A titolo esemplificativo può dirsi che l'elenco
attuale delle personalità che il Presidente della Repubblica consulta
comprende: i Presidenti delle camere; gli ex Presidenti della Repubblica, le
delegazioni politiche.
L'incarico - Anche
se non espressamente previsto dalla Costituzione, il conferimento dell'incarico
può essere preceduto da un mandato esplorativo che si rende necessario quando
le consultazioni non abbiano dato indicazioni significative. Al di fuori di questa
ipotesi, il Presidente conferisce l'incarico direttamente alla personalità che,
per indicazione dei gruppi di maggioranza, può costituire un governo ed
ottenere la fiducia dal Parlamento. L'istituto del conferimento dell'incarico
ha fondamentalmente una radice consuetudinaria, che risponde ad esigenze di
ordine costituzionale. Nella risoluzione delle crisi si ritiene che il Capo
dello Stato non sia giuridicamente libero nella scelta dell'incaricato, essendo
vincolato al fine di individuare una personalità politica in grado di formare
un governo che abbia la fiducia del Parlamento. L'incarico è conferito in forma
esclusivamente orale, al termine di un colloquio tra il presidente della
Repubblica e la personalità prescelta. Del conferimento dell'incarico dà
notizia, con un comunicato alla stampa, alla radio e alla televisione, il
Segretario Generale della Presidenza della Repubblica. Una volta conferito
l'incarico, il presidente della Repubblica non può interferire nelle decisioni
dell'incaricato, né può revocargli il mandato per motivi squisitamente
politici.
La nomina -
L'incaricato, che di norma accetta con riserva, dopo un breve giro di
consultazioni si reca nuovamente dal Capo dello Stato per sciogliere,
positivamente o negativamente, la riserva. Subito dopo lo scioglimento della
riserva si perviene alla firma e alla controfirma dei decreti di nomina del
capo dell'esecutivo e dei ministri. In sintesi il procedimento si conclude con
l'emanazione di tre tipi di decreti del presidente della Repubblica: quello di
nomina del presidente del Consiglio (controfimato dal presidente del Consiglio
nominato, per attestare l'accettazione); quello di nomina dei singoli ministri
(controfimato dal presidente del Consiglio); quello di accettazione delle
dimissioni del governo uscente (controfirmato anch'esso dal presidente del
Consiglio nominato).
Il giuramento e la
fiducia - Prima di assumere le funzioni, il presidente del Consiglio e i
ministri devono prestare giuramento secondo la formula rituale indicata
dall'art. 1, comma 3, della legge n. 400/88, che recita: "Giuro di essere
fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di
esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione". Il
giuramento rappresenta l'espressione del dovere di fedeltà che incombe in modo
particolare su tutti i cittadini e, in modo particolare, su coloro che svolgono
funzioni pubbliche fondamentali (in base all'art. 54 della Costituzione).
Entro dieci giorni
dal decreto di nomina, il governo è tenuto a presentarsi davanti a ciascuna
Camera per ottenere il voto di fiducia, voto che deve essere motivato dai
gruppi parlamentari ed avvenire per appello nominale, al fine di impegnare
direttamente i parlamentari nella responsabilità di tale concessione di fronte
all'elettorato. E' bene precisare che il presidente del Consiglio e i ministri
assumono le loro responsabilità sin dal giuramento e, quindi, prima della
fiducia. Adnkronos/dip
Governo. “Non è ancora emersa una maggioranza”. Nuova settimana di consultazioni
Alla fine della
prima tornata di colloqui il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, tira le somme
e ancora una volta fa capire che sono i partiti a doversi decidere. Lui farà la
sua parte fino in fondo, certo, con l'autorevolezza che tutti gli riconoscono e
con il suo stile maieutico e non interventista. Ma se i partiti restano
arroccati nei loro fortini da campagna elettorale permanente c'è poco da fare.
Il primo passaggio è proprio prendere atto degli effettivi risultati del voto
del 4 marzo Stefano De Martis
“Nel corso della
prossima settimana avvierò un nuovo ciclo di consultazioni per ascoltare le
opinioni dei partiti e verificare se è maturata qualche possibilità che oggi
non si registra”. Alla fine della prima tornata di colloqui il Capo dello Stato,
Sergio Mattarella, tira le somme e ancora una volta fa capire che sono i
partiti a doversi decidere. Lui farà la sua parte fino in fondo, certo, con
l’autorevolezza che tutti gli riconoscono e con il suo stile maieutico e non
interventista. Ma se i partiti restano arroccati nei loro fortini da campagna
elettorale permanente c’è poco da fare. Il primo passaggio è proprio prendere
atto degli effettivi risultati del voto del 4 marzo. “Le elezioni – ha spiegato
Mattarella nella sua comunicazione al termine dei due giorni di consultazioni –
hanno visto un ampio aumento di consenso per due partiti, uno dei quali alleato
con altri, ma non hanno assegnato a nessuna forza politica, a nessuna parte
politica, la maggioranza dei seggi in Parlamento, né alla Camera né al Senato,
dove sono presenti tre schieramenti politici”. Né alla Camera né al Senato, non
come nel 2013 quando il Pd aveva ottenuto la maggioranza assoluta almeno in un
ramo del Parlamento e il suo segretario ebbe per questo una sorta di pre-incarico.
Quella del
Presidente è un’analisi da cui non si scappa e dalle conseguenze stringenti,
anche sul piano del metodo.
“Nessun partito e
nessuno schieramento politico – sono ancora le sue parole – dispone da solo dei
voti necessari per formare un governo e sostenerlo. E’ indispensabile quindi,
secondo le regole della nostra democrazia, che vi siano delle intese tra più
parti politiche per formare una coalizione che possa avere la maggioranza in
Parlamento e quindi far nascere e sostenere un governo. Nelle consultazioni di
questi due giorni questa condizione non è ancora emersa”. Ecco perché, ha
concluso il Capo dello Stato, “farò trascorrere qualche giorno di riflessione,
anche sulla base dell’esigenza di maggior tempo che mi è stata prospettata
durante i colloqui da molte parti politiche. Sarà utile anche a me per
analizzare e riflettere su ogni aspetto delle considerazioni che mi hanno
presentato i partiti. Sarà naturalmente utile a loro perché possano valutare
responsabilmente la situazione”. E quell’avverbio – responsabilmente – suona
come una parola-chiave, insieme a quel richiamo alle “regole della nostra
democrazia” che attribuiscono un valore essenziale alla capacità di dialogare e
costruire intese. La situazione di stallo che si è creata e che ha indotto
queste considerazioni di Mattarella si può ricostruire attraverso le
dichiarazioni che le delegazioni ricevute oggi al Quirinale – si trattava dei
gruppi di maggior peso parlamentare – hanno reso ai giornalisti all’uscita dai
rispettivi colloqui con il Presidente.
I primi a salire
al Colle sono stati i rappresentanti del Pd. “L’esito elettorale per noi
negativo non ci consente di formulare ipotesi di governo che ci riguardino”, ha
detto il reggente del partito, Maurizio Martina, secondo cui chi ha vinto le
elezioni deve farsi carico della responsabilità di governare. Il Pd eserciterà
il suo ruolo di opposizione su “quattro snodi di interesse generale”, vale a
dire “taglio del costo del lavoro e reddito di inclusione; controllo della
finanza pubblica; gestione del fenomeno migratorio; rafforzamento del quadro
internazionale”. E’ stata poi la volta della delegazione di Forza Italia. Per
il governo “si dovrà partire da chi ha vinto le elezioni, cioè il centrodestra,
e dal leader della coalizione vincente, cioè la Lega”, ha affermato Silvio
Berlusconi all’uscita dello studio “alla vetrata” del Quirinale. “Non siamo
disponibili a un governo fatto di pauperismi e giustizialismi e populismi e
odio che innescherebbe una spirale recessiva e di tasse elevate”, ha aggiunto
Berlusconi (e a tutti è apparso un chiaro messaggio contro il M5S), mentre
“siamo disponibili con presenze di alto profilo a soluzioni serie e credibili
in sede europea”. L’ultima della delegazione della mattinata è stata quella
della Lega. “Lavoriamo per un governo che duri almeno cinque annui, partendo da
chi ha vinto le elezioni e, numeri alla mano, coinvolgendo i Cinque stelle”, ha
dichiarato Matteo Salvini dopo il colloquio con il Capo dello Stato. Ma ha
puntualizzato: “Andiamo in Parlamento se ci sono numeri certi, altrimenti si
torna al voto”.
Il leader leghista
ha dichiarato anche che si impegnerà “per smussare gli angoli che altri, a
parole, non vogliono smussare”. Nel pomeriggio è toccato al M5S, che ha il
gruppo parlamentare più numeroso, chiudere questo primo giro di consultazioni.
Al termine dell’incontro con Mattarella, Luigi Di Maio ha rilanciato la
proposta dei Cinquestelle: “Un contratto di governo sul modello tedesco”, riferendosi
al patto che in Germania ha consentito la nascita del governo tra Cdu e
socialdemocratici. Gli interlocutori del M5S, ha precisato Di Maio, sono o la
Lega (escludendo quindi Forza Italia) o il Pd (“nella sua interezza”, cioè
Renzi compreso, parrebbe di capire) . “Non riconosco una coalizione di
centrodestra”, ha detto il leader pentastellato, perché “si sono presentati
alle elezioni con tre candidati premier, tre programmi e si sono presentati
divisi anche alle consultazioni”. Secondo Di Maio sono da escludere
“governissimi, governi tecnici e governi di scopo” in quanto bocciati dagli
elettori. Sir 5
Indagine Iai/Laps. Le Affinità Elettive: l’Italia, la politica estera e il
governo
Quale ‘chimica’
combinazione di elementi è più probabile che si realizzi nel futuro governo
dell’Italia e quali conseguenze potrebbe avere per la politica estera italiana?
La risposta a questa domanda è ovviamente riposta nel futuro ed è difficile
anticiparla, per la combinazione di fattori, anche congiunturali, che determinerà
le scelte dei leaders. Un modo differente per avvicinarsi a una risposta è
spostare l’attenzione dalle strategie dei partiti e dei loro leaders alle
caratteristiche strutturali dell’elettorato, per cogliere gli elementi di
assonanza e dissonanza sui vari temi di politica estera e gli effetti che
eventuali ‘affinità elettive’ tra gli elettori possano avere sull’indirizzo di
politica estera del prossimo governo. La politica estera non è sicuramente
dettata dall’opinione pubblica, ma nessun governo può discostarsi troppo dagli
orientamenti generali del proprio elettorato a pena di pagarne un prezzo
politico.
L’indagine
IAI-LAPS (1) del settembre 2017, che fotografava con precisione il quadro
elettorale che si sarebbe manifestato alle elezioni di marzo, offre una
opportunità per esplorare queste affinità tra gli elettori dei vari partiti.
L’appello del presidente e del direttore dello IAI, Ferdinando Nelli
Feroci e Nathalie Tocci, al futuro governo chiaramente indica quali sono i
principali temi sull’agenda di qualsiasi nuovo esecutivo: Europa, ancoraggio
atlantico, rapporti con la Russia e immigrazione. Quali sono le posizioni
dell’elettorato italiano su questi temi e quanto affini esse sono tra di loro?
Anticipando quanto diremo tra poco, se le prospettive di un eventuale governo
‘giallo-verde’ rimangono dubbie, i dati rivelano chiaramente che molto più
numerosi sono i punti di contatto tra gli elettori di M5S e Lega che non quelli
tra ciascuno di questi due partiti e gli altri, in particolare il Pd. In effetti,
l’elettorato del Pd e, con qualche eccezione, anche quello alla sinistra del
Pd, è di fatto il più lontano dalle posizioni di politica estera di M5S e Lega.
L’Europa
Gli elettori
pentastellati e leghisti non solo sono i più marcatamente euroscettici, ma
anche i più conseguenziali nelle loro scelte. Il 63% degli elettori della Lega
e il 50% degli elettori pentastellati giudicano l’unificazione europea
impossibile a causa della diversità tra gli Stati membri. Solo un quarto degli
elettori del Pd e poco meno di un quinto di quelli a sinistra del Pd condivide
questa affermazione. Una maggioranza assoluta di elettori pentastellati (53%) e
leghisti (59%) è favorevole all’uscita dell’Italia dall’euro. Meno di un decimo
degli elettori del Pd condivide questa scelta. Anche gli elettori di Forza
Italia sono, su questo punto, più vicini al M5S (con il 46% a favore
dell’uscita dall’euro) che non al Pd. Infine, la maggioranza assoluta (54%) di
leghisti e un’importante quota (44%) di grillini è favorevole addirittura
all’uscita dall’Ue.
Questi
atteggiamenti euroscettici incidono sugli orientamenti più specifici, come il
rispetto delle regole di bilancio. Se gli elettori di tutti i partiti sono
concordi nel ritenere che l’Italia abbia già fatto troppi sacrifici per ridurre
il debito pubblico, solo quelli di M5S e Lega (e in misura solo leggermente
minore di Forza Italia) si dicono pronti a una rottura con Bruxelles sui conti
pubblici, con percentuali superiori al 70%. Se a questo aggiungiamo che la
stragrande maggioranza di elettori cinque stelle e leghisti (70%) è concorde
nel ritenere la crisi economica “una cospirazione di banchieri” (a fronte di
poco più di un terzo di elettori del Pd) ,resta come minimo difficile intuire
come un futuro governo di questi due partiti possa efficacemente partecipare al
rilancio del progetto europeo.
La Nato e le
missioni di pace
Per quanto
riguarda le scelte di politica internazionale, se da un lato gli elettorati di
tutti i partiti sono favorevoli a rimanere nella Nato, a patto di un
rafforzamento dell’Europa al suo interno, dall’altro lato gli elettori più
favorevoli al ritiro tout court dall’Alleanza atlantica sono leghisti (18%) e
pentastellati (16%), questa volta molto più vicini agli elettori dell’area a
sinistra del Pd (con il 16%) che non a quelli di Forza Italia (8%) e del Pd
(3%), di nuovo i più distanti di tutti.
Interrogati sul
legame da privilegiare tra le due sponde dell’Atlantico, Europa o Stati Uniti,
la maggioranza relativa degli elettori di M5S e Lega auspica una politica
autonoma da entrambe (44% e 35% rispettivamente), sebbene gli elettori leghisti
privilegino come seconda scelta un rafforzamento del legame con gli Usa (scelta
che fa il paio con la minore antipatia verso Trump degli elettori di questo
partito) in misura maggiore di quelli pentastellati (28% contro 12%).
Conferma questo
diffuso atteggiamento neo-isolazionista anche un certo scetticismo verso le
missioni internazionali. Sebbene un certo logoramento del sostegno
dell’opinione pubblica italiana per queste missioni si registri da tempo
(IAI-LAPS, 2017), gli elettori dei cinque stelle sono tra i più critici (48%),
seguiti da vicino dai leghisti (44%), contro un quarto di elettori del Pd
(26%).
La Russia
L’orientamento che
potremmo definire neo-isolazionista di M5S e Lega si accompagna a un
atteggiamento ambiguo verso la Russia. Le posizioni verso la Russia di Putin di
M5S e Lega sono al centro dell’attenzione internazionale (si veda ad esempio
Birnbaum, 2018), evidenziando come il successo di questi due partiti possa
ridefinire la politica estera italiana in direzione più marcatamente
filo-russa.
I dati della
indagine IAI-LAPS confermano questa percezione. La maggioranza assoluta degli
elettori leghisti e pentastellati sarebbe favorevole ad alleggerire o revocare
le sanzioni nei confronti della Russia, sebbene su questo tema la distanza con
gli elettori degli altri partiti sia piuttosto contenuta. Inoltre, gli elettori
di Lega e M5s fanno segnare le percentuali più alte di favore per il presidente
russo (31% e 22% rispettivamente), rispetto all’elettorato degli altri partiti
(solo il 5% degli elettori Pd vede in Putin “un modello per l’Italia”).
L’immigrazione
http://www.affarinternazionali.it/2018/04/italia-politica-estera-governo/flussi-mig/
- mainPer quanto concerne l’immigrazione, non sorprende che gli elettori del
partito di Salvini risultino i più rigidi e quelli di centro-sinistra i più
flessibili. La posizione degli elettori pentastellati è invece ‘baricentrica’.
Messi di fronte a tre strategie per bloccare i flussi immigratori – invio dei
militari in Libia a costo di perdite militari, politica di respingimenti
incurante di un trattamento disumano degli immigrati, salvataggio in mare e
accoglienza– gli elettori leghisti optano in larga misura per una radicale
politica di respingimenti (59%), mentre gli elettori grillini, con il 37%, si
collocano in posizione mediana tra Lega ed elettori del Partito democratico
(20%)..
I leghisti si
dicono in misura plebiscitaria (85%) convinti dell’esistenza di un legame tra
immigrazione irregolare e terrorismo islamista, mentre l’elettorato
pentastellato fa segnare una maggioranza più ridotta (59%), inferiore a quella
registrata tra gli elettori di Forza Italia (68%). Di nuovo, a sinistra non più
di un terzo degli elettori Pd e di altra sinistra condividono questa
affermazione. A tal proposito, se gli elettori leghisti sono in maggioranza
favorevoli all’uso della tortura per sventare gli attentati terroristici (50%),
tra gli elettori pentastellati questa misura raccoglie poco più del 30% di
consensi, in linea con il dato riscontrato sulla popolazione generale (mentre
solo un quinto degli elettori del Pd sottoscrive questa opzione).
Se, come segnalano
Ferdinando Nelli Feroci e Nathalie Tocci, la priorità del prossimo governo è di
“evitare il rischio di essere tagliati fuori dai giochi” l’orientamento
dell’elettorato dei due principali partiti dell’attuale fase politica, come
emerge dalla analisi IAI-LAPS, sembra suggerire che, in realtà, la soluzione di
politica estera preferita sia proprio quella di stare fuori dai giochi (europei
e mondiali).
Quali conseguenze
una tale scelta possa avere per l’Italia è forse facile immaginare. Più
complesso è invece capire quali difficoltà questi orientamenti possano porre ad
un governo giallo-verde che voglia invece giocare la partita del rilancio
europeo.
(1) – Laboratorio
Analisi Politiche e Sociali, Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e
Cognitive, Università di Siena. AffInt 3
Cgie. Il Segretario Generale Michele Schiavone fa il punto sui lavori del
Comitato di Presidenza
ROMA - Questa
mattina il Segretario Generale del Cgie Michele Schiavone ha illustrato ai
giornalisti gli argomenti discussi dal Comitato di Presidenza del Cgie
nel corso della tre nei giorni di lavoro svoltasi alla Farnesina.
Si è partiti
subito dalla questione elezioni: “il tema del voto all’estero – ha esordito
Schiavone - è prioritario perché, ad oggi, ancora non abbiamo i dati definitivi
della consultazione. Nel frattempo sappiamo che sono stati eletti 18
rappresentanti degli italiani all’estero, di cui 6 senatori e 12 deputati. Il
voto questa volta, rispetto all’ultima tornata elettorale e anche rispetto al
referendum del 2006, ha visto una partecipazione ulteriore degli aventi
diritto…. Il voto, in quasi tutte le ultime tornate elettorali all’estero ha
avuto necessità di una revisione nell’esercizio. Questo è avvenuto anche alle
ultime elezioni, ma ricordiamo che anche in Italia, per la prima volta il
Presidente del seggio ha dovuto apporre un bollino sulla scheda elettorale.
All’estero c’è stato un controllo rafforzato sulla tracciabilità del voto, per
oltre il 70% dei casi, soprattutto nelle aree critiche. Comunque i principi
fondanti del voto all’estero sono stati riaffermati con una garanzia totale”.
Schiavone ha poi ricordato come sui media italiani si sia cercato di alimentare
polemiche sul voto all’estero “che noi invece – ha precisato il Segretario
Generale - consideriamo indispensabile per garantire il principio di
cittadinanza. Ribadisco ovviamente la necessità di continuare a migliorare la
partecipazione con gli elementi di novità, come il codice a barre e il
controllo tra l’invio e il ritorno dei plichi dalle poste. Molto è stato fatto,
tuttavia bisognerà fare dei progressi sforzandosi di utilizzare anche le
tecnologie moderne. Quanto invece è successo nei seggi di Castelnuovo di Porto
– ha aggiunto - è assolutamente da migliorare perché non è possibile che, a
distanza di venti giorni, non si conoscano i risultati definitivi e che i
ricorsi alla Corte di Appello richiedano tempi così dilatati. Quest’ultima
elezione – ha ricordato Schiavone - è stata la quarta partecipazione dei
nostri connazionali all’estero al rinnovo del Parlamento italiano. Tra gli
eletti dalla circoscrizione Estero vi sono molte novità, facce nuove, che
rappresentano un’italianità diversa, espressa soprattutto da parte dei giovani
di seconda o terza generazione; inoltre grazie alle novità introdotte dal
Rosatellum vi sono anche italiani residenti in Italia, eletti proprio grazie
alla possibilità offerta dalla nuova legge elettorale. Nella discussione del
CdP, abbiamo anche ribadito il nostro sostegno e apprezzamento al ministero
degli Esteri,per il lavoro svolto in questo conteso”.
Il Segretario
Generale si è poi soffermato sia sull’azione del Governo illustrata dal
sottosegretario agli Esteri Vincenzo Amendola, caratterizzata da un rilancio
del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero grazie all’aumento delle
risorse e un miglioramento del livello qualitativo, sia sulla partecipazione ai
lavori del Comitato di Presidenza , in particolare sull’analisi del voto, degli
eletti del Pd, fra cui i giovani Massimo Ungaro e Angela Schirò e, per il
centro destra Fantetti e Alderisi.
“Con il sottosegretario
Amendola – ha proseguito Schiavone- si è discusso degli aumenti di risorse, per
promuovere ad esempio la lingua italiana, cosa che è stabilita anche per legge,
dopo il decreto 64 della Buona scuola per l’estero, e dei fondi da autorizzare,
provenienti dal fondo unico, sempre per quanto riguarda la promozione. Abbiamo
discusso con sottosegretario anche della brexit, della situazione in cui si
trovano anche gli italiani nel Regno Unito e delle difficoltà che stanno
vivendo da anni i connazionali in Venezuela…. Comunque – ha aggiunto - il
lascito del Governo, attraverso l’impegno di Amendola, Gentiloni e Alfano, è
stato degno di un impegno che ci ha visto di nuovo protagonisti. Oggi – ha
continuato il Segretario Generale - stiamo ragionando sul lavoro da
programmare. Ci sono tre o quattro progetti in campo, come la Conferenza Stato-
Regioni – Province autonome - Cgie, per la quale è stato costituito già un
tavolo di lavoro. Un lavoro preparatorio che sarà trasmesso a un tavolo tecnico
che elaborerà e metterà in piedi le condizioni per calendarizzare la Conferenza
permanente, perché è necessario che le decisioni della conferenza vengano
monitorate verificate ed eseguite anche negli anni a venire, cosa che in
passato non è avvenuta e che noi ci auguriamo di discutere con il prossimo
Governo affinché si dia sostanza e continuità alle scelte. Abbiamo inoltre
pensato - ha proseguito Schiavone - di convocare un convegno entro l’anno
per la questione delle donne italiane in emigrazione, per arrivare poi ad una
Conferenza vera e propria; pensiamo di realizzare un convegno anche per quanto
riguarda i giovani e le nuove mobilità. Si tratta di coinvolgere almeno 200
giovani provenienti da tutto il mondo e di farli incontrare con i giovani
italiani per consentire a chi parte dall’Italia, attraverso la condivisione
delle esperienze , di avere degli orientamenti più precisi, rispetto all’ignoto
che vanno ad affrontare. Ci sono poi altri momenti che seguiamo, perché nella
programmazione generale del sistema Paese ci sono delle novità: oltre alla
programmazione delle settimane della lingua e della cultura italiana e della
cucina, quest’anno sarà promossa la settimana del cinema e, oltre ciò, si pensa
anche ad una iniziativa legata allo sport. Queste sono le idee sulle quali
stiamo lavorando. Abbiamo anche discusso del ruolo e delle attività della rete
consolare, soprattutto per i servizi, dove c’è necessità di utilizzare al
massimo il personale, tanto che quest’anno saranno banditi dei concorsi . C’è
davvero bisogno di un sussidio, di un aiuto ausiliario da parte della
tecnologia, che rappresenta la strada maestra da seguire, per creare più
opportunità soprattutto nell’aumento dell’espletamento delle pratiche”.
Schiavone ha poi
segnalato come l’articolato di riforma dei Comites e del Cgie, approvato
nell’ultima Assemblea Plenaria di dicembre sarà posto all’attenzione del nuovo
Governo.
“Per la tassa
sulla cittadinanza – ha spiegato il Segretario Generale - ci sono quasi 3
milioni di euro, che sono la risultanza del volume di denaro che lo Stato ha
acquisito, risorse che, nella percentuale del 30% dovrebbe essere ristornato ai
consolati, al fine di poter far fronte, con diversi criteri, allo
smaltimento di pratiche in giacenza da anni, ma soprattutto per facilitare il
lavoro all’interno dei consolati. Questo porterà all’assunzione di nuovi
impiegati a contratto. Questi soldi sono garantiti da una legge per cui, in
questo modo, i consoli avranno a disposizione un capitale maggiore da gestire”.
Per quanto
riguarda i contatti con il Ministero del Lavoro Schiavone ha specificato come
da tempo siano stati attivati dal Cgie rapporti con questo dicastero con l’idea
di fornire una preparazione a livello regionale a coloro che intendono
trasferirsi all’estero senza un adeguato background. In tal senso un
gruppo di lavoro sta operando per definire delle tipologie nuove, anche
con il concorso dell’Unione Europea, volte a sostenere e ad aiutare chi decide
di trasferirsi all’estero. Una sorta di operazione di consulenza-informazione e
formazione da svilupparsi attraverso l’apertura di specifici sportelli.
Un’azione informativa che del resto i Comites stanno portando avanti da anni.
Si è poi passati
alla questione dello Statuto dei frontalieri: “Si è proposta l’introduzione,
nei rapporti bilaterali tra i confini, – ha precisato il Segretario Generale –
di elementi di tutela per quanto riguarda il mondo del lavoro e della
previdenza, perché a volte sussistono casi di doppia imposizione fiscale.
Questo non riguarda solo l’Italia e la Svizzera, ma anche l’Italia e la
Francia, l’Italia e i Paesi del Mediterraneo”.
“Oggi pomeriggio –
ha concluso Schiavone - ci occuperemo della Conferenza dei giovani, a cui
sta lavorando la VII Commissione, ma occorrono delle certezze, perché per
organizzate una Conferenza occorre una copertura finanziaria e, a seguire, i
temi oggetto della discussione. Sul contenuto non dovrebbero esserci
difficoltà, perché i componenti della Commissione sono tutti giovani ed hanno
delle esperienze dirette, mentre quello che al momento non è chiaro è la
copertura. Si parla di Palermo come luogo di svolgimento della Conferenza, ma
bisogna capire, dal punto tecnico-amministrativo, come convocare un’Assemblea
in questa città. La prossima Assemblea plenaria del Cgie è prevista per
l’ultima settimana di giugno, ma nel frattempo si riuniranno le Commissioni
Continentali che dovranno discutere i temi che abbiamo trattato oggi”.
Maria Stella
Rombolà, Inform 28.3.
Dopo elezioni. Politica estera italiana: appello al prossimo governo
Siamo convinti che
il prossimo Governo abbia interesse a garantire continuità nel rapporto con
l’Europa e più in generale in politica estera e che l’Italia debba continuare a
collocarsi dalla parte dei difensori della democrazia, della legalità, dei
diritti e del sistema multilaterale. Altrimenti, il rischio è quello di essere
tagliati fuori dai giochi.
Nella prospettiva
della formazione del nuovo Esecutivo, ci sembra doveroso richiamare
l’attenzione delle forze politiche che potrebbero essere chiamate a
responsabilità di Governo sul tema della collocazione e delle responsabilità
internazionali del Paese. La questione è stata quasi del tutto assente dalla
campagna elettorale e poco evocata anche nelle settimane successive al voto del
4 marzo. Ma l’Italia nei prossimi mesi dovrà fare i conti con un quadro
internazionale caratterizzato da vari fattori di incertezza ed instabilità,
l’America di Trump, la Russia di Putin la Cina di Xi Jinping, un’Europa, divisa
tra pulsioni nazionaliste e ricerca di un protagonismo sulla scena
internazionale.
La politica estera
è destinata più che mai a contare e a condizionare le nostre scelte e le nostre
vite quotidiane. Anche perché sarebbe ingenuo e velleitario illudersi di
affrontare da soli le sfide epocali di una globalizzazione incontrollata, del
cambiamento climatico, della gestione dei flussi migratori, della lotta al
terrorismo o della sicurezza energetica. Nel mondo multipolare ed interconnesso
in cui viviamo, solamente potenze di dimensioni continentali riusciranno a
promuovere e proteggere efficacemente i loro valori ed interessi. Nel 21
secolo, ogni Paese europeo, Italia inclusa, è un pigmeo su scala globale: è
possibile promuovere gli interessi italiani solamente all’interno di una
cornice europea.
La continuità nel
rapporto con l’Europa, e più in generale in politica estera è stato, malgrado i
numerosi cambi di Governo e di maggioranza, il dato caratterizzante della
nostra storia repubblicana e ha garantito la nostra credibilità e affidabilità
sul piano internazionale. E l’essere parte di un sistema multilaterale con
regole e istituzioni corrisponde all’evidente interesse nazionale di una media
potenza regionale come è l’Italia, che, per il suo status e per la sua
collocazione geografica, avrebbe tutto da perdere dal riemergere di un mondo
fatto di nazionalismi in precario equilibrio e in costante rischio di
conflitto.
Il rapporto con
l’Unione: rispetto delle regole
Il nuovo Governo
sarà chiamato alla prova soprattutto sul tema del rapporto con l’Europa. La
nostra appartenenza e partecipazione al comune progetto europeo sono state
finora il quadro di riferimento della nostra collocazione internazionale. Ma al
tempo stesso il rapporto con l’Europa, con le Istituzioni europee, è talmente
intenso da permeare le stesse scelte di politica interna. Ed è proprio sul
rapporto con l’Europa che si attendono dal nuovo Esecutivo messaggi chiari e
scelte conseguenti, al netto delle polemiche strumentali che hanno
caratterizzato la campagna elettorale.
Il nuovo Governo
si troverà rapidamente confrontato con varie questioni aperte, nella
consapevolezza che l’Europa non starà ad aspettare l’Italia. E che posizioni
massimaliste o tentazioni di critica frontale all’Unione europea provocheranno,
più che un presunto rischio sistemico per l’Europa, un molto più probabile
rischio di marginalizzazione e irrilevanza per l’Italia. Il motore europeo
ripartirà a breve con o senza l’Italia al volante: dipenderà dall’abilità del
prossimo Governo assicurarsi che la direzione di marcia del progetto europeo
rispecchi gli interessi fondamentali italiani.
Le regole in
materia di disciplina fiscale e di bilancio potranno apparire astruse e troppo
vincolanti. Ma sono state condivise da noi e dai nostri partners, che temono il
rischio di un Italia incapace di ridurre il proprio debito pubblico, che
dovrebbe essere una fonte di preoccupazione nostra, ancor prima che
dell’Eurozona. Piuttosto che insistere per ottenere revisioni radicali di
queste regole, o ancor più flessibilità di quanta non ce n’è già stata
riconosciuta, si deve puntare a politiche europee più mirate a sostenere
crescita e inclusione sociale e ad un maggiore impegno dell’Ue a sostegno di un
ambizioso programma di investimenti pubblici, magari con la prosecuzione del
Piano Juncker.
Il rapporto con
l’Unione: partecipare al rilancio
Sulla base di una
ripresa di iniziativa da parte di Francia e Germania, potrebbe rapidamente
rimettersi in moto il tema della riforma della governance dell’Euro e del
completamento dell’unione bancaria. Si tratta di un processo necessario per
garantire la resilienza dell’Euro e la stabilità del sistema finanziario. Ma
alcune delle proposte in discussione potrebbero rivelarsi incompatibili con
nostri interessi nazionali.
Non si tratta più dell’imposizione
dell’ordoliberalismo tedesco sul resto dell’Eurozona: oggi in prima linea
contro la condivisione del rischio è proprio la Francia così come quegli Stati
– i cosiddetti Pigs – vittime della crisi economica che, avendo digerito dure
politiche di austerità, oggi godono di una solida crescita economica.
Accantonati gli slogan contro il Fiscal Compact o le polemiche sull’Europa
delle banche, ci si dovrà quindi confrontare sulla base di proposte concrete
che tengano conto anche delle nostre debolezze strutturali.
Nei prossimi mesi
poi si dovranno definire le priorità del bilancio della Ue per il prossimo
ciclo di programmazione finanziaria, e la ripartizione delle (limitate) risorse
disponibili fra le varie voci di spesa. Anche in questo caso dovremo avere le
idee chiare su che tipo di bilancio comune abbiamo in mente, su quanto vogliamo
che l’Europa investa su innovazione, ricerca, sicurezza, gestione dei flussi
migratori, su quali politiche comuni vogliamo che la UE si impegni
prioritariamente, e dove invece – a partire dall’agricoltura – dovrebbe esserci
un ridimensionamento dei finanziamenti europei.
Nel 2019 le
elezioni del Parlamento europeo saranno l’occasione di un grande confronto sul
futuro dell’Europa. E nel 2019 si rinnoveranno pure i vertici della
Commissione, del Consiglio europeo e della Bce. Dovremo gestire questi delicati
passaggi tenendo conto dei nostri interessi ed avviando per tempo le necessarie
consultazioni per evitare di restare ai margini delle decisioni.
Il rapporto con
l’Unione: sicurezza, difesa, migranti
Sul fronte della
sicurezza e della difesa si sta procedendo nella direzione di una maggiore
assunzione di responsabilità da parte dell’Europa. Non perché l’Ue si debba
sostituire alla Nato come garante della nostra sicurezza, ma per rafforzare le
capacità dell’Europa di proteggere i propri cittadini e per dotarla degli
strumenti per rispondere alle crisi in un rapporto di collaborazione con
l’Alleanza atlantica e con le Nazioni Unite. Se vorremo continuare ad essere
protagonisti di questa iniziativa dovremo essere in grado di fare scelte
coerenti, pronti a sostenerne i costi condivisi con i nostri partner europei.
Si dovrà definire
una politica migratoria comune a livello europeo più efficace di quella
realizzata finora, nella consapevolezza che il fenomeno è di tale portata da
richiedere necessariamente una gestione comune. Per ottenere dall’Europa
maggiore sostegno per una gestione ordinata dei flussi migratori e maggiori
impegni nei confronti dei Paesi di origine e di transito, dovremo essere capaci
di garantire un più efficace controllo delle nostre frontiere esterne, e un
sistema di accoglienza in linea con standards europei.
Nato, Usa, Russia
Il secondo banco
di prova sarà la nostra partecipazione alla Nato e il tema del rapporto
transatlantico. Nessuno si aspetta che il nuovo Governo possa nel breve termine
rispettare l’obiettivo del 2% del Pil da destinare alle spese per la difesa. Ma
sicuramente ci si attende che l’Italia continui a investire in sicurezza e
difesa. E non riduca sostanzialmente la partecipazione in missioni militari
impegnate in operazioni di mantenimento della pace o di gestione dei conflitti.
Anche in questo
caso il prossimo Esecutivo dovrà essere consapevole che la partecipazione a
queste missioni contribuisce in maniera rilevante a definire il nostro profilo
internazionale, e che eventuali decisioni (peraltro legittime) di revocare
anche parzialmente il nostro impegno in queste missioni, dovrà essere adottata
in un quadro di concertazione con i nostri partner e alleati.
Nel rapporto con
Washington il prossimo esecutivo dovrà essere capace di conciliare le ragioni
di una alleanza irrinunciabile con una chiara presa di distanza da quegli
aspetti della politica di Trump che rischiano di pregiudicare nostri interessi
vitali (dal commercio internazionale, al clima, al riarmo nucleare).
Altro tema
complesso rischia di essere quello dei rapporti con la Russia di Putin. Si
dovrà essere consapevoli che la maggioranza dei nostri partners ed alleati
considera la Russia di Putin soprattutto come una minaccia; e non condivide
l’idea di una rapida e incondizionata normalizzazione della difficile relazione
con Mosca. Sarà sicuramente legittimo impegnarsi per la ripresa di un dialogo e
per maggiore cooperazione con la Russia. Ma sarebbe velleitario pensare di
assumere iniziative autonome o in controtendenza rispetto a quelle dei nostri
alleati.
Mediterraneo,
Medio Oriente, Africa
Infine l’Italia
dovrà continuare ad assicurare una propria presenza autorevole nel Mediterraneo
allargato al Medio Oriente e all’Africa. La stabilità di questa regione è una
priorità che va oltre le legittime preoccupazioni collegate all’esigenza di
garantire une gestione ordinata del fenomeno migratorio. Un Mediterraneo e un
Medio Oriente stabili, con governi legittimati e in grado di esercitare un
controllo effettivo sui loro territori, sono una condizione essenziale per la
nostra sicurezza.
Senza contare il
nostro interesse a promuovere nella regione uno sviluppo economico sostenibile,
democrazie funzionanti, rispetto della legalità e dei diritti fondamentali. Da
qui la necessità di sostenere processi di stabilizzazione e riconciliazione
nazionale (in Libia) o la risoluzione di conflitti e guerre civili (in Siria).
Ma anche in questo caso occorrerà saper conciliare le nostre responsabilità
nazionali con la capacità di coinvolgere i nostri partners. L’Italia da sola
non ha le forze e le dimensioni per affrontare le sfide del Mediterraneo
allargato. Può farlo solamente attraverso un pieno coinvolgimento dell’Unione
europea.
In sintesi anche
sul fronte internazionale le sfide per il prossimo esecutivo sono numerose e
complesse. E sarebbe inconcepibile illudersi di potere separare le scelte di
politica interna dalla nostra collocazione internazionale. Ma il prossimo
Governo dovrà soprattutto evitare la tentazione di proporre soluzioni facili
per problemi complessi. Il rischio, come abbiamo indicato fin dalla prima riga,
è quello di essere tagliati fuori dai giochi. Ferdinando Nelli Feroci, Nathalie
Tocci AffInt. 26.3.
Angela Merkel scopre la crisi dei consensi
Il 57% dei
tedeschi approva la cancelliera. Si tratta dell’indice più basso da quando è in
carica – di Walter Rauhe
BERLINO - Dopo
dodici anni di permanenza ininterrotta alla guida della Germania e dopo la
snervante maratona negoziale per formare il nuovo governo di Grande coalizione,
anche i tedeschi più pazienti e consensuali danni i primi segnali di stanchezza
nei confronti di Angela Merkel.
Secondo un nuovo
sondaggio svolto dalla prima rete televisiva tedesca ARD, solo il 57% dei
cittadini si esprime soddisfatto con la politica della cancelliera
cristiano-democratica. Si tratta dell’indice di gradimento più basso da quando
ricopre questa carica. All’avvio della sua terza legislatura quattro anni fa,
ben il 75% dei tedeschi si era ancora espresso positivamente nei confronti del
lavoro di Angela Merkel alla guida del governo.
Ma l’autorità
della cancelliera non inizia ad erodersi solo nei sondaggi, ma anche
all’interno del suo stesso partito. Con la presenza di ben due suoi avversari
all’interno del nuovo esecutivo - ovvero il Ministro degli interni Horst
Seehofer e quello della Sanità Jens Spahn - Angela Merkel non è più il «leader
maximo» a Berlino, ma solo più «l’ombra di se stessa», come insinuato dal
tabloid Tagesspiegel. Il tramonto della Frau Kanzlerin sembra ormai
iniziato.
Ultimo segno del
suo declino all’interno dei partiti dell’Unione di centro-destra è il nuovo
«Manifesto conservatore» redatto da un gruppo di deputati della Cdu e Csu al
Bundestag e che esige una profonda svolta a destra del partito dopo 12 anni di
riforme moderate e liberali volute da Angela Merkel. I firmatari del manifesto
propongono così una riscoperta dei valori più tradizionali del conservatorismo
tedesco come la famiglia, la patria e persino l’esercito. Per recuperare
consensi nella popolazione e contrastare l’ascesa della destra populista
dell’Alternative für Deutschland (AfD) l’ala destra dell’Unione propone così
una reintroduzione del servizio militare obbligatorio, l’abolizione del diritto
alla doppia cittadinanza per gli immigrati e una lotta più dura e conseguente
agli estremisti islamici. LS 6
Little Italien: quelli che scelgono di vivere in Germania
Le valigie di
cartone sono passato remoto, ma la Germania resta il Paese numero uno per la
nostra emigrazione. Viaggio tra gli italiani che si sono trasferiti nella
patria di Goethe e di Angela Merkel
Ormai hanno
superato quota 700 mila: sono gli italiani che hanno deciso di vivere in
Germania. Che si conferma la meta principale della nostra emigrazione,
superando di gran lunga Francia, Gran Bretagna, Belgio e Spagna. I tempi dei
Gastarbeiter con la valigia di cartone sono però lontani: non più solo camerieri,
operai o pizzaioli, i nostri connazionali che scelgono Berlino o Monaco,
Stoccarda o Colonia, sono sempre di più scienziati, artisti, professionisti,
tecnici. Prendete i ricercatori universitari: una comunità che oggi conta
tremila persone. "Cervelli in movimento, non in fuga" li definisce
l'ambasciatore italiano Pietro Benassi. E non è un caso, essendo proprio
Berlino la nuova capitale delle startup. Tante storie - raccolte dalla nostra
corrispondente Tonia Mastrobuoni per il servizio di copertina del Venerdì del 6
aprile - come quelle di Federico Frascà, che nella capitale tedesca ha fondato
un'azienda di logistica, mentre il fisico Giovanni Capellini ha sfornato
quindici brevetti, "purtroppo neanche uno per l'Italia" e la sua
compagna Chantal Meloni lavora per l'Ecchr, il prestigioso studio legale
internazionale che si occupa di diritti umani. Oppure ci sono vicende come
quella di Francescantonio Garippo e della sua famiglia, un modello di
integrazione: 34 anni fa Francescantonio entrò nel consiglio di fabbrica della
Volkswagen, ora siede nel consiglio comunale di Wolfsburg e i suoi figli Vito e
Raffaella sono laureandi in ingegneria. Il nonno era arrivato dalla Campania
per lavorare in fabbrica.
Le statistiche la
dicono lunga: nel 2000 gli italiani che venivano in Germania con una borsa di
studio erano 402, nel 2012 cinque volte tanto, e la crescita continua, mentre
il numero di quelli che cercano lavoro nei ristoranti o nella gastronomia è
crollato dall'l1,2 per cento al 3,7. Ma non sono solo storie di riscatto.
Racconta Garippo: "Qui a Wolfsburg c'è un ragazzo con quattro lauree
addetto alla catena di montaggio. Questo perché parla ancora male il tedesco.
Quando vedo giovani bravissimi che devono scappare dall'Italia in questo modo
mi fa male al cuore. È il sintomo di un fallimento, per il nostro Paese".
Negli altri
servizi di copertina di questo Venerdì, il viaggio dello scrittore Mario
Desiati nel quartiere "alternativo" di Kreuzberg e negli altri grandi
municipi berlinesi tra virtù, vizi e bizzarrie, e un'inchiesta di Cecilia
Anesi, Floriana Bulfon e Giulio Rubino sul "lato oscuro" della
presenza italiana in Germania, ossia gli affari tedeschi della 'ndrangheta, dal
controllo dei ristoranti allo smaltimento dei rifiuti e al gioco d'azzardo
online. LR 6
Francoforte: dal 25 a 27 maggio il Festival della Poesia Europea
Francoforte. Divenuto
in pochi anni una prestigiosa tradizione “francofortese”, torna dal 25 al 27
maggio 2018 il Festival della Poesia Europea di Francoforte sul Meno. Sin dall’inizio si è subito distinto dagli
altri Festival sia per la sua funzione di “luogo d’incontro” amicale tra i
maggiori talenti che la poesia europea riesce ad esprimere, sia per la passione
con cui un gruppo di donne poete, con la direzione artistica della giornalista
Marcella Continanza, vogliono far conoscere l’Europa tramite i suoi poeti.
Attraverso la
poesia, il Festival ambisce a supportare il processo di crescita dell’Europa
perché l’unione dei popoli non si realizza solo adottando una moneta unica ma
passa, soprattutto, attraverso la cultura, attraverso i versi che riecheggiano
nei giorni del Festival in una città invasa dalla poesia.
Anche
quest’edizione, sempre con ingresso libero, pone l’accento sul valore
emblematico della poesia capace di abbattere qualsiasi barriera per divenire
solo e soltanto emozione allo stato puro.
Il Festival è
patrocinio: dall’Ambasciata Italiana di Berlino, dal Consolato generale
italiano Francoforte sul Meno, dall’Istituto Italiano di Cultura Colonia
Per tre giorni
Francoforte sul Meno diventerà la capitale culturale europea dove ogni poeta
ospite del Festival declinerà, liberamente, il proprio processo creativo.
Quindi si susseguiranno lesung, incontri con i Poeti, visite alla città,
dibattiti, visite ai musei e mattinée con la musica. Si parte il 25 alle ore
18.00al Goethe University Campus Westend, Casino Building Hall 1.812 con
l’apertura del Festival e i saluti di benvenuto del Dr. Ing. Maurizio Canfora,
Console Generale a Francoforte seguirà la conferenza di Titos Patrikios, poeta
e presidente del comitato che con il suo modo coinvolgente, perché “i poeti
cercano risposte a domande non ancora fatte”, ci spiegherà l’importanza di
questo Festival. Patrikios non ha mai creduto che la poesia potesse esercitare
un qualche potere sulla politica ma piuttosto di narrare la storia di chi non
ha più voce, la storia che gli storici non raccontano.
Alle ore 19.00 si
svolgerà la tavola rotonda sull’interessante e attuale tema “Europa e
Mediterraneo”, a cui interverranno i poeti Titos Patrikios, Giuseppe Conte,
Jordi Virallonga, la Prof. Theodora Dimitroulia e Barbara Neeb. Moderazione:
Laurette Artois e dr. Tommaso Pedicini. L’ atteso appuntamento riveste grande
importanza perché sarà un momento di confronto tra i diversi poeti ed evidenziandone
le specifiche identità.
Il 26 nell’ambito
di “Poeti d’Europa” si terrà l’Incontro con l'autore Simone Scharbert 19.00
Haus am Dom (Domplatz 3, Giebelsaal, Frankfurt) interessante voce del panorama
culturale tedesco. Protagonisti dell’evento più atteso del Festival è la lesung
corale a cui parteciperanno Titos Patrikios, Giuseppe Conte, Ida Andersen,
Vanja Angelova, Jordi Virallonga. L’evento vuole essere uno spazio dove sia
possibile diffondere la parola poetica preservando i valori culturali
di tutti i poeti ospiti del Festival. L’ Haus am Dom risuonerà delle voci,
delle poesie che verranno prima declamate dai poeti stessi nella loro lingua
originale e poi i poeti Eric Giebel e Barbara Zeizinger le reciteranno in
tedesco. Moderazione: Edita Kock, giornalista.
27.05.2018
Associazione tedesco-italiana, Arndtstr. 12, 60325 Frankfurt ore 11.00 Matinée
con musica. Come nelle passate edizioni anche quest’anno è previsto un omaggio
ad un significativo esponente della cultura europea: il poeta Albino Pierro che
per anni “ha sfiorato” il Nobel per la Letteratura e che rappresenta un tesoro
per la cultura italiana. Modererà l’evento: Dr. med. Anna Picardi a cui seguirà
il concerto con il raffinato pianista Alessandro Vena. Alle 19.00 Vino e poesia, lettura e conversazione
con Vanja Angelova, Ida Andersen, Simone Scharbert. Eric Giebel, Barbara Zeizinger rileggeranno
in tedesco le poesie.
Possiamo affermare
che come ogni maggio sin dal 2007, anche quest’anno sarà presente tutto
l’universo poetico europeo contemporaneo all’undicesima edizione del Festival
della Poesia Europea di Francoforte sul Meno.
Il Festival è
promosso dall’Associazione “Donne e Poesia Isabella Morra”, dal Giornale “Clic
Donne 2000” e dal Comitato del Festival. Ideatrice e direttrice artistica è la
giornalista e poeta Marcella Continanza.
Valeria Marzoli, CdI/de.it.press
“Italia e Germania nella prospettiva europea”. “Anders miteinander -
Diversi ma insieme”
Ciclo di incontri
organizzati dall’Ambasciata d’Italia e dagli Istituti di Cultura di Berlino e
Monaco di Baviera
Le relazioni
italo-tedesche sono molto intense in ogni settore della cooperazione
bilaterale, da quello politico a quello economico-commerciale, a quello
scientifico, senza dimenticare lo straordinario volume degli scambi culturali.
Le basi di questo legame di amicizia e di complementarità rimangono sempre
solide nelle alterne vicende politiche e sociali che si succedono nella cronaca
dei due Paesi. La Germania si conferma negli anni come il principale partner
economico del nostro. Con 110 miliardi di euro di interscambio bilaterale,
Berlino rimane il principale interlocutore di Roma con la quale condivide, tra
l’altro, la straordinaria vocazione manifatturiera. Entrambi Stati fondatori dell’Unione
Europea, Italia e Germania hanno contributo negli anni, più di altri, alla
costruzione e all’avanzamento del progetto europeo. Anche in politica estera, i
due Paesi si sono mossi – dal dopoguerra in poi – lungo posizioni e direttrici
simili, spesso integralmente condivise.
Il futuro
dell’Europa, il suo auspicabile rilancio non può dunque prescindere in alcun
modo da un ruolo significativo di Italia e Germania. Su tale rilancio Roma e
Berlino condividono integralmente gli obiettivi anche se, talvolta – in
particolare nel dibattito sull’Eurozona – sono portatrici di sensibilità
diverse e dunque anche di modalità di approccio non coincidenti.
È proprio la
rilevanza politica di queste due realtà unitamente alla grande tradizione
storica, talvolta drammatica, che ne ha caratterizzato il cammino a farci
osservare il riemergere, di tanto in tanto, nella narrativa politica,
economica, culturale attraverso i media di nuovi luoghi comuni reciproci che,
al di là della loro matrice, finiscono per esaltare le differenze pur in
presenza di innumerevoli convergenze. Per quanto approssimativi, tali luoghi
comuni culturali non possono tuttavia essere ignorati né liquidati
sbrigativamente; non potrebbero, infatti, far presa sull’opinione pubblica in
modo così significativo, se non rappresentassero il nucleo di un immaginario
condiviso e di una sensibilità collettiva che affonda le sue radici nella
storia delle culture nazionali.
Partendo da questa
considerazione, l’Ambasciata d’Italia a Berlino organizza una serie di incontri
dal titolo Anders miteinander – Diversi ma insieme per analizzare gli ambiti di
collaborazione (e, se del caso, le molteplicità di approccio all’interno di
questi ambiti) in campo politico, economico-finanziario, nel settore dei media
e in campo culturale, attraverso un dibattito che toccherà sia l’editoria sia
la concezione dei musei nei due Paesi. Anche lo sport sarà al centro delle
riflessioni. Il calcio, come poche discipline, è da sempre paradigmatico
dell’attrazione/rivalità tra le scuole italiana e tedesca.
Un moderatore di
volta in volta animerà il dibattito tra esponenti di spicco dei due Paesi,
secondo lo schema della Podiumsdiskussion, con interventi anche del pubblico.
Tale formato rispecchia la convinzione che solo mettendo a confronto la decennale
esperienza di grandi personalità dei due Paesi si possa innescare un confronto
costruttivo tra culture; che siano soprattutto tali punti di vista settoriali a
condurre al superamento del revival di luoghi comuni cui abbiamo talvolta
assistito negli scorsi anni, in particolare al culmine della crisi
dell’Eurozona; infine – e in sintesi – che solo la profonda conoscenza
reciproca nei rispettivi settori di attività permetta di formarsi un’opinione
imparziale del Paese dell’altro.
Il primo incontro
sulla parte politica è stato tenuto a Berlino, in Ambasciata il 20 febbraio
u.s., seguito da un dibattito sull’editoria a Lipsia il 16 marzo e da quello
sulla finanza (Eurozona) in Ambasciata il 21 marzo. Sarà quindi la volta della
concezione museale a Berlino (Ambasciata) il 18 aprile e poi dello sport alla
Künstlerhaus di Monaco di Baviera il 19 aprile. Il dibattito nel linguaggio dei
media chiuderà la serie a Berlino (Ambasciata) il 15 maggio 2018. CdI
A Berlino aperte le iscrizioni a “Calcio in festa” 2018
Torna la seconda
edizione della grande festa d'estate "CALCIO IN FESTA. Una domenica
italiana", organizzata dal Comites Berlino. L'evento si terrà domenica 3
giugno 2018 dalle 11 alle 18 presso la Sportanlage Westend (Spandauer Damm 150,
14050 Berlin).
Sono aperte le
iscrizioni a Calcio in festa 2018, la grande festa d'estate degli italiani a
Berlino. Le possibilità di partecipare sono tante: è infatti possibile
iscriversi al torneo di calcio a sette per adulti, al Campus di allenamento per
bambini e ragazzi, riservare uno stand per associazioni, proposte di street
food o artigianato, e riservare un posto all'Open stage messo a disposizione di
cantanti, musicisti e gruppi che vogliano esibirsi durante la festa.
Cultura e
gastronomia
"Calcio in
Festa 2018" si presenta rinnovato ed ampliato rispetto alla prima
edizione, con una grande festa della cultura italiana a Berlino con stand delle
principali associazioni e attività italiane a Berlino, le redazioni dei
principali media italofoni e una zona dedicata allo street food di qualità e a
bancarelle di artigianato.
Calcio e sport
Uno dei
protagonisti della giornata sarà lo sport, con un torneo amatoriale di calcio a
7, organizzato in collaborazione con Le Balene Possono Volare, al quale è
possibile iscriversi sia come squadra che come singoli. Questi ultimi verranno
raggruppati in squadre create appositamente dall'organizzazione. Per i bambini
e ragazzi quest'anno verrà offerto un Campus di allenamento sia per giocatori
principianti che esperti, alla presenza dell'ospite d'onore Thomas Häßler,
campione del mondo con la nazionale tedesca nel 1990.
Bambini e musica
È previsto,
inoltre, un ricco programma di intrattenimento non solo per i bambini - con
attività di gioco-sport e laboratori creativi organizzati da bocconcini di
cultura, la presenza di un gonfiabile e spettacoli - ma anche per gli adulti,
con una variegata offerta musicale durante tutto l’arco della manifestazione.
Novità di quest'anno, l'Open stage, la possibilità cioè per chiunque voglia
esibirsi come cantante, musicista o gruppo musicale, di salire come
protagonista sul palco di Calcio in Festa.
Maggiori
informazioni e i moduli d'iscrizione al torneo sono pubblicati sul sito del
Comites all'indirizzo www.comites-berlin.de. (de.it.press)
Festeggiata a Mantova la ventennale amicizia con Weingarten
Venti anni di
gemellaggio con la città tedesca di Weingarten sono stati festeggiati nei
giorni scorsi da Mantova. Al Teatro Bibiena si è tenuta una cerimonia
istituzionale condotta dal giornalista Luciano Ghelfi, presenti i sindaci
Mattia Palazzi e Markus Ewald e i due vescovi Marco Busca e Gebhard
Furst. L’orchestra giovanile del Conservatorio di Mantova Lucio Campiani si è
esibita in un concerto diretto da Carla Delfrate con le musiche di Franz Joseph
Haydn (sinfonia numero 101 in re maggiore). Nel foyer del teatro nel frattempo
si teneva l’annullo filatelico celebrativo del 20° anniversario del gemellaggio.
Gli eventi per
rinnovare l’amicizia tra le due città sono proseguiti nella sala della Colonna
in piazza Leon Battista Alberti dove è stata inaugurata la mostra filatelica e
numismatica di immagini sacre che richiamano la reliquia dei Sacri Vasi a cura
di Alfio Fiorini, Sergio Leali e Francesca Campogalliani con la collaborazione
del presidente del circolo filatelico mantovano Carlo Negri. All’inaugurazione
sono intervenuti i curatori, monsignor Giancarlo Manzoli, il presidente del
consiglio comunale Massimo Allegretti e molti amici dell’associazione
Mantova-Weingarten.
E’ stato inoltre
messo a dimora un acero autoctono in piazza Virgiliana. I sindaci di Mantova e
di Weingarten hanno scoperto la targa che evoca il ventennale del gemellaggio:
vi è riportata la scritta “Crescetis amores” tratta da un verso di Virgilio.
Dieci anni fa nella città tedesca era stata piantata una quercia. dip
Mario Caruso: “Amarezza per risultati elettorali che non ci aspettavamo”
“Gli italiani
residenti in Europa hanno votato e purtroppo il partito di cui ero Capolista
alla Camera ‘Noi con l’Italia UDC’ è arrivato sesto per numero di voti. Si è
attestato al 2,3 per cento con un totale di 11.845 elettori, non riuscendo a
conquistare un seggio in Parlamento. E’ per questi 12 mila connazionali
che ci hanno scelto, però, che sentiamo oggi il dovere di andare avanti
nel rispetto e nella condivisione dei nostri ideali moderati popolari e
cristiani. Tantissimi connazionali hanno deciso di dare fiducia ai partiti
estremisti, nella ricerca disperata di un cambiamento. L’ala moderata è uscita
sconfitta da questa tornata elettorale ma ritengo che da una sconfitta si possa
ripartire insieme più forti di prima. L’esito è oggetto di attenta analisi per
individuare e affrontare circostanze che non hanno convito gli elettori"
- Lo afferma in una nota il deputato uscente Mario Caruso.
“In questi
difficili mesi di campagna elettorale, - continua Caruso -, abbiamo girato
l’Europa, incontrato la gente comune, le folle e gli elettori residenti
all’estero. Mi sento oggi di esprimere il mio sentito Grazie a tutti coloro che
ci hanno sostenuto fino all’ultimo, con il proprio impegno e il proprio
sostegno incondizionato. Una grande squadra di professionisti e amici che ha
lavorato ininterrottamente tutti i giorni per diffondere il nostro programma e
per invitare la gente a sostenere la lista “Noi con l’Italia-Udc” e i nostri
candidati. Anche e soprattutto a loro, protagonisti fedeli e preparati, va il
mio ringraziamento per questa campagna elettorale scandita da sorrisi e mani
tese verso i cittadini".
“Il lavoro
che continuerò a svolgere nei prossimi mesi, - conclude Caruso -
sarà totalmente dedicato agli italiani, miei connazionali, come ho fatto da
sempre per 44 anni in Germania, e negli ultimi cinque fuori e dentro la Camera
dei Deputati per ripartire più forti di prima con uno sguardo ottimista rivolto
al futuro, che è ancora tutto da scrivere”. (Inform 12.3)
A Berlino il 12 aprile la presentazione di “Assistenza alle persone con
disabilità in Germania”
Il 12 aprile la
nuova guida curata dal Comites di Berlino in collaborazione con l'Ambasciata
d'Italia a Berlino e AOK Nordost
Berlino – In
programma giovedì 12 aprile alle ore 19 presso la Werkstatt der Kulturen di
Berlino (Wissmannstraße 32) la presentazione della guida “Assistenza alle
persone con disabilità in Germania. Piccola Guida per orientarsi nel sistema
tedesco” promossa dal Comites di Berlino.
L'iniziativa
rientra nell'impegno messo in campo dal Comites, in collaborazione con l'Ambasciata
d'Italia a Berlino e AOK Nordost, nel promuovere incontri e pubblicazioni
informative destinate agli italiani residenti in Germania, volti in particolare
al miglioramento del loro accesso ai servizi e alla loro integrazione.
Dopo la “Piccola
guida al sistema sanitario in Germania” presentata nel 2016, è ora la volta
della seconda pubblicazione, intitolata "Assistenza alle persone con
disabilità in Germania - Piccola Guida per orientarsi nel sistema
tedesco". Il nuovo opuscolo informativo verrà presentato in lingua
italiana, ad ingresso gratuito. Previsti i saluti dell'ambasciatore d'Italia in
Germania, Pietro Benassi e della presidente del Comites di Berlino, Simonetta
Donà. Gli interventi, moderati da Luciana Degano Kieser del Comites, saranno di Francesco
Marin dell'Ambasciata d'Italia a Berlino e Serena Manno dell'AOK Nordost.
Nella guida, che
verrà distribuita gratuitamente agli ospiti della serata, si troveranno
informazioni in lingua italiana e di facile consultazione sulle possibilità di
cura e assistenza agli italiani diversamente abili in età adulta che risiedono
in Germania: i livelli riconosciuti di disabilità, le prestazioni offerte
e chi ne può usufruire, gli enti erogatori ai quali rivolgersi, e una
esauriente lista di risposte alle domande più frequenti. A questa guida,
focalizzata sulle possibilità di assistenza a persone in età adulta (sia nel
caso di disabilità permanente che temporanea, causata per esempio da un
incidente sul lavoro), seguirà una seconda pubblicazione dedicata invece
all'assistenza alla disabilità per minori di 18 anni.
La pubblicazione è
il frutto di oltre un anno di lavoro e ricerca di vari autori coordinati da
Luciana Degano Kieser, in collaborazione con Francesco Marin e Serena Manno, e
con il contributo di diverse associazioni attive sul territorio quali Salutare
e.V., Artemisia e.V. - Inklusion für alle, e Infermieri italiani a Berlino.
"Ringrazio di
cuore tutti coloro che in Germania sempre più numerosi seguono le nostre
attività, gli autori e coloro che hanno collaborato alla stesura e alla stampa
di questo indispensabile strumento informativo - afferma in proposito la
presidente del Comites Berlino. dip
Giornata della memoria a Ravensbrück, nel principale Lager femminile della
Germania nazista
Berlino - “Nella
giornata di domenica, 11 marzo 2018, il Comites di Berlino ha organizzato una
giornata della memoria molto particolare e specificamente una commemorazione
pubblica delle vittime di Ravensbrück, il più grande lager femminile della
Germania nazista e attualmente quartiere della città di Fürstenberg/Havel, a
circa 90 km da Berlino. L’iniziativa prevedeva una visita al campo e una
cerimonia finale davanti al Memoriale Nazionale di Ravensbrück e tutto si è
svolto in una giornata tiepida e soleggiata che ha reso l’esperienza
particolarmente struggente, mentre il ricordo sempre più vivo dell’orrore
storico si mescolava in modo anomalo alla dolcezza della natura”. A scriverne è
Lucia Conti sul quotidiano online di Berlino “ilMitte.com”.
“Il campo sorge
vicino al lago di Schwedt, che domenica si presentava ghiacciato e che ha una
storia inquietante. Durante gli anni in cui era in funzione il lager, infatti,
le ceneri dei corpi bruciati nei forni crematori venivano riversate nelle sue
acque.
Erano le deportate
testimoni di Geova a svolgere questa mansione, trascinando carriole che
facevano avanti e indietro dalla riva. I resti di circa 123.000 persone sono
stati in questo modo dispersi sul fondo del lago, in cui all’epoca continuavano
a nuotare, occasionalmente sporcandosi di cenere senza farci caso, le mogli e i
figli delle SS.
Poco distanti dal
campo sono infatti ancora visibili le villette destinate ai soldati tedeschi e
alle loro famiglie, eleganti costruzioni immerse nella natura e a pochi passi
dall’incubo.
La particolarità
di Ravensbrück era quella di essere un lager femminile (anche se nel 1941 fu
aggiunto anche un piccolo lager maschile, un Männerlager), che dal 1939 alla
fine della guerra ospitò circa 110.000 donne, suddivise tra dissidenti
politiche, ebree, sinti e rom o asociali.
Quella delle
asociali era una categoria che includeva varie categorie di donne: alcoliste,
donne dai costumi ritenuti licenziosi, lesbiche, prostitute e in generale
chiunque fosse considerato deviante rispetto ai modelli imposti dal regime e
dalle Leggi di Norimberga sulla purezza razziale, ad esempio chiunque
interagisse con stranieri ritenuti untermenschen, cioè sub-umani.
L’iniziativa ha
registrato un alto tasso di partecipazione e molte persone visibilmente toccate
dal racconto dei fatti sono state accompagnate nella visita al campo dalla
professoressa Johanna Kootz, una delle massime esperte sulla storia di
Ravensbrück.
La professoressa
Kootz è anche la curatrice del libro “Le donne di Ravensbrück”, di Lidia Rolfi
Beccaria e Anna Maria Bruzzone, miracolosamente sopravvissute all’inferno del
lager.
Del gruppo di
visitatori faceva parte anche Aldo Rolfi, figlio di Lidia, che ha letto un
passo del libro della madre e che spesso racconta la storia di Ravensbrück
anche ai ragazzi delle scuole.
Lo abbiamo
intervistato all’interno della vecchia sartoria del campo, in cui oggi si
trovano delle bellissime sculture dalla fisionomia quasi espressionistica che
rappresentano gli internati e il loro dolore, estremo, deformante e definitivamente
incomprensibile.
Aldo ci ha parlato
delle difficoltà di trasmettere ai più giovani un messaggio così complesso.
“Quando parlo
nelle scuole e racconto le storie dei testimoni, parlando per esempio di
spersonalizzazione dell’individuo” ha precisato “i ragazzi a volte faticano a
capire. Come si fa a spiegarlo? Io porto come esempio la semplicissima
condizione di essere nudi vicino al padre e alla madre e di restare nudi a file
centinaia, cosa che negli anni quaranta era un tabu totale. Ecco questo è un
esempio di quella che era la spersonalizzazione subita dai deportati”.
Dal 1939 al 1942
Ravensbrück fu principalmente un campo di rieducazione, ma dal 1941 in poi le
condizioni peggiorarono e cominciarono a verificarsi i cosiddetti “trasporti
neri”, vale a dire l’invio delle detenute troppo vecchie, debilitate e malate
in altri campi, specificamente progettati per lo sterminio.
A partire dal
1942-43, man mano che cresceva il bisogno di manodopera dell’industria bellica,
Ravensbrück divenne un mercato delle schiave e nel 1943 la Siemens aprì una
filiale adiacente al campo, in cui ragazze dai dodici anni in su lavoravano
costantemente e quasi senza riposo.
Le donne di
Ravensbrück erano anche impiegate come prostitute nei bordelli degli altri
campi di concentramento. Venivano spesso indotte a farlo con la falsa promessa
di essere liberate in sei mesi per poi tornare, invece, sempre schiave e in più
umiliate, debilitate e guardate con disprezzo dalle compagne di prigionia.
Durante la
cerimonia di commemorazione, Edith Pichler del Comites ha ricordato “gli
orrendi crimini di genere commessi a Ravensbrück”, vale a dire stupri, aborti
forzati, sterilizzazioni e molte altre violenze che hanno colpito le internate
come donne, oltre che come persone.
Tra le vittime anche
1000 italiane, spesso oggetto di manifesta ostilità da parte delle altre
prigioniere in quanto provenienti da un Paese fascista. La loro memoria è
evocata dalla scritta “Italien”, inserita sull’altissimo muro di cinta del
campo, all’epoca percorso dall’alta tensione. Ci sono tuttavia molte altre
scritte che ricordano la provenienza nazionale delle donne arrivate da
tutt’Europa e finite a Ravensbrück: Belgio, Danimarca, Grecia, Francia, Regno
Unito, Ungheria e molte altre.
Tra le italiane
sopravvissute a Ravensbrück c’è anche Liliana Segre, recentemente nominata
senatrice a vita e che ha voluto mandare ai partecipanti un affettuoso saluto,
come ricordato da Simonetta Donà, presidente del Comites. Simonetta Donà ha
anche incoraggiato tutti a compiere il rito finale della giornata, vale a dire
un lancio di fiori nel lago, vicino al monumento alle vittime di Ravensbrück
realizzato dallo scultore Will Lammert.
Presente anche
Fabio Dorigato, capo della cancelleria consolare, che ha sottolineato quanto
l’Ambasciatore Benassi sia sensibile al valore della memoria e ha rilanciato
l’importanza del ruolo dell’istituzione Europa nella sua tutela.
“Quando è finita
la seconda guerra mondiale la maggior parte dei deportati e delle deportate non
aveva molta voglia di raccontare, per il semplice motivo che era difficile far
capire cosa fosse successo qui” ci ha raccontato Aldo Rolfi. “Era più facile
per un reduce di Stalingrado o El Alamein descrivere una battaglia” ha
precisato “perché una battaglia è fatta di fucili, cannoni e morti. La
deportazione, quello che mamma e anche Primo Levi chiamavano l’universo
concentrazionario, è una cosa che non puoi descrivere senza averla vissuta”.
Interpellato a
proposito del foulard che portava al collo e che presentava i colori delle
divise del campo, ha quindi pronunciato parole che sintetizzano perfettamente
il senso della giornata: “Questo foulard rappresenta la mia storia di figlio di
deportata e rappresenta una continuità, un simbolo. Tutte le volte che vengo
qui sento che debbo indossarlo””. (aise 16.3.)
I recenti temi di Radio Colonia, la trasmissione italiana della radio
multilingue COSMO
05.04.2018. Quale
futuro per la Siria? Russia, Turchia e Iran si sono accordati per disegnare il
futuro del paese, ma la pace resta ancora lontana. Ne parliamo con Silvia
Colombo dell'Istituto Affari Internazionali di Roma.
Dolce veleno. Secondo
Foodwatch bibite come la Coca Cola sarebbero corresponsabili di obesità e
diabete. Serve una tassa sullo zucchero? Sì, risponde il tecnologo alimentare
Roberto La Pira ai nostri microfoni.
04.04.2018. Voli a
prezzi gonfiati
Attenzione alla
prenotazione di voli online, secondo una recente analisi i portali internet
userebbero dei software per gonfiare i prezzi.
Le pagelle ai
consolati. Negli ultimi anni i servizi consolari sembrerebbero essere
leggermente migliorati. A dircelo i presidenti di alcuni Com.It.Es, ma anche
gli italiani stessi, rispondendo ad un mini-inchiesta da noi lanciata sui
social network.
03.04.2018. La
vergogna delle morti bianche
Con la ripresa
economica in Italia aumentano anche i morti sul lavoro. Lavoro nero, pochi
investimenti nella sicurezza e inefficienza dei controlli sono le cause
principali di questa tragedia. Ne parliamo con Sebastiano Calleri della CGIL.
29.03.2018. Operazione
Mosaico. È l’operazione antiterrorismo effettuata dalla Digos di Roma che ha
dato esecuzione a cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere.
Smantellata la rete dei complici di Anis Amri, l'attentatore di Berlino. Ne
parliamo con Enzo Savignano.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/operazione-mosaico-100.html
Ogni giovedì. Appuntamenti
Eventi italiani in
Germania: il calendario di Angela Sinesi
Ogni lunedì. Sport:
non solo risultati
I commenti
sportivi di Agnese Franceschini
http://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/sport/index.html
28.03.2018 Guida
autonoma, quale futuro?
Dopo l’incidente
stradale sulle strade di Tempe, in Arizona, costato la vita a una donna
investita da un’auto a guida autonoma di Uber, gli esperti cercano risposte e
responsabilità. Ne parliamo con Roberto Iasoni.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/guida-autonoma-102.html
Amici dell'Organo
della Pace. È l'associazione fondata dieci anni fa per non dimenticare la
strage nazista di Sant'Anna di Stazzema. Nei nostri studi la fondatrice
dell'associazione Maren Westermann.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/organo-pace-100.html
The Zen Circus. A
due anni dal successo dell’album “La Terza Guerra Mondiale” la band toscana
guidata da Andrea Appino torna con “Il fuoco in una stanza".
27.03.2018. Rebus
governo. Dopo l'elezione dei presidenti di Camera e Senato ora inzia la partita
più difficile e lunga: la formazione del nuovo esecutivo italiano. Ne parliamo
con il direttore del quotidiano Libero, Pietro Senaldi.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/governo-senaldi-102.html
In attesa di prove.
Si fa sempre più teso il clima intorno alla vicenda dell'ex spia del Kgb Sergej
Skripal e di sua figlia, avvelenati con gas nervino a Salisbury, nel Regno
Unito. Ne parliamo con il professor Germano Dottori.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/nervino-skripal-100.html
Un Falstaff
sessantottino. Abbiamo incontrato il regista Mario Martone. La sua versione del
Falstaff di Giuseppe Verdi è in cartellone alla Staatsoper Unter den Linden di
Berlino. L’opera sarà replicata il 28 marzo e l’1 aprile, e sarà ripresentata
il prossimo dicembre.
26.03.2018 La
birra della Speranza. Nel 2011 la fabbrica di Birra Triscele a Messina ha
chiuso i battenti. Gli operai hanno deciso di restare investendo il loro
trattamento di fine rapporto e tutti loro risparmi per creare una fabbrica
tutta loro.
23.03.2018. Ministero
per l'"Heimat". L'Heimatsministerium esiste già a livello regionale
in Baviera e in Nordreno-Vestfalia. Lì questi dicasteri si occupano di
programmi di sviluppo del territorio. Sarà così anche a livello federale?
Il lato dolce di
Kreuzberg. La pasticceria di Natalia Giordano, aperta dopo varie difficoltà
burocratiche, fa conoscere ai berlinesi e ai turisti che popolano il cosiddetto
"Graefekiez" specialità regionali italiane come i canestrelli, le
zeppole e le pastiere pasquali, sfidando il monopolio delle classiche torte
tedesche.
Ogni giovedì. Appuntamenti
Eventi italiani in
Germania: il calendario di Angela Sinesi
Ogni lunedì. Sport:
non solo risultati
I commenti
sportivi di Agnese Franceschini
http://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/sport/index.html
RC/De.it.press
Assemblea generale della Casa Internazionale di Kempten
Ad interventi di
carattere informativi è seguita l'elezione di due membri del Direttivo e di un
revisore dei conti
Kempten – Si è
svolta il 20 marzo scorso l'assemblea generale della Casa Internazionale di
Kempten, cui hanno partecipato diverse decine di iscritti.
All'inizio
dell'incontro, al saluto di benvenuto e una prima breve relazione da parte
della presidente, Gabriele Heilinger, sono seguiti - da parte
dell'amministratore delegato Lajos Fischer, - una relazione finanziaria, un
rapporto dettagliato sulle attività dell'associazione e la presentazione di
alcune modifiche apportante a qualche passo dello Statuto, che sono state anche
approvate all'unanimità dai soci presenti.
Di seguito – si
legge nella nota scritta in proposito da Fernando A. Grasso, corrispondente
consolare per il Circondario di Kempten, vicepresidente vicario delle Acli
Baviera e del Circolo Acli di Kempten - Ruth Haupt ha parlato ai presenti del
sostegno scolastico che lei, da alcuni mesi, porta avanti con il supporto di
praticanti e di volontari e così pure ha riferito dei suoi contatti con i
genitori e gli insegnanti degli alunni di terza e quarta elementare in
concomitanza con la preparazione di questi ultimi all'ammissione al ciclo
secondario più qualificato, nonché del sostegno dato agli alunni di nona classe
per la loro preparazione all'esame qualificato.
Heilinger e
Fischer hanno riferito sul sostegno dato ai giovani nell'elaborazione di
curricola, di corsi di integrazione, di lezioni di tedesco per i bambini appena
arrivati, di consulenze generali, di incontri e informazioni, di eventi
speciali, concerti, manifestazioni, di partecipazioni a feste come quella della
Burgalde e di tante altre cose.
Al termine di
questa prima parte di carattere informativo, si è proceduto con l'elezione di
due membri del Direttivo e di un revisore dei conti.
Oltre a Grasso,
che aveva già partecipato nel novembre 2017 al progetto "Giornata di
Lettura a livello Federale" nella stessa Casa Internazionale, era presente
all'incontro anche Siegfried Oberdörfer della Frazione della SPD in seno al
Consiglio Comunale e Incaricato per l'Integrazione. dip
A Berlino il 22 aprile cerimonia di commemorazione dell’eccidio di
Treuenbrietzen
Berlino - La sera
del 21 aprile 1945, l’arrivo di truppe sovietiche e la fuga dei guardiani
comportò l’apertura dei Campi di Lavoro della zona di Treuenbrietzen, cittadina
situata a 70 chilometri a sud ovest di Berlino, destinati ai prigionieri di
guerra e ai lavoratori forzati di diverse nazionalità, impiegati nelle aziende
Kopp & Co e Dr. Kroeber & Sohn.
Il 23 aprile però,
dopo che le truppe sovietiche proseguirono la loro avanzata, un reparto
militare tedesco separò gli internati militari italiani dal resto dei
prigionieri e li trucidò in una cava nei pressi della località di Weinbergen.
Delle 127 vittime accertate, 111 poterono essere identificate.
Domenica 22 aprile
a partire dalle ore 11:00, in concomitanza con la Festa della Liberazione, avrà
luogo la consueta cerimonia di commemorazione organizzata dall’Ambasciata
d’Italia a Berlino in collaborazione con il Comune di Treuenbrietzen.
Il punto di
ritrovo per i connazionali che vorranno partecipare alla cerimonia è alle ore
11 nella Piazza del Municipio di Treuenbrietzen.
Alle 11:15 presso
il Memoriale italiano a Nichel si terrà la commemorazione comune dell’eccidio
degli internati militari italiani, con l’allocuzione del Ministro Alessandro
Gaudiano. Seguirà la benedizione del Parroco di Treuenbrietzen Burkhard
Stegemann e di un rappresentante della Nunziatura Apostolica.
Alle 12:00 circa
presso il Cimitero d’Onore di Treuenbrietzen “Triftfriedhof” verrà deposta una
corona seguita da un momento di raccoglimento in onore delle vittime civili
della Seconda Guerra Mondiale.
La preghiera sarà
affidata al Pastore di Treuenbrietzen, Gunter Seidel. Alle 12:45 al
“Kriegsgräbergedenkstätte” sito nella Jüterbogerstraße verrà deposta un’altra
corona nel memoriale in onore dei soldati sovietici caduti con una allocuzione
dell’Ambasciata della Federazione Russa.
Infine, piccolo
ricevimento del Sindaco (con il contributo dell’Ufficio Affari Sociali
dell’Ambasciata d’Italia a Berlino) della città di Treuenbrietzen Michael
Knape, presso la Schulaula des Gymnasiums “Am Burgwall” (Burgwallstraße 1) di
Treuenbrietzen. De.it.press
Amburgo/Monaco -
L’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo mercoledì 11 aprile, alle ore 19.00,
ospiterà l’autrice Valeria Parrella che parlerà del suo libro intitolato “Enciclopedia
della donna – Aggiornamento” pubblicato dalla casa editrice Einaudi di Torino
nel 2017, tradotto in tedesco da Gudrun Jäger e Cathrine Hornung per la casa
editrice Folio di Vienna che lo ha pubblicato il 25 febbraio di
quest’anno. “L’incontro è stato organizzato dall’Istituto Italiano di
Cultura di Amburgo in collaborazione con la casa editrice Folio di Vienna e
sarà moderato dalla dott.ssa Paola Barbon in italiano e tedesco. La
partecipazione all’evento è gratuita (per prenotazioni si veda iicamburgo.esteri.it).
Il celebre
libretto settimanale italiano “Enciclopedia della donna” uscì negli anni '60 ed
esponeva in modo chiaro e definitivo tutto quello che una donna perfetta era
tenuta a sapere. Dall' alimentazione allo sport, dalle regole per essere
un'impeccabile padrona di casa a quelle da imporre ai figli. La scrittrice
italiana Valeria Parrella presenta un insolito aggiornamento della classica
enciclopedia: la protagonista, Amanda, docente di architettura di successo
sulla cinquantina, si lascia guidare dal desiderio e sorprende sia uomini che
donne con la sua tecnica di seduzione.
Valeria Parrella è
nata nel 1974 a Torre del Greco e vive a Napoli. Per Minimum fax ha pubblicato
le raccolte di racconti Mosca più balena (2003) e Per grazia ricevuta (2005).
Per Einaudi ha pubblicato i romanzi Lo spazio bianco (2008), da cui Francesca
Comencini ha tratto l'omonimo film, Lettera di dimissioni (2011), Tempo di
imparare (2014), la raccolta di racconti Troppa importanza all'amore (2015) e
Enciclopedia della donna. Aggiornamento (2017). Per Rizzoli ha pubblicato Ma
quale amore (2010), ripubblicato da Einaudi nei Super ET nel 2014. È autrice
dei testi teatrali Il verdetto (Bompiani 2007), Tre terzi (Einaudi 2009,
insieme a Diego De Silva e Antonio Pascale), Ciao maschio (Bompiani 2009) e
Antigone (Einaudi 2012). Per Ricordi, in apertura della stagione sinfonica al
Teatro San Carlo, ha firmato nel 2011 il libretto Terra su musica di Luca
Francesconi. Ha inoltre curato la riedizione italiana de Il Fiume di Rumer
Godden (Bompiani 2012). Collabora con “la Repubblica” e con “L'Espresso”.
Dall'8 marzo del 2006 cura la rubrica di libri del settimanale “Grazia”.
Giovedì 12 aprile,
alle ore 18.30, l’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera ospiterà
l’incontro con l’autrice Valeria Parrella, che presenterà il suo libro
“Enciclopedia della donna. Un aggiornamento”. L’incontro di Monaco, che sarà ad
ingresso libero con prenotazione obbligatoria, è organizzato dall’Istituto
Italiano di Cultura in collaborazione con Folio Verlag e si svolgerà in lingua
italiana e tedesca. dip
A Berlino il 16 aprile “L’Ambasciata incontra... giuristi e commercialisti”
Berlino – Si
svolgerà lunedì 16 aprile alle ore 18.30 all'Ambasciata d'Italia a Berlino il
prossimo incontro del ciclo “L’Ambasciata incontra...” dedicato questa volta ai
giovani italiani che vogliono lavorare nel mondo delle professioni giuridiche
ed economiche in Germania.
Con la moderazione
di Lucia Conti, direttrice de “Il Mitte”, quattro giovani professionisti
italiani attivi a Berlino e a Monaco di Baviera racconteranno il proprio
percorso personale e professionale tra studi legali internazionali, start up e
grandi aziende multinazionali. Ad accoglierli l'ambasciatore d'Italia, Pietro
Benassi.
Interverranno:
Anna Bonan, legale presso Delivery Hero AG, dove si occupa principalmente di
diritto societario e M&A, vive a Berlino dal 2015, dopo precedenti
esperienze lavorative presso studi legali di Milano e Padova, dove si è
laureata in giurisprudenza nel 2011; Vittorio De Vecchi Lajolo, musicista e
avvocato specializzato in proprietà intellettuale e industriale, diritto dei
media e protezione dei dati personali, dal 2012 lavora nello Studio Legale
Thomas Rechtsanwälte di Berlino, occupandosi di consulenza alle start up;
Christian Mastella, commercialista italo-tedesco, titolare di uno studio attivo
a Berlino da più di vent’anni e docente dei corsi di formazione
dell'Associazione di categoria dei commercialisti; Filomena Pacifico,
consulente e giurista presso lo studio legale Beiten Burkhardt a Monaco di
Baviera, dopo aver svolto per diversi anni la professione di avvocato,
prestando assistenza a gruppi industriali sia in Italia che in Germania, oggi
si dedica al business development e al marketing.
Scopo della
discussione tra i partecipanti è mettere in luce quali sono le opportunità
lavorative e, allo stesso tempo, le difficoltà di inserimento di chi si sposta
dall’Italia alla Germania per lavorare in questi settori. Nonostante le basi
comuni dei due sistemi giuridici e – almeno in parte – fiscali, e nonostante la
progressiva armonizzazione del diritto tedesco e italiano al diritto europeo,
l’esercizio delle professioni di avvocato e di commercialista resta in molti
casi legato alla conoscenza approfondita dei relativi sistemi nazionali e,
dunque, a studi effettuati nel paese in cui si intende esercitare. La crescente
interconnessione di scambi tra i due Paesi, l’internazionalizzazione delle
aziende e il flusso migratorio di italiani in Germania ha creato, tuttavia,
nuovi sbocchi lavorativi e nuove possibilità di applicazione delle conoscenze
tipiche di giuristi e commercialisti.
L’incontro – con
ingresso gratuito, su prenotazione – avrà la forma dell’intervista pubblica in
italiano (senza interpretariato), aperta alle domande dei partecipanti. (Inform
28)
Anno Europeo del Patrimonio Culturale. L'IIC di Berlino promuove due
iniziative il 18 e 19 aprile
Berlino –
L'Istituto Italiano di Cultura di Berlino promuove due giornate di studio sul
2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale, iniziative in cui importanti
personalità italiane e tedesche si soffermeranno su come si determina il nostro
rapporto con la tradizione, come essa incida sulla nostra identità e su quali
impulsi economici e fattori di rilevanza sociale sono connessi con il
patrimonio materiale e immateriale.
Il primo
appuntamento si svolgerà il 18 aprile presso l'Ambasciata d'Italia a Berlino, a
partire dalle 9.30. Previsti i saluti dell'ambasciatore Pietro Benassi e e di
Vincenzo De Luca, direttore generale per la Promozione del Sistema Paese del
Ministero degli Affari Esteri. Seguirà l'intervento di Salvatore Settis,
archeologo e storico dell'arte italiano, membro dell'Accademia dei Lincei di
Roma e, tra gli altri, quelli di Hermann Parzinger dell'Humboldt-Forum e Horst
Bredekamp dell'Università Humboldt di Berlino. I lavori proseguiranno nel
pomeriggio, con interventi del direttore dell'Istituto Italiano di Cultura,
Luigi Reitani, Eike Schmidt, direttore degli Uffizi di Firenze e l'archeologo
Matthias Wemhoff.
Il 19 aprile alla
Freie Universität di Berlino è in programma la seconda iniziativa, a partire
dalle ore 14.30. Tra gli interventi segnalati quello di Andreas Henning,
conservatore del Dipartimento di arte italiana della Gemäldegalerie di Dresda,
che parlerà in particolare del restauro conservativo di alcune opere di Paolo
Veronese.
L'ingresso è
libero; all'Ambasciata d'Italia è richiesta la prenotazione. dip
Acli Baviera: eletta la nuova Presidenza. Riconfermato il Presidente
uscente Carmine Macaluso
Kempten - Il 17
marzo, presso la sede del Circolo ACLI di Kempten, ha avuto luogo la prima
Riunione del neo eletto Consiglio Regionale, indetta dall'Ins. Patrizia
Mariotti, in qualità di prima eletta in occasione del recente XIII Congresso
delle ACLI Baviera, tenutosi ad Augsburg il 17 Febbraio scorso.
Presenti i
Consiglieri: Rag. Paolo Franco (Pres. Circolo Kempten), Comm. Carmine
Macaluso (Pres. Circolo Kaufbeuren) Signor Mauro Sansone (Pres. Circolo
Karlsfeld), Signor Rocco Sileo (Pres. Circolo Holzkirchen), Signor Vito
Acquavia (Holzkirchen), Signor Pasquale Bibbò (Kaufbeuren), Signora Barbara
Eberle (Kaufbeuren), Signor Salvatore Finazzo (Kaufbeuren), Dr. Fernando A.
Grasso (Kempten), Signora Ursula Macaluso, Signora Emma Marando, Signora
Patrizia Mariotti Raab. Erano presenti inoltre: il Preidente Onorario delle
ACLI Baviera, Cav. Giuseppe Rende (9) e il Responsabile Circoscrizionale del KAB,
Signor Manfred Stick (IX).
L'incontro – nel
corso del quale è stata eletta la nuova Presidenza delle ACLI Baviera, che
rimarrà in carica sino al 2024 - è iniziato alle 10:00 con una breve
preghiera diretta dal Dr. Fernando A. Grasso, Vicepresidente uscente.
Quindi dopo un buon caffè e alcune tartine preparate dal Circolo di Kempten, la
Signora Mariotti Raab, ha dato il benvenuto ai presenti, e ha aperto i lavori,
iniziando con il primo punto all'ordine del giorno, con l'elezione, cioè,
del Presidente Regionale.
Per questa carica
è stato proposto il Presidente uscente, Carmine Macaluso, che si è dichiarato
disponibile, e che è stato riconfermato con votazione palese. Subito dopo,
passando al secondo punto, Macaluso, assumendo la presidenza dell'Assemblea, ha
proposto come Vicepresidente il Dr. Fernando A. Grasso, che ha accettato
l'incarico, che gli è stato riconfermato con votazione palese. Successivamente
– su proposta di Grasso – si è proceduti all'elezione di un 2. Vicepresidente,
per la cui figura è stata proposta Patrizia Mariotti, che ha accettato
l'incarico e che – a sua volta – è stata confermata dai presenti con votazione
palese.
Quindi –
sempre con votazione palese – sono stati eletti: la Signora Barbara
Eberle del Circolo di Kaufbeuren, come Segretario per l'Organizzazione e
il Rag. Paolo Franco, Presidente del Circolo ACLI di Kempten, come
Segretario per le Risorse, su proposta di Mauro Sansone, Presidente del Circolo
ACLI di Karlsfeld.
Come
Revisori dei Conti sono stati designati: il Signor Salvatore Iozzia del
Circolo di Kaufbeuren e il Signor Emilio Mastrostefano del Circolo di Kempten.
Alla gestione del
sito ACLI Baviera è stato riconfermato Grasso, con il supporto di Franco. Alla
Consigliera Paola Augelli – assente per motivi di studio – è stato
assegnato l'incarico del Coordinamento della Gioventù Aclista. Per il
Coordinamento Gruppo Anziani, saranno i vari Circoli a coordinarsi tra di loro.
I Presidenti di Circolo: Mauro Sansone Karlsfeld) e Rocco Sileo
(Holzkirchen) sono stati integrati nella Presidenza come Rappresentanti
dei Circoli della Baviera.
Padre Bruno
Zuchowski, Rettore delle Missioni Cattoliche Italiane di Augsburg e Kempten è
stato riconfermato Consigliere Spirituale delle ACLI Baviera.
Poco prima della
fine dei lavori, il Presidente Macaluso ha distribuito una lettera di
ringraziamento con ampi cenni sul programma che intende svolgere nei prossimi
quattro anni e ha consegnato ai Circoli presenti una spilla per i Soci ACLI.
Quasi al termine
dei lavori è stata annunciata la prossima riapertura – anche se in forma
ridimensionata – di una sede del Patronato ACLI ad Augsburg e l'eventuale
apertura di un altro Circolo ACLI in Baviera e, data l'ora propizia – quasi le
tredici – si è fatta una breve colazione di lavoro. Infine, prima di
salutarsi e scambiarsi gli auguri per le prossime festività pasquali, ci si è
dati appuntamento al prossimo Congresso delle ACLI Germania, per il quale
– già in mattinata – erano stati discussi alcuni punti
sull'organizzazione del viaggio e del soggiorno. (F.A.G.)
Francoforte - Dopo
l’Italia, la Tunisia, la Turchia, il Messico, il Portogallo, la Georgia, la
Svizzera, la Francia, gli Stati Uniti e il suo debutto in Germania nel 2016 a
Düsseldorf, "Ferite a morte - Tödlich verletzt", il progetto sul
femminicidio scritto da Serena Dandini con la collaborazione di Maura Misiti,
ricercatrice del CNR, approda a Francoforte - venerdì 13 aprile, ore 20:00,
Künstlerhaus Mousonturm - grazie all’associazione culturale italiana
Italia Altrove, con la collaborazione del Consolato Generale d’Italia a
Francoforte, dell’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, dell’Ufficio
Comunale per le Pari Opportunità della città di Francoforte e con il patrocinio
dell’Ambasciata d’Italia a Berlino.
Saliranno sul
palco, assieme alle autrici Serena Dandini e Maura Misiti, Lucia Annibali,
consigliera giuridica del ministero per le Pari Opportunità con una speciale
attenzione alla violenza di genere; Monica Carcò Benassi, funzionaria
internazionale alle Nazioni Unite; Paola Concia, assessora al Turismo e ai
Rapporti internazionali della Città di Firenze; Ricarda Trautmann, criminologa;
Samantha Cristoforetti, astronauta ESA; Elettra De Salvo, attrice, regista ed
ex-consigliera comunale a Francoforte; Jutta Ebeling, ex vice sindaco ed
assessora per l’Istruzione e le Pari Opportunità della città di Francoforte;
Ruth Fühner, giornalista della Hessischer Rundfunk ed autrice di libri sulle
questioni di genere; Bärbel Schäfer, giornalista, autrice e presentatrice;
Rosemarie Heilig, assessora alle Politiche Ambientali e alle Pari Opportunità
della città di Francoforte; Iris Klose, responsabile del Protocollo della Fiera
del Libro di Francoforte; Tonia Mastrobuoni, corrispondente de “La Repubblica”
da Berlino; Gabriele Wenner, responsabile del dipartimento per le Pari
Opportunità della Città di Francoforte; Chiara Zilioli, direttrice generale dei
Servizi Legali della Banca Centrale Europea e Chiara Leonardi, presidente
dell’associazione culturale italiana Italia Altrove Düsseldorf.
Lo spettacolo,
nato nel 2012 in forma di reading, si ispira alla famosa Antologia di
"Spoon River" di Edgar Lee Masters: gli spoon di "Ferite a
morte" attingono alla cronaca e alle indagini giornalistiche dando voce
alle donne che hanno perso la vita per mano di un marito, un compagno, un
amante o un “ex”, in un immaginario racconto postumo. Le voci sono quelle di donne
provenienti dal mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile,
unite nella lotta alla violenza contro le donne e nella volontà di
sensibilizzare l’opinione pubblica, i media e le istituzioni.
I monologhi
saranno letti in tedesco e in italiano con i rispettivi sottotitoli.
L’ingresso è
libero fino ad esaurimento posti. È consigliata la prenotazione entro il 10
aprile a: reservierung-feriteamorte@italia-altrove.com. Chi ha effettuato la
prenotazione potrà ritirare il/i biglietto/i (non più di 4 per prenotazione)
alla cassa del teatro dalle ore 18.00 alle 19.15. Dopo quest’orario è
consentito l’ingresso a tutti fino ad esaurimento posti. (Inform)
Berlino - “Se il
linguaggio convoluto della burocrazia tedesca vi getta nel panico, il Bezirk di Friedrichshain-Kreuzberg ha buone notizie
per voi”. Come riferisce Lucia Conti in un articolo pubblicato oggi in primo piano
dal portale Ilmitte.com, “la portavoce ufficiale Sara Lühmann ha infatti
annunciato, in un comunicato pubblicato venerdì, che diverse pagine del sito
ufficiale, specialmente quelle che riguardano la fornitura di servizi
indispensabili, sono state tradotte in un linguaggio più semplice e
comprensibile per chi ha una conoscenza limitata della lingua.
Naturalmente il
sito resterà interamente in tedesco, ma le informazioni più importanti verranno
tradotte dal “burocratese” in una lingua più comprensibile anche per gli
stranieri. Il progetto è stato finanziato dalla Cancelleria del Senato di
Berlino.
Fra le
informazioni che saranno disponibili in questo nuovo formato ci sono quelle
relative alle politiche per la famiglia, all’infanzia, alla sanità, ai servizi
sociali e alla residenza. Per accedere alle informazioni “semplificate” basterà
selezionare sul sito l’opzione “Webseite in Leichte Sprache”.
Al momento non
tutti i contenuti del sito sono disponibili in questa versione, ma il distretto
di Friedrichshain-Kreuzberg ha espresso l’intenzione di continuare nella
traduzione dei contenuti. Non c’è da dubitare che gran parte degli stranieri
residenti a Berlino – e anche alcuni tedeschi – saluteranno l’iniziativa con
favore e auspicheranno scelte simili anche da parte degli altri Bezirk.
Nelle intenzioni
dell’istituto linguistico che ha curato la traduzione – e che ha sviluppato
numerosi progetti di questo tipo in passato – non c’era solo l’aiuto agli
stranieri, ma anche a coloro che, pur essendo di madrelingua tedesca, non
possiedono gli strumenti culturali necessari per decifrare il linguaggio
complesso della burocrazia e per chi soffre di disturbi cognitivi,
dell’attenzione e dell’apprendimento. A questo scopo al sito è stato aggiunto
anche un glossario, che permette di ricercare i termini specifici con i quali
si possono avere difficoltà.
Il sindaco di
quartiere Monika Herrmann, nel comunicato ufficiale, ha espresso la propria
soddisfazione per il fatto che Friedrichshain-Kreuzberg sia il primo distretto
di Berlino a offrire questo servizio e ha fatto un riferimento esplicito alla
volontà di aiutare chi non ha ancora imparato il tedesco o non è in grado di
apprendere in modo tradizionale a orientarsi autonomamente all’interno
dell’istituzione locale.
Le persone con
difficoltà cognitive, in questo caso, non sono state i meri destinatari di
un’iniziativa benefica, ma hanno preso parte attiva al progetto. Nella fase
preparatoria, infatti, il testo tradotto è stato sottoposto a un gruppo di
controllo composto da persone di età differenti e con diverse disabilità. Solo
quando il gruppo di controllo ha approvato il testo definendolo generalmente
comprensibile si è passati alla pubblicazione”. (aise 21.3.)
Norimberga - La
Lichthalle des Heimatministeriums am Lorenzer Platz a Norimberga ha ospitato
mercoledì 21 marzo una serata dedicata alla città di Trieste intitolata
"Trieste meets Nürnberg. Immagini, atmosfere e sapori di una città
mitteleuropea affacciata sul mare".
Nell’occasione si è
tenuta anche l’inaugurazione della mostra di fotografie di Lara Perentin, che ha
presentato le proprie opere, introdotta dal saluto e da una breve introduzione
di Francesco Ziosi, addetto reggente dell’Istituto Italiano di Cultura di Monaco
di Baviera. La mostra è stata poi aperta ufficialmente dal console generale
d’Italia a Monaco di Baviera, Renato Cianfarani, e dal console onorario
d’Italia a Norimberga, Günther Kreuzer.
Ha moderato la
serata, che si è svolta in lingua italiana e tedesca, Florinda Klevisser,
autrice della guida "Trieste al femminile" (Morellini Editore, 2017)
Trieste è una
città particolare, vista attraverso gli occhi di chi ne conosce l'anima nella
sua essenza più pura e la racconta con la passione e l'intimità di un amante.
La luce speciale di Trieste è intrappolata dall'obbiettivo della fotografa
triestina Lara Perentin e, con gli infiniti colori del bianco e nero, portata a
Norimberga. Le fotografie di Perentin immortalano luoghi, persone e atmosfere,
sottolineando l'eleganza ma anche la leggiadria di una città tipicamente
mitteleuropea, ma affacciata sul mare.
La mostra,
organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Monaco e dal Consolato
Onorario d’Italia a Norimberga, in collaborazione con il Consolato Generale
d’Italia a Monaco di Baviera, è rimasta aperta al pubblico sino al 6 aprile con
ingresso libero. dip
“Forme di Paesaggio. Basilicata, 2018” all’Istituto Italiano di Cultura di
Amburgo
Amburgo – Presso
l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo, nell'ambito della rassegna
“Faszination Basilikata” (Il fascino della Basilicata) il 5 aprile è stata
inaugurata la mostra fotografica di Antonio Di Cecco “Forme di Paesaggio.
Basilicata, 2018”.
Così Antonio Di
Cecco descrive il suo lavoro fotografico raccolto nella mostra: “Una volta
in cima alla ripida scalinata scavata nella roccia, il mio sguardo cerca
istintivamente il mare ma l’orizzonte piatto è ancora lontano da raggiungere.
Mi trovo sulle Piccole Dolomiti Lucane, una singolarità geologica dell’Appennino
Meridionale. Riprendo il mio percorso verso il mare, attraverso il paesaggio
osservato dall’alto e ne esploro i segni. Mi trovo in uno spazio modellato dal
tempo e dall’acqua. Il territorio della Basilicata si sviluppa essenzialmente
su quote montane e collinari. Continue azioni erosive generano estese aree
calanchive mentre i materiali vengono portati a valle dai numerosi fiumi. Ed io
non faccio altro che seguirne il corso”.
Antonio Di Cecco,
nato nel 1978 a L’Aquila dove attualmente vive e lavora, è laureato in
Ingegneria Edile-Architettura con una tesi in Composizione Architettonica. Si
occupa di fotografia di paesaggio urbano e architettura, oltre all’analisi dei
processi di modificazione dei luoghi, con interesse specifico per l’ambito
montano. É rappresentato dall’agenzia fotogiornalistica Contrasto. Nel 2013
pubblica il volume In Pieno Vuoto. Uno sguardo sul territorio aquilano (Peliti
Associati), a cura di Benedetta Cestelli Guidi, con testi di Laura Moro,
direttore dell’ICCD; nel 2015 le immagini del progetto entrano a far parte
dell’archivio dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.
Attualmente è impegnato nel progetto Paesaggio culturale dell’Appennino sismico
presso l’Istituto di Storia dell’Arte di Firenze.
È possibile visitare
la mostra fotografica di Antonio Di Cecco fino al 30 settembre 2018 nei
seguenti orari: lunedì - giovedì dalle 09.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle
16.00, venerdì dalle 09.00 alle 13.00 e anche su appuntamento.
“Faszination
Basilikata” (Il fascino della Basilicata). L’Istituto di Cultura di Amburgo
nell’aprile 2018 dedica un focus alla Basilicata, attraverso un calendario
fitto di eventi, con l’obiettivo di restituire l’immagine di un territorio
culturalmente ricco e stratificato.
Gli appuntamenti
previsti interessano un panorama ampio di ambiti culturali: la fotografia,
l´archeologia, la storia dell’arte, il patrimonio monumentale, la
cinematografia, la letteratura e la gastronomia.
In questa
prospettiva, e nel quadro delle iniziative legate alla città di Matera capitale
della cultura 2019, si intende promuovere presso il pubblico tedesco una
conoscenza puntuale di contesti territoriali italiani meno conosciuti.
Come noto, tra i
compiti istituzionali degli Istituti Italiani di Cultura, organismi ufficiali
dello Stato italiano, vi è la diffusione e la promozione della lingua e della
cultura italiane all’estero, attraverso l’organizzazione di eventi che
favoriscano la circolazione delle idee, delle arti e delle scienze.
In tale contesto
l’IIC di Amburgo ritiene che un approfondimento sulla Basilicata costituisca
un’occasione decisiva per valorizzare la ricchezza e le variegate espressioni
culturali della regione, al fine di accrescere qualitativamente l’interesse del
pubblico tedesco verso il patrimonio materiale e immateriale lucano. (Per
consultare l’intero programma della rassegna
iicamburgo.esteri.it/iic_amburgo/resource/doc/2018/03/digital_flyer_faszination_basilikata.pdf.)
“Faszination
Basilikata” gode del patrocino della Regione Basilicata e della Università
degli studi della Basilicata, del sostegno dell’Agenzia Nazionale del Turismo
(Enit) e della collaborazione della Lucana Film Commission.
La partecipazione
all’evento è gratuita. L’IIC di Amburgo si trova nella Hansastraße 6. dip
La pianista catanese Serena Chillemi in concerto in Baviera
Il 13 aprile si
esibirà con il flautista e ottavinista Fernando Fracassi alle 20.00 alla
Steinway Haus di Monaco di Baviera e il 22 aprile con il clarinettista Michele
Monaco di Baviera -
Concerti in Baviera per la pianista catanese Serena
Chillemi che il 13 aprile si esibirà con il flautista e ottavinista Fernando
Fracassi alle 20.00 alla Steinway Haus di Monaco di Baviera e il 22 aprile con
il clarinettista Michele Carulli nella Gemeindehaus der Chriistuskirche di
Landsberg, dalle 19.00.
Sul palco con
Chillemi a Monaco il flautista Fracassi: “ci siamo incontrati per caso circa un
anno e mezzo fa alla Steinway Haus” spiega Chillemi “ed abbiamo deciso di
iniziare una nuova collaborazione. Dopo un periodo intenso di prove siamo
finalmente pronti per presentare il nostro primo programma da concerto”.
Il concerto sarà
aperto da una sonata di Wolfgang Amadeus Mozart per poi proseguire con la
sonata in La maggiore "Arpeggione" di Franz Schubert.
Nel secondo tempo
ci sarà la presentazione dei brani inediti del compositore italiano Dionigio
Canestrari. In chiusura l’Histoire du tango di Astor Piazzolla.
Nel concerto del
22 aprile a Landsberg, Chillemi sarà accompagnata dal clarinettista Michele
Carulli. In programma musiche di Mendelssohn, Saint-Saens e Martinu und
Poulenc. Appuntamento alla Gemeindehaus der Christuskirche dalle 19.00. dip
Monaco di Baviera
– Verrà inaugurata all'Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera il 18
aprile alle ore 18.30 la mostra fotografica “Faust: un mito europeo”, che
presenta una documentazione su tavole, con immagini e testi, di alcune singole
interpretazioni, che, nel corso di mezzo secolo, hanno fondato la fama europea
del Faust.
Al centro
dell’esposizione vi sono le spettacolari immagini teatrali tratte da Faust I e
II di Giorgio Strehler, presso il Piccolo Teatro di Milano e dal
Faust-Burlesque di Aldo Trionfo rappresentato al Teatro Stabile di Torino.
La figura mitica
del Doktor Faust entra a far parte già molto presto della storia della cultura
europea. Alla prima trasposizione teatrale di Marlowe del 1590 si riallaccia,
quattro secoli più tardi, il suo pendant italiano, il Faust-Burlesque di
Carmelo Bene del 1966.
Libere
interpretazioni in Francia, Portogallo, Ungheria, sino alla Russia, si
moltiplicano nelle letterature dell’est e dell’ovest. L’influsso più forte
esercitato dal Faust si scorge, inoltre, in maniera particolare, nella musica
di Liszt, Schumann, Berlioz oppure nelle composizioni di Gounod e nell’opera
Mefistofele di Boito. Il mito europeo di Faust affascina anche Gustav Mahler,
dal quale trae ispirazione per la sua VIII Sinfonia, eseguita per la prima
volta a Monaco di Baviera nel 1910. Come culmine espressivo della musica
operistica moderna è da annoverare anche il Faust “italico”, in lingua tedesca,
di Busoni.
La mostra,
promossa in collaborazione con l'associazione Pro Arte, sarà visitabile sino al
19 maggio, dal lunedì al giovedì ore 10-13, 15-17 e il venerdì dalle ore 10
alle 13.30. L'idea e la realizzazione si devono ad Anna Zanco-Prestel e Marco
Zanco. L'ingresso è libero. (Inform)
Due scuole di calcio a confronto: Rummenigge e Luca Toni a Monaco di
Baviera
Monaco di Baviera
- Tappa a Monaco di Baviera per "Anders miteinander - Diversi ma insieme. Italia
e Germania nella prospettiva europea", ciclo di incontri promosso
dall’Ambasciata italiana a Berlino per analizzare gli ambiti di collaborazione
tra i due paesi.
Al centro
dell’appuntamento bavarese il calcio con due grandi ospiti: Karl-Heinz
Rummenigge e Luca Toni che il 19 aprile prossimo si confronteranno dalle 18.30
alla Münchner Künstlerhaus.
La storia, e
soprattutto l’epica, del calcio italiano sono costruite in gran parte
sull’incontro-scontro con il calcio tedesco: Italia-Germania 4 a 3, che è
diventato perfino il titolo di un film, l’urlo di Marco Tardelli l’11 luglio
del 1982 a Madrid (e il “non ci prendono più” del Presidente Pertini), Grosso e
Del Piero negli ultimi due minuti dei supplementari della semifinale 2006.
Purtroppo però,
non abbiamo sempre vinto, e in generale il nostro sistema calcio vive oggi un
momento di grande fatica: l’ultima Champions League vinta nel 2010 (dall’Inter
contro il Bayern) e quest’anno niente mondiali, per la prima volta da 60 anni.
Rummenigge e Toni,
moderati da Bruno Longhi, si confronteranno su cosa ha imparato dall’Italia il
calcio tedesco, e cosa potrebbe imparare del calcio tedesco l’Italia.
L’incontro – in
lingua italiana e tedesca, con traduzione simultanea – è organizzato
dall’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera in collaborazione con
l’Ambasciata d'Italia a Berlino. (dip)
Germania, torna libero Puigdemont
E' in libertà
condizionata dietro cauzione: non potrà lasciare il Paese -
Di TONIA
MASTROBUONI
BERLINO - Carles
Puigdemont è uscito poco fa dal carcere tedesco di Neumuenster, dov’era rinchiuso
da quasi due settimane. Ieri il Tribunale superiore dello Schleswig-Holstein ha
deciso di concedere dietro cauzione la libertà condizionata per leader
indipendentista catalano. In attesa della scarcerazione, Puigdemont ha twittato
stamane che "Dobbiamo guardare al futuro con speranza e ottimismo perché
abbiamo un diritto, il diritto di non lasciare che ci rubino il futuro.
Dobbiamo rimanere attivi e non cedere mai”. Per oggi pomeriggio alle 18 l’ex
governatore della Catalogna ha annunciato una conferenza stampa.
La decisione dei
togati dello Schleswig di scarcerarlo e di respingere l’accusa di “ribellione”
avanzata dai colleghi spagnoli è una buona notizia per Puigdemont e un colpo
per il pesante castello accusatorio della Spagna. Il leader catalano
tuttavia rimane a rischio estradizione, se i giudici tedeschi riterranno
fondata l’accusa - minore - di malversazione di denaro pubblico. Dopo aver
pagato 75mila euro di cauzione, Puigdemont sarà liberato e dovrà presentarsi
ogni settimana alla polizia. Ovviamente non potrà lasciare il Paese. Lr 6
Intervista alla senatrice Laura Garavini. Il voto per posta va mantenuto
"Senatrice o
senatore? "Senatrice". Al contrario di Francesca Alderisi, eletta al
Senato col centrodestra nella ripartizione estera Nord e Centro America, Laura
Garavini, Pd, preferisce essere chiamata senatrice, al femminile". A
colloquio con Italiachiamaitalia.it, intervistata dal direttore Ricky Filosa,
Garavini, che nella passata legislatura era stata eletta alla Camera dei Deputati,
sempre col PD, "racconta come sta vivendo questo passaggio da Montecitorio
a Palazzo Madama". Di seguito il testo integrale dell’intervista.
"Il Senato –
dichiara - insieme alla Camera è il cuore della democrazia e ancora oggi le
immagini degli antichi senatori romani danno anche plasticamente il senso di
quanto si sia davvero al centro dell’esercizio democratico".
Garavini, ma anche
tanti altri eletti come lei, vive questo clima, un po’ da primi giorni di
scuola, con grande emozione: "Sono sicuramente giornate molto intense ma
anche molto emozionanti, anche le prime operazioni, le registrazioni, la presa
di possesso dei nuovi spazi. Il Senato inoltre si è dotato di un nuovo
regolamento che entrerà in vigore proprio in questa legislatura. Dunque studiare,
cercare di capire i meccanismi, per una legislatura che non sarà facile,
impegnativa, ma che affronterò con lo stesso spirito di servizio di
sempre".
La senatrice a
Italiachiamaitalia.it spiega di sentire addosso "un grande senso di
responsabilità, per il fatto che circa 35mila persone abbiano espresso la loro
fiducia nei miei confronti". Garavini è risultata essere la più votata nel
Vecchio Continente.
D. Sen. Garavini,
vivrà questa legislatura all’opposizione?
R. Sono fortemente
convinta del fatto che sia importante rispettare la volontà dell’elettorato,
che ha dato una indicazione netta: il Pd deve stare all’opposizione. Dobbiamo
rispettare questa volontà, facendo in modo che chi ha vinto vada al governo. Mi
auguro però che per quanto riguarda le questioni degli italiani all’estero si
riesca a evitare, anche dall’opposizione, che vengano messe in discussione le
importanti riforme adottate in questi anni di governo.
D. Parliamo del
voto all’estero. Ha seguito la vicenda denunciata dall’On. Fabio Porta, che
riguarda possibili brogli elettorali in alcuni seggi di Buenos Aires?
R. Capisco la
preoccupazione di Porta e la condivido.
D. In questa
legislatura si riuscirà a mettere in sicurezza il meccanismo elettorale con cui
votano gli italiani nel mondo?
R. Il Pd è la
forza politica che si è resa promotrice da diversi anni di una proposta di
legge in materia.
D. D’accordo, ma
se poi né Parlamento né governo vogliono occuparsi del tema, a che serve?
R. Non ci sono
stati i tempi per arrivare a trattare anche questa modifica elettorale. Ma la
mia vera preoccupazione è un’altra…
D. Quale?
R. Che questo
venga preso come alibi per eliminare il voto estero da forze politiche che
hanno tra l’altro avuto un grande risultato alle elezioni.
D. Parli chiaro,
senatrice.
R. Sia Lega che
M5S sono stati artefici in passato di proposte di legge ed emendamenti che
vanno in questa direzione. Mi auguro comunque che ci siano in questa
legislatura le condizioni politiche per giungere a una rettifica del voto per
corrispondenza.
D. Cosa farà Laura
Garavini per evitare che il bambino venga gettato via con l’acqua sporca,
ovvero che con l’alibi, appunto, di riformare il voto all’estero, questo venga
eliminato?
R. Ho intenzione
di ribadire l’importanza del voto degli italiani all’estero, frutto di lunghe
battaglie. Come parlamentare presenterò una proposta di legge che andrà nella
direzione di rivedere e migliorare tutta una serie di prassi, legate anche alle
operazioni di scrutinio.
D. In sintesi, ci
ricorda qual era la proposta del Pd per riformare la legge Tremaglia?
R. Andava nella
direzione di introdurre l’inversione dell’opzione, ovvero il registro degli
elettori, dunque una sorta di preiscrizione al voto: riceve il plico elettorale
sono quel connazionale che ha dichiarato la volontà di votare.
D. Come alle
ultime elezioni dei Comites.
R. Esatto. In
quell’occasione questa cosa non ebbe un esito positivo, nel senso che ci fu una
bassissima partecipazione. In futuro sarebbe necessaria una campagna
informativa molto intensa, molto forte, da parte del governo, per consentire ai
cittadini di preregistrarsi.
D. Voto
elettronico, che ne pensa?
R. Potremmo in
contemporanea iniziare a prevedere in via sperimentale anche l’ipotesi di un
voto telematico. Ecco, credo che questa dovrebbe essere la soluzione.
D. Dunque lei
manterrebbe il voto per corrispondenza?
R. Sì, sarebbe
imperdonabile abolire il voto per corrispondenza.
D. Visti i
possibili brogli e le tante irregolarità, alcuni suoi colleghi sostengono che
vada abolito…
R. Non capisco. In
altri Paesi, come la Germania dove vivo, il 70% delle normali operazioni di
voto, per qualsiasi elezione, anche a livello nazionale, si svolge per
corrispondenza. Se questo è possibile in Paesi molto democratici, perché non
può farlo anche l’Italia?
D. Forse perché
noi siamo italiani e non tedeschi?
R. Mi rifiuto di
pensare che gli italiani non debbano essere un popolo civile, non in grado di
rispettare le regole del voto. IcI
“Montedoro” all’ Istituto Italiano di Cultura di Amburgo
Amburgo – Presso
l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo il 9 aprile, alle ore 19, sarà
proiettato il film di Antonello Faretta “Montedoro” (Italia-Usa 2015).
L’evento, a ingresso gratuito, rientra nella rassegna “Faszination Basilikata“
(Il fascino della Basilicata), organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di
Amburgo con il patrocino della Regione Basilicata e della Università degli
Studi della Basilicata, e con il sostegno dell’Agenzia Nazionale del Turismo
(Enit) e in collaborazione con Lucana Film Commission.
“Montedoro” è
ispirato alla storia di Pia Marie Mann, nata in provincia di Matera
(Basilicata) e cresciuta negli Stati Uniti. È il primo lungometraggio di
Antonello Faretta , giovane regista lucano. La pellicola è stata girata a
Craco, piccolo paese fantasma della Basilicata che nel 2010 è stato inserito
nella lista dei monumenti culturali da salvaguardare del World Monuments Fund.
Un film con Pia
Marie Mann, Giovanni Capalbo, Caterina Pontrandolfo, Luciana Paolicelli,
Domenico Brancale, Mario Duca, Anna Di Dio.
“Montedoro”: “Una
donna americana di mezza età scopre inaspettatamente le sue vere origini solo
dopo la morte dei genitori. Profondamente scossa, e in preda ad una vera e
propria crisi di identità, decide di mettersi in viaggio sperando di poter
riabbracciare la madre naturale mai conosciuta. Si reca così in un piccolo e
remoto paese dell’Italia del Sud, Montedoro. Al suo arrivo viene sorpresa da
uno scenario apocalittico: il paese, adagiato su una maestosa collina, è
completamente abbandonato e sembra non ci sia rimasto più nessuno. Grazie
all’incontro casuale di alcune persone misteriose, quelle che non hanno mai
voluto abbandonare il paese, la protagonista compirà un affascinante e magico
viaggio nel tempo e nella memoria ricongiungendosi con gli spettri di un
passato” (Noeltan Film).
(Programma della
rassegna “Faszination Basilikata”:
iicamburgo.esteri.it/iic_amburgo/resource/doc/2018/03/digital_flyer_faszination_basilikata.pdf.).
Indirizzo dell’IIC di Amburgo: Hansastraße 6. (Inform)
Interventi. Necessario un punto di riferimento
È indispensabile
che gli Italiani costretti ad emigrare abbiano un punto di riferimento al quale
rivolgersi in caso di difficoltà o semplicemente per raccontare le proprie
vicissitudini che possano servire da monito e da guida per chi si appresta a
dovere intraprendere lo stesso cammino.
Come i Cinesi in
Italia hanno creato punti vendita dei loro prodotti in tutto il mondo è ciò di
sicuro con il supporto di tutte le loro istituzioni, così dovrebbero fare gli
Italiani nel mondo.
Una parte di quei
soldi che gli eletti restituiscono per essere destinati alle piccole e medie
imprese, va utilizzata per le imprese di Italiani all’estero.
Fra gli uni e gli
altri ci dovrebbero dei professionisti interlocutori con esperienze e con
conoscenze nel settore.
Istituzione di
facoltà universitarie per la formazione del personale e per la ricerca
necessaria in un mondo che cambia ogni istante.
Giuseppe Tizza,
Düsseldorf, Mobil 0049 174 31 631 71
Chi sono i nuovi ministri del governo Merkel
Berlino -
"Cinque mesi dopo le elezioni e a seguito di tante traversie, Berlino è
finalmente pronta a ricominciare a governare la Germania. Ma chi sono i nuovi
Ministri scelti per il quarto mandato della Cancelliera Angela Merkel?".
Lo spiega Emanuela Pessina in un articolo pubblicato oggi in primo piano dal
DeutschItalia.com, giornale on line bilingue, diretto da Alessandro Brogani a
Berlino.
"Un
interessante articolo di Deutsche Welle si interroga su quanto effettivamente
rappresentino la Germania.
Il Governo Merkel
2018 nasce da un patto di grossa coalizione fra i cristiano-democratici di
Angela Merkel (CDU) e i socialdemocratici (SPD), i due maggiori partiti secondo
i risultati delle elezioni dello scorso settembre. Nessuna novità, considerando
che queste due forze governavano già per il precedente mandato della
Cancelliera. Eppure, per comporre questo nuovo Governo sono serviti 171 giorni:
alle ultime politiche, i cristiano democratici, insieme ai confratelli bavaresi
cristiano sociali della CSU, e l’SPD hanno perso parecchi punti percentuali,
dimostrando di non avere più la fiducia dei cittadini.
La profonda crisi
dei maggiori partiti tedeschi andrebbe inserita in un contesto europeo più
ampio di crisi degli ideali, ma nel concreto ha semplicemente portato gloria ad
un partito di estrema destra, l’Alternative für Deutschalnd, una fazione di
protesta che presenta gli immigrati e i rifugiati come la causa di buona parte
dei problemi della Germania. Trovare l’accordo di coalizione non è stato
facile.
Il nuovo Governo,
tra l’altro, è nato sotto la stella del compromesso: i socialdemocratici hanno
costruito la loro campagna elettorale su un deciso "no" alla grossa
coalizione con il partito di Angela Merkel. L’accettazione del patto con la CDU
è costata la testa dei due big della campagna elettorale dell’SPD, Martin
Schulz (ex-candidato premier) e Sigmar Gabriel (ex-ministro degli Esteri).
Pertanto entrambi gli schieramenti hanno deciso di giocare alcune carte particolari
per riconquistare la fiducia del popolo tedesco.
Secondo
l’interessante analisi che propone "Deutsche Welle", il quarto
Governo di Angela Merkel ha scelto quasi interamente tedeschi "doc" e
originari della parte ovest della Germania. Su sedici, solo un Ministro ha
genitori che non siano tedeschi e cioè Katarina Barley (SPD), di origini
britanniche e già ministro per le Pari opportunità, che si occuperà ora della
Giustizia. Le uniche due personalità a provenire dalla ex-DDR, invece, sono la
Cancelliera stessa e la giovane Franziska Giffey (SPD), che si occuperà del
ministero della Famiglia e delle pari opportunità e che comunque ha vissuto
poco della ex-Germania dell’Est. A 39 anni, Giffey ha già dimostrato le sue
grandi capacità nella gestione di uno dei quartieri più problematici di
Berlino: nella capitale tedesca ogni quartiere ha un proprio Consiglio dei
delegati distrettuali e Giffrey è stata a capo di quello di Neukölln, dove la
maggior parte dei residenti sono di origine non tedesche.
Dei sedici membri
del Governo, sette sono donne: non male come quota, certo, ma non si può dire
che i partiti abbiano puntato sul "fattore rosa" per riconquistare i
loro elettori. Oltre alla Giustizia e alle Pari opportunità, tra i principali
Ministeri assegnati alle donne abbiamo la Difesa, l’Ambiente e l’Istruzione.
Ursula von der Leyen (CDU) rimane alla Difesa, nonostante i diversi scandali
che hanno toccato l’esercito tedesco in questi ultimi anni, tra cui gruppi di
estrema destra tra le fila delle truppe e molestie sessuali: von der Leyen è
una dei politici più vicini alla Cancelliera Merkel. Il ministro dell’Ambiente,
Svenja Schulze (SPD), proviene invece dalla politica regionale del Nord
Reno-Vestafalia, dove era segretario generale dei socialdemocratici, e pare
voglia puntare sulle energie rinnovabili. All’Istruzione, invece, troviamo Anja
Karliczek (CDU), una scelta che rappresenta, secondo la stampa, la più grande
sorpresa dell’attuale Gabinetto federale: secondo l’autorevole "Der
Spiegel", Karliczek è da diversi anni membro del Parlamento, ma si è
sempre occupata solo di politica locale e nasce come imprenditrice. La maggior
parte di ministri sono stati scelti per la loro esperienza politica, Karliczeck
è un’eccezione che sorprende.
Ad abbassare la
percentuale delle donne nel Governo Merkel è la scelta dei propri ministri
della CSU, che non ha paura a mostrarsi come la parte più conservatrice del
Governo Merkel 2018. Tre ministri, tre uomini, tutti originari della Baviera.
In particolare, il ministro degli Interni Horst Seehofer per la prima volta al
Governo di Berlino. Seehofer si è già fatto notare in questi giorni per
un’asserzione circa la non appartenenza dell’Islam alla Germania, cui Angela
Merkel ha risposto smentendolo e spiegando che i 4 milioni di musulmani
residenti su suolo tedesco non possono che appartenere al Paese.
Oltre alla
decapitazione dei socialdemocratici, la grossa coalizione è comunque costata
anche al partito di Angela Merkel: all’SPD sono andati infatti il ministero
degli Esteri e quello dell’Economia, due fra le cariche più importanti nel
Governo federale. Il nuovo ministro degli Esteri è infatti Heiko Maas (SPD),
già ministro della Giustizia, mentre alle Finanze va Olaf Scholz (SPD), di
professione giurista e già sindaco di Amburgo. Scholz sarà anche il
vicecancelliere; qualche giornale tedesco lo ricorda anche per il disastro
della gestione del G20 di Amburgo del 2017.
Non resta ora che
aspettare le prime mosse del nuovo governo: la strada per riconquistare
l’elettorato non è semplice, ma ci sono ancora 4 anni prima di raccogliere i
risultati. O meglio, 4 anni meno 171 giorni". (aise 19.3.)
Mentre Roma discute il Paese affonda
Tante incertezze e
discussioni: Salvini o Di Maio o governo del Presidente? Intanto i problemi
reali degli Italiani restano. E l’Europa è in ansia
Il Segretario della Lega, Matteo Salvini, per
“rispettare il mandato degli Italiani” che lo hanno votato, aspira ad essere il
nuovo Presidente del Consiglio. Egli ha detto che farà di tutto per averne
l’incarico e che, essendo due i partiti che hanno ottenuto più voti, è
legittimo che le Presidenze delle Camere siano affidate a chi ha vinto le
elezioni, quindi, “una andrà a un esponente del Carroccio e l’altra a un Cinque
Stelle”. Da parte sua Berlusconi, alleato per il Centrodestra, ha affermato che
Salvini “farà quanto in suo potere per evitare che si torni alle urne e per
assicurare stabilità all’Italia”.
Problema non facile da risolvere perché i
Cinquestelle risultano essere i più votati, essendo stati eletti dal 32% dei
cittadini, ma il Centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Noi con
l’Italia) ha avuto il 37% dei voti, risultando prima coalizione. Una mancanza,
in entrambi, di quel 50% necessario per nominare un Capo di Governo in grado di
ottenere il via libera dal Parlamento. Il che impone a Mattarella di aspettare
che i due partiti trovino un accordo con altri Parlamentari onde ottenere poi
il voto di fiducia.
Di Maio si dichiara ben disposto a collaborare
con i partiti di sinistra su disegni di legge, compresa l’elezione dei
Presidenti di Camera e Senato. Propositi che Matteo Renzi non accetta, in
quanto non è disposto a rapporti con “gli estremisti”. Tanto da dire: “Non
faremo da stampella a nessuno. Ripartire da zero, dall’opposi-zione, può essere
una grande occasione”. Evidentemente trascurando il fatto che dai Piddini è
considerato responsabile dei pochissimi voti ottenuti dagli elettori, i quali
avevano anche, a dicembre, bocciato il referendum sulla sua proposta di riforma
costituzionale.
Ma se la Sinistra ha perso non è solo per
colpa di Renzi. Che, certo, ha qualche responsabilità. Però anche il Governo
retto da Gentiloni non ha fatto ciò che gli elettori di sinistra speravano
realizzasse. Tra cui la riduzione degli stipendi dei politici, il raddoppio
delle carceri o, come auspicato da Famiglia Cristiana e non solo, la
“valorizzazione degli insegnanti, l’edilizia scolastica … maggiori investimenti
nella ricerca scientifica, un fisco favorevole alle famiglie e politiche atte
ad incentivare la natalità e contro la ghettizzazione”.
E non solo. Gli Italiani, di destra o di
sinistra, desiderano politiche che facilitino il rapporto lavoro e famiglia,
comportino la riduzione delle spese militari ed un miglior servizio sanitario
nazionale soprattutto al Sud, nonché l’aumento della lotta alla mafia e alla
corruzione, l’eliminazione delle armi atomiche, le necessarie cure mediche,
anche se il malato non ha un reddito sufficiente, l’assistenza domiciliare agli
anziani e alle famiglie che se ne fanno carico, città meno inquinate da gas
tossici e dai rifiuti, spiagge invase dal cemento.
Desideri ai quali si aggiungono, secondo il
giornalista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, “i disagi provocati dalle
rovine idrogeologiche che minacciano più regioni, dalle baby gang, dalla
ripresa delle tossicodipendenze, dall’alcolismo al gioco d’azzardo… dalla
crescente dispersione scolastica e disoccupazione giovanile in Italia, oggi al
32,2%”. Pericoli sui quali è necessario intervenire al più presto. Perché, come
affermato da Papa Francesco, “non c’è pace laddove manca lavoro o la
prospettiva di un salario”. Leggi non
fatte e problemi non risolti che ora attendono il nuovo Governo.
Intanto Di Maio, contraddicendo il Dna
grillino, cerca appoggi, però solo per realizzare il “suo” programma, mentre
Berlusconi è amareggiato dal sorpasso dell’alleato Salvini che ha promesso di
cacciare seicentomila clandestini ed è contrario all’Unione Europea. Il che
rende particolarmente difficile il compito del Capo di Stato, come recentemente
rilevato anche dallo Spiegel, settimanale tedesco con grandissima tiratura.
A chi dunque affiderà il presidente della
Repubblica Sergio Mattarella l’incarico di formare il nuovo Governo dopo e
consultazioni al Quirinale? A prima vista non sarà una crisi breve né indolore.
Lega e Cinquestelle potrebbero allearsi su un programma minimo: spartizione
delle cariche di presidente di Camera e Senato, abolizione della legge Fornero
sulle pensioni, riscrittura dei trattati con l’Europa, blocco dell’immigrazione
clandestina, nuova legge elettorale. In altro caso Mattarella potrebbe formare
un “Governo del presidente” nominando Premier una persona importante, meglio se
non politica, o istituire un Esecutivo a termine, con un programma limitato su
alcuni punti stabiliti, per esempio una nuova legge elettorale. Quella che può
finalmente dare all’Italia un minimo di stabilità.
Egidio Todeschini,
de.it.press
Risultati elettorali in Italia: qualche illusione in meno.
Di queste elezioni
c’è almeno un risultato positivo che merita di essere apprezzato: le frange
sparse ed i gruppuscoli di sinistra sono stati spazzati via. E poiché dopo
tutto quello che ha fatto il PD per sottomettersi al diktat neoliberista, con
le assurde “controriforme” per spogliare i lavoratori degli ultimi resti dei
diritti dolorosamente conquistati dalla passate generazioni, nessuno può
seriamente ancora chiamare questo partito socialista, si deve prendere atto che
l'illusione di una “sinistra” in Italia è finita. Le promesse delle destre
resteranno anch’esse illusioni, poiché di tutti gli slogan razzisti e xenofobi
non si farà fortunatamente nulla: in pratica, le decisioni corrispondenti sono
e saranno prese non a Roma ma a Bruxelles, per non dire direttamente a Berlino.
E proprio lì le destre sono più forti ancora, nonché più xenofobe, e non
permetteranno certo che in Italia si mandino via stranieri che poi
arriverebbero da loro. Dunque al massimo verrà in Italia la cancelliera Merkel
a stipulare un trattato simile a quello spudoratamente concluso con un
dittatore DOC come Erdogan.
Ciò che rimane è,
naturalmente, un mucchio di macerie. Qualcosa che facilmente si poteva
prevedere 5 anni fa. Dopo la liquidazione doverosa del berlusconismo l’Italia
era divenuta un “protettorato” governato di fatto dalla Commissione Europea,
prima coi governi Monti e Letta e le “riforme” assurde loro imposte dall’UE che
avevano unicamente fatto aumentare il già pauroso deficit pubblico.
La situazione è
infine degenerata a tal punto che il successivo governo Renzi può ben essere
definito una gestione da “esecutore fallimentare”: tutti i problemi si sono
aggravati, per nessuno di essi si è visto anche un abbozzo di soluzione, tanto
che l’Italia, pur la terza potenza industriale in Europa, è stata ridotta a
fanalino di coda dell’ Unione Europea. A centinaia di migliaia di giovani – i
più volenterosi e qualificati – hanno man mano capito e sono fuggiti dal Paese.
Questa tremenda
involuzione era tutt’altro che inevitabile: si poteva invertire la rotta e si
era ancora in tempo. Invece ecco l’ondata “populista”.
Il termine
“populista” è forse il più inflazionato nella terminologia contemporanea,
un’etichetta diffamatoria con cui chi non ha contro argomenti si sottrae così
comodamente dal prendere seriamente in esame i pareri dei dissenzienti e
soprattutto di fare la fatica di esaminare i problemi veri che non si possono
nemmeno nominare per ragioni di “politicamente corretto”. Come nell’Unione
Sovietica i dissidenti venivano chiamati “controrivoluzionari” cosí nell’Unione
Europea (che con le sue continue annessioni di Paesi dell’Est post-comunista
sta divenendo a sua volta una brutta copia della UDSSR) i dissidenti sono tutti
indistintamente “populisti”. I partiti tradizionali si sono abbondantemente
serviti di questa etichetta diffamatoria contro coloro che contestavano le loro
politiche assurde e fallimentari, salvo a trovarsi poi di fronte ad una
crescita del dissenso che li sta meritatamente travolgendo. La Storia punisce
chi non ascolta il segno dei tempi si era detto a proposito dei regimi
comunisti: il discorso vale altrettanto se non di più per quelli che continuano
a definirsi – con sempre meno diritto – democratici.
Dalle elezioni del
4 marzo scorso sono usciti “vincitori” due schieramenti appunto “populisti”,
uno definito dai media “di destra” (Lega e soci) l’altro, il Movimento 5
Stelle, definito di “sinistra”, anche se, esso si autodefinisce né di destra né
di sinistra: con piena ragione poiché l’accozzaglia di promesse elettorali che
lo contraddistinguono difficilmente si possono ricondurre ad uno dei due
tradizionali schieramenti.
Cinque anni or
sono era stato fin troppo facile diffamare il Movimento 5 Stelle come
“populista, guidato da velleitari inesperti”. Allora tuttavia le proposte
che avanzava, se attuate, avrebbero risparmiato all’Italia un lustro di
progressiva decadenza economica e sociale: uscita dalla moneta unica, revisione
dei trattati europei, recupero della sovranità.
Quest’ultimo
obiettivo, che la falsa sinistra subito e scioccamente aveva dichiarato “bieco
nazionalismo” ci ha infine regalato l’affermazione delle destre ed in
particolare della Lega, che abbandonata furbescamente la contrapposizione
fra Nord e Sud, è divenuta partito nazionale. Il recupero della sovranità
nazionale contro il suo svuotamento e la sua cessione incontrollata alla
burocrazia di Bruxelles è stato in tutta Europa l’obiettivo delle destre:
se le sinistre ignorano un problema c’è subito chi se lo fa proprio, ovviamente
per i suoi interessi di bottega.
Tutti coloro
che condannarono allora il Movimento 5 stelle e lo considerarono un fenomeno
temporaneo si sono completamente sbagliati. Come purtroppo quelli che, come me,
avevano sperato con esso desiderato l'inizio di un rinnovamento della politica
italiana.
Al contrario, il
M5S, auto-esclusosi da una partecipazione al governo, fin da allora si era
posto l’obiettivo di andare comunque al potere, abbandonando se necessario uno
dopo l’altro tutti i punti qualificanti che lo avevano contraddistinto e sostituendoli
appunto con promesse “populiste” (es. il reddito di cittadinanza, che se in sé
potrebbe essere misura sensata in un’economia in crescita, nelle attuali
condizioni di stallo economico è promessa fasulla ed insostenibile: non si
può sostituire la mancanza di lavoro con un reddito garantito!).
Senza una
ricostruzione industriale quale base di uno sviluppo sostenibile, come ogni
serio economista ammette e spiega, l’Italia non uscirà mai dalla crisi, e
questo sviluppo, per l’Italia come per tutti i Paesi mediterranei, è possibile
unicamente uscendo dalla moneta unica e rinegoziando i trattati europei.
Le recenti
elezioni dimostrano inoltre che l'Italia non è più un'eccezione nell'UE,
l’avanzata delle Destre è esattamente analoga a quella di tutti gli altri Paesi
(Olanda, Francia, Austria, Polonia ecc. ecc.) e in modo ancor più massiccio
della Germania.
Una situazione che
dovrebbe preoccupare chi non ha dimenticato le lezioni della Storia. Anche se
tanti si affannino a negarli, i fatti sono testardi: diffamare gli elettori per
aver fatto le scelte "sbagliate" è ridicolo oltre che prova ulteriore
di assoluta mancanza di democraticità.
Meglio sarebbe,
invece di mettere la testa sotto la sabbia, se i responsabili di
questo disastro dalle dimensioni europee cominciassero a farsi un esame di
coscienza ed a chiedersi se la vera causa dello spostamento verso destra in
tutta Europa non sia esattamente la conseguenza della svendita della sovranità
dei singoli Stati ad una UE assolutamente antidemocratica e oligarchica,
guidata dalle lobby e fervida credente della religione neoliberista nella sua
variante più fondamentalista.
L'illusione degli
"Stati Uniti d'Europa" (che rivela una assoluta e irrimediabile
ignoranza della storia da parte di coloro che propugnano questa idea sciocca e
ingenua) è servita a coprire gli enormi interessi delle oligarchie
finanziarie ed è stata pagata con l’ erosione della sovranità dei singoli stati
e la loro svendita alla burocrazia senz’anima ma ben foraggiata di Bruxelles.
La rinascita dei nazionalismi è dunque la risposta inevitabile a questa
politica irresponsabile e devastante. I partiti di sinistra in tutta Europa si
erano avvolta in questa illusione pur di partecipare al banchetto: hanno
raccolto soltanto le briciole ed ora sono stati smascherati e spazzati via.
Ci sono molti
scenari possibili per un “governicchiolo” in Italia, ma sono tutti uno
peggio dell'altro.
M5S + PD? Ambedue
questi schieramenti politici sono dichiaratamente succubi al diktat di
Bruxelles, con un tale governo l’Italia finirebbe peggio che la Grecia dopo
l’infame tradimento del rinnegato Tsipras, che aveva ingannato il popolo con un
falso referendum i cui risultati poi aveva capovolto obbedendo al diktat
germanico.
M5S + alleanza con
le Destre? Sarebbe un “deja vu”, come il governo Tambroni negli anni 60’ coi
neofascisti. È pur vero che la soglia della vergogna si è continuamente
abbassata in questi anni, ma sarebbe il colmo; tuttavia visti i precedenti
nemmeno questo ormai si può escludere date le circostanze. E i parlamentari
italiani notoriamente non si fanno scrupoli a fare i voltagabbana e una volta
entrati in Parlamento cambiano partito più spesso della biancheria intima.
Quindi, quale
risultato del 4 marzo scorso, in alternativa rimangono soltanto luride
"ammucchiate" o nuove elezioni, anche se probabilmente nemmeno queste
non porterebbero a nulla di nuovo.
Soltanto la
prossima ed inevitabile crisi potrebbe ricondurre alla ragione: che venga essa
scatenata dal protezionismo degli Stati Uniti o per effetto dell’insostenibile
debito creato dalla Banca Centrale Europea col folle "whatever it takes”
di Mario Draghi e gli acquisti insensati di obbligazioni=carta straccia. Una
politica che volge inevitabilmente alla fine, e quindi non occorre essere profeti
per capire che l'accumulazione del debito colpirà le finanze nell'UE - se non
in tutto il mondo - come uno tsunami. Sarà una pulizia dolorosa ma salutare,
non solo per la politica europea. Come potrebbe configurarsi invece un vero
rinnovamento politico ed una rinascita economica (oltre che democratica,
culturale, sociale) sia in Italia che in Europa?
Basterebbe
guardarsi intorno: tutti i Paesi dell’UE che NON avevano aderito all’euro hanno
superato con poche o nessuna difficoltà la crisi del 2008 e sono in crescita
economica ininterrotta: quelli scandinavi come quelli dell’Europa dell’Est. Chi
volesse imparare dai fatti evidenti per prendere decisioni fondate dovrebbe
dunque ammettere il fallimento dell’euro e come primo passo inevitabile
programmare la fine meno dolorosa possibile di questo assurdo esperimento. Come
primo passo basterebbe il ritorno all’ECU, cioè al serpentone monetario, con
tassi di cambio concordabili. L’ UE dovrebbe inoltre ritornare alle origini,
snellita di tutto quanto la sta conducendo ad una fine poco onorevole ma
inevitabile: ma nemmeno il Brexit sembra aver insegnato nulla.
Il trattato
originario firmato a Roma nel 1956 dovrebbe essere ripreso per capire
quale errore madornale di rotta è stato compiuto coi successivi trattati di
Maastrich e Lisbona. E la Commissione Europea, l’organo meno democratico che si
possa immaginare al mondo, dovrebbe essere o eliminata o ridimensionata quale
semplice istanza di coordinamento per accordi commerciali bilaterali o
multilaterali. Il costosissimo Parlamento UE, tanto ridicolo quanto inutile
anche perché assolutamente privo di poteri sostanziali, dovrebbe essere
abolito, insieme a tutti i trattati successivi a quello del 1956. Invece della
Commissione Europea nella sua forma attuale servirebbe un organismo
rappresentativo comune, col solo scopo – in analogia all’ ONU - di dirimere
eventuali conflitti interni e garantire la pace in Europa.
E come logica
conseguenza, in un non troppo lontano futuro, con certo difficili negoziazioni
con gli USA, anche la NATO - come già avvenuto per il Patto di Varsavia –
dovrebbe essere sciolta.
La strada per una
rinascita europea appare dunque molto lunga: dove manca il coraggio di prendere
le decisioni sensate ma difficili, sono sempre le circostanze ad imporre le
loro decisioni, che sono anche le più dolorose.
Allo stato attuale
delle cose non si vede purtroppo il minimo segno di ravvedimento: gli
sventurati governanti europei e non solo quelli italiani, continuano ad
ignorare la realtà ed a fingere come i cortigiani della nota favola, di tenere
lo strascico dell’abito inesistente dell’imperatore (che in realtà è una
Cancelliera senescente).
Ma nonostante
quasi un’ intera generazione sia già andata perduta, in Italia come e negli
altri paesi del Mediterraneo, non si vede la minima traccia di ravvedimento.
Come sempre nella storia, saranno i fatti inevitabili e le crisi a
costringere alla ragione.
Graziano Priotto,
Praga/Costanza (de.it.press)
L’ex presidente
della Catalogna è agli arresti in Germania dal 25 marzo
La procura
generale dello Schleswig-Holstein ha chiesto al tribunale tedesco competente
l’estradizione in Spagna dell’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont,
che è agli arresti in Germania dal 25 marzo. Lo riferisce l’ufficio del
procuratore.
«L’ufficio del
procuratore del Land dello Schleswig-Holstein ha chiesto alla Corte superiore
regionale un mandato di estradizione contro l’ex presidente regionale catalano
Carles Puigdemont», scrive la procura, spiegando di avere riconosciuto la
validità nel diritto tedesco dei due capi d’accusa di Madrid a carico di
Puigdemont, cioè «ribellione» e «appropriazione indebita di fondi», ma
precisando che la decisione finale andrà presa nei prossimi giorni dalla Corte
tedesca competente.
Puigdemont è stato
arrestato a sorpresa domenica 25 marzo in Germania, mentre tornava dalla
Finlandia in Belgio, dove vive in esilio auto-imposto da quando è fallito il
tentativo di indipendenza della Catalogna a ottobre scorso. L’arresto è giunto
due giorni dopo che un giudice spagnolo ha riattivato il mandato d’arresto
internazionale per Puigdemont e altri leader separatisti.
Poco dopo
l’arresto i giudici tedeschi hanno ordinato che Puigdemont rimanesse in
custodia a Neumuenster, nel nord della Germania, in attesa della decisione
sull’eventuale estradizione in Spagna. I media tedeschi avevano riportato che
la richiesta di estradizione era complicata dal fatto che l’accusa di
ribellione, che Puigdemont affronta in Spagna e che prevede una pena massima di
30 anni di carcere, non è reato in Germania.
Nel giorno di
Pasqua centinaia di sostenitori dell’indipendenza della Catalogna avevano
marciato a Berlino per chiedere il rilascio di Puigdemont, sfilando dalla Porta
di Brandeburgo fino alla sede del ministero della Giustizia.
Intanto, lo staff
legale tedesco che assiste il leader indipendentista ha presentato ricorso
contro l’atto formalizzato dal procuratore dello Schleswig-Holstein. «Siamo
davanti ad un caso eccezionale per la sua rilevanza, per la componente politica
e per la violazione dei diritti fondamentali che è stata commessa nel paese
d’origine». Puigdemont «sa chiaramente di essere un prigioniero politico ed è
consapevole del fatto che lo stato spagnolo cercherà di fargli pagare tutto
fino in fondo. È pronto a questo».
Il tribunale
superiore del Land dovrà ora analizzare la documentazione e verificare se
esistano elementi a sostegno delle accuse. Secondo un portavoce del tribunale,
la legge non fissa limiti di tempo per la decisione. È plausibile, però, che il
verdetto arrivi entro la fine della settimana. LS 3
Ue, Macron riceve Merkel: "Voto italiano ha scosso la Ue"
Obiettivo di
questo primo incontro: ribadire l'impegno per riaccendere il motore
dell’Europa, lavorare alla road map promessa da tempo e che dovrebbe essere
pronta entro l'estate. Tra le priorità segnalate dall'Eliseo c'è ovviamente il
fronte immigrazione - dalla corrispondente Anais Ginori
PARIGI – Non
nascondono preoccupazione per quanto succede in Europa, ma anche in Italia,
soprattutto dopo che il voto del 4 marzo ha evidenziato una crescita di
posizioni estreme. Angela Merkel, arrivata oggi all’Eliseo per il primo
incontro dopo l'inizio della nuova GroKo, ed Emmanuel Macron, hanno
avuto una 'lunga riunione di lavoro'. I due leader non hanno mai smesso di
vedersi e parlarsi in questi lunghi mesi di trattative per formare la coalizione
di governo tedesco, ma adesso l'asse franco-tedesco torna a essere 'pienamente
operativo' sottolineano fonti dell'Eliseo.
Ed entrambi i
leader guardano agli impegni futuri: "Il lavoro che ci aspetta è
importante in un contesto europeo profondamente scosso da Brexit e dalle
elezioni italiane che hanno visto montare gli estremi e che ci hanno permesso
di toccare con mano le conseguenze di una lunga crisi economica e le sfide
migratorie a cui non abbiamo saputo rispondere", ha detto il presidente francese
in conferenza stampa congiunta a Parigi con la cancelliera tedesca.
Obiettivo di
questo primo incontro di oggi è stato quello di ribadire l'impegno per
riaccendere il motore dell’Europa, lavorare alla road map promessa da tempo e
che dovrebbe essere pronta entro giugno. Una tabella di marcia ben precisa,
"chiara e ambiziosa": "È il nostro compito entro giugno: sulla
zona euro, sui migranti, la politica di difesa, il commercio, la ricerca,
l'istruzione, ci proporremo una chiara, ambiziosa tabella di marcia per
la rifondazione (dell'Ue)) entro giugno", ha detto il presidente francese.
"È indispensabile costruire questa nuova ambizione per l'Europa", ha
insistito. Tra le priorità segnalate dall'Eliseo c'è ovviamente il fronte
immigrazione che, come si è visto con il voto in Italia e ancora prima con il
successo dell'Afd in Germania, è diventato il vero carburante dei populismi e
delle forze antieuropeiste. Parigi e Berlino vogliono impegnarsi per
finalizzare la riforma degli accordi di Dublino, ovvero le attuali regole per i
richiedenti asilo, e riproporre un meccanismo di solidarietà per la
ripartizione dei rifugiati. "Germania e Francia devono fare da guida dando
l'esempio - ha detto la cancelliera -. Vogliamo raggiungere un accordo su
questioni che comprendono la stabilizzazione permanente e sostenibile
dell'Euro, garanzie per la competitività e un piano congiunto sull'asilo".
Sul tavolo del
rilancio europeo anche la cooperazione nella Difesa, tema che procede spedito e
– sottolineano all’Eliseo – con la partecipazione di molti più paesi membri di
quanto previsto fino a qualche mese fa. Infine c'è il tormentone sulle nuove
tappe per raffozare l'integrazione dell'eurozona. All'Eliseo fanno notare con
ottimismo che il contratto di coalizione con l'Spd menziona il rilancio europeo
al primo posto e parla della creazione di un generico 'fondo di investimento'
per l’eurozona, ma in realtà resta la riluttanza tedesca a fare alcuni passi
importanti voluti da Macron come la nomina di un ministro delle Finanze
dell’eurozona con un bilancio proprio.
CASO SPIA RUSSA. Sia
il presidente francese che la cancelliera tedesca hanno ribadito la totale
solidarietà alla Gran Bretagna per il caso Skipral. "Condanniamo
l'ingerenza russa - ha detto Macron -. Tutto porta a credere che sia stata la
Russia a condurre questo tentativo di assassinio" sul suolo britannico.
"Sono in molti a pensare che la Russia sia responsabile ed è bene che il
governo britannico abbia posto questo problema sul scala internazionale".
"È una situazione estremamente difficile", studieremo "insieme
la reazione più appropriata". LR 16.3.
Quarto mandato. Russia: Putin, rielezione nel segno di continuità e
conservazione
In ultima analisi
sarà stato il 67% degli elettori a decidersi di andare a votare domenica
in Russia. E i voti a favore della rielezione di Vladimir Putin alla presidenza
hanno raggiunto il 76%. Nessun senso di fatica o di sconforto, dunque: i russi
vogliono proprio quest’uomo alla loro testa, checché ne pensi il resto del
mondo. Non è una semplice infatuazione. Se si considerano anche gli anni
‘ponte’ della presidenza Medvedev, Putin è al comando dal 1999: una forte
continuità non priva di problemi, interni e internazionali. Molti pensano che
potrebbe essere giunto il momento di tentare qualche profonda riforma politica,
o quanto meno economica. Tuttavia è molto difficile sperare che tali mutamenti
possano arrivare per cortesia di Putin.
Riforme, più
barriere che spinte
Anche al di là di
importanti interessi privati che potrebbero rendere difficile ogni discorso
riformista, rimane la profonda convinzione di buona parte del popolo russo che
gli ultimi riformisti, Mikhail Gorbaciov e Boris Eltsin, siano i primi
responsabili delle umiliazioni e delle perdite di ruolo e rango internazionale
sperimentate in quegli anni. Questo sembra pensare anche il neo-rieletto
presidente ed è una possente barriera contro il mutamento. Il
blocco delle riforme è pure dovuto al peggiorare delle relazioni tra la
Russia, i principali Paesi europei e gli Usa, dopo la vicenda del tentato
assassinio di una ex-spia russa, e di sua figlia, nel Regno Unito.
Si è creata così
una sorta di aspettativa, rimasta peraltro del tutto insoddisfatta, per nuovi
annunci mediatici cui non ha corrisposto alcuna seria iniziativa politica. Una
rielezione nel segno della conservazione dunque, che dovrebbe almeno in parte
tranquillizzare quella parte del popolo russo che non può comunque fare a meno
di porsi qualche domanda sulla debolezza del tasso di crescita
dell’economia, sulla prosecuzione del conflitto in Ucraina, sui crescenti
costi umani di una presenza militare così forte in Siria, eccetera.
Chiusure
nazionaliste e interessi comuni
Una rielezione
infine anche nel segno della chiusura nazionalista: ringraziare la Gran
Bretagna per le accuse “che hanno contribuito a compattare il popolo russo
contro gli attacchi stranieri” è uno sberleffo polemico che non favorirà la
distensione. Ma questa durezza e contrapposizione sembrano essere divenute la
cifra dell’ultimo Putin: una indicazione preoccupante, se consideriamo che
questo dovrebbe essere, salvo sorprese, l’ultimo suo mandato presidenziale, e
che il Cremlino sembra molto interessato a scoprire rapidamente l’identità del
successore favorito.
Nel frattempo,
questa rielezione non muta il quadro internazionale, né in bene né in male. Con
Putin, ad esempio, abbiamo alcuni interessi comuni: la lotta al terrorismo, il
contrasto alla proliferazione nucleare (non la sua naturalmente, ma quella dei
Paesi terzi), una maggiore stabilità nel Medio Oriente, la sicurezza
energetica. Sotto questi titoli generici si nascondono anche molte diversità
nei dettagli, ma grosso modo è possibile immaginare alcune prudenti
collaborazioni. Il problema è quello di riuscire a combinare la collaborazione
in un settore e il permanere della contrapposizione in altri settori: ci
riuscivamo piuttosto bene negli anni della Guerra Fredda tra Est ed Ovest, ma
oggi la situazione si è fatta più confusa e quindi anche più difficile da
gestire.
Anche perché una
simile politica richiede una forte unità d’azione tra i Paesi dell’Unione
europea: c’è qualcuno che è disposto a scommetterci? Stefano Silvestri, AffInt
20
Russia, un dilemma per l’Europa e l’occidente
C’è nella storia
russa una caratteristica che dura ormai da qualche secolo: l’irresistibile
pulsione di avere ambizioni e obiettivi spropositati rispetto alle proprie
forze, con risultati sistematicamente negativi. È un atteggiamento che
riscontriamo nella storia di molti Paesi, ma che per la Russia sembra essere
una costante.
Nell’Ottocento
perse il “grande gioco” con la Gran Bretagna ai confini con l’India solo per
buttarsi nell’avventura suicidaria di una guerra con il Giappone. Invece di
riflettere sulle ragioni della sconfitta, cercò compensazioni in un
avventurismo balcanico che fu fra le cause principali della Prima guerra
mondiale e che condusse alla sconfitta e alla rivoluzione del 1917. Uscita
vittoriosa a prezzo di venti milioni di morti dalla guerra successiva, l’Unione
sovietica s’illuse di poter superare l’Occidente, disperse le proprie forze nei
teatri più disparati, dall’Asia all’Africa, sino all’America Latina e perse
rovinosamente la Guerra Fredda.
L’avventurismo di
Putin
Ora Vladimir Putin
– che si prepara alla quarta riconferma al Cremlino – sta lanciando il suo
Paese in una nuova avventura il cui scopo sembra essere ancora una volta di
approfittare delle debolezze e delle apparenti divisioni dell’Europa e
dell’Occidente per riconquistare un ruolo di grande potenza. I fatti sono sotto
gli occhi di tutti: violazione flagrante del diritto internazionale in Ucraina,
continue provocazioni ai confini della Nato, intervento spericolato in Siria e
ora nel Mediterraneo, plateale interferenza nei meccanismi politici dei nostri
Paesi.
Cosa spinge Putin,
peraltro statista abile e accorto, verso un simile avventurismo? In primo luogo
la sicurezza ereditata dalla storia che il Paese per la sua stessa mole
geografica è di fatto non conquistabile da un esercito straniero: lo dovettero
capire i mongoli, poi i polacchi, poi Napoleone e infine i tedeschi. E poi la
sua indubbia potenza militare, accompagnata da un’indiscussa capacità
diplomatica. Il fatto di poter contare sul nazionalismo di un popolo avvezzo ai
più duri sacrifici. Infine, la recente disponibilità di grandi risorse
energetiche.
Putin vive però in
uno stato di ebbrezza che gli fa dimenticare fattori strutturali ben più
importanti. La Russia ha dimostrato di non sapere uscire da un sistema politico
autocratico che al contrario di quello cinese è incapace di modernizzare e
sviluppare l’economia. Il Paese ha oggi un Pil di poco inferiore a quello
italiano, con una crescita asfittica ritrovata di recente solo grazie alla
ripresa del prezzo degli idrocarburi.
La sua forza
militare, rilanciata dopo la cattiva prova data nella guerra in Georgia, è
incontestabile. Tuttavia, la Russia spende per la difesa oltre il 3% del Pil e
difficilmente potrebbe fare di più. Se la sola Germania raggiungesse
l’obiettivo Nato del 2% di spese militari, avrebbe un bilancio di gran lunga
superiore a quello russo. Helmut Schmidt, famoso per i suoi giudizi icastici,
definiva l’Urss “Gabon con l’arma atomica”; la realtà non è molto cambiata.
L’errore di
strategia degli europei
Poiché né la
strategia di Putin, né i problemi strutturali del Paese sono destinati a
cambiare nel prevedibile futuro, cosa devono fare l’Europa e l’Occidente? Per
prima cosa, dobbiamo essere coscienti degli errori commessi. Il più importante
è stato strategico. Ci convincemmo che i russi condividevano la nostra analisi
sulla fine della Guerra Fredda e che – come Germania, Italia e Giappone dopo la
Seconda guerra mondiale – avessero un solo desiderio: diventare europei e occidentali.
La reazione russa
è invece stata un diffuso desiderio di rivincita e senso di umiliazione.
L’errore di analisi ci ha condotto a essere troppo arroganti nella caotica
transizione dell’era Eltsin, quando forse un’altra evoluzione sarebbe stata possibile.
Ci sono poi stati altri errori più concreti come un allargamento della Nato
troppo frettoloso e l’improvvida promessa d’inclusione anche di Georgia e
Ucraina. Riconoscerlo non deve tuttavia farci credere che il film avrebbe
potuto essere sostanzialmente diverso. Ciò che spinge Putin all’avventura è più
profondo e non modificabile.
Bisogna quindi
abbandonare l’illusione che sia possibile con la Russia un accordo globale. Ciò
che vogliamo da lui Putin non può e non vuole darcelo perché un popolo inebriato
di nazionalismo lo considererebbe una capitolazione. Né possiamo noi dargli ciò
che chiede: il riconoscimento di una zona di influenza in Europa orientale e
nel Mediterraneo.
Ciò in particolare
rende nell’immediato impossibile una soluzione stabile per l’Ucraina, anche se
è importante continuare a premere perché gli accordi di Minsk siano rispettati.
Spiragli di
dialogo
La Russia resta
però un interlocutore inevitabile in molti campi. Bisogna quindi continuare a
discutere su ogni questione dove è possibile trovare un’intesa sia pure
provvisoria e parziale. È il caso della Siria, del futuro dell’accordo nucleare
con l’Iran e, più in generale, del Mediterraneo. Bisogna però essere
consapevoli che ogni eventuale accordo avrà meno la caratteristica di uno
scambio, ma piuttosto della presa d’atto di una puntuale convergenza di
interessi.
Per il resto,
bisogna continuare gli sforzi per ridurre la dipendenza energetica dalla
Russia, mantenere la pressione e soprattutto le sanzioni. Negli anni passati,
Barack Obama appaltò di fatto il problema ucraino all’Europa, e in particolare
alla Germania. Dobbiamo sperare che la politica ondivaga dell’attuale inquilino
della Casa Bianca, Donald Trump, non complichi le cose. La capacità di tenuta
dell’Europa su questo fronte è più grande di quanto fosse un paio di anni fa.
Nel frattempo, c’è
stato l’inizio – sperando che duri – del riflusso delle forze euroscettiche che
in tutti i Paesi europei esprimono una vistosa simpatia e spesso anche legami
organici con la Russia. Dobbiamo soprattutto mantenere la consapevolezza che il
prezzo che paghiamo nel breve periodo è incomparabilmente inferiore a quello
che paga la Russia nel medio periodo. Senza accesso alla tecnologia europea e
al nostro contributo al suo sviluppo, la Russia non ha nessuna speranza di
modernizzarsi in modo endogeno.
La cosiddetta
“carta cinese” che viene spesso agitata è in realtà vuota perché comporterebbe
per la Russia un prezzo di lungo periodo di gran lunga superiore. Ci vorrà
tempo, ma la conseguenza è inevitabile, come lo fu a suo tempo per l’Urss.
Possiamo poi sempre sperare che l’anima europea del Paese, nei secoli sempre
sconfitta, trovi un giorno modo di trionfare. Riccardo Perissich IPG 17
Il Bel Paese, post
elettorale, continua a riportare una crisi “anomala”. Però, se l’ottimismo è
l’arma dei forti, il realismo è quello degli onesti. Le vie di mezzo non
c’interessano. Farebbero, tra l’altro, perdere altro tempo per assicurare un
futuro meno tormentato all’Azienda Italia. L’unico primato, vero, è che il
nuovo Parlamento ha da concretare problemi legislativi che Gentiloni ha
lasciato in sospeso. Per il passato, abbiamo evidenziato sensazioni di
speranza; se non d’ottimismo. Anche per noi, è difficile fare delle previsioni
in favore del Popolo italiano. Riconosciamo, però, qualche segnale di buona
volontà. Ma tra il recepire e il fare lo spazio resta immenso. Vivere nel Bel
Paese resta un problema. Le esternazioni
non ci interessano. Tirare avanti non sarà più agevole che per il passato.
Riprenderanno, anche se non si sono mai
interrotte, le dispute politiche e le strategie che non hanno portato a nulla.
E’ vero: il 2018 è ancora tutto da “scoprire”. Intanto, si prospetta un futuro
d’incertezze. L’Italia è ancora in crisi d’identità. Ma per “dare”, secondo
noi, bisognerebbe “avere” ciò che, invece, non c’è.
Comunque, questa primavera sarà politicamente
impegnata. Almeno nella ripresa dei provvedimenti normativi già elaborati. Non
intravediamo, tuttavia, quei “piccoli” passi che riteniamo indispensabili per
riprendere un percorso positivo veramente nuovo nella Penisola. Il cambio
stagionale, dopo tante questioni meteorologiche e politiche, dovrebbe
indirizzare l’Esecutivo verso quella serie di provvedimenti operativi che la
precedente Legislatura aveva solo menzionato.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Per una democrazia dei valori. Una riflessione sempre...attuale
In uno scritto del
1986 l'allora cardinale Joseph Ratzinger, alla domanda “Che cosa minaccia oggi
la democrazia?” rispondeva, con profetica lucidità: “C'è innanzitutto la
incapacità di fare amicizia con l'imperfezione delle cose umane: il desiderio
di assoluto nella storia è il nemico del bene che è nella storia”. Il professor
Ratzinger intendeva mettere in guardia rispetto alla tendenza a quell'utopia
secondo la quale il passato sarebbe da considerare “una storia di non libertà
[…] e che finalmente ora, o tra poco, si potrà o si dovrà costituire la società
giusta”. Voleva altresì ricordare che “né la fede né la ragione sono in grado
di prometterci un mondo perfetto”.
Da queste premesse
consegue che il futuro della democrazia pluralistica che abbiamo conosciuto nel
mondo che chiamiamo “occidentale” e l'esito dell'impegno finalizzato alla
promozione umana e sociale, molto dipenderanno da una coraggiosa
riappropriazione dell'idea di imperfezione delle cose umane, e dal non
considerare acquisiti una volta per tutte i valori di libertà e giustizia che
sono alla base della democrazia liberale. Per il futuro occorrerà giudicare la
moralità dei programmi politici alla luce di queste verità, che una visione
disincantata della storia ci mostra.
Ad uno sguardo non
superficiale non può sfuggire che i pericoli testè denunciati non si
scongiurano semplicemente agendo sul terreno della politica in senso stretto.
Molto dipenderà da qualcosa che viene prima della politica, la quale recepisce
ciò che “sguazza” nella società. E' illusorio e fondamentalmente irrazionale
pensare che le patologie sociali che si manifestano nella politica si curino
con la sola politica. E' sul terreno culturale, cioè dei valori morali, che
bisogna lavorare a fabbricare la medicina. C'è bisogno che la politica recuperi
una piena coscienza di valori e di limiti, altrimenti, in questo nostro
villaggio globale, la democrazia pluralistica, che non è da considerare un
traguardo acquisito una volta per tutte, rischierà di apparire una scatola
vuota, pronta ad essere sacrificata sull'altare della competitività economica.
La democrazia
liberale è il miglior sistema di rappresentanza politica, ma necessita
perennemente di un supplemento d'anima, che non sempre c'è. Siamo tutti ogni
giorno sballottati tra un sentimento e l'altro, tra una mezza informazione e
una disinformazione, a tutti i livelli. Ci appare estremamente arduo
distinguere il grano dal loglio: la cattiva informazione si diffonde a macchia
l'olio, e la buona politica, anche quando c'è, pare non godere di buona stampa.
Le cronache recenti della politica, italiana e non solo, ci disegnano un quadro
in cui le esigenze della propaganda sembrano prevalere sul bisogno di un sano
realismo, e quelle della demagogia su quelle di una educazione civica e di una
pedagogia di fondo che sempre dovrebbero presiedere al gioco democratico.
La prima cosa da
fare, da parte di ogni persona di buona volontà, è quella di adottare un
atteggiamento che equivale anche ad una misura di igiene mentale: attuare una
continua opera di discernimento, giudicare i protagonisti della scena pubblica
e i fatti di rilevanza politica e sociale per come sono realmente e per gli
effetti ragionevolmente prevedibili sulla base di una coscienza formata ed
informata, combattendo la tendenza a giudicare “per partito preso”. La seconda
cosa consiste nell'impegno a porre in essere delle buone regole d'ingaggio e di
condotta, dei meccanismi interni ai partiti e alle istituzioni pubbliche e
private - non esclusi i mezzi di comunicazione di massa - che possano fungere
da camera di decompressione delle passioni, e che facilitino il riconoscimento
di meriti, competenze e credibilità degli attori politici. Bisognerà poi
pensare ad integrare la rappresentanza politica con istanze sociali
immediatamente riconoscibili, secondo metodi e forme tutte da studiare.
Alla luce della
lezione del presente, c'è poi da avere coscienza del fatto che, quale che sarà
la direzione che i governanti sceglieranno volta per volta nel “guidare la
macchina”, sia cioè che si sceglierà la via neo-liberista, sia che ci si
orienterà verso la neo-socialdemocrazia, sempre si dovranno adottare adeguate
misure di protezione sociale per tutti quei cittadini che la vita o la
contingenza economica avrà svantaggiato. Compiti, questi indicati, di non
facile realizzazione. Bisogna tuttavia provarci. Non è sufficiente invocare
organismi sovranazionali, che rischiano di apparire più un ostacolo che una
risorsa. L'esito delle recenti elezioni, a mio modesto parere, denuncia, tra
l'altro, la mancanza di queste garanzie preventive. E' attorno a queste
esigenze pre-politiche che si dovrebbe provare a costruire una nuova élite
culturale che si impegnasse a creare le premesse per una riformulazione delle
regole della convivenza sociale prima ancora di quelle delle istituzioni
politiche. Sono infatti in gioco l'avvenire della società e della stessa
democrazia liberale. di Giuseppe Lalli, de.it.press
SAN GALLO - La
lingua italiana e la sua promozione sono state al centro del convegno “Anche io
parlo italiano!”, che si è aperto venerdì 23 marzo all’Università di San Gallo
e ha avuto la sua giornata clou sabato 24 marzo a Coira nella sala del Gran
Consiglio Cantonale. Durante la serata d’apertura, nell?aula universitaria,
alcune ragazze, che studiano italiano, hanno dichiarato al pubblico in sala per
quale motivo hanno deciso di avvicinarsi alla lingua del Bel paese: chi per far
piacere al nonno, chi perché desidera capire uno degli idiomi ufficiali della
Confederazione Elvetica… insomma, ci possono essere numerose ragioni diverse:
basta che ognuno trovi la sua!
Il Professor
Federico Luisetti, nuovo docente di cultura e società italiana e padrone di
casa, e il Console Generale Italiano a Zurigo, il Min. Giulio Alaimo, hanno
dato ufficialmente il via a questa due giorni di approfondimento per addetti ai
lavori e pubblico interessato. Un quadro statisticamente molto approfondito
dell’uso della lingua italiana oggi, nella Svizzera tedesca, è stato fatto dal
Professor Stephan Schmid, docente di linguistica italiana e assistente di
ricerca presso l’Università di Zurigo. La sua analisi ha permesso ai presenti
di capire come sia cambiata la situazione nell’ultimo secolo, quali potrebbero
essere gli scenari sociolinguistici possibili, come e se l’italiano possa
essere usato quale lingua veicolare nella Svizzera tedesca. Il suo intervento
ha suscitato molte domande e, sebbene alcuni ascoltatori non abbiano condiviso
del tutto la sua indagine, lo scambio di opinioni è stato vivace e ricco di
esperienze.
A seguire è
avvenuta la presentazione del Totem della lingua italiana con la consegna dei
tablet con materiali estratti dagli archivi RSI. L’avvocatessa Francesca
Gemnetti, segretaria generale della CORSI (Società Cooperativa per la
Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana) ha deliziato i partecipanti con
alcuni video, datati e non, di esperienze di italiani arrivati in Svizzera.
Tutti questi contenuti digitali, più di 720 ore consecutive, ora possono essere
usati dai docenti di lingua italiana dell’Università e dei licei di San Gallo
per far conoscere agli allievi le condizioni di vita dei loro nonni e dei loro
genitori, appena arrivati oltralpe. Il Centro Socioculturale Italiano ha voluto
terminare la serata offrendo un aperitivo nella propria sede, cosa che ha
permesso a tutti gli intervenuti di continuare a discutere di queste tematiche
in atmosfera conviviale.
Sabato 24 marzo,
gli interessati e gli addetti ai lavori si sono spostati a Coira, nella sala
del Gran Consiglio. L’apertura della mattinata è stata affidata al Gran
Consigliere Ilario Bondolfi, Presidente della Deputazione italofona dei
Grigioni, che ha rilevato come questo cantone sia l’unico dell’intera
Confederazione ad avere tre lingue ufficiali: il tedesco, il romancio e l’italiano.
Ed essendo l’italiano uno dei due idiomi meno parlati, questa iniziativa potrà
ben aiutare il suo ampliamento e la sua ulteriore diffusione. A seguire è
intervenuto Martin Jäger, Consigliere di Stato dei Grigioni, responsabile del
Dipartimento dell’Educazione, che con il suo discorso in italiano e in tedesco
ha spiegato principalmente quali siano ora le politiche adottate nella Regione
Retica e i loro sviluppi futuri in area linguistica. L’Ambasciatore d’Italia,
Marco Del Panta Ridolfi, ha salutato tutti i presenti, ricordando quanto
iniziative del genere siano indispensabili per il Bel Paese e siano esso sostenute
dalle recenti disposizioni governative. Recentemente, ha dichiarato il capo
della diplomazia italiana in Svizzera, di aver visitato, con il Console
Generale Giulio Alaimo, alcuni licei italiani della Svizzera tedesca, recependo
il vivo interesse dimostrato per la lingua italiana. Subito dopo, la Presidente
della Società Dante Alighieri di San Gallo, Eleonora Rothenberger, ha guidato
alcuni scrittori nella tavola rotonda dal titolo “Il „di più? Dell’italiano:
una sfida alle lingue maggioritarie!”. Lo scrittore grigionese Vincenzo
Todisco, l’autore di gialli Andrea Fazioli ed il critico letterario Yari
Bernasconi hanno dato vita a un vivace scambio di vedute su come hanno reso l’italiano
la lingua del loro lavoro. Tutti e tre, nati in una parte della Svizzera dove l’italiano
è lingua del cantone, hanno raccontato ai presenti come abbiano allargato i
loro studi, abbracciando anche altre lingue, ufficiali e non, ma siano comunque
ritornati sul “luogo del delitto”, utilizzando l’italiano. Perché ognuno di noi
può sentirsi straniero nella propria patria, ma l’alterità delle tre differenti
culture elvetiche dovrebbe essere una ricchezza e non un ostacolo per tutti
coloro che devono confrontarsi con qualcosa che non appartiene loro. Il
luganese Claudio Mesoniat, invece, non potendo essere presente, ha mandato un
interessante contributo sulla sfida affrontata per fondare l’università della
Svizzera Italiana (USI), oggi un sogno diventato realtà da più di vent’anni.
La pausa pranzo,
con un ottimo servizio ristoro, non ha impedito ai partecipanti di tornare al
lavoro e di discutere sullo “Status quo e l’italiano in Svizzera nel 2028”. La
suddivisione dei partecipanti in gruppi di lavoro è stata un modo utile per
affrontare questa tematica tra docenti e addetti delle scuole primarie, medie e
superiori, di quelle professionali, delle università popolari e dei corsi per
adulti, delle Alte Scuole Pedagogiche e tra coloro che usano l’italiano sul
lavoro e in famiglia. L’analisi dello status quo e della prospettiva futura,
attraverso proposte che potrebbero contribuire all’ulteriore promozione dell’italiano,
è stata al centro della sintesi conclusiva, tenuta dal Professor Federico
Godenzi, Presidente della Pro Grigioni- Coira, e dal Professor Federico
Luisetti. Il Console Generale Giulio Alaimo ha ultimato i lavori, evidenziando
l’apprezzamento per l’iniziativa e per i punti di arrivo dei vari gruppi,
ringraziando per la partecipazione e chiedendo di continuare a sostenere la
promozione della lingua italiana nella Svizzera tedesca. Le due giornate di
lavori hanno, senza dubbio, segnato l’inizio di un impegno per una sempre
maggiore diffusione della nostra lingua in territorio elvetico. Federica Fruet
– Solidali & Insieme
Migranti, Israele: “Li manderemo via”
Il primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu sospende l'attuazione dell'accordo definito dal
suo governo con l'Unhcr per risolvere la crisi dei migranti dai paesi africani
in Israele deportando in paesi terzi decine di migliaia di persone.
Il premier lo ha
annunciato poche ore dopo aver dato notizia del raggiungimento di un'intesa in
materia che prevedeva la concessione di un permesso provvisorio a 18mila
migranti e la ricollocazione di altri 16.250 in paesi occidentali fra cui il
Canada, la Germania e l'Italia, aveva detto Netanyahu. Il premier era stato poi
costretto a precisare che i paesi citati erano solo esempi generici e non
nazioni con cui erano effettivamente stati raggiunti accordi. L'Unhcr non aveva
citato i paesi che avrebbero accettato i migranti. "Sospendo l'attuazione
dell'accordo e lo esaminerò nuovamente", ha scritto il premier in un post
su Facebook in cui anticipa incontri con i residenti di Tel Aviv sud.
"Nonostante
le difficili limitazioni giuridiche e le crescenti difficoltà internazionali,
continueremo a lavorare con determinazione per ricorrere a tutte le possibilità
che abbiamo a disposizione per far uscire gli infiltrati dal Paese'', ha affermato
poi Netanyahu durante l'incontro con i residenti dei quartieri meridionali di
Tel Aviv, dove è forte la presenza di migranti africani.
Quanto all'accordo
con l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), che prevedeva il
ricollocamento di oltre 16.000 richiedenti asilo africani verso alcuni Paesi
occidentali, "dopo aver ascoltato molte osservazioni, ho esaminato
vantaggi e svantaggi e ho deciso di annullarlo", ha affermato,
sottolineando che "cercheremo ulteriori soluzioni". Adnkronos 3
E’ difficile dare
dei confini all’italianità nel mondo. Certo è che il ruolo dei Connazionali
all’estero dovrebbe essere rivisto in un’ottica più consona ai tempi nei quali,
a torto o a ragione, viviamo. Precisando che, a nostro avviso, la nostra
Comunità oltre frontiera dovrebbe avere un maggiore significato anche in
Patria.
L’”Italianità’” è una qualità che non dipende
soltanto dalla cittadinanza, ma anche da un modo d’impostare la propria vita
con quella della comunità nella quale si vive. Lo evidenziamo per evitare ogni
fraintendimento. Essere italiano esprime un complesso di sensazioni e
d’esperienze che rendono particolarmente disponibili all’incontro; mantenendo i
nostri principi, senza vincoli d’età e di sesso. L’orgoglio d’essere italiani
si sviluppa con l’emergere dello spirito d’appartenenza.
Siamo un Popolo
capace d’affrontare gli eventi negativi che, da noi, sembrano non mancare mai.
Genti con la mano protesa versi gli altri. Gli italiani affrontano “a muso
duro” le incertezze personali e del Paese. Non è detto che riescano a
risolverle; l’’importante è che non le trascurino con l’illusione di lasciare
ad altri l’onere di farlo. Realtà che, all’estero, è di particolare pregio.
Premesso che i Connazionali nel mondo sono
milioni e le generazioni si sono evolute, teniamo a porre l’accento che non è
venuto mai meno il concetto d’”italianità”. Anche quando sarebbe stato più
comodo seguire altre strade. Vivere la quotidianità in Patria, come all’estero,
ci pone a un livello che consente di conservare quei principi di condivisione
necessari quando, purtroppo, se ne evidenzia il bisogno.
Anche in questo agitato secondo millennio,
continueremo il servizio che abbiamo iniziato da oltre cinquant’anni. Pronti
alla disponibilità e all’ascolto. Essere italiano rimane l’impegno di un Popolo
che, nei secoli, ha trasportato il seme della nostra cultura in tutte le
contrade del mondo e continua ancora a farlo.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Berlino, bimba picchiata a scuola perché ebrea
La piccola colpita
dai coetanei figli di immigrati musulmani - Walter Rauhe
Berlino - «Sei
ebrea»?, le chiede un compagno di classe della seconda elementare. La bambina,
7 anni, risponde di sì, spiega che suo papà è di fede ebraica anche se non è
praticante. A questo punto la piccola viene spintonata, insultata, minacciata.
Non solo dal compagno di classe che le ha posto la domanda, ma anche dai suoi
amici, tutti di età compresa tra i 7 e gli 8 anni e tutti provenienti da
famiglie di fede musulmana.
L’episodio,
accaduto alcuni giorni fa nella scuola elementare «Paul-Simmel» di Berlino, sta
scuotendo l’opinione pubblica tedesca e ha innescato un vivace dibattito sul
cosiddetto «mobbing religioso». Un fenomeno sempre più diffuso in Germania
anche tra le fasce sociali più giovani. «I bambini sono sempre più spesso
soggetti al fanatismo religioso dei loro genitori, fratelli maggiori o parenti
più stretti», ha dichiarato al quotidiano «Berliner Zeitung» l’insegnante di
una scuola elementare nel quartiere berlinese di Neukölln, nel quale fino al
70% degli alunni è figlio di immigrati. «Non sanno ancora leggere e scrivere,
ma già dividono il loro piccolo mondo in due categorie: credenti e miscredenti,
musulmani e non-musulmani», denuncia l’insegnante che ha preferito restare
anonima per non rischiare rappresaglie.
Le statistiche del
ministero degli Interni registrano da anni un aumento dei reati di stampo
antisemita: 1200 nel 2015, 1400 nel 2016 ed oltre 1500 lo scorso anno. Si
tratta però solo dei casi denunciati alle autorità. Non compresi nelle
statistiche sono gli episodi di antisemitismo compiuti dai minori. «Quello che
è successo nella scuola berlinese non è purtroppo un caso isolato», sostiene la
portavoce giovanile della comunità ebraica tedesca Marina Chernivsky. «Offese, minacce
e anche attacchi fisici sono all’ordine del giorno sia nelle scuole elementari,
sia negli asili». Vittime di questo nuovo fenomeno non solo gli alunni e gli
studenti non-musulmani, ma anche insegnati, assistenti sociali, educatori -
specie se donne. «L’Islam trasformato in un’ideologia e il fondamentalismo
religioso hanno una forte attrazione sui giovani immigrati», sostiene la
direttrice dell’American Jewish Committee di Berlino Deidre Berger.
«Radicalizzandosi, i giovani musulmani trovano un’identità, si distinguono e
compensano l’esperienza d’isolamento che a loro volta provano in qualità di
diversi, di stranieri, di emarginati».
Come può reagire
però la società civile a questo fenomeno? Thomas Albrecht, il direttore della
scuola elementare berlinese nella quale è stata attaccata la bambina ebrea,
vorrebbe arruolare servizi di sorveglianza privati per garantire la sicurezza
nelle scuole e negli asili. Il governatore Michael Müller chiede tavole rotonde
per coinvolgere insegnanti, genitori e rappresentanti delle comunità religiose.
LS 28
Nuovo volo Perugia-Francoforte. L’Umbria si presenta in Germania
Francoforte -
"Questo è un collegamento importantissimo per l'Umbria, il cuore verde
dell'Italia, che ora è connessa con il cuore dell'Europa. Un collegamento che
ha un valore fondamentale sia per lo sviluppo del turismo, sia anche al
servizio del sistema economico ed imprenditoriale regionale". È quanto affermato
da Giuseppe Chianella, assessore ai Trasporti ed Infrastrutture della Regione
Umbria, che ha aperto così la conferenza stampa svoltasi questa mattina a
Francoforte, per la presentazione del nuovo collegamento aereo
Perugia-Francoforte, operato da Ryanair, inaugurato proprio nella giornata
odierna.
Alla conferenza
stampa hanno partecipato anche il direttore generale di Sviluppumbria, Mauro
Agostini; Ernesto Cesaretti, presidente di SASE, la società che gestisce
l'Aeroporto "San Francesco d'Assisi"; Lisa Maria Rumpf, dell'area
vendite e marketing di Ryanair; Vincenzo Bianconi, presidente di Federalberghi
Umbria.
"Oggi qui a
Francoforte – ha aggiunto Chianella – promoviamo l'Umbria, con uno sguardo non
solo verso la Germania, ma anche verso altre mete perché questo è uno degli
snodi più importanti del traffico aereo mondiale. Con questo nuovo volo si
rafforza ancora di più la funzione strategica del nostro aeroporto, sia per lo
sviluppo del turismo sia per la crescita dell'economia della nostra regione. Una
infrastruttura essenziale e sulla quale la Regione ha sempre creduto e
investito significative risorse. Il nostro auspicio è che non solo questo
collegamento abbia successo, ma venga colto dai nostri operatori economici e
del settore del turismo come una importante opportunità sulla quale
investire".
Chianella ha
infine ricordato come la nuova tratta aerea contribuirà anche a rilanciare
l'immagine dell'Umbria all'indomani degli eventi sismici che avevano
pesantemente compromesso il mercato turistico regionale.
"Destinazione
Umbria è destinazione mondo, perché – ha affermato Mauro Agostini - si rivolge
non solo al mercato tedesco, ma anche a tutto il mondo. Francoforte, infatti è
proprio la porta del mondo. Questo collegamento, inoltre, è di notevole importanza
anche in considerazione del flusso turistico in ingresso verso l'Umbria,
considerato che proprio la Germania è al primo posto in Umbria per presenze. Si
arricchisce quindi l'offerta di nuove destinazioni da e per l'Umbria, così come
indicato nel Piano di sviluppo dell'aeroporto regionale che si dimostra sempre
di più una realtà viva e anche sana, dato che abbiamo chiuso il bilancio del
2017 con un significativo avanzo di gestione".
"L'Umbria è
terra di grande fascino – ha detto per parte sua Ernesto Cesaretti – che sono
certo sarà apprezzata dal mercato tedesco. Così come il collegamento con
Francoforte è molto importate, anche per l'interscambio economico con una parte
dell'industria tedesca, che in questa parte della Germania è particolarmente
significativa".
"Siamo qui
oggi a Francoforte - ha affermato Vincenzo Bianconi - per testimoniare con la
nostra presenza quanto gli operatori del turismo credono in questa scelta ed in
questa nuova destinazione. La nostra è una destinazione speciale che presenta una
offerta diversificata, ed il fatto di essere un po' lontani dalle grandi vie di
comunicazione ci ha permesso di mantenere intatta la nostra identità. Quindi
venire in Umbria significa scoprire antiche identità, una cucina autentica, una
terra mistica dove il turista incontra spiritualità ed intimità, al di là della
propria religione di appartenenza. Insomma, l'Umbria è i luoghi dell'anima, ma
è anche una terra di azione, di sport, di grande cultura, ricca di storia e di
architettura, ma anche di una autentica tradizione enogastronomica".
Lisa Maria Rumpf,
di Ryanair, ha invece voluto sottolineare come "abbiamo scelto di
collegare Perugia con Francoforte perché la nostra compagnia è sempre alla
ricerca di destinazioni belle ma poco conosciute nei mercati mondiali. E
Perugia e l'Umbria sono realtà molto affascinanti che meritano di essere
proposte al mercato ‘francofortese' e tedesco. Così come auspichiamo anche un
movimento dall'Umbria verso la Germania. In ogni caso siamo molto contenti di
aver attivato questo nuovo collegamento".
Nell'ambito della
giornata di promozione dell'Umbria a Francoforte sono state previste anche
altre iniziative, tra le quali un incontro organizzata da ENIT Francoforte e
Federalberghi, con rappresentanti del mercato tedesco, e successivamente un
workshop organizzato da Sviluppumbria su tema "Destinazione Umbria",
rivolto ai principali tour operator di Francoforte. (aise 28)
Diversità linguistica o uniformità culturale?
Contro
l’accentramento burocratico, il livellamento culturale e la cancellazione delle
diversità linguistiche nell’Unione Europea. L’esempio sorbo e
considerazioni sull’insegnamento delle lingue d’origine ai figli degli
immigrati in Germania.
Un esempio in
Germania.
Amo la lingua
tedesca di cui ero professore abilitato all’insegnamento nei licei in Italia.
Ma almeno
altrettanto amo le lingue minoritarie e quelli che comunemente sono chiamati
dialetti (ma che per ogni linguista che si rispetti sono lingue degne del
medesimo rispetto di quelle ufficialmente riconosciute come tali: e che si
distinguono dai dialetti non per superiorità intrinseca ma unicamente perché
dispongono di … un esercito e di una bandiera).
In Germania
esistono varie minoranze etniche e linguistiche, ma una in particolare era
stata oggetto di odio e repressione da parte del regime hitleriano: i Sorbi
<https://it.wikipedia.org/wiki/Sorbi_(gruppo_etnico>.
La loro lingua
<https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_sorabe> viene ora tutelata e
insegnata in alcune scuole e nell’università di Lipsia esiste un dipartimento
per il suo studio (Institut za sorabistiku). Cè anche un quotidiano pubblicato
in questa lingua, il “Serbske Nowiny” <https://de.wikipedia.org/wiki/Serbske_Nowiny>.
Il sorbo o sorabo
è indubbiamente una lingua slava, chi conosce il polacco ed il ceco riesce
a comprenderla e ad apprenderla senza grosse difficoltà, usa l’alfabeto latino
e si distingue immediatamente dal ceco perché invece della “v” utilizza la “w”.
La lingua sorba ha
un notevole patrimonio letterario e culturale, basti ricordare che anche
Gottfried Wilhelm Leibniz era di origini sorbe.
Il territorio di
questa minoranza sorba alla fine della seconda guerra mondiale era venuto a
trovarsi nell’area della RDT, che invece di continuare le persecuzioni del
periodo precedente aveva concesso piena autonomia linguistica e organizzativa a
livello regionale. Queste norme di tutela vennero recepite nel trattato della
riunificazione tedesca, ma senza troppo entusiasmo tanto che all’inizio del
secolo attuale ci furono proteste per il mancato rispetto degli accordi ed il
taglio di fondi destinati alla tutela della lingua e cultura sorba. Vero è che
l’UE stanzia fondi per la tutela delle minoranze linguistiche.
La situazione in
Italia
In Italia le
minoranze linguistiche sono ancora più numerose (Albanese, Catalano, Croato,
Francese, Friulano, Greco, Ladino, Occitano, Sardo, Sloveno, Tedesco), ma a
livello di insegnamento le iniziative sono lasciate ai privati. Negli anni 50’
il dialetto a scuola era assolutamente vietato e chi lo parlava rischiava
punizioni. Inutile dire che proprio per questo non perdevo occasioni per
ascoltarlo e parlarlo, nel mio caso era il piemontese-occitano.
Successivamente
invece di divieti coercitivi si diffuse fra gli insegnanti la convinzione
che l’uso del dialetto si dovesse combattere alle origini e quindi venne
predicato ai genitori di “parlare soltanto italiano” coi figli.
L’argomento per
sostenere una simile folle concezione dell’ apprendimento linguistico era che i
bambini non avrebbero avuto problemi di “interferenza linguistica”
nell’apprendimento dell’italiano se fossero stati preservati dalla “nociva”
esposizione al dialetto. Una convinzione tanto radicata quanto infondata (a
dimostrare il contrario basti menzionare Pasolini, o il Nobel letteratura Dario
Fo, che praticavano i dialetti anche come forma letteraria insieme
all’italiano). Quasi che il cervello umano fosse come una torta, e che le lingue
fossero “fette”, quindi ad ogni nuova lingua si rimpicciolissero le fette!
Eppure sono esattamente queste convinzioni più diffuse, assurde e
scientificamente smentite e dimostrate dalla ricerca del tutto infondate (anzi,
vero è il contrario, più lingue si conoscono e più aumentano le capacità
linguistico-espressive).
… e ritornando
alla Germania, il caso dei figli degli immigrati.
Per la mia intera
carriera professionale come insegnante d’Italiano ai figli degli emigrati in
Germania ho constatato e – invano – combattuto contro questa falsa credenza. Su
un punto mi sbagliavo: all’origine non c’era assolutamente alcuna riflessione
linguistica o psicologica, ma unicamente una inconfessata “resistenza alla
diversità” .
Infatti, mentre
consigliavano ai genitori italiani, turchi, spagnoli di parlare tedesco coi
figli, (fosse anche il “Gastarbeiter-Deutsch” !!) gli stessi docenti nulla
avevano da obiettare all’introduzione della lingua inglese fin dalle prime
classi. È vero, tanto male non ne poteva fare,e ben poco restava visto che era
generalmente insegnata da … gente che non la conosceva. Interessante, en
passant, il fatto che il medesimo consiglio non veniva di regola mai dato ai
genitori greci: sapevano che gli avrebbero riso in faccia rispondendo a tono: “abbiamo
mantenuto la nostra lingua in 500 anni di occupazione turca e la dovremmo
abbandonare ora dietro i vostri assurdi consigli?!
Ed infatti gli
alunni di origine greca in casa parlavano regolarmente questa lingua coi
genitori e finivano quasi tutti al ginnasio-liceo poiché avendo appreso
con sicurezza fin dalla nascita una lingua che all’ingresso nella scuola
padroneggiavano con sicurezza erano meglio in grado di apprendere poi il
tedesco. Cosa purtroppo non vera per tutti gli altri bambini che, esposti al
“Gastarbeiter-Deutsch” dei genitori entravano invece nella scuola privi di un
patrimonio linguistico sviluppato e quindi non avevano le basi per un
apprendimento proficuo del tedesco (esistono al proposito molti studi empirici
che dimostrano la stretta relazione fra successo scolastico e padronanza della
lingua d’origine).
Ma tant’è questa
era la situazione. Debbo aggiungere tipicamente tedesca, poiché nei tre anni
trascorsi a Parigi mai ebbi occasione di sentire da un solo insegnante francese
analoghi pregiudizi. Che restano dunque localizzati geograficamente e che non
riguardano soltanto i figli degli immigrati. Ne ebbi conferma quando incontrai
per la prima volta un gruppo di insegnanti sorbi: anche loro dovevano lottare
contro la medesima avversione al plurilinguismo da parte dei colleghi della
lingua dominante.
Essendo stato
professore di inglese abilitato all’insegnamento nei licei non ho certo
personalmente nulla da obiettare alla diffusione dell’inglese che è di fatto
divenuta la “lingua franca” in tutta Europa. Chiunque partecipi ad un “Erasmus
Party”, a Lisbona o a Parigi a Praga o Varsavia si renderà subito conto
che la comunicazione fra gli studenti avviene esclusivamente in inglese. Ma
quello che va bene a fini pratici in queste (dove a volte bastano più che le
parole gli sguardi)o analoghe occasioni è comunque un codice ristretto e dunque
la base della formazione linguistica quale sostegno alla formazione dei
concetti e del pensiero tout court deve essere una lingua (anche “dialetto”
se vogliamo), pienamente padroneggiata dai genitori.
Graziano Priotto -
Praga/Costanza
I partiti, anche
dopo le recenti elezioni, continuano a muoversi con scontate strategie. Spesso
a discapito di quella chiarezza che sarebbe fondamentale per il Paese. Quando
le polemiche vincono su ogni intervento correttivo, qualsiasi ottimismo è
tagliato fuori. Al punto in cui ci troviamo, bisognerebbe avere il coraggio
d’affrontare i reali motivi della crisi italiana. La voglia di “nuovo” pare, però,
lasciare il posto allo “scontato”. Questa impressione ci fa riflettere.
Non vediamo sbocco politico in grado
d’assicurare ciò che più ci preme; vale a dire garanzie di una politica
stabile. Sarà, forse, sola un’impressione, ma da noi mancano originali scelte
per la governabilità d’Italia.
Le stesse alleanze elettorali potrebbero non
garantire, nel tempo, la vita dell’Esecutivo. Anche perché, con i “politici”,
ora alla ribalta, c’è poco da fidarsi. Tant’è che la politica italiana si è
trasformata con camaleontica evidenza.
Quindi, per essere più pratici, nel Paese
convivono realtà sociali differenti che sperano di “contare” tramite nuove
intese. Con la possibilità d’apparentamenti per tentare d’ottenere una
composizione politica che possa governare senza compromessi. L’Italia ha
bisogno di ben altro. L’Italia delle riforme, che ci hanno portato a mendicare
il necessario, è già storia di ieri. Quella di domani sarà tutta da
organizzare. Ogni indecisione, ora, andrebbe a ricadere sul Paese. Senza trascurare
che gli elettori si sono stancati di una classe politica che non sentono più
“loro”.
La lezione del
passato, che c’è stata propinata senza esclusione di colpi, dovrebbe, almeno,
renderci più vigili. Insomma, i tempi “nuovi” ci saranno? Per ora, all’interrogativo
non siamo in grado di rispondere. Di fatto, il nuovo Esecutivo, col suo
macchinoso ruolo, resta da “verificare”. Potrebbero, infatti, concretarsi
errori di percorso capaci di rendere meno “teoriche” le nostre attuali
indecisioni.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Riflessione sui risultati delle elezioni italiane
Le riflessioni sul
voto del 4 marzo che Claudio Micheloni, senatore eletto all’estero nelle ultime
tre legislature, affida alla newsletter della Federazione delle Colonie Libere
Italiane in Svizzera, di cui è stato il presidente
Molti paragoni
storici vengono proposti in queste ore sui vari media, dalle elezioni del 1976
a quelle del 1992, e probabilmente è ancora presto per discernere i fenomeni di
superficie dai cambiamenti più profondi, dunque per capire se, e fino a che
punto, queste elezioni possano rappresentare una cesura storica.
In generale,
occorre tener presente che quasi tutte le analisi che leggiamo in questi
giorni, spesso presentate in forma apodittica, non sono altro che sondaggi
successivi alle elezioni, normalmente basati su campioni e metodologie
approssimative. Sono in contatto con un gruppo di giovani ricercatori che
producono indagini molto più raffinate, per le quali, tuttavia, occorre tempo:
sarò lieto di condividerle non appena mi sarà possibile.
Credo che in
questa fase la cosa più importante sia porsi le domande giuste, e magari, ove
possibile, sgombrare il campo dalle interpretazioni più semplicistiche. Per
fare un paio di rapidi esempi: sarebbe grottesco imputare il crollo del PD a
dei difetti di comunicazione; non è credibile considerare il successo imponente
del M5S nelle regioni meridionali come un voto determinato esclusivamente dalla
disperazione sociale e dalla chimera del reddito di cittadinanza.
Una prima traccia
utile la si può desumere dalla comparazione tra le elezioni italiane e i
fenomeni politici più rilevanti degli ultimi anni nel contesto globale: le
elezioni tenutesi nei diversi paesi europei, la vittoria della Brexit,
l'elezione di Trump.
Il populismo,
comunque lo si voglia definire, cresce, ma questo di per sé non ci dice molto:
non è una novità, né lo possiamo vedere come un fenomeno omogeneo. Un dato che
accomuna tutte queste vicende politiche, indipendentemente dai diversi esiti, è
la contrapposizione tra città e campagna. La ritroviamo anche in Italia, ed è
interessante osservare come da noi appaia in una forma complessa: la destra più
forte nei piccoli centri, il M5S travolgente nelle città medie e nelle
periferie dei grandi agglomerati urbani (dove ovviamente anche la destra
riscuote grandi consensi, ma non in tutto il Paese), ciò che rimane del
centrosinistra asserragliato nei centri storici delle grandi città e nei
quartieri residenziali ove abitano i ricchi.
Se prendiamo
invece le indagini basate sulla discriminante anagrafica, vediamo come PD e
Forza Italia mantengano le posizioni solo tra i pensionati, mentre il consenso
al M5S, rispetto al 2013, si espande in tutte le fasce generazionali (tranne
l'ultima, dove comunque cresce), con numeri simili a quelli che riscuoteva un
tempo solo tra i più giovani. Il voto giovanile, che in altri contesti si è
orientato su una scelta di sinistra radicale (Sanders, Corbyn), in Italia
premia soprattutto il M5S e, in misura minore, la destra; il fatto che, anziché
svanire o rimanere confinato in quell'alveo, tale consenso si estenda alle
altre fasce anagrafiche, ci porta a pensare che la sua qualificazione come
"voto di protesta" sia, quanto meno, riduttiva, se non ormai
anacronistica.
I numeri potranno
darci ulteriori spunti di riflessione nelle prossime settimane. Quello che mi
sembra si possa dire già adesso, se consideriamo in particolare l'affermazione
del M5S, è che tutte le etichette con cui si era cercato, dopo il 2013, di
interpretarne il successo (protesta, populismo, marginalità, frustrazione,
etc.), sono saltate. Si trattava, in effetti, non tanto di tentativi di
cogliere una realtà in mutamento, ma di rimuoverla, riconducendola entro schemi
rassicuranti.
Sono passati
decenni da quando abbiamo cominciato a discutere di crisi della rappresentanza,
ma non riesco a ricordare una proposta, una teoria, un programma d'azione che
aggredisse davvero la questione. Le diseguaglianze sociali aumentano, il
divario nord-sud anche: la crisi globale, in tutto questo, ha ulteriormente
aggravato le condizioni di un Paese che era a crescita zero già da molto tempo,
ma non le ha determinate.
Se provo a
mettermi nei panni di un elettore, l'unica "risposta", se tale si può
definire, che mi pare sia giunta dalla classe dirigente del paese e in
particolare dal centrosinistra, è un invito alla rinuncia, alla rassegnazione:
votateci perché le cose non potrebbero andare meglio di così, mentre possono
andare molto peggio; votateci perché la nostra classe dirigente è l'unica in
grado di gestire il Paese.
Se la prima
affermazione è discutibile, ma contiene almeno un nucleo amaro di verità, la
seconda, a maggior ragione se guardiamo alle candidature presentate da tutte le
forze di centrosinistra, dal PD a LeU, è palesemente falsa.
Sapete già cosa
penso di Renzi e del suo gruppo dirigente: portano addosso la responsabilità di
una sconfitta catastrofica, per la quale è difficile trovare precedenti nella
nostra storia. Forse andò peggio solo nel 1924, quando gli elettori erano accolti
ai seggi dai militi fascisti armati.
Tuttavia, la
mediocrità di queste persone è tale da impedire di attribuire a loro il pur
prestigioso ruolo di affossatori della sinistra italiana: da una parte si
tratta, come già accennato, di un processo globale e di lungo periodo;
dall'altra parte, è evidente che se individui di quella levatura sono riusciti
a distruggere una storia secolare, tale storia era già stata ridotta in
condizioni disastrose.
Che fare? Dovremmo
continuare a rassegnarci, prima di fronte allo snaturamento della sinistra, poi
di fronte alla sua estinzione?
Alla prima domanda
non so dare risposte certe, alla seconda sì: la risposta è no.
Non dobbiamo
rassegnarci, semplicemente perché, se siamo di sinistra, non possiamo.
Una cosa la
possiamo fare, anche perché per iniziare non c'è bisogno di un nuovo segretario
o di indicazioni dall'alto: ricostruire un'intelligenza collettiva.
Non sarà facile,
ma voi avete già cominciato: è un buon segno, e non è poco.
Claudio Micheloni
“Da 5stelle atteggiamento antidemocratico, sono già a poltronificio”. La
residenza fiscal in Italia
Roma – “Hanno parlato per anni di democrazia e
onestà. E quando sono arrivati al cuore dello stato democratico, si sono
dimostrati i più disonesti. Con il loro atteggiamento di ieri, i grillini hanno
esternato tutta la loro inadeguatezza e impreparazione verso le regole che sono
alla base degli equilibri parlamentari. Non è mai successo che il secondo
partito più votato del Paese rimanesse escluso dall’elezione dei ruoli
importanti per la gestione della vita parlamentare (questori e segretari
d’Aula) a Palazzo Madama”.
“Tutto questo
denota un atteggiamento fortemente antidemocratico. Tipico di quelle persone
che vedono nell’elezione un’esercitazione di potere. E che credono che essere
maggioranza significhi solamente spartirsi i ruoli chiave. Non sono ancora al
Governo e assistiamo già al loro poltronificio”. È quanto dichiara Laura
Garavini, senatrice PD.
Residenza fiscale
in Italia - Dichiarano Laura Garavini e i deputati Angela Schirò e Massimo
Ungaro eletti per il Pd nella circoscrizione Europa: “Non basta essere iscritti
all’Aire. Per escludere totalmente la residenza fiscale in Italia, è necessario
che i connazionali residenti all'estero non abbiano nemmeno il domicilio né la
dimora nel nostro paese. Il chiarimento viene direttamente dalla Cassazione
che, con una sentenza del 21 marzo scorso, ha stabilito che la residenza
anagrafica non coincide con la residenza fiscale se il contribuente ha il
domicilio o la dimora abituale in Italia”.
“Questo vuol –
continuano - dire che i connazionali iscritti Aire sono tenuti a presentare la
dichiarazione dei redditi anche in Italia, qualora detengano nel nostro paese
delle proprietà o delle attività fiscalmente rilevanti. Naturalmente, tra le
prossime iniziative parlamentari del Pd non mancherà un impegno per modificare
l’attuale normativa, che consente la doppia imposizione fiscale dei cittadini
italiani non iscritti Aire ma che vivono e producono reddito all’estero e
vivono all’estero”.
All’IIC di Colonia il 21 aprile il 3° simposio scientifico del Forum
Accademico Italiano
Colonia - Sabato 21 aprile, alle 18, presso l’Istituto
italiano di Cultura di Colonia, in occasione della Giornata della ricerca
italiana nel mondo (15 aprile 2018) promossa dal Ministero per l'Istruzione,
l'Università e la Ricerca (MIUR) e dal Ministero Italiano degli Affari Esteri e
della Cooperazione Internazionale (MAECI), si terrà il terzo simposio
scientifico del Forum Accademico italiano.
L’intervento di
apertura, con una lettura dal titolo “FAIR - The universe in the lab”, sarà
tenuto in inglese dal professor Paolo Giubellino. Contestualmente, ci sarà
anche l’intervento introduttivo di Matteo Pardo, addetto scientifico presso
l’ambasciata d’Italia a Berlino.
Nello specifico,
la conferenza di Giubellino introdurrà il laboratorio FAIR e le opportunità che
il progetto apre per la ricerca scientifica.
FAIR è un progetto
internazionale con dieci paesi partner, ma a cui lavorano più di 2500
scienziati e ingegneri di oltre 50 paesi. Il progetto permetterà una grande
varietà di ricerche avanzate senza precedenti. In un laboratorio avveniristico,
in costruzione a Darmstadt, in Germania, si potrà studiare la struttura e l'evoluzione
della materia sia su scala microscopica che su scala cosmica, portando, così,
il nostro Universo in un unico laboratorio.
Paolo Giubellino è
un fisico sperimentale che lavora nel campo delle collisioni nucleari di alta
energia. Ha studiato all’Università di Torino, e dopo esperienze di lavoro
negli Stati Uniti e in Svizzera è attualmente dirigente di ricerca presso la
sede di Torino dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Da inizio
2011 a fine 2016 ha guidato l’esperimento ALICE al CERN, collaborazione
internazionale di oltre 1600 fisici di 178 istituti di ricerca di 42 paesi. Dal
1 Gennaio 2017, è stato nominato Scientific Managing Director del GSI Helmholtz
Center del FAIR International Laboratory, il maggiore laboratorio in Europa dedicato
alla fisica nucleare. Sempre dal 1 Gennaio 2017 è Professore presso il
dipartimento di Fisica Nucleare dell’Università di Darmstadt.
Autore di oltre
300 pubblicazioni scientifiche, Paolo Giubellino ha ricevuto onorificenze
scientifiche in Messico, Cuba, Ucraina e Slovacchia. Nel 2012 ha ricevuto dal
Presidente Napolitano il titolo di Commendatore per meriti scientifici. Nel
2013 ha ricevuto il prestigioso premio “Enrico Fermi” Prize, massimo
riconoscimento della Società Italiana di Fisica, e nel 2014 il premio “Lise
Meitner”, il più importante premio per la Fisica Nucleare della Società Europea
di Fisica. dip
La circolare della Garavini ai democratici in Europa
con la seduta di
inizio della XVIII Legislatura, è stata ufficialmente proclamata la mia
elezione al Senato della Repubblica. Un grazie sincero a ciascuna delle circa
35.000 persone che mi hanno confermato la propria fiducia. Con questo
risultato, da capolista del Pd al Senato, sono la candidata più votata di tutti
i partiti in Europa, in tutte e due i rami del Parlamento. È un risultato del
quale sono particolarmente contenta, soprattutto alla luce dell‘esito
nazionale. Ma anche alla luce del contesto all'estero, dal momento che le
destre si presentavano compatte mentre noi del centro sinistra eravamo quanto
mai frammentati.
Pd primo partito
in Europa
Sono grata a tutte
coloro che, votandomi, hanno fatto sì che il Pd si sia riconfermato primo
partito nel mondo. Conseguendo in Europa addirittura il 32%. Il che significa
un aumento rispetto alle ultime politiche e un distacco netto di sette punti
percentuali sia dalle destre che dai 5stelle. Un successo di cui tutti noi
possiamo essere fieri.
Un grazie senza
confini
Un successo per il
quale esprimo un sentito GRAZIE.
Ai promotori dei
comitati che mi hanno seguito in campagna elettorale manifestandomi un sostegno
impareggiabile. Volontarie e volontari che hanno messo a disposizione il
proprio tempo, la propria passione e tanta tenacia per una causa nella quale
abbiamo creduto profondamente, insieme. Un grazie caloroso va ai circoli PD e
ai semplici sostenitori, che mi hanno dato la grinta e la forza necessaria per
andare avanti, anche nei momenti più delicati e difficili di questa intensa
campagna elettorale. Grazie a chi mi ha votata, perché scegliendo di scrivere
il mio nome sulla scheda elettorale mi ha fatto il regalo più grande: la
propria fiducia.
Cliccando qui
trovate tanti dei bei momenti della nostra campagna elettorale. In giro per
l‘Europa, in una quarantina di incontri in nove paesi, in trentacinque località
diverse, in cinque settimane. Settimane gelide dal punto di vista climatico, ma
calorosissime dal punto di vista dell‘impegno umano e politico.
Inizio autoritario
di 5stelle e Lega
Per l’immediato
futuro si preannunciano tempi duri per chi, come noi, crede fermamente
nell’Europa e nel valore della democrazia. L’asse composto da Movimento5stelle
e Lega, che si presentano come maggioranza di Governo, hanno già dimostrato il
loro atteggiamento fortemente antidemocratico. Escludendo il Pd dalle nomine
dei Questori e Segretari d’Aula al Senato, ruoli tradizionalmente lasciati
all’opposizione.
Questo significa,
in parole povere, che nei prossimi anni chi fa parte della maggioranza
parlamentare potrà gestire a proprio piacimento il funzionamento della macchina
amministrativa di Palazzo Madama. Facendo il bello e il cattivo tempo. Un fatto
inaudito, che non era mai accaduto nella storia. Coloro che si presentavano
come onesti e democratici, hanno già tolto la maschera. Rivelandosi come i più
disonesti.
Opposizione
difficile
Da parte mia,
intendo continuare il mio impegno per gli italiani all’estero. All’opposizione
non sarà facile, ma è il posto che gli elettori ci hanno consegnato e dal quale
cercherò di spingere per una politica migliore, una politica che avevamo
disegnato nel nostro programma elettorale. Dall’estensione delle agevolazioni
fiscali al sostegno per chi decide di rientrare. Dall’aumento dei fondi per
lingua e cultura alla valorizzazione del nostro Made in Italy nel mondo. Fino
all’impegno per il contrasto internazionale alle mafie. Con una priorità:
battersi affinché l‘Italia rimanga un paese a forte vocazione europeista. Tutto
questo non sarà facile in un Parlamento dominato dai Cinquestelle e dalle
destre. In un Parlamento così un’opposizione chiara, ferma e grintosa sarà
fondamentale per la democrazia ed il futuro del nostro Paese.
Anche dal Senato
continuerò a darvi aggiornamenti costanti sulla mia attività.
La mia nuova
e-mail è laura.garavini@senato.it. Potete scrivermi a questo indirizzo, come
sempre sarò felice di ricevere le vostre mail e di rispondere alle vostre
segnalazioni.
Per gli italiani
in Europa e per gli italiani nel mondo. A presto. Laura Garavini
Sono decenni che
ci diamo da fare per individuare le inefficienze degli organi che dovrebbero
tutelare i diritti dei Connazionali all’estero. Riscontri ce ne sono stati
pochi. Vedremo l’atteggiamento del nuovo Esecutivo. A nostro avviso, gli
italiani all’estero resteranno in un “limbo” nel quale il disinteresse e
l’apatia già sono ben noti.
Poi, ci sono stati
anche segnali d’insofferenza da parte dei Connazionali d’oltre confine. Con un
certo ritardo, i diretti interessati si sono resi conto che non tutto
funzionava come avrebbe potuto. Il “silenzio” si è evoluto in una voglia di
equità che pensavamo non fosse più pretesa. Ora è inutile basarci sugli eventi
che non ci sono stati. C’è da schierarci, e in tempi brevi, su cosa fare per
recuperare l’attendibilità. I risultati elettorali sono sovrani. Quelli che,
nel tempo, abbiamo segnalato resteranno sempre i punti del nostro modo
d’operare per gli italiani nel mondo. Se le Istituzioni, le Associazioni, i
Partiti non sono in grado di coordinare le esigenze dei Connazionali emigrati,
allora ci potrebbero essere delle posizioni d’assumere per evitare che le
“voci”, che si sono fatte sentire, non siano vanificate.
Per evitare altri impedimenti, si dovrebbe
iniziare a prendere in esame un aspetto focale del problema: gli Organismi che
rappresentano gli italiani nel mondo sono ancora all’altezza delle loro
attribuzioni? Se all’interrogativo si risponde, obiettivamente, ”No”, allora
non basta più ridimensionare gli aspetti sfavorevoli; bisogna, principalmente,
promuovere il nuovo. Senza rimpianti.
Plausibilmente,
l’istituto della rappresentatività dovrebbe essere integralmente rivisitato;
con interventi e proposte svincolate da quelle attuali. Certamente, con un
provvedimento normativo che torneremo a sollecitare al nuovo Parlamento. C’è da
garantire, a chi vive all’estero, una reale rappresentatività politica in
Patria. Di parole se ne sono dette molte; ci sono da concretare i fatti.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Promozione del Tedesco. Collaborazione tra VHS Südtirol e le scuole
ttrentine
Il Dipartimento
della Conoscenza, all’interno delle azioni previste dal Piano Trentino
Trilingue per la sensibilizzazione e promozione dell’apprendimento della lingua
tedesca, ha dato il via ad una serie di incontri rivolti alle scuole secondarie
del primo e del secondo grado della Provincia autonoma di Trento, realizzati in
collaborazione con la Volkshochschule Südtirol. Lo scopo dell’iniziativa è di
far crescere le competenze linguistiche in tedesco e, come richiesto dalla
legge provinciale, conoscere più approfonditamente il territorio regionale nei
suoi diversi aspetti.
l’incontro
“l'occupazione nazista nel Tirolo storico” è stato il primo dei 36 incontri
svolti a Moena lo scorso giovedì 22 marzo, per 32 alunni delle classi terze
della scuola secondaria di primo grado.
La proposta
consiste in una serie di incontri formativi in lingua tedesca rivolti agli
studenti trentini su temi di importanza storica, culturale, politica e
geografica, legati in particolar modo al contesto locale.
All’iniziativa
hanno aderito 15 istituti, per un totale di 36 incontri, che si svolgono nelle
scuole interessate nel periodo da marzo a dicembre 2018.
Le scuole hanno
potuto inserire gli interventi dei relatori all’interno delle loro attività
curricolari in lingua tedesca, in CLIL, in progetti interdisciplinari, oppure
in attività facoltative di potenziamento linguistico.
La prospettiva
futura è di incrementare le occasioni di valorizzazione della lingua tedesca,
incentivando iniziative di questo tipo, orientate non solo alla promozione
della lingua, ma anche del contesto culturale a cui appartiene. (aise 28)
Dino Nardi: All’estero preferiscono il Pd
ZURIGO -Il 4 marzo
è ormai passato ed il risultato delle elezioni politiche italiane premia
indubbiamente il M5s ed il Centrodestra e, in quest’ultimo raggruppamento,
soprattutto la Lega di Salvini mentre ha penalizzato il Pd. In ogni caso,
nonostante la loro schiacciante vittoria, né il Centrodestra né il M5s
raggiungono da soli la maggioranza in parlamento. Pertanto vi è ora un
difficilissimo problema per il Presidente della Repubblica Mattarella
quando dovrà decidere a chi affidare l’incarico di formare un governo per
questa legislatura, anche perché ad oggi il Pd – in cui il suo leader Matteo
Renzi ha dato le dimissioni dopo la sconfitta elettorale – intende giustamente,
a mio avviso, posizionarsi all’opposizione in ossequio al verdetto degli
elettori e quindi rifiutare ogni coinvolgimento in governi con il Centrodestra
o con il M5s i cui programmi, peraltro, cozzano contro quello del partito
democratico.
Per quanto
riguarda, invece, la Circoscrizione Estero il risultato è stato in
controtendenza rispetto a quello che è stato il voto in Italia. Infatti, nel
voto all’estero, vi è stata una conferma dell’orientamento delle passate
elezioni politiche con il Pd vittorioso sia alla Camera con il 26,44 e 5 eletti
che al Senato con il 27,09% e 2 eletti.
Evidentemente
all’estero gli elettori hanno valutato positivamente l’operato degli ultimi
governi a guida Pd di Matteo Renzi e di Paolo Gentiloni, nonché la maggior
credibilità recuperata dall’Italia - rispetto al passato - sia nell’ambito
dell’Unione Europea, che, più in generale, nei confronti dei vari Paesi in cui
vivono le nostre comunità. Inoltre gli elettori all’estero, non vivendo in
Italia, non sono stati ovviamente ammaliati né dalle promesse preelettorali del
M5s come quella del reddito di cittadinanza, né dallo spauracchio
dell’immigrazione utilizzata dalla Lega contrariamente a quanto è avvenuto
invece in Italia.
Per restare poi
alle nostre latitudini, ovvero in Europa e più precisamente in Svizzera, quello
che in questa tornata elettorale ha lasciato l’amaro in bocca a tanti elettori
“elvetici” è la mancata elezione di candidati del PD residenti in
Svizzera, contrariamente alle precedenti votazioni politiche (perlomeno al
momento in cui stiamo scrivendo questa nota, visto che nel Collegio Europa
devono essere ancora scrutinati una cinquantina di seggi). Questo nonostante il
notevole numero di elettori che vi sono ancora nella Confederazione e la forza
del PD in questo Paese. Anche se, ad onor del vero, per gli addetti ai lavori,
non vi è stata alcuna sorpresa per questo risultato che, anzi, si temeva
potesse concretizzarsi visto che nella lista del PD presentata in Europa, su
dieci candidati, ben cinque di loro erano residenti in Svizzera con il rischio
di una polverizzazione delle preferenze da parte dell’elettorato “elvetico”
che, in effetti, si è verificata ed ha premiato i candidati PD residenti in
altri Paesi europei. Così che, dei sette parlamentari eletti in Europa in
questa legislatura, di “svizzeri” vi sarà nel parlamento italiano solo
l’onorevole Simone Billi del Centrodestra, in quota Lega, al quale naturalmente
formuliamo le nostre congratulazioni per la sua elezione ed i nostri auguri di
buon lavoro e di saper rappresentare proficuamente nella Camera dei Deputati le
istanze degli italiani all’estero e, in particolare, quelle della comunità
italiana in Europa e soprattutto in Svizzera considerato che quest’ultimo è un
Paese extracomunitario e quindi con problematiche particolari.
Dino Nardi,
de.it.press
Insegnare l’italiano all’estero. Tornano le classi virtuali per la
formazione dei docenti
ROMA - Due
settimane di didattica digitale e sei di formazione, per un totale di otto
settimane di studio, discussione e “buona pratica”: questa è la formula che il
Consorzio ICoN offre ai docenti di italiano residenti all’estero per il proprio
aggiornamento professionale.
Un progetto –
ricorda il Consorzio – partito nel 2016 per i docenti afferenti agli enti
gestori e che nel 2017 si è allargato con l’apertura delle classi
internazionali, ovvero classi virtuali attivate in base alla richiesta dei
singoli. Proprio questa iniziativa sarà la protagonista della prima parte del
2018, che avverrà mediante la raccolta di adesioni dei docenti interessati ai
corsi.
Partecipare è
molto semplice. Tutte le informazioni (temi e programmi dei corsi,
organizzazione didattica, modalità di partecipazione) sono a disposizione sul
sito di ICoN Formazione (http://www.icon-formazione.it/it/corsi-di-formazione).
Per manifestare il proprio interesse verso l’iniziativa è sufficiente compilare
il modulo presente nella sezione sui corsi per singoli docenti: lo staff di
ICoN provvederà a ricontattare i docenti interessati al momento dell’apertura
delle iscrizioni alle classi.
Il Consorzio ICoN
si occupa dell’aggiornamento dei docenti di italiano residenti all’estero dal
2013, anno in cui realizza i suoi primi corsi di alta specializzazione. La
nuova edizione dei corsi, che vede la luce sulla nuova piattaforma didattica
ICoN, viene impiegata nel 2016 da enti gestori di molti Paesi grazie
all’accordo siglato con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale. Anche nel 2017 – riporta il Consorzio – i corsi ICoN sono stati
accolti con entusiasmo, incontrando il gradimento dei docenti che li hanno
frequentati.
I docenti di
entrambe le edizioni, infatti, si sono dichiarati soddisfatti sia della qualità
che della flessibilità del corso, che ha permesso loro di distribuire lo studio
lungo le settimane senza pesare sulla propria attività lavorativa quotidiana.
La maggior parte di loro ha sentito di avere acquisito nuove competenze utili e
immediatamente spendibili, e ha apprezzato il coordinamento da parte del
docente e del tutor ICoN presenti in piattaforma. Persino gli utenti più
scettici sulla modalità e-learning, inoltre, si sono ricreduti: un grande
segnale di incoraggiamento – conclude Icon – per il mondo della formazione
online. (aise)
Peccato che la
politica italiana non sia una cosa seria. Purtroppo, lo sono, però, i suoi
effetti nella vita degli italiani ai quali non resta che adeguarsi ai tempi.
Convivere con la povertà “indotta”, è sempre un’altra storia. L’anno si
sgranerà con l’oculatezza di un passato apparentemente lontanissimo, eppure mai
così attuale. Meglio non confidare nelle assicurazioni di progressiva ripresa
della nostra economia. E’preferibile riscontrarla sul campo.
I risultati elettorali non hanno scalzato il
fronte delle necessità. Non del superfluo, ma dell’indispensabile. Ciò
nonostante c’è ancora chi ritiene che la fine del tunnel sia vicina. Ammesso
che sia vero, come saranno i mesi che ci separano dalla “luce”? Come si
qualificherà il nuovo potere legislativo? L’interrogativo sarebbe degno di una
risposta. Ma è difficile essere realisti e ottimisti nel medesimo tempo. Un
Patto ha avuto la meglio. Ma sarà per il bene del Paese?
La situazione, in
ogni modo, c’impone di restare in prudente osservazione. Chi auspicava tempi
migliori dovrà, ora, dimostrare che ci saranno. I sacrifici non saranno
risparmiati.
Per il quotidiano, resterà ancora l’arte
dell’arrangiarsi. Il Popolo italiano c’è abituato. Intanto, lo sanno tutti, in
politica gli “accomodamenti” si troveranno sempre. Però non osiamo immaginare
come saranno i prossimi mesi per i cassintegrati, disoccupati, licenziati e
giovani alla ricerca di una qualche occupazione. I”fatti” e i “misfatti” di
questo Bel Paese sono ancora sotto gli occhi di tutti.
La conduzione della politica continuerà a
essere una “terapia” non risolutiva. Da noi, però, anche i sacrifici, mai
piccoli per chi li affronta, hanno ancora una loro dignità, un pudore antico.
Per il resto, non ci resta che prendere atto dei recenti risultati elettorali.
Ogni altro commento sarebbe tardivo, se non inutile.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Pubblicazioni. L’emigrazione nei libri di scuola per l’Italia e per gli
italiani all’estero
“L’emigrazione nei
libri di scuola per l’Italia e per gli italiani all’estero” è il titolo di un
nuovo volume pubblicato dalla Fondazione Migrantes nella collana “Rapporto
Italiani nel Mondo”. Il testo di Lorenzo Luatti nasce da un accurato lavoro di
studio e ricerca in biblioteche e archivi italiani ed esteri e ha il merito di
accendere l’attenzione e di sistematizzare un ambito storiografico rimasto sino
ad oggi inesplorato, ma estremamente significativo non solo per la memoria
storica nazionale di cui costituisce un tassello importante, bensì anche per
sollecitare una riflessione sul presente. Come recita il titolo, l’emigrazione
raccontata nei testi scolastici rappresenta il tema di tale poderosa ricerca
che si traduce in un manuale che rappresenta un punto di riferimento
imprescindibile per gli studiosi e le studiose che, auspicabilmente, troveranno
in esso l’incentivo per continuare ad indagare una parte della storia nazionale
da una prospettiva così inedita e innovativa, alla cui ricostruzione Luatti ha
contribuito in maniera sostanziale.
Il volume presenta
almeno due risvolti significativi. Il primo ha carattere storiografico, poiché
offre una visione di un secolo di storia italiana, dagli anni Settanta
dell’Ottocento, a partire dai libri di scuola dedicati sia ai bambini d’Italia
che ai figli degli italiani all’estero: una prospettiva rivelatrice dei climi
culturali, politici e ideologici che si sono susseguiti all’indomani dell’Unità
nazionale. Per la prima volta la storia dell’emigrazione italiana viene
raccontata attraverso i libri scolastici circolati nelle scuole durante un
secolo (dagli ultimi decenni dell’Ottocento agli anni Sessanta). E per la prima
volta è offerta una ricostruzione completa e dettagliata delle vicende
editoriali e della produzione libraria per le scuole italiane all’estero, dai
testi pioneristici di fine Ottocento promossi dalla “Dante Alighieri” ai testi
unici fascisti imposti tra il 1929 e il 1943.
La seconda caratteristica
degna di menzione del volume riguarda invece i suoi risvolti attuali, data la
scelta di leggere la manualistica scolastica attraverso la lente
dell’emigrazione. Si tratta infatti di una questione ancora oggi spinosa, poco
raccontata o mitizzata, che dovrebbe invece entrare nel dibattito pubblico
senza alcuna strumentalizzazione, al fine di diffondere un pensiero consapevole
attorno a un’esperienza di massa che molto potrebbe insegnare alla nostra
contemporaneità. L’analisi dei libri scolastici illustra le radici di tale
visione ancora oggi problematica.
Da segnalare
infine il sostanzioso apparato iconografico (oltre 300 illustrazioni a colori e
in b/n) che arricchiscono il volume di Luatti di una dimensione che è sempre
stata consustanziale ai testi scolastici: l’immaginario degli alunni si
costruisce infatti anche a partire dalle illustrazioni che, numerosissime,
accompagnano e avallano la riflessione dell’autore. L’analisi delle scritture
scolastiche contenute in un quaderno appartenuto ad un alunno italiano vissuto
con la famiglia emigrata nella Savoia francese, conferma infine il senso e
l’importanza di questa ricerca, che fa riflettere su quanto le istituzioni
educative e i libri, che ne sono gli strumenti, abbiano inciso, e possano
ancora farlo, sull’immaginario e sul pensiero collettivi.
Lorenzo Luatti è
ricercatore dei processi migratori e delle relazioni interculturali presso
Oxfam Italia.
Lorenzo Luatti,
L’emigrazione nei libri di scuola per l’Italia e per gli italiani all’estero.
Ideologie, pedagogie, rappresentazioni, cronache editoriali, Fondazione
Migrantes, Tau editrice, Todi (PG), 2017, 415 pp., 15 euro. De.it.press 3
Selezione Eures per lavorare in Germania. si cercano 15 cuochi e 10
camerieri
Incontri di
selezione in quattro Centri per l'impiego umbri dal 16 al 19 aprile
PERUGIA - La Zav -
International Placement Services North Rhine-Westphalia, in collaborazione con
la rete Eures operante in Umbria, seleziona candidature per l'assunzione di
cuochi e camerieri in Germania. Gli incontri di selezione si terranno in
quattro Centri per l'impiego umbri dal 16 al 19 aprile e vi potrà accedere solo
chi ha inviato il curriculum con la propria candidatura entro il 12 aprile e ha
ricevuto la mail di convocazione.
Per essere ammessi
alla selezione per 15 cuochi i candidati devono possedere la qualifica
professionale ed attestato HACCP in corso di validità, vantare la conoscenza
della lingua inglese a livello A2/B1. La conoscenza del tedesco costituisce
titolo preferenziale.
Per partecipare
alla selezione per 10 camerieri, parimenti, si richiede il possesso della
qualifica professionale ed attestato HACCP in corso di validità, ma è
necessario conoscere la lingua tedesca a livello A2/B1 ed è preferibile la
conoscenza dell'inglese quale seconda lingua.
Per candidarsi,
occorre inviare il curriculum, contenente anche il proprio codice fiscale,
all'indirizzo email eurespg@regione.umbria.it se si è residenti o domiciliati
nell'ambito del territorio provinciale di Perugia oppure a candidaturelavoro@regione.umbria.it
se si vive nel territorio provinciale ternano. Nell'oggetto della email deve
essere inserita la frase che indica la posizione per la quale ci si candida,
quindi "Selezione Germania camerieri" oppure "Selezione Germania
cuochi". Il curriculum deve essere aggiornato e redatto preferibilmente in
lingua inglese o tedesca. Possono essere tenuti in considerazione anche
curricula dettagliati in lingua italiana, accompagnati da un documento più
breve che descriva gli elementi salienti in lingua inglese o tedesca. Anche nel
curriculum deve essere chiaramente indicata la posizione per la quale ci si
candida. Ai colloqui, che saranno svolti in italiano e inglese/tedesco,
potranno accedere solo le persone che hanno inviato il curriculum con la propria
candidatura entro la scadenza fissata per giovedì 12 aprile, ore 23.59. Fa fede
l'orario di ricevimento dell'email. Ai colloqui potranno presentarsi solo le
persone che riceveranno una email di convocazione.
Sono
complessivamente 25 le posizioni aperte, tuttavia gli operatori Eures
evidenziano che il numero potrebbe aumentare in futuro perché il territorio
tedesco per il quale vengono ricercate queste figure professionali presenta una
forte presenza di strutture ricettive e ristorative e non è escluso che, in
presenza di più candidature di qualità, potrebbero aprirsi ulteriori
opportunità.
"Lavorare
all'estero - si sottolinea - può rappresentare una scelta limitata ad un
periodo della propria vita o rappresentare una opzione definitiva. In ogni caso
la rete Eures, che dispone di operatori in tutte le regioni d'Europa, agisce
proprio per favorire le esperienze di lavoro in altri Paesi europei e per
migliorare l'occupazione in Europa, attraverso lo scambio e la reciprocità
nella ricerca del personale".
Eures, infatti,
"non offre solo servizi che riguardano il matching domanda-offerta, ma
affronta nel complesso il tema ‘lavorare in Europa', informando i cittadini a
tutto tondo sulle opportunità disponibili nei Paesi in cui si intende
affrontare un'esperienza di lavoro e le condizioni di vita del luogo".
"Non faranno eccezione – si rileva - queste selezioni presso i Centri per
l'Impiego, in quanto il programma delle giornate, uguale in tutti i centri
interessati, prevede un momento informativo dal taglio molto operativo dal tema
‘Vivere e lavorare in Germania' in lingua italiana (dalle ore 15 alle ore
15.45), al termine del quale prenderanno il via le selezioni, previste dalle
ore 15.45 alle ore 18. Qualora le candidature fossero numerose, i colloqui
potranno proseguire oltre tale ora oppure potranno essere condotti in
videoconferenza in un momento successivo".
Gli appuntamenti
sono programmati come segue: lunedì 16 aprile, Centro per l'Impiego di Perugia;
martedì 17 aprile, Centro per l'Impiego di Foligno; mercoledì 18 aprile, Centro
per l'Impiego di Città di Castello; giovedì 19 aprile, Centro per l'Impiego di
Terni. Inform
Commissione anti ‘Ndrangheta avvierà indagine sulla Fondazione “Calabresi
nel mondo”
CATANZARO -
"La vicenda giudiziaria relativa ai presunti illeciti commessi nella
gestione della Fondazione "Calabresi nel Mondo" fa riemergere
non solo il macabro sospetto delle responsabilità della politica, ma anche il
drammatico tema della connivenza della burocrazia, a volte non solo asservita
ma, addirittura, funzionale alla messa in atto di condotte illecite ai danni
della Regione e dei calabresi". A scriverlo è il presidente della
Commissione contro la ‘ndrangheta in Calabria, on. Arturo Bova, in una nota
diffusa alla stampa dopo le vicende giudiziarie relative alla fondazione
regionale "Calabresi nel Mondo".
"Ferma
restando la doverosa presunzione d’innocenza circa le persone coinvolte",
precisa Bova, "rimane la gravità dei fatti contestati. Oggi",
prosegue la nota, "assume ancor di più un sapore particolare la scelta di
questo governo regionale guidato da Mario Oliverio e di cui faccio parte, di
mettere in liquidazione l’ente. Una scelta convinta e adottata sin dai primi
giorni del nostro insediamento".
"Già alla
luce di quanto emerso sui giornali negli ultimi anni e ancor di più oggi, alla
luce dell'indagine della magistratura", Bova ritiene "doveroso"
che la Commissione regionale contro la 'ndrangheta da lui presieduta
"avvii una attività di indagine che sappia essere non solo di supporto
alla preziosa opera delle forze dell'ordine e della magistratura, ma che
autonomamente abbia la forza di fare pulizia di ogni eventuale incrostazione
rimasta della torbida esperienza dell'ente "Calabresi nel
mondo"".
"Il prossimo
20 marzo", annuncia il presidente, "la Commissione contro la
‘ndrangheta in Calabria si occuperà delle responsabilità nella vicenda relativa
ai lavori per la Variante A della SS106. Una seduta che era stata già convocata
nel mese di febbraio, ma che fummo costretti a rinviare per indisponibilità a
parteciparvi da parte dei vertici Anas. Dopo questo incontro, convocherò una
seduta ad hoc sulla fondazione "Calabresi nel Mondo"".
"Il Consiglio
regionale", conclude Bova, "deve approfondire e conoscere i dettagli
sugli aspetti amministrativi della vicenda al fine di contribuire all’azione di
bonifica già messa in piedi dal governo regionale e dall’indagine della Procura
della Repubblica di Catanzaro. L’azione della Commissione proseguirà, poi, per
approfondire anche i temi scottanti delle assunzioni Sacal, degli eterni
cantieri pubblici, degli appalti pubblici a chiamata diretta e così via.
Nessuno di noi dovrà minimamente indugiare nella preziosa opera di bonifica
morale dell'apparato politico-amministrativo che i calabresi chiedono e
meritano. È il principale compito che sento di dover portare avanti in qualità
di rappresentante politico e istituzionale dei tanti calabresi perbene". (aise 16.3.)
Spanien blamiert: Puigdemont auf freiem Fuß
Die Roadshow kann weiter gehen. Das Oberlandesgericht
Schleswig-Holstein (OLG) hat für eine Überraschung und viel Freude in
Katalonien gesorgt: Carles Puigdemont kommt frei.
Die spanische Justiz hat sich beim
Versuch, den flüchtigen Ex-Präsidenten der Provinz Katalonien im Ausland
dingfest machen zu lassen zum zweiten Mal blamiert. Der erste europäische
Haftbefehl wurde zurückgezogen, nachdem klar wurde, dass Belgien nicht
ausliefert. Ein neuer Haftbefehl wurde ausgestellt, als Pugidemont in
Nordeuropa auf Reisen war. Die Mühlen der finnischen und dänischen Bürokratie
mahlten wohl extra langsam, dort wurde die Chance zur Verhaftung verpasst. In
Norddeutschland wurde er dann geschnappt – und nun wieder freigelassen.
Dabei konnte der Richterspruch kaum
deutlicher ausfallen. Laut dem Gericht erweist sich der von den spanischen
Behörden erhobene Vorwurf der „Rebellion“ als von vornherein unzulässig. Es war
zwar nicht Aufgabe der schleswig-holsteinischen Justiz tiefgehend zu
untersuchen, ob Puigdemont ein Rebell ist, doch offenbar war die Anschuldigung
derart offensichtlich an den Haaren herbeigezogen, dass es einer solchen
Untersuchung nicht brauchte um festzustellen, dass dem nicht so ist.
So hieß es beim OLG zur Begründung,
dass „sich hinsichtlich des Vorwurfs der ‚Rebellion‘ die Auslieferung als von
vornherein unzulässig erweist“. Das Puigdemont vorgeworfene Verhalten „wäre in
der Bundesrepublik Deutschland nach hier geltendem Recht nicht strafbar“. Die
Auslieferung sei daher unzulässig. „Der in Betracht kommende Straftatbestand
des Hochverrats sei nicht erfüllt, weil es an dem Merkmal der ´Gewalt´ fehle.“
„Nach den vom Bundesgerichtshof in
einem vergleichbaren Fall aufgestellten Grundsätzen reiche es für die
Verwirklichung des Gewaltbegriffs nicht aus, dass ein Täter Gewalt androht oder
anwendet, um ein Verfassungsorgan zu einem erstrebten Handeln zu veranlassen.
Erforderlich sei vielmehr, dass von der gegenüber Dritten ausgeübten Gewalt ein
derartiger Druck auf das Verfassungsorgan ausgehe, der geeignet ist, den
entgegenstehenden Willen des Verfassungsorgans zu beugen“, hieß es in dem
Schreiben des Gerichts weiter.
Kataloniens Ex-Regierungschef Carles
Puigdemont wurde in Deutschland festgenommen. In Spanien droht ihm eine
jahrzehntelange Haftstrafe. Eine Lösung des Konfliktes ist derweil nicht in
Sicht.
In der Tat war die Argumentation des
Haftbefehls für einen so großen Vorwurf recht dünn. Der spanische
Untersuchungsrichter Pablo Llarena argumentiert, dass Puigdemont im Vorfeld des
Unabhängigkeitsreferendums in einer Sitzung mit hohen Polizeibeamten erfahren
habe, dass es bei Durchführung der Abstimmung zu gewalttätigen
Auseinandersetzungen kommen könne. Da er die Abstimmung trotzdem durchführen
ließ, habe er Gewalt in Kauf genommen. Dass das nicht reicht, um Puigdemont für
25 Jahre zu verknacken, sagt schon der gesunde Menschenverstand. Nun auch das
OLG Schleswig-Holstein.
Bleibt der ebenfalls im Haftbefehl
enthaltene Vorwurf der Veruntreuung öffentlicher Gelder. Dahinter steckt das
Argument, dass die Durchführung des verfassungswidrigen Referendums mit
öffentlichen Mitteln finanziert wurde. Es geht um gut 1,5 Millionen Euro.
Solange der Vorwurf geprüft wird, darf Puigdemont Deutschland nicht verlassen
und muss sich wöchentlich bei den Behörden melden. Im Gefängnis bleiben muss er
so lange aber nicht. Der Vorwurf wiegt nicht so schwer, daher ordneten die
Behörden Haftverschonung für die Zeit der Prüfung an.
Ohnehin ist fragwürdig, ob die
spanische Justiz an dem Haftbefehl festhält, wenn sie Puigdemont auf dieser Basis
nur wegen Veruntreuung öffentlicher Gelder rankriegen kann. Schließlich wurden
zahlreiche weit weniger bedeutende katalanische Aktivisten und Politiker
festgenommen, denen nun der Prozess wegen Rebellion gemacht werden soll. Es
wäre ein schräges Bild, wenn die Funktionsebene weitaus schwerer bestraft wird,
als der Anführer. Immerhin war es Puigdemont, der als Präsident Kataloniens die
Unabhängigkeit ausgerufen und die Unabhängigkeitserklärung unterzeichnet hat.
Die Freilassung jedenfalls hat in
Katalonien für viel positive Überraschung gesorgt. „Vielen Dank an alle!“,
twitterte Puigdemont am Abend und teilte die katalanische Fassung des
Gerichtsschreibens. Er fügte hinzu: „Wir sehen uns morgen!“
Vor allem nach den Einlassungen des
deutschen Regierungssprechers Steffen Seibert hat kaum jemand daran geglaubt,
dass Deutschland Puidgemont nicht ausliefert. „Spanien ist ein
demokratischer Rechtsstaat“, sagte dieser jüngst. Es sei die Überzeugung der
Bundesregierung, dass der Katalonien-Konflikt innerhalb der spanischen Rechts-
und Verfassungsordnung gelöst werden müsse. Aus diesem Grund habe man in den
vergangenen Monaten die klare Haltung der spanischen Regierung zur
Gewährleistung der Verfassungsordnung unterstützt“.
Dass es trotz dieser politischen
Position aus Deutschland auf der juristischen Ebene erstmal keine Unterstützung
für die spanische Regierung gibt, ist ein gutes Zeichen. Es zeugt davon, dass
die Gewaltenteilung hierzulande ganz gut funktioniert.
Ein zweiter Nackenschlag Richtung
Madrid kam derweil aus Belgien. Drei Mitglieder aus Puigdemonts Kabinett, die
mit ihm nach Brüssel geflohen waren, wurden ebenfalls am gestrigen Donnerstag
unter Auflagen freigelassen, wie die belgische Staatsanwaltschaft mitteilte.
Das betrifft die frühere Agrarministerin Kataloniens, Meritxell Serret,
den Ex-Gesundheitsminister Toni Comín und den ehemaligen Kulturminister Lluís
Puig i Gordi. Auch gegen sie liegen europäische Haftbefehle wegen des Vorwurfs
der Rebellion vor.
Wie geht es nun weiter mit Puigdemont
und Katalonien? Über eine Auslieferung nach Spanien ist noch nicht entschieden.
Das liegt bei der schleswig-holsteinischen Generalstaatsanwaltschaft. Sollte
dort zugunsten einer Auslieferung entschieden werden, könnte Puidgemont aber
noch Einspruch einlegen.
Der Katalonien-Konflikt erreichte am
Sonntag mit dem Unabhängigkeitsreferendum einen vorläufigen Höhepunkt. Weitere
Eskalationen scheinen vorprogrammiert. Woher kommt der starke Wille zur
Unabhängigkeit?
Eine Lösung des Katalonien-Konfliktes
ist derweil nicht in Sicht. Nach dem Referendum und der Absetzung der
Regionalregierung kam es im vergangenen Dezember zu Neuwahlen, bei denen die
Mehrheit der Separatisten bestätigt wurde. Seither verhindert Spanien die
Regierungsbildung, indem potenzielle Kandidaten für das Präsidentenamt
juristisch verfolgt werden. Doch selbst wenn eine Regierung zustande kommt,
wird sie die Unabhängigkeit nicht einfach vollziehen können. Dazu fehlt die
politische Kraft im Inland ebenso wie die Rückendeckung aus dem Ausland.
Es scheint, dass eine Lösung nur auf
dem Verhandlungsweg möglich ist. Dazu braucht es aber Zugeständnisse aus
Madrid. Katalonien muss nicht unabhängig werden um zur Ruhe zu kommen, wenn es
zu ernsthafte Verhandlungen über den Autonomiestatus einschließlich der
Finanzen kommt. Doch dafür muss Madrid seine radikal-zentralistische Haltung
aufgeben. Es wäre hilfreich, würde die Bundesregierung entsprechend auf ihre
spanischen Kollegen einwirken. Selbiges gilt für die EU-Institutionen.
Ob man es will oder nicht: Der
Katalonien-Konflikt ist keine rein spanische, sondern eine europäische
Angelegenheit. Das wurde spätestens deutlich, als Deutschland durch die
Verhaftung Puigdemonts auf einer norddeutschen Autobahnraststätte in den
Konflikt hineingezogen wurde. Steffen
Stierle EA 6
„Konzentration des Kapitals rückgängig machen“
Der Ökonom Branko Milanovi über wachsende Ungleichheit und
die Gefahren für die Demokratie. Von Branko Milanovi
In Deutschland herrscht eine paradoxe
Situation: Obwohl die Wirtschaft brummt, haben viele Menschen das Gefühl, nicht
davon zu profitieren. Sie geben den etablierten Parteien die Schuld und wählen
populistische Parteien. Ist da etwas dran?
Deutschland gilt als Musterbeispiel für
ein Land, das sich sehr erfolgreich an die Globalisierung angepasst hat. Es ist
mittlerweile die größte Exportnation der Welt. Die Arbeitslosenquote liegt bei
etwa 5,7 Prozent, und das bei einer gleichzeitigen Aufnahme von einer Million
Migranten. Das ist alles überaus positiv.
Weniger positiv ist, dass das
Realeinkommen der unteren 50 Prozent der deutschen Bevölkerung in den letzten
15 Jahren nicht gestiegen ist. Angesichts dieser Entwicklung und anderer
Faktoren wie Migration oder Angst vor Arbeitsplatzabbau ist es durchaus nachvollziehbar,
dass die wirtschaftliche Entwicklung auch in Deutschland zum Aufstieg der
Populisten geführt hat.
Wie steht es mit den Gewerkschaften?
Haben sie genug für die Arbeitnehmer unternommen?
Aufgrund der Veränderungen am
Arbeitsplatz und auf dem Arbeitsmarkt ist der Rückgang gewerkschaftlicher
Organisation ein weltweites Phänomen, sowohl in der Privatwirtschaft als auch
im öffentlichen Sektor. Auch in Deutschland haben die Gewerkschaften an Macht
verloren. Das wirft für linke Parteien akute Probleme auf. In Frankreich,
Deutschland und anderen Ländern bestand früher eine enge Beziehung zu den
Gewerkschaften. In Frankreich waren die sozialistischen und kommunistischen
Gewerkschaften eng mit der Sozialistischen Partei verbunden, inklusive
Zeitungen, Zeitschriften und so weiter. Heute ist diese Verbindung lockerer,
deshalb muss die Wirtschaftspolitik auf Seiten der Linken neu überdacht werden.
In welcher Hinsicht?
Wenn Sie und ich ein unterschiedliches
Einkommen erzielen, konzentriert sich die Politik bislang darauf, dass der
Staat das durch Transferleistungen und Steuern ausgleicht. Wenn aber unsere
Ausgangsposition in Hinblick auf Ausbildung und Kapital recht ähnlich ist,
unterscheidet sich auch unser Einkommen nicht wesentlich, und der Staat muss
nicht so stark eingreifen.
Linke Parteien sollten mehr
Anstrengungen darauf verwenden, die Voraussetzungen der Menschen beim Eintritt
in den Arbeitsmarkt anzugleichen. Statt alles in die Umverteilung bereits
erzielter Einkommen zu investieren, sollte mehr Geld in eine gleichmäßig gute
Ausbildung für alle fließen, egal aus welcher Schicht, und das Kapital
zugunsten der mittleren Schichten umverteilt werden. Das wäre meine Empfehlung.
Wie Sie in Ihrem Buch schreiben,
erwächst die zunehmende Ungleichheit vor allem aus der Globalisierung. Ist ein
Handelsprotektionismus, wie Donald Trump ihn betreibt, die richtige Antwort
darauf?
Nein, ich halte diese Politik für
falsch. Wegen der internationalen Regelungen ist sie auch nur sehr schwer
umzusetzen. Und selbst wenn Trump diese Maßnahmen durchzieht, würden sie meiner
Ansicht nach nur vorübergehend greifen und für die Menschen keine langfristige
oder auch nur mittelfristige Verbesserung ihrer wirtschaftlichen Situation mit
sich bringen. Nur sehr wenige Menschen würden davon profitieren, viele aber
darunter leiden.
Solche Maßnahmen sind langfristig
schlecht für die Vereinigten Staaten und den Rest der Welt. Die Senkung der
Zölle war ein enormer Fortschritt. In den vergangenen 50 Jahren lagen die Zölle
in den reichen Ländern durchschnittlich bei zehn bis zwölf Prozent, nun
betragen sie nur noch ein oder zwei Prozent. Die Rückkehr zur alten Politik
wäre ein Fehler.
Aber auch multilaterale
Freihandelsabkommen wie TTP und TTIP wurden in den USA und Europa stark
kritisiert.
Wie Sie wissen, laufen viele dieser
Verhandlungen geheim. Der bekannte Handelsökonom Paul Krugman hat auch nur aus
durchgestochenen Dokumenten Details dieser Gespräche erfahren. Da sind
zahlreiche monopolistische Maßnahmen vorgesehen, zum Schutz geistiger Eigentumsrechte,
für Patente auf Medikamente, Computer, Software und so weiter. In Wahrheit sind
da Lobbyisten am Werk, die versuchen, in den Handelsabkommen ihre eigenen
Wünsche festzuschreiben, die aber nicht im Interesse der Verbraucher oder
Arbeitnehmer sind.
Wie kommt es, dass sich in den letzten
drei Jahrzehnten die Ungleichheit weltweit zwischen den Ländern vermindert hat,
während sie innerhalb der meisten westlichen Länder dramatisch gewachsen ist?
Die Antwort ist recht einfach, denn in
ärmeren, bevölkerungsreichen Ländern wie China, Indien und Vietnam ist die
Wirtschaft gewachsen. Man könnte sagen, dass dort eine globale Mittelschicht
entstanden ist. Man kann das an der massiven Zunahme chinesischer Touristen in
Europa ablesen. Das war der Faktor, der die globale Ungleichheit hat schrumpfen
lassen.
Aber was die Ungleichheit innerhalb von
Staaten angeht: In Reaktion auf den Aufstieg Chinas wurden in den westlichen
Ländern in Branchen, die mit China in Konkurrenz standen, für viele Menschen
die Löhne gesenkt und Arbeitsplätze abgebaut. Derselbe Globalisierungsschub,
der in China die Einkommen erhöht und die globale Mittelschicht hervorgebracht
hat, dürfte das Einkommen vieler US-amerikanischer Arbeitskräfte gesenkt haben.
Deshalb wächst in den USA die Ungleichheit. Aber für mich ist dieser
Zusammenhang kein Argument für die Einführung von Strafzöllen, sondern ein
Argument dafür, dass man die von der Globalisierung betroffenen Menschen
unterstützen muss.
Warum bedroht die wachsende
Ungleichheit die Demokratie? Weil sie Populisten in die Hände spielt?
Nicht nur. Bei großer Ungleichheit
liegen mehr Ressourcen in den Händen des reichsten Prozents der Bevölkerung.
Betrachtet man die Wünsche der Reichen und die Gesetze, die gemacht werden,
erkennt man einen klaren Zusammenhang. Die Gesetze, über die debattiert wird,
spiegeln die Präferenzen der Reichen wider. Da also die Reichen immer mächtiger
werden und politische Prozesse und Parteien finanzieren, diktieren sie auch die
Wirtschaftspolitik. Und dabei haben sie ihre eigenen Interessen im Blick.
Insofern verstärken sie den Vorteil, den sie schon haben. Ich glaube, das ist
gefährlich für die Demokratie, denn mittlerweile ist empirisch eindeutig
belegt, dass das Prinzip, nach dem jede Stimme gleich viel zählt, nicht mehr
gilt.
Das ist die eine Gefahr. Die andere
Gefahr liegt darin, dass eine größere Polarisierung auch den Niedergang der
Mittelschicht mit sich bringt. Das heißt nicht unbedingt, dass Menschen arm
werden. Viele wandern auch in die reicheren Schichten ab, aber die Mitte gerät
in Bedrängnis. Und dann taucht die Frage auf: Wenn die Mittelschicht die
unabdingbare Basis für die Demokratie war, wie kann Demokratie in diesem
polarisierten Umfeld noch funktionieren?
Wie schlägt es sich das auf die
Zusammensetzung eines Parlaments nieder, wenn es viele Reiche und viele Arme
gibt? In Hinblick auf mein erstes Argument kann sich das sehr negativ
auswirken. Das wäre dann kein Populismus, sondern eine Plutokratie.
Diese beiden möglichen Gefahren sehe
ich: Plutokratie und Populismus. Die Ironie ist, dass Trump, wahrscheinlich
intuitiv, beides verkörpert. Denn erst senkt er die Steuern für die Reichen,
eine absolut plutokratische Maßnahme, die nur der obersten Schicht nützt. Und
jetzt sagt er: Ich werde die Zölle anheben, was sehr populistisch ist. Man
könnte ihn wohl als Plutopopulisten bezeichnen.
Wird es im Jahr 2050 in den westlichen
Ländern noch eine Mittelschicht geben?
Wahrscheinlich schon, aber sie wird in
allen Ländern im Niedergang begriffen sein, in Spanien, Finnland und so weiter.
Doch wie ich gesagt habe, muss das nichts Schlechtes sein. In Finnland
beispielsweise sind vier von fünf Menschen aus der Mittelschicht in eine
reichere Schicht aufgestiegen, nur einer ist in eine ärmere abgestiegen. Das
ist also nicht per se negativ, wirft aber die Frage auf: Wo befindet sich in
einer sehr polarisierten Gesellschaft die Basis der Demokratie?
Was würden Sie empfehlen, um diese
Entwicklung umzudrehen?
Erstens müssen wir die Konzentration
des Kapitals rückgängig machen, denn der Anteil des Kapitals am
Nettogesamteinkommen steigt. Wenn das Kapital weiterhin stark gebündelt ist,
wird unsere Gesellschaft automatisch ungleicher. Zweitens müssen wir allen
Menschen dieselben hervorragenden Bildungschancen eröffnen. Das gilt besonders
für die Vereinigten Staaten, aber auch für andere Länder. Der Schwerpunkt
sollte demnach nicht auf einer besseren Verteilung bereits erzielten Einkommens
liegen, sondern darauf, allen eine vergleichbare Startposition zu garantieren.
Mir scheint, hier liegt das künftige
Politikfeld der Linken, gemeinsam mit einer Erbschaftssteuer, auch wenn sie
nicht sehr beliebt ist. Eine solche Steuer bedeutet nicht, dass man jede
Erbschaft, sondern nur große Erbschaften von, sagen wir, über eine
Million Euro, besteuert. Das könnte eine vernünftige linke Politik sein: Man
konzentriert sich stärker auf das Stadium, das vor der Umverteilung liegt. Das
ist dann eine grundlegendere Gleichheit, als wenn man Geld, das bereits
erwirtschaftet wurde, einfach nur umverteilt.
Die Fragen stellte Anja Papenfuß. IPG 4
EU fordert: Migration & Sicherheit müssen im Zentrum des neuen EU-Afrika-Deals stehen
Die EU wird Migration und Sicherheit in
den Mittelpunkt ihrer Gespräche über einen Nachfolgepakt zum Cotonou-Abkommen
mit den Staaten in Afrika, der Karibik und im Pazifik (AKP) stellen, erklärte
ein führender EU-Beamter am Montag.
„Die neue Partnerschaft der EU mit
Afrika muss sich mehr auf Migrationspolitik konzentrieren. Wir müssen mit
Afrika zusammenarbeiten, um Menschenhandel und Menschenschmuggel zu bekämpfen,“
forderte Koen Vervaeke, der beim Europäischen Auswärtigen Dienst (EAD) für die
Region Afrika zuständig ist, während einer Veranstaltung des Think-Tanks
Chatham House in London.
„Wir wollen aber auch die Mechanismen
für die legale Migration von Afrikanern nach Europa verbessern,“ fügte er
hinzu.
Dieses Jahr sollen Gespräche zwischen
der EU und den AKP-Staaten über einen Nachfolger des Cotonou-Abkommens
aufgenommen werden. In Cotonou, Benin, war im Jahr 2000 ein 20-jähriges
Partnerschaftsabkommen der EU mit den 78 Ländern unterzeichnet worden.
Das Nachfolgeabkommen soll sich auch
mit der zunehmenden Migration innerhalb der afrikanischen Länder befassen.
Vervaeke sagte, die EU erkenne „die Flüchtlings-Last in den afrikanischen
Ländern an“. Bisher habe man „mehr als 3 Milliarden Euro in wirtschaftliche und
sicherheitspolitische Initiativen in Afrika investiert“.
Nach „Jahren der
Gleichgültigkeit“ und eine Migrationswelle später steht Afrika ganz oben
auf der politischen Agenda Europas.
Strengere Durchsetzung des
Cotonou-Abkommens
Das derzeitige Abkommen enthält
Bestimmungen, die afrikanische Länder eigentlich dazu verpflichten, illegale
Migranten zurückzunehmen. In Realität ist das einzige funktionierende
Rückführungsabkommen der EU das mit Kap Verde.
Der starke Fokus der EU auf Migration
gibt jedoch auch vielen zivilgesellschaftlichen Gruppen Anlass zur Sorge:
„Entwicklung war ursprünglich der wichtigste Pfeiler in Cotonou. Jetzt ist es
nur noch einer unter vielen,“ kommentierte ein zivilgesellschaftlicher Akteur
gegenüber EURACTIV. „Für die EU stehen Migration und Sicherheit an erster
Stelle, gefolgt von Wirtschaftswachstum und dann Entwicklung.“
Die EU-Kommission hat auch ihre Absicht
bekundet, die Konditionalität und mögliche Sanktionen zu erhöhen. Staaten, die
Menschenrechte verletzen, würden dann keine Mittel zugewiesen, wobei bei
schweren Menschenrechtsverletzungen eine Rückzahlung der Mittel zu fordern
wäre.
Aber: „Die Durchsetzung [von Cotonou]
war schon immer schwach,“ so ein EU-Beamter gegenüber EURACTIV. Die EU
werde daher eine sehr viel konsequentere Umsetzung fordern.
Die EU-Regierungen wollen sich im Mai
auf ihr endgültiges Mandat für Cotonou 2.0 einigen. Die AKP-Staaten werden ihre
Vorgespräche voraussichtlich im Sommer abschließen, einige Wochen vor Beginn
der gemeinsamen Verhandlungen im August.
Separater Pakt mit Afrika
Die Europäische Kommission hofft, neben
einem Rahmenabkommen mit den AKP-Staaten auch einen separaten Pakt mit den
afrikanischen Ländern auszuhandeln.
„Afrika würde dann als ein einzelner
Akteur betrachtet werden, was der EU bessere Möglichkeiten zur Förderung
wirtschaftlicher Investitionen gibt,“ erläuterte Vervaeke.
Im Rahmen des Cotonou-Pakts sollen die
EU-Regierungen ihre Entwicklungspolitik auf den Aufbau von Infrastruktur und
den Ausbau des Privatsektors zu konzentrieren. „Die EU wird sich nicht nur für
die Schaffung von Arbeitsplätzen als Entwicklungsmotor einsetzen; sondern die
Partnerschaft wird auch einen größeren Schwerpunkt auf Investitionen im
privaten Sektor legen,“ teilte Vervaeke dementsprechend mit.
Wie will die EU zukünftig
sicherstellen, dass die europäischen Entwicklungsziele nicht vorrangig als
Belohnung für Maßnahmen der Migrationskontrolle dienen?
Der AKP-Block wird seinerseits
wahrscheinlich auf die Wiedereröffnung der umstrittenen
Wirtschaftspartnerschaftsabkommen zwischen regionalen Ogranisationen und
Brüssel pochen.
Nach einem Jahrzehnt der Verhandlungen
sind die EU-Abkommen mit der Wirtschaftsgemeinschaft westafrikanischer Staaten
(ECOWAS) und der Ostafrikanischen Gemeinschaft (EAC) weiterhin nicht umgesetzt.
Einige afrikanische Länder hatten sich beschwert, sie müssten zu viel Zugang
für EU-Unternehmen zu ihren Märkten bieten und seien in diesem Fall nicht in
der Lage, ihre eigene einheimische Industrie aufzubauen.
Brexit
Die EU-Programme in Afrika – und
möglicherweise die Cotonou-Gespräche – werden darüber hinaus von der
Entscheidung Großbritanniens, die Europäische Union zu verlassen, betroffen
sein.
„Das Vereinigte Königreich war ein
wichtiger Akteur bei der Entwicklung der EU-Afrika-Politik, und wenn wir ein
Post-Cotonou-Abkommen ohne das Vereinigte Königreich anstreben, wird es nicht
dasselbe sein,“ glaubt Vervaeke. Ziel der EU sei es, dass die britische
Afrika-Politik so eng wie möglich an die der EU angeglichen wird, „damit wir
weiterhin auf der Grundlage unserer gemeinsamen wirtschaftlichen Interessen
zusammenarbeiten können“.
London ist einer der Hauptfinanzierer
des Europäischen Entwicklungsfonds (EEF), der aus dem EU-Haushalt finanziert
wird und den AKP-Ländern voraussichtlich Finanzmittel zur Verfügung stellen
wird. Wenn andere EU-Länder nicht bereit sind, die Lücke zu schließen oder kein
Abkommen mit dem Vereinigten Königreich erzielt wird, das es dem Land erlaubt,
weiterhin Mitglied des EEF zu bleiben, würde das Instrument unter erheblichen
Einschnitten leiden.
Die Führungsrolle der EU und
Großbritanniens in der Entwicklungspolitik wird durch den Brexit bedroht,
warnen Aktivisten.
Optimismus
Vervaeke blieb dennoch optimistisch,
dass die EU und Großbritannien auch nach dem Brexit weiterhin in der
Afrikapolitik zusammenarbeiten werden. Er sagte, die EU habe sich „unter dem
Strich zu engen Beziehungen und fortgesetzter Arbeit mit dem Vereinigten
Königreich in Afrika verpflichtet“.
Genauer erläuterte er: „Die EU prüft
derzeit den Haushalt ihres Entwicklungsfonds, und es könnte eine neue
Möglichkeit für Drittstaaten geben, sich an den europäischen
Entwicklungsanstrengungen zu beteiligen. Dies könnte dann auch eine Option für
Großbritannien sein, weiterhin mit der EU zusammenzuarbeiten.“ Benjamin Fox und
Charley Rountree, EA 28
Weshalb wir den Nationalstaat nicht den
Rechtspopulisten überlassen dürfen.
Von Michael Bröning
Ein Lobgesang auf den Nationalstaat?
Eine Verteidigungsrede für die Nation? Weshalb nicht gleich ein Hoch dem
Chauvinismus oder ein pathetisches Bekenntnis zu Ausgrenzung und Hass? Diese
Auffassung jedenfalls scheint derzeit weitgehend Konsens in der medialen
Berichterstattung, im Kulturbetrieb, in der Ökonomie, den Sozialwissenschaften,
auf Kirchentagen und Parteikonventen. Der Nationalstaat gilt als
rückwärtsgewandt und impraktikabel, unsolidarisch und in Anbetracht globaler
Herausforderungen als ineffektiv und überholt – von der Nation ganz zu
schweigen.
Ließen nicht schon Karl Marx und
Friedrich Engels keinen Zweifel daran, dass die Lösung der sozialen Frage durch
die Arbeiterklasse „die Besonderheit der einzelnen Nationalitäten“ überwinden
wird? Und verweisen nicht die Sozialwissenschaften mit Recht auf „imaginierte
Gemeinschaften“? Da liegt es doch nahe, über die Dekonstruktion der Nation den
Weg zu bahnen für eine friedliche menschliche Zukunft, in der, wie von John
Lennon besungen, nicht länger Staaten und ihre Grenzen dem Traum weltweiter
Brüderlichkeit im Wege stehen. Benötigt werden deshalb supranationale
Zusammenschlüsse und dezentral kooperierende Regionen, wenn nicht als
„Weltstaat“ dann zumindest als „Europäische Republik“. „It's easy, if you try!“
Nur ein Umstand stört den
vermeintlichen Konsens: Weshalb nur weigern sich die Menschen auf diesem
Planeten, das sozial konstruierte, rückwärtsgewandte und dabei so impotente wie
ideologisch gefährliche Konzept der Nation endlich dorthin zu befördern, wohin
es praktisch und moralisch für progressive Beobachter zu gehören scheint: auf
den Müllhaufen der Geschichte? Die Antwort lautet: Weil die Mehrheit der
Menschen diese Auffassung ganz offensichtlich nicht teilt.
In der neuesten Erhebung des World
Values Surveys von 2014 fragten die Forscher in fast 100 Ländern nach der Rolle
des Staates: 86 Prozent der Befragten von Algerien bis Zaire zeigten sich
„sehr“ oder „ziemlich stolz“ auf ihre Nation. Der Anteil derjenigen, die
„überhaupt keinen Stolz“ auf ihre Nationalität empfinden, lag bei mageren
1,7 Prozent. Ganz ähnlich auch neuere Ergebnisse des
Meinungsforschungsinstituts YouGov aus dem Sommer 2017: Hier untersuchten die
Forscher das Verhältnis von nationaler zu europäischer Identität in sieben
europäischen Ländern. Das Ergebnis: Lediglich zwischen ein und drei Prozent der
Befragten verstanden sich ausschließlich als Europäer: etwa drei Prozent der
Deutschen, zwei Prozent der Briten, ein Prozent der Franzosen und null Prozent
der Finnen. Diese Zahlen zeigen: Das Bekenntnis zu Nation und Nationalstaat ist
nach wie vor weit verbreitet und scheint einem tieferen Bedürfnis nach einer
besonderen Art von kollektivem „Wir“ zu entsprechen.
Doch ist nicht die Absage an die Nation
eine essenzielle Lehre aus der Katastrophe der deutschen Geschichte? In der
Tat: Wer möchte nach der mörderischen Hybris des Dritten Reiches bei klarem
Verstand an den Zutaten dieser Giftmischung festhalten? Nur: Gerade in dieser
Diskussion existiert eine spezifisch deutsche Dimension, in der übersehen wird,
dass die Sehnsucht nach nationaler Selbstüberwindung europaweit nicht
selbstverständlich ist. Tatsächlich haben sich Nation und Nationalstaat aus
dänischer, norwegischer, polnischer und niederländischer Perspektive ja eben
nicht als Aggressionsmittel erwiesen, sondern als Schutzschild – und zwar nicht
zuletzt gegen Angriffe aus Deutschland. Auch vor diesem Hintergrund erscheint
der so verbreitete wie wohlmeinende Versuch des intellektuellen
Nationalstaats-Exorzismus als geradezu bizarr, wenn er sich so dogmatisch wie
apodiktisch von Berlin ausgehend an die Nationen richtet, die unter deutschem
Chauvinismus am meisten gelitten haben.
Problematisch erscheint diese kritische
Positionierung zum Nationalstaat aber auch und gerade aus politischen
Notwendigkeiten. Angesichts der allzu verbreiteten Rede vom Sündenfall des
Nationalstaats sollten sich progressive Akteure daran erinnern, dass
Demokratie, Partizipation, Gerechtigkeit sowie Solidarität und Integration in
einer globalisierten Welt ohne den Nationalstaat als Forum progressiver Politik
schlichtweg nicht realisierbar sind. IPG 26
Israel. Umsiedlung verkündet und ausgesetzt
Tausende in Israel gestrandete
Flüchtlinge sollen nach Worten von Regierungschef Benjamin Netanjahu in
westlichen Staaten unterkommen, darunter auch in Deutschland. Wenige Stunden
später setzte er das Vorhaben außer Kraft.
Auf Grundlage eines Abkommens mit dem
UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR würden mehr als 16.000 Afrikaner in westliche
Staaten gebracht, sagte Netanjahu am Montag in einer Fernsehansprache. Neben
Deutschland nannte er auch Kanada und Italien als Zielländer. Tausende weitere
Menschen sollen nun zunächst für fünf Jahre in Israel geduldet werden.
Israel hatte mit der Abschiebung von
fast 40.000 Flüchtlingen nach Uganda oder Ruanda gedroht. Viele Flüchtlinge
stammen auch aus den Bürgerkriegsländern Eritrea oder Sudan. Fast 20.000 hatten
schon die schriftliche Aufforderung bekommen, binnen zwei Monaten das Land zu
verlassen. Andernfalls könnten sie in Haft genommen werden.
Das Bundesinnenministerium erklärte in
Berlin, eine entsprechende Anfrage Israels sei ihm „nicht bekannt“. Macht
nichts, denn Netanjahu ruderte wenige Stunden und viele kritische Kommentare
später wieder zurück. Er wolle die Bedingungen der Vereinbarung mit dem
UN-Flüchtlingshilfswerk UNHCR „überdenken“, teilte Netanjahu am Montagabend auf
seiner Facebook-Seite mit. Dabei wolle er die Kritik an der Übereinkunft
berücksichtigen.
Im Konflikt zwischen Israel und Iran
könnte Deutschland eine weitere Eskalation in Nahost zu verhindern, meint Gil
Murciano.
Nach Angaben des israelischen
Innenministeriums leben derzeit rund 42.000 afrikanische Einwanderer
vornehmlich aus dem Sudan und Eritrea in Israel, ein Großteil von ihnen in
ärmlichen Vierteln im Süden Tel Avivs. Im vergangenen Jahr hatte Netanjahu
erklärt, er werde „den Süden von Tel Aviv den Bürgern Israels zurückgeben“.
Religiöse und konservative Politiker hatten die Gegenwart von muslimischen oder
christlichen Afrikanern in der Vergangenheit als Bedrohung für den jüdischen
Charakter des israelischen Staates dargestellt.
Anfang Januar hatte die israelische
Regierung einen Plan verabschiedet, wonach tausende illegal nach Israel
eingereiste Afrikaner bis Ende März das Land verlassen sollten. Andernfalls
sollten die Menschen auf unbefristete Zeit inhaftiert und letztlich abgeschoben
werden. Israel hatte erklärt, die Einwanderer sollten in einen nicht genannten
afrikanischen Drittstaat gebracht werden – laut Aktivisten handelte es sich
dabei um Ruanda und Uganda.
Am Montag erklärte Netanjahu nun, er
habe seine ursprünglichen Pläne fallen gelassen, weil die Möglichkeit der
Umsiedlung in einen afrikanischen Staat „nicht mehr besteht“. Ruanda und Uganda
hatten angekündigt, sie würden keine Einwanderer aufnehmen, die gegen ihren
Willen aus Israel abgeschoben würden. Die Alternative – Afrikaner nach Europa
und Nordamerika umsiedeln – lässt sich aber offenbar auch nicht so einfach
umsetzen. EA 3
Hyperglobalisierung vs. Nationalstaat
Schon ein oberflächlicher Blick auf
aktuelle globale Herausforderungen bestätigt, dass heute nicht ein Zuviel,
sondern ein Zuwenig an Staatlichkeit das eigentliche Problem darstellt. Auf
globaler Ebene hat sich bislang nur der Nationalstaat als demokratisch
legitimierter und handlungsfähiger Akteur erwiesen, der sich daranmachen kann,
die ökonomische Hyperglobalisierung politisch einzuhegen. Sicher, die
Globalisierung hat hunderte Millionen Menschen aus der Armut geführt. Zugleich
aber hat sie massive Einkommenseinbußen der Mittelschichten in entwickelten
Staaten mit sich gebracht – eine Triebkraft für die anhaltende populistische
Revolte. Branko Milanovi? hat diese Entwicklung eindrücklich in der sogenannten
„Elefantenkurve“ dargestellt. Zentral ist die Einsicht: Die positiven Effekte
der Globalisierung zeigten sich vor allem dort, wo sie in staatliche
Entwicklungsstrategien und einen aktiven und starken, statt in einen schlanken
und neoliberalen Nationalstaat eingebettet wurde.
Was daher benötigt wird, ist keine
Abwicklung der Globalisierung mit dem Bulldozer des Protektionismus, sondern
ein alternativer Weg, auf dem einerseits die Vorteile genutzt, andererseits die
Nachteile für weite Teile der Mittelschichten in den Industrienationen
eingedämmt werden. Politisch kann dies nur durch eine Form der Re-Regulierung
geschehen – durch eine Stärkung staatlicher Optionen. Eine „vernünftige
Globalisierung“ (Dani Rodrik), die in konstruktive Bahnen gelenkt wird, beruht
deshalb nicht auf der Überwindung, sondern auf der Stärkung nationalstaatlicher
Kompetenzen.
Das gilt im übrigen auch über das Feld
der Ökonomie hinaus. Denn ehrgeizige Projekte wie die Sustainable Development
Goals oder das Pariser Klimaabkommen werden ebenfalls nicht ohne die
Nationalstaaten zu erreichen sein, sondern nur mit ihnen. Ein Mehr an Steuerung
einer ungleichen Globalisierung, ein Mehr an globaler Sicherheit, aber auch ein
Mehr an internationaler Kooperation und Entwicklung wird deshalb nicht durch
ein Weniger an Nationalstaat zu haben sein.
Wenn die Demokratie scheitert,
scheitert Europa
Doch wie steht es um Europa? Was ist
dran an der so verbreiteten Hoffnung auf supranationale Kontrollgewinne durch
europäische Integration? In der Theorie mag das richtig sein. Doch in der
Praxis lautet die ernüchternde Wahrheit, dass zumindest bislang Institutionen
wie die EU eher als Globalisierungsbeschleuniger in Erscheinung getreten sind
denn als Korrektoren von Entwicklungen, die aus dem Ruder gelaufen scheinen.
Das liegt – anders als von den Populisten behauptet – nicht unbedingt am
fehlenden Willen der Beteiligten, sondern an der Komplexität supranationaler
Entscheidungsfindungen. Diese nämlich laufen klaren regulatorischen Bemühungen
der „positiven Integration“ oft zuwider, da ein Konsens zu zentralen Fragen
eben nicht übers Knie gebrochen werden kann.
Noch entscheidender aber ist auf
europäischer Ebene die Frage der demokratischen Partizipation. Auf die bestehenden
Defizite des real existierenden europäischen Projekts kann nicht lediglich mit
Rufen nach „mehr Demokratie“ reagiert werden. Im Gegenteil: In einer Situation,
in der die neoliberale Wirklichkeit der „Euro-Rettung“ sich immer mehr von den
erhabenen Visionen eines sozialen Europas abhebt, ist es nicht der
„One-Size-Fits-None“-Ansatz eines verordneten Brüssel-Konsenses, der einen
Ausweg aus den multiplen Krisen bietet. Vielmehr geht es um eine vernünftige
Europäisierung, die unterschiedliche Erfordernisse und politische Präferenzen
der Mitgliedsstaaten akzeptiert. Der Versuch hingegen, einen europäischen Demos
etwa durch weitreichende Kompetenzverlagerung auf das Europäische Parlament mit
der Brechstange zu erzwingen, dürfte die Fliehkräfte der Union in dem Maße
verstärken, in dem Vereinheitlichung auf die Agenda gesetzt wird. Wer auf
europäischer Ebene tatsächlich „mehr Demokratie wagen“ will, muss auch wagen,
mehr demokratische Nationalstaatlichkeit zuzulassen – etwa durch Stärkung der
Kontrollfunktionen demokratisch gewählter nationaler Parlamente.
Ja, wir brauchen ein Mehr an Europa.
Aber nicht undifferenziert und überall. Ein konföderiertes Europa, das auf
Vertiefung in einigen Politikfeldern, aber zugleich auch die Stärkung
nationaler Wahlmöglichkeiten in anderen Bereichen setzt, wäre zwar keine
„Europäische Republik“ wie sie von besonders enthusiastischen pro-Europäern
gerne eingefordert wird, aber deshalb noch lange kein Hort der Reaktion. Im
Gegenteil: Aller Wahrscheinlichkeit nach wäre ein solches Europa statt
populistisch einfach populär.
Migration und Heimatland
Doch auch in Bezug auf das Megathema
Migration braucht es den Nationalstaat. Solidarität ist ein Kernanliegen
progressiver Politik. Praktizierte Solidarität aber ist nicht nur auf andere gerichtet,
sie benötigt auch ein „Wir“, das sie trägt. Vor diesem Hintergrund stellt sich
Migration auch als Herausforderung für den sozialen Wohlfahrtsstaat dar. Eine
politische Linke, die sich um eine klare Aussage zur Begrenzung von Migration
bei gleichzeitiger humanitärer Großzügigkeit herumdrückt oder diese Position
dem politischen Gegner überlässt, erweist nicht nur der eigenen
Handlungsfähigkeit einen Bärendienst. Sie gefährdet auch zwei traditionelle
Kernanliegen: den solidarischen Wohlfahrtsstaat sowie das Bestreben,
gesellschaftliche Integration tatsächlich möglich zu machen.
In seiner Rede anlässlich des Tags der
deutschen Einheit 2017 plädierte Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier für
eine Rehabilitation des Begriffs Heimat. Es gehe darum, „die Sehnsucht nach
Heimat nicht den Nationalisten zu überlassen“. „Heimat“, so der
Bundespräsident, sei „der Ort, an dem das ‚Wir‘ Bedeutung bekommt“. Dass Heimat
als Begriff von progressiven Kräften besetzt werden kann, hat auch Alexander
Van der Bellen in seinem Präsidentschaftswahlkampf 2016 in Österreich unter
Beweis gestellt. Doch dass gerade progressive Kräfte auf diesen Begriff setzen
sollten, bleibt umstritten. Ist der Begriff nicht „ausgrenzend“ und in
Anbetracht der Blut-und-Boden-Romantik der Nationalsozialisten ohnehin
verbrannt? Zunächst scheint das einleuchtend. Doch diese Verweigerung hat zur
Folge, dass der Begriff „Heimat“ auf genau der Ebene brachliegt, auf der er
politisch am wirksamsten ist.
Sicher, wenn es um lokale Kiezromantik
oder regionale Mundartpflege geht, scheint Heimat für Progressive zunehmend
tragbar. Auch Marc Saxer warb auf diesen Seiten kürzlich für „eine progressive
und lebenswerte Heimat“, verwurzelt in „lokalen Traditionen“. Diese Überlegung
hat einiges für sich. Warum aber schreckt sie vor der tatsächlich am weitesten
verbreiteten Bedeutung von Heimat zurück – nämlich eben vor dem Heimatland?
Denn gerade diese Leerstelle ist es
doch, die sich als Integrationshypothek und als politisch blinder Fleck
erweist. Es ist schließlich nicht der Kiez, der politische Emanzipation
garantiert, sondern die Anerkennung als Bürger in der staatlichen Gemeinschaft.
Deshalb sind „Heimat“ und eine weltoffen definierte „Nation“ auf staatlicher
Ebene keine ausgrenzenden Begriffe, sondern Konzepte, die Aufnahme, Integration
und Partizipation überhaupt erst ermöglichen – der „zivile Patriotismus“ etwa
der schottischen SNP liefert hierfür ein anschauliches Beispiel.
Dem Plädoyer einer linken
Rehabilitation des Nationalstaats liegt dabei die Überzeugung zugrunde, dass
ein solches gerade kein Anbiedern an den vermeintlich nationalistischen
Zeitgeist darstellt. Im Gegenteil – es handelt sich um eine Wiederentdeckung.
Tatsächlich errang gerade die linke Mitte stets dann Mehrheiten, wenn sie
Gerechtigkeit und das stolze Erbe des Internationalismus mit einem Bekenntnis
zum starken Staat verknüpfte. Olof Palme hatte das im schwedischen „Volksheim“
ebenso erkannt wie Willy Brandt. Nicht von ungefähr zog dieser 1972 mit einer
Losung ins Kanzleramt, der heute wahrscheinlich AfD-Nähe unterstellt würde:
„Stolz sein auf unser Land“. Und 1987 verwies Brandt darauf, dass „die Sache
der Nation – in friedlicher Gesinnung und im Bewusstsein europäischer
Verantwortung – von Anfang an bei der demokratischen Linken besser aufgehoben
ist als bei anderen“. Wie recht er damit hat, belegen derzeit wöchentlich die
skandalösen Äußerungen der AfD. Denn das zentrale Problem ist doch gerade, dass
ein positiver und weltoffener ziviler Patriotismus in dem Maße
unwahrscheinlicher wird, in dem sich progressive Kräfte gegen ihn verwahren. Es
wird deutlich, dass nicht nur die politische Linke den Nationalstaat benötigt,
sondern auch und gerade der demokratische Nationalstaat die Linke.
Von Progressiven zu entwerfen ist daher
ein aufgeklärtes patriotisches „Wir“ als fortschrittliche Identität, das eben
weder nach ethnischen Wagenburgen strebt noch im Gegensatz steht zu
europäischer und globaler Kooperation. Ein auf einer solchen Identität
beruhender Nationalstaat wäre dem Alleinvertretungsanspruch der Extremisten
entrissen und wäre ein wirksames Mittel gegen den immer stärker um sich
greifenden politischen Tribalismus. Zugleich würde er progressiven Kräften die
Handlungsebene zurückgeben, auf der sie stets ihre größten Erfolge feierten. Kurzum:
Ein solcher Staat wäre ein würdiger Adressat für ein so offenes wie deutliches
linkes Lob der Nation.
Der vorliegende Text ist ein Auszug aus
dem Band Lob der Nation. Weshalb wir den Nationalstaat nicht den
Rechtspopulisten überlassen dürfen, Dietz April 2018. IPG 26
Faire Mobilität braucht faire Kontrolle
Kommentar von Dr. Norbert Cyrus,
Forscher am Viadrina Center B/ORDERS IN MOTION der Europa-Universität Viadrina,
Frankfurt (Oder)
Neben „Guter Arbeit“ ist „Faire
Mobilität“ zu einem wichtigen Leitbild und Orientierungspunkt
gewerkschaftlichen Handelns geworden. Inzwischen besteht ein bundesweites Netz
von Beratungsstellen, die Wanderarbeiterinnen und Wanderarbeiter gezielt
ansprechen und über ihre Arbeitsrechte und Möglichkeiten der Durchsetzung
informieren. Zugleich setzt sich der DGB Bundesvorstand aber auch dafür ein,
dass Arbeitsmarktkontrollen ausgeweitet und intensiviert werden: Das Personal
der Finanzkontrolle Schwarzarbeit soll von derzeit etwa 6.800 auf 10.000
Stellen angehoben und ihre Kontrollbefugnisse ausgeweitet werden.
In der gegenwärtigen Form erweisen sich
diese gewerkschaftlichen Initiativen für einerseits „Faire Mobilität“ und
andererseits „Mehr Kontrollen“ aber als praktisch widersprüchlich. Zur
Verdeutlichung nur ein Beispiel: Das Hauptzollamt Magdeburg beschreibt in einer
Presseinformation vom 26. Februar 2018 den Fall eines Unternehmers aus
Osteuropa. Dieser habe Arbeitskräfte aus der Ukraine mit falschen
Versprechungen angeworben und ohne Visum und Arbeitserlaubnis an einen
Schweinemastbetrieb verliehen. Die Arbeitnehmer erhielten statt der
vorgeschriebenen 8,84 Euro nur 3,80 Euro. Daher wurde ein Ermittlungsverfahren
gegen den ausländischen Arbeitgeber wegen des Verdachts auf illegale
Beschäftigung von Ausländern sowie des Verstoßes gegen Mindestlohnregelungen
eröffnet. Ansonsten seien 30 Osteuropäer durch den Zoll im Saalekreis gemeinsam
mit der Ausländerbehörde ausgewiesen worden, weil sie über keinen gültigen
Aufenthaltstitel verfügten. Die Presseinformation verdeutlicht
schlaglichtartig, dass die Anliegen der „Fairen Mobilität“ in den gegenwärtig
praktizierten Formen von Arbeitsmarktkontrolle nicht betrachtet werden. Dabei
hat es in den letzten Jahren einige bemerkenswerte rechtliche Veränderungen
gegeben, die auf einen effektiven Schutz aller Beschäftigter vor Ausbeutung
abzielen – unabhängig vom Aufenthalts- und Arbeitserlaubnisstatus. So wurden
die „Rechtsfolgen der Beschäftigung illegaler Ausländer“ mit § 98 a
Aufenthaltsgesetz im Jahr 2011 gesetzlich neu bestimmt. Arbeitgeber sind
seitdem zur Zahlung mindestens der üblichen Vergütung verpflichtet. Zur
Bestimmung der Summe ist sogar von der Vermutung einer Beschäftigungsdauer von
drei Monaten auszugehen. Ausdrücklich bestätigt wird das Recht, vor einem deutschen
Arbeitsgericht eine Klage auf Einhaltung der Zahlungsverpflichtung zu erheben.
Besonderer rechtlicher Schutz besteht
für Wanderarbeiterinnen und Wanderarbeiter, die ausgebeutet werden. Im Jahr
2015 hat der Gesetzgeber die Tatbestände Menschenhandel (§ 232),
Zwangsprostitution (§ 232a), Zwangsarbeit (§ 232b) und Ausbeutung der
Arbeitskraft (§ 233) in das deutsche Strafrecht aufgenommen. Ausreisepflichtige
Beschäftigte, die möglicherweise von diesen Tatbeständen betroffen sind, sollen
eine befristete Aufenthaltserlaubnis erteilt werden, wenn sie zur Aufklärung
des Sachverhalts beitragen und ihre Mitwirkung im Ermittlungsverfahren als
Zeuge erforderlich ist (§ 25, 4a AufenthG).
Bisher hat es der Gesetzgeber jedoch
versäumt, den Schutz vor Ausbeutung und die Unterstützung ausgebeuteter
Beschäftigter in geeigneter Form in den Aufgabenkatalog der Kontrollbehörden
aufzunehmen. Die Durchsetzung gesetzlich verbriefter Arbeitsrechte bleibt
oftmals auf der Strecke. Gewerkschaften sollten daher nicht nur „mehr“, sondern
vor allem auch „fairere“ Kontrollen fordern: Als erster Schritt sollten Zoll-
und Arbeitsschutzbehörden verpflichtet werden, den Beschäftigten eine
schriftliche Information über ihre rechtlichen Ansprüche, Möglichkeiten
weiterer Beratung und Mittel zur Durchsetzung von Rechtsansprüchen
auszuhändigen. Damit würde ohne großen Mehraufwand auch eine Vorgabe der
Europäischen Arbeitgebersanktionen-Richtlinie umfassend und effektiv umgesetzt,
wonach Behörden sicherstellen müssen, dass illegal beschäftigte
Drittstaatsangehörige vor der Vollstreckung einer Rückführungsentscheidung
systematisch und objektiv über ihre Rechte informiert werden (Art. 6, Abs. 2).
Zugleich würden die Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter der Kontrollbehörden
kontinuierlich daran erinnert, dass der Schutz vor Ausbeutung und die
Durchsetzung von Arbeitsrechten zu ihren Aufgaben zählt.
Eine systematischere Aufmerksamkeit für
„Faire Kontrolle“ kann die bestehenden praktischen Widersprüche zwischen
Kontrolle einerseits und Unterstützung andererseits sichtbar machen – und damit
die Voraussetzung für eine effektivere Abstimmung der beiden Ansätze schaffen.
Das große Ziel „Gute Arbeit“ braucht beides: „Faire Mobilität“ und „Faire
Kontrolle“.
Diskutieren Sie mit uns zu dem Thema
auf unserer Fachtagung, die wir gemeinsam mit dem WSI durchführen:
„Arbeitnehmerrechte über Grenzen hinweg sichern: Anforderungen an Aufsicht,
Zoll und die geplante Europäische Arbeitsbehörde“, 18.04.2018 in Berlin
https://www.boeckler.de/veranstaltung_112912.htm
Forum Migration April 2018
„Nation ist ein rechtliches Konstrukt“
Ulrike Guérot im Gespräch über
Identität und Demokratie in Europa.
Von Ulrike Guérot
Frau Guérot, was bedeutet Heimat für
Sie?
Heimat ist, wo man sich wohlfühlt. Und
das kann natürlich an vielen Orten sein. Ich persönlich würde für mich so weit
gehen, zu sagen, Heimat ist, wo ich bin.
In der politischen Debatte wird die
Heimat gerade massiv wiederentdeckt. Braucht die Linke einen Heimatbegriff?
Bei dieser öffentlichen, sehr
inszenierten Setzung des Begriffes Heimat wird immer auf den physischen,
geographischen oder territorialen Heimatbegriff abgestellt. Wir übersehen, dass
es verschiedene Begriffe von Heimat geben kann. Es gibt auch eine
intellektuelle Heimat: Wo verorte ich mich intellektuell im Denken? Es gibt
eine soziale Heimat, das ist wo meine Familie ist, meine Freunde. Und es gibt
eine geographische Heimat, meistens die, wo man geboren wurde, aber man kann
natürlich auch Wahlheimaten haben. Man muss diese drei Ebenen betrachten und
wenn sie kongruent gehen, hat man viel Glück im Leben. Aber oft tun sie das
nicht. Wir müssen uns davon verabschieden, dass es eine Art Menschenrecht
darauf gibt, dass die Kongruenz von Geographie, Menschen und intellektueller
Heimat immer gegeben ist. Und dass nur wer sie hat, sich heimisch fühlen kann.
Wir haben die Heimatdebatte vor allem
auch deswegen, weil sich die Orte, die die Menschen kennen und an denen sie
sich wohlfühlen, verändern. Der Wunsch nach Heimat hat da etwas mit dem Wunsch
nach dem Bewahren des Bekannten zu tun. Wie reagiert man darauf?
Es hat sich immer alles verändert. Wir
haben das etwas aus den Augen verloren, weil wir in der Bundesrepublik siebzig
Jahre lang politische Stabilität hatten. Und die Menschen davon ausgegangen
sind, dass sie eine Art Anrecht darauf haben, siebzig Jahre an einem Ort zu
bleiben und nie woanders auf Jobsuche gehen zu müssen. Wenn die Menschen heute
so sehr auf Begriffe wie Heimat pochen, geht es doch nicht um Dirndl und
Trachten. Es geht darum, dass die ländlichen Regionen entvölkert werden, dass
die Kneipe und Bäckerei schließen, dass die letzte Fabrik wegzieht und dass
das, was man früher in der Heimat hatte, nämlich das soziale Leben, einem
wegbricht. Als Substitut schreit man also nach Heimat und meint damit diesen
physisch-geographischen, wie auch immer identitär besetzten Raum. Aber im
Grunde meint man doch etwas anderes: nämlich, dass gesellschaftliches
Zusammenleben in der Form nicht mehr funktioniert, wie es früher mal an diesem
Fleck Erde, in dieser Heimat funktioniert hat. Wenn die Orte sozioökonomisch
und damit auch im menschlichen Sozialgefüge noch stabil wären, hätten wir diese
ganze Diskussion über den Heimatbegriff nicht.
Ziehen wir den Identitätskreis ein
bisschen größer, zur Nation. Sie sind in der Diskussion häufig mit dem Zitat
aufgefallen, der Nationalstaat habe in Europa mittelfristig keine Zukunft mehr.
Was bedeutet die „Hülle“ Nationalstaat für Sie?
Die Nation ist ein Konstrukt. Ich komme
aus dem Rheinland und wenn ich nach Bayern fahre, dann ist das nicht meine
Heimat, um nochmal auf diesen Begriff zurückzukommen. Aber ich bin mit denen
aus München in einer Nation. Warum? Weil ich schlussendlich in der
Bundesrepublik Deutschland mit ihnen gleich bin vor dem Recht – bei Steuern,
beim sozialen Zugang und bei Wahlen. Wir müssen zwischen einem normativen und
einem ethnischen, einem Ethnos- und einem Demos-Begriff der Nation
unterscheiden. Der juristische Nationenbegriff drückt im Grunde einen Prozess
der Verrechtlichung aus: Eine Nation sind die, die in einem Rechtsraum sind.
Wenn man auf die deutsche Geschichte zurückblickt, dann ist es nicht Fichtes
Rede an die deutsche Nation, die die deutsche Nation gemacht hat. Dass wir zu
einer Nation wurden, liegt in der Verfassungsgebenden Versammlung begründet und
in der Tatsache, dass wir 1867 allgemeine, geheime und direkte Wahlen hatten.
Hat denn der Nationalstaat als
Ansprechpartner ausgedient, wenn es um Fragen der Solidarität und des
Wir-Gefühls geht?
Nein. Marcel Mauss bietet eine
Definition von Nation als „institutionalisierter Solidarität“: Für diejenigen,
die in institutionalisierter Solidarität sind, ist die Solidarität nicht mehr
beliebig und wird gewährt. Ein Beispiel: In der Bundesrepublik Deutschland
bekommen die Menschen von Rügen bis München trotz der ökonomischen Unterschiede
der Regionen den gleichen Hartz IV-Satz. Weil die Bürger in der Bundesrepublik
gleich sind vor dem Recht. Insofern ist die Frage, wer in der
institutionalisierten Solidarität ist, genau die europäische Frage von heute.
Schauen wir auf Emmanuel Macron und die Diskussion um ein Eurozonen-Budget,
geht es dabei um nichts anderes als um die Institutionalisierung von
Solidarität in Europa. Wenn die Frage, ob die Griechen einen Bailout bekommen,
nicht mehr eine willkürliche Entscheidung des deutschen Bundestags ist, sondern
institutionalisiert, befänden wir uns in einer Art Nationenwerdung Europas – im
Sinne einer Verrechtlichung und nicht im Sinne eines ethnisch-kulturellen
Gebildes.
Aber geht das nicht an den Realitäten
vorbei? Der Solidaritätszuschlag beispielsweise war in Deutschland alles andere
als beliebt. Wenn das in einem Land und in einem Sprachraum schon nicht so
richtig funktioniert mit der Solidarität, wie soll sie dann auf europäischer
Ebene institutionalisiert werden, ohne dass es zu massiven politischen Fliehkräften
kommt?
Indem wir verstehen, dass es bei
Politik nicht darum geht, ob die Dinge beliebt sind. „There’s no free lunch“,
auch in der Politik nicht; wir sollten nicht glauben, dass Politik, Freiheit,
Europa und Demokratie einfach vom Himmel fallen und nie einen Preis haben. Wir
haben die dümmste ökonomische Entscheidung, nämlich den 1:1 Umtausch von
Ostmark in D-Mark gemacht, nicht weil das irgendwie ökonomisch effizient war
oder beliebt gewesen wäre bei den Banken. Wir haben das gemacht, weil das der
Preis der Demokratie ist, im Sinne von Habermas. Nur wenn die Bürger der
Demokratie in ihrer politischen Einheit, in diesem Fall der Nation, dem
allgemeinen politischen Grundsatz genügen, können sie überhaupt Demokratie
haben.
Wir verhandeln im Moment Markt und
Währung in einem europäischen Kontext und Demokratie in einem nationalen
Kontext. Das geht nicht gut. Wir merken an jeder Ecke, dass es kracht. Insofern
ist das Denkangebot: ein Markt, eine Währung, eine Demokratie. Betten wir doch
mal den einen Markt und die eine Währung in eine Demokratie ein. Wenn
Demokratie heißen würde „die Bürger sind gleich vor dem Recht“, dann wären wir
de facto in einem Prozess der Nationenwerdung. Es geht also nicht um die
Abschaffung von Nationen in Europa, es geht darum, zu verstehen, dass Nation
essentiell ein Begriff der Verrechtlichung ist. Und dass wir, wenn wir ihn so
anwenden, im Grunde eine europäische Perspektive hätten. Und zwar welche?
Normative Gleichheit bei kultureller Vielfalt.
Diese Vereinheitlichung von Recht
findet auf europäischer Ebene doch längst statt. Die Arbeitnehmerfreizügigkeit
ist ein solches Recht, sie führt aber vor allem dazu, dass viele Arbeitnehmer
ihre Heimat verlassen. Andere wiederum sehen ihre Heimat dadurch bedroht, was
schließlich zum Brexit geführt hat.
Sie sagen, der Verrechtlichungsprozess
findet schon statt. Das tut er auch. Aber wenn Europa immer für die vier
Freiheiten steht – Personen, Kapital, Güter und Dienstleistungen –, dann
bezieht sich die europäische Rechtsgemeinschaft de facto auf Dienstleistung,
Kapital und Güter, aber nicht auf Personen. Und das ist das Problem. Ein
bisschen plakativ gesprochen: Das Kapital und die Banane sind gleich vor dem
Recht in Europa, wir aber nicht. Wir werden unterschiedlich besteuert, wir wählen
mit unterschiedlichem Gewicht im Europäischen Parlament. Es gilt nicht: eine
Person, eine Stimme, was im übrigen das entscheidende Argument von Karlsruhe
ist, dem Europäischen Parlament seine volle Demokratiefähigkeit abzusprechen.
Jetzt löst das nicht das Problem
innereuropäischer Arbeitsmigration. Da ist aber die Frage berechtigt: Wollen
wir das überhaupt? Wollen wir, dass die Ingenieure aus Südeuropa jetzt in der
Stuttgarter Automobilbubble arbeiten und Andalusien dann immer mehr verwaist
und Spanien und Portugal immer mehr ökonomische Probleme haben? Oder wollen wir
wieder im Sinne des Heimatbegriffes, mit dem wir das Gespräch begonnen haben,
dort Lebensräume schaffen, wo sich die Menschen einfach wohlfühlen. Wenn wir
das wollen, dann müssten wir wahrscheinlich ganz anders darüber nachdenken, wie
wir wieder Infrastruktur aufs Land bekommen, was eben nicht nur nach
Effizienzkriterien funktioniert.
Der Vorschlag der Briten dagegen war,
die Freizügigkeit einzuschränken.
Ja, gutes Beispiel, weswegen die jungen
Briten jetzt alle fluchtartig London verlassen und jeder kluge Brite, den ich
kenne, gerade um einen irischen oder deutschen Pass nachsucht. Die Briten
werden sich noch über diesen Brain Drain wundern, und ansonsten verlieren sie
zehn Prozent BIP nach den jüngsten britischen Schätzungen. Es gibt einen guten
Yogaspruch: „Wer sich schützen will, muss sich öffnen.“ Wer sich immer mehr
einmauert, landet einfach immer mehr im Gefängnis.
Ihr Beispiel bezieht sich auf eine
mobile Elite. Was ist mit dem Rest der Bevölkerung, die sich nicht bewegt,
sondern teils reaktionär auf die politischen Veränderungen reagiert?
Stimmt ja gar nicht. Wenn Sie das in
soziologischen Strata bemessen wollen, dann ist die Gesellschaft oben und unten
mobil. Es ist die Mitte der Gesellschaft, die noch nicht richtig mobil ist.
Aber die Wanderarbeiter, egal ob das die Polen in London sind oder die Bulgaren
hier, die unteren 20 Prozent sind sehr mobil. Sie sind nur meistens rechtlos.
Ein Markt, eine Währung, eine Demokratie hieße die Gleichstellung der Bürger
auch im Hinblick auf Soziales und auf Steuern. Und dann wäre die Wahl der
Heimat davon unabhängig. Das würde die sozioökonomischen Spannungen
herausnehmen, die wir uns in der Eurokrise eingehandelt haben.
Wir können natürlich auch sagen, wir
wollen das alles nicht, wir setzen, wie u.a. Horst Seehofer das nun fordert,
Schengen außer Kraft. Nur: Auch Grenzen zu schließen hat einen Preis. Zu
glauben, wir halten den Markt und die Währung, aber wir machen die Grenzen zu,
und es gibt immer noch ein demokratisches, politisches Europa, das ist falsch.
Wenn andere den Preis für die Schließung zahlen wollen – da zahle ich lieber
den Preis der Offenheit.
Das Interview führten Joanna Itzek und
Hannes Alpen. IPG 21
Grundrechteagentur: Migrantenrechte werden in der EU missachtet
Die Agentur der Europäischen Union für
Grundrechte weist in einem Bericht auf fünf anhaltende Herausforderungen und
Probleme für Migration in die EU hin – vom Zugang zum EU-Hoheitsgebiet über
Asylverfahren bis hin zu unbegleiteten Kindern. EURACTIV.fr berichtet.
In einem Anfang Februar
veröffentlichten Bericht bewertet die Agentur der Europäischen Union für
Grundrechte (FRA) die Rechte von Migranten und Asylbewerbern in den
Mitgliedstaaten von Oktober 2016 bis Dezember 2017. Trotz Verbesserungen in
einigen Ländern stellt die Agentur fest, dass „Probleme fortbestehen – und
einige haben sich sogar verschlimmert“.
Fünf dieser Probleme bereiten der FRA
die größten Sorgen: Zugang zum EU-Territorium, Aufnahmebedingungen, Asylverfahren,
unbegleitete Minderjährige und Einwanderungshaft.
Der Bericht stellt fest, dass der
Zugang in fast der Hälfte der EU-Mitgliedstaaten immer schwieriger wird. Grund
dafür sind neue Grenzschutzzäune wie der zwischen Ungarn und Serbien sowie der Einreiseverweigerung
für einige bestimmte Migrantengruppen. Diese Einreiseverweigerungen laufen dem
Asylrecht zuwider.
Darüber hinaus werde der Zugang zu
korrekten Asylverfahren in vielen Mitgliedstaaten aufgrund von Schwierigkeiten
bei der Identifizierung und Registrierung von Asylbewerbern sowie wegen
fehlender Rechtshilfe und Informationen über Asylverfahren immer restriktiver.
Vier Länder im Fokus
In dem Bericht werden auch einige
positive Entwicklungen festgestellt, z. B. in Bezug auf die Kapazitäten
und Aufnahmebedingungen von Migranten in Ländern wie Bulgarien. Dies sei jedoch
hauptsächlich auf einen Rückgang der Neuankömmlinge im Laufe des vergangenen
Jahres zurückzuführen.
Die Premierminister Griechenlands und
Italiens haben deutlich gemacht, dass Migrationsfragen nicht von einzelnen
Staaten alleine gelöst werden können.
Die Situation in den vier Ländern, in
denen ein deutlicher Anstieg der Ankünfte zu verzeichnen war (Frankreich,
Spanien, Italien und Griechenland) bleibe hingegen kritisch. Die Aufnahmeeinrichtungen
dort seien „weiterhin überfüllt“ gewesen, was zur Einrichtung informeller Lager
in drei dieser Länder geführt habe.
Insbesondere wird auf einen Mangel an
Aufnahmekapazität für unbegleitete Kinder in allen vier Ländern hingewiesen.
Demnach hätten beispielsweise in Griechenland im Jahr 2017 „zwischen 900 und
3.300“ unbegleitete Minderjährige in informellen Lagern auf ihre Verfahren
gewartet.
Unangemessener französischer
Gesetzentwurf zu Asyl und Einwanderung?
In Frankreich kritisieren derweil
mehrere Parlamentsabgeordnete, dass die Rechte von Migranten und Asylbewerber
in dem von der Regierung am 21. Februar vorgelegten Entwurf eines Asylgesetzes
wenig Beachtung finden. Die Begründung dafür ist, dass dies in den
Zuständigkeitsbereich der einzelnen Départements falle.
Aber: „Sie sollten im Gesetzestext
stehen,“ kritisierte die konservative Abgeordnete Bérengère Poletti am 14.
März. Sie behauptet, dass „es mehr als eine Milliarde Euro sind, die derzeit
die Budgets der Départements unter katastrophalen Bedingungen belasten“.
Allerdings macht die Regierung im
Gesetzentwurf Vorschläge zur Unterstützung der Familienzusammenführung für
unbegleitete Minderjährige.
Die Beschleunigung der Verfahren, ein
Kernpunkt des französischen Legislativentwurfs, wird ebenfalls im FRA-Bericht
behandelt. Frankreichs Regierung will die durchschnittliche
Asylüberprüfungszeit auf sechs Monate verkürzen, im Vergleich zu den derzeit
üblichen 14 Monaten in Berufungsverfahren. Dies würde eine Verkürzung der
Verzögerungen in jedem Schritt der Verfahren bedeuten. Dadurch würde sich auch
die Frist für Beschwerden/Widerrufseinreichung von Migranten von einem Monat
auf 15 Tage verkürzen.
Obwohl die FRA die zeitliche Verkürzung
der Asylverfahren in Frankreich grundsätzlich gutheißt, betont die Agentur,
dass solche Beschleunigungen in mehreren anderen EU-Ländern „Bedenken
hinsichtlich der Qualität der Interviews und der Entscheidungsfindung
aufwerfen“.
Die Beschleunigung der Prozesse in
Kombination mit den Bemühungen der Staaten, die Rückkehr effektiver zu
gestalten, könnte zu „einer verstärkten Inhaftierung von Einwanderern,
möglicherweise auch von Kindern, führen“. Die Agentur weist außerdem darauf
hin, dass bereits „eine hohe Zahl von Kindern“ in Bulgarien, Griechenland,
Ungarn, Polen und der Slowakei inhaftiert worden sei – und ebenso in
Frankreich. Claire Guyot EA 21.03
Integrationspolitik. Neue Integrationsbeauftragte distanziert sich von Leitkultur-Begriff
Die neue Integrationsbeauftragte der
Bundesregierung, Widmann-Mauz, mag den Leitkultur-Begriff „nicht sonderlich“.
Eine Wertedebatte begrüßt die CDU-Politikerin allerdings. Zugleich warnt sie
davor, die Arbeitsmarktintegration von Flüchtlingen mit der
Fachkräftezuwanderung zu vermischen.
Die neue Integrationsbeauftragte der
Bundesregierung, Annette Widmann-Mauz (CDU), hat sich vom Begriff der
Leitkultur distanziert. „Ich mag den Begriff nicht sonderlich, denn er führt
uns nicht weiter“, sagte sie der in Düsseldorf erscheinenden „Rheinischen
Post“. Wichtiger sei eine konkrete Verständigung darüber, was
Gleichberechtigung von Mann und Frau, Religionsfreiheit, Meinungsfreiheit und
Gewaltlosigkeit als Grundfesten des Zusammenlebens bedeuten.
Eine Werte-Debatte begrüße sie, sagte
Widmann-Mauz. Eine solche Selbstvergewisserung tue jeder Demokratie gut.
Grundlage für das Zusammenleben sei das Grundgesetz, aber es gebe darüber
hinaus auch ungeschriebene Regeln und Erwartungen, die anzuerkennen wichtig für
ein gutes Miteinander sei, unterstrich die Staatsministerin im Kanzleramt.
Widmann-Mauz betonte die Bedeutung von
Frauen für den Integrationsprozess. „Ohne die Frauen kann Integration nicht
gelingen. Die Teilhabe von Frauen in allen Lebensbereichen ist auch
Voraussetzung dafür, dass eine Gesellschaft ihr demokratisches und auch wirtschaftliches
Potenzial voll ausschöpfen kann.“ In den Familien nähmen Frauen eine wichtige
Rolle ein. Das Frauenbild, das dort gelebt werde, präge auch die nächste
Generation.
Flüchtlinge keine Fachkräftezuwanderer
Die CDU-Politikerin sprach sich dafür aus,
Sprach- und Integrationskurse sowie Arbeitsmarktmaßnahmen noch stärker auf
Frauen auszurichten. Länder wie Bayern führten sogenannte Mother-Schools ein.
Das wolle sie sich ansehen. Zugleich warnte sie davor, bei der
Arbeitsmarktintegration Flüchtlinge automatisch als Arbeitsmigranten zu
betrachten. Anerkannte Flüchtlinge hätten alle Möglichkeiten auf dem deutschen
Arbeitsmarkt.
„Die Arbeitsmarktintegration von
Flüchtlingen sollte aber nicht mit der Fachkräftezuwanderung vermischt werden.
Denn das Asylrecht soll vor Verfolgung schützen“, sagte die Staatsministerin im
Kanzleramt. Wer zum Arbeiten nach Deutschland kommen wolle, müsse als Fachkraft
mit Visum einreisen. Für diesen Fall werde die Bundesregierung das
Fachkräftezuwanderungsgesetz auf den Weg bringen.
Geduldete, deren Asylantrag abgelehnt
wurde, hätten mit der sogenannten Drei-Plus-Zwei-Regelung die Möglichkeit, eine
dreijährige Ausbildung in Deutschland beenden und zwei weitere Jahre im Betrieb
arbeiten zu können, erläuterte die CDU-Politikerin. Dies solle auch auf
staatlich anerkannte Helferausbildungen ausgeweitet werden. (epd/mig 21.3.)
EU-Grundrechteagentur beklagt Situation der Roma
Schlechte sanitäre Bedingungen, Hunger,
Jugendarbeitslosigkeit – nach neuestem Bericht der Agentur der Europäischen
Union für Grundrechte müssen sich Roma in der EU jeden Tag diesen
grundliegenden Herausforderungen stellen.
Der Bericht zeige auf, dass die
Ungleichheiten fortbestehen, unter denen Roma in vielen Ländern Europas nach
wie vor zu leiden haben, heißt es in einem Kommentar der Agentur der
Europäischen Union für Grundrechte, kurz FRA. Deren Direktor, Michael
O´Flaherty, sagte: „Romafeindlichkeit von Diskriminierung bis zu
Hasskriminalität sind der Treibstoff für den Teufelskreis der Ausgrenzung der
Roma. Sie bleiben gesellschaftlich ausgegrenzt und werden auf eine inakzeptable
stereotype Weise behandelt.“ Dieser Teufelskreis müsse aufgebrochen
werden. „Warum tun wir also nicht das Naheliegendste und stellen sicher, dass
jeder und jede Roma dieselben Rechte wie die anderen EU-Bürgerinnen und -Bürger
wahrnehmen können?“
Der FRA-Bericht untersucht die
andauernden Sorge, dass Romafeindlichkeit eine Integrationsbarriere ist. Er
mache deutlich, wie die Mitgliedstaaten trotz bisheriger Bemühungen ihre
Integrationsziele nicht erreichen. Besonders hervorgehoben werden vier
Problembereiche:
Die Agentur der Europäischen Union für
Grundrechte weist in einem Bericht auf anhaltende Herausforderungen und
Probleme für Migration in die EU hin.
So sei, erstens,
die Romafeindlichkeit ist nach wie vor hoch – einer von drei Roma sei
irgendwann im Leben Opfer von Belästigungen geworden. Zweitens hätten sich die
Lebensbedingungen in den letzten Jahren nicht verbessert. Weiterhin seien 80
Prozent der Roma in der EU armutsgefährdet. Hinzu kommen, drittens, in vielen
Mitgliedsstaaten Lücken beim Zugang zu Bildung, was die Chancen negativ
beeinträchtigt, Anschluss zu finden und auch den vierten Punkt, die hohe
Jugendarbeitslosigkeit, beeinflusst. Diese liege unter den jungen Roma
besonders hoch.
Der FRA-Bericht dient als Grundlage für
eine Debatte über den künftigen Rahmen der Integrationspolitik für Roma. Der
aktuelle EU-Rahmen läuft 2020 aus. EA 6
Wie wir die Welt doch noch retten können – not
Durch Geoengineering lässt sich das
Klima nicht schützen. Am Ende profitieren davon nur die Kohle- und Ölindustrie.
Von Andreas Sieber
Al Gore und der Milliardär Richard
Branson, Gründer der Virgin Fluggesellschaft, starteten im Jahr 2007 einen Wettbewerb:
25 Millionen US-Dollar gab es für „kommerziell tragfähige Entwürfe, dauerhaft
Treibhausgase aus der Atmosphäre zu entfernen.“ Die Aktion markierte den
Höhepunkt des Hypes um Geoengineering, ein Sammelbegriff für verschiedenste
Ideen, die globale Erwärmung technologisch „abzukühlen“. Die Gewinner des
damaligen Wettbewerbs wurden in Alberta gekürt – unter Schirmherrschaft der
kanadischen Teersand-Industrie. Schnell stellte sich heraus, dass
Geoengineering wenig mehr ist als ein PR-Coup mit Al Gore. Dass die Debatte
darum nun wieder aufbricht, ist absurd und besorgniserregend.
Für die Teersand-Manager ist
Geoengineering eine „Du kommst aus dem Gefängnis frei“-Karte. Die Industrie,
die Kanadas Urwälder in eine Art Mordor verwandelt, ist einer der größten
CO2-Emittenten weltweit – und der vielleicht größte Fan von Geoengineering.
Dieser Fanclub war lange relativ exklusiv. Zu den anderen Mitgliedern zählten
Ölgiganten wie Shell („eine großartige Debatte“) oder Kohle-Konzernen wie RWE
(„wegweisend“ und „fortschrittlich“).
In Deutschland freuten sich
Kohle-Konzerne vor allem über CCS (Carbon Capture and Storage), die Möglichkeit
CO2 bei der Verbrennung abzutrennen und unterirdisch zu speichern. David Reiner
von der Universität Cambridge untersuchte CCS-Projekte auf der ganzen Welt und
musste feststellen,dass die meisten frühzeitig endeten. CCS sei schlicht zu
teuer. Im größten existierenden CCS-Projekt besteht die akute Sorge, dass die
gespeicherten Treibhausgase wieder austreten. In Algerien wurde ein CCS-Projekt
gestoppt, nachdem es Erdbeben ausgelöst hatte.
CCS steht in einer Reihe mehr oder
weniger surrealer Ideen, wie das Weltklima manipuliert werden könnte:
Wissenschaftler der University of Edinburgh hatten die Idee, riesige Schiffe zu
entwickeln, die Meerwasser in Tropfenform in die Luft schießen. Das sollte
Wolken aufhellen und mehr Sonnenstrahlen ins All zurückreflektieren. Die Kosten
liegen bei mehreren hundert Millionen Euro. Vor allem ist aber unklar, wie sich
ein solches Projekt auf Wetter und Klima auswirken würde.
Forscher aus Arizona wollten ebenfalls
die Sonneneinstrahlung reflektieren: Ihre Idee war, 16 Billionen
Silizium-Teilchen mit speziellen Kanonen ins All zu schießen. Die Auswirkungen
auf Wetter und Klima sind bislang ebenso unklar wie die praktische Umsetzung.
Bereits in den 80er Jahren plante der
Klimaforscher Wallace Broecker, große Mengen Schwefeldioxid mittels Flugzeugen
in die Atmosphäre zu blasen. Etwa 20 Jahre später griff der
Chemie-Nobelpreisträger Paul Trutzen die Ideen auf und schlug vor, 1,5
Millionen Tonnen Schwefelpartikel in die Atmosphäre zu injizieren. Der Effekt
käme einem gigantischen Vulkanausbruch gleich und würde – das ist zumindest
wahrscheinlich – das Klima abkühlen, aber auch die Ozonschicht zerstören. Die
Folgen für regionale Klimazonen wären enorm, katastrophale Unwetter oder Dürren
könnten eintreten. Bill Hare, Gründer und CEO von Climate Analytics nennt die
Idee, Sonneneinstrahlung zu manipulieren „grundlegend unklug und grundlegend
nutzlos“. „Wir verstehen die Auswirkungen nicht. Was wir verstehen, sagt uns,
dass wir sehr besorgt sein müssen über diese Technologien.”
Forscher des Alfred-Wegner-Instituts
aus Bremerhaven machten sich mit sechs Tonnen Eisen auf ins Südpolarmeer. Der
Plan: den Klimawandel mit Algen bekämpfen. Sie binden CO2 und sinken dann auf
den Meeresboden ab. Mit dem Eisen wollten man diese Algen großflächig düngen.
Es kam aber nicht zur erhofften Vermehrung: Am meisten nutzte das Experiment
dem Flohkrebs, der alle Algen fraß, bevor ein nennenswerter Effekt fürs Klima
herauskam.
Alle existierenden
Geoengineering-Technologien leisten entweder keinen signifikanten Beitrag zum
Klimaschutz, bergen katastrophale Risiken oder beides. Dennoch erlebt
Geoengineering eine kleine Renaissance in der Klima-Debatte. Das Ziel des
Pariser Klimaabkommens, die globale Erwärmung auf 1,5 Grad zu beschränken,
erzeugt extrem großen Handlungsdruck. Spätestens 2020 müssen die globalen
Emissionen sinken.
Insbesondere der anstehende Report des
Weltklimarats (IPCC) zum 1,5-Grad-Ziel befeuert die Debatte: Leaks des
bisherigen Entwurfs deuten darauf hin, dass das 1,5-Grad-Ziel inzwischen
überschritten wird und dann nur mit negativen Emissionen die Temperaturkurve
wieder nach unten korrigiert werden kann.
Bereits der letzte Report des IPCC
erwähnte Geoengineering: Verschiedene Szenarien beinhalteten BECCS (Bioenergy
with Carbon Capture and Storage). Die Idee ist, Treibhausgase zu binden, indem
man schnellwachsende Bäume oder andere Pflanzen großflächig kultiviert und
diese im Anschluss verbrennt, vorausgesetzt das CO2 ließe sich abtrennen und
unterirdisch mittels CCS lagern. Grund dafür ist schlicht, dass sich die
Technologie und ihre negativen Emissionen besonders gut in Szenarien
zukünftiger Emissionen einbauen lassen – unabhängig von der praktischen
Umsetzbarkeit.
Ist Geoengineering also die Ultima
Ratio, weil die Zeit drängt? Bei allen Unsicherheiten bezüglich dieser
Technologien ist zumindest eines gewiss: Sie sind bestenfalls ungenügend
ausgereift, um einen nennenswerten Beitrag zum Klimaschutz zu leisten. Und
gerade weil die Zeit drängt, dürfen wir keinen Scheinlösungen aufsitzen.
Peter Riggs ist einer der führenden
Experten zu „natürlichen Klimalösungen“. Das sind Maßnahmen wie Aufforstung,
die ebenfalls negative Emissionen erzeugen. Für den 1,5-Grad Report des IPCC
hat er analysiert, welchen Beitrag diese leisten können und sieht neben
zahlreichen positiven Effekten einen klaren Vorteil gegenüber Technologien wie
BECCS: „Natürliche Klimalösungen“ sind bereits heute – und somit rechtzeitig –
verfügbar.
Geoengineering ist eine
Phantomdiskussion. Sie lenkt ab von den zentralen Herausforderungen: Nur wenn
wir aufhören, skandalöse 6,5 Prozent des weltweiten Bruttosozialprodukts in
direkte und indirekte Subventionen fossiler Energieträger zu stecken, wird der
Klimawandel gestoppt. 100 Prozent erneuerbare Energien brauchen kein CCS.
Deutschland produziert so viel Stromüberschuss, dass es seine 20 ältesten
Braunkohlekraftwerke sofort stilllegen könnte.
Geoengineering wird auf absehbare Zeit
nicht mehr sein können als ein Feigenblatt in der PR-Strategie der Kohle- und
Ölkonzerne. Wer daran noch einen Zweifel hat, sollte einen Blick auf die Think
Tanks und Lobby-Gruppen werfen, die sonst bei jeder Gelegenheit den Klimawandel
leugnen: Das ultra-konservative Cato Institute oder die Koch Brothers sind
begeisterte Unterstützer von Geoengineering. Sie stehen wirklich nicht in dem
Verdacht, sich um den Klimawandel zu sorgen. IPG 26
Lega Nord lässt Parlamentsmitarbeiter zum Klatschen antreten
Italiens Rechtsextremisten haben die
Plenarsitzung des Europäischen Parlaments in Straßburg vergangene Woche
genutzt, um bei einer Pressekonferenz ihre neu errungene Macht zu
demonstrieren. Die Aktion widersprach den Vorschriften der Institution und
wurde von den anwesenden Journalisten nicht
gutgeheißen. EURACTIV.fr berichtet.
Wenn etwas richtig und gut werden soll,
muss man es halt selbst machen, scheint sich die italienische Lega Nord am
Donnerstag gedacht zu haben.
Aus Furcht vor einer wenig
enthusiastischen – oder gar feindlich eingestellten – Presse beschloss der
italienische Europaabgeordnete Matteo Salvini, Vorsitzender der rechtsextremen
Partei, die bei den jüngsten Wahlen in Italien 17 Prozent der Stimmen erhalten
hatte, die Sache in die eigenen Hände zu nehmen.
Während einer Pressekonferenz in
Straßburg applaudierten Mitglieder seines Kabinetts und parlamentarische
Assistenten der Fraktion Europa der Nationen und der Freiheit (ENF) wiederholt
nach seinen Statements – eine ungewöhnliche Praxis, die von den europäischen
Medienvertretern als undemokratisch angesehen wird und vom Europäischen
Parlament sogar verboten ist.
Bei Salvinis gemeinsamer
Pressekonferenz mit Nicolas Bay vom französischen Front National und Harald
Vilimsky von der FPÖ schlug die Stimmung schnell um: Pressevertreter sahen sich
veranlasst, den italienischen Abgeordneten an die Regeln des Parlaments zu
erinnern, die ebensolche Unterstützungsbekundungen verbieten.
Salvini antwortete, Journalisten, die
den Applaus nicht ertragen, könnten den Raum ja verlassen. Sie hätten ohnehin
eine linke Voreingenommenheit.
Gemäß Artikel 7 der Presseverordnung
des Europäischen Parlaments ist es verboten, während der Pressekonferenzen in
irgendeiner Form Zustimmung oder Missbilligung zum Ausdruck zu bringen.
Die 5 Sterne-Bewegung und die
rechtsextreme Lega Nord könnten nach den Parlamentswahlen in Italien genügend
Unterstützung für eine Mehrheit haben.
Tajani weigert sich, einzugreifen
Laut einer internen E-Mail, die von
EURACTIV eingesehen wurde, hat der Generaldirektor für Kommunikation des
Parlaments festgestellt, dass ein Journalist während der Konferenz von einer
Salvini nahestehenden Person bedroht wurde.
Nach dem Vorfall mahnte der
Pressesprecher der ENF an, dass sich ein solches Verhalten nicht wiederholen
dürfe. Dies hinderte einige Journalisten jedoch nicht daran, im Nachgang einen
offiziellen Beschwerdebrief an den Präsidenten des Europäischen Parlaments,
Antonio Tajani, zu senden.
Die interne Antwort der
Generaldirektion Kommunikation: „In der derzeitigen heiklen politischen
Situation empfehlen wir, keine weiteren Maßnahmen zu ergreifen, die Herrn
Salvini mehr Öffentlichkeit verschaffen würden.“ Aline Robert, EA 19.3.
Wanderüberschuss. Einwanderung nach Deutschland 2016 deutlich gesunken
Im Jahr 2016 sind rund 500.000 Personen
mehr nach Deutschland zugezogen als aus Deutschland fortgezogen. Im Jahr zuvor
hatte der Wanderungsüberschuss noch 1,14 Millionen Personen betragen. Das teilt
das Statistische Bundesamt mit.
Die Einwanderung nach Deutschland hat
sich im Jahr 2016 mehr als halbiert. Es zogen rund 500.000 Personen mehr zu als
fort, wie das Statistische Bundesamt am Dienstag in Wiesbaden mitteilte. Im
Jahr 2015, dem Höhepunkt der Flüchtlingskrise, hatte der Wanderungsüberschuss
noch 1,14 Millionen Personen betragen. Experten zufolge liegt der Grund für die
rückläufige Einwanderung vor allem in der geschlossenen Balkanroute sowie in
den Rücknahmevereinbarungen zwischen der EU und der Türkei.
2016 gab es insgesamt 1,86 Millionen
Zuzüge und 1,36 Millionen Fortzüge über die Grenzen Deutschlands, wie die
Statistiker weiter mitteilten. Das waren 272.000 Zuzüge oder 13 Prozent weniger
und 368.000 Fortzüge oder 37 Prozent mehr als im Jahr 2015.
Rund 146.000 Einwanderer waren
Deutsche, die aus dem Ausland wieder zurück ins Land kamen, oder
Spätaussiedler. Das waren 25.000 Personen mehr als noch im Vorjahr.
Gleichzeitig kehrten 281.000 Deutsche ihrer Heimat den Rücken.
Jeder zweite EU-Bürger
Von den 1,86 Millionen Eingewanderten
hatten 1,71 Millionen einen ausländischen Pass. Das waren 297.000 (minus 15
Prozent) weniger als im Vorjahr. Insgesamt 1,08 Millionen ausländische Personen
(plus 224.000) wanderten 2016 aus Deutschland ab. Im Saldo aus Zu- und
Fortzügen ergibt sich daraus ein Wanderungsüberschuss ausländischer Personen
von rund 635.000 (2015: 1,15 Millionen).
Rund 51 Prozent aller Zugewanderten
kamen aus EU-Staaten. Neun Prozent besaßen Staatsangehörigkeiten anderer
europäischer Länder. 26 Prozent der Ankömmlinge kamen aus einem asiatischen
Staat, fünf Prozent aus Afrika. (epd/mig)
Angela Merkel zum vierten Mal Bundeskanzlerin. Neue Bundesregierung im Amt
Auf Vorschlag von Bundespräsident
Steinmeier hat der Deutsche Bundestag am 14. März Angela Merkel erneut zur
Bundeskanzlerin gewählt. Zum vierten Mal legte Merkel vor dem Parlament ihren
Amtseid ab. Die fünfzehn neuen Ministerinnen und Minister der Großen Koalition
wurden ebenfalls vom Bundespräsidenten ernannt und legten im Bundestag ihren
Amtseid ab.
Nach Konrad Adenauer, Ludwig Erhard,
Kurt Georg Kiesinger, Willy Brandt, Helmut Schmidt, Helmut Kohl und Gerhard
Schröder wurde mit Angela Merkel am 22. November 2005 erstmals eine Frau an die
Spitze der Bundesregierung gewählt. Sie ist am 28. Oktober 2009, am 17.
Dezember 2013 und am 14. März 2018 im Amt der Bundeskanzlerin bestätigt worden.
Auf Vorschlag der Bundeskanzlerin hat
Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier am 14. März auch den
Bundesministerinnen und Bundesministern die Ernennungsurkunden überreicht. Der
Bundesminister für Finanzen, Olaf Scholz, hat auch die Stellvertretung der
Kanzlerin übernommen. Die CDU stellt die Bundeskanzlerin und sechs
Ministerinnen und Minister, die CSU
drei und die SPD ebenfalls sechs. Dem
neuen Kabinett gehören sieben Frauen und neun Männer an.
Am frühen Abend kam das neue
Bundeskabinett im Kanzleramt zu seiner konstituierenden Sitzung zusammen.
Am 21. März gibt die Bundeskanzlerin
die Regierungserklärung ab, in der sie die Schwerpunkte des Regierungshandels
in der 19. Legislaturperiode vorstellt. Der Koalitionsvertrag von CDU, CSU und
SPD für diese Legislaturperiode trägt den Titel: "Ein neuer Aufbruch für
Europa. Eine neue Dynamik für Deutschland. Ein neuer Zusammenhalt für unser
Land." Pib 15.3.
Im Streit um die Essener Tafel wurden
die Interessen armer Deutscher gegen jene von Flüchtlingen ausgespielt. Dagegen
wendet sich eine Erklärung der wichtigsten deutschen Sozialverbände und des
DGB. Sie fordern höhere Sozialleistungen für alle.
Es sei Ausdruck politischen und
sozialstaatlichen Versagens in diesem reichen Land, dass Menschen, egal welcher
Herkunft, "überhaupt Leistungen der Tafeln in Anspruch nehmen
müssten", heißt es in der Erklärung, die von über 430 Organisationen –
neben dem DGB auch der Paritätische Gesamtverband und die Nationale
Armutskonferenz - unterzeichnet wurde. Konkret fordern sie die Anhebung der
Regelsätze Hartz IV, der Sozialhilfe und der Leistungen für Asylbewerber_innen
auf ein bedarfsgerechtes und existenzsicherndes Niveau. Alleinstehende
Erwachsene mit Hartz IV erhalten derzeit 416 Euro im Monat, Kinder im Alter
zwischen 6 und 13 Jahren 296 Euro. Alleinstehende erwachsene Asylbewerber_innen
bekommen außerhalb von Aufnahmeeinrichtungen 354 Euro, Kinder zwischen 6 und 13
nur 242 Euro. „Die Leistungen in der Altersgrundsicherung, bei Hartz IV oder im
Asylbewerberleistungsgesetz sind ganz einfach zu gering bemessen und schützen
nicht vor Armut”, sagte DGB Vorstandsmitglied Annelie Buntenbach. Die
Regelsätze müssten sich am tatsächlichen Bedarf orientieren und ein Mindestmaß
an sozialer Teilhabe garantieren. „Wir brauchen eine untere Haltelinie gegen
die Spaltung in Arm und Reich.“
Die Sicherung des Existenzminimums sei
Aufgabe des Sozialstaates und nicht privater Initiativen und ehrenamtlichen
Engagements, sagte Ulrich Schneider, Hauptgeschäftsführer des Paritätischen
Gesamtverbands. In Deutschland gebe es genug Geld und erst recht genug Nahrung
für alle, so Günter Burkhardt, Geschäftsführer von Pro Asyl. Flüchtlinge und
Migranten würden als Sündenböcke instrumentalisiert und “für Fehlentwicklungen
wie Armut und Wohnungsnot verantwortlich gemacht, die die Politik zu
verantworten hat.” Hilfsbedürftige dürften nicht nach Pass oder Nationalität
gegeneinander ausgespielt werden.
Weitere interessierte Organisationen
und Initiativen, auch lokal und regional aktive, sind eingeladen, den Aufruf
mit zu unterstützen.
www.der-paritaetische.de/aufruf
Forum Migration April 2018
Multikulti. Noch lange nicht gescheitert
Bereits 2010 hat Angela Merkel
Multikulti für gescheitert erklärt. Dabei haben wir Multikulti nie versucht,
uns für unsere Vielfalt interessiert, uns nie angestrengt. Und so lange wir es
nicht versucht haben, sind wir nicht gescheitert. Von Aseman Bahadori
Es heißt immer, die AfD sei deshalb so
erfolgreich, weil sie unausgesprochene Ängste und Sorgen der Menschen in
Deutschland zum politischen Thema macht. „Mutter Merkel kümmert sich halt um
fremde Kinder zuerst und lässt die eigenen verhungern“, meint eine ehemalige
Arbeitskollegin, als wir über die „Flüchtlingskrise“ und die damals
bevorstehende Bundestagswahl sprechen. Auf diese sogenannten besorgten Bürger,
so folgern und beschließen es Politik und Gesellschaft, müsse man eingehen und
ihre Ängste endlich ernst nehmen.
Endlich?
Es ist der 16. Oktober 2010 als Angela
Merkel Multikulti für gescheitert erklärt: endlich. Man meint, große Teile der
Bevölkerung erleichtert aufstöhnen zu hören. Endlich scheint es eine Erklärung
dafür zu geben, warum so viele Dinge einfach nicht so laufen, wie sie sollten
und endlich weiß man, woran es liegt: Multikulti! Es funktioniere nicht. Eine
ganze Nation nickte eifrig und merkte nicht, wie es sich selbst das Leben um
ein Vielfaches erschwerte.
Dieselbe Politik, die sich jahrelang
nicht mit der Vielfalt im eigenen Land befasste, und sich vehement wehrte,
Deutschland als das zu bezeichnen, was es ist, nämlich ein Einwanderungsland,
begann über Vielfalt und „Multikulti“ zu sprechen, als sie für gescheitert
erklärt wurde. Das ist unlogisch. Denn Scheitern kann man nur, nachdem man sich
zumindest bemüht hat.
Haben wir das? Haben wir es versucht,
dafür gekämpft, oder uns auch nur ausreichend für unsere Vielfalt und Identität
interessiert? Haben wir uns angestrengt, um zu einer solidarischen
Mehrheitsgesellschaft zusammenzuwachsen? Nein.
Anstatt sich endlich mit den Belangen
und Problemen der deutschen Migrationsgesellschaft auseinanderzusetzen, lenkte
die Politik mit ihrem vernichtenden Urteil von ihren jahrzehntelangen
Versäumnissen ab. Sie stellte pauschal allen „Migranten“ fehlenden
Integrationswillen unter und kehrte unter den Teppich, dass sich Millionen
Menschen erfolgreich integrierten, obwohl die Politik sich jahrelang überhaupt
nicht für sie interessierte.
Deutschland, obgleich seit bereits so
vielen Jahren ein Einwanderungsland, steckt noch in den Kinderschuhen, wenn es
darum geht sich kritisch mit seiner Identität und Diversität
auseinanderzusetzen. Gescheiterte Einwanderungsgesellschaft? Not in my name.
Die Reise hat erst begonnen, endlich scheitern kann man auch immer noch später.
MiG 29
Reaktionen. Seehofer startet mit Islam-Debatte ins Amt
Gehört der Islam zu Deutschland? Über
die Antwort wird seit Jahren gestritten. Nun befeuert der neue
Bundesinnenminister Seehofer die Debatte neu. Er sagt, der Islam gehöre nicht
zu Deutschland. Der CSU-Politiker will aber den Dialog mit Muslimen. Von
Corinna Buschow
Es ist zum Ritual geworden, dass ein
Bundesinnenminister die Gretchenfrage der 2000er-Jahre beantworten muss: Gehört
der Islam zu Deutschland? Der neue Ressortchef Horst Seehofer (CSU) hat nun
Stellung bezogen und sagt: Nein. Kurz nach Amtsantritt entfacht er damit eine
alte Debatte um die Integration der Muslime. Der neue Innenminister – auch
verantwortlich für den Dialog zwischen Staat und Religionsgemeinschaften – will
aber auch die Deutsche Islamkonferenz als Gesprächsforum weiter nutzen.
2006 wurde die Islamkonferenz vom
damaligen Bundesinnenminister Wolfgang Schäuble (CDU) ins Leben gerufen. Er
sagte damals, der Islam sei Teil Deutschlands und Europas. Bereits diese
Aussage blieb nicht unwidersprochen, umstritten ist aber vor allem der Satz des
damaligen Bundespräsidenten Christian Wulff aus dem Jahr 2010: „Der Islam
gehört zu Deutschland.“
Noch kein verantwortlicher
CSU-Innenpolitiker konnte sich dahinter versammeln. Der frühere Innenminister
Hans-Peter Friedrich (CSU) lehnte ihn ab. Auch Seehofers Vorgänger Thomas de
Maizière (CDU) tat sich zumindest schwer damit, unterstrich aber, die Muslime
gehörten zu Deutschland. Das pointierte „Der Islam gehört nicht zu Deutschland“
war zuletzt aber nur im Wahlkampf von AfD-Vertretern zu hören.
Grüne: Seehofer sollte Moscheen
schützen
Dass „selbstverständlich“ die Muslime
zu Deutschland gehörten, sagt auch Horst Seehofer. Der vorangestellte Satz
„Nein. Der Islam gehört nicht zu Deutschland“ in seinem Interview mit dem
Boulevardblatt „Bild“ setzt aber dennoch einen anderen Ton, vermuten zumindest
die Grünen. „Eine Gesellschaft, die von oben in Gruppen unterteilt wird,
schafft Desintegration“, sagte die Vorsitzende der Grünen-Bundestagsfraktion,
Katrin Göring-Eckardt.
Für den Grünen-Innenexperten Konstantin
von Nutz geht der Satz „völlig an den entscheidenden Fragen vorbei“. Seehofer
verhindere mit solch leeren Floskeln die notwendige Auseinandersetzung mit den
Problemen und Chancen von Zuwanderung, erklärte der Grünen-Politiker in der
„Bild“. „Damit schadet er unserem Land.“ Bundestagsabgeordneter Omid Nouripour
(Grüne) erklärte, anstatt alte Stilblüten zu kommentieren, solle sich der
Innenminister zu Morddrohungen gegen Muslime äußern. „Und er soll erklären, wie
er die zahlreichen Anschläge auf Gotteshäuser endlich unterbinden will.“
SPD: Seehofers politischer Eiertanz
Führende SPD-Politiker forderten am
Wochenende ein Ende der von Seehofer entfachten Diskussion. „Das ist eine acht
Jahre alte Debatte, die innerhalb der Union immer noch geführt wird, aber
niemanden weiterbringt“, sagte die SPD-Fraktionschefin im Bundestag, Andrea
Nahles, der „Rhein-Neckar-Zeitung“.
Ähnlich äußerten sich Justizministerin
Katarina Barley und Arbeitsminister Hubertus Heil (beide SPD). Die in
Nordrhein-Westfalen für Integration zuständige Staatssekretärin Serap Güler
(CDU) warf Seehofer einen „politischen Eiertanz“ vor. Bundestagsvizepräsident
Thomas Oppermann (SPD) schriebt bei Twitter, viele Muslime hätten in
Deutschland eine Heimat gefunden „und mit ihnen gehört ihr Glaube, der Islam,
auch zu Deutschland.“
FDP: Überflüssige Ablenkungsdebatte
Auf Kritik stößt Seehofers Äußerung
auch beim FDP-Parteivorsitzenden Christian Lindner. „Diese Debatte lenkt ab und
ist überflüssig“, sagte Lindner der „Rheinischen Post“. „Weder verlangt
irgendwer die Übernahme islamischer Sitten, noch ist das Christentum
Staatsreligion.“ Der religionspolitische Sprecher der FDP, Stefan Ruppert,
beklagte eine „Pseudodebatte, die einzig darauf abzielt, zu spalten“.
Unterstützung bekam Seehofer aus der
CSU. Bayerns Ministerpräsident Markus Söder sagte dem „Bayerischen Rundfunk“,
Jemand der nach Deutschland komme, solle alle Startchancen erhalten, „aber er
muss sich letztlich an unsere Werte, Sitten, Gebräuche anpassen und nicht
umgekehrt“. Die christliche Prägung beziehe sich nicht auf eine reine
Religionsausübung, in der natürlich die Religionsfreiheit gelte, sondern auf
den Kalender, Traditionen und Bräuche.
Merkel: „Der Islam gehört zu
Deutschland“
CDU-Parteichefin und Bundeskanzlerin
Angela Merkel bleibt indes bei ihrer Unterstützung des Satzes „Der Islam gehört
zu Deutschland“, Deutschland sei zwar stark vom Christentum geprägt, aber
inzwischen lebten auch vier Millionen Muslime in Deutschland, sagte die
CDU-Chefin bei einem Treffen mit dem schwedischen Ministerpräsidenten Stefan
Löfven am Freitag in Berlin. „Diese Muslime gehören auch zu Deutschland, und
genauso gehört ihre Religion damit zu Deutschland, also auch der Islam.“
Kritik erntete der Islam-Satz Seehofers
auch vom neuen Integrationsbeauftragten der Bundesregierung, Annette
Widmann-Mauz (CDU). „Solche Sätze bringen uns nicht weiter. Sie liefern keinen
Beitrag zur Lösung der Herausforderungen, vor denen wir stehen“, sagte sie der
„Rheinischen Post“.
Islamkonferenz-Auftakt in ehemaliger
Brauerei
Innenministeriumssprecher Johannes
Dimroth betonte am Freitag in Berlin, Seehofer sei der Dialog mit den Muslimen
wichtig. Im „Bild“-Interview kündigte der Minister an, erneut die
Islamkonferenz einzuberufen: „Wir müssen uns mit den muslimischen Verbänden an
einen Tisch setzen und den Dialog suchen und da wo nötig noch ausbauen.“
Zugleich betonte er: „Muslime müssen
mit uns leben, nicht neben oder gegen uns.“ Was er konkret für die
Islamkonferenz plant, ließ er aber offen. Ein erstes Werkstattgespräch mit
Vertretern der islamischen Religionsgemeinschaften soll an diesem Montag in
einer ehemaligen Berliner Brauerei stattfinden.
Muslime reagieren mit Unverständnis
Der Vorsitzende des Zentralrats der
Muslime, Aiman Mazyek, reagierte mit Unverständnis auf Seehofers Äußerung:
Diese Woche mit den zahlreichen Angriffen auf muslimische Einrichtungen und der
Schließung der Kölner Geschäftsstelle des Zentralrates wegen einer anonymen
Morddrohung gegen ihn selbst sei für ihn äußerst nervenaufreibend gewesen,
sagte er. „Und dann noch einen solchen Satz zu hören“, bedrücke ihn sehr.
Der Vorsitzende der Türkischen Gemeinde
in Deutschland, Gökay Sofuo?lu, unterstrich: „Diese wenig hilfreiche Debatte
über den Islam in Deutschland wieder zu eröffnen, ausgerechnet in einer Zeit,
in der Moscheen und Flüchtlingsunterkünfte brennen, zeigt, dass Herr Seehofer
in der Rolle des Innenministers noch nicht angekommen ist.“
Seehofer bleibt bei seiner
Islam-Aussage
In der „Welt am Sonntag“ verteidigte
Seehofer seine Aussagen. Dass Deutschland geschichtlich und kulturell
christlich-jüdisch und nicht islamisch geprägt sei, könne doch niemand
ernsthaft bestreiten. „Das ist für mich entscheidend, wenn es um die Frage
geht, was zu Deutschland gehört. Genauso wie es für mich eine
Selbstverständlichkeit ist, dass die große Zahl der friedliebenden Muslime in
Deutschland zu uns gehört.“ (epd/mig 19.3.)
Regierungserklärung. Merkel: "Deutschland, das sind wir alle!"
"In unserem Land hat sich etwas
verändert." Trotz ausgezeichneter wirtschaftlicher Lage machten sich
Menschen Sorgen um die Zukunft und den Zusammenhalt der Gesellschaft. Die
Flüchtlingskrise habe Deutschland "in beispielloser Weise gefordert",
so Merkel. Sie sei eine humanitäre
Ausnahmesituation gewesen.
Die Debatte über den richtigen Weg habe
Deutschland "gespalten", die Diskussion sei "polarisiert",
die Gesellschaft "rauer" geworden, sagte Bundeskanzlerin Angela
Merkel in ihrer ersten Regierungserklärung nach ihrer Wiederwahl. Sie
rechtfertigte die Entscheidung, in den Jahren 2015
und 2016 hunderttausende Flüchtlinge
besonders aus Syrien aufgenommen zu haben. Merkel betonte aber auch, dass dies
eine humanitäre Ausnahmesituation gewesen sei.
Aufgenommen als Menschen in Not
Merkel erinnerte zunächst daran, dass
vor sieben Jahren im Zuge des "Arabischen Frühlings" der Bürgerkrieg
in Syrien begonnen habe. Europa habe zuerst gehofft, von den Folgen nicht
direkt betroffen zu sein. Zur ganzen Wahrheit gehöre aber auch, so die
Kanzlerin selbstkritisch, "dass wir zu spät erkannt haben, dass
Flüchtlinge in den Nachbarländern nicht ausreichend versorgt waren" und
Schlepperbanden die Situation
ausgenutzt hätten. "Wir haben sie als Menschen in Not aufgenommen."
Es sei eine unglaubliche
Bewährungsprobe für die Gesellschaft gewesen. Die Strukturen seien darauf nicht
vorbereitet gewesen. "Unser Land kann auf diese Leistung stolz sein",
sagte die Kanzlerin.
Fünf Punkte sind der Kanzlerin für die
Zukunft wichtig:
1. Eine solche Ausnahmesituation wie
die Aufnahme der Flüchtlinge in 2015 und 2016 könne und solle sich nicht
wiederholen. Das EU-Türkei-Abkommen habe geholfen, Schleppern das Handwerk zu
legen.
2. UN-Hilfsprogramme dürften nicht mehr
so dramatisch unterfinanziert sein wie vor zwei Jahren. Hilfe vor Ort sei
zentrale Aufgabe. Welternährungsfonds und UNHCR würden von Deutschland seither
stärker gefördert.
3. Merkel verurteilte Bombardements in
Ost-Ghouta durch Russland und das türkische Vorgehen in Afrin als inakzeptabel.
Merkel forderte zudem eine bessere Zusammenarbeit mit den afrikanischen
Ländern, um Fluchtursachen zu bekämpfen.
4. Europäische Außengrenzen müssten
geschützt werden. Merkel forderte ein Ein- und Ausreiseregister. Bessere
Kontrolle sei notwendig, denn
terroristische Gefahren hätten zugenommen. Merkel dankte den
Sicherheitsbehörden: "Unsere freiheitliche Gesellschaft wird sich unsere
Art zu leben nicht durch Terroristen zerstören lassen."
5. Deutschland werde weiter denen
helfen, die einen Anspruch hätten, im Land zu bleiben. Auf der anderen Seite
müssten die, die keinen dauerhaften Aufenthaltsstatus hätten, das Land wieder
verlassen. Insgesamt sollen nicht mehr als 180.000 bis 220.000 Flüchtlinge pro
Jahr nach Deutschland kommen. Merkel hofft, ein gemeinsames Asylsystem auf dem
Europäischen Rat im Juni
verabschieden zu können.
Die Flüchtlingssituation habe wie ein
Brennglas grundlegende gesellschaftliche Probleme aufgedeckt, so die Kanzlerin.
Schon in den vergangenen Jahrzehnten seien viele Menschen aus anderen Ländern
zu uns gekommen. Es gelte, gemeinsam zu agieren, um Benachteiligungen zu
beseitigen. Aber auch
Probleme müssten benannt werden.
Zusammenleben der Religionen verbessern
Der Koalitionsvertrag gebe Antworten
auf bestehende Probleme. Viele Fortschritte seien gemacht worden, aber beim
Thema Zusammenleben und Zusammenhalt sei man längst noch nicht da, wo man sein
wolle. Merkel kündigte an, einen Pakt für den Rechtsstaat schnüren zu wollen,
unter anderem durch
die Einstellung von 15.000 neuen
Polizisten. Erforderlich sei Respekt gegenüber denen, die das Recht
durchsetzten.
Deutschland habe eine
christlich-jüdische Prägung, so Merkel. Aber zugleich lebten mittlerweile 4,5
Millionen Muslime in unserem Land. Deren Religion, der Islam, sei inzwischen
ein Teil Deutschlands. "Insbesondere das Zusammenleben der Religionen
stellt uns vor Herausforderungen", so Merkel. Sie forderte, Bund und
Länder müssten gemeinsam zukunftsfähige Strukturen auch für den Islam finden.
Eine wichtige Rolle spielt für die Bundeskanzlerin weiterhin die Deutsche
Islamkonferenz.
Zusammenhalt der Gesellschaft stärken
"Wir wollen als Bundesregierung
die Spaltung überwinden und einen neuen Zusammenhalt schaffen", so Merkel.
Der Wohlstand unseres Landes solle allen zugutekommen. Ziel sei eine
Gesellschaft, geprägt von Menschlichkeit, Gerechtigkeit, Zusammenhalt. Eine
Priorität sei, Familien zu stärken, etwa durch das Baukindergeld. Die neue
Koalition entlaste Alleinerziehende und Kinderreiche. Kinderarmut sei eine
Schande.
Auch die Absenkung des Beitrages zur
Arbeitslosenversicherung, die paritätische Finanzierung der
Krankenversicherungsbeiträge und der Abbau des Solis, der 90 Prozent der
Menschen zugute komme, entlaste die Bürgerinnen und Bürger. Zudem seien solide
Finanzen weiter garantiert. Seit 2014 habe die Bundesregierung keine neuen
Schulden aufgenommen, das werde so bleiben, versicherte die Kanzlerin. Pib 21
Große Koalition. Rat für Migration warnt Regierung vor Abschottungspolitik
Ein Zusammenschluss von über 150
Migrationsforschern warnt die Bundesregierung vor einer Politik, die auf
Ausgrenzung und Abschottung setzt. Als schädlich für die Integration wertet der
Rat die geplanten Rückführungzentren für Flüchtlinge.
Der Rat für Migration hat die neue
Bundesregierung vor einer Politik der Ausgrenzung und Abschottung gewarnt. „Im
Koalitionsvertrag fehlt ein klares Bekenntnis zum Einwanderungsland
Deutschland“, sagte Werner Schiffauer, Vorsitzender des Rates, am Dienstag in
Berlin. Der bundesweite Zusammenschluss von mehr als 150 Migrationsforschern
befürchtet außerdem, dass die Rechte von Geflüchteten hierzulande weiter
eingeschränkt werden.
Die von Union und SPD geplante Spanne
von 180.000 bis 220.000 Geflüchteten jährlich und der Ausbau der Zusammenarbeit
mit Herkunfts- und Transitstaaten lasse das Ziel erkennen, Fluchtmigration mit
allen Mitteln zu verhindern, sagte der Professor vor der für Mittwoch
angekündigten Wahl Angela Merkels (CDU) zur Bundeskanzlerin.
Als schädlich für die Integration
wertet der Rat die geplanten Einrichtungen zur Aufnahme, Entscheidung und
Rückführung (ANkER) von Geflüchteten, in denen die betroffenen Personen oft für
viele Monate bleiben müssten. In den vergangenen Jahren seien Lösungen wie die
dezentrale Unterbringung erfolgreich erprobt worden. „Die Erfahrungen waren
ermutigend, die Einführung der ANkER-Einrichtungen bedeutet einen wesentlichen
Rückschritt“, kritisierte Schiffauer. (epd/mig 14.03)
„Migranten und Flüchtlinge aufnehmen, schützen, fördern, integrieren“
Fachgespräch der Migrationskommission
der Deutschen Bischofskonferenz zu den Globalen Pakten
Auf Einladung der Migrationskommission
der Deutschen Bischofskonferenz hat heute (16. März 2018) ein Fachgespräch
unter dem Leitthema „‚Migranten und Flüchtlinge aufnehmen, schützen, fördern,
integrieren‘ – Kirchliche Perspektiven auf die Globalen Pakte zu Migration und
Flucht“ stattgefunden. Dazu kamen rund 50 Verantwortungsträger und Experten aus
Kirche, Politik, Verwaltung, Zivilgesellschaft und internationalen
Organisationen in der Katholischen Akademie in Berlin zusammen. Der Vorsitzende
der Migrationskommission und Sonderbeauftragte für Flüchtlingsfragen,
Erzbischof Dr. Stefan Heße (Hamburg), sowie der Bundesminister für wirtschaftliche
Zusammenarbeit und Entwicklung, Dr. Gerd Müller, eröffneten die Veranstaltung.
Mit dem New Yorker UN-Gipfel zu
Flüchtlingen und Migranten im September 2016 hat die internationale
Gemeinschaft einen Beratungs- und Verhandlungsprozess begonnen, der bis Ende
2018 in zwei Globalen Pakten („Global Compacts“) münden soll: einen zu
sicherer, geordneter und regulärer Migration sowie einen weiteren zu Fragen des
Flüchtlingsschutzes. Papst Franziskus hat diesem Prozess von Anfang an hohe
Bedeutung beigemessen. Dies drückt sich auch in einem Dokument mit „20
Handlungsschwerpunkten“ aus, das die vatikanische Abteilung für Migranten und
Flüchtlinge veröffentlicht hat. Diese orientieren sich an vier Maximen, die der
Papst für die Globalen Pakte formuliert hat: „aufnehmen, schützen, fördern,
integrieren“. Ziel des Fachgesprächs war es, die Impulse des Vatikans – ergänzt
um Beiträge der Deutschen Bischofskonferenz – in das politische Gespräch
einzubringen.
Zu Beginn des Fachgesprächs betonte
Erzbischof Heße das große Potential, das die katholische Kirche in den beiden
Globalen Pakten sieht: „Sie können die positiven, entwicklungsförderlichen
Aspekte von Migration stärken und den Weg zu einer solidarischen
Verantwortungsteilung zwischen den Staaten ebnen; sie können ein Bewusstsein
dafür schaffen, dass die Rechte und Bedürfnisse der betroffenen Menschen keine
Nebensache sind, sondern der Maßstab einer humanitär verantwortbaren Politik
sein müssen. Und schließlich: Sie können ein wichtiger Beitrag dazu sein, dass
wir durch internationale Zusammenarbeit die ‚Globalisierung der
Gleichgültigkeit‘ überwinden.“ Der Vorsitzende der Migrationskommission wies
zudem darauf hin, dass die alltägliche Praxis der kirchlichen Migrations- und
Flüchtlingsarbeit für eine geerdete Herangehensweise sorgt: „Wenn die Kirche in
Migrationsfragen Empfehlungen formuliert, dann hat sie dafür – neben ihrer
biblisch-theologischen Sensibilität für die Thematik – eine weitere Grundlage:
die praktischen Erfahrungen der zahlreichen Christen, die ein Leben für
Migranten, mit Migranten oder auch als Migranten führen.“
Pater Fabio Baggio CS, der für
Migrationsfragen zuständige Untersekretär im Vatikanischen Dikasterium für den
Dienst zugunsten der ganzheitlichen Entwicklung des Menschen, erläuterte in
seinem Vortrag die Rolle der katholischen Kirche und internationaler
zivilgesellschaftlicher Akteure bei den Beratungen zu den Globalen Pakten.
Dabei ging er insbesondere auf die „20 Handlungsschwerpunkte“ des Vatikans ein:
„Das Dokument enthält eine ganze Reihe von praktischen Überlegungen, die auf
der Erfahrung der Ortskirchen und der katholischen Basisorganisationen beruhen.
Vorgelegt werden unterschiedliche
best-practice-Maßnahmen, die
mancherorts bereits umgesetzt werden und die auch auf andere geographische
Regionen übertragen werden können. Gerade in Deutschland findet sich einiges
davon bereits in der Praxis.“ Er unterstrich, dass aus Sicht des Vatikans
Deutschland – gemeinsam mit anderen EU-Staaten – eine essentielle Rolle im
Prozess der Globalen Pakte spielen könne und solle.
In vier aufeinanderfolgenden Panels
tauschten sich die Teilnehmer zu Themen aus, die aus kirchlicher Sicht von
besonderer Relevanz sind:
*
Unter dem Stichwort „aufnehmen“ befassten sich der Generalsekretär der
Internationalen Katholischen Migrationskommission, Msgr. Robert Vitillo, der
UNHCR-Repräsentant in Deutschland, Dominik Bartsch, und der Leiter der
Migrationsabteilung im Bundesministerium des Innern, Norbert Seitz, mit
sicheren und legalen Zugangswegen für Flüchtlinge.
*
Daran schloss sich eine Einheit zum Thema „integrieren“ an: Hier beleuchteten
die Leiterin der politischen Abteilung von Caritas Europa, Dr. Shannon Pfohman,
der Bielefelder Soziologe Prof. Dr. Thomas Faist und der Leiter des Referats
Flucht und Asyl im Arbeitsstab der Integrationsbeauftragten der
Bundesregierung, Dr. Michael Maier-Borst, Facetten eines teilhabeorientierten
Integrationsbegriffs.
*
Im Panel „fördern“ ging es um ein besseres Verständnis von Flucht- und
Migrationsursachen sowie Perspektiven für die Herkunftsländer. Diesen Fragen
widmeten sich der Geschäftsführer für internationale Zusammenarbeit beim
bischöflichen Hilfswerk Misereor, Dr. Martin Bröckelmann-Simon, Erica Usher von
der Internationalen Organisation für Migration (IOM) und die Leiterin der
Abteilung Globale Zukunftsaufgaben im Bundesministerium für wirtschaftliche
Zusammenarbeit und Entwicklung, Ingrid-Gabriela Hoven.
*
Schließlich diskutierten der Unabhängige Anti-Sklaverei-Kommissar des Vereinigten
Königreichs, Kevin Hyland, Sr. Beatrice Mariotti von der katholischen
Frauenrechtsorganisation SOLWODI sowie der Leiter des Referats Menschenhandel
beim Bundeskriminalamt, Carsten Moritz, unter dem Stichwort „schützen“ über
internationale Strategien im Kampf gegen Menschenhandel, insbesondere Arbeits-
und sexuelle Ausbeutung.
Mittlerweile liegen für beide Globalen
Pakte sogenannte „Zero Drafts“ vor, über die zwischen den Staaten intensiv
verhandelt wird und die auch beim heutigen Fachgespräch im Fokus standen. Die
Veranstaltung der Migrationskommission ermöglichte es den Teilnehmern, das
bislang in den Verhandlungen Erreichte kritisch zu erörtern, Empfehlungen für
den weiteren Prozess zu geben und bereits jetzt die Phase der Umsetzung der
beiden Pakte in den Blick zu nehmen. Dbk 16
Annette Widmann-Mauz. Staatsministerin will Zusammenhalt zwischen Religionen stärken
Muslime und Gläubige anderer Religionen
sollen stärker zusammenhalten. Dafür will sich die neue Staatsministerin für
Integration, Annette Widmann-Mauz einsetzen. Große Hoffnungen setzt
Widmann-Mauz in die Deutsche Islamkonferenz.
Die neue Staatsministerin für
Integration, Annette Widmann-Mauz (CDU), will den Zusammenhalt zwischen
Muslimen und Gläubigen anderer Religionen stärken. Nötig sei eine sachliche
Debatte darüber, „nach welchen Regeln und welchem Werteverständnis wir in
Deutschland leben wollen“, sagte Widmann-Mauz am Donnerstag im Inforadio des
Rundfunk-Berlin-Brandenburg (RBB). „Dazu gehört die Religionsfreiheit – und die
gilt dann auch für alle.“
Große Hoffnungen setzt Widmann-Mauz
nach eigenen Worten in die Deutsche Islamkonferenz. Hier müssten die wichtigen
Fragen geklärt werden: „Wie klappt die Religionsausübung? Wie nehmen wir es mit
der Religionsfreiheit, auch im täglichen Zusammenleben? Und wie können wir mit
einer weiterentwickelten Islamkonferenz auch darauf die richtigen Antworten
geben?“, sagte die Staatsministerin für Integration.
Das Thema: Integration in den
Arbeitsmarkt
Widmann-Mauz betonte, eines der
wichtigsten Themen sei die Integration in den Arbeitsmarkt. Der Zugang zu
Bildung und Sprache müsse noch zielgerichteter und besser werden, damit das
Ankommen in der Gesellschaft am Ende gelinge. „Da werden wir an vielen Stellen
einiges zu tun haben“, sagte die CDU-Politikerin und fügte hinzu: „Aber wir
dürfen auch nicht aus dem Auge verlieren: Wir haben auch schon viele positive
Erfolgsgeschichten in unserem Land. Daraus zu lernen, diese zu verstärken, das
ist mein Ansatz.“
Zu weiteren Zielen ihrer Amtszeit sagte
Widmann-Mauz: „Ich würde mich sehr freuen, wenn wir mehr Zusammenhalt hätten,
als wir ihn heute haben, und wenn wir es schaffen, mit wirksamen Maßnahmen dann
auch ganz konkret Probleme gelöst zu haben, Menschen geholfen zu haben, die
Chancen, die ihnen dieses Land gibt auch nutzen zu können.“ Das helfe auch,
Herausforderungen der Zukunft besser zu bewältigen. (epd/mig 23.3.)
Kempten, Haus International. Mitgliederversammlung
Am vergangenen 20. März fand, von
19.00 bis 22.00 Uhr, eine Mitgliederversammlung im Haus
International statt. Zu diesem Treffen sind einige Dutzende
Mitglieder gekommen.
Nach der Begrüßung und einem
ersten Tätigkeitsbericht durch die Vorsitzende, Frau Gabriele
Heilinger, trug der Geschäftsführer Herr Lajos Fischer seinen
Kassenbericht vor. Er schilderte detailliert die Aktivitäten
des Vereins und schlug einige kleinere Satzungsänderungen vor, welche auch von
den anwesenden Mitgliedern einstimmig genehmigt wurden.
Gleich danach informierte Frau Ruth
Haupt die Anwesenden über die Hausaufgabenbetreuung, die sie –
unter Mitarbeit von Praktikanten und ehrenamtlichen Mitarbeitern – seit
einigen Monaten leitet. Außerdem berichtete sie über ihre Arbeit mit Eltern,
sowie über ihre Gespräche mit den Lehrern, im Zusammenhang mit der Vorbereitung
der Dritt- und Viertklässler für den Übertritt auf
die weiterführenden Schulen und
der Neuntklässler für den
qualifizierenden Hauptschulabschluss.
Im Laufe des Abends berichteten Frau
Heilinger und Herr Fischer außerdem über die Unterstützung von
Jugendlichen bei der Erstellung von Bewerbungsunterlagen, über
Integrationskurse, Deutschunterricht für neu angekommene Migrantenkinder,
allgemeine Beratung, über Kulturkurse, Begegnungen und Informationen, sowie über
besondere Ereignisse wie das Burgaldefest usw.
Nach diesen informativen
Vorträgen wurde dann eine Wahlkommission benannt, welche die Wahl zweier
Beisitzer im Vorstand und eines Kassenprüfers des Vereins leitete. Der
offizielle Teil der Versammlung endete mit der erfolgreichen Wahl einer
Beisitzerin, eines Beisitzers und eines Kassenprüfers.
Zum Ausklang der Veranstaltung, gegen
22.00 Uhr, gab es noch ein köstliches Buffet.
Untern den Anwesenden:
Herr Siegfried Oberdörfer, (SPD Fraktion), Beauftragter
des Stadtrates für Integration, Herr Dr. Fernando A. Grasso, Konsularkorrespondent für
Kempten und Umgebung, sowie Vizepräsident der ACLI Bayern
und ACLI Kempten, welcher im vergangenen Monat November 2017
am Projekt "Bundesweiter Vorlesetag" im Haus International
teilgenommen hatte.
Fernando A. Grasso,
de.it.press
Bologna-Bericht im Kabinett. Bachelor und Master haben sich durchgesetzt
1999 startete die Europäische
Studienreform unter dem Namen "Bologna-Prozess". Europaweit sollen
Studienleistungen sowie die Abschlüsse Bachelor und Master anerkannt werden.
Bundesbildungsministerin Karliczek berichtete dem Kabinett, dass Deutschland
dabei sehr gut abschneidet.
91 Prozent aller deutschen Studiengänge
schließen mit dem international anerkannten Bachelor und Master ab. Die
deutschen Hochschulen bieten 8.750 Bachelor- und fast genauso viele
Masterstudiengänge an (Wintersemester 2017/2018). Das sind insgesamt 3,7
Prozent mehr als 2015.
Etwa zwei Drittel der
Bachelor-Absolventen nehmen ein Masterstudium auf (Jahrgang 2013). Deutschland
gehört zu den Ländern, die bei der Umsetzung der Bologna-Reform sehr gut
abschneiden.
Mehr Studierende sollen
Auslandserfahrung sammeln
30 Prozent der deutschen Studierenden
höherer Semester haben einen Auslandsaufenthalt absolviert. Die
Bologna-Vereinbarung verlangt, dass mindestens 20 Prozent für wenigstens drei
Monate im Ausland studieren sollen.
Bund und Länder streben darüber hinaus
an, dass die Hälfte der hier Studierenden Auslandserfahrung sammeln soll.
Deutschland hat als einziger Staat ein "Mobilitätsfenster" für die
akkreditierten Studiengänge verankert. Das heißt: die Hochschulen bauen
Auslandsaufenthalte systematisch in ihre Lehrpläne ein. Internationale
Studiengänge mit Partneruniversitäten auf der ganzen Welt entstehen.
48 Bologna-Staaten bilden den
Europäischen Hochschulraum
1999 unterzeichneten 30 europäische
Staaten die sogenannte Bologna-Erklärung mit dem Ziel, bis zum Jahr 2010 einen
gemeinsamen europäischen Hochschulraum zu schaffen. Weitere Staaten schlossen
sich an, darunter die Türkei, Russland und die Ukraine. Insgesamt 48 Staaten
nehmen am "Bologna-Prozess" teil.
Kernziel des Bologna-Prozesses sind
- die Einführung gestufter
Studiengänge,
- die Vereinfachung der Anerkennung,
- die Einführung eines
Kreditpunktesystems ECTS,
- die europäische Zusammenarbeit im
Bereich der Qualitätssicherung,
- die Förderung der Mobilität der
Studierenden und Hochschulangehörigen und
- die Stärkung einer europäischen
Dimension der Hochschulbildung.
Studienleistungen gegenseitig
anerkennen
Die Bologna-Staaten müssen in- und
ausländische Studienleistungen gegenseitig anerkennen. Dies ist entscheidend,
damit Studierende überall studieren und Absolventen international beruflich
tätig werden können. Deutschland hat das "Übereinkommen über die
Anerkennung von Qualifikationen im Hochschulbereich in der europäischen
Region" 2007 unterzeichnet.
In der Praxis besteht jedoch weiterhin
Verbesserungsbedarf. Zwei Drittel der deutschen Studierenden wurden ihre im
Ausland erworbenen Studienleistungen mindestens zum Teil anerkannt. Ein Drittel
erhielt keine Anerkennung oder stellte keinen Antrag, zeigt die
Mobilitätsstudie 2017 des Deutschen Akademischen Austauschdienstes (DAAD).
Zehnte Bologna-Konferenz:
Bildungsminister bilanzieren
Um zu überprüfen, ob die vereinbarten
Ziele in den Teilnehmerstaaten erreicht werden, ziehen die Bildungsminister
alle zwei Jahre Bilanz. Die erste Folgekonferenz nach Unterzeichnung der
Bologna-Erklärung fand 2001 in Prag statt. Die letzte, neunte Folgekonferenz in
Jerewan (Armenien).
Am 24. / 25. Mai treffen sich die
Ministerinnen und Minister in Paris zur zehnten
Bologna-Konferenz. Sie wollen
vereinbaren, wie Staaten unterstützt werden können, die noch Defizite bei den
Kernzielen der Reform haben: Bachelor- und Masterprogramme einzuführen,
ausländische Studienleistungen anzuerkennen und die Studienqualität extern zu
überprüfen. Deutschland wird seine Erfahrungen an die Partner weitergeben.
Vor jeder Bologna-Konferenz berichtet
die Bundesregierung über die nationalen Fortschritte. Das Kabinett hat den
Bericht für die Jahre 2015 bis 2018 beschlossen.
Akademische Freiheit nicht verhandelbar
In Paris werden die Ministerinnen und
Minister über die Werte des Europäischen Hochschulraums diskutieren: das sind
die akademische Freiheit, die Unabhängigkeit der Hochschulen und wie
Studierende und Lehrende an der Führung der Hochschulen beteiligt werden. Diese
Werte sind nicht
verhandelbar. Hier gilt es sich der
Diskussion mit Staaten – auch in Europa – zu stellen, die diese Prinzipien
brechen oder sie in Frage stellen.
Die EU-Staats- und Regierungschefs
haben vorgeschlagen, ein Netzwerk Europäische Hochschule zu errichten. Pib 28
Brandenburg: Arbeitsministerin fordert
Unternehmen auf, nach Beschäftigten mit ausländischen Abschlüssen zu suchen
Angesichts des Fachkräftemangels will
das Arbeitsministerium in Brandenburg Unternehmen mit einer neuen Ausstellung
dazu animieren, sich gezielt nach Mitarbeitern mit im Ausland erworbenen
Berufsabschlüssen umzusehen. „Der Fachkräftemangel gehört mittlerweile zu den
größten Geschäftsrisiken“, sagte Arbeitsministerin Diana Golze (Linke). In
Brandenburg habe im Jahr 2016 mehr als ein Drittel von 72.000 ausgeschriebenen
Stellen nicht besetzt werden können. Im selben Jahr wurden in dem Bundesland
450 Anträge auf Anerkennung eines Berufsabschlusses gestellt – etwa 40 Prozent
mehr als ein Jahr zuvor.
Schleswig-Holstein: Armenier soll
ausreisen, nachdem Handwerkskammer seine Ausbildung anerkennt
Die Ausländerbehörde in Quickborn hat
den 25-jährigen Zahntechniker Harutyun H. aus Armenien zur Ausreise
aufgefordert. H. hatte nach einem Bericht des Hamburger Abendblattes zuvor
seinen Abschluss aus Armenien bei der Handwerkskammer Lübeck anerkennen lassen.
Diese hatte die Gleichwertigkeit von H.s Ausbildung bestätigt. Seither arbeitet
H. in einem großen Hamburger Labor, das ihn weiter beschäftigen will. Sein
Asylantrag war allerdings abgelehnt worden – genau wie jener seines Bruders
Gevorg, mit dem er 2015 gemeinsam nach Deutschland gekommen war. Der Bruder
darf in Deutschland bleiben, weil er eine Ausbildung macht. Hätte H. auf die
Anerkennung verzichtet und selbst eine Ausbildung aufgenommen, dürfte auch er
wohl weiter in Deutschland bleiben. So aber soll er als abgelehnter
Asylbewerber das Land verlassen. Stefan Taschjian, der Anwalt des Armeniers,
sagte dem Abendblatt, der Fall zeigte „wie grotesk unser Ausländerrecht ist“.
Er versucht nun mit rechtlichen Mitteln, die drohende Abschiebung seines
Mandanten zu verhindern.
Bayern: AfD verbreitet
Falschinformationen über ausländische Ärzte
Die Bayerische Landesärztekammer ist
hetzerischen Aussagen der AfD über ausländische Ärzte entgegen getreten. Das
berichtet der Bayerische Rundfunk. Die Debatte hatte sich an einem Artikel
entzündet, den Frank Ulrich Montgomery, der Vorsitzende der Bundesärztekammer,
im Februar im Deutschen Ärzteblatt veröffentlicht hatte. Darin schrieb er: „Wir
müssen zum Beispiel ausschließen, dass Menschen als Arzt tätig werden, die sich
in ihren Heimatländern Zertifikate gekauft haben, ohne jemals die Universität
besucht zu haben.“ Über den rechten Blog Achse des Guten wurde der bayerische
Landesverband der AfD darauf aufmerksam und veröffentlichte eine
Presseerklärung mit dem Titel: „Lebensgefahr durch falsche Ärzte.“ Unter
anderem behauptete sie darin, „in Bayern genügt es, wenn sich Mediziner auf dem
allgemeinsprachlichen B2-Level verständigen können. Andere Bundesländer
verlangen den höheren C1-Standard.“ Das sei falsch, heißt es dazu von der
Bayerischen Landesärztekammer (BLAK). Auch in Bayern werde seit April 2017 von
ausländischen Ärzt_innen eine Fachsprachenprüfung auf dem Level C1 absolviert.
Bei 711 seither durchgeführten Prüfungen lag die Bestehensquote bei 48 Prozent.
„Die Prüfungen dienen als Nachweis über die für die Berufsausübung
erforderlichen Sprachkenntnisse bei allen internationalen Ärzten, die ihre
Ausbildung außerhalb des Bundesgebietes absolviert haben und keine
Deutsch-Muttersprachler sind“, sagte Gerald Quitterer, der Präsident der BLAK.
Zudem habe die AfD Interviewpassagen von Montgomery „unzulässig verkürzt“
wiedergegeben. https://bit.ly/2Ge36xI
Preis: „Wir für Anerkennung“
Bewerbungen für den Unternehmerpreis
„Wir für Anerkennung“ können ab sofort bis einschließlich 31. Mai 2018
eingereicht werden. Das Bundesministerium für Bildung und Forschung wird zum
zweiten Mal gemeinsam mit dem Deutschen Industrie- und Handelskammertag sowie
dem Zentralverband des Deutschen Handwerks Unternehmen für ihr betriebliches
Engagement im Bereich der beruflichen Anerkennung auszeichnen. Der Preis
richtet sich insbesondere an kleine und mittlere Unternehmen. In der Jury ist
in diesem Jahr auch Daniel Weber, Leiter des Bereichs Migration &
Gleichberechtigung beim DGB Bildungswerk Bund.
http://www.anerkennungspreis.de/unternehmenspreis
Kreis Bergstraße veröffentlicht Handreichung
zur Anerkennung
Der Kreis Bergstraße hat Handreichungen
für die Anerkennung ausländischer Abschlüsse erstellt. Ein Informationsblatt
gibt einen Überblick über das Antragsprozedere, die Voraussetzungen der
Anerkennung, Beratungsmöglichkeiten sowie über die Kosten. Ein separates
Praxishandbuch erläutert gesetzliche Grundlagen sowie fach- und
landesrechtliche Besonderheiten. Ziel sei, die „Potenziale der Menschen, die
mit beruflichen Qualifikationen aus dem Ausland zu uns kommen, hinreichend zu nutzen“,
sagte Landrat Christian Engelhardt. Die Dokumente können auf der Internetseite
des Kreises heruntergeladen werden. https://www.kreis-bergstrasse.de
Forum Migration April 2018
Neues Hoch. Geburtenanstieg in Deutschland setzt sich fort
Zum fünften Mal in Folge ist die Zahl
der Neugeborenen in Deutschland angestiegen. Bei deutschen Müttern betrug der
Geburtenanstieg drei Prozent, bei ausländischen Müttern liegt dieser Wert bei
25 Prozent. Insgesamt kamen 2016 rund 792.000 Kinder zur Welt.
Der Geburtenanstieg in Deutschland hat
sich im Jahr 2016 fortgesetzt. Wie das Statistische Bundesamt am Mittwoch in
Wiesbaden mitteilte, wurden 792.131 Kinder geboren, 54.556 mehr als im Jahr
2015 (plus sieben Prozent). Damit stieg die Zahl der Neugeborenen im fünften
Jahr in Folge.
In allen Bundesländern kamen 2016 mehr
Kinder zur Welt als im Vorjahr. In den westdeutschen Flächenländern und in den
Stadtstaaten stieg die Zahl der Neugeborenen durchschnittlich um acht Prozent,
während der Anstieg in den ostdeutschen Flächenländern mit plus vier Prozent
etwas schwächer ausfiel.
Plus 25 Prozent bei ausländischen
Müttern
Deutsche Mütter brachten den Angaben
zufolge rund 607.500 Kinder zur Welt (plus drei Prozent). Damit setzte sich der
Geburtenanstieg der letzten Jahre fort. Diese Entwicklung sei vor allem darauf
zurückzuführen, dass Frauen im Alter zwischen 30 und 37 Jahren häufiger Kinder
bekommen, hieß es.
Mütter mit ausländischer
Staatsangehörigkeit brachten 184.660 Kinder zur Welt (plus 25 Prozent). Die
Anzahl der Frauen aus Ländern mit traditionell relativ hoher Geburtenneigung
sei gestiegen, erklärten die Statistiker. Außerdem habe 2016 die
Geburtenhäufigkeit aller ausländischen Frauen insgesamt zugenommen.
Höchste Geburtenziffer seit 1973
Die zusammengefasste Geburtenziffer lag
2016 bei 1,59 Kindern je Frau. Das ist der höchste seit 1973 gemessene Wert und
deutlich höher als 2015 (1,50 Kinder je Frau). Bei den deutschen Frauen stieg
die Geburtenziffer von 1,43 Kindern je Frau im Jahr 2015 auf 1,46 Kinder je
Frau im Jahr 2016. Bei den Frauen mit ausländischer Staatsangehörigkeit nahm
sie von 1,95 auf 2,28 Kinder je Frau zu.
Die höchste Geburtenhäufigkeit in der
EU hatten den Angaben zufolge Frauen in Frankreich mit 1,92, die niedrigste in
Spanien und Italien mit 1,34 Kindern je Frau. (epd/mig 29)